UCIPEM Unione Consultori Italiani Prematrimoniali e Matrimoniali
newsUCIPEM n. 962 – 14 maggio 2023
UNIONE CONSULTORI ITALIANI PREMATRIMONIALI E MATRIMONIALI
“Notiziario Ucipem” unica rivista – registrata Tribunale Milano n. 116 del 25.2.1984 Supplemento online.
Direttore responsabile Maria Chiara Duranti. Direttore editoriale Giancarlo Marcone
- notizie in breve per consulenti familiari, assistenti sociali, medici, legali, consulenti etici ed altri operatori, responsabili dell’Associazione o dell’Ente gestore con note della redazione {Ndr}.
- pubblica. La responsabilità delle opinioni riportate è dei singoli autori, il cui nominativo è riportato in calce ad ogni testo.
Carta dell’U.C.I.P.E.M.
Approvata dall’Assemblea dei Soci il 20 ottobre 1979. Promulgata dal Consiglio direttivo il 14 dicembre 1979. Estratto
1. Fondamenti antropologici
1.1 L’UCIPEM assume come fondamento e fine del proprio servizio consultoriale la persona umana e la considera, in accordo con la visione evangelica, nella sua unità e nella dinamica delle sue relazioni sociali, familiari e di coppia
1.2 L’UCIPEM si riferisce alla persona nella sua capacità di amare, ne valorizza la sessualità come dimensione esistenziale di crescita individuale e relazionale, ne potenzia la socialità nelle sue diverse espressioni, ne rispetta le scelte, riconoscendo il primato della coscienza, e favorendone lo sviluppo nella libertà e nella responsabilità morale.
1.3 L’UCIPEM riconosce che la persona umana è tale fin dal concepimento.
Contributi anche per essere in sintonia con la visione evangelica
O2 BIBBIA I legami, cantiere che va riaperto
03 BULLISMO Come agire in caso di bullismo
05 Centro Internaz. Studi Famiglia Newsletter CISF – n. 18, 10 maggio 2023
07CITTÀ DEL VATICANO Il cardinale Sean O’Malley: cresce il lavoro per una cultura della prevenzione
13 Papa Francesco promulga una nuova legge Fondamentale dello Stato vaticano
14COGNOME E NOME Se sei nato prima del giugno 2022… resti a metà
16 CONFRONTI L’unione tra uomo e donna regola il rapporto tra le generazioni: è il solo matrimonio.
17 DALLA NAVATA VI Domenica di Pasqua – Anno A
18COMMENTO Commento della biblista
19 DIVORZIO Si chiede congiuntamente separazione e divorzio consensuale con la nuova disciplina
19 ECUMENISMO Piemonte e Valle d’Aosta, formalmente costituito il Consiglio delle Chiese cristiane
19 FAMIGLIE MONOPARENTALI Quanto incide la povertà nelle famiglie monogenitoriali #conibambini
22 NATALITÀ Stati Generali della Natalità 2023
22 Le dichiarazioni della Ministra Eugenia Roccella
22 Francesco: «La sfida della natalità è questione di speranza»
23 RIFLESSIONI Una fede di lotta
26 SINODO SULLA SINODALITÀ Convertirsi alla sinodalità. Sfida per clero e laicato
27 TEOLOGIA Teologia e diritto canonico
BIBBIA
I legami, cantiere che va riaperto
Leggere la Bibbia all’interno di un festival a lei dedicato è un atto politico: significa liberare la Parola da quei recinti che, nel tentativo di custodirla, rischiano di sequestrarla sottraendola alla relazione con la gente comune a cui indirizzata. Per troppo tempo la Bibbia è stata ritenuta materia per gli addetti ai lavori, per i professionisti del sacro, teologi e biblisti.
La prima relazione da ristabilire è proprio quella con il Libro; e il Festival Biblico, nel corso degli anni, ha avuto un ruolo importante in questa direzione. Ci ha ricordato non soltanto che «non è bene che l’essere umano sia solo», ma che anche la Bibbia non va lasciata da sola. Essa è fatta per entrare in relazione con le persone comuni, anche con coloro che non si identificano in un particolare credo religioso. La Bibbia è patrimonio di tutti, anche di chi non crede. Come recita un fulminante aforisma di Elias Canetti, (α1905-ω1994) «anche se non la leggi, tu sei nella Bibbia». Le Scritture, infatti, parlano di noi, della nostra umanità, delle nostre fatiche relazionali, come di ciò che costituisce il centro della vita buona sognata da Dio e desiderata da chi anela alla felicità. Il mondo biblico, con le storie di Adamo ed Eva, Caino e Abele, il diluvio o la torre di Babele, non narra soltanto di coloro che ci hanno preceduto nella fede, ma parla delle nostre stesse esistenze. E così accade il prodigio; quando la leggiamo, la Bibbia ci permette di leggere la nostra storia, la travagliata vicenda della ricerca di umanità. Siamo consapevoli che negli ultimi decenni sono venute meno quelle grandi narrazioni che hanno orientato letture condivise della realtà. Si sono moltiplicate invece micro-narrazioni, dall’orizzonte sempre più ristretto, fino a trasformarsi in racconti veloci e individuali, più vicini alla cronaca che al respiro lungo della storia. Proprio in questo quadro frammentato del nostro tempo, ritornare ai grandi racconti fondativi della fede può aiutarci a ritrovare una bussola per provare a leggere il nostro presente.
Quest’anno, il Festival Biblico osa avvicinarci alla Bibbia attraverso il suo portale d’ingresso. Ci fa sostare nei primi undici capitoli della Genesi, che rappresentano la grande introduzione a tutte le Scritture. Per capire quanto verrà messo in scena nel mondo narrativo delle Scritture, in questa introduzione, lettrici e lettori ricevono una prima mappa di senso, le chiavi necessarie per aprire paesaggi che potrebbero altrimenti risultare enigmatici. La chiave primordiale, consegnata fin dalle prime battute, è che non c’è vita senza relazione. Il racconto prende avvio con un riferimento al principio “In principio…” Inizio ma anche fondamento, parola per porre le basi e sostenere l’esistenza.
Cosa è essenziale per la vita buona? La risposta biblica scaturisce dalla tensione tra i due racconti di creazione, che fanno da ouverture. II primo, un inno cosmico che celebra la vita voluta da Dio, dove ogni elemento ha il suo spazio. Ogni creatura trova il suo posto in relazione all’altra. La notte non esiste senza il giorno, come le acque senza la terra. Qui l’umanità viene introdotta all’apice del cantico divino e raccontata a somiglianza al suo Creatore. È creatura in relazione, maschio e femmina, e dunque plurale. A lei è affidato il governo dell’intero universo. La creatura umana non è fatta per essere soggiogata, sottomessa e umiliata. Rivestita di piena dignità, si specchia nel suo Creatore. Ma accanto a questo inno cosmico viene affiancato un altro racconto, un controcanto che argina ogni possibile delirio di onnipotenza nell’umano. Qui l’umanità non è creata all’apice del processo, ma all’inizio, prima che la terra prenda forma. Non esiste ancora il mondo con gli animali e le piante; e Dio già si preoccupa di chi ne avrà cura. L’ essere umano viene creato per lavorare e custodire la terra. E affinché sia sentito il legame profondo alla cura del creato, esso è tratto dalla terra a lui affidata, fatto della stessa sostanza della madre da cui prende vita. II legame tra il terrestre e la terra è così forte da segnarne il nome, ovvero l’identità: Adam, il terrestre, tratto dalla terra adamà. La crisi dei legami non è novità del nostro tempo. Anche la Bibbia ne parla e la interroga. Quando la creatura umana rompe il legame con la terra, quando, invece di prendersene cura, la sfrutta e la sporca di sangue, vengono meno le condizioni per la vita buona. La terra diventa un deserto, un campo di battaglia, impossibilitato, per l’incuria umana, a ritornare giardino. Il rapporto con la terra riguarda, più in generale, quello con ogni altro terreno dell’esistenza: la relazione affettiva nella coppia, quella con il fratello, il prossimo e, persino, quella con Dio. L’umano può conoscere la vita buona solo quando non si sottrae alla relazione e si dispone, come un contadino, a lavorare e curare i diversi terreni dell’esistenza.
Quanto papa Francesco ci ha ricordato, con la sua enciclica ‹Laudato si’›,
www.vatican.va/content/francesco/it/encyclicals/documents/papa-francesco_20150524_enciclica-laudato-si.html
ovvero che ogni cosa è in relazione, ce lo racconta, fin dalle prime battute, la Bibbia. Il male ha il volto dell’autosufficienza, dell’incuria nelle relazioni: «Non è bene che l’essere umano sia solo!». Ritornare a riaprire il cantiere dei legami è l’indicazione biblica decisiva per imparare a diventare umani. II Festival Biblico, portando questo mondo narrativo lungo le piazze e le strade, torna a farci udire la sapienza di questa voce che custodisce la passione divina per una vita buona. E scommette che proprio per questo nostro tempo valga la pena ascoltarla.
Lidia Maggi α1983 “Avvenire” 4 maggio 2023
www.alzogliocchiversoilcielo.com/2023/05/lidia-maggi-riannodare-le-relazioni-con.html
www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202305/230513maggi.pdf
BULLISMO
Come agire in caso di bullismo
Cosa fare se tuo figlio è vittima di una condotta persecutoria a scuola o in altri luoghi: a chi rivolgersi e come ottenere tutela anche senza sporgere denuncia. Hai un figlio che frequenta la scuola media: da un po’ di tempo hai notato che è nervoso, taciturno e triste. Come madre sei preoccupata, perché il tuo bambino ha sempre avuto un carattere allegro ed estroverso. Se gli chiedi come sta andando a scuola, lui risponde sempre “tutto bene”. Dato che, con il passare dei giorni la situazione non migliora, hai deciso di parlare con i suoi insegnanti. Questi nel colloquio ammettono che ultimamente alcuni ragazzi, tra cui tuo figlio, sono diventati vittime di atti di bullismo da parte di alcuni compagni prepotenti.
La notizia ti allarma molto: vuoi fare subito qualcosa per far cessare questi comportamenti e prevenire danni ulteriori. Come agire in caso di bullismo? Come tutelare a livello psicologico e legale i bambini ed i ragazzi che ne sono vittime? È possibile chiedere un risarcimento dei danni? Se stai vivendo una situazione del genere, allora prenditi qualche minuto di tempo e prosegui nella lettura. Ti spiegheremo tutto ciò che occorre fare.
Quando si parla di bullismo si fa riferimento ad una ripetizione di comportamenti aggressivi, fisici e psicologici, che il cosiddetto “bullo” mette in atto nei confronti di una persona che non è in grado di difendersi. Sono considerati atti di bullismo gli insulti, le offese, i piccoli furti, le percosse, le minacce, ecc. Spesso, però, tali episodi vengono confusi con una normale lite tra coetanei, mentre in realtà non si tratta di fatti innocui: possono lasciare conseguenze gravi, a livello psicologico e, talvolta, anche fisico.
Le caratteristiche che permettono di riconoscere il bullismo sono:
- l’intenzionalità del comportamento aggressivo;
- la sistematicità delle azioni persecutorie (non basta, infatti, un singolo e isolato episodio perché vi sia bullismo);
- il potere del persecutore, cioè del bullo, che agisce con prepotenza e talvolta infierisce sulla vittima con crudeltà;
- la vulnerabilità della vittima, spesso considerata, per varie ragioni un bersaglio facile: può trattarsi dell’età, del sesso, di una caratteristica fisica, di un comportamento, del linguaggio, di un difetto fisico e di molti altri motivi.
Tipologie di bullismo. Il bullismo si concretizza tra soggetti che appartengono allo stesso contesto sociale: ad esempio può verificarsi tra compagni di scuola o di gruppo sportivo o di semplice vicinato. È possibile cogliere i segnali allarmanti già dall’età dell’infanzia, e nella scuola primaria, dove spesso si manifestano le prime forme di prepotenza.
Il fenomeno del bullismo si distingue in:
- diretto: consiste in aperti attacchi fisici e/o verbali nei confronti della vittima, che si ripetono con frequenza;
- indiretto: quando la vittima viene intenzionalmente isolata, emarginata ed esclusa dal gruppo di riferimento;
- cyberbullismo: quando la condotta viene praticata attraverso internet, i social network come TikTok, i telefoni cellulari con messaggi su WhatsApp ed altre chat.
Se vuoi conoscere le regole di comportamento da adottare in tutti questi casi, leggi l’articolo “Come difendersi dai bulli“. www.laleggepertutti.it/490098_come-difendersi-dai-bulli
Il bullismo è reato? Ancora oggi, purtroppo, non esiste uno specifico reato di bullismo, tuttavia la condotta persecutoria può dar luogo ad altri reati. Ti faccio subito due esempi per farti capire meglio.
- Caio pubblica sui social e nella chat di gruppo una foto di Tizio in costume da bagno e lo deride scrivendo il commento “guardate quanto è grasso il nostro compagno di scuola! Sembra un maiale!”.
- Caio e due suoi amici aspettano Tizio all’uscita di casa o dalla scuola. Appena lo avvistano, lo insultano e lo picchiano con schiaffi, pugni e calci.
Ebbene, come puoi notare nel primo esempio si configura il reato di diffamazione aggravata, nel secondo esempio sussiste il reato di percosse, e, se ne deriva una malattia, quello di lesioni personali. Trovi maggiori informazioni in “ www.laleggepertutti.it/525142_bullismo-responsabilita-e-conseguenze-penali
Come agire in caso di bullismo. Se tuo figlio è vittima di bullismo e tale condotta dà luogo a dei reati come ad esempio percosse o lesioni, diffamazione, minacce, molestie, stalking (atti persecutori), revenge porn (diffusione di immagini compromettenti) o vere e proprie violenze è possibile sporgere una denuncia-querela all’Autorità giudiziaria, direttamente presso la Procura della Repubblica o tramite le forze dell’ordine (Polizia e Carabinieri). In questo modo, si attiva un procedimento penale finalizzato ad accertare la responsabilità e ad ottenere la condanna del responsabile, e nel processo ci si potrà costituire parte civile per ottenere il risarcimento dei danni in caso di sua condanna. Tuttavia, si può procedere penalmente nei confronti del bullo solamente se questi ha già compiuto 14 anni: al di sotto di tale età il ragazzo non è imputabile. Non vi sono limiti di età, invece, per la vittima di bullismo, che può essere anche un bambino molto piccolo.
In alternativa, se non vuoi sporgere subito denuncia, puoi rivolgerti al questore della tua città per chiedere un ammonimento. In pratica, devi recarti in questura, raccontare il fatto per filo e per segno e chiedere di ammonire il responsabile della condotta. La richiesta di ammonimento può essere avanzata al questore direttamente dal minore se ha già compiuto i quattordici anni. Il questore, assunte le informazioni necessarie, convoca il minore (bullo) insieme ad almeno un genitore (o ad altra persona che esercita la responsabilità genitoriale) e lo ammonisce oralmente, invitandolo a tenere una condotta conforme alla legge con l’avvertenza che, in caso contrario, verrà intrapreso un procedimento penale nei suoi confronti. L’ammonimento del questore può essere invocato a condizione che:
- non sia già stata proposta querela o denuncia;
- i fatti siano commessi mediante l’uso di internet in qualsiasi forma, quindi anche attraverso i sistemi di messaggistica;
- i bulli siano minorenni di età compresa tra i quattordici e i diciotto anni (non ancora compiuti);
- le vittime siano minorenni (anche al di sotto dei quattordici anni);
- con la condotta sia stato commesso anche un reato.
Se, invece, tuo figlio è vittima di cyberbullismo (cioè il bullismo attuato attraverso strumenti informatici e telematici, come internet), puoi segnalare il caso al Garante privacy per far rimuovere dal web o dai social i contenuti offensivi.
Per il bullismo a scuola si può anche chiedere l’intervento del dirigente scolastico: la legge impone ad ogni istituto di nominare un referente che si occupi delle segnalazioni riguardanti il bullismo e il cyberbullismo, e il collegio dei docenti, con un’apposita riunione del consiglio di classe, può sospendere i bulli per un determinato periodo, in base a quanto previsto dallo Statuto degli studenti e dal Piano di offerta formativa.
Bullismo: si possono chiedere i danni? In sede civile, è possibile chiedere il risarcimento dei danni:
- personalmente al bullo, se maggiorenne;
- ai genitori del bullo, se il figlio è ancora minorenne;
- alla scuola frequentata dal bullo di età inferiore ai 18 anni.
Per ottenere il risarcimento, è necessario dimostrare il comportamento illecito da parte del bullo e che da tale condotta sia derivato un danno alla vittima. Per questo motivo, è utile un certificato medico (nel caso in cui, ad esempio, la vittima sia stata picchiata) e l’indicazione di eventuali testimoni che abbiano assistito ai fatti; nei casi più gravi e delicati è opportuno munirsi di una perizia medico-legale o psicologica.
I genitori del bullo, da parte loro, devono dimostrare di aver fatto tutto il possibile per evitare l’evento. La scuola, invece, deve provare di aver adottato ogni misura possibile per prevenire episodi di bullismo come, ad esempio, di aver sorvegliato gli studenti sia durante la loro permanenza a scuola che nelle ore di entrata e di uscita dall’istituto. Per maggiori informazioni leggi l’articolo “Responsabilità per il bullismo: genitori, insegnanti e scuola“. www.laleggepertutti.it/637380_responsabilita-per-il-bullismo-genitori-insegnanti-e-scuola
Angelo Greco, avvocato (α1958) “la legge per tutti” 28 aprile 2023
laleggepertutti.it/387885_come-agire-in-caso-di-bullismo
CISF – Centro Internazionale di Studi sulla Famiglia
Newsletter CISF – N. 18, 10 maggio 2023
§ Auguri ad Alicia e a tutte le mamme. Vi proponiamo la simpatica testimonianza di Alicia, una mamma di pancia e di cuore che ha una grande famiglia. All’inizio, per lei e il marito Josh, c’è stato un lungo periodo di infertilità. Poi, dopo nove anni di attesa, hanno adottato il primo figlio, Alex, che oggi ha 17 anni. In seguito è arrivata una figlia biologica, Zoey, e, a seguire, altre adozioni e nascite, fino a totalizzare 12 figli. I profili social di questa coppia americana che racconta la sua vita, i “Dougherty Dozen“, ha un seguito di milioni di follower e i loro video sono divenuti virali. Il segreto è la loro quotidianità, con tutte le fasi della gestione familiare per una famiglia numerosa [su YouTube la clip con la preparazione delle merende scolastiche].
In occasione del 14 maggio, Festa della mamma, auguri a tutte le mamme!
§ “Giovani, Natalità e Progetti di Vita” è il nuovo Quaderno CISF nato in collaborazione con Famiglia Cristiana in occasione degli Stati Generali della Natalità 2023, che si tengono a Roma l’11 e 12 maggio 2023.
www.statigeneralidellanatalita.it
Scaricabile gratuitamente a questo link www.sanpaolodigital.it/cisfstatigeneralinatalita23
e poi dalle homepage del CISF cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf
il quaderno raccoglie la serie di inchieste giornalistiche che il settimanale ha realizzato partendo dal tema del declino demografico (nel 2022 le nascite sono state meno di 400mila) per esplorare i sogni, i progetti, le fatiche, le speranze dei giovani davanti all’avventure della vita e del “fare famiglia”.
Con questo Quaderno, arricchito dei contributi conclusivi di Gianluigi De Palo, Presidente della Fondazione per la Natalità e Adriano Bordignon, presidente del Forum nazionale delle Associazioni Familiari, pensiamo di offrire un utile contributo al dibattito pubblico, per ricordare che dietro ai numeri, ci sono le storie delle persone concrete, da cui dipende non solo il PIL ma soprattutto il benessere presente e futuro del popolo che abita il sistema Italia.
§ “Famiglia e Digitale”, gli appuntamenti durante la “settimana della comunicazione“. Da segnare in agenda due importanti appuntamenti dedicati al Cisf Family Report e ai temi del digitale in famiglia, che si tengono nell’ambito degli eventi che le Paoline e i Paolini dedicano alla “Settimana della comunicazione”:
il 16 maggio (ore 18) il direttore Cisf Francesco Belletti sarà a Catania, dove si svolge il Festival della comunicazione [qui il programma] nell’ambito di un incontro dal titolo “La parola in famiglia al tempo del digitale” https://festivaldellacomunicazionect.it
in cui è prevista una relazione di mons. Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita
http://newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/attachments/locandinacatania.jpg
Giovedì 18 maggio, ad Alba alle 18.30, si terrà invece l’incontro “Famiglia digitale: sfide educative per genitori ed educatori”. www.centroculturalesanpaolo.org/parlare-col-cuore
- USA: 4 milioni di dollari per prevenire il suicidio giovanile. È la più grande sovvenzione federale mai concessa a una facoltà umanistica: si tratta del Transformative Research Award, andato a un gruppo di ricercatori psicologi, con capofila il Center for Children and Families dell’Università Notre Dame, per finanziare un progetto quinquennale che sta testando la stimolazione del nervo vago (con un metodo transcutaneo non invasivo) e la tecnologia degli smartphone per ridurre i comportamenti suicidari e il suicidio tra adolescenti altamente vulnerabili.
Negli ultimi vent’anni i tassi di suicidio negli USA sono aumentati di quasi il 35% (e la pandemia ha esacerbato i problemi). Sebbene queste tendenze riguardino quasi tutti i gruppi demografici, gli adolescenti sia nelle zone rurali che in quelle urbane sono particolarmente vulnerabili e più difficili da raggiungere attraverso le terapie tradizionali
- Donne vittime di violenza, nel 2021 quasi 12mila accessi in pronto soccorso. Nel 2021, sono state 11.771 le donne che hanno effettuato un accesso in Pronto Soccorso (PS) con indicazione di violenza. La fascia d’età in cui sono più colpite è quella 18-34 anni (seguite dalle donne adulte di 35-49 anni), con una percentuale più che doppia delle straniere rispetto alle italiane. Le donne ricoverate in ospedale in conseguenza della violenza sono state 1.121: i ricoveri sono caratterizzati dall’essere ripetuti e da dimissioni volontarie. L’esecutore della violenza, poco presente nei dati raccolti, è di “ambito familiare” nel 5,2% dei casi (padre, patrigno, compagno, marito, altri parenti). Sono i dati pubblicati in un report Istat/Ministero della Salute focalizzati sul quinquennio 2017/2021 [qui il testo integrale]
- FVG: 200 euro in più nella “dote famiglia”. In Friuli Venezia Giulia ogni nucleo familiare con minori, titolare di Carta famiglia, potrà ottenere 200 euro in più (una tantum) per far fronte alla crisi economica, senza necessità di rendicontare l’importo e in aggiunta all’assegno base riconosciuto nel pacchetto “Dote Famiglia”. È quanto ha stabilito una delibera con cui sono stati determinati gli importi degli assegni e le linee guida per il 2023 relativi alla misura regionale di sostegno. Lo stanziamento regionale per il 2023 è di 30 milioni per un totale nel triennio 2023-25 di circa 80 milioni di euro [qui per info]
www.regione.fvg.it/rafvg/cms/RAFVG/famiglia-casa/politiche-famiglia/news/2023_034.html
- Dalle case editrici
- R. Barzotti, R. Cetera, L’anima della scuola, San Paolo, Cinisello B., 2023, pp. 144.
- S. Dalvit, C. Antolini, Il parto positivo, Mondadori, Milano, 2022, pp. 33.
- Vanni Codeluppi, Mondo Digitale, Laterza, Roma-Bari 2022, pp. 114.
Come siamo arrivati fin qui? Quali sono le principali conseguenze sociali della rivoluzione digitale? Vanni Codeluppi, sociologo a cui si deve il termine “biocapitalismo”, passa al setaccio l’argomento della “rivoluzione digitale” e conduce il lettore attraverso un’analisi rigorosa, a tratti inquietante, del sistema economico-sociale dei giganti del Web, che oggi caratterizza le nostre vite, plasma le nostre scelte, ci mantiene in un’equivoca presunzione di libertà. (…) (B. Ve.)
§ Save the date
- Webinar (IT) – 15 e 22 maggio 2023 (17.30-19). “Le cure palliative nella demenza“, webinar gratuito per familiari e caregiver organizzato da Federazione Alzheimer Italia
us02web.zoom.us/webinar/register/5016813742707/WN__alf2novRHCbJURCqhbyfg#/registratio
- Convegno (Milano-WEB) – 15 maggio 2023 (17-18.30). “Donne, ricerca e leadership“, a cura di Asfor.
www.asfor.it/it/eventi/prossimi-eventi/5736-donne-ricerca-e-leadership
- Convegno (Roma-web) – 16 maggio 2023 (inizio ore 11). “Fare i conti con le crisi. famiglie a rischio socio-economico in Italia“, a cura di Acli, CAF Acli, IREF (in diretta sui social delle Acli Nazionali)
http://newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/attachments/locandinaacli.jpg
- Festival (Milano) – 26/28 maggio 2023. “XIII Weworld Festival. Conquistiamoci spazio“. Una tre giorni di idee, film, musica, racconti e visioni sui diritti delle donne, presso Base (via Bergognone 34).
www.weworld.it/partecipa/partecipa-a-un-evento/weworld-festival-xiii-2023
- Webinar (IT) – 27 maggio 2023 (9.30-12). “Adolescenti e violenza. Complessità del fenomeno e pratiche per l’intervento“, organizzato da Edizioni Erickson. www.erickson.it/it/adolescenti-e-violenza
- Evento (Torino) – 1/4 giugno 2023. “Ripensare la globalizzazione” Festival Internazionale di Economia ideato e organizzato da Editori Laterza con la direzione scientifica di Tito Boeri
Iscrizione http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/newsletter-cisf.aspx
Archivio http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/elenco-newsletter-cisf.as
CITTÀ DEL VATICANO
Il cardinale Sean O’Malley: cresce il lavoro per una cultura della prevenzione
Intervento integrale del cardinale presidente della Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori in apertura della plenaria lo scorso 4 maggio 2023
card. Sean Patrick O’Malley [α1944, se] arcivescovo di Boston
Cari colleghi, ci siamo riuniti per continuare il lavoro che abbiamo intrapreso nella nostra prima riunione lo scorso ottobre, poco dopo l’annuncio dei nuovi membri, che porta avanti quanto realizzato dalla Commissione dalla sua fondazione nel 2013. Anche oggi, come allora, iniziamo ricordando l’impatto del male degli abusi sessuali – e di ogni forma di abuso – su innumerevoli persone sia all’interno che all’esterno della nostra Chiesa.
Questo è il nostro peculiare e insostituibile obiettivo. Questa è sempre stata la nostra motivazione principale: accompagnare coloro le cui vite sono state profondamente danneggiate dagli abusi e lavorare diligentemente per portare avanti una cultura di prevenzione e cura, in modo che tali abusi non avvengano nella nostra Chiesa. Ci riuniamo nei nostri nuovi uffici, che ci sono stati assegnati dal Santo Padre, e di recente abbiamo ospitato un gruppo di sopravvissuti in cerca di giustizia per sé stessi anche allo scopo di informare su come la Chiesa dovrebbe proteggere tutti coloro che sono a rischio sotto la sua custodia.
1. Storia e contesto della PCTM. Permettetemi di iniziare offrendo una brevissima nota storica della Pontificia Commissione. Nel 2013, durante le prime riunioni del C9, una delle prime raccomandazioni importanti del gruppo è stata l’istituzione di un organismo che consigliasse il Santo Padre su come affrontare i problemi emergenti legati agli abusi sessuali sui minori nella Chiesa. Il Santo Padre ha istituito la Commissione nel 2013 e da allora ci riuniamo due volte l’anno. A settembre del 2022 è stata istituita una terza Commissione composta da 20 membri, 10 uomini e 10 donne, 10 nuovi membri e 10 ex membri.
Nel corso della vita della Commissione, abbiamo sempre avuto un gruppo molto impegnato di persone, soprattutto laiche, che si sono sentite libere di esprimere le loro posizioni molto ferme sull’argomento, oltre a impegnarsi per il benessere dei bambini, alcuni dei quali sopravvissuti ad abusi sessuali. Organizzati in modi diversi – prima in 17 sottogruppi nella prima Commissione e poi in 3 gruppi di lavoro nella seconda Commissione – i membri si sono impegnati a prevenire gli abusi nella Chiesa e ad accompagnare le vittime in vari modi.
Dopo 10 anni e con il senno di poi, posso dire che abbiamo identificato quelle che potrebbero essere considerate due difficoltà fondamentali nella struttura con cui la Commissione ha lottato, sia a causa delle aspettative riposte su di essa dalla Santa Sede che dai membri stessi.
- In primo luogo, è stato dato loro un mandato molto vago “per consigliare il Santo Padre” su come trovare una via d’uscita da questa crisi.
- In secondo luogo, a molti è sembrato che fosse stato affidato loro, forse senza che ne fossero consapevoli, un compito quasi impossibile: risolvere tutti i problemi legati agli abusi sessuali nella Chiesa.
Questi due difetti non hanno aiutato a cercare di risolvere un problema nella Chiesa che provoca passioni giustificate e persino indignazione, da tutte le parti. In breve, non dovrebbe sorprendere nessuno che la Commissione sia un’entità singolare nella Chiesa e che sia stata un parafulmine per così tanti. E come ho detto prima, la Commissione è stata oggetto di intense critiche sia all’interno che all’esterno. Senza voler fare ulteriori riflessioni, credo sia giusto dire che non ci saremmo aspettati meno di tutto ciò.
2. Risultati e sfide 2013-2022. La Commissione è stata anche un luogo di importanti intuizioni e sviluppi. Come voce perenne delle vittime, la Commissione ha inaugurato un percorso irreversibile di cambiamento culturale nella gestione degli abusi sessuali da parte della Chiesa. Questo fatto non deve essere sottovalutato. Iniziative chiave hanno avuto origine dalla Commissione, come la riunione di febbraio 2019 di tutti i presidenti delle Conferenze episcopali, l’abolizione del segreto pontificio nei casi di abuso e centinaia di presentazioni e formazioni di leadership in tutta la Chiesa. Libri e seminari su come stabilire una cultura della guarigione nei diversi contesti ecclesiali o sui diritti delle vittime nei processi penali hanno diffuso i consigli della Commissione attraverso professionisti impegnati nel mondo della Chiesa.
“Vos Estis Lux Mundi”
www.vatican.va/content/francesco/it/motu_proprio/documents/20230325-motu-proprio-vos-estis-lux-mundi-aggiornato.html
ha trovato il suo primo precursore nel contributo della Commissione a “Come Una Madre Amorevole”.
www.vatican.va/content/francesco/it/motu_proprio/documents/papa-francesco-motu-proprio_20160604_come-una-madre-amorevole.html
Anche l’aggiornamento delle leggi dello Stato della Città del Vaticano è stato seguito con attenzione dal personale della Commissione. Tuttavia, più volte la Commissione è tornata sulla questione del suo mandato poco chiaro, della sua posizione all’interno della Curia e della sua autorità nel produrre cambiamenti all’interno della Chiesa. Nel 2021, con la proroga di un anno del mandato della Commissione, ho avviato un periodo di valutazione dei suoi punti di forza e di debolezza, in vista del nuovo inizio offerto dalla Costituzione apostolica “Prædicate Evangelium”. https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2022/03/19/0189/00404.html
È stato un momento opportuno per correggere alcuni dei difetti di progettazione precedenti e rispondere ad alcune delle frustrazioni già diffuse, costruendo un piano più incisivo per il futuro.
I membri della Commissione e altri interlocutori principali hanno attraversato un periodo di revisione e dibattito su come avrebbe dovuto essere organizzata la futura Commissione. Dal giugno 2021 al giugno 2022, sono stati redatti e discussi da molte delle persone presenti in questa sala con gli ex membri della Commissione dei documenti informativi, e lentamente è emerso un senso più chiaro di ciò che era necessario. Pur mantenendo un ruolo generale di consulenza al Santo Padre, alla Commissione sono state riconosciute alcune chiare competenze di base che, se considerate nel loro insieme, offrono una convincente teoria del cambiamento.
3. La nuova Commissione 2022. Al centro del mandato dell’attuale Commissione, espresso all’articolo 78 di Prædicate Evangelium, vi è la responsabilità di assistere gli enti ecclesiastici nell’adozione e nell’adesione a politiche e procedure valide, note come Linee guida. Di competenza della Congregazione per la Dottrina della Fede dal 2011 e per breve tempo sotto gli auspici della Segreteria di Stato, il luogo e la funzione delle Linee guida sono stati assegnati pienamente alla Commissione e hanno costituito il nucleo della sua attività regolare negli ultimi 6 mesi.
Le linee guida nella Chiesa non sono un fenomeno nuovo e la Curia romana ha familiarità con la prassi di offrire una serie di principi fondamentali che devono essere incorporati nella vita della Chiesa particolare in modo culturalmente appropriato. Ad esempio, la Ratio Fundamentalis per la formazione dei sacerdoti sarebbe un esempio di tale quadro universale da applicare a ciascuna chiesa particolare.
Dal 2011, quasi tutte le Conferenze episcopali hanno sviluppato una serie di Linee guida. Nel dicembre dello scorso anno, il Dicastero per la Dottrina della Fede ha consegnato tutti gli archivi sulla storia dello sviluppo delle Linee guida che aveva accumulato dalla richiesta iniziale del 2011. Nello stesso mese ho inviato una lettera circolare a tutte le Conferenze episcopali chiedendo di aggiornare le Linee guida e finora abbiamo ricevuto quasi 40 Linee guida aggiornate.
- Un mandato più ampio
1. Linee guida: La Commissione sta sviluppando un quadro universale per le linee guida, che aggiorna quello emesso in virtù di una lettera circolare della CDF nel 2011. Discuteremo in questi giorni un quadro aggiornato di linee guida universali nella speranza di raggiungere un consenso su un quadro che potremo poi diffondere per commenti da parte di conferenze episcopali, conferenze dei religiosi, della Curia e anche di gruppi di vittime da maggio a settembre di quest’anno in uno spirito di sinodalità – prima di pubblicare un quadro aggiornato di linee guida alla fine di quest’anno. Sulla base di questo quadro aggiornato, potremo sviluppare e finalizzare uno strumento di verifica, richiesto anche dal Santo Padre nell’udienza dello scorso aprile, per accompagnare il quadro delle Linee guida e garantire l’adeguatezza delle politiche e delle procedure di tutela all’interno delle chiese particolari.
2. Sviluppo delle capacità: Il secondo pilastro del nostro mandato deriva dal primo e si ispira all’ammonimento del Signore di non porre pesi sulle spalle delle persone senza aiutarle a sollevarli! Nell’udienza alla Commissione dell’aprile 2022, il Santo Padre ci ha chiesto di prestare particolare attenzione nell’aiutare le aree della Chiesa con poche risorse ad attuare i requisiti dell’articolo 2 di “Vos Estis Lux Mundi”. Questo documento, ora aggiornato e reso permanente dal Santo Padre nel mese di marzo di quest’anno, richiede la presenza di “uffici o organismi” nelle chiese locali che possano ricevere le accuse di abuso e prendersi cura delle presunte vittime e delle loro famiglie. In breve, ci è stato chiesto non solo di valutare l’adeguatezza delle politiche e delle procedure nelle chiese locali, ma di aiutare a potenziare capacità laddove ci sono lacune dovute alla mancanza di competenze o di risorse. Stiamo chiamando questa iniziativa di sviluppo delle capacità “Programma Memorare“, in onore della preghiera alla Madre che afferma con sicurezza che chiunque si rivolga a Lei per chiedere assistenza non rimarrà senza aiuto. Abbiamo già individuato dei programmi sperimentali in Kenya, Ruanda e Bolivia.
3. Il Rapporto annuale: Stabilire politiche solide attraverso le Linee guida e potenziare la capacità di attuarle attraverso il “Programma Memorare” sono gli strumenti chiave per aiutare la Chiesa a migliorare in questo settore. Tuttavia, il rispetto delle buone prassi e la trasparenza del nostro lavoro sono elementi chiave di questa attività che troverà espressione nel Rapporto annuale richiesto alla Commissione dal Santo Padre. Il Rapporto annuale sulle politiche e le procedure di tutela saranno redatti dalla Commissione e presentato al Santo Padre. Si auspica che il Rapporto sia disponibile per la pubblicazione. Più che un semplice resoconto dell’attività della Commissione, il Rapporto dovrebbe essere un motore per migliorare le pratiche all’interno della Chiesa, dimostrando che il cambiamento è possibile e che gli sforzi della Chiesa stanno ottenendo i risultati desiderati. Naturalmente, è necessario identificare eventuali lacune o preoccupazioni ancora esistenti nelle misure di prevenzione e protezione della Chiesa, in modo da poter prendere le misure appropriate.
In sintesi, la Commissione concentrerà il suo mandato di consiglio per l’azione previsto dal “Prædicate Evangelium” principalmente attraverso il ruolo e la funzione delle linee guida in tutta la Chiesa. Dove ci sono lacune, il “Programma Memorare” aiuterà a costruire le capacità, soprattutto nel Sud del mondo, dove i bisogni rimangono notevoli. Infine, un Rapporto annuale fornirà trasparenza e responsabilità, mostrando i progressi compiuti e le sfide ancora aperte. Queste sono le tre gambe dello sgabello della tutela.
- Un aumento delle risorse
- Un piano e degli individui per realizzarlo sono solo una parte della storia della nuova Commissione. Per attuare questo piano, gli ultimi sei mesi hanno visto molte attività e molte novità nel lavoro della Commissione. Il primo grande cambiamento nella vita della Commissione riguarda la sua struttura. Anziché organizzarsi tematicamente in Gruppi di lavoro come in precedenza (assistenza alle vittime, istruzione, diritto canonico), i membri sono ora organizzati in quattro gruppi regionali con l’obiettivo di stabilire e mantenere i contatti con determinate chiese. Se i membri devono accompagnare e valutare le chiese locali nell’attuazione della tutela, ne consegue che devono provenire da quella regione ed essere consapevoli delle varie differenze culturali. Tale sviluppo è stato discusso durante il periodo di revisione. In quell’occasione è stata avanzata la proposta di istituire un gruppo consultivo delle parti interessate accanto alla Commissione. Questo gruppo consultivo avrebbe dovuto fornire un importante feedback alla Commissione per garantire che le delibere e le raccomandazioni non cadessero nel vuoto. Alcuni, tra cui il sottoscritto, hanno pensato che ciò potesse creare confusione e offuscare il ruolo centrale dei membri. Tuttavia, il principio di mantenere la vicinanza alle entità ecclesiastiche a livello locale è stato considerato vitale. Per garantire la concentrazione e il feedback, il lavoro ordinario dei Membri è stato organizzato in Gruppi regionali, che hanno operato negli ultimi sei mesi.
Per guidare questo incontro e dialogo tra la Commissione e la Chiesa locale, come previsto da “Prædicate Evangelium”, si ricorre al processo ad limina. Pur non essendo perfetto, il processo ad limina potrebbe essere un potente volano per migliorare le pratiche a livello di Chiesa locale. Subito dopo l’ultima Plenaria, la Commissione ha elaborato una bozza di questionario che si concentra specificamente sulle pratiche di prevenzione e tutela nella Chiesa locale e che accompagnerà il rapporto ad quinquennium che viene distribuito dai Dicasteri per i Vescovi, l’Evangelizzazione e le Chiese Orientali.
Le conferenze episcopali di Messico, Colombia e Papua Nuova Guinea hanno già risposto a queste domande, rendendo il processo ad limina molto più costruttivo. Inoltre, ho incontrato di recente il nuovo Prefetto del Dicastero per i Vescovi e ho condiviso le nostre speranze in un ruolo più incisivo nel processo ad limina. Abbiamo anche discusso la proposta di un Memorandum per lo scambio di informazioni, simile a quello firmato con il Dicastero per l’Evangelizzazione.
1. Personale: Naturalmente, una delle grandi lacune delle Commissioni precedenti è stata la mancanza di personale adeguato. L’anno scorso il nostro bilancio complessivo è stato di 350.000 dollari, uno dei più esigui della Curia. Il costo per 7 persone a tempo pieno e parziale ammonta a 200.000 dollari. Il resto viene speso per i viaggi, le riunioni e gli altri costi relativi alle due plenarie e ad altri eventi come i seminari e la pubblicazione di materiale sulla tutela. Secondo i numeri resi pubblici dalla Segreteria per l’Economia, credo che il Dicastero per la Dottrina della Fede, dove siamo collocati nella struttura curiale, abbia un budget di circa 2 milioni di dollari.
In mancanza di personale adeguato, i membri stessi della Commissione sono stati spesso chiamati a collaborare alla stesura dei documenti e all’organizzazione delle riunioni. Ciò, pur con buone intenzioni, ha portato a risultati disomogenei e imprevedibili, data la natura part-time dei membri e le loro diverse sedi.
L’anno scorso abbiamo ottenuto un piccolo aumento di budget dalla Segreteria per l’Economia per aggiungere una persona al nostro ufficio di Roma a tempo pieno. Tuttavia, seguendo la prassi in altre sedi della Curia, abbiamo chiesto il sostegno della Fondazione GHR, con sede in Minnesota (USA), il cui obiettivo è sostenere gli sforzi di riforma del Santo Padre nella Curia. La Fondazione dispone di un programma che mette a disposizione della Curia competenze specialistiche in materia di tutela. Ci hanno fornito 10 persone in più che lavoreranno nelle regioni locali e promuoveranno il nostro programma assistendo la Commissione. Questo programma durerà tre anni. I pagamenti per questo personale non passano attraverso il nostro ufficio, ma sono gestiti direttamente dalla Fondazione. Riteniamo che questo rifletta l’attenzione del Santo Padre verso la Chiesa particolare, mantenendo un orientamento non vaticano, e che sia forse un nuovo modello per una struttura burocratica più decentrata.
2. Spazio: Da molto tempo la Commissione ha bisogno di uno spazio per le riunioni, soprattutto in seguito all’ampliamento del suo ruolo nel processo ad limina. L’accoglienza delle vittime e dei sopravvissuti è stata una prassi della Commissione fin dall’inizio. Le poche e anguste residenze convertite che venivano utilizzate durante il Conclave ci davano la possibilità di essere vicini alla residenza del Santo Padre, ma non molto accessibili per il nostro pubblico principale. Pertanto, la sede attuale non è stata di grande utilità per il nostro lavoro principale. Dopo una lunga ricerca e l’intervento dello stesso Santo Padre, la Commissione si è assicurata uno spazio nell’ufficio del Vicariato di Roma, vicino al Pantheon. Con spazio per il personale e un’ampia sala riunioni per la visita ad limina, il nuovo spazio in via della Pigna ha anche una piccola cappella missionaria annessa, intitolata a San Giovanni, che possiamo utilizzare per ospitare gruppi in visita, come abbiamo già fatto. Infatti, in occasione della nostra messa inaugurale, abbiamo avuto il piacere di essere raggiunti da un gruppo di vittime/sopravvissuti provenienti dalla Slovenia, con i quali abbiamo trascorso del tempo anche qui nella nostra nuova sede.
La programmazione del nuovo Centro non è ancora stata completamente sviluppata, ma intendiamo invitare diversi sopravvissuti a fornire input e indicazioni sulle attività di questo nuovo spazio. Abbiamo anche ricevuto molti diari e altri oggetti simbolici (ricordi, opere d’arte, poesie) dai sopravvissuti che troveranno una sede più adeguata nei nuovi uffici. Molto resta ancora da decidere, ma siamo grati al Santo Padre e a quanti nella Diocesi di Roma ci hanno accolto e sostenuto.
3. Sostegno allo sviluppo delle capacità: Infine, per garantire risorse adeguate allo sviluppo delle capacità delle Chiese locali nella prevenzione, la Commissione ha iniziato a chiedere alle conferenze episcopali in Europa e in Nord America di prendere in considerazione la possibilità di contribuire a un fondo che aiuti a fornire competenze e materiali alla Chiesa nel Sud del mondo. Mi ha sorpreso sapere che negli Stati Uniti, l’anno scorso, la Chiesa ha speso 40 milioni di dollari solo per la formazione e la certificazione di tutto il suo personale ecclesiastico. Sono sicuro che anche in Canada e in Europa le cifre sono piuttosto alte. Scandalosamente, anche se non ho cifre precise, temo che i fondi spesi per la formazione e la certificazione del personale della Chiesa in Africa siano appena una percentuale di quella cifra. Come avete sentito in precedenza, il nostro programma di sviluppo delle capacità, chiamato provvisoriamente “Memorare”, è alla ricerca di contributi che saranno erogati alle conferenze episcopali sulla base di una valutazione molto dettagliata dei bisogni e di un chiaro piano di attuazione per rispondere a tali lacune. La Commissione inizia firmando un Memorandum d’intesa con la Conferenza episcopale locale e la Conferenza dei religiosi, per garantire un approccio unicamerale a qualsiasi piano venga sviluppato e presentato per il finanziamento. In seguito, vengono sbloccati i fondi per assumere un consulente locale di “Memorare” che studia la situazione locale alla luce dei criteri fondamentali della Commissione e svolge una diagnosi di ciò che deve essere fatto. Un piano viene sviluppato con la leadership della chiesa locale e poi presentato per il finanziamento. Il nostro primo protocollo di intesa sarà con la chiesa del Ruanda, che è uno dei nostri progetti pilota.
L’anno scorso siamo stati felici quando la Conferenza episcopale italiana ha stanziato 1,5 milioni di euro per questo fondo e la scorsa settimana la Conferenza episcopale spagnola ci ha informato che sta contribuendo con quasi un altro milione di euro. I fondi della Conferenza episcopale italiana sono conservati presso lo IOR, come richiesto dalle norme della Segreteria per l’Economia, e sono soggetti a un protocollo molto specifico sul loro utilizzo e sulla rendicontazione, che avete ricevuto all’inizio di quest’anno dopo essere stato esaminato e approvato dal Consiglio esecutivo (vedi allegato). I fondi provenienti dalla Spagna saranno trasferiti direttamente dalla Conferenza episcopale alla chiesa beneficiaria e non passeranno attraverso il Vaticano.
4. La PCTM all’interno della Curia romana
1. Dicastero per la Dottrina della Fede: Nella nuova Costituzione, la Commissione è stata collocata all’interno della Curia “presso” il Dicastero per la Dottrina della Fede. Questa decisione è stata oggetto di critiche da parte di osservatori che sostenevano che la Commissione sarebbe passata sotto il controllo del DDF, mettendo così a rischio la sua indipendenza e il suo ruolo di consigliere chiave del Santo Padre, svincolato dagli interessi istituzionali della Chiesa. Questo timore è stato messo da parte dalle frequenti indicazioni del Santo Padre, che ha garantito l’indipendenza della Commissione da qualsiasi controllo del DDF. Nel suo discorso alla Commissione nell’aprile 2022, il Santo Padre ha esortato la Commissione e il DDF a collaborare per creare una relazione di lavoro tra le nostre due entità.
C’è stata una collaborazione sul mandato delle nuove linee guida affidato alla Commissione, con il trasferimento da parte del DDF di tutti i suoi archivi a questo proposito, che sono in fase di attenta analisi da parte del nostro staff. Tuttavia, gli sforzi complessivi per definire questo rapporto sono stati lenti. L’anno scorso, la Commissione ha redatto un accordo di collaborazione e l’ha presentato al DDF in seguito alle parole incoraggianti del Santo Padre durante l’udienza che ci ha concesso: “La vostra stretta collaborazione con il Dicastero per la Dottrina della Fede e con altri Dicasteri dovrebbe arricchire il vostro lavoro ed esso, a sua volta, arricchire quello della Curia e delle Chiese locali. Come questo possa avvenire nel modo più efficace, lo lascio alla Commissione e al Dicastero, ai Dicasteri. Operando insieme, questi danno attuazione concreta al dovere della Chiesa di proteggere quanti si trovano nella sua responsabilità”. Questo protocollo d’intesa ricalca quello recentemente firmato con il Dicastero per l’Evangelizzazione.
Sebbene non sia stata ricevuta alcuna risposta formale alla proposta, i Superiori del DDF hanno espresso l’opinione che il documento chiave di definizione della relazione si troverà solo negli Statuti della Commissione. Alla fine dello scorso anno è stata presentata alla Segreteria di Stato una bozza di Statuto della Commissione che riflette il nuovo mandato. All’inizio di quest’anno, abbiamo ricevuto commenti sulla bozza di statuto che offrivano poca chiarezza sostanziale sulla natura del rapporto di lavoro tra il DDF e la Commissione.
La Segreteria di Stato è stata chiara sul fatto che la Commissione non gode della posizione, dello status o della giurisdizione di un Dicastero, ed è quindi un organo minore della Curia in termini di posizione, giurisdizione e diritti di partecipazione alle funzioni di governo della Curia. Il tema della tutela è quindi assente dagli incontri del Romano Pontefice con i capi dei Dicasteri, così come è assente dagli incontri e dalle attività a livello interdicasteriale. Questa sembra una grave lacuna, non prevista dalle discussioni sulla nuova Costituzione che si sono svolte al C9.
Allo stesso tempo, il legame vitale con il DDF sembra essere opportuno. Affiancare il lavoro di prevenzione a quello di disciplina è comune in molte parti della società civile, quindi la co-ubicazione potrebbe essere molto fruttuosa. Tuttavia, l’uguaglianza delle due entità deve essere mantenuta per diversi motivi, non ultimo il fatto che la Commissione non dovrebbe mai essere vista come soggetta e quindi coinvolta nel sistema disciplinare o giudiziario della Chiesa.
2. Altri rapporti curiali: In uno spirito di collaborazione tra entità curiali, la Commissione ha intrapreso un dialogo con diversi dicasteri chiave le cui competenze si sovrappongono in modo significativo al lavoro di tutela. Come modo per arricchire reciprocamente il lavoro dei dipartimenti curiali e per dimostrare il lavoro della Chiesa in questo settore, la Commissione ha proposto una serie di memorandum di scambio di informazioni con diversi dicasteri volti a identificare aree di interesse comune e di dialogo reciproco, ad esempio le nomine, la formazione, la cura delle vittime, il processo ad limina. Mentre le conversazioni sono in corso, la Commissione ha recentemente firmato un accordo di cooperazione con la Sezione per la prima evangelizzazione e le nuove Chiese particolari.
Conclusione. Come potete vedere, la nuova Commissione – che ha una storia altrettanto ricca, ma ha solo sei mesi di vita nella sua nuova versione – è nelle fasi iniziali di un programma ambizioso, con tutte le difficoltà di crescita che un tale passaggio a una presenza più operativa comporta. Eppure, abbiamo già fatto grandi passi avanti. Ci sono 114 Conferenze episcopali e Conferenze di religiosi ad esse associate che hanno linee guida da rivedere e migliorare. Contribuire a fornire formazione dove manca e attuare l’articolo 2 di “Vos Estis” è un altro impegno importante, ma che è iniziato bene e che dimostra un cambiamento significativo nell’atteggiamento verso la tutela da parte di molti nella Chiesa rispetto a quando la Commissione è stata fondata 10 anni fa. Fornire un Rapporto annuale che sia credibile e che risponda ai bisogni dell’uomo, in particolare di coloro che sono stati colpiti da abusi o che possono essere a rischio nella nostra Chiesa, è un altro impegno importante, ma che fornisce visibilità e responsabilità al lavoro della Commissione e a quello dell’intera Chiesa.
Sono fiducioso che i nostri primi sei mesi abbiano fatto grandi progressi in questa direzione e che, nonostante gli inevitabili dolori di crescita di un gruppo eterogeneo di volontari esperti che si trovano ad affrontare un ampio grado di novità, siamo in una buona posizione e stiamo già dimostrando che il nostro nuovo mandato sta affrontando alcune delle frustrazioni del passato e mantenendo l’impegno del Santo Padre.
Vatican news 12 maggio 2023
www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2023-05/cardinale-malley-discorso-intervento-integrale-plenaria-abusi.htm
CITTÀ DEL VATICANO
Papa Francesco promulga una nuova legge Fondamentale dello Stato vaticano
www.vatican.va/content/francesco/it/motu_proprio/documents/20230513-legge-fond-scv.html
La “costituzione” dello Stato della Città del Vaticano del 1929 era stata rivista nel 2000 da Giovanni Paolo II
Si tratta di un adeguamento alle nuove norme giuridiche e leggi promulgate dal 2000 ad oggi. In estrema sintesi questa è la nuova Legge fondamentale dello Stato della Città del Vaticano, pubblicato oggi e che sarà in vigore dal prossimo 7 giugno. Papa Francesco l’ha firmata il 13 maggio, oggi, ed è stata pubblicata senza conferenza per la stampa specializzata, ma solo con alcuni testi preconfezionati. Come successo anche per la riforma della Curia.
Ma cerchiamo di capire di cosa si tratta. Intanto cosa è la Legge Fondamentale? È di fatto la “costituzione” dello Stato Vaticano nato nel 1929 dopo i Patti Lateranensi. Come spiegato nei primi articoli del testo del 2023: “Lo Stato della Città del Vaticano assicura l’assoluta e visibile indipendenza della Santa Sede per l’adempimento della Sua alta missione nel mondo e ne garantisce l’indiscutibile sovranità anche nel campo internazionale”. Ribadita dunque la sovranità che tutela la indipendenza.
Cambiano in modo sostanziale due parti: quella giudiziaria e quelle economica.
Il testo descrive la struttura del Governo dello Stato e nell’articolo 21 riceve tutte le novità sul nuovo ordinamento penale. La Funzione giudiziaria viene descritta secondo criteri più “laici”.
Nella composizione della Pontificia Commissione, che ha funzione legislativa, entrano anche “altri membri” oltre i cardinali. Negli articoli 13 e seguenti c’è una definizione più dettagliata della questione dei bilanci, anche questa una ricezione delle diverse normative approvate negli ultimi anni. E sarà il Governatorato dunque a provvedere alla “legge finanziaria”. Il Governatorato con il suo presidente ha sempre più potere e sembra invece perderne un po’ la Segreteria di Stato che di fatto esce dalla collaborazione con la funzione legislativa.
Il Governatorato poi partecipa alle Istituzioni internazionali delle quali la Santa Sede è membro in nome e per conto dello stato. Da notare anche cambiamento della terminologia. Solo il Papa ha “poteri”, mentre gli altri organi dello Stato esercitano “funzioni”.
Solo la Commissione potrà interpretare autenticamente le leggi dello Stato, assistita dai consiglieri dello Stato che formano un apposito Collegio, presieduto dal consigliere generale dello Stato.
Il presidente del Governatorato avrà un ruolo anche di controllo e collegamento diretto con il Santo Padre.
Angela Ambrogetti (ACI Stampa) 13. maggio, 2023.
www.acistampa.com/story/papa-francesco-promulga-una-nuova-legge-fondamentale-dello-stato-vaticano?utm_campaign=ACI%20Stampa&utm_medium=email&_hsmi=258169694&_hsenc=p2ANqtz-8CNhgrxPPQA7isqn9wBgcrM9-n38qXxYlauOXyloMhV9UNHiQAVSWZujzgHZUQFTjI2VjSVvRDKofpQzWiC3u38mXsYQ&utm_content=258169694&utm_source=hs_email
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COGNOME E NOME
Se sei nato prima del giugno 2022… resti a metà
Interpretazione restrittiva della sentenza 131/2022 della Consulta
www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?param_ecli=ECLI:IT:COST:2022:131
Accade in Italia che la Sezione di Volontaria Giurisdizione di qualche Tribunale ordinario decida di non prender posizione in merito a una situazione pregressa, una volta chiamata ad esprimersi riguardo all’interesse del figlio da una delle MadriDalPartnerDelNo (definizione della scrivente). Non allarmiamoci troppo, i casi potrebbero non essere numerosi, ma poiché non di tutto quel che accade è possibile essere informate ci limitiamo a supporre che ciò di cui siamo venute a conoscenza possa non costituire un fenomeno isolato.
Anno 2023, Torino. La signora Nathalie Niki Pellegrino vorrebbe che il bimbo avuto qualche anno addietro dalla sua relazione con l’ex compagno A. B. – iniziali di convenienza – e che oltretutto abita da sempre con lei possa godere di quella compiutezza formativa dell’identità personale, che la Corte Costituzionale ha posto tra le motivazioni di base che hanno determinato la sentenza 131/2022, con cui è stata riconosciuta la TOTALE illegittimità delle norme che avevano regolato fin lì l’attribuzione del cognome a figli e figlie, consistenti nella patrilinearità obbligatoria.
Prima di quella pronuncia storica, le donne non avevano la possibilità di attribuire alla nascita il loro cognome ai figli che avevano generato – peraltro con un indubbio maggior contributo biologico dei padri, che fin qui non hanno mai condotto una gravidanza né esperito un parto -, se non dopo la sentenza 286/2016. Con essa, la Corte riconosceva il diritto dei genitori di attribuire ai figli il cognome di entrambi, a patto che si trattasse di una decisione concorde. Dato che il cognome paterno non veniva mai messo in discussione, questa “concordia” diveniva nel reale un consenso gentilmente dispensato o velenosamente negato dal padre. Insomma, un esercizio di libero arbitrio consegnato nelle mani del Maschio.
C’erano poi le situazioni pregresse, quelle per le quali i genitori di figli nati prima del 2016 potevano chiedere il cambiamento del cognome del pargolo, anche cresciutello, da singolo in doppio ovvero di entrambi i genitori. Anche qui la decisione doveva essere concorde, cosa che si traduceva in termini pratici nella gentile concessione da parte del padre all’aggiunta del cognome materno o nel diniego di tale possibilità. Da notare che, in presenza del consenso, nessun dubbio era previsto che potesse turbare il Prefetto sull’opportunità di procedere al cambiamento. Detto diversamente, in via teorica, un ragazzo anche diciassettenne si sarebbe potuto trovare a sua insaputa con il cognome cambiato tramite aggiunta per decisione concorde dei suoi genitori, mentre un padre che avesse voluto negare il consenso alla madre avrebbe potuto addurre a motivazione che il figlio/a si era ormai identificato con un cognome soltanto e ciò perfino nel caso di un bimbo di 5 anni o anche meno.
Le situazioni pregresse esistono anche oggi. Torniamo dunque alla signora Pellegrino che non ha modo di rivolgersi alla Prefettura di competenza, in quanto l’iter di questo percorso prevede che ci sia l’assenso al cambiamento del cognome del figlio da parte dell’altro genitore, cosa che nel caso in questione NON c’è. Sono molte le madri che si trovano in questa situazione, tante da poter formare una categoria specifica che sarei propensa a definire delle #MadriDalPartnerDelNo. I “no” possono essere molteplici. Si va dal “il mio cognome è più che sufficiente”, a “diventerebbe un cognome troppo lungo”, oppure a “Gasparuccio o Letizietta ormai è abituato/a così”, “il tuo non è per niente un bel cognome”, “la tua è una richiesta ideologica” e così via.
Ma ideologica la richiesta non è; al contrario, ha precisato la Corte nella sentenza 131/2022, effetto di un’ideologia patriarcale è stato l’abuso di limitare a quello patrilineare il cognome da attribuire alla prole. Abuso che oggi non è più possibile replicare, perché la nuova regola definita in sentenza vuole che alla nascita si attribuisca il cognome di entrambi i genitori, nell’ordine stabilito dagli stessi, e che l’opzione di un cognome singolo, della madre o del padre, possa derivare soltanto da un chiaro accordo espresso dalla coppia in tal senso. Il 1º vecchio comma dell’articolo 262 del cod. civ. non è dunque andato in soffitta ma è finito nel cestino tritarifiuti, da cui nessuno lo può più ripescare.
www.brocardi.it/codice-civile/libro-primo/titolo-vii/capo-iv/sezione-i/art262.html
O quasi, all’atto pratico.
Tutto chiaro oggi, grazie alla Consulta, per l’attribuzione del cognome alla nascita. Ma cosa accade per le situazioni pregresse, cioè per quelle che, come già detto, riguardano figli nati prima dell’ancora recente sentenza, che portano soltanto il cognome del padre per effetto di quel 1º comma del 262 ora defunto? Beh, se la coppia genitoriale – convivente o meno – è d’accordo, ci si rivolge come in passato alla Prefettura e dopo alcuni mesi il problema viene risolto con l’aggiunta del cognome mancante. Se invece si appartiene per disgrazia alla folta schiera delle #MadriDalPartnerDelNo la questione si fa complicata, in quanto la via della Prefettura non è praticabile e a nulla servirebbero eventuali ricorsi. Il Prefetto ha l’obbligo di attenersi al consenso o al dissenso del genitore di cui il figlio/a ha il cognome – abitualmente il padre – e nessuno può schiodarlo da lì.
Ma cosa dice di fatto la sentenza CC 131/2022 in merito alle situazioni pregresse? Lo leggiamo al §16 della stessa. «Infine, è doveroso precisare che tutte le norme dichiarate costituzionalmente illegittime riguardano il momento attributivo del cognome al figlio, sicché la presente sentenza, dal giorno successivo alla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale, troverà applicazione alle ipotesi in cui l’attribuzione del cognome non sia ancora avvenuta, comprese quelle in cui sia pendente un procedimento giurisdizionale finalizzato a tale scopo.
Il cognome, infatti, una volta assunto, incarna in sé il nucleo della nuova identità giuridica e sociale, il che comporta che possibili vicende che incidano sullo status filiationis o istanze di modifica dello stesso cognome siano regolate da discipline distinte rispetto a quelle relative al momento attributivo. Eventuali richieste di modifica del cognome, salvo specifici interventi del legislatore, non potranno, dunque, che seguire la procedura regolata dall’art. 89 del d.P.R. n. 396 del 2000, come sostituito dall’art. 2, comma 1, del d.P.R. n. 54 del 2012».
La Corte non sta dicendo che ciò che è stato riconosciuto adesso come da sempre illegittimo diventa magicamente legittimo nel caso di attribuzioni precedenti resuscitando quel 1º comma del 262 ormai abrogato, sta dicendo invece un’altra cosa. Sta affermando che ciò che rende non automatica la regola ora in vigore è la constatazione che «possibili vicende» siano in grado di incidere in modo differente su quel che dalla regola discenderebbe e che pertanto, per casi non riconducibili al momento della nascita, vanno seguite le procedure che già erano state previste allo scopo. In altri termini, la Corte non sta minimamente sostenendo che una modifica che porti all’aggiunta del cognome che risulta mancante rispetto alla nuova regola non sia da considerare in linea con quanto ha prima evidenziato, circa il beneficio di cui gode il figlio quando gli è consentito di relazionarsi, tramite i cognomi dei due membri della coppia genitoriale, ad entrambe le aree familiari di appartenenza; sta dicendo che qualcosa potrebbe costituire un ostacolo oggettivo tale che questo beneficio diventi sacrificabile o che non possa essere riconosciuto come tale (pensiamo ad esempio ad adozioni intervenute o a cambiamenti di cognome già praticati). Da qui la necessità di altre vie, ovvero di quelle consuetudinarie che regolano il cambiamento del cognome.
Ora, se qualcosa è un beneficio e l’assenza di quel qualcosa è un limite se non un danno, diventa legittimo che uno dei genitori (il più delle volte la madre), impossibilitato a rivolgersi utilmente al Prefetto, sottoponga la questione al parere del Giudice della Volontaria Giurisdizione, che normalmente è chiamato ad esprimersi e dunque a decidere nel caso in cui i genitori siano di parere discorde su qualcosa ritenuto importante per il presente e il futuro del figlio/a.
Che il cognome sia importante, anzi fondamentale per la formazione dell’identità personale, la Corte lo ha dichiarato a tutto campo. Di conseguenza nel caso specifico la signora Pellegrino, concordando interamente con le valutazioni espresse dalla Corte sull’utilità del cognome di entrambi i genitori per la formazione di un’identità completa della prole, chiede che la sua istanza di cambiamento del mono-cognome di suo figlio sia accolta. Il Signor A. B. oppone una visione diversa delle cose, ritenendo in sostanza che, nel migliore interesse del figlio, tutto debba rimanere com’è. Cosa fa allora il Tribunale di Torino? In luogo di valutare nel merito le contrastanti affermazioni dei due genitori e decidere dunque in un senso o nell’altro, dichiara infondata l’istanza di Nathalie Niki Pellegrino in quanto la modifica dell’art. 262 comma 1 del cod. civ. non ha conseguenze applicabili alle situazioni pregresse secondo quanto scritto dalla Corte.
Certamente la Corte questo lo ha scritto, ma era questo ciò che la ricorrente aveva chiesto, o non invece la valutazione del miglior interesse del minore alla luce dell’importanza del cognome di entrambi i genitori per la completa formazione identitaria di un figlio, importanza che la Corte aveva delineato con estrema chiarezza in sentenza? Fortunatamente, esiste almeno un esempio diverso, fornito lo scorso anno dal Tribunale di Pesaro che ha optato per il riconoscimento del diritto del minore a un’identità anagrafica completa. Non sappiamo se ci siano stati altri esiti presso differenti Tribunali, esemplificativi di una soluzione o dell’altra.
Rileviamo però un particolare. Nel brano della sentenza oggetto dell’interpretazione controversa, c’è un inciso che non è indirizzato ai Tribunali. Per le situazioni pregresse le vie praticabili, scrive la Corte, restano quelle precedenti «salvo specifici interventi del legislatore». E allora sorge spontanea una domanda. Non potrebbero i e le parlamentari prendere atto di questi problemi e tagliare tali nodi gordiani alla radice, aggiungendo alle loro proposte qualche norma, per armonizzare col senso stesso della sentenza 131/2022 della Consulta le problematiche situazioni pregresse?
Ioli Natoli “Noi Donne” 6 maggio 2023
www.noidonne.org/articoli/madridalpartnerdelno-se-sei-nato-prima-del-giugno-2022-resti-a-met-19647.php
CONFRONTI
L’unione tra uomo e donna regola il rapporto tra le generazioni: è il solo matrimonio.
Dalla parte dei legami forti
Mi permetto di entrare nelle riflessioni proposte da Chiara Saraceno in merito al matrimonio («Famiglie arcobaleno tra diritti e doveri») esposte ieri sulla Repubblica.
L’intero discorso della Saraceno, anche se non ricorre apertamente a questa formulazione, mi pare si fondi sull’idea che il matrimonio e la filiazione siano dei ‘diritti’, a cui devono accedere tutti: il matrimonio e la filiazione per gli omosessuali, quindi costituirebbe solamente un allargamento dei diritti a una minoranza sfavorita. Per fare questo, deve ridurre il matrimonio – o, meglio, come la sociologa dice – il matrimonio oggi, alla «scelta libera di due persone di mettere in atto una vita in comune, basata sulla solidarietà reciproca e sull’affetto». Quello che così si definisce è senza dubbio un legame positivo fra le persone, ma il matrimonio è un’altra cosa.
Il matrimonio, infatti, è l’istituzione preposta a regolare il rapporto fra le generazioni , ed è fondata quindi sulla differenza fertile fra i due contraenti, la donna e l’uomo. Cioè sulla relazione generatrice fra due categorie di individui non equivalenti e non intercambiabili: le donne e gli uomini. Dall’unione matrimoniale ha origine una nuova rete parentale, fondata sulla sfera giuridica che nasce dai legami naturali tra ascendenti e discendenti, come ha sottolineato Claude Levi-Strauss a Tokyo nel 1986: «I legami biologici forniscono il modello sul quale sono costruiti i legami di C davvero così saggio cancellare tutto questo? Cancellare questa istituzione, infatti, sostituendola a un legame debole e legato alla sola volontà di reciprocità dei contraenti – quello che descrive Saraceno – costituisce una vera e propria rivoluzione antropologica delle nostre società. Significa non trasmettere alle generazioni che ci seguono il nostro modello antropologico, significa un’interruzione grave della trasmissione culturale. Si può ben comprendere, quindi, come questo cambiamento susciti tanti timori, dia origine a tante riflessioni e a interessanti esami multidisciplinari dei legami intergenerazionali e intersessuali. Si può ben capire, allora, come un processo simile possa richiedere molto tempo. Mettere fretta al legislatore, invocando quello che è già avvenuto in altri Paesi, non è un argomento convincente. Semmai è pericoloso. È di poche settimane fa del resto – e in parte è ancora in corso – l’aspra polemica che ha diviso la Francia sulla legittimazione dei matrimoni e della filiazione degli omosessuali: non si può certo considerare marginale un dissenso che ha coinvolto circa la metà dei francesi, e che ha visto alzarsi contro la nuova legge molte voci laiche, non poche volte anche di militanti dello stesso partito del presidente Hollande.
Proprio al centro di questo dibattito è stato il problema dei bambini a venire, cioè delle future generazioni, che non possono manifestare, né essere ascoltate. Abbiamo il diritto di farli vivere in una situazione per forza di cose falsa – nessun bambino ha due mamme o due papà – anche se si fa ricorso alle tecniche di procreazione assistita? Pure in laboratorio la partecipazione dei due sessi è necessaria, e anche se può essere rimpiazzata da materiali e corpi anonimi non viene cancellata la differenza costitutiva nella generazione. Non è un caso, infatti, che il matrimonio omosessuale richieda una manipolazione del linguaggio per negare la differenza fra padre e madre, richieda di scrivere nello stato civile delle menzogne – cioè che un bambino ha due madri o due padri – di cui tutti possono cogliere la falsità. Molte voci di psicanalisti si sono levate per denunciare il pericolo di questa corruzione del linguaggio, in cui alle parole non corrisponde più la realtà, nella formazione delle nuove generazioni, soprattutto ovviamente nei figli delle famiglie ‘arcobaleno‘.
A fronte di alcune inchieste che negano qualsiasi tipo di danno per i bambini allevati in famiglie omosessuali – che ovviamente sono ancora lavori di breve periodo, dato che l’esperienza di questi bambini costituisce una novità – molti sono gli accorati appelli di psicanalisti e antropologi che indicano i danni di tale scelta per le future generazioni. E non basta certo spostare le ragioni del disagio all’esterno, all’omofobia della società: la differenza fra chi è figlio di una donna e un uomo e chi non viene accettato come figlio della differenza sessuale ci sarà sempre e non ha niente a che fare con l’omofobia, ma con la realtà. Ricorrere alla minaccia dell’omofobia per far accettare il matrimonio omosessuale non mi pare possa reggere: è evidente che è possibile battersi sul piano civile per la dignità di ogni tipo di legame affettivo e sessuale senza dover sostenere il matrimonio, che è un legame molto diverso dalla semplice convivenza fra due persone solidali.
Come del resto sostengono anche molti omosessuali, che non aderiscono alle richieste di matrimonio e filiazione. Possiamo quindi domandarci come mai, in un momento in cui le nostre società sono scosse dagli effetti di una gravissima crisi, che è economica ma anche sociale e culturale, si voglia fare una così forte pressione per il matrimonio da parte della minoranza di una minoranza. Ogni attenzione alle minoranze è indubbiamente più che meritoria, soprattutto se patisce discriminazioni, ma se questo significa rivoluzionare la nostra società e la nostra cultura, credo che bisogna almeno lasciare il tempo di riflettere bene, e di discutere presentando le ragioni contrarie, senza ricevere l’accusa di essere ciechi conservatori o, peggio, omofobi. A mio avviso, in ogni caso, quel che è da auspicare è una famiglia (madre-padre-figli), anch’essa non isolata, ma inserita in una società che la sappia accogliere e accompagnare. Per questo mi pare saggio citare ancora Cicerone che definiva la famiglia: «Principium urbis et quasi seminarium rei pubblicæ ». La sapienza cristiana, assieme alla tradizione umanistica, hanno accolto e arricchito tale antica sapienza giuridica. E le famiglie così costituite sono a tutt’oggi la risorsa più preziosa delle nostre società.
Vincenzo Paglia – Arcivescovo, presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia 18 maggio 2013
www.avvenire.it/opinioni/pagine/dallapartedeilegamiforti
DALLA NAVATA
VI Domenica di Pasqua.
Atti Apostoli 08, 14. Frattanto gli apostoli, a Gerusalemme, seppero che la Samaria aveva accolto la parola di Dio e inviarono a loro Pietro e Giovanni. Essi scesero e pregarono per loro perché ricevessero lo Spirito Santo; non era infatti ancora disceso sopra nessuno di loro, ma erano stati soltanto battezzati nel nome del Signore Gesù. Allora imponevano loro le mani e quelli ricevevano lo Spirito Santo.
Salmo responsoriale 65, 20. Sia benedetto Dio, che non ha respinto la mia preghiera, non mi ha negato la
sua misericordia.
1Pietro 03,15. Carissimi, adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi.
Giovanni 14, 15. In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito della verità
Commento
Continua il discorso di congedo che Gesù fa ai suoi discepoli. Questa volta il centro è l’amore, l’amore come comandamento nuovo – «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13,34) –, che fonda e sintetizza l’osservanza dei comandamenti: «Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama» (Gv 14,21). Ma perché tale osservanza si realizzi in pieno Gesù chiede al Padre di dare ai suoi discepoli un «aiutante» («un altro Paràclito»), «lo Spirito di verità», perché rimanga sempre con loro.
Se però i «comandamenti» sono quelli già racchiusi nelle Scritture di Israele e che uno scriba (Mc 12,28) o un dottore della Torah (Lc 10,25) aveva già ben sintetizzato – «Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso» –, in che cosa consiste il «comandamento nuovo»?
Per capirlo forse c’è proprio bisogno di questo «Spirito di verità». L’elemento nuovo è senz’altro la posizione di Gesù in questa relazione di amore: «Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama. Chi ama me sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui». L’amore verso Gesù non solo si pone in mezzo all’amore verso il Padre, ma è radice e sorgente di una comunione di amore «circolare». Osservare il comandamento dell’amare Dio e il prossimo è l’unico modo per amare Gesù e, a sua volta, tale comandamento/i è garanzia e risposta dell’amore da parte del Padre e da parte di Gesù stesso: «Sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò».
Perché tutto questo sia autentico, sia realmente vissuto, c’è bisogno dell’«aiuto» dello «Spirito di verità». In altre parole, l’amore ha bisogno di «verità», e qui siamo, forse, nel punto più difficile e cruciale della realizzazione di questo «comandamento». Che cosa significa «amare nella verità»? Tutti noi abbiamo esperienza dell’amore, tutti noi amiamo o abbiamo amato qualcuno, e nel farlo ci siamo probabilmente accorti di quanto l’amore sia «cieco» o, come direbbe Paolo, di quanto l’amore «tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta» (1Cor 13,7). Forse «amare nella verità» è proprio questo: amare non «ciecamente», ma nella consapevolezza dei limiti propri e altrui, amare al di là e al di dentro di questi limiti. Ma non solo questo.
«Amare nella verità» significa anche porre al vaglio l’autenticità della nostra relazione di amore, purificarla da ogni altro tipo di legame che possa esservi di mezzo. A volte nell’amare l’altro vi può essere interesse, autocompiacimento, desiderio di un appagamento personale, ricerca di un’assicurazione, di una protezione, persino acquisizione di un ruolo, di un potere, e questo sia che il nostro amore sia verso altre persone che verso Dio stesso.
È qui che entra in gioco l’aiuto del «paraclito», dello «Spirito di verità», ovvero la forza e il coraggio, ma anche la sapienza di saper fare verità nel nostro cuore, di mettere a nudo la verità di ciò che ci anima e alimenta la nostra/le nostre relazioni di amore. E se da una parte è facile «ingannarci» nell’amare gli altri, illusorio e «mortale» è, in realtà, vivere una relazione d’amore con Dio che non sia «vera». Si può di fatto indossare un abito, ricoprire un ruolo, scegliere e acquisire uno «stato di vita» all’insegna di Dio, e in tutto questo non vivere la propria relazione d’amore con il Padre, in Gesù, nella «verità». Il risultato è una sempre più profonda aridità interiore che genera distacco, alienazione, che invece di comunicare vita produce deserto, vuoto, morte.
Un’ultima riflessione: che cosa mi garantisce di avere lo «Spirito di verità»? Un’azione sacramentale? Sicuramente lo Spirito ricevuto nel battesimo, base e fondamento di ogni altro sacramento, è un dono indelebile per ogni credente ma, come qualsiasi altro dono, richiede una costante disposizione all’accoglienza, alla cura e all’adesione a tale dono. Se di fatto il dono permane per la fedeltà del donatore, ciò non garantisce la permanenza dei suoi effetti sul ricevente senza una libera, costante e consapevole apertura di questi ad accoglierli e seguirli.
La presenza attiva ed efficace dello «Spirito di verità», se da una parte è data, dall’altra è sempre legata alla nostra libertà nell’accoglierla, nell’ascoltarla e nel lasciare che produca vita alimentando in noi autentiche relazioni d’amore.
Ester Abbattista, biblista
DIVORZIO
Le parti chiedono congiuntamente la separazione ed il divorzio consensuale con la nuova disciplina. Interessante pronuncia del Tribunale di Milano.
Trib. Milano, sez. IX, sent., 5 maggio 2023, n. 3542 Presidente/Relatore Cattaneo
I coniugi sopra indicati, con ricorso ex art 473-bis.51 c.p.c. personalmente sottoscritto e depositato in data 16 marzo 2023 contenente l’indicazione delle condizioni reddituali, patrimoniali e degli oneri a carico delle parti, hanno congiuntamente chiesto di ottenere la pronuncia di separazione alle seguenti condizioni: 1) I figli minori (omissis) e (omissis), sono affidati ad entrambi i genitori…
la sentenza completa www.divorzista.org/contenuto.php?id=20272
www.divorzista.org/contenuto.php?id=20272&redirected=92f2cdf335cab6e8aa46f4dcc098fde5
ECUMENISMO
Piemonte e Valle d’Aosta, formalmente costituito il Consiglio delle Chiese cristiane
È stato formalmente costituito anche per il Piemonte e la Valle d’Aosta il Consiglio delle Chiese cristiane. Avrà sede a Torino. Le Chiese che hanno aderito attraverso l’elaborazione e la firma dello Statuto sono: Chiesa cattolica, Chiesa ortodossa romena, Chiesa ortodossa russa (Patriarcato di Mosca), Chiesa ortodossa russa (Arcivescovado di Parigi), Chiesa valdese, Chiesa luterana. Alla firma, svoltasi lo scorso 4 maggio 2023 presso i locali dell’Arsenale della pace del Sermig, non hanno potuto presenziare i rappresentati della Chiesa ortodossa Patriarcato ecumenico e della Chiesa copta ortodossa, che hanno comunque aderito al Consiglio delle Chiese cristiane.
Nel corso della riunione costitutiva è stato nominato il Comitato esecutivo, il cui moderatore sarà il pastore Giuseppe Ficara (Chiesa valdese), mentre Ambrogio Cassinasco (Chiesa ortodossa russa – Patriarcato di Mosca) sarà il vice-moderatore e fr. Guido Dotti (Chiesa cattolica) il segretario-tesoriere.
“Ponendosi in dialogo con le comunità locali delle Chiese aderenti, con le altre confessioni e denominazioni cristiane, con i credenti di altre religioni e con le istituzioni pubbliche, il Consiglio – viene spiegato in una nota – si prefigge innanzitutto di testimoniare insieme il Vangelo di Gesù Cristo nell’oggi della storia. Attraverso il metodo del consenso, il Consiglio cercherà risposte condivise ai problemi religiosi ed etici che interpellano la fede cristiana, favorendo così un prezioso scambio di doni con gli uomini e le donne del nostro tempo, fratelli e sorelle in umanità in quella porzione di ‘casa comune’ che sono le nostre due Regioni”.
A. B. Agenzia SIR 8 maggio 2923
www.agensir.it/quotidiano/2023/5/8/ecumenismo-piemonte-e-valle-daosta-formalmente-costituito-il-consiglio-delle-chiese-cristiane
FAMIGLIE MONOPARENTALI
Quanto incide la povertà nelle famiglie monogenitoriali #conibambini
Sono oltre 1 milione le famiglie monogenitoriali con figli minori. Nuclei spesso con madri sole e a maggior rischio povertà, anche alimentare. Approfondiamo l’offerta di servizi e mense scolastiche nei territori dove vivono più nuclei con un solo genitore.
Povertà educativa
- 1 milione i nuclei monogenitoriali con almeno un figlio minore in Italia.
- Inoltre l’80% dei casi il genitore è donna.
- Il rischio indigenza tra i nuclei con un solo genitore è più frequente: 11,5% sono in povertà assoluta.
- Circa 1 su 10 le famiglie monogenitoriali con figli minori che non possono permettersi pasti proteici ogni 2 giorni.
- Nei comuni ad alta incidenza di famiglie monogenitoriali, 1 scuola su 3 ha la mensa.
Il numero di famiglie monogenitoriali è molto aumentato nell’arco degli ultimi 30 anni. Fino alla metà degli anni ’90, erano poco meno di 500mila i nuclei composti da un solo genitore e almeno un figlio sotto i 18 anni.
Nell’ultima decade sono progressivamente aumentati, superando il milione nel biennio 2015-16. Nel 2021 sono arrivati a 1 milione e 62mila. Un dato in diminuzione rispetto al biennio 2019-20 (periodo in cui avevano superato il milione e 100mila). Ma in aumento quasi del 10% dal 2012, quando erano 966mila.
Le famiglie monogenitoriali con figli minori sono più di un milione
Andamento del numero di famiglie con un genitore e uno o più figli minori (2012-21)
Fonte: elaborazione openpolis – Con i Bambini su dati Istat (consultati: giovedì 5 gennaio 2023)
+9,9% i nuclei monogenitoriali con almeno un minore tra 2012 e 2021.
Nella maggioranza dei casi, il figlio più piccolo ha tra 6 e 13 anni (42,8%). Nel 28,6% di questi nuclei vive almeno un bambino con meno di 5 anni. Quasi la stessa percentuale delle famiglie monogenitoriali dove il figlio più piccolo ha tra 14 e 17 anni (28,5%).
La donna è nella maggior parte dei casi il genitore di riferimento. Da una stima di Istat effettuata nel 2018 sul biennio 2015-16, le madri sole rappresentavano l’86,4% dei nuclei monogenitore con figli a carico. Ovvero 893mila su 1 milione e 34mila rilevate in quell’anno. Sempre dalla stessa stima, era emerso come la maggior parte delle madri sole avesse un lavoro (63,8% dei casi), una quota in calo dopo la crisi economica a cavallo degli anni 2000 e 2010. Nel 2016 il 24,4% delle madri sole risultava inattiva e quasi il 12% era disoccupata.
63,8% le madri sole occupate, in base alle stime Istat sul 2016.
Tale dinamica pone le famiglie monogenitoriali con figli a carico in una situazione spesso precaria dal punto di vista economico, come i dati più recenti sulla povertà sembrano confermare. Le famiglie monogenitoriali si trovano più spesso della media a rischio indigenza, anche alimentare, con conseguenze dirette sulla vita dei bambini.
Povertà assoluta e alimentare nelle famiglie monogenitoriali. Nel 2021 5,6 milioni di persone si sono trovate in povertà assoluta, tra cui quasi 1,4 milioni di bambini e ragazzi con meno di 18 anni.
L’incidenza della povertà minorile è cresciuta dopo l’emergenza Covid, esponendo alcune tipologie familiari più di altre. Tra queste le famiglie numerose, ma anche quelle con un solo genitore.
In media, 7,5 famiglie su 100 sono assolutamente povere, cifra che scende al 6% tra le coppie con un unico figlio. Tra i nuclei monoparentali con figli under-18, oltre uno su 10 si trova in povertà assoluta. 11,5% i nuclei monogenitoriali con minori a carico in povertà assoluta nel 2021.
Questo comporta per il genitore solo e i figli piccoli una condizione spesso di grande indigenza, che limita fortemente la capacità di acquisto anche di beni essenziali. Una famiglia si trova in povertà assoluta quando non può permettersi le spese essenziali per condurre uno standard di vita minimamente accettabile.
Povertà alimentare più diffusa tra le famiglie monogenitoriali con figli, già prima della pandemia.
Già prima della pandemia, il fenomeno della povertà alimentare toccava l’apice proprio tra i nuclei monogenitoriali. Nel 2019 quasi il 13% delle famiglie con genitore singolo dichiarava di non potersi permettere un pasto proteico ogni due giorni. Negli anni successivi la rilevazione non è considerabile statisticamente significativa a causa della numerosità del campione indagato. Tuttavia indica ancora una percentuale elevata, superiore al 9% sia nel 2020 che nel 2021.
9,2% i nuclei monogenitoriali con almeno un minore che dichiarano di non potersi permettere carne o pesce ogni 2 giorni nel 2021.
La diffusione delle mense nel contrasto della povertà alimentare. Come abbiamo avuto modo di approfondire in passato, sul fenomeno della povertà alimentare minorile le mense scolastiche giocano un ruolo chiave. Una funzione sottolineata in primo luogo dal Garante dell’infanzia, che nelle relazioni al parlamento nazionale ha più volte indicato nell’accesso alla refezione uno strumento di contrasto alla povertà alimentare, così come di quella educativa. (…) particolare attenzione alle mense scolastiche che, per alcuni bambini, rappresentano il pasto più completo e sano della giornata.
– Relazione 2021 al parlamento del Garante dell’infanzia (giugno 2022)
Da qui la necessità di promuovere una loro estensione e anche accessibilità economica per tutte le famiglie, a prescindere dal reddito. Un’iniziativa particolarmente importante per i nuclei familiari più spesso in povertà, come quelli dove un solo genitore in difficoltà economica deve mantenere uno o più figli piccoli. Per questa ragione, è rilevante approfondire la diffusione delle mense sul territorio nazionale. In particolare nelle aree del paese dove è maggiore l’incidenza dei nuclei monogenitoriali.
Giovani famiglie monogenitoriali e mense sul territorio nazionale. Per comprendere meglio questo aspetto, possiamo partire dalla mappatura delle giovani famiglie monogenitoriali, effettuata da Istat nell’ambito dell’ultimo censimento generale (2011). Si tratta di un’informazione soggetta a forti limiti, dovuti alla vetustà dei dati. Ma è comunque il principale riferimento sul tema che consente una disaggregazione comunale del dato. Una mappatura peraltro utilizzata dall’istituto di statistica e dal decisore nazionale per la costruzione di un altro indicatore essenziale per le politiche pubbliche, quello sulla vulnerabilità sociale e materiale.
Nell’ultimo censimento generale, l’incidenza delle giovani famiglie monogenitoriali, con madre o padre di età inferiore ai 35 anni, era pari all’1% del totale. Una quota variabile dall’1,3% del Lazio allo 0,6% della Basilicata. Partendo da questo dato di contesto, abbiamo isolato i comuni a maggior incidenza di giovani famiglie monogenitoriali. Su oltre 8mila comuni esistenti nel 2011, solo 449 (il 5,5% del totale) avevano un’incidenza di questi nuclei pari o superiore al 2%. Ovvero almeno il doppio della media nazionale in quell’anno.
Nei territori con più famiglie monogenitoriali [solo] una scuola su 3 ha la mensa.
Confronto tra incidenza delle giovani famiglie monogenitoriali e la percentuale di edifici scolastici statali dotati di mensa nei comuni italiani.
In questi territori a maggior incidenza di famiglie monogenitoriali, evidenziati con i confini rossi sulla mappa, circa un terzo degli edifici scolastici statali ha la mensa. Parliamo del 32,2% del patrimonio edilizio attivo nell’anno scolastico 2020/21. Un valore sostanzialmente in linea con la media nazionale (31,1%) e anche con quello dei comuni a minor incidenza di famiglie monogenitoriali (30,9%). 32,2% degli edifici scolastici ha la mensa nei territori a maggior incidenza di giovani famiglie monogenitoriali. La quota di edifici scolastici dotati di mensa supera il 50% nei comuni ad alta incidenza di giovani famiglie monogenitoriali di Molise, Valle d’Aosta, Piemonte, Umbria e Toscana. Mentre è dichiarata per meno del 20% del patrimonio scolastico statale in Campania, Basilicata e Calabria.
Nella prima, la presenza della mensa è dichiarata per il 9,3% degli edifici scolastici statali nei comuni ad alta incidenza di giovani famiglie monogenitoriali (a fronte di una media regionale del 12,3%). In Basilicata ha la mensa il 14,3% delle scuole in comuni a maggior presenza di giovani nuclei monogenitore (media regionale: 20,2%). In Calabria le percentuali sono sostanzialmente allineate: 18,6% gli edifici con mensa nei territori a maggior incidenza di monogenitori, a fronte di una media regionale del 18,8%.
Scarica, condividi e riutilizza i dati. Scarica i dati comunali, regione per regione
Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Molise, Piemonte, Puglia, Sardegna, Sicilia, Toscana, Trentino-Alto Adige, Umbria, Valle d’Aosta, Veneto, Totale nazionale.
Openpolis 9 maggio 2023
www.openpolis.it/quanto-incide-la-poverta-nelle-famiglie-monogenitoriali/?utm_source=Newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=poverta-educativa
NATALITÀ
Stati Generali della Natalità 2023
www.statigeneralidellanatalita.it
Dal 11 al 12 maggio 2023, si è svolta la III edizione degli Stati Generali della Natalità. L’evento, organizzato per il terzo anno consecutivo dalla Fondazione per la Natalità, ha l’obiettivo di contribuire a stimolare il dibattito pubblico sui temi della denatalità del nostro Paese coinvolgendo ospiti illustri e di alto rilievo istituzionale e di sensibilizzare l’opinione pubblica sulle problematiche future che comporta il fenomeno dell’ ”inverno demografico”. www.instagram.com/explore/tags/sgdn23
Le dichiarazioni della Ministra Eugenia Roccella
“Abbiamo bisogno di una vera rivoluzione culturale, di un cambiamento significativo per quanto riguarda la genitorialità. Siamo di fronte a un mondo diverso da quello dei nostri padri e anche dal nostro, ed è su questo che dobbiamo misurarci, perché non vogliamo tornare indietro, ma andare avanti”.
“Questo Governo ha messo il tema all’ordine del giorno fin dalla denominazione dei ministeri, come dimostra il nome del ministero che ho l’onore di guidare. E della natalità ha fatto una questione centrale e prioritaria nel programma di governo. Con un approccio innovativo, trasversale per materia, strutturale e non episodico. Non ci si limita infatti agli interventi diretti per la famiglia: il nostro governo ha considerato i figli come un criterio orientativo, e direi fondante, per la sua azione in ogni ambito. Dal fisco agli incentivi alle imprese, dai bonus edilizi agli aiuti contro il caro bollette, dai fringe benefit all’assegno di inclusione che sostituisce il reddito di cittadinanza, i figli sono un parametro dirimente. Questo significa priorità”.
“I fattori che mettono a rischio la natalità riguardano moltissimo le pari opportunità. Noi vogliamo agire attraverso tutti i provvedimenti per sostenere il lavoro femminile, la conciliazione e l’armonizzazione tra vita e lavoro, creare un ambiente di lavoro favorevole alla maternità e alla paternità e ovviamente anche sostenere la famiglia attraverso tutti i provvedimenti, considerando come fondamentale il criterio dei figli”.
Francesco: «La sfida della natalità è questione di speranza»
L’Auditorium della Conciliazione è un via vai di cronisti. Sono in fila dalle 7.30 per raccontare la seconda giornata degli Stati generali della Natalità. Attendono le parole di Papa Francesco. Parlerà di speranza, definendola «un atteggiamento di vita», ma a prima mattina i giornalisti ancora non lo sanno. Aspettano anche l’intervento della presidente del Consiglio Giorgia Meloni che, invece, parlerà della sfida culturale del suo governo, ribadendo che «la maternità non è in vendita, i figli non sono prodotti da banco e tutti siamo figli di un uomo e una donna».
Il Santo Padre da un lato e la premier dall’altro. Entrambi sul palco per parlare di natalità con Gigi De Palo, presidente della Fondazione per la Natalità. È il proseguimento del dibattito che ieri, 11 maggio, ha visto susseguirsi esponenti del governo, esperti, volti dello spettacolo e i leader dei partiti di opposizione. «L’obiettivo era anche quello di trasformare questo tema in un tema che unisse il nostro Paese», ribadisce De Palo al fianco della presidente del Consiglio e del Papa, accolto da applausi scroscianti nella sala dell’Auditorium.
L’obiettivo è quello di raggiungere quota 500mila nascite entro il 2033 per evitare il collasso del sistema economico e sociale del Paese. «La nascita di un figlio ha sì a che fare con il pil e con il sistema sanitario di domani, con le tasse e con la sostenibilità del Paese, ma anche e soprattutto con la bellezza di una scelta d’amore», ha detto Gigi De Palo. Sul palco, intorno ai protagonisti della giornata, siede una schiera di bambini. Sono gli alunni della scuola “Villa Flaminia” di Roma, lì ad ascoltare le riflessioni condivise con una platea vastissima, fatta soprattutto di studenti. È anche a loro che si rivolge Giorgia Meloni: «Abbiamo fatto della natalità e della famiglia – dice – una priorità assoluta della nostra nazione perché vogliamo che l’Italia torni ad avere un futuro».
La premier passa in rassegna i provvedimenti varati dal suo governo in tema di welfare familiare e di lavoro. Resta questo, infatti, il primo ostacolo alla natalità. Ma secondo Meloni la denatalità «non dipende solo da questioni materiali, ma anche e tanto dalla capacità di una società di percepirsi come vitale».
E allora, la «prima sfida» che il governo vuole affrontare «con gli occhi della realtà e senza infilare la camicia di forza dell’ideologia» sarebbe quella culturale: «Crediamo che il compito dello Stato sia creare le condizioni favorevoli alla famiglia, allo sviluppo e al lavoro, soprattutto sul piano culturale». Uno Stato «che consideri la genitorialità un valore aggiunto e un investimento per il futuro». Un futuro che in gran parte «dipende anche dalla propria forza di volontà», precisa la premier tracciando l’idea di una «nazione in cui essere padri non sia fuori moda e diventare madri non sia una scelta privata. Una nazione in cui fare un figlio è una cosa bellissima, che non ti toglie niente, non ti impedisce di fare niente e ti dà tantissimo».
L’obiettivo è quello di superare l’inverno demografico. www.youtube.com/watch?v=zZ0cdcil_Iw
Papa Francesco lo contrappone alla «primavera» della natalità, quella che auspica possa sorgere a breve perché «la nascita dei figli – spiega – è l’indicatore principale per misurare la speranza di un popolo». È la speranza il cuore pulsante del discorso del Santo Padre: «La sfida della natalità è una questione di speranza», dice precisando che non si tratta solo di «ottimismo o di un sentimento positivo sull’avvenire; la speranza è una virtù concreta: un atteggiamento di vita». Ma la speranza va alimentata, coltivata. «Mi piace pensare agli Stati generali di Natalità come a un cantiere di speranza in cui si lavora tutti insieme». Un’impresa collettiva, insomma, per ragionare su come passare dall’inverno alla primavera demografica: «Non rassegniamoci al grigiore – esorta Papa Francesco – non crediamo che la storia sia già segnata, perché è proprio nei deserti più aridi che Dio apre strade nuove».
Sono strade che non possono prescindere dalla consapevolezza dell’incertezza del futuro. «Tutto va veloce, e le certezze acquisite passano in fretta perché la velocità accresce la fragilità che ci portiamo dentro», riflette il Papa, condannando una cultura incentrata sui bisogni del singolo ed esprimendo vicinanza alle giovani generazioni che più di tutti «sperimentano la sensazione di precarietà». La soluzione è «insieme», dice il Santo Padre: «La famiglia non è parte del problema, ma è parte della sua soluzione».
www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2023/may/documents/20230512-statigenerali-natalita.html
Giuseppe Pastore RomaSette 12 maggio 2023
www.romasette.it/francesco-la-sfida-della-natalita-e-questione-di-speranza
RIFLESSIONI
Una fede di lotta
intervista a Jean de Saint-Cheron
Trentasei anni, francese, Jean de Saint-Cheron ha sorpreso il suo Paese con il libro pubblicato due anni fa. Uscito per la casa editrice Salvator, “Les bons chrétiens” è stato salutato dalla stampa francese come l’opera di un nuovo astro della saggistica transalpina. Lo scrittore Pierre Michon, cui de Saint-Cheron dedica nel libro parole ammirate, ha ricambiato l’ammirazione in un’entusiastica recensione cui il supplemento culturale di «Le monde» ha riservato la prima pagina. Il libro esce ora per Libreria Editrice Vaticana con il titolo “Chi crede non è un borghese”. L’opera ripropone la fede cristiana nella vocazione di ciascun fedele alla santità. De Saint-Cheron condanna di conseguenza il cristianesimo imborghesito, tiepido, complice del mondo senza Dio in cui l’Occidente sarebbe sprofondato a partire dal XVIII secolo e di cui sono testimonianza oggi lo «wokismo» [stare all’erta] di sinistra, il complottismo di destra, l’islamismo fondamentalista e una certa sub-cultura cattolica ripiegata su sé stessa. L’autore invita la piccola minoranza cristiana occidentale a non rassegnarsi: invece della triste vita da borghesi «sistemati» propone la via della santità.
«La Lettura» lo raggiunge al telefono.
È fondamentale nel libro la critica dei cristiani imborghesiti, «sistemati».
«Sono partito da un paradosso. Se torniamo all’essenza del cristianesimo è una evidenza assoluta che ciò che si propone ai cristiani è il combattimento per la santità, per la fede. Oggi invece prevale l’opposto. Ci si sistema, ci si accomoda nel comfort. Come il ricco del Vangelo. Proprio mentre il cristianesimo deperisce».
Una critica aspra.
«Ci sono delle eccezioni, naturalmente. È però evidente come il combattimento della fede non sia al cuore delle preoccupazioni degli ultimi cristiani d’Occidente. Basta loro sentirsi detentori della verità. Si rinchiudono in un comfort intellettuale che minaccia gravemente la vitalità del cristianesimo. Si tratta di una contro-testimonianza spaventosa rispetto a ciò che il cristianesimo ha da dire».
E cioè?
«La parola negli atti».
Si spieghi.
«Il cristianesimo sembra morire nella pigrizia, nel comfort, perché gli ultimi cristiani non praticano più, non credono più. Oppure cade nell’identitarismo. I cristiani sono contenti di sé stessi e testimoniano soltanto attraverso la parola».
Invece?
«L’evangelizzazione è nell’amore. Lo dice il Cristo nel Vangelo. È dall’amore che avrete gli uni per gli altri che vi si riconoscerà come miei discepoli. Bisogna rimettere questo al centro delle preoccupazioni del cristianesimo occidentale».
Sembrerebbe scontato.
«Molti hanno dimenticato che l’obiettivo della vita cristiana è la felicità, direi persino il godimento. Il combattimento della fede, cioè dell’amore, corrisponde alla più grande felicità dell’uomo. Siamo fatti per questo».
Il volume termina con un glossario dei concetti base come la fede, la santità, i sacramenti, la preghiera, l’ascesi.
«L’ho fatto per i non cristiani di buona volontà da cui speravo di essere letto. Come poi è avvenuto. Ma soprattutto per quanti continuano a dirsi cristiani e non sono più capaci di rispondere della loro fede in modo serio, razionale, concreto».
Ad esempio?
«Prendiamo l’ascesi: non è la rinuncia per la rinuncia. È la rinuncia che ci dischiude un bene più grande, un godimento più grande».
Il suo libro è una confessione di fede.
«Non mi prendo per un salvatore, per uno che ristabilisce la verità della fede in Francia. (ride) Ho fatto il libro più sincero possibile. Gli autori che cito, Blaise Pascal, Charles Péguy, Flannery O’Connor, Léon Bloy, sono scrittori di una sincerità incredibile. Scrivono con la pancia. Non mi prendo per un Pascal o un Péguy, ma ho fatto un libro a cuore aperto».
In alcuni passaggi lei parla di sé. Il cibo, la musica, i poster di Nastassja Kinski e Gloria Grahame nella stanza.
«Non è una posa. Mi piacciono la buona carne, il buon vino, mi piace fare festa. È tutto compatibile con il cristianesimo».
Sicuro?
«Cito Hilaire Belloc, amico di Chesterton: “Ovunque splende il sole del cattolicesimo troviamo amore, risate e buon vino”. La differenza che conta è tra il godimento egoista, la logica mondana e l’apertura all’altro, cioè il servizio, la fraternità autentica».
Invoca il realismo dei cristiani.
«La sub-cultura cattolica che critico è tutto il contrario del realismo. È una zuppa spirituale fatta di buoni sentimenti che non esiste nella realtà. Unita a una certa durezza farisaica».
Proprio ciò che i non credenti rimproverano ai cristiani.
«Fanno bene. Ma il mondo senza Dio ha lo stesso problema. Se indosso gli occhiali del realismo devo rivolgere ai non credenti la stessa critica. I difetti degli ultimi cristiani d’Occidente sono gli stessi dei loro avversari».
Lei scrive di «un mondo che, in mancanza di qualcosa da annunciare, si sfinisce nel denunciare».
«Siamo caduti in un tempo in cui sappiamo solo criticare. Capita di rado che un uomo o una donna annuncino una buona notizia al mondo. Invece il cristianesimo non smetterà mai di annunciare la resurrezione. La buona novella sarà nuova ogni mattina».
Cosa c’entra questo con il realismo?
«Perché Cristo è risorto cercherò di agire diversamente. Perché Cristo è risorto visiterò un malato, sanerò un conflitto o farò catechismo in periferia. Solo questo può darci un senso. Perché altrimenti alzarci la mattina?».
Torniamo alla santità. Lei scrive: «I grandi santi sono sempre insoddisfatti, ma mai rassegnati».
«Prendiamo Santa Teresa di Lisieux. Dipinta come una sdolcinata, in realtà una guerriera: non rinuncia all’aspirazione dell’infanzia alla gloria e alla felicità. Questa è l’anti-rassegnazione. Non accetta che il mondo le proponga qualcosa di inferiore al suo desiderio. Dice: se il Signore ha messo questo desiderio nel mio cuore è perché può appagarlo».
Questo è il suo messaggio?
«Questo va annunciato oggi. Il desiderio immenso che abbiamo nel cuore può essere appagato, ma solo nella santità. Siamo stati fatti per qualcosa di più grande di noi. E il compimento di questa vocazione soprannaturale è l’amore, l’altro nome della santità».
Che senso ha tutto ciò per la sua generazione?
«Non mi sento solo. Ho la fortuna di avere amiche e amici molto cari. Ho scritto questo libro per loro. Certe pagine per gli amici non credenti. Certe altre per i cattolici ferventi».
Come è stato accolto il libro?
«In modo incoraggiante. Tanti cattolici, anche giovani, anche sconosciuti, mi hanno espresso il loro entusiasmo. Siamo in tanti a pensare che la santità è l’unica avventura degna di essere vissuta quaggiù».
E i non credenti?
«Ho avuto una eco molto positiva anche tra certi di loro. Hanno visto qualcosa di gioioso nella mia fede».
Mancano nel libro i cristiani non cattolici e i credenti non cristiani.
«Il libro è sul cattolicesimo, la fede nella quale sono cresciuto. Volevo indagare cosa significa essere un buon cattolico, qual è il senso profondo della mia fede. Volevo risituare il combattimento della santità al cuore della pratica cattolica».
Il suo stile: denso ma accessibile.
«Mi è venuto naturale. Il libro viene da lontano. Ci sono dietro migliaia di ore di lettura».
Tra i tanti autori francesi citati manca Emmanuel Carrère.
«Lo citavo nella prima versione del libro. Quando l’editore mi ha chiesto di ridurre il testo di un terzo l’ho sacrificato».
Non mancano gli spunti polemici.
«È un libro sincero. Che rispecchia perfettamente la mia personalità. C’è un’energia, direi una virulenza, che ha innervosito alcuni, anche a me vicini».
Se la prende molto con la sub-cultura cattolica.
«E non ho ancora finito. Potrei dedicarle un pamphlet in futuro».
Tra gli esempi di sub-cultura cattolica lei cita nell’edizione francese del libro l’arte di Marko Rupnik, gesuita sloveno ora al centro di un grave scandalo sessuale.
«È un esempio di quei prodotti culturali che interessano solo i cattolici, sintomo di una rottura con la cultura di tutti».
Concentrandosi sulla crisi del cattolicesimo seguita alla rivoluzione borghese non rischia di idealizzare i secoli precedenti?
«Non mi faccio illusioni sul passato. Quando parlo di cristianesimo borghese, in un certo senso rimonto a Adamo ed Eva. Da sempre la santità è un combattimento di minoranza».
Definisce il «Trattato di ateologia» di Michel Onfray del 2005 un errore di gioventù del filosofo, un testo non riuscito. E se il suo libro tra vent’anni fosse giudicato allo stesso modo?
«Il mio è sicuramente un libro non riuscito. Come del resto tutte le opere della mano dell’uomo. Si può solo tentare. Solo Dio riesce a fare ciò che vuole, ciò che è buono»
a cura di Marco Ventura “la Lettura” del 14 maggio 2023
www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202305/230514saint-cheronventura.pdf
SINODO
Convertirsi alla sinodalità. Sfida per clero e laicato
A Loppiano il Convegno su vescovi e buone pratiche di condivisione. Le relazioni di Grech, Repole, Castellucci e Zani. L’invito a dare più spazio ai giovani.
È importante «guardare alla Chiesa delle origini tratteggiata negli Atti, una Chiesa sinodale dove si
condivideva ogni cosa, sotto la guida degli apostoli». L’invito è arrivato dal cardinale Mario Grech, segretario generale del Sinodo dei vescovi, nel suo intervento al convegno “Vescovi per un cammino sinodale. Esperienze e buone pratiche” tenutosi nei giorni scorsi a Loppiano, la cittadella del Movimento dei Focolari a trenta chilometri da Firenze, nella diocesi di Fiesole. Un appuntamento promosso dal “Centro Evangelii Gaudium” dell’Istituto universitario Sophia. Era presente anche il cardinale Gualtiero Bassetti, già presidente della Cei.
Il protagonista di questo «processo sinodale – ha sottolineato Grech – è lo Spirito Santo, che non è una prerogativa di alcuni, nemmeno solo dei vescovi, ma di tutti noi battezzati. Sebbene il ministero del vescovo sia essenziale per la riuscita di una Chiesa sinodale, è altrettanto vero che siamo chiamati a compiere una conversione, che non tocchi tanto la natura, quanto l’esercizio del ministero episcopale. È importante ispirarsi ad una leadership condivisa, che porti a una obbedienza più dialogata».
Una riflessione che ha aperto un dialogo ricco di argomenti e dove i vescovi, circa 17 da tutta Italia, hanno individuato alcune questioni e criticità: dal maggiore coinvolgimento dei giovani alla necessità di trovare un linguaggio comprensibile; dallo svolgimento e dalle tematiche del prossimo Sinodo di ottobre all’importanza di un approccio pastorale, alla missione che non è “fare prediche”, bensì prima di tutto “testimonianza”.
Il contributo della teologia alla sinodalità è stato oggetto dell’intervento di Roberto Repole, arcivescovo di Torino e vescovo di Susa. «La sinodalità – ha spiegato – non è certo un’invenzione della Chiesa del nostro tempo. Essa caratterizza la vita ecclesiale, quale sua dimensione costitutiva. Alla riflessione teologica spetta di richiamare il fondamento, al fine di evitare che la sinodalità si riduca a mera dimensione sociologica ed organizzativa. A tal fine, la teologia è chiamata ad offrire il suo contributo critico per evidenziare quanto della cultura contemporanea costituisce uno stimolo a riscoprire la sinodalità nella Chiesa, quanto può comprometterne invece il valore evangelico e quali aspetti, dentro l’attuale contesto ecclesiale, domandano di essere ormai precisati».
Sul cammino sinodale in Italia si è incentrata la relazione dell’arcivescovo Erio Castellucci, vicepresidente della Cei per l’Italia settentrionale e alla guida delle diocesi di Modena-Nonantola e Carpi. «Alla fine del primo anno è stato delineato il nostro sogno di Chiesa. Nel secondo anno si è cercato di concretizzarlo. Ci sarà l’Assemblea, dove si farà una raccolta dei cantieri in atto e proveremo a fare una lettura di carattere pratico per raggiungere quella Chiesa sognata».
Quattro gli argomenti da approfondire:
- «Necessità di formazione, con l’iniziazione cristiana da ripensare a fondo.
- La corresponsabilità, che fatica a trovare una sua modalità operativa.
- La revisione di alcune strutture, che gravano sulla gestione e sul bilancio di una comunità cristiana.
- La presenza nella società è richiesta alla Chiesa in Italia, stante la crisi dell’associazionismo».
Sul rapporto fra “Global Compact on Education” e Sinodo ha parlato l’arcivescovo Vincenzo Zani, archivista e bibliotecario di Santa Romana Chiesa, che ha raccontato l’esperienza di un “camminare insieme” che «ha coinvolto responsabili dell’ebraismo e dell’islam, poi di altre religioni, fino all’invito rivolto ai Grandi della terra di sottoscrivere un patto educativo globale»
Antonio Degl’Innocenti “Avvenire” 9 maggio 2023
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TEOLOGIA
Teologia e diritto canonico
Durante il periodo nel quale ho soggiornato a Roma per frequentare gli studi teologici presso l’Università Gregoriana ho avuto al Seminario Lombardo diversi compagni illustri che frequentavano la Facoltà di Diritto canonico e che hanno fatto tutti una brillante carriera ecclesiastica divenendo alti prelati: Carlo Caffarra, Attilio Nicora, Francesco Coccopalmerio cardinali e Giuseppe Vacchelli arcivescovo, Segretario di Propaganda fide (gli ultimi due tuttora viventi).
Un’esperienza personale. Era la stagione del Concilio, che aveva inaugurato con la promulgazione della “Dei Verbum” e della “Lumen gentium” una ecclesiologia non più incentrata prevalentemente sull’aspetto giuridico-istituzionale, ma su quello carismatico-spirituale, e personalmente li snobbavo (in verità non io solo) dicendo che il diritto canonico era una disciplina anacronistica, retrograda e reazionaria. In seguito, esaurito il ciclo istituzionale della teologia, dovevo scegliere il biennio di specializzazione: i miei interessi vertevano sulla filosofia e sulla teologia fondamentale. Ma venni raggiunto in quei giorni da una telefonata del rettore del Seminario novarese, il quale mi comunicava che, essendo morto improvvisamente in età ancora giovane il professore di morale, dovevo scegliere la specializzazione in teologia morale. Fu per me come un fulmine a ciel sereno. Avevo una vera e propria allergia verso quella materia, che si sviluppava secondo il modello di una casistica intrisa di diritto canonico. Entrai in uno stato di depressione, poi mi ripresi, iscrivendomi contemporaneamente al biennio ad lauream alla Gregoriana e al biennio di morale all’Accademia Alfonsiana,
dove insegnava padre Bernhard Häring (α1912-ω1998) uno dei fondatori dell’Accademia Alfonsiana e viene considerato dai suoi successori il più grande teologo morale cattolico del XX secolo. Di padre Bernhard Haering avevo letto con vero piacere il primo volume del manuale della teologia morale – sulla morale fondamentale – in cui ribaltava il modello canonistico tradizionale introducendo come riferimento fondativo la Bibbia e la teologia dogmatica e spirituale. Inoltre, frequentando i corsi di Joseph Fuchs, SI (α1912-ω2005)alla Gregoriana mi sono rasserenato, e progressivamente ho imparato ad amare questa disciplina, che aveva del tutto abbandonato il forte riferimento al diritto canonico.
{Entrambi furono in aperto contrasto alla condanna della contraccezione. Ndr}
Un rapporto conflittuale. Questo lungo preambolo è per mettere fin dall’inizio in chiaro quale è il mio giudizio sul diritto canonico o meglio la precomprensione pregiudiziale con cui mi sono accostato e tuttora mi accosto a quella disciplina. Non intendo negare la necessità all’interno della chiesa di una forma di legislazione che regoli alcuni rapporti interni e con l’esterno, ma sono convinto debba essere più limitata e più agile, e soprattutto non vada concepita come struttura portante della ecclesiologia. Purtroppo ancora oggi una parte consistente dei canonisti – lo conferma il dibattito in corso in preparazione del Sinodo – ha una visione di chiesa in cui a prevalere sono gli aspetti giuridico-istituzionali. Questo dato di fatto inconfutabile ha reso (e rende) conflittuale il rapporto tra diritto canonico e teologia (in particolare, come già si è ricordato, con l’ecclesiologia), dando vita a una vera opposizione tra le due discipline. Lo scontro si fa più acceso in alcuni momenti nei quali vengono affrontate questioni riguardanti la conduzione della vita della chiesa come l’attuale discussione attorno alla sinodalità e al ruolo dei laici. La priorità conferita agli aspetti istituzionali non poteva che mettere in primo piano la dimensione gerarchica, con la riproposta di una visione verticistica decisamente superata dal Vaticano II, che ha rovesciato la piramide, assegnando il primato al “popolo di Dio” e inserendo la gerarchia all’interno (non al di fuori e al di sopra) e al servizio della intera comunità cristiana.
La cosiddetta “legge fondamentale” (Lex ecclesiæ fundamentalis [mai promulgata] e il nuovo codice di diritto canonico (Codex iuri canonici), promulgato nel 1983, al di là della cornice ispirata ad alcune categorie conciliari, ripropone in realtà una visione dell’esercizio delle funzioni magisteriali e della ricerca teologica che ci porta indietro nel tempo, non rifacendosi alle indicazioni e agli orientamenti offerti dal Concilio, ma proponendo la visione tridentina di Chiesa, che ha trovato un ulteriore supporto nel Vaticano I. Nel primo caso – quello della “legge fondamentale” – si è scatenato, dopo la sua promulgazione, un dibattito a tinte forti, che non ha mancato di tradursi talora in atti di aperto dissenso e di vera contestazione. I teologi avevano giustamente visto in tale legge un consistente ridimensionamento dell’idea di chiesa conciliare, fino alla contrapposizione tra un modello carismatico e un modello giuridico.
Nel secondo caso – quello del diritto cattolico – si profilava un ulteriore colpo di mano: ad essere intaccato non era soltanto l’impianto ecclesiale ma, più radicalmente, la stessa teologia rinnovata del Concilio, che subiva un contraccolpo, soprattutto a livello metodologico, ma anche a causa dell’uso di categorie desuete che non corrispondevano ai connotati dello stesso linguaggio – il linguaggio non è un puro involucro ma dice la “cosa” – che lasciava intravedere un’immagine assai diversa rispetto al percorso fatto nei primi decenni postconciliari.
La forte presenza della Bibbia, non come puro elemento decorativo, ma come struttura portante dell’intero impianto della teologia confligge apertamente con una visione legalistica come quella che sta alla base del diritto canonico. Si tratta di due modi alternativi di accostarsi al cristianesimo;
- il primo aperto al mistero, che non si spiega ma può essere soltanto fatto oggetto di “comprensione”;
- il secondo caratterizzato dalla tendenza a circoscriverne con precisione i contorni secondo un ordine razionale perfetto, che non fa spazio all’inconoscibile e all’innominabile, a una presenza-assenza: nonostante la rivelazione di Dio è infatti più quello che di lui non conosciamo che quello che conosciamo. Per questo l’accostamento al divino può avvenire soltanto – ce lo ricorda Paolo – “come attraverso uno specchio ed enigmaticamente”, facendo uso di un linguaggio simbolico, che evoca, allude, dice la “cosa” ma rinvia “oltre”; in una parola – come afferma Levinas – il linguaggio dell’”infinito” e non della “totalità”.
Per una teologia del diritto canonico. Il conflitto tra teologia e diritto canonico non esclude (e non può escludere) l’esigenza di un rapporto tra la due discipline. La critica fin qui fatta al diritto canonico è legata soprattutto alle modalità con cui lo si è ricuperato nel postconcilio con la pretesa, in molti casi insistita, di restituzione del primato all’aspetto istituzionale della chiesa. Il che non significa che quest’ultimo aspetto non sia in essa presente e debba essere preso seriamente in considerazione. La ecclesiologia del Vaticano II, con la centralità assegnata al “popolo di Dio”, ci offre una concezione di chiesa come realtà divino-umana, cioè come una comunità di uomini e donne chiamati a fare insieme una comune esperienza. La fede e la salvezza non sono per i cristiani eventi individuali; sono ambedue realtà che nascono in un contesto comunitario e si sviluppano entro tale contesto.
Questa dimensione comunitaria (non societaria) ha bisogno per svilupparsi di alcune norme, che consentano l’esercizio delle diverse attività comuni. Ma deve trattarsi – come peraltro ricordava a suo tempo Tommaso d’Aquino – di un numero ristretto di norme al servizio della vita comunitaria; un numero limitato alla stretta necessità, in modo che venga preservata la assoluta priorità della dimensione spirituale-carismatica. La ragione fondamentale che l’Aquinate adduce per giustificare questa posizione è costituita dal fatto che al cristiano, in virtù della redenzione, è data la “legge nuova” (lex nova) consistente nella grazia dello Spirito Santo (gratia Spiritus Sancti), la quale esige la presenza di alcuni precetti (pochi) che hanno la duplice funzione di predisporre alla ricezione dello Spirito e di tradurre in azioni concrete le sollecitazioni che da esso provengono (Summa theologiæ, I-II, q. 108).
A queste ultime condizioni (e solo a queste) il rapporto tra teologia e diritto canonico può svilupparsi in modo corretto e costruttivo.
Giannino Piana “Il Gallo” maggio 2023
www.ilgallo46.it/teologia-e-diritto-canonico
www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202305/230505piana.pdf
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