Cura della coppia tra desiderio e bisogno

CURA DELLA COPPIA TRA DESIDERIO E BISOGNO

 

Roma 1 Marzo 2014

 

 

AUTORE: FRANCESCO LANATA’  

 

 

Ogni persona che, per un qualsiasi motivo, si presenta in un ambulatorio medico, porta con sé un bagaglio personale che non può restare fuori dalla porta.

Ogni disturbo, ogni sintomo è collocato nel contesto della storia della persona.

Se il problema è poi quello della sterilità la storia si arricchisce di stati d’animo e di vissuti che possono mettere in difficoltà anche gli operatori più esperti.

 

È per questo motivo che questa relazione inizia con il racconto sintetico di alcune delle tante storie di donne afflitte da questo problema.

Ursula (tutti i nomi sono inventati) è una bella donna di 43 anni, sposata da 5 anni e da uno alla ricerca di un figlio che però non arriva. È una donna sicura di se, affermata sul lavoro, l’avanzamento della carriera è stato inarrestabile. Ad essa ha sacrificato tutto; pure quel figlio concepito 13 anni prima, non voluto e pertanto mai nato. Quando aveva deciso di fare ricorso alla IVG le avevano detto che non era nulla e che non ci sarebbero state conseguenze di alcun genere. Cosa a cui fermamente ha voluto credere. Era certa di essere perfettamente in salute. Era certa anche della salute del marito perché questi aveva già avuto un figlio da un precedente matrimonio. In ogni caso, era certa che i progressi biomedici sarebbero stati in grado di spazzare via e di risolvere qualsiasi problema.

Eva è una trentasettenne da sempre certa di non volere figli. Fin da ragazza aveva avuto rapporti sessuali spesso liberi senza che si fossero verificate gravidanze. Le dicevano che era fortunata, lei stessa si sentiva fortunata. Da quando convive con Roberto sente che qualcosa è cambiato. Ora vuole intensamente un figlio che però non arriva.

Maria è una ragazza di 25 anni che fin da piccola sognava di sposarsi e diventare semplicemente una mamma di tanti bambini. Bambini considerati doni come lei stessa si era sentita in seno alla sua famiglia di origine. È sposata con Andrea da un anno, da subito ha cercato inutilmente di averli.

Roberta ha 40 anni, non è sposata, non convive, non è neppure fidanzata. Tuttavia vuole un figlio ed è disposta a tutto per averlo.

Sono quattro storie, quattro vissuti diversi uno dall’altro, a queste se ne potrebbero aggiungere molte altre.

La sterilità che accomuna queste quattro coppie, dal punto di vista biologico, è sostanzialmente la conseguenza di patologie che vanno ad intercettare la catena degli eventi che conducono al concepimento.

Tuttavia la sterilità di coppia, senza prescindere dall’aspetto biologico è anche altro:

  • l’assenza del bambino immaginato,
  • l’impossibilità di dare vita e di allargare l’universo dei propri affetti,
  • la mancata testimonianza familiare e sociale della scelta d’amore di un uomo con una donna,
  • una ferita che colpisce l’identità individuale,
  • un lutto difficile da elaborare proprio perché non sussiste una perdita reale,
  • il sé proiettato nel futuro che viene meno.

La sterilità per la donna costituisce una delle esperienze più tristi e devastanti perché la donna, forse in modo più accentuato rispetto all’uomo, ha un forte istinto di procreazione.

La coppia avverte un senso di colpa e vergogna  per l’impossibilità di portare a compimento il proprio destino biologico; avverte un senso di incompiutezza che ha ripercussioni sulla vita affettiva, relazionale e lavorativa.

Tali sentimenti vengono inoltre accentuati quando, individuato il fattore di sterilità a carico di uno dei due membri, il “sano” accentua la ferita narcisistica e il senso di colpa dell’altro.

I sentimenti dolorosi si acuiscono ulteriormente nel momento in cui si verifica l’intromissione e il giudizio delle rispettive famiglie di origine.

Le storie delle donne che si presentano in ambulatorio, quasi sempre da sole, sono in genere accomunate da sentimenti, da stati d’animo anche tra loro contrastanti: solitudine, delusione, inquietudine, rabbia, angoscia, rammarico, perdita di autostima, ma anche fiducia, speranza, bisogno di comprensione e di affetto.

Hanno età diverse ma sempre più avanzate, il che comporta ridotte disponibilità di tempi per intervenire che a loro volta condizionano l’approccio clinico.

Quando una coppia è alla ricerca di un figlio, questo può essere sentito come un dono da accogliere o come semplice strumento di realizzazione di sé. Le motivazioni possono oscillare tra desiderio e bisogno; è molto difficile stabilire i confini tra questi due fattori motivanti; essi sono mutevoli, sfumati, spesso si fondono, si intersecano; raramente sono ben distinti.

Dietro ci sono storie e vissuti diversi. È necessario pertanto che l’atto medico sia personalizzato e venga integrato da una relazione di aiuto non giudicante, ma in grado di dare il giusto sostegno alla coppia durante tutto il percorso che questa deve compiere.

La mentalità corrente nutre una cieca fiducia nei confronti della medicina moderna; essa è talmente tecnologizzata da essere considerata quasi miracolistica; in quanto tale, si pensa che debba essere in grado e in dovere di soddisfare qualsiasi desiderio, alimentando sentimenti di onnipotenza. Tuttavia non è scontato che ogni desiderio sia legittimo ed esaudibile come non è scontato che la cura di un determinato fattore di sterilità o una procedura di fecondazione assistita abbiano un esito positivo. Le percentuali di successo delle tecniche di fecondazione assistita, considerata anche l’età alla quale la coppia si pone il problema, non superano 16%; pertanto la fecondazione assistita non possono essere considerate la panacea della sterilità.

Per questo motivo è necessario operare anche affinché la coppia sia in grado di elaborare il lutto derivante dall’eventuale fallimento e dalla necessità di rinunciare alla genitorialità biologica. Questo si può ottenere valorizzando le risorse individuali, le risorse relazionali all’interno della coppia stessa, la capacità di investire in attività sociali e lavorative, in opere artistiche e in iniziative culturali, dove può essere espressa una fecondità creativa.

È insomma necessario favorire una profonda riflessione che dia un senso all’esperienza del limite che, una volta accettato, diventi occasione di crescita umana e spirituale.

Anche l’adozione, quando realizzata in modo consapevole, dopo un’adeguata fase di elaborazione della perdita della genitorialità biologica, può consentire la piena e responsabile realizzazione della maternità e della paternità, offrendo ad un bambino la famiglia a cui ha diritto.

Un approccio di questo tipo è molto importante in quanto, se la coppia non riesce a spostare l’investimento libidico materno e paterno su aspetti sostitutivi, è possibile che si verifichino le seguenti situazioni:

–          il figlio deve essere ottenuto ad ogni costo, con le conseguenti peregrinazioni lecite e illecite,

–          la rinuncia al figlio comporta l’insorgenza di disturbi nevrotici o malattie psicosomatiche,

–          la coppia arriva anche alla rottura perché la donna “sana” non riesce ad mantenere la relazione con l’uomo “malato” o viceversa.

Spesso il dramma che la coppia vive a causa della sterilità non viene compreso e dunque non viene affrontato con il giusto grado di approfondimento. Anche se gli operatori possiedono le conoscenze scientifiche necessarie per affrontare questo importante problema, non è scontato che queste vengano applicate per eliminare le cause della sterilità. Spesso, per svariati motivi, più o meno giustificabili, alla coppia viene proposto, già in prima istanza, l’inserimento in un programma di fecondazione assistita.

È solo dall’ascolto e dalla capacità empatica di prendersi cura della coppia che nascono le più appropriate strategie diagnostiche e terapeutiche, strategie da proporre e condividere con la coppia contemporaneamente al suo accompagnamento lungo un cammino di cui è difficile prevedere l’esito.

 

Se c’è un terreno dove è indispensabile dare spazio alla “narrazione” e quindi all’ascolto è proprio quello della riproduzione e della sessualità.

Bisogna dar voce alle esigenze più profonde della coppia, dare possibilità di espressione e chiarificazione a domande che spesso rimangono inespresse, dare spazio e tempo per il pensiero e per la riflessione. La coppia ha bisogno di ricevere un ascolto attento prima di qualunque proposta  di intervento diagnostico o terapeutico. La coppia ha bisogno di una diagnosi corretta, dove è indispensabile che i fattori di sterilità vengano presi in esame sia nella dimensione anatomo-fisiopatologica che in quella psicologico-relazionale. La coppia deve vedersi prospettare con chiarezza tutte le soluzioni percorribili e deve essere messa nelle condizioni di valutare serenamente per ciascuna scelta i rischi, i vantaggi e gli svantaggi, le conseguenze fisiche, psichiche e affettive e infine, ma non certo meno importanti, le implicazioni di natura bioetica su argomenti quali:

–          la selezione eugenetica degli embrioni a seguito di sfavorevole diagnosi preimpianto, 

–          il destino degli embrioni soprannumerari scartati,

–          le problematiche della paternità e della maternità causate dalla fecondazione eterologa.

Qualcuno a questo punto potrebbe obiettare che questi problemi non sussistono, in quanto la legge 40 sulla regolamentazione della fecondazione medicalmente assistita non consente nessuna delle situazioni sopracitate. In realtà questa legge è oggi in parte demolita da discutibili sentenze. Inoltre, un discreto numero di persone, dopo il primo approccio medico, si rivolge a compiacenti strutture sanitarie al di fuori del territorio nazionale.

Si comprende quindi come l’opera educativa della coppia debba iniziare sin dall’inizio del percorso e non in seconda istanza.

Il consenso informato, passaggio legalmente obbligato per ogni procedura medica, a questo punto va ben oltre la semplice spiegazione della diagnosi e delle possibilità terapeutiche a cui è necessario sottoporsi; va oltre la mera elencazione delle possibili complicanze conseguenti all’atto terapeutico; non è più un semplice strumento della medicina difensiva. Esso si compenetra nel processo comunicativo della relazione di aiuto; è parte integrante di essa in un rapporto medico-paziente che non è né di natura “paternalistica” né tantomeno di natura “contrattualistica”.  Esso si compenetra bensì in un rapporto in cui la ricerca della “umanizzazione della cura” raggiunge la sua massima espressione.

In questo arduo compito che richiede preparazione specifica e tempo, elemento di cui il medico spesso ha poca disponibilità, la gestione di ogni singolo caso deve essere affidata ad una équipe interdisciplinare di cui fanno parte medici nelle specialità di competenza e operatori consultoriali come psicoterapeuti, esperti di metodi naturali della regolazione della fertilità, consulenti familiari ed etici; nella convinzione che la ricerca delle “strategie risolutive”, pur se indispensabile, debba essere superata da un atto molto più alto e complesso che è quello del “prendesi cura” della persona. 

 

                                                                                                                           Francesco Lanatà

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