Il dialogo efficace

Il dialogo efficace

 

Il dialogo efficace:

  1. E’ ricco di sincerità e lealtà.
  2. E’ delicato nei confronti dell’altro.
  3. Non giudica l’altro.
  4. Ha come base l’accettazione dell’altro.
  5. Ha come prospettiva l’incontro con l’altro.
  6. Ricerca la soddisfazione dei bisogni dell’altro.
  7. Ha come base l’uguaglianza con l’altro.
  8. Contiene un’intensa e valida carica e partecipazione affettiva.

 

 

  1. E’ ricco di sincerità e lealtà.

L’efficacia della comunicazione si misura dalla sua chiarezza, dalla capacità di essere interpretata, dalle risposte che riesce a suscitare e, in definitiva, dalla maggiore o minore possibilità di soddisfare i bisogni e le aspettative dei singoli e della coppia.

Affinché il dialogo sia efficace quindi, il linguaggio dovrebbe essere per quanto possibile chiaro, semplice, sincero e trasparente.[1]

Per tale motivo è necessario che la comunicazione sia non solo chiara e sincera, ma che vi sia anche coerenza tra ciò che diciamo e facciamo, che ci sia anche coerenza tra il contenuto di ciò che viene detto, il tono della voce, la mimica e le altre connotazioni del messaggio.[2]        

Attenzione però a non trasformare la sincerità in crudeltà. La sincerità è alla base stessa del dialogo, ma vi sono dei pensieri e dei sentimenti che potrebbero ferire o fare del male e quindi, prima di essere espressi, hanno bisogno di essere vagliati accuratamente, per trovare i modi e i tempi più opportuni per comunicarli.

Il dialogo non consiste nel dire tutto ciò che in un dato momento passa per la mente, ma nel costruire, attraverso l’amore e il rispetto per la sensibilità altrui, un rapporto sincero e leale. Il dolore che si può provocare utilizzando in modo improprio le parole ed i gesti è notevole, pertanto la comunicazione dovrebbe essere sempre attenta alla maturazione e alla sensibilità dell’altro.

  1. E’ delicato nei confronti dell’altro.

Se da una parte non si può forzare un soggetto ad aprirsi ed a confidare sentimenti, emozioni e pensieri, quando non lo si mette nelle condizioni di sentirsi libero di dire tutto ciò che sente, d’altra parte i modi bruschi, le parole che umiliano, che fanno sentire male, l’eccessiva impulsività, la poca pazienza, l’aggressività, sono parole e gesti che allontanano, spaventano o mettono sulla difensiva chi ci sta accanto. Per tale motivo, anche quando il nostro compagno o la nostra compagna ha torto, è giusto usare quanta più delicatezza possibile per aiutarlo/la a capire l’errore e a porvi rimedio.

  1. Non  giudica l’altro.

E’ difficile non giudicare. E’ nella natura umana pensare e vedere negli altri, difetti e limiti dai quali, naturalmente, solo noi siamo esenti!

Purtroppo, nell’ambito delle relazioni amorose, dopo la fase dell’innamoramento, sono frequenti i giudizi su chi ci sta vicino, con lo scopo di far sentire l’altro colpevole. Si usano dei giudizi quando si dicono frasi del tipo: “ Sei uno stupido, un incapace, un cretino, un malvagio ecc.”.

Per evitare di emettere dei giudizi sarebbe invece opportuno utilizzare frasi del tipo: “Questo tuo modo di fare potrebbe portare a queste conseguenze”. “Quest’atteggiamento non lo condivido, mi fa soffrire, non serve allo scopo”. “Vorrei capire il tuo modo di fare, il tuo modo di essere”.[3]

Il giudicare compromette l’apertura e la fiducia reciproca; impedisce di esternare il contenuto più profondo dei propri pensieri; spinge alla chiusura, alla difesa e all’aggressività.

  1. Ha come base l’accettazione dell’altro.

Accettare l’altro significa accogliere la diversa personalità, la diversa realtà sociale, la diversa identità sessuale e il diverso ruolo, che ognuno di noi ha e porta nella vita di coppia.

E’ da quest’accettazione che nasce e si sviluppa un confronto positivo. Quando l’accettazione manca, per cui vorremmo che l’altro fosse come noi lo abbiamo sognato e desiderato o avesse sempre le stesse caratteristiche, è facile accorgersi che il dialogo diventa difficile o cessa. Ciò non toglie però che gli sforzi d’ogni individuo che vive la difficile ma splendida realtà dell’amore di coppia, dovrebbero tendere ad armonizzare ed integrare la propria realtà interiore e i propri comportamenti con i vissuti, i bisogni e i desideri di chi ci sta vicino.

  1. Ha come prospettiva l’incontro con l’altro.

L’incontro, l’intesa, dovrebbero essere gli obiettivi finali del dialogo. Non sempre ciò è possibile, non sempre si riesce a trovare quell’accordo tanto agognato.[4] Ma questa tensione interiore verso l’incontro dovrebbe esserci in ogni momento ed in ogni situazione.

Se durante il litigio l’altro non è accettato così com’è, ma è visto come fonte di frustrazioni, sarà praticamente respinto come partner e la comunicazione tenderà a ridursi.[5]

 

  1. Ricerca la soddisfazione dei bisogni dell’altro.

Quando il partner chiede qualcosa è perché ne ha bisogno. Se questi bisogni sono legittimi e sani, il venire incontro a queste necessità significa voler bene e amare il proprio partner. Il cercare di soddisfare i bisogni dell’altro a volte comporta un certo impegno e sacrificio. Ma questo impegno e questo sacrificio saranno ampiamente ricompensati nel momento in cui l’altro si accorgerà e valorizzerà le nostre attenzioni verso di lui. Al contrario, se il rapporto con il partner è stato ricco solo di rifiuti, aggressività e violenze, dovremo necessariamente aspettarci un ritorno di atteggiamenti e comportamenti negativi e distruttivi.

Questo impegno nel soddisfare i bisogni dell’altro deve tener conto delle differenze di genere e individuali. I bisogni di un uomo sono diversi da quelli d’una donna. I bisogni di ognuno di noi, come individui, possono essere o tradursi in maniera diversa. Non esistono due persone uguali: con gli stessi gusti, la medesima realtà interiore, gli stessi desideri. Inoltre, spesso, i bisogni fondamentali non sono espressi chiaramente, ma ciò non ci esime dal cercare di capirli e soddisfarli, andando oltre i pensieri e le parole chiaramente esplicitate.          

  1. Ha come base l’uguaglianza con l’altro.

Uguaglianza come essere umani anche se con identità sessuali e ruoli diversi. Il comportamento e il ruolo del marito o del padre non può essere uguale a quello della moglie e della madre e viceversa. La diversità di ruolo è fondamentale sia per l’educazione dei figli che nell’intesa uomo-donna. I figli hanno bisogno, infatti, d’una donna-madre, che porti nell’educazione e nella cura dei piccoli il suo immenso patrimonio d’umanità e le sue capacità comunicative; una calda affettività e un’intensa sensibilità; la tenerezza e l’accoglienza. Queste e altre qualità strettamente materne sono fondamentali nell’educazione del minore.

Anche un padre apporta e dà elementi insostituibili di carattere, d’intelligenza, d’affettività. La forza e la linearità; il coraggio e la sicurezza; la coerenza e la fermezza; caratteristiche d’un buon padre, sono, nello sviluppo del minore, altrettanto importanti.

 

  1. Contiene un’intensa e valida carica e  partecipazione affettiva.

Se il dialogo non è fatto d’amore o non ha come base l’amore e l’affetto, ha un’efficacia minima. Partecipare ai sentimenti, ai vissuti e ai valori di chi ci sta vicino, dovrebbe essere compito di ognuno di noi. Tale partecipazione dovrebbe portare nella coppia al coinvolgimento affettivo per cui i desideri dell’altro diventano i nostri desideri, i suoi bisogni diventano i nostri bisogni, la sua sofferenza diventa la nostra sofferenza. In tal modo si attua una partecipazione e una condivisione dei pensieri, dei sentimenti, delle emozioni che rinsaldano l’unione. Il coinvolgimento però, deve necessariamente avere dei limiti, in quanto, se eccessivo, rischia di compromettere la nostra lucidità ed il nostro benessere interiore che sono indispensabili per aiutare meglio chi ci sta vicino.



[1]  TRIBULATO E., (2005), L’educazione negata, EDAS, Messina, p.7184.

[2]  MUCCHIELLI, R., (1993), Psicologia della vita coniugale, Città Nuova Editrice, Roma, pp. 130-131.

[3]  TRIBULATO E., (2005), L’educazione negata, EDAS, Messina, p.184.

[4]  TRIBULATO E., (2005), L’educazione negata, EDAS, Messina, p.185.

[5]  MUCCHIELLI, R., (1993), Psicologia della vita coniugale, Città Nuova Editrice, Roma, pp 130-131.

 

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