Vita umana, etica ed educazione

Vita umana, etica ed educazione

 

 

 

 

Autore: Roberto Rezzaghi

 

 

Che cos’è oggi la vita umana?

La risposta non è scontata. Si discute già sulla sua origine, cioè su quando possiamo dire di trovarci di fronte a una persona umana. Oltre a ciò, non solo il concepimento ma anche la gestazione e la nascita sono sempre più sostenute dell’intervento tecnico, fino al punto da far quasi pensare che in fondo la persona sia un prodotto artificiale dell’ingegno umano, più che un dono è un mistero. L’equivoco diventa addirittura imbarazzante di fronte alla veloce invasione della robotica nella vita quotidiana. Non si tratta semplicemente di avere a disposizione strumenti per la pulizia della casa, o soggetti artificiali che svolgono mansioni da colf o maggiordomo. Qualche esperto ha già previsto che in qualche Stato, nel giro di pochi decenni, sarà possibile sposarsi con un partner artificiale, studiato su misura in base alle proprie esigenze. Ciò – a loro dire – potrebbe frenare la crisi del matrimonio: quando il partner non soddisfa le proprie aspettative non è necessario divorziare… basta cambiare il software!

La difficoltà di percepire in modo socialmente sicuro la persona porta con sé, inevitabilmente, la fatica di definire e condividere anche la sua educazione. I vescovi italiani, provocati da Benedetto XVI sulla attuale emergenza educativa, hanno dedicato il decennio in corso al tema della educazione, e hanno scritto un documento dal titolo oltremodo significativo: “La vita buona del vangelo”. Il fatto è che, però, su ciò che rende buona la vita non sono tutti d’accordo, ed è necessario misurarsi con almeno due sfide: il pluralismo multietnico e interculturale, e lo smarrimento della spiritualità.

In un contesto pluralistico e sempre più multietnico, nel quale si mescolano i sistemi di significato laici e le morali religiose, l’educazione diventa complicata. A seguito dei ben noti flussi migratori, il meticciato culturale, ormai, inonda in modo evidente la nostra scuola, a partire dai gradi inferiori. Bambini di famiglie che vengono da parti diverse del mondo portano con sé anche le credenze, i valori e modelli di comportamento diversi da quelli della nostra tradizione, ponendo il problema della convivenza nel reciproco rispetto.

L’impasto che si crea nelle aule è complesso, perché ai diversi saperi religiosi o laici, si mescolano anche gli affetti, le passioni, gli usi e costumi del vissuto familiare ed esistenziale che ogni alunno porta con sé insieme alla propria cultura. Pertanto, nell’affrontare il tema del pluralismo siamo costretti a considerare quello più ampio della intercultura, di cui fa parte anche la fede religiosa. La sfida da affrontare, pertanto, non potrà essere semplificata, identificandola con la convivenza civile tra appartenenti a religioni diverse, dando per scontato che a fare problema siano le fedi religiose in quanto tali, e non altri fattori quali il diverso modo di intendere la vita umana, la dignità della donna, dei bambini, ecc. Si tratterà invece di capire in quali forme concrete può vivere il pluralismo, e soprattutto quale contributo può dare in esso ogni fede alla crescita culturale e sociale della vita collettiva.

Va osservato però che queste religioni, che si stanno diffondendo, non sono sempre della stessa qualità educativa. Il pluralismo, che tende a metterle tutte sullo stesso piano, non è il frutto scontato di processi storici necessari, quanto piuttosto la conseguenza di una insidiosa mistificazione, di chi ha assunto il pluralismo come ideologia etica positiva. Così la fede più impegnativa e totalizzante, capace di motivare e sostenere progetti di vita a lungo termine, viene considerata alla stregua di quella che lo è meno, come la superstizione o la magia, e così anche i sistemi di significato che ogni religione media sul versante culturale e pedagogico vengono allineati al ribasso.

Lo smarrimento della spiritualità

Un secondo nodo da sciogliere, per il nostro problema, è lo smarrimento culturale della spiritualità. Ce lo ricordava Benedetto XVI nel suo primo viaggio da papa in Germania, cuore pulsante mitteleuropeo. Il Papa a Regensburg ha denunciato con forza la debolezza della nostra cultura, perché vuole prescindere da Dio, ma proprio per questo diventa incapace di entrare in dialogo con altre culture, soprattutto con quella islamica. Nel suo famoso discorso tenuto all’università, il 12 settembre 2006, ha affermato: “Nel mondo occidentale domina largamente l’opinione che soltanto la ragione positivista e le forme di filosofia da essa derivanti siano universali. Ma le culture profondamente religiose del mondo vedono proprio in questa esclusione del divino dall’universalità della ragione un attacco alle loro convinzioni più intime. Una ragione, che di fronte al divino è sorda e respinge la religione nell’ambito delle sottoculture, è incapace di inserirsi nel dialogo delle culture”.

Il mondo occidentale contemporaneo, dunque, certamente ricco di conquiste positive per la qualità della vita materiale, è da tempo segnato e travagliato da una crisi complessa, che deriva dalla perdita progressiva delle sue radici spirituali. Ciò porta l’uomo a un ripiegamento autoreferenziale che inevitabilmente produce soggettivismo e alla fine contribuisce ad alimentare il relativismo.

Parte integrante e coerente di questa vita senza trascendenza sono i modelli di comportamento radicati nella volubilità delle emozioni. Mancando sistemi di significato forti, totalizzanti, capaci di dar senso al futuro dell’uomo, anche alla sua morte; mancando di conseguenza prospettive di speranza a campo lungo, si indebolisce il senso di responsabilità. Ci si impegna a breve, e si vive quasi “a tempo determinato”.

Così le scelte importanti della vita non sono intese come definitive, ma radicate nell’emozione del momento, negli affetti passeggeri, nei sentimenti e nelle sensazioni che sbocciano e a breve sfioriscono. Le relazioni interpersonali, gestite in questo orizzonte, producono numerosi scarti umani da rottamare e riciclare: coppie e famiglie che si formano, si disfano, si ricompongono con compagni diversi, inseguendo la volubilità dei sentimenti e delle emozioni, per molti unici ideali capaci di dare qualche senso al vivere.

Ciò corrode anche il pensiero pedagogico cristiano.

Se neppure all’interno della Chiesa, tra pedagogisti credenti, che dunque dovrebbero avere dei riferimenti fondamentali condivisi, è facile coltivare una proposta educativa comune, non c’è da stupirsi se nel più ampio scenario socio-culturale – come dimostra la crisi profonda delle istituzioni scolastiche – l’educazione diventi debole, per non dire a volte una chimera e una utopia.

 

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