NewsUCIPEM n. 813 – 5 luglio 2020

NewsUCIPEM n. 813 – 5 luglio 2020

Unione Consultori Italiani Prematrimoniali E Matrimoniali

ucipemnazionale@gmail.com

“Notiziario Ucipem” unica rivista ufficiale – registrata Tribunale Milano n. 116 del 25.2.1984

Supplemento online. Direttore responsabile Maria Chiara Duranti. Direttore editoriale Giancarlo Marcone

News gratuite si propongono di riprendere dai media e inviare informazioni, di recente acquisizione, che siano d’interesse, d’aggiornamento, di documentazione, di confronto e di stimolo per gli operatori dei consultori familiari e quanti seguono nella società civile e nelle comunità ecclesiali le problematiche familiari e consultoriali. Sono così strutturate:

  • Notizie in breve per consulenti familiari, assistenti sociali, medici, legali, consulenti etici ed altri operatori, responsabili dell’Associazione o dell’Ente gestore con note della redazione {…ndr}.
  • Link diretti e link per download a siti internet, per documentazione.

I testi, anche se il contenuto non è condiviso, vengono riprese nell’intento di offrire documenti ed opinioni di interesse consultoriale, che incidono sull’opinione pubblica. La responsabilità delle opinioni riportate è dei singoli autori, il cui nominativo è riportato in calce ad ogni testo.

Il contenuto delle news è liberamente riproducibile citando la fonte.

In ottemperanza alla direttiva europea sulle comunicazioni on-line (direttiva 2000/31/CE), se non desiderate ricevere ulteriori news e/o se questo messaggio vi ha disturbato, inviate una e-mail all’indirizzo: newsucipem@gmail.comcon richiesta di disconnessione.

Chi desidera connettersi invii a newsucipem@gmail.com la richiesta indicando nominativo e-comune d’esercizio d’attività, e-mail, ed eventuale consultorio di appartenenza.       [Invio a 1.391 connessi]

 

 Carta dell’UCIPEM, Approvata dall’Assemblea dei Soci il 20 ottobre 1979. Promulgata dal Consiglio direttivo il 14 dicembre 1979.

1. Fondamenti antropologici

1.1 L’UCIPEM assume come fondamento e fine del proprio servizio consultoriale la persona umana e la considera, in accordo con la visione evangelica, nella sua unità e nella dinamica delle sue relazioni sociali, familiari e di coppia

1.2 L’UCIPEM si riferisce alla persona nella sua capacità di amare, ne valorizza la sessualità come dimensione esistenziale di crescita individuale e relazionale, ne potenzia la socialità nelle sue diverse espressioni, ne rispetta le scelte, riconoscendo il primato della coscienza, e favorendone lo sviluppo nella libertà e nella responsabilità morale.

1.3 L’UCIPEM riconosce che la persona umana è tale fin dal concepimento.

02 ABORTO VOLONTARIO                          Note a margine della relazione del Ministro della Salute – 1

03                                                                          Gestanti straniere, “farmaci” abortivi, clandestinità – 2

04                                                                          Consultori, obiettori, contraccezione “abortiva”- 3

05 ABORTO VOLONTARIO CHIMICO      L’ambulatorio è la nuova frontiera della Ru486

06 ABUSI                                                            Polonia: i fedeli chiedono di prevenire gli abusi

06 ADOZIONE                                                   L’adozione sia concepita come ordinaria e non straordinaria

07 ADOZIONI INTERNAZIONALI                 Una storia straordinaria in tempo di pandemia

08 CENTRO INTERN. STUDI FAMIGLIA   Newsletter CISF – n. 26, 1 luglio 2020

10 CENTRO ITALIANO SESSUOLOGIA     Intervista CIS alla Dott.ssa Margherita Graglia

12 CHIESA CATTOLICA                                  Nasce la Conferenza ecclesiale dell’Amazzonia

13                                                                          Chiesa Cattolica e “sindrome Bartleby”

14 CITTÀ DEL VATICANO                             Lo sviluppo della dottrina è la fedeltà nella novità

16 CONFERENZA EPISCOPALE IT.             Infanzia e covid 19: firmato protocollo tra CEI e Unicef

17 CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM      Mantova. Etica Salute e Famiglia – luglio-agosto 2020

17 COUNSELING                                             Considerazioni sullo smartworking in ambito psicologico

18 COVID-19                                                     Bimbi e Covid-19. I consigli del Bambino Gesù per proteggerli

19 DALLA NAVATA                                        XIV Domenica Tempo ordinario – Anno A – 5 luglio 2020

19                                                                          Due braccia aperte, non un dito accusatore

20 DEVOZIONE                                                Pietro e Paolo: alla radice della fede c’è una storia di perdono

11 FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI    La famiglia è uscita dal conflitto ideologico

19 MIGRANTI                                               Padre Baggio: puntare sull’affidamento. No al carcere

12 MINORI                                                        318.638 minori in meno dal 2012 al 2019 in Italia

14 NULLITÀ DEL MATRIMONIO                Scioglimento matrimonio senza tasse

14 PARLAMENTO                                            Camera. Misure a sostegno dei figli attraverso l’assegno unico

13 PROCREAZIONE RESPONSABILE         Intesa tra i CAV/MPV e Confederazione metodi naturali

14 SOCIOLOGIA                                               L’Italia, un paese orfano di giovani

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

ABORTO VOLONTARIO

L’attuazione della L. 194: note a margine della recente relazione del Ministro della Salute – 1

            Anche quest’anno, con considerevole ritardo, il Ministro della Salute ha presentato al Parlamento l’annuale Relazione sull’attuazione della legge n. 194/1978 (d’ora innanzi, Relazione), riferita all’anno 2018 e svolta a partire dal complesso di dati forniti dalle regioni al Sistema di Sorveglianza Epidemiologica delle Interruzioni Volontarie di Gravidanza (IVG), operante presso l’ISS, dati poi elaborati dall’ISTAT. La lettura della Relazione suggerisce preliminarmente la domanda sulla effettiva utilità che la disciplina sta avendo in vista del conseguimento degli obiettivi che il legislatore aveva scelto di darsi all’atto della sua approvazione: “Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio. L’interruzione volontaria della gravidanza, di cui alla presente legge, non è mezzo per il controllo delle nascite” (Articolo 1).

www.biodiritto.org/Biolaw-pedia/Docs/Ministero-della-Salute-Relazione-sull-attuazione-della-Legge-194-1978-IVG

www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_2924_allegato.pdf

  1. La domanda si fa pressante se si riflette su una serie di indicatori sociali – relativi al diffondersi dell’aborto farmacologico, al profilo-tipo delle donne che accedono alla IVG, all’aumento del numero degli aborti clandestini, all’incidenza dell’obiezione di coscienza del personale medico e, infine, al ruolo svolto dai consultori familiari – nella trasparenza dei quali leggere l’adesione, traversale ed acritica, a un’autentica e sempre più diffusa mentalità contraccettiva, a una cultura cioè che mira a sancire su larga scala la definitiva rottura tra il momento unitivo e quello procreativo dell’atto sessuale, alimentando tendenze che, ispirate alla deresponsabilizzazione relazionale e alla strumentalizzazione della persona, alla banalizzazione della sessualità e alla reificazione/sfruttamento del corpo femminile, stanno conducendo verso un vero e proprio abortismo libertario di massa.
  2. La Relazione si apre con la conferma dell’andamento decrescente del numero di aborti praticati in Italia; si legge infatti nelle prime pagine: «In totale nel 2018 sono state notificate 76.328 IVG, confermando il continuo andamento in diminuzione del fenomeno (-5,5% rispetto al 2017) a partire dal 1983. […] Tutti gli indicatori confermano il trend in diminuzione: il tasso di abortività (n. IVG rispetto a 1.000 donne di età 15-49 anni residenti in Italia), che è l’indicatore più accurato per una corretta tendenza al ricorso all’IVG, è risultato pari a 6,0‰ nel 2018, con una riduzione del 4,0% rispetto al 2017 e del 65,1% rispetto al 1982. Il dato italiano rimane tra i valori più bassi a livello internazionale» (Ivi, p. 2). La lettura corretta dei dati relativi al tasso di abortività impone di considerarne i relativi indici alla luce di altri due parimenti significativi:
    1. Il persistente calo della natalità in Italia. In particolare, dal 2017 al 2018 i nati della popolazione presente sul territorio nazionale sono diminuiti di 16.698 unità e questo incide sul calcolo del rapporto di abortività (ovvero, sul numero di IVG rispetto a 1000 nati vivi);
    2. La fascia d’età, tra i 25 e i 34 anni, a cui ricollegare non solo i tassi di abortività più elevati, ma anche gli indici di fertilità femminile più elevati. Se quest’ultimo dato viene poi letto in uno con quello relativo alla stato civile delle donne che fanno ricorso alla IVG (nel 2018 la distribuzione percentuale per stato civile mostra un 36,8% di coniugate e un 57,2% di nubili), al tipo di scolarizzazione delle stesse (nell’ultimo «trentennio il tasso di abortività è diminuito tra le donne con il diploma di scuola superiore o laurea [da 14 ‰ nel 1981 a 6‰ nel 2011], mentre è rimasto costante tra quelle con diploma di scuola media inferiore dal 1991 dopo un’iniziale diminuzione. Il tasso delle donne con titolo di studio basso non si è modificato nel tempo anzi, nell’ultimo anno per cui è disponibile il dato, mostra valori in aumento», ivi, p. 29), e, infine, al loro livello di occupazione (il 45,6% delle donne che hanno abortito nel 2018 risulta occupata, il 20,9% casalinga e il 10,2% studentessa), si hanno elementi sufficienti per delineare un profilo chiaro delle donne che maggiormente ricorrono alla IVG.

3. Salta agli occhi, in particolare, l’aumento, già registrato peraltro nella precedente Relazione, del numero di donne occupate che ricorrono all’IVG, quando invece nei decenni precedenti le motivazioni di ordine economico-sociale finivano per incidere pesantemente sulla scelta dell’opzione abortiva. Sempre più spesso, dunque, donne mature, vicine alla fine dell’età fertile, professionalmente affermate, magari sposate, ricorrono all’IVG, a dimostrazione della diffusione di quella mentalità contraccettiva a cui si accennava in precedenza, che privilegia di fatto la ricerca dell’affermazione personale sulla logica dell’amore come dono e servizio alla vita, in linea con i parametri dell’efficientismo performativo imposti dalla società odierna.

Antonio Casciano       30 giugno 2020

www.centrostudilivatino.it/lattuazione-della-l-194-note-a-margine-della-recente-relazione-del-ministro-della-salute-1

 

L’attuazione della L. 194: gestanti straniere, “farmaci” abortivi, clandestinità – 2

  1. Rispetto a quanto considerato nel precedente appunto, vi è un aspetto che merita una particolare considerazione: riguarda i tassi di abortività tra le donne straniere. Così la Relazione: «Se nel 2018 rappresentano il 30,3% di tutte le IVG, valore identico a quello del 2017 ma inferiore al 33,0% del 2014, il tasso di abortività delle donne straniere continua a diminuire con un andamento costante (14,1‰ nel 2017 rispetto a 15,5 nel 2016, 15,7 nel 2015 e 17,2 nel 2014). Le cittadine straniere permangono, comunque, una popolazione a maggior rischio di abortire rispetto alle italiane: per tutte le classi di età le straniere hanno tassi di abortività più elevati delle italiane di 2-3 volte» (ivi, p. 4). Questo dato rivela con evidenza la speciale condizione di vulnerabilità umana e di marginalizzazione sociale in cui versano la maggior parte delle donne non italiane, per le quali l’esperienza di una gravidanza continua a rappresentare un vulnus per uscire dal quale pare non esistere altra via al di fuori di quella che conduce alla IVG. Eppure, la civiltà di uno Stato non può non passare per l’adozione di un welfare finalizzato a offrire un minimo di tutele necessarie a garantire non solo condizioni di vita degna a chi vive sul territorio di quello stesso Stato, ma pure l’esercizio libero della genitorialità, per quanti decidessero di optare per la nascita, piuttosto che per la morte di un figlio.
  2. Tornando al quadro generale, la Relazione pare tacere o solo timidamente accennare ad alcuni dati – parte dei quali già evidenziati in un altro articolo pubblicato su questo sito

www.centrostudilivatino.it/pubblicata-in-ritardo-la-relazione-sullattuazione-della-legge-194

 – essenziali per comprendere criticamente il complesso di cause alla base del fenomeno di riduzione del ricorso all’IVG. A incidere significativamente sulla riduzione, in termini assoluti, del ricorso alla IVG, è l’espansione costante dell’uso di farmaci abortivi: «Come già presentato negli ultimi 3 anni, il recente andamento dell’IVG potrebbe essere almeno in parte influenzato dalle determine AIFA del 21 aprile 2015 (G.U. n.105 dell’8 maggio 2015) e del 1 febbraio 2016 (G.U. n.52 del 3 marzo 2016) che hanno eliminato per le maggiorenni, l’obbligo di prescrizione medica dell’Ulipristal acetato (ellaOne), contraccettivo d’emergenza meglio noto come “pillola dei 5 giorni dopo”, e del Levonorgestrel (Norlevo), contraccettivo d’emergenza meglio noto come “pillola del giorno dopo”. I dati della distribuzione dell’Ulipristal acetato (EllaOne), forniti dal sistema di Tracciabilità del farmaco del Ministero della Salute, che rappresentano una proxy del consumo, nel 2018 continuano a mostrare un andamento crescente. Come mostrato nel grafico, i dati registrati negli ultimi 4 anni risultano: 145.101 confezioni nel 2015, 189.589 nel 2016, 224.802 nel 2017 e 260.139 nel 2018» (ivi, p. 15). La terminologia utilizzata nella relazione, a proposito dell’Ulipristal acetato (EllaOne) e del Levonorgestrel (Norlevo) appare inesatta. Si parla, infatti, di contraccettivi d’emergenza, laddove è corretto parlare di intercettivi, cioè di farmaci che agiscono impedendo l’impianto dello zigote già formato nella cavità uterina: dunque, andrebbero propriamente definiti abortivi, se vi è stata la fecondazione dell’ovulo. A parte l’aspetto terminologico, il dato che più sorprende è che si continua a far passare sotto silenzio il fatto che il numero assoluto degli aborti non sia affatto calato, se tra le pratiche volte a provocare un’IVG si considerano pure quelle attuate coi farmaci appunto intercettivi, da ritenersi abortivi a tutti gli effetti. Senza dire che il profilo di sicurezza di tali farmaci abortivi è inferiore rispetto al metodo chirurgico, con una mortalità maggiore, a parità di epoca gestazionale, senza dire che eventi avversi, associati all’impiego dell’aborto medico, esordiscono spesso a distanza di tempo dalla procedura, insorgendo subdolamente e progredendo non di rado verso esiti difficili da trattare.

3. Allo stesso modo la Relazione affronta solo superficialmente il dato relativo agli aborti clandestini, la cui piaga l’avvento di una normazione disciplinate il ricorso all’IVG avrebbe dovuto estirpare definitivamente; e che invece permane con indici sostanzialmente invariati negli ultimi anni. Infatti, l’ISS ha stimato che il numero di aborti clandestini per le donne italiane sarebbe compreso tra le 10 e le 13.000 unità, numero decisamente inferiore rispetto a quello fatto registrare negli anni precedenti, ma ancora significativamente alto se si considera che il numero complessivo di IVG effettuate nel 2018 è, come detto, pari a 76.000 unità circa e che dunque la clandestinità incide ancora per quasi il 17% sul numero di aborti ufficialmente registrati in Italia.

Se bastasse davvero una buona legge per bandire il fenomeno della clandestinità, avremmo dovuto trovarci al cospetto di una realtà differente, così come diversi avrebbero dovuto essere i dati relativi tanto agli aborti praticati oltre la 12º settimana di gestazione, il cui indice è invece aumentato[«5,6% nel 2018 e 2017, 5,3% nel 2016, 5,0% nel 2015, 4,7 nel 2014 rispetto a 4,2% nel 2013 e 3.8% nel 2012», ivi, p. 42.], al pari di quelli praticati optando per la procedura d’urgenza, il cui numero è parimenti cresciuto [21,3% dei casi (Tab. 18) rispetto al 19,2% del 2017, al 16,7% del 2015, al 13,4% del 2013 e all’11,6% del 2011», ivi, p. 41.]. Peraltro, negli aborti oltre le 12 settimane, si è normalmente in presenza di gravidanze, inizialmente desiderate, che si decide di interrompere in seguito a esiti di diagnosi prenatale o per patologie materne. Mentre il primo aspetto tende a ridursi nel tempo grazie alla sempre maggiore propensione a evitare gravidanze indesiderate, il secondo tende a aumentare in seguito al maggior ricorso alla diagnosi prenatale anche in seguito all’aumento dell’età materna (ivi, p. 43).

Antonio Casciano                   2 luglio 2020

www.centrostudilivatino.it/lattuazione-della-l-194-gestanti-straniere-farmaci-abortivi-clandestinita-2

 

L’attuazione della L. 194: consultori, obiettori, contraccezione “abortiva”- 3

  1. Un ulteriore dato che la Relazione sull’attuazione della legge 194/1978 sembra non considerare a sufficienza, nel valutare l’incidenza dei fattori che hanno occasionato la riduzione delle IVG, è quello relativo alla riduzione numerica delle donne in età fertile (da 13.961.645 del 2010 scese ai 12.945.219 del 2016), in ragione dell’invecchiamento progressivo della popolazione generale, oltre che della crescente sterilità delle coppie (l’infertilità riguarderebbe, ad oggi, circa il 15% delle coppie italiane): riducendosi sostanzialmente il numero delle gravidanze, è meno frequente il ricorso alla IVG. Sia l’uno che l’altro fattore incidono sensibilmente sulla capacità di addivenire ad una gravidanza, dunque anche sul numero di aborti, senza che alcun “merito” possa ascriversi alla Legge 194. La Relazione tace altresì sul ruolo attivo svolto dai consultori familiari nel ridurre le intenzioni di aborto, e così favorire nascite che diversamente non si avrebbero. Ci si limita, sotto questo aspetto, a segnalare che dai «dati raccolti, come negli anni passati emerge un numero di colloqui IVG superiore al numero di certificati rilasciati (44.222 colloqui vs 31.234 certificati rilasciati), ciò potrebbe indicare l’effettiva azione per aiutare la donna a rimuovere le cause che la porterebbero all’interruzione della gravidanza» (ivi, p. 58). Va aggiunto che il numero degli obiettori di coscienza nei consultori è molto inferiore rispetto a quello registrato nelle strutture ospedaliere e tende a diminuire ulteriormente (29.7% vs 70.5% nel 2015 e 23.1% vs 70.9% nel 2016, secondo la precedente Relazione).
  2. Nella Relazione viene infine sfatato il mito della pretesa carenza cronica dei ginecologi non-obiettori operanti nella sanità pubblica, leitmotiv cui sono soliti ricorrere i sostenitori di una liberalizzazione selvaggia dell’IVG. I parametri per misurare l’incidenza dell’obiezione di coscienza esercitata dal personale sanitario, ai sensi dell’art. 9, sono tre e le relative evidenze concordano nel provare che ad oggi, in Italia, non esiste un problema di accesso all’IVG determinato dall’esercizio dell’obiezione. I parametri adottati tengono conto di:

a)       Offerta del servizio in termini di numero assoluto di strutture disponibili. Dall’analisi emerge che il numero totale delle strutture con reparto di ostetricia e/o ginecologia a livello nazionale, nel 2018, risulta pari a 558 (erano 591 nel 2017), mentre il numero di quelle che effettuano le IVG nel 2018 risulta pari a 362, cioè il 64,9% del totale (era il 64,5% nel 2017 e il 60,4% nel 2016). Si è verificato, quindi, un lieve aumento percentuale di strutture disponibili (cfr. ivi, p. 53);

b)      Offerta del servizio in termini relativi rispetto alla popolazione fertile e ai punti nascita. Dalla relazione si apprende che «a livello nazionale, ogni 100.000 donne in età fertile (15-49 anni), si contano 3,0 punti nascita, contro 2,9 punti IVG. Considerando quindi sia il numero assoluto dei punti IVG che quello normalizzato alla popolazione di donne in età fertile, la numerosità dei punti IVG appare più che adeguata, rispetto al numero delle IVG effettuate» (ivi, p. 55);

c)       Offerta del servizio IVG, tenuto conto del diritto di obiezione di coscienza degli operatori, in relazione al numero medio settimanale di IVG effettuate da ogni ginecologo non obiettore. Dalla relazione emerge che, «considerando 44 settimane lavorative in un anno (valore utilizzato come standard nei progetti di ricerca europei), il numero di IVG per ogni ginecologo non obiettore, settimanalmente, va dalle 0,3 della Valle d’Aosta alle 3,8 del Molise, con una media nazionale di 1,2 IVG a settimana, dato stabile rispetto all’anno precedente. Il rapporto tra non obiettori e IVG effettuate, quindi, appare abbastanza stabile a livello nazionale; eventuali problemi nell’accesso al percorso IVG potrebbero essere riconducibili ad una inadeguata organizzazione territoriale (ivi, p. 56 – 57).

  1. Leggendo fino in fondo la nota ministeriale, si ha come l’impressione che a oggi invalga, su larga scala, una cultura che tende a normalizzare la concezione dell’aborto come un mezzo di controllo delle nascite, in spregio al principio enunciato dalla 194\1978. Lo si evince da fattori molteplici, quali la diffusione, specie tra le giovani generazioni, di una “mentalità contraccettiva” che si estende in mentalità abortiva; la sempre maggiore determinazione con cui gli organismi sovranazionali, ONU in primis, promuovono a livello planetario programmi di sviluppo delle popolazioni più povere per mezzo della diffusione capillare di strumenti e strutture finalizzati a favorire l’aborto; la sempre maggiore promozione dell’uso strumentale della sessualità; l’ossessione con cui si promuove la salute riproduttiva della donna basandola unicamente sulla libertà e sulla facilità di accesso alle soluzioni abortive; una generale cultura della banalizzazione della vita e della dignità personale dell’essere umano. E’ un’autentica emergenza culturale, antropologica, i cui effetti sembrano sfuggire a chi dovrebbe recepire e discutere questi dati, in primis il Parlamento.

Antonio Casciano                   4 luglio 2020

www.centrostudilivatino.it/lattuazione-della-l-194-consultori-obiettori-contraccezione-abortiva-3

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

ABORTO VOLONTARIO CHIMICO

Aborto chimico. L’ambulatorio è la nuova frontiera della Ru486

E’ una mappa confusa e intricata quella delle regole relative all’aborto chimico nelle diverse zone d’Italia. E a rendere ancor più variegato il mosaico dei differenti protocolli sanitari c’è la recente decisione della giunta regionale della Toscana, che lunedì ha autorizzato l’interruzione volontaria di gravidanza con la Ru486 direttamente in ambulatorio, fuori dai reparti ospedalieri. Dopo la somministrazione del farmaco, la donna dovrà restare all’interno del presidio soltanto fino a una prima valutazione medica, per poi tornare in ambulatorio circa 48 ore dopo e assumere il misoprostolo per l’espulsione del feto. In questo modo ci si distacca sempre più dai principi e dai parametri di sicurezza posti dalla legge 194 del 1978, e la donna, dopo l’assunzione della pastiglia, viene lasciata sola, in attesa che il farmaco faccia il suo effetto.

Secondo l’ultima relazione del ministro della Salute sull’attuazione della legge 194 appena presentata al Parlamento con i dati del 2018, l’uso dell’aborto farmacologico è in continua crescita, pur con differenze enormi tra le Regioni: a livello nazionale, il mifepristone (cioè la Ru486) con successiva somministrazione di prostaglandine (per espellere il feto) è stato adoperato nel 20,8% dei casi, rispetto al 17,8% del 2017 e al 12,9% del 2014. Considerando anche i casi per i quali è stato utilizzato uno solo dei due farmaci, la percentuale sale al 24,2% del totale degli aborti: in valori assoluti, circa 18.500 casi in un anno. Nelle linee di indirizzo del Ministero della Salute pubblicate nel 2010 fu stabilita la necessità del regime di ricovero ordinario per tre giorni «per un’attenta sorveglianza sanitaria, in modo da ricevere un’assistenza immediata se si verifica un’emorragia importante».

            Ormai è sfida aperta alle regole sanitarie dettate quando il farmaco fu introdotto. Con Emilia Romagna, Liguria, Lazio, Puglia, Piemonte e Lombardia, sono 7 le amministrazioni che hanno reso più incerta la pratica Nel 2018 gli aborti con Ru486 sono arrivati al 20,8% In crescita le pillole del giorno dopo e dei 5 giorni dopo con quasi 600mila confezioni vendute

Per evitare che l’aborto chimico possa essere sottovalutato nelle sue conseguenze, il documento insisté molto sull’importanza di «una corretta informazione»: si deve tenere in considerazione infatti che «l’efficacia è del 93– 95%, e che quindi, nel 5% circa dei casi, è necessario sottoporsi comunque a un intervento chirurgico per completare l’aborto o fermare un’emorragia importante in atto».

E anche se, secondo la raccolta dati effettuata nel 2010–11 dal Ministero, era emerso che molte donne (76%) avevano richiesto di andarsene a casa dopo la somministrazione di mifepristone o prima dell’espulsione completa del feto, la commissione aveva chiaramente affermato che è «fortemente sconsigliata la dimissione volontaria contro il parere dei medici prima del completamento di tutta la procedura perché in tal caso l’aborto potrebbe avvenire fuori dall’ospedale e comportare rischi anche seri per la salute della donna».

Nel corso degli anni però le Regioni, in autonomia, hanno adottato nuovi protocolli, discostandosi molto dalle indicazioni ministeriali che erano state definite dagli esperti e poi confermate dal Consiglio superiore di sanità. Fin dall’inizio l’Emila Romagna, la Toscana e la Liguria hanno permesso l’aborto farmacologico in regime di day hospital, poi si sono aggiunte altre Regioni, come il Lazio nel 2014, la Puglia nel 2016, il Piemonte nel 2018 e la Lombardia nel 2019.

La nuova presidente della Regione Umbria, Donatella Tesei, ha invece deciso pochi giorni fa di tornare a rendere obbligatorio il ricovero, abrogando quanto previsto dalla giunta precedente. Una disomogeneità territoriale che crea confusione e che lo stesso governo critica: «La tipologia di intervento e la durata della degenza – si legge ancora nella relazione al Parlamento sulla legge 194 – evidenziano una variabilità regionale che suggerisce la necessità di un approfondimento da parte degli organi regionali, anche attraverso un confronto interregionale, per capirne le motivazioni e uniformare i protocolli terapeutici, al fine di assicurare un’offerta efficiente e di qualità».

In generale, al Nord e nel Centro Italia il ricorso all’aborto chimico è più diffuso: in Piemonte circa il 47% delle interruzioni di gravidanza avviene in modalità farmacologica (2.000 all’ospedale Sant’Anna di Torino, in Liguria poco più del 40% e poi Emilia Romagna, Toscana, Puglia e Lazio. La Toscana è stata la prima Regione ad adottare la Ru486 in via sperimentale già nel 2005 facendola arrivare dall’estero.

Con la decisione di somministrare i farmaci abortivi anche in ambulatorio, sebbene il governatore Enrico Rossi parli di «passo avanti», in realtà ci si allontana ulteriormente dalle raccomandazioni ministeriali, basate su tre pareri del Consiglio superiore di sanità, di composizione diversa e durante tre diverse legislature. «Sono farmaci a elevato rischio – spiega Emanuela Lulli, ginecologa e membro del consiglio esecutivo nazionale di Scienza & Vita –: le emorragie e le infezioni che ne possono scaturire non sono affrontabili in casa. In questo modo si prova a ottimizzare il percorso, facendo sembrare leggero qualcosa che ha ripercussioni importanti dal punto di vista fisico e psicologico. Come medico e come donna che incontra altre donne in quei momenti difficili, sono convinta che questo sia solo un modo per aumentare la loro tragica solitudine».

Danilo Poggio                   Avvenire 2 luglio 2020

www.avvenire.it/famiglia-e-vita/pagine/ru486-ambulatorio-nuova-frontiera

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

ABUSI

Polonia: i fedeli chiedono di prevenire gli abusi

Il direttore della Sala Stampa della Santa Sede, Matteo Bruni, ha risposto ai giornalisti dopo l’appello di un gruppo di fedeli polacchi pubblicato sul quotidiano “La Repubblica”. “La Chiesa deve fare tutto il possibile perché i casi di abuso vengano allo scoperto”.  “Il Santo Padre è informato dell’appello di un gruppo di fedeli polacchi e prega per coloro che lo hanno rivolto. La Chiesa tutta deve fare il possibile perché venga applicata la normativa canonica, i casi di abuso vengano allo scoperto e i colpevoli di questi gravi delitti siano puniti”. Con queste parole il direttore della Sala Stampa Matteo Bruni ha risposto ai giornalisti che gli chiedevano di commentare l’appello pubblicato a proprie spese da 635 fedeli polacchi sul quotidiano italiano “La Repubblica” la mattina di lunedì 29 giugno 2020.

“Santo Padre Francesco! Ripara la nostra Chiesa!” è il titolo dell’appello. “Ti supplichiamo! – hanno scritto i firmatari al Papa –. Guarda con premura alla Chiesa in Polonia, dove si sono verificati casi di pedofilia, e la lealtà verso l’istituzione è cieca e sorda, più importante del bene delle vittime”. I firmatari lamentano “la mancanza di una reazione decisiva della gerarchia ecclesiastica” e sottolineano che certi comportamenti colpiscono l’unità della Chiesa, “perché ci divide tra quelli che sono preoccupati per l’immagine dell’istituzione e quelli che hanno a cuore il bene delle vittime”.

Vatican news              30 giugno 2020
www.vaticannews.va/it/chiesa/news/2020-06/abusi-polonia-papa.html

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

ADOZIONE

Garante dell’Infanzia. “L’adozione sia concepita come ordinaria e non straordinaria”

L’adozione in Italia? Serve un cambio culturale, di modo che sia concepita come “ordinaria e non straordinaria”. Il parere è quello della dottoressa Filomena Albano, titolare uscente dell’AGIA – Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza, ruolo che ricopre dal 2016. In precedenza, dal 2009 al 2015, la Albano era stata membro della CAI – Commissione Adozioni Internazionali. “L’Italia – ha dichiarato la Albano nel corso di un’intervista a Interris.it – è sempre stato un paese aperto verso le adozioni internazionali e questo ha permesso negli anni di costruire un patrimonio di storie, affetti e professionalità che non si deve rischiare di disperdere. L’adozione è una delle espressioni più alte di solidarietà e di vicinanza tra persone che condividono un’esperienza di genitorialità consapevole e genera ricchezza per l’intera collettività. Per questo motivo deve essere sostenuta e valorizzata. In che modo? Innanzitutto aumentando la sensibilità verso l’accoglienza e in questo senso abbiamo promosso ‘Linee di indirizzo per favorire il diritto allo studio dei ragazzi adottati’

www.google.com/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=&cad=rja&uact=8&ved=2ahUKEwic3pvg5NjqAhULyaQKHdGpDxwQFjAAegQIBRAB&url=https%3A%2F%2Fwww.istruzione.it%2Fallegati%2F2014%2Fprot7443_14_all1.pdf&usg=AOvVaw1YntkR6gamShBS9PvIzNzx

e sulle ‘Linee guida per il diritto allo studio delle alunne e degli alunni fuori della famiglia di origine’,

www.google.com/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=&ved=2ahUKEwjW0Juj49jqAhUMDOwKHRC_AHMQFjAAegQIBhAB&url=https%3A%2F%2Fwww.garanteinfanzia.org%2Fsites%2Fdefault%2Ffiles%2Flinee_guida_per_il_diritto_allo_studio_delle_alunne_e_degli_alunni_fuori_dalla_famiglia_di_origine.pdf

 oltre che iniziative di formazione destinate a insegnanti e operatori della scuola per prepararli ad accogliere i bambini in classe nel modo migliore. Più in generale, poi, è necessario promuovere la cultura dell’adozione e lavorare perché sia percepita come ordinaria e non straordinaria: occorre raccontare le storie dei bambini e dei ragazzi adottati partendo dal loro vissuto quotidiano e non soltanto nelle situazioni eccezionali. Serve poi investire nelle reti territoriali sociali e istituzionali che si occupano di preparare le adozioni e di offrire i servizi nella fase successiva: bisogna sostenere le famiglie, mettere in campo interventi per le adozioni più complesse e investire nel supporto medico sanitario e psicologico per aiutare le famiglie con bambini che hanno bisogni speciali”.

Il 19 giugno 2020 scorso, l’Autorità Garante ha inoltre inviato una lettera al premier Giuseppe Conte, “chiedendo una strategia unitaria per porre al centro bambini e ragazzi nella seconda fase dell’emergenza sanitaria causata dalla pandemia di Covid-19. Vanno varati – si legge nella lettera – un piano straordinario di interventi, formulato ascoltando la voce e le opinioni degli stessi minorenni secondo sistemi strutturati di partecipazione e che superi la frammentarietà degli interventi in questo campo. Vanno inoltre definite linee di bilancio ad hoc per l’infanzia e l’adolescenza come già richiesto dall’Onu all’Italia. Infine, bambini e ragazzi devono essere coinvolti nelle decisioni che li riguardano”.

www.garanteinfanzia.org/news/ora-porre-al-centro-bambini-e-ragazzi

Sì, perché il mandato della dottoressa Albano è forse coinciso con una delle emergenze più drammatiche per l’infanzia che l’Italia ricordi in tempi recenti: quella del Coronavirus, che ha visto le istituzioni, purtroppo, rispondere a rilento alle istanze dei minori, privati per mesi della scuola, delle amicizie, degli spazi di svago.

            “La vita dei bambini e dei ragazzi – ha spiegato ancora la dottoressa – in particolare di quelli più vulnerabili è stata stravolta: senza scuola, senza contatti sociali e a causa dell’interruzione dei servizi loro dedicati, hanno vissuto in condizioni di isolamento ed emarginazione. La didattica a distanza ha acuito le differenze, mettendo maggiormente in evidenza le situazioni di disagio in cui vivono alcune aree del Paese. Basti pensare ai bambini in condizione di povertà educativa, a quelli delle periferie, ai bambini che non hanno avuto la possibilità di avere a fianco un genitore pronto a sorreggerli e stimolarli, ai bambini e i ragazzi con background migratorio o a quelli con disabilità, per i quali la scuola rappresenta un importante luogo di inclusione. Inoltre i problemi legati alla didattica a distanza – mancanza di dispositivi di connessione, carenza di infrastrutture della rete e assenza di competenze digitali – non hanno permesso a tutti di mantenere “lo stesso passo”. La conseguenza è stata che in alcune aree geografiche e in alcuni contesti sociali bambini e ragazzi non sono stati raggiunti dalla didattica a distanza, con il rischio di un sensibile aumento dei numeri della dispersione scolastica. Anche per questo l’Autorità ha suggerito di realizzare, già durante l’estate, attività che possano consentire di colmare il gap educativo”.

AiBinews        30 giugno 2020

www.aibi.it/ita/garante-dellinfanzia-filomena-albano-ladozione-sia-concepita-come-ordinaria-e-non-straordinaria

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

ADOZIONI INTERNAZIONALI

Una storia straordinaria in tempo di pandemia

È stata una storia a lieto fine quella di due coppie adottive, in carico all’Istituto La Casa e ad Amici Trentini, che hanno potuto completare l’adozione e rientrare in Italia dalla Bolivia il 20 maggio 2020 durante lockdown e pandemia.

La coppia in carico all’Istituto La Casa era partita a febbraio per raggiungere Sucre, in Bolivia, e adottare due fratelli di 8 e 6 anni. Dopo la prima udienza davanti al tribunale, lo scoppio della pandemia ha imposto alla famiglia (i figli vengono affidati fin dai primi giorni alla coppia di genitori) l’obbligo di restare in casa e ha letteralmente bloccato il proseguimento dell’iter adottivo vista la chiusura di uffici e tribunali. La procedura boliviana prevede infatti due udienze davanti al tribunale oltre alle relazioni dei servizi sociali locali sull’integrazione familiare genitori-figli.

            L’Istituto La casa e Amici Trentini, ente che seguiva l’unica altra coppia presente in Bolivia durante la pandemia, hanno messo in campo tutte le risorse, le competenze e le energie possibili. Le coppie e le due famiglie sono state assistite e sostenute per tutto il periodo dal punto di vista psicologico tramite colloqui a distanza. Dal punto di vista tecnico, istituzionale ed operativo i due enti hanno lavorato in sinergia e senza posa, 24 ore su 24, per sensibilizzare le diverse istituzioni italiane e boliviane coinvolte e far rientrare le due coppie, nonostante in quelle città il lockdown continuasse. In Bolivia le azioni si sono svolte tramite i referenti e i legali dei due enti autorizzati in loco. La Commissione Adozioni Internazionali (CAI) è stata molto attiva, sollecitando più volte l’intervento dell’autorità centrale boliviana per le adozioni e delle altre istituzioni coinvolte. I colloqui delle équipe sociali, per verificare l’inserimento familiare dei minori, si sono svolti in videoconferenza e, in tempo record, si è svolta l’udienza dei due tribunali che ha decretato l’adozione dei minori con emissione immediata della sentenza. I due enti autorizzati hanno potuto trasmettere la sentenza alla CAI che ha rilasciato, in poche ore, un’autorizzazione straordinaria all’ingresso per i minori in Italia. L’ambasciatore d’Italia in Bolivia, allertato dai due enti autorizzati ha prontamente emesso i documenti (Emergency travel document) per autorizzare i bambini a lasciare la Bolivia e ha anche organizzato lo spostamento interno dalle città in cui si trovavano le famiglie, Sucre e Cochabamba, a Santa Cruz. L’ultimo atto di questo percorso è stato imbarcare le due famiglie sul volo speciale organizzato dalla Farnesina per far rientrare anche altri cittadini italiani presenti in Bolivia.

            La felice conclusione di questi due percorsi adottivi dimostra che la collaborazione tra enti autorizzati, autorità centrali dei vari Paesi, Farnesina e Ambasciate estere porta a risultati straordinari, anche in tempo di pandemia da Coronavirus.   

Inoltre, tutti gli enti autorizzati italiani riuniti dallo scorso anno nel gruppo “Adozione 3.0”, anche in questa occasione, sono stati di aiuto, collaborando con la Commissione Adozioni Internazionali (CAI) e tra loro, a favore delle coppie bloccate all’estero per la pandemia.

News Istituto La casa             6 giugno 2020

www.istitutolacasa.it/showPage.php?template=news&id=250&id_field=news-eventi

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

CENTRO INTERNAZIONALE STUDI FAMIGLIA

Newsletter CISF – n. 26, 1 luglio 2020

Associazione Don Giuseppe Zilli. In quarant’anni 20 milioni di euro donati dai lettori di famiglia cristiana alle persone in difficoltà. La grande opera benefica viene realizzata grazie all’Associazione Don Zilli Onlus, nata in memoria dello storico direttore don Giuseppe Zilli. Ogni settimana sulle pagine di Famiglia Cristiana (oltre che sul sito dell’Associazione don Zilli) viene presentato il caso di una famiglia in difficoltà, che i lettori aiutano con le loro donazioni. In quarant’anni di attività, oltre 5.000 famiglie aiutate concretamente.

            https://www.famigliacristiana.it/articolo/in-quarant-anni-20-milioni-di-eruo-donati-dai-lettori-di-famiglioa-cristaina-alle-perone-in-difficolta.aspx?utm_source=newsletter&utm_medium=newsletter_cisf&utm_campaign=newsletter_cisf_01_07_2020

Family Act. Gli ostacoli da superare per l’assegno unico per i figli. Sta per arrivare in aula alla Camera la proposta dell’assegno unico per i figli. Opportunità e punti critici di una proposta di grande rilevanza (il commento di Francesco Belletti, direttore Cisf, su ilsussidiario.net). […] Insomma, il Family Act potrebbe finalmente scrivere la storia, per le politiche familiari del nostro Paese, soprattutto attraverso l’istituzione dell’assegno unico per i figli. Ma questo succederà solo quando i princìpi verranno accoppiati a tempi certi, procedure snelle e funzionali, e soprattutto a certezze normative sul valore mensile dell’assegno e sul budget complessivo disponibile”

www.ilsussidiario.net/news/family-act-gli-ostacoli-da-superare-per-lassegno-unico-per-i-figli/2041178

Le relazioni familiari, principale risorsa nelle difficoltà. Sono stati resi noti i primi risultati dell’indagine 2020 su Famiglia e povertà relazionale del Family International Monitor.

www.youtube.com/watch?v=v0OeWRNPwWw&feature=youtu.be

 I dati raccolti confermano che in ogni nazione le relazioni familiari sono la più importante risorsa per affrontare le tensioni e le difficoltà interne ed esterne nella vita quotidiana delle famiglie, ma la loro importanza è ancora più decisiva per le persone più vulnerabili e marginali.

www.famigliacristiana.it/articolo/uno-sguardo-sulla-condizione-della-famiglia-nel-mondo-un-progetto-di-ricerca-internazionale.aspx?utm_source=newsletter&utm_medium=newsletter_cisf&utm_campaign=newsletter_cisf_01_07_2020

OMS/WHO. Adolescenti ed attività fisica: uno studio su The Lancet Child & Adolescent Health. “Nel mondo, più dell’80% degli adolescenti di età compresa tra gli 11 e i 17 anni non raggiunge i livelli di attività fisica raccomandati dall’OMS per uno stile di vita sano[…] Per la ricerca sono stati analizzati i risultati di 298 sondaggi raccolti dall’OMS nel periodo 2001-2016 in 146 Paesi, che rappresentano 1,6 milioni di adolescenti (l’81,3% del totale).In Italia la prevalenza di adolescenti che non svolgono regolare attività fisica è dell’88,6%: nei ragazzi è passata dall’82,9% del 2001 all’85,9% del 2016; nelle ragazze dal 90,6% del 2001 al 91,5% del 2016. Le raccomandazioni OMS. Per gli adolescenti l’OMS raccomanda di svolgere almeno 60 minuti al giorno di attività, da moderata ad alta intensità. Un’adeguata quota di attività fisica nell’adolescenza migliora il sistema cardiovascolare e muscolare, lo sviluppo osseo e il controllo del peso corporeo, con benefici che persistono nel corso dell’età adulta. Inoltre, l’attività fisica influisce positivamente sulla salute mentale e la socialità. È pertanto fondamentale, per gli autori dello studio, identificare e intervenire sulle cause adottando politiche che implementino l’attività fisica tra gli adolescenti”

www.who.int/news-room/detail/22-11-2019-new-who-led-study-says-majority-of-adolescents-worldwide-are-not-sufficiently-physically-active-putting-their-current-and-future-health-at-risk

EU – EIGE. Eligibility for parental leave in EU Member States (Chi ha diritto ai congedi genitoriali nei vari Paesi membri dell’Unione Europea). Interessante ed aggiornata analisi comparativa su diritti e possibilità di usufruire dei congedi parentali, con specifica attenzione alle differenze con cui madri e padri possono accedere a tale prestazione di welfare nei singoli Paesi UE. Il tema è oggi ancora più rilevante, dopo l’approvazione della recente Direttiva UE che amplia le opportunità di sostegno per i caregiver in famiglia.

http://newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/attachments/newscisf2620_allegato2.pdf

La silver economy e le sue conseguenze nella società post covid-19. Rapporto finale dell’Osservatorio Silver economy Censis-Tendercapital. E’ stato recentemente presentato il rapporto su “La silver economy e le sue conseguenze nella società post Covid-19”. La ricerca evidenzia quali sono le conseguenze della pandemia anche per i più longevi, over 65 anni, se si è creato un divario tra giovani e anziani e come questi ultimi hanno reagito durante l’emergenza sociale, economica e sanitaria.

www.spotandweb.it/wp-content/uploads/2020/06/Rapporto-finale-Osservatorio-Censis-Tendercapital.pdf

Webinar – formazione a distanza. Progetto vela (“Il futuro del lavoro oggi: veloce, leggero, agile”). Nove amministrazioni pubbliche hanno creato una cassetta degli attrezzi utilizzabile da parte delle Amministrazioni Pubbliche interessate a implementare un progetto di smart working. Affinché un progetto di Smart Working abbia successo è necessario, da una parte sviluppare le leve operative e manageriali efficaci che consentano di gestire organizzazioni dinamiche e flessibili, dall’altra rafforzare le competenze e diffondere una cultura del cambiamento anche tra le persone che sperimenteranno un nuovo modello organizzativo basato sulla responsabilizzazione e sull’autonomia. A questo link sono presenti 8 video-pillole della durata di 5 minuti finalizzate ad affrontare gli aspetti pratici e operativi e a rafforzare le soft skills per lavorare in modo Smart

www.trentinofamiglia.it/News-eventi/News/Video-pillole-smart-working-Provincia-autonoma-di-Trento?utm_medium=email&utm_source=VOXmail%3A597651+Nessuna+cartella&utm_campaign=VOXmail%3A1852784+10.+Newsletter+dellAgenzia+per+la+famiglia%2C+natalita+e+polit

Dalle case editrici. Mazzarella Raffaele, “Dio vi ricompensi”. Karol Wojtyla, il Papa della famiglia e della vita. Storia di un uomo diventato Santo, Guida Editore, Napoli, 2020, pp. 131. Riscoprire i punti di riferimento culturali e religiosi in questo tempo di grande incertezza: questo l’obiettivo del libro “Dio vi ricompensi”, scritto in occasione del primo centenario dalla nascita di Karol Wojtyla, “il Papa della famiglia e della vita”. Un libro che ci fa incontrare anche persone straordinarie che hanno avuto la grazia di stargli accanto: il cardinale Stanislao Dziwisz, suo segretario e poi vescovo di Cracovia ed il cardinale Camillo Ruini. Un diario di viaggio, una biografia, un interessante contributo alla diffusione del magistero, della spiritualità, dell’opera straordinaria di questo Papa santo. Ma soprattutto questa biografia è inserita in un più ampio progetto culturale e pastorale, che prevede la divulgazione della vita e della spiritualità di San Giovanni Paolo II mediante l’ostensione della Reliquia del Santo, ricevuta dal Centro Culturale San Paolo nel 2017 direttamente dalle mani del card. Dziwisz. Questo libro vuole quindi essere uno strumento a servizio di tutti coloro che nella continua e frenetica corsa quotidiana vogliono dedicarsi un tempo per rigenerare il proprio spirito, la propria anima, sull’esempio ed implorando la guida di un santo contemporaneo che è stato per molti un testimone spirituale di momenti significativi della loro esistenza.

www.sanpaolostore.it/dio-vi-ricompensi-raffaele-mazzarella-9788868666118.aspx?Referral=newsletter_cisf_20200701

Iscrizione               http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/newsletter-cisf.aspx

Archivio       http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/elenco-newsletter-cisf.asp

newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/luglio2020/5179/index.html

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

CENTRO ITALIANO SESSUOLOGIA       

Intervista CIS alla Dott.ssa Margherita Graglia

Brevemente di cosa si occupa e qual è la sua specializzazione?

            Sono una psicologa-psicoterapeuta, sessuologa clinica. Mi occupo anche di formazione e sono saggista. Per quanto concerne la sessuologia mi occupo della sessualità in generale e delle varie disfunzioni che si possono presentare; lavoro con le coppie o laddove non sia possibile con i singoli pazienti.
Affianco all’attività clinica quella di formatrice in vari ambiti: educativo, sanitario e delle Pubbliche amministrazioni. Ad esempio, ha organizzato e condotto in varie sedi italiane i corsi: “Educare al rispetto” rivolto agli insegnanti per contrastare il bullismo omotransnegativo e ”l’identità sessuale in età evolutiva” rivolto agli operatori psico-socio-sanitari. Ho partecipato a vari progetti nazionali ed europei sui temi dell’identità sessuale, ad esempio come docente e coordinatrice del team formativo della Strategia nazionale LGBT [persone Lesbiche, Gay, Bisessuali e Transgender.] per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere dell’UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali presso il Dipartimento Pari Opportunità). Sono coordinatrice del Tavolo interistituzionale per il contrasto all’omotransnegatività e per l’inclusione delle persone LGBT del Comune di Reggio Emilia. Ho scritto numerosi articoli scientifici sui temi dell’identità sessuale e delle discriminazioni, per Carocci editore ho realizzato i testi: Le differenze di sesso, genere e orientamento. Buone prassi per l’inclusione (Carocci, 20199), Omofobia. Strumenti di analisi e intervento (2012) e Psicoterapia e omosessualità (2009).

Quali studi ha intrapreso per esercitare la sua professione?

Mi sono laureata in psicologia, quindi ho fatto la scuola di specializzazione in psicoterapia a orientamento costruttivista intersoggettivo e mi sono ulteriormente specializzata in sessuologia clinica.

Qual è la gratificazione maggiore del suo lavoro?

Rispetto al lavoro clinico è scorgere il cambiamento, a volte rapido a volte più lento, a volte evidentissimo, altre volte quasi impercettibile, rappresentato da minimi aspetti, eppure fondamentali e inimmaginabili a inizio percorso. Anche per quanto concerne il lavoro di formazione vedere il cambiamento nei partecipanti è una fonte di grande soddisfazione e motivazione. Quando le persone coinvolte nella formazione iniziano a confrontarsi, a fare connessioni, a esprimersi liberamente è davvero emozionante assistere alle riflessioni che emergono, alla creatività di cui le persone sono capaci.
Partecipare al cambiamento altrui, sia che riguardi il setting clinico sia quello formativo, coinvolge anche il mio cambiamento; sono grata alle persone che ho incontrato come psicoterapeuta e come formatrice in quanto mi hanno dato la possibilità di affinare il mio sguardo, mettermi in discussione, attivare, anche per quanto mi riguarda, processi di cambiamento. Entra quindi in gioco, sia nella psicoterapia sia nella formazione, l’importanza della relazione. Costruire l’alleanza terapeutica o il clima dell’aula propizio al cambiamento è certamente impegnativo ma allo stesso tempo è stimolo e fonte di grande appagamento. A questo proposito mi piace citare lo psicoanalista Searles (1992) che affermava: “Un paziente diventa, obiettivamente, un essere umano che suscita simpatia, ammirazione e, in un senso fondamentale, amore”. Ecco io mi sento proprio innamorata del mio lavoro.

Quando viene richiesto il suo aiuto?

            Come psicoterapeuta le domande possono essere le più disparate e riguardare appunto l’ambito della sofferenza umana, inoltre oltre alle problematiche psichiche generali e a quelle sessuologiche mi occupo anche nello specifico degli aspetti riguardanti l’identità sessuale, quindi l’identità di genere e l’orientamento sessuale. Vedo pertanto persone LGBTI (lesbiche, gay, bisessuali, transgender, intersessuali) che si rivolgono a me rispetto a questo tema specifico, mentre altre persone LGBTI non portano questioni legate alla loro identità, ma semplicemente sanno che rivolgendosi a me possono trovare uno spazio sicuro, privo di pregiudizi, che possa loro permettere di occuparsi dei temi ritenuti rilevanti. Le persone LGBTI possono anche portare questioni specifiche e su questi aspetti occorre essere preparati, non ci si può improvvisare, il rischio infatti è quello di riproporre stereotipi o pratiche cliniche eteronormative o cisnormative che possono compromettere il percorso terapeutico.

Nell’ambito LGBTI lavoro con singole persone, coppie, famiglie omogenitoriali e genitori di persone LGBTI. Nell’ambito dell’identità trans seguo persone durante la transizione sociale e/o fisica, sia adulti sia adolescenti e vedo anche genitori che chiedono consulenza per i loro bambini gender variant [variabilità di genere] translate.google.com/translate?hl=it&sl=en&u=https://en.wikipedia.org/wiki/Gender_variance&prev=search&pto=aue

Lavoro anche con le persone intersessuali e i loro famigliari. La mia attività riguarda inoltre le scuole e altre agenzie educative, mi occupo di formazione e consulenza allo scopo di preparare gli insegnanti, ad esempio rispetto agli studenti trans o a quelli che hanno famiglie omogenitoriali. Allo stesso tempo collaboro anche con le istituzioni. Il Tavolo del Comune di Reggio Emilia che coordino, ad esempio, è un’esperienza molto importante in quanto è la prima iniziativa in Italia a impegnare tutte le Istituzioni di un territorio in un progetto collettivo. Tutte le istituzioni hanno infatti sottoscritto un protocollo per adottare ben 86 buone prassi per l’inclusione degli utenti e del personale LGBT

Recentemente mi è stata anche richiesta dalla Commissione Giustizia della Camera dei Deputati, un’audizione come esperta sull’antidiscriminazione relativa ai progetti di Legge sulle discriminazioni e sulle violenze motivate dall’identità di genere e dall’orientamento sessuale. Spero che il mio contributo possa essere d’aiuto nell’approvazione di una legge fondamentale per il nostro paese.

Quanto viene personalizzata la terapia?

La terapia è un percorso che ogni volta va adattato alle specificità della persona coinvolta, questo richiede una grande capacità di flessibilità e di analisi per mettere a fuoco le peculiarità della situazione da parte del terapeuta e sapersi muovere di conseguenza. Ogni percorso è infatti un insieme di vincoli e di possibilità, si tratta di navigare in questo spazio, trovando la bussola e trovandola insieme alla persona o alle persone che chiedono aiuto. Il mio approccio, quello costruttivista, considera infatti fondamentale co-costruire insieme alla persona la rotta. Dico sempre che io sono esperta del metodo e la persona che si rivolge a me è esperta di se stesso/a/* e che queste due competenze possono collaborare insieme. Ho quindi la mia cassetta di attrezzi, ma non applico protocolli, cerco di volta in volta di mettere a fuoco le modalità migliori per affrontare insieme alla persona la situazione che mi viene portata. La terapia è un viaggio condiviso e si decide insieme dove andare.

Come vede affrontato il discorso della sessualità nelle nuove generazioni?

Il tema è molto ampio; per quanto concerne ad esempio i temi di cui ho poc’anzi trattato, ossia quelli riguardanti le identità sessuali, stiamo assistendo a un cambiamento davvero significativo. C’è stato un cambio di cultura importante. Fino a 10/15 anni fa mi capitava ad esempio di ricevere domande di consulenza da parte di genitori che avevano o sospettavano di avere figli omosessuali e che si rivolgevano a me con la richiesta più o meno esplicita di cambiare l’orientamento sessuale del figlio, mentre negli ultimi anni i genitori non portano nemmeno più i figli in consulenza ma vengono direttamente loro in seduta, consapevoli di avere loro una difficoltà di accettazione.

Inoltre c’è tutto il tema delle “nuove” identità emergenti LGBT: pansessuale, pangender, queer, gender non binary, ecc. E’ in qualche modo un nuovo mondo che implica da parte dei professionisti della salute un nuovo sguardo, una messa in discussione di vecchi modelli. Per quanto mi riguarda è molto entusiasmante.

A chi spetta il compito di impartire l’Educazione sessuale nelle scuole?

            Innanzitutto è necessario affermare con grande chiarezza che l’educazione sessuale è un’opportunità educativa che dovrebbe essere garantita a tutti gli studenti. Sappiamo invece che ancora troppo spesso non è cosi, L’Italia è infatti un paese sessuofobico.

Mi è capitato di lavorare con educatori provenienti da altri paesi europei, come l’Olanda, ed è impressionante il lavoro che sono riusciti a fare. Trattano i temi della sessualità con le ragazze e i ragazzi in modo chiaro e approfondito con una metodologia molto partecipativa e senza i problemi che invece devono affrontare gli educatori che nel nostro paese vogliono proporre l’educazione sessuale a scuola.

 Una situazione incredibilmente arretrata che si ripercuote sulle nuove generazioni. Bisognerebbe sensibilizzare maggiormente i dirigenti scolastici e gli insegnanti sull’importanza dell’educazione sessuale, ma molto spesso l’intoppo riguarda i decisori pubblici che pongono numerosi ostacoli alla realizzazione di queste iniziative.

 L’educazione sessuale è poi fondamentale che sia impartita da educatori che siano adeguatamente preparati. Sarebbe anche auspicabile che in famiglia si parlasse maggiormente di sessualità e che i genitori a loro volta venissero preparati per parlare degli argomenti inerenti la sessualità con i loro figli. Come sessuologa clinica incontro persone che mi portano problematiche nella sfera sessuale che affondano le radici proprio nella mancanza di un’adeguata informazione sulla sessualità, o perché sono state veicolate informazioni sbagliate o attribuiti significati negativi alla sessualità.

www.cisonline.net/news/intervista-alla-dott-ssa-margherita-graglia

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

CHIESA CATTOLICA

In Amazzonia nasce la Conferenza ecclesiale dell’Amazzonia

A meno di cinque mesi dalla pubblicazione di “Querida Amazonia”, l’esortazione, anzi, la lettera d’amore scritta da Papa Francesco dopo il Sinodo sulla Regione Pan-Amazzonica dell’ottobre 2019, è nata ufficialmente il 29 giugno 2020 la Conferenza ecclesiale dell’Amazzonia. Un frutto in mezzo al deserto umano, sociale ed economico causato dal Covid che ha messo in ginocchio una parte di mondo già sofferente e provocato finora oltre 13mila vittime. Alla guida del nuovo organismo è stato eletto, al termine di tre giorni di assemblea via web, il cardinale Claudio Hummes, presidente della Repam (Rete Ecclesiale Panamazzonica). Al suo fianco significativa la scelta di porre tre rappresentanti indigeni; tra questi Patricia Gualinga della comunità Kichwa di Sarayaku (Ecuador), realtà che Vatican Insider ha avuto il privilegio di conoscere da vicino.

www.lastampa.it/vatican-insider/it/2019/10/05/news/amazzonia-viaggio-nella-comunita-indigena-di-sarayaku-tra-riti-antichi-e-nuovi-smartphone-1.37681638

Attivista per i diritti umani, più volte ospite all’Onu per denunciare le condizioni di vulnerabilità in cui vive la sua popolazione, Patricia spiega quello che sarà il suo ruolo nella Conferenza ecclesiale e come esso rappresenti un passo avanti per le tante donne dell’Amazzonia che aspirano ad una maggiore partecipazione nella Chiesa: «Ce lo meritiamo, non siamo invisibili».

Patricia, unica laica e indigena all’interno di un organismo ecclesiale composto principalmente da vescovi. Cosa significa questo per lei?

«Sicuramente è un onore ma soprattutto una grande responsabilità. Raramente, per non dire mai, sono stati coinvolti laici e tantomeno indigeni in istituzioni della Chiesa. La mia nomina, insieme a quella di Dario Siticonatzi e suor Laura Vicuña, aiuterà ad offrire una visione dall’interno delle popolazioni indigene, di ciò che esse soffrono e del loro impegno per la difesa dei territori. Sarà anche un modo per capire quale tipo di accompagnamento la Chiesa deve offrire a questa gente».

La sua presenza nella Conferenza ecclesiale quale tipo di messaggio manda alle tante donne indigene per le quali il Sinodo invocava una più ampia partecipazione nella Chiesa?

«Indubbiamente è un passo avanti, anche solo per il fatto che non era mai accaduto prima. Personalmente, ripeto, si tratta di una responsabilità enorme perché attraverso di me si vuole dare visibilità alle tante madri, nonne, sorelle, figlie che abitano l’Amazzonia. Donne che portano avanti famiglie e intere comunità e che aspirano ad una maggiore presenza negli spazi della Chiesa. Noi donne ce lo meritiamo, abbiamo bisogno di agire, di parlare, non dobbiamo restare invisibili! Mi auguro che questo possa aprire la mente e far riflettere sulle nuove trasformazioni che il momento storico attuale richiede».

Sono anni che porta nel mondo il grido dei popoli nativi. Il suo nome viene identificato come “attivista dei diritti umani”. Il nuovo incarico quale contributo darà alla sua missione?

«Difendere l’Amazzonia e il suo ecosistema è un diritto umano vitale. Io continuerò a portare avanti il mio impegno e non credo di cambiare, anzi, far parte di un organismo simile sarà una spinta ad insistere affinché la Chiesa sia amica e alleata dell’Amazzonia e veda in essa una parte vitale per l’equilibrio del pianeta. Stiamo parlando di uno dei luoghi della creazione di Dio, importante per l’umanità ma anche per la stessa Chiesa».

Come si svolgerà il lavoro della Conferenza ecclesiale? Avete già stilato un programma di lavoro?

«Lavoreremo dal territorio, “attraversando il territorio” come richiesto dai Padri del Sinodo in Vaticano. La Conferenza non è altro che il risultato del lungo cammino che è stato il Sinodo, nonché frutto del documento di Papa Francesco».

Sinodo che ha ricevuto diverse critiche per il fatto che sarebbero stati introdotti nella Chiesa cattolica simboli e riti pagani. 

«Ma sì, anche io ho letto commenti del genere. C’è ancora chi vede la presenza di una persona come me come qualcosa di irrituale o addirittura un sacrilegio. Credo che sia una visione triste che impedisce di vedere quello che, forse per la prima volta, si sta realmente facendo e cioè unire le forze per difendere i diritti di gente che soffre. Naturalmente la spiritualità è trasversale: non si tratta però di imporsi l’uno sull’altro, ma di rispettarsi e guardare più in là. È questa la ricchezza».

Invece per gli indigeni, alcuni dei quali hanno lamentato in passato una ingerenza della Chiesa nelle loro culture e tradizioni, è positivo o no che sia nata un’istituzione del genere?

«Molti hanno accolto l’organismo ecclesiale come un sostegno e un’istanza che ha dato voce alle loro proposte. L’obiettivo è di lavorare dal territorio che significa guardare dal di dentro le necessità delle popolazioni native, accompagnandole, fianco a fianco, come amici e non come istituzione che viene ad imporsi. La vera domanda, secondo me, è un’altra».

Quale?

«Cosa significa per la Chiesa universale avere una Conferenza ecclesiale Pan-amazzonica? Credo che sia una sfida ad applicare realmente ciò che dice il Vangelo: stare al lato dei poveri. Mi auguro che si possa avere un riposizionamento nuovo della Chiesa nel territorio amazzonico e non solo». 

Intanto c’è il Covid che aggrava una situazione già complessa. Cosa fate per fronteggiare l’emergenza?

«L’Amazzonia vive moltissime emergenze, il coronavirus è l’ultimo anello di una catena di sofferenze. Ci sono le inondazioni che hanno colpito le abitazioni e le coltivazioni degli indigeni; c’è la contaminazione con la rottura continua di oleodotti usurati che instillano sostanze tossiche nei raccolti o nell’acqua; c’è il dengue, il paludismo, l’abbandono dello Stato. Noi stiamo cercando di agire grazie a volontari, alleati, amici. La Chiesa si “mischia” in questo gruppo: la Repam lavora duramente, come pure gli Episcopati locali. Quello che stiamo facendo è affrontare di petto l’emergenza ed ottenere risposte dal governo che non si è preso le sue responsabilità. Anzi, non credo che neppure ci abbia mai pensato! Siamo stati lasciati in una condizione di abbandono. Ma l’Amazzonia è molto grande e ha bisogno di tante risposte, diverse e immediate»

Salvatore Cernuzio     Vatican insider           03 luglio 2020

www.lastampa.it/vatican-insider/it/2020/07/03/news/in-amazzonia-nasce-la-conferenza-ecclesiale-patricia-gualinga-io-donna-laica-e-indigena-in-mezzo-ai-vescovi-1.39039691

 

Chiesa Cattolica e “sindrome Bartleby”. Il fascino della noncuranza e la vocazione alla cura

            Il grande racconto di Herman Melville, Bartleby lo scrivano, disegna la figura di un segretario diligente, preciso, umile, schivo, e che, tuttavia, entra in una dimensione di rinuncia e di spoliazione, che lo pone in una sorta di “indifferenza ascetica”, in bilico tra anarchia e stoica rassegnazione, e che lo conduce, per gradi, alla rinuncia a tutto, fino a perdere la vita. Bartleby compare sulla scena quando viene assunto dall’innominato avvocato – “io narrante” del racconto – il quale entra in un rapporto di cura e noncuranza, di amore e odio, di attenzione e disprezzo nei confronti del suo dipendente. La enigmaticità del personaggio, che non parla mai se non per rispondere, che resta mite e umile di cuore, ma che si esprime prevalentemente con una frase che è divenuta proverbiale – “Avrei preferenza di no” – ha sollecitato infinite interpretazioni. Questa sorprendente mescolanza di “umiltà” e di “presunzione” hanno sollevato un interesse da parte della critica letteraria, che ha trovato in Bartleby un prototipo anarchico o una figura cristologica, la espressione di una critica del capitalismo o un ideale “perfezionistico”, privo di alcuna mediazione.

La figura di Bartleby, con la sua inesauribile ricchezza, può aiutarci a comprendere meglio una tendenza ecclesiale del cattolicesimo degli ultimi 40 anni. Altrove la avevo chiamata “dispositivo di blocco”. Esso costituisce, appunto, un “dispositivo” mediante il quale la Chiesa, in una lunga stagione post-conciliare – che inizia alla fine degli anni 70, e che si afferma tra gli anni 80 e il primo decennio del nuovo secolo – ha risposto ad ogni “segno dei tempi” con una inclinazione “alla Bartleby”: avrei preferenza di no. Il fascino che questa posizione di rigoroso rifiuto di ogni compito, ad ogni cambiamento, assume in Bartleby non è estraneo alla tradizione ecclesiale. La argomentazione che la Chiesa cattolica, almeno nelle sue espressioni magisteriali più autorevoli, ha proposto suona in modo duplice: da un lato, la Chiesa non si riconosce la autorità di poter cambiare; dall’altro contesta con decisa fermezza la pretesa di autorità di chi crede di poter cambiare. La rinuncia alla autorità è, insieme, contestazione e critica di ogni (altro) esercizio della autorità. Si nega il potere di cambiare e, nello stesso tempo, si assolutizza il potere sul non cambiare. In un certo senso, con una qualche somiglianza rispetto alle movenze sorprendenti dello scrivano descritto da Melville, la Chiesa cattolica si è presentata come “mite e umile” nel riconoscere la propria impossibilità di “dire di sì” e contemporaneamente “decisa e inflessibile” nell’escludere ogni altra possibilità. All’”avrei preferenza di no” ha unito “non c’è possibilità per il sì”.

Anche oggi la “sindrome Bartleby” sembra ancora attrarre settori non irrilevanti della compagine ecclesiale. Una Chiesa mite e umile, che dice sempre “avrei preferenza di no” alla comunione sulla mano, alla ordinazione delle donne, ad una traduzione della liturgia che sia fedele non solo al latino, ma anche alla lingua volgare; che dice “avrei preferenza di no” alla possibilità che i diaconi possa “ungere gli infermi”, alla possibilità di cantare al rito di pace, alla possibilità di lavare i piedi alle donne il giovedì santo, alla possibilità di tradurre con “non abbandonarci alla tentazione” la penultima domanda del Padre Nostro ecc. ecc. In questa “chiesa bartlebyzzata” il motto “avrei preferenza di no” diventa il simbolo non solo “tradizionalista”, ma quasi “ascetico” e “contemplativo” di una decisiva indifferenza ad ogni novità.

            Questo fascino e questo attaccamento hanno però subìto un colpo duro con la elezione di papa Francesco. Il quale, pur non essendo affatto insensibile al lato “mite e umile” della figura di Bartleby, e alla sua marginalità, ne contraddice tuttavia la vocazione assoluta alla “stasi”. La contemplazione, già per il Concilio Vaticano II e ora anche per Francesco, non sta nella noncuranza, ma nella cura. Per questo Francesco ha iniziato a “disinserire il dispositivo di blocco” – inventato per delimitare l’impatto del Concilio Vaticano II – e ha rivendicato invece esplicitamente alla Chiesa una “autorità”, limitata ma legittima, condizionata ma mai negata. Per questo, sia pure con una certa necessaria cautela, non è avventato dire che alla “sindrome Bartleby”, che ha segnato almeno 3 decenni di vita ecclesiale, a partire dal marzo del 2013 è subentrata una fase diversa, ancora in fieri, il cui motto è “Avrei preferenza di sì”.

Alle suggestioni di una tradizione garantita dalla noncuranza e dal distacco, pur con tutto il loro fascino, risponde una concezione della tradizione che vive di cura e di coinvolgimento. Tra Bartleby e Ignazio non ci sono somiglianze tanto grandi che non trovino la loro piena verità in una dissomiglianza maggiore.

Andrea Grillo blog: Come se non   5 luglio 2020

www.cittadellaeditrice.com/munera/chiesa-cattolica-e-sindrome-bartleby-il-fascino-della-noncuranza-e-la-vocazione-alla-cura

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

CITTÀ DEL VATICANO

Lo sviluppo della dottrina è la fedeltà nella novità

Certe critiche all’attuale pontificato contestano il Concilio Vaticano II e finiscono per dimenticare il magistero di san Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI

Alcune critiche di carattere dottrinale all’attuale pontificato stanno mostrando una graduale ma sempre più netta presa di distanza dal Concilio Vaticano II. Non da una certa interpretazione di alcuni testi, ma dai testi conciliari stessi. Alcune letture che insistono nel contrapporre Papa Francesco ai suoi immediati predecessori finiscono così per criticare apertamente anche san Giovanni Paolo II e Benedetto XVI o comunque fanno passare sotto silenzio alcuni aspetti fondamentali del loro ministero che rappresentano evidenti sviluppi dell’ultimo Concilio.

            A 25 anni dalla “Ut unum sint”, tra profezia e resistenze. La profezia del dialogo.

Un esempio di quanto appena detto è stato, di recente, il 25.mo anniversario dell’Enciclica “Ut Unum sint” (25 maggio1995) nella quale Papa Wojtyla afferma che l’impegno ecumenico e il dialogo con i non cattolici sono una priorità della Chiesa. L’anniversario è stato ignorato da quanti oggi ripropongono una interpretazione riduttiva della Tradizione, chiusa a quel “dialogo dell’amore”, oltre quello dottrinale, promosso dal Papa polacco in obbedienza all’ardente desiderio di unità di nostro Signore.

www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/encyclicals/documents/hf_jp-ii_enc_25051995_ut-unum-sint.html

La profezia del perdono. Altrettanto trascurato è stato un altro importante anniversario: la richiesta di perdono giubilare fortemente voluta da san Giovanni Paolo II il 12 marzo di vent’anni fa.

                www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/homilies/2000/documents/hf_jp-ii_hom_20000312_pardon.html

È prorompente la forza profetica di un Pontefice che chiede perdono per i peccati compiuti dai figli della Chiesa. E quando si parla di “figli” sono compresi anche i papi. Si sa: chi chiede perdono per gli sbagli compiuti si mette in una rischiosa situazione di revisione. Wojtyla ha scelto profeticamente la strada della verità. La Chiesa non può e non deve avere paura della verità. L’allora cardinale Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, sottolineava la “novità di questo gesto”, un “atto pubblico di pentimento della Chiesa per i peccati del passato e di oggi”: un “mea culpa del Papa in nome della Chiesa”, un gesto davvero “nuovo, ma tuttavia in una profonda continuità con la storia della Chiesa, con la sua autocoscienza”.

Inquisizione e violenza: una coscienza che cresce. Tante leggende nere sono state fomentate su Inquisizione, roghi e intolleranze varie della Chiesa lungo la storia, esagerando, falsificando, calunniando e decontestualizzando per cancellare dalla memoria l’apporto grande e decisivo del cristianesimo all’umanità. E gli storici hanno spesso ricondotto a verità tante distorsioni e mitizzazioni della realtà. Ma questo non impedisce di fare un serio esame di coscienza per “riconoscere – afferma Giovanni Paolo II – le deviazioni del passato” e “risvegliare le nostre coscienze di fronte ai compromessi del presente”. Di qui la richiesta di perdono nel 2000 “per le divisioni che sono intervenute tra i cristiani, per l’uso della violenza che alcuni di essi hanno fatto nel servizio alla verità, e per gli atteggiamenti di diffidenza e di ostilità assunti talora nei confronti dei seguaci di altre religioni”. “Col progresso del tempo – afferma nel 1998 – la Chiesa, guidata dallo Spirito Santo, percepisce con una coscienza sempre più viva quali siano le esigenze della sua conformità” al Vangelo che rifiuta i metodi intolleranti e violenti che nella storia hanno deturpato il suo volto.

Il caso Galileo. Un caso particolarmente significativo è stato quello di Galileo Galilei, il grande scienziato italiano, un cattolico, che – ha detto Giovanni Paolo II – “ebbe molto a soffrire, non possiamo nasconderlo, da parte di uomini e organismi della Chiesa”. Papa Wojtyla esamina la vicenda “alla luce del contesto storico dell’epoca” e “della mentalità di allora”. La Chiesa, pur fondata da Cristo,resta tuttavia costituita da uomini limitati e legati alla loro epoca culturale”. Anch’essa “impara con l’esperienza” e la vicenda di Galileo “ha permesso una maturazione e una comprensione più giusta della sua autorità”. Cresce la comprensione della verità: non è data una volta per sempre.

Una rivoluzione copernicana. Wojtyla ricorda che “la rappresentazione geocentrica del mondo era comunemente accettata nella cultura del tempo come pienamente concorde con l’insegnamento della Bibbia, nella quale alcune espressioni, prese alla lettera, sembravano costituire delle affermazioni di geocentrismo. Il problema che si posero dunque i teologi dell’epoca era quello della compatibilità dell’eliocentrismo e della Scrittura. Così la scienza nuova, con i suoi metodi e la libertà di ricerca che essi suppongono, obbligava i teologi a interrogarsi sui loro criteri di interpretazione della Scrittura. La maggior parte non seppe farlo. Paradossalmente, Galileo, sincero credente, si mostrò su questo punto più perspicace dei suoi avversari teologi” caduti nell’errore cercando di difendere la fede. “Il capovolgimento provocato dal sistema di Copernico” generava così “ripercussioni sull’interpretazione della Bibbia”: Galileo, non un teologo, ma uno scienziato cattolico, “introduce il principio di una interpretazione dei libri sacri, al di là anche del senso letterale, ma conforme all’intento e al tipo di esposizione propri di ognuno di essi” secondo i generi letterari. Una posizione confermata da Pio XII il 30 settembre 1943 con l’Enciclica “Divino afflante Spiritu”.

www.vatican.va/content/pius-xii/it/encyclicals/documents/hf_p-xii_enc_30091943_divino-afflante-spiritu.html

            La teoria dell’evoluzione. Analoga crescita della consapevolezza della Chiesa si è verificata con la teoria dell’evoluzione che sembrava contraddire il principio della creazione. Una prima apertura fu quella di Pio XII con l’Enciclica “Humani generis” del 12 agosto 1950: il prossimo 12 agosto compie 70 anni.

www.vatican.va/content/pius-xii/it/encyclicals/documents/hf_p-xii_enc_12081950_humani-generis.html

Giovanni Paolo II afferma che “la creazione si pone nella luce dell’evoluzione come un avvenimento che si estende nel tempo – come una ‘creatio continua’ – in cui Dio diventa visibile agli occhi del credente come Creatore del Cielo e della terra”. Papa Francesco sottolinea che “quando leggiamo nella Genesi il racconto della Creazione rischiamo di immaginare che Dio sia stato un mago, con tanto di bacchetta magica in grado di fare tutte le cose. Ma non è così. Egli ha creato gli esseri e li ha lasciati sviluppare secondo le leggi interne che Lui ha dato ad ognuno, perché si sviluppassero, perché arrivassero alla propria pienezza (…) Il Big-Bang, che oggi si pone all’origine del mondo, non contraddice l’intervento creatore divino ma lo esige. L’evoluzione nella natura non contrasta con la nozione di Creazione, perché l’evoluzione presuppone la creazione degli esseri che si evolvono”.

            Nel Nuovo Testamento, ma non solo, ci sono richiami profondissimi alla libertà che hanno cambiato la storia: ma vengono scoperti poco a poco. Papa Bonifacio VIII con la Bolla “Unam sanctam” del 18 novembre 1302 ribadiva la superiorità dell’autorità spirituale su quella temporale.

www.unavox.it/Magistero/Documenti/Unam_Sanctam.htm

Era un’altra epoca. Quasi 700 anni dopo, Giovanni Paolo II, parlando l’11 ottobre 1988 a Strasburgo davanti al Parlamento europeo, osserva che la cristianità medievale non distingueva ancora “tra la sfera della fede e quella della vita civile”.

www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/speeches/1988/october/documents/hf_jp-ii_spe_19881011_european-parliament.html

La conseguenza di questa visione era la “tentazione integralista di escludere dalla comunità temporale coloro che non professavano la vera fede”. Ancora il 13 aprile 1791, in una lettera ai vescovi francesi, Pio VI criticava la Costituzione varata dall’Assemblea nazionale che stabiliva “come un principio di diritto naturale che l’uomo vivente in Società debba essere pienamente libero, vale a dire che in materia di Religione egli non debba essere disturbato da nessuno, e possa liberamente pensare come gli piace, e scrivere e anche pubblicare a mezzo stampa qualsiasi cosa in materia di Religione”.

https://w2.vatican.va/content/pius-vi/it/documents/breve-charitas-quae-13-aprile-1791.html

E il 15 agosto 1832, l’Enciclica “Mirari vos” di Gregorio XVI parla della libertà di coscienza come “errore velenosissimo” e “delirio”,

www.vatican.va/content/gregorius-xvi/it/documents/encyclica-mirari-vos-15-augusti-1832.html

mentre Pio IX nell’enciclica Quanta Cura con allegato il Sillabo (8dicembre 1864) condanna tra “i principali errori dell’età nostra” la concezione che non convenga più “che la religione cattolica si ritenga come l’unica religione dello Stato, esclusi tutti gli altri culti, quali che si vogliano” e  il fatto che “in alcuni paesi cattolici si è stabilito per legge che a coloro i quali vi si recano, sia lecito avere pubblico esercizio del culto proprio di ciascuno”.

Il Concilio Vaticano II, con le Dichiarazioni “Dignitatis humanæ” (7 dicembre 1965) sulla libertà religiosa e “Nostra ætate”(28 ottobre 1965) sul dialogo con le religioni non cristiane compie un salto che ricorda il Concilio di Gerusalemme della prima comunità cristiana che apre la Chiesa a tutta l’umanità. Di fronte a queste sfide, Giovanni Paolo II afferma che “il pastore deve mostrarsi pronto a un’autentica audacia”. 

www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/documents/vat-ii_decl_19651207_dignitatis-humanae_it.html

www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/documents/vat-ii_decl_19651028_nostra-aetate_it.html

https://it.cathopedia.org/wiki/Concilio_di_Gerusalemme

Il 2 luglio 1988 (Lettera apostolica “Ecclesia Dei”) si verifica lo scisma dei tradizionalisti lefebvriani.

http://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_commissions/ecclsdei/documents/hf_jp-ii_motu-proprio_02071988_ecclesia-dei_it.html

 Rifiutano gli sviluppi apportati dal Concilio Vaticano II: dicono che è stata creata una nuova Chiesa. Benedetto XVI usa un’immagine forte quando li esorta a non “congelare l’autorità magisteriale della Chiesa all’anno 1962”. Era già accaduto nel 1870: i “vecchi cattolici” condannano il Concilio Vaticano I per il dogma dell’infallibilità pontificia. La Chiesa cattolica ha camminato nella storia attraversando oltre 20 Concili: ogni volta c’è stato qualcuno che non accettava i nuovi sviluppi e si fermava. Pio IX l’8 dicembre 1854 proclama il dogma dell’Immacolata Concezione (con la bolla Ineffabilis Deus).

 www.totustuustools.net/magistero/p9ineffa.htm

Ma un grande santo, Bernardo di Chiaravalle, pur essendo uno dei più ardenti propagatori della devozione mariana, qualche secolo esprimeva la sua contrarietà a questa verità: “Sono molto preoccupato, visto che molti di voi hanno deciso di mutare le condizioni di importanti eventi, come ad esempio introdurre questa festa sconosciuta dalla Chiesa, non approvata certo dalla Ragione, e non giustificata neppure dall’antica Tradizione. Siamo noi davvero più eruditi e pii dei nostri antichi padri?”. Siamo nel XII secolo. La Chiesa, da allora, ha introdotto altre feste sconosciute che probabilmente avrebbero scandalizzato molti fedeli vissuti nei secoli precedenti.

Gesù ha affermato di non essere venuto ad abolire la Legge, “ma a dare pieno compimento” (Mt 5,17). Ha insegnato a non trasgredire neanche “uno solo di questi precetti, anche minimi” (Mt 5,19). Eppure era accusato di violare le norme mosaiche, come il riposo del sabato o il divieto di frequentazione dei pubblici peccatori. E gli apostoli compiono il grande salto: aboliscono l’obbligo sacro della circoncisione, risalente addirittura ad Abramo e in vigore da 2000 anni, e aprono ai pagani, cosa impensabile a quel tempo. “Ecco – dice il Signore – io faccio nuove tutte le cose” (Ap 21, 5). È il “vino nuovo” dell’amore evangelico che subisce sempre il rischio di essere messo negli “otri vecchi” delle nostre sicurezze religiose, che tante volte mettono a tacere il Dio vivo che non smette di parlarci. È la sapienza del “discepolo del regno dei cieli” che cerca la pienezza della Legge, la giustizia che supera quella degli scribi e dei farisei, estraendo “dal suo tesoro cose nuove e cose antiche” (Mt 13,52). Non solo cose nuove, non solo cose antiche.

Sergio Centofanti       Edizione settimanale dell’Osservatore romano         2 luglio 2020, pag.13

www.osservatoreromano.va/it/pdfreader.html/ita/2020/07/ITA_2020_027_0207.pdf.html?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=NewsletterOR-IT

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Infanzia e covid 19: firmato protocollo tra CEI e Unicef

È stato sottoscritto a Roma un Protocollo d’Intesa tra la Conferenza Episcopale Italiana/CEI e il Comitato Italiano per l’UNICEF – Fondazione Onlus che avvia una reciproca collaborazione mirata alla tutela dell’infanzia sul territorio italiano sia nel periodo di emergenza sanitaria causata dalla pandemia da Covid-19 sia dopo che questa potrà considerarsi contenuta e terminata.

            Il Protocollo – che avrà la durata di tre anni – è stato firmato dal Segretario generale della CEI, S.E. Mons. Stefano Russo, e dal Presidente dell’UNICEF Italia, Francesco Samengo.

            “Per educare un bambino ci vuole un villaggio, ha ricordato più volte papa Francesco, e la Chiesa, nel suo essere comunità, guarda con responsabilità e sollecitudine alle giovani generazioni”, ha affermato Mons. Russo. “Non può esserci cammino di sviluppo autentico – ha aggiunto – che lasci indietro bambini e adolescenti nella povertà, nell’abbandono, nel disagio, nella malattia. Ogni bambino ha il diritto di essere accompagnato nella crescita con tutto il sostegno possibile, anche e soprattutto dopo un’emergenza globale di questo tipo. Il Protocollo firmato oggi con UNICEF contribuisce a edificare un futuro di cura e sicurezza per i più piccoli, che ha le fondamenta nel terreno della prevenzione”.

“Tutti i bambini hanno il diritto di sopravvivere, crescere e realizzare le proprie potenzialità per costruire un mondo più a misura di bambino”, ha dichiarato Samengo: “Sono certo che, grazie a questo Protocollo con la CEI, potremo compiere attività concrete per far fronte all’emergenza sanitaria e, soprattutto, per prevenire i suoi gravi effetti secondari sulle condizioni di vita di tanti bambini e adolescenti, in particolare le conseguenze sulla crescita della povertà e delle disuguaglianze, avendo particolare attenzione ai più vulnerabili e invisibili”.

Questi i principali obiettivi previsti dal Protocollo:

  1. Individuare, promuovere e realizzare iniziative comuni di sostegno alle comunità in Italia nell’ambito dell’emergenza sanitaria e dei suoi effetti secondari, quali, tra gli altri, l’aggravamento della condizione di povertà, l’inasprimento delle disuguaglianze sociali, il rischio di abbandono scolastico o di carenze educative, il rischio di carenze nella tutela della salute, il rischio di violenze con particolare attenzione ai diritti e alle condizioni di vita delle bambine e dei bambini e degli adolescenti, compresi i minori con disabilità, quelli fuori dalle famiglie o bambini e adolescenti rifugiati, richiedenti asilo e migranti, accompagnati e non;
  2. Individuare, sviluppare ed attuare iniziative comuni per la tutela dei minori in Italia e per il miglioramento delle loro condizioni di vita e la loro piena partecipazione anche dopo l’emergenza;
  3. Incentivare iniziative congiunte di prossimità volte alla prevenzione, promozione e protezione dei minori residenti in Italia e delle loro famiglie in condizioni di disagio sociale, economico ed educativo.

 CEI    notizie             02 luglio2020

www.chiesacattolica.it/infanzia-e-covid-19-firmato-protocollo-dintesa-tra-cei-e-unicef-italia

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM

Mantova. Etica Salute e Famiglia – luglio-agosto 2020

Secondo numero dedicato all’epidemia Covid-19                      

  • Un falso dilemma: salute e ripresa economica                                                    Armando Savignano
  • Covid-19 e vita cristiana                                                                                                Gabrio Zacché            
  • La Scelte etiche nell’emergenza da Covid-19: il triage                                          Giovanni Paganini
  • Papa Francesco educatore nel tempo della pandemia                                        Anna Orlandi Pincella
  • Sono rientrato in servizio per l’emergenza                                                                           Paolo Costa
  • Caro Covid ti scrivo …                                                                                                 Paola Sampietri          
  • Prevenzione nel Sud Kivu                                                                                     De Joseph Kakisingi 
  • Un libro sul coronavirus                                                                                        Armando Savignano
  • Aiuto! Sarò o sono mamma ai tempi del Coronavirus                                         Alessandra Venegoni
  • Lo smartworking in ambito psicologico                                                Giuseppe Cesa – Armida Turini        

www.consultorioucipemmantova.it/consultorio/images/pdf/etica/ETICA%20SALUTE_FAMIGLIA%20-%202020%20anno%20XXIV%20n%C2%B004%20-%20Luglio%20Agosto.pdf

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

COUNSELING

Considerazioni sullo smartworking in ambito psicologico

Riprendendo quanto espresso in uno scritto precedente in cui parlavo dell’elaborazione del dolore da perdita in una fase in cui i contatti umani sono fortemente limitati per motivi sanitari, desidero qui ampliare il discorso facendo riferimento a quanto avviene nel nostro lavoro consultoriale.

Già dal mese di marzo noi consulenti ci siamo trovati nella condizione di dover sospendere i colloqui in presenza con i nostri pazienti al fine di limitare le possibilità di diffusione del contagio da Covid-19.

Su indicazione delle associazioni professionali, riprendendo le disposizioni ministeriali, regionali e locali, abbiamo potuto continuare la nostra attività soltanto da remoto, cioè mediante contatti telefonici, o videochiamate tipo WhatsApp, Skype ecc.

Prima d’ora questa modalità di lavoro era relativamente poco diffusa e limitata a situazioni particolari, come nel caso in cui un paziente doveva trasferirsi lontano per studio o lavoro oppure quando non poteva raggiungere lo studio per un certo periodo, a causa di una malattia. Tutte situazioni particolari, studiate e sperimentate ma poco diffuse, almeno nella nostra realtà.

Noi operatori ci siamo spesso posti con diffidenza nei confronti dell’attività da remoto in quanto oggettivamente ci toglie la possibilità di cogliere aspetti inerenti la comunicazione non verbale, importanti per la comprensione del soggetto. Inoltre, l’incontro in presenza favorisce l’emergere degli affetti, elemento fondamentale nel lavoro terapeutico.

D’altra parte, anche le persone che chiedono una consulenza hanno bisogno di uno spazio e di un tempo definito, un luogo d’incontro intimo e protetto per sentirsi liberi di parlare e di aprirsi.   

Il contesto d’incontro per la consulenza psicologica necessita di un luogo protetto ed assolutamente riservato, ma può essere difficilmente realizzabile in alcune situazioni, come quelle venutesi a creare in seguito alla recente pandemia.

In questo periodo, la maggioranza delle persone è costretta a stare in casa, spesso in appartamenti con dimensioni contenute, con i figli a casa da scuola, il coniuge a casa dal lavoro, per cui può diventare impossibile trovare un tempo ed uno spazio sufficientemente riservati per poter parlare liberamente con un consulente. Perciò può essere molto faticoso lavorare in queste condizioni sia per l’utente che per l’operatore psicologico.

         D’altra parte, in questi contesti in cui talvolta la vita delle persone viene sconvolta, l’intervento psicologico diventa molto importante per diversi motivi.

Innanzitutto, la convivenza forzata per lunghi periodi in spazi limitati, invece di favorire l’affiatamento e la riscoperta del piacere di stare assieme, può provocare quello che in gergo militare è detto “effetto sommergibile”, realtà già ampiamente studiata tra i ricercatori rinchiusi per mesi nei laboratori di ricerca in Antartide. Quando due o più persone convivono a lungo in spazi ristretti, con scarsi contatti col mondo esterno e con scarse possibilità di trovare spazi intimi in cui ritirarsi, si possono scatenare dinamiche relazionali anche cruente perché le persone non si sopportano più. Una diffusa esperienza al riguardo si verifica quando ad esempio, due o più coppie fanno una vacanza assieme di 2 o 3 settimane. Al ritorno dalla vacanza, spesso i rapporti sono incrinati e che le coppie cercano di recuperare delle distanze di sicurezza.

Un altro motivo, riguarda le problematiche organizzative della vita quotidiana che l’isolamento comporta. Non è sempre facile gestire attività come il fare la spesa, seguire i figli nell’ardua attività scolastica da remoto, occuparsi dei genitori anziani e bisognosi, lavorare in smartworking o, per i più sfortunati, fare i conti con le entrate economiche ridotte o svanite.

Infine, c’è una ragione inerente all’evento stesso, come evento nuovo e sconosciuto, che ha messo in seria difficoltà gli scienziati, i medici e le autorità, costretti ad intervenire con urgenza, sprovvisti di conoscenze e linee di comportamento valide e consolidate da seguire. Questo fatto ha consentito il proliferare di una varietà di comunicazioni, non sempre corrette, che sono circolate nei mass-media e nei social, alimentando le paure che inesorabilmente la pandemia scatena con diverse reazioni al subbuglio emotivo di ogni persona. Ciò è amplificato ancora di più nel momento in cui una o più persone della famiglia si trovano o sono a rischio di trovarsi in una condizione di contagio.

Molti colleghi anche in questo frangente, a cui oggettivamente nessuno era preparato, hanno saputo trovare la strada per realizzare quello che fino a qualche mese fa veniva lasciato a casi particolari o a situazioni di sperimentazione e studio. Nonostante la fatica iniziale, molti di noi operatori e molti utenti, a volte facendo acrobazie, sono riusciti ad impostare dei setting tali da garantire la riservatezza necessaria per un lavoro psicologico e hanno imparato gradualmente a cogliere da mille altre sfumature quei segnali del non verbale utili a far fluire la relazione di aiuto conducendo il lavoro psicologico a buon fine. 

Giuseppe Cesa e Armida Turini, psicologi – psicoterapeuti – Mantova 4 luglio 2020

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

COVID-19

Bimbi e Covid-19. I consigli del Bambino Gesù per proteggerli

Finito il confinamento domestico dovuto alla pandemia, i bambini sono tornati a giocare all’aperto, nei giardini e nei parchi. E’ importante però non allentare l’attenzione nei confronti del virus, anche con semplici comportamenti adatti ad evitare le occasioni di contagio. Dopo i mesi passati in casa, a causa del lockdown imposto dal Covid-19, i bambini non hanno ripreso a frequentare la scuola, ma hanno ricominciato a giocare fuori dalle mura domestiche e ad interagire con i loro compagni di divertimento. Ma è doveroso continuare a proteggerli attraverso delle piccole attenzioni, come spiega Elena Bozzola, pediatra infettivologa dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù e Segretaria Nazionale della SIP, Società Italiana Pediatria:

Ascolta l’intervista alla dottoressa Elena Bozzola

https://media.vaticannews.va/media/audio/s1/2020/06/27/08/135639852_F135639852.mp3

Dottoressa, il problema bambini a scuola è stato rimandato a settembre, ma i piccoli oggi sono tornati a giocare, nei giardini, nei parchi, alle giostre. Come è possibile proteggerli?

R. – Sicuramente è un’ottima cosa, lo dico da pediatra ma anch’io da mamma, che i bambini possano riprendere a giocare all’aperto, nei parchi, sulle spiagge. E’ importante proteggerli, un po’ come ci proteggiamo tutti, con le giuste misure, ovvero stare molto attenti all’igiene delle mani, lavarle sempre con acqua e sapone o, quando si è fuori casa, con delle soluzioni alcoliche. Mettere sempre ai bambini sopra i 6 anni per legge – ma noi consigliamo anche ai bambini al di sopra dei 3 anni di età – la mascherina, qualora si trovino in luoghi chiusi o non sia possibile mantenere il distanziamento dalle altre persone. Per il resto, via libera ai giochi, soprattutto all’aria aperta, lontani dai televisori, dai tablet, lontani da tutto quello in cui sono stati, tra virgolette, costretti i nostri bambini nel periodo del lockdown. Sicuramente privilegiare, compatibilmente con l’età del bambino, una bella biciclettata, una passeggiata in montagna e nei boschi, giocare a racchettoni, una bella nuotata nel mare. Quindi, tutto ciò che fa tornare, complice ovviamente il sole, il sorriso anche ai nostri bambini.

La mascherina è fastidiosa per noi adulti, soprattutto, ora con il caldo. Come e quando farla indossare ce l’ha detto, ma come spiegare ad un bambino il perché si deve avere?

R. – Bisogna parlare con i bambini. Anche se ci sembrano piccoli, i bambini hanno la capacità di ascoltarci e capirci. Ovviamente, i bambini sopra i tre anni di età. Sotto i tre anni non viene consigliato proprio l’utilizzo della mascherina. Si possono scegliere delle mascherine colorate, si possono fare delle prove in casa. Io parlo da pediatra, ma anche da mamma. Sono tornata più volte sull’argomento con i miei figli spiegando loro quanto sia importante la mascherina, per proteggerci e per proteggere le altre persone, per evitare di ammalarci, per evitare di rimanere di nuovo tutti chiusi in casa. Se si parla con i toni giusti e si ritorna più volte sull’argomento, facendo delle prove e dando noi, come genitori, il buon esempio per primi, i bambini riescono ad accettarla. Per il resto, è vero che fa caldo, ma vi posso dire che la mascherina, come purtroppo si è sentito dire sui social, non crea nessun problema ai bambini sani, di età sopra i tre anni. I bambini non respirano la loro anidride carbonica a tal punto da far loro venire ipossia o mettere addirittura in pericolo la loro vita. Al contrario, la mascherina protegge la loro vita.

Come impedire ad un bambino di avvicinarsi, toccare, abbracciare gli altri bambini, in età in cui questi comportamenti sono fondamentali per la crescita anche emotiva?

R. – Sicuramente bisogna essere molto attenti. I genitori, proprio questa estate, non possono abbassare la guardia. Bisogna spiegare bene ai bambini che questa è un’estate un po’ diversa da quelle a cui sono abituati. Non è l’estate in cui dare il via libera alle nuove amicizie o fare prove di socializzazione ai bambini che non sono stati ancora in comunità. Bisogna stare un pochino attenti, ma, vi assicuro che, se una famiglia è serena, se mamma e papà sono sereni, anche il bambino è sereno. Del resto ci sono giochi come i racchettoni, nuotare nel mare con la tavoletta, l’uso del materassino, tante alternative e attività che i bambini possono fare divertendosi comunque, evitando, in ogni caso, il contatto con persone che non conoscono, favorendo quello che si chiama il distanziamento sociale dalle altre persone.

Eliana Astorri – Città del Vaticano     Vatican news             5 luglio 2020

www.vaticannews.va/it/mondo/news/2020-07/bimbi-coronavirus-pediatra-protezione-consigli.html

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

DALLA NAVATA

XIV Domenica del tempo ordinario – Anno A – 5 luglio 2020

Zaccaria           09, 09. Così dice il Signore: «Esulta grandemente, figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina.

Salmo              144, 13. Beato il popolo che ti Fedele è il Signore in tutte le sue parole e buono in tutte le     sue opere. Il Signore sostiene quelli che vacillano e rialza chiunque è caduto.sa acclamare: camminerà, Signore, alla luce del tuo volto.

Romani             08, 11, E se lo Spirito di Dio, che ha risuscitato Gesù dai morti, abita in voi, colui che ha

risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi.

Matteo              11, 27. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre,

                         e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.

 

Due braccia aperte, non un dito accusatore

Quello che mi incanta è Gesù che si stupisce del Padre. Una cosa bellissima: il Maestro di Nazaret che è sorpreso da un Dio sempre più fantasioso e inventivo nelle sue trovate, che spiazza tutti, perfino suo Figlio. Cosa è accaduto? Il Vangelo ha appena riferito un periodo di insuccessi, tira una brutta aria: Giovanni è arrestato, Gesù è contestato duramente dai rappresentanti del tempio, i villaggi attorno al lago, dopo la prima ondata di entusiasmo e di miracoli, si sono allontanati. Ed ecco che, in quell’aria di sconfitta, si apre davanti a Gesù uno squarcio inatteso, un capovolgimento improvviso che lo riempie di gioia: Padre, ti benedico, ti rendo lode, ti ringrazio, perché ti sei rivelato ai piccoli. Il posto vuoto dei grandi lo riempiono i piccoli: pescatori, poveri, malati, vedove, bambini, pubblicani, i preferiti da Dio.

Gesù non se l’aspettava e si stupisce della novità; la meraviglia lo invade e lo senti felice. Scopre l’agire di Dio, come prima sapeva scoprire, nel fondo di ogni persona, angosce e speranze, e per loro sapeva inventare come risposta parole e gesti di vita, quelli che l’amore ci fa chiamare “miracoli”. Hai rivelato queste cose ai piccoli… di quali cose si tratta?

            Un piccolo, un bambino capisce subito l’essenziale: se gli vuoi bene o no. In fondo è questo il segreto semplice della vita. Non ce n’è un altro, più profondo. I piccoli, i peccatori, gli ultimi della fila, le periferie del mondo hanno capito che Gesù è venuto a portare la rivoluzione della tenerezza: voi valete più di molti passeri, ha detto l’altra domenica, voi avete il nido nelle sue mani. Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Non è difficile Dio: sta al fianco di chi non ce la fa, porta quel pane d’amore di cui ha bisogno ogni cuore umano stanco…

            E ogni cuore è stanco. Venite, vi darò ristoro. E non già vi presenterò un nuovo catechismo, regole superiori, ma il conforto del vivere. Due mani su cui appoggiare la vita stanca e riprendere il fiato del coraggio. Il mio giogo è dolce e il mio peso è leggero: parole che sono musica, buona notizia. Gesù è venuto a cancellare la vecchia immagine di Dio. Non più un dito accusatore puntato contro di noi, ma due braccia aperte. È venuto a rendere leggera e fresca la religione, a toglierci di dosso pesi e a darci le ali di una fede che libera.

Gesù è un liberatore di energie creative e perciò è amato dai piccoli e dagli oppressi della terra. Imparate da me che sono mite e umile di cuore, cioè imparate dal mio cuore, dal mio modo di amare delicato e indomito. Da lui apprendiamo l’alfabeto della vita; alla scuola del cuore, la sapienza del vivere.

p. Ermes Ronchi, OSM

www.qumran2.net/parolenuove/commenti.php?mostra_id=49615

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

DEVOZIONE

Pietro e Paolo: alla radice di tutta la fede cristiana c’è una storia di perdono

Pietro e Paolo, così diversi eppure entrambi alla radice della nostra fede: un dotto e un ignorante, il primo e l’ultimo degli apostoli, l’evangelizzatore dei giudei e l’evangelizzatore delle genti. Non si può fare a meno di nessuno dei due, e farli stare insieme vuol dire avere la fede cattolica, che non permette assolutizzazioni e richiede equilibro. Ma quel che questi due apostoli hanno in comune, esistenzialmente, è una cosa ben precisa: vengono entrambi dall’errore

La liturgia della Chiesa presenta dei casi curiosi: abbiamo una festa per Francesco d’Assisi o per Caterina da Siena ma non abbiamo una festa per Pietro o per Paolo; abbiamo la Cattedra di Pietro (22 febbraio) o la Conversione di Paolo (25 gennaio), dove contempliamo degli aspetti specifici – l’insegnamento e la conversione – dei due pilastri assoluti della Chiesa del primo secolo; ma per sé stessi dobbiamo celebrarli insieme.

Eppure – con tutto il rispetto per Francesco e Caterina – sono molto più importanti, essendo alla radice di tutta la fede cristiana. Ma sono così diversi… un dotto e un ignorante, il primo e l’ultimo degli apostoli, l’evangelizzatore dei giudei e l’evangelizzatore delle genti.

La Chiesa ha voluto celebrarli insieme sin da subito (la liturgia è attestata sin dai primi secoli), e ci sono vari motivi per questa scelta: il senso della comunione, in primis, che permette di far convivere due persone tanto diverse; non si può fare a meno di nessuno dei due, e farli stare insieme vuol dire avere la fede cattolica, che non permette assolutizzazioni e richiede equilibro.

            Ma quel che questi due apostoli hanno in comune, esistenzialmente, è una cosa ben precisa: vengono entrambi dall’errore. La loro è una storia di perdono. Sono queste le colonne della nostra fede: un rinnegato e un persecutore.

Non hanno solo incontrato Cristo, ma l’hanno incontrato nella caduta, ed è questo il loro Vangelo: la misericordia di Dio. All’origine della vita nuova c’è il perdono dei peccati.

Fabio Rosini               Agenzia SIR                       29 giugno 2020

www.agensir.it/chiesa/2020/06/29/pietro-e-paolo-alla-radice-di-tutta-la-fede-cristiana-ce-una-storia-di-perdono

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI 

La famiglia è uscita dal conflitto ideologico

 

 

www.forumfamiglie.org/2020/07/02/intervista-del-presidente-ad-avvenire-ora-vedo-concretezza-basta-occasioni-perse

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

MIGRANTI

Padre Baggio: puntare sull’affidamento. No al carcere

“Chiunque desideri chiedere protezione internazionale o presenti segni di problemi di salute fisica o mentale o di essere stato vittima del traffico di esseri umani non dovrebbe mai essere detenuto in relazione al proprio status migratorio”. E’ dedicato alle misure alternative alla detenzione dei migranti uno dei tre documenti su questioni migratorie ai tempi del Covid-19 prodotti dalla Sezione Migranti e Rifugiati della Santa Sede, all’interno del lavoro della Commissione Vaticana Covid-19. Gli altri due riguardano la regolarizzazione e l’accesso al territorio dei richiedenti protezioni internazionali.

La pandemia ha moltiplicato sfide, debolezze e abusi nei centri di detenzione. “La detenzione dei migranti, quando viene utilizzata, dovrebbe essere adoperata come misura amministrativa. In effetti, la maggior parte degli organismi internazionali considera sproporzionata la criminalizzazione dell’ingresso irregolare e raccomanda che sia considerata un’infrazione amministrativa” si legge nel documento. In tempo di pandemia, prosegue, “desta preoccupazione il fatto che la diffusione del virus abbia accresciuto e moltiplicato in maniera drammatica sfide, debolezze e abusi che caratterizzano la maggior parte dei centri di detenzione nel mondo: violenza cronica, sovraffollamento, accesso limitato ai servizi di base, compresa l’assistenza sanitaria, e una diffusa e disumanizzante mancanza di rispetto”.

Adozione di misure non custodiali. Da qui la Sezione Migranti e Rifugiati del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale raccomanda l’adozione in modo sistematico di misure non custodiali alternative alla detenzione dei migranti. “Da non confondere con forme alternative di detenzione” specifica il documento. “Ad esempio, il rilascio su cauzione, la comparizione periodica presso le autorità e la cavigliera elettronica a volte compromettono l’efficacia dei programmi non custodiali e, ove possibile, dovrebbero essere evitati”.

Piuttosto si dovrà puntare a programmi di collocamento per migranti irregolari a carico delle comunità. “L’istituzionalizzazione di schemi differenziati volti a collocare i migranti irregolari all’interno di singole famiglie, centri di accoglienza gestiti dalla comunità o programmi di alloggi autogestiti spesso rappresentano una garanzia di successo”. Ovviamente tutti i programmi di collocamento dovrebbero essere considerati temporanei e orientati alla ricerca di una soluzione alla situazione irregolare dei destinatari, che si tratti della regolarizzazione definitiva del loro status o del loro rimpatrio.

Secondo padre Fabio Baggio, sotto-segretario della Sezione migranti e rifugiati del Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale: “esistono di fatto alternative molto efficaci, peraltro già sperimentate in diversi Paesi, che puntano sull’affidamento a comunità, a famiglie o a singoli tutor. L’obiettivo è quello di accompagnare queste persone e predisporle verso la regolarizzazione o, in altri casi, il rimpatrio. Dovrebbero sempre essere avviati programmi speciali di collocamento per i minori e le loro famiglie, per i richiedenti protezione internazionale e per chi presenti segni di problemi di salute fisica o mentale o di essere stato vittima del traffico di esseri umani”.

Ascolta l’intervista

https://media.vaticannews.va/media/audio/s1/2020/07/03/12/135646049_F135646049.mp3

Tutti i numeri del Bollettino della Sezione Migranti e Rifugiati del Dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale possono essere consultati al seguente link:

https://migrants-refugees.va/it/blog/2020/04/21/covid-19-nessuno-va-dimenticato

www.vaticannews.va/it/chiesa/news/2020-07/p-baggio-puntare-sull-affidamento-no-al-carcere-per-i-migranti.html

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

MINORI

318.638 minori in meno dal 2012 al 2019 in Italia

L’Italia è il paese europeo con l’età mediana più alta, pari a 46,7 anni nel 2019 secondo i dati Eurostat. Un dato che trova spiegazione anche nel calo demografico, che nel corso del tempo ha colpito il nostro paese causando una grave riduzione del numero di bambini e ragazzi tra 0 e 17 anni.

318.638 minori in meno dal 2012 al 2019 in Italia. Una variazione del -3,19%, di una fascia di popolazione che è essenziale per la vitalità di un paese. La riduzione della popolazione minorile è un fenomeno strettamente legato alle condizioni di vita, alle opportunità economiche e sociali, ai servizi accessibili in un determinato territorio. Fattori che, in particolare in Italia, variano ampiamente tra regioni, province e comuni diversi.

Quanto sono diminuiti i minori da nord a sud. Nel nostro paese il fenomeno colpisce il sud in misura maggiore rispetto al resto del paese. In tutto il mezzogiorno i minori sono diminuiti più della media nazionale (-3,19%), in particolare nelle regioni più piccole, Basilicata e Molise, che registrano oltre il -10% di calo. La situazione migliora nel centro-nord del paese, ma comunque in modo limitato. Regioni come il Veneto (-4%) e la Valle d’Aosta (-5%) presentano riduzioni significative, oltre la media, mentre altre come Lombardia e Toscana registrano aumenti, ma inferiori al +1%. Variazioni ridotte, che indicano la stabilità del numero di residenti 0-17, più che una vera e propria crescita. I minori sono aumentati più dell’1% solo nel Lazio e in Emilia Romagna.

Le regioni del sud sono le più colpite da disoccupazione, instabilità economica e carenza di servizi accessibili. Condizioni che spesso portano allo spopolamento: le persone, soprattutto giovani, si spostano per cercare opportunità migliori in altri territori, dove eventualmente stabilire una famiglia e crescere i propri figli.

Questo spesso si traduce in migrazioni da sud verso il centro e il nord del paese e può spiegare, in parte, perché il calo della popolazione minorile è più incisivo nel mezzogiorno. Dal 2012 a oggi, i minori sono diminuiti in tutte le province del sud

L’analisi a livello provinciale conferma quanto abbiamo visto in precedenza. Cioè che la riduzione dei residenti 0-17 colpisce di più il sud ma incide anche nella maggior parte delle province del centro e del nord.

3 su 4 province registrano un calo dei minori dal 2012 al 2019.

Sono solo 12 le province dove la popolazione minorile è cresciuta nel corso degli anni. Oltre a quella di Roma e Bolzano, le altre si dividono tra Emilia Romagna, Toscana e Lombardia. Al primo posto la provincia di Parma (+7,57%), seguita da Milano (+6,68%), Prato (+6,33%), Roma (+6,09%) e Bologna (+4,76%).

Oltre alla distinzione nord-sud, un’altra dinamica da osservare riguarda la differenza a livello comunale, tra territori periferici e centrali. Le aree interne sono le più distanti dai servizi essenziali.

www.openpolis.it/parole/che-cosa-sono-le-aree-interne

I comuni intermedi, periferici e ultraperiferici sono i più svantaggiati dal punto di vista dei servizi e delle opportunità economiche e lavorative. Questo li rende particolarmente soggetti al fenomeno dello spopolamento, causato dallo spostamento delle persone verso i comuni più centrali, i poli, in cerca di condizioni di vita migliori. Una tendenza che incide fortemente sulla variazione della popolazione minorile. Nei comuni più periferici quasi il 10% di minori in meno rispetto al 2012.

Nei comuni polo il numero di residenti 0-17 è rimasto stabile, con solo un lieve calo del -0,54% dal 2012 al 2019. La riduzione si aggrava invece in modo graduale, man mano che ci si allontana dai poli. Fino ai territori periferici e ultraperiferici, i più colpiti dal fenomeno. Tra le province, a Parma i minori sono aumentati di più, a Enna sono calati di più.

Per avere un quadro completo di come l’aumento e il calo della popolazione minorile incidano all’interno di uno stesso territorio, è necessario analizzare i dati comune per comune. Abbiamo quindi considerato le province di Parma e di Enna e le variazioni del numero di residenti 0-17 in tutti i comuni. I minori sono calati in 1 comune su 4 in provincia di Parma e in tutti i comuni in provincia di Enna.

In provincia di Parma, i minori sono aumentati nei due comuni polo, il capoluogo (+15,04%) e Fidenza (+12,76%), e nei territori ad essi limitrofi. Nonostante sia la prima provincia per aumento di minori, sono 13 i comuni che registrano un calo dei residenti 0-17, perlopiù territori montani.

La popolazione minorile si è ridotta ampiamente in tutti i comuni della provincia di Enna. Da un minimo di -11,22% a un massimo di -27,13%. Nel capoluogo i residenti 0-17 sono passati da 4.301 nel 2012, a 3.712 nel 2019 (-13,69%). Risultati gravi, che possono compromettere la vitalità e il futuro di un intero territorio. – 11% il calo dei minori nel comune meno colpito dal fenomeno nella provincia di Enna, Gagliano Castelferrato.

Si possono scaricare i dati per Regione e per comune

I dati mostrano per ogni comune, regione e per il paese nel complesso, la variazione percentuale del numero di residenti tra 0-17 anni dal 2012 al 2019.

Open Polis      30 giugno 2020

www.openpolis.it/il-grave-calo-della-popolazione-minorile-in-italia

                       www.openpolis.it/wp-content/uploads/2020/06/andamento-popolazione-minorile.pdf

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

NULLITÀ DEL MATRIMONIO

Scioglimento matrimonio senza tasse

https://www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_39068_1.pdf

La risposta dell’Agenzia delle entrate all’interpello proposto da un Ministero chiarisce il regime di esenzione fiscale per lo scioglimento del matrimonio.

  1. Provvedimenti di delibazione delle sentenze ecclesiastiche. Il provvedimento col quale il giudice italiano pronuncia la delibazione della sentenza dell’autorità giudiziaria ecclesiastica che dichiara la nullità del matrimonio concordatario è esente non solo da imposta di registro, ma è esente dalla stessa registrazione, Lo stabilisce l’Agenzia delle Entrate nella risposta a interpello n. 199 del 1° luglio 2020, che riguardava l’estensione dell’articolo 19 della legge n.74 del 1987 (“Nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio“) ai provvedimenti di delibazione delle sentenze ecclesiastiche che dichiarano la nullità̀ del matrimonio concordatario, ritenendo applicabile alla fattispecie esaminata l’esenzione totale da imposte e tasse.
  2. Scioglimento matrimonio, esenzione fiscale per sentenze ecclesiastiche. Il chiarimento (richiesto da un ministero) riguarda, a proposito dello scioglimento del matrimonio e il regime di esenzione fiscale, l’applicazione dell’imposta di registro ai provvedimenti di delibazione delle sentenze ecclesiastiche che ne dichiarano la nullità. Il dubbio si genera dal fatto che le sentenze ecclesiastiche non producono effetti nell’ordinamento italiano se non a seguito del giudizio di delibazione che dà efficacia esecutiva alla decisione ecclesiastica anche nel nostro ordinamento. La risposta data evidenzia un campo di applicazione ampio dell’esenzione fiscale per lo scioglimento del matrimonio. Il testo spiega che “anche la delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio determinando, nell’ordinamento statuale italiano, la cessazione degli effetti civili prodotti dalla trascrizione nei registri di stato civile del matrimonio concordatario potrebbe rientrare tra “Tutti gli atti, i documenti ed i provvedimenti relativi al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili del matrimonio” esenti dall’imposta di bollo, di registro e da ogni altra tassa, ai sensi dell’ articolo 19 della legge 6 marzo 1987, n. 74″.
  3. Casi di applicazione dell’esenzione fiscale. Per la legge del 1987 possono considerarsi nel campo di applicazione dell’esenzione fiscale atti, documenti e provvedimenti che i coniugi utilizzano per regolare i rapporti giuridici ed economici relativi al procedimento di scioglimento del matrimonio o di cessazione degli effetti civili che ne derivano. Quindi la generica espressione “cessazione degli effetti civili del matrimonio” fa in modo che la norma sia applicabile in sede di Corte d’Appello, alla delibazione della sentenza ecclesiastica che dichiara la nullità del matrimonio canonico, sia alla pronuncia di nullità del matrimonio civile e di nullità del matrimonio contratto in forma canonica e trascritto dell’autorità giudiziaria ordinaria. La ratio è togliere ai coniugi il peso dell’imposizione fiscale per evitare che il superamento della crisi che stanno vivendo sia ancora più difficile. Quindi, come chiarisce la norma «Potrebbe non assicurare una parità di trattamento un eventuale trattamento fiscale della sentenza di delibazione diverso rispetto a quello della sentenza pronunciata all’esito del giudizio di separazione o divorzio; ciò anche alla luce dell’interpretazione promossa dalla Corte Costituzionale, secondo cui la ratio della norma è rinvenibile nella tutela economico-patrimoniale alla famiglia nel momento in cui il vincolo si scioglie o si attenua». In ultimo afferma l’Agenzia, l’esenzione fiscale per lo scioglimento del matrimonio, si applica anche nel caso di atti relativi al procedimento di separazione personale; alle obbligazioni assunte negli stessi procedimenti; ai provvedimenti di condanna al pagamento di assegni di mantenimento a favore dei figli.

Gabriella Lax             Studio Cataldi            04 luglio 2020

www.studiocataldi.it/articoli/39068-scioglimento-matrimonio-senza-tasse.asp

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

PARLAMENTO

Camera dei Deputati. Misure a sostegno dei figli attraverso l’assegno unico e universale.

www.camera.it/leg18/126?tab=5&leg=18&idDocumento=687&sede=&tipo

Delega al Governo per riordinare, semplificare e potenziare le misure a sostegno dei figli a carico attraverso l’assegno unico e universale. Nuovo testo C. 687 Delrio, C. 2155 Gelmini e C. 2249 Locatelli

www.camera.it/leg18/995?sezione=documenti&tipoDoc=lavori_testo_pdl&idLegislatura=18&codice=leg.18.pdl.camera.687_A.18PDL0105280&back_to=https://www.camera.it/leg18/126?tab=2-e-leg=18-e-idDocumento=687-e-sede=-e-tipo=

Seguito dell’esame e conclusione.

https://www.camera.it/leg18/410?idSeduta=0364&tipo=stenografico#sed0364.stenografico.tit00020.sub00020

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

PROCREAZIONE RESPONSABILE

Protocollo d’intesa tra i CAV /MPV e Confederazione metodi naturali

La Confederazione Italiana dei Centri per la Regolazione Naturale della Fertilità ed il Movimento per la Vita / servizio dei Centri di Aiuto alla Vita nel mese di giugno hanno dato avvio alla collaborazione stabilita dal Protocollo d’intesa firmato congiuntamente nel mese di novembre 2019. Nello specifico, si sono svolti in modalità online due incontri, l’8 giugno ed il 29 giugno 2020, che hanno visto la partecipazione, da parte della C.I.C.R.N.F., dei membri del consiglio direttivo, dei rappresentanti dei centri confederati, dei referenti per la collaborazione individuati dai centri stessi, nonché di insegnanti e sensibilizzatori dei metodi naturali interessati alla collaborazione; e per parte del MpV/CAV, della presidente Marina Casini e del segretario generale Giuseppe Grande.

 Si rendono disponibili le presentazioni utilizzate durante gli incontri.

www.confederazionemetodinaturali.it/cicrnf-mpv-cav-si-parte-/s22caaf03

Il protocollo d’intesa 8 giugno 2020_

www.confederazionemetodinaturali.it/userfiles/News/files/8_giugno_-_Giuseppe_Grande_e_Giancarla_Stevanella_-_Il_Protocollo_d_intesa.pdf

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

SOCIOLOGIA

L’Italia, un paese orfano di giovani

Ben prima di essere costretta alla chiusura di gran parte delle attività produttive, delle scuole e dei servizi educativi e sociali, al confinamento di famiglie e individui, l’Italia era un Paese in stallo. È quanto emerge dal Rapporto annuale dell’Istat. Le disuguaglianze territoriali, che si erano ampliate con la crisi del 2008, non accennavano a richiudersi, al contrario, scoraggiando le generazioni più giovani che vivono nelle zone più svantaggiate.

Non è vero che l’ascensore sociale si era fermato, ma che andava più spesso verso il basso che verso l’alto. Per tutte le generazioni nate fino alla fine degli anni ’60 la mobilità sociale era infatti cresciuta in senso ascendente e diminuita in senso discendente. Ma per i nati dal 1972 in poi è avvenuto il contrario: la mobilità verso il basso, che ora riguarda più di un quarto degli individui, ha superato quella verso l’alto.

Insomma, ormai da diversi anni le chance per i figli di migliorare la propria posizione sociale rispetto a quella dei genitori sono diminuite, mentre sono aumentate quelle di peggiorarla, comprimendo aspettative, progetti di vita, valorizzazione del capitale umano. Sembra che la diminuzione dell’incidenza demografica dei giovani sul totale della popolazione negli ultimi decenni si sia accompagnata non a una più accentuata loro valorizzazione, a investimenti nella loro formazione e opportunità. Al contrario, si è scaricato su di loro pressoché tutto il peso, e i rischi, della flessibilizzazione del mercato del lavoro e della precarietà. I minorenni, seguiti dai giovani fino ai 35 anni, ormai da tempo costituiscono la fascia di popolazione a più alta incidenza di povertà, quindi a rischio di non avere le opportunità per sviluppare appieno le proprie capacità. Inoltre, nonostante un progressivo aumento dei livelli di istruzione, anche tra le fasce di età più giovani, l’Italia continua a presentare livelli di scolarizzazione tra i più bassi in Europa.

Ciò si accompagna a un’alta incidenza della dispersione scolastica, della povertà educativa e della percentuale di giovani che né studiano né lavorano, in cosiddetti Neet – tutti fenomeni che aumenteranno a causa delle conseguenze della chiusura delle scuole e delle difficoltà sperimentate a fruire della didattica a distanza da chi era già in posizione di svantaggio.

Questo scarso investimento nelle giovani generazioni, che è più accentuato nel caso delle giovani donne, si riflette anche su “una specializzazione produttiva comparativamente poco orientata ai settori intensi in conoscenza, che è uno dei fattori all’origine del basso potenziale di crescita della nostra economia”, come rileva il Rapporto, quindi anche sulla domanda di lavoro.

Lo scarso investimento sulle e per le nuove generazioni, insieme alla persistenza di disuguaglianze tra uomini e donne in famiglia come in società e alla difficoltà di conciliare famiglia e lavoro, spiega il bassissimo tasso di fecondità nel nostro Paese, che contribuisce, anche per il futuro, alla bassa natalità complessiva dovuta all’invecchiamento demografico. Così che la presenza di bambini e giovani sarà sempre più ridotta.

L’arrivo della crisi epidemica, su una società così bloccata nelle proprie disuguaglianze e incapace di rinnovarsi neppure demograficamente, è stato uno choc, ma anche una cartina di tornasole. Non solo perché inattesa nelle sue proporzioni e conseguenze, ma perché ha fatto esplodere tutti i problemi irrisolti, creandone qualcuno di nuovo. I dati delle forze di lavoro del secondo trimestre sono istruttivi, così come il cambiamento della composizione sociale di chi chiede assistenza ai Comuni o alle istituzioni caritatevoli e della società civile.

Non desta sorpresa, in questo quadro, che l’Istat, come già alcuni demografi avevano fatto, stimi un ulteriore calo delle nascite nel 2020 e poi ancora nel 2021, se le cose non miglioreranno per chi ha l’età di avere e crescere figli. Senza investimenti sulle giovani generazioni che sono già tra noi, incluse quelle cui si continua pervicacemente a negare la cittadinanza, difficilmente la società italiana potrà riprendersi, perché avrà ignorato proprio coloro che possono dare corpo al futuro.

Chiara Saraceno        “La Stampa” 4 luglio 2020

www.lastampa.it/topnews/lettere-e-idee/2020/07/04/news/un-paese-orfano-di-giovani-1.39040948

https://francescomacri.wordpress.com/2020/07/04/litalia-un-paese-orfano-di-giovani

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

Ricevi questa comunicazione in quanto sei presente nella mailing list di newsUCIPEM.

Le comunichiamo che i suoi dati personali sono trattati per le finalità connesse alle attività di comunicazione di newsUCIPEM. I trattamenti sono effettuati manualmente e/o attraverso strumenti automatizzati. I suoi dati non saranno diffusi a terzi e saranno trattati in modo da garantire sicurezza e riservatezza.

Il titolare dei trattamenti è Unione Consultori Italiani Prematrimoniali e Matrimoniali Onlus

Corso Diaz, 49 – 47100 Forlì               ucipemnazionale@gmail.com

Il responsabile è il dr Giancarlo Marcone, via Favero 3-10015-Ivrea.           newsucipem@gmail.com

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

 

Condividi, se ti va!