I giovani e la conquista della sicurezza

I giovani e la conquista della sicurezza

 

 

 Autore: Giuseppe Cesa 

 

 

Gentile dottore, mia figlia di quindici anni non fa che confrontarmi con le madri di alcune sue amiche, a suo dire più moderne e aperte di idee, con cui è più facile parlare perché più che madri sono “amiche”. Ma io non intendo abdicare al mio ruolo di madre, pur sperimentandone quotidianamente la fatica.

Le chiedo: ritiene che per i figli sia utile che la madre ragioni e si comporti come se fossero una loro coetanea? (F. V.)

Una persona, come sosteneva Seneca, non può dare ciò che non ha. E dunque ci sono madri ( e padri!) adolescenti che si comportano da adolescenti per il semplice motivo che … psicologicamente lo sono, con tutte le incertezze, le fragilità e i disorientamenti dell’età adolescenziale. Sono genitori che solitamente sono ammirati dagli amici dei loro figli, ma che in casa propria non sono graditi proprio perché non sono e non fanno i genitori. Perché anche i figli più difficili (anzi, paradossalmente, soprattutto loro!) sentono la necessità di un adulto, se non altro per scontrarsi, per contestarlo e nel confronto-scontro acquistare gradualmente la consapevolezza di sé e con essa la propria autonomia.

 

 

Il genitore – e l’educatore in genere – dovrebbe aver potuto e saputo coltivare adeguatamente se stesso per avere qualcosa da offrire a quei ragazzi che vuole aiutare a crescere. Possiamo dare noi stessi ed offrirci come riferimento, soprattutto come genitori, se noi, a vostra volta, siamo sufficientemente sereni circa il nostro modo d’essere nel ruolo che ci è proprio.

Ogni persona in fase di sviluppo, inevitabilmente, si trova ad incontrare tutta la gamma delle esperienze corporee, psichiche e relazionali tipicamente umane. Alcune saranno piacevoli ed altre dolorose, alcune subdole ed altre formative, alcune lievi ed altre prorompenti. Tutte comunque vitali e con la possibilità di estendersi dalla superficie fino all’intimo più intimo.

 

 

È proprio l’adulto di riferimento colui al quale devono potersi confrontare a tutto campo i ragazzi alle prese con queste nuove esperienze. L’adulto dovrebbe aver già affrontato e risolto a suo tempo i problemi della crescita per poter essere d’esempio e di guida ai giovani nella loro ricerca di senso e nella modalità di gestione delle nuove esperienze. Non è detto sia sempre facile perché, si sa, la lingua batte dove il dente duole, sempre. Se i problemi sono rimasti irrisolti, non sarà possibile essere testimoni della loro felice soluzione. Di qui l’inevitabile porsi “alla pari” di pseudo-educatori adulti-solo-anagrafici con coloro che dovrebbero essere da loro educati.

Proprio per questo ritengo sia molto importante che chi accetta o cerca l’onere, oltre che l’onore, di essere genitore ed educatore possa riflettere su di sé ed interrogarsi sui propri valori, su come gestisce le proprie pulsioni, le emozioni, le frustrazioni, le aspettative oltre che sulla qualità delle relazioni che tiene, soprattutto quelle con valenze affettive.

L’impegno ad una crescita personale continua rappresenta il modo migliore per affrontare la responsabilità di essere un persona di riferimento.

Può così instaurarsi tra le generazioni un sano atteggiamento di crescita reciproca fondato su dialogo e confronto seppur da posizioni giustamente asimmetriche. Questo significa che, anche se tra adulto di riferimento e persona in fase di sviluppo può esserci un qualche grado di amicizia, quest’ultima non può prescindere dalla diversa responsabilità e, si presume, diversa competenza nella vita richiesta nei due ruoli.

La sicurezza, quella vera, scaturisce da un atteggiamento coerente, fiducioso e, pure, faticoso da sostenere, e non è una facciata da esibire.

Giuseppe Cesa , psicologo – psicoterapeuta

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