UCIPEM Unione Consultori Italiani Prematrimoniali e Matrimoniali
Rettificazione di sesso negata in assenza di intervento di riassegnazione
Tribunale di Vercelli prima Sezione civile, sentenza n. 159, 12 dicembre 2014
Ai fini della rettifica anagrafica dell’attribuzione di sesso è necessaria una modificazione dei caratteri sessuali cd. primari dell’istante attraverso un intervento medico-chirurgico demolitivo e ricostruttivo degli organi genitali riproduttivi. Ciò (de jure condito ed in mancanza di una rimeditazione legislativa della questione volta ad uniformare la normativa interna a quella degli Stati europei) alla luce della presumibile intenzione del Legislatore, che, se avesse voluto fare propria la distinzione concettuale medico-anatomica tra caratteri sessuali primari e secondari, avrebbe potuto farlo espressamente, oltretutto chiarendo la modificazione di quali e di quanti caratteri sessuali secondari, e con quale grado di profondità, sarebbe stata sufficiente ad ottenere la rettificazione.
Così ha deciso il Tribunale di Vercelli respingendo la domanda di rettificazione dello stato civile proposta da un soggetto affetto da disturbo di identità di genere, sottopostosi alla terapia ormonale ma non ancora all’operazione finalizzata alla demolizione-ricostruzione degli organi sessuali riproduttivi. Osserva il giudice che, in materia, trova applicazione l’art. 1 della legge 164/1982 che sancisce che “La rettificazione [di attribuzione di sesso] si fa in forza di sentenza del tribunale passata in giudicato che attribuisca ad una persona sesso diverso da quello enunciato nell’atto di nascita a seguito di intervenute modificazioni dei suoi caratteri sessuali”.
Inoltre, l’art. 31, comma 4, del D.Lgs. 150/2011, stabilisce che “quando risulta necessario un adeguamento dei caratteri sessuali da realizzare mediante trattamento medico-chirurgico, il tribunale lo autorizza con sentenza passata in giudicato”.
Tale quadro normativo ha rappresentato il terreno di confronto tra due opposte ricostruzioni interpretative: la prima, cui aderisce il giudice de quo, ritiene indispensabile, ai fini della rettifica anagrafica, la modificazione dei caratteri sessuali primari dell’istante attraverso intervento medico-chirurgico demolitivo e ricostruttivo.
La seconda, invece, valorizza il disposto dell’art. 31, comma 4, d.lgs. cit. argomentando che, se l’autorizzazione del Tribunale concerne solo i casi in cui il trattamento chirurgico sia necessario, occorre necessariamente considerare che vi sono casi in cui il predetto intervento, necessario, non lo sia: e tali casi coinciderebbero proprio con quelli relativi a persone affette da disturbo di identità di genere, che abbiano completato il percorso di modificazione dei caratteri sessuali secondari (ovvero, le residue molteplici caratteristiche anatomiche utili a ricondurre una persona ad un genere, quali ad es. il seno, la barba, il timbro della voce, il cd. pomo d’Adamo, gli zigomi, etc.), ma che non intendano e/o non possano, per ragioni di benessere fisiopsichico, dare corso alla modificazione dei tratti sessuali primari, attraverso l’intervento demolitivo.
Ma, il novero dei caratteri sessuali secondari è particolarmente indefinito ed ampio, a fronte dell’unicità e chiara individuabilità dei caratteri sessuali primari: “vi è da chiedersi, pertanto, la modificazione di quali, e di quanti, caratteri sessuali secondari – e con quale grado di profondità ed irreversibilità – possa ritenersi astrattamente sufficiente (per i fautori della seconda tesi sopra riportata) a consentire la rettificazione delle risultanze dello stato civile”.
Il Tribunale ha dichiarato infondata anche la questione di legittimità costituzionale posta dall’attore, in quanto la scelta del Legislatore di subordinare la rettificazione del sesso alla previa rideterminazione chirurgica dei tratti sessuali primari non pare manifestamente irragionevole, ma, semmai, dettata da esigenze di salvaguardia della certezza dei rapporti sociali.
Giuseppina Mattiello Altalex, 8 gennaio 2015. www.altalex.com/index.php?idnot=69879