newsUCIPEM n. 955 – 26 marzo 2023

newsUCIPEM n. 955 – 26 marzo 2023

UNIONE CONSULTORI ITALIANI PREMATRIMONIALI E MATRIMONIALI

“Notiziario Ucipem” unica rivista – registrata Tribunale Milano n. 116 del 25.2.1984 Supplemento online.

Direttore responsabile Maria Chiara Duranti. Direttore editoriale Giancarlo Marcone

   Le news sono strutturate: notizie in breve per consulenti familiari, assistenti sociali, medici, legali, consulenti etici ed altri operatori, responsabili dell’Associazione o dell’Ente gestore con note della redazione {…ndr}.

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I testi, anche se il contenuto non è condiviso, vengono riprese nell’intento di offrire documenti ed opinioni di interesse consultoriale, che incidono sull’opinione pubblica. La responsabilità delle opinioni riportate è dei singoli autori, il cui nominativo è riportato in calce ad ogni testo.

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Chi desidera connettersi invii a newsucipem@gmail.com la richiesta indicando nominativo e-comune d’esercizio d’attività, e-mail, ed eventuale consultorio di appartenenza. [Invio a 921 connessi].

Carta dell’U.C.I.P.E.M.

Approvata dall’Assemblea dei Soci il 20 ottobre 1979. Promulgata dal Consiglio direttivo il 14 dicembre 1979. Estratto

1. Fondamenti antropologici

1.1 L’UCIPEM assume come fondamento e fine del proprio servizio consultoriale la persona umana e la considera, in accordo con la visione evangelica, nella sua unità e nella dinamica delle sue relazioni sociali, familiari e di coppia

1.2 L’UCIPEM si riferisce alla persona nella sua capacità di amare, ne valorizza la sessualità come dimensione esistenziale di crescita individuale e relazionale, ne potenzia la socialità nelle sue diverse espressioni, ne rispetta le scelte, riconoscendo il primato della coscienza, e favorendone lo sviluppo nella libertà e nella responsabilità morale.

1.3 L’UCIPEM riconosce che la persona umana è tale fin dal concepimento.

Contributi anche per essere in sintonia con la visione evangelica

02 CENTRO INT. studi famiglia        Newsletter CISF – n. 10, 15 marzo 2023

03 CHIESA NEL MONDO                    “Nella chiesa nessuno può decidere chi sta dentro e chi resta fuori”

05 CONFER. EPISCOPALE ITALIANA  Il presidente Cei Zuppi: «Tempo di scelte coraggiose»

O6 DALLA NAVATA                            5° Domenica di Quaresima – Anno A

O7                                                          Commento di p. Ernesto Balducci

O7 FORUM ASS.ni FAMILIARI          De Palo lascia il Forum dopo 8 anni. «Famiglie, immischiatevi nella politica

09                                                          Adriano Bordignon succede a Gianluigi De Palo che ha guidato il Forum dal 2015

11                                                          Bordignon (nuovo presidente Forum): “Investire sulla famiglia per il bene del Paese”

13 FRANCESC23O VESCOVO di ROMA Il Papa conferma “Vos estis lux mundi”, la procedura contro gli abusi

14                                                           Abusi: ora è legge universale. Cambi la mentalità perché non resti lettera morta

16                                                          Norme anti-abusi estese ai laici. Restano le lacune

16 LITURGIA                                        “Da predica” o “da messa” (di Ursicin G.G. Derungs)

18 MOVIMENTI                                   Vittime di abusi. Un documento di ex Focolari consegnato al Sinodo

19                                                           Il contributo sinodale degli insegnanti di religione vicini ai cristiani LGBT+

21 OPINIONI                                       Tra maternità surrogata, e paternità putativa

22 RELIGIONI                                       Oltre le religioni /6. Rivisitare la teologia: quali implicazioni?

23 SINODO                                           Dal Sinodo tedesco, messaggio al vaticano: bisogna cambiare (quasi) tutto

25                                                          Papa Francesco combatte negli Usa la battaglia più dura per la sua chiesa

CISF – Centro Internazionale di Studi sulla Famiglia

Newsletter CISF – n. 11, 22 marzo 2023

  • Vita da badante. E’ il titolo di un documentario realizzato qualche anno fa da Francesco Cannito e Luca Cusani [www.youtube.com/watch?v=CaNHmbRnZDU 2 min 53 sec] ancora straordinariamente attuale, sia in relazione al progressivo invecchiamento della popolazione in Italia ed Europa, sia rispetto alle tutele contrattuali e alla qualità della vita dei caregiver professionali. Su questo tema segnaliamo anche il video Euronews realizzato in collaborazione con la Commissione Europea

 [www.euronews.com/next/2023/02/22/how-is-europe-addressing-challenges-in-long-term-carea.

Attualmente in Europa lavorano nell’ambito della cura familiare circa 6 milioni di persone, ma si stima che nel 2050 serviranno altri 1,6 milioni di lavoratori professionali al fianco degli anziani

  • Il prossimo appuntamento con il report “famiglia e digitale”. Il convegno dedicato al Report 2022 del Cisf, Famiglia&Digitale. Costi e opportunità sarà il 15 aprile (9.15-12) a Verona con gli interventi di Francesco Belletti, direttore Cisf, e di Sara Nanetti, docente a contratto di Sociologia all’Università Cattolica di Milano.
  • L’intelligenza artificiale nella medicina richiede un approccio etico. È la riflessione di un articolo condiviso da The Hastings Center [www.thehastingscenter.org/medical-ai-needs-ethicists], rispetto a etica e ricerca. La disponibilità di sofisticati chatbot alimentati da programmi come ChatGPT di OpenAI ci ha avvicinato alla possibilità che l’IA diventi una fonte primaria nel fornire diagnosi mediche e piani di trattamento. D’altra parte, uno studio del Pew Research Center ha rilevato che la maggior parte degli americani è “a disagio” con la prospettiva di cure mediche fornite dall’intelligenza artificiale. E sottolinea il grande scalpore che ha suscitato, nelle scorse settimane, la rivelazione che Koko, una piattaforma che collega persone anonime che soffrono di disagio mentale con volontari che inviano messaggi di supporto, ha introdotto messaggi generati dall’intelligenza artificiale senza chiedere il consenso degli utenti.

www.pewresearch.org/science/2023/02/22/60-of-americans-would-be-uncomfortable-with-provider-relying-on-ai-in-their-own-health-car

  • Una petizione per ampliare i congedi di paternità. E’ un’iniziativa di Unicef Italia, che sta raccogliendo firme per richiedere alla Ministra per la Famiglia e al Ministro del Lavoro l’ampliamento dei congedi per i papà, adeguandoli per tempi e retribuzioni agli standard europei.

firma.unicef.it/congedo/?_gl=1*pcwwsj*_ga*OTY5Njk4MTk3LjE2Nzg0NDQwMDg.*_ga_977ZJX361T*MTY3OTM4NTMxMC4yLjAuMTY3OTM4NTMxMC4wLjAuMA..

 Interessante il paper  che mette a confronto i congedi paterni nei vari Paesi europei, dove l’Italia, con i suoi 10 giorni di congedo riconosciuti dalla legge 105/2022 risulta tra i Paesi con i congedi più restrittivi.

https://firma.unicef.it/wp-content/uploads/2023/03/doc-approfondimento-petizione-definitivo-15.3_V2.pdf
  • Dal Forum Nazionale delle Associazioni Familiari. Il forum ha un nuovo presidente: Adriano Bordignon. “La variabile famiglia è determinante e impatta su economia, welfare, civismo e partecipazione, educazione e relazioni. Se vince la famiglia vince l’Italia“. È il commento di Adriano Bordignon, eletto presidente del Forum nazionale delle Associazioni Familiari insieme alle vicepresidenti Cristina Riccardi, di AiBi, e Pinella Crimì del Forum della Sicilia. Tra le priorità del nuovo presidente: “Riforma fiscale coerente con i carichi familiari, potenziamento dell’Assegno Unico, incremento dei servizi per la prima infanzia, politiche per il lavoro femminile, giovanile e per la conciliazione, per invertire il terribile inverno demografico che ci sta investendo“. Bordignon succede a Gigi De Palo, che ha guidato il Forum dal 2015 ad oggi.

www.famigliacristiana.it/articolo/adriano-bordignon-un-papa-alla-guida-del-forum-delle-associazioni-familiari-.aspx?utm_source=newsletter&utm_medium=newsletter_cisf&utm_campaign=newsletter_cisf_22_03_2

  • Tik Tok: limite temporale ai minorenni. “Nelle prossime settimane, ogni account appartenente a un utente di età inferiore ai 18 anni verrà automaticamente impostato su un limite di tempo di utilizzo giornaliero di 60 minuti“, è l’informativa ufficiale divulgata in un comunicato, il primo marzo scorso, dal capo della sicurezza di TikTok. Se viene raggiunto il limite di 60 minuti, agli adolescenti verrà richiesto di inserire un pass code per continuare a guardare, richiedendo loro di prendere una decisione attiva per estendere tale tempo (decisione che, per i minori di 13 anni, spetterà ai genitori). Il sistema invierà altresì un riepilogo settimanale con il totale del tempo trascorso sulla piattaforma. La decisione, dice il dirigente, è stata presa “sebbene non esista una posizione approvata collettivamente sulla “giusta” quantità di tempo davanti allo schermo“, con la consulenza degli esperti del Digital Wellness Lab del Boston Children’s Hospital nella scelta di questo limite.
https://newsroom.tiktok.com/en-us/new-features-for-teens-and-families-on-tiktok-us
  • Dalle Case Editrici
  • G. Crescente, Storia mondiale del lockdown, Laterza, Roma 2022, pp. 208.
  • P. Valli, Il paese delle lacrime. Come accompagnare il lutto, Ancora, Milano 2021, pp. 136.
  • Marco Trabucchi, Aiutami a ricordare. La demenza non cancella la vita, San Paolo, Cinisello B. (MI) 2022 pp. 224.

Scrive Michela Marzano, che firma la bella prefazione a questo libro, che “laddove è afflitta la memoria o è messa a repentaglio l’immutabilità dell’identità o della percezione di sé, ciò che resta di noi è l’affettività”. Ed è proprio la dimensione affettiva, in particolare la tenerezza – “sorella di gentilezza, compassione, delicatezza” – la chiave di volta, rivoluzione di sguardo, metodo di accompagnamento al centro di questo bellissimo di libro di Marco Trabucchi. (B. Ve.)

  • Save the date
  • Settimana di Studi (Montesilvano-Pe) – 22/25 aprile 2023. “XXVI Settimana Nazionale di studi: Di fronte all’altro-sposi e presbiteri insieme discepoli missionari“, a cura della Pastorale familiare delle diocesi abruzzesi.
https://famiglia.chiesacattolica.it/xxvi-settimana-nazionale-di-studi-di-fronte-allaltro-sposi-e-presbiteri-insieme-discepoli-missionari
  • Seminario (Friburgo-CH) – 27/28 aprile 2023. “théories du genre: politique et identité sexuelle”, proposto da Philantrhopos.

www.philanthropos.org/blog/enseignement/theorie-du-genre-politique-identite-sexuelle

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CHIESA NEL MONDO

10 anni di Francesco: “Nella chiesa nessuno può decidere chi sta dentro e chi resta fuori”

Papa Francesco, nel decimo anno della sua elezione a pontefice, ha rilasciato una serie di interviste, le più significative e personali senz’altro a testate giornalistiche sia del suo Paese d’origine sia di altri. Fra queste spicca quella con il periodico Perfil (www.perfil.com), particolarmente ricca di spunti sia rispetto al pontificato che alla sua biografia. Vi si trovano riassunti molti degli aspetti chiave del magistero di Francesco, a cominciare da quel principio di una Chiesa aperta a tutti, senza escludere i peccatori perché tutti siamo peccatori, anche gli uomini di Chiesa, anche il papa, e soprattutto perché il messaggio evangelico va chiaramente in quella direzione, e tutti, dice Bergoglio, vuol dire tutti, compresi omosessuali e divorziati risposati, tanto per citate due categorie che stanno facendo discutere la Chiesa. Così come sul possibile superamento del celibato obbligatorio, Francesco gioca, come spesso gli accade, con un certo grado di ambiguità: prima dice che non si tratta di un dogma ma di una disciplina, e dunque come tale può essere modificata, poi ammette che non è un compito per il quale si sente pronto. E forse proprio in questa ammissione personale, c’è un dato di verità: Bergoglio a 86 anni, sta consegnando alla Chiesa un metodo di lavoro per non lasciarsi rinchiudere nel passato, un’eredità fatta di problemi, cantieri e strade aperte che dovranno essere sviluppate in futuro.

Le vecchie forme stanno morendo. Ma, proprio per capire le preoccupazioni profonde del papa argentino, vale la pena soffermarsi un momento su un articolo dell’ultimo numero dell’autorevole rivista dei gesuiti Civiltà Cattolica, dal titolo: “Quale forma assumerà il cristianesimo del futuro?”. Nel testo, firmato da p. José Frazão Correia e al cui centro è posta l’idea che, dopo i secoli post-tridentini e dopo il Concilio Vaticano II, la Chiesa dovrà cambiare le forme della sua presenza nella storia, pena l’irrilevanza e la fine del cattolicesimo, si afferma: «Il tempo di cambiamenti storici che stiamo vivendo offre delle opportunità al cristianesimo. La Chiesa accetti con serenità, senza negarne il costo, che sta per concludersi una lunga epoca della sua storia e che, per essere all’altezza della sua identità più intima e della sua missione di annunciare il Vangelo di Gesù, dovrà passare inevitabilmente attraverso un parto faticoso. Per dirla con il benedettino tedesco Elmar Salmann, nel momento della nascita, come in tanti altri inizi significativi, c’è sempre molto che muore, come pure nei processi di morte c’è molto che nasce. Dopotutto, è questa la storia del cristianesimo, fin dai suoi inizi».

«Ricevere un’eredità – prosegue Civiltà Cattolica – comporta sempre l’onere di darle un aspetto specifico, secondo la particolarità dei tempi e dei luoghi. Gratitudine e fedeltà richiedono appropriazione, differenziazione, traduzione e rischio. Se è così, è necessario continuare a compiere, sulla scia del Vaticano II, il cammino sereno, paziente e coraggioso di individuare ciò che deve essere conservato e ciò che va abbandonato». «Al dolore della morte – si spiega – corrisponderà la nascita di un’altra forma e stile di Chiesa. Non si tratta di un’altra Chiesa, ma di un’altra forma di Chiesa. La Chiesa non è stata sempre “gregoriana”, “tridentina” o “romana”. Si tratta di un’altra forma che, per molti aspetti, in questo momento possiamo solo presagire e intravedere. Sappiamo che certe forme del passato – Chiesa di Stato e di potere, Chiesa giuridica, Chiesa sacrale, Chiesa borghese – stanno morendo, e ancora non vediamo chiaramente quale altra forma la Chiesa dovrebbe e potrebbe assumere nel presente affinché abbia un futuro».

                Dalla fine del mondo. Francesco con Perfil affronta diversi temi, fra i quali la scelta di autodefinirsi, la sera stessa della sua elezione, «il papa venuto dalla fine del mondo», non dando certo a questa affermazione una prospettiva apocalittica: «L’ho detto geograficamente», osserva in proposito Bergoglio. Perché, dietro questa definizione, «c’è un’intera teoria della conoscenza. Un articolo di una grande filosofa argentina, specialista di Hegel, Amelia Podetti, già morta, mi ha aiutato molto, e lei ha detto che la spedizione di Magellano, quando ha raggiunto lo stretto che porta il suo nome, ha fatto un grande passo nella conoscenza dell’umanità, perché la realtà si vede meglio dalla periferia che dal centro. Quindi, il mondo è stato visto con una visione diversa da quella di Madrid, Lisbona, ecc., ed è vero». Di conseguenza «dicendo “dalla fine del mondo” sto dicendo in qualche modo che geograficamente vengo da quella che sembrava tale, tuttavia dalla periferia, si vedono meglio le cose di quando ci si trova al centro».

                Divorziati risposati e omosessuali. In riferimento dell’accoglienza dovuta nella Chiesa ai divorziati risposati, il papa osserva: «La chiamata di Gesù è per tutti, la Chiesa è universale in questo senso. E nessuno può dire: “questo è un peccatore, non io”. Quando eravamo piccoli, a Buenos Aires c’era nelle famiglie più cattoliche l’usanza di non andare nelle case dei divorziati, usanza sociale di quel tempo a Buenos Aires, perché dava l’impressione che fossero già con un piede all’inferno. È una concezione non cristiana, è davvero politicizzante, segregazionista, ecc. Gesù dice “tutti” e ognuno nella Chiesa, aiutato dalla comunità o dal parroco o altro, passa in rassegna la propria situazione, la analizza e si pone davanti a Dio. Accompagnare oggi le nuove unioni è un diritto dei cristiani e un dovere della Chiesa. Non puoi dire: “È divorziato, finito, sulla lista per l’inferno”. No, è un figlio di Dio, una figlia di Dio che è in cammino, non posso giudicare da fuori». Anche perché, sostiene Francesco, il «per sempre» pronunciato quando ci si sposa, non sempre viene compreso fino in fondo, non sempre si ha una coscienza chiara di ciò che significa. «Quindi, una persona separata, risposata, forse è vittima di una cultura, di un modo di pensare, di una superficialità culturale, anche all’interno della Chiesa. Per questo oggi insistiamo sulla formazione di un catecumenato per preparare il matrimonio e dopo. Quando dicono ‘per sempre’ a volte non hanno idea di cosa sia per sempre, e dopo un anno si separano». E questa mancanza di coscienza, prosegue il papa, può invalidare il matrimonio.

                Un discorso non molto dissimile riguarda le persone omosessuali: «Ho parlato tre volte di omosessualità – ricorda il papa nell’intervista – la prima volta durante il viaggio a Rio de Janeiro, quando ho detto questa frase: “se una persona è omosessuale e cerca Dio, chi sono io per giudicarla?”. Come per dire “basta”, non prendiamolo come vittima». La seconda volta nel ritorno dall’Irlanda a Roma, «quando ho detto a un padre e una madre: “mai buttare fuori di casa un figlio o una figlia omosessuale, accettatelo, risolvetelo come famiglia”». Infine, afferma ancora Bergoglio, nel corso dell’intervista dell’Associated Press, «dove ho parlato di criminalizzazione. Purtroppo sono più o meno trenta i Paesi che oggi criminalizzano l’omosessualità e di quei trenta, quasi dieci hanno la pena di morte. Questo è molto grave e anche lì l’ho detto molto chiaramente. La mia posizione sull’omosessualità è lì in quei tre interventi. Qui in Vaticano, all’udienza generale, vengono persone che appartengono a gruppi omosessuali, sono tra la gente, e si presentano come tali, saluto tutti. Tutti sono figli di Dio e ognuno cerca Dio e lo trova, come può. Dio separa solo i superbi, gli altri peccatori sono tutti in fila».

                Celibato. In merito all’ipotesi di trasformare il celibato obbligatorio in celibato volontario, Francesco osserva: «è una possibilità che esiste nella Chiesa cattolica, ce l’ha tutta la parte orientale della Chiesa cattolica. Qui alla Segreteria di Stato abbiamo un padre che vive con moglie e figlia. È una possibilità aperta. Non so se si aprirà o meno, ma è una possibilità che si può aprire. Infatti nella storia della Chiesa ci sono state concessioni locali su questo tema, non nella parte orientale, dove è già normale, ma anche in occidente. Vedremo se arriverà il momento che un Papa lo riveda, io ancora non mi sento di procedere su questa strada, ma ovviamente è una questione di disciplina, niente a che vedere con il dogmatico, una cosa che oggi c’è e domani potrebbe non esserci». Nel frattempo dal sinodo tedesco, è arrivata al papa la richiesta di rivedere la questione del celibato obbligatorio.

                Gravità degli abusi. Anche sul tema degli abusi sessuali del clero, Francesco è molto chiaro e, per una volta, non si nasconde dietro i numeri e la casistica generale. «Qui voglio essere molto obiettivo – afferma il papa – dalle percentuali che esistono secondo le statistiche universali, delle Nazioni Unite, Unicef, ecc., emerge che tra il 40% e il 42% degli abusi avvengono in casa e nel quartiere, e continuano con la vecchia modalità di insabbiamento da parte di zii, nonni, vicini. Poi nei circoli, poi nelle scuole, e infine nella Chiesa cattolica, i preti cattolici, che sono il 3%, si potrebbe dire che è poco. No, non è poco, perché in proporzione i preti cattolici sono pochi rispetto agli altri, il 3% pesa molto più del 40% dell’altro, o pesa molto. E secondo, perché è una bestemmia. Se sei chiamato come prete o suora per aiutare questa persona a cercare Dio… questa è una terribile aggravante».

Francesco Peloso  Adista Notizie n° 11 del 25 marzo 2023

www.adista.it/articolo/69712ù

CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Il presidente Cei Zuppi: «Tempo di scelte coraggiose»

Aprendo il Consiglio permanente, il cardinale ha tracciato scenario e prospettive di «una nuova primavera della Chiesa italiana», che «si configura sempre più chiaramente come una Chiesa missionaria». Tra le priorità, «diffondere una cultura cristiana»

www.chiesacattolica.it/consiglio-permanente-il-comunicato-finale

«Riconoscere con sincerità le difficoltà ecclesiali e sociali, credendo, però, che siamo vicini a una nuova primavera della Chiesa, aprendo nuove e coraggiose prospettive di futuro». Questa la direzione di marcia indicata ieri, 20 marzo, ai vescovi italiani dal cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna e presidente della Cei, nella sua introduzione al Consiglio permanente, in corso a Roma fino al 22 marzo. «Per questo occorre passione, visione profetica, libertà evangelica e intelligenza della comunione, generosa responsabilità e gratuità nel servizio», ha proseguito il cardinale, che ha esclamato: «La sinodalità è tutt’altro che rinuncia o omologazione al ribasso!».

                Aprendo i lavori del Consiglio episcopale permanente, Zuppi ha ripreso la metafora dell’inverno, utilizzata nel Consiglio del 20 settembre scorso, tenutasi a Matera, utilizzandola ancora una volta «per individuare alcune fragilità e sofferenze del nostro tempo e della nostra gente: inverno dell’ambiente, della società, dei divari territoriali, della denatalità, dell’educazione. Inverno secondo alcuni irreversibile». Di qui la necessità di apprendere uno «sguardo dal basso», per «commuoversi e farsi carico delle fatiche dei più poveri», ma anche di impegnarsi in uno «sguardo lungo», per «costruire con generosità e intelligenza, pensando al dopo di noi, per comunicare la speranza cristiana che con fiducia pensa che tutto possa cambiare e il deserto fiorire. Credo che questa sia la nostra prospettiva odierna».

                Ancora, «la pandemia ha fatto affiorare alcune debolezze ecclesiali più o meno latenti», l’analisi di Zuppi: nella stagione post-pandemica, non dobbiamo «correre dietro alla ricerca illusoria e ipocrita di comunità perfette», bensì «trasformare la sofferenza in consapevolezza e sapienza umana ed ecclesiale. Considerando la stagione della pandemia, dobbiamo evitare che il ricorso alla comunicazione digitale, così importante durante l’isolamento, sostituisca la presenza e diventi funzionale all’individualismo e alla patologia della paura», il monito del cardinale, che ha definito «opportuno terminare con tante trasmissioni informatiche che inducono a chiudersi». Al contrario, è urgente «nutrire una cultura cristiana, che dia significato e forma alla parola “insieme”», perché, come dice il Papa, «è insieme, nella fraternità e nella solidarietà, che costruiamo la pace, garantiamo la giustizia, superiamo gli eventi più dolorosi». Quella della pandemia, in sintesi, «è stata la stagione dei “santi della porta accanto”», preti e laici che «hanno di fatto reinventato una pastorale fuori dagli abituali confini fisici e mentali delle parrocchie, mostrando tanta solidarietà, prossimità, amore gratuito».

                «Come non ricordare l’ultima tragedia che ha coinvolto profughi, che non hanno trovato chi custodiva la loro vita?». Così il presidente della Cei si è riferito alla tragedia di Cutro. «Ringrazio di cuore quanti si sono prodigati in loro aiuto, manifestazione di tanta umanità e la Chiesa di Crotone che ha mostrato il volto di madre della nostra Chiesa», l’omaggio del cardinale, che ha poi rinnovato l’appello rivolto da Matera «ai politici, ma per certi versi a tutti e che indicava alcune preoccupazioni che chiedono di trovare risposte certe, non provvisorie, precarie, sempre parziali: le povertà in aumento costante e preoccupante, l’inverno demografico, i divari tra i territori, la transizione ecologica e la crisi energetica, la difesa dei posti di lavoro, soprattutto per i giovani, i migranti, il superamento delle lungaggini burocratiche, le riforme dell’espressione democratica dello Stato e della legge elettorale. È davvero per tutti tempo di scelte coraggiose e non di opportunismi».

                «Nessuno si illude che vi sia la soluzione ad ogni difficoltà né che questo processo sia vissuto da tutti con il medesimo slancio», il riferimento al cammino sinodale della Chiesa in Italia, oggetto della prossima Assemblea della Cei. «Quanti si sono coinvolti in questo cammino ci raccontano la soddisfazione del percorso fatto insieme, che sta educando progressivamente tutti i protagonisti a uno stile spirituale e pastorale nuovo», ha reso noto il presidente dei vescovi italiani: «Le Chiese hanno dato voce ad una pluralità di soggetti che mi pare la premessa migliore per giungere preparati quando sarà tempo di prendere le necessarie e coraggiose decisioni evangeliche, che coinvolgeranno tutti ai vari livelli, dalle singole Chiese locali, alle Regioni ecclesiastiche, alla Chiesa in Italia nella sua unitarietà e alla Cei stessa. Penso necessario che non si perda lo slancio di vitalità e creatività, che nel tempo della pandemia ha generato pratiche pastorali nuove nelle forme e nei contenuti».

                «La Chiesa del post-pandemia e del Cammino sinodale si configura sempre più chiaramente come una Chiesa missionaria, della chiamata e dell’invio di ognuno, che si misura con le domande, le sfide, con la necessità di diffondere una cultura cristiana come chiave per capire e consolare la tanta sofferenza», il ritratto tracciato da Zuppi: «La pandemia ha posto tutti bruscamente dinanzi ad alcune domande esistenziali fondamentali, come il senso della morte, il perché del dolore innocente, il valore tutto umano della vita dal suo inizio alla sua fine, l’importanza della gratuità, la fragilità. Mi piace immaginare una Chiesa che si faccia carico di queste domande e offra luce e speranza per nuove motivazioni che affranchino dalla paura». Infine, un grande “grazie” a Papa Francesco, per il decennale del pontificato: «Le sue parole e i suoi gesti sono diventati per noi un programma ecclesiale e ci offrono anche un linguaggio che avvicina tanti ed è comprensibile a tutti».

M. Michela Nicolais       Roma sette        21 marzo 2023

www.romasette.it/il-presidente-cei-zuppi-tempo-di-scelte-coraggiose

DALLA NAVATA

5° Domenica di Quaresima – Anno A

Ezechiele                            37, 14. Farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete; vi farò riposare nella vostra terra. Saprete che io sono il Signore. L’ho detto e lo farò». Oracolo del Signore Dio.

Salmo                                   129, 06. Più che le sentinelle l’aurora, Israele attenda il Signore, perché con il Signore è la misericordia e grande è con lui la redenzione.

Paolo ai Romani              O8,10. Ora, se Cristo è in voi, il vostro corpo è morto per il peccato, ma lo Spirito è vita per la giustizia. E se lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi.

Giovanni                             11, 04. All’udire questo, Gesù disse: «Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio venga glorificato»

COMMENTO

Chi ama la pace dell’umanità è già nel Regno di Dio.

                La prospettiva della vita che mi viene dischiusa dal messaggio biblico/evangelico è una prospettiva che abbraccia, primariamente, la sorte globale dell’umanità. La nostra vicenda individuale è come la silloge particolare di una storia universale. È vero: la nostra fine è la fine del mondo, il nostro declino è il declino del mondo. Io capisco il senso del mondo se resto fedele a questa pagina fragile che è la mia vita che non devo cancellare in una specie di entusiasmo umanitario vacuo. Questo mi farebbe perdere il senso della finitezza che è la cifra senza la quale non capisco nemmeno la storia universale.

Io devo avere per la mia morte un atteggiamento realistico, senza elusioni. So bene che la resurrezione perderebbe di senso se non fosse anche questa promessa, così solennemente ripetuta da Gesù a Marta, che chi muore con questa fede vivrà. Il sepolcro non è il nostro sbocco ultimo. Questa verità è certamente motivo di gioia, ma è una verità che non va mai scissa da tutte le altre verità che nell’insieme trascendono il senso particolaristico e si confondono con lo stesso mistero di Dio che è vita e amante della vita e il cui Spirito, come ci è ripetuto, è la forza che spezza i sepolcri.

Nella mia prospettiva di liberazione c’è un punto d’appoggio che è la fede in questa potenza che noi chiamiamo Spirito e che è Dio in quanto agisce nel mondo e che, come spezzò il sepolcro di Cristo fratello nostro, spezzerà i sepolcri delle sue creature. Tuttavia, per entrare in questa certezza senza violarne il mistero, senza appiattirla in funzioni indebite, devo, come dicevo or ora, applicarla all’intero perimetro dove l’impero della morte avanza e ci assale. Questo perimetro è immenso, La dittatura è un sepolcro ed è un sepolcro l’inedia, il vivere senza il necessario ed è morte la solitudine, l’amore senza risposta è morte.

p. Ernesto Balducci (α1922-ω1992)         Da “Gli ultimi tempi” vol.1 anno A

www.fondazionebalducci.com/26-marzo-2023-v-domenica-quaresima

FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI

De Palo lascia il Forum dopo 8 anni. «Famiglie, immischiatevi nella politica

Da domani e per tre giorni l’assemblea generale delle associazioni familiari. Dopo due mandati per statuto occorre procedere a una nuova nomina. «Ma il mio impegno per la natalità continua»

Da domani fino a domenica si tiene a Roma l’Assemblea Generale del Forum delle associazioni familiari. Domani spazio alla relazione finale del presidente Gigi De Palo, che concluderà con l’assemblea il suo mandato. Tra gli interventi annunciati il presidente della Cei, Matteo Maria Zuppi, la ministra per la famiglia Eugenia Maria Roccella, quella per la disabilità, Alessandra Locatelli, la viceministra Maria Teresa Bellucci, il presidente dell’Istat Gian Carlo Blangiardo. Sabato e domenica poi lavori dell’assemblea e l’elezione del nuovo presidente.

                Gigi De Palo, otto anni da presidente del Forum delle associazioni familiari. Otto anni vissuti “pericolosamente” sfidando da una parte i giochi e le indifferenze della politica. Dall’altra le incertezze e le ritrosie di qualche associazione a cui il suo dinamismo appassionato è risultato un po’ indigesto. Eppure ce l’ha fatta. E oggi, alla vigilia dell’assemblea generale che segnerà la fine del suo doppio mandato (per statuto non è più rieleggibile), racconta gli obiettivi realizzati e quelli che lo vedranno ancora in campo, anche se con una “divisa” nuova.

                Un incontro, si dice, può cambiare la vita. Lei, in questi otto anni da presidente del Forum, di incontri decisivi ne avrà fatti a migliaia. Quali i più significativi?

In questi otto anni ho fatto oltre 400mila chilometri e ho incontrato – non esagero – quasi 100mila persone. L’incontro più importante? In una parrocchia del Sud Italia dove, dopo circa 7 ore di treno, sono stato accolto da tre persone, dico sul serio, erano tre. Anche il parroco aveva altro da fare. Quel giorno, davanti a quelle tre persone, raccontando l’importanza delle famiglie in Italia e spiegando con tutto me stesso i benefici dell’Assegno unico, ho capito che stavo facendo bene la mia missione. Che il mio servizio al Forum non lo facevo per gli applausi o le platee numerose, ma per le famiglie italiane.

                In che modo la “rivoluzione familiare” voluta da papa Francesco con Amoris lætitia ha agevolato – se l’ha fatto – il compito delle associazioni familiari?

Amoris lætitia ha prodotto nella Chiesa e nella società un processo irreversibile. Con il Forum abbiamo trasformato questa narrazione nel concetto: la famiglia non è un problema, semmai la soluzione del problema.

                Cosa manca all’associazionismo familiare per essere considerato finalmente interlocutore credibile e ascoltato delle istituzioni?

Nulla. E lo abbiamo mostrato. Lo dico senza mezzi termini: senza di noi l’Assegno unico non sarebbe stato votato all’unanimità. Solo la credibilità del Forum ha permesso che si trovasse un accordo tra tutti i partiti. Abbiamo rotto le scatole con caparbietà, competenza e – aggiungo – simpatia. Quello che manca all’associazionismo è un po’ di strategia e la capacità di abitare i social network. Ma è una storia troppo lunga…

                Perché in Italia si fa così fatica a far comprendere che solo un’alleanza forte e articolata tra famiglie potrà avere buon gioco nel chiedere a chi governa non solo attenzione e rispetto, ma anche quelle misure che invochiamo da tanto tempo?

Perché le famiglie, nonostante tutte le difficoltà, fanno e faranno sempre il loro dovere. Mica possono permettersi di scioperare. Le famiglie porteranno comunque i figli a scuola, si faranno comunque carico degli anziani più fragili, continueranno comunque ad educare i loro figli… è una questione di tempo, non di volontà. Per questo è importante invitarle ad immischiarsi…

                In questi anni si è battuto in modo coraggioso per far comprendere quanto fosse decisivo il tema della denatalità. A livello culturale sembra che la battaglia sia stata vinta. Cosa manca per vincere anche sul piano dell’iniziativa politica?

                Manca il passare dall’analisi alla sintesi. Manca la politica, per l’appunto. La scelta chiara e netta di seminare per le future generazioni fregandosene del consenso di breve periodo. Manca il desiderio di anticipare il futuro.

Davvero lei è convinto che per far decollare la natalità siano sufficienti misure economiche adeguate e non sia necessario anche una svolta culturale?

                Cultura ed economia si condizionano a vicenda. Donne e giovani vorrebbero per quasi il 90% due o più figli. Quindi il desiderio c’è, quello che manca è la possibilità di concretizzarlo. Se la nascita di un figlio è ancora la seconda causa di povertà in Italia, non andiamo lontani. La mentalità di oggi è frutto di semi gettati 40 anni fa. Quindi da una parte aiuti anche economicamente i giovani a realizzare i loro sogni, dall’altra i loro sogni realizzati saranno lo spot migliore per far cambiare una mentalità.

                Non c’è mai stato un momento in cui lei e sua moglie, Anna Chiara Gambini, quasi sempre al suo fianco, vi siete guardati e vi siete detti: “Ma chi ce lo fa fare? Molliamo tutto”?

                Tantissime volte. Soprattutto quando abbiamo litigato per alcuni impegni improrogabili e improvvisi. C’è da dire però che il nostro è un ticket che va avanti da parecchio tempo. Prima le Acli di Roma, poi l’assessorato alla Scuola e alla famiglia del Comune di Roma, poi il Forum a livello nazionale. Senza di lei mancherebbero proprio quei concetti narrativi che sono stati importantissimi in questi anni. “Il profumo del pane” per spiegare la priorità della bellezza della famiglia rispetto alle questioni dottrinali… Diciamo che come hanno detto parecchie persone in questi anni a mia moglie: “È stato proprio bravo il presidente del Forum delle famiglie e suo marito!”.

                Ora come proseguirà il suo impegno pubblico a favore della famiglia?

Una nuova sfida è quella della natalità. Ho creato la Fondazione per la Natalità che oltre ad organizzare ogni anno gli Stati generali della Natalità vuole diventare un pungolo affinché a livello europeo e italiano ci possano essere politiche in grado di creare le premesse per una nuova primavera demografica. E poi non voglio rassegnarmi al 40% di astenuti: la politica è una cosa seria e ha bisogno dei cattolici. Per questo abbiamo dato vita a “Immischiati” che vuole essere uno strumento formativo e di partecipazione per chi non vuole rassegnarsi. Insomma non mi occuperò più direttamente di “mondo cattolico”, ma voglio provare ad essere semplicemente un cattolico nel mondo.

Luciano Moia    Avvenire             16 marzo 2023

https://www.avvenire.it/attualita/pagine/de-palo-lascia-il-forum-dopo-otto-anni-famiglie-i?fbclid=IwAR1eEGam3zJroA4_ivid-K_pLLhnH0FQsNupm3m4QVqEOghVeSke5q8Sdm4

Adriano Bordignon succede a Gianluigi De Palo che ha guidato il Forum dal 2015 ad oggi.

 Bordignon, trevigiano, 46 anni, sposato e padre di tre figli, da aprile 2021 ha ricoperto la carica di Presidente del Forum delle Associazioni Familiari del Veneto. Da sempre impegnato nel mondo del sociale, prima nell’associazionismo di volontariato e poi anche come presidente del Centro di Servizio per il Volontariato della Provincia di Treviso, è direttore del Consultorio del Centro della Famiglia di Treviso e presidente di Ebicom, l’ente bilaterale del commercio, servizi e turismo della Provincia di Treviso. Laureato in Scienze Giuridiche a Ferrara, con un Master triennale in Scienze della coppia e della famiglia conseguito all’Istituto Giovanni Paolo II presso la Pontificia Università Lateranense, Bordignon da quasi 20 anni si occupa anche di pastorale familiare assieme alla moglie Margherita al Centro della Famiglia di Treviso, impegnandosi nello sviluppo delle politiche familiari a livello provinciale e regionale.

Secondo il neo presidente: «Il Forum rappresenta una straordinaria storia di famiglie che vogliono essere protagoniste responsabili per fare dell’Italia un luogo sempre migliore. Famiglie e persone che hanno a cuore il futuro del Paese e che combattono perché possa ancora essere bello nascere, crescere, vivere e diventare vecchi in questa splendida terra. Come ci ha detto il cardinal Matteo Zuppi, presidente CEI, senza famiglia non c’è futuro».

                «La variabile famiglia è determinante e impatta su economia, welfare, civismo e partecipazione, educazione e relazioni. Se vince la famiglia vince l’Italia. Oggi raccogliamo questo testimone e metteremo tutte le nostre energie e competenze per lasciare un segno nella vita delle persone e della società civile». Così Adriano Bordignon a margine dell’Assemblea svoltasi stamane che lo ha eletto Presidente del Forum nazionale delle Associazioni Familiari insieme alle due vicepresidenti, Cristina Riccardi di AiBi e Pinella Crimì del Forum della Sicilia.

 Eletti nel Consiglio direttivo: Antonino Sutera, Forum Lombardia,  in qualità di tesoriere, Lidia Borzì, delegata ACLI a famiglia e stili di vita, Alfredo Caltabiano, Ass. famiglie numerose, Roberta Castellan, Ass. papa Giovanni XXIII, Emma Ciccarelli, Ass. salesiani cooperatori, D’Alesio Paola, Forum Abruzzo, Giovanni Giambattista, Forum Lombardia, Roberto Gontero, Forum Piemonte, Massimo Orselli, Ass. famiglie per l’accoglienza, Paolo Perticaroli, Ass. Azione per famiglie nuove, Paola Pisoni, Forum Trentino, Vittorio Ricchiuto, Ass. rinnovamento nello Spirito Santo.

Alla nuova presidenza giunge anche l’augurio del segretario generale della Cei e arcivescovo di Cagliari mons. Giuseppe Baturi: «Siete chiamati a porre al centro dell’attenzione politica la questione antropologica, perché non c’è nulla di più politico oggi che la questione dell’uomo e del suo destino».

Adriano Bordignon succede a Gianluigi De Palo che ha guidato il Forum dal 2015 ad oggi.

Il Forum, nato nel 1992 con l’obiettivo di portare all’attenzione del dibattito culturale, politico e legislativo italiano la famiglia come soggetto sociale, è la più vasta rete di rappresentanza delle associazioni familiari a livello nazionale. Attualmente è composta da oltre 590 associazioni che a loro volta rappresentano circa 5 milioni di famiglie.

Tra le priorità del nuovo mandato: «Riforma fiscale coerente con i carichi familiari, potenziamento dell’Assegno Unico, incremento dei servizi per la prima infanzia, politiche per il lavoro femminile, giovanile e per la conciliazione, per invertire il terribile inverno demografico che ci sta investendo».

Ufficio stampa Forum Associazioni familiari            20 marzo 2023

www.forumfamiglie.org/2023/03/20/forum-famiglie-adriano-bordignon-eletto-nuovo-presidente

Bordignon (nuovo presidente Forum): “Investire sulla famiglia per il bene del Paese”

             “C’è un grande lavoro culturale da fare che riguarda la confusione che ha regnato attorno alla famiglia in tutti questi anni. La nostra sfida è quella di tirare fuori le questioni della famiglia e della denatalità dal bazar della politichetta, dallo scontro ideologico, dalle visioni parziali e di parte”, spiega nella sua prima intervista al Sir

Il Forum nazionale delle associazioni familiari da oggi, sabato 18 marzo, ha un nuovo presidente: Adriano Bordignon. Quarantasei anni, di Treviso, è sposato dal 2006 con Margherita e ha tre figli, Teresa, di 14 anni, Gabriele, di 11, e Zaccaria, di 7. “Mi sono sempre interessato dell’ambito del sociale, sono stato presidente del Csv di Treviso, sempre impegnato nel Terzo settore e nell’associazionismo familiare, da due anni sono presidente del Forum del Veneto – racconta al Sir -. Con mia moglie mi sono sempre impegnato in questo settore perché riteniamo la famiglia un’esperienza esistenziale che segna nel bene e nel male. Il nostro obiettivo è cercare di renderla più significativa per tutti. Siamo anche impegnati nella pastorale familiare: siamo stati animatori dei gruppi sposi, dei gruppi fidanzati, della scuola di formazione familiare di tre anni per diventare operatori pastorali e civici per le famiglie. Tutto questo in un posto privilegiato che ci ha forgiato e ci ha aiutato a far esplodere quei piccoli talenti che avevamo che è il Centro della famiglia della diocesi di Treviso, uno spazio che ogni anno forma, mette in circolo un sacco di nuove famiglie, che si mettono a servizio della comunità, è una fucina di bene che ci ha contagiato. È da questa storia che nasce il nostro impegno dentro al Forum”. Bordignon è direttore del Consultorio familiare di Treviso e amministratore unico del Centro Servizi Famiglia impresa sociale srl che dà servizi alle famiglie sia di carattere educativo sia legati al turismo sociale.

Quali sono le sfide più importanti che il Forum adesso deve affrontare?

Noi entriamo con il prossimo Consiglio direttivo dentro una storia che parte da lontano e ha vissuto varie stagioni: negli ultimi otto anni di presidenza di Gigi De Palo, con l’attuale Consiglio, il Forum ha fatto un salto di qualità importante. Noi entriamo e continuiamo questa storia con passione, orgoglio, andiamo avanti sui percorsi che sono stati segnati ma faremo anche cose nuove. C’è un grande lavoro culturale da fare che è stato iniziato e che necessita di essere messo ancora di più a fuoco e che riguarda la confusione che ha regnato attorno alla famiglia in tutti questi anni. La nostra sfida è quella di tirare fuori le questioni della famiglia e della denatalità dal bazar della politichetta, dallo scontro ideologico, dalle visioni parziali e di parte e farne invece un asset di investimento per il Paese, un asset strutturale attorno alla questione strutturale della denatalità che incide su tutti i settori di vita del Paese di oggi e di domani ma anche sui livelli di coesione sociale, di generatività non solo fisica, ma anche di idee, di produttività, di competitività, di crescita culturale del Paese. E questo lo si fa riconoscendo che la famiglia è un soggetto, non un mero aggregato di persone e come soggetto è portatore di diritti e di doveri, cioè di responsabilità e che non ha bisogno di elemosine, ha bisogno di essere “capacitata”, cioè messa nelle condizioni di fare al meglio tutto quello che sta nelle sue potenzialità.

Cosa ha riscontrato nella sua esperienza sul campo nei territori?

Sì, vengo da un lungo impegno sui territori e posso dire che normalmente le politiche familiari sono considerate solo come l’ultimo vagoncino delle politiche sociali e confuse continuamente con le politiche di lotta alla povertà. I nostri assessori comunali e regionali riconoscono le famiglie solo come luogo della povertà economica, il luogo della povertà educativa perché è quello che, con un gioco di parole, possiamo dire “emerge” nell’“emergenza” dei servizi, invece la famiglia è la struttura del Paese. La maggior parte delle imprese, in Italia, sono di origine e di gestione familiare.

                L’impresa nasce in famiglia, non in Università, l’economia si basa su questo. La solidarietà intergenerazionale, la solidarietà tra i componenti la famiglia è tra i più grandi ammortizzatori sociali che esiste in Italia, il primo, il più veloce, il più completo e quello che continua fino all’ultimo, ma allo stesso tempo, lo dice Papa Francesco, la famiglia è un laboratorio dove le persone si sperimentano a vivere nel mondo, a essere in relazione con gli altri, ad attivare dei processi di collaborazione che non siano meramente opportunistici.

Se noi non mettiamo le famiglie nella possibilità di svolgere queste funzioni, le famiglie iniziano a funzionare male e ne abbiamo delle evidenze: famiglie non supportate, non valorizzate, considerano che è troppo rischioso, troppo faticoso, troppo poco riconosciuto mettere al mondo dei figli. Famiglie che non sono nella condizione di coltivare quello che è loro proprio, naturale – il livello delle competenze educative e relazionali – rischiano di non trasmettere alle nuove generazioni una cultura della solidarietà, del lavoro, del rispetto. Ma non è una responsabilità delle nuove generazioni, è una responsabilità di un sistema che non permette alle famiglie di farlo. Questo è il quadro strutturale.

C’è qualcosa da fare anche al vostro interno?

                Operativamente abbiamo da fare un lavoro nel Forum che deve essere portato avanti perché l’associazionismo in generale e quello familiare hanno bisogno di essere sostenuti. Infatti, l’esperienza del Covid, le delusioni che troppo spesso i corpi sociali intermedi vivono nel loro interagire tra la cittadinanza e la politica, le fatiche del mettersi assieme, che è una grande risorsa ma bisogna essere disponibili a perdere qualcosa, portano alla necessità di un grande lavoro di manutenzione sui corpi sociali. Abbiamo davanti un impegno importante per rinforzare, ridare speranza, energia, competenze e capacità di interagire a tutti i Forum regionali e a tutte le associazioni.

                E a livello politico?

A livello politico dobbiamo rafforzare l’assegno unico, semplificarlo, far in modo che arrivino maggiori risorse. E dobbiamo approfittare di questo momento che, dopo l’approvazione del disegno di legge di delega al Governo per la riforma fiscale, apre una fase di lavoro verso una riforma fiscale con l’auspicio che in Italia finalmente venga rispettato l’articolo 53 della Costituzione nella parte in cui prevede un’equità orizzontale e che quindi riconosca effettivamente i carichi familiari a livello di fiscalità, cosa che in Italia non funziona.

Le proposte, tipo Quoziente familiare alla francese, splitting alla tedesca o Fattore famiglia che era il modello che abbiamo sempre proposto noi, sono delle strade, noi non siamo assolutamente affezionati all’una piuttosto che all’altra proposta, l’importante è che si percorra la strada.

C’è poi un lavoro determinante sulla qualità e sulla quantità del lavoro femminile, che incidono sulla qualità della vita delle famiglie e sulla natalità, e sull’anticipazione dei tempi delle scelte e dei progetti personali e di vita dei giovani che arrivano sempre troppo tardi e sono sempre troppo dentro canovacci labili.

Tutto ciò comporta non poche difficoltà a quell’esiguo numero di giovani che fa parte del corpo sociale italiano, mentre molti abbandonano alcune terre dell’Italia trasferendosi in altre e tanti altri lasciano l’Italia per andare all’estero. Questo è un tradimento che noi facciamo alle nuove generazioni. Inoltre, c’è una politica dell’abitare che va considerata, perché il lavoro e la casa sono due quadri essenziali per costruirsi una prospettiva di famiglia.

In Italia che considerazione ha la famiglia?

                Le famiglie hanno bisogno di sentirsi stimate, riconosciute, hanno bisogno che il fatto che loro decidano di stare insieme e di mettere al mondo dei figli sia un bene comune, non un fatto meramente privato.

Per far questo ci vogliono atteggiamenti, servizi per la prima infanzia, riconoscimento sociale, che non vengano messi dei bastoni tra le ruote tra il desiderio di avere famiglia e figli che è ancora vivo in capo ai giovani italiani, agli stessi livelli europei, e la realtà dei fatti che ci vede avere uno spread di natalità notevolissimo rispetto a Francia e Germania, ad esempio.

                Il presidente uscente del Forum, Gigi De Palo, avrebbe voluto veder realizzata, durante il suo mandato, anche la riforma dell’Isee

                La riforma dell’Isee rientra nella confusione che c’è intorno alle politiche familiari che sono politiche che vengono collocate nell’ambito delle politiche di lotta alla povertà. Noi ci domandiamo perché per acquistare un monopattino, per il bonus facciate, per il Bonus 110% non sia richiesto nessun Isee, mentre per ogni cosa che riguarda la famiglia si chieda l’Isee. Questo ci lascia stupefatti e amareggiati. Se proprio vogliamo restare l’unico Paese in Europa che usa questo tipo di strumento – perché lo siamo –, bisognerebbe che lo strumento fosse funzionale.

Siamo riusciti ad avere il parere favorevole a riformare lo strumento da parte di tutte le forze parlamentari, sia quelle che sono oggi in maggioranza sia quelle che sono all’opposizione: auspichiamo che al più presto venga messa in piedi una Commissione dove daremo tutto il nostro contributo assieme a quello delle linee accademiche che accompagnano i nostri approfondimenti.

Gigliola Alfaro  Agenzia SIR        18 marzo 2023

www.agensir.it/italia/2023/03/18/politica-e-societa-bordignon-nuovo-presidente-forum-investire-sulla-famiglia-per-il-bene-del-paese

FRANCESCO VESCOVO DI ROMA

Il Papa conferma “Vos estis lux mundi”, la procedura contro gli abusi

Dopo quasi quattro anni di sperimentazione, pubblicata una versione aggiornata delle norme per prevenire e contrastare gli abusi sessuali contro i minori e gli adulti vulnerabili. La novità più significativa è l’estensione delle norme riguardanti la responsabilità dei vescovi e i superiori religiosi anche ai laici moderatori di associazioni internazionali di fedeli riconosciute dalla Santa Sede. Il nuovo testo è stato armonizzato con le altre riforme normative introdotte dal 2019 ad oggi

Vatican Newshttps://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2023/03/25/0227/00486.html

Consultati gli episcopati e i dicasteri della Curia romana, Papa Francesco ha promulgato definitivamente le procedure per prevenire e contrastare il fenomeno degli abusi sessuali all’interno della Chiesa cattolica. È stata pubblicata il 25 marzo 2023 la nuova versione del motu proprio “Vos estis lux mundi”, che entra in vigore il 30 aprile e abroga la precedente del maggio 2019 e conferma la volontà di proseguire nella lotta a questi crimini.

La novità più significativa introdotta nella nuova versione della normativa riguarda il “Titolo II” con le disposizioni relative alle responsabilità dei vescovi, superiori religiosi e chierici preposti alla guida di una Chiesa particolare o di una prelatura. Sono stati infatti aggiunti anche i “fedeli laici che sono o sono stati moderatori di associazioni internazionali di fedeli riconosciute o erette dalla Sede Apostolica, per i fatti commessi” mentre erano in carica.

Molte altre modifiche sono state introdotte per armonizzare il testo delle procedure contro gli abusi con le altre riforme normative introdotte dal 2019 ad oggi, in particolare con la revisione del motu proprioSacramentorum sanctitatis tutela” (norme emendate nel 2021); con le modifiche al Libro VI del Codice di Diritto Canonico (riforma del 2021) e con la nuova Costituzione sulla Curia Romana, “Prædicate Evangelium” (promulgata nel 2022).

                Tra queste c’è ad esempio quella che riguarda gli adulti “vulnerabili”. Mentre prima si parlava di “atti sessuali con un minore o con una persona vulnerabile” nella nuova versione si parla di “delitto contro il VI comandamento del decalogo commesso con un minore o con persona che abitualmente ha un uso imperfetto della ragione o con un adulto vulnerabile”. Un’altra modifica riguarda la tutela di chi presenta la segnalazione di un presunto abuso: mentre prima si affermava che a colui che segnala non può essere imposto alcun vincolo di silenzio, ora si aggiunge che questa tutela va estesa, oltre a chi effettua una segnalazione, anche “alla persona che afferma di essere offesa e ai testimoni”. Rafforzata anche la parte dove si chiede di salvaguardare “la legittima tutela della buona fama e la sfera privata di tutte le persone coinvolte”, nonché la presunzione di innocenza per chi è indagato in attesa che vengano accertate le sue responsabilità.

Nella nuova versione di “Vos estis lux mundi” viene anche specificato che le diocesi e le eparchie devono dotarsi di “organismi e uffici” – nel vecchio testo si parlava più genericamente di “sistemi stabili” – facilmente accessibili al pubblico per ricevere le segnalazioni di abusi. Ed è anche precisato che il compito di procedere con l’indagine è compito del vescovo del luogo dove sarebbero avvenuti i fatti denunciati.

                Come si ricorderà, le procedure introdotte nel 2019 stabiliscono in modo preciso come comportarsi di fronte alle segnalazioni di casi di abuso e assicurano che vescovi e superiori religiosi – ora anche i laici a capo di associazioni internazionali – rendano conto del loro operato e siano obbligati – con un precetto legale stabilito universalmente – a segnalare abusi dei quali sono venuti a conoscenza.

                Il documento comprendeva e continua a comprendere non soltanto le molestie e le violenze sui minori e sugli adulti vulnerabili, ma riguarda anche la violenza sessuale e le molestie conseguenti all’abuso di autorità. Questo obbligo include dunque anche qualsiasi caso di violenza sulle religiose da parte di chierici, come pure il caso delle molestie a seminaristi o novizi maggiorenni.

                               Redazione di Vatican news        25 marzo 2023

www.vaticannews.va/it/papa/news/2023-03/papa-conferma-vos-estis-lux-mundi-procedura-contro-abusi.html

Abusi, Scicluna: ora è legge universale. Cambi la mentalità perché non resti lettera morta

  L’arcivescovo maltese, segretario aggiunto del Dicastero per la Dottrina della fede ed esperto nella lotta agli abusi, commenta e approfondisce le novità delle modifiche del Papa al Motu proprio “Vos estis lux mundi”: “Il cambiamento più importante è l’aver introdotto una procedura dettagliata sulla denuncia e l’investigazione di accuse su laici a capo di associazioni internazionali”

Non solo il “diritto-dovere” della cura delle persone vittime di abusi, ma anche il “diritto-dovere” di denunciare e segnalare questi crimini, da oggi anche quando compiuti da laici inseriti nella leadership di associazioni internazionali riconosciute dalla Santa Sede. Monsignor Charles Scicluna, l’arcivescovo di La Valletta, dal 2018 segretario aggiunto del Dicastero per la Dottrina della fede ma da sempre impegnato nel contrasto del fenomeno degli abusi da parte del clero, illustra l’importanza delle novità introdotte oggi dal Papa con un aggiornamento di Vos estis lux mundi, il motu proprio promulgato nel 2019 con cui Francesco ha introdotto nuove norme procedurali per combattere gli abusi sessuali e garantire che vescovi e superiori religiosi siano ritenuti responsabili delle loro azioni.

Ascolta l’intervista a monsignor Charles Scicluna

Eccellenza, qual è la principale novità apportata a Vos estis lux mundi per favorirne una migliore applicazione a quasi quattro anni dall’entrata in vigore?

                Il primo punto fondamentale è il fatto stesso che il Papa conferma la legge promulgata nel 2019 e la conferma come legge universale della Chiesa, non più ad experimentum. È legge molto importante perché, tra le altre cose, vengono introdotti alcuni elementi nuovi nella storia del Diritto Canonico, come per esempio la rilevanza penale dell’abuso di un adulto vulnerabile.

Tra le modifiche emerge infatti una ulteriore precisazione su chi sono le vittime di abusi. Prima si parlava di minori e persone vulnerabili, adesso si parla anche di “adulti vulnerabili” e “persone che abitualmente hanno un uso imperfetto della ragione”. Cosa significa questa specificazione?

                È una armonizzazione tra due leggi del 2021. Due anni fa Papa Francesco ha promulgato una nuova versione della legge particolare che elenca i diritti riservati alla competenza del Dicastero per la Dottrina della fede e anche un Motu proprio con cui ha rivisto il capitolo nel Codice di Diritto canonico che parla delle sanzioni penali. Quindi c’è un’armonizzazione tra questi leggi che parlano di un tema molto doloroso ma molto importante anche per la cura pastorale.

                Le norme si applicano ora oltre a chierici e religiosi anche ai laici che, si legge, sono o sono stati moderatori delle associazioni internazionali riconosciute dalla Sede Apostolica. Ci si riferisce anche movimenti e realtà ecclesiali?

Senz’altro. Questo inciso è una delle novità più forti di questa versione di Vos estis lux mundi. Siamo nella seconda parte che dà alla Chiesa una procedura dettagliata sulla denuncia e l’investigazione di accuse nei confronti di persone nella leadership della Chiesa. Leadership che nel documento del 2019 annovera cardinali, patriarchi, vescovi, chierici preposti come pastori nelle chiese particolari, mentre nel testo di oggi il Papa introduce due categorie nuove: chierici che sono stati alla guida di un’associazione pubblica, clericale, con facoltà di incardinare e poi i fedeli laici che sono stati moderatori di associazioni internazionali riconosciute dalla Santa Sede. 

                Quanto hanno influito in questa ulteriore specificazione i recenti casi di cronaca che riguardavano appunto i leader di realtà ecclesiali?

                Bisogna dire che alcune cose di dominio pubblico hanno già avuto la loro denuncia e il loro processo… Questa legge riguarda il futuro e rende molto chiaro che quando si tratta di una denuncia nei confronti di una persona laica inserita nella leadership di un’associazione internazionale, bisogna fare riferimento a questa legge particolare da oggi universale.

                Nel documento si specifica che diocesi ed eparchie devono essere fornite di organismi e uffici – prima si parlava genericamente di “sistemi stabili” – i quali devono essere facilmente accessibili al pubblico per la segnalazione dei casi di abusi. Anche questo un ulteriore passo, quindi. A cosa è dovuto?

                È la richiesta di una presenza capillare come segno di attenzione della Chiesa particolare ma anche di quella universale che vuole rendere più facile la segnalazione e fattibile quanto indicato nell’articolo 5 sulla cura delle persone. Infatti l’articolo in questione stabilisce che le autorità ecclesiastiche debbano impegnarsi affinché coloro che affermano di essere stati offesi, insieme alle proprie famiglie, siano trattati con dignità e rispetto e vengano offerte loro accoglienza, ascolto, accompagnamento tramite specifici servizi di assistenza spirituale, assistenza medica, terapeutica e psicologica a seconda del caso specifico.

Dunque, non solo centri di ascolto dove presentare una segnalazione, ma anche luoghi dove facilitare la cura delle persone.

                Cosa cambia invece per ciò che riguarda l’accountability dei vescovi?

La legge è una procedura che il Papa offre per la denuncia e l’investigazione degli abusi che riguardano la leadership, ma essa di per sé non cambia l’atteggiamento, la mentalità e la capacità di reazione. La legge rimane un’opportunità e anche uno strumento, ma spetta a noi assimilare i valori incisi in queste normative e applicarli.

Dietro la legge ci deve essere quindi la volontà, tante volte incoraggiata e caldeggiata da Papa Francesco, di una solidarietà fattibile. Il Papa ripete molto spesso questa frase: “Quando uno di noi soffre tutti soffriamo”. Se c’è questo atteggiamento di solidarietà, se c’è la sete di giustizia di cui parla Gesù, ma anche la volontà di fare bene, allora la legge diventa uno strumento vivo altrimenti, come tutte le leggi, potrebbe restare lettera morta.

                Vediamo dalle cronache ma anche da alcune indagini svolte all’interno delle diocesi, con l’ausilio di commissioni indipendenti incaricate dalle stesse Conferenze episcopali, che purtroppo la piaga degli abusi in passato come nel presente non è estinta. Con questa lotta portata avanti dal Papa ci sono stati dei progressi?

Quali?

Anzitutto un impianto legislativo molto evoluto, adesso c’è bisogno della formazione delle persone della leadership, come pure una formazione capillare che faciliti e dia confidenza alla gente di parlare, qualora ci fosse un problema. Oltre agli strumenti giuridici, c’è poi tutto il magistero molto chiaro, limpido e bello di Papa Francesco di cui tutti dobbiamo fare tesoro.

Salvatore Cernuzio – Città del Vaticano        Vatican news       25 marzo 2023

www.vaticannews.va/it/papa/news/2023-03/scicluna-intervista-modifiche-vos-estis-lux-mundi-abusi.html

Norme anti-abusi estese ai laici. Restano le lacune

estratto

Si allarga la platea dei potenziali colpevoli di abuso sessuale e di pedopornografia: non più solo preti e religiosi, ma anche laici che guidano associazioni o movimenti ecclesiali. Nei loro confronti, ferma restando la presunzione di innocenza, va immediatamente avviata un’indagine da parte del vescovo o del superiore religioso territoriale – i quali possono adottare anche delle misure cautelari nei confronti dell’indagato (allontanamento, divieto di esercitare il ministero in pubblico ecc.) – che, una volta conclusa, va trasmessa in Vaticano per gli eventuali provvedimenti canonici. In caso di inadempienza, sono gli stessi vescovi a finire sotto indagine da parte del Vaticano.

È ampliata anche la tipologia delle vittime: non solo i minori di 18 anni, ma anche «adulti vulnerabili», non in grado cioè, per varie ragioni, «di resistere all’offesa». Evidentemente i recenti casi di cronaca hanno influito nell’irrigidimento delle norme, a cominciare dal artista teologo gesuita Marko Ivan Rupnik, prima scomunicato e poi graziato dal Vaticano per gli abusi commessi su diverse donne sue “discepole”.

Fatto salvo il segreto confessionale, {l’assoluzione potrebbe essere condizionata all’autodenuncia}chi ha notizia di un presunto abuso «ha l’obbligo» di segnalarlo tempestivamente al vescovo o all’ufficio preposto, di cui ogni diocesi deve dotarsi. Non gli è imposto «alcun vincolo di silenzio», quindi può anche decidere di denunciare il sospetto all’autorità giudiziaria laica, ma in questo caso l’obbligo non è previsto dal provvedimento di Francesco. Una lacuna che resta.

Luca Kocci           “il manifesto”    26 marzo 2023

https://ilmanifesto.it/norme-anti-abusi-estese-ai-laici-restano-le-lacune
https://www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202303/230326kocci.pdf

LITURGIA

“Da predica” o “da messa” (di Ursicin G.G. Derungs)

Ricevo questo testo dall’autore, che ringrazio di cuore. È un punto di vista “laterale” rispetto alla normale esperienza cattolica italiana. Ma proprio per questo permette di cogliere la lunga strada che la riscoperta della “omelia”, voluta dal Concilio Vaticano II, chiede ai cattolici di compiere, in vista di una riacquisizione di un atto che per lungo tempo era rimasto ai margini della esperienza spirituale del popolo di Dio.

La predica. “Da Predica” o “da Messa”: così si distinguevano i protestanti dai cattolici1. “Quelli “da Predica” erano “gli altri”. Per “quelli da Messa” evidentemente la predica non era tanto importante. Per i cattolici, andare a messa alla domenica era obbligatorio. Però, perché la frequenza alla messa fosse valida, era sufficiente esser presenti al cosiddetto “offertorio”, a partire dal momento in cui il calice veniva scoperto. Tutto quel che precedeva, lettura della Scrittura, Vangelo e predica, era a quanto pare secondario. Tutto ciò è cambiato col Concilio Vaticano II (1962-1965) che ha recuperato il deficit cattolico in riferimento alla lettura della Bibbia (anche nelle celebrazioni liturgiche), deficit conseguente al timore di essere protestanti. Il Concilio ha equiparato la “Celebrazione della Parola” con la Consacrazione e Comunione: solo nella loro unità si dà Eucarestia. La predica acquista quindi una posizione importante, non secondaria, nella celebrazione eucaristica.

                Ma qual è la situazione per quanto attiene alle prediche? Sono adeguate alla loro funzione?

                In quanto fenomeno retorico, vale a dire come arte della eloquenza, la predica ha suscitato ampia attenzione nel corso della storia. Nel grande “Historisches Wörterbuch der Rhetorik” (HWRh, Dizionario Storico della Retorica, 11 volumi, 1992-2014) si possono leggere molte voci riferite ad essa: “Predica”, “Ars praedicandi”, “Retorica biblica”, “Retorica funebre”, “Retorica gesuitica”, “Kapuzinade” (“Cappuccinata”: predica in stile popolare, veemente e aspra), “Sermone funebre” ecc. Il problema, o uno dei problemi, è però che la retorica stessa è in crisi. Dove viene praticata in modo significativo? Forse qua e là nei parlamenti. Ma la crisi della retorica risale più indietro, ossia alla crisi culturale che inizia col Novecento, procede ed esplode del tutto con le guerre, le rivoluzioni e il loro abuso delle parole. A ciò si aggiunge la decadenza del linguaggio in atto oggigiorno, quando l’accesso alla parola è pubblica disposizione di ognuno, ed è moltiplicato all’infinito dai noti mezzi di comunicazione, con povertà grammaticale e mancanza di stile.

                In tale situazione fluida e vaga la “retorica da pulpito” ha un compito non lieve da sostenere, considerando quanto si pretende dal “retore” ossia dal predicatore. E considerando le pretese degli uditori. La gente, nella misura in cui va ancora in chiesa, non ha né tempo né voglia di prestare ascolto per più di dieci minuti. Si aggiunga che si tratterebbe di spiegare testi biblici, vecchi di più di 2000 anni: una pretesa alla quale è quasi impossibile corrispondere per un predicatore che ha tanti altri compiti e uffici. E però sarebbe sbagliato abbassare l’asticella. Detto in modo diretto: la predica è uno dei principali doveri di un prete in cura d’anime. Una predica va preparata. Fortunatamente oggi c’è una ricca offerta di sussidi, reperibili anche “googlando” in internet.

                Ma una predica è qualcosa di più di un atto retorico fondato su un solido sapere e su buoni sentimenti: è niente di meno che un “atto sacramentale” e “spirituale”. È per questo che viene invocato lo Spirito Santo. Nella predica (così come nella cena eucaristica) la realtà salvifica del passato viene collegata col presente, divenendo essa stessa presente. In questo senso si dice che la bibbia è “Parola di Dio” e non solo un documento del passato, benché sia anche questo. Ed è chiaro: quella Parola di Dio, annunciata e commentata nella predica, si realizza pienamente nel venir ascoltata. Nel comunicare, ascoltare e vivere quella Parola si costituisce quella rete che sostituisce la vecchia tessitura sociale (usurata e lacerata) della cristianità. Altrimenti la predica rischia di trasformarsi in un “massaggio dell’anima” che resta passiva; e il credere stesso diventa un atto passivo. Per questo la predica non può (non dovrebbe) soltanto seguire una strategia di persuasione; non può essere una sottile ingiunzione a dire: “sì”. La predica dovrebbe, anzi, essere anche anti-retorica. In caso contrario, il predicatore si porrebbe in mezzo tra gli uditori e Dio. Una predica è antiretorica quando il predicatore, nell’esporre la Parola di Dio, si “ritrae” per lasciare l’uditore da solo, in libertà dinanzi alla sfida di credere in prima persona. Seguendo le orme del filosofo e teologo danese Sören Kierkegaard (1813-1855), questa forma di retorica ha preso il nome di “Retorica antipersuasiva” (cfr. HWRh, vol. 10). La predica si muove nello spazio tra una retorica persuasiva e una antiretorica provocante, così da far spazio alla Parola di Dio e al libero confrontarsi con essa. In tal modo la libertà dell’atto di credere non viene sostituita dalla persuasione di un altro. Viene invece messa a nudo e proprio così può rallegrarsi dinanzi alla realtà sempre nuova di quanto è noto, ma sconosciuto.

                      Ursicin G.G. Derungs, α1935) teologo, scrittore traduttore svizzero

1 La connotazione (in romancio) “da Priedi” o “da Messa” aveva una valenza microsociologica, ossia era corrente nelle piccole comunità dei Grigioni, come distinzione dei componenti del piccolo gruppo sociale; si diceva, per esempio, di qualcuno (cattolico) “ha sposato uno/una da Priedi” o viceversa. Non era intesa come distinzione con valore universale tra protestanti e cattolici.

Andrea Grillo                    blog: Come se non         22 marzo 2023

www.cittadellaeditrice.com/munera/da-predica-o-da-messa-di-ursicin-g-g-derungs

MOVIMENTI

Vittime di abusi. Un documento di ex Focolari consegnato al Sinodo

Nel 2021, un gruppo internazionale di ex membri del movimento dei Focolari si è formato: erano testimoni per il libro “La setta divina”, Ferruccio Pinotti, Piemme, 2021, un’indagine sugli abusi in quel movimento, con l’utilizzo di materiale mai prima disponibile. Nella mia veste di autore di “Le armate del papa”, Ponte alle Grazie, 1997, il primo libro sui cosiddetti nuovi movimenti cattolici, e focolarino per nove anni (1967-76), ho fatto da collegamento tra l’autore Ferruccio Pinotti e i testimoni, e ho svolto il ruolo di consulente. Nel 2022, con questo gruppo di ex membri abbiamo fondato OREF (ORganizzazione Ex Focolari).

Nel febbraio di quest’anno, è stato pubblicato un nuovo libro di Federico Tulli,La Chiesa violenta” (Left ed., febbraio 2023). Il primo capitolo consiste nel documento integrale “Quando manca la verità, la libertà e l’umiltà, ci può essere l’unità? Relazione di OREF per il Sinodo sulla Sinodalità sugli abusi subiti nel movimento dei Focolari”.

La prima fase del Sinodo sulla Sinodalità, cioè la fase per i laici, mi sembrava l’occasione ideale per presentare l’esperienza di abuso di potere che abbiamo sperimentato nel movimento dei Focolari alla Chiesa intera, compresi i laici e la gerarchia, in un modo ufficiale. L’ho suggerito a OREF. Avendo studiato con cura il Vademecum del Sinodo e vari documenti inviati al Sinodo da diocesi e organizzazioni nella Chiesa, comprese quelle più ai margini, ho elaborato l’ossatura del documento che poi abbiamo raffinato con un’altra aderente a OREF, bravissima a trovare tutti i riferimenti, correggere il mio italiano, provvedere all’impostazione del documento e perfino all’invio, per posta elettronica e per posta normale, allo scopo di ottenere le conferme di ricezione e le firme (per evitare che finisse in un cestino, dato che tanti focolarini lavorano in Vaticano!).

                L’introduzione del documento spiega, usando citazioni dal Vademecum della prima fase del Sinodo, perché il nostro argomento è fondamentale e va preso in considerazione: «Secondo il Vademecum per il Sinodo sulla Sinodalità,nella Chiesa, il contesto [del Sinodo sulla Sinodalità] è segnato anche dalla sofferenza vissuta da minori e persone vulnerabili ‘a causa di abusi sessuali, abusi di potere e abusi di coscienza perpetrati da un numero significativo di membri del clero e persone consacrate’”. Quindi, noi, i membri fondatori di OREF (tutti ex-membri interni, celibi e sposati, dei Focolari con un’appartenenza a quel movimento da 5 a 20 anni) sentiamo il dovere di condividere le nostre esperienze personali di abuso credendo alle parole di papa Francesco quando parla dell’ “ascolto di Dio, fino a sentire con Lui il grido del Popolo” e che il Sinodo non è tanto per i “potenti” nella Chiesa ma – come lo sguardo di Gesù – più per “coloro che sono ai margini o si sentono esclusi” e “che possiamo essere tentati di vedere come non importanti e coloro che ci costringono a considerare nuovi punti di vista che possono cambiare il nostro modo di pensare”».

                La spinta o tema principale del Documento doveva essere “Ascoltate il grido del popolo”, come diceva il Vademecum del Sinodo, cioè, non una cosa troppo ragionata o intellettuale, ma tanti fatti, tante “grida”. Perciò il documento comincia con un elenco semplice di abusi molto precisi: suicidi, abuso sessuale di minori e di adulti vulnerabili, matrimoni combinati, distacco obbligato da famiglia e amici, schiavitù domestica di donne e altri tipi di schiavitù moderna, controllo del pensiero, struttura rigida gerarchica nascosta all’esterno, metodi di proselitismo nei quali venivano rivelati solo poco a poco gli insegnamenti del movimento per non spaventare nuovi adepti, sfruttamento del lavoro senza previdenza sociale e così via.

                La parte centrale del documento si focalizza sui «tre grandi problemi del Movimento»:

 1) Abuso di potere;

 2) Gnosticismo contemporaneo;

 3) Abusi patrimoniali e questione giuridica.

1) L’abuso del potere rivela il culto della personalità della fondatrice Chiara Lubich. «Ogni anima dei Focolari», diceva la Lubich, «deve essere espressione di me e di nient’altro. La mia parola contiene le parole di tutti i membri: Io le riassumo tutte… Io, come Gesù, devo dire loro: “Chi mangia la mia carne…”. Solo un’anima deve vivere: la mia». Dal 1949 la Lubich ha cominciato a chiamare il Movimento “l’Anima” con lei al centro e i membri intorno a lei, a cui veniva richiesto di “fare il vuoto” e perdere la propria personalità per ricevere da lei tutte le sue idee e i suoi pensieri. Questo si è espresso in una gerarchia rigida e piramidale, risolvendosi in gravi errori verso i membri, come la commistione fra il foro interno e il foro esterno che è stato la base della “pastorale” (una parola mai usata dai focolarini). Per quasi ottant’anni, secondo il metodo stabilito dalla Lubich, la base della vita spirituale dei membri è stata il “colloquio privato” del membro interno col suo superiore immediato (laico), e a volte con superiori a livelli più alti. Questi “colloqui” richiedevano una manifestazione di coscienza forzata. Anche questo è contro la legge canonica della Chiesa.

                2) Già nel mio libro “Le armate del papa”, quasi trent’anni fa, ho usato il termine “gnosticismo” per esprimere gli insegnamenti segreti dei focolarini, soprattutto le visioni sperimentate da Chiara Lubich nel 1949 ogni giorno per due mesi, e conosciute nel movimento come il “Paradiso ‘49”. Queste visioni presentano la Creazione in termini dualistici con molti aspetti inquietanti (immagini dell’Inferno, per esempio) e teologicamente discutibili. Lo “Gnosticismo Contemporaneo” nella Chiesa è diventato un tema sul quale papa Francesco ha parlato ripetutamente nei suoi discorsi e documenti. L’attuale co-presidente del movimento dei Focolari, Jesus Moran, ha perfino suggerito (nella rivista Settimana News, 20 febbraio, 2021) che «Bisogna dire che Chiara [Lubich] ha sempre pensato, e ce lo ha trasmesso… che questa esperienza mistica è costitutiva della mentalità di qualsiasi persona che voglia essere fermento di unità oggi nella Chiesa e nella società – ossia di chi fa proprio il carisma del movimento. Quindi non è un’esperienza mistica di Chiara privata, particolare».

                3) Il terzo problema sostanziale del movimento sono gli abusi patrimoniali e la questione giuridica, cioè abusi di sfruttamento del lavoro e mancanze che influenzano in particolare quelli che si dimettono dal movimento: mancanza di previdenza sociale o casi di persone che si trovano fuori dal movimento senza un soldo in tasca e senza tetto.

                Il documento si conclude con un elenco di citazioni di abusi di ex membri senza attribuzioni individuali: precisamente “il grido del popolo”.

                Finora – sette mesi dopo la fine della prima fase del Sinodo – non abbiamo avuto nessuna reazione ufficiale a questo documento né dal Sinodo né dalle autorità della Chiesa ai quali è stato mandato. OREF aveva fatto un comunicato stampa sul documento ma non pensava di pubblicarlo integralmente. Quando il giornalista Federico Tulli, con cui abbiamo collaborato in varie occasioni sulla rivista Left, vedendo il documento ha suggerito di includerlo nel libro “La chiesa violenta”, abbiamo accolto l’idea, data la mancanza di reazione della Chiesa ufficiale.

                Un’altra ragione per diffondere questo documento è l’evidenza di tentativi tra i movimenti negli ultimi mesi – con l’aiuto del Vaticano – di ripulire la loro immagine, e renderla più in sintonia con l’epoca di papa Francesco. Per esempio l’Opus Dei, insieme a membri di Comunione e Liberazione, ha organizzato una conferenza lo scorso febbraio sulla pastorale nei movimenti laici. Accanto a questa mossa, i focolarini, uno dei gruppi più omofobi nella Chiesa e nella destra mondiale, nell’ottobre 2022, hanno aperto una branca per sostenere persone LGBTQ e i loro genitori. È assurdo che all’improvviso questi movimenti si presentino come esperti e consulenti su abusi di cui più di tutti erano colpevoli. Dovrebbero piuttosto ammettere gli sbagli, correggerli, risarcire. Il movimento dei Focolari, Cl e persino l’Opus Dei, dopo la trasformazione della Prelatura, sono in crisi. È possibile che temano l’imposizione di un Visitatore Apostolico (che Cl ha già avuto) o peggio, e per questo tentano azioni che, viste dall’esterno, sembrano disperate e ridicole.

                Era dunque essenziale che il documento di OREF fosse presentato ufficialmente al Sinodo. Continueremo a insistere, mentre il Sinodo avanza, perché il contenuto del documento – che si applica ai Focolari ma anche ad altri movimenti – venga considerato e preso sul serio e perché vengano applicate le soluzioni necessarie. Si tratta di un monito schietto alla gerarchia, ai laici cattolici e al pubblico sul fatto che le vittime e i sopravvissuti agli abusi nella Chiesa – e non la protezione delle istituzioni – devono essere sempre al centro dell’attenzione e il loro “grido” ascoltato.

Gordon Urquhart             Adista Segni Nuovi n° 11                            25 marzo 2023

www.adista.it/articolo/69701

OMOFILIA

Educatori sempre. Il contributo sinodale degli insegnanti di religione vicini ai cristiani LGBT+

Contributo al  cammino sinodale messo a punto da un gruppo di insegnanti di religione vicini ai gruppi di cristiani LGBT+ tratto dal “Dalle frontiere al Sinodo. Alcuni percorsi fatti con i cristiani LGBT+ all’interno del cammino sinodale in Italia”, curato dal gesuita padre Pino Piva e Gianni Geraci, edito da “La Tenda di Gionata”, gennaio 2023, pp.19-22                          www.gionata.org/tendadigionata

                Annunciare il Vangelo ai giovani. Tenuto conto che «la Chiesa, pur possedendo in forma piena e totale i mezzi atti alla salvezza, né sempre né subito agisce o può agire in maniera completa» e che «nella sua azione, tendente alla realizzazione del piano divino, essa conosce inizi e gradi»[Cfr. Ad Gentes, 6], riteniamo che l’alta missione di annunciare il Vangelo alle persone LGBT+ sia ancora agli inizi e che la Chiesa non sia attualmente nelle condizioni per agire in maniera completa. Riteniamo che ancora manchi l’attuazione piena del principio per cui «la realtà è più importante dell’idea».[Evangelii Gaudium 231]

                        Principio realizzabile solo ponendosi in un atteggiamento di ascolto profondo, di un corde audire. Le nostre sorelle e fratelli LGBT+ non solo lamentano, infatti, di non sentirsi accolti nella Chiesa, ma anche di non sentirsi compresi per ciò che realmente sono. Troppo spesso si sentono ingabbiati in definizioni e idee che non corrispondono alla realtà concreta da loro vissuta. Pertanto siamo convinti sia necessario svuotarsi delle proprie convinzioni, per lasciare spazio al vissuto reale di queste nostre sorelle e fratelli. Lasciar loro la libertà di esprimersi, di dirci cosa vivono e ascoltarli con tutto l’amore di cui siamo capaci. Dobbiamo altresì stringere rapporti di stima e di amore con questi fratelli e sorelle, «riconoscerci come membra di quel gruppo umano» e «conoscere bene» le loro storie «lieti di scoprire e pronti a rispettare quei germi del Verbo che vi si trovano nascosti».[Ad Gentes 11]

Se «l’ascolto, in fondo, è una dimensione dell’amore» [papa Francesco], allora potremmo attuare il comandamento dell’amore verso le persone LGBT+, impegnandoci in un ascolto vero e sincero, scevro da pregiudizi e stereotipi di ogni genere, ponendo davvero attenzione ai semina Verbi che il Signore ha certamente piantato in loro.

A tal fine ci permettiamo di suggerire alcune piste di ascolto:

  • Avvalersi di studi scientifici per comprendere un fenomeno ancora troppo offuscato da stereotipi e pregiudizi;
  • Imparare ad usare correttamente i termini nel loro vero significato. Non ha senso, ad esempio, parlare di fluidità di genere o di identità di genere se non ne conosciamo il vero significato o semplicemente il significato che le persone in causa vi attribuiscono.
  • Ascoltare le testimonianze di vita che diverse persone LGBT+ hanno rilasciato pubblicamente e facilmente reperibili in rete su diversi siti. [www.gionata.org]
  • Ascoltare le storie delle persone LGBT+ che vivono accanto a noi, lasciando che siano loro a parlarci di sé. Smettiamola di pretendere di dire all’altro ciò che sta provando, ciò che sta vivendo o ancor peggio chi è.
  • Accoglierli «con rispetto, compassione e delicatezza», evitando a loro riguardo «ogni marchio di ingiusta discriminazione» [Cfr. Catechismo della Chiesa cattolica 2358] perché i tanti fratelli e sorelle LGBT+ che riempiono le nostre chiese, magari anche con ruoli di responsabilità e che per paura di essere giudicati o allontanati, assumono un’identità che non appartiene loro e conducono una vita morta, spenta e vuota, possano finalmente essere sé stessi e vivere la loro specifica identità alla luce del sole.
  • Mettere tutto il proprio impegno per riconoscere il dono che Dio ha fatto loro e contemplare i grandi prodigi che egli ha operato e continua a operare in loro e attraverso di loro, lasciandosi interpellare dalle parole sgorgate dal cuore di Pietro, nella casa di Cornelio: «se dunque Dio ha dato a loro lo stesso dono che a noi per aver creduto nel Signore Gesù Cristo, chi ero io per porre impedimento a Dio?» (At 11,1).

Una presenza al servizio del dialogo. Nella nostra esperienza di insegnanti si fa sempre più frequente l’incontro con persone di diverse culture e di altre confessioni cristiane che non frequentano soltanto le nostre aule ma anche i nostri oratori. Non di rado c’è da parte di questi un’attenzione all’attualizzazione della Parola di Dio molto più profonda di quella di alcuni giovani cattolici e spesso a partire dalla stessa Scrittura, avviene il confronto su temi etici, quali la transessualità, la gestazione per altri e le benedizioni delle coppie dello stesso sesso. Questo gruppo, sulla scorta delle indicazioni sinodali, non suggerisce un approccio ideologico, ma ancora una volta viene a ribadire il bisogno di ascolto delle persone, delle loro diverse vicissitudini, che può avvenire dapprima attraverso l’esperienza dei gruppi ecumenici LGBT+ e poi anche attraverso una riflessione più profonda mediante seminari accademici aperti a tutti, che prendano in esame gli aspetti medici, sociologici, psicologici e pastorali connessi al tema.

                Tuttavia soltanto un’esperienza di contaminazione di storie, simile a quella vissuta da Pietro e Cornelio (At 10,1) potrà aiutarci anche a livello ecumenico.

                Vorremmo poter lavorare con tranquillità. Tra le persone LGBT+ che vivono e partecipano attivamente alla vita della Chiesa ci sono anche le/gli insegnanti di religione cattolica, che si trovano in una situazione particolare. Come educatori e docenti, la loro presenza è radicata nelle diocesi italiane e nelle istituzioni scolastiche in cui lavorano con passione e professionalità. Il loro legame con la diocesi è significato da un esplicito mandato (il cosiddetto “decreto di idoneità”) che esprime visibilmente la corresponsabilità ecclesiale: i/le docenti si inseriscono come testimoni nel quadro delle finalità della scuola. Spesso, le/gli insegnanti di religione cattolica LGBT+ sono costretti a tenere nascosto il loro orientamento omosessuale, perché c’è il timore di subire una revoca del decreto di idoneità da parte delle rispettive diocesi. Lo status di dipendenti statali non li cautela infatti in maniera sufficiente, contro eventuali provvedimenti che possono essere presi dalle diocesi con grande discrezionalità. Vivere nella paura è una condizione non più sostenibile per le/gli insegnanti di religione cattolica LGBT+, poiché non permette loro di svolgere al meglio la loro attività e soprattutto perché il rapporto con la diocesi e anche con la scuola viene vissuto con simulazione o doppiezza: non è questo un vivere da risorti. Vivere con sincerità e trasparenza la propria condizione di cristiani LGBT+ contribuirebbe a rendere maggiormente i predetti insegnanti figure chiave di una Chiesa in uscita nella realtà scolastica e verso quelle famiglie che vivono momenti di tensione per la scoperta dell’omosessualità della propria figlia o del proprio figli. I docenti sono spesso, infatti, i primi con cui le famiglie si confidano.

Vivere con sincerità e trasparenza, senza aver paura della revoca, significa contribuire a considerare l’insegnamento della religione cattolica come disciplina inclusiva e propensa al dialogo con le scienze umane e con altri sistemi di significato, religiosi e non religiosi, contribuendo alla prevenzione e all’arginamento di fenomeni di bullismo omofobico.

Inoltre, l’insegnante di religione cattolica può svolgere realmente il ruolo di osservatore del sentire religioso delle famiglie italiane, in quanto spesso in classe i ragazzi si esprimono con sincerità su questi argomenti. Analoghe considerazioni valgono, in un certo modo, anche per i cristiani LGBT+ con incarichi pastorali o impegnati nei movimenti. Anche costoro spesso vivono la loro condizione con estremo disagio e raramente osano rivelarsi; in questo caso non si tratta tanto di timori legati al lavoro, ma della paura dello stigma che può essere avvertito, per esempio, sotto forma di allusioni o battute, magari non rivolte alla loro persona ma ad altri, che però rivelano un atteggiamento giudicante e negativo.

Innocenzo “tenda di Gionata”  25 marzo 2023

www.gionata.org/educatori-sempre-il-contributo-sinodale-degli-insegnanti-di-religione-vicini-ai-cristiani-lgbt

OPINIONI

Tra maternità surrogata, e paternità putativa

Le solite situazioni che purtroppo hanno bisogno di una definizione giuridica per evitare equivoci e probabili abusi. Nel linguaggio politico si chiamano questioni sensibili e quando si votano secondo libertà di coscienza, a meno che i partiti non abbiano abbracciato posizioni ideologiche.

Da quando si conosce un po’ meglio la natura umana la scienza ha fornito possibilità di realizzare desideri. Come cinquant’anni fa ci fu chi condannava il dottor Barnard che osava trapiantare il cuore, così da quando abbiamo capito che anche sperma e ovuli possono essere trapiantati, abbiamo sperimentato ben più forti traumi che ci portano fuori da ciò che consideravamo “naturale”, mentre era solo tradizionale. Perché che la famiglia sia “per natura” benedetta da un figlio concepito in momenti di fusione amorosa è vero senza prescindere da tutte le gioie e i disastri che succedono nel contesto della famiglia non sempre così esemplare. Storicamente i figli erano legittimi o bastardi e fino a tutto il Rinascimento i padri potevano associarli in nome del ‘sangue del mio sangue’ alla famiglia regolare senza problemi, mentre nell’Ottocento diventano realmente illegittimi, “figli di padre ignoto” secondo il costume della borghesia del maschio fedifrago e giustificato. Oggi si nasce “per caso” – anche da noi, ma soprattutto a danno delle donne dei paesi poveri -, “per ideologia” – secondo la morale di alcune chiese o il perbenismo tradizionale – ma sempre più “per desiderio”.

Anche la contraccezione e, diversamente, l’aborto (dove non è più clandestino) comprovano che gli umani sono esseri desideranti: la sessualità come realizzazione di sé nella relazione dei corpi (e delle anime?), un ambito che prescinde dal genere di uomini o donne. Verrebbe dalla forza delle donne l’obbligo morale del consenso nella relazione, nei suoi preliminari, nel suo valore: dallo stalking allo stupro l’atto violento è reato. Ma dove c’è consenso? Forse a molti farebbe comodo risolvere con il codice, capitolo “devianze” e sadismi, ma dove si dà consenso, l’individuo è libero. I figli però arrivano. Meglio se desiderati. Ma, se non c’è possibilità di corrispondere al desiderio o alla pulsione che spingono a procreare, sorgono problemi gravi, perché i bambini che ai nostri giorni nascono da pratiche “terapeutiche” non debbono essere considerati “diversi”, perché “naturalmente” sono sempre (almeno finché non sarà inventato l’utero artificiale) usciti allo stesso modo dal grembo di una mamma. Siccome questi nuovi nati sono tanti e sono già grandi, il problema è già da tempo oggettivamente reale. E non si possono negare riconoscimenti paritari delle anagrafi.

Ma il fenomeno quantitativo induce ad approfondire: il grande problema etico è insolubile se lo chiamiamo “l’utero in affitto” (anche perché basterebbe, come si fa a livello internazionale, obbligare alla gratuità), ma la vera questione è la paternità. Perché le coppie lesbiche ricorrono alla fecondazione assistita e seguono normali gravidanze, anche se il riconoscimento giuridico della seconda mamma anagraficamente sarebbe senza problemi. E’ il desiderio di paternità che fa problema per la coppia gay: possono due uomini conviventi desiderare un figlio? Certamente sì. Ma, questa volta, la differenza è uomo: desidera il figlio, ma non lo può partorire. Lo statuto del suo ruolo deve riconoscere la mancanza di potere nella vita che, per l’umano – dell’animale non si sa – sta nella riproduzione. Teoricamente – se il femminismo è filosofia – una donna non lo definirebbe potere, come è stato fissato dai ruoli costituiti del patrimonium e del matrimonium fino ai figli legittimi o illegittimi (e anche maschi o femmine, a prescindere dall’affetto) non lo mercificherebbe, ma potrebbe liberamente farne un dono. Il rispetto tra gli umani che parte dai corpi, come ben sanno i medici, dovrebbe evitare anche l’umiliazione (soprattutto per il corpo maschile) del corpo nella prostituzione.

Avete sentito le risse dei talk show con maschi furibondi che se la prendono con l’utero in affitto. Nessuno che dica che basta vietare il mercato. Nessuno degli altri uomini che si interroghi “che si fa se due di noi vogliono un figlio? Sono buoni padri? Sono io un buon padre? Che cosa vuol dire per me essere padre se uno di noi maschi si accorge di volere un figlio senza avere una donna?” Uomini di buona volontà glielo spiegate al reazionario che vieta tutto a tutti?

Giancarla Codrignani                    “il manifesto”   25 marzo 2023

https://ilmanifesto.it/tra-maternita-surrogata-e-paternita-putativa

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202303/230325codrignani.pdf

RELIGIONI

Oltre le religioni /6. Rivisitare la teologia: quali implicazioni?

Sesta puntata del percorso di riflessione teologica sul post-teismo, nuovo e affascinante volto della ricerca teologica contemporanea, curato da Giusi D’Urso, aderente all’Osservatorio Interreligioso sulle violenze contro le donne (OIVD). In questo numero un’intervista al missionario salesiano, antropologo, teologo e sociologo José Zanardini, specializzato in culture originarie del Paraguay e autore del libro “Dio parla nella selva. Gli Indios, la teologia e il Vaticano” (Gabrielli editore, 2022).

Non c’è niente di più affascinante che vivere nella selva a contatto con i popoli originari dell’America. Sono quei popoli considerati incivili perché non parlano le nostre lingue e praticano altri riti spirituali. Sono quelli, chiamati indiani con tono sprezzante, che non sanno né leggere né scrivere. Sono quei popoli considerati una seccatura per le grandi compagnie minerarie, estrattive, le industrie di allevamento e di coltivazione della soia.

Ho avuto il privilegio di vivere molti anni nella selva tropicale condividendo la vita di quegli indigeni nei loro stessi villaggi. Avevo la mia capanna fatta di bastoncini di palma non intonacati, quindi c’era una ventilazione naturale. D’altronde ero senza elettricità: nessun ventilatore o frigorifero per avere il ghiaccio e conservare il cibo. Non c’era acqua corrente. La nostra acqua proveniva dal maestoso fiume Paraguay che nasce in Brasile, attraversa il Paraguay, si unisce al fiume Paraná in Argentina e lì si allarga solennemente fino alla città di Buenos Aires, sfociando nell’Oceano Atlantico. Il fiume mi dava acqua per bere, cucinare, fare il bagno e lavare i miei vestiti. Il fiume era il mio percorso, l’unico percorso per arrivare dalla capitale del paese a lì e ad altri villaggi indigeni lungo il fiume. Per i villaggi interni usavo un mulo, che come tutti i muli a volte era capriccioso, si arrabbiava e non voleva continuare la strada finché non ne aveva voglia.

                Cosa ci facevo lì? Ero molto lontano dal mondo urbano, stavo con indigeni che non erano né coltivatori né artigiani, né cacciatori, né raccoglitori. Io, missionario, avevo studiato teologia all’Università Pontificia di Roma e poi antropologia sociale all’Università di Londra. Cosa ci facevo lì? All’inizio ero smarrito, pur avendo una solida preparazione antropologica, ma non bastava: non era che una base per iniziare a camminare per altri sentieri. Ho dovuto abbandonare i percorsi della cultura eurocentrica di cui ero intriso per immergermi nel clima e nella cultura cosmocentrica caratteristica dei popoli indigeni. Non è stato facile. È come morire e rinascere.

                Abbandonare i modelli di pensiero razionalisti ed etici occidentali e assumere i pensieri, le suggestioni e le ispirazioni del cosmo in tutte le sue infinite sfaccettature. Per i lettori di Adista, commenterò il sentimento religioso dei popoli della selva e il mio processo di trasformazione religiosa. Sono arrivato a relativizzare gli elementi della mia formazione religiosa familiare e della formazione teologica del seminario. Noi negli studi teologici e nei catechismi parliamo molto di Dio, dottrina, norme morali, ecc. I popoli originari parlano poco di Dio, non fanno grandi disquisizioni filosofiche e teologiche. Non parlano di Dio, ma parlano con Dio. Parlano davvero con Dio, lo sentono presente. Dio è nella selva, Dio parla loro attraverso gli uccelli, i fiori, il tuono, il sole, l’aria, il vento, la pioggia, i sorrisi dei bambini. Dio è presente nella saggezza degli anziani e nelle attività degli sciamani e delle sciamane.

Ho dovuto disimparare per reimparare che per vivere nella selva devi approfondire la spiritualità degli indigeni e immergerti in essa. Lì ho imparato che questi popoli vivono gli elementi essenziali degli insegnamenti del maestro Gesù. Il vero Gesù, il Gesù che camminava per le strade e le case dei peccatori, il Gesù che si prende cura della salute dei malati, della fame degli affamati, dell’inclusione delle persone emarginate a motivo dell’impurità rituale, ecc. La mia vita nella selva si è semplificata. Dio non è in cielo come si suole dire nelle formulazioni liturgiche. Dio è come un dono nell’acqua, nell’aria, nella luce, negli animali, nei fiori, nelle persone, nel sole. Dio è energia vitale, è il Dio della vita, che dà la vita e la conserva.

                Come celebrano questa profonda relazione con Dio? Nelle centinaia di culture diverse che popolano la selva latinoamericana, esistono centinaia di modi diversi di nominare Dio e centinaia di rituali diversi. Tuttavia hanno qualcosa in comune: la gratitudine per la vita verso qualcuno che è la fonte della vita, il bisogno di jopoi (dare e ricevere, reciprocità) per il “buen vivir” degli umani ma anche di tutti gli altri esseri, viventi e nonviventi. Hanno tutti un sentimento profondo, rispetto e protezione per gli ecosistemi; sono qualcosa di sacro, la diversità è un dono di Dio, un dono molto apprezzato e deve essere protetto e alimentato.

I rituali molto profondi, a cui partecipano tutte le persone del villaggio, sono frequenti e servono a nutrire, rafforzare le convinzioni e formare le nuove generazioni indigene. Spesso esprimono i loro sentimenti spirituali con una parola che non esiste in spagnolo e potremmo inventarla come contrazione di due realtà umane: ragione e cuore. In spagnolo, le due parole possono essere contratte in un verbo, corazonar. Questo verbo permea e impregna tutta la filosofia della vita e le teologie indie.

Hanno la chiara visione che la via dell’umanità non è quella giusta: occorre cercare altre vie. Leggete qui cosa dice Miri Poty, l’indigena Guarani del Paraguay; parla con la sapienza del suo cuore e con la potenza dello spirito della sua stessa parola: «Siamo incapaci di ascoltare e comprendere la forza dello spirito della parola ed è per questo che stiamo perdendo noi stessi, che stiamo perdendo la nostra strada e stiamo perdendo anche la strada per incontrarci fra tutti, con gli altri. Il mondo è malato, la Madre Terra oggi sta morendo, perché l’uomo bianco è un divoratore che non si sazia mai, perché il denaro gli interessa più della vita. È importante che impariamo a pregare per il benessere del mondo, è urgente che iniziamo a guarire le ferite della nostra Madre Terra, se vogliamo continuare a tessere la vita. Dobbiamo imparare a creare, a essere la nostra acqua, il nostro sole, la nostra terra. Dobbiamo imparare a percorrere strade nuove, perché la parola scorra liberamente, perché la parola è libera e fluisce con il fluire del corpo. Urge reindirizzare il cammino, imparare ad essere ponti per una nuova esistenza. È importante conoscere noi stessi, conoscere il nostro percorso e il percorso degli altri per essere, stare e sentire nel mondo. L’unico modo per reindirizzare il cammino è a partire dalla forza del cuore e per questo bisogna tenere sempre acceso il fuoco nel cuore; non dobbiamo mai lasciare che si spenga. Abbiamo la grande responsabilità di essere custodi del fuoco del cuore perché sia sempre acceso. Il fuoco del cuore fa rivivere la parola, perché solo così possiamo incontrarci con gli altri e, soprattutto, reincontrarci con noi stessi. La parola che dà vita al cuore ci permetterà di parlare con amore e rispetto con lo spirito della terra, della natura e del cosmo».

Miri Poty, che ci ha trasmesso questi pensieri tanto profondi, è un uomo della selva che non ha frequentato nessuna scuola, non sa né leggere né scrivere. La sua saggezza scaturisce dallo spirito di Dio nella natura.

Josè Zanardini  Adista Segni Nuovi n° 11 del 25 marzo 2023

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SINODO

Dal Sinodo tedesco, messaggio al vaticano: bisogna cambiare (quasi) tutto

Con la sua quinta assemblea, celebrata dal 9 all’11 marzo scorso, il Cammino sinodale ha concluso la sua prima fase, ma ora, tra prudenze nel rapporto con Roma e paletti posti da Roma stessa, il rischio è che le deliberazioni rimangano lettera morta. Si apre dunque una nuova fase, nella quale alcuni compiti dovranno essere assunti direttamente dai singoli vescovi e altri dalla Conferenza episcopale, mentre certi temi dovranno essere oggetto di dibattito in nuove commissioni e gruppi di lavoro; alcune decisioni dovranno poi essere sottoposte direttamente a papa Francesco, perché riguardano il Magistero della Chiesa.

                Uno per ciascuno dei quattro forum i testi base adottati che forniscono il fondamento teologico, ma poiché quello del Forum sulla sessualità e l’omosessualità è stato bocciato, sono soltanto tre (“Potere e separazione dei poteri nella Chiesa – Partecipazione congiunta e partecipazione alla missione”, “ Donne nei servizi e negli uffici nella Chiesa” e “L’esistenza sacerdotale oggi”), che si uniscono a un testo di orientamento e a un preambolo.

                A partire da questi testi base sono stati elaborati i cosiddetti “testi d’azione”, che entrano nel merito dell’applicazione pratica degli obiettivi: e qui i testi d’azione del Forum sulla morale sessuale sono stati accolti. Si tratta di indicazioni che non coinvolgono il papa ma i vescovi diocesani. Vediamoli nel dettaglio.

                Potere e separazione dei poteri. Con l’obiettivo di rafforzare la sinodalità, il Cammino sinodale ha individuato nella creazione di un Consiglio sinodale permanente e sovradiocesano lo strumento atto a perseguire la concretizzazione di una maggiore partecipazione dei laici nel governo. È su questo piano che si è sviluppato il conflitto con il Vaticano, preoccupato che questo organo scavalcasse l’autorità dei vescovi, violando le indicazioni del Concilio Vaticano II. Per il momento, un organo preparatorio, il Comitato sinodale, studierà come conciliare le diverse esigenze in modo che il Consiglio sinodale possa lavorare in modo armonico; in ogni caso, dovrebbe iniziare i suoi lavori entro marzo 2026.

Il testo di azione “Coinvolgimento dei fedeli nella nomina del vescovo diocesano” prevede che i singoli capitoli della cattedrale (che in Germania, tranne la sola Baviera, sono deputati a mandare a Roma una terna di candidati vescovi) si autoimpegnino, con un documento ad hoc, in questo senso.

                Sacerdozio e celibato. Il Forum sul celibato dei preti ribadisce che solo il papa può decidere sul tema, dall’ammissione degli uomini sposati alla dispensa dal celibato obbligatorio. Il testo d’azione, intitolato “Prevenzione della violenza sessuale, intervento e gestione dei responsabili nella Chiesa cattolica” elenca una serie di misure di prevenzione degli abusi clericali, che vanno dalla creazione di precondizioni sfavorevoli agli abusi alla modalità di gestione dei casi e al trattamento dei reati commessi, e afferma la necessità di rivedere norme e standard già in vigore, anche a livello di formazione del clero. È già in corso d’opera, invece, l’elaborazione di un codice disciplinare per i preti.

                Laici e donne nella Chiesa. Un primo testo d’azione prende in esame l’annuncio del vangelo da parte dei laici nella celebrazione eucaristica: una prassi già consolidata in Germania, ma non ammessa giuridicamente. Qui i vescovi dovrebbero elaborare una norma specifica valida all’interno della Conferenza episcopale, che permetta anche ai laici di avere un’investitura ufficiale per la predicazione, in attesa, però, dell’avallo della Santa Sede. I laici infatti possono amministrare il battesimo (lo fanno, ad esempio, già nella diocesi di Essen) e assistere ai matrimoni, dei quali i ministri sono gli sposi stessi.

Un ulteriore testo d’azione sulle donne nei ministeri sacramentali chiede ai vescovi di farsi promotori dell’ammissione delle donne al diaconato sacramentale a livello ecclesiale universale. Anche qui, solo Roma può cambiare le “regole di ingaggio”; quanto, invece, al diritto del lavoro all’interno della Chiesa, è di pertinenza dei vescovi, molti dei quali hanno già preso provvedimenti per una piena uguaglianza di trattamento.

                Morale sessuale e omosessualità. Il forum dedicato al tema ha elaborato un testo d’azione che chiede un ripensamento dell’omosessualità da parte del Magistero, che tuttora la definisce «intrinsecamente disordinata»: dal punto di vista etico, si afferma, dovrebbe essere valutata non diversamente dall’eterosessualità, e per questo si chiede una modifica del Catechismo. Non solo: si chiede alla Chiesa un “mea culpa” per il modo in cui le persone Lgbtq sono state trattate e una presa di distanza dalle “terapie di conversione” che, partendo da una visione patologica dell’omosessualità, mirano a una “guarigione” della persona. Si chiede anche di non escludere nessuno dai servizi e dagli uffici ecclesiali in ragione del proprio orientamento sessuale.

                Un secondo testo d’azione sulla diversità di genere chiede ai vescovi tedeschi di tenere in conto le esigenze delle persone transessuali e intersessuali nel lavoro pastorale e nell’amministrazione; questo in un contesto in cui alcune diocesi hanno già provveduto a modificare i registri ecclesiastici per riflettere la diversità di genere. Si chiede al papa di «garantire che le persone transgender e intergender nella nostra Chiesa possano vivere la loro vita e la loro fede nel loro essere creature di Dio senza pregiudizi, senza ostilità e senza discriminazioni». Se infatti a livello personale Francesco ha incontrato e espresso vicinanza a persone queer, il magistero su questo aspetto è bloccato.

                Quanto poi all’“Ordine di base del servizio ecclesiastico”, l’assemblea sinodale ha chiesto ai vescovi di modificare i requisiti per la Missio canonica, ossia l’autorizzazione a insegnare e a partecipare al governo della Chiesa in una direzione non discriminante dal punto di vista dell’orientamento e dell’identità sessuale. Su questo punto i vescovi sono stati molto rapidi, e già a novembre scorso hanno elaborato una nuova costituzione che è in vigore dall’inizio del 2023 nella maggior parte delle diocesi, modificando di conseguenza le condizioni della Missio canonica. Si attende che tutte le diocesi si allineino su questo standard; a quel punto, sottolinea Felix Neumann su katholisch.de (14/3), le condizioni precedenti resteranno in vigore solo per le posizioni regolate da una normativa valida a livello di Chiesa universale, come la concessione del Nihil obstat per i docenti universitari.

                Un altro testo d’azione affronta la questione della benedizione delle coppie omosessuali – sulla quale la Congregazione per la Dottrina della Fede, nel 2021, aveva espresso parere negativo con un famigerato Responsum che suscitò enorme contestazione  –: i vescovi e lo ZdK, l’organismo dei laici tedeschi, dovrebbero elaborare insieme un sussidio per tali benedizioni, che nessuno dovrebbe essere obbligato a presiedere ma per le quali nessuno, celebrandole, dovrebbe essere punito.

                E ora? Il lavoro del Cammino sinodale verrà ora proseguito, come anticipato, dal Comitato sinodale, formato dai 27 vescovi diocesani, i 27 membri eletti dallo ZdK e altri 20 membri eletti dall’assemblea. Il suo modus operandi non è ancora ben definito, ma il suo programma di lavoro, che doveva essere quello di preparare l’attività del Consiglio sinodale, è stato parzialmente modificato dalla reazione vaticana su quest’ultimo, fortemente negativa; e implicherà più che altro l’esplorazione delle varie possibilità. Intanto, l’assemblea sinodale si riunirà nuovamente tra tre anni, per una valutazione degli obiettivi raggiunti.

                Il cammino è ancora lungo, insomma, anche per via degli ostacoli posti dai rappresentanti delle minoranze al voto, che in alcuni casi hanno contestato l’interpretazione del regolamento procedurale delle votazioni sinodali (in particolare a proposito del voto segreto e del conteggio degli astenuti) e, di conseguenza, i risultati. Ma soprattutto in considerazione di quei (pochi) vescovi che si oppongono al Cammino sinodale e che, probabilmente, inficeranno l’applicazione omogenea di alcune decisioni. Per non parlare dei temi di rilevanza ecclesiale universali, per i quali ovviamente si va con i piedi di piombo. Bisognerà tenere conto poi del vento contrario che soffia da Roma: papa Francesco ha mostrato, osserva sempre Neumann su katholisch.de, di essere «ben disposto a usare la sua autorità per sostenere massicci interventi da parte dei prefetti competenti». Quanto al Sinodo dei vescovi, poi, è statisticamente certo che alcuni dei temi più controversi (celibato, distribuzione del potere e dei ruoli tra laici e clero, morale sessuale) su cui la Germania ha trovato una certa unità di vedute incontreranno, al contrario, più opposizione a livello globale.

Ludovica Eugenio  Adista Notizie n° 11 del 25 marzo

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Papa Francesco combatte negli Usa la battaglia più dura per la sua chiesa

Se per papa Francesco la chiesa è un «ospedale da campo», la trincea dove si sta consumando la guerra più accesa è negli Stati Uniti. Nel paese dove le guerre culturali non hanno mai unito la doppia anima dei cattolici, le divergenti visioni tra i due inquilini della Casa Bianca, Donald Trump prima e oggi Joe Biden, e lo sforzo di sintesi dell’ultimo decennio di governo di papa Francesco, hanno ampliato lo iato tra i cattolici conservatori e quelli più progressisti.

Un «kairos moment», il «momento decisivo che sta vivendo l’America» lo ha definito l’ex speaker della Camera, Nancy Pelosi, ospite della Georgetown University, l’ateneo dei gesuiti di Washington D.C. che per primo si è schierato in difesa di Biden – secondo presidente cattolico degli Usa dopo John Fitzgerald Kennedy – a cui alcuni vescovi avrebbero volentieri negato la comunione per il suo sostegno all’aborto. Lo scorso anno, la stessa democratica Pelosi lo ha sperimentato sulla sua pelle, quando l’arcivescovo di San Francisco, Salvatore Cordileone, le ha negato l’eucarestia, fatto salvo vivo pentimento e rifiuto delle sue posizioni pro choice. «La nostra priorità è onorare la Costituzione che è coerente con i nostri valori, e non dettata da una religione di stato» ha risposto l’ex speaker democratica in polemica con qui vescovi che, secondo lei, così «negano il libero arbitrio».

Il dilemma del gender. E così alla gerarchia cattolica statunitense più conservatrice, non resta che avversare Francesco sul piano dottrinale, cioè su un terreno dove la chiesa pastorale e missionaria del papa argentino mostra punti tuttora irrisolti. Il 20 marzo, la Commissione dei vescovi Usa per la dottrina ha pubblicato un testo contenente alcune direttive che vietano a enti cattolici di operare chirurgicamente o attraverso trattamenti farmacologici il cambio di sesso dei pazienti transgender. Il documento – specificano i vescovi – non esclude l’accoglienza ai credenti transgender, ma si richiama alle leggi federali per ribadire «la libertà delle istituzioni cattoliche di utilizzare modalità che rendono la nostra assistenza sanitaria autenticamente cattolica».

Un colpo duro a 13 anni dall’Affordable care act, la riforma sanitaria di Barack Obama che assicura, tra le altre cose, interventi per la transizione di genere, invitando le strutture ospedaliere a non discriminare. Eppure il tema divide anche i più “bergogliani”, come il cardinale di Chicago, Blaise Cupich, vicino a papa Francesco, per il quale è comunque necessario garantire l’obiezione di coscienza.

La posizione ferma dell’episcopato statunitense chiama in causa gli indirizzi pastorali della chiesa verso la comunità Lgbt. «Ancora oggi molti vescovi cattolici sulle persone transgender diffondono informazioni imprecise» spiega suor Luisa Derouen, la religiosa domenicana che dal 1999 si dedica alla pastorale delle comunità trans: «Questi messaggi diminuiscono la qualità dell’assistenza sanitaria per le persone trans, ed evitano a tutti i costi gli operatori sanitari che non danno loro garanzie. E così, già banditi dalle loro famiglie e comunità di fede, vivono il trauma e la solitudine riducendosi spesso in situazioni di povertà e disoccupazioni, con risvolti drammatici».

Anche Pelosi lo ha ricordato nell’ateneo dei gesuiti: «Quella trans è la sfida più grande che dobbiamo affrontare». Aggiungendo che solo nel 2022 sono state presentate 300 proposte di legge anti Lgbt, di cui 130 verso la comunità transgender.

Due anni per cambiare gli Usa. Quella sul gender è solo la punta dell’iceberg di una crescente insofferenza sul piano dottrinale della chiesa di Francesco. Giovedì scorso, ricevendo i membri della Pontificia accademia alfonsiana nella sala Clementina, il papa ha invitato i teologi e moralisti a «rifuggire da dinamiche estremistiche di polarizzazione, tipiche più del dibattito mediatico che di una sana e fertile ricerca scientifica e teologica».

Sulle questioni di morale sociale, inoltre, Francesco chiede di evitare condanne, ma piuttosto farsi vicini alla vita reale delle persone, all’«essere umano concreto». Proprio per questo, quella della chiesa Usa è la prossima sfida di papa Francesco. Come ha scritto Brian Fraga sul National Catholic Reporter , col turnover di dozzine di vescovi prossimi all’età pensionabile dei 75 anni, nei prossimi due anni il papa potrebbe davvero rimodellare la gerarchia cattolica statunitense. «Se nominerà nuovi vescovi in tutte quelle chiese locali, Francesco avrà nominato il 64% dell’episcopato degli Stati Uniti» scrive Fraga. Che questo sia l’obiettivo del papa è evidente nella scelta dei tre cardinali, espressione della sua chiesa pastorale: Wilton Gregory di Washington, Blase Cupich di Chicago e Robert McElroy di San Diego.

Ma trovare nomi fedeli alla linea Bergoglio non è semplice nel paese dove la dottrina è vista come l’ultimo baluardo di un cattolicesimo puro, osteggiato da Roma stessa. Sta facendo discutere la recente dichiarazione dei vescovi Usa che invita a non utilizzare il compostaggio umano e l’idrolisi alcalina per la sepoltura dei morti perché non «coerente all’insegnamento della chiesa sulla resurrezione del corpo». La battaglia dottrinale dei vescovi statunitensi è anche questo: trovare la tradizione nella sepoltura ai morti piuttosto che nella pastorale che il papa vorrebbe riservare ai vivi.

Marco Grieco  “Domani”             25 marzo 2023

www.editorialedomani.it/fatti/papa-francesco-combatte-negli-usa-la-battaglia-piu-dura-per-la-sua-chiesa-gthduw1c

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202303/230325grieco.pdf

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