Prof. Giorgio Rifelli

 

 

 

Carissimo Giorgio,

ancora una volta ci hai stupito ! non ce lo aspettavamo proprio, avevamo ancora tante cose da fare , il nuovo consultorio, il convegno del 2014 ……..

Non possiamo neanche immaginare di non poter piu’ vedere la Tua grande figura, la tua barba, figurati che ci manca anche la tua pipa !

VederTi isieme alla Tua carissima moglie al Congresso di Pesara, umilmente affettuoso con Lei , il grande uomo e il grandissimo  sessuologo ci insegnava ironicamente i grandi valori della vita.

So che ci stai sorridendo e stai facendo una battuta …..non riesco a sentirla…., ma so che ci sei, non Ti dico che mi mancherai perchè sono certa che tu ci sei e sarai sempre con noi.

I Tuoi amici del Direttivo sono molto tristi , consolali a aiutali e mettersi della Tua nuova dimensione di gioia e di speranza.

Con grande affetto ed un bacio , questa volta non alzandomi sulla punta dei piedi per raggiungere la Tua altezza, ma chiedendoTi di abbassarTi fino a noi che siamo ancora qui ……….

a presto

gabriela

presidente U.C.I.P.E.M.

 

 

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Quando sono scosse le fondamenta, il giusto che cosa può fare?

Mi ha sempre colpito questa frase del salmo 11 che abbiamo proclamato poco fa perché mi ha sempre fatto pensare ad una situazione di precarietà indotta, non preventivata, una sorta di terremoto interiore che entra nel cuore senza preavviso (come se un terremoto dovesse annunciarsi) e senza chiedere il permesso (trovandoci pertanto impreparati e lasciandoci attoniti). Quando la separazione si impone nella nostra vita con i tratti della violenza imposta e della lacerazione difficilmente ricomponibile, se non sui tempi lunghi, siamo come costretti ad entrare in contatto con la dimensione della fragilità e forse anche dell’impotenza.

Tutte le volte che sento questa espressione durante la liturgia mi viene da pensare alla perdita di una figura importante, di un punto di riferimento, di un padre, come Giorgio è stato per tutti noi, a diverso titolo certo ma comunque in modo incisivo e significativo. La morte di Giorgio rappresenta uno scossone importante per tutti noi, non solo per le circostanze in cui è avvenuta ma anche e soprattutto perché Giorgio esercitava in modo naturale e gentile un’autorevolezza che era di aiuto e di incoraggiamento. Comunque si sapeva che lui c’era, nella libertà e nell’assunzione di responsabilità che ognuno di noi esercitava nell’interpretare il proprio ruolo e nel svolgere il proprio lavoro aiutava il sapere che lui c’era, senza imporsi ma con una sapienza e un’esperienza che incoraggiavano ad essere creativi e originali.

Una separazione ha però paradossalmente in sé il dono di portarci a rivisitare quanto abbiamo ricevuto con una certa gratitudine che ci fa intuire che le cose non sono dovute, ma spesso sono il frutto della nostra bellezza e della nostra generosità. Quello che tutti noi abbiamo ricevuto da Giorgio dal punto di vista relazionale e culturale, professionale e pastorale difficilmente si può esprimere a parole e soprattutto si collega alla nostra capacità di metabolismo interiore delle relazioni, aspetto che conosce colore e calore differente a seconda di ciascuno di noi. I tempi di ricostruzione interiore, dopo che sono scosse le fondamenta, non sono infatti parametri standardizzabili, ciascuno possiede un proprio orologio personale che deve imparare a sincronizzare continuamente nella vita non solo a partire dagli eventi che programma e delibera più o meno consapevolmente ma anche da quelli che intervengono in modo fulminante e che talvolta ci lasciano come unico potere quello di decidere come elaborarli e come starci dentro.

Per salutare Giorgio mi affido alla Parola di Dio, una miniera inesauribile che vede nella vita e nell’esperienza di Gesù la realizzazione più semplice e più eloquente.

In questa chiesa Giorgio ascoltava la Parola la domenica e in essa trovava non solo uno strumento concettuale e simbolico importante dal punto di vista professionale ma vi intuiva al suo interno un percorso di vita di fronte al quale si sentiva sempre in un certo senso una matricola.

Nella prima lettura abbiamo ascoltato un passo del Cantico dei Cantici, il poema dei poemi del mondo antico in cui si canta l’amore, la passione, l’erotismo e il desiderio. Non è un caso che questo brano venga scelto da molte coppie nel giorno del loro matrimonio e mi sembra bello ricordare come un pezzo significativo della sua vita sia stato speso a servizio delle coppie e delle famiglie, dei singoli e delle persone che – spesso complicandosi la vita – desiderano però l’amore, quella dimensione senza la quale la vita non può dirsi tale. Il Cantico dei Cantici racconta la passione e il desiderio di un uomo e di una donna che si cercano perché intuiscono che in una progettualità condivisa possono dare spessore e forma storica al mistero dell’amore. Il libro tuttavia illustra anche a livello simbolico la passione e il desiderio di un Dio e di un’umanità che intuiscono che solo in una storia comune possono rendersi felici. È interessante notare come la forza dell’amore sia paragonata alla forza della morte (chissà quanti parallelismi tra eros e thanatos Giorgio ci ha visto nelle sue riflessioni in questo libro). Perché la storia insegna che purtroppo esiste qualcosa che è più forte della vita, e questa è la morte che sembra vincere e avere l’ultima parola, ma c’è qualcosa che è forte come la morte e che per questo la può sconfiggere, e questo è l’amore che è capace di riportare la vita là dove regna la morte. È possibile intravvedere in filigrana in questo testo la vicenda personale di Gesù che nella sua morte ha amato in modo così gratuito l’umanità da non rimanere prigioniero della tomba ma di risorgere il terzo giorno.

Nel Vangelo abbiamo invece avuto modo di entrare per un attimo nel cuore di Gesù, l’evangelista riesce a squarciare il velo del suo mistero personale e ci fa vedere come Gesù pregava. Già il fatto di vedere e di sapere che Gesù era un uomo di preghiera è qualcosa di interessante, di curioso, perché è nel più profondo della sua coscienza che la sua umanità e la sua divinità si sono progressivamente sincronizzate nell’arco della sua vita. La gratitudine e la gioia di Gesù si concentrano sulla dimensione della semplicità, che per noi occidentali e studiosi ha sempre un po’ a che fare anche con una certa semplificazione, o più semplicemente con l’integrazione dell’aspetto razionale con quello emotivo e volitivo. Quando si riesce a vivere in modo integrato i pesi diventano più leggeri, forse non tanto perché diminuiscono ma più probabilmente perché migliorano le nostre capacità di prendere la vita per come va presa. La preghiera, quando è autentica, in genere non cambia le cose e nemmeno Dio, cambia noi.

C’è un aspetto della vita di Giorgio che mi ha particolarmente colpito e che non dimenticherò mai. Una volta Giorgio mi chiese di fare una confessione generale della sua vita, non venne per parlare, per discutere, per programmare ma semplicemente voleva ripercorrere tutta la sua vita e metterla di fronte a Dio con umiltà e fede. Dopo la confessione si commosse e mi abbracciò per ringraziarmi, sentivo in quel momento (succede spesso nella vita di un prete) di essere una persona fortunata, mi aveva regalato la sua umanità e la sua semplicità. Questo aspetto di semplicità è una caratteristica di Giorgio che credo ci lasci in eredità. Forse per questo ha saputo prendere la vita con leggerezza, con umiltà, con libertà e last but not least con un certo senso dell’ironia e dell’autoironia, aspetti che possono certamente aiutare a vivere una vita integrata e quindi sapersi e sentirsi fortunati, contenti di quello che si è e quello che si ha.

La sua partenza improvvisa lascia certamente un vuoto, ma i vuoti esistono per essere riempiti e qui si apre lo spazio per la nostra memoria grata certamente ma anche per la nostra creatività e originalità, visto che Giorgio sarebbe realmente contento se i discepoli superassero il maestro. Tante sono le attività, le iniziative, le idee che fino all’altro ieri Giorgio portava avanti, ci eravamo anche promessi di fare un viaggio a Lourdes in tempi brevi ma avevamo rimandato la programmazione in inverno… Tuttavia ora sarebbe inopportuno continuare tutte le cose semplicemente per non disperdere un patrimonio, questo è il tempo per permetterci di sentire lo strappo del distacco e, per chi vive in un orizzonte di fede, per ri-pensare cosa significa e cosa comporta la morte e la resurrezione di Gesù nella storia dell’umanità.

Una parola infine credo sia importante per i familiari di Giorgio, Annamaria, Gabriella, Marco e Claudio, e con loro tutti i loro parenti e i loro cari. A volte con le parole e a volte senza vorremmo esprimere loro la nostra vicinanza e la nostra amicizia. Il paradosso di situazioni come queste è che porta in superficie una delle nostre migliori attitudini, la solidarietà, che vorrei esprimere con il vocabolario che meglio conosco, quello della Bibbia. Per far fronte a certe situazioni che vorremmo evitare e che non abbiamo cercato diventiamo capaci, come dice il Vangelo, di portare i pesi gli uni degli altri, di piangere con chi piange… perché tutto il corpo soffre se un membro soffre.

E allora, caro Giorgio, so che prima o poi tornerò a Lourdes, non so ancora quando ma so che tornerò e quando ci andrò ti porterò con me, o molto più probabilmente ti troverò già lì ad aspettarmi.

p. Luca Zottoli scj

 

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