News UCIPEM n. 982 – 1 ottobre 2023

News UCIPEM n. 982 – 1 ottobre 2023

UNIONE CONSULTORI ITALIANI PREMATRIMONIALI E MATRIMONIALI

“Notiziario Ucipem” unica rivista – registrata Tribunale Milano n. 116 del 25.2.1984 Supplemento online.

Direttore responsabile Maria Chiara Duranti. Direttore editoriale Giancarlo Marcone

Le news sono strutturate: notizie in breve per consulenti familiari, assistenti sociali, medici, legali, consulenti etici ed altri operatori, responsabili dell’Associazione o dell’Ente gestore con note della redazione {…ndr}. Link diretti e link per pdf -download a siti internet, per documentazione.

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Carta dell’U.C.I.P.E.M.

Approvata dall’Assemblea dei Soci il 20 ottobre 1979. Promulgata dal Consiglio direttivo il 14 dicembre 1979. Estratto

1. Fondamenti antropologici

1.1 L’UCIPEM assume come fondamento e fine del proprio servizio consultoriale la persona umana e la considera, in accordo con la visione evangelica, nella sua unità e nella dinamica delle sue relazioni sociali, familiari e di coppia

1.2 L’UCIPEM si riferisce alla persona nella sua capacità di amare, ne valorizza la sessualità come dimensione esistenziale di crescita individuale e relazionale, ne potenzia la socialità nelle sue diverse espressioni, ne rispetta le scelte, riconoscendo il primato della coscienza, e favorendone lo sviluppo nella libertà e nella responsabilità morale.

1.3 L’UCIPEM riconosce che la persona umana è tale fin dal concepimento.

Contributi anche per essere in sintonia con la visione evangelica

02 ABUSI                                               Abusi nella chiesa, il rapporto sulle molestie in Svizzera fa luce sui problemi del clero4

03 BIBBIA                                              Gli apocrifi: una teologia narrativa?

O7 BIOETICA                                        Una stagione difficile

09 CENTRO GIOVANI COPPIE           L’archivio delle conferenze è on line!

09 CENTRO INT. STUDI FAMIGLIA    Newsletter CISF – N. 35, 26 settembre 2023

11 CHIESE ORIENTALI                         Europa, i vescovi di rito orientale: “Le famiglie, una priorità della Chiesa”

12 CONSULTORI UCIPEM                   Milano 1-Istituto La casa                   Attività extra e Gruppo adozioni internazionali

15                                                          Senigallia               Il Consultorio familiare UCIPEM compie 50 anni

17 DALLA NAVATA                              XXVI domenica del tempo ordinario (anno A)

17                                                           C’è chi nega Dio ma compie ciò che Dio vuole

18 FRANCESCO VESCOVO ROMA    La lenta rivoluzione di Francesco

19 GESTAZIONE PER ALTRI                Trascrizione: il giudice non può superare il divieto fissato dal legislatore

20 PRETI SPOSATI                               Perchè non sanare anche le situazioni aperte che ci sono nella chiesa di rito latino,

19                                                          Halík: il cristianesimo è alle soglie di una nuova riforma?

22 SACERDOTI                                      Quale prete, per quale Chiesa

25 SESSUOLOGIA                                 Sesso, sempre più giovani fanno ‘flop’: stili di vita e ormoni sotto accusa

26 SINODO                                           Basilea: incomprensibili obbligo del celibato e esclusione delle donne dal sacerdozio

26                                                           Se a parlare è il dogma non c’è sinodalità

29 STORIA ECCLESIASTICA                 Leone XII a 200 anni dalla elezione ci sono ancora da studiare le sue riforme

31 TEOLOGIA                                        Manifesto per una teologia dal Mediterraneo

ABUSI

Abusi nella chiesa, il rapporto sulle molestie in Svizzera fa luce sui problemi del clero

All’elenco delle conferenze episcopali che hanno deciso, a differenza di quelle italiana e polacca, di far sul serio sul terreno della lotta agli abusi sessuali del clero va ora aggiunta quella svizzera. Da pochi giorni è stato infatti pubblicato il primo Report della commissione indipendente incaricata di far luce sul tema nel territorio della Confederazione Elvetica. Si tratta di uno “studio-pilota” realizzato in un solo anno di lavoro e anticipatore di un più ampio e approfondito lavoro di ricerca da realizzarsi nel prossimo futuro. Malgrado questo limite, il documento presenta almeno due notevoli motivi di interesse

  1. Il primo di questi è metodologico e riguarda il carattere squisitamente scientifico dell’impresa. L’episcopato svizzero ha infatti deciso di affidare il delicato incarico di lavorare sul tema a un gruppo di soli accademici, in particolare di storici dell’Università di Zurigo esperti in ricerca d’archivio e storia orale. A costoro, la chiesa svizzera ha consentito il pieno accesso a quegli armadi parrocchiali e diocesani (e a quelli di molti ordini religiosi) nei quali sono contenuti i dossier che riguardano i sacerdoti macchiatisi di questi crimini nel corso degli ultimi settant’anni (un netto diniego a rendere disponibili ai ricercatori i propri registri è invece provenuto dagli organismi vaticani, dalla nunziatura apostolica e da tutti dicasteri romani).
  2. Il report. Gli scienziati sociali coinvolti nell’impresa hanno cioè potuto in piena libertà scandagliare, in tutte le diocesi del paese, decine di archivi, esaminare una documentazione di migliaia di pagine e di seguito condurre decine di colloqui e interviste con le vittime, ma anche con esperti e rappresentanti ecclesiastici. È ovvio che, per questa via, per ragioni che è facile immaginare (archivi distrutti o incompleti, dati cancellati, denunce di crimini non riportate o mai presentate, resoconti edulcorati rispetto alla testimonianza delle vittime) si è potuto far luce solo su una parte del fenomeno. Si tratta tuttavia di quella porzione di esso che era ben nota alle autorità ecclesiastiche e che, per le motivazioni più varie e spesso con la complicità di singoli, famiglie e autorità civili, è stata tenuta nascosta per decenni. Un oscuramento, e il report molto opportunamente lo riconosce, che non si è limitato al clero diocesano, ma che ha incluso gli ordini religiosi e anche i cosiddetti “movimenti ecclesiali”, ovvero quei gruppi, tanto spesso generati dall’azione di un capo carismatico (Kiko Arguello, Chiara Lubich, ecc.), che negli ultimi sessant’anni hanno animato la vita della chiesa. In tali aggregazioni è talvolta prevalsa una logica settaria e fanatica, inevitabilmente accompagnata da manifestazioni di subordinazione incondizionata, da raggiri e da abusi (anche sessuali).

I dati. I casi di abuso individuati e documentati dalla commissione sono stati un migliaio. Le vittime sono risultate in maggioranza maschi (56%) e in larga misura minorenni (il 74%). Quest’ultimo dato rimanda a un secondo motivo di interesse ricavato dai dati del report svizzero. Gli estensori del rapporto hanno infatti deciso di estendere la rilevazione anche agli adulti (il 14%; del restante 12% non si è riusciti a stabilire l’età). Per giustificare questa scelta, gli autori del report hanno dovuto far propria quella teoria che stabilisce che se uno dei due partner di una relazione sessuale gode di una posizione di autorità rispetto all’altro (e se quindi quest’ultimo si trova in una condizione di “dipendenza spirituale, emozionale, finanziaria o strutturale”), ogni consenso è in linea di principio assolutamente escluso. «In tali situazioni, – si legge nel rapporto – l’autore del delitto si adopera al fine di “sottomettere” preventivamente le proprie “vittime”, cosicché le persone offese si sentono “prescelte”, e il contatto fisico viene motivato dal contesto sacro».

Una manipolazione. In altre parole, l’assenso che il partner più debole (ma adulto e nel pieno delle sue facoltà) ha espresso al momento della consumazione del rapporto è da considerarsi, per questa teoria, sempre frutto di una manipolazione, di una sottile estorsione ad opera del potente. Gli studiosi svizzeri sono consapevoli del carattere controverso di questa posizione e, in due passaggi dell’articolo, menzionano due rischi che non vanno sottovalutati:

  1. il primo è che sfumi del tutto la distinzione tra abuso e relazione sessuale consenziente, dal momento che quest’ultima può essere sempre, a distanza di tempo e stante le condizioni di cui sopra, essere classificata come abuso.
  2. Il secondo rischio è che le vittime vengano “intrappolate” a vita in un ruolo che assegna loro solo la parte di oggetti passivi e manipolati. Di qui, «Poiché diverse persone hanno esplicitamente dichiarato di non volersi identificare unicamente come vittime», è discesa la decisione, si legge nel report, di rinunciare all’uso del sostantivo vittima e utilizzare «diverse formulazioni quali “persone abusate”, “persone offese” e “persone vittime di abuso”».

Personalmente sono disposto a riconoscere per intero la bontà della scelta di includere gli adulti tra le persone offese, a patto che però si riconosca che buona parte della responsabilità ricade su quegli elementi culturali così diffusi nel cattolicesimo che mettono al centro la funzione di guida spirituale dei sacerdoti, l’obbedienza incondizionata, la gerarchia e la disciplina. Bisogna insomma accettare (e lo fanno esplicitamente anche gli estensori del rapporto nelle pagine conclusive del documento) il fatto che l’idea che la salvezza (o la perfezione) si raggiunga attraverso il totale affidamento ad un pastore (maschio e celibe) al quale vengono attribuite virtù e qualità sovrumane è la premessa per la stragrande maggioranza degli abusi, degli sconfinamenti, delle manipolazioni e delle violenze clericali. Se non si modifica questo elemento, la storia degli abusi clericali non avrà mai un termine. Ce ne è giunta una conferma anche dalla Svizzera.

prof. Marco Marzano,(*1965) Università Bergamo-“Domani”29 settembre 2023

www.editorialedomani.it/politica/mondo/abusi-nella-chiesa-il-rapporto-sulle-molestie-in-svizzera-fa-luce-sui-problemi-del-clero-sd6hsqmv

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202309/230929marzano.pdf

BIBBIA

Gli apocrifi: una teologia narrativa?

                I quattro vangeli canonici raccontano l’operare di Gesù e la storia della sua vita, ma lasciano anche lacune nella vita del Redentore. Nei primi secoli, dopo la morte e la risurrezione di Gesù, i primi cristiani riempirono questi spazi vuoti. Una riflessione teologica in forma narrativa.

                In ogni episodio ci sono delle lacune, cose che non vengono raccontate o che hanno bisogno di una spiegazione. Ciò stimola i lettori o gli ascoltatori ad un’ulteriore riflessione. A volte ne deriva una nuova narrazione inseparabilmente intrecciata con quella originale nelle menti dei destinatari e ha una sua efficacia. Chiunque si trovi nell’imponente contempla le magnifiche raffigurazioni in mosaico sulle pareti, può rimanere sorpreso. In alto, a sinistra, sull’arco trionfale, è raffigurata Maria che trae e lavora la lana rossa da un cesto alla sua destra, mentre l’angelo Gabriele le annuncia che sta per essere incinta di Gesù, il Figlio di Dio.

                Spesso in queste scene dell’Annunciazione si vede Maria che legge la sacra Scrittura. Perché qui sta facendo anche dei lavori manuali? Se osserviamo, il testo biblico Lc 1,26-38, non dice nulla su ciò che Maria sta facendo quando Gabriele si presenta a lei con il suo sorprendente messaggio. La scena invita, quindi, ad immaginare che cosa qui è lasciato sospeso. E ciò è avvenuto già prima che venissero realizzati i mosaici di Santa Maria Maggiore.

                Un testo che, in seguito, divenne noto come Protovangelo di Giacomo (ProtevJac) e che risale probabilmente al 200 d.C. circa, mostra come Maria, una delle sette vergini scelte, stia lavorando per tessere un velo per il Tempio di Gerusalemme, quando Gabriele le appare. Anche il colore del materiale con cui lavora non è casuale, ma era stato prima tratto a sorte: puro cremisi e scarlatto. Almeno così racconta il citato Protovangelo (ProtevJac, 10-11), il quale contiene altri dettagli sulla vita di Maria prima e dopo l’Annunciazione.

Leggende e teologia

                Si tratta senza dubbio di storie leggendarie, così come anche i racconti della nascita di Gesù nei Vangeli di Matteo e di Luca hanno dei tratti leggendari e non possono essere valutati storicamente in senso moderno. Se questo fosse l’unico accesso a un testo come il Protovangelo, allora potremmo rapidamente lasciarlo da parte. Ma anche una rappresentazione come quella citata all’inizio rimarrebbe per noi solo una realizzazione artistica accidentale.

C’è una storia più lunga dietro il lavoro di Maria sul velo del tempio. Il Protovangelo racconta di Maria che, dai tre ai dodici anni, cresce nel tempio di Gerusalemme (ProtevJac, 7.1-8.2) e lo scopo è preservarla da ogni impurità. Infatti – dal punto di vista del testo – solo in questo modo è concepibile che lei, creatura umana, possa diventare Madre di Dio. Questo è esattamente ciò che decretò il Concilio di Efeso nel 431 d.C., attribuendo a Maria il titolo di “genitrice di Dio” (Theotokos).

                In definitiva, quella descritta nel Protovangelo sotto forma di racconto è una visione teologica. E proprio la forma del racconto continua tuttora a provocare la nostra curiosità, oltre ad essere un approccio molto singolare e spesso più facilmente comprensibile.

                Il Protovangelo di Giacomo non è l’unico testo che tenta di colmare i vuoti biografici lasciati dalle storie di Gesù nei quattro vangeli canonici. Mentre l’obiettivo principale del Protovangelo è la storia di Maria dal suo concepimento fino alla nascita di Gesù, il cosiddetto Vangelo dell’infanzia di Tommaso (KThom) racconta gli eventi della vita di Gesù dai cinque ai dodici anni. Altri testi fanno luce sulle circostanze della morte e della risurrezione di Gesù o si interrogano con maggiore precisione sul ruolo delle donne al suo seguito. Offrono tutti una teologia in modo narrativo e testimoniano la grande forza iniziale delle storie della Bibbia che le hanno precedute, sia che diano lo spunto per un’ulteriore narrazione sia che forniscano nuovi e importanti motivi. Da un lato, i numerosi manoscritti sopravvissuti (almeno alcuni di essi) dimostrano che si trattava di un “modello di successo”, anche se spesso non erano molto apprezzati dalla Chiesa ufficiale e, in alcuni casi, venivano addirittura proibiti.

Dall’altro lato, lo testimoniano anche la molteplicità dei manoscritti e le numerose traduzioni già presenti nella tarda antichità e giunte fino al Medioevo. È impossibile immaginare la storia della pietà cristiana senza pensare a questi testi. Ancora oggi essi svolgono un ruolo importante quando, ad esempio, ogni anno, a Natale, mettiamo con naturalezza, accanto alla greppia, un bue e un asinello, che non sono menzionati esplicitamente né nel Vangelo di Matteo né in quello di Luca (ma cf. il cosiddetto Pseudo-Vangelo di Matteo, capitolo 14). Quindi, vale la pena intrattenerci su questi scritti significativi.

Sulla nascita e gli inizi di Maria. Anche in questo caso si può partire dalle decorazioni pittoriche presenti nelle chiese paleocristiane e medievali. A volte, c’è una rappresentazione della nascita di Maria che, a prima vista, si potrebbe scambiare per quella di Gesù se non ci fosse un letto in cui giace la madre e una levatrice che lava il neonato. Manca del tutto l’ambiente del fienile o della grotta. In effetti, nella raffigurazione, la neonata è Maria con sua madre Anna, che si sta riprendendo da un parto miracoloso a soli sei mesi dall’inizio della gravidanza. Certo, questo periodo di tempo non può essere rappresentato in un’immagine, ma è descritto nel Protovangelo di Giacomo (5,2) come uno dei segni della speciale maturità di Maria. Il fatto che venga donata ai suoi genitori, Anna e Gioacchino, dopo un lungo periodo di infertilità, riprende un noto motivo biblico (similmente avviene per Sara e Abramo, Rachele e Giacobbe, Anna ed Elkana) e quindi enfatizza, in un altro modo, la particolarità di questa fanciulla. Nasce perché Dio lo rende possibile e perché lo vuole (ProtevJac, 2-4:4). Inoltre, il Protovangelo di Giacomo racconta come Maria sia cresciuta in tutta purezza e separata tutto ciò che è profano, prima nella casa dei suoi genitori (6,1-7,2) e poi nel tempio (7,2-8,2). È logico che le rappresentazioni pittoriche corrispondenti mostrino la casa come ambiente protettivo per Maria alla nascita e facciano cominciare la sua vita con un bagno. (Il testo menziona solo la levatrice, quello che fa con un bambino appena nato, ma può essere dedotto dall’esperienza di vita e, ancora una volta, acquista un significato speciale per Maria.) Quando deve essere tessuto il velo del tempio sopra menzionato, Maria è una delle sette vergini scelte dalla “stirpe di Davide”. Quasi incidentalmente si afferma per loro una discendenza davidica, mentre sappiamo da Mt 1,16 (cf. anche Lc 2,4) che tale discendenza viene attribuita solo a Giuseppe. L’autore del Protovangelo riconobbe molto giustamente che l’albero genealogico di Gesù, composto artisticamente in Matteo 1,1-17 con i suoi tre elenchi di quattordici membri, alla fine porta solo a Giuseppe, suo padre adottivo, e quindi non può giustificare in modo definitivo la filiazione davidica di Gesù. Poi egli racconta di Maria come discendente della stirpe di Davide, mentre l’origine di Giuseppe non è descritta in dettaglio.

I fratelli e le sorelle di Gesù. Il fatto che Gesù avesse fratelli e sorelle è ricordato in vari punti del Nuovo Testamento. Marco 6,3 (par. Mt 13,55) nomina specificamente quattro fratelli (il primo di essi si chiama Giacomo), mentre le sorelle rimangono anonime, come tante volte le donne nei testi di quel tempo. dopo la risurrezione di Gesù, Giacomo appare come un importante rappresentante della comunità di Gerusalemme (cf. Gal 1,19; 2,9; At 15,13-21 ecc.). Il fatto dei fratelli si accorda male con l’idea della verginità permanente di Maria. Il Protovangelo di Giacomo (9,2) racconta che Giuseppe era già vedovo quando prese con sé Maria. Le sorelle e i fratelli risultano così essere i fratellastri maggiori di Gesù e non rappresentano più un problema per la verginità di Maria. Giacomo serve anche al testo come autore (fittizio), particolarmente adatto e affidabile a causa dei suoi legami familiari con gli eventi riportati.

                D’altra parte, nel Vangelo dell’infanzia di Tommaso, le cui prime versioni esistono presumibilmente già nel II secolo, incontriamo Giacomo con molta naturalezza come fratello di Gesù, il quale lo guarisce dal morso di un serpente velenoso mentre raccoglievano insieme la legna (KThom 16. Una storia simile riguardante Paolo in Atti 28,3-6 potrebbe aver fornito tale spunto). Coerente con il fatto che il Vangelo dell’infanzia, nel suo insieme, mostra poco interesse per Maria, in primo piano c’è il rapporto che Gesù, durante la sua crescita, ha con suo padre (adottivo) Giuseppe, e come è cresciuto da bambino tra i cinque e i dodici anni (cf. il Nuovo Testamento, Lc 2,41-52). In quanto padre putativo di Gesù, san Giuseppe ha un ruolo speciale da svolgere. Da Marco 6,3 non solo apprendiamo qualcosa sui fratelli e le sorelle di Gesù, ma anche che Gesù era un carpentiere. Nel più antico dei quattro vangeli non sentiamo dire proprio nulla di un padre terreno di Gesù. Il ruolo maggiore, anche se ancora molto limitato, è svolto da Giuseppe nell’evento del Natale (Mt 1-2). In Mt 13,55 Giuseppe riappare indirettamente quando Gesù viene descritto dalla gente di Nazaret come «il figlio del carpentiere». Matteo indica così ciò che era consueto nell’ambiente di quel tempo e che si potrebbe dedurre da Marco 6,3, anche senza menzione esplicita: se il figlio era falegname, lo era anche il padre, dal quale il figlio abitualmente imparava il mestiere.

Il Vangelo dell’infanzia dipinge narrativamente questa situazione, anche se con un significativo capovolgimento di ruoli. Infatti, si racconta (KThom 13) come Giuseppe minacciasse di fallire nel suo laboratorio mentre costruiva un letto per un ricco cliente. Una delle sponde laterali era troppo corta. Gesù, all’età di otto anni, che è con lui nella bottega, gli chiede di mettersi da parte e, tirando la tavola alla giusta lunghezza dall’altro lato, salva Giuseppe dalla brutta figura. Il Vangelo dell’infanzia affronta anche il problema di ciò che un figlio di Dio potrebbe effettivamente imparare dagli insegnanti umani in tre episodi riguardanti la scuola.

                Due insegnanti falliscono nel loro compito (KThom 6-8 e 14). Quando cercano di insegnare l’alfabeto a Gesù di cinque o otto anni, lui – annoiato dalle cose che già sa da tempo – fa loro delle contro- domande intelligenti a cui non sanno rispondere. Messi alle strette, percossero quello scolaro insubordinato. Il Vangelo dell’infanzia descrive poi come Gesù si arrabbi, smascheri pubblicamente l’ignoranza del primo insegnante e colpisca il secondo con una maledizione che lo fa cadere a terra da sembrare morto. Solo il terzo maestro (KThom, 15) ha successo, perché riconosce quale sapienza c’è in Gesù e quindi si mette nel ruolo dell’ascoltatore che impara. Solo così – vuole far capire il racconto del Vangelo dell’infanzia – si incontra Gesù in modo adeguato: se lo si ascolta e si impara da lui, e non viceversa. Dopo ciò, Gesù ha compassione del secondo maestro e lo ristabilisce in salute.

Anche Gesù deve imparare. Ma anche il Gesù del Vangelo dell’infanzia deve imparare qualcosa che nessun uomo può insegnargli: come gestire il suo potere divino. Le sconcertanti maledizioni e i miracoli punitivi, che a volte colpiscono anche altri bambini i quali si mettono nei guai giocando con Gesù (KThom 3-4), mostrano che la sua parola taumaturgica può, in linea di principio, essere tanto salvifica quanto distruttiva. Il fatto che il Vangelo dell’infanzia riflettesse costantemente su queste due opzioni in modo narrativo non incontrò solo approvazione. La forza narrativa dell’immaginazione è forse andata troppo oltre e deve essere criticata teologicamente? Nella ricerca sugli apocrifi, fiorita nel XX secolo, questo riempimento narrativo delle lacune biografiche è stato spesso giudicato come una reprensibile “pia curiosità” e persino di cattivo gusto. Risulta pertanto indispensabile, per una corretta valutazione, non leggere il Vangelo dell’infanzia indipendentemente dalla storia di Gesù raccolta nei Vangeli canonici. Agli inizi essa è raccontata nei vangeli del Nuovo Testamento.

Questo Gesù non fa sua l’opzione del Vangelo dell’infanzia. Non maledice coloro che lo feriscono o che lo minacciano, ma, sebbene innocente, va incontro alla morte. Il fatto che questo cammino non sia scontato per un Figlio di Dio, ma estremamente significativo e salutare proprio per la sua singolarità, è sottolineato nel Vangelo dell’infanzia attraverso le sue “controstorie”.

Allo stesso tempo, il testo si mostra felice nell’inventare storie che possono irritare il pubblico di oggi riguardo all’immagine comune di Gesù. (Certamente hanno contribuito alla narrazione anche storie pagane di straordinari figli degli dèi: Eracle, ad esempio, già nella culla uccide i serpenti che Era aveva mandato per danneggiarlo). Alla fine, però, prevalgono quelle storie in cui Gesù impegna il suo potere miracoloso e la sua grande sapienza a beneficio degli altri. Allo stesso tempo, il testo soddisfa un bisogno di giustizia profondamente umano, ad esempio quando vengono pubblicamente denunciati quegli educatori che non sanno motivare gli studenti annoiati, ma sanno solo disciplinarli ricorrendo alle punizioni.

Il Vangelo apocrifo di Maria di Magdala. Anche a Maria Maddalena è attribuito un vangelo apocrifo. Analogamente alla preistoria e all’infanzia di Gesù, anche la fine della vita di Gesù e il periodo immediatamente successivo alla risurrezione offrono punti di partenza popolari per ulteriori narrazioni. Se rivolgiamo lo sguardo alle donne che seguono Gesù, diventa particolarmente importante il momento in cui i discepoli fuggono quando Gesù viene arrestato. Perché solo allora hanno visibilità quelle donne che, senza dubbio, appartenevano già al gruppo dei discepoli, ma che, per lo più, furono oscurate dalla presenza maschile. La più famosa di loro è Maria di Magdala. Nei quattro vangeli divenuti canonici, la si incontra per nome per la prima volta subito dopo la morte di Gesù, ad eccezione di Luca, che la menziona almeno brevemente in Lc 8,2. Il fatto che il Nuovo Testamento riferisca così poco di questa donna, che è una delle prime testimoni della risurrezione in tutti e quattro i vangeli (ed è addirittura l’unica in Giovanni 20), ha senza dubbio messo le ali all’interesse e all’immaginazione narrativa. Essa svolge un notevole ruolo nei vari primi vangeli cristiani che non sono inclusi nel canone biblico.

Nel secondo secolo esiste addirittura un vangelo sotto il suo nome (EvMar). Particolarmente significativo è il rapporto teso tra lei e Pietro dopo la risurrezione di Gesù. Da una parte, Pietro invita Maria a riferire il suo ricordo delle parole di Gesù essendo la donna che «il Redentore amava più delle altre donne» (EvMar, BG 1, p. 10,1-6). Ma quando Maria racconta di una visione in cui Gesù le parlò, Pietro definì le sue parole una menzogna e allargò la critica più in generale: «Egli [Gesù] ha effettivamente parlato di nascosto con una donna di fronte a noi [discepoli] e non pubblicamente? Dobbiamo anche noi tornare indietro e ascoltarle tutte? Ha forse scelto loro più di noi?» (EvMar, BG 1, p. 17,18-22). Maria allora scoppia in lacrime, ma un discepolo di nome Levi la difende.

                Anche qui vale quanto detto sopra circa la mancanza di contenuto storico di tali narrazioni, ma, dietro la finzione narrativa, sono indubbiamente riconoscibili vere e proprie rivalità per i ruoli di leadership nella comunità post-pasquale di coloro che seguono Gesù.

                Da un lato, le lettere pastorali del Nuovo Testamento mostrano che non si è conclusa a favore delle donne la funzione di dirigente delle comunità. Dall’altro, ciò è reso evidente anche dal fatto che un testo come il Vangelo secondo Maria è giunto a noi solo in una versione copta incompleta e in due frammenti di papiri greci. Si può solo immaginare quanti di questi testi siano andati perduti per sempre.

                Già nei primi tempi del cristianesimo, i racconti del Nuovo Testamento su Gesù, soprattutto con le loro lacune biografiche, invitavano a continuare a raccontarle sotto forma di nuovi testi e a chiarirne anche le incongruenze. Questi testi, che non rientrano nel canone biblico, non offrono alcuna informazione storicamente utilizzabile, ma offrono invece una riflessione teologica in forma narrativa. Non di rado essi riprendono anche la pratica religiosa e gli sviluppi dottrinali e, a loro volta, influiscono su di essi.

   (α 1971)La prof.ssa Ursula Ulrike Kaiser insegna Nuovo Testamento all’Università Friedrich Schiller di Jena. I suoi principali interessi di ricerca sono: Scritti giovannei, Apocrifi del Nuovo Testamento e scritti copto-gnostici, interpretazione delle metafore paleocristiane, metodi di esegesi.

apocrifi

                    Questo articolo è apparso su “Bibel und Kirche” (Bibbia e Chiesa), rivista di ricerca e di pratica biblica, diffusa in Germania, Austria e Svizzera. È un trimestrale di lingua tedesca e fornisce informazioni sulle discussioni in corso nel settore biblico. È stato pubblicato dalla KNA, Agenzia della Chiesa tedesca, il 20 agosto 2023. La traduzione è di Antonio Dall’Osto.

                www.settimananews.it/bibbia/gli-apocrifi-teologia-narrativa

BIOETICA

Una stagione difficile

La bioetica attraversa oggi una stagione difficile. Tra i molti problemi, che si sono venuti accentuando negli ultimi decenni un ruolo centrale rivestono, al riguardo, le molte forme di manipolazione del corpo e l’utilizzo di tecnologie sempre più sofisticate che mettono in serio pericolo la stessa identità umana. Ma non sono soltanto queste tematiche del tutto nuove ad impensierire; vi sono anche tematiche più tradizionali, che hanno subìto profonde modificazioni nella loro messa in atto a causa del progresso tecnologico, che ne ha alterato la natura originaria, con pesanti ricadute sulla vita delle persone. A questi due ambiti di applicazione dei nuovi strumenti a disposizione, cioè il rapporto medico-paziente e l’eugenetica dedichiamo questi rapidi appunti.

La relazione medico-paziente. Il primo ambito – quello del rapporto medico-paziente – affronta una questione di estrema delicatezza, che ha a che fare con gli stessi diritti del malato, e più profondamente con il dovere di prendersi cura della integralità della persona. e fornendo al medico importanti indizi per affrontare correttamente la condizione patologica, con il rischio, in molti casi a una vera e propria ecclissi dell’umano, a un processo cioè di vera e propria disumanizzazione. La questione in realtà non è nuova, se si pensa che già nel Medioevo, accusato di pseudoscienza e di pseudomedicina l’attenzione ad essa riservata occupava un ruolo di primo piano nella cultura del tempo. Respingendo le accuse che secondo Tommaso Duranti, storico medioevale di Bologna, sono originate da preconcetti di cui si abusa nella comunicazione divulgativa. A conferma di questi preconcetti e mettendo l’accento sul fatto che i medici del tempo si richiamavano di regola a quelli antichi, in primo luogo al sommo Galeno, Gilberto Corbellini, considerato oggi come il principale storico italiano della medicina, sottolinea come dalla malattia si risaliva alla persona malata, concependo il rapporto tra medico e malato e la fiducia nel medico come fattori costitutivi della qualità della relazione terapeutica (cfr. “Medioevo di malattia e di cura, Il Sole 24 Ore 6 agosto 2023, p. 6).

Ciò che si è verificato nel Medioevo si è ulteriormente sviluppato nelle epoche successive, grazie ai progressi della medicina e la sempre maggiore acquisizione dell’idea del «prendersi cura» e dall’evolversi delle conoscenze psicologiche e sociologiche, che sfoceranno successivamente, nella prima metà del Novecento, nella nascita delle cosiddette «scienze umane», con uno statuto epistemologico preciso e la determinazione, attraverso la sperimentazione diretta delle dinamiche ad esse connesse a risultati sempre maggiori con effetti largamente benefici per la vita dei pazienti. Questo processo è continuato fino ad oggi con l’applicazione delle conoscenze acquisite fino ai nostri giorni. A segnare una svolta negativa hanno tuttavia contribuito, specialmente negli ultimi decenni, da un lato – come si è già accennato – le nuove e sempre più sofisticate tecnologie frutto del progresso in campo biomedico e, dall’altro, l’affermarsi delle specializzazioni in termini assai rilevante, tra medico e paziente con il venir meno del colloquio diretto, che, oltre a mettere a fuoco aspetti particolari dello stato che il malato attraversa, ha soprattutto ricadute negative sul terreno psicologico, fattore fondamentale nella pratica della cura. Nel secondo – quello delle specializzazioni – è la considerazione del corpo nella globalità delle sue dinamiche. Più ancora, della persona umana in tutta la ricchezza delle sue espressioni personali.

Il ricorso a strumenti sempre più sofisticati (qualche volta anche altamente pervasivi) spinge il medico ad individuare la diagnosi e la prognosi a prescindere dallo stesso contatto diretto con la persona; egli non può fare riferimento al contributo della sua esperienza personale che, oltre a mettere a fuoco aspetti dello stato di malattia non facilmente riscontrabili attraverso la mediazione dello strumento, consente di far emergere i risvolti psicologici che accompagnano la sofferenza fisica e che sono parte costitutiva dell’azione curativa.

La consistente riduzione (persino talora la totale assenza) della relazione con il medico e il venir meno dell’instaurarsi di un rapporto fiduciale con lui che si traduce in un’adesione consensuale ai suoi indirizzi terapeutici crea uno stato di solitudine, accentuato dall’essere inseriti in un contesto ambientale – quello ospedaliero – al quale ci si sente estranei e abbandonati a se stessi. Se è vero che non si deve rimpiangere l’atteggiamento paternalistico del medico che creava una condizione di dipendenza – il principio di autonomia, uno dei capisaldi della bioetica, ce l’ha insegnato – non è meno vero che non si può ridurre la figura del medico a un semplice tecnico tenuto a eseguire le prestazioni che gli sono richieste dal paziente, senza avere alcuna possibilità di offrire il proprio contributo alla soluzione del problema e di esercitare una funzione umanizzante.

La questione dell’eugenetica. L’eugenetica è una disciplina dell’Ottocento che, basandosi su considerazioni genetiche, persegue come obiettivo il miglioramento della specie umana. Le difficoltà di individuare i caratteri ereditari e l’indeterminatezza del miglioramento genetico, soggetto a diverse interpretazioni, ne hanno determinato il declino. L’evento che ha più inciso a dare alla disciplina un significato gravemente negativo è stato l’uso che ne ha fatto il nazismo, per il quale essa si identifica con la selezione della razza, non risparmiando l’adozione di forme delittuose e perverse. Questa visione del tutto negativa non corrisponde oggi al significato da essa assunto, in quanto designa il trattamento delle malattie ereditarie attraverso il ricorso all’ingegneria genetica. In questa seconda accezione si tratta di un fenomeno ambivalente con il risvolto di benefici e di costi che occorre di volta in volta valutare con discernimento.

Non vi è dubbio che il progresso in questo delicato campo della ricerca e della diretta sperimentazione ha dato (e darà soprattutto in futuro) risultati di grande importanza. Ma non si devono, nello stesso tempo, misconoscere le ricadute negative cui si va incontro: ricadute dovute a interventi che perseguono obiettivi discutibili, nei quali riaffiora la tendenza, mai radicalmente sconfessata, alla selettività – si pensi al ricorso ad essa per sterilizzare senza il loro consenso persone con manifestazioni antisociali, quali alcolizzati, prostitute, disabili e pregiudicati – e, data la forte incidenza e pervasività del mezzo, allo stravolgimento dell’identità del singolo e, più in generale, della specie umana. Adam Rutherford, presidente dell’associazione umanistica britannica, nel suo recente volume. “Controllo. Storia e attualità dell’eugenetica”, edito da Bollati Boringhieri, mette l’accento sulla necessità di un approccio oggi all’eugenetica nella sua complessità per evitare di fornire alibi a comportamenti devianti con pericolose derive.

È senz’altro vero che, dopo il processo di Norimberga, non possono ripetersi situazioni analoghe a quelle del nazismo. Ma non è meno vero – osserva Rutherford– che si danno azioni concrete che perpetuano, sia pure in misura meno grave tali comportamenti: dalla punizione fino al 2015 in Cina per chi avesse avuto più di un figlio al ricorso nello stesso periodo in India a campagne di sterilizzazione di massa, fino alla discussione nel 2020 da parte del governo inglese di migliorare la qualità della popolazione, incentivando la riproduzione di persone con elevati quozienti di intelligenza e dando la spinta al moltiplicarsi di aziende che, mediante lo sviluppo di tecniche per la manipolazione del Dna, offrono ai clienti la possibilità illusoria di selezionare gli embrioni in modo da mettere al mondo persone umane più belle e più brave. Tutto questo con l’intento di procedere nella direzione

della costruzione di una umanità nuova e migliore – il progresso scientifico-tecnico è sempre concepito ottimisticamente, a prescindere dalle condizioni con cui si verifica, come un avanzamento della vita in tutte le sue espressioni umane e non – la quale accende la speranza in un futuro ricco di prospettive e proiettato verso il pieno conseguimento della felicità. I fatti lasciano – purtroppo – trasparire – si pensi al disastro ecologico – che questa speranza è ingannevole, e che occorre fare seriamente i conti, tanto per l’approccio all’eugenetica, quanto per quello relativo al rapporto medico-paziente con l’ambivalenza propria della condizione umana; una realtà mai de tutto superabile alla quale adeguare con umiltà il proprio comportamento.

Giannino Piana                Rocca    1 ottobre 2023

rocca.cittadella.org/rivista/rocca

CENTRO GIOVANI COPPIE

Incontri 2023 – 2024 – L’archivio delle conferenze è on line!

Centro Giovani Coppie San Fedele – Piazza San Fedele, 4 – Milano

Incontri 2023 – 2024

* Quattro conferenze in presenza, in Sala Ricci – Piazza San Fedele 4: non è necessario registrarsi.

* Per la prima volta, la diretta anche a distanza! Occorre registrarsi, seguendo le istruzioni che verranno date ogni volta sul sito del Centro e con la Newsletter.

Ogni iscritto riceverà il link per connettersi.

* La registrazione della conferenza sarà poi disponibile nel canale You Tube del Centro, all’indirizzo che

verrà comunicato a suo tempo.

* Quest’anno, per chi lo desidera, tre “Laboratori” in presenza per approfondire i temi delle conferenze e avviare i “punti nave” necessari ad ogni coppia.

Per iscriversi, scrivere a mail@centrogiovanicoppiesanfedele.it indicando il laboratorio al quale si intende partecipare.

Dal menu del nostro Sito è possibile consultare l’Archivio, che raccoglie le conferenze organizzate dal Centro Giovani Coppie e dal quale potete accedere direttamente ad ognuna di esse. Per ora, comprende quelle degli ultimi dieci anni, a partire dal ciclo del 2013-2014. Quelle precedenti saranno caricate a breve.

L’Archivio è organizzato per grandi “argomenti”:

•             “Essere coppia”

•             “Io, te… e i miei, e i tuoi”

•             “Coppie fuori dalla trincea: progettarsi nella società”

•             “Comunicoppia”

•             “Allora, fatti sotto!, “Tra le tue braccia”

•             “La coppia che crea”

•             “Essere genitori”

•             “Il mio io e la mia coppia”

•             “Corpo e anima”.

https://centrogiovanicoppiesanfedele.it/archivio/

All’interno di ogni argomento potete trovare facilmente ciò che può interessarvi. Una volta individuata la conferenza che volete vedere/ascoltare, vi basterà fare clic sulla sua immagine per accedervi.

https://centrogiovanicoppiesanfedele.it/chi-siamo/

CISF Centro internazionale studi famiglia

Newsletter CISF – N. 35, 26 settembre 2023

  • Le mamme e l’inserimento all’asilo nido. A inizio autunno molti asili nido organizzano i periodi di inserimento dei piccoli, che rappresenta il primo evento di separazione tra mamme e bambini. Gli youtuber Pozzolis Family indagano con la solita simpatia le “reazioni tipiche” delle mamme a questo primo distacco: in un modo o nell’altro, ci siamo davvero passate tutte! [su YouTube – 3 min 55 sec]

                www.youtube.com/watch?v=wijk2wBUqv4

  • Family global compact, la puntata radiofonica condotta da Luisa Santolini. Una puntata monografica sul Family Global Compact, condotta dalla past president del Forum delle Associazioni Familiari Luisa Santolini, ha visto in dialogo Francesco Belletti, direttore Cisf, il sociologo Pierpaolo Donati e Alfredo Caltabiano, presidente dell’Associazione nazionale famiglie numerose [su Radio Maria – 1 h 25 min]
  • Il 5 ottobre a Milano un convegno su adozione e affido dei minori con “special needs”. E’ intitolato “Adozione e affido di minori con special needs: il dialogo tra famiglia e servizi” il prossimo seminario formativo organizzato dal Cisf in collaborazione con l’Ordine degli Assistenti Sociali della Lombardia: l’appuntamento è per il 5 ottobre, dalle ore 9 alle 13, presso l’Auditorium Don Alberione (via Giotto 36, Milano). Il seminario mette in campo diverse voci, tra esperti e testimonianze, per valorizzare la relazione di collaborazione tra famiglie e servizi nell’accoglienza e nel post accoglienza, centrata sui bisogni speciali dei minori [qui la locandina con il programma]. In corso di accreditamento per la formazione continua degli assistenti sociali.
https://www.famigliacristiana.it/media/pdf/cisf/programma-5-ottobre-cisf-croas-update.pdf
  • FAMIGLIA&AMORIS LÆTITIA, pratiche pastorali ed esperienze di vita. “Pastoral Practices, Life Experience, and Moral Theology: AL Between New Opportunities and New Paths” è il tema della rivista di INTAMS-International Academy for Marital Spirituality che raccoglie i contributi di un convegno di teologia morale tenutosi a Roma nel maggio 2022, organizzato e condotto dal Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II e dalla Pontificia Università Gregoriana, sotto la guida di don Maurizio Chiodi, il professor Miguel Yañez, e il rettore dell’Istituto Giovanni Paolo II, il professor Philippe Bordeyne [qui per gli abstract e per ordinare il volume].                                         www.intams.org/journal/current-issue
  • Migranti/i vent’anni della direttiva sul ricongiungimento familiare. Agenzie Onu e ong in Italia – UNHCR, OIM, ARCI, CIR, Croce Rossa Italiana e Save the Children – hanno lanciato la community of practice sul ricongiungimento familiare, a vent’anni dall’adozione della Direttiva UE. La piattaforma online mira a promuovere e facilitare l’accesso al ricongiungimento familiare attraverso lo scambio tra organizzazioni internazionali e non governative, istituzioni, operatori sociali e legali ed esperti del settore. Tutelare il diritto fondamentale all’unità familiare di rifugiati e migranti rafforzando le procedure di ricongiungimento familiare è uno degli obiettivi della community of practice, che vede nel miglioramento dei meccanismi di ricongiungimento familiare la migliore possibilità di accompagnare  rifugiati e migranti a costruirsi un futuro nei Paesi che li accolgono                                .                              www.ricongiungimento.it
  • Percorsi di formazione. Per chi è nonno o sta per diventarlo. Il Consultorio Familiare di Treviso propone un 𝗣𝗲𝗿𝗰𝗼𝗿𝘀𝗼 𝗡𝗼𝗻𝗻𝗶, che prenderà avvio il prossimo martedì 3 ottobre alle ore 20.45, primo di quattro incontri per chi è nonno o sta per diventarlo. Alla scoperta della nonnitudine, delle sue fatiche e delle sue gioie! Per info e iscrizioni: tel. 0422 582367 e mail            segreteria@consultoriotreviso.org

                www.consultoriotreviso.org/diventare-nonni-lab/#Le%20Modalit%C3%A0

  • Dalle case editrici
  • S. Anselmi, I quattro pilastri del benessere, Effatà, Cantalupa (TO), 2022, pp. 144.
  • V. Iacovella, Salvo il mio pianeta, Erickson, Trento, 2022, pp. 224
  • M. Annichiarico, I cura cari, Einaudi, Milano, 2022, pp. 240

                               (…) Per capire davvero cosa significa accudire un malato di Alzheimer bisogna leggere questo bellissimo romanzo d’esordio di Marco Annichiarico, che nel 2016 ha iniziato a occuparsi dei suoi anziani genitori ed è diventato un “curacaro”. Una definizione che rimanda a qualcosa di meno tecnico di “caregiver”, a qualcosa di più esistenziale, determinato dall’essere il familiare di riferimento nel quotidiano di un parente con una grave malattia senile e neurodegenerativa (…) (B. Ve.)

https://www.famigliacristiana.it/media/pdf/cisf/recensioni/23cisfnews35_allegatolibri.pdf
  • Save the date
  • Evento (Milano)4 ottobre 2023 (9.30-18.30). “Formare i futuri: alleanze tra generazioni per valorizzare i patrimoni delle comunità e i talenti dei singoli“, giornata di celebrazione dei 25 anni del Dipartimento di Scienze umane per la formazione “R. Massa” dell’Università Bicocca di Milano
  • Seminario Scientifico (Web/Roma) – 6 ottobre 2023 (9.30-16.30). “Un nuovo inizio? Fecondità e dinamiche familiari in Italia”, appuntamento di presentazione dei risultati del Protocollo di Ricerca “Aspetti socio-economici e dinamiche familiari in Italia” e del Progetto di rilevante interesse nazionale (PRIN) “The Great Demographic Recession”, a cura di Istat                                   www.istat.it/it/archivio/287904
  • Convegno (Web) 13/14 ottobre 2023.Intimità adolescenti. Capire e sostenere l’espressione dell’identità sessuale e affettiva“, realizzato da Erickson con la direzione scientifica di Chiara Simonelli (Istituto di Sessuologia Clinica, Roma)                    www.erickson.it/it/intimita-adolescenti?default-group=eventi
  • Webinar (Usa)20 ottobre 2023 (11 – 12:30 EDT). “Using ATUS Data to Investigate Work, Family, and Well-Being Before and During the Pandemic“, a cura di Work and Family Researches Network

Iscrizione                                             http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/newsletter-cisf.aspx

Archivio                                http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/elenco-newsletter-cisf.asp

https://a4e9e4.emailsp.com/f/rnl.aspx/?fgg=wsswt/e-ge=s/fh0=oww49a1:a=.-4&x=pv&65kac&x=pp&qzb9g6.b9g9h/:i4-7d=vt/uNCLM

CHIESE ORIENTALI

Europa, i vescovi di rito orientale: “Le famiglie, una priorità della Chiesa”

Si è tenuto dal 18 al 21 settembre, ad Atene, l’incontro annuale dei vescovi di rito orientale dell’Europa. La famiglia al centro del dibattito

La famiglia come centro della relazione, la famiglia come luogo in cui si costruisce l’identità, ma anche la famiglia come istituzione comunitaria in grado di contrastare una guerra con la solidarietà. Dal 18 al 21 settembre, i vescovi cattolici di rito orientale di Europa – circa una sessantina – si sono radunati ad Atene, per discutere di “La famiglia nel contesto delle Chiese orientali cattoliche in Europa”.

                All’incontro hanno partecipato più di sessanta vescovi e sacerdoti in rappresentanza delle Chiese cattoliche orientali di Ucraina, Romania, Ungheria, Slovacchia, Bulgaria, Serbia, Croazia, Germania e Paesi Scandinavi, Grecia armena e bizantina, Bielorussia, Cipro, Italia. C’erano anche rappresentanti della Chiesa siro-malabarese e della Chiesa siro-cattolica in diaspora in Europa.

                La riunione ha inoltre visto la partecipazione dell’arcivescovo Gintaras Grušas, presidente del Consiglio delle Conferenze Episcopali di Europa, l’arcivescovo Jan Romeo Pawłowski, nunzio apostolico ad Atene, e don Michel Jalakh, segretario del dicastero per le Chiese Orientali.

                Il vescovo Manuel Nin, esarca apostolico di Grecia e ospite dell’evento, ha ricordato i cento anni dall’arrivo del vescovo Giorgio Calavasis da Costantinopoli ad Atene, sottolineando che l’Esarcato greco si è ingrandito “in questi ultimi decenni con altre due realtà etniche e soprattutto ecclesiali: i fedeli di tradizione caldea provenienti da Iraq e dalla Siria e i fedeli ucraini di tradizione bizantina. In un’unica realtà ecclesiale senza distinzioni, né gradi, né privilegi, ma siamo tutti uno in Cristo”.

Il vescovo ausiliare dell’Eparchia di Bratislava Milan Lach ha presentato le problematiche che vivono oggi le famiglie cattoliche orientali, sottolineando che oggi “c’è una lotta per la famiglia: se sopravvive la famiglia sopravvive la società, se non sopravvive la famiglia non sopravvive nemmeno la società”. Secondo il vescovo Lach, “la famiglia ha la funzione di permettere a ciascuno dei suoi membri di diventare una persona matura che ha il chiaro senso della propria identità e, di conseguenza, è capace di intimità”. Le famiglie, ha concluso, devono essere tra le priorità della Chiesa, e per questo occorre creare, in parrocchia, una comunità per le giovani famiglie, così da evitare che, dopo il matrimonio, si ritrovino sole ad affrontare i problemi e le sfide della vita di coppia.

Il Diacono János Nyirán, della Chiesa metropolitana di Hajdudorog (Ungheria), sposato, insegnante e padre di cinque figli, che ha affrontato le problematiche del clero sposato nelle Chiese Orientali, dal tempo da dedicare alla famiglia fino alle decisioni da prendere in caso il matrimonio sia in crisi. Il diacono ha indicato alcune soluzioni, come iniziative di formazione permanente, l’accompagnamento psicologico di esperti qualificati, formulare codici di condotta obbligatori per tutti – tutto senza trascurare le mogli dei sacerdoti e il percorso educativo dei loro figli.

                 Bohdan Dzyurakh, Esarca Apostolico per gli ucraini di rito bizantino in Germania e Scandinavia, ha invece parlato de “La risposta della Chiesa cattolica in Europa alla tragedia della guerra russa contro l’Ucraina”.

Il vescovo Dzyurakh ha raccontato: “Oggi le famiglie ucraine stanno soffrendo il colpo più pesante e doloroso di questa guerra disumana e barbara. Quattordici milioni di persone, soprattutto donne, bambini e anziani, sono stati costretti a fuggire dalle loro case e dai loro luoghi d’origine. La guerra ha colpito il cuore stesso della società ucraina, e questo cuore è la famiglia”. Il vescovo greco cattolico ucraino ha dunque sottolineato che l’accompagnamento e l’assistenza spirituale, psicologica e sociale delle famiglie resta il tema principale delle riunioni sinodali della Chiesa Greco Cattolica Ucraina e del lavoro pastorale in Ucraina e all’estero. Per questo, ha continuato, il sostegno e l’assistenza spirituale, psicologica e sociale delle famiglie continuerà ad essere il tema principale “delle nostre riunioni sinodali e di tutto il nostro lavoro pastorale in Ucraina e all’estero”. Ha, quindi, espresso la gratitudine per la solidarietà della grande famiglia cristiana ed europea, e ha presentato il C4RU (Christian Response for Ukraine), la risposta cattolica coordinata dall’International Catholic Migration Commission, la commissione che riunisce gli uffici per la migrazione delle conferenze episcopali di tutto il mondo e collabora strettamente con il Dicastero vaticano per la Promozione dello Sviluppo Umano Integrale.

                Nei giorni dei lavori, si è tenuta anche una Divina Liturgia nella cattedrale bizantina cattolica della Santissima Trinità ad Atene, e sono stati celebrati i Vespri pregando per i martiri armeni e la pace in Ucraina presso l’Ordinariato Armeno Cattolico della capitale greca.

                Il prossimo incontro dei vescovi orientali si terrà a Oradea in Romania dal 17 al 19 settembre 2024. Il tema sarà “L’umanità del sacerdote. Il rapporto tra il vescovo ed il suo clero”.

                Il primo incontro di vescovi di rito orientale si svolse nel 1997 nella diocesi di Hajdúdorog (Ungheria) e fu promosso dal Cardinale Achille Silvestrini, allora Prefetto della Congregazione per le Chiese Orientali. L’idea del Cardinale Silvestrini era di creare uno spazio dove i vescovi di quelle chiese, che erano state particolarmente colpite dal regime ateo, “trovino con sempre maggiore chiarezza il loro ruolo nell’Europa di oggi e siano amate e stimate per la loro storia di fedeltà alla Chiesa e al Papa, pagata a caro prezzo”.

Dal 2009, questi incontri sono patrocinati dal Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee.

Andrea Gagliarducci     ACI Stampa        Atene, 27. settembre, 2023

www.acistampa.com/story/europa-i-vescovi-di-rito-orientale-le-famiglie-una-priorita-della-chiesa?utm_campaign=ACI%20Stampa&utm_medium=email&_hsmi=275976239&_hsenc=p2ANqtz–qV0-F1U07IkIP-

CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM

Milano 1-Istituto La casa              Attività extra

Tutto il calendario settembre-dicembre 2023 con partecipazione gratuita e on line

Occorre iscrizione tramite modulo

www.istitutolacasa.it/showForm.php?template=iscrizioni

  • Per donne e uomini La memoria corporea delle emozioni e dei vissuti e le interazioni corpo-mente.

Conduce: Maria Gabriela Sbiglio – psicologa psicoterapeuta

Modalità online. Partecipazione gratuita 

  • Per donne (*gradita la partecipazione dei partner) Vivere bene la menopausa. Cambiamenti fisici e psicologici della donna. Tre incontri
  • Cambiamenti fisiologici: 24/10 conduce Maria Luisa Felcher – ginecologa
  • Aspetti psicologici ed emotivi: 7/11 conduce Laura Scibilia – psicologa psicoterapeuta
  • Pavimento pelvico: teoria e attivazione corporea: 14/11 conduce Anna Pontini – ostetrica

Modalità: online. Partecipazione gratuita

  • Per genitori.  Quale scuola dopo le medie?

Ciclo di 2 incontri di orientamento scolastico per genitori alle prese con la scelta della scuola superiore

Martedì 17/10 e giovedì 26/10. Ore: 18.00-19.30. Conduce: Laura Scibilia – psicologa psicoterapeuta

Modalità online. Partecipazione gratuita

  • Sesso e figli: come e quando parlarne

Ciclo di 2 incontri per genitori di preadolescenti e adolescenti

Le dinamiche della sessualità dei figli nel quadro emotivo di una identità in formazione. Suggerimenti per una comunicazione empatica e un ascolto attivo su un tema delicato come quello della sessualità

Giovedì: 16/11   30/11. Ore: 18.00-19.30.Conduce: Laura Scibilia – psicologa psicoterapeuta

Modalità online. Partecipazione gratuita

  • Un figlio con DSA. Disturbi specifici di apprendiment0

Capire la diagnosi, capire le emozioni dei figli.

Giovedì: 23/11. Ore: 21.00-22.30 Conduce: Viviana Rossetti – psicologa psicoterapeuta

Modalità online. Partecipazione gratuita

  • Accompagnare lo studio di un figlio con DSA.

Giovedì: 30/11. Ore: 21.00-22.30 Conduce: Viviana Rossetti – psicologa psicoterapeuta

Modalità online. Partecipazione gratuita

  • Per neomamme. Massaggio neonatale (anche per neo papà) per apprendere le sequenze del massaggio neonatale A.I.M.I. per scoprire un modo nuovo di comunicare ed entrare in relazione con il proprio bambino, favorendo il suo benessere e il suo sviluppo

Ciclo di 4 incontri. Venerdì: 15/09   22/09   29/09   06/10. Ore: 10.30-12.00 Conduce: Anna Pontini – ostetrica

Modalità: in presenza. Partecipazione gratuita

* Materiale necessario: tappetino da yoga con eventuale cuscino, abbigliamento comodo

  • Gruppo mamma-bambino. Ciclo di 5 incontri per mamme con la presenza dei figli (da 0 a 6 mesi). Spazio di condivisione e confronto sulle gioie, i dubbi, le domande e le emozioni dell’essere madre.

Venerdì: 20/10   27/10   03/11   10/11   17/11. Ore: 10.30-12.00Conduce: Anna Pontini – ostetrica

Modalità in presenza. Partecipazione gratuita

* Materiale necessario: tappetino da yoga con eventuale cuscino, abbigliamento comodo.

  • Facciamo la pappa (anche per neo papà)

Incontro sullo svezzamento. Quali sono i primi segnali per capire quando il bambino è pronto. Come iniziare a proporre i primi assaggi, quali alimenti preferire e quali quelli essenziali durante lo svezzamento.

Mercoledì: 29/11. Ore: 14.30-16.00. Conduce: Anna Pontini – ostetrica

Modalità: online. Partecipazione gratuita

Novità: È disponibile inoltre il servizio di “Pesata neonati e consulenza allattamento”. Su appuntamento

  • Per donne in gravidanza.  Movimento in gravidanza secondo e terzo trimestre.

Consapevolezza corporea e movimento per prevenire piccoli disturbi che possono insorgere in gravidanza e migliorare la percezione corporea in previsione del travaglio e del parto.

Ciclo di 4 incontri. Mercoledì: 27/09, 04/10, 11/10, 18/10. Ore: 18.00-19.00 Conduce: Anna Pontini-ostetrica

Modalità online. Partecipazione gratuita

Gruppi adozione internazionale

 Per partecipare effettuare l’iscrizione tramite modulo ONLINE

  • Per coppie nella fase iniziale del percorso adottivo. L’ABC dell’adozione

Corso base sull’adozione rivolto a coppie che necessitano di informazioni base sull’adozione o sono all’inizio dell’indagine psicosociale presso il Servizio sociale territoriale. Ciclo di 3 incontri

Conduce: Caterina Mallamaci – responsabile nazionale servizio adozioni Istituto La Casa

€ 150 a coppia. Il calendario delle date degli incontri verrà definito successivamente. Gli interessati possono contattare la segreteria

  • Per coppie in attesa di adozione. Parliamo della nostra storia! Come, quando e perché parlare di adozione in famiglia.

Ciclo di 3 incontri. Mercoledì: 27/09   04/10  11/10. Ore: 19.30-21.00

Conduce: Chiara Righetti – psicologa psicoterapeuta

Modalità online                                              € 140 a coppia                                                                                                                

  • Trauma e adozione. Riconoscere e curare le ferite delle esperienze traumatiche

Ciclo di 3 incontri. Mercoledì: 22/11   29/11  6/12. Ore: 19.30-21.00

Conduce: Chiara Righetti – psicologa psicoterapeuta

Modalità online                                              € 140 a coppia

  • Attaccamento e sviluppo delle relazioni affettive.

Giovedì: 26/10. Ore: 21.00-22.30

Conduce: Viviana Rossetti – psicologa psicoterapeuta

Modalità online                                              € 25 a persona

  • Favolando: quando una favola aiuta a crescere

Ciclo di 2 incontri. Giovedì:  09/11   16/11. Ore: 21.00-22.30

Conduce: Viviana Rossetti – psicologa psicoterapeuta

Modalità online                              100 a coppia

  • Per genitori adottivi. Adozione e separazione

Ciclo di 2 incontri. Martedì: 26/09   03/10. Ore: 19.00-20.30

Conduce: Daniela Sacchet – psicologa

Modalità online                              € 100 a coppia

  • Adolescenza e adozione

Ciclo di 2 incontri. Giovedì: 12/10 19/10. Ore: 21.00-22.30

Conduce: Viviana Rossetti – psicologa psicoterapeuta

Modalità online                              € 100 a coppia

  • Per genitori in attesa di una nuova adozione. Seconda genitorialità adottiva

Ciclo di 4 incontri per chi s’avvicina all’idea di una nuova adozione e vuole prepararsi a questo arrivo in famiglia

Martedì: 17/10   24/10   31/10   7/11. Ore: 18.00-19.30             

Conduce: Daniela Sacchet – psicologa

Modalità: online                                            € 200 a coppia

Per nonni e zii adottivi. Gruppo nonni e zii

Ciclo di 3 incontri per nonni e zii adottivi o in attesa di diventarlo

Martedì: 21/11   28/11   5/12. Ore: 19.00-20.30 Conduce: Daniela Sacchet – psicologa

Modalità: online. Partecipazione gratuita

Istituto La Casa · Ente del Terzo Settore · Via Pietro Colletta 31 · 20135 Milano · Italy

Tel. +039 02 5518 7310 · +039 02 5518 9202 · Fax +39 02 54 65 168 · C.F. 06765920159 info@istitutolacasa.it

www.istitutolacasa.it/showPage.php?template=istituzionale&id=1

Senigallia. Il Consultorio familiare UCIPEM compie 50 anni

Il Consultorio UCIPEM di Senigallia compie quest’anno cinquant’anni e festeggia questo importante traguardo con un evento che renda onore e merito al grande lavoro svolto dai consulenti familiari in tutti questi anni al servizio della comunità locale e non solo. A tal fine organizza un seminario dal titolo “Parla…ti ascolto” nel pomeriggio del 30 settembre prossimo presso il Palazzetto Baviera, aperto alla cittadinanza e con la presenza di autorità civili e religiose, altri consultori, associazioni di volontariato, stampa.

                I lavori saranno aperti alle ore 16,30 dal saluto del direttore del Consultorio Marinella Marinelli e delle Autorità (il sindaco Massimo Olivetti e il vescovo S.E. Francesco Manenti). A seguire, gli interventi del presidente don Davide Barazzoni, della segretaria UCIPEM Elisa Severi e del direttore dell’Istituto di Terapia Familiare di Siena Dino Mazzei.

Al termine dei lavori, dibattito e intrattenimento musicale.

Fondato nel 1973, il Consultorio UCIPEM è una realtà ben radicata sul territorio e opera attraverso una rete di relazioni con gli Enti pubblici e privati, la Scuola, i Servizi sociali, la Chiesa locale, Enti a tutela dei minori, delle donne, degli emigrati.

Offre un servizio costante grazie all’impegno di consulenti familiari, tutti volontari, tenuti al segreto professionale, che, attraverso l’ascolto e la relazione d’aiuto, offrono consulenze gratuite a

  • Singoli di ogni età che vivono un disagio personale, familiare o relazionale.
  • Coppie che vivono momenti di difficoltà e incomprensione.
  • Famiglie che desiderano apprendere come superare crisi, difficoltà, conflitti.

Già denominato “Villa Marzocchi” e con sede in piazza Diaz, a seguito di eventi calamitosi, la sua sede è stata trasferita in via Gramsci, 17 dove opera il mercoledì e il venerdì dalle 16 alle 19 e il sabato dalle 10 alle 12.

www.parrocchiaportone.it/new/consultorio-familiare

DALLA NAVATA

XXVI Domenica del tempo ordinario – Anno A

Ezechiele                            18,-27. E se il malvagio si converte dalla sua malvagità che ha commesso e compie ciò che è retto e giusto, egli fa vivere se stesso. Ha riflettuto, si è allontanato da tutte le colpe commesse: egli certo vivrà e non morirà.

Salmo responsoriale     24, 07. I peccati della mia giovinezza e le mie ribellioni, non li ricordare: ricòrdati di me nella tua misericordia, per la tua bontà, Signore.

Paolo ai Filippesi            02, 03. Non fate nulla per rivalità o vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso. Ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri.

Matteo                                21, 31. E Gesù disse loro: In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio.

C’è chi nega Dio ma compie ciò che Dio vuole

Gesù ha terminato il suo viaggio verso Gerusalemme, la città santa in cui è entrato acclamato quale Messia, figlio di David, dai discepoli che lo accompagnavano e dalle folle; ha cacciato dal tempio quanti impedivano che fosse una casa di preghiera e ha simbolicamente seccato l’albero di fico che non dava frutti (cf. Mt 21,1-22)

Queste azioni causano una profonda indignazione da parte delle autorità religiose legittime ma perverse, “sacerdoti e anziani“, che intervengono pubblicamente chiedendo a Gesù con quale autorità compia quei gesti provocatori. Ma Gesù non risponde, anzi pone loro una domanda riguardo alla missione di Giovanni il Battista: missione voluta da Dio o missione che Giovanni aveva inventato per sé?

                Questo interrogativo non riceve però una risposta (cf. Mt 21,23-27), e allora Gesù indirizza loro tre parabole: quella dei due figli, quella dei vignaioli assassini e quella degli invitati al banchetto nuziale (cf. Mt 21,28-22,14). Di fatto sono tre parabole con le quali egli cerca di causare un ravvedimento in quei suoi avversari che poco tempo dopo saranno i suoi accusatori e i suoi condannatori. Le parabole sono per Gesù proprio uno strumento per far cambiare pensiero e atteggiamento a coloro ai quali sono rivolte. Ma qui accadrà esattamente l’opposto. Anziché interrogarsi e convertirsi, sacerdoti e anziani si indigneranno ancor di più e, comprendendo che tali racconti sono rivolti proprio a loro, induriranno ancor più il loro cuore, accrescendo la loro opposizione e il loro odio verso  Gesù.

                Ascoltiamo dunque la prima parabola, in obbedienza all’ordo liturgico che la prevede per questa domenica: “Che ve ne pare?”, introduzione che è un invito a pensare e a fare discernimento, perché alla fine ci sarà un’altra domanda da parte di Gesù, che richiederà una risposta chiara e decisiva. “Un uomo aveva due figli. Avvicinandosi al primo, disse: ‘Figlio, va oggi a lavorare nella vigna’. Ed egli rispose: ‘Non ne ho voglia’. Ma poi, pentitosi, vi andò”. La risposta iniziale è irriverente, all’insegna di una disobbedienza consapevole. Ma questo figlio che osa resistere alla richiesta del padre e gli nega l’obbedienza, in seguito (hýsteron) cambia avviso, muta di opinione (metameletheís) e va a lavorare nella vigna. Così egli mostra di essersi ravveduto: pensando, ha cambiato parere, e la non voglia si è trasformata per lui in obbedienza possibile.

Entra poi in scena il secondo figlio. Il padre si rivolge a lui allo stesso modo che all’altro, e la risposta che ottiene è positiva: “Sì, Signore (Kýrios)!”, ma poi costui non va. Siamo di fronte a un figlio rispettoso del padre, che lo chiama addirittura signore. È rispettoso forse per paura, perché incapace di dire un no.

p. Enzo Bianchi  Albiano d’Ivrea

www.ilblogdienzobianchi.it/blog-detail/post/210340/c%E2%80%99%C3%A8-chi-nega-dio-ma-compie-ci%C3%B2-che-dio-vuole

FRANCESCO VESCOVO DI ROMA

La lenta rivoluzione di Francesco

La Chiesa di Dio che è in Italia vive un’ora che dovrebbe essere di scelte e decisioni molto importanti per il futuro della fede cristiana nella nostra terra. Sarà capace di operare un mutamento profondo, impostole innanzitutto dalla fine di un mondo e dall’affacciarsi dei germogli di una nuova stagione? Sarà capace di quella “conversione pastorale” alla quale la chiama il Papa, conversione urgente perché la primavera inaugurata da Francesco ormai è attestata e il rischio grande è che finisca proprio per risultare estranea, anacronistica rispetto all’inedita situazione antropologica, sociale, culturale? Detto con una semplice domanda: dove va la Chiesa?

Sono ormai passati dieci anni dall’inizio del pontificato di papa Francesco: non sono pochi, considerando anche che questo papato non potrà essere lungo come quello di Paolo VI o di Giovanni Paolo II, con la conseguente possibilità di incidere per lungo tempo nella vita della Chiesa cattolica. Tutti, così almeno sembra, sono convinti di questo cambiamento d’epoca, ma poi l’incamminarsi effettivo su nuovi sentieri, l’acconsentire al lutto della stagione passata, l’andare al largo su acque profonde (cf. Lc 5,4), lasciando la calma delle baie, è un’altra cosa ed è qui che a me sembra che prevalga l’inerzia, la logica del «si è sempre fatto così», un facile provvidenzialismo scambiato per fede, il rifiuto della fatica a discernere i segni dei tempi.

Eppure papa Francesco si è rivolto alla Chiesa italiana in modo puntuale e autorevole, chiedendole un mutamento preciso. Al Convegno nazionale della Chiesa italiana tenutosi a Firenze, il 10 novembre 2015, due anni dopo la promulgazione dell’ Esortazione post-sinodale Evangelii gaudium, il Papa ha detto: «Permettetemi solo di lasciarvi un’indicazione per i prossimi anni: in ogni comunità, in ogni parrocchia e istituzione, in ogni diocesi e circoscrizione, in ogni regione, cercate di avviare, in modo sinodale, un approfondimento della Evangelii gaudium , per trarre da essa criteri pratici e per attuare le sue disposizioni».

D’altronde, nell’ Esortazione stessa il Papa aveva chiaramente manifestato il suo desiderio che questa fosse accolta come invito «a una nuova tappa evangelizzatrice marcata da questa gioia e indicare vie per il cammino della Chiesa nei prossimi anni». Nonostante ciò, questi inviti pressanti e convinti paiono non aver avuto finora una risposta adeguata. In un’intervista il cardinale Gualtiero Bassetti ha confessato che in occasione di due udienze il Papa gli ha chiesto: «Ma l’Evangelii gaudium sta entrando nelle Chiese italiane?». Domanda imbarazzante, confessa il cardinale, alla quale ha risposto: «Un pochino… ». E il Papa di rimando: «Non ho chiesto qualche rinnovamento della pastorale, vi ho chiesto una conversione pastorale!». E qui non si può tacere l’ironia: la formula “conversione pastorale” è stata coniata proprio in Italia ed è presente in modo chiaro e significativo nel documento “Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia”, emanato dai vescovi italiani all’inizio del terzo millennio.

Perché tanta lentezza, allora? Viene da chiedersi: «Siamo ancora lì?». Nella stessa intervista, il cardinale Bassetti dichiarava: «Nella Chiesa italiana si registra una certa lentezza nella ricezione del progetto di papa Francesco e si osservano tante chiusure!». Giudizio pacato, ma espresso con parrhesía e che significativamente trova concordi altre voci nella Chiesa che leggono la situazione in modo analogo. Penso per esempio a un libro intelligente, molto coraggioso, del biblista di Firenze Giulio Cirignano, o ad articoli di Giuliano Zanchi, di Marcello

Neri e di altri che denunciano questa situazione: il canto del gallo risuona, ma si continua a dormire.

Cerchiamo di capire il perché. Innanzitutto occorre rilevare che abbiamo alle spalle, dopo la primavera di Giovanni XXIII, del concilio Vaticano II e di Paolo VI, decenni in cui la Chiesa italiana ha cercato sì di attuare il concilio, però non solo assecondandone un’interpretazione restrittiva, ma dimenticando l’evento concilio e lo spirito che lo animava. Per questo è stata una Chiesa più impegnata ad autoconservarsi che non una Chiesa “estroversa”, una Chiesa autoreferenziale e non in confronto fiducioso con l’umanità, una Chiesa che ha tentato di far rivivere — fino a illudersi di esservi riuscita — una nuova forma di cristianità, giungendo persino negli anni attorno al 2000 a un’alleanza con il potere politico: insomma, una Chiesa tentata di stemperare il cristianesimo in “religione civile”.

Giulio Cirignano così riassume: «Questi cinquant’anni dal concilio sono stati vissuti in Italia quasi come una mesta elaborazione del lutto ». Dal canto suo il cardinale Bassetti afferma che «il peccato originale è stato la poca ricezione del concilio Vaticano II nella Chiesa italiana». Così — mi sento di doverlo dire perché conosco bene e ascolto numerosi vescovi — l’episcopato italiano nella sua grande maggioranza non è ostile al Papa, non lo contesterà mai, ma resta con un’altra sensibilità che gli impedisce un’obbedienza entusiastica alle sue richieste.

Tra i nuovi vescovi scelti da papa Francesco, ce ne sono alcuni che hanno inaugurato uno stile nuovo, ispirato sì dal Papa, ma prima ancora dal Vangelo; tuttavia essi non sono in numero sufficiente per dare un nuovo volto all’insieme dell’episcopato italiano, anche perché continuano ad avvenire ancora nomine di persone “in carriera” o impegnate soprattutto nell’attesa di una promozione. E il clero? In verità i preti sono affaticati, sempre meno numerosi e più anziani — almeno in Italia settentrionale e centrale — sovente in situazioni di povertà economica e umana: salvo alcuni, faticano ormai a entusiasmarsi per nuove forme di missione Ecco perché è importante che ora con urgenza la Chiesa italiana, a iniziare dai vescovi e dai presbiteri, assuma la responsabilità del mutamento che le è necessario per essere luce e sale (cf. Mt 5,13-16) in un mondo che rimane sì indifferente al fatto religioso, ma che è anche sempre raggiungibile dal Vangelo, il quale, se ascoltato, provoca la fede.

p. Enzo Bianchi                                “la Repubblica”               29 settembre 2023

www.repubblica.it/cultura/2023/09/28/news/libro_enzo_bianchi_dove_va_la_chiesa_la_lenta_rivoluzione_di_francesco-416114675

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202309/230929bianchi.pdf

GESTAZIONE PER ALTRI

Trascrizione e maternità surrogata: il giudice non può superare il divieto fissato dal legislatore

Nessuna violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo per il no alla trascrizione dell’atto di nascita di un bambino nato da una coppia dello stesso sesso attraverso la maternità surrogata all’estero perché il giudice non può superare un divieto imposta dal legislatore e perché è comunque possibile, per assicurare la tutela del minore, ricorrere ad altre opzioni.

È la Corte di Cassazione a stabilirlo, con l’ordinanza della prima sezione civile n. 26967 depositata il 21 settembre 2023. La vicenda aveva al centro una coppia dello stesso sesso che aveva fatto ricorso alla maternità surrogata in Canada. La coppia aveva chiesto la trascrizione del provvedimento in Italia ma, dopo l’impugnazione del provvedimento, il Tribunale di Tivoli aveva dato il via libera alla trascrizione dell’atto con la sola indicazione, come genitore, del componente della coppia che era padre biologico. Per la Suprema Corte non vi è stata alcuna violazione dell’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo che assicura il diritto al rispetto della vita privata e familiare e i giudici di merito hanno agito seguendo il dettato della Corte costituzionale (sentenza n. 33 del 2001) e della stessa Cassazione (sentenza n. 12193 del 2019).

 La Corte costituzionale ha stabilito che spetta al legislatore intervenire perché alcuni istituti come l’adozione non sono stati creati con la finalità di risolvere le questioni legate alla maternità surrogata. Tuttavia, con riguardo a specifici casi, per risolvere i problemi giuridici derivanti dal ricorso alla maternità surrogata con particolare attenzione alla continuità dello status e alla tutela del legame sorto con il genitore d’intenzione è possibile ricorrere all’adozione in casi particolari che – osserva la Cassazione  – “allo stato dell’evoluzione dell’ordinamento, rappresenta lo strumento che consente, da un lato, di conseguire lo status di figlio e, dall’altro, di riconoscere giuridicamente il legame fatto con il partner del genitore genetico che ne ha condiviso il disegno procreato concorrendo alla cura del bambino sin dal momento della nascita ” (così le Sezioni Unite con la sentenza n. 38162/22).

La Cassazione, nell’ordinanza in esame, ribadisce la differenza di posizione tra genitore biologico e genitore internazionale evidenziando che tale posizione è stata condivisa anche dalla Corte europea dei diritti dell’uomo con la sentenza n. 239/2023. Non è possibile, inoltre, che il giudice superi gli ostacoli legislativi anche con riguardo al riconoscimento dell’efficacia di un provvedimento straniero che accerta il rapporto di filiazione tenendo conto dell’esistenza del divieto assoluto di surrogazione di maternità previsto dall’art. 12 della legge n. 40/2004, divieto – osserva la Suprema Corte – “volto a tutelare la dignità della persona umana nella sua dimensione non solo soggettiva, ma anche oggettiva”. La scelta legislativa a presidio di valori fondamentali non può così essere superata dal giudice, neanche nei casi in cui la surrogazione di maternità sia una scelta libera e consapevole della donna, senza che vi siano contropartite economiche. Respinto così il ricorso della coppia.

Prof. Marina Castellaneta           29 settembre 2023

www.marinacastellaneta.it/blog/trascrizione-e-maternita-surrogata-il-giudice-non-puo-superare-il-divieto-fissato-dal-legislatore.html

PRETI SPOSATI

Perchè non sanare anche le situazioni aperte che ci sono nella chiesa di rito latino,

dove si calcola che 100 mila preti sposati desiderano essere riammessi all’esercizio del loro ministero?

“Vi incoraggio ad accogliere sempre più in voi e tra di voi l’amore del Signore, sorgente e motivo della nostra vera gioia, a partecipare ai Sacramenti, a manifestare prossimità ad ogni famiglia, a prestare attenzione ai più poveri e ai bisognosi”. Con queste parole Papa Francesco si era rivolto ai partecipanti al pellegrinaggio dell’Eparchia di Lungro (Cosenza) che riunisce oltre 30 mila cattolici di rito bizantino esortandoli “ad accompagnare le giovani generazioni con la grande sfida educativa che tutti ci coinvolge”. “Sono queste – ha scandito – le dimensioni in cui custodire le proprie tradizioni come pure l’appartenenza a Cristo e alla sua Chiesa. Siete chiamati a vivere come cristiani, testimoniando che l’amore è più bello dell’odio, che l’amicizia è più bella dell’inimicizia, che la fratellanza fra tutti noi è più bella dei conflitti”.

                Il Papa aveva invocato infine “la materna protezione della Santa Madre di Dio, l’Odegitria”, che in greco significa “Colei che indica la via”. È la rappresentazione bizantina di Maria che indica con la mano destra il Bambino Gesù. “Lei, la serva obbediente che ha accolto la parola del Signore vi renda – ha auspicato Francesco – sempre più docili alla volontà del Padre e strumenti generosi del suo disegno di salvezza”.

                Il clero dell’eparchia di Lungro è in parte sposato (anche se i preti uxorati si contano in Calabria sulle dita delle due mani), come consentito dalle norme canoniche delle chiese di rito bizantino. Ma se questa ricchezza del rito orientale si tende a nasconderla è noto che Papa Francesco guarda con speranza a tale realtà che potrebbe rivelarsi decisiva per il futuro anche della chiesa di rito latino. Due anni fa, in occasione del 200/o anniversario dell’istituzione dell’Eparchia di Presov, il Papa affermò infatti: “Le famiglie dei sacerdoti vivono una missione particolare al giorno d’oggi, quando l’ideale stesso della famiglia è messo in discussione se non esplicitamente attaccato: voi offrite una testimonianza di vita sana ed esemplare”.

                Le statistiche non precisano il loro numero, ma si calcola che nella Chiesa cattolica i preti sposati regolarmente ammessi a celebrare si avvicinino ai 4 mila. Su un totale, in tutto il mondo, di 260 mila preti diocesani (in tutto i sacerdoti sono circa 400 mila). La gran parte di questi preti sposati sono di rito orientale. Nella sola Ucraina, ad esempio, se ne contano circa 1.800. Anche in Italia accanto alle poche unità in servizio nelle diocesi di rito greco albanese in Calabria (a Lungro) e in Sicilia (a Piana degli Albanesi) che hanno clero sia celibe che sposato, sono attivi preti sposati di rito greco come cappellani delle comunità di migranti provenienti da Ucraina e Romania, una presenza sacerdotale che fino a qualche anno fa era scoraggiata dalla Cei, ma che Papa Francesco ha voluto fosse invece ammessa senza nessuna restrizione.

Mentre grazie a un provvedimento di Benedetto XVI gli ordinariati anglo-cattolici in Gran Bretagna, Australia e in Nordamerica contano parecchie decine di preti che esercitano il loro ministero abitando le canoniche con moglie e figli. Perchè non sanare anche le situazioni aperte che ci sono nella chiesa di rito latino, dove si calcola che 100 mila sacerdoti sposati desiderano essere riammessi all’esercizio del loro ministero?

                farodiroma.it

www.farodiroma.it/papa-francesco-ai-fedeli-italo-albanesi-la-fratellanza-fra-tutti-noi-e-piu-bella-dei-conflitti-una-decina-i-preti-sposati-orientali-in-calabria-a-roma-lincontro-di-vocatio

Halík: il cristianesimo è alle soglie di una nuova riforma?

Il teologo e filosofo ceco propone una prospettiva di ampio respiro che reinterpreta l’istanza ecumenica alla luce della riforma che questo tempo di crisi domanda a tutte le Chiese.

             Tomáš Halík (α1948)

“Avvenire.it” ha proposto un estratto dell’ebook gratuito Verso una nuova riforma del cristianesimo? di Tomáš Halík pubblicato da Vita e Pensiero nel quale il teologo e filosofo ceco Tomáš Halík propone una prospettiva di ampio respiro che reinterpreta l’istanza ecumenica alla luce della riforma che questo tempo di crisi domanda a tutte le Chiese. L’unità dei cristiani, afferma Halík, sarà possibile solo nella cornice «dello sforzo teso a riunificare la famiglia umana tutta», assumendo la comune responsabilità nei confronti delle ferite che oggi affliggono il nostro mondo: cambiamento climatico, guerre, disuguaglianze. Una riforma che assicuri una rinnovata vitalità al cristianesimo esige insieme «un’incarnazione creativa della fede dentro la cultura viva, dentro il modo di pensare e di vivere della gente», la riscoperta della relazione tra dimensione spirituale e dimensione esistenziale della fede. Come si vede, prospettive e sensibilità che caratterizzano una Chiesa che trascende se stessa, in linea con la riforma sinodale promossa da papa Francesco.

                Il cristianesimo si trova alle soglie di una nuova riforma. Non è né la prima, né la seconda, né l’ultima. La Chiesa, secondo le parole di Sant’Agostino, deve costantemente riformarsi, semper reformanda. Ma è soprattutto nei momenti di crisi e di grande cambiamento del mondo che la Chiesa deve assumersi il compito profetico di riconoscere e rispondere alla chiamata di Dio in relazione a tali segni dei tempi. […]

Il cristianesimo ha bisogno di trascendere gli attuali confini mentali, istituzionali, confessionali, culturali e sociali per essere in grado di compiere la sua missione universale. Dobbiamo essere più aperti e recettivi nei confronti della chiamata di Dio, nascosta nelle «gioie e le speranze, le tristezze e le angosce» (Gaudium et spes, 1) delle persone con le quali abitiamo l’oikoumene, il mondo condiviso.

Contribuiremo con la nostra testimonianza a trasformare questo mondo in una civitas ecumenica o ci renderemo complici, con la nostra indifferenza e il nostro egocentrismo, di un tragico scontro tra civiltà?

Le comunità di fedeli diventeranno parte della soluzione alle difficoltà che al giorno d’oggi ci troviamo ad affrontare o diventeranno piuttosto parte del problema?

 La storia del mondo e quella della Chiesa non rappresentano né un progresso a senso unico né un declino permanente o un’alienazione da un passato idealizzato, quanto piuttosto un dramma sempre aperto, una costante battaglia tra grazia e peccato, tra fede e miscredenza, che si consuma in ogni cuore umano. […]

                Nella nostra parte di mondo, molte delle chiese che un tempo erano piene adesso sono vuote. Nei nostri paesi – ebbene sì, anche nei paesi tradizionalmente cristiani come la Polonia – il numero dei nones (così vengono denominate le persone che, nelle ricerche sociologiche, rispondono «nessuna» alla domanda circa la loro identità religiosa) sta crescendo rapidamente. In molti paesi il numero di persone che si identificano pienamente nelle Chiese e che partecipano attivamente alle loro attività è sempre più basso. Mentre il numero degli ex-cattolici ed ex-protestanti è sempre più alto. Tra i nones (coloro che non appartengono a nessuna religione), molti sono rimasti delusi e spesso scandalizzati dallo stato in cui versano le loro Chiese. Tra questi si annoverano coloro che si sono rivolti alle Chiese per trovare risposte alle loro serie domande esistenziali, ma che non hanno trovato altro che triti stereotipi religiosi.

                Ci sono poi gli ‘apatei’, cioè gli indifferenti alla fede perché non hanno mai incontrato un cristianesimo che parli una lingua che possano capire e in cui possano credere. Altri sono stati cresciuti nella fede da bambini, ma una volta superata la sua forma infantile nessuno è stato in grado di offrirne loro una versione più matura. Quando Gesù ci porta a esempio i bambini, non ci sta invitando a cercare una religiosità infantile, ma ad essere aperti, spontanei, entusiasti e disinibiti, nonché a coltivare la capacità di crescere e di imparare tipica dei bambini.

                Eppure in certe parti del mondo, a differenza dell’Europa e del Nord America, il numero di cristiani è in costante crescita. E questa notizia dovrebbe rallegrarci. Qui in Europa dovremmo ascoltare di più e capire le novità che le esperienze dei cristiani in Africa e in Asia portano alla teologia, alla liturgia e alla spiritualità. D’altro canto, non possiamo non chiederci se quelle stesse Chiese che oggi sono colme dell’entusiasmo di un cristianesimo giovane non rischino in futuro di subire lo stesso destino cui è andato incontro il cristianesimo in Occidente. […]

L’obbiettivo della ‘nuova riforma’ è quello di trasformare e unificare il cristianesimo, tendendo all’unità di tutta la famiglia umana. È una meta escatologica, certo, ma noi, qui e oggi, abbiamo un passo importante da compiere. Dobbiamo riconoscere e accettare – con tutte le implicazioni del caso – che tutti gli esseri umani sono nostri fratelli, che hanno il diritto di veder riconosciuta la propria dignità e di essere accettati con rispetto, amore e solidarietà. In questo mondo lacerato i popoli, le nazioni, le culture e le Chiese sono alla ricerca della loro identità e di nuova speranza.

Informazione lib era      30 settembre 2023

SACERDOTI

Quale prete, per quale Chiesa

Qualche giorno fa don Gian Luca Rosati, parroco della diocesi di San Benedetto del Tronto, ha lanciato sul suo blog una breve riflessione sulla figura del prete         https://gioiaepace.blogspot.com/2023/09/siamo-chiesa.html

 ampiamente ripresa sui social e, di recente, anche dal Quotidiano della CEI, Avvenire. Lo scritto non ha la pretesa di fornirci riflessioni approfondite di tipo teologico, ecclesiale o pastorale sulla figura del prete, eppure quest’ultime sono in qualche modo implicite ed emergono dallo stile colloquiale che don Gian Luca, non senza una sfiziosa e pungente ironia, utilizza per mettere il dito nella piaga su una questione che tutti dovrebbe interessarci: il prete.

Come ci vede la gente. Sulla figura del prete si è scritto e si è detto di tutto. A volte le riflessioni risentono di vedute fin troppo parziali o di visioni ecclesiologiche e pastorali di corto respiro ma, anche a prescindere da questo, succede che il singolo prete, sottoposto alla lente di ingrandimento del pubblico, è visto in modi così diversi tanto da rischiare una vera e propria crisi di identità. Di questo, col sorriso sulle labbra, don Gian Luca ci parla bene: il prete è quello che compila i registri, quello che dà il permesso per fare da padrino o madrina, il «compagnone» che organizza cene e viaggi o il poliziotto che vigila sull’oratorio; ma ovviamente è anche quello che predica bene e razzola male, che deve improvvisarsi manutentore di caldaie e di tetti e che in tutto questo deve anche sorridere sempre ed essere disponibile perché altrimenti…«non lamentarti che la chiesa si vuota».

                Non si deve mai cedere alla dittatura del giudizio altrui: rischiamo di farci molto del male. Tuttavia, in questo caso, don Gian Luca ha il merito di offrirci una critica importante:

  1. la prima, esplicita nel suo scritto, riguarda il legame prete-Chiesa, che è fortemente malsano quando lo intendiamo come una identificazione. E, invece, la Chiesa siamo tutti noi, tutti i battezzati.
  2. La seconda, più implicita ma a mio parere consequenziale, riguarda un problema che effettivamente esiste a prescindere da come ci guarda la gente: l’identità del prete.

Chi siamo. Si può dire che il «come ci vede la gente», per quanto esagerato o parziale e per quanto viziato da visioni di Chiesa non adeguate, è la spia di un problema che riguarda l’identità reale del prete, che oggi appare fortemente in crisi, che ha bisogno di ritrovare il centro, che subisce da tempo le incursioni di una notevole complessità – culturale ed ecclesiale – fino a essere diventata ibrida, fluttuante, caotica. In fondo, ciascuno di noi incarna «un tipo», un «modello» di prete, accentuando alcuni aspetti invece che altri, ma è come se tutta questa ricca varietà di figure presbiterali e ministeriali non avesse uno sfondo comune, una base partecipata, un fondamento condiviso.

Anche su questo tema, in realtà, oggi siamo all’inizio di una nuova stagione culturale ed ecclesiale. Vecchie forme di cristianesimo e vecchie rappresentazioni di Dio e della fede tramontano, ma questa realtà ci è data – come la storia biblica ci insegna – per la nostra purificazione, il nostro rinnovamento e la nascita di qualcosa di inedito che lo Spirito intende suggerirci e che dobbiamo essere disponibili ad accogliere. Se un mondo se ne va – affermava anni fa André Fossionè perché ne arriva un altro e, perciò, «non è la fine del cristianesimo. Senza minimizzare la crisi di trasmissione che coinvolge la fede, vi è anche un cristianesimo che avanza. […] Il nostro tempo, infatti, si presenta come un’opportunità nuova per il vangelo a condizione che si possa farlo risuonare in modo nuovo alle orecchie dei nostri contemporanei» (Il Dio desiderabile. Proposta della fede e iniziazione cristiana)

Dobbiamo allora chiederci: siamo disposti – anche in vista del Sinodo che è alle porte – a interrogarci davvero, come papa Francesco ci invita a fare senza chiusure e senza paure, su come far risuonare l’annuncio del Vangelo in modo nuovo? E chiederci riguardo a questo compito: quale forma di Chiesa ci serve? Quale rivitalizzazione dei ministeri nella Chiesa? Quale parrocchia? E – vengo al nostro tema – come rileggere, rivedere, riformulare il ministero del prete? Possiamo continuare a pensarlo come abbiamo fatto fino ad oggi?

Questione di identità. Tali interrogativi non possono essere più rimandati e non riguardano aspetti secondari o semplicemente ministeriali, bensì la stessa identità del presbitero, implicando quindi un approfondimento e una rilettura della dottrina sul sacramento dell’Ordine. Solo a mo’ di sintesi e per stimolare un’eventuale successiva riflessione più approfondita su ciascun aspetto, vorrei segnalare alcune questioni urgenti riguardanti l’identità del presbitero:

  • Sfatare il mito del perfezionismo. Esiste una distanza, meglio dire uno «scarto», tra il prete ideale che ciascun candidato all’Ordine ha immaginato e interiorizzato in seminario, e la realtà effettiva in cui poi si ritrova: le aspettative e gli ideali spesso si scontrano con situazioni diverse, che generano delusioni, affaticamenti e solitudini.

Domenico Cambareri, nel suo bel testo “Contro don Matteo. Essere preti in Italia”, non usa mezzi termini: occorre vigilare su quella «propaganda ecclesiastica» che disegna la figura del prete in modo angelico e «a partire dalle attese delle persone», imponendo sulle spalle del giovane prete il fardello dell’ideale della perfezione e di una vita «totalmente spesa» (una retorica a volte carica di violenza ideologica che poi schiaccia le persone) per l’attività pastorale. Analizzando la popolare figura del sacerdote televisivo, Cambareri afferma che «Don Matteo non si innamora, non fa fatica a pregare, non litiga, non dubita, non si sfoga con un amico, non va in vacanza, non dice parolacce… Altra cosa sono le storie dei preti veri. I preti veri, se indossano la tonaca, è perché sono fans del latinorum… i preti veri hanno dubbi di fede, a volte lasciano il ministero, soffrono per il loro celibato, hanno problemi di alcol, si innamorano, litigano con Dio e col papa-vescovo-presbiterio-popolo».

                Chiediamoci: non è la stessa dottrina sul prete, il modo in cui essa descrive la sua missione, l’associazione un po’ troppo asfittica con la mediazione di Cristo, a generare – nel prete stesso cosi come nell’immaginario collettivo – un ideale troppo esagerato e tendente al perfezionismo? Non si dimentica in tale approfondimento dottrinale che l’importanza di questo ministero e il suo legame con Cristo sacerdote e pastore si incarna in una fragile umanità e si attiva solo nel comune cammino del Popolo di Dio? E tutto ciò che intorno alla figura del prete è stato generato da un mondo sacrale e religioso, non fa sorgere nel prete stesso – nella sua psiche e nella sua spiritualità – l’ideale di un «dover essere» perfetti e impeccabili?

                La formazione del seminarista e la vita del prete dovrebbero invece rifuggire dall’ansia di prestazione religiosa, dall’intendere la missione come una serie di doveri esterni da ottemperare per raggiungere uno standard e dallo svolgere l’apostolato attraverso l’errata interpretazione del «se manco io, crolla tutto».

  • Andare oltre la tentazione del leaderismo. Di perfezionismo si può morire, come anche si può restare vittime – proprio per quegli attributi che la gente è abituata a dispensare – di un’immagine ideale e determinante del prete. A volte, tuttavia, i preti spesso rischiano di leggere sé stessi e il proprio ministero in una concezione sacrale del sacerdozio ordinato che in qualche modo li riveste di un’aurea divina e li pone su un piedistallo rispetto agli altri. Questa è la tentazione del leaderismo, che, se vogliamo, è una delle facce del clericalismo.

Mentre viviamo nella cosiddetta condizione postmoderna, che inaugurato un tempo plurale e incerto, si sente spesso il bisogno di «identità forti»  e, per i preti – spesso i più giovani – questa può essere una grande tentazione. Ma ciò dipende, ancora una volta, dal fatto che il prete è ancora oggi «troppo al centro». Lo è perché, l’attuale configurazione ecclesiale e parrocchiale è ancora fortemente piramidale, fondata sul prete che continua ad assumere un ruolo predominante e deve presiedere tutto, anche le questioni amministrative e burocratiche, rivedendo di conseguenza un’infinità di richieste e diventando di fatto colui che riassume in sé tutta la ministerialità della Chiesa.

Possiamo pensare ancora un ministero presbiterale così, come quello di un uomo solo al comando? Rispecchia la volontà di Gesù, la visione del Vangelo, l’ecclesiologia del Vaticano II? È adeguato alle attuali condizioni geografiche, culturali e pastorali? Non bisognerà allargare finalmente la ministerialità laicale (trattasi di una vera e propria impresa dopo anni di cristallizzazione) e imparare, anche tra preti, a pensare, progettare e lavorare insieme? Il prete che rimane ossessivamente al centro conosce le molte cose da fare, le supplenze da onorare, i ritmi di vita accelerati, fino ad essere ingolfato, tra gli impegni della pastorale e il numeroso arcipelago di Messe da celebrare (ma quando ripenseremo anche questo?) e, per di più, in contesti spesso scristianizzati o frammentati, dove sembra che vada a vuoto buona parte di questa fatica.

Tutto ciò genera quel diffuso sentimento di disagio e di stanchezza fisica e psichica che conosciamo come burn-out (esaurimento professionale, sindrome da stress). Afferma Cambareri che il prete è vittima dell’ideologia che lo inquadra da decenni, anche nella Chiesa, come un leader incontrastato, in una sorta però di gioco al massacro dove l’esercizio del potere e la generosità con cui egli si spende risulta sempre impari rispetto alle richieste e alle esigenze pastorali che la gente gli rinvia: si tratta di una trappola implacabile. Egli deve essere «povero ma non sciatto; accogliente, bonario e comprensivo; che sia immerso nel mondo ma che non faccia politica; compagno degli anziani ma che sappia stare coi giovani; non accentratore, capace di relazioni ma leader all’occorrenza; prossimo dei poveri senza lasciarsi fregare; uomo di preghiera, ma con un’infarinatura di scienze umane; capace di predicare, permanentemente formato, custode delle tradizioni; in uscita, sulla soglia, alla finestra, integrato, che si guardi dalle donne, dalle amicizie con i laici, sempre disponibile, non collerico, capace di dialogo, di perdono e – decisivo per i vescovi – saggio amministratore economico».

  • Ma è mai possibile? Curare la dimensione emotiva e affettiva. Non c’è bisogno di spendere molte parole per giustificare l’importanza della formazione umana, che comprende le emozioni e gli affetti del prete. Lo psichiatra Raffaele Iavazzo vi ha dedicato uno studio prezioso, specialmente riguardo all’insufficiente maturazione emotiva e ha affermato: «Ai giorni d’oggi, il presbitero, o qualsiasi altro religioso, fa i conti con condizioni fisiche, politiche e culturali per cui è necessaria una buona tolleranza alla frustrazione, con una sufficiente capacità di elaborare i limiti e gli insuccessi, senza viverli ogni volta come una propria responsabilità… Quello che osservo in tante situazioni è che manca il linguaggio adeguato a esprimere le difficoltà e il corpo appare una buona scorciatoia per comunicare le cose che non vanno e di cui spesso non si ha neppure consapevolezza. Qualche volta si ha solo voglia che qualcuno si prenda cura di noi, perché siamo stanchi di soffocare per l’ennesima volta i nostri bisogni rinviati, di anteporre il servizio agli altri alle nostre esigenze personali».

Il discorso va molto ben approfondito: c’è una specie di insano eroismo talvolta, mascherato da un falso zelo religioso e da quella concezione di autocentrato di cui si parlava prima, che a volte impedisce al prete di sentirsi a casa nelle proprie emozioni, di esprimerle anche quando è sconveniente, di fare i conti con frustrazioni e fallimenti come tutte le persone di questo mondo, senza truccarli con il finto pietismo; tra parentesi: pietismo pessimo quando rimarca che «questa è la volontà del Signore» o «bisogna portare la croce» e via di questo passo.

                Per una formazione che sia all’altezza delle sfide emotive e affettive, specialmente oggi, abbiamo bisogno di ripensare anche i luoghi e i percorsi della formazione. Iavazzo afferma che i seminari hanno svolto una lodevole funzione per molti lustri; tuttavia, essi «separano i candidati al sacerdozio dalla loro comunità familiare e sociale, mentre è nel contesto comunitario che si sviluppa la capacità di vivere rapporti; che si esprimono comprensione e affabilità, maturità oblativa, disponibilità a voler bene e a lasciarsi volere bene… La comunità educativa migliore per un candidato al sacerdozio è quella che si configura come un contesto vitale… Sarebbe auspicabile, nella precoce esperienza pastorale dei candidati al sacerdozio, l’introduzione di prolungate permanenze presso contesti familiari di particolari significato: un tirocinio qualificato e diversificato come capita agli studenti di medicina, di diritto, delle scienze dell’educazione ecc., per sperimentarsi nelle varie forme del futuro ministero, ma senza pregiudizi, non clericale, davvero radicati nella vita della comunità aperta al mondo».

                Come ci vede la gente rimanda dunque al problema di fondo, quello più urgente e ancora poco affrontato: chi è davvero il prete e di quale prete ha bisogno la Chiesa del futuro.

  Francesco Cosentino (α1979)     Settimananews                23 settembre 2023

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SESSUOLOGIA

Sesso, sempre più giovani fanno ‘flop’: stili di vita e ormoni sotto accusa

Gli andrologi: “Almeno 3 milioni di italiani soffrono di disfunzione erettile, può nascondere altre malattie”. L’importanza della prevenzione e l’aiuto dei farmaci, anche spray

Stress, comportamenti poco sani, ‘aiutini’ ormonali. Fattori che minacciano la salute sessuale dei giovani maschi, sempre più spesso a rischio ‘flop’ tra le lenzuola. La disfunzione erettile “colpisce prevalentemente gli over 40 anche se negli ultimi anni, a causa di stili di vita più stressanti, diete poco bilanciate e altre abitudini poco salutari, stiamo riscontrando un progressivo abbassamento dell’età di esordio. Anche il maggior utilizzo di ormoni come il testosterone, assunto soprattutto dai più giovani per favorire l’accrescimento della massa muscolare, aumenta le possibilità di incorrere nella problematica”. Segnala il trend Alessandro Palmieri, presidente della Società italiana di andrologia (Sia), in occasione del workshop ‘Dalla compressa… al volatile‘, promosso da Sia con il contributo non condizionante di Neopharmed Gentili per parlare di prevenzione e dell’evoluzione sul fronte farmaci: dalle ‘pillole dell’amore’ agli spray.

“Per disfunzione erettile – spiega Palmierisi intende l’incapacità a iniziare e portare a termine un rapporto sessuale che sia soddisfacente per il paziente. Si stima ne soffrano 3 milioni di italiani, ma è possibile ipotizzare che il numero degli uomini interessati dal problema sia più alto, non avendo a disposizione dati aggiornati sula patologia“, precisa lo specialista. “E’ importante non sottovalutare il ruolo della prevenzione dei fattori di rischio – raccomanda – e l’importanza degli stili di vita per contrastare l’insorgenza del problema“.

La corretta gestione della disfunzione erettile – sottolineano i promotori dell’incontro – non può prescindere da una conoscenza approfondita delle cause del disturbo, che può rappresentare il sintomo di altre condizioni patologiche sottostanti, anche gravi, come diabete, problematiche neurologiche e cardiovascolari, alterazioni ormonali. In ambito oncologico, particolare attenzione va riservata a chi subisce operazioni per il trattamento di neoplasie della pelvi, che può andare incontro a disfunzione erettile. Tra i principali campanelli d’allarme correlati gli esperti citano l’infarto, ma anche disturbi alla vista come la retinopatia, o mal di testa persistenti che implicano una vasodilatazione: tutti segnali che indicano un’alterazione corporea della funzione erettile e del tessuto endoteliale dell’organismo, sui quali è importante agire tempestivamente, anche per scongiurare altre condizioni patologiche gravi.

                La disfunzione erettile può quindi nascondere altre malattie. “In presenza di una sintomatologia sospetta – esorta dunque Palmieri – è bene rivolgersi al medico esperto in andrologia per un’analisi approfondita della problematica, al fine di arrivare rapidamente a una diagnosi e iniziare il prima possibile un trattamento che sia efficace e ‘cucito’ sui bisogni e le aspettative del paziente. Dal punto di vista terapeutico – evidenzia il presidente Sia – oltre alle tradizionali terapie per somministrazione orale, oggi abbiamo a disposizione formulazioni in spray molto efficaci, con un meccanismo d’azione rapido e di assoluta validità per il paziente“.

                Terapie ‘patient friendly’ fra cui sildenafil, il principio attivo del Viagra*, primo inibitore delle fosfodiestarasi a essere stato sviluppato e terapia di prima linea per la disfunzione erettile, “oggi disponibile in una innovativa formulazione spray facile da utilizzare, che garantisce rapidità d’azione ed efficacia del trattamento”, ricorda una nota. “Le terapie farmacologiche, associate a terapie fisiche come le onde d’urto realizzate direttamente sul corpo cavernoso, consentono al paziente di riabilitarsi completamente e di poter via via diminuire il carico terapeutico”, rimarca Palmieri.

                Gli specialisti evidenziano “il ruolo fondamentale dell’educazione terapeutica per ottenere la massima efficacia dal percorso terapeutico“. Conclude il numero uno della Sia: “Il medico andrologo ha il compito di insegnare al paziente come gestire la terapia, trasferire gli obiettivi terapeutici del trattamento e rassicurare su eventuali effetti collaterali che possono manifestarsi specie nelle fasi iniziali ma che sono del tutto trascurabili.

                                Redazione          Adnkronos 28 settembre 2023

www.adnkronos.com/salute/sesso-sempre-piu-giovani-fanno-flop-stili-di-vita-e-ormoni-sotto-accusa_29vD5Dzdn7fzPKX0LgF2xt?utm_campaign=e-news&utm_medium=email&utm_edition=202309280400&utm_source=newsletter

SINODO

Vescovo di Basilea: incomprensibili l’obbligo del celibato e l’esclusione delle donne dal sacerdozio

Non si tira indietro Felix Gmür, (α1966) vescovo di Basilea e

                presidente della Conferenza dei vescovi svizzeri (CVS), nell’intervista rilasciata oggi a NZZ am Sonntag: affronta gli argomenti ecclesiali più dibattuti alla base della Chiesa e insieme più ostici per la Chiesa gerarchica. A partire dalla questione degli abusi sessuali perpetrati anche in Svizzera da sacerdoti e attualmente allo studio da parte di un gruppo di ricercatori – guidati da due storiche: Monika Dommann e Marietta Meier – cui è stato consentito l’accesso agli archivi episcopali segreti.

Per mons. Gmür «la prospettiva delle vittime non è stata presa sufficientemente in considerazione» – cosa per la quale si dichiara «molto dispiaciuto» -, per cui si dice favorevole a un accompagnamento esterno alle indagini della Chiesa sui casi di abusi sessuali, dunque una commissione indipendente.

                Il vescovo di Basilea si esprime con estrema chiarezza anche sull’obbligo celibatario per i preti e sul sacerdozio delle donne.

  1. Sul primo, ammette che il celibato significa: «Sono a disposizione di Dio», «ma credo – aggiunge – che questo voto non sia più compreso dalla società di oggi», dunque «è giunto il momento di abolirne l’obbligo. Non ho assolutamente problemi a immaginare sacerdoti sposati».
  2. Per quanto riguarda il ruolo delle donne nella Chiesa, ritiene che la loro dall’ordinazione sacerdotale dovrebbe essere abolita: «la subordinazione delle donne nella Chiesa cattolica – ha detto – è per me incomprensibile. Sono necessari dei cambiamenti».

Redazione Adista                           24 settembre 2023

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Se a parlare è il dogma non c’è sinodalità

È vero che da qui a qualche giorno si aprirà la XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, è vero dunque che il Sinodo è un istituto vivo e vegeto, ma risponde alla sua ragione fondativa? No, perciò è un istituto fallito. È quanto sostiene, nella riflessione che pubblichiamo a seguire, Giancarla Codrignani, giornalista, scrittrice e già parlamentare della Sinistra Indipendente.

Una Chiesa sinodale è una Chiesa dell’ascolto, osserva, ma il problema è: dov’è l’ascolto se «la periferia, il basso non parla perché non le si è data la voce che aveva reclamato il Concilio Vaticano II? All’Assemblea in apertura, sul tema della sinodalità, per esempio, non saranno detti «in tutta la loro scomodità» quei temi che portano avanti «cattolici coraggiosi», come i tedeschi: abolizione dell’obbligo del celibato, sacerdozio femminile, benedizioni alle coppie gay, sburocratizzazione delle strutture ecclesiastiche… «Tacere è una via di comodo», è la considerazione conclusiva di Codrignani.

Eletta Cucuzza   Adista Documenti           1 ottobre 2023

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Il fallimento del Sinodo

Papa Francesco l’aveva chiamata “camminare insieme”. L’espressione che traduce la parola greca synodos era stata, per la verità, usata dal card. Michele Pellegrino nella pastorale piemontese del 1972 e anche lui chiedeva di partire dal basso. Probabilmente Francesco è arrivato tardi.

                Le risposte – ma soprattutto le domande, i dubbi, le eresie – del “popolo di Dio” avrebbero dovuto invitare i teologi a ripensare metodi e contenuti di un rinnovamento ormai urgente anche a prescindere dal sinodo. Quando un bambino di sette anni domanda che cosa vuole dire Creatore se c’è l’evoluzione, fa lo stesso ragionamento di mons. Luigi Bettazzi che, nell’ultimo articolo pubblicato su Rocca, fa riferimento a una narrazione della creazione dentro la quale sta l’evoluzione (tanto per non tornare a fare la figura fatta con Galileo). I battezzati, infatti, cioè il basso, sono così ignoranti delle cose di Chiesa (e più ancora di quelle di Dio) e così adeguati alle abitudini del “sacro” che si percepisce la fatica che fanno se, come è stato sotto la spinta del papa, dovevano cercare di ritrovare l’autenticità del vangelo come base per il nuovo “impegno sinodale”.

 Purtroppo ancora una volta, la mediazione è stata affidata all’ormai malcerta autorità clericale, paradossalmente contraddittoria con un “sinodo del rinnovamento”, organizzata attraverso le solite strutture, parrocchie, diocesi, clero non sempre aggiornate e poco “laiche”. Per questo Francesco si era premurato di invitare ad assumere il ministero della teologia con fedeltà creativa alla tradizione, opportunamente sottolineando il “pericolo dell’indietrismo”. Infatti il teologo è uno che, per mestiere, si arrischia ad andare oltre e se ci saranno limiti sarà il magistero a segnarli (ahimè, come sempre, se non si può accettare il caos). Per fortuna oggi anche la teologia può farsi multidisciplinare e la storia, la filosofia, la sociologia, l’antropologia non sono più suppellettili profane, ma preziosi strumenti di lavoro.

                Sono consapevole di intervenire su un terreno che mi appartiene solo per la competenza politica che implica e perché anche i laici non accademici si debbono esprimere – e perfino le donne – in virtù del diritto dei battezzati. Anche perché ormai tutti, anche “in alto”, dicono (o, tacendo, non dicono) di tutto. La teologia contemporanea, infatti, non aiuta: dalla conferma delle regole tridentine alla seduzione dell’ateismo, l’abbondante saggistica religiosa non risulta sempre memorabile, a dimostrazione che Francesco aveva ragione nel chiedere aiuto al popolo dei non addetti, che, forse, hanno voglia di teologia.

Forse Francesco è arrivato troppo tardi: avendo i teologi trascurato per anni lo scavo della miniera conciliare (perché il Vaticano II era pastorale e non dogmatico?), il tempo ha consegnato al silenzio gli scritti preziosi dei padri che, contestati allora dalla curia vaticana, avevano anticipato il coraggio di Giovanni XXIII: Chenu, Rahner, Schillebeeckx, Congar, Kasper… Per questo mi deludono i teologi che evitano la via diretta per affrontare in radice i problemi che intrigano chi fatica a confessare “verità” in-credibili. Una lettura dei testi “sacri” dovrebbe comprendere che cosa questa Parola ci dice, oggi, a noi, a me, anche guidata da un magistero in cerca come me di unità nella ricerca veritativa sempre in cammino. La Bibbia, il Corano, il Popolvuh dei Maya, i Veda o le Upanishad sono “sacri” non perché fatti di tavole di pietra o di pergamene: il senso lo acquistano se vengono letti e, poi, la generazione successiva li rilegge con altra sensibilità. Misterioso il conseguimento della verità, che non è mail “la certezza” se non per atto di fede, solida perché conosce il dubbio. D’altra parte il “sacro” merita qualche distinzione: non sempre è il santo o il divino.

Le scienze infatti hanno sempre inquietato il pensiero dogmatico, ma anche le apparentemente diverse superstizioni: perfino i no-vax e i no-green rispondono per fede alle loro presunte teorie, ricusando il metodo dello scienziato che non si contenta se non “dimostra con prove” la sua tesi, che, una volta convalidata, resta solo un gradino in più, in attesa di ulteriori sviluppi. Per la Chiesa cattolica, lasciando perdere i classici antichi aprioristicamente e inesorabilmente “pagani”, il primo vero trauma nei confronti dell’argomentazione autonoma della scienza è stato il caso Galileo. L’errore di quella condanna è stato corretto nel 1992: dall’abiura sono passati 4 secoli, qual fattosi quattro secoli, durante i quali per il Vaticano, nonostante il lavoro diuturno della specola vaticana, la terra non girava intorno al sole. Il card. Roberto Bellarmino, uomo di punta della Controriforma (lo chiamavano il martello degli eretici) che si era occupato della revisione della Vulgata, da ecclesiastico austero e pieno di buone intenzioni, si rese responsabile delle condanne di Giordano Bruno e di Galileo Galilei. Il primo, filosofo, mantenne la coerenza e la libertà della coscienza e subì il rogo; Galilei, scienziato, abiurò. La filosofia infatti si gioca sui principi e se il potere imbavaglia un libero testimone di verità, solo lo scandalo della morte può ridargli la voce annichilita dalla condanna. La scienza invece “sa” di avere dimostrato con prove e aspetta il riconoscimento di cui, quando che sia, è sicuro. Oggi fortunatamente la teologia sa di leggere i segni dei tempi in un’epoca di trasformazione radicale e deve superare sia l’eredità postuma dell’idealismo, sia l’urgenza di avere, di fronte alla formulazione di proposte assolutamente nuove, una nuova visione per non pronunciare sentenze a vuoto.

È la scienza che oggi pone le domande a filosofi e teologi, ignari che le loro scuole di pensiero possono restare ideologiche: perfino il libro della natura interpretata dal livello attuale delle scienze non collima con le Scritture tramandate come Parola di Dio. Allo stato, o si segue il creazionismo vetero-dogmatico o ci si riconosce eretici, senza paura di un santuffizio che, solo per il recente coraggio di una dichiarazione inequivocabile di papa Francesco – in altri tempi è arrivato ad usare metodi immorali – non potrà tornare a giudizi impropri che darebbero un colpo mortale all’istituzione. Urge, dunque, ripensare come leggere, tradurre e interpretare quella Parola, che resta Parola, anche se il suo linguaggio va ascoltato secondo l’intellegibilità dell’ascolto: la grandezza di Dio, per chi ha fede, è quella del poeta, non quella del un retore: se Cicerone tornasse e parlasse italiano scarterebbe le vetuste traduzioni umanistiche del “De natura deorum” letto sul tablet. Ovviamente prima bisogna capire un dio che non vuole più essere autore dei “salmi delle maledizioni”, se mai l’avesse voluto.

Aspettiamo l’IA? Testo “naturale”, testo “artificiale”? Anche il mondo “naturale” non è più lo stesso e la crisi ambientale dimostra che dovremo prendere provvedimenti efficaci non per la conservazione della natura “di una volta”, ma a misura delle trasformazioni di un sistema produttivo di sfruttamento non più solo del lavoro, ma del suolo (come leggere il dominare la terra della traduzione biblica classica) delle cui carenze sappiamo da almeno cinquant’anni.

Ci sono domande che riconducono al creazionismo, termine insostituibile per i tradizionalisti. Il nome di Darwin è ancora demoniaco per i conservatori – in particolare americani – che, per coerenza, dovrebbero vietare ai cattolici la visita di un museo antropologico. Se si ragiona senza problemi delle ere geologiche, non ha senso bloccarsi quando si passa alla comparsa dell’uomo e all’antropologia. Infatti, anche per i credenti la creazione “diviene” e bisogna andare a fondo sull’ormai storica incompatibilità con l’evoluzionismo. La scienza si è espressa, la teologia no: se i problemi relativi ai primi capitoli della Genesi, il card. Ravasi li riduce a eziologia metastorica sapienziale, la Chiesa non dà prova di grande coraggio: le dissolvenze non aiutano a dirimere la questione. Il prof. Louis Caruana della Gregoriana ha sostenuto la ricerca di un suo giovane allievo che ha pubblicato un’interessante tesi di laurea: Evil, Theodicy, and Evolutionary Theory. Luca Di Gioia, l’autore, ha preso le mosse dalle dottrine classiche sul male, la giustificazione e il piano della salvezza. Da Giobbe a Epicuro, a sant’Agostino e a san Tommaso (che non dicono le stesse cose sulla natura) passa in rassegna le teorie classiche e le sottopone a una critica semplicemente innovativa per il credente laico, forse persuasiva anche per un conservatore. Il male non ha bisogno di un peccato originale: le sofferenze, la morte e, appunto, il male hanno motivazioni umane, sociali e storiche: Dio c’entra perché stanno nel piano della salvezza. Per la nostra umana percezione, sperimentiamo fattualmente solo l’assenza del bene. Il darwinismo non si occupa di Dio: fornisce un’indagine sui meccanismi dell’evoluzione in natura liberando la continuità genetica delle forme di vita, della loro continuità e selezione, supportate dalla paleontologia e dalla paleogenetica come ipotesi di lavoro sulla natura che oggi impariamo a conoscere meglio. Il dibattito in corso sulle tipologie della sessualità sta a dimostrare la schematicità di un passato in cui l’uomo era il dominatore dell’ambiente e della famiglia umana (con il capofamiglia che assoggetta la donna e dà il nome ai figli). Qualche parentela con la creazione biblica con cui Dio creò l’essere umano, maschio e femmina? Certamente non patriarcale, se famiglia doveva essere. La legge si è fatta dio legittimando l’ordine famigliare dei figli “legittimi”, “illegittimi” o “bastardi”, repressiva nei confronti di chi disturba gli stereotipi inveterati. Vale per la società civile intera, ma anche – forse soprattutto – per la teologia cristiano-cattolica, riappropriarsi del fondamento etico della complessità dell’amore. Il futuro ne ha un gran bisogno.

Tutto questo che cosa ha a che vedere con il Sinodo? Una Chiesa sinodale è una Chiesa dell’ascolto, nella consapevolezza che ascoltare è più che sentire”. Ma la periferia, il basso non parla perché non le si è data la voce che aveva reclamato il Concilio Vaticano II. Che – bisogna dirlo – è stato sconfitto dai conservatori che ancora mal digeriscono Francesco nella disattenzione del basso alle sue richieste, che possono essere difese solo “perché è il papa”. Il quale può sentire l’obbedienza (relativa) come scandalo se si accorge che la sua Chiesa non è più capace della libertà dei figli di Dio. Fino ai nostri giorni per molti vescovi l’ascolto è stato quello “dello Spirito” (che parla solo a loro?), non l’ascolto del Popolo di Dio, pur riconosciuto “re”, “sacerdote”, “profeta”. Voci che, se non osano parlare, vanno incoraggiate: non è solo dal basso che sono possibili le sbandate. La voce dello Spirito non crea spontaneamente l’unità di fede: se avesse voce umana, chiederebbe aiuto per la liturgia. Se la sinodalità deriva direttamente dal Vaticano II, è un dono di Dio, una conversatio in Spiritu sancto, che può diventare universale, oltre le belle parole; ma dove va? Ho la presunzione di capire le contraddizioni di cui Francesco si fa responsabile (per pura necessità difensiva): forse sta dalla parte dei progressisti del Sinodo tedesco, anche se li ha più volte sgridati. Ma i temi che, appunto, i cattolici coraggiosi tedeschi portano avanti vanno almeno detti in tutta la loro scomodità in vista del Sinodo dei Sinodi calendarizzato per il 4 ottobre: l’abolizione del celibato sacerdotale, il sacerdozio femminile, le benedizioni delle coppie gay, la sburocratizzazione delle strutture ecclesiastiche per renderle fluide e accessibili per la gente, trasparenza sulla lotta agli abusi, persino l’elezione diretta dei vescovi. Non sono argomenti dei Consigli pastorali, ci vorrebbero laboratori di studio per evitare l’impoverimento della vita parrocchiale che elaborino risposte alle esigenze del futuro e impediscano di seguire l’invito alla gioia. Sono la prima a non sapere che cosa proporre. Ma sento – da non accademica – che tacere è una via di comodo. Sapere che tutte le chiese delle diverse religioni sono in crisi non consola perché il nemico peggiore è l’insidia conservatrice dell’abbandono. Il coraggio non può tenere il freno a mano tirato.

Giancarla Codrignani     Adista Documenti           n° 33     30 settembre 2023

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STORIA ECCLESIASTICA
Leone XII a 200 anni dalla elezione ci sono ancora da studiare le sue riforme

Un colloquio con Ilaria Fiumi Sermattei che ha curato i Quaderni dedicati al Papa Marchigiano

Annibale della Genga nacque a Monticelli di Genga, nel distretto e diocesi di Fabriano, il 22 agosto 1760; sesto di dieci figli, la stessa nascita e una tradizione familiare di presenza nel clero predisponevano Annibale alla carriera ecclesiastica; educato nel collegio ‘Campana’ di Osimo e passato nel collegio ‘Piceno’ di Roma, dopo aver conseguito tra il 1782 e il 1783 il suddiaconato e il diaconato, il 14 giugno 1783 fu ordinato sacerdote.

                Nell’agosto 1790 papa Pio VI gli affidò l’incarico di pronunziare nella cappella Paolina del Quirinale l’orazione in morte dell’imperatore d’Austria Giuseppe II che tanti problemi aveva provocato alla Chiesa con il suo giurisdizionalismo. Nel 1816 papa Pio VII lo elevò al cardinalato, destinandolo alla diocesi di Senigallia. Afflitto dalle sue croniche infermità, il neoporporato non raggiunse mai la sua sede vescovile e già a settembre annunziava la propria decisione di farsi da parte (ma dovette aspettare quasi due anni perché fosse designato il suo successore).

  Almeno in parte ristabilito, ebbe come cardinale il titolo della basilica di Santa Maria in Trastevere ed assunse le cariche di prefetto della Sacra Congregazione dell’Immunità Ecclesiastica (9 maggio 1820) e di cardinale vicario (12 maggio 1820). Ma nel 1823 morì papa Pio VII ed il conclave, che si aprì, si rivelò il luogo in cui si scontravano da una parte l’esigenza francese di avere un papa sicuramente ostile all’Austria e, se possibile, moderatamente riformatore; dall’altra la preoccupazione austriaca di portare al trono un candidato di sicura fede legittimistica, allineato sui principi della Santa Alleanza e come tale disposto anche a sacrificare parte dell’indipendenza della Chiesa.

                Questa contrapposizione, mentre confermava il ruolo d’interdizione del ‘partito delle corti’, minacciava di bloccare l’esito delle votazioni su uno stallo dal quale si sarebbe potuto uscire con un’unica soluzione: quella di un candidato di passaggio e con una non lunga prospettiva di vita, la cui elezione avrebbe consentito di prendere tempo in attesa che si risolvessero le diatribe delle potenze. I turni iniziali delle votazioni del Conclave videro un ‘testa a testa’ tra il card. Severoli, ex nunzio a Vienna, zelante ma poco gradito all’Austria, ed il card. Castiglioni, considerato sostenitore del riformismo ‘consalviano’, il quale era gradito alla Francia anche per la sua natura incline alla moderazione. Nessuno dei due raggiunse il numero di voti che occorrevano per essere eletti, perché la forza di tutti gli schieramenti in campo stava nell’impedire l’elezione del candidato avverso, ma non nel far vincere il proprio. Per questo fu proposto il nome del card. Della Genga, che scelse il nome di Leone XII, divenuto papa il 28 settembre 1823.

A 200 anni dall’elezione a papa abbiamo chiesto  alla prof.ssa Ilaria Fiumi Sermattei,(α1970) docente di ‘Storia e Beni culturali della Chiesa’ alla Pontificia Università Gregoriana di Roma, di raccontare quanto è stata importante per la Chiesa l’elezione a papa di Leone XII: “L’elezione al soglio pontificio di Leone XII, al secolo Annibale della Genga, che regnò dal 1823 al 1829, giunse in un momento cruciale della storia della Chiesa. I pontificati che lo precedettero, quello di Pio VI Braschi, l’ultimo papa dell’Antico Regime morto prigioniero nella Francia rivoluzionaria, e quello di Pio VII Chiaramonti, durato oltre 20 anni tra l’età napoleonica e il Congresso di Vienna, furono segnati da guerre, occupazioni e prigionie.

                Si può dire che l’avvento di papa Leone XII chiuse un’epoca tormentata, e che la sua elezione fu percepita, ed auspicata, dall’opinione pubblica come una svolta nella direzione di una necessaria stabilizzazione e della ricerca della difficile ricomposizione delle novità napoleoniche con la tradizione del passato. Nell’età della Restaurazione la Chiesa si appresta a confrontarsi con le tensioni e le contraddizioni dell’età moderna, che pervade ogni aspetto della società umana, nella piena consapevolezza che nulla potrà più essere come prima della rivoluzione, e che occorre elaborare nuove risposte per le sfide dei tempi moderni”.

Come preparò il Giubileo del 1825?

                La celebrazione del Giubileo del 1825 fu preparata con grande cura, come occasione per ‘risacralizzare’ la città di Roma dopo le burrascose vicende rivoluzionarie di inizio secolo. Sin dall’anno precedente furono organizzate le pubbliche prediche, o ‘missioni’, nelle principali piazze romane, affidate ai più valenti predicatori del tempo e destinate al popolo di Roma. Si voleva infatti che il Giubileo non fosse rivolto solo ai pellegrini stranieri ma in primo luogo ai cittadini romani. Fu verificato lo stato delle chiese, dei monasteri e dei conventi, esaminandone gli aspetti materiali per programmare i restauri, ma anche la tenuta spirituale e l’osservanza delle regole da parte delle congregazioni religiose. Fu organizzata l’accoglienza degli stranieri nell’Arciconfraternita dei Pellegrini, coinvolgendo ogni classe sociale nel servizio ai pellegrini poveri”.

                Per quale motivo emanò la costituzione apostolica ‘Super universam’? (15 agosto 1967)

Sin da quando, ancora cardinale, era vicario di papa Pio VII, Annibale della Genga aveva elaborato un piano di riforma delle parrocchie di Roma, avendo verificato come la struttura vigente non fosse più adeguata al mutato quadro sociale dell’Urbe. Eletto papa, egli riprende quella proposta di riforma, e la mette in atto con la costituzione apostolica ‘Super universam’. Sopprime alcune parrocchie, ne istituisce di nuove, per consolidare quel ruolo di preminenza religiosa che è ora affidato alla città rispetto ad altre valenze temporali e mondane. E’ proprio mediante questa riforma che Roma è rilanciata come ‘città santa’ nel clima di intenso risveglio religioso che caratterizza l’età del Romanticismo”.

Il pontificato di papa Leone XII, e, più in generale, il governo papale nei primi decenni del XIX secolo, sono segnati da una vera e propria ansia riformistica. Se da un lato, proprio questa continua sollecitazione finì per inficiarne inesorabilmente gli esiti (tanto che all’epoca il popolo mormorava ‘ordini, contrordini e disordini’!) pure in questa spiccata attitudine riformatrice si coglie una ottimistica volontà di incidere nella realtà migliorandola”.

                Quale ‘posto’ occupavano i poveri nella politica di papa Leone XII?

“La propensione verso i poveri da parte di papa Leone XII è rivelata da uno dei suoi primi atti appena eletto, e cioè il ripristino della tavola dei pellegrini, un’antica consuetudine tradizionalmente riferita a papa Gregorio Magno, ma abbandonata a seguito dell’occupazione francese di Roma. Si trattava di un pranzo offerto ogni giorno ai poveri dal papa che serviva personalmente i suoi ospiti indossando lo ‘zinale’, o grembiule. Questa cerimonia, di grande impatto comunicativo e pregnanza simbolica, mirava anche a funzionare da modello esemplare per le classi dominanti, sollecitando alla pratica della carità e del servizio nei confronti dei soggetti più deboli”.

                                               ACI Stampa        28 settembre 2023

www.acistampa.com/story/leone-xii-a-200-anni-dalla-elezione-ci-sono-ancora-da-studiare-le-sue-riforme

TEOLOGIA

Manifesto per una teologia dal Mediterraneo

                Pubblichiamo di seguito il testo del Manifesto per una teologia dal Mediterraneo reso pubblico lo scorso 21 settembre a Marsiglia, nella sede dell’Institut Catholique de la Méditerranée, nell’ambito delle iniziative per l’incontro dei vescovi del Mediterraneo con papa Francesco.

 Il Manifesto nasce dal lavoro di teologhe e teologi che − a partire dal 2019 e dal discorso di Francesco a Napoli − si sono confrontati su che cosa significhi fare teologia nel contesto del Mediterraneo, quale sia lo specifico di una teologia contestuale e come questa possa contribuire a una più profonda comprensione del valore delle differenti culture per l’annuncio del Vangelo; a una più adeguata intelligenza della cattolicità della Chiesa; alla promozione di una cultura dell’incontro.

 Il Manifesto esprime l’impegno per la costruzione di una rete teologica mediterranea alla quale stanno aderendo molte istituzioni teologiche (Napoli, Bari, Venezia, Palermo, Marsiglia, Libano, Maghreb e altre). Una tappa importante, aperta e generativa, di un cammino che si spera possa continuare nella ricchezza di un lavoro in rete.

                Il testo che segue ha visto la luce da esperienze teologiche in atto sulle rive del Mediterraneo e da un percorso di ricerca e di confronto durato diversi anni. Viene ora consegnato nella forma di un manifesto a quanti, interessati al tema, intendono coinvolgersi, a diverso titolo, nel processo inaugurato. Secondo l’etimologia della stessa parola “manifesto”, è infatti nostra intenzione offrire alle chiese, alla comunità accademica e a quanti desiderano incrociare il nostro lavoro, un testo che rende note alcune acquisizioni teoriche e alcuni punti fermi a partire dai quali intendiamo lavorare per una teologia dal Mediterraneo. Si tratta, pertanto, di un testo aperto, dinamico come è il processo che ci auguriamo possa originarsi dalla consegna del presente manifesto. Per tale ragione esso rappresenta pure un’assunzione di responsabilità, da parte nostra in quanto teologi e teologhe, per una teologia che possa contribuire a tessere reti tra le chiese mediterranee e a costruire un Mediterraneo di pace.

I. Il Mediterraneo ci interpella

                Questo documento nasce dall’ascolto. Che cosa udiamo, vediamo, tocchiamo, sperimentiamo mettendoci in ascolto profondo del Mediterraneo?

Il nostro non può limitarsi ad essere un ascolto di superficie. Rivolta verso l’altezza dei cieli e nel contempo verso gli abissi della terra, la teologia ci spinge verso le profondità del Mediterraneo, e ci costringe ad attraversarne le città, i porti, i luoghi di culto, le casbe, le porte…, là dove avviene il meticciato: frutto di incontri e di conflitti, di dialoghi e di compromessi, di accoglienza e di rifiuti.

                Di fronte alle contraddizioni, alle emergenze sociali e alle molte sfide che si propongono, soprattutto per i credenti, non possiamo rimanere inerti e in silenzio. Chi fa teologia avverte la responsabilità di portare a parola tutto questo con uno sguardo di fede. Consapevoli che «insegnare e studiare teologia significa vivere su una frontiera»,  siamo chiamati ad offrire una narrazione diversa del Mediterraneo, delle sue storie e dei suoi volti, per condividere con quanti incontriamo una lettura sapienziale, secondo la mistica della speranza, in solidarietà con tutti i naufraghi della storia, secondo uno stile evangelico di dialogo, relazionale e profetico.

                Le mille coste e le molte popolazioni, i tre continenti (Africa, Asia, Europa) e le cinque rive (Africa del Nord, Medio Oriente, Mar Nero e Mar Egeo, Balcani ed Europa Latina) che si affacciano sul Mediterraneo, così fortemente caratterizzati dalla esperienza culturale e sociale delle sponde − ovvero da quanto il mare determina come vita, abitudini e scelte, dagli scambi e dalle commistioni che avvengono lungo i crocevia delle strade e delle piazze − sono stati, nei secoli, luoghi favorevoli di svelamento del senso dell’umano e del divino.

Il Mediterraneo è stato culla di storia, religioni, migrazioni, scambi economici e culturali, percorsi di pace e di progresso. Tuttavia oggi l’immagine del naufragio appare forse quella che meglio lo rappresenta, essendo diventato di fatto, per molti, una tomba: luogo di ingiustizie e di disuguaglianze, deportazioni e stragi. Un luogo dove tutti siamo naufraghi: perché quello a cui assistiamo nel Mediterraneo è un naufragio di civiltà.

                Il Mediterraneo è stato anche grembo che ha visto sorgere il pensare credente, non solo quello cristiano. Qui, non senza conflitti e martirii, hanno preso forma quei modelli teologici che ancora oggi sono termine di confronto per nuove teologie elaborate anche al di fuori di esso. Il nostro impegno è per una teologia che, facendo tesoro di questa millenaria tradizione, si riconosca come teologia dal Mediterraneo. Vogliamo accogliere la lezione magistrale che in questi anni papa Francesco ci ha donato, soprattutto nel convegno di Napoli del 2019, all’incontro con i Vescovi del Mediterraneo a Bari nel 2020 e in molte altre occasioni, e lavorare per una teologia che dal Mediterraneo possa contribuire a generare percorsi di fraternità, condivisione e pace all’interno delle comunità credenti e in dialogo con quanti si spendono per la costruzione di un mondo fraterno. Ciò sarà possibile se si recupererà sempre più la dimensione affettiva, relazionale e agapica dell’umanesimo mediterraneo.

Siamo anche noi convinti che non è possibile leggere realisticamente il Mediterraneo «se non in dialogo e come un ponte – storico, geografico, umano – tra l’Europa, l’Africa e l’Asia. Si tratta di uno spazio in cui l’assenza di pace ha prodotto molteplici squilibri regionali, mondiali, e la cui pacificazione, attraverso la pratica del dialogo, potrebbe invece contribuire grandemente ad avviare processi di riconciliazione e di pace».

Fare teologia nel Mediterraneo vuol dire per noi scegliere di costruire una teologia non neutrale, che ha nella logica dell’incarnazione e nel mistero della Pasqua i suoi architravi. Una teologia che riconosce nella storia non uno spazio meramente applicativo, bensì il luogo in cui comprendere il senso autentico dell’annuncio del Vangelo.

II. Uno stile per fare teologia nel Mediterraneo

1. Una teologia contestuale e narrativa. Il Mediterraneo ha bisogno di una teologia che viva fino in fondo la sua dimensione contestuale, riconosciuta come una chiamata propria e irrinunciabile. Tale esigenza appare oggi un elemento costitutivo, non relegabile semplicemente ad alcune proposte “originali” e “marginali”.

                I popoli del Mediterraneo, che hanno favorito il fecondo incontro tra le tradizioni di fede ebraica e cristiana e il pensiero greco-ellenistico, custodiscono, nel loro modo di intendere la vita e il mondo, l’interpretazione della teologia come “affectus fidei”. Il recupero della dimensione “affettiva”, unita inscindibilmente a quella “intellettuale” e tale da costituirne la molla interiore, può favorire una lettura non estrinseca, ma – per così dire – dall’interno di quanto accade in tale contesto.

La teologia dal Mediterraneo è, in tal senso, una teologia “immersiva” che si lascia toccare dalle ferite e dalle inquietudini che esprimono i contesti mediterranei, sapendo cogliere nondimeno anche il novum che in essi affiora. È da queste ferite che scaturisce la luce della Pasqua di Gesù, criterio vivo con il quale continuare a interpretare il movimento dell’analogia, che ha permesso nei secoli alla Chiesa di leggere nella realtà, nel creato e nella storia, nessi, segni e rimandi all’agire salvifico di Dio.

Al contesto come tale, e a questo contesto mediterraneo in particolare, va riconosciuto un valore non soltanto in sé, bensì in ordine alla salvezza operata da Cristo in vista dell’avvento del Regno. In tale senso, il Mediterraneo può essere inteso come “luogo teologico” che richiede l’attenzione, pacata e non superficiale, verso le storie di vita dei singoli e delle comunità, le biografie e i vissuti, a favore di una teologia più narrativa.

2. Una teologia dell’ascolto. Una teologia dal Mediterraneo, come ogni teologia, vive dell’ascolto della Parola di Dio e dell’ascolto della vita degli esseri umani. È una teologia che non rimane insensibile al grido di dolore e alle richieste di giustizia che giungono dai tanti naufraghi della storia: da coloro che lasciano i loro paesi, da quanti sono sfruttati nel loro lavoro e umiliati nella loro dignità; da quanti sono privati del diritto di abitare la propria terra, spogliati della possibilità di un futuro. Suo compito è dare voce all’istanza profetica racchiusa nel “grido” dell’umanità che riecheggia quello del Cristo in croce (cf. Mc 15,34).

                Sappiamo di dover partire da questo ascolto che, più di ieri, assume oggi il suono del silenzio e del pianto dei sommersi e non salvati, delle storie di rassegnazione e di riscatto. Vogliamo farlo con lo stile di una teologia umile, che non dà risposte preconfezionate, ma si lascia abitare dalle provocazioni di questo mare e delle terre da esso raggiunte.

Radicata, come ogni autentica teologia, nell’auditus fidei e nell’auditus hominis, la teologia dal Mediterraneo vuole praticare il codice dell’accoglienza che non teme la pluralità; che aiuta a considerare le differenze presenti nel “con-testo” come una inedita “tessitura di testi” che genera novità di vita e di pensiero, non come un intralcio. È una teologia capace di un’ermeneutica della misericordia che sa promuovere la conoscenza dell’altro − chiunque egli sia: Giudeo, cristiano musulmano, diversamente credente o non credente − nella ricchezza di cui è portatore, aprendo vie di autentico scambio nel tessuto globale mediterraneo sociale ed ecclesiale.

Non più eurocentrata, è una teologia capace di attraversare le culture, attenta a riconoscere l’altro senza temere una possibile “contaminazione”, capace di dare voce alle differenti rive che circondano il Mediterraneo: alla ricchezza  dell’Oriente da cui è venuta la luce della Sapienza divina – i cui “semi” sono già presenti nelle vite, nelle religioni dei suoi popoli –  a quella dell’Occidente europeo con il suo patrimonio speculativo e umanista, alimentato in modo particolare dalla tradizione giudaico-cristiana; e a quella del Continente africano ricco non solo di risorse naturali, ma anche di inestimabili qualità umane come il profondo senso religioso – qual è vissuto nell’Islam del Maghreb e nelle religioni tradizionali africane − il senso della famiglia, il rispetto della vita, la vita comunitaria e il senso acuto di solidarietà.

                «Non possiamo pretendere che tutti i popoli di tutti i continenti, nell’esprimere la fede cristiana, imitino le modalità adottate dai popoli europei in un determinato momento della storia, perché la fede non può chiudersi dentro i confini della comprensione e dell’espressione di una cultura particolare. È indiscutibile che una sola cultura non esaurisce il mistero della redenzione di Cristo» (Evangeli Gaudium 118).

 www.vatican.va/content/francesco/it/apost_exhortations/documents/papa-francesco_esortazione-ap_20131124_evangelii-gaudium.html

3. … e del dialogo. Una teologia dal Mediterraneo traduce nella sua prassi il principio del «dialogo a tutto campo» (Veritatis Gaudium – Proemio 4b). L’istanza dialogica, del resto, non può essere considerata una semplice scelta opzionale tra le tante, ma va assunta a partire dal suo caratterizzare la dinamica stessa della rivelazione: Dio è dialogo e il dialogo è luogo di Dio.

https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2018/01/29/0083/00155.html

Al dialogo con le altre tradizioni religiose deve accompagnarsi un dialogo con le culture e con i diversi approcci del sapere alle domande profonde che riguardano la vita degli esseri umani. Le asserzioni di fede, radicate nella tradizione viva della Chiesa, e nelle espressioni delle differenti confessioni cristiane (armeni, ortodossi, protestanti…) vanno assunte e comunicate con la premura di evidenziarne le potenzialità dialogiche nel confronto con altre confessioni cristiane e tradizioni religiose.

Questo impegna i teologi e le teologhe del Mediterraneo a favorire l’interazione dinamica tra centri teologici e culturali, il «fare rete» (VG Proemio 4d) con le diverse espressioni delle realtà ecclesiali e religiose e con le molteplici altre che promuovono cultura e impegno sociale. 

                4. Una teologia che superi il divorzio dalla prassi. Una teologia dal Mediterraneo, proprio perché si lascia interpellare dal contesto, è da sé orientata al vissuto concreto della comunità credente. Pastori e teologi, insieme al resto del popolo di Dio, desiderano superare quello che Papa Francesco ha più volte definito “divorzio” tra teologia e azione pastorale.

                È tempo di oltrepassare antichi steccati e favorire nuove e feconde sinergie. Senza un’attenzione ai vissuti ecclesiali, la teologia si ridurrebbe ad attività da laboratorio, astratta, fredda, impersonale, autoreferenziale, inadatta a cooperare con l’intero popolo di Dio alla missione evangelizzatrice.

                La teologia dal Mediterraneo riconosce nei vissuti ecclesiali il luogo generativo della sua riflessione, e intende sollecitare le comunità ecclesiali a una costante verifica circa la fedeltà a un’ermeneutica orientata al dialogo fecondo tra la Parola di Dio e la storia degli uomini e delle donne del nostro tempo. Di qui la proposta di percorsi accademici che valorizzino le narrazioni nate dalle prassi ecclesiali e accompagnino una formazione indirizzata al loro rinnovamento.

5. Una teologia che valorizzi la religiosità popolare. Una teologia del Mediterraneo non può non valorizzare la religiosità popolare come fede di popolo ed esperienza religiosa radicata in una tradizione credente. Non si può ignorare la forte portata di simboli, riti e cosmovisioni diffusi tra i popoli del Mediterraneo, rileggendoli in un orizzonte ermeneutico di fede condivisa. La religiosità popolare nel Mediterraneo è spazio privilegiato di contaminazione e di ospitalità reciproca di fedi e culture diverse.

                Ed è luogo di espressione di quella “intercessione” che connota lo stile mediterraneo di relazione. Non riducibile a puro folclore, la religiosità popolare chiede di essere compresa in profondità, nelle sue forme tradizionali così come nel senso religioso della vita che lascia emergere. Ripartire dalla centralità dell’annuncio del kerygma, nello stile proprio del dialogo, consente di riconoscere la portata evangelizzatrice della fede popolare e di porre argine alle sue possibili derive.

                6. Una teologia del “tra”. Una teologia dal Mediterraneo non può non rendersi conto che esso è uno spazio del “tra”. L’approfondimento della realtà mediterranea, frutto di interconnessioni e contaminazioni, può aiutare a riscoprire la dimensione dialogica di ciò che noi siamo, che si definisce e si costruisce ponendosi “sulla soglia” dell’altro, togliendosi i sandali «davanti alla terra sacra dell’altro (cf. Es 3,5)» (EG 169).

                Se tra i compiti della teologia vi è tradizionalmente quello di cogliere il nesso dei misteri tra essi, in un mondo in cui «tutto è connesso» (Laudato Si’ 117),

www.vatican.va/content/francesco/it/encyclicals/documents/papa-francesco_20150524_enciclica-

laudato-si.html

la teologa e il teologo devono saper cogliere nell’oggi rimandi, relazioni, interconnessioni tra temi, saperi e metodologie anche nel dialogo con le altre scienze. In una parola: la teologia del “tra” esercita una razionalità “complessa” «consapevole che la logica è uno strumento di verifica utile per verità settoriali e circoscritte all’ambito di ricerca, ma che gli strati profondi della realtà le sfuggono. […] Attraverso il suo movimento, collega ciò che è umano alla vita, alla natura, al pianeta, all’Universo».

                La teologia del “tra” è quindi l’esercizio di una razionalità aperta al mistero del mondo, non dissociabile quindi da ciò che attraversa e supera la ragione: l’amore. In questo senso, la teologia dal Mediterraneo va intesa come una “scienza delle frontiere” in cui il mare diventa metafora classica della “navigazione” aperta alla ricerca mai appagata e i “ponti”, le “strade” e le “piazze” del mondo antico divengono i simboli dell’incontro tra culture diverse.

Ciò che respinge per principio la teologia dal Mediterraneo è la legittimità della costruzione di “muri” ideologici e di qualsiasi altro genere. Diventa così imprescindibile l’apertura alla multidisciplinarietà e alla transdisciplinarità provocata dal contesto del Mediterraneo che esige nuovi percorsi didattici e l’attivazione di ulteriori competenze specifiche per gli studenti di oggi aperti al futuro.

III. Il contributo della teologia per la vita dei popoli del Mediterraneo

La teologia non è mai fine a se stessa e meno che mai lo è una teologia dal Mediterraneo. Profondamente radicata nei vissuti ecclesiali, essa vuole essere fermento e lievito per una narrazione del Mediterraneo, «in cui sia possibile riconoscersi in maniera costruttiva, pacifica e generatrice di speranza»[6]. L’opzione preferenziale per i piccoli e per i poveri dettata dal Vangelo diventa perciò opzione preferenziale per le minoranze.

1. Per la promozione della giustizia sociale e di una piena cittadinanza. Fare teologia nel Mediterraneo vuol dire ricordare che l’annuncio del Vangelo passa attraverso l’impegno per la promozione della giustizia e il superamento delle disuguaglianze causa di marginalità, che esso esige la tutela dei più vulnerabili. Non è possibile fare teologia senza richiamare la necessità di una gestione non disumana e saggia dei flussi migratori, che non usi le migrazioni come pedina nella scacchiera della geopolitica internazionale, ma sappia accoglierne la provocazione per una reale presa di coscienza delle sfide del nostro tempo e per l’affermarsi di un più ampio senso della cittadinanza.

Non è possibile fare teologia senza assumere l’impegno a difendere nelle nostre società il diritto alla «piena cittadinanza», andando oltre «l’uso discriminatorio del termine minoranza che porta con sé i semi del sentirsi isolati e dell’inferiorità» e «prepara il terreno alle ostilità e alla discordia».

                Si diventa pienamente cittadini quando si è posti nella condizione di poter contribuire a tutti gli effetti alla vita del paese in cui si vive e che si sente come proprio, e quando a ogni uomo o donna vengono garantiti gli stessi diritti. A tutti deve essere riconosciuta questa possibilità, a prescindere dalla cultura a cui si appartiene o dalla religione che si professa. La piena cittadinanza reca in sé anche il diritto alla libertà religiosa troppo spesso calpestato o negato.

                Piena cittadinanza significa anche cittadinanza attiva, la sola capace di spezzare la logica della rassegnazione o dell’assuefazione e di fare da argine al moltiplicarsi dei sistemi di corruzione nella vita politica ed economica.

2. Per un cammino sinodale delle Chiese del Mediterraneo. Fare teologia nel Mediterraneo vuol dire contribuire a tessere una rete tra le Chiese del Mediterraneo e attraverso di esse tra i popoli dei paesi che si affacciano su questo mare. La teologia dal Mediterraneo si pone al servizio della trama di relazioni che si sta costruendo tra i vescovi del Mediterraneo attraverso gli incontri di Bari, di Firenze, e di Marsiglia.

È nostra profonda convinzione che solo insieme è possibile star dentro le sfide dei contesti mediterranei e che la comunione e lo “scambio di doni” tra le chiese delle diverse sponde aiuta a ritrovare il senso profondo dell’essere chiesa nel continuo rigenerarsi del suo mistero dentro i cambiamenti e i drammi della storia.

C’è uno stile sinodale, animato da sinceri sentimenti di fraternità, che va coltivato nelle relazioni tra le chiese dei paesi mediterranei e da vivere nel dialogo con le chiese sorelle e con gli esponenti di altre tradizioni religiose. La via del dialogo ecumenico, per quanto impervia, è quella da riproporre e sostenere attraverso esperienze di incontro, confronto e collaborazione nel comune ascolto dello Spirito. È l’eredità che sentiamo di dover accogliere dai tanti martiri del dialogo nel Mediterraneo.

                Un’autentica sinodalità ecumenica può essere un primo e importante segno di credibilità della testimonianza cristiana nei paesi mediterranei ed è segno di speranza in un contesto lacerato da molteplici tensioni

                3. Per la costruzione di un futuro di pace. Fare teologia nel Mediterraneo significa non ignorare le diverse tensioni sociali, politiche e religiose, spesso causa di conflitto. L’orizzonte della fraternità universale sollecita il lavoro di una teologia della pace e per la pace, che con rigore ricerchi i fondamenti e le condizioni di possibili percorsi, capaci di ritessere i legami tra i popoli, lì dove ora regna la morte e di favorire esperienze di convivenza e amicizia sociale.

                C’è un forte senso dei legami nei contesti mediterranei: una ricchezza su cui è bene far leva. Non sempre però le relazioni si aprono all’accoglienza di chi è estraneo alla propria cerchia o dello straniero. Nei paesi del Mediterraneo il senso dell’accoglienza e dell’ospitalità convive spesso con la spinta alla chiusura nella propria famiglia o nel proprio gruppo. La teologia può aiutare a evitare il rischio del familismo e incoraggiare azioni e sentimenti di solidarietà reciproca che facciano emergere nel forte senso della famiglia il sentirsi parte dell’unica famiglia umana e dell’unica famiglia dei figli di Dio.  Il “tra” che il Mediterraneo suggerisce, se ascoltato fino in fondo, è un “tra” che unisce, include, mette in comunicazione le diversità; un “tra” che è incentivo alla pace e antidoto alla guerra.

Non ci può essere pace, né autentica amicizia sociale, se si rimane sordi al grido della terra e del mare. Superare la logica degli interessi di gruppo esige che si prenda sul serio la questione ambientale. Il Mediterraneo è tra i luoghi in cui è più drammaticamente evidente l’alterazione degli equilibri ambientali con le relative e ricorrenti catastrofi. Non ci sono soltanto persone che muoiono in mare, c’è anche un mare che sta morendo. Molte delle guerre in corso sono dovute alle conseguenze degli squilibri ambientali o almeno fanno leva su di esse: la siccità e la carenza d’acqua, la desertificazione crescente, le situazioni di miseria e di fame e l’uso dei beni di prima necessità come arma. La teologia ha il dovere di ricordare ai popoli del Mediterraneo che solo uno sviluppo integrato, in sintonia con l’ambiente, come è accaduto spesso e in molti luoghi del Mediterraneo, è destinato a generare futuro e che il creato non è luogo di rapina, ma casa comune di cui aver cura, liberandone le potenzialità di bene.

                4. Per un’esperienza religiosa “ospitale”. Fare teologia nel Mediterraneo può trarre nuovo impulso dall’attenzione all’esperienza religiosa, compresa come esperienza di Dio e perciò stesso terreno di incontro tra credenti di diverse tradizioni, ma anche riferimento essenziale di una fondazione teologica che muova dal rivelarsi di Dio e dall’esperienza che origina. Ci spinge in tale direzione il mistero del Cristo, Verbo incarnato, e della sua Pasqua per la salvezza dei molti. Guardare all’altro, alla sua fede, nella prospettiva dell’esperienza religiosa, può aiutare a fare di essa uno “spazio ospitale”, nel quale possano trovare accoglienza e riconoscimento le sensibilità proprie delle singole tradizioni e confessioni, in vista di un arricchimento vicendevole.

                Si tratta di assumere la comprensione che l’altro ha della propria esperienza di Dio e della propria fede, di allargare lo spazio sacro imparando a concepirlo e a viverlo non come uno spazio da presidiare, ma come un luogo dinamico e attivo, un confine mobile e modulabile che sposta i suoi limiti senza annullarli per creare un’accoglienza capiente. Una simile prospettiva di comprensione apre alla possibilità di arrivare a condividere con altri credenti l’esperienza della presenza di Dio. Smilitarizzare le religioni vuol dire «smilitarizzare il cuore dell’uomo»[9] e contribuire a smilitarizzare le culture perché l’ospitalità reciproca diventi paradigma culturale e di pensiero, criterio di vita e di azione sociale.

Sappiamo di dover chiedere perdono, come credenti, per le chiusure giustificate in nome della fede, per i conflitti sostenuti da ragioni religiose, per la mancanza di coraggio nella denuncia dei mali provocati da sistemi ideologici e di potere. Vogliamo lasciarci istruire, piuttosto, dai vissuti di tante comunità che si sono rinnovate e convertite a partire dall’accoglienza dello straniero e che hanno ritrovato il senso vivo della loro fede facendosi accoglienti della fede dell’altro. È in questi vissuti che possiamo infatti riconoscere l’azione rivelatrice e innovatrice dello Spirito: «ecco io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?» (Is 43,19; cf. Ap 21,5), ed è qui il novum che il Mediterraneo ancora racconta.

                Ci impegniamo dunque, come teologi e teologhe dell’area mediterranea, a coltivare tutte le occasioni di confronto, di scambio e di riflessione per il rilancio di una proposta teologica che aiuti il Mediterraneo a riscoprirsi come ponte, mare del meticciato, e a costruirsi come arca di pace, “mare della fratellanza”.

                Ci impegniamo a metterci a servizio di una teologia che dal Mediterraneo possa essere istanza critica e fattore di promozione di un umanesimo dell’accoglienza e della convivenza fraterna, per le popolazioni del Mediterraneo e per tutti coloro che al Mediterraneo guardano ancora con speciale attenzione.

                Ci impegniamo a lavorare insieme con i pastori perché, in una relazione di reciproco sostegno, noi teologi possiamo sentirci riconosciuti nella diakonia dell’intelligenza della fede e loro possano sentirsi accompagnati e incoraggiati nel loro delicato servizio di discernimento e responsabilità ecclesiale. Con le nostre comunità vogliamo rinnovare il coraggio dell’annuncio e della testimonianza. Facciamo appello, infine, a quanti sono impegnati nel delicato lavoro della ricerca, dell’insegnamento e della formazione affinché continuino, ancora con più slancio e motivazione, il proprio impegno.

                Che il Mediterraneo torni ad essere grembo di speranza: grembo e promessa di una fraternità possibile.

Per una teologia dal Mediterraneo                        Settimana news               22 settembre 2023

                www.settimananews.it/teologia/per-una-teologia-dal-mediterraneo

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