La visione negativa dell’altro sesso

La visione negativa dell’altro sesso

 

 

Autore: Emidio Tribulato

 

Sono molti i segnali che ci suggeriscono un aumento del disagio fra i due generi nel mondo occidentale e nel nostro periodo storico.

  • Aumentano le separazioni, i divorzi.
  • Aumentano i single.
  • Sono in aumento le azioni legali e i processi per violenza, intentate dall’uno e dall’altro sesso.
  • Aumenta la sfiducia nei confronti dell’altro, espressa sia verbalmente sia nei comportamenti.
  • Diminuisce la sollecitudine, l’accoglienza e la disponibilità tra uomini e donne nella cura reciproca.

 

Una delle più importanti cause socio-relazionali che altera notevolmente il rapporto tra i sessi è dovuta all’attuale visione negativa del sesso opposto. Nell’incontro e nei rapporti che instauriamo con l’altro sesso, siano essi superficiali oppure molto intensi e profondi, sono insite e non potrebbe essere diversamente, tutte le problematiche riguardanti il rapporto con la diversità. Come dice Ackerman[1]:

“Dalla nascita alla morte l’essere umano si muove, muta e si sviluppa in funzione del suo modo di adattarsi alla diversità. Vengono dei momenti in cui è inevitabile il conflitto; esso è intrinseco alla lotta per l’esistenza, intrinseco al processo di cambiamento e di sviluppo”.

Il rapporto con il diverso non è stato mai facile. In alcuni periodi storici e in alcune società, l’incontro con popoli e persone con caratteristiche diverse per religione, valori, cultura, usi, costumi, visione del mondo, è stato visto come un’occasione d’arricchimento, confronto e intesa, mentre, in altri casi e in altri periodi storici, le differenze sono state giudicate un grave problema da contrastare in ogni modo, mediante una netta opposizione, utilizzando dei comportamenti di esclusione, chiusura e lotta. In altri casi si è preteso, da chi è diverso da noi, la completa omologazione alla nostra cultura, alle nostre leggi, ai nostri usi e costumi, alla nostra lingua, alla nostra religione.

Questo modo di vedere e affrontare la diversità è stato sempre presente nel campo sociale e nelle relazioni tra popoli ed etnie diverse. Ciò ha provocato un’interminabile serie di conflitti, emarginazioni, guerre di religione ma anche i tanti incredibili orrori dei campi di sterminio, i quali avevano come obiettivo dichiarato l’eliminazione fisica del “diverso”.

Questa paura di confrontarsi con chi ha qualcosa di differente da noi, questo rifiuto di conoscere, accogliere e accettare chi ha lingua, religione, usi e costumi, caratteristiche fisiche, colore della pelle, diversi dai nostri, questo rinunciare ad instaurare con quelli una collaborazione ed un’intesa proficua, negli ultimi decenni ha coinvolto anche il campo delle differenze sessuali. Pertanto per molti l’altro sesso è diventato uno sconosciuto da tenere alla larga, un nemico da accusare di ogni possibile nefandezza, un essere da allontanare e demonizzare.

Come soluzione atta ad evitare continui contrasti e scontri, da più di mezzo secolo si punta sull’omologazione, utilizzando l’educazione. È diventato quasi un assioma affermare che bambine e bambini, uomini e donne per meglio comprendersi e accettarsi, non potendo essere, almeno per il momento uguali, sarebbe bene fossero per quanto possibile molto simili tra loro. Per raggiungere questa finalità e per fare in modo che non vi sia alcuna differenza, si ritiene utile che uomini e donne siano educati allo stesso modo, vestano in modo simile, si comportino allo stesso modo, abbiano lo stesso linguaggio, s’impegnino nelle stesse attività lavorative e sociali.

Anche in questo campo, pur di non affrontare le difficoltà di una relazione tra diversi, si è preferito scegliere lo scontro o l’omologazione, senza curarsi del fatto incontestabile che la diversità, sia nel campo delle relazioni tra popoli, sia soprattutto nelle relazioni tra i sessi, che sono portatori di specifiche e particolari qualità e capacità, quando è accettata, accolta e ben gestita, è non solo utile ma preziosa. Essa offre la possibilità di un notevole arricchimento reciproco, che non si potrebbe assolutamente ottenere in altro modo.

Al contrario, quando la diversità è contrastata o negata, si ottiene non solo un impoverimento personale e sociale ma, inevitabilmente, si provoca l’insorgere di notevoli e gravi incomprensioni, contrasti e scontri violenti. La prova più evidente della ricchezza apportata dall’integrazione è presente in ognuno di noi. È noto, infatti, che l’Io dell’individuo nasce e si sviluppa proprio mediante le prime relazioni che egli instaura con soggetti diversi da lui. Dapprima ogni bambino che nasce si confronta con la madre, subito dopo con il padre e poi con gli altri suoi familiari: fratelli, sorelle, nonni, zii. In seguito, quest’Io che è nato proprio dal rapporto con gli altri e dall’integrazione delle differenze, ha la possibilità di crescere, divenendo sempre più maturo, responsabile, duttile, forte e culturalmente ricco, proprio mediante il confronto e la parziale inclusione di pensieri, esperienze, sensazioni ed emozioni trasmesse da persone che possiedono età, sesso, pensieri, caratteristiche sociali e individuali diverse dalle proprie. Come dice Roberto[2]: “Senza il confronto con la differenza, e cioè senza la relazione, non si porrebbe l’identità. Senza l’altro l’Io non sarebbe: per questa ragione l’Io dovrà imparare a dialogare con l’altro, e solo dialogando con l’altro, l’Io troverà un’armonia con se stesso”.

Detto questo, non possiamo tuttavia sottovalutare quanto sia complesso e difficile affrontare le diversità. Nel caso dell’incontro uomo – donna bisogna saper sfidare sia le problematiche legate alle diverse caratteristiche individuali, sia quelle dovute all’identità e al ruolo di genere. Questo percorso relazionale è sicuramente impervio, tanto che è necessario possedere una buona maturità e serenità personale per riuscire a compierlo. Questo percorso è certamente faticoso, tuttavia è un cammino indispensabile, se si vuole raggiungere una crescita personale e sociale.

Per Roberto[3]:

“La quotidiana convivenza con la diversità ci mette in confronto e pone problemi tali da non poter essere ignorati, ma anzi spinge verso l’adozione di strategie culturali e d’accoglienza. Un confronto che implica la disponibilità, da parte degli individui che entrano in relazione, a mettere in discussione le proprie credenze, i propri valori, i presupposti di base su cui noi stessi costruiamo la nostra identità sia individuale che collettiva. Ma tale disponibilità richiede non solo il coraggio di cambiare, ma anche l’impegno che deve essere profuso nella trasformazione, nonché la capacità di affrontare i costi psicologici, sociali ed economici che sono necessari per il cambiamento”.

È evidente che se nei riguardi degli atti e dei comportamenti del sesso opposto, disponiamo il nostro animo alla fiducia, alla disponibilità e all’ascolto, saranno più facili l’intesa, l’incontro e l’accoglienza. Se invece siamo portati a giudicare negativamente e con sospetto ogni parola o comportamento di chi ci sta accanto, oppure se la nostra mente è permeata da molti, intensi e coinvolgenti pregiudizi, tutte le relazioni che intraprenderemo con l’altro sesso, anche quelle che a noi, nell’esaltazione della fase dell’innamoramento, ci appaiano splendide e meravigliose, anche quelle saranno, dopo poco tempo, influenzate negativamente. Cosicché questi rapporti perderanno, in breve tempo, ogni fascino e ogni attrattiva, così da farci assumere i soliti atteggiamenti di esclusione consistenti in repulsione, allontanamento, lotta o, al massimo, nell’assurda richiesta di una piena e totale omologazione.

Purtroppo questo è ciò che è avvenuto negli ultimi decenni, da quando il femminismo e l’individualismo più esasperato hanno sparso a piene mani, tra uomini e donne, acredine, invidia e sospetto reciproco, mettendo in tal modo i due sessi l’uno contro l’altro. Pertanto, come succede per ogni situazione impostata su questi presupposti, è diventato quasi una costante, il piacere di demolire e contrastare l’immagine positiva del sesso opposto.

Da molti, troppi anni, non passa giorno che non siano esaltate le maggiori e migliori qualità femminili e le loro “conquiste” in tutti i campi dello studio, della politica, del lavoro e della famiglia mentre, contemporaneamente, sono denigrati e stigmatizzati, in maniera spesso ingenerosa e ingiusta, tutti i comportamenti maschili, sia del passato sia del presente. E ciò non solo quando questi atti realmente hanno leso, ledono o potrebbe danneggiare in modo grave il corpo, l’immagine, la dignità e la sensibilità delle compagne, ma anche quando sono semplicemente “diversi” e pertanto richiederebbero un maggiore sforzo di comprensione e accoglienza.

Da vari lustri il nemico “uomo” è diventato agli occhi di molte donne “l’essere cattivo”, che ha tenuto schiavo il genere femminile del passato, “l’essere falso e bugiardo”, poiché ogni cosa che propone e richiede ha come scopo riportare la donna in una condizione di sudditanza sociale, per continuare a relegarla in un ruolo subalterno dal quale si è finalmente liberata, l’uomo è diventato “l’essere traditore ed infido”, pronto ad abbandonare e ingannare le aspettative di ogni donna che scioccamente pone in lui fiducia e speranza e infine, “l’essere arrogante, aggressivo e violento”, il quale ghermisce con sopraffazione il corpo e lo spirito delle fanciulle che incontra sul suo cammino, ferendo e uccidendo quelle che si oppongono ai suoi desideri lascivi, ai suoi capricci, nonché ai suoi bisogni egoistici. Pertanto l’uomo, ormai da molti decenni è diventato l’essere dal quale proteggersi, l’essere da controllare, temere e, quando è il caso, denunciare alle prime avvisaglie di sopraffazione o violenza, per evitare di essere preda delle sue continue nefandezze. Nelle testimonianze raccolte da Belotti, gli uomini sono definiti dalle loro compagne come: noiosi, prolissi, antipatici, odiosi, prevaricatori, avari, meschini, sprezzanti, sessualmente egoisti, presuntuosi, competitivi, complessati, inibiti, conformisti, tristi, ecc.”[4].

Ma così come di solito avviene tra “nemici”, anche l’uomo ormai da molto, troppo tempo, ha sviluppato anticorpi e difese nei confronti del sesso opposto, intravedendo e sottolineando nell’essere femminile tutti i possibili tratti problematici o negativi, in qualche modo e in qualche caso presenti, pur di difendersi e contrattaccare. Pertanto anche per l’uomo l’elenco delle accuse verso l’altro sesso è diventato lungo, ma altrettanto ingiusto e ingeneroso, come quello stilato dalle donne.

Le accuse a quello che una volta era il “gentil sesso” da sognare, idealizzare, proteggere e per cui spasimare, riguardano l’alterigia, l’instabilità d’umore, la facile irritabilità e l’incontentabilità, nonché la sempre maggiore arroganza, aggressività e violenza, espressa in modi tali che, se è difficile o impossibile dimostrarla davanti a un giudice, perché fatta più di parole e comportamenti che non di lesioni fisiche, sarebbe spesso gravemente presente in molti rapporti di coppia.

Le critiche e i giudizi negativi non finiscono qui. Le donne sono accusate di essere molto volubili, di seguire in modo dissennato le mode del momento, senza compiere alcuna valutazione razionale, cosicché spesso il loro modo di vestire appare in alcuni casi sciatto e informe, mentre in altri casi è chiaramente ridicolo e volgare. Per non parlare delle scarse capacità nella cura dei figli, della casa, nonché degli uomini che, per loro disgrazia, si legano ad esse. Inoltre come fidarsi delle donne se queste, avvertendo e seguendo, senza molto riflettere e valutare, ogni impulso del momento, dettato dai loro volubili sentimenti, emozioni o capricci, sono facilmente disponibili al tradimento sentimentale e sessuale? E infine che fiducia avere nei loro confronti quando è evidente che molte di esse, dopo aver tradito il loro uomo che dicevano di amare, sono pronte a togliergli non solo l’onore e i beni ma anche l’amore dei figli?

Che da questa concezione negativa delle persone dell’altro sesso, possano nascere segni di reciproca incomprensione e conflittualità, che in un momento successivo, potrebbero sfociare in comportamenti e atti aggressivi, è qualcosa di facilmente prevedibile e anche difficilmente evitabile.



[1] Ackerman N.W., (1968), Psicodinamica della vita familiare, Torino, Bollati Boringhieri, p.77.

[2] Roberto R., (2016), “La violenza intrafamiliare”, Il consulente familiare, aprile – giugno, p.  13.

[3] Roberto R., (2016), “La violenza intrafamiliare”, Il consulente familiare, aprile – giugno, p. 12.

 

[4] Slepoj V. (2005), (Milano), Le ferite degli uomini, Arnaldo Mondadori Editore, p. 138.

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