Dove vanno a finire i palloncini ?

PESCARA 2013

XXIII Congresso nazionale U.C.I.P.E.M.

 

 

Dove vanno a finire i palloncini ?

 AUTORE: Gabriela Moschioni

 

L’ U.C.I.P.E.M.  in questo congresso nazionale ha scelto di parlare di bambini , che si vedono, non si vedono , si intravvedono nei nostri consultori.

Ha scelto – coraggiosamente – di dare voce, in un’ottica di speranza ,

  • a quei bambini che non hanno voce perché non è stata data loro la vita,
  • a tanti bambini in difficoltà che pure – a pieno titolo – saranno costruttori del nostro futuro,
  • ai bambini nati altrove e che sono nostri perché colorano e rinnovano la nostra vita e la nostra genitorialità e che ci aprono orizzonti che ci costringono a spaziare oltre il nostro piccolo e talvolta miope universo
  • fino ai nativi digitali perché il nostro rischio è quello di negarci  o  di banalizzare i nuovi strumenti di apprendimento ed educativi.

 

L’obbiettivo del Congresso é l’ASCOLTO, a partire dall’ascolto del bambino che è in noi, della realtà del bambino OGGI

Non sono i macro fenomeni che vogliamo affrontare : non sono i 336 milioni di aborti della Cina,

Vogliamo riflettere su  5 milioni di bambini non nati in Italia che ci interpellano e coinvolgono 5 milioni di coppie  cioè 10 milioni di persone  che,  livello più o meno conscio,  devono fare i conti con la negazione della vita .

E come osserva Paola Bonzi del CAV Mangiagalli “un grande lavoro deve essere fatto vivendo tutte le emozioni presenti quando si toccano i temi fondamentali dell’esistere come la vita e la morte” .

In Italia 

2.800.000        bambini hanno famiglia monogenitoriale di cui

2.400.000        bambini vivono senza papà e

400.000           bambini vivono senza la mamma.

150.000           sono i bambini e i  ragazzi che ogni anno sono coin-

volti nella separazione/divorzio dei loro genitori

800.000           sono le cause pendenti presso i Tribunali dei Minori

per l’assegnazione del figlio conteso

Questi dati “di massima” sono stati pubblicati dal Sole 24 ore .

Giornale molto attento alla ricaduta del “fenomeno famiglia” sulla tenuta economica e sociale del Paese.

I relatori del Congresso di grande spessore umano e culturale – che hanno condiviso con generosità ed entusiasmo la tematica proposta dall’UCIPEM – mi hanno stupito e confortato per il taglio di positività e speranza con cui hanno accettato di “vedere” questi bambini che speriamo siano per noi sempre meno palloncini e sempre più persone.

Nella mia lunga vita professionale ho sempre vigilato sulla interferenza emotiva e affettiva del mio lato femminile-materno , permettetemi oggi , che sono una nonna, di leggerVi quello che ha scritto Marina Corradi sul quotidiano l’Avvenire .

“Col primo figlio in braccio ho scoperto che tutti i soldati di tutte le guerre sono stati un tempo figli fra le braccia di una madre .

Nel sacrario delle Tofane – coi cimeli della prima guerra mondiale – mi colpì un elmo con una scritta graffiata sopra con un temperino da un soldato

“Ciao mamma, se posso torno……..”

 

 

Dove vanno a finire i palloncini ?

Il mondo del bambino ci interroga

 

Fra le braccia di una madre ……………………

 

E’ forse da un senso di maternità  “profonda” che è scaturita l’impellenza di dedicare un Congresso al mondo dei bambini.

Tutti gli operatori di consultorio, qualunque sia il loro status anagrafico , single, coniugati, genitori, sacerdoti, consacrati, tutti i giorni, nella loro professione si devono confrontare coi  bambini.

Sono bambini:

  • oggetto di esasperanti contese dei loro genitori; 
  • trascurati a causa della immaturità della mamma e del papà più preoccupati a rincorrere lavoro, benessere , affermazione personale, preoccupata sessualità che non a cercare un equilibrio ed autonomia  personali e di coppia tali da poter inserire anche i loro figli come persone che hanno dei diritti, che hanno una dignità : che valgono più delle cose;
  •  che guardano ai loro genitori con l’inconscia speranza di trovare in loro  un’identità di genere, un modello di vita , un sicuro riferimento affettivo con quel minimo di attenzione ed interesse personale che permetta loro di guardare a se stessi con affetto e simpatia per potersi costruire un futuro sereno, efficace ed autonomo; 
  • costretti a vivere in contesti familiari “complicati” impropriamente detti “allargati” dove fingere accoglienza e simpatia al fidanzato della mamma o al fratellino nato dalla nuova compagna del papà;
  •  con genitori fragili, insicuri e confusi che cercano di dare ai loro figli, anche con tanta fatica, tutte le “cose” che possono perché oppressi da sensi di colpa che scaturiscono dalla sensazione inconscia di non essere in grado di dare loro serenità, fiducia e speranza perché loro stessi non stanno bene; 
  • cui i genitori hanno , oppressi da troppe ansie e difficoltà,   precluso il diritto di nascere perché al momento sembrava loro più facile abortire (d’altronde lo permette anche la legge…….) per una serie di ragioni che cercano di darsi, compresa quella più disperante che si appella alla miglior scelta per il nascituro stesso.

 

Purtroppo è sempre solo la donna a doversi caricare nella mente, nel cuore e nella pancia questi pensieri.

I padri difficilmente ci sono, quasi mai condividono nell’ottica di costituire un supporto positivo, quelli che si credono più evoluti affermano “devi sentirti libera, è una scelta tua!”

 

Noi operatori  di consultorio ritroviamo tutti questi bambini quando il rapporto di consulenza professionale diventa, come deve essere,  di fiducia ed affettivo : quando la persona nel suo spiegarsi e raccontarsi diventa capace di lasciare uscire “il bambino” che è in lei.

Quante volte in drammatici racconti di dolorose storie familiari fatte di violenza, tradimenti, povertà materiali e morali la persona riesce ad esprimere anche la sofferenza e la ferita mai lenita di quel primo aborto ?

Accogliere a cuore aperto, condividere con le parole e con la gestualità conseguente, aiutare le persone a perdonarsi è il solo modo per l’operatore che crede nella vita di aiutare quel genitore-bambino .

Non possiamo chiamarci fuori, evitare di conoscere e capire  nascondendoci dietro una asettica professionalità quando “hic et  nunc” emergono questi contenuti che ci possono anche disturbare.

Spetta a noi operatori contenere il dolore, consapevoli che non siamo soli, che il gruppo di lavoro ci sostiene, che abbiamo l’enorme privilegio, attraverso la nostra professione , di testimoniare la misericordia e la tenerezza di Dio che è padre e madre.

Mi domando se sono riuscita, nel corso della mia vita di consulente familiare, ad aiutare le donne, che a me si affidavano  a scoprire la loro propensione al negativo, risanare con dolcezza i sensi di colpa, a trovare dentro di sé le potenzialità e la forza e anche la gioia di innamorarsi del “vivere” a partire dall’amore di sé .

Cari operatori come possiamo essere il meno inadeguati possibile a sanare le ferite di tutti i bambini che paradossalmente neppure vediamo, ma conosciamo dentro le storie dei loro genitori?

E’ evidente che, nonostante tutti i proclami sociologici e politici, le ferite inferte ai bambini, i diritti violati, di cui siamo consapevoli testimoni  hanno prodotto un diffuso pessimismo  e malessere sociale che non è estraneo neanche a noi.

E’ importante che continuiamo a tenerci in stretta comunicazione col bambino che è in noi.

Dobbiamo conoscerlo e amarlo perché tutti nel nostro piccolo abbiamo delle ferite.

Non dobbiamo avere paura di ascoltare e interagire col bambino che è in noi perché attraverso di lui entriamo in risonanza empatica col bambino che è e che è stato il nostro cliente.

E’ dal bambino che, anche se piange, può spuntare il sorriso, la voglia di vivere e anche la voglia di giocare.

E’ partendo dal  bambino che possiamo intraprendere il cammino di  consapevolezza ed autonomia verso la parte adulta e consapevole.

E’ attraverso il bambino che possiamo sdrammatizzare la nostra vita e quella delle persone che ci chiedono aiuto.

Cristian,

un ragazzo sveglio, che era in consultorio insieme alla sua mamma solo perché dalla mamma aveva bisogno uno passaggio in auto, mi ha detto “i miei genitori, da quando si sono separati  giocano a chi di loro due è il genitore più responsabile !”

Andrea,

tramite la mamma mi manda un biglietto “signora, per favore me la curi lei perché dice di stare bene , ma sono solo io che tutti i giorni sento le sue “paturnie” e le posso assicurare che ha ancora bisogno di  venire da lei!”

 

Don Paolo Liggeri  in “I fringuelli verdi”[1]:

“Ogni volta che nasce un bambino vuol dire che Dio non si è ancora stancato dell’umanità”.

 

………….ma…….. dove vanno a finire i palloncini?

 

Sulla quarta di copertina vediamo le migliaia di palloncini che volano nel sole di uno splendido tramonto di Roma [2] :

“Permesso, grazie, scusa” secondo il papa sono le parole da usare in famiglia.

Anche per noi operatori della famiglia possono essere parole chiave del nostro modo di lavorare.

Permesso e scusa :

perché dobbiamo accostarci a chi soffre non con l’atteggiamento di chi è senza problemi dall’altro lato della scrivania, ma con l’atteggiamento umile di chi chiede permesso e scusa prima di entrare nella intimità delle persone.

Grazie:

perché la confidenza e la fiducia che  adulti e bambini ci concedono affidandosi a noi sono un grande dono e costituiscono per noi una grande responsabilità

 

 Gabriela Moschioni, presidente U.C.I.P.E.M.



[1] Don Paolo Liggeri “avventura in un’avventura” edizioni Istituto La casa

[2] Pellegrinaggio delle famiglie. Roma 26 ottobre 2013

 

 

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