newsUCIPEM n. 960 – 30 aprile 2023

newsUCIPEM n. 960 – 30 aprile 2023

UNIONE CONSULTORI ITALIANI PREMATRIMONIALI E MATRIMONIALI

Notiziario Ucipem” unica rivista – registrata Tribunale Milano n. 116 del 25.2.1984 Supplemento online.

Direttore responsabile Maria Chiara Duranti. Direttore editoriale Giancarlo Marcone

Le news sono strutturate: notizie in breve per consulenti familiari, assistenti sociali, medici, legali, consulenti etici ed altri operatori, responsabili dell’Associazione o dell’Ente gestore con note della redazione {…ndr}.

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I testi, anche se il contenuto non è condiviso, vengono riprese nell’intento di offrire documenti ed opinioni di interesse consultoriale, che incidono sull’opinione pubblica. La responsabilità delle opinioni riportate è dei singoli autori, il cui nominativo è riportato in calce ad ogni testo.

Il contenuto delle news è liberamente riproducibile citando la fonte.

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Chi desidera connettersi invii a newsucipem@gmail.com la richiesta indicando nominativo e-comune d’esercizio d’attività, e-mail, ed eventuale consultorio di appartenenza. [Invio a 921 connessi].

Carta dell’U.C.I.P.E.M.

Approvata dall’Assemblea dei Soci il 20 ottobre 1979. Promulgata dal Consiglio direttivo il 14 dicembre 1979. Estratto

1. Fondamenti antropologici

1.1 L’UCIPEM assume come fondamento e fine del proprio servizio consultoriale la persona umana e la considera, in accordo con la visione evangelica, nella sua unità e nella dinamica delle sue relazioni sociali, familiari e di coppia

1.2 L’UCIPEM si riferisce alla persona nella sua capacità di amare, ne valorizza la sessualità come dimensione esistenziale di crescita individuale e relazionale, ne potenzia la socialità nelle sue diverse espressioni, ne rispetta le scelte, riconoscendo il primato della coscienza, e favorendone lo sviluppo nella libertà e nella responsabilità morale.

1.3 L’UCIPEM riconosce che la persona umana è tale fin dal concepimento.

Contributi anche per essere in sintonia con la visione evangelica

O2 ABUSI                                              Ventisettesima giornata bambini vittime

03                                                          Ex presidente dei vescovi tedeschi, «gravi violazioni» nella gestione dei casi di abuso

04 BIBBIA                                              A leggere nuova traduzione della Bibbia può sembrare d’ascoltarla per la prima volta

05 Centro Internaz. Studi Famiglia Newsletter CISF – n. 16,19 aprile 2023

07 CHIESA CATTOLICA nel mondo   Futuro. La Chiesa ha bisogno di grandi cambiamenti

O8                                                          Il cristianesimo è anacronistico?

09 CHIESE RIFORMATE                       San Paolo, il futuro del cristianesimo

11 DALLA NAVATA                              IV Domenica di Pasqua   – Anno A

11COMMENTO                                    Commento di p. Ermes Ronchi

12 DIBATTITO                                       Pillola gratis per tutte, dubbi e critiche «Messaggio sbagliato alle più giovani»

14 FRANCESCO VESCOVO ROMA    «Illegittimo creare embrioni in provetta e ricorrere all’utero in affitto»

15 MATERNITÀ                                     La Toscana adesso offre più tutele ai parti in anonimato

16 OMOFILIA                                        Il dibattito nelle Chiese

18 RELIGIONI                                        Post-teismo: dibattito (sempre) aperto. Un intervento di Sergio Paronetto

18                                                          Post-teismo: dio non è la risposta, è la domanda

21 RIFLESSIONI                                    Salviamo il nostro sapere

22 SACRAMENTALITÀ                         Come nuovo impedimento alla ordinazione? Le ferite aperte di una teologia nostalgica

23 SIN0DO DEI VESCOVI                    Donne e laici potranno votare nell’Assemblea Generale Ordinaria

24                                                           Paola Bignardi: rivoluzione no, però…

25..                                                        L. Scaraffia: nel prossimo Sinodo voteranno i membri laici, uomini e donne, ma scelti

26…                                                        Il Papa concede diritto di voto alle donne: una breccia in un muro maschiocentrico

27                                                           Papa decide di dare il voto a donne e laici al sinodo, s’incrina il muro del clericalismo

28                                                           La metamorfosi del Sinodo e il voto dei non vescovi: una traccia di divisione dei poteri?

30                                                          La vera riforma del Sinodo che i media rischiano di non capire

31                                                          Il Sinodo per ritrovarci uniti nel servire Dio e la gente

34 TESTIMONI                                      Cura, giustizia e profezia in don Tonino Bello e don Lorenzo Milani.

ABUSI

Ventisettesima giornata bambini vittime

Quest’anno ricorre la XXVII Giornata Bambini Vittime della violenza, dello sfruttamento e della indifferenza contro la pedofilia, celebrata dal 25 aprile alla prima domenica di maggio.

                La conoscenza di un abuso, quando emerge dall’oblio, dal silenzio, dal coraggio delle vittime, presuppone, per chi racconta, la certezza di essere ascoltati e accolti.

                Provoca indignazione, tristezza, un senso di frustrazione e una incessante richiesta di giustizia. Un abuso non è soltanto un’esclusiva e tragica fatalità di eventi, ma può essere il frutto della cultura del dominio e della sopraffazione, dell’eccessiva erotizzazione e della perversione sessuale, che non risparmiano neanche i bambini, rendendoli oggetto di godimento e di soddisfazione.

                “Inesauribile impegno!” è il tema che caratterizzerà i momenti di preghiera, le attività e le iniziative legate alla Giornata.

                Impegnarsi, agire, sostenere, prevenire e informare. Creare punti sereni, sicuri e certi di riferimento ai quali potersi rivolgere è antidoto e possibilità di esser liberati da queste nuove forme di schiavitù, anche nel web. Impegnarsi è già decidere da che parte stare: la Chiesa e la Società non devono e non possono restare a guardare. Il pianto, seppur fondamentale per elaborare il dolore, non è sufficiente.

                Meter da trent’anni si è calata in questa indicibile malvagità per dare speranza e sostegno. Anche tu puoi impegnarti senza sosta.

“Il 7 maggio 2023 si celebra la XXVII Giornata Bambini Vittime, promossa dall’Associazione Meter. In questa giornata pensiamo ai più piccoli, a tutti i bambini che soffrono per lo sfruttamento, per la violenza, per l’indifferenza e per la pedofilia; chiediamo al Signore che faccia sorgere nell’animo di tutti la propensione all’impegno comune per prevenire queste inaudite azioni di male. Il Signore ci aiuti con la sua benedizione a proteggere e a sostenere i bambini. Preghiamo.”

Cosa Puoi Fare?

  • Seguici su Facebook e Instagram e condividi le iniziative Meter per contribuire all’opera di sensibilizzazione dell’Associazione.
  • Aderisci alle iniziative, coinvolgi bambini e ragazzi.
  • Organizza delle iniziative di informazione e sensibilizzazione nel tuo territorio concordandole con l’Associazione.
  • Santa Messa per i Bambini Vittime.

Recita del Regina Coeli e “Saluto speciale” di Papa Francesco 7 maggio 2023-Roma, Piazza San Pietro

Scarica il materiale per diffondere, partecipare e riflettere in occasione della GBV 2023

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x presidente dei vescovi tedeschi, «gravi violazioni» nella gestione dei casi di abuso

  Robert Zollitsch (α 1938), risulta gravemente responsabile della pessima gestione degli abusi nella sua diocesi, secondo quanto risulta dal rapporto di 600 pagine sull’arcidiocesi di Friburgo pubblicato il 19 aprile 2023, che riporta gravi comportamenti scorretti e violazioni della legge da parte di Zollitsch e del suo predecessore Oskar Saier nell’affrontare reati penali da parte di sacerdoti, dando la priorità alla protezione della Chiesa come istituzione e degli autori, ha spiegato l’autore dello studio Eugen Endress. Nessun aiuto per le persone colpite e le loro famiglie. Il capo della commissione indipendente per il trattamento degli abusi sessuali nell’arcidiocesi di Friburgo, Magnus Striet, presume che più di 250 sacerdoti si siano resi colpevoli di abusi o ne siano stati accusati dal 1945; almeno 540 le vittime presunte per difetto.

                L’inchiesta documenta che la Chiesa «è stata indifferente per decenni nei confronti dei bambini maltrattati e feriti nell’anima», secondo una dichiarazione iniziale della Commissione dell’arcidiocesi per le persone colpite, proteggendo al contrario gli autori dei crimini.

                Zollitsch ha restituito la Croce federale al merito, conferitagli nel 2014 per i suoi servizi alla Chiesa e alla società, e ha rinunciato al “privilegio” di essere sepolto nella cattedrale di Friburgo dopo la sua morte, come è consuetudine nella diocesi.

                Il primo ministro del Baden-Württehttps://www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2022-06/papa-luciani-giovanni-paolo-i-pillola-humanae-vitae-tornielli.html#Una%20Testimonianza%20attualemberg Winfried Kretschmann ha informato l’agenzia KNA che Zollitsch si era offerto di restituire la medaglia Staufer assegnata nel 2014 e l’Ordine al merito statale del 2011. «Accetto questa offerta», ha detto Kretschmann, che è anche commissario del governo statale per la religione. «I risultati dello studio sugli abusi di Friburgo mi sconvolgono. Mi lasciano sbalordito. Le vittime di abusi sono state esposte impotenti a questo evidente fallimento delle strutture ecclesiastiche per anni».

                Gli autori dello studio non hanno trovato, invece, evidenze di insabbiamenti a carico dell’arcivescovo  in carica Stephan Burger (α 1962) (dal 2014). Il quale è rimasto sconvolto dai risultati: «I miei predecessori in carica hanno semplicemente ignorato la legge ecclesiastica applicabile, che prevedeva l’intervento e la segnalazione dei casi».

                Contro Zollitsch è stato avviato un procedimento canonico secondo il motu proprioVos estis lux mundi”, che regolamenta le modalità di denuncia dei vescovi. In qualità di arcivescovo, Burger ha chiesto perdono alle vittime e ha assicurato loro il sostegno. «Lo faccio con piena convinzione», ha affermato (katholisch.de, 18/4/2023). Nessun commento sul processo in corso.

                Quanto a Zollitsch, non ha voluto commentare la questione, per il momento. «Per rispetto nei confronti delle vittime di violenze sessuali e per rispetto di un lavoro necessario e completo», Zollitsch ha imposto il silenzio, ha detto il suo portavoce. A ottobre aveva ammesso di aver commesso errori in passato.

Ludovica Eugenio            Adista   24 aprile 2023

www.adista.it/articolo/69912

BIBBIA

A leggere una nuova traduzione della Bibbia può sembrare di ascoltarla per la prima volta

                Un anno fa è uscita la versione “non confessionale” dell’Antico e Nuovo Testamento Einaudi in tre volumi: un lavoro decennale ora anche in formato tascabile, ma con tutto l’apparato di note della “forma maior”

L’’editore è stato di parola! Come mi aveva promesso nell’accettare il mio progetto di una nuova traduzione della Bibbia, ha pubblicato, a distanza di poco più di un anno dall’edizione prestigiosa nei “Millenni” (un cofanetto di tre volumi), l’edizione tascabile di tutta la Bibbia in un formato maneggevole, adatto all’uso personale. Questa edizione costituisce un evento per i frequentatori italiani della Bibbia, che potranno ora usufruire non solo della traduzione ufficiale della Conferenza Episcopale Italiana, ma di un’altra traduzione, portata a termine in dieci anni di lavoro sotto la mia direzione e con la collaborazione di Mario Cucca, Federico Giuntoli, Ludwig Monti che ne sono stati i curatori. I traduttori sono stati scelti tra i migliori esegeti dell’Antico e Nuovo Testamento, tenendo conto delle loro ricerche sui diversi libri biblici, ma a tutti sono stati affidati alcuni criteri che rendessero convergente il lavoro di traduzione e le annotazioni. È stata una lunga e grande fatica che ha dato i suoi frutti, condotta da un gruppo coeso, efficiente e determinato nell’intento di offrire un testo tradotto che fosse fedele, per quanto è possibile… (tradurre è sempre nel contempo trasmettere e tradire!). La traduzione è offerta in una lingua attuale, con particolare attenzione a evitare influenze devozionali o del linguaggio religioso stereotipato.

                Dunque traduzione nuova, differente o meglio “altra”, che si indirizza non in particolare ai credenti, cristiani o ebrei, ma semplicemente ai lettori italiani che sentono il bisogno e il dovere di conoscere la Bibbia per onorare la loro cultura. Si è scelto di pubblicare una Bibbia “non confessionale”, affermazione che va intesa non nel senso che si voleva prescindere dalla connotazione spirituale dei testi, ma nel senso che la traduzione non ha assecondato le dottrine confessate dalle chiese cristiane. Anche le note, che sono abbondanti, mai sono ispirate alle tradizioni delle chiese, ma intendono essere solo esplicative del testo e si arrestano prima di ogni possibile interpretazione confessionale. Dunque non c’è opposizione tra lettura credente e lettura di chiunque accosti il testo, ma questa traduzione della Bibbia non offre un’interpretazione dello “sta scritto” così com’è stata elaborata nello sviluppo dottrinale delle singole chiese.

                Si potrebbero fare molti esempi a proposito delle note, che distinguono questa Bibbia dalle altre confessionali; d’altronde non è un caso che in Italia solo la traduzione della CEI sia testo ufficiale, testo che è stato imposto nelle pubblicazioni italiane sia della Bibbia di Gerusalemme che della Bibbia TOB: entrambe riportano infatti il testo tradotto dalla CEI, mentre le note sono tradotte dalle edizioni francesi. D’altronde anche in Francia, nonostante la grande impresa di una Bibbia presentata come ecumenica (TOB) purtroppo la Conferenza Episcopale due anni fa ha edito una Bibbia ufficiale per i cattolici!

                Proprio perché questa Bibbia non vuole essere confessionale (senza enfasi!) abbiamo scelto di tradurre tutti i libri biblici, ma proponendoli in un ordine che per l’Antico Testamento rispetta il canone ebraico: dunque Legge, Profeti e Scritti, seguiti da tanti non ritenuti canonici dagli ebrei ma deuterocanonici per la chiesa cattolica.

                Per il Nuovo Testamento si è invece seguito l’ordine tradizionale o classico dato che comunque oggi le diverse chiese cristiane ritengono che tutti i libri siano canonici, cioè contenenti la parola di Dio.

                Sì, abbiamo voluto rispettare le Scritture di Israele nella loro autonomia, senza finalizzarle al Nuovo Testamento, operazione questa che il cristiano farà con fede e rigore, ma che non spetta allo “sta scritto” così come l’abbiamo ricevuto.

Può darsi che qualche lettore si stupisca delle scelte operate nella traduzione: sono tutte meditate, frutto di una ricerca seria e rigorosa, scelte che un traduttore ha fatto, ha spiegato ai curatori e quindi sono state ritenute motivate. Certamente leggendo questa traduzione alcuni avranno la sensazione di leggere un testo ascoltato per la prima volta, una rottura con l’abitudine che a volte turba, a volte causa un coinvolgimento maggiore nell’ascolto o nella lettura. Abituati a sentire o leggere: “In principio Dio creò il cielo e la terra… ”, in questa traduzione troviamo invece: “Quando Dio cominciò a creare il cielo e la terra… ”, e sussultiamo. Ma il traduttore ha fatto questa scelta proprio per mantenere l’idea di un inizio senza indicare un “in principio” in assoluto. Bereshit è un iniziare, non un assoluto principio!

Altre scelte potrebbero essere menzionate e spiegate, ma invitiamo il lettore a cimentarsi con il testo confrontando le traduzioni tra loro, perché anche la molteplicità e la diversità delle traduzioni è importante.

                In Francia le traduzioni della Bibbia tuttora circolanti sono una ventina, e ce ne sono altrettante in spagnolo e in inglese… Perché in Italia a partire dal 1970 ne abbiamo avute solo tre? Mi riferisco alla traduzione ufficiale CEI, al tentativo di una nuovissima versione da parte della casa editrice San Paolo nel 1983, e alla Bibbia Diodati riveduta nel 1991. Prima del Concilio le Bibbie in italiano erano nove…

Questa nuova traduzione della Bibbia che da più di un anno è stata pubblicata nella forma maior ha ricevuto molte recensioni positive: dall’Osservatore romano, da Rosanna Virgili, dal card. Gianfranco Ravasi, autorevoli biblisti. Basti citare qui Ravasi: “Trovarsi di fronte alla Bibbia Einaudi, con una traduzione italiana inedita a fronte di un corposo apparato di introduzioni e note – che obbedisce, almeno nell’intenzione, alla scelta di svincolarsi dai condizionamenti confessionali e liturgici o dogmatici… – è una bella emozione, nonché fonte di svariate aspettative per una ‘differenza’ rispetto alle altre edizioni già note, e da sola potrebbe dar ragione e sostegno all’impegno che una simile impresa comporta”.

                Quella che è stata la passione che mi ha divorato per tutta la vita, la Bibbia (ho perso tanto tempo curvo sulle sue pagine soprattutto di notte e all’alba) mi ha spinto ormai vecchio a questa grande impresa, resa possibile dalla collaborazione di amici esegeti traduttori che si sono impegnati con entusiasmo in un momento non facile della mia vita. Il lavoro è stato portato a termine, ne sono contento e pieno di gratitudine per quanti hanno partecipato a questa impresa: un solo volume, 2.576 pagine, un carattere nitido, una pagina che comprende il testo e tutte le note, come nell’edizione maior dei Millenni, e il prezzo, che fa veramente onore alla casa editrice Einaudi: 38 euro. Grazie perciò anche all’editore!

            Enzo Bianchi               La Stampa – Tuttolibri – 08 Aprile 2023

www.ilblogdienzobianchi.it/blog-detail/post/186354/a-leggere-una-nuova-traduzione-della-bibbia-pu%C3%B2-sembrare-di-ascoltarla-per-la-prima-volta

CISF – Centro Internazionale di Studi sulla Famiglia

Newsletter CISF – N. 16, 26 aprile 2023

Ж            Verso la giornata internazionale delle famiglie. Sarà lo scenario dei nuovi trend demografici (“Demographic Trends and Families“) il tema scelto dalle Nazioni Unite per il 15 maggio prossimo, Giornata dedicata alle famiglie nel mondo, che sarà celebrata dall’ONU con un approfondito comparto di report e approfondimenti [qui tutti i materiali].

https://unicalmondo.musvc2.net/e/t?q=4%3d5aNZ9a%265%3dT%26r%3dYMV%26s%3dYKTDa%26D%3d9xQ9J_vxlq_78_ArWw_K7_vxlq_6CBFgFtC.hBB2.yK.8Ik_OjtT_Yy0wPD6w_OjtT_Yy7eJ2C3_OjtT_Yy6zB7K2e8tw_OjtT_YySDYL-0rQxIr8C0sKtC-h8H-Fj-CtDmI26w-L7-7eJ2CmBB-2rA-w6qLzIeM10g-012rDx%265%3dqRBMgY.76x%26FB%3dW6fR

Per avvicinarci alla data vi proponiamo anche un semplice video [da YouTube – 2 min 54 sec] con un collage di magnifici momenti che descrivono la bellezza di essere famiglia.    www.youtube.com/watch?v=aWi1jshtaiA 

Ж            Sulle nascite al minimo e sui flussi migratori. In una settimana dominata dalle notizie sul crollo della natalità e dalle dichiarazioni shock sulla “sostituzione etnica”, è sempre più urgente affrontare il tema dell’invecchiamento demografico (inarrestabile) in modo responsabile e non ideologico. Ne parla Pietro Boffi (Cisf) su Famiglia Cristiana: “Senza nulla togliere allo sforzo, indispensabile e doveroso, di promuovere la natalità in declino, e pur con tutta l’innegabile complessità che il fenomeno migratorio presenta e che non va né negata né banalizzata, un atteggiamento aperto, pragmatico e costruttivo nei confronti dell’immigrazione è altrettanto indispensabile per riuscire a superare la sfida della “trappola demografica”, o quantomeno e ridurne l’impatto

www.famigliacristiana.it/articolo/nascite-al-minimo-mortalita-in-crescita-che–fare-_231.aspx?utm_source=newsletter&utm_medium=newsletter_cisf&utm_campaign=newsletter_cisf_26_04_2023

Ж           Niente tasse dal secondo figlio? Parliamone. La proposta del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti per sostenere e incentivare la natalità con un “bonus famiglia” modello 110% è certamente una promessa ambiziosa, impegnativa e forse poco sostenibile nella sua interpretazione letterale. Se però si intende un sistema fiscale che finalmente riconosca il costo dei figli come un investimento pubblico allora forse “una rondine farà primavera”… L’approfondimento del direttore Cisf, Francesco Belletti, sugli scenari possibil

www.famigliacristiana.it/articolo/niente-tasse-dal-secondo-figlio-in-poi-parliamone.aspx?utm_source=newsletter&utm_medium=newsletter_cisf&utm_campaign=newsletter_cisf_26_04_2023

Ж           USA. Una ricercatrice/caregiver studia lo stress dei familiari. Il Department of Human Development and Family Studies dell’Università dello Utah ha recentemente pubblicato la testimonianza della professoressa Yin Liu, ricercatrice di origine cinese coinvolta nell’assistenza familiare del proprio nonno, affetto da malattia di Alzheimer. Questa esperienza personale ha offerto a Liu una visione unica come ricercatrice in gerontologia, affiliata di facoltà del nuovo Centro di ricerca sulla malattia di Alzheimer e la demenza ospitato nel campus. Liu studia lo stress del caregiver attraverso i biomarcatori, saliva e capelli, che tendono a mostrare alti livelli di cortisolo, un ormone legato allo stress. Questi dati forniscono un quadro fisiologico attendibile e misurabile della fatica dei caregiver.                                              https://cehs.usu.edu/hdfs/news/identifying-stress-in-dementia-caregivers

Ж            ISTAT: come è’ cambiata la spesa sociale dei comuni nell’anno della pandemia. L’Istituto nazionale di Statistica ha fotografato la spesa dei comuni per i servizi sociali nel 2020. Nel report, appena pubblicato, emerge in numeri tutto lo sforzo economico fronteggiato per la pandemia: è aumentata del 72,9% (da 555 a 959 milioni) la spesa per l’area povertà̀, disagio adulti e persone senza dimora (dal 7,4% al 12,2% della spesa complessiva). Sono stati in forte crescita i contributi a sostegno del reddito (377.000 beneficiari nel 2020), e si sono contati 743mila beneficiari dei buoni spesa per emergenza alimentare (21.500 nel 2019).

https://unicalmondo.musvc2.net/e/t?q=4%3dLb9ZPb%26p%3dT%269%3dZ8V%260%3dZ6TUb%26y%3d9ERtJ_CyWq_N9_vrnx_67_CyWq_MD1NH.GwKvR.mK_CyWq_MDmK_CyWq_MDj07Cw_Il1T_S1_PUtk_ZjSUZ7_Il12v9eT_S1h8_Il1T_S1PiG0Px-JACw2-DMg0vJi-40KyE4-ZDSU.Nh7%26y%3dKyJGA6.EzR%26mJ%3dQZCZ

Ж            Percorsi di formazione. settimana della mamma“. Dal 15 al 19 maggio 2023 l’Istituto di Studi Superiori sulla Donna, nell’ambito del progetto Valore Mamma, dedica un’intera settimana di attività alle mamme, offrendo un luogo fisico e virtuale per incontrarsi e condividere idee, esperienze, passioni e creatività. Una serie di appuntamenti e servizi pensati esclusivamente per le persone e per creare una community e un network fra madri, associazioni, imprese e istituzioni, con il fine di migliorare la qualità della vita delle donne. Il ciclo di attività comincia lunedì 15 maggio e il programma prevede un calendario ricco di eventi e di iniziative gratuite per le mamme di tutte le età – laboratori, workshop, seminari, convegni, mostre – che si svolgeranno principalmente presso l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum di Roma – in Via degli Aldobrandeschi n.190.

www.upra.org/evento/settimana-della-mamma-2023-vii-edizione

Ж            Save the date

www.sirts.org/eventi/seminari-in-programma/48-presentazione-libro-pratiche-collaborative

www.upra.org/evento/lavoro-economia-e-questione-sociale-limpegno-delle-donne-in-cerca-di-futuro

www.thehastingscenter.org/hastings-center-event/exploring-origins-and-impacts-of-beliefs-about-genetic-causation

https://events.bc.edu/event/bccwf_event_workplace_equity_-_how_do_you_measure_it#.ZEqPxM5BwcR

www.liuc.it/eventi/chi-abitera-la-casa-comune

  • le

www.animazionesociale.it/it-schede-3372-dignita_del_lavoro_educativo

https://a4e9e4.emailsp.com/f/rnl.aspx/?fgg=wsswt/e-ge=s/fh0=otv49a1:a=.-4&x=pv&65kac&x=pp&qzb9g6.b9g9h/:i4-7d=vs2zNCLM

Iscrizione   http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/newsletter-cisf.aspx

Archivio   http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/elenco-newsletter-cisf.aspx

CHIESA CATTOLICA NEL MONDO

Futuro. La Chiesa ha bisogno di grandi cambiamenti

 Il gesuita cileno Jorge Costadoat sta affrontando, per Amerindia, il tema della necessità di riformare la Chiesa cattolica. Di seguito riportiamo in una nostra traduzione le prime due puntate, dedicate l’una alle criticità del sacramento della confessione, l’altra all’indagine se il cristianesimo sia o meno anacronistico.

Il cataclisma della fiducia dei fedeli nei ministri consacrati a causa dei loro abusi sessuali, di potere e di coscienza, e il loro successivo insabbiamento, richiede oggi di rivedere gli ambiti di esercizio dell’ufficio del sacerdozio. Sono necessarie conversioni dello sguardo e del cuore. Ma servono soprattutto riforme istituzionali e procedurali. Il sinodo convocato da papa Francesco sulla sinodalità (che significa “camminare insieme”, in modo più orizzontale, se si vuole più democratico) sarà l’occasione per discutere di questioni di governo e di dottrina. Mi soffermo ora solo su ciò che riguarda il sacramento della riconciliazione. È qui che si misura la necessità di cambiamenti.

                Il Concilio Vaticano II (1962- 1965) ha dato una svolta empatica a quello che era noto come sacramento della confessione. Ha fatto una riforma: l’ha chiamato “riconciliazione”. Era necessario facilitare l’incontro con Dio. Del resto, nella celebrazione di questo sacramento molte persone hanno trovato conforto, sollievo, consiglio, compagnia e perdono. Il prete è lo psicologo dei poveri. È bene per i cristiani che qualcuno, a nome della Chiesa, ci faccia sentire personalmente la bontà di Dio.

                Tuttavia, la confessione è uno strumento pericoloso. Lo è sempre stato, solo che in altri tempi a nessuno importava che lo fosse. È un fatto largamente noto a sacerdoti e fedeli che, attraverso la confessione, si commettono abusi di varia gravità. Più di qualcuno, in più di un’occasione, ha vissuto un’esperienza terribile. Non mi riferisco ai casi più preoccupanti come adescamento (richiesta sessuale). I fedeli, le fedeli possono passare da un sacerdote all’altro, a seconda dei peccati che questo è solito assolvere o della misericordia che ha, fino a trovare chi fa loro comodo. I sacerdoti, per parte nostra, abbiamo dovuto sanare persone che qualche sacerdote, dieci, venti o trent’anni fa, ha trattato malamente, con asprezza o qualche rimprovero.

                D’altra parte, non è vergognoso che i preti “concedano il permesso” ai laici di ricevere la comunione nella messa, malgrado la “pillola” o una particolare situazione coniugale? E se la mancanza di pudore fosse una colpa, come è possibile che noi sacerdoti dobbiamo “affacciarci” nella parte più sacra di un essere umano, la sua coscienza, in virtù della nostra investitura sacerdotale e di una sorta di pressione sui penitenti?

                Quindi, come si può impedire che questi eventi continuino a verificarsi? Si dirà che non c’è da preoccuparsene tanto. La gente non si confessa quasi più. Ebbene no, prima che succeda una cosa del genere, bisogna evitare che ci siano persone che attualmente si sentono spinte a confessare. Occorre indagare su come una modalità di relazione con i ministri possa sconvolgere nei fedeli il loro incontro con Dio. Si pensi alla inquietudine di chi ha paura di confessarsi con un prete che potrebbe essere un abusatore. E i bambini, dovrebbero confessarsi?

                Il perdono è un aspetto chiave nel cristianesimo. La Chiesa lo offre anche, per esempio, almeno in due momenti dell’Eucaristia. Le autorità ecclesiastiche fanno bene il loro lavoro quando esortano i cattolici al pentimento. Quando cercano modi per una riconciliazione sociale. Ma può ancora essere considerato normale che una persona sia costretta a rivelare la propria privacy a un’altra? Non è davvero scandaloso aspettarsi che un cristiano apra il suo cuore a un estraneo? Nella cultura odierna, la privacy delle persone è un aspetto della loro dignità umana. L’intimità dovrebbe essere condivisa solo liberamente. Il problema non è che il sacramento violi delle persone; né che alcune persone siano più vulnerabili di altre. Il sacramento stesso è vulnerabile. È uno strumento che di per sé vulnera quelle persone che per qualche ragione credono di dover raccontare i loro peccati.

Il Sinodo convocato da papa Francesco diventerà probabilmente l’atto ecclesiale più importante dalla celebrazione del Concilio Vaticano II sessant’anni fa. Cosa aspettarsi da un incontro episcopale così importante? Il superamento di asimmetrie come questa nel sacramento della riconciliazione, la mancanza di partecipazione delle donne alla guida e all’elaborazione della dottrina, l’assoluta mancanza di rendicontazione di vescovi e sacerdoti a laici e laiche, costituiscono esigenze di prim’ordine. Il Sinodo può concludersi con un bel documento, pieno di buoni propositi. La Chiesa cattolica ha bisogno di grandi cambiamenti. La Chiesa cattolica nell’Occidente tradizionalmente cristiano è entrata in una fase di gravissimo declino. Non è già troppo tardi per una guarigione? Non lo so.

Il cristianesimo è anacronistico?

                Di chi è la colpa del crollo della Chiesa cattolica in Cile? Di vescovi e sacerdoti in una certa misura. Di padri, madri e tutori in una certa misura. Di catechisti in una certa misura. Ma questi evangelizzatori, sotto un altro aspetto, sono innocenti. Colpevoli in parte e in parte innocenti.

                In gran parte dell’Occidente tradizionalmente cristiano, sia cattolico che protestante, il declino dell’affiliazione religiosa sta accelerando. Le persone lasciano le loro Chiese e comunità. Fino a dove arriveranno questi abbandoni? Quanti aderiranno ancora ai loro gruppi religiosi? Andiamo più lontano: sembra che negli stessi popoli indigeni tradizionali sia in atto un’erosione delle loro culture e spiritualità.

                Questa usura lascia spesso spazio a disumanizzazioni agghiaccianti. Vengono sfatate le credenze, ma le persone finiscono per credere a novità pericolose o finiscono per essere divorate dall’individualismo. In materia di fede non ci sono spazi vuoti. Se non si crede in questo, si crederà in quello.

                Il fenomeno che ci riguarda si chiama secolarizzazione. La cultura predominante non ha bisogno delle religioni perché le persone cambino in modo significativo la loro vita. Si verifica anche una situazione di acculturazione: svaniscono i presupposti culturali che rendevano intellegibile il cristianesimo. Il punto è che l’attuale versione cattolica del cristianesimo è diventata anacronistica quanto le macchine da scrivere, le locomotive a carbone, i cappelli di Coco Chanel o i libri di papiro. Il cattolicesimo è diventato gradualmente qualcosa di estraneo al tempo, antico e persino esoterico. Capriccio.

                Ma il cristianesimo deve essere necessariamente anacronistico? Penso di no. Nelle tradizioni culturali e religiose secolari o millenarie – si pensi all’induismo, al buddismo, allo shintoismo, al taoismo, all’ebraismo, all’islam e alle culture indigene come la nostra, mapuche o aymara – ci sono verità profondissime sull’origine della vita e del male, su come vivere e cosa aspettarsi dopo la morte, che difficilmente possono essere considerate false. Anche se gli anni passano, avranno sempre qualcosa di molto importante da apportare.

                Pertanto, il cristianesimo non è necessariamente anacronistico. Possono esserci versioni che lo sono, certo. Ma è pensabile che in futuro ci saranno altri modi di organizzare le chiese, di riformulare le loro credenze e rinnovare i loro simboli, cosa che potrebbe rendere attraente per i contemporanei il valore trans-culturale dell’amore, che, almeno per il cristianesimo, è decisivo. L’amore è un’esigenza antropologica universale. Se una cultura prescinde da esso, certamente disumanizza. Il tradizionalismo è anacronistico, vive di reliquie, di feticci; ma la Tradizione della Chiesa continua ancora oggi perché ci sono stati cristiani che da duemila anni hanno saputo dimostrare la sua attualità storica in modo creativo.

Per ora il cristianesimo non ha il monopolio dell’amore – si tratta di rivedere la storia, visto che sono state commesse atrocità in nome di Cristo – e non ha nemmeno il monopolio del concetto di amore – visto che altre tradizioni e culture, compresa la cultura attuale, hanno trasmesso alle generazioni successive una saggezza su come amare autenticamente. Nel caso del cristianesimo, la Chiesa cattolica è in crisi perché i suoi modi di esprimere e rappresentare la sua fede nel Dio dell’amore («Dio è amore»: 1 Gv 4, 8) non sono al passo con i tempi, non sono comprensibili oppure si sono rivelati disumanizzanti. La vitalità storica della Chiesa, credo, dipende dall’esistenza di cristiani(e) che, per così dire, reinterpretano nelle chiavi culturali attuali le parabole del figliol prodigo (Lc 15, 11-32) e del buon samaritano (Lc 10, 25- 37). La prima racconta di un padre che, come Dio, ama incondizionatamente i suoi figli. La seconda insegna che non c’è niente da guadagnare a dichiararsi religiosi se non si ama il prossimo. L’amore disinteressato, libero, gratuito, radicale, estremo come quello di Gesù, in entrambi i casi, merita di essere insegnato fino alla fine del mondo. È fondamentale che ci siano evangelizzatori che in futuro raccontino queste storie ai bambini e, soprattutto, che rappresentino quel padre e questo samaritano con i fatti più che con le parole.

                Basterà che la cultura attuale ottenga gli stessi risultati con altri concetti e pratiche? È un dato di fatto che lo fa, anche se non in modo sufficiente. Il cristianesimo contribuisce a questo compito e, pertanto, il suo declino deve essere considerato una perdita per l’umanità. Le storie fanno bene ai bambini e alle bambine per addormentarsi. Le parabole di Gesù servono sia per sognare che per svegliare.

Adista Segni Nuovi n° 15 del 22 aprile 2023

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CHIESE RIFORMATE

San Paolo, il futuro del cristianesimo

L’esegeta Daniel Marguerat (α 1943) ritiene che i cristiani ci guadagnerebbero a leggere san Paolo, perché la sua visione dell’identità cristiana è sorprendentemente moderna.

Lei presenta al Festival del Libro di Parigi un nuovo libro su san Paolo (Paul de Tarse. L’enfant terrible du christianisme). Che cosa c’è da dire di nuovo su questo tema?

La maggior parte delle opere pubblicate su Paolo attualmente sono o delle biografie dell’apostolo, scritte da storici che cercano di ricostruire la sua vita, o analisi teologiche del suo pensiero. Ho voluto mescolare i due approcci, convinto che il pensiero nasce e si alimenta dalla vita. Un teologo, quando scrive, è una persona che vive, soffre, prova sentimenti, vuole difendere un punto di vista. Inserire il pensiero di Paolo nella sua storia mi permette di render conto della sua umanità: l’uomo dietro il testo, insomma. Inoltre, tento di risolvere l’enigma di un pensiero che si sposta, cambia, si contraddice talvolta. Certi teologi sostengono che l’apostolo è privo di coerenza e si limita a reagire ai contesti e ai conflitti nei quali è impegnato. Sono persuaso del contrario. Ma quel grande apostolo non trasmette un catechismo intemporale. La sua parola è sempre rivolta ad una comunità e risponde ad una problematica che si può identificare.

Si può dire che Paolo è il fondatore del cristianesimo?

Non si è mai presentato come tale. Concepisce la sua parola come un Vangelo il cui fondamento è Cristo. Ma è un pioniere. Prima di lui, negli anni 40-50, il Vangelo era predicato nella sinagoga. Paolo è il primo a portare avanti in maniera sistematica una missione cristiana che si rivolge anche ai non-ebrei, senza che debbano integrarsi nel giudaismo. D’altra parte, deve affrontare problemi inediti, come mostra in particolare la Prima Lettera ai Corinti. Gesù non ha scritto nulla, né ha pensato l’organizzazione di una comunità dopo di sé. Viveva da nomade accompagnato da un gruppo di discepoli, prima di essere messo a morte. Dopo di lui, tutto era da inventare. Paolo si rivolge ai Greco-Romani che si chiedono come vivere la loro nuova fede giorno per giorno, se possono condividere un pasto con i loro vicini pagani, se devono praticare la ritualità ebraica, se le donne possono avere un ruolo nel culto… Sono tutte domande che Gesù non si era posto direttamente, ma alle quali Paolo ha dovuto rispondere. Quindi non è un fondatore, perché rinvia continuamente a Gesù, ma è un pioniere.

Diciamolo chiaramente: l’identità del cristianesimo non sarebbe quella che è senza di lui. È stato il primo a riformulare la parola di Gesù nella cultura del mondo romano, aprendo il cristianesimo all’universalità. Ha compiuto un lavoro di creazione e di innovazione impressionante. Al punto che alcuni gli rimproverano di aver tradito Gesù…Sì, si è spesso detto che Gesù era un uomo semplice, che si rivolgeva a dei contadini e a dei pescatori, raccontando parabole, proclamando un Dio buono… Paolo sarebbe venuto a confondere tutto con una teologia astratta, complicata e colpevolizzante. In realtà, Paolo è stato fedele a Gesù, interpretando le sue affermazioni in una cultura diversa e in condizioni differenti. Quindi è stato il suo interprete, forse il migliore.

Il suo atteggiamento nei confronti delle donne, ad esempio, lo prova. Nell’ebraismo dell’epoca, l’educazione religiosa era strettamente riservata agli uomini. Gesù ha trasgredito alle convenzioni sociali e religiose accettando donne nel suo gruppo di discepoli. Allo stesso modo, Paolo crea delle comunità di uomini e di donne con uguaglianza di diritti, di responsabilità e di vocazione. Con il battesimo, i credenti diventano fratelli e sorelle. Le donne pregano e profetizzano in queste comunità (1Co1 1). Questa mescolanza è di un’originalità assoluta nel mondo antico! Purtroppo, dopo Paolo, questo a poco a poco scomparirà e le donne saranno allontanate da certe funzioni ministeriali. Questa situazione continuerà… fino ai nostri giorni!

È l’immagine che i cristiani di oggi hanno mantenuto di Paolo?

Paolo è l’apostolo più denigrato di tutto il Nuovo Testamento! I credenti oggi vi diranno che le sue epistole sono incomprensibili, che è dottrinario, collerico, antifemminista e antiebreo… Nel mio libro cerco di rendergli giustizia su tutti questi punti. È totalmente sbagliato, si sarà capito, definirlo antifemminista. Le epistole che rimandano le donne a casa (Colossesi, Efesini, le lettere pastorali) fanno parte della sua eredità, ma non sono sue. Nel corso dei primi due secoli, il suo pensiero è stato sviluppato e amplificato dai suoi discepoli, talvolta anche tradito, o per lo meno fortemente falsato.

Invito i pastori e i preti a lavorare per correggere l’immagine negativa dell’apostolo, e soprattutto ad attualizzare il suo pensiero per mostrarne la modernità.

Alcuni cristiani dicono che desidererebbero ritrovare il fervore delle piccole comunità paoline. È un’utopia?

Quando si leggono attentamente le due epistole ai Corinti, quelle che ci informano più concretamente sulla vita di quelle comunità, si vede che erano in realtà agitate da numerose tensioni. Ma Paolo indica loro il modo di affrontarle e di superarle. Ogni volta che si trova di fronte a una crisi nata dallo scontro di posizioni antagoniste, non prende posizione per gli uni contro gli altri, ma rinvia gli uni e gli altri all’identità che hanno ricevuto da Dio e che conferisce loro pari valore. A partire da questo, li incita a considerare il problema in modo diverso e ad accettare le differenze. Un bel modello della gestione dei conflitti, no? In fondo, Paolo non cercava di accrescere il fervore. Ciò che voleva far comprendere, era come si costruisce l’identità credente. Su questo punto, è decisamente moderno.

Moderno, per quali ragioni?

Perché afferma che l’uomo e la donna, se hanno fiducia in Dio, sono accolti incondizionatamente. È ciò che viene detto “giustificazione per fede”. Paolo non ha cercato di rendere le persone più religiose. È venuto a dire: “Con il vostro battesimo avete ricevuto una identità che ha cambiato il vostro rapporto con Dio, con voi stessi e con gli altri”. Questa nuova identità richiede che, nella comunità credente, si considerino gli altri come fratelli e sorelle di valore e status pari al proprio, ammessi, accolti e valorizzati da Dio indipendentemente dalla loro origine. Questa uguaglianza di valore e di status, questo rifiuto di ogni discriminazione sociale costituiscono il suo modello di Chiesa… un modello che oggi la cristianità rifiuta di realizzare. Infatti, certo, questo riconoscimento reciproco crea tensioni: come può un uomo che disprezza le donne o un padrone che disprezza gli schiavi cambiare dall’oggi al domani perché è battezzato e prende parte all’eucaristia? Eppure, secondo Paolo, è ciò che è chiamato a fare nella comunità.

Dopo la morte dell’apostolo, quel modello è man mano venuto meno perché era in totale contraddizione con il funzionamento della società. Eppure, è la vocazione della Chiesa costituire ciò che Paolo chiama “il corpo di Cristo” (1Co 12), ogni membro del quale è indispensabile all’insieme. Non c’è nulla di più innovante, di più promettente, di più moderno di questa idea.

Cosa pensa che Paolo direbbe ai cristiani oggi?

Penso che manifesterebbe stupore e indignazione davanti alle divisioni del cristianesimo. Credo anche che sarebbe molto afflitto nel constatare la povertà della vita comunitaria dei cristiani. Perché, per lui, è attraverso la vita comunitaria che si manifesta la nuova identità ricevuta col battesimo. Rimproverebbe ai credenti di trascurare ciò che Dio ha fatto di loro con il battesimo, di vivere al di sotto della loro identità, di accettare le discriminazioni dettate dalla società.

Il cristianesimo oggi mi sembra stanco, per non dire disfattista. La lettura di Paolo è stimolante. È un autore creativo, ha forti attese rispetto al cristianesimo! Se la cristianità vuole rivitalizzare la sua cultura, sarebbe bene che leggesse e rileggesse le sue epistole. La visione che Paolo ha dell’identità cristiana è il nostro futuro, non il nostro passato.

 Daniel Marguerat, pastore della Chiesa riformata, ha studiato a Losanna, in Svizzera – dove è nato nel 1943, e a Göttingen, in Germania. Ha insegnato Nuovo Testamento all’università di Losanna, interessandosi in particolare del Gesù storico, dell’apostolo Paolo e degli Atti degli Apostoli. Ha fatto una ricerca approfondita su questi tre temi, e ha pubblicato diversi libri.

 Formato inizialmente all’analisi storico-critica dei testi, scopre negli Stati Uniti l’analisi narrativa e l’analisi retorica. Oggi cerca di contemperare diversi tipi di lettura per rendere meglio giustizia ai testi. Tra i suoi ultimi libri figurano Jésus et Matthieu, A la recherche du Jésus de l’histoire (Labor et Fides, 2016), L’Historien de Dieu, Luc et les Actes des Apotres (Labor et Fides, 2018), Vie et destin de Jésus de Nazareth (Seuil 2019) e Paul de Tarse. L’enfant terrible du christianisme (Seuil 2023).

intervista a cura di Christel Juquois  “La Croix” del 21 aprile 2023 (traduzione: www.finesettimana.org)

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202304/230423margueratjuquois.pdf

DALLA NAVATA

IV Domenica di Pasqua                 Anno A

Atti degli Apostoli           02, 38. E Pietro disse loro: «Convertitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per il perdono dei vostri peccati, e riceverete il dono dello Spirito Santo. Per voi infatti è la promessa e per i vostri figli e per tutti quelli che sono lontani, quanti ne chiamerà il Signore Dio nostro».

Salmo responsoriale     22, 06. Sì, bontà e fedeltà mi saranno compagne tutti i giorni della mia vita, abiterò ancora nella casa del Signore per lunghi giorni.

1Pietro                                02,25. Eravate erranti come pecore, ma ora siete stati ricondotti al pastore e custode delle vostre anime.

Giovanni                             10, 06. Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro.

                                                                               Commento

La comunità cristiana respira la libertà perché ha, come unica autorità, la Parola di Gesù, da tener pura e non con centomila glosse, per cui la glossa ultima sostituisce la Parola di Gesù e ne assume poi le pretese. Se la Parola di Gesù è la nostra norma, noi non possiamo non essere, in questa misura — nella oscurità, certo — nella pace. Non possiamo non avere dentro di noi una specie di prepotente dinamismo di pace, un bisogno di scoprire le violenze e di denunciarle come il segno di Satana nel mondo. L’ordine imposto alle coscienze potrà giustificarsi nell’ordine politico, ma nell’ordine cristiano, no. Non s’impone alla coscienza niente. È lo Spirito del Signore la forza di convincimento. Che se uno dovesse stare nella Chiesa o nella vita ministeriale, o nella vita religiosa, coatto, per paura, egli sarebbe un controsenso del Regnodi Dio.

E troppe anime coatte abbiamo allevato e abbiamo dato a loro l’incarico di parlare di Gesù, di Colui che libera le coscienze. Parlare di Gesù con animo schiavo vuol dire farsi di Lui strumento per fare altri schiavi. A me pare che, situati in questo tempo drammatico, non dobbiamo perdere la fiducia che il mondo si organizzi secondo principi di mitezza, di pace e di fraternità. Chi perde questa fede già si sottrae alla logica della Promessa. Siccome si trovano intorno tanti scoraggiati, vincere questo scoraggiamento si può per due modi: uno con riferimento politico alla realtà storica, l’altro con l’apriori cristiano.

Noi dobbiamo sperare contro ogni speranza. E dobbiamo avere una simpatia, non sentimentale ma etica, per tutti quei movimenti che resistono alla violenza e la denunciano. Ogni liturgia civica, in cui si protesta contro le uccisioni e lo si fa con dignità e forza, è una liturgia cristiana, è un momento cristiano. Senza i labari di un tempo. Ovunque si vuole una società basata sulla giustizia e si chiamano in causa i responsabili delle trame della violenza, si fa Vangelo, anche se al Vangelo non ci si crede. Ché il Vangelo non è un simbolo da mettere dinanzi ad una coscienza perché si inchini! Il Vangelo è una promessa di Dio che circola come una polla sotterranea. Uno dice di non crederci e ci crede; un altro dice di crederci e non ci crede perché gli manca la linfa, la polla d’acqua di vita che è interiore. Ed io lo vedo, per esperienza, questo trasparire del Vangelo in coloro che non lo leggono,

Dobbiamo scegliere questo mondo di pace. E dobbiamo essere armati ogni giorno di questa mitezza profetica e perciò e questa menomazione del Vangelo in coloro che lo portano sotto il braccio coraggiosa, pronta a compromettersi in tutti i modi perché la violenza sia debellata e perché in qualche modo il Regno di Dio traspaia.

 p. Ernesto Balducci[α1922-ω1982], scolopio

  “Il mandorlo e il fuoco” vol.1 anno A   1983

www.fondazionebalducci.com/30-aprile-2023-iv-domenica-di-pasqua

DIBATTITO

Pillola gratis per tutte, dubbi e critiche «Messaggio sbagliato alle più giovani»

La decisione dell’Aifa (che dovrà essere ratificata la settimana prossima) costerà allo Stato 140 milioni di euro all’anno. Associazioni e politica all’attacco: «È così che si promuove la natalità?»

Viene salutata come una svolta in tema di uguaglianza. In particolare per le donne, che sarebbero messe nelle condizioni di «tutelare appieno la propria salute. Tanto potere avrebbe la pillola anticoncezionale, che il Comitato prezzi e rimborsi dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) ha deciso di renderla gratuita in tutte le Regioni italiane – anche se di fatto lo era già in Puglia, Emilia Romagna, Piemonte e Toscana, oltre alla Provincia autonoma di Trento – con una spesa stimata per lo Stato di circa 140 milioni di euro all’anno. Eppure la scelta, che la settimana prossima dovrà essere ratificata dal Consiglio di amministrazione dell’Aifa, solleva già in queste ore non pochi dubbi e critiche. Anche perché presa piuttosto in controtendenza rispetto alle intenzioni del governo, che sin dal suo insediamento ha sottolineato come i (pochi) fondi a disposizione avrebbero dovuto essere prioritariamente impiegati per dare impulso alla natalità, visto che il 2022 ha segnato l’ennesimo record negativo dall’Unità d’Italia con 393mila nascite.

Prima a scagliarsi contro la decisione, Pro Vita & Famiglia, che bolla come «grave e pericolosa» la decisione: Maria Rachele Ruiu, membro del direttivo, si è chiesta come sia possibile «conciliare la pillola contraccettiva libera e gratuita come panacea di tutti i mali, senza sottolineare i gravi effetti collaterali fisici e psicologici che possono portare fino a depressione e istinti suicidari» e «invitare le ragazzine a bombardarsi di ormoni». Si dice «sconcertato » anche Massimo Gandolfini, leader del Family Day, perché è una scelta che «va nella direzione opposta rispetto al problema della denatalità» con importanti risorse che «potrebbero essere allocate invece per alleviare le gravi condizioni di famiglie” con figli disabili che hanno necessità di farmaci costosissimi non forniti gratuitamente dal Servizio sanitario nazionale».

Un tema condiviso anche dal      network di associazioni “Sui tetti” e dal Moige, il Movimento Italiano Genitori, che arriva a dire che l’Aifa «discrimina chi fa i figli: «Si aiuta – secondo il direttore Antonio Affinita chi non vuole avere figli, ma ci si dimentica delle famiglie. Noi vogliamo eguale gratuità per le spese diagnostiche e terapeutiche per i figli visto che la natalità è la vera emergenza nazionale». A chiedere all’Aifa di fare un passo indietro è poi la senatrice di FdI Lavinia Mennuni perché «ben altre » sono le priorità socio-sanitarie, come appunto la natalità e il sostegno alla famiglia. È la stessa esponente di FdI a ricordare che ad assumere la decisione sono stati «i vertici in scadenza dell’Aifa», mentre è un compito che «compete alla politica».

Di opposto tenore il commento del presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei medici, Filippo Anelli: «Un provvedimento condivisibile, riduce le ineguaglianze e rende le donne uguali davanti alla salute». Lo

ha salutato con un: «Finalmente! Una decisione che stavamo aspettando» la senatrice del Pd Cecilia D’Elia. Le fa eco Marta Bonafoni: «Un passo avanti importante a cui, però, deve seguire per la piena attuazione la convalida da parte del Cda dell’Aifa, cosa che spero possa accadere il più presto possibile». E anche per la capogruppo di Alleanza Verdi e Sinistra alla Camera Luana Zanella è «una decisione attesa e giusta» che «rafforza l’autodeterminazione delle donne». Parla di «ritorno al futuro» il presidente dell’Aied, Mario Puiatti. «Fino al 1993, ovvero fino a trent’anni fa – ricorda – la contraccezione era già gratuita, e questo ha contribuito anche alla sua conoscenza e diffusione tra le donne italiane». E chiede di potenziare i consultori perché «devono essere pronti ad assistere soprattutto le adolescenti che vogliono usare la contraccezione orale». Già, i consultori, la prima (e ormai quasi unica) linea del fronte quando si parla di sessualità e ragazzi, e quelli che però sulla decisione dell’Aifa sono altrettanto perplessi: «Incontriamo giovani sempre più disorientati sul tema – spiega la presidente di quelli cristiani, Livia Cadei – e questo annuncio può avere purtroppo solo il risultato di accorciare e per così dire appiattire il tempo del loro pensiero: “basta una pillola”, stiamo dicendo alle ragazze, “così pensiamo alla tua salute”. Eppure bloccare la ciclicità ormonale di una adolescente non è un regalo per la sua salute e nemmeno una passeggiata ». Senza contare che staccare la ricetta – la prescrizione medica per la pillola, naturalmente, resta sempre necessaria – «porta via 5 minuti a un ginecologo o a un operatore sanitario, spiegare a una giovane donna che cos’è il suo corpo, perché e come trattarlo, molto dipiù». Il punto allora è l’educazione alla sessualità, che manca drammaticamente nel nostro Paese: «C’è una sistematica riduzione di questa sfera alla genitalità pura e un azzeramento del tema della generatività sconfortante» ammette Cadei, che quei 140 milioni di euro all’anno li riserverebbe a percorsi di dialogo e di confronto coi ragazzi e le ragazze. Oltre la pillola, c’è di più.

                Viviana Daloiso                Avvenire                            23 aprile 2023

www.avvenire.it/attualita/pagine/pillola-gratis-per-tutte-dubbi-e-critiche-messag

FRANCESCO VESCOVO DI ROMA

Il Papa. Illegittimo creare embrioni in provetta e ricorrere all’utero in affitto»

Il messaggio di Francesco ai partecipanti a un convegno sul Metodo Billings: il valore della corporeità, la visione integrata e integrale della sessualità umana, della cura della fecondità dell’amore, «Illegittimo creare embrioni in provetta e ricorrere all’utero in affitto».

www.vatican.va/content/francesco/it/messages/pont-messages/2023/documents/20230424-messaggio-congressowoomb.html

L’educazione al valore della corporeità, una visione integrata e integrale della sessualità umana, la cura della fecondità dell’amore anche quando non è fertile, la cultura dell’accoglienza della vita e il problema del crollo demografico. Sono le risorse preziose del metodo Billings per la regolazione naturale della fertilità umana,

secondo la sintesi offerta da un messaggio inviato da papa Francesco ai partecipanti al convegno organizzato sul tema dall’Università Cattolica. Lo spunto per l’evento che ha raccolto esperti a livello internazionale è stato il settantesimo anniversario della scoperta messa a punto dai coniugi australiani

 John [α1918ω2007]-Evelyn Billings[α1918ω2013].

Era l’inizio degli anni Cinquanta e, come ha ricordato Francesco che nonostante il viaggio in Ungheria non ha voluto far mancare il suo sostegno a questa complessa battaglia pastorale e antropologica, i due pionieri «sviluppavano accurate ricerche scientifiche e diffondevano una metodica semplice, a disposizione delle donne

e delle coppie, per la conoscenza naturale della fertilità stessa, offrendo uno strumento prezioso per la gestione responsabile delle scelte procreative».

                Quale fu la risonanza di queste ricerche? Il Papa stesso ha ammesso che «in quegli anni la loro proposta appariva poco moderna e meno affidabile rispetto alla pretesa immediatezza e sicurezza degli strumenti farmacologici» Infatti il ricorso ai metodi naturali, nonostante l’appoggio della sofferta enciclica Humanæ vitæ di Paolo VI, finì per essere scelto da un’esigua minoranza, anche all’interno delle coppie cattoliche. Oggi gli stessi responsabili della Confederazione degli insegnanti di metodi naturali ammettono che sono meno del 10% le coppie che vi ricorrono. Altri dati, come quelli raccolti dai questionari diffusi in occasione dei due Sinodi sulla famiglia (2014-2015), parlano di dati ancora inferiori. Forse il 2-3%. Sarebbe necessario chiedersi come mai, di fronte al valore scientifico di questi metodi e al loro indubbio significato antropologico anche in una prospettiva di ecologia del corpo, sia così difficile diffondere quella che il Papa ha definito «una risorsa per la comprensione della sessualità umana e per la piena valorizzazione della dimensione relazionale e generativa della coppia». Probabilmente, come anche Francesco ha ammesso, il problema è soprattutto educativo, «in un mondo dominato da una visione relativistica e banale della sessualità umana». Nel messaggio il Papa auspica che questa strada educativa sia considerata «entro uno sguardo antropologico ed etico, in cui le questioni dottrinali siano approfondite senza semplificazioni indebite, né rigide chiusure».

Insomma, il problema della fertilità e della generatività appare troppo serio per essere affrontato a colpi di slogan, ma d’altra parte occorre anche mettere da parte qualsiasi oltranzismo da posto di dogana: “Tu sei dentro, tu sei fuori”.

                Come costruire quindi un percorso educativo sulle questioni della sessualità coniugale? Francesco ha ricordato quanto da lui scritto in Amoris lætitia sulla necessitò di insegnare il linguaggio del corpo in modo graduale «che permette di interpretare ed educare i propri desideri per donarsi veramente» e ha auspicato, dopo la rivoluzione sessuale che «ha abbattuto dei tabù», una nuova rivoluzione nella mentalità: «Scoprire la bellezza della sessualità umana sfogliando il grande libro della natura; imparare a rispettare il valore del corpo e delle generazione della vita, in vista di autentiche esperienze di amore familiare».

                Educarsi alla conoscenza della sessualità e della fertilità, ha poi aggiunto, significa anche scoprire il valore dell’accoglienza della vita. «Il metodo Billings, assieme ad altri simili, rappresenta una delle forme più appropriate per realizzare il desiderio di essere genitori». Non significa escludere il ricorso all’aiuto della scienza, ma valutare di volta in volta l’approccio più rispettoso in una prospettiva di genitorialità responsabile: «Se è bene aiutare e sostenere un legittimo desiderio di generare con le più avanzate conoscenze scientifiche e con tecnologie che curano e potenziano la fertilità, non lo è creare embrioni in provetta e poi sopprimerli, commerciare con i gameti e ricorrere alla pratica dell’utero in affitto. Alla radice della crisi demografica in atto c’è – ha detto ancora il Papa – assieme a diversi fattori sociali e culturali, uno squilibrio nella visione della sessualità».

                Eppure, proprio la prospettiva scientifica del congresso che si conclude all’Università Cattolica, «mostra come sia fondamentale prestare attenzione alla peculiarità di ogni coppia e di ogni persona, specialmente nei confronti della donna». Si tratta di un orizzonte nuovo, quello della medicina personalizzata che, come ha ribadito Francesco, ci ricorda «che ogni persona è unica e irripetibile».

Luciano Moia                    Avvenire             28 aprile 2023

www.avvenire.it/papa/pagine/messaggio-papa-francesco-metodo-billings-utero-in-affitto

MATERNITÀ

La Toscana adesso offre più tutele ai parti in anonimato

Prevenire l’abbandono alla nascita sostenendo gestanti e madri in difficoltà. Con questo spirito nel 1999 è nato in Toscana “Mamma segreta”, il percorso che consente alle donne, che sono incerte o hanno deciso di non riconoscere il proprio bambino, di partorire in ospedale in anonimato. A 24 anni dal suo avvio, la Regione Toscana ha aggiornato il progetto, rafforzando i percorsi di aiuto, semplificando le procedure di accesso e adeguandosi a nuovi indirizzi giurisprudenziali. Un tema quanto mai attuale, alla luce della vicenda del piccolo Enea, lasciato nella culla perla vita a Milano.

«Lo scopo è sostenere, accompagnare e informare le donne, affinché le loro scelte siano libere e consapevolmente responsabili – spiega il presidente della Regione Eugenio Giani -. Partorire in anonimato in ospedale, anziché in situazioni poco protette, garantisce maggiori tutele medico-sanitarie e protezione per entrambi, madri e figli. In Toscana si può fare in tutti gli ospedali del territorio e nella nuova delibera si ribadisce che il percorso è destinato a tutte le donne, indipendentemente dalla provenienza, dalla nazionalità, dallo stato giuridico e dalla residenza».

Mamma segreta” è nato in collaborazione con l’Istituto degli Innocenti, la Asl e il Comune di Prato, «per intercettare il prima possibile quelle situazioni di disagio e disperazione, e accompagnare le donne in un percorso volto a dare una vita e un futuro al neonato e al tempo stesso a sostenere la madre», precisa Valeria Dubini, direttrice delle attività consultoriali della Asl Toscana Centro. Si tratta, come rimarcato da Marisa D’Avino, assistente sociale della Asl, «di un percorso di prevenzione degli abbandoni traumatici e degli infanticidi, che consente alla madre di partorire in sicurezza e al bambino di essere accolto e accudito in protezione».

Ascolto, comprensione, sostegno e informazione: queste le parole d’ordine. Cruciale è intercettare e comprendere le difficoltà delle donne. Un ruolo centrale lo svolgono consultori, operatori sociali e sanitari, una vera e propria rete capace di accompagnare le donne prima del parto, durante la permanenza in ospedale e nel rientro sul territorio, tutelando i bambini.

La donna che ha dubbi, si trova in situazioni di difficoltà, vuole avere informazioni o ha già deciso di voler partorire in anonimato, può rivolgersi al medico, ai consultori, ai servizi sociali del Comune o della Asl, a uno dei Centri per l’adozione o direttamente in ospedale. Dopo aver partorito, può essere supportata anche nel suo reinserimento. Per quanto riguarda il neonato, viene attivata una procedura con il tribunale per i Minorenni per avviare le pratiche e dichiarare lo stato di adottabilità.

                Negli ultimi 11 anni, dal 2012 al 2022 (i numeri sul 2022 sono provvisori), su quasi 289mila parti in Toscana, quelli in anonimato sono stati 184, 98 dei quali di madri italiane, degli altri non è specificata la cittadinanza. I più numerosi sono stati nel 2013, quando furono 35; nel 2020 sono stati otto, 10 nel 2021 e altrettanti nel 2022. «Si tratta di donne italiane e straniere che prendono decisioni sofferte – conclude D’Avino -. La gravidanza si colloca spesso in un contesto problematico e la loro incertezza rispetto al riconoscimento si inserisce in una volontà di poter garantire a questi bambini un futuro migliore. È perciò importante far conoscere alle donne anche questo tipo di percorso, far sapere loro che ci sono servizi e persone formate che possono ascoltarle, aiutarle e accompagnarle, qualsiasi sia la loro scelta».

                Un percorso, “Mamma segreta”, che si è ora rinnovato: la Regione ha, infatti, aggiornato le linee d’indirizzo. Per prima cosa è stato semplificato l’accesso, così da migliorare l’organizzazione e la qualità dei servizi offerti. Le nuove procedure da un lato supporteranno le madri anche nel loro percorso di reinserimento sociale ove necessario; dall’altro garantiranno ai figli di ottenere, se lo vorranno, informazioni sulle proprie origini attraverso la redazione e la conservazione di una documentazione. Attivata una pagina dedicata, in sette lingue, (www.regione.toscana.it/mammasegreta) e un servizio telefonico di aiuto (055 4383001).

Arianna Di Rubba            Avvenire             25 aprile 2023

www.avvenire.it/attualita/pagine/il-progettotoscana-piu-tutele-ai-parti-in-anonima

OMOFILIA

Il dibattito nelle Chiese

L’arcivescovo di Torino e don Cravero ricordano ai Pro vita che è tempo di riflettere sull’amore omosessuale!

                Il 20 aprile scorso, nella parrocchia di Santa Maria Maggiore a Poirino (diocesi di Torino), si è tenuto un bell’incontro. Il titolo era “L’amore nelle sue forme ed espressioni: sessualità, emozioni, sentimenti. Lgbtq+, tra conoscenza e rispetto”.

  Relatore, don Domenico Cravero,(α1951) parroco della stessa comunità.

                Immediatamente, si è scatenata la furia di “Pro-Vita”, che ha diramato un comunicato in cui si recitava la parte dell’indignato. Lo riportiamo ma senza link perché non ci va di suscitare ulteriori clic alle loro pagine. Dice così:  «Siamo sconcertati e allarmati dall’iniziativa promossa, lo scorso 20 aprile, dalla parrocchia di Santa Maria Maggiore (…) dal tema “L’amore nelle sue forme ed espressioni (…)” con relatore il parroco don Domenico Cravero, “consulente in sessuologia”.

                Nonostante il condivisibile intento di promuovere una cultura del rispetto e della convivenza civile, lascia interdetti che una parrocchia si sia fatta promotrice di un evento riconducibile alla galassia Lgbtqia+ e dunque a quelle che sono le sue istanze ideologiche: gender, sessualità fluida, carriera alias e transizione di genere per i minori nelle scuole fino anche alla barbara pratica dell’utero in affitto. Ci lascia, però, ancor più sconcertati e sinceramente sorpresi il silenzio di monsignor Roberto Repole, arcivescovo di Torino, al quale ci siamo appellati con due lettere ufficiali, prima dello svolgimento dell’evento stesso. L’unica risposta avuta è stata quella che l’arcivescovo “è stato informato”. Ma non abbiamo avuto ulteriori riscontri né il minimo impegno di un intervento che invece appariva coerente e doveroso. L’ideologia gender, portata avanti proprio dal mondo Lgbtqia+, è stata infatti più volte condannata da Papa Francesco (sic) nel corso del suo Pontificato. Un’ideologia che mira al sistematico smantellamento della famiglia naturale fondata da un uomo e una donna e del diritto di ogni bambino ad avere una mamma e un papà oltre che della libertà educativa di questi ultimi. Non vediamo quindi nessuna ragione plausibile per il mancato intervento dell’arcivescovo nel bloccare questa iniziativa».

Non è il caso di discutere sul delirante comunicato. Quando il denunciante conclude parlando di fantasmi, evocando una “ideologia gender” che mirerebbe al “sistematico smantellamento della famiglia naturale” eccetera eccetera, è meglio non rispondergli per non ridere. E non c’è da stupirsi se un vescovo a cui ci si è rivolti in questi termini, preferisce occuparsi di cose più serie. Tuttavia, il bersaglio scelto dai militanti di Pro-Vita, almeno questa volta, è un po’ al di sopra della loro portata. Don Cravero, che è anche psicologo, è davvero un esperto di sessuologia, oltre che di teologia, liturgia, economia, pastorale giovanile e tanto altro. Don Cravero è un fenomeno di prete che, oltre a portare avanti cinque parrocchie, ha trovato anche il tempo per fondare un’impresa sociale agricola dal nome “Terra mia” che coinvolge centinaia di persone in progetti di reinserimento sociale. La chiamano “economia della speranza”. Se ne parla ovunque, come “un’economia circolare che s’impegna a non produrre scarti tra le persone. Unisce tecnologia e corresponsabilità, combatte fatalismo e assistenzialismo rigenerando energie, fornendo gambe alle idee, puntando al futuro in maniera sostenibile”. È una cosa molto buona.

                È molto imprudente cercare di prendere in giro don Cravero mettendo tra virgolette il termine “consulente di sessuologia”. Basta guardare uno dei suoi video in materia, per capire che potrebbe non andare come si desiderava.

                 E infatti, il vescovo Roberto Repole (α1967) non ha lasciato cadere la cosa. E’ intervenuto sul sito della diocesi con un comunicato che poi è girato sui media locali, in cui ha preso le difese non solo del suo confratello ma di ogni iniziativa volta a riflettere sulle diverse forme d’amore che oggi abbiamo davanti agli occhi:                «Nella parrocchia di Poirino non è stata fatta nessuna propaganda alla teoria del gender: solo un incontro di informazione a cura del parroco, occasione di riflessione intorno a un tema che coinvolge e preoccupa molte delle nostre famiglie e sta facendo discutere l’opinione pubblica». «Ho verificato con il parroco che l’incontro era mirato ad informare sulle diverse realtà della vita affettiva oggi presenti in seno alla società, per conoscere il presente ed essere in grado di valutare il dibattito in corso, obiettivamente molto acceso. Informarsi e ragionare anche su queste cose è un modo concreto di essere presenti come comunità cristiana su temi che provocano situazioni dolorose di tensione e conflitto tra i giovani e all’interno delle famiglie. E questo nulla cambia rispetto alla riflessione e all’insegnamento della Chiesa sulla morale sessuale, che non omologa in alcun modo l’amore eterosessuale alle altre forme di relazione».

                Qualcuno ha avuto da ridire sull’ultima parte del bel comunicato, quella in cui si dice che la Chiesa non omologa l’amore omosessuale alle alte forme di relazione. Sa già di discriminatorio. In realtà, è facile comprendere il motivo per cui monsignor Repole lo ha inserito. È infatti la prima volta che, a Torino, un vescovo prende fermamente posizione a favore di una serena riflessione sui temi LGBT+.

                In passato, il sostegno, sì, era sempre garantito ma bastava che i Pro-Vita o chi per essi battessero le ali, che in curia si scatenava il putiferio. Si annullavano incontri, si mandavano lettere piccatissime ai giornali, ci si lasciava prendere dalla paura. Ora, il comunicato del vescovo Roberto ha un tono nuovo, sereno e coraggioso, di chi ama la vita delle persone più delle abitudini. Lo ringraziamo.

                Su quella distinzione tra amore eterosessuale e “altre forme di relazione”, avremo modo di approfondire. Condividiamo che “omologare” è brutto. È bene che le diversità siano accolte nella loro verità, altrimenti se ne perde la ricchezza. Ma vorremo che si arrivasse a capire che “diversità” non vuol dire “diversa dignità”, perché Gesù non va in questo senso. Il suo comandamento è di amarsi gli uni gli altri. E, dice: “non c’è amore più grande di questo, dare la vita per i propri amici”. Non fa cenno all’identità sessuale degli amanti, né ad amori da privilegiare e altri da mettere in secondo piano.

                Quanto al tema dell’insegnamento della Chiesa, il vescovo Roberto gli affianca correttamente quello della “riflessione”. E ha ragione perché, in questi anni, la Chiesa, più che insegnare, sta proprio riflettendo. L’omosessualità è un tema nuovo, su cui il dibattito è caldissimo. Qualcuno, di fronte alle novità, si spaventa e si arrocca nella tradizione. Altri guardano avanti. Ma la Chiesa, di fronte al nuovo, non può avere moti di rifiuto poiché Gesù stesso non rifiuta il nuovo. Quando dice di non mettere vino nuovo in otri vecchi, non vuol dire di buttar via il vino ma di preparare otri nuovi. E l’iniziativa di don Cravero andava proprio in questo senso: preparare otri nuovi. Quali otri, lo vedremo confrontandoci a partire dall’ascolto reciproco. Fare gli “sconcertati e allarmati” non serve a niente e non ha nulla di cristiano.

   Architetto Massimo Battaglio (α1965)· 29 aprile 2023

www.gionata.org/larcivescovo-di-torino-e-il-parroco-don-cravero-ricordano-ai-pro-vita-che-e-tempo-di-riflettere-sullamore-omosessuale

RELIGIONI

Post-teismo: dibattito (sempre) aperto. Un intervento di Sergio Paronetto

Prosegue il dibattito teologico sul post-teismo nel mondo cattolico. Un dibattito ancora tutto in divenire, ricco di stimoli e aperto al contributo di altre discipline e delle nuove acquisizioni scientifiche. Di fronte alla portata e alla complessità di tanta ricerca, afferma Sergio Paronetto sul sito dei Viandanti, «possiamo solo balbettare». L’autore – laureato in Filosofia della Religione, già docente di Letteratura e Storia, già vicepresidente di Pax Christi, attualmente membro del Gruppo per il Pluralismo e il Dialogo di Verona, che aderisce alla Rete dei Viandanti – invita a «non chiudere mai la ricerca (antropologica, filosofica, teologica, scientifica), non fermarsi su nuovi concetti di Dio ritenuti più credibili col rischio di produrre nuovi dogmi vincolati a una visione scientifica considerata conclusiva. La fede, come la scienza, è sempre itinerante, aperta all’inedito, intrecciata alla “meraviglia” come radice della sapienza. Non offre risposte definitive. Ama la fecondità del dubbio. Coltiva l’intelligenza della domanda».

Nella sua approfondita analisi, Paronetto affronta temi complessi e cruciali: le diverse immagini di Dio che si sono confrontate nella storia e negli stessi testi sacri, il rapporto tra scienza e fede, la riflessione sull’umano, ecc.

www.adista.it/articolo/69920

Post-teismo: dio non è la risposta, è la domanda

                 Il ripensamento post-teista della fede alla luce delle scienze moderne solleva temi importanti orientati ad affermare una nuova idea di Dio. L’argomento, come si dice, è vasto e complesso da far tremare le vene e i polsi. Possiamo solo balbettare. Davanti a una questione così grande, mi sembra decisivo non chiudere mai la ricerca (antropologica, filosofica, teologica, scientifica), non fermarsi su nuovi concetti di Dio ritenuti più credibili col rischio di produrre nuovi dogmi vincolati a una visione scientifica considerata conclusiva. La fede, come la scienza, è sempre itinerante, aperta all’inedito,  intrecciata alla “meraviglia” come radice della sapienza. Non offre risposte definitive. Ama la fecondità del dubbio. Coltiva l’intelligenza della domanda.

Tradizione e tradizioni. Occorre, certo, superare la vecchia tradizionale immagine di Dio, proposta da larga parte del cristianesimo “ufficiale”, lontana dal dinamismo del pensiero umano. Ma ciò si può fare anche recuperando e sviluppando quanto nella stessa tradizione cristiana era stato più volte immaginato (anche se inizialmente rifiutato o addomesticato). Ne ha scritto a lungo Matthew Fox nel libro “In principio era la gioia” dove elenca le varie teologie o forme di spiritualità fiorite lungo i secoli. Le colloca da un lato nella spiritualità della caduta- redenzione, dall’altro nella spiritualità del creato. Molto spazio viene dato, ovviamente, alle visioni dei mistici e delle mistiche prima, durante e dopo il Medioevo, tra i quali Eckhart, Cusano, altri o altre fino all’amato Teilhard de Chardin e alle teologie della liberazione.

Capita spesso che immagini diverse di Dio si possano trovare anche in autori annoverati, per così dire, tra i “tradizionalisti”, compresi Agostino e Tommaso. Capita, a volte, che qualche tradizionalista sia un innovatore e che qualche mistico radicale, fautore di una accesa spiritualità (come s. Bernardo), risulti molto reazionario quale difensore del “malicidio”, della “guerra santa”. È ovvio che sono diverse, anzi opposte, le visioni quasi contemporanee di Francesco d’Assisi e di Innocenzo III, di Celestino V e di Bonifacio VIII, per non parlare delle differenze e contrasti tra Concilio di Trento e Concilio Vaticano II, tra Cartesio e Pascal, tra filosofia neoscolastica e personalismo cristiano, tra modernisti e intransigenti di inizio Novecento o tra gli ultratradizionalisti cattolici e papa Francesco. Tali posizioni convivono in tutte le religioni e spesso nello stesso sistema culturale di appartenenza, soprattutto nei loro rapporti con la politica che  condiziona qualunque espressione religiosa.

Testi biblici e simbolismo. Un discorso analogo si può fare, a mio parere, analizzando i testi biblici, scritti nell’arco di circa otto secoli, e contenenti vari modi di concepire Dio. Schematizzando, da un lato incontriamo un dio guerriero e violento, onnipotente e padrone, nazionalista etnico, geloso e irato, maschilista e patriarcale, sacrificale ed escludente. Dall’altro, un Dio padre e madre, cosmopolita e inclusivo, spirito e verità, sapiente e giusto, nonviolento “principe della pace”, misericordioso, femminile, identificato nei poveri (Matteo 25), incarnato in Gesù, celebrato nel Cristo. Papa Francesco ha riassunto le vecchie superate idee di Dio domenica 16 novembre 2022 basandosi su Luca 4 e proponendo una presenza di Dio come amore liberante e spirito amante.

                Nei testi biblici, scritti in epoche e luoghi diversi, si sono inevitabilmente incrociate diverse culture supportate da diversi criteri di pensiero che è necessario conoscere per evitare interpretazioni letterali e superficiali, buone a tutti gli usi. C’è il criterio mitologico, quello nazionalista etnico, quello patriarcale padronale, quello teocratico monarchico, quello sacrale vittimario, quello doloristico espiatorio, quello sessuofobico e maschilista, quello apocalittico in senso catastrofistico. Accanto o dentro queste modalità, emergono altri criteri: quello spirituale e contemplativo, quello profetico e sapienziale, quello umanistico e cosmopolita, quello evolutivo e itinerante, quello relazionale e agapico, quello apocalittico orientato alla speranza.

                In ogni caso, secondo me è bene tener presente il linguaggio simbolico dei testi, diverso da quello razionale o scientifico. Esso rappresenta un altro modo di pensare e di vivere che non può essere valutato in rapporto alla razionalità scientifica. Non può essere trasferito immediatamente nel ragionamento critico circa il carattere antropomorfico o arcaico, non accettabile, delle immagini di Dio. Il simbolo, come scrive Paul Ricoeur, “dà a pensare”, contiene una “sovrabbondanza di senso” (cfr Della interpretazione e Finitudine e colpa), veicola pensieri-esperienze-sentimenti poetici, estetici, etici e culturali legati, direbbe Husserl, al “mondo della vita” che è sempre differente da qualunque argomentazione razionale, antica o moderna. È sempre oltre o, se vogliamo, dentro la profondità dell’umano, portatore di emozioni e desideri che si esprimono in varie forme poetiche e nei simboli. E il cuore, pascalianamente, ha sempre delle ragioni che la ragione scientifica anche più raffinata non può conoscere.

                Scienze e fede. La fede, quindi, per essere credibile, certamente deve far riferimento alle scienze moderne (fisica quantistica, biologia molecolare, neurologia, cosmologia e altro) ma non può derivare da esse per tre motivi:

Al riguardo, secondo me ogni nuova idea di Dio (compresa quella dei post-teismi) sarà sempre limitata, parziale, superabile davanti al mistero infinito di Dio e della persona umana di cui non conosciamo ancora le profondità. Alcuni post-teisti scrivono che Dio non può essere antropomorfo come l’abbiamo immaginato e tramandato. Secondo le indicazioni della scienza, potrebbe essere concepito solo come “impersonale”.

                Al riguardo, sento il bisogno di distinguere. Forma umana e persona non sono la stessa cosa. Antropomorfismo vuol dire dare-avere una forma umana, persona indica un’identità relazionale in costruzione basata su coscienza, consapevolezza, libertà, desiderio, volontà di bene. Superare un dio antropomorfo non significa, quindi, abbandonare l’idea o, meglio, l’esperienza di un Dio personale. D’altra parte, è impossibile, per noi persone, non essere personali. Sempre, secondo me, pensiamo a Dio in termini personali, anche quando lo neghiamo o lo vediamo come transpersonale.

                Se diciamo che è solo pura energia, fluido vitale oppure fondo dell’essere, ultimità (o usiamo metafore simili), rischiamo di tornare o ai miti cosmici, alle ierofanie sacre e ai modelli rituali dell’umanità primordiale, ben illustrati nei volumi di Mircea Eliade o di Van der Leeuw (che ho studiato in gioventù), cioè al naturalismo arcaico, oppure all’aristotelico “pensiero di pensiero”, allo spinoziano “Deus sive natura”, all’hegeliano “spirito assoluto”, a forme di deismo massonico (espressioni pregevolissime del pensiero che sento, però, lontane da una visione a un tempo razionale (laica), evolutiva e appassionata (etica) della vita, dalla passione intima alla nostra itinerante umanità.

                È nell’umano che dobbiamo scavare. È nel diventare umani che possiamo incrociare il senso di un’esistenza autentica, bella e vera, utile e buona, quindi sempre relazionale e interconnessa. La Bibbia parla del nostro “cuore” come luogo dell’identità personale più segreta e infinita, capace di sapienza e di misericordia. Alla fine del suo libro “Deus due punto zero”, Paolo Gamberini riporta una bella frase della “Laudato sì” 239: “ogni creatura porta in sé una struttura propriamente trinitaria, così reale che potrebbe essere spontaneamente contemplata se lo sguardo dell’essere umano non fosse limitato, oscuro e fragile”.

                Una domanda sempre aperta. Cos’è la persona umana? Secondo me, avendo uno sguardo sempre limitato, oscuro e fragile, non possiamo mai saperlo bene, né averne compiuta esperienza. C’è una profondità interiore che ancora non conosciamo e che forse, dati i nostri limiti, non potremo raggiungere. Mi ha colpito da giovane il titolo di un libro di Carrel, “L’uomo questo sconosciuto”. Ernesto Balducci osserva che siamo in cammino verso l’uomo inedito, inesplorato, planetario. Lo stesso Agostino riconosce di essere un “enigma” a se stesso. Maria Zambrano o Pablo Neruda dichiarano che “siamo nati per rinascere”.

                Romano Guardini, nel suo prezioso “Ritratto della malinconia”, parla del “germe di eternità” presente in noi come inquietudine perenne. Emily Dickinson scopre in sé un panorama grande, dice di “abitare il Possibile”, osserva che “chi ama non conosce la morte perché l’amore fa rinascere la vita nella divinità” e che l’eternità è come “l’infinito di mari” che possiamo navigare. Concordo con chi dice che la nostra identità viene dal futuro, che siamo spinti dal “principio speranza” o dalla “promessa” dello shalom biblico, da accogliere come dono e impegno. Insomma, siamo sempre al di qua di noi stessi, ai bordi del nostro pozzo interiore. In questo percorso entriamo nel mondo sconosciuto della nostra intimità più segreta e autentica.

                Penso che siamo una domanda sempre aperta come Dio. A evidenziare questa vocazione stanno i testimoni della nonviolenza, che vedo come profondità inesauribile dell’umano, grazia creativa e inedita, beatitudine in cammino, liberazione della nostra umanità. In sintesi, forza di verità, fame e sete di giustizia, spirito di libertà, passione d’amore (sono le quattro caratteristiche dalla pace presenti nella “Pacem in terris” e riproposte da Francesco nel suo discorso al corpo diplomatico del 9 gennaio 2023).

                Fede come lotta nonviolenta. A mio parere, oggi lo sforzo dei credenti, impegnati nell’aggiornare o modificare l’idea di Dio, consiste proprio nell’assunzione della nonviolenza come sostanza e stile della propria vita personale e comunitaria e, quindi, come ricerca comune per affrontare le sfide del mondo moderno ingiusto, violento e ferito. Il male che ci circonda è grande. Esso manda e manderà in crisi qualunque nuova soddisfacente immagine di Dio e qualunque considerazione trionfante dell’evoluzione o del progresso.

                Il tema del male è sempre stato lo scoglio di ogni filosofia e teologia. Esso convoca i credenti a testimoniare la fede come lotta nonviolenta di liberazione umana. Solo così, credo, nel vivo dei problemi, si può rinnovare la propria fede come conversione al bene, risveglio di una nuova spiritualità, lotta per la pace, l’accoglienza, la giustizia, la cura del creato, la felicità delle persone. Francesco lo afferma sia negli Incontri con i Movimenti popolari (2014, 2015, 2016, 2021), sia nel famoso Documento di Abu Dhabi (2019), sia negli incontri interreligiosi in Kazakhstan (settembre 2022) e nel Bahrein (novembre 2022), sia nel tentativo di aprire (dal 2015) un percorso sinodale, ancora poco frequentato.

                Ogni ricerca di Dio deve essere parte integrante della ricerca di una novità di vita per la famiglia umana dove Dio opera come ospite silenzioso in modo personale, transpersonale, interpersonale (relazionale e trinitario). Così scrive David Maria Turoldo: “Dio non è una risposta, è la Domanda. […]. Tempi grami viviamo. Tempi senza amicizia […]. Siamo tutti dentro un sistema nel quale l’uomo non conta più nulla. È il sistema più disumano e ateo che si possa immaginare […]. Come sono eroici quei giovani che riescono ancora a coltivare delle amicizie. Infatti, la fraternità umana è la ragione stessa dell’esistere […]. Il rapporto col prossimo è il punto assoluto di partenza e di arrivo di ogni convivenza” (Il dramma è Dio).

                Sono idee che accompagnano Etty Hillesum quando si propone di essere “il cuore pensante della baracca” (mondo), l’ “alternativa luminosa” nel buio dello sterminio, pronta a “disseppellire Dio dai cuori devastati” e dal continente immenso della nostra travagliata umanità (Diario 1941-1943).

                               Sergio Paronetto        “Viandanti”       26 aprile 2023

www.viandanti.org/website/post-teismo-dio-non-e-la-risposta-e-la-domanda

RIFLESSIONI

Salviamo il nostro sapere

Sempre di più siamo consapevoli che il sapere oggi, soprattutto con l’introduzione dell’intelligenza artificiale, viene colpito nelle sue due principali funzioni: la ricerca intesa come quærere e la trasmissione della conoscenza. Lo profetizzava già Jean François Lyotard (α1924 –ω1998, filosofo francese): “L’antico principio secondo il quale l’acquisizione del sapere è inscindibile dalla formazione dello spirito, e anche della personalità, cade e cadrà sempre più in disuso … Il sapere viene e verrà prodotto per essere venduto e consumato e dunque per essere scambiato: si arriverà alla mercificazione del sapere”. Dunque l’insegnamento tenderà a formare competenze piuttosto che ideali e il rapporto con il sapere non sarà più una via di realizzazione della vita interiore, di umanizzazione.

Perciò è necessario e urgente riflettere nuovamente sull’insegnare innanzitutto in senso assoluto, senza specificazione dell’oggetto, per mettere in evidenza che l’insegnamento è un atto generato da una persona che ha l’exousía, l’autorevolezza e la conseguente umiltà di mettersi in relazione. Siccome ha imparato, le è stato insegnato, è capace di insegnare. Insegnare significa infatti “fare segno”, e designa il compito di persone che si fanno portatori, datori e trasmettitori di segni. L’insegnante consegna simboli, chiavi ermeneutiche per interpretare la realtà e la vita: è colui che indica l’orizzonte, che “orienta”, cioè aiuta a trovare l’“oriente”, il luogo dove sorge la luce della vita.

È significativo che secondo la tradizione sapienziale ebraica la sapienza è l’arte del dirigere la vita e il sapiente è colui che sa anche orientare gli altri nella vita, colui che tiene saldamente il timone della nave e la sa guidare. Sta scritto nel Libro dei Proverbi: “L’uomo sapiente tiene saldo il timone” e in QoheletEsperto della vita, avrà parole che saranno come pungoli”, cioè stimoli all’indagare, alla ricerca, all’approfondimento, e “pietre miliari”, cioè indicatori di via e argini che segnalano il limite. Suggeriscono, non impongono, non tacciono ma non gridano. Come l’oracolo di Delfi, attraverso il quale il dio non dice, non nasconde: fa segno (Eraclito f. 93).

                Sì, gli insegnanti sono chiamati a porre gesti espressivi, gesti carichi di senso e di vita, dove il senso va inteso nella sua triplice accezione di significato, di direzione, di sapore, senza tralasciare la dimensione estetica nella quale la bellezza dà compiutezza a ogni senso.

                In questa relazione tra l’insegnante e il destinatario dell’insegnamento, chiamato discepolo, il rapporto non deve certo essere asettico perché l’insegnare ha sempre un aspetto generante e come ogni generazione deve essere intriso di “eros”, di capacità affettiva.

                Così si educa in modo serio e fecondo, come suggerisce il verbo educere, “condurre fuori da… verso…”: facendo uscire, ispirando un esodo da se stessi e accettando il rischio della libertà connesso alla vita. L’insegnante diventa così anche un passeur, un traghettatore che fa passare il giovane ad altre rive. Certo il rapporto educazione-insegnamento non è facile, infatti “non si può educare senza, allo stesso tempo, insegnare; e l’educazione senza insegnamento è vuota e degenera facilmente in una retorica emozionale e morale. Ma si può facilmente insegnare senza educare e si può continuare a imparare fino alla fine dei propri giorni senza mai però educarsi”, scrive Hannah Arendt, (α1906 -ω1975, filosofa e storica tedesca)che osserva anche: “L’educazione è il punto in cui si decide se noi amiamo abbastanza il mondo per assumerne la responsabilità, per salvarlo dalla rovina inevitabile senza il rinnovamento delle nuove generazioni!”.

https://www.ilblogdienzobianchi.it/blog-detail/post/186842/salviamo-il-nostro-sapere

SACRAMENTALITÀ

La sacramentalità come nuovo impedimento alla ordinazione? Le ferite aperte di una teologia nostalgica

                Non vi è dubbio che tra i fenomeni più interessanti della teologia dell’ultimo secolo vi sia stata una grande rielaborazione del termine “sacramento”, che non solo è stato esteso a designare, oltre ai sette sacramenti, anche e anzitutto Cristo e la Chiesa (rispettivamente come “sacramento originario” e come “sacramento fondamentale), ma ha preteso di caratterizzare, in forma immediata, il cattolicesimo in quanto tale. Fino ad arrivare alla elaborazione di una nuova terminologia, che si struttura nella “difesa della sacramentalità” come cifra inconfondibile della tradizione cattolica, non solo rispetto al protestantesimo (liberale), ma anche rispetto alla cultura post-moderna. Entrambi questi filoni teologici e culturali, poiché negherebbero la sacramentalità, sarebbero incompatibili con il cattolicesimo: per questo ogni possibilità di dialogo e di incontro con essi sarebbe esclusa in partenza. In tal senso “sacramentalità” sarebbe la vera garanzia contro ogni forma di “modernismo”.

                Questa tesi, che si trova affermata in modo drastico fin dalle prime pagine del libro di K.-H. Menke, “Sacramentalità. Essenza e ferite del cattolicesimo” (Brescia, Queriniana, 2015) appare esemplare nel voler difendere una “teologia cattolica” contro le letture funzionalistiche, ma per farlo è costretta a funzionalizzare il sacramento, trasformandolo in una “cultura alternativa”, immunizzata dalla cultura. Per Menke, infatti, le condizioni della “sacramentalità” poggiano su una antropologia univoca e su una ontologia univoca, che ne costituiscono i presupposti. Perciò il pensiero sacramentale e il pensiero postmoderno si comportano tra loro come due opposti, si escludono a vicenda, “perché il pensiero postmoderno non riesce a custodire la distinzione antropologica tra io e non-io e quella ontologica tra un piano indicante e un piano indicato, che sono presupposte dal pensiero sacramentale” (321)

                In questo modo, con un gioco di prestigio piuttosto elementare, la sacramentalità diventa funzionale alla difesa di un assetto antropologico e ontologico classico. Può esservi sacramentalità, e quindi cattolicesimo, solo se l’uomo e il mondo sono compresi nei termini di una antropologia delle facoltà e di una ontologia metafisica. Ciò che contrasta con questo modello non è “diverso”, ma “erroneo” e da contestare in radice.

                La argomentazione apologetica che comanda il discorso sulla sacramentalità sembra fondata sulla sacramentaria, sulla ecclesiologia e sulla cristologia. In realtà si tratta di un modo drastico, e anche piuttosto rozzo, per affermare direttamente una antropologia e una ontologia, senza alcuna possibilità di ascoltare una parola diversa dalla tradizione di fede.

                Il primo esempio: sacramentalità e ordinazione femminile. La elaborazione apologetica della categoria di “sacramentalità” – come legittima aspirazione di una teologia sistematica – apre subito, nel libro di Menke, uno spazio di argomentazione diverso per escludere ogni possibilità di “ordinare” le donne. Come è noto, fino ad ora la forma della argomentazione aveva percorso tre vie:

Rispetto a queste tre forme di argomentazione, la via della “sacramentalità” vorrebbe indicare una “logica di fondo” nella quale, senza mai utilizzare direttamente gli argomenti antropologici classici di esclusione della autorità femminile, si ottiene il medesimo risultato sulla base di una non ben chiarita “sacramentalità”. Che avrebbe, tuttavia, un impatto diverso rispetto alla “teologia di autorità” su cui il magistero sembra essersi assestato dopo “Inter insigniores” e dopo “Ordinatio sacerdotalis”. In realtà questo uso del termine “sacramentalità” appare segnato da un limite intrinseco: esso ripropone, mediante una sacralizzazione nostalgica, i presupposti e i pregiudizi antropologici del passato, trasformandoli in “condizioni della cattolicità”. Non vi sono “segni dei tempi”, ma solo “errori dei tempi”, contro cui si resta cattolici solo se li si condanna come “negatori di una sacramentalità” identificata con le comprensioni del passato.

                Impedimenti alla ordinazione e sacramentalità. Nell’elenco classico degli “impedimenti alla ordinazione” la teologia scolastica esamina quali soggetti sono senza autorità e perciò incapaci di mediare il Signore, principio di ogni autorità. L’elenco, che comprende i minori, gli schiavi, gli assassini, i figli naturali e i disabili, inizia rigorosamente con il caso “più naturale” di “mancanza di autorità”, ossia dalla donna. Questo orizzonte culturale, che non riesce ad attribuire dignità di autorità pubblica alla donna, muta con il XIX secolo. Quando si cerca di farlo sopravvivere, si devono usare altre argomentazioni. La inerzia del modello antico può essere prodotta da una “negazione della possibilità di cambiarla” (ed è la soluzione adottata dal magistero) oppure si può ricorrere ad altri livelli di argomentazione, che tuttavia dovrebbero risultare persuasivi sulla base di “altre logiche”. Ragionare sulla base dei due principi (petrino e mariano) o sulla base della “sacramentalità cattolica” sembra una via poco efficace per affrontare la questione. Perché nel primo caso, come nel secondo, una ampia articolazione argomentativa, sorta con intenzioni apologetiche, sembra dedurre ogni conclusione da un principio di “gerarchia perenne dei sessi” che si presenta molto meno come un dato rivelato che come un pregiudizio infondato. Nel generalizzarsi di un “principio di sacramentalità” si nascondono non di rado pregiudizi indiscussi. Periculum latet in generalibus.

Andrea Grillo    blog: Come se non          26 aprile 2023

www.cittadellaeditrice.com/munera/la-sacramentalita-come-nuovo-impedimento-alla-ordinazione-le-ferite-aperte-di-una-teologia-nostalgica

SINODO DEI VESCOVI

Donne e laici potranno votare nell’Assemblea Generale Ordinaria

La Segreteria Generale del Sinodo comunica le novità sulla composizione dei partecipanti: nonostante l’ingresso di donne e laici Papa Francesco mantiene la specificità episcopale dell’Assemblea“.

Cambia la composizione dei partecipanti alla Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi. E le modifiche saranno operative dalla prossima Assemblea, la XVI che si svolgerà in Vaticano il prossimo ottobre.

                La normativa prevista dallaCostituzione Apostolica Episcopalis Communio resta in vigore, venendo però modificata in alcuni elementi sostanziali.

https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2018/09/18/0653/01389.html

www.synod.va/content/dam/synod/news/2023-04-26_punto_stampa/2024.04.26_IT_FAQ_Partecipanti_Assemblea.pdf

Non vi saranno più dieci chierici appartenenti a Istituti di vita consacrata, eletti dalle rispettive organizzazioni che rappresentano i Superiori generali. Vengono sostituiti da cinque religiose e cinque religiosi appartenenti a Istituti di vita consacrata, eletti dalle rispettive organizzazioni che rappresentano le Superiore Generali e i Superiori Generali. In quanto membri hanno diritto di voto.

                Viene eliminata la figura dell’uditore: si aggiungono altri 70 membri non Vescovi che rappresentano altri fedeli del popolo di Dio e che provengono dalle Chiese locali. Sono scelti dal Papa da un elenco di 140 persone individuate (e non elette) dalle sette Riunioni Internazionali di Conferenze Episcopali e dall’Assemblea dei Patriarchi delle Chiese Orientali Cattoliche. Il 50% di loro saranno donne e dovrà essere adeguata anche la rappresentanza dei giovani.                 I Rappresentanti dei Dicasteri che parteciperanno, sono quelli indicati dal Romano Pontefice.

                I membri eletti dalle realtà ecclesiali competenti per ogni ‘tipologia’ di membri (vescovi o non vescovi) dell’Assemblea, non sono automaticamente membri dell’Assemblea. Infatti, tutte le elezioni devono essere ratificate da parte del Romano Pontefice. I nomi degli eletti non sono noti al pubblico finché la loro elezione non sia stata confermata dal Romano Pontefice.

Resta in vigore la figura dell’esperto che però non ha diritto di voto.

                La Segreteria Generale del Sinodo sottolinea che l’estensione della partecipazione all’Assemblea sinodale a non vescovi si pone in continuità con la progressiva appropriazione della dimensione sinodale costitutiva della Chiesa e con la conseguente comprensione delle istituzioni attraverso cui essa si esercita.

                Viene ricordato inoltre che Paolo VI volle Il Sinodo dei Vescovi come «un consiglio permanente di Vescovi per la Chiesa universale, soggetto direttamente ed immediatamente alla Nostra potestà», con il compito di consigliare il Successore di Pietro, partecipando in questo modo alla sollecitudine per tutta la Chiesa. Tuttavia, fin da subito Paolo VI chiarì che «questo Sinodo, come ogni istituzione umana, con il passare del tempo potrà essere maggiormente perfezionato».

                Le modifiche odierne, spiegano dalla Segreteria Generale, sono in linea con la progressiva ricezione del Concilio Vaticano II. In questa prospettiva va compresa la decisione del Santo Padre di mantenere la specificità episcopale dell’Assemblea convocata a Roma, ma al tempo stesso di non limitarne la composizione ai soli vescovi, ammettendo un certo numero di non vescovi come Membri a pieno titolo. La specificità episcopale dell’Assemblea sinodale non risulta intaccata, ma addirittura confermata. Lo mostra innanzi tutto il rapporto numerico tra vescovi e non vescovi, risultando questi ultimi meno del 25% del totale dei Membri dell’Assemblea. Ma soprattutto lo evidenziano le modalità di designazione dei non vescovi: essi infatti non sono eletti da un qualche demos o cœtus ma sono nominati dal Santo Padre su proposta degli organi attraverso cui si realizza la collegialità episcopale a livello di aree continentali, radicando la loro presenza nell’esercizio del discernimento dei Pastori.

Marco Mancini Città del Vaticano            ACI Stampa,       26 aprile 2023

www.acistampa.com/story/sinodo-dei-vescovi-donne-e-laici-potranno-votare-nellassemblea-generale-ordinaria?utm_campaign=ACI%20Stampa&utm_medium=email&_hsmi=255852608&_hsenc=p2ANqtz–aNqf45LtTxNimqp8UdBtufoZEIr17O0zOKfK2lPO00yyaXGdPGLVmMMwicNtGqGK997eDOfb0yIVxnHTIyJS7P0cECg&utm_content=255852608&utm_source=hs_email

Bignardi: rivoluzione no, però…

L’ex presidente di Azione Cattolica Italiana: segnale di una nuova mentalità che sembra affacciarsi nella vita ecclesiale.

Ho partecipato nel 1999 al Sinodo sull’Europa, ed è stata una grande, bellissima esperienza di Chiesa: un osservatorio sulla Chiesa universale realizzato attraverso la testimonianza diretta di vescovi che dalle varie parti del mondo raccontavano che cosa significasse essere vescovi a Sarajevo, in Ungheria o a Parigi. Eravamo alcuni laici presenti, nell’ordine di qualche unità: veramente pochissimi rispetto alla consistenza del popolo di Dio che stavamo a rappresentare, eppure ci parve un’esperienza straordinaria, un privilegio poter partecipare al farsi del pensiero e degli orientamenti di una Chiesa che riconosceva la necessità di aggiornare la propria conoscenza del tempo e il proprio radicamento in una geografia che, anch’essa, stava cambiando. Partecipammo alle discussioni, ai gruppi di lavoro il cui contributo doveva dar forma al documento finale. Ma quando si trattò di votare quelle stesse proposizioni che avevamo contribuito ad elaborare fummo esclusi.

Ci pareva già tanto quello che avevamo potuto sperimentare, e tuttavia il non poter prendere parte a quell’ultimo atto, il più significativo, ci parve una nota stonata. La scelta di papa Francesco di ammettere al Sinodo un numero significativo di non vescovi, che potranno contribuire con il loro pensiero e la loro esperienza, ma anche con il loro voto, costituisce una novità importante, un vero passo avanti in quel rinnovamento della Chiesa e delle sue prassi ormai urgente e non rinviabile.

Certo, è importante che tutte le componenti del popolo di Dio contribuiscano alla elaborazione delle linee della Chiesa del futuro, ma finché la partecipazione non giungerà anche a influire sulle strutture, sulle decisioni, sull’impostazione di fondo, non potrà realizzarsi quella coralità ecclesiale che i laici – e tra essi le donne, e soprattutto i giovani – stanno attendendo. Chi si è messo in ascolto proprio di queste due componenti del popolo di Dio – le donne e i giovani – sa che la loro marginalità rispetto alle prassi decisionali della Chiesa costituisce un grave e decisivo ostacolo alla loro appartenenza.

Le donne, soprattutto le giovani donne, spesso decidono il loro allontanamento dalla Chiesa percependola come una comunità non disponibile e integrarle a pieno titolo nella sua vita; quella integrazione nelle dinamiche sociali che quasi sempre le donne sperimentano nella società. Perché nella Chiesa non devono poter essere accolte nel loro originale pensiero, nella loro esperienza di vita e di Chiesa, nella saggezza di cui dispongono non meno dei loro fratelli? Questa è la domanda che molte donne si pongono e cui finora non hanno avuto risposta. La decisione di ieri è un segnale: piccolo certamente, ma segnale di una nuova mentalità che sembra affacciarsi nella vita ecclesiale.

Allo stesso modo i giovani sentono di avere delle risorse da mettere a disposizione della Chiesa e del suo rinnovamento; la loro esclusione dalle responsabilità li fa sentire vittime di un paternalismo che sentono come una mortificazione della loro giovinezza e della loro sensibilità. Alla Chiesa molti giovani rimproverano di essere fuori tempo, di avere linguaggi e cultura antichi, mentre loro si sentono e vogliono essere persone di oggi: anche come cristiani vogliono essere contemporanei dei compagni di studi e di lavoro, ed esprimere la fede con categorie attuali. Se molti di loro abbandonano la Chiesa è anche perché si sentono esclusi dalla Chiesa stessa.

Quindi, benvenuta la riforma dei componenti del Sinodo, decisione il cui significato va ben al di là del suo peso materiale. Alla fine di queste considerazioni, un auspicio: che questo cambiamento a un livello così significativo della vita ecclesiale si diffonda ad altri livelli, raggiunga diocesi e parrocchie, facendo sentire tutti i laici, tutte le donne e tutti i giovani appartenenti a pieno titolo al popolo di Dio.

  (α 1950)Paola Bignardi, pedagogista      “Avvenire” 27 aprile 2023

www.avvenire.it/chiesa/pagine/paola-bignardi-rivoluzione-no-per

Lucetta Scaraffia: nel prossimo Sinodo voteranno i membri laici –uomini e donne – ma scelti dall’alto

Le innovazioni introdotte in vista del prossimo Sinodo dei Vescovi “hanno una portata notevole nel senso che le donne e i laici potranno votare. Però saranno scelti dall’alto, dallo stesso Papa”.

 (α1948) Lucetta Scaraffia, storica, da sempre in prima linea perché le donne possano essere riconosciute in maniera sostanziale e significativa nella Chiesa, frena eventuali entusiasmi sulle novità introdotte nel prossimo Sinodo dei Vescovi di ottobre . “C’è una forte stretta di centralizzazione. Sarà lo stesso Papa ad indicare quali dovranno essere i rappresentanti dei dicasteri a prendere parte mentre prima erano i dicasteri a farlo– evidenzia all’Adnkronos la storica che al Sinodo e alle sue dinamiche ha dedicato anche un libro -. Le donne poi saranno il 50% dei 70 membri non Vescovi che parteciperanno: restano sempre una minoranza, minoranza. Sono poi donne scelte dal Papa che non interpellerà le tante organizzazioni e associazioni femminili che ci sono nella Chiesa. Questa centralizzazione può diminuire tantissimo la portata innovativa. Trovo poi incredibile questo fatto del Papa sinodale che centralizza sempre di più”.

Lucetta Scaraffia riporta la sua esperienza ad un Sinodo passato per evidenziare quello che va corretto : “Nei lavori di commissione, secondo il regolamento, le donne non avevano diritto di parola e dovevano rivolgersi ad un religioso per dire che avevano qualcosa da dire e a sua volta il religioso la riferiva. Io non vedo, oggi , modifiche a questo sistema . Io protestai molto all’epoca e mi fecero parlare. Sarà da vedere che accadrà”. In generale, pensando alle modifiche introdotte, Scaraffia parla di un “miglioramento, ma c’è un giro di vite della centralità. La vita cattolica è piena di organizzazioni femminili, perché non chiedere a loro chi scegliere? E poi non ci sono nuove norme per i gruppi di lavoro”.

www.farodiroma.it/per-la-scaraffia-i-nuovi-criteri-per-scegliere-i-membri-del-sinodo-ancora-non-sono-democratici-a-sillioni

Il Papa concede diritto di voto alle donne nel Sinodo: una breccia in un muro maschiocentrico

Neanche quattro mesi dopo la scomparsa di Benedetto XVI-Joseph Ratzinger, papa Francesco concede il diritto di voto alle donne nelle assemblee del prossimo Sinodo mondiale dedicato alla Chiesa nel XXI secolo.

                È una svolta storica. Dopo secoli di subordinazione della donna nella gerarchia clericale, le credenti accedono – intanto nel voto – alla pari dignità decisionale con i maschi e in special modo con i vescovi.

                Scriveva san Paolo nella Prima Lettera ai Corinzi che le “donne nelle assemblee tacciano perché non è loro permesso parlare; stiano invece sottomesse, come dice anche la Legge. Se vogliono imparare qualche cosa, interroghino a casa i loro mariti, perché è sconveniente per una donna parlare in assemblea”.

Qualunque siano le interpretazioni più moderne delle Lettere dell’apostolo Paolo, la ripetizione sistematica di questo ed altri brani dei testi sacri ha contribuito secolo dopo secolo a costruire la struttura gerarchica cattolica nella sua forma patriarcale e maschilista. Per quanto Giovanni Paolo II e altre personalità ecclesiastiche abbiano esaltato il “genio femminile” e le varie forme di corresponsabilità delle donne nella Chiesa, fino alla decisione di Francesco – resa nota il 26 aprile 2023  – il mondo femminile non aveva accesso con diritto decisionale ad uno dei momenti cruciali della vita ecclesiale successiva al concilio Vaticano II: il Sinodo, l’assemblea dei vescovi che affronta i problemi della comunità cattolica e formula proposte da sottoporre al pontefice.

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La decisione papale è una “breccia di Porta Pia” nel muro maschiocentrico della Chiesa cattolica. Le parole hanno un senso. Prete viene da presbitero (anziano, in greco) e riprende la cultura ebraica antica in cui gli ”anziani di Israele” erano la guida della comunità. Acanto agli “anziani” c’erano i sacerdoti: concetto che il cristianesimo ha ripreso dall’ebraismo. Ma vescovo e diocesi sono parole che il cristianesimo formatosi nell’impero romano ha mutuato dal linguaggio amministrativo. Vescovo, episkopos, è l’“ispettore” e diocesi era una specie di circoscrizione simile ad una nostra provincia o regione. In altre parole la Chiesa nei suoi primi secoli ha costruito la sua struttura di potere ricalcando i poteri amministrativi dell’impero: strettamente riservati ai maschi.

                Il potere clericale nasce e prospera così, per di più sacralizzato. Papa Bergoglio con la sua decisione inizia a de-clericalizzare il potere decisionale nella Chiesa. È bene dire che dietro le quinte c’è una gran massa di vescovi e sacerdoti totalmente contrari a questa svolta. La “Chiesa profonda”, tradizionale, cercherà come può di contrastare la “Chiesa dei credenti”, la Chiesa sinodale che il Papa sta cominciando a costruire.

                Bergoglio è tenace. E quando incontra ostacoli attua la strategia-della-tartaruga. Lenta e costante. Appena eletto, ha dichiarato in una intervista alle riviste dei gesuiti che le donne dovevano occupare nei vari ambiti della Chiesa posti “dove si esercita l’autorità”. Nel 2016 ha istituito una commissione di studio sul diaconato femminile. La commissione si è rivelata totalmente spaccata tra innovatori e conservatori e quindi si è conclusa con un nulla di fatto. Una seconda commissione non ha prodotto finora niente. Di fronte all’ostacolo Francesco ha iniziato allora a intervenire sul governo centrale della Chiesa: la curia romana. Parecchie donne sono state nominate sottosegretarie in vari dicasteri, compresa la Segreteria di Stato. Donne sono state inserite nel consiglio di amministrazione della banca vaticana e nel Consiglio per l’economia. Una donna, suor Raffaella Petrini, è diventata segretario generale del Governatorato dello Stato Città del Vaticano. Una donna, la domenicana inglese Helen Alford, è stata appena nominata presidente dell’Accademia pontificia delle Scienze Sociali. Altre donne sono diventate rettrici di università pontificie. Nel 2021 Francesco ha compiuto un altro passo in avanti: ha nominato la suora francese Nathalie Becquart sottosegretario al Sinodo dei vescovi, carica che dà automaticamente diritto di voto alle assemblee sinodali.

                Adesso il nuovo passo, che apre la porta alla piena partecipazione femminile ai Sinodi ed è destinato a cambiare a cascata anche la composizione delle assemblee delle conferenze episcopali nazionali. È un muoversi, nella visione di Francesco, verso la Chiesa “popolo di Dio” come la definì il concilio Vaticano II. Non più la Chiesa del potere clericale.

                Da questo punto di vista non è detto che le richieste del Sinodo dell’Amazzonia relative alla possibilità che siano ordinati sacerdoti – in situazioni di emergenza – anche diaconi sposati con famiglia debbano rimanere inascoltate. Francesco le ha messe in naftalina in seguito alla furiosa opposizione del fronte conservatore (a cui si unì anche l’ex pontefice Ratzinger), ma non si può escludere che prima o poi il papa argentino non riprenda in mano la questione

 Marco Politi, (α1947) vaticanista, scrittore e giornalista

                                “il fatto quotidiano”  27 aprile 2023

www.ilfattoquotidiano.it/2023/04/27/il-papa-concede-diritto-di-voto-alle-donne-nel-sinodo-una-breccia-in-un-muro-maschiocentrico/7143839

Il papa decide di dare il voto alle donne e ai laici al sinodo, s’incrina il muro del clericalismo

Non solo i vescovi, ma anche uomini e donne laici, oltre che diaconi e sacerdoti e alcune religiose, avranno diritto di voto nella fase finale dell’assemblea del sinodo dei vescovi dedicato al tema: «Per una chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione». È questa l’importante decisione presa dal papa che, sotto le apparenze di un provvedimento formale, è destinata a riformare definitivamente l’istituto del sinodo e a influenzare significativamente la vita della chiesa.

Francesco, infatti, già nel 2018, aveva modificato la natura del sinodo con il motu proprio «Episcopalis communio» con il quale l’organismo, per volontà del pontefice, poteva diventare deliberativo oltre che consultivo, portando così a compimento quell’idea di collegialità promossa come intuizione dal Concilio Vaticano II, e poi divenuta urgenza concreta col passare dei decenni. Francesco ha così ampliato la partecipazione alla discussione sinodale trasformando il sinodo stesso da “evento” in “processo” prima attraverso la consultazione del “popolo di Dio” presente nelle chiese particolari, poi con il successivo svolgimento delle tappe nazionali e continentali, infine si terrà la fase celebrativa.

In tale prospettiva, dunque, va letta la modifica resa nota oggi dal Vaticano sulla partecipazione alla fase finale o celebrativa dell’assemblea del sinodo che non sarà riservata più ai soli vescovi. Non può sfuggire, inoltre, la novità importante di aver attribuito il voto alle donne nella fase finale, cosa che costituisce un fatto clamoroso nella storia della chiesa, forse il primo vero passo verso una rottura di quel muro costituito dalla tradizionale minorità femminile in un’istituzione dominata da un clero composto da soli uomini. In tal modo, inoltre, il papa è andato incontro alle tante richieste venute da organizzazioni femminili cattoliche che da tempo chiedevano di poter votare al sinodo.

Donne preti e laici. Ma andiamo con ordine. La prima modifica introdotta riguarda i rappresentanti delle congregazioni religiose maschili e femminili all’assemblea generale ordinaria del sinodo dei vescovi: «Non sono

più presenti i dieci chierici appartenenti a Istituti di vita consacrata – si afferma nel documento vaticano – eletti dalle rispettive organizzazioni che rappresentano i Superiori generali. Vengono sostituiti da cinque religiose e cinque religiosi appartenenti a Istituti di vita consacrata, eletti dalle rispettive organizzazioni che rappresentano le Superiore Generali e i Superiori Generali. In quanto membri hanno diritto di voto». E questa è la prima novità.

La seconda invece rileva che: «non ci sono più gli uditori, ma si aggiungono altri 70 membri (circa il 21% dell’assemblea, ndr) non vescovi che rappresentano altri fedeli del popolo di Dio (sacerdoti, consacrate(i), diaconi, fedeli laici) e che provengono dalle Chiese locali. Vengono scelti dal Papa da un elenco di 140 persone individuate (e non elette) dalle sette riunioni internazionali di conferenze episcopali e dall’Assemblea dei patriarchi delle chiese orientali cattoliche (20 per ognuna di queste realtà ecclesiali)». «Si chiede – prosegue la nota – che il 50% di loro siano donne e che si valorizzi anche la presenza di giovani. Nella loro individuazione si tiene conto non solo della loro cultura generale e della loro prudenza, ma anche della loro conoscenza, teorica e pratica, oltre alla loro partecipazione a vario titolo nel processo sinodale. In quanto membri hanno diritto di voto». C’è di più: «Inoltre, oltre ai 70 membri non vescovi di cui sopra è opportuno ricordare che, anche tra i membri di nomina pontificia, sarà possibile aver membri non-vescovi».

Infine la terza modifica spiega che: “i rappresentanti dei dicasteri che parteciperanno, sono quelli indicati dal santo padre”.

Come si vede, se da una parte si allargano notevolmente le maglie della partecipazione, cresce anche il ruolo discrezionale del papa che però dovrà muoversi in base alle indicazioni arrivate dalle assemblee sinodali continentali; insomma, “cum Petro sub Petro”, secondo il modello di collegialità portato avanti dal Concilio Vaticano II.

Un sinodo work in progress. «Questa decisione – si spiega nella nota vaticana odierna – rinforza la solidità del processo nel suo insieme, incorporando nell’assemblea la memoria viva della fase preparatoria, attraverso la presenza di alcuni di coloro che ne sono stati protagonisti, restituendo così l’immagine di una chiesa-Popolo di Dio, fondata sulla relazione costitutiva tra sacerdozio comune e sacerdozio ministeriale, e dando visibilità alla relazione di circolarità tra la funzione di profezia del Popolo di Dio e quella di discernimento dei Pastori».

«Grazie a una migliore integrazione con la fase preparatoria – si afferma ancora – l’assemblea rende concreto l’auspicio che essa possa diventare espressione della collegialità episcopale all’interno di una chiesa tutta sinodale».

C’è da dire, dunque, che Francesco attraverso la riforma del sinodo, portata avanti come un work in progress e anzi lasciando alla stessa assemblea sinodale di formulare proposte «sul modo di procedere in futuro», lancia forse la sfida più importante del pontificato alla chiesa universale sempre più chiamata a essere responsabile, in tutte le sue componenti, del cammino da seguire per aggiornare l’evangelizzazione e la presenza cattolica nel mondo nei prossimi decenni.

 Francesco Peloso (α1966)  “editoriale domani”      26 aprile 2023

.editorialedomani.it/politica/mondo/papa-sinodo-diritto-voto-clericalismo-q12bmabk

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202304/230428peloso.pdf

La metamorfosi del Sinodo dei Vescovi e il voto dei “non vescovi”: una traccia di divisione dei poteri?

Due punti qualificano in modo significativo la nuova normativa del Sinodo dei Vescovi, presentata il 26 aprile scorso (qui il documento). Potremmo dire che si tratta di un profondo mutamento istituzionale, che trasforma due livelli primari della esperienza ecclesiale:

a) Introduce un potere di voto che fa capo a soggetti non episcopali, manifestando una “autorità del popolo di Dio” che non è semplicemente riducibile alla autorità episcopale.

b) Per quanto venga giustamente interpretato come “voto di memoria” anziché “voto di rappresentanza”, costituisce un precedente importante per calibrare meglio la funzione episcopale in relazione alla autorità del popolo di Dio.

                Esaminiamo questo duplice aspetto di novità, collocandolo nell’orizzonte di una riforma allo stesso tempo del Sinodo e dell’Episcopato.

a) Il nome “Sinodo dei Vescovi” ha detto, fino ad oggi, una realtà storica che ha attraversato i secoli. Essa era una istituzione di governo della Chiesa e radunava i Vescovi per assumere decisioni su materie riservate, nelle quali occorreva creare un nuovo possibile consenso. La composizione dei Sinodi dei Vescovi ha avuto in Occidente e in Oriente una storia diversa. D’altra parte l’Occidente ha conosciuto lo sviluppo di un Sinodo diocesano, che implicava una struttura diversa, essendo composto non solo da presbiteri e da diaconi, ma anche da religiosi e da laici, diversamente dal Sinodo dei Vescovi, composto soltanto da Vescovi. Il sinodo dei vescovi è così un raduno di Vescovi sotto la presidenza di un Patriarca (o del Papa), mentre il Sinodo diocesano è un raduno del popolo di Dio in tutte le sue componenti, sotto la presidenza del Vescovo.

                Ciò che osserviamo, nella nuova normativa del Sinodo dei Vescovi, è che vi è una sorta di “commistione” tra le logiche del Sinodo diocesano e le logiche del Sinodo dei Vescovi: la forma “plenaria” della assemblea, che raccoglie in sé, come membri con diritto di voto, non solo vescovi, ma anche presbiteri, diaconi, religiosi e religiosi, battezzati e battezzate, mostra una dinamica procedurale in cui il Sinodo si conforma ad una esperienza ecclesiale plenaria, che deve trovare voce non solo nella preparazione, ma anche nella celebrazione del Sinodo.

                b) In quale misura, potremmo chiederci, è giusto riconoscere una autorità al popolo di Dio, che non si esaurisce nella autorità episcopale? Se a livello di Sinodo diocesano si ribadisce che solo il Vescovo è legislatore (oltre che esecutore e giudice) che cosa accade con questa presenza di “non vescovi” nel Sinodo dei Vescovi, dotati di potere di voto? È interessante notare come il fatto e la sua interpretazione conservino una certa tensione. Il documento che modifica la normativa, infatti, precisa su questo punto una ermeneutica ecclesiale e teologica di questi “non vescovi”:

Non vi è dubbio che la presenza di “non vescovi” in una assemblea episcopale sia un fatto di rilievo, come attestazione di una visione plenaria della Chiesa. Questo implica una ridefinizione, indiretta, della autosufficienza del potere episcopale (e papale) rispetto al popolo di Dio, che porta, in una percentuale di qualche rilievo, una presenza “memoriale” di istanze diverse, dotate di potere. Il testo precisa con attenzione che la interpretazione di questa “componente non episcopale” deve essere intesa come una integrazione, nella procedura celebrativa del Sinodo, di una relazione ricca tra sacerdozio comune e sacerdozio ministeriale, con circolarità tra profezia del popolo e discernimento dei pastori. Questa resistenza della “memoria”, pur non interpretata come “rappresentanza”, indica una parziale irriducibilità del popolo di Dio alla autorità episcopale e papale. In tal senso dimostra una evoluzione non piccola nel modo di concepire la relazione tra autorità, formazione del consenso ed esercizio del discernimento. La distanza che si vuole sottolineare rispetto ai modelli di “rappresentanza democratica” non impedisce di identificare un movimento di ripensamento dell’esercizio della autorità: la forma “gerarchica” della Chiesa è temperata da una esteriorità profetica irriducibile. Qui, a me pare, si delinea un principio di “divisione dei poteri” che, al di là della questione della rappresentanza, introduce una nuova prospettiva, che avvicina in qualche modo il Sinodo dei Vescovi alle logiche “plenarie” del Sinodo diocesano, con l’attribuzione a non vescovi di un voto equiparato a quello dei vescovi. E se è vero che la analogia tra Sinodo diocesano e Sinodo dei Vescovi non è perfetta, è anche vero che il voto di una assemblea sinodale sta al Vescovo in modo diverso rispetto a come il voto di una assemblea episcopale sta al Papa. In questa analogia imperfetta, ma ora reale, si possono scoprire progressi non trascurabili nella autocoscienza ecclesiale e nel modo di esercitare la autorità.

  Andrea Grillo (α1961)        blog: Come se non         28 aprile 2023

www.cittadellaeditrice.com/munera/la-metamorfosi-del-sinodo-dei-vescovi-e-il-voto-dei-non-vescovi-una-traccia-di-divisione-dei-poteri

Vera riforma del Sinodo che i media rischiano di non capire

Secondo le semplificazioni che circolano, il nocciolo della riforma del Sinodo sta nel voto ai laici. Non è così. Ecco l’obiettivo di Francesco.

I cardinali Mario Grech, segretario generale del prossimo Sinodo dei vescovi, e Jean-Claude Hollerich, arcivescovo gesuita del Lussemburgo e relatore dell’assemblea generale del 2023, hanno annunciato in conferenza stampa alcune importanti modifiche della costituzione apostolica Episcopalis communio del 2018, promulgata da Papa Francesco per riformare lo strumento sinodale.

Le modifiche sono sostanzialmente due e riguardano l’abolizione della presenza all’assemblea generale dei dieci chierici appartenenti a istituti di vita consacrata, sostituiti da cinque religiose e cinque religiosi membri di diritto dell’assemblea e, quindi, con regolare diritto di voto, e l’abolizione degli uditori, sostituiti con 70 membri non vescovi individuati dal Papa in un elenco di 140 personalità indicate dalle diverse conferenze episcopali continentali secondo il criterio della parità di genere e della giovane età. Si tratta di membri preparati, formati nelle diverse questioni sul tavolo, consapevoli del processo sinodale degli ultimi anni, con regolare diritto di voto.

Con uno slogan si potrebbe dire che il Sinodo dei vescovi si trasforma e diventa, semplicemente, il Sinodo, un’assemblea generale della Chiesa che – servatis servandis – inizia a ricordare sempre più un parlamento, con donne e uomini che dialogano e propongono al Papa soluzioni e idee sulle questioni che il Pontefice stesso ha chiesto di analizzare.

                Come sempre non mancano, da destra e da sinistra, le critiche alle scelte papali: da destra ci si chiede se questo non rappresenti una riduzione del ministero episcopale codificato dallo Spirito Santo e dotato di quella grazia di stato che aiuta i soggetti a prendere le decisioni più sagge e più prudenti per la vita della Chiesa; ci si domanda anche se – in prospettiva – non si apra la strada a forme di democrazia rappresentativa aliene alla struttura giuridica e ontologica della Chiesa. Da sinistra, per contro, ci si interroga sul valore di portare al Sinodo persone scelte per cooptazione, voce di un popolo che è quello più facilmente strumentalizzabile dal clero, senza alcuna procedura trasparente se non quella del discernimento ultimo del pontefice; interroga anche il fatto che – comunque – i 70 membri rappresentano il 25% dell’assemblea, monopolizzata come sempre dal 75% di vescovi che potranno dire di aver ascoltato il popolo, pur continuando a fare quello che riterranno più opportuno.

Il punto di fondo di tutta questa vicenda è che ci troviamo di fronte alla vera riforma di Papa Francesco, probabilmente quella che, di fatto, è destinata a segnare i prossimi secoli di vita della Chiesa: una riforma maturata nel silenzio, una riforma che lo stesso Papa ha come “scoperto” arrivando a modificare una sua stessa costituzione apostolica di cinque anni fa, quasi che anche lui non fosse padrone di questo cambiamento, ma lo sorprendesse davanti ai propri occhi.

                Sbagliano coloro che credono che il cambiamento stia nei laici che votano o nelle donne che partecipano attivamente; il cambiamento riguarda piuttosto la modalità di esercizio del ministero petrino. Se si riflette senza facili partigianerie, ci si accorgerà che quella dell’esercizio del ministero petrino è l’unica vera riforma auspicata da Giovanni Paolo II nella fase matura del suo pontificato, il 25 maggio 1995, con l’enciclicaUt unum sint”.

www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/encyclicals/documents/hf_jp-ii_enc_25051995_ut-unum-sint.html

E riforma del ministero petrino è anche l’atto delle dimissioni di Benedetto XVI: il papa polacco individuava la necessità di un cambiamento dall’interno del dialogo ecumenico, il teologo bavarese – invece – ha come disegnato un perimetro di tale ministero che va al di là della singola persona, ma che diventa un locus theologicus in cui sia possibile immaginare una coabitazione di più soggetti.

                Va detto che si tratta di riforme pensate o abbozzate, niente di sancito o di definitivo, eppure è dal Vaticano I – che ha proclamato l’infallibilità del Romano Pontefice – che la Chiesa si interroga su come esercitare tale infallibilità. Il Vaticano II ha risposto con la collegialità, Wojtyła con l’ecumenismo, Ratzinger nella pluralità. Francesco aggiunge ora un tassello tutt’altro che banale: la sinodalità, uno strumento in cui il popolo e il pastore dialogano con franchezza e restituiscono al pontefice tutti gli elementi per assumere una decisione.

                Qualcuno potrebbe pensare che ci siano problemi più seri nel nostro tempo, ma non è così. Infatti non c’è niente di più serio che capire come sia possibile, in un secolo complesso segnato dal dominio della tecnologia e dalla sovraesposizione dell’opinione pubblica (che generano connubi mostruosi come quello del caso Orlandi), comprendere quale sia la strada giusta. È una questione metodologica: come può oggi la Chiesa abitare il tempo presente senza smarrire la sequela di Cristo? Come possiamo essere certi nel tempo delle grandi incertezze?

Francesco, sulla scia dei predecessori, indica la via: la certezza non proviene da un’ideologia o da un sentimento, la certezza proviene da una comunione. Le forme di questa comunione sono ancora tutte da scoprire. E quello di queste settimane non è altro che un tentativo, da parte del Papa, di non perdere di vista Cristo. Che non indugia sulla penuria dei tempi, ma continua a correre.

          Federico Pichetto, (α1984) vocazione adulta     il sussidiario      28 aprile 2023

www.ilsussidiario.net/news/chiesa-la-vera-riforma-del-sinodo-che-i-media-rischiano-di-non-capire/2528550

«Il Sinodo per ritrovarci uniti nel servire Dio e la gente»

 All’indomani dell’annuncio della nuova composizione del Sinodo dei vescovi

 il cardinale gesuita Jean-Claude Hollerich, 64 anni, arcivescovo di Lussemburgo e relatore generale della prossima assemblea, fa il punto sui lavori in un colloquio con i media vaticani.

                L’assemblea ordinaria del Sinodo dei vescovi dell’ottobre 2023 includerà un numero significativo di membri con diritto di voto che non sono vescovi: sacerdoti, religiosi, religiose, laici e laiche con il 50% di donne e una particolare attenzione alla partecipazione dei giovani. Qual è il significato di questa decisione?

                Non è una novità vera e propria, perché già nel passato ci sono stati membri con diritto di voto che non erano vescovi. Non ci sono state donne votanti, ma membri non vescovi sì. Si può dunque dire che quel piccolo gruppo diventa ora più ampio. Il Sinodo rimane dei vescovi, perché il vescovo è sempre pastore della sua Chiesa, non si può vedere la funzione disgiunta dal suo popolo, dalla sua gente. Sono l’arcivescovo di Lussemburgo, quando sto a Roma la mia Chiesa mi manca: penso alla gente che vedo nella prima fila, la seconda fila, la terza fila nella cattedrale, penso a quelli che incontro quotidianamente… e mi mancano. Una piccola parte di questa gente sarà presente al Sinodo per essere insieme ai loro pastori. Avranno una missione speciale, hanno già vissuto una grande esperienza di sinodalità nelle diocesi, poi a livello di Conferenze episcopali e infine a livello continentale. Non tutti i vescovi che parteciperanno hanno fatto questa esperienza. Dunque il compito di questi nuovi membri è di essere testimoni di ciò che hanno vissuto per comunicarlo.

Nonostante ciò il Sinodo rimane “dei vescovi”?

                Sì, rimane tale perché i vescovi sono la maggioranza! Ai vescovi spetta di portare avanti un discernimento, che è stato fatto a diversi livelli e che alla fine arriva al Santo Padre. Ora c’è lo stadio dei vescovi, ma c’è una materia di discernimento e questa materia è stata offerta dal popolo di Dio. I nuovi membri del Sinodo rappresentano, per così dire, la porzione “non episcopale” del popolo di Dio.

                 Si può dire che è un Sinodo dei vescovi accompagnato da una rappresentanza del popolo di Dio?

                Ma anche i vescovi appartengono al popolo di Dio! Almeno io vorrei appartenervi… altrimenti mi sentirei male! Bisogna comprendere questi nuovi membri più come testimoni e memoria del processo sinodale finora svolto.

                “Sinodo sulla sinodalità” è un titolo piuttosto tecnico, che suona lontano dalla vita delle persone. Per chi ha vissuto questa esperienza è invece esattamente l’opposto. Ci può dire qual è l’oggetto di questo Sinodo?

                Questo: come noi, insieme, possiamo essere una Chiesa missionaria, oggi e domani. Come possiamo essere Chiesa sinodale e missionaria. Penso sia importante sottolinearlo: non si tratta di un’analisi o di una meditazione, no! Siamo lì per vivere la Chiesa come vuole Dio per i nostri tempi, per annunciare il Vangelo al mondo, ai nostri contemporanei. E questo è bello. La Chiesa è sempre stata sinodale. San Giovanni Crisostomo [α347-ω407]dice che Sinodo e Chiesa sono sinonimi... Il cammino che stiamo facendo, il coinvolgimento di tutto il popolo di Dio, mostra che lo Spirito Santo ci conduce in maniera tale da mettere in pratica ciò che il Concilio Vaticano II e in particolare la CostituzioneLumen gentium” hanno affermato.

                Dunque al centro della prossima assemblea generale c’è questo modo di essere Chiesa, e non singoli temi?

Sì, e credo che questa sia anche una risposta alla malattia del nostro tempo. Perché ciò che caratterizza il nostro tempo post-moderno o digitale, come vogliamo chiamarlo, è un individualismo che si accentua ogni giorno di più. E vediamo che con questo individualismo l’umanità non può sussistere: abbiamo bisogno di elementi comunitari per sopravvivere. C’è poi il fenomeno della crescente polarizzazione, nella società e nei media, anche in quelli che si richiamano al cattolicesimo. Il popolo di Dio che cammina insieme è una risposta a queste tendenze. Attenzione: non è che abbiamo “inventato” la sinodalità per rispondere a queste tendenze, ma è piuttosto lo Spirito Santo che in questo periodo ha suscitato di nuovo il desiderio della sinodalità già sperimentato delle prime comunità cristiane. Ed è un modo per rispondere alle sfide che ci troviamo di fronte, perché altrimenti l’umanità è in pericolo.

                Il Papa sottolinea spesso l’importanza dell’ascolto in un tempo in cui tutti parlano e tutti fanno polemiche, ma pochi ascoltano...

Come vescovo, io vedo che quando ascolto qualche volta cambio idea, e mi fa bene. La mia non è una diocesi grande, il mio Paese fa 660 mila abitanti, ma il vescovo ha un entourage di persone che hanno più o meno fatto gli stessi studi, qualche volta negli stessi luoghi, con gli stessi professori, pensano nella stessa maniera. Ci sono evidenze che non sono evidenti per tutti nel popolo di Dio. In quel senso è bene avere questa apertura, saper ascoltare. Ed è bene che anche la gente vada ad ascoltare i vescovi, perché i vescovi non hanno soltanto il ruolo di ascoltare ma anche quello offrire delle risposte e di essere i pastori del popolo. Noi non abbiamo un parlamentarismo sinodale, dove la maggioranza decide e tutti seguono, il Sinodo non è un parlamento. Vogliamo discernere la volontà di Dio, lasciare che sia lo Spirito Santo a condurci.

                Come avviene questo processo?

È un processo spirituale e per questo abbiamo questa conversazione spirituale, o meglio questa conversazione nello Spirito: è un modo di ascoltare e di entrare in dialogo non con atteggiamento di opposizione, per arrivare a una conclusione comune. È chiaro che c’è sempre bisogno di conversione in questo processo: qualche volta è il vescovo che deve convertirsi, qualche altra volta anche i laici che devono convertirsi.

                Capita che anche nella Chiesa ci si confronti con una mentalità politica, che ci si voglia “contare” per ottenere certi risultati. Che cos’è che fa veramente la differenza?

                Un certo parlamentarismo ecclesiastico appartiene di più alla sinodalità dei nostri fratelli protestanti. Noi dobbiamo praticare una sinodalità cattolica, che è diversa. Abbiamo ministeri ordinati, la collegialità dei vescovi, la responsabilità per la Chiesa, il primato di Pietro. Tutto questo non sarà sradicato con la sinodalità. La sinodalità è piuttosto l’orizzonte nel quale si esercitano la collegialità dei vescovi e il primato del Papa, per cercare insieme la volontà di Dio. Non si tratta dunque di dire: c’è questo problema, ci sono queste due posizioni, chi ha la maggioranza vince e si fa così. Perché questo distrugge la Chiesa, noi non lo vogliamo. Come comunità ecclesiale dobbiamo camminare insieme.

                Che cosa significa concretamente “camminare insieme”?

Quando camminiamo, Cristo è il centro. C’è gente a destra, a sinistra, c’è chi cammina più avanti, c’è chi ci mette più tempo e sta indietro: è normale quando si percorre insieme la strada. Dobbiamo imparare che certe tensioni nella Chiesa sono normali, vuol dire che la Chiesa è vicina alla gente, perché non tutti pensano allo stesso modo in tutti i continenti, su tutti i problemi. Perciò è importante ascoltare con molto rispetto anche per le diverse culture, cercando la volontà di Dio, per decidere insieme il senso di marcia. Poiché ci sono diverse persone le quali mi “collocano” a sinistra, diciamo che io sto camminando a sinistra. Se prendo Cristo come centro e lo guardo da sinistra, io non vedo soltanto Lui, vedo Cristo con la gente che va a destra. Non posso vedere Cristosenza vedere anche loro: vuol dire che anche quelli che camminano a destra fanno parte della mia comunità. Vuol dire che dobbiamo camminare insieme. Spero che la stessa mia esperienza capiti a chi va a destra, a chi va avanti, a chi va indietro… Se Cristo è veramente il centro e lo Spirito Santo è strumento e garanzia che al centro c’è il Signore morto e risorto, noi siamo tutti discepoli missionari.

                A volte sembra però che si occupi o ci si preoccupi molto di altro, delle strutture e delle strategie.

                La Chiesa non può essere sempre occupata a parlare delle proprie strutture, della propria organizzazione. Lei non troverebbe strano un club di calcio dove si parla soltanto delle regole senza mai giocare una partita? Non ci sarà molta gente a far parte di quel club e a sostenerne la squadra! È lo stesso per la Chiesa: la nostra fede si vive servendo, nella Chiesa e fuori dalla Chiesa. Si vive nel servizio a Dio e nel servizio alla gente.

                Qual è stata l’esperienza e anche la novità della tappa continentale del Sinodo?

È stata molto bella, abbiamo visto quello che le diverse Conferenze episcopali hanno proposto a livello dei diversi continenti. Abbiamo anche visto le differenze: ad esempio, nella maggior parte delle tappe continentali tutti hanno amato l’immagine della tenda. In Africa invece no, perché la tenda per loro è la tenda dei profughi, è la tenda della miseria, della povertà, e loro preferiscono l’immagine della famiglia di Dio. Spiegano che la tenda non si può allargare, si strappa, mentre la famiglia si può allargare. Ho capito in quel momento che noi non possiamo presentare una sola immagine, ma più immagini che parlano alle diverse culture religiose dei nostri popoli. E io sono sicuro che quelli che amano l’immagine della tenda possono imparare qualcosa dall’immagine della famiglia di Dio, e viceversa. È stato importante partecipare alle conferenze continentali, l’ho fatto non per prendere la parola, non per influenzare, ma per ascoltare, per rendermi conto della diversità che si vive. Dovremo fare così al Sinodo dei vescovi.

                Dagli otto documenti finali, quelli dei continenti, ma anche da quello del Sinodo digitale, che cosa emerge? I singoli temi o la via sinodale nell’essere Chiesa?

Il “sinodo digitale” è stata un’esperienza bellissima… Da tutti i documenti emerge l’esperienza che si è fatta, la gioia della gente. In Europa, in Asia, hanno domandato di poter ripetere delle assemblee. Io avevo timore per l’Europa, perché sappiamo che ci sono grandi differenze. Ma anche qui la gente vuole continuare e dobbiamo andare avanti con le nostre differenze a camminare insieme. Dobbiamo guardare a ciò che è importante per la comunione, per la partecipazione, per la missione e presentarlo al Sinodo dei vescovi di ottobre.

                Come avete lavorato per mettere in evidenza i contributi dei diversi continenti?

                In gruppo, in modo sinodale. Non è l’attività di una sola persona. Ci sono stati diversi gruppi che hanno lavorato su vari temi: primato, ministeri ordinati, ministeri battesimali, collegialità dei vescovi. Ci siamo domandati che cosa hanno detto le assemblee continentali su questo e lo abbiamo messo insieme, guardando a ciò che dice il magistero della Chiesa, i Papi, il Concilio vaticano II , per inserire tutto il portato che è emerso nel cammino comune.

                Che cosa ci dobbiamo aspettare dall’Instrumentum laboris?

                Sarà un testo breve. Ci aiuterà nella condivisione, nella partecipazione, affinché i membri del Sinodo possano esprimersi. Mi auguro anzi che i membri siano liberi anche di dire: lo buttiamo via, facciamo un’altra cosa, anche perché abbiamo davanti un Sinodo di due anni e non c’è fretta. Non dobbiamo arrivare a un compromesso artificiale. Abbiamo il tempo per comprendere veramente la chiamata che Dio fa alla sua Chiesa nel mondo di oggi.

                In concreto, che cosa accadrà da ora fino a settembre?

Il testo sarà inviato e presentato ai partecipanti. Penso che avremo ancora tanto lavoro, perché ci sono tanti elementi nuovi da vedere punto per punto. E non è detto che le nostre decisioni — quelle del relatore, del segretario generale, del segretario speciale — debbano essere seguite, perché tutto sarà sottoposto al Consiglio del Sinodo e al Papa. Non c’è sinodalità senza i vescovi, né contro i vescovi, e non c’è sinodalità senza Pietro o contro Pietro. Tutto viene proposto al Santo Padre per il suo ok, per la sua benedizione, altrimenti non possiamo continuare. Siamo cattolici e vogliamo rimanere cattolici!

                Lei ha partecipato alle assemblee nei diversi continenti. Ha incontrato anche risposte “tiepide” o qualche resistenza?

                Ho notato due tentazioni.

Come può il Sinodo interpellare una persona che non sarà direttamente coinvolta e non ha avuto modo di esserlo nella fase preparatoria nelle diocesi?

                In primo luogo le chiederei di pregare, perché per fare la volontà di Dio bisogna pregare molto. Noi dobbiamo avere il supporto della preghiera di tutta la Chiesa. E poi le chiederei di cercare di vivere il Sinodo nel proprio cuore, nella sua comunità — di lavoro o ecclesiale — perché così la sua preghiera non rimarrà astratta. Sogno una grande partecipazione nella preghiera per il Sinodo. Il cardinale Mario Grech ha detto una cosa che ho trovato bellissima: cerchiamo di avere lo stile di Gesù. Quando si vede la Chiesa, si deve riconoscere Gesù. Questo è molto importante, altrimenti come mai potremmo evangelizzare se la gente non riconosce Gesù in noi? E per questo abbiamo bisogno di conversione. La sinodalità non è possibile senza conversione e questa conversione serve a tutti, a destra, a sinistra e anche al centro.

   Andrea Tornielli (α1964)                    L’Osservatore romano   27 aprile 2023

www.osservatoreromano.va/it/news/2023-04/quo-098/il-sinodo-per-ritrovarci-uniti-nel-servire-dio-e-la-gente.html

TESTIMONI

Cura, giustizia e profezia in don Tonino Bello e don Lorenzo Milani.

Un dossier di “Mosaico di pace”

                Utilizza opportunamente la parola «profezia» don Andrea Bigalli per introdurre il dossier speciale da lui curato dedicato a don Lorenzo Milani e a don Tonino Bello e pubblicato sul fascicolo di aprile di ”Mosaico di pace”, mensile promosso da Pax Christi. Il dossier esce a cavallo di due date-anniversario: il 20 aprile, appena trascorso, trentesimo anniversario della morte di don Bello e il 27 maggio, ormai prossimo, centesimo anniversario della nascita di don Milani. Due uomini e due preti apparentemente diversi – il secondo, parroco spedito dal proprio vescovo in esilio a Barbiana, il primo, vescovo di Molfetta e per anni presidente di Pax Christi, sebbene mai particolarmente apprezzato da molti dei suoi fratelli nell’ordine episcopale e da chi allora guidava la Cei –, ma accomunati da alcune parole diventate direttrici di vita, come pace, nonviolenza, giustizia, cura, coscienza.

                «Due profeti», spiega Bigalli: Milani, «senza nessuna presunzione, lo affermerà di sé quando, in quel carteggio che verrà poi pubblicato con il titolo “L’obbedienza non è più una virtù”, scrive che il maestro ha la capacità di vedere il mondo che verrà attraverso gli occhi dei suoi scolari, capaci di trasformare il mondo attraverso le leggi giuste che saranno, un domani, in grado di fare»; Bello, «nel tempo nero delle guerre e dell’ingiustizia ha detto e fatto la pace per la speranza di molti». Una profezia radicata «nell’attenzione ai poveri», «fondata sulla Parola» e vissuta sempre nella Chiesa, nonostante tutto, verrebbe da dire. Infatti «sia Lorenzo che Tonino furono parte di un’istituzione di cui sapevano bene le imperfezioni, e ne soffrirono in prima persona, rimanendo coerenti alla sua autentica identità, quella dettata dallo Spirito, sempre oltre rispetto alla sua realizzazione storica. In quello che hanno fatto e detto, hanno mostrato con chiarezza quel che la comunità cristiana deve essere per essere lievito e sale della propria contemporaneità. La fedeltà a un evento di Resurrezione di venti secoli fa, è, per paradosso, l’unica garanzia che abbiamo per poter essere davvero parte vitale e propositiva della stagione storica a cui apparteniamo, che ci è stata consegnata».

                Le parole chiave della vita e dell’impegno di Milani e Bello vengono variamente declinate e illustrate nei vari contributi del dossier. «I care – scrive Francesco Comina è la disposizione emotiva e sentimentale alla nonviolenza. Fa parte del linguaggio non verbale. È la proiezione di sé verso l’altro, è il sentire quello che l’altro sente, il percepire il suo stato d’animo, il mettersi nei panni altrui. È simpatia ed empatia. Tutto il contrario del “me ne frego” fascista, diceva don Milani, che poi è la cultura di guerra che divampa anche oggi, al di là del baratro dittatoriale. È l’omologazione del linguaggio allo spirito bellicista che non ammette altro se non la risposta armata alla provocazione armata», «è l’ideologia della vittoria che sembra oramai aver soffocato l’alternativa della cura come abbandono della logica di guerra per assumere la misura leggera della nonviolenza diplomatica», «è la legge della coscienza che brilla nei cuori non addomesticati».

                Cuori e menti non addomesticati ma obbedienti alla propria coscienza, come quella di Alberto Trevisan, che racconta la propria obiezione al servizio militare prima della legge del 1972 – che la riconobbe nell’ordinamento – e le conseguenti condanne penali («subii tre processi, tre carcerazioni, due anni di un andare e venire dalle molte carceri militari») e come don Milani «è stato per me una delle guide più importanti per la mia obiezione di coscienza».

                «Cura» – ben illustrata da don Renato Sacco e Sandra Gesualdi – e «giustizia» sono altre due parole che mettono in stretta connessione Milani e Bello. Una giustizia che «sia capace di spezzare la simbiosi fra politica, economia e guerra» e che si configuri come «giustizia restitutiva», un metodo che – secondo il filosofo Roberto Mancini – dovrebbe essere pienamente assunto dalla politica, dall’economia, dal diritto e dall’educazione: «è la sola via aperta che l’umanità possa percorrere se vuole salvarsi».

                Passione educativa che ha caratterizzato entrambi. In maniera evidente Milani, con la sua «denuncia dei meccanismi di esclusione sociale della scuola tradizionale» e con l’elaborazione non di un rigoroso metodo da manuale pedagogico-didattico, ma di alcuni strumenti, a cominciare dal «mutuo insegnamento», ovvero – spiega il pedagogista Daniele Novara – «la propensione sistematica a favorire processi di apprendimento basati sulla condivisione». Ma anche in don Tonino, che pure non si è mai occupato direttamente di scuola, «risulta palese il carattere pedagogico del suo ministero, orientato al tentativo di significare concretamente alcuni valori della tradizione evangelica e cristiana che hanno, in maniera radicale, una funzione educativa: l’accoglienza, l’ascolto, l’ospitalità, il benessere condiviso, la cooperazione».

Luca Kocci                          Adista Notizie n° 16                       29 aprile 2023

www.adista.it/articolo/69894

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