UCIPEM Unione Consultori Italiani Prematrimoniali e Matrimoniali
NewsUCIPEM n. 805 – 10 maggio 2020
Unione Consultori Italiani Prematrimoniali E Matrimoniali
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Carta dell’UCIPEM, Approvata dall’Assemblea dei Soci il 20 ottobre 1979. Promulgata dal Consiglio direttivo il 14 dicembre 1979.
1. Fondamenti antropologici
1.1 L’UCIPEM assume come fondamento e fine del proprio servizio consultoriale la persona umana e la considera, in accordo con la visione evangelica, nella sua unità e nella dinamica delle sue relazioni sociali, familiari e di coppia
02 ABUSI Sos minori. Bambini, una rete contro gli abusi
04 ADDEBITO Separazione con addebito
06 ADOZIONE Di maggiorenne: giudice può ridurre differenza minima di età
07 Adozione e affido rispondono a bisogni differenti dei bambini
07 ADOZIONI INTERNAZIONALI Ucraina. L’orrore dell’utero in affitto ai tempi del lockdown
08 Abbiamo mai pensato ai tempi d’attesa dei nostri figli?
09 AFFIDO FAMILIARE Guida all’istituto disciplinato dalla Legge 4 maggio 1983, n. 184
12 ASS. CONSULENTI CONIUGALI Conferenza on line con Alberto Pellai
12 L’AICCEF e l’ascolto a distanza
13 AUTORITÀ GARANTE MINORI Orfani per crimini domestici, le raccomandazioni dell’Autorità
14 BIBBIA Non mi toccare. Ogni diluvio è fonte di trasformazione
15 Occasione, non castigo!
17 CENTRO INTER.STUDI FAMIGLIA Newsletter CISF – n. 18, 6 maggio 2020
20 CHIESA CATTOLICA Sesso, donne, potere. Le sfide che la Germania lancia alla Chies
22 Francesco e le messe senza popolo. La parola alla difesa
23 Nella chiesa italiana torna il modello clericale
26 Quale libertà per quale culto?
27 Dopo il coronavirus: ricominciare ma diversi da prima
27 Religione e pandemia. La vita e il culto. La fede e la devozione
29 Che tutto non torni come prima
30 Le due chiese
30 CITTÀ DEL VATICANO Il Vaticano e l’ordine mondiale dopo la pandemia32 CO. ADOZIONI INTERNAZIONALI Riaprono i termini per le domande di rimborso spese adottive
33 A breve il decreto per il rimborso delle spese adottive 2018.
33 CONFER. EPISCOPALE ITALIANA Dal 18 maggio celebrazioni con il popolo
33 Matrimoni: ecco perché non rinunciare alla festa
34 Protocollo necessario x messe: per un opportuno discernimento
35 CONSULTORI UCIPEM Bologna. Punto di ascolto gratuito
35 Cremona. Un programma radiofonico per bambini e ragazzi
36 #io resto a casa, ciclo di incontri per genitori.
37 Porte chiuse e spazi aperti: adolescenti e genitori
37 Cuneo. Cuneo. Attivato servizio di ascolto telefonico
37 “Famiglia6Granda” non si ferma
37 Milano 2. Consultorio costituito nel 2000 dal Cav Mangiagalli.
38 COPPIE Quali sono i diritti negati alle coppie di fatto?
40 CORONAVIRUS 10 regali psichici da quarantena: trasformare crisi in opportunità
41 Udienze telematiche di separazione e divorzio: linee guida Cnf
43 DALLA NAVATA V Domenica di Pasqua – Anno A – 10 maggio 2020
43 La risposta è Gesù: via, verità e vita
43 DIRITTI Ius soli, ius sanguinis
44 DONNE NELLA (per la) CHIESA Anno settimo del pontificato. La sfida delle donne
46 I ministeri femminili nella storia
47 FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI Lettera del presidente nazionale al Presidente del Consiglio
48 FRANCESCO VESCOVO DI ROMA Una Chiesa poco politica
49 Chiesa che fa troppa o poca politica?
51 GENITORI Il bene dei figli: tre errori comuni commessi da genitori separati
53 GENITORIALITÀ ARTIFICIALE No alla maternità surrogata: la Cassazione dubita
55 GOVERNO Coronavirus: informazioni per le famiglie
57 MATERNITÀ Perché la Festa della Mamma è anche festa di ogni figlio
57 NEUROSCIENZE Maschio e femmina alla prova delle neuroscienze
58 PAPA EMERITO Benedetto: il Papa emerito è come un vescovo emerito
60 PASTORALE Bibbia e… pastorale
61 POLITICA Sanità, ovvero il modello di sviluppo che vogliamo
62 RELIGIONE Garelli: Italiani, “gente di poca fede”
64 RICONOSCIMENTO DEI FIGLI Come riconoscere un figlio
66 Come fare il disconoscimento della paternità
67 SOCIOLOGIA Dobbiamo riscoprire il significato costituzionale della sussidiarietà
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ABUSI
Sos minori. Bambini, una rete contro gli abusi
La piaga della pedofilia non si risolve soltanto con nuove norme, né con indagini di polizia, né con accordi internazionali. Se non sarà avviata una grande e coraggiosa azione preventiva, se non si riuscirà ad incidere su un atteggiamento culturale che vede ancora il bambino come strumento – o peggio, oggetto – nelle mani degli adulti, se non si potranno smontare i meccanismi pervasivi e per tanti versi inafferrabili che regolano il mondo digitale da cui provengono le minacce più insidiose, sarà difficile incidere in un pianeta ancora per tanti versi sconosciuto nelle sue reali dimensioni.
Nel corso del dibattito organizzato in occasione della Giornata nazionale contro la pedofilia, il ministro della famiglia, Elena Bonetti, ha invocato un cambio di paradigma, capace di fare voce ai diritti dei minori, oltre a tutte quelle misure conoscitive ancora troppo vaghe, come l’Osservatorio nazionale per il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile che non si riunisce dal 2016. «Ma lo abbiamo ridefinito e ricostruito in dialogo con quello per l’infanzia e l’adolescenza e – ha promesso Bonetti –tornerà a riunirsi”. E, a proposito di dati certi sul fenomeno pedofilia, la senatrice Licia Ronzulli, presidente della commissione bicamerale sull’infanzia, ha reso noto lo stato dei lavori dell’indagine conoscitiva che sarà completata entro l’anno. «I tanti auditi durante l’indagine – ha aggiunto – ci hanno confermato come l’abuso anche sessuale ai danni dei minori si verifichi nella quasi totalità dei casi su bimbi piccoli, in ambiente familiare e scolastico». Per favorire una conoscenza del fenomeno, Ronzulli ha proposto di installare in modo capillare sistemi di videosorveglianza a circuito chiuso e criptati. «Le risorse sono state stanziate, ora si tratta di rendere operativi questi sistemi», ha aggiunto.
Perché uno degli aspetti sottolineati ieri durante il dibattito organizzato in occasione della conferenza web organizzata da Telefono Azzurro è stato proprio l’incertezza dei dati. Sappiamo che durante questi mesi di quarantena blindata sono aumentati i casi di violenza all’interno delle famiglie – dato confermato dai magistrati minorili – sappiamo che sono in crescita le richieste di aiuto arrivate alla polizia postale, sappiamo che c’è stata una paurosa impennata del mercato on line pedopornografico. Sì, ma in che termini?
Ieri, nel corso della conferenza, Alessandra Belardini del Servizio di polizia postale per il contrasto alla pedopornografia sulla rete, ha rivelato che ogni giorno arrivano circa cinquemila segnalazioni di presunte situazioni irregolari. Tutte da verificare, perché prima di muoversi occorre capire se si tratta di allarmi autentici, situazioni da indagare e per cui allertare i territori di competenza. Un altro aspetto complesso, come ha spiegato il magistrato Giovanni Russo, della Procura nazionale antimafia, riguarda la difficoltà di stabilire una relazione tra l’impennata di accessi ai siti pedopornografici registrata nel corso dell’emergenza sanitaria – «un’epidemia nell’epidemia», l’ha definita l’esperto – e i reati legati allo sfruttamento minorile. Anche perché si tratta di un fenomeno criminale che non conosce frontiere e che ogni anno muove interessi per oltre 100 miliardi di dollari. «Servono misure concordate a livello internazionale.
Uno Stato da solo può fare ben poco». Ma anche in questo caso avviare una comune linea d’azione non sembra agevole. Una quindicina di Stati Usa ha proposto di considerare fuorilegge tutti i siti che ospitano contenuti esplicitamente sessuali prodotti dagli stessi utenti, perché qui soprattutto sarebbero rintracciabili le scene più terribili, spesso con la presenza di minori. Mentre in Francia si sta discutendo se rendere pubblici gli elenchi delle persone condannate in via definitiva per reati legati agli abusi sessuali su minori. Soluzioni diverse per una piaga da cui, come ha confermato Maud de Boer-Buquicchio, relatrice speciale dell’Onu per la vendita e lo sfruttamento sessuale dei bambini, «nessun Paese è immune, ma le condanne sono ancora pochissime in proporzione ai numeri di reati accertati. Anche perché i bambini più vulnerabili sono anche quelli più poveri, immigrati, rom». E per loro ben pochi sono disposti a spendersi, come confermato da Maria Monteleone, procuratore aggiunto alla Procura di Roma, da tanti anni in prima linea per reprimere il fenomeno degli abusi sui minori, che ha sottolineato come su dieci vittime, sette siano bambine. Cosa fare per arginare questa piaga odiosa? Quali strumenti mettere in campo?
Da qui la necessità di una riflessione profonda che vede la Chiesa schierata in prima linea, dopo anni in cui, ha ammesso padre Hans Zollner, docente di teologia alla Gregoriana e psicologo, direttore del Center for Child Protection, «non ha fatto tutto quello che sarebbe stato necessario per la prevenzione e la protezione delle vittime». Già con Giovanni Paolo II, poi con Benedetto e oggi con papa Francesco la situazione è profondamente cambiata. Le due lettere in forma di “motu proprio” firmate da Francesco sulla protezione dei minori, con nuove procedure per segnalare molestie e violenze (marzo e maggio 2019), e due rescritti dello scorso dicembre, in cui tra l’altro si innalza da 14 a 18 il limite d’età per la punibilità ed elimina il segreto pontificio per gli abusi sessuali commessi dal clero, segnano una svolta indiscutibile. «E poi non smettiamo di lavorare sull’acquisizione dei dati, sui servizi per le vittime, sulla formazione. Soltanto nell’ultimo anno abbiamo organizzato oltre mille seminari in tutto il mondo», ha detto padre Zollner.
Un impegno totalmente condiviso dalla Chiesa italiana nella consapevolezza che non basta la repressione ma serve un sistema preventivo capillare, organizzato e consapevole. Ieri, nel corso del dibattito, l’ha spiegato l’arcivescovo di Ravenna Cervia, Lorenzo Ghizzoni, presidente del Servizio nazionale tutela minori della Cei. Oggi la Chiesa italiana dispone di un sistema che coinvolge tutte le regioni ecclesiastiche e tutte le diocesi, con un referente locale, piccole equipe di esperti e centri di ascolto in grado di provvedere all’accoglienza delle vittime. Ghizzoni ha anche ricordato la costante collaborazione con la magistratura, frutto di una scelta abbracciata “in coscienza” da tutti i vescovi, pur in assenza di una legge che renda obbligatoria la denuncia.
Coinvolgimento delle realtà locali, responsabilizzazione, cooperazione tra pubblico e privato sono anche i punti fermi del “progetto Firenze” di cui ha parlato Laura Lega, prefetto del capoluogo toscano. Si tratta di un modello che coinvolge istituzioni pubbliche (amministrazioni locali, magistratura, scuola), terzo settore, associazioni e privati, per una grande opera di prevenzione e di educazione sul tema abusi. Coinvolti direttamente anche i ragazzi, perché – ha sottolineato il prefetto – «è giusto siano loro a spiegarci cosa si attendono dal mondo degli adulti».
Una scelta multidisciplinare indicata in conclusione anche da Ernesto Caffo, presidente di Telefono Azzurro e membro della Commissione pontificia per la protezione dei minori, come l’unica vincente. Tra le altre azioni urgenti, Caffo ha ricordato «una più ampia collaborazione tra lo Stato e le organizzazioni no profit per la rimozione dei materiali pornografici da internet; programmi educativi e misure di intervento preventive che includano famiglie e adulti di riferimento; stabilire standard qualitativi minimi per professionisti a contatto con bambini e adolescenti; coinvolgere i più piccoli per l’ideazione di progetti e – ha ribadito – ascoltare sempre la loro voce».
Luciano Moia Avvenire 5 maggio 2020
www.avvenire.it/famiglia-e-vita/pagine/bambini-una-rete-contro-gli-abusi
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ADDEBITO
Separazione con addebito
Le conseguenze di una separazione e di un divorzio possono variare sensibilmente se avvengono con o senza addebito. Ma cos’è l’addebito e quando scatta? In due parole, potremmo dire che la separazione con addebito si verifica tutte le volte in cui il giudice accerta che la fine del matrimonio è stata causata dalla condotta colpevole di uno dei due coniugi, il quale ha violato le regole del codice civile che i coniugi devono rispettare. Ma quali sono queste regole e quanto possono influire sull’assegno di mantenimento?
Cosa succede se una coppia si vuol separare? I matrimoni finiscono perché i coniugi non si amano più, non vanno d’accordo, hanno perso l’intesa e l’intimità di un tempo. Ma a volte, la rottura può dipendere dal comportamento colpevole di uno solo dei due: si pensi alle violenze perpetrate dall’uomo verso la donna, all’infedeltà coniugale, all’abbandono della casa, all’assenza di cure e di interesse per il proprio coniuge. In questo secondo caso, si verifica ciò che la legge chiama «separazione con addebito».
In particolare, se i coniugi decidono di farsi causa, ossia di procedere a ciò che la legge chiama “separazione giudiziale”, il giudice è chiamato a verificare se vi sono prove di colpevolezza a carico di uno dei due. Prove che, chiaramente, non possono essere ricercate dal tribunale ma devono essere offerte dalla parte che chiede l’addebito a carico dell’altra. Dunque, nella cosiddetta “fase istruttoria” del processo, uno o entrambi i coniugi tenteranno di dimostrare che il matrimonio è stato distrutto a causa dei comportamenti riprovevoli dell’ex (a breve spiegheremo quali sono).
Il giudice, con la sentenza definitiva, dichiara infine se tali prove hanno portato ad accettare l’esistenza di colpe a carico di uno dei coniugi e, in caso affermativo, addossa a quest’ultimo la responsabilità per la fine dell’unione. Questa dichiarazione di responsabilità si chiama addebito: essa consiste, infatti, nell’«addebitare» il naufragio del matrimonio a uno o ad entrambi i coniugi.
Se le violazioni dei doveri sono imputabili a entrambi i coniugi, addebita la separazione a tutti e due (cosiddetto doppio addebito).
Quali sono le colpe che portano all’addebito? I comportamenti che sono causa di addebito consistono nella violazione dei doveri del matrimonio sanciti dal codice civile ossia:
- Fedeltà;
- Reciproca assistenza morale: i coniugi si devono dare sostegno psicologico, devono aiutarsi nella malattia, devono dialogare, ma sono anche chiamati ai rapporti sessuali che, seppur non possono essere obbligati, possono causare la fine del matrimonio con addebito. L’assistenza implica anche il rispetto reciproco, il divieto di condotte violente, aggressive o umilianti;
- Reciproca assistenza materiale: se un coniuge è in difficoltà, perché ad esempio è disabile o non guadagna, deve ricevere le cure da parte dell’altro che dovrà assisterlo fisicamente o fornirgli il denaro per mantenersi;
- Convivenza: un coniuge non può andare via dalla casa coniugale con l’intenzione di non tornarvi più o di non sapere se e quando farà ritorno. È consentita la pausa di riflessione di qualche giorno o il trasferimento per motivi lavorativi concordato con l’altro coniuge;
- Contribuzione ai bisogni della famiglia: ciascun coniuge deve lavorare o, quantomeno, dedicarsi ai bisogni della casa o dell’altro coniuge affinché la famiglia “vada avanti”. È un concetto di solidarietà a cui si può adempiere in svariate forme, non necessariamente di tipo monetario.
La violazione anche di uno solo di tali obblighi implica la responsabilità per l’eventuale separazione e, quindi, l’addebito. Quindi, tanto per fare qualche esempio, subisce l’addebito chi:
tradisce il coniuge anche se non ci sono le prove di un contatto fisico: bastano i messaggi in chat o i comportamenti in pubblico che destino la convinzione, nella collettività, di una relazione adulterina, la quale potrebbe pregiudicare la reputazione dell’altro coniuge;
- Chi si allontana dalla casa coniugale dicendo di aver bisogno di tempo per pensare, ma non sa dire quando e se ritornerà;
- Il fatto di non amare più l’altro coniuge non è considerato una colpa e non comporta l’addebito. «Al cuore non si comanda», per cui è legittimo perdere ogni attrazione o affetto per il partner. Se un coniuge dice all’altro «Non ti amo più» non subisce l’addebito. Se però gli dice «Non ti amo più perché amo un altro» subisce l’addebito solo se con quest’ultimo ha avuto una relazione o comunque un contatto che possa far presumere un tradimento.
- Chi compie ai danni dell’altro coniuge comportamenti violenti o pressioni psicologiche, danneggiandone la salute;
- Chi non lavora, né cerca lavoro e, nello stesso tempo, si rifiuta di contribuire ai bisogni della famiglia dedicandosi alla casa;
- Chi dilapida il patrimonio familiare con il gioco o le scommesse senza contribuire a ripianare i debiti;
- Chi non presta assistenza al coniuge malato e bisognoso di assistenza;
- Chi viola la privacy del coniuge;
- Chi diffama il coniuge, ad esempio accusandolo in pubblico di adulterio pur non avendo alcuna prova di ciò.
Quando non c’è addebito. Attenzione: se la violazione di una delle regole del matrimonio che abbiamo indicato sopra avviene quando già la coppia è in crisi per altri motivi, non ci può essere addebito. Tanto per fare qualche esempio, non c’è addebito se:
- Il marito tradisce la moglie perché ha scoperto che già lei lo stava tradendo. In tal caso, l’addebito sarà in capo alla moglie;
- La moglie tradisce l’uomo perché lui la picchia e la vessa in continuazione;
- La moglie va via di casa perché il marito la maltratta;
- La moglie ha una relazione con un altro uomo in una chat su internet perché i due ormai non hanno più contatti e relazioni, né rapporti fisici o litigano spesso e hanno deciso di separarsi.
Difatti, per aversi addebito è necessario che la condotta colpevole sia essa stessa la causa della rottura del matrimonio e non invece la conseguenza di una rottura già conclamata per differenti ragioni.
Conseguenze dell’addebito. L’addebito non comporta sanzioni di carattere civile come il risarcimento. Sono solo due gli effetti dell’addebito. In particolare, il coniuge al quale è addebitata la separazione:
- Non può chiedere l’assegno di mantenimento, anche se il suo reddito è inferiore all’altro. Tuttavia, egli mantiene il diritto agli alimenti, se ne sussistono i presupposti (stato di bisogno oggettivo e grave; impossibilità di procurarsi i mezzi per la sopravvivenza);
- Perde i diritti successori nei confronti dell’altro coniuge: non può assumere la qualità di erede del coniuge defunto. Può però avere diritto ad un assegno vitalizio a carico dell’eredità in caso di godimento degli alimenti al momento dell’apertura della successione. L’assegno è commisurato alle sostanze ereditarie e alla qualità e al numero degli eredi legittimi e non è comunque di entità superiore a quella della prestazione alimentare goduta.
Eccezionalmente, l’addebito può portare a un risarcimento del danno quando la condotta incriminata viola uno dei diritti costituzionali. Così, ad esempio, nel caso di infedeltà con grave diffamazione perché compiuta in pubblico o di percosse con danni fisici.
Addebito: figli e casa. L’addebito non produce alcuna conseguenza sui figli e sull’assegnazione della casa. Difatti, anche in presenza di addebito, il coniuge responsabile ha diritto all’affidamento condiviso o può essere ritenuto come il più idoneo per vivere con i bambini. Una moglie che tradisce il marito potrà, quindi, ottenere la collocazione dei figli presso di sé, visto che il suo comportamento – per quanto colpevole con il marito – non si pone in contrasto con gli interessi dei figli stessi. La collocazione e l’affidamento dei figli, infatti, vengono decisi solo nell’interesse della prole, sulla base della meritevolezza e capacità dei genitori. Tanto per fare un esempio, una moglie che va via di casa e porta con sé i figli, pur subendo l’addebito, può ottenere la collocazione dei bambini presso di sé e l’assegnazione della casa coniugale.
Perché a volte la battaglia dell’addebito è inutile? A volte, la battaglia dell’addebito è inutile. Succede quando a chiedere l’addebito è il coniuge con il reddito più basso. Questi infatti avrà comunque diritto al mantenimento proprio per via della sua incapacità economica. Sicché, con o senza addebito, l’altro coniuge sarà comunque tenuto a versarle l’assegno mensile.
Doppio addebito. Se entrambi i coniugi hanno contribuito a rendere intollerabile la convivenza con comportamenti contestuali e non causalmente connessi, il giudice può addebitare la separazione a entrambi. In tal caso, il giudice valuta i comportamenti di entrambi i coniugi come gravemente contrari ai doveri imposti dal matrimonio e astrattamente idonei a produrre la rottura del rapporto coniugale.
Ad esempio, è stato pronunciato il doppio addebito in un caso in cui:
- Il marito ha tenuto una condotta violenta che comporta l’addebito, ma l’addebito è stato imputato anche alla moglie in quanto è stata provata una sua relazione extraconiugale;
- La moglie ha accusato il marito, in modo reiterato ed ossessivo, di adulterio e rapporti sessuali con altre persone di famiglia comunicando le accuse a parenti, amici, conoscenti e ai dipendenti del marito;
- Moglie e marito si sono traditi reciprocamente e contemporaneamente.
In caso di doppio addebito, non può essere determinato alcun contributo per il mantenimento del coniuge economicamente più debole o meno colpevole.
Il giudice non può effettuare una graduazione fra le diverse responsabilità né fondare il riconoscimento dell’assegno sulla minore rilevanza che il comportamento di uno dei due ha avuto sulla situazione di intollerabilità della convivenza.
La legge per tutti 7 maggio 2020
www.laleggepertutti.it/396704_separazione-con-addebito
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ADOZIONE
Adozione del maggiorenne: giudice può ridurre differenza minima di età
Corte di Cassazione, prima Sezione civile, sentenza n. 7667, 3 aprile 2020
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Il divario legale di 18 anni di età tra adottante e adottato limita ingiustamente la formazione di famiglie tra persone unite da saldi vincoli personali, morali e civili In tema di adozione del maggiorenne, la norma dell’art. 291 c.c., nel richiedere la differenza di diciotto anni di età tra adottante e adottato, pone un’evidente e ingiusta limitazione alla formazione di famiglie tra soggetti che, seppur maggiorenni, sono tra loro legati da saldi vincoli personali, morali e civili. Il giudice, avuto riguardo alle circostanze del singolo caso, può ridurre tale divario di età, al fine di tutelare situazioni familiari già consolidate.
Il tribunale di Modena aveva respinto la domanda di un uomo che intendeva adottare la figlia maggiorenne della compagna convivente, rimasta orfana da quando aveva sei anni, e cresciuta come se fosse sua figlia. Entrambi i soggetti, legati da un profondo legame del tutto equiparabile a un rapporto di filiazione, chiedevano che tale rapporto fosse riconosciuto. Uno dei requisiti richiesti dalla legge in caso di adozione del maggiorenne è che tra chi adotta e chi è adottato sussista una differenza di età di almeno diciotto anni (art. 291 c.c.).
La Corte d’appello di Bologna confermava la sentenza di primo grado sostenendo che non fosse possibile derogare al presupposto di legge, né che ci fosse una ragione particolare per farlo. L’uomo e la ragazza ricorrono in Cassazione, sollevando questione d’incostituzionalità dell’art. 291 c.c. nella parte in cui non attribuisce al giudice di merito la possibilità di derogare al presupposto della differenza di età. In tal senso la norma violerebbe l’art. 2 della Costituzione che riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo sia come singolo, sia nelle formazioni sociali come la famiglia.
La limitazione imposta dal legislatore violerebbe anche l’art. 3 Costituzione, poiché in materia di adozione in casi particolari del minore – L. n. 184/1983, art. 44, comma 1, lett. b) e comma 5 – il giudice può ridurre il divario di età in relazione alle circostanze del caso in esame. Sotto il profilo costituzionale ci sarebbe, infine, un contrasto con l’art. 10 Costituzione secondo cui “l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute.” Sia l’art. 8 della Convenzione Europea per i diritti dell’uomo, sia l’art. 7 della Carta Europea diritti fondamentali e art. 16 della Dichiarazione Universale diritti dell’Uomo, tutelano i valori della vita privata e familiare.
La norma codicistica in questione violerebbe le fonti sovranazionali di diritto. L’adozione del maggiorenne come strumento che consente la formazione di famiglie già esistenti. La Cassazione ha respinto l’eccezione di costituzionalità ma ha accolto il ricorso emanando un principio di diritto nella materia. La norma sospettata di incostituzionalità può e deve essere interpretata in maniera conforme alla Costituzione e alle norme di diritto internazionali.
I giudici di merito, nel decidere la domanda di adozione di maggiorenne, non hanno tenuto in considerazione le eccezioni di diritto circa l’applicazione degli artt. 291 c.c. e segg., con riferimento ai recenti sviluppi giurisprudenziali, che conseguono a un cambiamento della coscienza sociale in materia familiare. Quanto alla differenza tra i due istituti relativi all’adozione, la Cassazione richiama due precedenti sentenze della Corte Costituzionale (C. Cost. n. 89/1193 e C. Cost. n. 500/2000).
Anche se l’adozione in casi particolari di minori è istituto affine all’adozione di maggiorenne, in quanto mira a consolidare l’unità familiare nelle famiglie allargate, sempre più frequenti nel contesto sociale odierno, permangono tuttavia delle differenze. L’adozione del minore è sempre caratterizzata dall’inserimento nella famiglia e dalla convivenza, nonché dall’assunzione in capo all’adottante, dei doveri inerenti la responsabilità genitoriale di cui all’art. 147 c.c. di mantenere, istruire e educare l’adottato.
L’adozione di persone maggiori di età non implica necessariamente l’instaurarsi o il permanere della convivenza familiare e non determina la soggezione alla potestà del genitore adottivo. La Corte rileva, tuttavia, che nel contesto sociale odierno, il limite posto dal legislatore per l’adozione del maggiorenne, costituisce un ostacolo rilevante ed ingiustificato, e si configura come un’indebita ingerenza dello Stato nell’assetto familiare, in contrasto con l’art. 8 della Cedu.
Con la sentenza la Cassazione ha emanato il seguente principio di diritto: in materia di adozione di maggiorenne, il giudice, nell’applicare la norma che prevede la differenza minima d’età tra l’adottante e l’adottato, deve procedere a un’interpretazione costituzionalmente compatibile della norma di legge, che consenta una ragionevole riduzione del predetto divario di età, al fine di tutelare le situazioni familiari già consolidate.
Giuseppina Vassallo altalex 5 maggio 2020
www.altalex.com/documents/news/2020/05/05/adozione-del-maggiorenne-giudice-puo-ridurre-differenza-minima-di-eta
L’adozione e l’affido rispondono a due bisogni differenti dei bambini.
Sono un single di 48 anni, fra i miei desideri c’è sempre stata la famiglia numerosa, purtroppo è rimasto un desiderio irrealizzato. Credo comunque che il tipo di lavoro che svolgo mi permetta di accogliere un bambino perché riuscirei a dedicargli molto tempo e avrei il supporto anche dei miei genitori. Leggendo vari articoli comparsi sui giornali ho pensato di aver la possibilità di adottare un bambino, ma facendo i primi passi ho capito che io potrei solo dare la disponibilità ad un affido. Mi domando perché l’affido è consentito anche ad un single e l’adozione no? Cosa cambia avere un figlio in affido o in adozione?
L’adozione è prevista per i bambini privi di genitori in grado di crescerli, educarli, curarli. Non sono certo tutti bambini orfani, ma sono anche bambini ai cui genitori è stata tolta la responsabilità genitoriale. Questi bambini hanno bisogno di un’altra famiglia per sempre.
L’affido è un intervento che garantisce al bambino di vivere comunque in una famiglia alla luce di difficoltà temporanee della sua famiglia ma in vista di un rientro nella famiglia d’origine. Quindi il bambino non perde i suoi genitori, ma ne acquista altri (uno o due che siano) per il tempo necessario al superamento delle difficoltà.
Ambedue gli interventi hanno al centro il benessere del bambino e la scelta della famiglia accogliente è solo in funzione di questo. L’adozione si preoccupa quindi di restituire ad ogni bambino abbandonato il diritto ad essere figlio di una mamma e un papà di cui è stato privato, diritto direi naturale per ognuno di noi.
L’affido si preoccupa di sostenere la famiglia in difficoltà del bambino per il bene del bambino, attraverso la disponibilità di un’altra famiglia che deve rispondere al meglio alle necessità del bambino. L’affido sospende e previene quello che potrebbe essere un abbandono, anche se temporaneo.
La temporaneità e il progetto personalizzato di sostegno di ogni bambino aprono alla possibilità di accoglienza anche da parte di persone singole che potrebbero essere la migliore risorsa alla luce delle specifiche difficoltà del bambino.
AiBinews 5 maggio 2020
https://www.aibi.it/ita/sono-single-perche-laffido-mi-e-consentito-e-ladozione-no/
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ADOZIONI INTERNAZIONALI
Ucraina. L’orrore dell’utero in affitto ai tempi del lockdown
Un video per pubblicizzare bambini nati da utero in affitto: è quello pubblicato lo scorso 30 aprile 2020 dalla clinica Biotexcom, che mostra 46 neonati accuditi in alcune stanze di un hotel di Kiev, in Ucraina. I bimbi, commissionati da clienti di altri Paesi (Francia, Spagna, Inghilterra e anche Italia, secondo Avvenire), non hanno potuto essere “ritirati” a causa del lockdown imposto dal Coronavirus. Nel frattempo i contratti con le madri surrogate sono scaduti con il parto e quindi è stato necessario trovare un’altra sistemazione…
“Cari genitori – spiega una giovane con mascherina nella versione italiana del filmato – se ora non potete attraversare il confine e venire in Ucraina per prendere il vostro bambino, non disperate. Alcuni Stati sono già andati incontro ai propri cittadini ed hanno avviato il processo. “L’avvocato dell’agenzia fa da consulente alle coppie e cerca di velocizzare le pratiche, suggerendo alle coppie di rivolgersi alle proprie rappresentanze diplomatiche e al proprio ministero degli Esteri, ma nel frattempo “l’amministratore dell’hotel Venezia, dove i nostri piccoli ospiti stanno aspettando i loro genitori, parla della vita quotidiana dei neonati”.
“Le immagini – racconta Avvenire – mostrano come vivono i bambini, chi si prende cura di loro, in una sorta di allucinante vetrina di neonati infagottati. Un video pubblicitario utilizzato evidentemente per tranquillizzare i genitori committenti, ma che paradossalmente fa emergere una volta di più le storture della surrogazione di maternità”. “Ma il caso di Biotexcom – riporta un altro quotidiano, Il Corriere della Sera – è solo la punta dell’iceberg. In Ucraina sono decine le agenzie di maternità surrogata che in questo momento sono in difficoltà sia perché il business è fermo a causa della pandemia, sia perché si ritrovano con tanti bambini e bambine sospesi in un limbo, anche giuridico. Si parla di circa 500 neonati. Chi se ne prenderà cura? Qual è il loro status attuale? Sono cittadini ucraini? Sono apolidi? Domande ancora senza risposta”.
. La proposta di Carlo Giovanardi: “Adottare quei bambini”. Chi chiede di intervenire rapidamente è anche l’ex ministro Carlo Giovanardi, per quattro anni presidente della CAI – Commissione Adozioni Internazionali. “L’Italia – ha detto Giovanardi in una nota – si faccia carico di una proposta perché i neonati parcheggiati a Kiev, o altri che si trovano nelle stesse condizioni nei pochi paesi del mondo che ancora consentono la pratica ignobile dell’utero in affitto, vengano dati in adozione o nel paese in cui sono stati partoriti o tramite l’adozione internazionale”.
“Ha indignato e commosso il mondo – scrive Giovanardi – la foto dei neonati provvisoriamente ospitati in un albergo ucraino, in attesa che le coppie committenti, etero od omosessuali, li vadano a ritirare, dopo averli ‘comprati’ al costo di centinaia di migliaia di euro, come da contratto concordato con agenzie di intermediazione che si sono fatte carico di trovare una gestante”.
“Una recente sentenza della nostra Cassazione – continua Giovanardi – ha ribadito che questa pratica in Italia è penalmente perseguibile e i bambini comprati all’estero non possono essere riconosciuti dalle nostre anagrafi come figli dei committenti. Soltanto in Italia invece ci sono tremila coppie che in piena legalità, dopo aver espletato tutte le pratiche del caso, sono in attesa di adottare un bambino, o tramite l’adozione nazionale o tramite l’adozione internazionale”.
AiBinews 9 maggio 2020
Abbiamo mai pensato ai tempi d’attesa dei nostri figli?
Ci chiediamo mai cosa provino i bambini abbandonati nella loro estenuante attesa in istituto? Quando si vanno a cercare informazioni sull’adozione, uno dei primi argomenti che viene messo in evidenza sono i tempi dell’attesa. Le coppie si chiedono quanto tempo dovranno aspettare per incontrare il loro bambino, e ottenuta un’ipotetica quantificazione di questo tempo, spesso cominciano a preoccuparsi, pensano di non riuscire a reggere questa attesa del figlio. Un tempo in cui frequentano corsi di approfondimento, hanno colloqui di sostegno, preparano documenti: tutte attività che sanno che li stanno avvicinando all’incontro con il loro bambino.
Adozione internazionale e i tempi d’attesa dei futuri figli… in istituto. Un figlio che prima dove si trova? La maggior parte delle volte in istituto, dove non sempre ci sono persone che gli danno le attenzioni e l’amorevolezza di cui un bambino ha bisogno, dove non sempre ci sono proposte serene di gioco e attività con gli altri bambini, dove non sempre il tempo passa in modo pieno e arricchente per la sua crescita. In Istituto il bambino entra, ma non sa quando uscirà. Vede altri bambini che incontrano le loro nuove famiglie e se ne vanno con i loro genitori, e lui si chiede “ma perché io devo restare qui? Ma arriverà anche per me un papà e una mamma?”.
È un tempo immobile per lui, o addirittura rallentato, in cui i giorni scorrono ma senza avere idea se qualcosa cambierà. La coppia vive il tempo dell’attesa in cui ha un sogno, un progetto e obiettivi ben definiti, l’unica cosa incerta è quando arriverà il momento di abbracciare il proprio figlio. Un bambino invece vive un tempo immobile, in cui non sa se arriverà una mamma e un papà per lui, non sa se qualcuno lo sta desiderando e sognando. Dentro di lui c’è un sogno, un desiderio di famiglia, che spesso viene messo a tacere dal non avere prospettive raccontate e progettate. Inoltre in questo suo tempo, i suoi bisogni emotivi e psicologici non vengono soddisfatti in modo adeguato, vive una privazione affettiva. Si sente solo, e si convince che deve farcela da solo, e dentro di sé si chiede: ma io merito una famiglia?
Il bambino ha bisogno che gli adulti rispondano in modo efficace alle sue richieste di sostegno e vicinanza, se gli adulti lo trascurano o gli rispondono in modo inadeguato o aggressivo, generano in lui diffidenza e paura verso quelle figure che gli dovrebbero trasmettere sicurezza. Il bambino si trova solo e indifeso, in balia di emozioni e vissuti difficili che porta dentro di sé, senza poter sviluppare quella fiducia che gli permette di sentirsi accolto a rassicurato.
La differenza sicuramente viene data dagli adulti che seguono il bambino: più viene seguito, accudito e sostenuto, più porrà fiducia anche nella famiglia che incontrerà. I bambini, pochi rispetto al numero di bambini adottati, che vengono preparati all’adozione e all’incontro con la loro famiglia, sono bambini che si affidano più serenamente ai genitori. Se il loro tempo dell’attesa viene sfruttato per dare loro sostegno e aiutarli a sognare la famiglia che incontreranno, ecco che viene dato significato a questa attesa, e sono più sereni e consapevoli nell’incontrare mamma e papà, e il tempo, almeno quello di preparazione all’incontro con mamma e papà, non è più un tempo immobile.
Anna Rossi, psicologa Ai.Bi. – AIBInews7 maggio 2020
www.aibi.it/ita/adozione-internazionale-abbiamo-mai-pensato-ai-tempi-dattesa-dei-nostri-figli
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AFFIDO FAMILIARE
Guida all’istituto disciplinato dalla Legge 4 maggio 1983, n. 184
www.camera.it/_bicamerali/leg14/infanzia/leggi/legge184%20del%201983.htm
La Legge n. 184 del 1983 (intitolata Diritto del minore a una famiglia) disciplina l’istituto dell’affidamento familiare, il quale ha lo scopo di porre rimedio a situazioni di temporanea inabilità dei genitori esercenti la responsabilità genitoriale, che ostacolino il diritto del minore alla propria famiglia. A tal fine, la legge dispone, in favore della famiglia di origine, interventi di sostegno e di aiuto.
Che cos’è l’affidamento familiare? È uno strumento mirato a tutelare il minore, che ha una durata stabilita e che può terminare o in un rientro nella famiglia di origine o nella dichiarazione dello stato di adottabilità, quando i genitori non sono più in grado di adempiere la funzione genitoriale. Le circostanze di fatto che privano il minore di un ambiente familiare idoneo, possono riguardare la persona del genitore (gravi carenze comportamentali, malattie, ecc.) oppure uno stato di indigenza economica.
In tal caso i minori possono essere affidati ad un’altra famiglia, possibilmente con figli minori, a una persona singola, o a una comunità di tipo familiare, al fine di assicurare loro il mantenimento, l’educazione e l’istruzione. L’istituto è stato recentemente riformato dalla Legge 19 ottobre 2015, n. 173.
www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2015/10/29/15G00187/sg
Come ha inizio il procedimento. Spesso il nucleo familiare in difficoltà è segnalato al Servizio sociale, ma la pronuncia può scaturire anche in seguito alla pronuncia di decadenza dalla responsabilità genitoriale, emessa dal tribunale per i minorenni. Nel caso in cui l’affidamento sia disposto dal Servizio sociale, occorre il previo consenso prestato dai genitori (o dal genitore) esercenti la potestà o dal tutore (art. 4).
Il minore che ha compiuto i dodici anni o di età inferiore, in considerazione della sua capacità di discernimento, deve essere sentito. Il giudice tutelare rende esecutivo il provvedimento con decreto.
Nel caso in cui i genitori o il tutore non prestino il consenso, provvede il tribunale per i minorenni applicando la normativa di cui agli artt. 330 e seg. c.c.
Nel provvedimento di affidamento deve essere indicato il periodo di presumibile durata dell’affidamento che deve essere riconducibile agli interventi volti al recupero della famiglia d’origine. Questo periodo non può superare la durata di due anni ma è prorogabile, dal tribunale per i minorenni, qualora la sospensione dell’affidamento provochi un pregiudizio al minore.
L’affido può essere anche a tempo parziale. Il bambino trascorre con i genitori affidatari solo alcune ore del giorno, i fine settimana, o eventualmente brevi vacanze. In questo caso il minore non viene allontanato dalla propria casa, e l’affidatario svolge una funzione di sostegno alla famiglia di origine in difficoltà.
Chi può essere nominato affidatario. L’affidamento può essere intra-familiare o etero-familiare. I genitori possono affidare il figlio minore a parenti entro il quarto grado, senza limiti di durata.
L’art. 9 della Legge n. 184/1983 impone l’onere, a chi non sia parente entro il quarto grado e accolga stabilmente nella propria abitazione un minore, di darne segnalazione al procuratore della Repubblica presso il tribunale per i minorenni, trascorsi sei mesi. L’omissione della segnalazione può comportare l’inidoneità a ottenere affidamenti familiari o adottivi.
Ugualmente il genitore che affidi stabilmente a chi non sia parente entro il quarto grado, il figlio minore per un periodo non inferiore a sei mesi, deve fare la segnalazione alla Procura. In mancanza, tale condotta può comportare la decadenza dalla potestà sul figlio a norma dell’art. 330 c.c. e l’apertura della procedura di adottabilità. La norma non si applica, pertanto, se il minore è affidato a parenti entro il quarto grado (nonni, zii e cugini).
All’istituto dell’affidamento intra-familiare, è correlato quello dell’obbligo di prestare agli alimenti di cui all’art. 433 c.c. cui sono tenuti i parenti più prossimi, nell’ordine: il coniuge; i figli, anche adottivi, e, in loro mancanza, i discendenti prossimi; i genitori e, in loro mancanza, gli ascendenti prossimi; gli adottanti; i generi e le nuore, il suocero e la suocera; i fratelli e le sorelle germani o unilaterali, con precedenza dei germani sugli unilaterali.
Per quanto riguarda l’affidamento a terze persone, a differenza dell’adozione, che è consentita solo a persone coniugate da almeno tre anni, possono avere in affidamento un minore anche le coppie di conviventi o le persone singole. L’idoneità degli affidatari è stabilita tramite un percorso di diversi colloqui, in base all’analisi dei seguenti parametri:
– Età;
– Condizione psicofisica;
– Abitazione;
– Autosufficienza economica;
– Motivazioni all’affido;
– Storia personale e/o di coppia.
L’affidatario esercita i poteri connessi con la potestà parentale in relazione agli ordinari rapporti con l’istituzione scolastica e con le autorità sanitarie. L’affidatario ha diritto di ricevere da parte del servizio sociale locale sostegno educativo e psicologico.
Le famiglie o persone con minori in affidamento, ricevono un assegno base mensile corrispondente al periodo della durata dell’affidamento e proporzionato alla situazione economica, per contribuire alle spese relative a prestazioni di varia natura fornite al minore.
Diritti/doveri degli affidatari:
- Provvedere alla cura, al mantenimento, all’educazione e all’istruzione del minore affidato nel rispetto della sua identità culturale, sociale e religiosa;
- Mantenere, in collaborazione con il Servizio Sociale, validi rapporti con la famiglia di origine del minore, tenendo conto di eventuali prescrizioni dello stesso o dell’Autorità Giudiziaria;
- Osservare attentamente l’evoluzione del minore in affido, in particolare riguardo alle condizioni affettive, fisiche e intellettive, favorendo la socializzazione e i rapporti con la famiglia di origine;
- Assicurare la massima riservatezza circa la situazione del minore in affido e della sua famiglia;
- Non richiedere e non accettare denaro dalla famiglia di origine del minore in affidamento;
- Utilizzare il contributo erogato dalle Amministrazioni per il mantenimento del minore.
Quanto alla famiglia d’origine, questa deve mantenere validi rapporti con il figlio e rispettare il programma stabilito dagli operatori per favorire la normalizzazione della vita familiare e le prescrizioni concordate (nel caso di affidamento consensuale) o stabilite dal Tribunale per i Minorenni (in caso di affidamento giudiziale).
Il diritto alla continuità affettiva con gli affidatari. In un’elevata percentuale di casi, la durata dell’affidamento familiare si prolunga ben oltre i due anni previsti, con la conseguenza che, se il rientro nella famiglia di origine non è possibile, si dà l’avvio al procedimento di adozione e il minore conoscerà una terza famiglia. Nel frattempo può essersi creato un legame significativo tra il bambino e gli affidatari. Proprio per evitare che questo legame debba essere reciso, la Legge n. 173/2015 ha inserito alcune norme che tutelano la continuità dei rapporti che si sono instaurati durante il periodo dell’affidamento, se ciò corrisponde all’interesse del minore. Se dopo un prolungato periodo di affidamento il minore è dichiarato adottabile, e la famiglia affidataria – avendo i requisiti richiesti dall’articolo 6 – chiede di adottarlo, il tribunale tiene conto dei legami affettivi significativi e del rapporto stabile e duraturo consolidatosi tra il minore e la famiglia affidataria.
Anche se il minore rientra nella famiglia di origine o è adottato da altra famiglia, è comunque tutelata la continuità delle relazioni socio-affettive sorte durante l’affidamento (art. 4 comma 5 ter).
Le differenze tra affidamento e adozione. L’adozione è storicamente l’istituto che consente di ovviare a una situazione di abbandono del minore non transitoria, per essere inserito in una famiglia che provveda alla sua cura, istruzione e mantenimento. I minori di cui sia accertata la situazione di abbandono perché privi di assistenza morale e materiale da parte dei genitori o dei parenti tenuti a provvedervi, sono dichiarati in stato di adottabilità dal tribunale per i minorenni.
A differenza dell’affido familiare, la così detta “adozione piena” è consentita a coniugi uniti in matrimonio da almeno tre anni (art. 6). Tra i coniugi non deve sussistere e non deve essere intervenuta negli ultimi tre anni separazione personale, neppure di fatto. E’ sufficiente che i coniugi abbiano convissuto in modo stabile e continuativo prima del matrimonio per un periodo di tre anni, nel caso in cui il tribunale per i minorenni accerti la continuità e la stabilità della convivenza.
L’età degli adottanti deve superare di almeno diciotto e di non più di quarantacinque anni l’età dell’adottando. Questo tipo di adozione recide il legame del minore con la famiglia di origine. L’adottato acquista lo stato di “figlio” degli adottanti, dei quali assume e trasmette il cognome. Qualunque certificazione relativa allo stato dell’adottato deve essere rilasciata con la sola indicazione del nuovo cognome e con l’esclusione di qualsiasi riferimento alla paternità e alla maternità biologica.
L’art. 5 comma 1 stabilisce che l’affidatario o l’eventuale famiglia collocataria devono essere convocati a pena di nullità, nei procedimenti riguardanti la responsabilità genitoriale, l’affidamento e l’adottabilità del bambino, e hanno facoltà di far conoscere la propria opinione nel processo.
Esiste un’altra tipologia di adozione, la così detta “adozione mite”, proprio perché in tal caso, a differenza del modello ordinario di adozione, l’adottato mantiene il legame con la famiglia di origine.
L’adozione “in casi particolari”, così come disciplinata dall’art. 44 della Legge n. 184/83 (riformata dalla Legge n. 149/2001), è consentita in presenza di ipotesi tassative ad alcune categorie di soggetti:
– Persone unite al minore da parentela fino al sesto grado, o legate da un rapporto stabile e duraturo quando il minore sia orfano di padre e di madre;
– Il coniuge nel caso in cui il minore sia figlio anche adottivo dell’altro coniuge;
– I minori orfani con minorazioni fisiche, psichiche o sensoriali (art. 3, Legge n. 104/92);
– Impossibilità di affidamento preadottivo in caso di situazioni relative a particolari esigenze di natura assistenziale dell’adottando.
Questo tipo di adozione è consentita anche a chi non è coniugato e ai single. Sono considerati legittimati anche quei soggetti uniti al minore da un preesistente rapporto stabile e duraturo maturato nell’ambito di un prolungato periodo di affidamento.
La giurisprudenza recente sul legame minori/affidatari. La Corte di Cassazione (sentenza 7 giugno 2017, n. 14167) ha affermato che la mancata audizione degli affidatari nel procedimento per l’adottabilità del minore rende nullo il giudizio. Il ruolo degli affidatari è importante per la costruzione dell’ambiente relazionale del minore, e per conoscere il suo carattere, i suoi comportamenti, bisogni e criticità, soprattutto quando il periodo dell’affidamento sia di lunga o media durata.
Un’altra decisione rilevante è stata emessa dalla Cassazione con l’ordinanza 16 luglio 2018, n. 18827, in tema di consenso del genitore del figlio dato in affidamento, ai fini della richiesta di adozione in casi particolari da parte degli affidatari.
L’art. 46 della legge 184/1983 richiede l’assenso all’adozione in casi particolari, dei genitori esercenti la responsabilità genitoriale se conviventi con l’adottando.
L’interesse prevalente del minore è quello di vivere, per quanto possibile, con i propri genitori e di essere allevato nell’ambito della propria famiglia di origine (Cass. Civ. n. 13435 del 2016), con la conseguenza che il ricorso alla dichiarazione di adottabilità deve rappresentare l’estrema ratio (Cass. Civ. n. 3915/2018). Il Giudice deve verificare in primo luogo l’effettiva e attuale possibilità di recupero delle capacità e competenze genitoriali (Cass. Civ. n. 7559/2018).
Tuttavia hanno anche importanza i reali legami affettivi creati dal minore e non solo quelli formali. Da ciò deriva l’esigenza di valutare la corrispondenza dell’adozione all’interesse del minore, momento in cui devono essere bilanciati due diritti: quello del genitore a conservare un rapporto privilegiato con il figlio, e quello del minore ad essere inserito a tutti gli effetti, con pieno riconoscimento di diritti e doveri, nella famiglia che si prende cura di lui. Secondo la Cassazione, il dissenso del genitore, che sia meramente titolare della responsabilità genitoriale ma non ha un concreto rapporto affettivo col figlio, non ha efficacia preclusiva.
Occorre, dunque, analizzare se esiste una grave situazione di disgregamento dell’ambiente familiare d’origine del minore e solo in questo caso, si reputa non necessario acquisire il consenso del genitore all’adozione.
Giuseppina Vassallo altalex 28 gennaio 2020
www.altalex.com/guide/affido-familiare
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ASSOCIAZIONE ITALIANA CONSULENTI CONIUGALI E FAMILIARI
Conferenza on line con Alberto Pellai
Non potendo vederci da vicino stiamo organizzando una conferenza on line con Alberto Pellai psicoterapeuta, docente universitario e ricercatore dell’Università di Milano (*), su:
Genitori e figli, nuove strategie di incontro
tema di approfondimento di quest’anno, che è mirato ad aiutarci a sviluppare e sostenere le competenze genitoriali rispettando gli stadi evolutivi dei figli e valorizzare la loro personalità.
Il prof. Pellai ci proporrà sull’argomento alcuni interessanti stimoli:
- Quali le sfide educative durante e dopo l’emergenza?
- Quali aspetti della crescita sono stati più impattati?
- Quali gli interventi più utili durante il periodo di reclusione?
- Quali serviranno durante l’estate?
- E dopo?
La Conferenza on line si svolgerà domenica 24 maggio, presumibilmente dalle ore 9,30 alle ore 13,30.
Le modalità di iscrizione all’evento e le istruzioni per il collegamento alla piattaforma web, saranno comunicati a tutti i Soci via mail-list e pubblicate su questo sito con adeguato anticipo.
L’evento per i Soci AICCeF è gratuito e vale 30 Crediti Formativi Professionali.
(*) Alberto Pellai è un Medico, Psicoterapeuta dell’età evolutiva, Specialista in Igiene e Medicina Preventiva e Dottore di Ricerca in Sanità Pubblica. Lavora come ricercatore presso il Dipartimento di Sanità Pubblica dell’Università degli Studi di Milano, dove è docente di Educazione Sanitaria e Prevenzione. E’ stato ricercatore al Comitato nazionale statunitense di prevenzione dell’abuso all’infanzia.
L’AICCEF e l’ascolto a distanza
Care colleghe e cari colleghi,
questo momento di isolamento e distacco dalle prossimità, che tutti stiamo vivendo, man mano che passano i giorni ci sta facendo sperimentare sempre più il desiderio di utilizzare proficuamente il tempo a disposizione, nel rispetto delle recenti norme ministeriali. In molti è istintiva la voglia di essere di aiuto ad altri, portando ad interrogarsi circa il che cosa ciascuno può fare per l’altro. Un rinnovato senso di unità si fa strada, stimolando in ognuno il bisogno di riconoscersi nella comune appartenenza a cui attingere energia e fiducia per guardare con positività ai tempi futuri.
Tutto ciò è palpabile anche nella famiglia AICCeF infatti, sono tanti i Consulenti familiari®, Soci effettivi, che hanno scelto di mettere le proprie competenze professionali a disposizione di chi, in questo momento, fa fatica ad affrontare la quotidianità.
Le strade scelte sono diverse, alcuni hanno aderito alle iniziative avviate spontaneamente dai Consultori Ucipem, Cfc, Cif, Parrocchie o altri Enti, altri si sono proposti come liberi professionisti, attivandosi autonomamente.
Questo movimento verso gli altri, guidato dalla consapevolezza e dal forte senso di responsabilità espresso dai tanti Colleghi, rappresenta una risorsa importante a cui, come Associazione professionale desideriamo dare riconoscimento, supporto e visibilità.
Tutto questo ci piace immaginarlo come una rete di professionisti che in questo momento di particolare fragilità diffusa, abbraccia il territorio nazionale mettendo gratuitamente a disposizione di quanti ne sentano l’esigenza, uno spazio di ascolto di impronta socio-educativa, che possa fare da contenitore a pensieri, riflessioni, timori, aspettative, che inevitabilmente questa situazione può attivare.
Propongo pertanto di comunicarci le iniziative in cui ciascuno è impegnato o che autonomamente ha già avviato o intende avviare, affinchè possiamo darne informazione anche attraverso i nostri canali di comunicazione.
#insiemecelafaremo. Stefania Sinigaglia, presidente
Per la campagna dell’AICCeF sull’ascolto a distanza, a sostegno delle famiglie, si pubblicano gli elenchi:
- Consulenti Familiari® che hanno aderito, fino ad ora, all’iniziativa
https://ilconsulente26.blogspot.com/2015/10/giornata-di-studio-e-assemblea-dei-soci.html
ilconsulente26.blogspot.com/search?updated-max=2015-10-12T02:57:00-07:00&max-results=7
https://www.aiccef.it/
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AUTORITÀ GARANTE MINORI
Orfani per crimini domestici, le raccomandazioni dell’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza
Indicazioni rivolte a legislatore, ministeri e istituzioni. Pubblicato un documento di studio e proposta
L’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza ha formulato una serie di raccomandazioni a istituzioni e ordini professionali a tutela dei diritti degli orfani per crimini domestici. Tra di esse, quella di portare, a conclusione celermente l’iter del regolamento per l’utilizzo dei fondi a favore delle vittime, rivolta al Ministero Economia Finanze, al Ministro per le pari opportunità e la famiglia, invece, viene raccomandato di promuovere, d’intesa con la Conferenza unificata, linee guida per procedure d’intervento omogenee su tutto il territorio nazionale.
Al Consiglio Superiore Magistratura viene poi chiesto di promuovere il coordinamento tra uffici giudiziari dopo il verificarsi di un delitto, per una tempestiva tutela e presa in carico dei minorenni e successivamente perché siano comunicati agli orfani e agli affidatari i permessi premio concessi al genitore autore del reato e qualsiasi ipotesi di scarcerazione. Alle forze dell’ordine, secondo l’Agia, andrebbe poi offerta una formazione iniziale e continua sulle buone prassi da adottare in occasione dei primi interventi in presenza di vittime minorenni. Formazione ad hoc raccomandata anche a magistrati, avvocati, psicologi e assistenti sociali.
Alle Regioni e ai Comuni sono stati sollecitati, tra l’altro, presidi e servizi pubblici di informazione e orientamento, assistenza e consulenza a tutori e curatori speciali, reti di sostegno degli affidatari, sostegno psicologico e garanzia del diritto allo studio per gli orfani (per il quale l’Autorità garante ha rivolto una specifica raccomandazione al Ministero dell’istruzione) e assistenza medico psicologica gratuita. L’Autorità garante ha chiesto, infine, al Ministero dell’interno che nel database degli omicidi in ambito domestico siano inserite informazioni circa la presenza di figli di minore età. Quella della banca dati è un’esigenza già rappresentata dall’Agia anche al Parlamento, al quale viene chiesto anche di intervenire affinché la procedura di cambio di cognome per gli orfani divenga di competenza del Tribunale per i Minorenni. L’urgenza di acquisire numeri certi sull’ampiezza del fenomeno era già stata segnalata dall’Autorità garante in occasione della nota alle istituzioni in tema di riforma del sistema di tutela minorile, sulla scorta delle raccomandazioni del Comitato Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza del febbraio 2019.
Le raccomandazioni, indirizzate anche ai consigli nazionali degli avvocati, degli assistenti sociali e degli psicologi sono contenute nel documento di studio e proposta “La tutela degli orfani per crimini domestici”. Il volume è stato pubblicato oggi in pdf sul sito dell’Agia ed è stato realizzato da un gruppo di lavoro della Consulta nazionale delle associazioni e delle organizzazioni, presieduta dall’Autorità garante, con il supporto tecnico dell’Istituto degli innocenti.
www.garanteinfanzia.org/sites/default/files/tutela-orfani-crimini-domestici.pdf
“Quello degli orfani per crimini domestici è un fenomeno complesso, del quale non si conosce la reale dimensione. L’intervento dello Stato in questo ambito è indispensabile e urgente, per evitare che questi ragazzi siano orfani tre volte: per la perdita di entrambi i genitori – uno vittima e l’altro incarcerato o suicida – e per l’indifferenza dello Stato” osserva la Garante Filomena Albano. “Lo studio mira a individuare le reali necessità e i bisogni degli orfani, le buone pratiche e i punti di criticità del sistema. Quello che ne emerge è una carenza di dati ufficiali, di interventi multidisciplinari strutturali a sostegno di orfani e famiglie che li accolgono, di prassi unitarie nonché di un’adeguata formazione degli operatori sociosanitari”.
In allegato un estratto delle raccomandazioni dell’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza
Comunicato stampa Roma, 5 maggio 2020
www.garanteinfanzia.org/sites/default/files/estratto-raccomandazioni-tutela-orfani-crimini-domestici.pdf
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BIBBIA
Non mi toccare. Ogni diluvio è fonte di trasformazione
Dialettica tra deboli e forti nella comunità cristiana e il compito della Chiesa. Nell’ultimo giorno della sua vita Mosè espresse a Dio un desiderio: «Permetti che io passi di là e veda la bella terra che è oltre il Giordano e questi bei monti e il Libano». Ma dura fu la risposta di Dio: «Volgi lo sguardo a occidente, a settentrione, a mezzogiorno e a oriente e contempla con gli occhi, perché tu non attraverserai questo Giordano» (Deuteronomio 3,25–27). L’uomo che aveva camminato per quarant’anni portando il peso della Promessa di una terra “bella e spaziosa”, di latte e di miele, non vi avrebbe mai messo piede. Ma l’avrebbe soltanto “guardata da lontano” proprio come le donne dovettero fare con Gesù, mentre moriva in Croce. Il Corpo del Signore, Altra terra promessa, bella, libera, dolce. Terra d’abbraccio, meta di spes contra spem, carne di fraternità, liberata dal sangue di Abele. Chi non vorrebbe toccarlo? Chi non vorrebbe baciarlo? Stringerlo, trattenerlo, cantarne la delizia in un Cantico intonato con cinque e mille sensi? Ma come a Mosè fu negato di adagiare le membra stanchissime sull’umore dei pascoli cisgiordani, così a Maria di Magdala fu negato di “trattenerlo”.
«Non mi toccare» fu la parola del Signore risorto. Mai come quest’anno la Chiesa universale si è trovata nei panni della Maddalena. Una Pasqua vuota di tatto e di abbraccio. Priva del contatto delle mani nello scambio della pace, di quello tra i ministri e l’assemblea concelebranti, assenti dalla Messa, niente Battesimi, Matrimoni, e, specialmente, il bacio e l’Unzione dei malati. Non c’è stato contatto tra i fratelli e le sorelle delle comunità, tra gli uomini e le donne separati dai diversi ruoli, vocazioni, ministeri. E quanto ai molti poveri, agli stranieri, agli anziani e ai giovani soli, ai figli di nessuno, sarà pesata la maggior difficoltà di ripararsi nell’unica famiglia sempre aperta: l’oratorio, la chiesa, la parrocchia. Sembra un paradosso ma è proprio questa la primizia di Pasqua! Nella “distanza” a lei si rivelò la Presenza. «Maria», Lui la chiamò; «Maestro», lei lo riconobbe.
Benedetta lontananza, sguardo teso, privo di possesso! E proprio per questo puro, nitido, vero. Casto di ogni rischio idolatrico. Immune da ogni eventuale rapina clericale, ideologica o venale. La fede che si radica sulla fiamma della Voce del Risorto: «Non mi toccare ma va’ dai miei fratelli e dì loro (…) Ho visto il Signore» (Giovanni 20,17–18).
Deboli e forti. Recentemente tra i cattolici si è aperta una dialettica su cosa sia essenziale alla vita cristiana. Molti hanno reclamato l’anima caritatis, quella spirituale o quella kerygmatica che nessuna fisica distanza può ostruire. Tanto meno nell’era delle piattaforme virtuali. Non è giustificato il bisogno stringente di res, di “presenza reale”, di corpo transustanziato, di riaprire, insomma, tempestivamente, le Chiese alle assemblee eucaristiche. Per chi non può fare la comunione sacramentale c’è la comunione spirituale. Qualcuno mette in guardia persino dalla tentazione di coprire – con lo zelo verso gli atti di culto – l’ansia di rioccupare spazi di autonomia. Il Vangelo di Maddalena dà ragione a costoro! Così il Vangelo di tanti cristiani che, in altrettante regioni del mondo, sono costretti a vivere senza la Messa la domenica. A lei e a loro, il Signore risorto, concede solo la visione, la voce e la Parola. Lei non può più toccare quel «Verbo» – che si «era fatto carne» (Giovanni 1,14) – e che ora è Risorto.
Ma il Vangelo di Giovanni non finisce con Maria di Magdala. Ci sono, poi, i discepoli. I quali non riescono a non “toccare”. Ne hanno bisogno per credere. Inattesa è la reazione del Risorto verso i suoi: «Metti qui il tuo dito (…) tendi la tua mano, mettila nel mio fianco», dice a Tommaso (Giovanni 20,27). Si fa di nuovo “corpo” quasi di madre, per loro. Conosce la loro debolezza e si abbassa per farsi abbracciare, si china su di loro, come un padre, per dargli ancora da mangiare (cf. Giovanni 21,13). La fede di Maria di Magdala è simile a quella di quei cristiani «forti» di cui parla Paolo. Essi hanno la conoscenza e sono liberi ma, proprio per questo, devono «accogliere chi è debole» e non «giudicare» i loro fratelli (Romani 14, 1.10). I quali hanno bisogno, invece, di abbracciare anche nel tempo dovuto all’«astenersi dagli abbracci» (Qoèlet 3,5). Nella Chiesa ci sono i deboli e i forti. E proprio nei tempi di crisi – come l’attuale – è necessario aver cura gli uni degli altri e non trasformare il Segno della comunione in teatro di divisione! Parlarne, discuterne, aiutarsi. Usare uno stile di domanda, di mitezza. Un linguaggio umile, paziente, che ascolti. Occorre sapersi aspettare a vicenda, come direbbe ancora Paolo. «Cerchiamo ciò che porta alla pace e alla edificazione vicendevole» per non distruggere l’opera di Dio (Romani 14,19–20).
Sorella Chiesa. Di ogni cosa, ci accorgiamo già, non resterà la forma e le “strutture” attuali. Il lavoro non sarà più lo stesso e anche le relazioni umane muteranno. Anche la Chiesa cambierà, certamente. Ogni “diluvio” è fonte di trasformazione. Così come di purificazione, di correzione, di rinnovamento. E, prima ancora, di verità. Il diluvio rivela quanto la Chiesa già vive, la mette a nudo. E come accadde ai tempi di Noè, sarà ancora il vento che, soffiando sulle acque, farà riemergere l’“asciutto”. Il vento dello Spirito. Non credo che sarà più possibile separare le Chiese dalle case o contrapporre il clero ai laici ma solo coniugarli nell’opera nuova. Non credo che sarà più possibile che solo alcuni abbiano la facoltà di pensare e di decidere e a tutti gli altri spetti di eseguire.
Nella Chiesa delle origini – critica nei confronti del dogmatismo legalistico – la Parola è di tutti e viene esercitata nel dialogo, nella ricerca profetica, nell’impegno e il travaglio del discernimento e nella discussione costruttiva. Così accadrà nel prossimo futuro. Riguardo i sacramenti la Chiesa dovrà prendere atto del deserto “reale”, attorno a essi; dovrà recepire il messaggio che veniva (molto prima del coronavirus) dalla fuga dei giovani dalla parrocchia, dopo gli anni del catechismo, e poi dal matrimonio e dal battesimo dei piccoli. Ancor più grave, della frequente in– incidenza morale, spirituale, culturale, dei sacramenti e del loro essere ridotti – molto spesso – a meri “soprabiti” esteriori. Anche la Messa: già da tempo non poche delle nostre chiese sono semi–deserte e la “distanza” di tre o quattro metri, tra i fedeli, in larga parte anziani, assolutamente garantita. Anche se la rinascita ci fa ancora paura, non perderemo, certo, l’occasione per darle Corpo e Voce.
Rosanna Virgili Avvenire 5 maggio 2020
https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/non-mi-toccare-ogni-diluvio-fonte-di-trasformazione
Occasione, non castigo!
Come discernere la voce di Dio nel delicato momento che stiamo attraversando? Quali sono le parole che ci rivolge, capaci di essere lampada per i nostri passi e luce sul suo cammino (cfr Salmo 119,105)? Sono tra le domande più radicali che risuonano, in modo più o meno esplicito, nel cuore dei credenti, disorientati come tutti in questi giorni di pandemia. Sono tante le risposte banali e affrettate che si levano, anche all’interno della compagine ecclesiale, contribuendo a creare confusione, paura, se non addirittura scandalo. Risposte che rischiano perfino di distorcere l’immagine di Dio, presentandolo come vendicativo e assetato di punizioni: niente di più lontano dall’identità del Dio biblico, rivelata in Gesù e nella sua Pasqua.
Nondimeno, si riaffaccia una domanda antica: perché Dio “permette” il male? La Sacra Scrittura non offre una risposta teorica, ma narra alcune storie che permettono di confrontarci con il mistero del male in una prospettiva di fede. Una suggestiva, anche se poco conosciuta, icona biblica è la guarigione prodigiosa del re Ezechia, raccontata in Isaia 38, 1-8.
1 In quei giorni Ezechia si ammalò mortalmente. Il profeta Isaia, figlio di Amoz, si recò da lui e gli disse: «Così dice il Signore: “Da’ disposizioni per la tua casa, perché tu morirai e non vivrai”». 2 Ezechia allora voltò la faccia verso la parete e pregò il Signore 3 dicendo: «Signore, ricòrdati che ho camminato davanti a te con fedeltà e con cuore integro e ho compiuto ciò che è buono ai tuoi occhi». Ed Ezechia fece un gran pianto. 4 Allora la parola del Signore fu rivolta a Isaia dicendo: 5 «Va’ e riferisci a Ezechia: “Così dice il Signore, Dio di Davide, tuo padre: Ho udito la tua preghiera e ho visto le tue lacrime; ecco, io aggiungerò ai tuoi giorni quindici anni. 6 Libererò te e questa città dalla mano del re d’Assiria; proteggerò questa città”. 7 Da parte del Signore questo ti sia come segno che il Signore manterrà questa promessa che ti ha fatto. 8 Ecco, io faccio tornare indietro di dieci gradi l’ombra sulla meridiana, che è già scesa con il sole sull’orologio di Acaz». E il sole retrocesse di dieci gradi sulla scala che aveva disceso.
Malattia e reazione di fede di Ezechia. Il grande sovrano di Giuda (sul trono dal 715 al 687 a.C.), celebre per le sue coraggiose riforme in campo religioso (cfr 2Re 18,3-7a; 2Cronache 31,1), cade vittima di una violenta malattia, la cui natura e le cui cause restano inespresse. Sembra che il libro di Isaia, ponendo il racconto in connessione narrativa con i capitoli precedenti sull’invasione assira (capp. 36-37), faccia della malattia del sovrano una rappresentazione della situazione di Gerusalemme e dei suoi abitanti. Come nella malattia mortale di Ezechia è personificata quella dell’intera nazione, così nella sua guarigione – come precisato in modo esplicito nel v. 6 – “prende corpo” quella del Paese, la sua liberazione dalla mano del re d’Assiria.
In un primo momento, Isaia non sembra essere di grande conforto; anzi, si limita a confermare al re la gravità della patologia: Da’ disposizioni per la tua casa, perché tu morirai e non vivrai (v. 1). Nel mondo antico era comune che un malato richiedesse un oracolo divino sull’esito della propria infermità. Qui, invece, il sovrano di Giuda non domanda l’intervento del profeta, che lo visita di propria iniziativa. La comparsa di Isaia sulla scena in modo così brusco e con un messaggio così fatale stupisce il lettore, soprattutto perché manca ogni giustificazione di un annuncio tanto drastico. Si confrontino ad esempio le parole di Isaia con quelle ben motivate di Elia nei confronti di Acab dopo l’iniqua condanna a morte di Nabot (cfr 1Re 21): Così dice il Signore: «Hai assassinato e ora usurpi! […] Nel luogo ove lambirono il sangue di Nabot, i cani lambiranno anche il tuo sangue. […] tu ti sei venduto per fare ciò che è male agli occhi del Signore. Ecco, io farò venire su di te una sciagura e ti spazzerò via. Sterminerò ad Acab ogni maschio, schiavo o libero in Israele» (1Re 21, 19.21).
Per Ezechia – e per il suo regno assediato – pare non esserci più speranza, ma il sovrano non si arrende e in questa condizione di angoscia rivolge a Dio la sua preghiera: Signore, ricordati che ho camminato davanti a te con fedeltà e con cuore integro, e ho compiuto ciò che è buono ai tuoi occhi (v. 3). «Ezechia si volta verso la parete della sua stanza: il gesto di un cuore affranto che si chiude al resto del mondo per entrare in intimità al cospetto di Dio con una dolente supplica. Egli ricorda i suoi meriti dinanzi al suo Signore, meriti, in formulazione deuteronomistica, che lo hanno reso un re esemplare. La supplica è accompagnata con uno scoppio di pianto» (Nobile M., 1-2Re, Paoline, Milano 2010, 439-440). La preghiera di Ezechia ha una configurazione significativa, in quanto non vi emerge né il pentimento per le proprie azioni, né la riprovazione o l’accusa nei confronti di Dio e del suo modo di agire: è una pura confessione di fede. Il sovrano implora Dio di ricordare in che modo si sia comportato nei suoi anni di governo, rispettandone sempre le disposizioni; si sottomette totalmente al suo giudizio e alla sua volontà, anche di fronte a qualcosa di difficile da accettare.
In questo modo il testo intende mostrare la grandezza morale di Ezechia, servo di Dio, buono e fedele, che non ha nulla da rimproverarsi, anche nel momento in cui si trova di fronte a una morte certa e imminente. Mostrando questa fedeesemplare, il testo punta a chiarire che la liberazione del re dalla sua infermità, come quella di Giuda dall’invasione straniera, è da considerare come atto speciale di protezione da parte di Dio, consono alla grandezza altrettanto speciale di questo sovrano.
La promessa della guarigione. La preghiera, innalzata con fede e irrorata di lacrime, non rimane inascoltata ed è lo stesso profeta ad annunciarlo: Dice il Signore […]: Ho udito la tua preghiera e ho visto le tue lacrime; ecco io aggiungerò ai tuoi giorni quindici anni(v. 5).A livello formale, questo ulteriore intervento di Isaia si configura come “oracolo di assicurazione”: per mezzo del suo profeta Dio interviene a scacciare dal cuore del credente la paura, offrendone anche le opportune motivazioni. Dal dettato oracolare si coglie che il Signore ha apprezzato e accolto la supplica del re e, nella salvezza che si appresta a concedere, troverà conferma il legame con la dinastia davidica, di cui Ezechia è membro illuminato. Il re non è ancora stato guarito, ma ha ricevuto una solida garanzia di nuova vita, che gli consente di continuare a perseverare nel suo atteggiamento di fede. In fondo è la stessa dinamica che si ritrova nel cap. 37: l’annuncio profetico dell’affrancamento di Gerusalemme dalla minaccia assira ha la forma di una promessa (cf Isaia 37,7.29), alla quale il re e la sua città devono prestare fede in attesa di vederne il compimento (cfr Isaia 37,36-38).
Ma il pronunciamento profetico non si esaurisce qui: Libererò te e questa città dalla mano del re d’Assiria; proteggerò questa città(v. 6). Nella redenzione di Ezechia dalla potenza mortale della malattia prenderà forma anche la redenzione di Gerusalemme dalla potenza altrettanto mortale di Ninive e del suo esercito. Questa associazione fra la malattia-guarigione fisica del sovrano e la condizione per certi versi paragonabile della nazione intera non rappresenta una novità nel libro di Isaia. Infatti, già nel cap. 1 – una sorta di ouverture dell’intero scritto profetico – Isaia utilizzava il paragone con un corpo malato, ormai sulle soglie delle morte, per descrivere la situazione del regno: Tutta la testa è malata, tutto il cuore langue. Dalla pianta dei piedi alla testa non c’è nulla di sano, ma ferite e lividure e piaghe aperte, che non sono state ripulite né fasciate né curate con olio(Isaia 1,5b-6).
«Riprendendo la descrizione del cap. 37, in cui la preghiera del re aveva rovesciato quella che sembrava essere una condanna a morte per Sion, anche qui Ezechia segue l’unica via rimasta: prega (38,2). Prende posizione sulla base della sua fedeltà davanti a Dio – una cosa che la nazione non può fare! Dio ode la preghiera, come nel cap. 37, e di conseguenza viene pronunciata una nuova parola profetica: al re è accordata una promessa di nuova vita (38,5). Ma non solo questo: la preghiera del re salva anche una città che non ha precedenti di fedeltà a cui ricorrere o su cui fondare il proprio appello alla misericordia di Dio. La città viene salvata per la preghiera del re, per i suoi anni di fedele servizio e per il suo procedere davanti a Dio con cuore integro. Ciò che la città non può fare per i propri meriti, può farlo, e lo fa, il re» (Seitz C.R., Isaia 1-39, Claudiana, Torino 2012, 266).
Al fine di confermare l’affidabilità della promessa, Isaia offre al re un segno: l’ombra della meridiana solare di Acaz retrocederà di dieci gradi. Nel racconto parallelo di 2Re 20, a Ezechia è concesso di decidere in quale direzione l’ombra della meridiana debba spostarsi, e opta per il movimento più innaturale, e quindi più convincente.
2Re 20,8-11. 8 Ezechia disse a Isaia: «Qual è il segno che il Signore mi guarirà […]?». 9 Isaia rispose: «Da parte del Signore questo ti sia come segno che il Signore manterrà questa promessa che ti ha fatto: vuoi che l’ombra avanzi di dieci gradi oppure che retroceda di dieci gradi?». 10 Ezechia disse: «È facile per l’ombra allungarsi di dieci gradi. Non così! L’ombra deve tornare indietro di dieci gradi». 11 Il profeta Isaia invocò il Signore che fece tornare indietro di dieci gradi l’ombra sulla meridiana, che era già scesa sull’orologio di Acaz.
È probabile che il segno debba essere interpretato proprio in relazione alla rassicurazione che Ezechia ha ricevuto. Il movimento a ritroso dell’ombra solare alluderebbe al tempo ulteriore di vita concesso al sovrano, invitato a riconoscere l’affidabilità della promessa in questo segno prodigioso. Alcuni commentatori fanno notare anche come il rimando alla meridiana di Acaz non sia casuale: quell’atto di fede, al quale il padre di Ezechia era stato a suo tempo sollecitato, ma che non aveva avuto il coraggio di compiere (cfr Isaia 7, in particolare vv. 10-17), ora è compiuto dal figlio; e grazie a questo atto di fede da parte del suo capo, tutta la nazione troverà salvezza.
La malattia come opportunità. Come abbiamo già sottolineato, in questo testo non si dà motivazione della malattia di Ezechia. A differenza di tanti altri passaggi della Scrittura, dove esperienze tragiche della vita sono associate più o meno direttamente alla colpa commessa, qui la sventura che colpisce il re non ha apparente spiegazione; quindi, non può essere banalmente definita come castigo. Grazie anche alla voce profetica, diviene invece occasione per una svolta nella vita di Ezechia e della comunità a lui affidata.
Il primo intervento di Isaia ha un solo scopo: aiutare il re a cogliere la serietà della propria condizione. Rimovendo ogni infondata e illusoria speranza, Isaia spinge il sovrano a guardare in faccia la realtà, suscitando in lui un vero movimento interiore: uno scatto del cuore, che consente anche a questo passaggio drammatico della vita di diventare incredibilmente e inaspettatamente fecondo.
Ezechia riconosce che la vita – la sua, come quella di tutto il suo popolo – è nelle mani di Dio, consegnata al suo giudizio e alla sua misericordia. Nelle sue parole non si intravvede smarrimento, paura, o rabbia, ma la coscienza di appartenere a qualcuno; e questo qualcuno non tarda a manifestarsi. Forse il vero motivo di consolazione dell’intera vicenda non sta tanto nella guarigione finale del sovrano e nella concessione di un prolungamento della sua esistenza terrena, quanto nel fatto che Dio conferma anche in questa circostanza di non essere insensibile al pianto e alla sofferenza dei giusti. Di fronte all’uomo che si volge con coscienza retta verso di lui, il Signore non resta indifferente.
Una potenzialità positiva, anche nel dramma. Potersi volgere nuovamente e sinceramente verso Dio è forse l’opportunità che ci è data in questo tempo doloroso di prova: non un gesto disperato, ma un cosciente affidamento a un Padre che non può restarsene indolente, perché sarebbe contro la sua stessa natura. In questi giorni suscita commozione pensare a quante persone e a quante famiglie, nella discrezione delle proprie abitazioni e in comunione con i loro preti, anche grazie agli strumenti che la tecnologia mette a disposizione, tengono rivolto il loro sguardo, e quello di tutta la Chiesa, verso quel Dio che è Padre, il Dio di Gesù. E volgersi verso Dio vuol dire necessariamente anche volgersi verso il prossimo, in particolare verso coloro con i quali condividiamo normalmente la vita, al punto da considerare la loro presenza un dato scontato; qualcosa che non suscita più stupore e desiderio di ringraziamento.
È, dunque, possibile anche e soprattutto in questa stagione di prova tornare a volgersi con tutto il cuore verso Dio, e quindi verso il prossimo, con un atto di autentico affidamento, libero da ogni pretesa e capace di prescindere dall’ottenimento di un risultato pur desiderato. E questa è una buona notizia, che merita di essere comunicata e celebrata.
Massimiliano Scandroglio Aggiornamenti sociali Fascicolo: maggio 2020
www.aggiornamentisociali.it/articoli/occasione-non-castigo
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CENTRO INTERNAZIONALE STUDI FAMIGLIA
Newsletter CISF – n. 18, 6 maggio 2020
v Aracnetv. 171 video per dire che #andra’ tutto bene. Questa volta segnaliamo questa interessante iniziativa di AracneTV, la webTV della casa editrice omonima, che ha organizzato una vera e propria library di videointerviste (171 videointerviste dal 19 marzo al 4 maggio) sugli argomenti più disparati: dalla storia della Peste Nera del ‘600 alle indicazioni su “come sopravvivere all’isolamento sociale”. Ma i video (in genere tra i 15 e i 20 minuti) non sono dedicati solo all’emergenza Covid-19; sono presenti interviste su temi storici, giuridici, psicologici, ecc. Ovviamente le voci sono le più disparate, e magari su qualche intervento non tutti saremo d’accordo. Però questi materiali consentono di ascoltare riflessioni pacate, in genere ben fondate empiricamente, per passare un momento di ascolto e di riflessione sereno, senza troppe polemiche, “portando a casa” (per molti di noi letteralmente) qualche informazione in più. www.aracne.tv/rubriche.php?c=ATB&s=&p=1&pp=50
v Tante medaglie alla famiglia ma nessun aiuto vero. I temi “famiglia” e “bambini” o “ragazzi” sembrano totalmente spariti dalle priorità del Governo e certamente dalle priorità del Decreto Aprile. Questo è gravissimo, ma purtroppo non sorprendente. [F. Belletti, 30 aprile 2020, su famigliacristiana.it].
www.famigliacristiana.it/articolo/tante-medaglie-alla-famiglia-ma-nessun-aiuto-concreto.aspx?utm_source=newsletter&utm_medium=newsletter_cisf&utm_campaign=newsletter_cisf_06_05_2020
Il family international monitor è un’indagine internazionale sulla famiglia, promossa (dal 2018) da Cisf, Università Cattolica S. Antonio Murcia e il Pontificio Istituto Teologico “Giovanni Paolo II” per le Scienze del Matrimonio e della Famiglia. Per essere informato iscriversi a www.familymonitor.net
v Povertà virtuale: luci e ombre dell’educazione telematica della famiglia cilena nel contesto della pandemia. Testo di Juan Pablo Faúndez Allier, direttore del Programma di scienze per la famiglia, Università Cattolica Pontifica di Valparaiso (CILE). “…gli esperti di informatica delle istituzioni scolastiche e universitarie cilene si sono trovati nel “contesto sognato” che avrebbe posto in evidenza, una volta per tutte, il fatto irreversibile per mezzo del quale si sarebbe dimostrato che avanziamo verso la virtualità in modo universale e trasversale nei diversi processi di insegnamento […ma…] Le differenze sociali si ripercuotono seriamente nell’ambiente domestico in cui ciascuno studente deve accedere allo scenario virtuale. Questo perché non è lo stesso seguire una classe telematica in una casa silenziosa di 150 metri quadrati in cui vivono 4 persone o in un appartamento di 50 metri quadrati in cui vive lo stesso numero di persone. Un fatto che ora diventa addirittura più drammatico con le condizioni di sovraffollamento in cui vivono molte famiglie in quarantena per il Covid-19. Ovvero, i presupposti favorevoli per un insegnamento virtuale adeguato si calcolano non solo con il fatto di disporre di mezzi telematici, ma con lo spazio e l’ambiente idonei per l’apprendimento. Ed in merito a questo, la casa e i modi di interconnessione personale dentro della stessa giocano un ruolo fondamentale. È nel contesto familiare che si potrebbe verificare il successo o il fallimento di questa nuova modalità di insegnamento […]”
https://b5094af5-fa37-47bf-8e1c-6a030eea0308.usrfiles.com/ugd/b5094a_a2a29d7e746e417ab8a1c34c30e87e60.pdf
v “Fontana vivace”, la quarantena vissuta insieme. Le giornate nell’epoca della pandemia in una casa famiglia di Genova. www.famiglieperaccoglienza.it
Dall’Associazione “Famiglie per l’accoglienza” una testimonianza “vivace” e piena di speranza, per ricordare tutti i bambini che stanno vivendo la quarantena in strutture di accoglienza. “Riconosco che è una fortuna passare le giornate di ‘chiusura’ con gli amici della casa, e in una dimora così bella: lo ripetiamo spesso ai ragazzi. Possiamo vedere i volti di chi è con noi da quasi dieci anni (in questo momento, in casa, siamo ventidue), condividere con loro i timori, le novità, le cose belle che accadono […]”
www.famiglieperaccoglienza.it/2020/04/27/fonatana-vivace-la-quarantena-vissuta-insieme
v Coronavirus.
Il consumo degli italiani durante il confinamento. Un’indagine svolta nel pieno dell’emergenza.
- · Havas Milan, nuova struttura nel nostro Paese di una multinazionale attiva nel campo della comunicazione e consulenza strategica per il mondo del retail (vendita diretta) e dell’e-commerce, ha promosso un’indagine su come sono cambiati i consumi delle famiglie italiane durante la pandemia. https://it.havas.com/chi-siamo. “L’indagine si è svolta in modalità online (CAWI) dal 10 al 13 aprile 2020 su un campione di 1.002 persone rappresentative della popolazione italiana […] I risultati emersi dall’indagine si rivelano interessanti e confermano alcuni insight predittivi già colti dal precedente global study HAVAS sul mondo del retail (The Future Of Retail, Prosumer Report, 2019)”. Le numerose slides pubblicate on line, pur finalizzate soprattutto a chi si occupa di commercio e marketing, descrivono con chiarezza ed efficacia i cambiamenti negli stili di consumo delle famiglie italiane, inclusa la valenza “relazionale” e di uso del tempo libero del “fare la spesa”. Interessanti anche i confronti con i dati internazionali del 2019.
https://it.havas.com/wp-content/uploads/sites/16/2020/04/il-consumo-degli-italiani.pdf
- · Europa. Le attività delle associazioni delle famiglie numerose durante la pandemia. L’associazionismo familiare (e il terzo settore, più in generale) è stato anche in questi tempi di emergenza uno strumento prezioso di coesione, di solidarietà, di comunicazione tra le famiglie e per il bene comune. ELFAC (la rete europea delle associazioni di famiglie numerose) indica sul proprio sito una rassegna delle attività svolte dalle associazioni socie nei vari Paesi europei. Interessante per capire la creatività che si è innescata e il valore della presenza di una rete associativa tra famiglie, pur nelle diversità dei contesti nazionali. www.elfac.org/europe-large-families-associations-in-action
- In compagnia di Pinocchio. Un burattino sempre in gamba, anche in temi di quarantena… La Fondazione Collodi offre diversi strumenti di accompagnamento digitale per i nostri bambini, a conferma che la storia di Pinocchio sa sempre raccontare cose antiche e cose nuove. Di grande interesse, in particolare, i “laboratori on line” [vai alla pagina], dove si può disegnare insieme ad alcuni famosi disegnatori per bambini (disegna insieme a Nicoletta Bertelle e Bimba Landmann), e i vari capitoli del libro raccontati con i disegni, sempre in compagnia di grandi disegnatori. In attesa di poter nuovamente visitare di persona lo splendido Parco di Collodi. www.pinocchio.it
www.pinocchio.it/2020/04/25/laboratori-on-line-di-pinocchio
v USA. Un premio per i medici che si occupano di cure palliative e accompagnamento del fine vita. L’Hastings Center, centro di etica medica attivo negli Stati Uniti, ha recentemente dato notizia del Cunniff-Dixon Physician Award, un concreto riconoscimento (25.000 o 15.000 dollari) a cinque professionisti consolidati e a giovani ad inizio carriera, esperti delle cure mediche del fine vita e delle cure palliative. Un chiaro esempio di come la filantropia privata negli Stati Uniti (in questo caso la Cunniff Dixon Foundation) sappia valorizzare e mobilitare le migliori risorse nei vari ambiti della cura e della solidarietà, in diretta collaborazione con un centro di studi universitario (l’Hastings Center). Ben poca accademia e poca teoria, ma legami stretti con la realtà operativa. C’è da imparare, nel nostro Paese.
www.thehastingscenter.org/news/physicians-honored-for-outstanding-care-of-patients-near-the-end-of-life
v Milano. Welfare territoriale. Nasce Partita AttIVA, una risposta concreta a tante nuove esigenze. “Tante persone erano state costrette a mettersi in proprio e avevano aperto una partita IVA perché le aziende per cui lavoravano si erano ridimensionate o addirittura erano state chiuse. I redditi precari e la mancanza di garanzie reali non gli consentivano di accedere al credito ordinario […] Ora però lo scenario è cambiato repentinamente e imprevedibilmente. Il Coronavirus ha spezzato tante vite e ha scardinato tante certezze[…] Per questo Partita AttIVA assume un nuovo significato. Questa opportunità può diventare uno strumento prezioso per chi sta già organizzando la propria ripartenza in un mercato necessariamente diverso” [Fondazione Welfare Ambrosiano]
www.fwamilano.org/servizi/partita-attiva
v Adozioni internazionali. I dati 2019. Perché la solidarietà non va in quarantena. Con tempismo encomiabile, la CAI (Commissione Adozioni Internazionali), che ha ripreso a lavorare con vigore dopo alcuni anni di stallo, ha diffuso il Report contenente i dati relativi al 2019. Per la prima volta, nel nostro Paese il numero di coppie adottive scende sotto la soglia delle mille unità (969) per 1.205 minori, di cui il 53,3% maschi e il 46,7% femmine. Ma il calo delle adozioni internazionali è un fenomeno di portata mondiale: tra il 2004 e il 2018 nei ventiquattro principali Paesi di accoglienza si è passati da 45.483 a 8.299 adozioni, ossia l’81,7% in meno. L’Italia resta comunque il Paese al mondo con la più alta propensione all’adozione internazionale, nel rapporto abitanti e minori adottati, e seconda solo agli Stati Uniti per numero assoluto di adozioni (a fronte di una popolazione sei volte inferiore a quella degli Stati Uniti, circa un terzo delle adozioni internazionali realizzate in quel Paese). Nel contesto europeo, poi, si colloca in una posizione di marcata preminenza, con un valore di adozioni annue più che doppio rispetto alla Francia, secondo Paese per ingressi adottivi nell’Unione.
v Verona, un percorso formativo sulla regolazione naturale della fertilità. L’INER (Istituto per l’Educazione alla Sessualità ed alla Fertilità) Italia organizza a Verona un corso di formazione per insegnanti del metodo sintotermico secondo Roetzer. Il corso si svolgerà da ottobre 2020 a gennaio 2022. “In un’ottica di formazione integrale della persona il corso si propone di offrire un percorso formativo multidisciplinare sulla Regolazione Naturale della Fertilità, con approfondimenti in campo medico, biologico, psico-sessuologico, etico ed educativo. L’apprendimento è basato sull’integrazione dei vari aspetti del sapere, del saper fare e del saper essere. Si prevede in particolare l’apprendimento personale del Metodo Sintotermico Roetzer tramite l’auto-osservazione. Viene favorito lo sviluppo delle capacità di insegnamento sia a livello teorico che a livello pratico”.
www.confederazionemetodinaturali.it/userfiles/News/files/INER_Italia_corso-insegnanti-2020-2021_1.pdf
Webinar – formazione a distanza.
- · Ue. Coface – “Breakfast Byte”. Un ciclo di otto webinar a maggio sulla cittadinanza digitale. Nella prima parte della mattina (9.30 – 11.00), praticamente “A colazione” (Breakfast Byte), otto incontri (dall’11 al 20 maggio, sabato e domenica esclusi) su rischi ed opportunità della nuova società digitalizzata (From 11th-20th May, enjoy a cup of tea/coffee accompanied by a Breakfast Byte of digital citizenship. Each “byte” is a short 90-minute online session (from 9.30-11.00 Brussels time).
www.coface-eu.org/wp-content/uploads/2020/04/DigitalCitizenshipBytes_FINALprogramme.pdf.
USA. Mediation and ipv (intimate partner violence): what the research tells us. Mediazione e violenza nella relazione intima con il partner: cosa ci dice la ricerca. L’AFCC (rete internazionale di operatori del diritto di famiglia e di tutela minorile) propone un webinar sul tema della violenza domestica tra partner. Percorso formativo statunitense, che segnala peraltro un tema di grande attualità anche nel nostro Paese.
www.afccnet.org/Conferences-Training/Webinars/ctl/ViewConference/ConferenceID/322/mid/772
v Dalle case editrici
Nobile Gabriella, I miei figli spiegati a un razzista, Feltrinelli, Milano, pp. 144, Questa è la storia di una coppia bianca con due figli neri. Una donna si trasferisce a Milano da Taranto e diventa un’imprenditrice. Insieme a suo marito sceglie e si lascia scegliere da Fabien, nato in Congo, e da Amelie, nata in Etiopia. È una famiglia come tutte le altre: ci sono le abitudini, i litigi, gli scherzi, gli errori e le scoperte meravigliose che accompagnano la crescita di ogni bambino. Eppure, l’Italia che Gabriella Nobile racconta è attraversata dall’intolleranza, dalla discriminazione e dalla brutalità fisica e verbale. Siamo costretti ad aprire gli occhi: nel nostro paese la minaccia del razzismo non si è mai spenta. Esistono modi diversi di essere razzista. Non solo con le parole gridate dalla politica più cinica, ma anche con consuetudini e gesti che tradiscono un pregiudizio radicato in profondità, capace di attivarsi come un meccanismo silenzioso. Difendersi da soli è molto difficile. Per questo Nobile ha fondato Mamme per la pelle, un’associazione di madri italiane e straniere, che siano adottive, biologiche o affidatarie, con lo scopo di tutelare i figli discriminati per le proprie origini e di sostenere le loro famiglie. Con un atto di coraggio e di amore, questa famiglia e tutte le altre raccolte attorno all’associazione hanno costruito un atlante degli sguardi degli italiani, uno strumento inestimabile con il quale ciascuno può interrogare se stesso e scegliere la generosità contro la paura, l’integrazione contro l’odio. “Siamo tutti esseri umani che lottano giorno dopo giorno per riconoscersi a vicenda. Chi si arrende è un razzista.”
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CHIESA CATTOLICA
Sesso, donne, potere. Le tre sfide che la Germania lancia alla Chiesa
La pandemia del coronavirus ha fatto sparire dalle cronache il “cammino sinodale” della Chiesa di Germania. Ma questo intanto va avanti. E su di esso non solo la Chiesa tedesca, ma la Chiesa cattolica universale gioca il suo futuro:
Il sinodo ha tenuto la sua prima sessione a Francoforte, dal 30 gennaio al 1 febbraio 2020. E la messa inaugurale, officiata dal cardinale di Monaco Reinhard Marx, ne ha fornito il ritratto, con vescovi, sacerdoti e laici, uomini e donne, mescolati nella navata, disposti in ordine alfabetico, esattamente come nell’assemblea sinodale dove ciascuno dei 230 delegati vota alla pari degli altri e i vescovi sono minoranza.
La sessione d’apertura ha confermato quello che già si sapeva. Che anche tra i vescovi i dissenzienti si contano sulle dita di una mano. A contestare il paventato slittamento verso un modello di Chiesa protestante sono rimasti il cardinale Rainer Maria Woelki, arcivescovo di Colonia, e i vescovi Rudolf Voderholzer di Ratisbona, Stefan Oster di Passau, Gregor Maria Hanke di Eichstätt e Wolfgang Ipolt di Görlitz.
Tutti gli altri, cioè la maggioranza schiacciante dell’assemblea sinodale, sono invece orientati a dei cambiamenti sostanziali della dottrina e della pratica cattoliche nei quattro ambiti che saranno oggetto di delibera: i poteri nella Chiesa, il sacerdozio, le donne e la morale sessuale. È vero che le delibere finali avranno un effetto differenziato: di immediata applicazione se di incidenza locale; sottoposte a un’approvazione del papa se di interesse più generale; demandate a un concilio ecumenico se da applicarsi a tutta la Chiesa su questioni della massima rilevanza. Ma in ogni caso, se ad esempio il sinodo tedesco approverà il conferimento degli ordini sacri alle donne, questa e altre delibere resteranno vive anche senza l’approvazione del papa, come una permanente sfida alla Chiesa universale lanciata da un’influente porzione di essa.
Il sinodo tornerà a riunirsi in settembre, quando i quattro forum di 35 membri ciascuno ai quali sono stati affidati i quattro temi all’ordine del giorno sottoporranno all’assemblea le loro indicazioni. Intanto però già ci sono dei documenti preparatori, elaborati l’autunno e l’inverno scorsi in quattro pre-forum. I testi integrali – per complessive 90 pagine – sono disponibili in tedesco sul sito ufficiale synodalerweg.de e in italiano sulla rivista “Il Regno” del 1 marzo 2020.
www.ilregno.it/documenti/2020/5/potere-vita-sacerdotale-donne-morale-sessuale-documenti-dei-forum-preparatori-del-cammino-sinodale-tedesco
Di seguito un’antologia di tre di questi quattro documenti, sui punti di maggiore rottura.
POTERE
- “La parità di genere deve essere realizzata a tutti i livelli. Per l’accesso ai servizi pastorali, anche al ministero diaconale, presbiterale ed episcopale, non può essere esclusa”.
- “L’ordinamento istituzionale legato a una gerarchia come ‘potere sacro’ è dovuto non tanto a una necessità cattolica, quanto piuttosto a un pregiudizio mentale antimoderno”.
- “In questo contesto occorre chiarire anche l’accesso al ministero ordinato. Nel cammino sinodale si deve discutere apertamente sui preti sposati e sull’accesso delle donne a questi ministeri, compreso il ministero ordinato”.
- “All’occupazione di posizioni di governo nella Chiesa devono partecipare rappresentanti, uomini e donne, del popolo della Chiesa scelti mediante consultazioni ed elezioni”.
- “Per la designazione del vescovo vale il principio fondamentale della Chiesa antica: ‘Ciò che riguarda tutti, deve anche essere deciso da tutti’. Per le consultazioni e le elezioni occorre una partecipazione qualificata obbligatoria non solo di chierici, ma di tutto il popolo di Dio appartenente a una Chiesa locale”.
- “Per tutte le posizioni di governo si dovrebbero introdurre processi di scelta sotto forma di elezioni e deliberazioni con la partecipazione di tutto il popolo di Dio, adeguatamente rappresentato da eletti”.
- “Tutti coloro che esercitano ruoli direttivi devono essere controllati e tenuti a rendere conto, sia a organi scelti democraticamente, sia anche a una giurisdizione indipendente”.
DONNE
- “L’evidente discrepanza fra la posizione dei documenti magisteriali e l’argomentazione unanime della teologia scientifica sulla questione della chiamata femminile all’apostolato ministeriale è uno ‘skandalon’ che deve essere superato per amore della credibilità dell’annuncio del Vangelo della Pasqua”.
- “Si percepisce una discrepanza fra la pari dignità dell’uomo e della donna, continuamente sottolineata nelle dichiarazioni della Chiesa, e la partecipazione di fatto non paritaria delle donne alla vita della Chiesa nella corresponsabilità ministeriale”.
- “Nella percezione pubblica e anche in quella interna alla Chiesa esiste una notevole differenza fra le dichiarazioni di teologhe e teologi sulla possibilità della chiamata anche di donne ai servizi e ministeri della Chiesa e la recezione di queste conoscenze da parte del magistero della Chiesa. In tempi recenti si sono organizzate manifestazioni di protesta anche a livello di comunità cristiane (per esempio da parte di associazioni femminili e del movimento Maria 2.0). Questi processi devono essere presi molto seriamente come espressioni del ‘sensus fidelium’. Se questo non avviene si può giungere a una divisione dall’esterno della Chiesa cattolica, che già s’intravvede all’interno”.
- “Nella ricerca teologica non si concorda su quanto sia vincolante l’affermazione nella lettera apostolica ‘Ordinatio sacerdotalis’ di papa Giovanni Paolo II secondo cui l’esclusione delle donne dal ministero sacramentale deve essere ‘definitive tenendam’, ossia una decisione alla quale devono ‘attenersi in modo definitivo’ tutti i fedeli. […] Al riguardo bisogna considerare la tematica fondamentale dello sviluppo dei dogmi […] e valutare anche quale importanza teologica ha la percezione della non ricezione di un’opinione del magistero nel popolo di Dio”.
- “Un ulteriore sviluppo del ministero dell’annuncio può portare ad affidare a donne e uomini dipendenti o volontari il compito della predica, del battesimo, dell’assistenza al matrimonio, della benedizione dei malati e del funerale. Questo già avviene in molte diocesi”.
- “Le domande sull’opportunità di una decisione dottrinale nel contesto della Chiesa universale devono essere separate dalla domanda di principio sulla legittimità teologica dell’argomentazione. Quello che occorre motivare non è l’ammissione delle donne al ministero ordinato sacramentale, ma la loro esclusione”.
- “Le donne devono partecipare in numero apprezzabile alle consultazioni e decisioni della assemblee dei vescovi a livello mondiale, almeno con diritto di voto”.
- “In tempi recenti vi sono state le decisioni delle associazioni di donne cattoliche in Germania (KFD e KDFB), nonché del Comitato centrale dei cattolici tedeschi (ZDK), in cui sulla base di argomentazioni teologiche si evidenzia la necessità di una partecipazione delle donne a tutti i ministeri ordinati. Queste decisioni e le loro motivazioni dovrebbero essere valutate e apprezzate nel cammino sinodale e inserite in un dialogo sinodale aperto e fruttuoso con la Chiesa universale e il magistero papale. Come indica papa Francesco, si tratta di esercitare insieme il ‘sentire cum ecclesia’, sentire le vere richieste della comunione di fede cristiana”.
SESSO
- “Rivolgere lo sguardo a ciò che avviene fra coloro che si amano oggi […] può persino significare fiutare l’opera dello Spirito e l’azione di Dio in luoghi insoliti”.
- “I postulati normativi dell’attuale morale sessuale cattolica contraddicono le conoscenze delle scienze umane sulle molteplici dimensioni di significato della sessualità umana”.
- “La morale sessuale cattolica viene percepita come pura ‘morale del divieto’, e i suoi argomenti e il suo linguaggio vengono giudicati incomprensibili e lontani dalla vita reale. Inoltre il divieto della Chiesa di riconoscere socialmente e giuridicamente le coppie omosessuali viene giudicato come una discriminazione basata sull’orientamento sessuale”.
- “La visione pessimistica agostiniana della sessualità continua a influenzare le dichiarazioni del magistero (‘Humanæ vitæ’, Catechismo della Chiesa cattolica). […] Anche la ‘teologia del corpo’ di Giovanni Paolo II, che voleva essere un approfondimento personalistico della dottrina sessuale, non dà risposte a questi ambiti della sessualità umana. […] Nelle singole dichiarazioni del magistero riguardo alla sessualità pre-matrimoniale ed extra-matrimoniale, come anche all’autoerotismo, continua a dominare la valutazione negativa del piacere sessuale. […] Le prime indicazioni utili si trovano nella ‘Amoris lætitia’ [di papa Francesco]”.
- “La pianificazione familiare, anche con l’aiuto di mezzi artificiali di regolazione del concepimento, non rappresenta un atto ostile alla vita, ma sostiene il diritto di una coppia di decidere responsabilmente sul numero dei figli, sul distanziamento delle nascite e sul mezzo concreto di pianificazione familiare”.
- “Anche gli atti omosessuali realizzano valori di significato positivi se sono espressione di amicizia, affidabilità, fedeltà e sostegno di vita”.
- “A causa di svariate situazioni di vita, non tutte le persone possono entrare in una forma piena di relazione di coppia. Restare continenti in queste situazioni di vita, spesso non scelte liberalmente, rappresenta per molte persone una richiesta eccessiva”.
- “Occorre riconoscere senza riserve le unioni di vita omosessuali e rinunciare a squalificare moralmente la loro pratica sessuale”.
- “Le persone non devono avere solo il diritto di dire no ad atti sessuali che non vogliono, ma anche il diritto di dire sì ad atti sessuali che vogliono e di scegliere chi amano”.
- “In questo contesto esiste nei cattolici tedeschi una chiara tendenza a vedere il riconoscimento giuridico delle unioni omosessuali e la loro parità di trattamento rispetto al matrimonio come un dettame della giustizia. […] Se le relazioni nelle quali si vivono valori come amore, amicizia, affidabilità, fedeltà, dedizione reciproca meritano riconoscimento dal punto di vista morale, allora si deve riflettere anche su un riconoscimento liturgico delle stesse. […] Molti pensano che sia giusto e positivo offrire un rito di benedizione anche a coppie omosessuali”.
Sandro Magister, saggista 06 maggio 2020
magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2020/05/06/sesso-donne-potere-le-tre-sfide-che-la-germania-lancia-alla-chiesa
Francesco e le messe senza popolo. La parola alla difesa
Il divieto delle messe con il popolo, imposto l’8 marzo 2020 dal capo del governo italiano con l’assenso della conferenza episcopale e confermato “sine die” il 26 aprile di nuovo dal capo del governo, ma questa volta con la dura protesta pubblica della CEI, ha aperto un serio interrogativo: da che parte sta papa Francesco? che cosa vuole davvero?
L’interrogativo si è ingigantito dopo che il 28 aprile mattina, nell’introdurre la sua messa a Santa Marta, il papa ha chiesto di invocare dal Signore “la grazia dell’obbedienza alle disposizioni”, cioè di sottostare agli ordini del governo. Dunque il papa, che è anche vescovo di Roma e primate d’Italia, si è schierato dalla parte del governo italiano e contro la richiesta dei vescovi di un urgente ritorno alle messe con il popolo? Se così fosse, però, Francesco avrebbe contraddetto non solo i vescovi ma anche se stesso, perché il 17 aprile, nell’omelia della sua messa a Santa Marta, lui per primo – rispetto alla CEI – aveva denunciato come insostenibile la prolungata sospensione delle messe con presenti i fedeli, perché “questa non è la Chiesa”.
È vero che anche in questa sua denuncia c’era qualcosa di contraddittorio, perché il papa ammoniva di non cedere a una Chiesa “viralizzata”, telematica, proprio dagli schermi di una sua messa teletrasmessa. Ma ormai, in lui, le contraddizioni non si contano più. Basti riandare all’ingiunzione di chiudere tutte le chiese della sua diocesi di Roma, impartita il 12 marzo e rinnegata meno di 24 ore dopo, addossando il tutto all’incolpevole suo cardinale vicario, che aveva semplicemente messo in atto i voleri del papa.
E non è finita, perché il 29 aprile, appena un giorno dopo il suo atto di “obbedienza” al governo italiano, Francesco gli ha di fatto… disobbedito. Nell’omelia della sua messa a Santa Marta il papa ha detto di aver ricevuto una lettera da “un ragazzo di Caravaggio”, il quale lo rimproverava di dire “La pace sia con voi” durante la messa: “E tu non puoi dire questo perché con la pandemia noi non possiamo toccarci”. Ma quel ragazzo, ha proseguito il papa volgendo lo sguardo agli invisibili astanti, “non vede che voi [qui in chiesa] fate un inchino con la testa e non vi toccate”. Dal che si ha la conferma che le sue messe a Santa Marta Francesco non le celebra in solitudine, come mostrano le riprese televisive (vedi foto), ma con presenti dei fedeli che le telecamere vaticane evitano accuratamente di inquadrare, tanto meno quando fanno la comunione.
Naturalmente il papa, all’interno delle mura vaticane, è liberissimo di non sottostare agli ordini di un governo straniero. Nelle festività pasquali, anche le sue messe teletrasmesse da dentro la basilica di San Pietro erano “cum populo”, e le telecamere non ne facevano mistero. Ma se questo è l’esempio vivente che il papa dà, perché umiliare i vescovi e i tanti sacerdoti e fedeli che in Italia vorrebbero fare lo stesso, con tutte le precauzioni del caso?
(A proposito di precauzioni, il 30 aprile la conferenza episcopale italiana, d’intesa col ministero degli interni, ha disposto che prima delle messe esequiali – le sole finora consentite – i partecipanti, non più di 15, siano sottoposti alla verifica che la loro temperatura corporea non superi i 37,5 gradi e che alla comunione sia il celebrante ad accostarsi a ciascun comunicando, indossando la mascherina e dopo aver “curato l’igiene delle proprie mani”, e offrendo l’ostia “porgendola sulle mani dei fedeli senza venire a contatto fisico con esse”).
Tutto questo per introdurre la nota inviataci da Agostino Menozzi, già presidente dell’Azione Cattolica della diocesi di Reggio Emilia e docente di lettere nelle scuole superiori della città. Nella nota, infatti, Menozzi prova a sciogliere proprio le maggiori contraddizioni sopra richiamate e a esporre le buone ragioni sia della CEI che del papa, da lui visti in sostanziale concordia. (…)
Sandro Magister, saggista 02 maggio 2020
http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2020/05/02/francesco-e-le-messe-senza-popolo-la-
Nella chiesa italiana torna il modello clericale
Severo e allarmato l’articolo che Fulvio De Giorgi ha dedicato al comunicato con cui la Cei ha protestato col governo per la mancata autorizzazione alla celebrazione pubblica delle messe. De Giorgi critica la forma e il contenuto della presa di posizione dei vescovi italiani. “Probabilmente – scrive -, interpretando alcune recenti prese di posizione del papa (…) come un ripiegamento e una retromarcia pastorale, hanno deciso di passare all’azione e di riprendere quel modello neotemporalistico e clericale del periodo ruiniano, che evidentemente sentivano, con nostalgia, come proprio
CEI: riapertura delle chiese! La fase 2 della Chiesa italiana?
Il comunicato della CEI del 26 aprile 2020 è veramente strano per la forma e per l’orientamento che esprime. Per la forma: si è ripreso un tono perentorio e d’imperio (come nell’era ruiniana, che sembrava ormai archiviata): «la Chiesa esige di poter riprendere la sua azione pastorale». Diciamo subito che qui si tratta, innanzi tutto, di una questione interna alla Chiesa. Evidentemente ci si vuole allontanare da papa Francesco, forzando palesemente le sue osservazioni del 17 aprile 2020 sulla Chiesa “viralizzata”. E infatti Francesco, nell’introduzione alla messa quotidiana in S. Marta, il 28 aprile, ha chiaramente mostrato una diversa sensibilità, pregando: «In questo tempo, nel quale si incomincia ad avere disposizioni per uscire dalla quarantena, preghiamo il Signore perché dia al suo popolo, a tutti noi, la grazia della prudenza e della obbedienza alle disposizioni, perché la pandemia non torni». Dire poi – come fa il comunicato – che tutto quello che tanti preti e laici e comunità religiose e chiese domestiche familiari hanno fatto finora non è «azione pastorale» appare veramente strano.
La CEI è, certo, comunque libera di andare sulla linea pastorale che vuole, assumendosene la responsabilità. Mi appare, tuttavia, strano che condivida le posizioni religiosamente strumentali di ben noti politici cattolici-non-cristiani. E mi interrogo sul senso storico di questa clamorosa svolta anti-Bergoglio della Chiesa italiana: rappresenta un incidente limitato (sono ‘saltati i nervi’)? Oppure l’ala tradizionalista ha conquistato la maggioranza della CEI? Gli sviluppi ci faranno capire di più. Comunque questo linguaggio così poco conciliare, così poco roncalliano-montiniano, così non-bergogliano, che invece di unire la comunità nazionale apre uno scontro Stato-Chiesa, che, invece di calmare gli animi e tranquillizzare, grida e chiama allo scontro, appare un fatto nuovo, sul piano della storia ecclesiale recente (e in fondo anche su un più lungo periodo) ed una inversione ad U rispetto all’atteggiamento costruttivo e collaborativo fin qui assunto. Paradossalmente, gli effetti pastorali interni, che esso può produrre, si rafforzerebbero nel caso che la richiesta avanzata sia accolta: le posizioni più chiuse, oltranziste e clericali canterebbero vittoria e segnerebbero un forte arretramento rispetto a quella Chiesa della misericordia e dell’umiltà che è la divisa dell’attuale pontificato. Insomma, sul piano storico, si tratta di un momento non secondario.
Per l’orientamento: si afferma «di vedere compromesso l’esercizio della libertà di culto». Il vescovo di Ascoli Piceno – in un intervento dalla forma così violenta e insieme superficiale, che si stenta a credere venga da un vescovo – grida alla dittatura. La logica conseguenza è quella di invitare all’obiezione di coscienza e alla disobbedienza civile: la prossima domenica tutti in massa a messa! Veramente strano che si sostenga un orientamento così palesemente imprudente. Prudenza e temperanza sono virtù cardinali, insieme a fortezza e giustizia: non è alta teologia, è catechismo. Giustizia verso gli anziani che rischiano la vita, fortezza nello stare a casa e resistere, temperanza verso scatti di nervi e impazienze, prudenza per un esercizio sereno di analisi razionale della realtà.
I vescovi hanno un comitato scientifico diverso e migliore rispetto a quello del governo? Non credo. E allora perché – in un ambito in cui ci si orienta a fatica, con approssimazioni e tentativi, davanti ad una malattia nuova e sconosciuta – si propone un orientamento netto e perentorio e si denuncia come un vulnus all’esercizio della libertà di culto quello che al massimo potrebbe essere un eccesso di cautela? Un eccesso che, eventualmente, potrebbe essere corretto ragionando e dialogando, dandosi il tempo che serve per vagliare, insieme, i rischi eventuali e non cercando di forzare le tappe.
Qui non c’è solo una caduta di stile, qui c’è un atteggiamento incomprensibile che sembrerebbe irresponsabile. Mentre cautela e responsabilità sono dovute, quanto meno per rispetto delle tante vittime morte (compresi i presbiteri scomparsi per aver contratto il morbo). Ripeto: nel comunicato non si esprime un rammarico per un deficit di dialogo, non si manifestano le ansie di pastori, le preoccupazioni spirituali della comunità cattolica: si indica con nettezza un orientamento. Una ferma richiesta – anche espressa con fiera dignità – di un tavolo di dialogo del governo con tutte le maggiori comunità religiose italiane sarebbe stata comprensibile e altamente apprezzabile. Ma pretendere, alzando la voce, un orientamento d’azione dal governo è un rispondere a un (eventuale) errore con un errore maggiore.
Penso che andrebbe ricordato quanto afferma il Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, pubblicato durante il pontificato di Giovanni Paolo II: «Le autorità chiamate a prendere decisioni per fronteggiare rischi sanitari ed ambientali talvolta si trovano di fronte a situazioni nelle quali i dati scientifici disponibili sono contraddittori oppure quantitativamente scarsi: può essere opportuna allora una valutazione ispirata dal “principio di precauzione”, che non comporta una regola da applicare, bensì un orientamento volto a gestire situazioni di incertezza. Esso manifesta l’esigenza di una decisione provvisoria e modificabile in base a nuove conoscenze che vengano eventualmente raggiunte. La decisione deve essere proporzionata rispetto a provvedimenti già in atto per altri rischi. Le politiche cautelative, basate sul principio di precauzione, richiedono che le decisioni siano basate su un confronto tra rischi e benefici ipotizzabili per ogni possibile scelta alternativa, ivi compresa la decisione di non intervenire. All’approccio precauzionale è connessa l’esigenza di promuovere ogni sforzo per acquisire conoscenze più approfondite, pur nella consapevolezza che la scienza non può raggiungere rapidamente conclusioni circa l’assenza di rischi. Le circostanze di incertezza e provvisorietà rendono particolarmente importante la trasparenza nel processo decisionale» (n. 469).
Non credo a coloro che dicono che l’atteggiamento della Chiesa sarebbe causato dai mancati introiti delle offerte delle messe domenicali, che per molte parrocchie sono la principale entrata economica. Ma allora perché il comunicato della CEI smentisce così platealmente e nettamente il “principio di precauzione”, previsto dalla dottrina sociale della Chiesa? Il comunicato dice che la fede «deve potersi nutrire alle sue sorgenti, in particolare la vita sacramentale». E questa è certo un’esigenza legittima. Ma la Chiesa ha altri momenti di preghiera comune – la liturgia delle ore – e soprattutto ha la Parola: “luoghi” importanti di un culto che può svolgersi, anche comunitariamente (per esempio via web), senza smentire le precauzioni anti-contagio: già molti cristiani lo fanno, perché non rafforzare questa centralità esistenziale della Parola? E non nutre la fede comunitaria un sacrificio per il bene comune? Un sacrificio, cioè, per non aumentare i pericoli di chi corre più rischi (anziani, malati, personale sanitario)? Un sacrificio che accetta il digiuno del pane eucaristico per condividere con tutti il pane amaro dell’insicurezza? Non è, quella che anche i cattolici stanno vivendo, lavandosi spesso le mani, pure in casa, non è, dicevo, una forma di comunitaria lavanda dei piedi per amore? Veramente i vescovi pensano che tutto questo non sia libertà di culto spirituale?
“Quarantena” richiama momenti di religiosa astinenza: i quarant’anni dell’esodo del Popolo di Dio nel deserto e i quaranta giorni del ritiro di Gesù, anch’egli nel deserto. Di per sé un’emergenza esistenziale così globale potrebbe essere un momento favorevole: un’occasione veramente unica di “risveglio” religioso, personale e comunitario. Sono così sicuri i vescovi che l’orientamento che propongono, con ostentata sicurezza, sia il sabato per l’uomo e non l’uomo per il sabato, come nel fariseismo ritualistico e rubricistico?
Infine (altra stranezza) il comunicato CEI richiama a corretti rapporti Stato-Chiesa (proprio nel momento in cui sferra un attacco sproporzionato al Potere civile): «Alla Presidenza del Consiglio e al Comitato tecnico-scientifico si richiama il dovere di distinguere tra la loro responsabilità – dare indicazioni precise di carattere sanitario – e quella della Chiesa, chiamata a organizzare la vita della comunità cristiana, nel rispetto delle misure disposte, ma nella pienezza della propria autonomia». Forse il governo della Repubblica Italiana ha inteso ledere, direttamente o indirettamente, l’autonomia della Chiesa? Veramente si pensa questo?
Siglando, nel 1984, la revisione del Concordato (revisione tuttora in vigore) lo Stato italiano e la Chiesa cattolica si sono impegnati «alla reciproca collaborazione per la promozione dell’uomo e il bene del Paese» e lo hanno fatto «avendo presenti, da parte della Repubblica Italiana, i principi sanciti dalla sua Costituzione, e, da parte della Santa Sede, le dichiarazioni del Concilio Ecumenico Vaticano II circa la libertà politica e i rapporti fra la Chiesa e la comunità politica». Nella circostanza della pandemia, dunque, il governo si è mosso nell’ambito degli articoli 16 e 32 della Costituzione. E la Chiesa finora si era attenuta a quanto dice la dichiarazione del Concilio sulla libertà religiosa: «Il diritto alla libertà in materia religiosa viene esercitato nella società umana, di conseguenza il suo esercizio è regolato da alcune norme. Nell’esercizio di tutte le libertà si deve osservare il principio morale della responsabilità personale e sociale: nell’esercitare i propri diritti i singoli esseri umani e i gruppi sociali in virtù della legge morale sono tenuti ad avere riguardo tanto ai diritti altrui quanto ai propri doveri verso gli altri e verso il bene comune» (Dignitatis humanae, n. 7). Ciò significa – mi pare – che se i vescovi decidono di chiedere l’immediata possibilità delle messe, in nome della libertà religiosa, e ottengono tale apertura, se poi anche una sola persona perde la vita (il diritto alla vita è o non è un diritto primario?) a causa di un contagio contratto durante una messa, allora la decisione di chiedere l’immediata apertura delle messe non osservava la legge morale: era immorale. È veramente questo che vogliono e chiedono i vescovi italiani?
Ma infine, considerando insieme le “stranezze” di forma e di contenuto, sembra configurarsi un’ipotesi storica precisa: una fase 2 della pastorale della Chiesa italiana, nel pontificato di Bergoglio. Probabilmente, interpretando alcune recenti prese di posizione del papa (per esempio la non concessione immediata della possibilità di ordinazione presbiterale per laici di provata fede, viri probati, dopo il Sinodo sull’Amazzonia) come un ripiegamento e una retromarcia pastorale, hanno deciso di passare all’azione e di riprendere quel modello neotemporalistico e clericale del periodo ruiniano, che evidentemente sentivano, con nostalgia, come proprio. L’emergenza pastorale (che già aveva determinato prese di posizione liturgiche dal vago timbro preconciliare) ha dato perciò l’occasione ad una Chiesa italiana, che in vari settori faceva e fa fatica a seguire Bergoglio, per tentare un rovesciamento di prospettive. Mentre si notano accenti diversi e più vicini al papa nei vescovi di Pinerolo, di Modena, di Albano Laziale, vedremo se questo è un tentativo di pochi – sostanzialmente un “colpo di mano” – destinato ad esaurirsi presto o corrisponde ad un indirizzo maggioritario dell’episcopato italiano.
Certamente il comunicato della CEI, nello stile e nei contenuti, esprime un’idea di Chiesa che è l’esatto contrario di quanto un vescovo italiano – ai suoi tempi “in minoranza” – come don Tonino Bello (così “rivalutato” invece da papa Bergoglio) aveva auspicato: «Una Chiesa povera, semplice, mite. Che sperimenta il travaglio umanissimo della perplessità. Che condivide con i comuni mortali la più lancinante delle loro sofferenze: quella della insicurezza. Una Chiesa sicura solo del suo Signore, e, per il resto, debole. Ma non per tattica, bensì per programma, per scelta, per convinzione. Non una Chiesa arrogante, che ricompatta la gente, che vuole rivincite, che attende il turno per le sue rivalse temporali, che fa ostentazioni muscolari col cipiglio dei culturisti. Ma una Chiesa disarmata, che si fa “compagna” del mondo. Che mangia il pane amaro del mondo. Che nella piazza del mondo non chiede spazi propri per potersi collocare. Non chiede aree per la sua visibilità compatta e minacciosa, così come avviene per i tifosi di calcio quando vanno in trasferta, a cui la città ospitante riserva un ampio settore dello stadio. Una Chiesa che, pur cosciente di essere il sale della terra, non pretende una grande saliera per le sue concentrazioni o per l’esibizione delle sue raffinatezze. Ma una Chiesa che condivide la storia del mondo. Che sa convivere con la complessità. Che lava i piedi al mondo senza chiedergli nulla in contraccambio, neppure il prezzo di credere in Dio, o il pedaggio di andare alla messa la domenica».
28 aprile 2020
www.treccani.it/magazine/atlante/societa/Cei_riapertura_delle_chiese.html
Quale libertà per quale culto?
Oltre quale soglia la libertà di culto degenera nell’arbitrio di un formalismo spiritualistico? L’interrogativo è diventato d’obbligo, ai tempi del COVID-19. La risposta non è per nulla ovvia. I liturgisti ci insegnano che la forma è sostanza. Le modalità effettive con cui il rito è praticato non sono affatto indifferenti affinché si realizzi autenticamente la mediazione simbolica della realtà celebrata. Nella liturgia eucaristica ciò emerge con tutta evidenza. Per sua natura, essa non è una rappresentazione intellettuale, bensì mette in contatto in molti modi i corpi proprio nell’orizzonte della comunione con il corpo di Cristo. Se si sottrae all’eucaristia questa dinamica del «corpo a corpo», la si svuota del suo nucleo fondamentale, e ciò che ne rimane è solo un pallido ectoplasma. Eppure, è proprio questo nucleo fondamentale a costituire un problema, nella situazione epidemica in cui ci troviamo.
Domande difficili per tempi complicati. È vero che l’eucaristia fa la Chiesa, ma non bisogna dimenticare la verità reciproca, ossia è la Chiesa che fa l’eucaristia. La Chiesa, d’alto canto, non è un’entità astratta, bensì la con-vocazione di uomini e donne in carne e ossa. I cattolici non abitano in un mondo a parte, bensì condividono il mondo di tutti. E il mondo qui e ora è alle prese con un’emergenza sanitaria senza paragoni da un secolo a oggi. Sarebbe davvero il culmine del paradosso se i cattolici, radunandosi con l’intento di celebrare la Vita, finissero in effetti per comunicarsi la morte e diffonderla nel contesto in cui abitano.
Si dice – certo con buone ragioni – che la Chiesa non può fare a meno della celebrazione eucaristica, in quanto ne va della sua identità teologale e della sua forza testimoniale. Dunque, varrebbe la pena di scendere ai dovuti compromessi per rendere la forma compatibile con le esigenze di sicurezza, pur di salvaguardare anche in tale situazione eccezionale la libertà dell’accesso intatto alla sostanza.
Nondimeno è inevitabile domandarsi: quale sostanza di comunione con Dio e con gli altri è in grado di esprimere la forma di un’assemblea selezionata, composta da monadi che indossano mascherine e guanti, ben distanziate le une dalle altre per timore del contagio, come dentro un supermercato o un museo qualsiasi? Davvero può «fare» la Chiesa come corpo di Cristo un’eucaristia celebrata in maniera tale, per cui la forma finisce inevitabilmente di tradirne la sostanza? È lecito insomma celebrare a ogni costo, anche a prezzo di compiere un atto liturgico canonicamente valido, ma ecclesialmente inefficace?
Concezione del sacramento e stile di Chiesa. La questione è niente affatto accademica o marginale. Il rischio serio è quello di tornare indietro – dopo cinquant’anni di riforma conciliare – a una concezione del sacramento come rito che funziona comunque sia, in quanto dotato di un automatismo soprannaturalistico.
Il primo segnale di tale regressione è stata a mio avviso l’eccessiva facilità con cui, quando l’emergenza pandemica ne ha di fatto reso impossibile la celebrazione nella sua modalità pubblica, è parso subito che la soluzione più ovvia fosse quella di continuare a riproporre l’eucaristia, concentrandone però l’azione nel solo ministro ordinato, rendendo così la presenza dell’assemblea una variabile indifferente, magari rimpiazzabile senza troppo imbarazzo dal suo simulacro virtuale.
Ora, affacciandosi timidamente la fase di un progressivo allentamento delle restrizioni, con altrettanta facilità si presume di far rientrare l’assemblea dei fedeli dalla finestra, dopo averla lasciata fuori dalla porta o relegata nell’infosfera. Tuttavia, come si notava all’inizio, l’operazione non si preannuncia per niente scontata, perché non basta un raggruppamento purchessia per essere nelle condizioni di affermare che lì è proprio il popolo di Dio a venire radunato.
Da questo punto di vista il dramma della pandemia è stato a suo modo una «re-velatio», un toglimento del velo, che ha messo allo scoperto un limite strutturale della nostra realtà ecclesiale. Si invoca, anzi addirittura si «esige» la libertà di culto, senza però discernere adeguatamente quale comunità sia il soggetto di questa libertà e quale culto sia a misura dell’Evangelo di Gesù. È nientemeno che uno stile complessivo di Chiesa che si trova posto in questione. Potrebbe essere una crisi di ri-nascita, ma nulla garantisce che l’occasione favorevole sarà effettivamente colta.
Duilio Albarello, Il Regno 04 maggio 2020
Duilio Albarello è presbitero diocesano, insegna Teologia fondamentale e antropologia teologica a Fossano ed è docente alla Facoltà teologica dell’Italia settentrionale di Milano e al biennio di specializzazione in Teologia morale a Torino. Tra le sue pubblicazioni La grazia suppone la cultura (Queriniana, Brescia 2018).
http://www.ilregno.it/blog/quale-liberta-per-quale-culto-duilio-albarello
Dopo il coronavirus: ricominciare ma diversi da prima
Sono nato alla fine di un’epoca, quella segnata dal fascismo, mentre cadevano le bombe sulle città del nord Italia; un’epoca a cui ne sarebbe presto seguita un’altra ben diversa, di ricostruzione. Per questo il verbo “ricominciare” è entrato a far parte non solo del mio vocabolario, ma è divenuto un’esigenza della mia vita interiore e sociale. Ho scoperto presto che Gregorio di Nissa (IV secolo) definiva la vita cristiana un continuo ricominciare: un “andare di inizio in inizio attraverso inizi che non hanno mai fine”.
Ricominciare è una dinamica decisiva nella nostra vita. Di più, in questi giorni di passaggio a una nuova fase in rapporto al coronavirus, ricominciare è diventato un imperativo. Va fatto presto, con urgenza, da parte di tutti e di ciascuno. Ma questa fretta e questa voracità di un nuovo tempo mi interrogano, rendendomi diffidente. Non mi pare infatti che tale desiderio sia sorretto da una reale consapevolezza del fatto che ricominciare significa tralasciare comportamenti e stili, reinventarli. Significa soprattutto impegnarsi nel discernimento di ciò che è nocivo per la nostra convivenza.
L’impressione è che tutti dicano: “Vogliamo ricominciare”, ma in realtà lo identifichino con un ritorno alla situazione precedente l’epidemia. In un mondo malato credevamo di essere sani e, se non abbiamo contratto il virus oppure ne siamo guariti, pensiamo di poter essere sani in un mondo sempre malato. Secondo Enrico Quarantelli e la “sociologia dei disastri”, più grave è la crisi, migliori diventano le persone. Gli esseri umani, sotto l’urto della sventura, mostrano inattese capacità solidali e una certa attenzione al bene comune.
In verità, l’esperienza storica non ci assicura questo esito. Anzi, ci fa constatare che, se da parte di alcuni soggetti coinvolti nella sventura emerge una certa bontà, in altri crescono l’egolatria, la rabbia e la cattiveria sociale. Basterebbe peraltro guardare allo spettacolo fornito da alcuni politici in questi giorni. Nell’ora in cui si dovrebbe sentire il peso della parola “insieme” e si dovrebbe far prevalere la logica del “noi”, continua e anzi peggiora la delegittimazione reciproca. “L’un contro l’altro armati”: questo sembra lo stile assunto in un’ora in cui poveri, anziani e persone fragili sono vittime non solo di un virus ma, ben di più, di un assetto sociale che non tiene conto di loro.
Sono convinto che finché le ragioni economiche saranno più importanti di quelle della fraternità; finché il profitto conterà più delle perdite umane; finché le logiche di bassa politica prevarranno, non ci sarà possibilità di ricominciare. Ricominciare richiede una conversione, un cambiamento. Se non si diventa consapevoli della negatività di certi comportamenti, la corsa a un nuovo inizio rischia di essere uno slogan ingannevole, per indurre a continuare come prima. Lo ha ben espresso in una recente intervista Serge Latouche: “Spero che qualcosa possa cambiare, ma temo che ritorneremo al ‘business as usual’”.
Enzo Bianchi,monaco, priore emerito comunità di Bose pubblicato su:La Repubblica 4 maggio 2020
www.monasterodibose.it/fondatore/articoli/articoli-su-quotidiani/13849-ricominciare-diversi-da-prima
Religione e pandemia. La vita e il culto. La fede e la devozione
La storia dei due discepoli di Emmaus, che abbiamo incontrato nella III domenica di Pasqua, è una straordinaria pennellata dell’evangelista Luca, una delle più belle storie mai raccontate. Da qualunque prospettiva la guardi, è una pagina di rivelazione, che parla alla nostra vita.
Qui si può fare un esercizio “interdisciplinare”, che ci aiuta a non decurtare l’integralità del messaggio cristiano, riducendolo a solo spirito o a solo umanesimo. Qui abbiamo solo ciò che il Vangelo sa fare: tenere insieme. Far emergere il simbolico, cioè abitare il luogo che unisce l’uomo e Dio, la strada e la casa, la Parola e il Pane, la vita e il culto. Una strada senza la compagnia di Gesù rimane sentiero di delusione e amarezza, così come un’eucaristia senza incontro nella vita rimane un rito sterile.
Cronache dell’ultim’ora sulla pandemia. E, sullo sfondo di Emmaus, si consuma una dialettica che invece assume altri contorni, altre sfumature e altri toni. Arriva una conferenza stampa e, al contempo, un comunicato della Conferenza episcopale italiana che protesta per l’impossibilità di poter riprendere la Messa domenicale. La questione prettamente politica ha bisogno di competenze specifiche, tanto più in una fase drammatica come quella che viviamo e che – anche qui – deve tenere insieme diverse prospettive: i dati scientifici sulla pandemia insieme ai preoccupanti dati dell’economia, la salute dei cittadini insieme alle loro condizioni familiari, sociali e lavorative.
La questione ecclesiale, anche. Sì, la fede è anzitutto un incontro personale con Dio e, naturalmente, dal di dentro di questa esperienza, ciascuno può riflettere, parlare, discutere, prendere posizione. Tuttavia, la “scienza” improbabile della “tuttologia” (cantata anche da Gabbani a Sanremo), non aiuta; tutti sono diventati virologi, scienziati, economisti, politici. Ma tutti sono anche diventati teologi, che spiegano cosa dice davvero il Vangelo, perché il papa sia eretico, perché il concilio Vaticano II abbia svenduto la Chiesa al mondo, e così via… Ma le “parole della fede” non stanno tutte sullo stesso piano, a prescindere se chi le pronuncia ha l’autorità dell’insegnamento teologico o quella magisteriale che spetta ai vescovi e al papa. Dunque, fermiamoci e attingiamo alla competenza teologica. La teologia ha qualcosa da dire sulla dialettica che si è aperta circa la ripresa delle celebrazioni liturgiche e può farlo attingendo al Vangelo.
Tre indicazioni dai discepoli di Emmaus. I due discepoli se ne tornano a casa col volto triste e con l’amarezza nel cuore, dopo gli eventi della morte di colui che credevano essere il Messia. Gesù semplicemente si affianca e cammina con loro. Come un pedagogo che accompagna i passi lenti della loro storia ferita, Egli li mette nelle condizioni di portare alla luce la propria angoscia; non prende l’iniziativa, non li atterrisce con una presenza invadente, ma semplicemente apre i loro sensi e i loro occhi. Solo dopo, con la spada a doppio taglio della Scrittura, entra nelle crepe del loro racconto portandovi luce e spiegandone il senso. E solo quando il tratto di strada fatto è già un bel po’, spezza il pane per loro.
Vi colgo un insegnamento evangelico e teologico importante in tre punti:
Il culto comprende la vita oppure non è. Immersi nella vita del Cristo e avendo ricevuto il dono dello Spirito, noi possiamo vivere l’esperienza dell’incontro e dell’amicizia con Lui. Qui comprendiamo la sostanziale differenza della fede cristiana: non si tratta di una morale, di un’etica, di una filosofia, neanche di una pratica cultuale ma, come affermava Ratzinger, «del sorgere di una relazione». La relazione implica la totalità della vita: la mente e il cuore, le parole e il silenzio, il lavoro e la contemplazione, la domenica e i giorni feriali, la preghiera esplicita e quella che si esprime nelle lotte e nelle speranze di ogni giorno: il Tempio ecclesiale è espressione incarnata di quel Tempio di Dio che, anzitutto, siamo ciascuno di noi. Se l’incontro non avviene nelle amarezze e nelle gioie della vita, come per i discepoli di Emmaus, a niente vale moltiplicare i riti. Luca ci propone il Dio che cammina con noi, che trasforma la vita in liturgia perché la liturgia si trasformi in vita: sono per primi i discepoli a essere “presi” nella loro amarezza, in qualche modo “spezzati” nella loro stoltezza e durezza di cuore, benedetti dal fuoco della Parola e, nutriti dal pane, offerti per l’annuncio del Vangelo e la causa del Regno. La liturgia che Gesù presiede parte dalla vita, raccoglie la vita, trasforma la vita, così da permettere ai due di reinterpretare la vicenda e invertire la rotta, tornando a Gerusalemme. Dunque, il culto cristiano non è sinonimo di “messa domenicale”. L’eucaristia è fonte e culmine, cioè genera, nutre ed esprime pubblicamente il culto cristiano, ma essere cristiano significa adorare il Padre in spirito e verità, essere Tempio vivo di Cristo, mettere al centro l’uomo invece che la sterile osservanza del precetto, vivere una relazione con Dio che integri la totalità della vita. Una liturgia dalla vita e per le vita.
L’azione pastorale è più grande della messa: dovremmo riprendere l’azione pastorale dopo la sospensione delle liturgie eucaristiche. Tuttavia, l’azione pastorale non si è mai fermata perché essa non si riduce alla messa domenicale. Anche qui, l’eucaristia è fonte e culmine ma ciò significa che fa scaturire, comprende e porta a compimento una vasta gamma di attività che corrispondono all’agire della Chiesa, dall’annuncio della Parola alla catechesi, fino alle opere della carità. Tali attività sono state in qualche modo impedite riguardo al loro pubblico svolgimento; tuttavia, non solo sono proseguite come prima, ma sono state spesso veicolate con una creatività maggiore e attraverso iniziative che, per mezzo delle reti sociali, sono riuscite a creare una rete di connessione perfino più ampia.
La Chiesa non è un’istituzione politica: in quanto alla sua dimensione per così dire terrena, si comprende che la Chiesa assuma il profilo di un’istituzione, che deve visibilmente strutturarsi e abitare le dinamiche del mondo nel dialogo con le parti civili e politiche. Tuttavia, talvolta il profilo istituzionale e politico prende il sopravvento su quello spirituale. Anche la prima catechesi dell’evangelista Luca alla comunità cristiana, che ha il fine di presentare la possibilità dell’incontro col Risorto, non va in scena nel Tempio, sulla cattedra degli scribi e dei farisei, ma sulla strada. Non dentro i riti, le preghiere ufficiali e i sacrifici, ma nel travaglio di due cuori in subbuglio che sperimentano la delusione, cioè nella vita concreta. Lo stesso gesto dello spezzare il pane, che avviene nella casa, è preceduto e seguito dal cammino, fuori dalle mura di ogni tempio. Viene da rievocare don Tonino Bello quando parlava di una «Chiesa che sperimenta il travaglio umanissimo della perplessità. Che condivide con i comuni mortali la più lancinante delle loro sofferenze: quella dell’insicurezza… che nella piazza del mondo non chiede spazi propri per potersi collocare. Non chiede aree per la sua visibilità compatta e minacciosa… Ma una Chiesa che condivide la storia del mondo».
Imparare dalla pedagogia di Gesù. La pedagogia pastorale di Gesù, sulla strada di Emmaus, viene ancora oggi disattesa: prima dovrebbero esserci la relazione, l’accompagnamento, il rapporto fiduciale, l’incontro, l’ospitalità; dopo la Parola che – come affermava il card. Martini – interpreta la vita a far ardere il cuore; solo dopo lo spezzare del pane. Il rischio, altrimenti, è di celebrare eucaristie senza consapevolezza, senza portarci dentro la fragile e bella umanità che siamo, senza permettere l’incontro dei nostri corpi col Corpo, senza presentare all’altare i travagli della nostra vita settimanale, del mondo e della storia perché vengano trasformati e trasfigurati nel pane eucaristico. Mons. Libanori, vescovo ausiliare di Roma, in una Lettera indirizzata al Settore Centro, ha messo a fuoco una riflessione che, a mio parere, può stimolare argomentazioni interessanti per il dibattito teologico e pastorale del momento; anzitutto: «In un tempo di emergenza come quello presente, la fede e la devozione devono trovare vie nuove… Le chiese sono importanti, ma alla fine sono soltanto degli strumenti che speriamo di poter presto rivedere animate dalle comunità in festa. La Chiesa vera, quella fatta di uomini, ringraziando Dio, può vivere anche senza chiese, come è accaduto per i primi secoli e come ancora accade in molte parti del mondo». Poi, il vescovo afferma: «Qui è necessario porci onestamente e con molto rispetto una questione di non poca importanza per noi pastori: se cioè la protesta, anche vibrata, contro la chiusura delle chiese sia animata dalla fede o non piuttosto da una religiosità da purificare. Attenzione a non lasciarsi catturare dal falso zelo…Nella richiesta troppo insistente dell’eucaristia non di rado c’è una fede sincera… ma non matura. Intanto occorre ricordare a tutti che il Signore è realmente presente con il suo Spirito tra coloro che sono riuniti nel suo Nome; è presente nella Parola e continua realmente a “nutrire” chi la legge e la medita; il Signore vivo si fa prossimo nel povero e nei bisognosi. Il Signore è nel desiderio stesso dei sacramenti. Ma soprattutto ha la sua dimora in colui che osserva i suoi comandamenti e condivide i suoi sentimenti, senza i quali neppure la comunione frequente può portare frutti di vita eterna».
Qui non si ammettono “tuttologi”, che dicano la loro. Ci si aspetta che su questa visione teologica e su questa ecclesiologia, pur con diverse sensibilità, si converga finalmente tutti.
Francesco Sorrentino, teologo “SettimanaNews” 1 maggio 2020
www.settimananews.it/teologia/la-vita-culto
Che tutto non torni come prima
Leggendo le tante suggestioni di questi giorni difficili: analisi, reportage, commenti provenienti dalle più svariate regioni del mondo, interventi di studiosi e di opinionisti, si ha l’impressione che tutto venga messo in discussione, ma che la segreta speranza di qualcuno sia quella di poter riprendere il cammino del mondo al punto in cui è stato interrotto e con le stesse modalità. Mi viene facile immaginare che, mentre tanti si affannano a ipotizzare nuove vie, ci sia qualcuno, più abile e più forte, che riprende in mano i fili capaci di condizionare il corso della storia.
Credo però anche che alcuni intrecci problematici saranno comunque evidenti e non facilmente trascurabili; su di essi, già in questa fase della pandemia, bisognerebbe portare la riflessione da parte di chi ha gli strumenti conoscitivi necessari, perché a livello politico possano poi essere attuate delle scelte consapevoli.
Il primo intreccio lo individuo nel rapporto tra condizioni dell’ambiente sul pianeta, origine del virus e caratteristiche della sua diffusione che appare in qualche modo collegata agli stili di vita delle zone più altamente industrializzate. E’ anche vero che sono queste anche quelle a maggiore densità di popolazione e a maggiore mobilità.
Un secondo nodo, peraltro legato al primo, è quello relativo al rapporto tra lavoro, produzione e consumi, cioè tra occupazione e sostenibilità. Si tratta evidentemente di problematiche che investono obiettivi e scelte politiche che vanno ben al di là dei confini non solo nazionali, ma anche continentali, e che comunque devono essere affrontate come minimo a questo livello; i singoli paesi possono esercitare un po’ di influenza attraverso una accorta e lungimirante politica industriale, ben sapendo che anche solo in questo settore l’aspetto sovranazionale è determinante.
Per quanto riguarda l’Italia penso che uno dei problemi più rilevanti e anche più complessi, tenuto conto della stagione politica che viviamo, sia quello dell’organizzazione dello Stato: l’attuale stato di cose, esito di una serie di riforme improvvisate, non coerenti tra loro, e anche non concluse, ha manifestato in questi tre mesi di crisi sanitaria tutte le sue carenze, in un continuo sovrapporsi di competenze e di conflitti pseudo-istituzionali.
In conclusione di questa breve nota mi pare che un grande impegno attenda oggi le persone di cultura, di scienza e di impegno politico: i nostri gruppi e le nostre associazioni, la nostra rete possono offrire luoghi e occasioni perché sollecitazioni di questo tipo possano essere raccolte e possa avviarsi un confronto libero e veritiero capace di mettere in moto un processo che eviti il rischio che tutto torni come prima.
Maria Pia Bozzo, Genova 4 maggio 2020
https://www.c3dem.it/che-tutto-non-torni-come-prima/
Le due chiese
Care amiche ed amici, è venuta in questi giorni una illuminazione che riguarda in particolare anche il nostro movimento e il nostro sito “Chiesa di tutti Chiesa dei poveri “. Chi sono i Tutti? Lo ha enunciato con commozione profonda papa Francesco il 4 maggio da Santa Marta: sono gli amati da Dio, quelli che il pastore ama e di cui conosce la voce, oltre ogni differenza di lingua e di peccato, i tutti per i quali il Signore è morto donando la vita per poi riprenderla, in tutti, di nuovo. Chiesa di tutti è dunque l’insieme dell’umanità tutta intera, della quale è in corso oggi un grandioso progetto di ricomposizione nella fratellanza e nel diritto, esclusa ogni cattura e signoria degli uni o degli altri. L’umanità, sua vera Chiesa.
E Chiesa dei poveri è la Chiesa dei beati nel senso in cui sono “beati i poveri” che hanno ascoltato e seguito, ognuno a sua misura ma dentro lo stesso pascolo, la voce del Pastore, i cristiani richiedenti asilo nel regno, la Chiesa istituita che nelle sue lontane origini viene ma anche esce dalla circoncisione; poveri di carne, come tutti, e di spirito come molti, poveri nel senso in cui anche il papa è “un povero cristiano” come ci ha spiegato Ignazio Silone.
Le due Chiese o meglio le due espressioni della stessa umanità sono distinte ciascuna nel proprio ordine, ma al di là di tale ordine sono unite ed anzi confuse. Due lembi dello stesso cuore. Al loro incrocio, al loro servizio oggi, nella grande crisi della pandemia si è rivelato esserci papa Francesco, la cui voce è rivolta egualmente all’uno e all’altro pascolo, e sempre più viene scoperta e ascoltata nell’uno e nell’altro ordine. Quale riforma!
Chiesa di tutti, chiesa dei poveri newsletter n. 197, 7 maggio 2020
www.chiesadituttichiesadeipoveri.it/le-due-chiese
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CITTÀ DEL VATICANO
Il Vaticano e l’ordine mondiale dopo la pandemia
L’autore considera i cambiamenti nelle relazioni della Santa Sede con l’Europa, gli Stati Uniti e la Cina. La pandemia di Covid-19 avrà un impatto sull’ordine mondiale e sulle relazioni internazionali, e naturalmente anche sulla Chiesa cattolica. Il papato appare come un punto di riferimento globale. In parte per il fatto che molti leader mondiali hanno perso credibilità. Ma anche perché papa Francesco, fin dall’inizio del suo pontificato, ha continuamente presentato con chiarezza la visione di un’unica famiglia umana in un unico mondo: n mondo fatto di confini che possono diventate soglie per nuove relazioni umane.
L’insegnamento del papa in questi ultimi anni ha aperto la strada per un “processo globale di pace”, dalla Laudato si’ (l’enciclica del 2015 sulla cura della nostra casa comune) al Documento sulla Fraternità umana (co-firmato da Francesco e dal Grande Imam di Al-Azhar, Ahmad Al-Tayyeb, ad Abu Dhabi il 4 febbraio 2019). La lettera e lo spirito di questi testi straordinari non potrebbe essere più evidentemente differente dalle politiche di uomini forti che attualmente guidano i governi in luoghi come gli Stati Uniti, la Russia, l’India, la Turchia e il Brasile.
Il mondo post pandemia: rallentatore o importante cambiamento di rotta? Non sappiamo cosa succederà all’ordine mondiale una volta che la pandemia sarà superata. La fine di questa crisi globale potrebbe essere un forte rallentamento o un importante cambiamento di rotta. Ma probabilmente sarà meno simile alla recessione globale del 2008 e più simile al 1919, che aprì ad un ordine mondiale nuovo con conseguenze molto diverse nei vari paesi. In Italia significò, tra il 1922 e il 1925, la nascita del governo fascista che continuò per due decenni fino alla fine della Seconda Guerra mondiale. Dall’altro lato, Benedetto XV articolava una nuova dottrina cattolica sulle missioni con la sua enciclica Maximum Illud del 1919. Così veniva rivendicata l’indipendenza della Chiesa cattolica rispetto alle iniziative nazionaliste e colonialiste.
Gli anni 20 del secolo scorso hanno segnato anche un’accelerazione della tradizione cattolica nel favorire il multilateralismo. In mezzo a tante incertezze, sappiamo quale sia la posizione di fondo dell’insegnamento cattolico contemporaneo sui diritti umani, l’economia, la globalizzazione e l’ambiente.
L’analisi del papa è corretta. Possiamo già vedere che la crisi sanitaria globale ha confermato l’interpretazione di papa Francesco del nostro tempo come terremoto per la globalizzazione. C’è una innegabile crisi delle istituzioni multilaterali. Come hanno scritto recentemente su Le Monde Gaïdz Minassian e Marc Semo, la crisi è “antica, profonda e attualmente più evidente che mai”.
Ci sono diversi modi di considerare le conseguenze della pandemia sull’ordine mondiale. Alcuni vedono questo momento come una crisi di internazionalismo tendente a cercare di fermare la globalizzazione come via alla prosperità. “La pandemia ha indotto un anacronismo, un revival della città cinta da mura in un’epoca in cui la prosperità dipende dal commercio globale e dal movimento delle persone. Le democrazie del mondo hanno bisogno di difendere e sostenere i valori dell’illuminismo”, ha scritto l’ex segretario di Stato Usa, Henry Kissinger, in un editoriale del Wall Street Journal. Altri dicono che stiamo assistendo ad una minaccia al modello democratico liberal, visto “il trionfo delle democrazie non-individualiste in Asia”. È una minaccia che incombe anche in alcuni paesi dell’Europa.
Crisi della leadership Usa nel mondo. Tuttavia si vede che la pandemia potrebbe certamente accelerare spostamenti negli equilibri di potere in particolari parti del mondo. Il problema maggiore riguarda le relazioni tra l’Europa, gli Stati Uniti e la Cina, e le relazioni all’interno di questi paesi. Il Vaticano ha già dovuto adattare significativamente il suo atteggiamento geopolitico nei confronti di tre entità nel corso degli anni scorsi, specialmente dopo l’elezione di Trump e grazie all’accordo epocale tra la Santa Sede e il governo cinese sulla nomina di vescovi del settembre 2018.
Non c’è dubbio che la risposta alla pandemia abbia reso più profonda la crisi della leadership americana nel mondo. La legittimazione degli Stati Unti come leader globale è sempre stata basata su uno stabile governo interno, il rifornimento di beni pubblici a livello globale e l’abilità (e disponibilità) a coordinare un risposta globale alle crisi.
La forma futura dell’Europa. Dall’altro lato dell’Atlantico, l’Unione Europea vive un momento cruciale per la sua sopravvivenza. Così come un certo numero di paesi del Vecchio Continente, vitali per la Chiesa cattolica, sono ad un punto di svolta. La Germania, ad esempio, vedrà presto il ritiro di Angela Merkel e la possibile nascita di un leader del partito Cristiano Democratico di tipo molto diverso, come Friedrich Merz. Questo porterebbe la nazione più potente d’Europa su una strada molto più conservatrice.
E che cosa succederà in Asia? “Il Covid-19 accelererà anche lo spostamento di potere ed influenza da Ovest verso Est”, ha scritto Stephen Walt sulla rivista Foreign Policy. “La Corea del Sud e Singapore hanno risposto al meglio, e la Cina ha reagito bene dopo i primi errori. La risposta in Europa ed in America è stata lenta e confusa in confronto, appannando ulteriormente l’aura del “marchio” Occidente”, ha detto. Alcuni esperti prevedono che la gestione della pandemia potrebbe essere l’inizio di uno sconvolgimento per la Cina comunista. La Chiesa cattolica sta guardando con grande preoccupazione il ruolo che la Cina si sta forgiando nelle relazioni internazionali.
La Santa Sede e la campagna d’immagine della Cina. Beijing [Pechino] ha condotto una campagna molto aggressiva di soft power che ha diviso l’Europa. I paesi dell’Europa orientale (sia membri dell’UE che non membri) hanno cominciato ad accettare la leadership ricevendo aiuti dal governo cinese. Quale è stata la risposta della Santa Sede a questa situazione di rapido spostamento? A prima vista sembrerebbe che stia reagendo favorevolmente al fascino cinese analogamente a come hanno reagito alcuni paesi europei (compresa l’Italia). Ma guardando con più attenzione, si nota un approccio molto più sfumato e sottile. Le dichiarazioni del Vaticano per ringraziare la Cina all’inizio di aprile per aver inviato aiuti e scorte per combattere il coronavirus sono un caso esemplare. Sulle pagine dell’Osservatore Romano e nei comunicati dell’Ufficio Stampa della Santa Sede, il Vaticano ha specificamente espresso ringraziamenti “alla Società Croce Rossa della Cina e alla Hebei Jinde Charities Foundation”, così come “ai vescovi, ai fedeli cattolici, alle istituzioni e a tutti gli altri cittadini cinesi”. Lo sforzo linguistico era chiaramente mirato ad evitare che la dichiarazione di ringraziamento vaticana potesse essere interpretata come un sostegno a Beijing. Questo approccio è inteso anche a controbilanciare la visione di alcuni importanti cattolici in varie parti del mondo che considerano il ruolo della Cina molto più negativamente. Il cardinale Charles Bo di Myanmar [Birmania], ad esempio, ha sostenuto una posizione pubblica molto diversa e molto forte contro il regime cinese, mettendo in connessione il suo modo di gestire la pandemia con la sua pratica rispetto ai diritti umani e alla libertà religiosa.
Un papa latinoamericano dà una spinta all’Europa. Soprattutto, il Vaticano non ha fatto la stessa scelta di altri paesi occidentali che si sono ritirati nel provincialismo e nel parrocchialismo, che sono parte del collasso intellettuale delle élites politiche. Proprio l’opposto. Francesco ha investito più energia ed attenzione nella diplomazia vaticana. Ha proposto un nuovo modello per la formazione di futuri diplomatici papali e ha istituito la “terza sezione” all’interno della Segreteria di Stato proprio per trattare con i nunzi papali. La pandemia ha temporaneamente ridotto il funzionamento degli uffici vaticani nella Città del Vaticano, compresa la Segreteria di Stato, ma ci sono cambiamenti che preparano il futuro. Nelle ultime settimane, il papa e i suoi assistenti vaticani si sono concentrati sull’Unione Europea. “Tra le molte aree del mondo colpite dal coronavirus, penso in modo speciale all’Europa”, ha detto Francesco durante l’intervento urbi et orbi del giorno di Pasqua. “L’Unione europea sta attualmente affrontando una sfida epocale, da cui dipenderà non solo il suo futuro ma quello del mondo intero”, ha avvertito. Francesco parla più direttamente all’Europa di quanto possa fare nei confronti degli Stati Uniti e della Cina. Colpisce che sotto la leadership di un papa latinoamericano, la Santa Sede abbia riscoperto l’importanza dell’Unione Europea e la necessità della sua sopravvivenza. Ulteriore prova del focalizzarsi di Francesco sul Vecchio Continente durante la pandemia è stata la sua preghiera per l’unità europea nella messa a Santa Marta del 29 aprile, festa di Santa Caterina da Siena, co-patrona d’Europa. La nuova attenzione giunge dopo anni di scetticismo guidato dal Vaticano verso le istituzioni europee, percepite come tecnocratiche e secolariste.
La dottrina sociale cattolica e il mondo post-Covid-19. La pandemia di coronavirus pone domande sulla possibilità di sopravvivenza di un insieme di idee e valori politici che hanno caratterizzato l’ordine internazionale nel mondo dopo il 1945. Rispetto all’insegnamento della Chiesa cattolica e al suo modo di intendere l’umanità, alcuni di tali valori sono evidenti. Comprendono un’accoglienza del multilateralismo a superamento del nazionalismo; la convinzione che la democrazia costituzionale sia più compatibile con il Vangelo della la dittatura e dell’autoritarismo; e l’impegno della Chiesa per lavorare per la pace ed il disarmo, e per una giustizia sociale ed economica, in un quadro di una cultura della vita. Su altri temi, l’atteggiamento del Vaticano sarà molto più difficile da prevedere.
L’allineamento post-1945 tra il cattolicesimo e la geopolitica della Nato è stata messa radicalmente in discussione all’indomani dell’11 settembre (2001) e, più tardi, dall’amministrazione Trump. Non è ancora chiaro che cosa significherà a lungo termine l’apertura diplomatica della Santa Sede alla Cina. E come affrontare altre sfide, come le spaccature ideologiche tra l’Europa orientale e occidentale. In confronto a precedenti pandemie, la libertà religiosa è diventata un problema emergente per la Chiesa cattolica in alcuni paesi non molto toccati dallo scontro di civiltà. In Italia, ad esempio, ci sono state tensioni senza precedenti tra la conferenza episcopale e il governo nazionale.
La pandemia ha creato una situazione di grande incertezza nelle relazioni internazionali. E il papato e la diplomazia vaticana si trovano a far da navigatore. La differenza è che il cattolicesimo non soffre della stessa incertezza in termini di dottrina: non c’è un reale vacuum nel modo in cui il magistero della Chiesa cattolica guarda al moderno mondo globale.
La sua è una dottrina che è stata temperata da una serie di choc storici che hanno avuto conseguenze sullo sviluppo teologico e magisteriale: la caduta dello Stato pontificio nel 1870, le due guerre mondiali e i due dopoguerra, l’illusione di un indiscutibile ordine liberale mondiale alla fine della Guerra Fredda, l’instabilità post 11 settembre.
In confronto alle zattere di salvataggio che punteggiano l’orizzonte odierno, la barca di Pietro ha maggiore stabilità. La grande questione è quanto la dottrina sociale del Vaticano sarà in grado di influenzare i cattolici nei loro contesti locali e nazionali.
Massimo Faggioli La Croix International 29 aprile 2020 (traduzione: www.finesettimana.org)
www.c3dem.it/wp-content/uploads/2020/05/il-vaticano-e-lordine-mondiale-dopo-la-pandemia-int-m.-faggioli-lacroix-intern..pdf
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COMMISSIONE ADOZIONI INTERNAZIONALI
Riaprono i termini di presentazione delle domande di rimborso spese adottive
E’ ripubblicato il Decreto del Ministro per le Pari Opportunità e la Famiglia del 28 gennaio 2020, sospeso il 13 marzo 2020 per l’emergenza sanitaria. Da oggi, riaprono i termini di presentazione delle domande di rimborso per le spese adottive sostenute per l’adozione internazionale che sono state concluse negli anni 2012 – 2017. Le domande dovranno essere presentate entro il 28 giugno 2020; quelle pervenute dal 10 al 13 marzo 2020 restano valide.
Comunicato 4 maggio 2020
www.commissioneadozioni.it/notizie/riaprono-i-termini-di-presentazione-delle-domande-di-rimborso-spese-adottive
A breve il nuovo decreto per il rimborso delle spese adottive 2018.
E’ in fase di emanazione il Decreto Ministeriale che stabilisce nuove modalità e termini di presentazione delle domande di rimborso delle spese adottive sostenute per le adozioni concluse nell’anno 2018. Il decreto contiene una novità che riguarda i requisiti per ottenere il rimborso. La coppia non dovrà dichiarare il reddito complessivo percepito ma dovrà inserire nella domanda il valore dell’ISEE in corso di validità rilasciato dall’INPS.
Si consiglia, pertanto, alle coppie interessate di fare richiesta dell’ISEE in tempo utile, in considerazione del fatto che, a causa dell’emergenza sanitaria, i tempi per l’ottenimento potrebbero essere più lunghi.
Comunicato 8 maggio 2020
www.commissioneadozioni.it/notizie/a-breve-il-nuovo-decreto-per-il-rimborso-delle-spese-adottive-2018
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CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA
Dal 18 maggio celebrazioni con il popolo
È stato firmato giovedì 7 maggio 2020, a Palazzo Chigi, il Protocollo che permetterà la ripresa delle celebrazioni con il popolo.
https://diresomnet.files.wordpress.com/2020/05/protocollo-per-la-ripresa-delle-celebrazioni-con-il-popolo-7-maggio-2020.pdf
Il testo giunge a conclusione di un percorso che ha visto la collaborazione tra la Conferenza Episcopale Italiana, il Presidente del Consiglio, il Ministro dell’Interno – nello specifico delle articolazioni, il Prefetto del Dipartimento per le Libertà civili e l’Immigrazione, Michele di Bari, e il Capo di Gabinetto, Alessandro Goracci – e il Comitato Tecnico-Scientifico.
Nel rispetto della normativa sanitaria disposta per il contenimento e la gestione dell’emergenza epidemiologica da SARS-CoV-2, il Protocollo indica alcune misure da ottemperare con cura, concernenti l’accesso ai luoghi di culto in occasione di celebrazioni liturgiche; l’igienizzazione dei luoghi e degli oggetti; le attenzioni da osservare nelle celebrazioni liturgiche e nei sacramenti; la comunicazione da predisporre per i fedeli, nonché alcuni suggerimenti generali. Nel predisporre il testo si è puntato a tenere unite le esigenze di tutela della salute pubblica con indicazioni accessibili e fruibili da ogni comunità ecclesiale.
Il Protocollo – firmato dal Presidente della CEI, Cardinale Gualtiero Bassetti, dal Presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e dal Ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese – entrerà in vigore da lunedì 18 maggio 2020. “Il Protocollo è frutto di una profonda collaborazione e sinergia fra il Governo, il Comitato Tecnico-Scientifico e la CEI, dove ciascuno ha fatto la propria parte con responsabilità”, ha evidenziato il Cardinale Bassetti, ribadendo l’impegno della Chiesa a contribuire al superamento della crisi in atto.
“Le misure di sicurezza previste nel testo – ha sottolineato il Presidente Conte – esprimono i contenuti e le modalità più idonee per assicurare che la ripresa delle celebrazioni liturgiche con il popolo avvenga nella maniera più sicura. Ringrazio la CEI per il sostegno morale e materiale che sta dando all’intera collettività nazionale in questo momento difficile per il Paese”.
“Fin dall’inizio abbiamo lavorato per giungere a questo Protocollo – ha concluso il Ministro Lamorgese -: il lavoro fatto insieme ha dato un ottimo risultato. Analogo impegno abbiamo assunto anche con le altre Confessioni religiose”.
Comunicato 7 maggio 2020
www.chiesacattolica.it/dal-18-maggio-celebrazioni-con-il-popolo/
Matrimoni: ecco perché non rinunciare alla festa
Rinviare il matrimonio causa emergenza coronavirus o decidere di sposarsi ugualmente con una cerimonia intima, alla presenza dei soli testimoni? Ogni scelta è rispettabile e i dati, al momento, non permettono di capire quanti fidanzati abbiano deciso di festeggiare le nozze, già programmate, in autunno o addirittura il prossimo anno. Le poche statistiche diffuse sembrano prendere in considerazione campioni troppo ristretti per essere del tutto affidabili. A parere di un sondaggio diffuso dagli organizzatori di eventi – i cosiddetti wedding planner [organizzatori di matrimoni]– il 51% delle coppie avrebbe deciso di mantenere la data fissata. Altri dati arrivano da Unimpresa Moda, secondo cui 7 fidanzati su 10 avrebbero già rinviato le nozze al prossimo anno, con un impatto negativo stimato sui ricavi (abbigliamento, video e fotografie, bomboniere, addobbi floreali, ristorazione, ecc) stimato in centinaia di migliaia di euro.
Ma torniamo alla domanda iniziale. Giusto rinviare le nozze alla luce delle restrizioni alle celebrazioni “con concorso di popolo” imposte dal protocollo proposto dalla Cei e approvato dal governo? Oppure più comprensibile la scelta di coloro che hanno privilegiato il sacramento rinunciando alla festa? Premessa indispensabile: non esiste una soluzione vincente per tutti. Ogni decisione va valutata alla luce di circostanze specifiche, situazioni personali, tradizioni familiari il cui intreccio darebbe luogo a una casistica infinita. Padre Marco Vianelli, direttore dell’Ufficio nazionale Cei per la pastorale familiare, invita a cogliere il lato positivo connesso ad entrambe le scelte. «Se è molto bello pensare che ci siano fidanzati che, alla luce della circostanze di questi mesi, hanno deciso di puntare tutto sulla dimensione sacramentale – osserva – è altrettanto comprensibile la decisione di coloro che non intendono rinunciare alla festa, che è poi la parte sociale di una cerimonia che vive allo stesso tempo, del momento liturgico e di quello pubblico». Pensare di scindere i due aspetti, puntando tutto sull’aspetto sacramentale o, al contrario, attribuendo un valore spropositato a tutto il resto – abiti, fiori, banchetto – significa rifugiarsi in un giudizio sbilanciato.
«Ci sono due fidanzati che desiderano comunque sposarsi perché ritengono che il loro rapporto sia arrivato a un punto tale di aver bisogno della compagnia sacramentale del Signore? Benissimo. Non può che essere una scelta lodevole – osserva ancora il direttore dell’Ufficio famiglia Cei – perché significa che quei due giovani ci restituiscono il senso profondo di un amore che trova la sua centralità nella fede». Del resto sarà sempre possibile organizzare la festa anche da sposati, magari tra sei mesi o un anno, facendo comunque memoria delle nozze celebrate nel corso di una Messa, anche con una nuova benedizione degli anelli. Le circostanze che inducono a questa scelta sono molteplici. Una sposa non più giovanissima – caso ormai abituale – che desidera aprirsi alla vita prima che il suo orologio biologico cominci a perdere colpi ma che, allo stesso tempo, ritiene corretto che il padre di suo figlio sia anche suo marito di fronte a Dio, fa benissimo a non rinviare il matrimonio.
«D’altra parte – sottolinea ancora padre Vianelli – è comprensibile anche la posizione di coloro che fanno fatica a rinunciare alla festa, alla presenza della famiglia e degli amici. Anche dal punto di vista ecclesiale il matrimonio non si può ridurre solo alla dimensione liturgica o peggio, a una scelta intimistica. Giusto pensare che l’amore per sempre sia un dono da partecipare e da condividere in una circostanza collettiva». Ce lo conferma, per esempio, l’esordio pubblico di Gesù alle nozze di Cana. Il suo primo miracolo si può leggere anche con il desiderio di sottolineare il valore di una festa che, senza vino, rischia di svanire in modo improprio. Ed è il Signore stesso che ci dona quel vino. Simbolico sì, ma anche concreto. Anche il catechismo spiega che il matrimonio, come l’ordine, è sacramento ordinato alla salvezza altrui. E se contribuisce alla salvezza personale è soltanto attraverso il suo ruolo pubblico, sociale. Ecco perché pensare di fare a meno della festa – che non vuol dire banchetti esagerati e lusso sfrenato – significa rinunciare a una componente costitutiva del matrimonio cristiano.
Le cerimonie ai tempi del coronavirus sono “blindate”: dal 18 maggio 2020 entra in vigore anche per le nozze il Protocollo Cei approvato dal Governo/
avvenire.ita.newsmemory.com/publink.php?shareid=08716fab4
Protocollo necessario di messe contagiose: per un opportuno discernimento
Intesa Governo-Cei, dal 18 maggio riprendono le messe. La firma di una “intesa” tra Governo e Chiesa cattolica, che fissasse un protocollo condivisibile e controllabile, a tutela della sanità pubblica in occasione di “raduni ecclesiali”, era un passaggio inevitabile e necessario. Come si è giustamente osservato, in un lucido commento di P. Consorti (↓), alcune sbavature avrebbero potuto essere evitate: la posizione isolata e privilegiata del cattolicesimo rispetto alle altre confessioni cristiane e alle altre fedi religiose; la sovrapposizione tra registri civili e registri ecclesiali che non sembra adeguatamente calibrata; la sorprendente citazione della logica del precetto sottoscritta anche da ministri della Repubblica. Ma è certo che ora, sia pure con questi limiti, vi è un documento di riferimento che, a partire dalla data stabilita, potrà essere assunto come “norma” per celebrare ogni liturgia ecclesiale, salvo quelle esplicitamente escluse (ad es. la Confermazione).
https://people.unipi.it/pierluigi_consorti/esercizi-di-laicita-dalla-bilateralita-pattizia-al-dialogo-interreligioso-a-causa-del-covid-19/?fbclid=IwAR0h0t22hXHk_7BCoU0xvEDvYOHWHZbc1C5uJBfuIi0frJQ5AzZqmIj_6rg
Curiosamente, nulla è detto delle liturgie di ordinazione: forse perché implicitamente escluse, o forse perché pensate senza popolo?
Una volta stabilito il quadro di fondo degli obblighi di legge, cui la Chiesa cattolica aderisce responsabilmente, si pone una questione del tutto diversa, ma altrettanto importante. Il protocollo fissa il quadro di una possibilità, ma lascia libera la Chiesa di considerare la opportunità della celebrazione. La libertà del culto, infatti, non è solo una forma giuridica civile, ma anche un contenuto della fede ecclesiale. Questo va considerato almeno per tre grandi motivi.
a) La messa è costitutivamente contagiosa. Se è celebrazione eucaristica, la messa è contatto/contagio, nudità/riconoscimento, gusto di sostare/perdere tempo. E’ chiaro che il “desiderio di radunarsi” è rimasto sospeso per molto tempo e non vede l’ora di essere soddisfatto. La comunità si attende, nei registri del desiderio ecclesiale, le distanze che si accorciano, le mani che si intrecciano, la condivisione dello stesso pane e dello stesso calice, il canto comune e il fare corpo. Se la messa può essere celebrata solo se non la “celebriamo” (visto che celebrare vuol dire, letteralmente, accorciare le distanze e rendere un luogo “pieno di gente”), allora la valutazione se “sia il caso” deve essere fatta apertamente e comunitariamente. Non lo decide né il presidente del Consiglio, né il presidente dei Vescovi, ma ogni pastore con le sue pecore e ogni gregge con il suo pastore. La risposta non è scontata, né in un senso né in un altro: deve essere assunta in modo ecclesiale, non in modo burocratico. E deve evitare che la “messa” diventi “messa in scena”.
b) La messa è sorgivamente gratuita. Una messa “a prenotazione” è una contraddizione in termini. Esattamente come non bisogna dimenticare la bella espressione che Mariano Magrassi coniò, negli anni ꞌ70: “Meno messe, più messa”. La gratuità dell’agire eucaristico non permette né di “riservare i posti”, né di moltiplicare le “corse” per aumentare i passeggeri. La messa non è una metropolitana, che passa ogni 3 minuti. Anche perché uno degli effetti della metropolitana è proprio la assenza di comunità. Ovviamente le condizioni eccezionali possono permettere qualche margine di manovra eccezionale. Anche su questo piano si dovrà discernere con cura. E potremo scoprire che eravamo già “preservati dal contagio” prima ancora della pandemia, per lo stile con cui prendevamo posto e con cui tenevamo le distanze. Forse ora, essendoci imposto da un “protocollo”, potremo scoprire di saper desiderare e di poter sperare, tra non troppo tempo, di uscire da questo “auto confinamento devoto”.
c) La messa è localmente radicata. Il terzo livello, che dovrà essere considerato, è la giusta differenza tra luoghi diversi, regioni diverse, chiese diverse. Pur essendo il protocollo necessariamente identico per tutto il territorio nazionale, altra cosa è assumerne la logica negli epicentri del contagio nazionale, altra cosa in zone intermedie, altra cosa ancora in zone del tutto periferiche rispetto al contagio. Anche in questo caso le decisioni delle diocesi e delle parrocchie potranno tenere nel debito conto queste indiscutibili differenze. Non per applicare in modo personalizzato il protocollo sanitario, ma per considerarne l’impatto diverso sulla vita delle persone e sulle simbolica delle chiese. Lo stesso protocollo può così risultare plausibile in una zona, discutibile in un’altra, quasi improponibile in una terza.
Come è stata una forzatura considerare le difficoltà di concedere il “permesso di raduno ecclesiale” nei termini esasperati di una “oppressione della libertà di culto”, altrettanto forzato sarebbe pensare che, essendovi un protocollo formale, ogni cristiano cattolico, alle 7.30 del 18 maggio, avrà il diritto di bussare alla porta della chiesa e pretendere di avere pronta e disponibile la “sua” messa sicura, da “ascoltare” in presenza. Una recezione puramente “individuale” di un provvedimento che tutela la “comunità” sarebbe la peggior forma di servizio, sia alla salute della città, sia alla fede della chiesa
Andrea Grillo blog: Come se non 8 maggio 2020
www.cittadellaeditrice.com/munera/protocollo-necessario-di-messe-contagiose-per-un-opportuno-discernimento
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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM
Bologna. Punto di ascolto gratuito
Portiamo a conoscenza il Punto di ascolto gratuito che abbiamo attivato per questi tempi di quarantena.
Sappiamo delle molte difficoltà economiche, di salute, di incertezza che questo tempo sta portando. Per alcuni la quarantena può non essere facile. Possono esserci vissuti di solitudine o relazioni familiari maggiormente messe alla prova. Si può aver bisogno di confronto o di ascolto.
Alcuni preferiscono colloqui individuali, altri possono essere attirati dal partecipare ad un piccolo gruppo di ascolto e confronto. Nel vivere una crisi così generalizzata il sostegno del gruppo può rivelarsi davvero potente. Noi offriamo entrambe le possibilità.
Siamo qui per ricordare che forse fra le pieghe delle difficoltà, delle crisi, ci sono opportunità nascoste da scoprire. Perché, come Fra Giorgio ha detto: “…essere creativi è il modo migliore per vivere senza sopravvivere”.
www.consultoriobologna.it/parla-con-noi
Cremona. Un programma radiofonico per bambini e ragazzi
Il progetto messo a punto dall’equipe di educatori e psicologi è gratuito e rivolto anche a famiglie, insegnanti, IRC, educatori, catechisti
Il Consultorio Ucipem di Cremona ha avviato un nuovo progetto educativo per bambini per questo periodo di distanziamento, in cui – con le scuole chiuse – proprio i più piccoli sono tra i più esposti alle fatiche delle restrizioni dovute alle misure di contenimento della pandemia. Il progetto si chiama “Youcipem radio Cremona” e propone un programma radiofonico settimanale, “Radiofeeling”, scritto e condotto da Mattia Cabrini e Marta Prarolo con il sostegno dell’equipe formativa composta da educatori e psicologi.
Si tratta di uno strumento (didattico di tipo radiofonico) rivolto ai bambini della scuola primaria e dei primi anni della secondaria di primo grado. Esso consiste in un programma radiofonico settimanale che accompagna i bambini, i ragazzi e i loro adulti di riferimento, attraverso diversi stimoli sonori, a scoprire il mondo delle emozioni. In ogni puntata si racconta un’emozione diversa: la gioia, la rabbia, la paura, lo stupore, la solitudine e tante altre. I due presentatori sono educatori del consultorio UCIPEM di Cremona che a distanza riescono a registrare la puntata che poi viene caricata come podcast attraverso la piattaforma Speaker.
Il prodotto è gratuito e rivolto anche a famiglie, insegnanti, IRC, educatori, catechisti che lavorano con i bambini e può essere utilizzato secondo i propri scopi educativi. Una radio per allenare l’ascolto, stimolare la fantasia, lasciare i bambini liberi di essere bambini anche in questo tempo (e lasciarli fare) facendo quello che sanno fare meglio: immaginare. Dopo tante ore al pc la radio arriva come un racconto capace di aprire scenari fantastici. La puntata di radio Feeling contiene canzoni, giochi, spezzoni di film, filastrocche, poesie e le voci dei bambini stessi che arrivano attraverso le note vocali. Si tratta di uno strumento che nasce per rispondere al bisogno di tanti insegnanti ed educatori che chiedevano un aiuto concreto per continuare il proprio lavoro di educazione all’affettività e all’alfabetizzazione emotiva. La casella di posta elettronica dedicata radiofeeling@ucipempcremona.it, permette a tutti di inviare materiale, idee, domande, curiosità…
Inoltre il Consultorio incontra persone nelle consulenze socio-psico-educative e sanitarie, nei percorsi educativi nelle scuole e negli oratori, nei laboratori con insegnanti, genitori, adolescenti e bambini: questo lo rende un osservatorio privilegiato sulla Persona, in ogni suo momento di crescita e nelle sue molteplici relazioni. Si raccolgono idee, pensieri, intuizioni, consapevolezze, accordi e disaccordi… Come diffonderli e mantenere tutelate le privacy individuali e di gruppo? La web radio è uno strumento adeguato perché collega con il mondo, mantiene la possibilità di esprimere idee e pensieri senza l’uso dell’immagine, allena il sentire e l’ascoltare.
- La puntata sullo stupore: www.spreaker.com/user/radio_ucipem/radiofeeling-stupore
- La puntata sulla solitudine: www.spreaker.com/user/radio_ucipem/radiofeeling-solitudine
Fonte: TeleRadio Cremona Cittanova
www.diocesidicremona.it/blog/radiofeeling-dal-consultorio-ucipem-di-cremona-un-programma-radionico-per-bambini-e-ragazzi-ascolta-04-05-2020.html
#io resto a casa, ciclo di incontri per genitori. Diverse le tematiche approfondite online attraverso la guida di psicologi/psicoterapeuti e di educatori professionali
Si tratta di gruppi online di confronto e sostegno per genitori ai tempi del lockdown. Attraverso la guida di psicologi/psicoterapeuti e di educatori professionali, all’interno dei vari gruppi, saranno condivisi riflessioni e pensieri riguardanti il ruolo educativo e gli effetti della situazione di emergenza sanitaria, considerando quale approccio e attenzioni avere per gestire la relazione genitori-figli.
#IO RESTO A CASA CON… pensieri e parole sul bambino, per genitori di bambini 1-3 anni.
#IO RESTO A CASA CON… pensieri e parole sul bambino, per genitori di bambini 3 – 6 anni
#IO RESTO A CASA CON… pensieri e parole al tempo del lockdown, per genitori di bambini 7- 10 anni
#IO RESTO A CASA #TU RESTI A CASA Genitori lontani dai figli, per genitori che vivono l’emergenza separati dai figli
Gli incontri sono gratuiti e si svolgeranno attraverso la piattaforma Google Meet. Iscrizioni dal sito internet www.ucipemcremona.it. (Fonte: TeleRadio Cremona Cittanova
Porte chiuse e spazi aperti: adolescenti e genitori al tempo del coronavirus. Gruppo on line di discussione e confronto per genitori di ragazzi e ragazze dai 14 ai 17 anni. Gli incontri saranno condotti dal dr Mattia Cabrini (educatore professionale) e dalla dr Barbara Gentili (psicologa e psicoterapeuta). Si parlerà di ruolo educativo ed effetti della situazione di emergenza sanitaria sulla fase di vita dei ragazzi. Quale approccio e attenzioni avere per gestire la relazione genitori-figli. Gli argomenti trattati saranno approfonditi attraverso contributi forniti dagli operatori e il confronto tra i partecipanti. Il percorso è gratuito.
Il Consultorio UCIPEM Cremona Fondazione ONLUS rientra tra i beneficiari dell’8‰ devoluto alla chiesa cattolica. Grazie a questo contributo ogni anno vengono realizzati progetti in scuole ed oratori e vengono inoltre offerte consulenze a persone in situazione di disagio.
Cuneo. Attivato servizio di ascolto telefonico
Il consultorio familiare ha attivato un servizio di ascolto telefonico o via web, gratuito, per tutti coloro che ne sentano il bisogno in questo difficile momento. Telefonare al 3311191439
“Famiglia6Granda” non si ferma.
Il Forum delle Associazioni Familiari Cuneo e Mondovì, con cui collaborano i consultori di Cuneo e Mondovì, propone:
Venerdì 15 maggio alle ore 21, sulla pagina FaceBook del Forum delle Associazioni Familiari della provincia di Cuneo (@ForumFamiglieCuneo), il noto psicologo dell’età evolutiva Ezio Aceti sarà protagonista dell’evento “Convivenza forzata vs convivenza per scelta. Famiglia, palestra di gratuità.”. La serata è il primo appuntamento della X edizione di “Famiglia 6 Granda”, la grande festa diffusa della famiglia promossa dal Forum delle Associazioni Familiari della Provincia di Cuneo e dagli Uffici Famiglia delle Diocesi Cuneesi. L’iniziativa si svolge in occasione della Giornata Internazionale della Famiglia, indetta il 15 maggio di ogni anno dall’Onu a partire dal 1994, quando fu proclamato il primo “Anno Internazionale della Famiglia”. Grazie alla disponibilità di Radio Piemonte Sound l’appuntamento si potrà seguire anche via etere sulla frequenza 101.4 FM. Maggiori informazioni sul sito web www.famigliaseigranda.it.
“Quest’anno ricorre la decima edizione di ‘Famiglia 6 Granda’ e avremmo voluto preparare insieme alle associazioni, Consulte della Famiglia presenti sul territorio e alle Amministrazioni Comunali che da sempre ci seguono un calendario di iniziative all’altezza dell’anniversario, ma purtroppo l’emergenza sanitaria causata dal Coronavirus ci ha costretto a rivedere drasticamente i nostri piani – spiega Silvio Ribero, presidente del Forum delle Associazioni Familiari della provincia di Cuneo -. Tuttavia non abbiamo voluto gettare la spugna e questo primo appuntamento con Aceti è di fortissima attualità, in quanto ci porta a ripensare la dimensione familiare ai tempi del Covid-19. Nel corso della serata, oltre ad ascoltare l’esperto, sarà possibile fare delle domande che cercheremo di moderare in base al tempo a disposizione, all’affluenza di partecipanti, ai contenuti. Relativamente a ‘Famiglia 6 Granda’, stiamo cercando di organizzare altre iniziative nel rispetto delle normative previste dalle Fase 2, vi terremo aggiornati anche attraverso il sito forumfamigliecuneo.org.”
www.forumfamigliecuneo.org/famiglia6granda-non-si-ferma-primo-appuntamento-della-x-edizione-ezio-aceti-diretta-fb
Milano 2. Consultorio costituito nel 2000 dal Centro di Aiuto alla Vita Mangiagalli.
Per dare un sostegno non solo economico, ma anche psico-socio-pedagogico e relazionale alla donna e/o al nucleo familiare, nel 2000 il Centro di Aiuto alla Vita Mangiagalli fondato nel 1984 da Paola Chiara Marozzi Bonzi si è costituito anche come Consultorio Familiare ‘Genitori Oggi’, socio dell’UCIPEM, accreditandosi nel 2002 ad ATS Città Metropolitana di Milano. Attualmente i primi colloqui avvengono presso la sede in Mangiagalli mentre le ulteriori attività previste dai progetti per l’accompagnamento della gravidanza si svolgono negli ampi spazi di via della Commenda 37. Il CAV è il primo {unico?} che ha sede in un ospedale, la Clinica Mangiagalli di Milano, Unità Operativa di Neonatologia e Terapia Intensiva Neonatale.
La Legge 194\1978, infatti, prevede un Colloquio preventivo e di riflessione con la donna che vorrebbe interrompere la gravidanza, a tutela della gravidanza stessa e al fine di verificare i ‘Seri e gravi motivi per la salute fisica e psichica della donna’, previsti come condizione della normativa, e che tale colloquio possa essere svolto da associazioni di volontariato. In particolare, l’art. 5 chiede di mettere in campo aiuti ordinari e straordinari perché la donna rinunci a interrompere la gravidanza. Di fatto, in 35 anni di attività, il CAV Mangiagalli ha aiutato a nascere 23.264 bambini ma molti altri sono venuti alla luce a seguito del semplice colloquio. I dati si riferiscono, infatti, ai neonati che hanno effettuato visite perinatali (rilevazione al 03/10/2019). Gli Operatori del CAV Mangiagalli sono professionisti regolarmente iscritti ad Albi professionali di riferimento. I consulenti familiari fanno parte dell’Associazione AICCEF.
Il CAV Mangiagalli ha svolto negli anni anche un ruolo vicario dell’Ente Pubblico per l’erogazione di misure previdenziali rivolte alla maternità e a sostegno dei nuclei familiari. Da ultimo il ‘Bonus Famiglia’.
Il presidente in carica è l’avvocato Nicolò Mardegan e il direttore la dottoressa Soemia Sibillo.
www.cavmangiagalli.it/centro-aiuto-alla-vita-milano-mangiagalli
http://www.genitorioggi.it
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COPPIE
Quali sono i diritti negati alle coppie di fatto?
La tendenza degli ultimi anni in Italia e in Europa è quella di sostituire il matrimonio con la convivenza. Le relazioni affettive stabili, secondo molti, non devono tradursi necessariamente in una relazione coniugale.
L’idea del “per sempre” può spaventare e, per tal motivo, si sceglie una soluzione intermedia. Infatti, molti decidono di andare a vivere sotto lo stesso tetto senza convolare a giuste nozze. In alcuni casi, si opta per tale soluzione per ragioni prettamente economiche. Non tutte le coppie sono in grado di sostenere i costi di una celebrazione (civile o religiosa), di un ricevimento e di un’eventuale luna di miele.
Tuttavia, a differenza di ciò che si può pensare, se dal punto di vista affettivo i legami non si differenziano, vi possono essere delle divergenze significative sotto il profilo giuridico. Non è, infatti, vera l’affermazione secondo cui i soggetti uniti civilmente, i coniugi e le coppie di fatto hanno stessi diritti e uguali doveri. Nel nostro articolo intendiamo soffermare l’attenzione sulle dinamiche che caratterizzano tali relazioni e chiederci quali sono i diritti negati alle coppie di fatto. Per fare ciò dobbiamo necessariamente richiamare le disposizioni del diritto di famiglia.
Quali sono i diritti all’interno del matrimonio? Nel sistema del diritto civile italiano il rapporto coniugale rappresenta la regola generale delle relazioni affettive. La nostra Costituzione afferma, infatti, che la famiglia è la società naturale fondata sul matrimonio. Negli anni di adozione della Carta fondamentale, il tipo predominante di matrimonio era quello religioso. La società del tempo, infatti, non guardava di buon occhio le nozze civili o celebrate con riti diversi. Il tessuto sociale era impregnato della cultura cristiana cattolica e nell’immaginario collettivo la consacrazione del rapporto d’amore doveva realizzarsi sull’altare dinanzi a Dio.
Nel corso degli anni la situazione è lentamente cambiata e la scelta degli sposi è variata. Molte coppie scelgono ancora oggi il matrimonio concordatario, ma molte altre prediligono il rito civile puro. In entrambi i casi, però, è necessario realizzare degli adempimenti (pensa, ad esempio, alle pubblicazioni) e seguire una determinata procedura. Le nozze, infatti, devono essere celebrate dinanzi a un ufficiale di stato civile (il sindaco o il sacerdote). Questi, a sua volta, deve leggere pubblicamente le disposizioni relative ai diritti e ai doveri nascenti dal matrimonio. Ebbene sì: il rapporto coniugale non ha una valenza esclusivamente amorosa, ma ha dei riflessi importanti sul piano giuridico. Il patto nuziale, infatti, impone ai coniugi di mantenere un determinato comportamento l’uno nei confronti dell’altro ed entrambi nei confronti dei figli.
In particolare dal matrimonio derivano le seguenti conseguenze:
- Marito e moglie si collocano su un piano di parità giuridica: essi assumono gli stessi diritti e doveri. Nessuno dei due è sovraordinato all’altro o è capo della famiglia o detta le regole di condotte alle quali l’altro deve sottostare. Il regime patriarcale del padre padrone è stato definitivamente soppresso;
- Entrambi i coniugi devono contribuire ai bisogni della famiglia in ragione delle proprie capacità: il contributo non deve essere necessariamente di natura professionale o lavorativa. I padri costituenti, infatti, hanno voluto dare il giusto risalto e un’adeguata importanza anche al lavoro casalingo;
- Entrambi i coniugi sono reciprocamente obbligati alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale, alla coabitazione, alla collaborazione nell’interesse della famiglia;
- Gli sposi devono essere tutelati sia nella fase fisiologica (quando, cioè, in famiglia le cose vanno per il verso giusto) sia in un’eventuale fase patologica (ossia in presenza di un’eventuale separazione e/o divorzio).
I principi introdotti dalla Costituzione hanno rivoluzionato il sistema di pensiero degli anni Quaranta e sono stati pienamente attuati in Italia a partire dal 1975, anno di riforma del diritto di famiglia.
Cosa sono le unioni di fatto? La mutata sensibilità delle coscienze ha spinto il legislatore a prendere atto dei cambiamenti intervenuti nel modo di vedere le relazioni d’amore. Il nostro sistema ha quindi dovuto adattare la normativa vigente alle nuove esigenze delle coppie di fatto. Si tratta sostanzialmente delle convivenze more uxorio (ossia secondo le modalità matrimoniali) che fino a qualche tempo fa non avevano alcuna protezione giuridica. Nel 2016 è stata così adottata la famosa legge sulle unioni civili [Legge 20.05.2016 n. 76 “Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze”] finalizzata a disciplinare le relazioni che non potevano o non volevano confluire nel matrimonio. L’obiettivo perseguito dal nostro ordinamento è stato quello di riconoscere loro una tutela il più possibile ampia.
In particolare, per espressa affermazione del legislatore, è stata introdotta l’unione civile tra coppie dello stesso sesso intese come formazioni sociali riconosciute dalla Costituzione. Al pari del matrimonio, la procedura si compie attraverso una dichiarazione di due soggetti maggiorenni dinanzi a un ufficiale di Stato civile che, in tal caso, può essere soltanto il sindaco. Non è, infatti, ipotizzabile un’unione civile concordataria in quanto la Chiesa non riconosce relazioni diverse da quelle coniugali.
L’unione civile viene registrata dal sindaco (altra analogia con il matrimonio). Da tale adempimento derivano un complesso di diritti e di doveri riconosciuti ai componenti della coppia. In particolare, le parti:
- Possono scegliere di adottare un cognome comune;
- Assumono gli stessi diritti e doveri, tra cui, in particolare l’obbligo alla coabitazione, il dovere di contribuire ai bisogni della famiglia con le proprie risorse professionali o casalinghe e il dovere alla reciproca assistenza morale e materiale;
- Adottano, salva diversa convezione patrimoniale, il regime della comunione dei beni;
- Sono soggette a tutte le norme che si riferiscono al matrimonio contenute nel codice civile e nelle leggi speciali: pensa, ad esempio, al diritto al risarcimento del danno nel caso di decesso di una delle due parti per colpa di un altro soggetto, al diritto di fare visita in carcere alla persona, al diritto di assistere il proprio compagno durante il ricovero in ospedale.
Le disposizioni contenute nella legge Cirinnà si applicano anche ai conviventi eterosessuali che stipulano un apposito contratto. In questo caso si utilizza l’espressione di conviventi di fatto per intendere l’unione di due persone maggiorenni non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da unione civile.
Quali sono i diritti negati ai conviventi di fatto? Anche se il rapporto di convivenza regolato dalla legge presenta molte analogie con il matrimonio, vi sono delle divergenze importanti che distinguono le due situazioni. Le differenze fondamentali rispetto al rapporto coniugale riguardano i seguenti ambiti:
- Adozione: gli uniti civilmente non possono adottare o ottenere in affidamento dei figli. Questo divieto si estende anche all’ipotesi di adozione del figlio del proprio compagno o della propria convivente;
- Obbligo di fedeltà: non è menzionato all’interno della legge e, dunque, non è valutato come vigente tra le parti della relazione;
- Rapporti ereditari: il convivente di fatto non è considerato erede legittimo del suo compagno e, dunque, non ha diritto alla quota di riserva in caso di decesso. Il legislatore riconosce alla parte superstite la possibilità di rimanere nella casa in cui è stata fissata la residenza comune per un minimo di due anni e un massimo di cinque in assenza di figli e per un minimo di tre anni in presenza di figli minorenni;
- Cessazione degli effetti dell’unione civile: a differenza della separazione e del divorzio, la procedura per sciogliere l’unione è soltanto una, ossia la dichiarazione dinanzi all’ufficiale di stato civile. Nel matrimonio, al contrario, si può scegliere tra sistema tradizionale (separazione consensuale con omologazione del giudice o separazione giudiziale con sentenza del tribunale) e sistema breve (separazione con negoziazione assistita o dinanzi al sindaco). Inoltre, nell’unione civile i termini sono molto brevi e, quindi, è più difficile che si verifichino dei ripensamenti.
Quali sono i diritti negati per chi non stipula il contratto di convivenza? Situazione ancora diversa dal matrimonio e dalle unioni civili è quella delle coppie di fatto senza contratto di convivenza. In tal caso si fa riferimento a due persone dello stesso o di diverso sesso che hanno deciso di non perfezionare il proprio rapporto con il matrimonio o con l’unione civile. Essi si distinguono anche dai semplici fidanzati perché vivono sotto lo stesso tetto e, quindi, hanno avviato una relazione stabile e duratura (almeno nelle intenzioni). Tali relazioni non sono disciplinate da apposite norme e, di conseguenza, il convivente di fatto che non ha sottoscritto un contratto di convivenza si trova sprovvisto delle tutele riconosciute dalla legge. In tal caso, dunque, non esistono diritti riconosciuti espressamente dall’ordinamento giuridico se non quelli attribuiti al singolo individuo nella sua qualità di persona. Si tratta, in altri termini, delle ipotesi in cui i due soggetti, pur volendo condividere la propria esistenza, decidono di mantenere separati i profili giuridici. Facciamo un esempio.
Luca e Giada sono due giovani ventenni che si trasferiscono a Roma per studiare all’Università. Sono fidanzati da un paio di anni e, quindi, anche per risparmiare sull’affitto, decidono di condividere una casa. Anche se si amano sono troppo piccoli per firmare un contratto che regoli i loro rapporti. Decidono, quindi, di convivere senza assumere specifici impegni. In casi del genere, dunque, entrambi i ragazzi, pur vivendo insieme, continuano a condurre la propria vita sia da un punto di vista personale sia da un punto di vista giuridico. Essi sono due entità separate che si amano e condividono un appartamento. Non costituiscono in altri termini un nucleo familiare in senso stretto. Luca e Giada possono vantare i diritti che il sistema giuridico riconosce loro come persone (es. istruzione, salute, ecc.), ma non come coppia (pensa, ad esempio, all’adozione dei figli o al regime della comunione dei beni o all’apertura della successione).
Tiziana Costarella La legge per tutti 7 maggio 2020
www.laleggepertutti.it/396550_quali-sono-i-diritti-negati-alle-coppie-di-fatto
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CORONAVIRUS
10 regali psichici della quarantena: trasformare la crisi in opportunità
Questo momento è un’opportunità per imparare a vedere noi stessi in modo diverso, per muovere piccole grandi riflessioni. La paura è energizzante e la creatività rappresenta una difesa per non sentirci indifesi. Vediamo le potenzialità dal punto di vista psichico con la guida della psicologa Brunella Gasperini.
Eppure la quarantena, senza sottovalutare tutto ciò che sta danneggiando, può regalarci “cose preziose”. Nessuna terapia psicologica al mondo può eguagliare il potere di questa serrata, di questo “reset” psicologico forzato. Gli aspetti negativi li conosciamo, non vanno banalizzati, ma non dobbiamo nemmeno sprecare le occasioni che questa crisi nostro malgrado ci offre. Pensiamo alle fantastiche capacità del nostro cervello di rispondere ai cambiamenti, di adattarsi alle richieste ambientali rendendoci straordinariamente resistenti e alla forza del nostro sistema immunitario psicologico in grado di difendere il benessere. Questo momento è un’opportunità per sistemare cose di noi, per imparare a vedere noi stessi in modo diverso, per muovere piccole grandi riflessioni. Vediamo le potenzialità dal punto di vista psichico:
1) Allena la nostra resilienza [capacità di un individuo di affrontare e superare un evento traumatico o un periodo di difficoltà] che non vuol dire resistere a tutti i costi piuttosto essere liberi di sentirci come siamo davvero, anche incerti, impauriti, smarriti. Vulnerabili. È la vulnerabilità l’insospettata risorsa per essere resilienti, la leva per dare slancio alla vita. La paura è restrittiva dal punto di vista emotivo come le misure di contenimento di questi giorni, ci relega in spazi emotivi e mentali limitati ma è un passaggio inevitabile – condividiamola con gli altri – per recuperare e risistemarci.
2) Offre la possibilità di recuperare la relazione più importante, quella con noi stessi. Non siamo abituati a rimanere soli con noi stessi, cerchiamo sempre intrattenimento, informazioni, occupazioni come fossimo vuoti da riempire, come se stare soli non valesse niente. Occhi sul cellulare, app, video, va bene tutto pur di evitare di imbatterci in noi stessi. Un po’ di sano raccoglimento invece ci fa bene: proviamo a stare sul nostro mondo interiore, a “sederci sui nostri pensieri e sentimenti”, ad aspettare risposte che arrivano da dentro, a sentire cosa pensiamo di noi.
3) Libera la creatività. Nel corso di una crisi diventiamo più creativi, ci è più semplice infrangere regole e abitudini, attivare risorse per trovare soluzioni fantasiose ai problemi. Siamo portati ad impegnarci, vogliamo contribuire, aiutare, risolvere, diventiamo anche più disinibiti. Sblocchiamo abilità e conoscenze, troviamo soluzioni alternative lo vediamo in questi giorni in campo medico, politico, scolastico ma anche dentro le nostre case. La paura è energizzante e la creatività rappresenta una difesa per non sentirci indifesi.
4) I permette di fare esperienza con la sensazione di non poter controllare tutto. Si tratta di un allenamento che si rivela utile. Le nostre idee su come il mondo dovrebbe funzionare si capovolgono e ci sfidano a ripensare seriamente alle convinzioni profonde, a cosa possiamo lasciar andare, a come mollare quelle strette mentali che ci rendono così rigidi e incapaci di adattarci ai cambiamenti inevitabili della vita.
5) La vicinanza nel quotidiano. È un regalo psichico per i bambini che hanno la possibilità di stare con i genitori per tanto tempo, come non mai. Non vuol dire dover stare appiccicati tutto il giorno ma poter giocare, fare delle cose, collaborare, condividere questo tempo. Un’occasione anche per i genitori di scoprire o riscoprire il piacere di trascorrere ore con i figli, di inventarsi modi per stare bene tutti insieme malgrado pensieri, stanchezze e tensioni.
6) Mette in luce la nostra frattura psicologica per affrontarla in modo nuovo. Nella vita di tutti i giorni può essere nascosta ma esiste una rottura dentro di noi che nasconde “materiale esistenziale non elaborato”, e sotto pressione diventa più visibile. In questo momento siamo più delicati ma allo stesso tempo più pronti a prendere consapevolezza delle nostre fragilità, a scoprire come reagiamo nelle difficoltà, a capire meglio qualcosa di noi.
7) Aiuta a riflettere sulle nostre dipendenze. Quando una sostanza, una cosa, una persona diventa il centro, il principio organizzativo centrale della nostra mente, la vita inizia a restringersi. Il confinamento obbligato che stiamo vivendo, così tanto limitante, può essere visto come la messa in scena delle misure restrittive che a volte psicologicamente imponiamo a noi stessi, recintando chi siamo, isolandoci dagli altri. Ci fa capire come la riabilitazione da ogni dipendenza deve portarci fuori, farci uscire, ritrovare connessioni.
8) Predispone alla riconciliazione, a riparare rotture, a riavvicinare persone allontanate da tempo. La ricerca suggerisce che quando percepiamo una forte minaccia e avvertiamo incertezza riguardo il nostro orizzonte temporale, attribuiamo un valore maggiore alle relazioni interpersonali. Una crisi può così aiutare a ripensare certi guasti familiari in modo diverso, darci lo slancio per riaggiustare rapporti interrotti. Oppure, sempre per averci pensato e riflettuto, renderci chiara l’impossibilità di farlo, anche questo è un passo di crescita.
9) Sprona una mentalità più empatica, l’abbandono di visioni limitate e individualistiche, il recupero del senso del Noi. Una minaccia comune ci invita ad agire per il bene comune, ci fa sentire parte di una matrice collettiva. In tempi di crisi emergono comportamenti stravaganti, disperati e dannosi ma si liberano in modo sorprendente anche risorse come solidarietà, comprensione, fiducia, condivisione, sostegno. È un’occasione per l’evolversi di nuova coscienza cooperativa.
10) Potrebbe essere l’inizio di qualcosa di più grande a livello collettivo, questa crisi potrebbe essere la spinta a migliorare, ad impegnarci per un mondo più umano, solidale e costruttivo dando significato a ciò che è accaduto. Essersi tutti fermati per il bene di tutti può essere una motivazione sufficiente per cambiare il modo in cui affrontiamo le nostre vite e chiederci cosa vogliamo aprire con la fase 2, quale responsabilità siamo disposti ad assumerci, che tipo di società vogliamo.
Brunella Gasperini, psicologa 4 maggio 2020
https://d.repubblica.it/life/2020/05/04/news/coronavirus_quarantena_isolamento_aspetti_positivi_psicologia_consigli_contro_ansia_depressione-4721005
Udienze telematiche di separazione e divorzio: le linee guida del Cnf
Le misure previste fino al 30 giugno 2020 per lo svolgimento dei procedimenti di natura consensuale, contenziosa e per quelli di negoziazione assistita. In data 20 aprile 2020 il Consiglio Nazionale Forense ha approvato le linee guida volte a regolare lo svolgimento dei procedimenti in materia di diritto di famiglia limitatamente al periodo di emergenza Covid-19 e comunque non oltre la data del 30 giugno 2020.
Si è pertanto ritenuto opportuno tutelare e bilanciare due diritti costituzionali fondamentali ovvero, da un lato, le esigenze di tutela della salute pubblica (art. 32 Cost.), dall’altro quelle della tutela della famiglia (art. 29 e 30 Cost.). Considerato che tutti i procedimenti in materia di famiglia sono intrinsecamente connotati da urgenza di provvedere, il Cnf ha previsto che la modalità da preferire debba essere quella che dia la possibilità per le parti ed i difensori di presenziare personalmente in tribunale, ove possibile, nel rispetto della tutela della salute evitando assembramenti e contatti ravvicinati tra le persone che, a vario titolo, frequentano gli uffici giudiziari, e dall’altra, il diritto di difesa dei soggetti coinvolti.
Pertanto il Consiglio Nazionale Forense ha dettato le linee guide con riferimento ai seguenti procedimenti.
Procedimenti di natura consensuale. Fino alla cessazione della fase di emergenza da covid-19, il Cnf ha previsto che per i procedimenti di natura consensuale è ammesso il deposito esclusivamente telematico dei ricorsi per separazione consensuale, divorzio congiunto, ricorso congiunto ex art. 337 bis c.c., ricorso congiunto ex art.710 cpc, ricorso congiunto ex art. 337 quinquies c.c. In tali casi, i difensori potranno scegliere la c.d. trattazione scritta; pertanto dovranno trasmettere telematicamente al presidente almeno 24 ore prima della c.d. udienza virtuale, una dichiarazione sottoscritta dalle parti, (e loro trasmessa, anche via posta ordinaria o via mail, in quest’ultimo caso scannerizzata) in cui queste ultime dichiarino: di essere perfettamente a conoscenza delle norme processuali che prevedono la partecipazione all’udienza; di essere stata edotta della possibilità di procedere in alternativa alla rinuncia della alla presenza fisica e di avervi aderito liberamente e coscientemente; di non volersi conciliare (solo in caso di separazione e divorzio);di confermare le conclusioni rassegnate nel ricorso. Solo a seguito di detta manifestazione di volontà, si potrà conseguire l’omologa (nel caso di separazione), la sentenza (nel caso di divorzio congiunto) o il decreto collegiale (nelle altre ipotesi), previa trasmissione telematica per il parere al PM.
Procedimenti di natura contenziosa. La previsione normativa secondo cui le udienze relative ai procedimenti di natura contenziosa, in cui le parti siano sentite personalmente e che sia tentata la conciliazione comporta, comporta che la scelta di celebrazione dell’udienza tramite collegamento da remoto possa essere giustificata, previa comunicazione della disponibilità dei difensori delle parti, che si impegnano a comunicarla al Tribunale laddove ritengano che detta modalità sia compatibile con le esigenze della difesa.
L’applicazione di tali modalità di collegamento da remoto, non potrà avvenire nei casi in cui sia necessaria la trattazione con udienza ordinaria per l’esigenza di valutare in modo più attento il profilo delle capacità genitoriali, per le coppie con figli di minore età, in presenza di problematiche personali eventualmente allegate da controparte o emergenti dagli atti. L’esistenza di tali ipotesi potrà essere segnalata dai difensori. Anche le parti dovranno collegarsi all’udienza da remoto, qualora debbano essere sentite personalmente ai fini del tentativo di conciliazione; se tale ipotesi non appaia adeguata, il Giudice potrà valutare se ricorrere o meno a detta modalità, soprattutto nel caso di coppie con figli minorenni.
Per garantire la tutela della privacy e la libertà personale, il collegamento da remoto non andrà effettuato dall’abitazione personale della parte, nei casi in cui in essa vi sia ancora coabitazione dei coniugi o dei conviventi con altri familiari o con i figli.
Dunque, qualora ve ne siano le condizioni, la parte dovrà recarsi, presso lo studio del proprio difensore da cui verrà effettuato il collegamento, nel rispetto dell’obbligo di distanziamento sociale. Il Presidente renderà noto alle parti il divieto di registrare l’udienza. Inoltre, il verbale della trattazione congiunta, verrà sottoposto ai legali ed alle rispettive parti mediante la funzione “condividi schermo” presente sulla piattaforma telematica e ciò corrisponderà alla sottoscrizione del medesimo.
Invito e convocazione delle parti all’udienza da remoto
L’art. 83 comma 7 lett. f) D.L. n.18/2020 prevede che “Prima dell’udienza il giudice fa comunicare ai procuratori delle parti e al pubblico ministero, se è prevista la sua partecipazione, giorno, ora e modalità di collegamento”. Prima della celebrazione dell’udienza, il giudice emetterà un provvedimento, che dovrà essere comunicato almeno 7 giorni prima, dalla cancelleria ai procuratori delle parti ed al pubblico ministero, qualora ne sia prevista la sua partecipazione, con l’indicazione di giorno, ora e modalità di collegamento tramite link inserito nel provvedimento stesso. Qualora il resistente non compaia all’udienza telematica, il Presidente del Tribunale, verificata la presenza del ricorrente e la regolarità della notifica del ricorso, procederà a norma dell’art. 707, comma 3, c.p.c. Se la parte resistente costituita è assente all’udienza telematica, il Presidente del Tribunale ne fisserà una nuova, dandone atto a verbale; verrà indicata la data della nuova udienza nel PCT e sarà onere delle parti costituite prenderne visione. I procuratori delle parti dovranno depositare nel fascicolo una nota contenente un recapito telefonico ed un indirizzo mail attraverso i quali potranno essere contattati dal cancelliere in caso di mal funzionamento dell’applicativo utilizzato.
Svolgimento dell’udienza da remoto. Le linee guida indicano le modalità di svolgimento dell’udienza da remoto, riportando l’art. 83, comma 7, lett. f,) del D.L. n.18/2020, a norma del quale: “il giudice dà atto a verbale delle modalità con cui si accerta dell’identità dei soggetti partecipanti e, ove trattasi di parti, della loro libera volontà. Di tutte le ulteriori operazioni è dato atto nel processo verbale”.
Dunque, il magistrato, nel verbale di udienza prenderà atto della dichiarazione di identità dei procuratori e delle parti presenti, nonché della presenza, nel locale da cui viene effettuato il collegamento, di eventuali altri soggetti legittimati alla partecipazione (come ad esempio, tirocinanti, praticanti avvocati..); prenderà anche atto della dichiarazione dei difensori delle parti in merito alle modalità di partecipazione della parte assistita al momento dell’udienza e di quella relativa al fatto che non siano in atto, né da parte dei difensori né dei loro assistiti, collegamenti con soggetti non legittimati; nonché della dichiarazione della parte che si colleghi da un luogo diverso da quello da cui si collega il difensore, che non siano ivi presenti fisicamente soggetti non legittimati. Il giudice, i procuratori delle parti e le parti, se collegate da luogo distinto, dovranno tenere attivata la funzione video per tutta la durata dell’udienza; ove consentito, la gestione dell’avvio e dello svolgimento dell’udienza verrà effettuata dal cancelliere collegato da remoto con il medesimo applicativo, occupandosi, eventualmente, anche della verbalizzazione.
Alla fine dell’udienza, il giudice inviterà i procuratori delle parti a dichiarare a verbale di aver partecipato effettivamente all’udienza nel rispetto del contraddittorio e ad attestare che lo svolgimento dell’udienza mediante l’applicativo, abbia avuto luogo in modo regolare.
Ricalendarizzazione udienze fissate nel periodo di sospensione. Con riferimento alla ricalendarizzazione delle udienze, comprese quelle presidenziali, rinviate in virtù del D.L. n. 11/2020 e D.L. n. 18/2020, nelle linee guida il Cnf ha precisato che si provvederà rispettando i termini dilatori; per la notifica la costituzione del convenuto ed il relativo provvedimento verrà trasmesso dalla cancelleria via PCT ai legali delle parti costituite. Se nella fase presidenziale o per la prima udienza ex art. 183 c.p.c., il convenuto non si sia costituito sarà onere del legale del ricorrente rinotificare il provvedimento di fissazione della nuova udienza.
Negoziazioni assistite. Con riferimento agli accordi di negoziazione assistita, questi dovranno essere depositati alla Procura della Repubblica in via telematica a mezzo PEC ed il relativo provvedimento di nulla-osta o autorizzazione sarà trasmesso agli Avvocati con le stesse modalità del deposito, sempre a mezzo PEC.
Gli avvocati dovranno pertanto trasmettere l’accordo agli Ufficiali dello stato civile sempre via PEC (art. 6, c. 2 e 3, D. L. n. 132/2014, convertito in L. n. 3 162/2014). Per il perfezionamento dell’accordo e degli adempimenti successivi, l’autografia della sottoscrizione delle parti verrà effettuata mediante l’identificazione da remoto da parte dei legali (art. 5, D.L. n. 132/2014, conv. in legge 10 n. 162/2014).
Qualora la Procura della Repubblica non autorizzasse gli accordi, rinvierà avanti al Presidente e quest’ultimo fisserà udienza che potrà avvenire anche con collegamento da remoto, previo consenso dei difensori
Maria Elena Bagnato Altalex 4 maggio 2020.
www.altalex.com/documents/news/2020/05/04/udienze-telematiche-di-separazione-e-divorzio-le-linee-guida-del-cnf?utm_medium=email&utm_source=WKIT_NSL_Altalex-00019383&utm_campaign=WKIT_NSL_AltalexFree10.05.2020_LFM&utm_source_system=Eloqua&utm_econtactid=CWOLT000004487746&elqTrackId=ed21f812a38b4f99916c6803c077a539&elq=18aa9db7a4f74d52b3a648402cd4f004&elqaid=48916&elqat=1&elqCampaignId=28019
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DALLA NAVATA
V Domenica di Pasqua. Anno A – 10 maggio 2020
Atti Apostoli 06, 02. Dunque, fratelli, cercate fra voi sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito e di sapienza, ai quali affideremo questo incarico.
Salmo 32, 18. Ecco, l’occhio del Signore è su chi lo teme, su chi spera nel suo amore
1 Pietro 02, 09. Voi invece siete stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo che Dio si è
acquistato perché proclami le opere ammirevoli di lui, che vi ha chiamato dalle
tenebre alla sua luce meravigliosa.
Giovanni 14, 01. Non sia turbato il vostro cuore . Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me.
La risposta è Gesù: via, verità e vita
Io sono la via, la verità e la vita. Parole immense, che evadono da tutte le parti. Io sono la via, sono la strada, che è molto di più di una stella polare che indica, pallida e lontana, la direzione. È qualcosa di vicino, solido e affidabile dove posare i piedi; il terreno, battuto dalle orme di chi è passato ed è andato oltre, e che ti assicura che non sei solo.
La strada è libertà, nata dal coraggio di uscire e partire, camminando al ritmo umile e tenace del cuore. Gesù non ha detto di essere la meta e il punto di arrivo, ma la strada, il punto di movimento, il viaggio che fa alzare le vite, perché non restino a terra, non si arrendano e vedano che un primo passo è sempre possibile, in qualsiasi situazione si trovino. Alla base della civiltà occidentale la storia e il mito hanno posto due viaggi ispiratori: quello di Ulisse e del suo avventuroso ritorno a Itaca, il cui simbolo è un cerchio; il viaggio di Abramo, che parte per non più ritornare, il cui simbolo è una freccia.
Gesù è via che si pone dalla parte della freccia, a significare non il semplice ritorno a casa, ma un viaggio in–finito, verso cieli nuovi e terra nuova, verso un futuro da creare. Io sono la verità: non dice “io conosco” la verità e la insegno; ma “io sono” la verità. Verità è un termine che ha la stessa radice latina di primavera (ver–veris). E vuole indicare la primavera della creatura, vita che germoglia e che mette gemme; una stagione che riempie di fiori e di verde il gelo dei nostri inverni.
p. Ermes Ronchi, OSM
www.cercoiltuovolto.it/vangelo-della-domenica/commento-al-vangelo-del-10-maggio-2020-p-ermes-ronchi
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DIRITTI
Ius soli, ius sanguinis
Lo ius soli è il principio in base al quale l’acquisto della cittadinanza avviene come conseguenza della nascita sul territorio di un determinato paese. Negli Stati in cui si applica lo ius soli, per l’acquisto della cittadinanza non rileva quella dei genitori: è cittadino dello Stato chiunque nasce all’interno del suo territorio.
Lo ius soli si distingue dallo ius sanguinis, che invece attribuisce la cittadinanza tenendo conto di quella dei genitori.
Ius soli in Italia oggi. In Italia non vige lo ius soli, ma il principio base in virtù del quale si acquista la cittadinanza italiana è lo ius sanguinis. A dirlo è la legge n. 91/5 febbraio 1992, recante “Nuove norme sulla cittadinanza”. www.gazzettaufficiale.it/eli/id/1992/02/15/092G0162/sg
Nel nostro paese, quindi, è cittadino italiano chi nasce da padre o madre a loro volta cittadini italiani.
Tuttavia, in alcuni casi particolari, disciplinati dalla medesima legge, si può essere cittadini italiani anche per nascita. In particolare, secondo quanto previsto dalla legge del 1992, è cittadino per nascita anche: “chi è nato nel territorio della Repubblica se entrambi i genitori sono ignoti o apolidi, ovvero se il figlio non segue la cittadinanza dei genitori secondo la legge dello Stato al quale questi appartengono”.
L’acquisto della cittadinanza in base al principio dello ius soli è quindi prevista dal nostro ordinamento solo in casi particolari, in cui è presente un’impossibilità per il bambino di averne una perché figlio di apolidi o ignoti o perché le norme del paese di origine, rappresentano un ostacolo all’acquisto della stessa da parte dei genitori.
Lo ius soli in Italia è da anni al centro di accessi dibattiti politici e culturali, che si associano alla discussione sul crescente fenomeno migratorio. Le proposte di legge che si sono succedute sono moltissime e avevano come punto comune la richiesta di ampliamento dei casi in cui è possibile attribuire la cittadinanza in base allo ius soli. Tra tutte queste, solo una, durante la XVII legislatura (2013-2018), è andata avanti ed è arrivata sino all’approvazione della Camera dei deputati, prima di arenarsi. Essa era incentrata sull’acquisizione della cittadinanza da parte dei minori stranieri in base a una nuova fattispecie di acquisto per nascita (ius soli) e in conseguenza del compimento di un percorso formativo (ius culturæ).
Scendendo nel dettaglio, la fattispecie relativa all’acquisto della cittadinanza secondo lo ius soli, prospettata dal testo della riforma, prevedeva che: chi nasce nel territorio italiano da genitori stranieri, di cui almeno uno titolare del diritto di soggiorno permanente o del permesso di soggiorno UE di lungo periodo (cd. ius soli), acquista la cittadinanza italiana, se un genitore o chi ne esercita la responsabilità dichiara espressamente tale volontà all’ufficiale di stato civile del comune in cui risiede il minore, entro il compimento dei suoi 18 anni. Tale volontà, in assenza di dichiarazione espressa del genitore, può essere esercitata anche dal diretto interessato entro due anni dal compimento della maggiore età, termine entro il quale costui può rinunciare alla cittadinanza italiana acquisita per volontà del genitore, purché in possesso di altra cittadinanza.
Regole diverse per quanto riguarda l’acquisto della cittadinanza per ius culturæ: secondo quanto previsto dalla riforma, acquista la cittadinanza italiana (previa dichiarazione espressa del genitore legalmente residente in Italia o di chi ne esercita la responsabilità genitoriale all’ufficiale dello stato civile del comune in cui il minore risiede, entro il compimento dei suoi 18 anni) lo straniero nato in Italia, o che vi è entrato prima dei suoi 12 anni, che frequenta regolarmente, per un periodo minimo di cinque anni, un ciclo di istruzione (compresa quella di istruzione primaria, purché conclusa positivamente) o più cicli di istruzione e formazione professionale triennali o quadriennali per il conseguimento di una qualifica professionale.
Come nel caso precedente, se la richiesta di cittadinanza è stata espressa per volontà del genitore, il titolare vi può rinunciare entro due anni dal compimento della maggiore età, se in possesso di altra cittadinanza, in caso contrario, il diretto interessato può fare richiesta all’ufficiale di stato civile per acquistarla.
Il testo di riforma prevedeva infine un caso di concessione della cittadinanza, o naturalizzazione per lo straniero entrato nel territorio italiano nell’età compresa tra i 12 e i 18 anni, ivi residente da almeno sei anni, che ha frequentato un ciclo scolastico (conseguendone il titolo finale) o un percorso di istruzione e formazione professionale con l’ottenimento di una qualifica professionale.
Ius soli in Europa. Lo Ius soli è tipico del continente americano, ove quasi tutti gli Stati (tra cui gli USA) lo applicano automaticamente e senza condizioni. In Europa, invece, esso costituisce un’eccezione ed è ammesso, peraltro in maniera condizionata, solo da Francia, Germania, Irlanda e Regno Unito.
Annamaria Villafrate studio Cataldi 4 maggio 2020
www.studiocataldi.it/articoli/32783-ius-soli.asp
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DONNE NELLA (per la) CHIESA
Anno settimo del pontificato. La sfida delle donne
Il confronto con le istanze delle donne è una sfida a cui la Chiesa, come tutte le altre istituzioni, non si può più sottrarre, ma si tratta di una sfida quanto mai tentacolare, che chiede coraggio profetico, ma anche lucidità teologica. Chiama infatti in causa sia l’impianto dottrinale che la prassi pastorale della chiesa cattolico-romana. Ma chiede anche consapevolezza storica di sé e della propria identità e, soprattutto, volontà politica: la Chiesa è stata in grado di vivere (e non solo sopravvivere) per due millenni perché ha saputo, sia pure con grande lentezza, intercettare i segni dei tempi e leggerli alla luce del vangelo di Gesù di Nazareth, della sua persona e della sua predicazione, riconoscendo valore salvifico universale alla sua morte e rischiando la propria credibilità sulla fede nella sua risurrezione. Per dirla evocando una splendida espressione di Luis Sepúlveda: la Chiesa ha saputo rispettare solo il limite dell’orizzonte e mai e poi mai una frontiera. È, in fondo, la prospettiva della solenne finale del vangelo di Matteo (28,16-20).
Una spina nel fianco. Un pontificato, d’altro canto, appartiene alla cronaca, ma al contempo appartiene alla storia e valutarlo con lenti multifocali non è facile. Bisogna accettare che qualsiasi giudizio possa essere miope o presbite, ottuso o lungimirante. Credo però che, al netto di tutto questo, per la Chiesa di Francesco le donne continuino a essere una spina nel fianco. Non solo per lui, ma per tutto l’apparato in cui a governare sono anziani signori che sostengono a spada tratta che la verità immutabile ed eterna di Dio coincide con l’uso di dare la comunione sulla lingua oppure con la difesa della pena di morte, come ha dichiarato l’ex Nunzio Carlo M. Viganò in una recente intervista a un giornale portoghese, che dovremmo rileggere ogni tanto per non perdere di vista la situazione in cui ci troviamo dato che, ne sono convinta, molta parte della gerarchia cattolica la condivide. Da 150 anni le donne rappresentano l’elemento di rottura dell’ordine costituito, non solo di quello sociale, cioè il patriarcato, ma di quello ideologico, cioè l’androcentrismo. Di un ordine che per molti secoli si è ritenuto voluto da Dio stesso e nel quale la distribuzione del potere avveniva non soltanto per censo o per classe ma, addirittura, per sesso.
L’attenzione alle ingiustizie e allo sfruttamento. La posizione di Francesco nei confronti delle donne e, soprattutto, nei confronti del loro pensiero e delle loro pratiche che interpellano anche la Chiesa perché stanno così profondamente cambiando la cultura di tutti i paesi del mondo, non è del tutto facile da interpretare. Le istanze delle donne rispetto alla vita ecclesiale impongono infatti di assumere un punto di vista sistemico. Chiamano in causa l’antropologia teologica, la teologia biblica e quella sistematica per non parlare della teologia morale e di quella pastorale, discipline che più di altre obbligano a fare i conti con la concretezza della vita e della storia.
Sono conti che Francesco sa fare molto bene quando si tratta di guardare alle ingiustizie di cui le donne sono costrette a pagare il prezzo più alto soprattutto al di fuori della Chiesa. Come non apprezzare la forza con cui ha denunciato – e non solo una volta – la violenza sulle donne? Ora che la forzata reclusione tra le mura domestiche a causa dell’emergenza virus ha reso ancora più drammatica la situazione di molte donne che, con i loro figli, sono rese oggetto di sopraffazione fisica e psicologica. Francesco ha preso posizione con forza il lunedì dell’Angelo, dopo la preghiera del Regina cɶli, dicendo che sono sottoposte a «una convivenza di cui portano un peso troppo grande». Ma lo aveva detto anche in altri momenti e in diversi paesi del mondo, riconoscendo così che non si tratta di situazioni congiunturali, ma piuttosto di una piaga che può affettare le famiglie in modo strutturale, che dilaga e che culmina spesso nel femminicidio. Come non si è mai stancato di insistere sullo sfruttamento delle donne in tutti gli ambiti lavorativi compresi perfino quelli ecclesiastici, dichiarando apertamente che troppo spesso è dato per scontato che tante suore vivano una sorta di schiavitù (servidumbre). Né si può dimenticare l’attenzione che ha rivolto al dramma degli abusi sessuali perpetrati nei confronti delle religiose.
I suoi detrattori clericali continuano ad accusare Francesco di adulterare la vera dottrina con la sociologia e danno così prova, oltre che di tipica “arroganza di stato”, anche di ignoranza teologica. Per le donne, infine, il coraggio che Francesco mostra ogni volta che attacca il clericalismo – e lo affronta ben sapendo che è un’idra a sette teste ma, proprio per questo, è la vera grande malattia che si annida e corrode ogni religione – è motivo di speranza oltre che di gratitudine perché è parola profetica che pone la scure alla radice degli alberi (cfr. Lc 3,9). Francesco sa molto bene, però, che non spetta al profeta recidere gli alberi e guarda, con deciso spirito ignaziano, alla sorte del Maestro e Signore perché «è sufficiente per il discepolo diventare come il suo maestro e per il servo come il suo signore. Se hanno chiamato Beelzebùl il padrone di casa, quanto più quelli della sua famiglia!» (Mt 10,25).
Esaltare per escludere. Non sarebbe giusto però tralasciare di osservare quante volte le parole di Francesco hanno fatto l’effetto di un freno tirato in una macchina in corsa. Fin dall’inizio ha imboccato la pericolosa scorciatoia di quel “principio mariano-petrino” che modella l’ecclesiologia sul patriarcato, esalta il femminile, ma per escluderlo da ogni esercizio di autorità. Purtroppo, come i suoi predecessori, anche Francesco fa fatica a liberarsi da una costrizione del maschile-femminile dentro uno schematismo che non è meno asfittico e pericoloso quando se ne stabiliscono Pietro e Maria come figure simboliche di riferimento e si riserva, a Pietro, il ministero dell’autorità e a Maria il carisma dell’amore.
Un’impressione di fondo che si è andata chiarificando sempre più nel corso di questi sette anni di pontificato: quando si riferisce ai soprusi che vengono perpetrati contro le donne nella società civile, Francesco tiene con coraggio la barra dritta e sa molto bene che oggi la lotta per la giustizia vede in primo piano i diritti delle donne ma, quando guarda alla Chiesa, il suo passo si fa più incerto e le sue scelte contraddittorie. Sappiamo bene infatti che non ha difficoltà a inserire, sia pure con grandissima cautela e, di conseguenza, con un’efficacia molto contenuta, alcune donne in ruoli di curia fino a oggi assoluto appannaggio di chierici, ma quando si tratta di affrontare uno dei grandi problemi della Chiesa cattolico-romana, quello dell’attuazione dell’ecclesiologia della costituzione conciliare Lumen gentium, Francesco si ritrae. Allarmato, si dice, dalla minaccia di scisma che, a ogni piè sospinto, gli lanciano i suoi nemici. Non però, evidentemente, dallo scisma silenzioso che, progressivamente, erode il popolo di Dio, in modo tutto particolare per quanto riguarda le donne.
Alcuni chiavistelli ecclesiali. Che dire dell’ecclesiologia tracciata nell’Esortazione post-sinodale Querida Amazonia (nn. 61-110) che, dopo l’ampio respiro dei primi tre sogni – sociale, culturale e ecologico – fa ripiombare la chiesa amazzonica e la Chiesa universale nell’incubo delle scorie di una chiesa pre-conciliare e che ha ricevuto, sì, il plauso dell’ex-Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, Gerhard Müller, ma ha anche registrato lo sgomento di donne e uomini di fede che giocano la loro vita nell’appartenenza ecclesiale? E, come se non bastasse, a quei chiavistelli ecclesiali di Querida Amazonia che bloccano alle donne ogni accesso al riconoscimento di quanto già svolgono, cioè il ministero diaconale, si è aggiunto l’avallo alle scelte della Congregazione per la dottrina della fede riguardo alla nuova commissione di studio per il diaconato femminile. Francesco non può non sapere che non c’è più nulla da studiare e, viste le persone scelte per la commissione, è difficile non avere il sospetto che l’intenzione reale sia quella di confondere quanto già è stato studiato e chiarito.
Mi diceva sconsolato uno dei membri della commissione precedente: così seppelliamo tutto per altri trecento anni! D’altra parte, non solo noi teologhe, ma anche stimati teologi abbiamo provato a dirlo in tutti i modi: il diaconato femminile non deve esistere, il diaconato, come il battesimo, è uno solo e a esso dovrebbero aver accesso sia uomini che donne. Molto ci sarebbe ancora da dire. Forse è vero che la Chiesa, anche quella di Francesco, non è pronta al salto che l’attuale consapevolezza delle donne ha chiesto a tutte le istituzioni. La domanda però si impone: è forse pronta a questa paralisi che la depaupera giorno dopo giorno dell’energia di “pietre vive” e la riempie di detriti?
Marinella Perroni, professore emerito al Pontificio Istituto sant’Anselmo 3 maggio 2020
www.viandanti.org/website/anno-settimo-del-pontificato-la-sfida-delle-donne
I ministeri femminili nella storia
Secondo le anticipazioni del quotidiano francese «Le Figaro» del 13 gennaio 2020, nel libro del card. Robert Sarah Des profondeurs de nos coeurs, la continenza sessuale da funzionale (al ministero dei preti) diventerebbe ontologica, per cui il celibato è necessario, anzi indispensabile. Sempre nel medesimo numero del giornale parigino c’è un’intervista al cardinale dal titolo «Preti, siate fieri del vostro celibato», il tutto pensato come un grido d’amore per il Papa, i preti e tutti i cristiani nella crisi sconvolgente (saisissante) che sta attraversando la Chiesa.
Portare in giro la moglie. Con questa politica (che scambia l’ideologia per amore) la gerarchia ecclesiastica cerca di proteggere l’attuale forma di servizio presbiterale a scapito del diritto dei fedeli di accedere all’Eucaristia, soprattutto nelle zone costrette a privarsene per mesi se non anni (È così che si amano i cristiani sparsi nelle regioni più impervie?). L’oggetto del contendere è proprio la concezione sacrale dell’Eucarestia (e dei ministeri): essa da una parte richiede obbligatoriamente un ministro ordinato maschio (e celibe) e dall’altra la rifiuta ai divorziati risposati.
Nel testo del cardinale si trova la seguente tesi: «Lo stato coniugale riguarda l’uomo nella sua totalità; e dato che servire il Signore richiede tutte le risorse di una persona, non sembra possibile che le due vocazioni si realizzino contemporaneamente». L’affermazione sembra provenire dallo scritto di Ratzinger [inserito all’interno del libro] che si richiama al «Non posso tacere» di S. Agostino, cosa che invece dovrebbe fare da Papa emerito. Il cardinale, prefetto della congregazione per il culto divino e i sacramenti, che ha ottenuto la licenza in teologia alla Gregoriana, ma anche quella in S. Scrittura presso lo Studium francescano di Gerusalemme, dovrebbe conoscere 1ª Corinti 9,5 in cui Paolo scrive: «Non abbiamo forse noi [io e Barnaba] il diritto di portare in giro una sorella (di fede) come moglie, allo stesso modo degli altri apostoli, dei fratelli del Signore (Mt 13,55; Mc 6,3) e di Cefa?» Pietro, gli apostoli e Giacomo, il fratello [carnale] del Signore (Galati 1,19), non hanno forse servito il Signore? I vescovi sposati di cui si parla nella 1ª Timoteo 3,1-7 non hanno servito il Signore? Gli attuali preti sposati della chiesa cattolica di rito greco-orientale (alcuni ancora presenti nel nostro Meridione) non stanno servendo il Signore?
Leta e Flavia: donne celebranti. Per quanto poi concerne i ministeri femminili, secondo lo storico e accademico del cristianesimo Giorgio Otranto, sul finire del V secolo in una vasta area dell’Italia meridionale e della Dalmazia, c’erano donne che esercitavano un vero e proprio “sacerdozio” (termine classico che tuttavia andrebbe evitato) ministeriale. [dimensionesperanza.it/aree/formazione-religiosa/teologia/item/2366].
Infatti Papa Gelasio nel 494 d.C. indirizza una lunga lettera a tutti gli episcopi della Lucania, Calabria e Sicilia, infuriato per il fatto che proprio col mandato (e forse con l’imposizione delle mani) dei vescovi «le donne venivano ammesse ad “amministrare ai sacri altari” [feminæ sacris altaribus ministrare], e compivano tutte (cuncta) le funzioni che erano state assegnate solamente al ministero degli uomini e non competono al sesso femminile». Anche le epigrafi attestano l’esistenza del presbiterato femminile in Calabria tra la metà e la fine del V secolo, come la Leta presbytera di Tropea (che non è la moglie del prete); ma c’è pure una Flavia Vitalia presbytera nella città dalmata di Salona, ove sul coperchio di un sarcofago compare anche il termine sacerdotæ (neologismo inequivocabilmente femminile, inesistente nel latino classico).
Attone (vescovo di Vercelli tra il IX e X secolo), esperto canonista e raccoglitore di disposizioni conciliari in materia di organizzazione ecclesiastica, vita sacramentale ed espressione liturgica, ribadisce [vedi anche il cartaceo di Giorgio Otranto, Italia meridionale e Puglia paleocristiane, Saggi storici, Edipuglia-Bari 1991, in particolare il capitolo/saggio sul Sacerdozio della donna nell’Italia meridionale, pp. 109-119] che nelle comunità cristiane antiche non solo gli uomini ma anche le donne venivano ordinate (ad adjumentum virorum etiam religiosæ mulieres in sancta Ecclesia «cultrices» ordinabantur; Ep. 8, PL 134,114) ed erano a capo delle comunità (etiam feminæ praeerant ecclesiis); erano chiamate presbitere (presbyteræ) ed avevano il compito di predicare, comandare e insegnare a fondo (prædicandi, jubendi vel edocendi…officium sumpserant). Ricordiamo che i nomi terminanti in trix, come il suddetto cultrix nel pl. cultrices, sono nomina agentis, ossia indicano un’azione, nel nostro caso il fare culto [quindi donne celebranti?].
Tutto questo significa che la posizione assunta al riguardo dalla chiesa antica (non dalla sola gerarchia) non può configurarsi come una tradizione monolitica, ma piuttosto come una questione vivamente dibattuta, e diversamente risolta almeno nel primo mezzo millennio cristiano, per poi essere definitivamente “stroncata” a partire dalla monarchia assoluta papale. I conservatori insistono sul fatto che Gesù avrebbe selezionato solo 12 maschi, per cui tale scelta sarebbe irreformabile, col solito refrain: «non ci possiamo fare niente, perché proviene dalla volontà di Nostro Signore [è l’Ècriture comme Parole de Dieu (ivi nelle anticipazioni)]». Ma noi sosteniamo che il NT dice proprio il contrario [le défaut méthodologique (ivi) è loro, non nostro], a prescindere dalle (o semmai contro le) condizioni socio-culturali della donna in quel tempo.
Giunia: un’apostola insigne. Solo Luca restringe il titolo di apostolo ai 12, conosciuti a livello catechistico nella dizione classica dei 12 apostoli. Ma gli apostoli sono più dei 12, come ad es. Paolo e Barnaba, chiamati tali da Luca stesso nell’unica sua eccezione esterna ai 12 in Atti 14, 4.14 (a Iconio nell’Anatolia, dopo che erano stati cacciati via dalla Cappadocia). Si è apostoli (inviati) per un dono del Gesù risorto, con l’incarico personale e permanente di predicare ed edificare la Chiesa. L’apostolo è mandato dall’alto, per volontà e “diritto divino” (secondo una classica espressione cara ai conservatori).
Orbene, nel finale della lettera ai Romani (16,1-16) non c’è solo la diaconessa Febe (quella che di solito viene ricordata) ma tutta una serie di saluti a donne e coppie di sposi: salutate Trifena, Trifosa e Perside che si affaticano nel Signore, che hanno lavorato per Lui servendolo (non erano mica tutte nubili). Salutate Prisca e Aquila, una coppia nominata ben sei volte nel NT (non hanno servito il Signore?), in una delle quali (Atti 18,2) si dice esplicitamente che erano marito e moglie. Veniamo ora al pezzo forte (Romani 16,7): «Salutate Andronico e Giunia [una coppia come Prisca e Aquila; Giunian, in accusativo, non è un maschio, come invece l’ha voluto far passare una tendenziosa storiografia cattolica]….sono degli apostoli insigni che erano in Cristo anche prima di me». Più precisamente «sono esimi fra gli apostoli», che spiccano come tali nel senso forte di Paolo, il quale non si riferisce al loro pur indubbio “apostolato” (nella dizione generica attuale) a Roma. Giunia è un’apostola insigne come Barnaba: gli apostoli non furono tutti maschi, poiché ci sono state apostole (dall’alto) per volontà divina; sono perciò i tradizionalisti che vanno contro il diritto divino, anziché assecondarlo. Se è così, chi siamo noi per interdire loro il presbiterato (che è un di meno rispetto all’essere apostoli)? Di diritto umano-ecclesiastico, e quindi riformabile, sono i preti solo maschi.
Mauro Pedrazzoli Il foglio (Torino) n. 469
www.ilfoglio.info/default.asp?id=5&ACT=5&content=823&mnu=5
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FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI
Lettera del presidente nazionale al Presidente del Consiglio
Egregio Presidente, prima di tutto, grazie per l’incontro avuto. Il Forum delle famiglie che rappresento ha cercato di portarle la voce preoccupata dei 26 milioni di famiglie che il 4 maggio dovranno riprendere a lavorare. E non sapranno dove lasciare i loro figli, con le scuole che sono ancora chiuse. Stiamo ricevendo in queste ore migliaia di messaggi preoccupati da parte di famiglie con figli, perché la stanchezza è tanta e forse si sono dati per scontati ormai i sacrifici delle famiglie italiane. Non è così. Dal nostro osservatorio privilegiato, che ha ben chiaro il ‘termometro’ delle famiglie nel Paese, riceviamo ogni giorno feedback allarmanti. Il timore è che, se non arrivano risposte chiare entro l’avvio della fase due, la delusione sarà tanta.
Le famiglie non chiedono elemosina, ma di essere messe nelle condizioni di vivere dignitosamente. La prima e più urgente risposta che chiediamo all’esecutivo è quella di soluzioni concrete e immediate affinché il 4 maggio le famiglie sappiano come conciliare serenamente il lavoro e l’attività di cura dei propri cari a casa. In secondo luogo, alla luce del fatto che in Italia la perdita del lavoro di un membro della famiglia e la nascita di un figlio sono, rispettivamente, la prima e la seconda causa di povertà, chiediamo di inserire l’assegno straordinario per ogni figlio nel dl di aprile.
Nei 75 miliardi di euro che saranno messi a disposizione non può non esserci questo assegno. Almeno fino a dicembre. È l’unica misura in grado di assolvere a un duplice scopo: affrontare l’emergenza e, dopo, far ripartire il Paese. Confido, pertanto, nella possibilità di non perdere l’opportunità aperta dal nostro incontro di ieri, al quale auspichiamo seguano nuovi appuntamenti, per trasformare una crisi storica e drammatica per le famiglie – che sono l’Italia, come ci ha ricordato il Presidente Mattarella – in opportunità di rilancio e di costruzione del Paese che verrà. 30 aprile 2020
www.forumfamiglie.org/2020/04/30/lettera-del-presidente-nazionale-al-presidente-del-consiglio
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FRANCESCO VESCOVO DI ROMA
Una Chiesa poco politica
In passato l’intreccio tra religione e prassi mondana aveva indicato all’istituzione ecclesiastica la direzione del suo impegno.
È ormai un luogo comune notare il carattere profondamente politico del pontificato di papa Bergoglio. In verità, però, più che politico il suo appare un pontificato ideologico, e le due cose non sono affatto la stessa cosa. Fino al punto che, come dirò, esse possono addirittura entrare in contrasto. Fin dall’epoca costantiniana la Chiesa ha sempre fatto politica: oltre ad essere un fatto di enorme rilevanza storica è un dato della sua identità autopercepita come «Società perfetta» del tutto autonoma da ogni potere. Essa cioè ha sempre agito con la piena consapevolezza della propria forza, rappresentata dalla capacità di orientare in modo significativo, spesso determinante, valori e comportamenti di grandi masse di uomini e di donne. Ha sempre fatto politica allo scopo di affermare o difendere i propri interessi e i propri valori (qualunque fossero gli uni e gli altri). Il che tuttavia ha sempre voluto dire anche altro, e cioè cercare di comprendere e interpretare i movimenti generali entro il sistema degli Stati al fine di affermare comunque la propria peculiare presenza.
Questo quadro complessivo tende però a subire con l’avvento di Bergoglio una modifica significativa. L’accusa mossa al Papa da alcuni settori radicali della sua stessa parte di essere virtualmente uscito dal solco del cattolicesimo fa sorridere. È un dato di fatto, invece, che non appena oltrepassa l’ambito delle cerimonie e dei riti, il discorso pubblico di Francesco inclina a perdere ogni specificità di tipo religioso. Certo, l’appello alla giustizia sociale, alla difesa dei deboli e degli oppressi, a una distribuzione più equa fra i popoli delle ricchezze naturali, l’invito a non manomettere irreparabilmente gli assetti naturali, tutto ciò che è la sostanza di quel discorso è in sintonia con la sostanza del messaggio cristiano. Questo messaggio risulta però fortemente modificato nel suo significato complessivo — oltre che dalla suddetta assenza di specificità «forti» di tipo religioso — da alcuni tratti tipici della piega che Bergoglio dà ad esso, e che come dicevo all’inizio portano le sue parole su un terreno che segna una frattura rispetto alla tradizione del magistero papale. Tali fattori sono in particolare due.
Innanzi tutto i destinatari. Anziché genericamente agli «uomini di buona volontà», ai «governanti», alle «autorità responsabili», al mondo, o a gruppi particolari designati dalla loro attività (chessò: le ostetriche, i poliziotti, i manager) — come per antica consuetudine accadeva finora — il Papa attuale ama invece sempre più spesso rivolgersi più o meno direttamente (magari scegliendoli come proprio pubblico) a soggetti vittime di situazioni negative. Ai «popoli», ai «movimenti popolari», o ad altri interlocutori analoghi: ma sempre scelti, direi, in una parte soltanto della società, quella meno favorita. Una scelta tanto più significativa in quanto è evidente che è ai discorsi rivolti ad essa che lo stesso Francesco attribuisce il maggiore significato per definire il carattere del proprio pontificato.
Il secondo elemento di frattura riguarda i contenuti non strettamente confessionali del discorso papale. Ciò che qui colpisce è il sostanziale abbandono di quella «dottrina sociale della Chiesa» che aveva tenuto il campo da Leone XIII fino a Giovanni Paolo II e che si connotava per la sua sempre ribadita posizione di centro tra capitalismo liberale e statalismo socialista. Altrettanto chiaro è l’abbandono sostanziale di un’altra declinazione tipica della pastorale pontificia: vale a dire di quell’universalismo umanistico così centrale nelle principali risoluzioni conciliari. Al posto di tutto ciò dominano viceversa il discorso di Bergoglio, insieme a una marcata noncuranza nei confronti della vicenda culturale dell’Occidente e a un’ostilità sempre allusa ma chiarissima per il capitalismo e per gli Stati Uniti, una forte simpatia per la dimensione dell’iniziativa spontanea dal basso e per l’autoorganizzazione popolare, l’avversione conseguente per tutto ciò che sa di istituzionalizzato, di ufficiale, di formale, nonché la generale condivisione delle aspettative e delle scelte fatte proprie da ogni gruppo marginale, e infine l’auspicio di una sorta di economia natural-comunitaria a base egualitaria, di cui è espressione esemplare la proposta avanzata di recente da Francesco stesso di un non meglio specificato «reddito universale».
Sono tutte cose certamente più che compatibili, in certo senso addirittura connaturate al messaggio evangelico. Le quali però cambiano di segno quando, come avviene nel discorso di Bergoglio, il messaggio evangelico e il relativo richiamo al depositum fidei cattolico tendono ad essere messi sullo sfondo fino a svanire. Come prova la diffusa assenza in quel discorso medesimo, ad esempio, di qualunque esortazione alla necessità del pentimento e della conversione o a scoprire il senso cristiano della vita e della morte, ovvero la verità della trascendenza, elemento costitutivo di ogni religione. È così che alla fine quel discorso, privo di una significativa innervatura religiosa, resta solo un discorso ideologico, di una ideologia a sfondo populistico-comunitario-anticapitalistico, non dissimile da altri in circolazione specie nel Sud del mondo.
Il fatto è che è stata proprio quell’innervatura religiosa, quella capacità di confrontare la religione con il mondo, oggi espunta o del tutto marginale, che ha sempre fatto la forza politica della Chiesa. È stato proprio quel particolare intreccio tra religione e prassi mondana che ha indicato all’istituzione ecclesiastica la direzione del suo impegno e insieme i modi concreti per adempiere ad esso. Oggi, viceversa, proprio perché portatrice di un discorso che appare attento a depurare il sociale storico da ogni effettivo richiamo religioso, e che quindi risulta esclusivamente ideologico, la Chiesa trova grande difficoltà a fare politica realmente, a essere presente con un proprio ruolo e il proprio peso nelle situazioni politiche concrete.
Scelgo in proposito due esempi. Il primo: da tempo — e in seguito all’epidemia di Covid 19 più che mai — l’Unione europea è attraversata al proprio interno da una divisione-scontro Sud/Nord. Un gruppo di Paesi del Sud Europa (Italia, Francia, Spagna, Portogallo i principali) si contrappone a un gruppo di Paesi del Nord (Germania, Olanda e Finlandia in testa) su una serie di questioni che alla fine riguardano i valori sociali e politici fondamentali che devono prevalere in una collettività; e si dà il caso (un caso forse non del tutto casuale) che i Paesi del primo gruppo siano quasi tutti di tradizione cattolica.
Secondo esempio: non da oggi (ma ancora una volta oggi più che mai) la base degli equilibri mondiali (non solo politici o economici) in vigore da oltre mezzo secolo sta mutando drammaticamente a causa dell’attivismo inedito e spregiudicato di due gigantesche aree politico-culturali: quella russa e quella cinese, entrambe indifferenti ai diritti umani e tanto più alla libertà religiosa. Ebbene, forse mi sarò distratto, ma su ognuno di questi due nodi di questioni, dalle implicazioni innumerevoli e decisive per l’avvenire del mondo, qualcuno ha notizia di una presa di posizione autorevole, di un gesto realmente significativo, di una iniziativa di rilievo, di un qualcosa qualunque da parte della Santa Sede o della Chiesa Cattolica?
Ernesto Galli della Loggia 9 maggio 2020
www.corriere.it/editoriali/20_maggio_09/chiesa-poco-politica-b0bb5080-9230-11ea-9f60-1b8d14bed082.shtml
Chiesa che fa troppa o poca politica?
Come al solito, Ernesto Galli della Loggia interviene in maniera stimolante una volta di più sulla questione del cattolicesimo e la politica. E’ meglio precisare che egli si riferisce proprio alla Chiesa, quella di Papa Francesco, con il suo ultimo articolo cui Il Corriere della sera ha dato il seguente titolo: Una Chiesa poco politica. Senza tanti complementi, egli definisce il pontificato di Francesco addirittura “ideologico”. Se questo aggettivo stesse per “evangelico” non ci sarebbe niente da dire. Leggendo l’intervento si capisce, però, che l’editorialista del Corriere lo usa proprio nel senso che i profani danno al termine. Così, egli sostiene che il pensiero di Francesco “perde ogni specificità di tipo religioso”.
Secondo Galli della Loggia, Papa Francesco avrebbe apportato una “modifica significativa” al percorso della Chiesa. Le parole di Francesco porterebbero “su un terreno che segna una frattura rispetto alla tradizione del magistero papale”. Si configurerebbe un “sostanziale abbandono di quella «dottrina sociale della Chiesa» che aveva tenuto il campo da Leone XIII fino a Giovanni Paolo II e che si connotava per la sua sempre ribadita posizione di centro tra capitalismo liberale e statalismo socialista”. Viene istintivo pensare, ma senza alcun intento polemico o irriguardoso nei suoi confronti, che trasportato indietro ai tempi di Papa Pecci, Galli della Loggia sarebbe giunto alle stesse conclusioni sulla Rerum Novarum e sul magistero di Leone XIII. Tanto essi furono rivoluzionari e forti su temi quali il lavoro, l’alienazione provocata dalla fabbrica, la distruzione della famiglia, l’emergere e il diffondersi dell’ideologia socialista.
La prima pietra miliare del Pensiero sociale della Chiesa venne sollecitata da un mutamento epocale definito dagli sviluppi culturali, civili ed economici collegati alle trasformazioni indotte dalle rivoluzioni americana e francese e dall’espansione tumultuosa del capitalismo dopo la cosiddetta seconda rivoluzione industriale. La finanziarizzazione del capitalismo, le distorsioni insite nel mercato, le mutazioni introdotte nel lavoro e nei sistemi di produzione, le conseguenti metamorfosi antropologiche che investono i singoli e le collettività ai giorni nostri, ulteriormente sollecitati da quella evoluzione scientifica e tecnologia che si potrebbe definire anche terza rivoluzione industriale, presentano una grande similitudine con i cambiamenti della seconda metà dell’800.
Incidentalmente noto che la questione della crisi del capitalismo liberale è più che mai all’ordine del giorno, come clamorosamente è giunta a ricordare una delle “vestali” di questa visione teorica e pratica qual è il The Economist www.ildomaniditalia.eu/che-cose-il-liberalismo-oggi
Papa Francesco rappresenta solo la riflessione più alta sulle due principali questioni del nostro tempo: quella delle disuguaglianze e quella dell’ambiente e dello sviluppo sostenibile. Temi su cui interviene lo stesso mondo economico e finanziario. Basti guardare al recente intervento di Carlo Messina, Ceo di Intesa San Paolo, sulle disarmonie sociali
www.avvenire.it/economia/pagine/tagliare-lo-stock-del-debito-si-pu-cos-litalia-torna-tra-i-primi-in-europa
e il cambio di passo che i grandi fondi chiedono a imprese e società sulle questioni ambientali
www.politicainsieme.com/e-scontro-sulle-questioni-ambientali-ma-la-grande-finanza-scopre-i-cambiamenti-climatici
Esiste dunque la continuità del pensiero di Francesco con i suoi predecessori in materia di dottrina sociale, in particolare, a Centesimus Annus (Giovanni Paolo II –1 maggio 1991)
http://www.vatican.va/content/john-paul-ii/it/encyclicals/documents/hf_jp-ii_enc_01051991_centesimus-annus.html
agli innumerevoli interventi di san Giovanni Paolo II sul capitalismo di cui il Papa polacco intravedeva, oltre quelli a lungo sottolineati dalla Chiesa in precedenza, ulteriori snaturamenti a seguito della caduta del Muro di Berlino e del comunismo reale e, quindi, con il restare quella del capitalismo l’unica ideologia prevalente.
La memoria torna anche agli interventi di Benedetto XVI. In particolare, mi limito a ricordare quello rivolto ai componenti il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace il 3 dicembre 2012
www.vatican.va/content/benedict-xvi/it/speeches/2012/december/documents/hf_ben-xvi_spe_20121203_justpeace.html
nel corso del quale l’attuale Papa emerito parlò di “idoli moderni” nel riferirsi all’individualismo, al consumismo materialista e alla tecnocrazia, e alla necessità di una loro sostituzione “con la cultura della fraternità e della gratuità, dell’amore solidale”. Due anni prima, sempre di fronte allo stesso Consiglio, Benedetto aveva sostenuto la necessità di “ preparare fedeli laici capaci di dedicarsi al bene comune, specie negli ambiti più complessi come il mondo della politica, ma è urgente anche avere Pastori che, con il loro ministero e carisma, sappiano contribuire all’animazione e all’irradiazione, nella società e nelle istituzioni, di una vita buona secondo il Vangelo” e auspicò la continuazione nell’elaborazione “di sempre nuovi aggiornamenti della Dottrina sociale della Chiesa”.
Da riflettere anche laddove Galli della Loggia sostiene che Francesco non si rivolga più “genericamente agli «uomini di buona volontà», ai «governanti», alle «autorità responsabili», al mondo, o a gruppi particolari designati dalla loro attività (chessò: le ostetriche, i poliziotti, i manager) — come per antica consuetudine accadeva finora — il Papa attuale ama invece sempre più spesso rivolgersi più o meno direttamente (magari scegliendoli come proprio pubblico) a soggetti vittime di situazioni negative. Ai «popoli», ai «movimenti popolari», o ad altri interlocutori analoghi: ma sempre scelti, direi, in una parte soltanto della società, quella meno favorita”.
Sottolineare che il Vicario di Cristo, salito sulla Croce da ultimo degli ultimi, indirizzi la propria sollecitudine verso la parte “meno favorita” mi sembra un po’ ardito e mi ricorda le ripetute preoccupazioni degli esponenti cattolici del passato animati da una visione clerico conservatrice. Mi sembra opportuno andare all’intervento fatto da Papa Francesco in occasione dell’incontro con un gruppo della Pontificia Commissione per l’America latina del 4 marzo 2019 in occasione del quale disse: “La politica non è mera ricerca di efficacia, strategia e azione organizzata.
http://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2019/march/documents/papa-francesco_20190304_pontcommissione-americalatina.html
La politica è vocazione di servizio, diaconia laicale che promuove l’amicizia sociale per generare il bene comune. Solo in questo modo la politica contribuisce a far sì che il popolo diventi protagonista della sua storia e così si evita che le cosiddette “classi dirigenti” credano di essere loro a poter risolvere tutto. È il famoso concetto liberale esasperato: tutto per il popolo ma niente con il popolo. Fare politica non si può ridurre a tecniche e risorse umane e capacità di dialogo e persuasione; tutto ciò da solo non serve. Il politico sta in mezzo al suo popolo e collabora con questo mezzo o altri affinché il popolo che è sovrano sia il protagonista della sua storia”.
E’ questo populismo o visione democratica? Proprio quella che, ne converrà Galli della Loggia, uomo intelligente e democratico, manca nei sistemi occidentali in cui si registra una carenza di partecipazione sostanziale.
Vi sarebbe anche da commentare il rimprovero mosso da Galli della Loggia alla “proposta avanzata di recente da Francesco stesso di un non meglio specificato «reddito universale»”. Lo stesso, però, applicato in queste ore da un certo Donald Trump con quel ”helicopter money” [stimolo monetario estremo] messo in campo dall’amministrazione Usa sotto l’incalzare del Coronavirus.
Non sta a me difendere Papa Francesco dall’accusa di “mettere sullo sfondo fino a svanire” il messaggio evangelico, affermazione alquanto ardita, perché di una simile difesa non c’è bisogno tanto è evidente il contrario. Da imperfetto cristiano, infatti, ho vivida negli occhi e nelle orecchie tutta l’azione pastorale e catechetica di Francesco culminata, tanto immaginificamente semplice e sontuosa al tempo stesso, nella passeggiata solitaria per le strade di Roma, nell’adorazione del crocifisso miracoloso di San Marcello, nel suo intestardirsi a parlare dentro e ad una Piazza San Pietro deserta, ma verso cui vanno le nostre attese speranzose e salvifiche.
Galli della Loggia lamenta la mancanza di “un’innervatura religiosa” nel discorso di Francesco. Io, invece, con milioni di altri, questa innervatura la vedo e come. Semmai, questa particolare innervatura è un motivo in più per continuare con la ricerca di una più profonda “conciliazione” interiore con il messaggio di Cristo e i pastori che lo sostanziano in coerenza con il duplice fondamentale comandamento cristiano: ama il tuo Dio e ama il prossimo tuo.
Una finale riflessione sul titolo dato all’intervento di Ernesto Galli della Loggia: Una Chiesa poco politica. Si ritorna, insomma, ad una parte dell’alternante ritornello. Quello che contesta alla Chiesa di fare troppa politica, o di farne poca. Chi è educato al cattolicesimo democratico e popolare non ha dubbio alcuno: la Chiesa non deve fare politica, pur consapevole che essa è obbligata a vivere nel tempo e nei suoi problemi. Sta ai laici cristiani fare politica. Cosa che significa scegliere. Non è un caso che i cattolici, anche quelli italiani, votano a destra, come a sinistra o si astengono.
Il Pontefice compie il suo apostolato in una visione universale e, quindi, Galli della Loggia farebbe pure bene a guardare cosa accade nel resto del mondo dove povertà, disuguaglianza e mancanza di diritti sono all’ordine del giorno e reclamano che i popoli “siano protagonisti della loro storia”.
Giancarlo Infante “politicainsieme” 10 maggio 2020
www.politicainsieme.com/chiesa-che-fa-troppa-o-poca-politica-di-giancarlo-infante
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GENITORI
Per il bene dei figli: tre errori comuni commessi da genitori separati e come evitarli
Andare d’accordo con l’ex partner a volte è una vera e propria impresa, soprattutto quando si tratta di gestire in maniera condivisa (e coerente) il tempo e le abitudini dei figli. Tre consigli concreti e utili della professoressa di psicologia clinica Marialuisa Gennari, coautrice del libro “Quando non è per sempre”.
Qua nessuno c’ha il libretto d’istruzioni canta Luciano Ligabue nella sua celebre “Almeno credo“. Peccato, perché in molti ne avrebbero bisogno quando c’è in ballo un divorzio con figli. Gestire una separazione non è quasi mai semplice, alcuni ci riescono ma per altri andare d’accordo con l’ex partner è una vera e propria impresa. Eppure, una cosa è certa: avere un rapporto sano con l’altro genitore è importantissimo per la crescita dei figli.
Suggerimenti pratici? Li abbiamo chiesti alla professoressa associata di Psicologia Clinica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Brescia Marialuisa Gennari, coautrice insieme al professor Vittorio Cigoli del libro “Quando non è per sempre” (San Paolo Editori). Assieme, abbiamo passato in rassegna gli errori più comunemente commessi dalle mamme e dai papà e alcuni suggerimenti per evitarli. “I figli hanno bisogno di entrambi i genitori e/o comunque di più figure di riferimento per avere a disposizione il maggior numero di strumenti e relazioni per affrontare la complessità della vita”, spiega l’esperta. “Tanto più godono di relazioni diverse e modalità comportamentali diverse, tanto più la loro mente si aprirà. Anche per questo è fondamentale avere un buon rapporto con l’altro genitore”.
- Pensare che, da madre o da padre, si abbia tutto quello di cui un figlio abbia bisogno e far schierare i figli dalla propria parte. “Alcuni genitori, sia le madri che i padri, sono convinti di poter garantire da soli il meglio ai figli. Spesso le mamme immaginano di avere tutti gli ingredienti per crescere un bambino solo perché lo hanno partorito o perché hanno una sensibilità che ‘solo le madri hanno'”. Falso. Nessuno dei genitori ha la verità in tasca per quanto riguarda i bisogni del figlio”, sottolinea Gennari. “Sbagliatissimo mettere i propri figli nella condizione di schierarsi, eppure lo fanno in molti. Non sempre consapevolmente e con premeditazione. Nella maggior parte dei casi i figli vengono attratti a sé con un comportamento da vittima, oppure costruendo legami eccessivamente simbiotici alla luce dei quali i bambini pensano che quel genitore sia l’unico in grado di crescerli. O ancora, esasperando gli ‘errori’ o le presunte mancanze del partner ai loro occhi, attaccandolo costantemente. Se una mamma assume una posizione da vittima, per esempio, il figlio si sente in dovere di proteggerla”. Come evitare di coinvolgerli nelle nostre insicurezze. “È fondamentale cercare di cogliere i bisogni dei bambini e non essere egoisti. In questo modo si può mantenere una relazione migliore anche con l’ex partner, perché non siamo concentrati su noi stessi e sulla nostra frustrazione post-separazione. L’altro mantiene sempre un valore in quanto genitore e noi dobbiamo cercare di promuoverlo come importante risorsa, senza giudicare o estrometterlo se non ne condividiamo le posizioni”.
- Sottrarre tempo all’altro genitore per far stare il figlio esclusivamente con sé e con la propria famiglia di origine. “Spesso accade senza pensarci troppo, altre volte subdolamente per creare una sorta di ‘clan’ intorno al bambino o ai bambini. Si tratta di quelle situazioni in cui, per esempio, il figlio o la figlia dovrebbero stare con il padre ma la madre, all’ultimo minuto, comunica al genitore di passare a prenderli il giorno successivo (giorno in cui potenzialmente l’altro potrebbe lavorare) perché il bambino o la bambina devono andare al compleanno della zia materna. Oppure, in virtù di presunti benefici di salute, si chiede all’altro genitore di non vedere i figli per lungo tempo perché questi devono godere di lunghi periodi di vacanza, non considerando che privare i figli di un adeguato tempo con l’altro genitore sia un danno rilevante. Un conto è avvisare per tempo dei cambiamenti di programma e avere considerazione per il tempo dell’altro, un altro è far passare il messaggio che una delle due famiglie di origine sia più importante dell’altra. Avvisare all’ultimo sminuisce l’importanza della frequentazione genitore-figlio”. Come evitare di diventare possessivi. “È fondamentale facilitare l’accesso dei figli alla famiglia dell’altro. Spesso le famiglie d’origine sono coinvolte nella separazione. Si sentono commenti come ‘La nonna non gli fa fare i compiti’, ‘gli dà da mangiare schifezze’, ‘lo vizia’. Magari ci sono attriti, i parenti si sono intromessi nella separazioni, non c’è una buona comunicazione. Può essere utile chiedere all’altro genitore di monitorare e assumersi responsabilmente l’onere di verificare una certa coerenza educativa, accettando comunque possibili comportamenti diversi nelle due famiglie. In ogni caso, bisogna consentire ai figli di godere della rete familiare per esteso: nonni e zii sono molto preziosi per i bambini, compongono un ‘clan’ che in questa epoca abbiamo perso e che invece è molto utile”.
- Confondere i propri bisogni con quelli dei figli. “La continuità educativa è in realtà un bisogno dei genitori, che spesso altrimenti si sentono squalificati”, spiega Gennari. “Ma se i bambini o le bambine a casa della mamma sanno di poter mangiare sul divano e a casa del papà sanno che non possono farlo, riescono ad abituarsi perfettamente alle diverse regole senza sviluppare particolari problemi. In fondo è la stessa cosa che succede andando a scuola o dalla nonna, i bambini imparano molto presto che ogni contesto ha le sue regole e che vanno rispettate. Sotto i tre anni la cosa cambia un po’, lì il bambino ha bisogno di continuità per poter comprendere i vari comportamenti e interiorizzarli. Crescendo però riesce a comprendere le differenze e ad abituarvi senza rischi rilevanti. Come evitare di infastidirsi di fronte a regole diverse dalle proprie. “È importante non aver paura che il figlio assuma un comportamento ritenuto errato dell’altro genitore o dell’altra famiglia. In molti casi si teme che l’apporto dell’altro genitore impedisca al figlio di crescere bene”, spiega l’esperta. “Ma i figli introiettano i valori di uno e dell’altro. È lecito che entrambi i genitori portino avanti la propria linea educativa, il proprio diverso modo di vedere la vita, le relazioni e le cose. A volte può essere opportuno valutare l’entità del rischio che le differenze educative possono comportare, in modo da capire se è davvero importante stabilire una continuità tra le due ‘gestioni’ e su cosa invece essere tolleranti. Ad esempio, se una bambina delle elementari va a dormire una sera a settimana alle 22.30, o comunque più tardi di quanto previsto, è molto probabile che non ci saranno ripercussioni per la salute, mentre se questa diventa un’abitudine per 5 giorni a settimana può essere utile confrontarsi con l’altro genitore sull’importanza del sonno e stabilire assieme un orario entro cui si deve necessariamente andare a dormire, in qualsiasi casa si trovi. Oppure: se un genitore concede al bambino di vedere un programma televisivo consigliabile solo a un pubblico adulto bisogna discutere affinché comprenda il rischio educativo di quella ‘concessione'”.
Eleonora Giovinazzo 05 maggio 2020
https://d.repubblica.it/life/2020/05/05/news/come_gestire_i_figli_coppia_separata_divorzio_come_mantenere_buon_rapporto_con_ex_marito_psicologia-4722501/?ref=RHPF-VD-I159883805-C6-P6-S2.2-T1
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GENITORIALITÀ ARTIFICIALE
No alla maternità surrogata: la Cassazione dubita
Corte di Cassazione, prima Sezione civile, ordinanza n. 8325, 29 aprile 2020
www.cortedicassazione.it/cassazione-resources/resources/cms/documents/8325_04_2020_o_no-index.pdf
1. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza interlocutoria, sospendendo il giudizio, ha sollevato questione di legittimità[GM2] costituzionale dell’art. 12 co. 6 della legge n. 40/2004, dell’art. 18 del DPR n. 396/2000 e dell’art. 64 co. 1 lett. g) della legge n. 218/1995, nella parte in cui non consentono, per contrasto con l’ordine pubblico italiano, la possibilità di riconoscere il provvedimento giudiziario straniero relativo a un bambino nato all’estero attraverso la maternità surrogata e riconosciuto come figlio di una coppia dello stesso sesso.
2. Le autorità canadesi avevano dapprima formato un atto di nascita in cui il bambino risultava figlio unicamente dell’uomo che aveva messo a disposizione i gameti, senza alcuna indicazione della donna che aveva partorito il bambino; i due uomini avevano fatto ricorso all’autorità giudiziaria canadese per vedersi riconosciuti entrambi come genitori del minore, con la conseguente modifica dell’atto di nascita. A seguito di una sentenza a loro favore emessa dalla Suprema Corte della British Columbia, i due cittadini italiani si rivolgevano pertanto al Comune di Verona, chiedendo la modifica dell’atto di nascita. Il Comune di Verona si rifiutava di procedere e i due si rivolgevano alla Corte d’Appello di Venezia, presentando un ricorso per l’esecutorietà in Italia della sentenza canadese e la conseguente trascrizione dell’atto di nascita del minore recante l’indicazione dei due uomini quali entrambi genitori. Il ricorso veniva accolto dalla Corte d’Appello di Venezia, per la quale doveva ritenersi imprescindibile l’esigenza di assicurare al minore la conservazione dello status legittimamente acquisito nel paese di nascita, a nulla rilevando la presenza di genitori dello stesso sesso. Contro tale sentenza ricorreva in Cassazione l’Avvocatura dello Stato, nell’interesse del Ministero dell’Interno e del Sindaco di Verona, mentre proponevano ricorso incidentale i due “genitori” same sex. Il caso posto all’esame della Suprema Corte riguarda la vicenda di due uomini italiani che, dopo aver contratto matrimonio in Canada, nel 2017 lo hanno trascritto in Italia nel registro delle unioni civili e, desiderosi i avere un figlio, hanno fatto ricorso alla maternità surrogata: i gameti sono stati messi a disposizione da uno dei due aspiranti padri, l’ovocita è stato donato da una donna rimasta anonima e la gestazione è avvenuta nell’utero di un’altra donna (non anonima). La questione si è posta con riferimento all’atto di nascita formato all’estero e alla sua riconoscibilità nel nostro ordinamento.
3. Nell’esaminare la questione fin qui riassunta, la Cassazione ha sospeso il giudizio in attesa della pronuncia della Consulta, dando grande rilievo al parere consultivo reso dalla Grande Camera della Corte di Strasburgo in materia (in base al Protocollo n. 16 allegato alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo), secondo cui un divieto generale ed assoluto di riconoscimento del legame di filiazione con il genitore intenzionale sarebbe lesivo dell’identità del minore e del suo diritto alla continuità dello status filiationis, poiché compromette il radicamento del minore nel contesto familiare in cui è nato.
Secondo la Corte di Cassazione, dovrebbe ritenersi non più adeguata la posizione assunta dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 12193/2019, in quanto inconciliabile con le indicazioni espresse dalla Corte di Strasburgo, dalle quali, a parere della Suprema Corte, non si potrebbe invece prescindere.
Il principio enunciato dalle Sezioni Unite e messo in discussione nell’ordinanza n. 8325/2020 è il seguente: «Il riconoscimento dell’efficacia del provvedimento giurisdizionale straniero con cui sia stato accertato il rapporto di filiazione tra un minore nato all’estero mediante il ricorso alla maternità surrogata ed il genitore d’intenzione munito della cittadinanza italiana trova ostacolo nel divieto della surrogazione di maternità previsto dalla L. n. 40 del 2004, art. 12, comma 6, qualificabile come principio di ordine pubblico, in quanto posto a tutela di valori fondamentali, quali la dignità umana della gestante e l’istituto dell’adozione». Per la I sezione civile della Cassazione l’interpretazione delle Sezioni Unite sarebbe di «ostacolo all’inalienabile diritto del minore all’inserimento e alla stabile permanenza del nucleo familiare, inteso come formazione sociale tutelata dalla Carta costituzionale»; infatti, «il disconoscimento del rapporto di filiazione nei confronti di uno dei due genitori legalmente riconosciuti dall’ordinamento del paese di nascita e di cittadinanza comporta la alterazione dei rapporti familiari con ripercussioni gravemente nocive nei confronti del minore che vede messa in discussione e negata la unicità ed inscindibilità della sua relazione genitoriale».
4. In attesa di ciò che deciderà la Consulta, la questione offre l’occasione per tornare a riflettere sul superiore interesse del minore, con particolare riferimento al modo in cui il concetto viene applicato nei casi come quello in esame. Nel rispetto dei diritti fondamentali dei bambini, è stato affermato (anche dalla Corte europea nel parere prima citato) che non dovrebbe essere escluso il riconoscimento del rapporto di filiazione nei confronti del genitore intenzionale che non sia anche genitore biologico. Corrisponderebbe dunque all’interesse del bambino nato per mezzo della maternità surrogata di essere riconosciuto come figlio della coppia omosessuale che lo ha voluto. Del resto – affermano i sostenitori di questa posizione – non si può privare un minore del suo status filiationis, né lo si può sottrarre al suo nucleo familiare di origine, in quanto questo determinerebbe un evidente pregiudizio per il bambino.
Si tratta di argomenti suggestivi e in parte anche corretti, in quanto è innegabile che sarebbe davvero ingiusto privare dei minori del proprio status a causa delle modalità discutibili – e per il nostro ordinamento illecite – con cui sono venuti al mondo. Sono questi stessi argomenti, tuttavia, a suggerire che sarebbe allora quanto mai opportuno, proprio in un’ottica di tutela dell’infanzia, evitare il ricorso a pratiche che forzano il diritto e lo piegano alla mera soddisfazione dei desideri, altrimenti irrealizzabili, di diventare genitor i. In definitiva, la strategia attuata nei casi come quello in esame consiste nel mettere i giudici e le autorità amministrative competenti di fronte al fatto compiuto di un minore ormai nato, al quale dover garantire l’iscrizione anagrafica per evitare pregiudizi e lesioni dei suoi diritti fondamentali.
5. Ma siamo davvero sicuri che siano i diritti dei minori ad essere posti in primo piano? A un più attento esame, le argomentazioni che ruotano attorno alla necessità di tutelare i minori generati attraverso la maternità surrogata risultano essere finalizzate alla realizzazione non tanto dell’interesse dei minori quanto, piuttosto, dell’interesse degli adulti di vedere soddisfatto il proprio desiderio di genitorialità. La dimostrazione di ciò è nel fatto che, da una parte, si manifesta preoccupazione nel tutelare i diritti dei minori in ordine al riconoscimento del legame di filiazione, ma, dall’altra, non si presta alcuna attenzione ai diritti di quegli stessi minori a conoscere, per es., le proprie origini biologiche. Quei minori di cui si ha tanto a cuore il rispetto dello status filiationis sono gli stessi minori ai quali fin dall’inizio viene alterato lo status giuridico, in quanto non vi è coincidenza negli atti anagrafici fra le persone che hanno partecipato a vario titolo al loro concepimento e alla loro nascita e coloro che vengono invece indicati come genitori.
Nel Preambolo della Convenzione di New York del 1989 – citata anche nell’ordinanza n. 8325 del 2020 – si afferma che «la famiglia, unità fondamentale della società e ambiente naturale per la crescita e il benessere di tutti i suoi membri e in particolare dei fanciulli, deve ricevere la protezione e l’assistenza di cui necessita per poter svolgere integralmente il suo ruolo nella collettività». Inoltre, si riconosce l’importanza del fatto che il fanciullo «ai fini dello sviluppo armonioso e completo della sua personalità deve crescere in un ambiente familiare in un clima di felicità, di amore e di comprensione».
Fra gli elementi riconosciuti dalla Convenzione di New York come fondamentali per una crescita sana ed armoniosa di ogni bambino, vi è dunque la comprensione, ossia quella capacità di capire l’altro a livello profondo, non solo quindi sul piano cognitivo, ma anche sul piano affettivo e psicologico. Una comprensione che però non sembra esservi per i minori che vengono fatti nascere attraverso la maternità surrogata, dando per scontato che il ricorso a quelle pratiche non leda i loro diritti fondamentali e non costituisca alcun problema per il loro equilibrato sviluppo psicofisico, quando invece uno dei primi bisogni manifestati dal bambino è quello di conferire senso alle proprie esperienze e trovare una risposta agli “interrogativi esistenziali” che affiorano nel suo animo già dai primi anni di vita.
Tale atteggiamento cela forse l’idea per cui il minore non viene affatto preso in considerazione come persona avente una sua dignità, bensì principalmente come oggetto attraverso cui realizzare le proprie aspettative genitoriali. Se il minore fosse infatti considerato come persona avente una sua dignità, sarebbe implicito ritenere illegittimo il ricorso a pratiche volte a incidere sulla sua esistenza biologica, posto che non si può ignorare l’artificiosità della maternità surrogata, oltre alla lesività della dignità della donna.
Il minore che viene alla luce attraverso la maternità surrogata si trova ab origine inserito in un contesto artefatto: non fa in tempo a nascere che già vengono dette bugie sul suo status, attribuendo la genitorialità anche a chi magari non ha “contribuito” alla nascita sotto il profilo biologico ma esclusivamente attraverso la dazione di denaro elargito a vario titolo a coloro che hanno preso parte al “progetto nascita”.
Oltre alla parola comprensione sopra citata, rileva la parola rispetto: il rispetto per la vita umana, che deve essere preservata dall’abuso della tecnica, contro quella sempre più diffusa tentazione di andare oltre i limiti di un ragionevole dominio sulla natura. Rileva la parola responsabilità: essa esige una riflessione sugli effetti anche a lungo termine della legittimazione della maternità surrogata, non solo con riferimento ai singoli minori coinvolti e alla loro identità, alle donne che si prestano (il più delle volte spinte dal bisogno) a queste pratiche o offrendo i propri ovociti o portando avanti la gravidanza, ma anche per l’intera collettività, sempre più incline a lasciarsi sedurre dalle promesse di libertà senza limiti. Come nel caso in esame che, in definitiva, ha trovato origine dalla rivendicazione del diritto ad essere genitori ad ogni costo.
Attendiamo quindi la pronuncia della Consulta, dopo che la 1^ sezione civile della Cassazione si è posta in contrasto con l’interpretazione delle SS.UU. di appena un anno fa.
Daniela Bianchini iFamNews. 6 maggio 2020
www.centrostudilivatino.it/no-alla-maternita-surrogata-la-cassazione-dubita
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GOVERNO
Coronavirus: informazioni per le famiglie
- 1. Per maggiori informazioni sul virus, cos’è e come si è creata l’emergenza sanitaria, consulta la pagina dedicata sul sito del Governo. Se hai dei dubbi più specifici, puoi consultare:
- Le risposte alle domande frequenti (Faq) sulla Fase 2, pubblicate dal Governo;
- Le informazioni utili per i cittadini e le imprese sul decreto #Cura Italia;
- Le risposte alle domande frequenti (Faq) sul decreto #IoRestoACasa, pubblicate dal Governo (English version);
- Le risposte alle domande frequenti (Faq) pubblicate dal Ministero della salute ed il canale Telegramma dedicato;
- Le risposte alle domande frequenti (Faq) pubblicate dal Ministero dell’istruzione.
Per tutti gli aggiornamenti sullo stato dell’emergenza, puoi consultare il sito del Dipartimento della protezione civile.
1.1 Se hai figli a casa. Puoi verificare, sul sito dell’Istituto nazionale della previdenza sociale (Inps), se hai diritto ad usufruire:
- del congedo straordinario
- del bonus baby sitting
- Puoi contattare il tuo comune di residenza per verificare se hai diritto ad un buono spesa.
Puoi consultare:
- Il sito dedicato #CiStoDentro, l’iniziativa del Ministro per le pari opportunità e la famiglia, prof. Elena Bonetti, per i figli che stanno a casa
- I consigli per svolgere attività fisica dentro casa, in famiglia, del Ministero della salute
- La pagina “I dieci suggerimenti dell’Autorità garante per spiegare il coronavirus ai bambini”, sul sito dell’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza
- La sezione dedicata sul sito di Telefono Azzurro
- La sezione dedicata sul sito di UNICEF Italia
- La pagina “Coronavirus: 10 suggerimenti per proteggere i bambini dalle paure”, sul sito di Save the Children Italia
- La pagina “Coronavirus cosa fare fino al 3 aprile: libri, attività e idee per passare il tempo a casa”, sul sito di Save the Children Italia
- La sezione dedicata, sul sito della Società italiana di pediatria
- La sezione dedicata sul sito dell’Associazione nazionale pedagogisti italiani
- Il comunicato “Coronavirus, sospensione delle attività didattiche fino al 3 aprile: cosa prevede il Dpcm del 9 marzo” del Ministero dell’istruzione e del Ministero dell’università e della ricerca
- La pubblicazione “Speciale coronavirus”, dell’Ospedale Bambino Gesù
- La pubblicazione “Vademecum psicologico coronavirus per i cittadini”, dell’Ordine nazionale degli psicologi
- La pagina “Lontani ma vicini: 30 psicologi al servizio di scuole e famiglie”, dell’agenzia stampa Dire
1.2 Se sei una persona con disabilità, fragile oppure anziana, con difficoltà motorie, non autosufficiente oppure immunodepressa, o ne conosci una puoi:
- chiedere la consegna di spesa e farmaci a domicilio: chiama il numero verde 800 06 55 10 (attivo 24 ore su 24, tutti i giorni), che a sua volta contatta il comitato della Croce rossa più vicino territorialmente. Il servizio è gratuito
- consultare il sito dell’Ufficio per le politiche in favore delle persone con disabilità, della Presidenza del Consiglio dei ministri, per conoscere i servizi dedicati durante l’emergenza e leggere le risposte alle domande frequenti (Faq)
1.3 Se necessiti di assistenza psicologica. Puoi consultare:
- Il numero verde per l’assistenza psicologica 800 833 833, attivato dal Ministero della salute e dal Dipartimento della Protezione Civile. Il numero, raggiungibile anche dall’estero allo 02 20228733, è disponibile anche alle persone sorde e affianca tutti i servizi di assistenza psicologica già garantiti dal Servizio sanitario nazionale. È rivolto a tutte le persone che provano ansia, paure, stress, disagio a causa di situazioni di lutto, difficoltà economiche, solitudine e cambio repentino delle abitudini quotidiane, legate al Coronavirus. Tutti i giorni, dalle ore 8:00 alle 24:00
- L’elenco dei servizi gratuiti disponibili, sul sito del Ministero della salute
- La pubblicazione “Vademecum psicologico coronavirus per i cittadini”, dell’Ordine nazionale degli psicologi
1.4 Se sei in isolamento domiciliare o assisti un familiare in isolamento domiciliare puoi:
- Consultare l’opuscolo “Raccomandazioni per le persone in isolamento domiciliare e per i familiari che li assistono” dell’Istituto superiore di sanità
- Chiedere la consegna di spesa e farmaci a domicilio: chiama il numero verde 800 06 55 10 (attivo 24 ore su 24, tutti i giorni), che a sua volta contatta il comitato della Croce rossa più vicino territorialmente. Il servizio è gratuito
1.5 Se sei un professionista o hai un’attività puoi:
- Consultare il sito “Solidarietà digitale”, del Ministro per l’innovazione tecnologica e la digitalizzazione, tramite cui le imprese offrono gratuitamente servizi digitali
- Consultare la sezione dedicata all’emergenza, sul sito del Ministero dello sviluppo economico
- Verificare se hai diritto al contributo economico di € 600 dell’Inps
2. Regole sugli spostamenti: puoi consultare la sezione dedicata sul sito del Ministero dell’interno.
2.1 Se hai parenti all’estero, se viaggi o ti trovi all’estero, puoi consultare:
- Le informazioni utili per il rientro di connazionali in Italia, sul sito del Governo;
- Le informazioni sulle operazioni per il rientro di italiani all’estero, sul sito del Governo;
- L’approfondimento sul sito “Viaggiare sicuri” del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale;
- La pagina con i contatti delle ambasciate ed i consolati della rete diplomatica italiana.
3. A chi rivolgersi e numeri d’emergenza. In caso di sintomi o dubbi, rimani in casa, non recarti al pronto soccorso o presso gli studi medici ma chiama al telefono il tuo medico di famiglia, il tuo pediatra o la guardia medica. Oppure chiama il numero verde della tua regione.
È attivo anche il numero di pubblica utilità 1500 del Ministero della salute.
Contatta il numero unico di emergenza 112 soltanto se strettamente necessario.
3.1 Se sei vittima o testimone di violenza domestica, puoi:
- Chiamare il numero nazionale antiviolenza e stalking 1522. Il numero è attivo 24 ore su 24 per tutti i giorni dell’anno ed accessibile dall’intero territorio nazionale gratuitamente, sia da rete fissa che mobile, con un’accoglienza disponibile nelle lingue italiano, inglese, francese, spagnolo ed arabo
- Consultare la lista dei Centri anti violenza per ogni regione
- Scaricare la app della Polizia di Stato, YouPol, per Android o per iOS
3.2 Se sei vittima o testimone di una forma di violenza su minori, puoi:
- Chiamare il 114, il numero di emergenza per tutelare bambini e adolescenti in situazioni di pericolo
- Parlare in chat con un operatore del 114, 24 ore su 24, tutti i giorni
- Parlare su WhatsApp con un operatore del 114, 24 ore su 24, tutti i giorni. Scrivi a questo numero (+39) 348 798 7845
- Scaricare la app del 114, per Android o per iOS
4. Se vuoi conoscere la normativa ed i provvedimenti adottati dal Governo per rispondere all’emergenza sanitaria, puoi consultare la sezione “Normativa vigente” nella sezione dedicata all’emergenza, sul sito del Governo.
Questa sezione è in continuo aggiornamento. Ultimo aggiornamento: martedì 5 maggio 2020
http://famiglia.governo.it/it/coronavirus/coronavirus-informazioni-per-le-famiglie
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MATERNITÀ
Perché la Festa della Mamma è anche festa di ogni figlio
«Ricordo ancora le parole di uno studente i cui genitori erano in lite e forse già separati o divorziati. Commosso, mi disse che comunque il divorzio con i figli non è possibile. E mi parlò della madre. Guardo questa immagine: fresca, luminosa, piena di speranza primaverile e penso che davvero il legame tra mamma e figlio è veramente qualcosa di straordinariamente grande che contiene un messaggio d’amore che ci riguarda tutti, perché tutti siamo figli». E’ la riflessione di Marina Casini Bandini, presidente nazionale del Movimento per la Vita, nella Festa della Mamma 2020. «Quello stare uno dentro l’altra per circa nove mesi, quell’essere – la madre – casa, nutrimento, calore, accudimento del figlio che vive e cresce dentro di lei – aggiunge Marina Casini Bandini – che altro può significare se non che l’amore è all’origine della vita e che di questo amore è portatrice prima di ogni altro la donna? E se l’amore è all’origine della vita, perché non pensare che sia il senso di tutta la vita? Questa impressione si consolida se pensiamo al senso di mistero profondo che avverte la donna quando sa che in lei è sbocciata la vita e al dialogo reciproco che sin dal concepimento si instaura tra mamma e bambino: una sinfonia che va ben al di là delle formule biochimiche.
Questa non è poesia, ma realtà. Certamente una realtà che, purtroppo, può essere distrutta nei fatti, nella cultura, nelle leggi, nella politica, ma non per questo è meno vera. Anzi, occorre farne risplendere la luce per dissipare le tenebre che la avvolgono. Ma c’è dell’altro che preme nella riflessione: la maternità, proprio durante quel “cuore a cuore” tra mamma e figlio, è iscritta la custodia e la cura della creazione. Si arriva a questo se pensiamo che ogni figlio che “dal nulla compare all’esistenza” nella forma di un minuscolo puntino è la “creazione in atto”, il senso ultimo di tutto il creato. Non è devastante, allora, quella cultura che in nome dei diritti calpesta il primo e più fondamentale – quello a nascere -, saccheggia il primo ambiente di cura, stravolge la libertà sganciandola dalla capacità di amare e dal coraggio femminile dell’accoglienza? Guardando questa immagine – conclude la presidente del Mpv – si è giustamente portati a vincere il male con il bene, la paura con la fiducia, lo scoraggiamento con la speranza, il rifiuto con l’accoglienza. Tanti auguri a tutte le mamme e tanti auguri a tutti perché la festa della mamma è anche la festa di ogni figlio, nato o in viaggio verso la nascita».
Avvenire Redazione “è vita” 9 maggio 2020
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NEUROSCIENZE
Maschio e femmina alla prova delle neuroscienze
Sembra essersi placata quella che alcuni anni fa Paolo Legrenzi e Carlo Umiltà definivano «neuromania» (2009), una vera esplosione delle neuroscienze «applicate» ai vari campi del sapere, compresa la teologia. Credo che oggi stiamo vivendo una fase di «assestamento», in cui il rapporto dei vari saperi con questa «nuova» scienza è meno preoccupato di essere fagocitato da un monismo neuroscientifico.
Una fase di assestamento. Molte acquisizioni, tuttavia, aprono orizzonti interessanti nella comprensione della persona. Una di queste è il rapporto tra sistema cerebrale e dimorfismo sessuale.
È del 2005 l’articolo apparso su Scientific American di L. Cahill dal titolo His brain, her brain, che proponeva un’analisi sintetica sul cervello dei due sessi. A fronte però di alcune variazioni strutturali come il peso, la grandezza dell’ippocampo nella donna e quella dell’amigdala nell’uomo, gli elementi di somiglianza tra i due cervelli sono maggiori delle dissomiglianze.
Altri aspetti maggiormente recepiti, perché più suffragati dalla comunità scientifica, sono l’incidenza neurobiologica sulla passione amorosa e l’attrazione estetica come componente della relazione affettivo-sessuale. L’attrazione sessuale sarebbe dovuta, nel primo caso, a variazioni ormonali ed eventi che modificano l’equilibrio chimico e funzionale del cervello, come anche a un innalzamento del tono dell’umore. Così anche la percezione di forme simmetriche, che rispondono a canoni di bellezza e di proporzione, attiva specifiche aree del sistema nervoso. Davvero possiamo affermare con Boncinelli che la corteccia cerebrale è il «trionfo della complessità», e come ogni cosa complessa non si può conoscere con un approccio unilaterale, pena il riduzionismo: è necessario un dialogo interdisciplinare.
Neuroscienze e interdisciplinarietà. L’approccio neuroscientifico non esclude il ricorso ad altri saperi, che non possono essere considerati ancillari, come ci ricordava nel 2002 Alberto Oliverio nella sua Prima lezione di neuroscienze: «Anche se le neuroscienze ci dicono, e giustamente, che i processi mentali dipendono dal gioco dei mediatori, dei circuiti e nuclei nervosi, ciò non comporta che se anche in futuro fossimo in grado di conoscere le modalità attraverso cui i desideri, le intenzioni, gli atteggiamenti sono incorporati e mediati dal cervello, potremmo fare a meno di quei concetti che sono alla base delle nostre conoscenze del mondo e quindi dell’io».
Ci sono infatti tre livelli strutturali che si integrano tra di loro: quello biologico, quello psicologico e quello mentale, con le sue componenti di intelletto e volontà.
Maschile e femminile: questione di cervello? In quest’ ottica la sessualità va ricollocata nel rapporto cervello-mente-corporeità, con i relativi approcci disciplinari. Il premio Nobel per la medicina Eric Kandel, ad esempio, pur rilevando la maggior plasticità del cervello femminile e pur riconoscendo che le afasie evolutive e l’autismo infantile siano più frequenti nei maschi, non giunge mai alla conclusione che certi meccanismi biologici pongono dei limiti relativamente fissi e permanenti al comportamento. La struttura stessa del cervello ne fa non «un rigido controllore della periferia», ma un organo che nella sua complessità viene influenzato dai «messaggi» che gli giungono dalla periferia, e gli fanno assumere forme e strutture variabili.
In questa relazione, centro-periferia e periferia-centro, dove il centro è il cervello e la periferia tutte le sensazioni che nel percorso evolutivo iniziale e nelle esperienze di vita interagiscono, si costruiscono l’orientamento sessuale, la biografia affettivo-sessuale della persona, quell’universo che si apre alle scelte di vita e in qualche modo ne condiziona la libertà. Ma la persona rimane sempre, come afferma Ricoeur, «uomo capace», che si definisce nel potersi «riconoscere come autore dei propri atti, dunque come imputabile, responsabile di essi».
Luigi Renna, 06 maggio 2020
Luigi Renna è dottore in Teologia presso la Pontificia università lateranense, ed è stato per anni docente di teologia morale presso la Facoltà teologica pugliese. Dal 2016 è vescovo della diocesi di Cerignola – Ascoli – Satriano.
www.ilregno.it/blog/maschio-e-femmina-alla-prova-delle-neuroscienze-luigi-renna
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PAPA EMERITO
Benedetto: il Papa emerito è come un vescovo emerito
Lunedì 4 maggio 200 è arrivato nelle librerie tedesche un lavoro di Peter Seewald intitolato «Benedetto XVI. Una vita»: oltre mille pagine di biografia con un’intervista in appendice. Insoddisfatto dalle anticipazioni dei media, procedenti per frasi staccate, mi sono fatto mandare dalla Germania il testo dell’intervista e ho tradotto di persona le risposte a sei domande che riporto nei commenti. Metto a questo estratto un mio titolo che riassume quanto Benedetto argomenta con esemplare dettaglio sul fatto e sul titolo del Papa emerito. Nel volume l’intervista è così intitolata: “L’amicizia personale con Papa Francesco non solo è rimasta ma è cresciuta”. Credo che questo testo, che risale all’autunno del 2018, sgomberi il campo dalle speculazioni sulla compresenza dei due papi e sulla perdurante partecipazione dell’emerito al carisma petrino. Egli qui afferma con totale chiarezza che il suo rapporto con il successore è puramente spirituale e interiore, tale e quale quello di ogni vescovo emerito con il vescovo suo successore.
Che ne direbbe Papa Wojtyla. Giovanni Paolo II scrisse nel 1989 che avrebbe potuto prendere in considerazione le dimissioni in caso di malattia grave. Cinque anni dopo concluse che “non c’era posto per un papa emerito nella Chiesa”. Lei si è mai chiesto che cosa il suo predecessore avrebbe detto della sua rinuncia? È vero che sia Paolo VI sia Giovanni Paolo II hanno firmato molto presto una dichiarazione affermando che si sarebbero dimessi nel caso di una malattia che li avesse impossibilitati a svolgere in pienezza il loro ministero. Nel fare ciò, avevano pensato principalmente alle diverse forme di demenza. Seguendo il loro esempio, anch’io ho firmato relativamente presto una simile dichiarazione. Ma alla fine della mia attività di Papa mi divenne chiaro che sono possibili anche altre forme di inadeguata capacità di adempiere correttamente al proprio ministero.
Ma può esserci un Papa emerito? Con la sua rinuncia lei ha posto le basi per una nuova tradizione nella Chiesa Cattolica. Lei è stato il primo successore di Pietro ad assumere il nome di “Papa emerito”. Gli storici della Chiesa affermano che non può esserci un Papa “emerito” così come non possono esserci due Papi. Non è semplice intendere perché uno storico della chiesa, cioè qualcuno che studia il passato della Chiesa, dovrebbe sapere meglio di altri se può esistere o meno un Papa emerito. Dal mio punto di vista, vorrei dire quanto segue. Fino alla fine del Vaticano II non vi sono state neanche le rinunce dei vescovi. Quando infine, dopo un forte dibattito, la rinuncia dei vescovi fu introdotta, presto ci si trovò davanti a un problema pratico a cui nessuno aveva pensato: può esserci un vescovo solo nel legame con una specifica sede episcopale. L’ordinazione episcopale è sempre “relativa”, cioè associata all’assegnazione di un vescovato. Questo carattere relazionale del sacramento, costitutivo del sacramento del ministero episcopale, comporta per i vescovi che non sono a capo di diocesi (oggi per lo più si tratta dei cosiddetti vescovi ausiliari) che venga loro assegnata almeno una sede fittizia. Per questo, erano disponibili diverse centinaia di sedi episcopali della Chiesa antica che, principalmente a causa della islamizzazione dei territori di appartenenza, non potevano più essere assegnate a vescovi in esse residenti. Di conseguenza è stato necessario trovare una sede titolare (poniamo Cartagine, Ippona, e così via) per ogni vescovo che dopo la rinuncia non era più titolare della sede che aveva occupato (a esempio Monaco, Berlino). Divenne presto evidente che il numero di queste sedi aumentava rapidamente con l’aumentare del numero dei vescovi dimissionari o di altri vescovi titolari, e diveniva prevedibile il momento in cui non sarebbe stato possibile trovarne altre.
Un’idea venuta da Passau. Che cosa significa? Per quanto ne so, la soluzione fu trovata dall’allora vescovo di Passau Simon Konrad Landersdorfer, che era un uomo deciso e colto. Disse che una volta lasciata la sua sede reale non voleva averne una fittizia. Gli bastava essere il vescovo emerito di Passau.
Non è pura finzione. Che cos’è un vescovo emerito o un Papa emerito? Questa parola “emerito” significava ch’egli non era più un attivo detentore di una sede episcopale, ma aveva con essa la particolare relazione che spetta a uno che già ne fu detentore. Da un lato quella qualifica rispondeva all’esigenza di segnalare la sua relazione con una vera diocesi senza farne un secondo vescovo di quella diocesi. La parola “emerito” significava che aveva rinunciato completamente al suo ufficio ma il legame spirituale con quella che era stata la sua sede era ora riconosciuto anche nel titolo che veniva legittimamente ad assumere. Mentre, in generale, una sede titolare comporta una pura finzione giuridica, con il titolo di emerito si segnala una particolare relazione con una sede nella quale si è svolto il lavoro di una vita. Questa relazione con una sede precedente, che è esistita nella realtà fino ad ora, ma che ora perdura al di fuori da ogni valenza legale, è il nuovo significato di “emerito” che ha trovato forma dopo il Vaticano II. Non comporta alcuna partecipazione alla concreta realtà canonica del ministero episcopale, ma segnala come il legame spirituale possa avere una sua realtà. Quindi non ci sono due vescovi, ma permane un compito spirituale e di servizio verso quella sede episcopale, da svolgere nel Signore, in un coinvolgimento orante.
Così facevano i contadini bavaresi. Ma questo vale anche per il Papa? Non è chiaro il motivo per cui questa figura giuridica non debba essere applicata anche al vescovo di Roma. In questa formula convivono due elementi: la cessazione da ogni concreta potestà canonica, e la permanenza – sia pure nascosta – di un legame spirituale. Proprio questa forma giuridico-spirituale esclude qualsiasi illazione di compresenza di due papi: una sede episcopale può avere un solo detentore. Allo stesso tempo essa segnala un legame spirituale che in nessun modo può essere cancellato. Sono massimamente grato al Signore che l’attenzione gentile e cordiale di Papa Francesco nei miei confronti consenta di mettere in pratica questa idea. In passato si era obiettato alla possibilità di rinuncia di un vescovo chiamando in causa il fatto che egli è un padre e che alla paternità non si può rinunciare. In questa argomentazione c’è qualcosa di giusto e qualcosa di sbagliato. Certo un padre rimane un padre e le implicazioni umane e spirituali della paternità durano fino alla morte. Ma la paternità non è solo ontologica, è anche funzionale. C’è l’avvicendamento delle generazioni nel quale il padre rinuncia alla sua posizione legale, non ha più la patria potestas e, al momento giusto, consegna il comando al figlio. Trovo bene espresso questo avvicendamento nel modo in cui l’attuavano i contadini della Baviera. Era la cosiddetta consegna del comando, fattualmente rappresentata da una semplice casa che si trovava accanto al grande cortile: il padre “consegnava” la proprietà al figlio, si trasferiva dalla grande residenza contadina alla piccola casa e riceveva anche una dotazione di beni materiali (cibo, denaro, e simili). Ciò garantiva sia la sua indipendenza materiale sia il trasferimento del comando al figlio. Tutto ciò viene a significare che la paternità spirituale rimane, mentre muta l’insieme dei diritti e dei doveri. Non è difficile vedere come questa dinamica della successione possa applicarsi anche a un vescovo emerito.
L’amicizia con Francesco. Il 23 marzo 2013 ebbe luogo a Castel Gandolfo il primo incontro tra il Papa appena eletto e il Papa emerito, una novità assoluta nella storia. Quali erano i suoi pensieri in quell’ora? Conoscevo Papa Francesco dalla sua visita ad Limina e da vari scambi epistolari che la mia Congregazione aveva avuto con lui. Sapevo anche che aveva cercato di chiamarmi subito dopo l’elezione, prima di presentarsi alla folla dalla loggia della Basilica di San Pietro. Quindi non vedevo l’ora di incontrare il mio successore, ero grato di questa possibilità ed ero sicuro che sarebbe stato un buon incontro tra fratelli. Aggiungo che, ovviamente, avevo considerato con attenzione quanto avrei dovuto dirgli senza rubargli troppo tempo. Quindi questo primo incontro rimane nella mia memoria come una buona luce. Come lei sa, l’amicizia personale con Papa Francesco non solo è rimasta, ma è cresciuta.
Il blog di Luigi Accattoli 10 maggio 2020
www.luigiaccattoli.it/blog/benedictus-dixit-il-papa-emerito-e-come-un-vescovo-emerito/#comments
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PASTORALE
Bibbia e… pastorale
Che cosa può essere l’azione pastorale ordinaria della Chiesa senza che la Bibbia ne sia l’anima e il propulsore? Si potrebbe scrivere un libro di centinaia di pagine sul tema. Posso però abbozzare una risposta molto più sintetica: là dove questo tesoro di bellezza e di bontà non è effettivamente il termine di confronto e il punto di riferimento di ogni iniziativa, di ogni progetto, di ogni prospettiva, possono trionfare il devozionalismo e il moralismo e il respiro pastorale stesso diviene soffocato e soffocante. Esaminare la situazione spirituale, culturale, socio-economica che si vuole considerare; confrontarla con il cuore del Vangelo; trarre delle indicazioni progettuali e operative per agire nella comunità cristiana e dalla comunità cristiana al territorio in cui essa è inserita.
Che cosa è questo processo a tre tappe? È la modalità con cui agiva verosimilmente Paolo di Tarso con tutti i limiti e le doti della sua persona e delle sue possibilità. Sovente, con le dovute differenze tra diversi contesti sociali ed ecclesiali, si è agito in parte così. Ciononostante, ancora in troppe parrocchie, gruppi, movimenti le Scritture bibliche non hanno il posto fondamentale che dovrebbero avere, se realmente si sapesse che cosa è la fede cristiana, che cosa deve essere la Chiesa al servizio del Vangelo, quali sono le opportunità educative e formative che si potrebbero realizzare per la crescita interiore e sociale davvero globale. Questo discorso vale a vari livelli e in vari ambiti. Se leggiamo Lc 24,13-35 con attenzione, notiamo che tre sono i campi fondamentali della fede e vita cristiane: catechesi; liturgia; testimonianza di carità.
Poniamoci allora qualche domanda:
- La catechesi parrocchiale è realmente biblica o troppo spesso ancora dottrinalistica? Dall’iniziazione cristiana all’educazione alla fede per adolescenti, giovani, adulti e anziani si è ancora troppo spesso preoccupati di fornire nozioni, di seguire il “catechismo”, invece che di strutturare buoni itinerari di formazione biblica, di lettura esistenziale, culturalmente seria e vitalmente appassionata, di testi e valori biblici, tutte opportunità per farci confrontare con la Bibbia. Dai bambini agli anziani si possono ideare, più e meglio di quanto già esiste, percorsi formativi che rendono progressivamente tali rapporti come fondamentali per la propria quotidianità;
- Le celebrazioni eucaristiche sono momenti senza i quali effettivamente non si riesce a vivere? Molte liturgie eucaristiche sono evidenti, apprezzabili tentativi di palesare il circolo virtuoso rito-vita, in cui la celebrazione rituale è un’opportunità effettiva di crescere nell’amore che discende dall’Ultima cena. Temo fortemente che troppe altre celebrazioni lo siano poco o non lo siano per nulla. Un esempio: l’inadeguatezza formativa di tante omelie è legata a un rapporto incongruo di troppi predicatori con le Scritture bibliche, anzitutto nel trovare un modo di far passare, con efficacia contemporanea, una/due idee discendenti direttamente da uno dei testi della liturgia della Parola.
- Le iniziative di solidarietà sociale ed economica sono ispirate da una lettura adulta e aggiornata delle Scritture bibliche? La straordinaria ricchezza del volontariato cattolico, in campo caritativo ampio, trova da sempre dei punti di riferimento importanti in alcune icone bibliche fondamentali, a cominciare da quella del samaritano (Lc 10,29-35). Probabilmente occorrerebbe che si ideassero molte più occasioni ordinarie di formazione che siano biblicamente innervate sia per quanto attiene alle motivazioni etiche del proprio impegno, che per quello che riguarda l’intelligenza e la qualità operativa del proprio agire. Cercare di essere attivi caritativamente è molto bello, ma è necessario che cuore e cervello agiscano insieme anche in questi casi, proprio per l’efficacia degli interventi e la crescita personale di chi opera spesso in situazioni molto difficili.
L’animazione biblica dell’intera pastorale ecclesiale ordinaria è un obiettivo essenziale, verso il quale i progressi ci sono, ma assai meno rilevanti di quanto potrebbero essere. Poniamoci allora una domanda: che cosa potrei fare, in concreto, a partire dalla mia realtà ecclesiale, per dare una mano in questa direzione?
Ernesto Borghi “Vita Trentina” 3 maggio 2020
www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202005/200505borghi.pdf
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POLITICA
Sanità, ovvero il modello di sviluppo che vogliamo
Mai come in questo momento la questione sanitaria è diventata tema di discussione a livello mondiale e io penso che noi, italiani ed europei, abbiamo qualcosa da dire, frutto di concrete esperienze storiche. Le stesse riflessioni del senatore americano del Vermont Bernie Sanders, scritte oggi 2020 per il suo paese, gli Stati Uniti d’America, sono a tale riguardo significative di una precisa idea-forza che noi abbiamo cercato di realizzare al culmine del ciclo di lotte sociali degli anni ’70.
Ha detto Sanders: “Siamo il paese più ricco nella storia del mondo, ma in un momento di enormi disparità di reddito e ricchezza, quella ricchezza non riguarda quasi la metà degli americani che vive della propria busta paga, i 40 milioni che vivono in povertà, gli 87 milioni che non hanno un’assicurazione o se l’hanno è di scarso valore e il mezzo milione di senzatetto. Poiché decine di milioni di americani stanno perdendo il lavoro ed il proprio reddito a causa della pandemia, molti di loro stanno perdendo anche la loro assicurazione sanitaria. Questo è ciò che accade quando l’assistenza sanitaria è vista come un beneficio per i dipendenti, non un diritto garantito. Mentre superiamo la pandemia, dobbiamo approvare una legislazione che garantisca finalmente l’assistenza sanitaria a ogni uomo, donna e bambino, che sia disponibile sia per chi abbia un lavoro e per chi non lo abbia, di qualunque età”.
Il risveglio sindacale degli anni ’70, in Italia, poneva la centralità del lavoratore-persona in tutte le piattaforme rivendicative. Le lotte per le riforme si alimentavano di questa consapevolezza politica e ideale. Essa non si limitava d avanzare rivendicazioni, ma provava a sperimentare sul proprio campo, l’ambiente di lavoro, nuove forme organizzative. Da qui nacque il confronto più significativo con gli studenti, soprattutto delle facoltà di medicina, e con i futuri medici del lavoro. All’interno del sindacato si cominciava a superare la tendenza alla “monetizzazione della salute” sostituendola con l’elaborazione di proposte tese all’eliminazione dei fattori di rischio, cioè delle cause che provocavano malessere e malattie. Si arrivò anche ad intervenire nella fase di progettazione di nuovi impianti, affinché la macchina in costruzione assumesse la salute del lavoratore come condizione per il suo buon funzionamento. E ciò avveniva addirittura in un settore difficile come quello della siderurgia. All’Italsider di Genova Cornigliano i delegati di fabbrica si misurarono con la progettazione di una nuova acciaieria. Macchine, automazione industriale e nuove tecnologie erano pensate per liberare tempo e fatica dell’uomo. Anche i programmi di studio seguiti dai lavoratori e dalle lavoratrici attraverso l’uso delle 150 ore (conquista contrattuale che offriva loro la possibilità di ritagliarsi un tempo di studio pagato dal datore di lavoro) li aiutavano a collegare la medicina con le loro esperienze dirette. Molti corsi delle lavoratrici, svoltisi nelle sedi universitarie e nei territori, partivano proprio dall’analisi della soggettività femminile.
La legge 833, del 23 dicembre 1978, che superava le mutue di categoria e istituiva il Servizio sanitario nazionale, fu il frutto di quelle lotte sindacali e della consapevolezza sociale acquisita da ampi strati della popolazione e delle forze politiche democratiche.
Quando parlavamo di salute comprendevamo tre aspetti fondamentali: la prevenzione negli ambienti di lavoro e di vita, le strutture ospedaliere e ambulatoriali, i servizi sociali territoriali. Allora il Ministro della sanità era una donna del valore di Tina Anselmi, la prima donna ad essere nominata ministro.
La legge 833 afferma: “La tutela della salute fisica e psichica deve avvenire nel rispetto della dignità e della libertà della persona umana. Il servizio sanitario nazionale è costituito dal complesso delle funzioni, delle strutture, dei servizi e delle attività destinati alla promozione, al mantenimento ed al recupero della salute fisica e psichica di tutta la popolazione senza distinzione di condizioni individuali o sociali e secondo modalità che assicurino l’eguaglianza dei cittadini nei confronti del servizio. Alla gestione unitaria della tutela della salute si provvede in modo uniforme sull’intero territorio nazionale mediante una rete completa di unità sanitarie locali”.
(…) L’azione sindacale di difesa dei diritti si trasformava in cultura sociale di tutta la popolazione; ed è proprio in questo clima che si produsse una legislazione sociale avanzata:
La legge 300/1970, detta “Statuto dei lavoratori” affermava il diritto dei lavoratori a controllare l’applicazione delle norme sulla tutela della salute e della prevenzione;
La legge 495/1975 istituiva i consultori familiari con finalità di prevenzione e di educazione;
La legge 161/1975 disegnava il nuovo diritto di famiglia;
La legge 903/1977 stabiliva la parità di trattamento uomo/donna in materia di lavoro;
La legge 194/1978 interveniva per la tutela sociale della maternità e dettava le norme per l’interruzione volontaria della gravidanza (“lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio”);
La legge 180/1978 avviava il superamento del manicomio.
(…) Nei processi di riforma veniva ad assumere un ruolo determinante la partecipazione dei cittadini, singoli e associati nelle organizzazione del volontariato sociale a livello territoriale. Il tema della salute diventava così parte integrante e qualificante del complessivo modello di sviluppo a cui guardare: cosa, dove e come produrre. Il sindacato si proponeva come soggetto politico di trasformazione sociale. Tutto era collegato, non ci potevano essere compartimenti stagni. Questo, però, è poi risultato un punto debole dell’azione sindacale, perché l’inevitabile impatto col sistema politico ha creato molti problemi.
Da qui bisogna comunque ripartire, tenendo presente, come suggeriva Romano Guardini, che l’unico criterio per valutare un’epoca è domandare fino a che punto si sviluppa in essa, e raggiunge un’autentica ragion d’essere, la pienezza dell’esistenza umana, in accordo con il carattere peculiare dell’epoca medesima.
Nel frattempo molto lavoro è stato fatto, anche a livello mondiale, basti pensare all’Agenda ONU 2030 per lo viluppo sostenibile e agli indici di sviluppo di benessere equo e sostenibile (BES) che segnano un passo significativo verso il superamento del paradigma unico del Pil. Anche qui le elaborazioni vengono da lontano.
Ricordo che nel 1972 il biologo statunitense Garrett Hardin diceva: sono sicuro che arriverà il momento in cui lo psicologo, il poeta e il filosofo parleranno tutti la stessa lingua e si comprenderanno a vicenda. Era la lingua dell’ecologia integrale. La tragedia planetaria del Coronavirus è una conferma inequivocabile della prima legge dell’ecologia: ogni cosa è legata a tutte le altre. E questo è anche l’insegnamento che ci viene da papa Francesco con la sua profetica enciclica sulla casa comune, la Laudato si’.
Salvatore Vento 2 maggio2020
www.c3dem.it/parlare-di-sanita-vuol-dire-parlare-del-modello-di-sviluppo-che-vogliamo
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RELIGIONE
Garelli: Italiani, “gente di poca fede”
Nel libro “Gente di poca fede”, il sociologo Franco Garelli indaga su come sta cambiando il rapporto degli italiani con la fede e la religione. {relatore nel 1997 al Congresso dell’UCIPEM a Erice}
Prof. Garelli, la sua ultima indagine sul sentimento religioso degli italiani porta il titolo “Gente di poca fede”. Può spiegarlo?
È un titolo suggestivo, ma bifronte, che si applica a ciò che succede nella maggioranza della popolazione. Da un lato, segnala la stanchezza religiosa che da tempo sta vivendo il cattolicesimo nel nostro paese, visto che ancor oggi molti italiani non spezzano il legame con la “casa madre” (e la tradizione) pur standosene perlopiù ai margini. Dall’altro, richiama il detto di Gesù che la fede debole è un tratto dell’umano di ogni epoca, per la difficoltà di tutti (avvertita anche dai cristiani più virtuosi) di rapportarsi a un grande messaggio religioso. Quindi, “gente di poca fede” non è uno stigma, quanto la presa d’atto che – per molti – la modernità avanzata non ha sradicato i riferimenti religiosi, ma li ha resi più fragili e incerti. Una fragilità che si confronta giorno dopo giorno sia con la presenza dinamica di nuove fedi e culture, giunte a noi attraverso la rete e le migrazioni; sia con il diffondersi nel paese delle posizioni ateo-agnostiche.
Tra i segnali più vistosi del cambiamento vi è la crescita di quello che lei chiama «il cattolicesimo culturale», un’adesione al cattolicesimo come deposito di tradizioni e valori. Quali sono i limiti e le potenzialità di questo filone?
L’exploit del “cattolicesimo culturale” è uno dei dati più curiosi che emergono da questa mia ampia indagine sulla religiosità degli italiani. Ciò per dire che in un periodo in cui crescono sensibilmente altre fedi e spiritualità (anche laiche), una quota consistente di italiani è spinta da questa alterità religiosa a riaffermare i valori della tradizione. Si tratta dello stile cattolico oggi più diffuso, tipico di quanti si dichiarano tali più per ragioni “ambientali” (per il fatto di essere nati e cresciuti in un contesto cristiano) che per specifiche convinzioni. Un cattolicesimo più delle intenzioni che del vissuto, che oggi accentua la sua matrice identitaria (o etnico-culturale), connessa al fatto che le identità religiose altrui sollecitano le proprie. Quello inoltre che guarda con maggior favore ai simboli cristiani che tornano alla ribalta della cronaca politica.
Insomma, si può agire da cristiani “anagrafici” o collocarsi tra i “quasi fedeli”, ma, nello stesso tempo, ritenere che la fede cristiana sia un valore di fondo della propria famiglia. O che sia utile dare ai figli una formazione religiosa di base, o continuare a servirsi della chiesa per celebrare i riti di passaggio. Questa area grigia della religiosità è vista con sospetto o sufficienza da molti uomini di Chiesa. Come una fede residua o decaduta. Eppure anch’essa coltiva le sue domande di senso, che si attivano in particolari circostanze.
Di per sé, può essere questa l’area di impegno di una Chiesa “in uscita”, come la vorrebbe papa Francesco: che non cura soltanto i pochi che stanno nel recinto, ma guarda ai molti ormai situati oltre gli steccati. E al loro bisogno di Dio e di una comunità, anche se la loro biografia religiosa ed etica può risultare travagliata.
Carrère ha scritto di sé, nel volume “Il Regno”, del suo pellegrinare religioso (da ateo a cattolico, da cattolico ad agnostico): «Ti abbandono Signore, tu non abbandonarmi». È la posizione che sembra accumunare sia le élites sia una parte del popolo credente davanti alla pluralità delle fedi e alla personalizzazione del credere. È così?
Credo sia un’icona che ben rappresenta la situazione religiosa di molti contemporanei. Che nel campo della fede si sentono ormai maggiorenni, mirano ad una ricerca di senso senza confini, mettono sullo stesso piano tutte le concezioni di salvezza veicolate dalle grandi religioni. Inoltre, oscillano sovente tra il credere e il non credere, tra il ritenere plausibile un riferimento trascendente e il negarne l’importanza pratica. In vari casi si tratta di un esercizio teorico, di una voglia di libertà dai grandi ancoraggi, che tuttavia si infrange in particolari circostanze, quando le vicende della vita interpellano nel profondo. Allora si può rivalutare quella fede dei padri che ha comunque arricchito i propri orizzonti. E se il dubbio prevale, rimane il conforto che la finitudine umana richiede sempre un Dio che la trascenda.
Uno dei problemi maggiori della pastorale è il contatto e la formazione cristiana dei giovani. La ricerca conferma la crescente distanza delle nuove generazioni?
Ecco un altro segno del cattolicesimo stanco. La presenza negli ambienti ecclesiali (nei riti, ma anche nell’associazionismo, e tra i cattolici più impegnati) più di teste bianche o calve che di teste folte o rasate. Quindi un cattolicesimo più in sintonia con gli adagi della vita che con gli allegri. Di per sé, anche oggi molti bambini e adolescenti incrociano gli ambienti ecclesiali, o per il catechismo o per attività formative e di tempo libero. Ma, rispetto al passato, si tratta di una presenza perlopiù da “mordi e fuggi”, che dà adito ad una socializzazione religiosa presto interrotta. Qui emerge il limite di una formazione cattolica che fatica a raccordarsi al sentire delle nuove generazioni. Non mancano i giovani religiosamente attivi, ma si tratta di nuclei qualificati relativamente ristretti, più rispettati dai coetanei che seguiti.
Ciò è anche dovuto a una Chiesa mediamente “vecchia” (da vari punti di vista) nel suo personale religioso. E più dedita – per vari fattori – alla pastorale delle salute e delle esequie che alla pastorale giovanile e familiare. Già alcuni anni or sono, un’indagine condotta su questi temi negli Stati Uniti così concludeva: «Quando le comunità religiose non investono nei loro giovani, i loro giovani con molta probabilità non investiranno nella loro fede religiosa».
Lo “zoccolo duro” di convinti e frequentanti tiene, decresce, aumenta?
I cattolici “convinti e attivi” sono circa un quinto della popolazione, una cifra questa che non sembra subire grandi variazioni col passare degli anni. È il nucleo che frequenta in modo assiduo i rituali religiosi, reputa la fede un principio vitale (anche da trasmettere ai figli), esprime una particolare sensibilità sui temi della famiglia, della bioetica, della solidarietà, dell’educazione. Si tratta della cosiddetta “sub-cultura” cattolica, termine che indica le persone più vicine agli ambienti ecclesiali, con alle spalle una buona esperienza formativa; parte delle quali alimenta il tessuto di tante parrocchie, comunità e reti di volontariato.
Questo mondo cattolico impegnato svolge un ruolo prezioso nel paese, sia a livello educativo e aggregativo sia nel far fronte a molte emergenze sociali (lotta contro la povertà, emergenza lavoro, accoglienza dei migranti). E in quanto tale è oggi oggetto di non poca considerazione pubblica, ma anche di tensioni, operando in un clima socio-politico oltremodo disunito e divisivo circa le soluzioni da dare ai problemi del paese.
Del resto, anche questo mondo cattolico non è privo di fratture interne. Non tutti condividono le posizioni del magistero su varie questioni. Alcuni interpretano la fede più in chiave identitaria, altri più in termini di testimonianza cristiana in una società aperta. Sullo sfondo, c’è l’incertezza per il futuro di questa sub-cultura cattolica, oggi ancora vivace, ma le cui quote giovani si stanno via via assottigliando.
Su temi come l’omosessualità e l’eutanasia qual è il sentire comune? Lei accenna a uno «scisma sommerso» relativo alla dottrina sociale. Potrebbe chiarire?
Sulle frontiere della bioetica gli orientamenti degli italiani sembrano contraddittori. Quasi i due terzi si dichiarano favorevoli all’eutanasia (intesa in senso generale come porre fine alla vita di un malato incurabile), una scelta presa in considerazione solo da una minoranza di soggetti sino a qualche anno fa. Per contro, sulle tecniche di ingegneria genetica prevale un’apertura prudente e vigilante, non troppo distante da quella predicata dalla Chiesa cattolica. In decisa crescita è poi il riconoscimento della condizione omosessuale e di alcuni suoi diritti.
Novità interessanti si riscontrano anche nel campo della morale sociale, che indicano il disorientamento oggi vissuto proprio dall’area moderata del paese, composta – come si sa – da un buon insieme di cattolici. Qui emerge una sorta di disaffezione nei confronti delle norme basilari della convivenza civile, che sembra incrinare una lealtà istituzionale di lungo corso. È a fronte di questo travaglio della cultura cattolico-centrista nel paese che si può ipotizzare un distacco (quasi uno “scisma sommerso”) dalla dottrina sociale della Chiesa; che da sempre invita i fedeli a una presenza costruttiva e retta nella città terrena.
I cambiamenti sociali e culturali hanno incrinato la «volta sacra» della vita degli italiani? Il sentimento religioso vive oltre le istituzioni ecclesiali?
La persistenza del sentimento religioso nel paese è uno dei dati che più mi ha colpito, sia per come si manifesta, sia perché è in palese contrasto con il declino della pratica religiosa. Anche tra i fedeli tiepidi o i praticanti occasionali, è diffusa la coscienza di vivere sotto una “sacra volta”, che si traduce nella sensazione che c’è un Dio che vigila sulla propria vita e la protegge o nella percezione che, in particolare circostanze, vi siano dei messaggi che giungono da un Essere che ci trascende. Non sono pochi, inoltre, quelli che riconoscono di aver ricevuto nel corso della propria biografia dei favori divini.
Più di quanto si pensi, sembra attivo (e per certi aspetti in crescita) un sentire religioso frutto di un rapporto diretto e personale col sacro, perlopiù non mediato dalle istituzioni religiose. Si tratta di un’esperienza singolare, perché non è soltanto un riflesso della religiosità popolare, in quanto la si riscontra anche in un buon numero di persone che sembrano ai margini di un discorso di fede o degli ambienti ecclesiali. Si può dunque essere “gente di poca fede” e, nello stesso tempo, guardare di tanto in tanto verso l’Alto.
Lorenzo Prezzi settimana news 7 maggio 2020
www.settimananews.it/religioni/garelli-italiani-gente-poca-fede
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RICONOSCIMENTO DEI FIGLI
Come riconoscere un figlio
Qual è la procedura da seguire per chi intende riconoscere un figlio? Hai una relazione sentimentale con una donna. Dopo qualche anno, lei rimane incinta di una bambina. Non siete sposati e, spaventato dalla situazione, la lasci prima ancora del parto. Dopo qualche tempo, però, decidi di prenderti le tue responsabilità. Lei, nel frattempo, si è rifatta una vita e di te non ne vuole sapere. Decidi, quindi, di rivolgerti ad un legale per tutelare i tuoi diritti e capire come riconoscere un figlio. Dopotutto, non vuoi che la bambina cresca senza un genitore. Inoltre, hai paura che la tua ex compagna possa impedirti di fare il padre. Come comportarsi in questi casi? Si può riconoscere un figlio dopo molto tempo? Nell’articolo che segue ti spiegherò come riconoscere un figlio.
Cos’è il riconoscimento? Ha senso parlare di riconoscimento solo per i figli nati al di fuori del matrimonio, cioè da genitori non sposati tra di loro. Per le coppie sposate, infatti, basta che uno dei due genitori (non importa se la madre o il padre) entro 3 giorni dal parto presenti l’attestazione di nascita presso la direzione sanitaria dell’ospedale o della clinica dove il bambino è nato. Tale attestazione verrà poi trasmessa all’ufficiale di Stato civile del Comune indicato. In questo modo, il figlio si presume di entrambi i genitori, anche se la dichiarazione di nascita è stata fatta solo dalla madre.
Per le coppie non sposate, invece, la legge richiede che il genitore riconosca il bambino come proprio, al fine di far sorgere un rapporto giuridico di filiazione. Facciamo un esempio: tu e la tua compagna non siete sposati e avete un bambino. Per essere considerati genitori, agli effetti di legge, dovrete necessariamente riconoscere entrambi vostro figlio. Con il riconoscimento, quindi, una persona dichiara di essere genitore di un’altra persona. Attenzione però: il riconoscimento può essere effettuato da una sola persona ed è irrevocabile, nel senso che una volta effettuato non si può tornare indietro.
Chi può riconoscere un figlio? Un figlio può essere riconosciuto dalla madre o dal padre sia congiuntamente che separatamente. Per poter effettuare il riconoscimento, però, è necessario:
- avere compiuto almeno sedici anni;
- non essere stati costretti con violenza;
- non essere stati interdetti;
- che non ci siano altri impedimenti: ad esempio, il bambino che hai riconosciuto in realtà è figlio di un’altra persona.
Come riconoscere un figlio. Puoi effettuare il riconoscimento di un figlio nato fuori del matrimonio attraverso una delle seguenti modalità:
- nell’atto di nascita;
- in una dichiarazione davanti all’ufficiale dello Stato civile;
- in un atto pubblico, ad esempio davanti al notaio;
- in un testamento: in tal caso, il riconoscimento produce effetti solo dal momento della morte del testatore;
- in una domanda presentata al giudice tutelare. Ciò si verifica quando manca il consenso dell’altro genitore.
Può capitare che uno dei due genitori abbia già effettuato il riconoscimento. Facciamo un esempio: è nata la tua bambina e la mamma ha già provveduto a riconoscerla. Se intendi riconoscerla anche tu, sarà necessario ottenere il consenso della mamma. Se la tua ex compagna si rifiuta categoricamente di dare il suo consenso, l’unica strada da percorrere è quella di rivolgersi al giudice, il quale concederà l’autorizzazione ad effettuare il riconoscimento solo se questo risponde realmente all’interesse del minore. Potrebbe capitare, però, che la madre si opponga alla tua richiesta perché, ad esempio, è stata abbandonata durante la gravidanza. In tal caso, la procedura è molto più lunga perché il giudice dovrà assumere tutte le informazioni necessarie per poter valutare se il riconoscimento risponda, o meno, all’interesse del figlio (che potrebbe anche essere ascoltato dal giudice purché abbia compiuto i dodici anni). Se non hai problemi di tossicodipendenza, di alcolismo, oppure condanne penali o episodi di violenza alle spalle, difficilmente il giudice non ti concederà il riconoscimento. Proprio perché ciò che conta è solo l’interesse del bambino.
Quando si può riconoscere un figlio? Il riconoscimento può essere effettuato in qualsiasi momento. Questo vuol dire che puoi decidere di riconoscere tuo figlio anche molti anni dopo la nascita. Tuttavia, in tal caso devi considerare che più il bambino cresce più sarà complicato effettuare il riconoscimento. Supponiamo, ad esempio, che tuo figlio abbia già compiuto 16 anni. Per poterlo riconoscere avrai bisogno del suo assenso che potrebbe anche esserti negato.
Cos’è il riconoscimento del nascituro? Abbiamo visto che il riconoscimento di un figlio può essere fatto sia al momento della nascita sia successivamente. La legge però ammette che il riconoscimento avvenga dopo il concepimento e prima della nascita del bambino. In tal caso, basterà recarsi presso l’Anagrafe di residenza della madre con i documenti di identità in corso di validità e di un certificato che attesti lo stato di gravidanza. Dopo il parto, il padre potrà registrare da solo la nascita del neonato (anche se non sposato con la madre del bambino) e potrà assumere tutte le decisioni in merito alle prestazioni sanitarie che si rendessero necessarie nei confronti del piccolo. Si pensi, ad esempio, ad una complicanza che potrebbe sorgere dopo il parto.
Effetti del riconoscimento. Una volta effettuato il riconoscimento, il genitore assume una serie di doveri nei confronti del figlio (ad esempio il dovere di mantenimento, di istruzione, educazione, ecc.). Il figlio assume il cognome del papà, qualora sia stato riconosciuto contemporaneamente da entrambi i genitori; in caso contrario prenderà il cognome del genitore che lo ha riconosciuto per primo. Il figlio può scegliere anche di assumere il cognome paterno aggiungendolo, anteponendolo o sostituendolo a quello della madre, se il riconoscimento del padre è avvenuto successivamente a quello della madre. Se invece il figlio non viene riconosciuto dai genitori, assumerà il nome e il cognome che gli vengono attribuiti dall’ufficiale dello Stato civile.
Il riconoscimento può essere impugnato? Secondo la legge, il riconoscimento può essere impugnato nei seguenti casi:
- per difetto di veridicità: vuol dire che il soggetto riconosciuto è stato procreato da una persona diversa da quella che ha effettuato il riconoscimento. Ad esempio, Tizio dichiara di essere il padre di Caietta ma in realtà il padre è Sempronio. In questo caso il riconoscimento non corrisponde al vero;
- per violenza esercitata sull’autore del riconoscimento: nel senso che la persona è stata costretto con violenza ad effettuare il riconoscimento. Si pensi, ad esempio, ad un padre che non vuole riconoscere la figlia ma che venga costretto a farlo dalla famiglia della compagna;
- quando l’autore del riconoscimento è stato dichiarato interdetto perché incapace a provvedere ai propri interessi.
La Legge per tutti 2 maggio 2020
www.laleggepertutti.it/369318_come-riconoscere-un-figlio
Come fare il disconoscimento della paternità
Cosa può fare un coniuge quando scopre che il figlio non è suo? Tu e tua moglie avete avuto un figlio. Dopo qualche giorno, i vostri rapporti si sono incrinati perché hai scoperto di non essere il padre del bambino. Ora tua moglie pretende, comunque, che te ne prenda cura e provveda al suo mantenimento. Tu, però, non hai nessuna intenzione di occuparti di un bambino che non è tuo. Ti rechi, quindi, da un avvocato per capire come fare il disconoscimento della paternità. La legge, infatti, te lo consente ma entro termini ben precisi, scaduti i quali non potrai più cancellare il rapporto di filiazione.
Cos’è la presunzione di paternità? Devi sapere che per verificare che il figlio sia stato concepito dal marito durante il matrimonio, il nostro ordinamento prevede due presunzioni: la presunzione di paternità e la presunzione di concepimento.
- Nel primo caso, il marito si ritiene padre del figlio concepito durante il matrimonio, salva la possibilità di esercitare il disconoscimento della paternità.
- Nel secondo caso, invece, il figlio si presume concepito durante il matrimonio, se nato nel periodo che va dai centottanta giorni dalla celebrazione fino a trecento giorni dalla data dell’annullamento del matrimonio o del divorzio.
Cos’è il disconoscimento della paternità? Come già detto, la presunzione di paternità – in base alla quale il marito si ritiene padre del figlio concepito durante il matrimonio – può essere superata con il disconoscimento della paternità. Si tratta, in pratica, di un’azione volta a far dichiarare dal giudice che il marito non è il padre del figlio nato durante il matrimonio. Ad esempio, il marito scopre che in realtà il figlio non è suo. In tal caso, potrà esercitare il disconoscimento della paternità dimostrando che la moglie ha avuto il bambino con un altro uomo.
Attenzione però: se tu e tua moglie avete avuto un figlio con il metodo della procreazione assistita, sappi che non potrai contestare la paternità mediante l’azione di disconoscimento.
Chi può proporre il disconoscimento della paternità?
I soggetti che possono proporre l’azione di disconoscimento della paternità sono:
- il presunto padre;
- la madre;
- il figlio maggiorenne;
- un curatore nominato dal giudice su istanza del figlio minore che ha compiuto quattordici anni;
- i discendenti o gli ascendenti, nel caso di morte del presunto padre o della madre;
- il coniuge o i discendenti del figlio morto senza aver promosso l’azione.
Come fare il disconoscimento della paternità. L’azione di disconoscimento della paternità va proposta con atto di citazione al tribunale del luogo in cui risiedono la madre e il figlio. L’azione non può essere proposta personalmente ma occorre farsi assistere da un avvocato. Ovviamente, l’ordinamento ha previsto termini ben precisi entro i quali esercitare l’azione di disconoscimento. I termini cambiano a seconda del soggetto che promuove l’azione. In particolare:
- per la madre: entro sei mesi dal parto;
- per il padre: entro un anno dal giorno della nascita del bambino o dal giorno del suo ritorno (se egli si trovava in un luogo diverso) o ancora dal giorno in cui ha avuto conoscenza della nascita;
- per il figlio: entro un anno dal compimento della maggiore età e senza limiti di tempo.
Il suddetto termine resta sospeso quando chi intende promuovere il disconoscimento di paternità:
- è interdetto per infermità di mente;
- è affetto da grave infermità mentale abituale. Ovviamente, il termine decorrerà nuovamente una volta cessato lo stato di interdizione o la grave infermità di mente del soggetto.
Attenzione: per il padre e la madre, il diritto di esercitare l’azione si prescrive nel termine di 5 anni dalla nascita del figlio; mentre per il figlio l’azione è imprescrittibile, cioè può essere esperita sempre.
Come provare il difetto della paternità? In passato, era possibile proporre l’azione di disconoscimento solo in tre ipotesi tassative:
- mancata convivenza dei coniugi nel periodo compreso tra il trecentesimo ed il centottantesimo giorno prima del parto;
- se il marito era affetto da impotenza, anche solo di generare;
- se la moglie aveva avuto una relazione extraconiugale e aveva nascosto al marito sia la gravidanza che la nascita del figlio.
La riforma della filiazione, invece, ha abolito le suddette ipotesi. Ad oggi, quindi, è sempre possibile chiedere il disconoscimento della paternità. A questo punto, ti starai chiedendo come provare di non essere il padre del bambino. Facciamo un esempio: tua moglie ti confessa di averti tradito con un altro uomo. Tale dichiarazione confessoria è sufficiente ad escludere la paternità? Assolutamente no. Questo perché il legislatore tutela il bambino e quindi richiede una prova più rigorosa. La prova più usata è sicuramente l’esame del Dna, disposto dal giudice attraverso la nomina di un consulente tecnico che procederà al prelievo e al confronto incrociato del Dna tra i genitori ed il figlio. In questo modo, è possibile accertare o escludere la paternità senza ombra di dubbio. La prova, tuttavia, potrebbe essere data anche con testimoni.
Disconoscimento della paternità: quali sono gli effetti? La sentenza che dichiara il disconoscimento di paternità fa venir meno lo status di figlio. Di conseguenza, il figlio perde il cognome paterno e diviene a tutti gli effetti di legge un figlio riconosciuto dalla sola madre. Tuttavia, il tribunale può autorizzare il figlio a mantenere il cognome del padre qualora questo sia un elemento distintivo della sua identità personale. Si pensi, ad esempio, ad un figlio cantante conosciuto nell’ambiente musicale con il cognome paterno. Da parte sua, il padre è esonerato dal dovere di assistenza nei confronti del figlio, compreso il dovere di mantenimento.
Disconoscimento della paternità: quanto costa? Dato che si tratta di un procedimento nell’interesse dei figli, non occorre pagare il contributo unificato. I costi, però, variano in base all’avvocato scelto e alle spese relative alla consulenza tecnica d’ufficio necessaria se si decide di ricorrere al test del Dna.
La Legge per tutti 3 maggio 2020
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SOCIOLOGIA
Moro: «Dobbiamo riscoprire il significato costituzionale della sussidiarietà»
«La crisi innescata dal Coronavirus», sottolinea il sociologo Giovanni Moro, sul numero del magazine di aprile scaricabile su Vita.it, «ha mostrato chiaramente che una divisione netta del lavoro tra società e Stato, dinanzi a catastrofi di tale portata, non è un vantaggio ma uno svantaggio per tutti»
Comitati spontanei, gruppi di quartiere, ragazzi che si mettono in campo: è grande l’ondata di attivismo che si sta contrapponendo sul territorio alle conseguenze del Coronavirus. Conseguenze non solo sanitarie ma sociali. Quando tutto passerà, resterà qualcosa? Avremo capito la lezione? Ci apriremo a forme concrete e nuove di solidarietà e sussidiarietà tra amministrazioni e cittadinanza? Ne parliamo con Giovanni Moro, già presidente di Fondaca, sociologo, autore di libri ben noti ai nostri (e suoi) lettori, da Cittadinanza attiva a qualità della democrazia (Bruno Mondadori, 2013) a Contro il non profit (Laterza, 2014), attento osservatore della società civile e delle forme della partecipazione civica.
Non si governa senza società civile, insegnava Václav Havel. Oggi questa lezione sembra di un’attualità sconcertante.
Partiamo dall’attivismo civico, ovvero da tutte le forme di auto organizzazione, che abbiamo rilevanza giuridica o meno, dei cittadini che si occupano di autotutela. Partiamo da qui perché è questo che definisce la nostra società civile. Questo attivismo si occupa di diritti, della cura dei beni comuni, di supporto all’autonomia di soggetti in condizioni di debolezza o sofferenza e lo fa in vario modo, creando servizi, facendo attività di advocacy [supporto] o facendo l’intervento diretto. Le azioni dei cittadini per l’interesse generale che emergono in modo anche autonomo dalle forme più organizzate e consolidate è un fenomeno che c’è da parecchio tempo. Oggi cogliamo una effervescenza nuova, ma lo slancio viene da lontano.
Forse era difficile osservarlo e l’emergenza lo ha portato alla luce?
L’Istat non lo poteva cogliere, perché spesso si tratta di associazioni senza statuto giuridico o di comitati. Ma oggi constatiamo tutti che c’è, ed è una fioritura di forme strutturate o meno strutturate di attivismo civico di uso in tutto il Paese: basti pensare a tutti coloro che nei condomini o nei quartieri si sono auto organizzati per consegnare cibo o medicine ai vicini anziani o in quarantena, ai ragazzi che hanno iniziato a fare volontariato proprio in questo periodo e anche alle iniziative digitali che hanno fatto pressione sui decisori per orientare al meglio certe norme restrittive o l’informazione di usa, che ha permesso a tantissime persone di venire a capo del groviglio di norme che ha imbrigliato la nostra quotidianità. Dobbiamo prestare molta attenzione a questi piccoli movimenti, che indicano qualcosa di molto importante: sta forse nascendo una qualche forma di attivismo civico che non necessariamente rientrano nelle forme più organizzate che già conosciamo.
Nel dopo, pensa che questo attivismo civico, che probabilmente si affiancherà più che confluire nei canali più grossi e tradizionali del Terzo settore, potrà dare lo slancio per un nuova sussidiarietà di territorio?
Il dopo è un’opportunità. Lo è, soprattutto, se finalmente cominciamo a chiarire che cos’è sussidiarietà. C’è stata molta confusione negli anni passati, su questo concetto.
Proviamo allora a chiarirlo e a rilanciare la questione?
Da anni si contendono il tema “sussidiarietà” posizioni molto diverse. C’è l’idea ottocentesca, che ritroviamo anche nella Dottrina Sociale della Chiesa, che legge la sussidiarietà come divisione del lavoro: quello che fa la società, non lo deve fare lo Stato che, casomai, interviene in aiuto quando la società non ce la fa. C’è poi un una visione strumentale della sussidiarietà: viene chiamata così, ma è di fatto una esternalizzazione dei servizi. Infine, c’è la sussidiarietà così come è stata accolta dalla Costituzione: sussidiarietà come valore dell’attività autonoma dei cittadini per l’interesse generale, una attività che le amministrazioni devono favorire, ma non possono autorizzare o ignorare. Questa crisi ha reso evidente che tanto la prima, quanto la seconda idea di sussidiarietà non funzionano. La crisi innescata dal Coronavirus ha mostrato che una divisione netta del lavoro tra società e Stato, dinanzi a catastrofi di tale portata, non è un vantaggio ma uno svantaggio per tutti: se c’è una cosa che abbiamo capito, in questo periodo, è che il ruolo della guida pubblica, purché illuminata, e di conseguenza dello Stato è cruciale. Se non ci può più essere un’ingenua suddivisione dei lavori fra società e Stato, ancor meno possiamo permetterci una visione strumentale della sussidiarietà. Al contrario, è proprio il significato costituzionale della sussidiarietà che dobbiamo approfondire e riscoprire di fronte a dei compiti che sono nuovi.
Che cosa intende, di preciso, quando parla di significato costituzionale della sussidiarietà?
Parlo di una relazione a valore aggiunto tra i cittadini comunque organizzati e le istituzioni della Repubblica. Una relazione che può assumere le forme della collaborazione. Le forme della collaborazione, per esempio, sono quelle degli empori solidali: ognuno porta il suo, nessuno toglie responsabilità ad altri, cittadini e imprese donano, associazioni e Comuni collaborano e ai beneficiari viene chiesto di fare volontariato per gestire l’emporio, ossia di rientrare in un certo circuito di senso. I Comuni, ovviamente, risparmiano ma nessuna delle loro responsabilità viene eliminata: sono forme a valore aggiunto, non a sottrazione di valore come nelle esternalizzazioni.
Andremo, dunque, verso questa forma di sussidiarietà collaborativa?
Bisognerà fare i conti con risorse minori per esigenze che saranno maggiori. Ci sarà, sicuramente, da parte delle amministrazioni pubbliche la tentazione di amministrativizzare l’attivismo civico, dando autorizzazioni “ad esistere”. Secondo me, il Terzo settore non dovrebbe accettare questa logica, soprattutto di fronte a s de che sono nuove e che metteranno sempre più alla prova le strutture del Terzo settore. La vita, inoltre, non sarà più come prima, …
Marco Dotti vita it 06 maggio 2020
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www.vita.it/it/article/2020/05/06/moro-dobbiamo-riscoprire-il-significato-costituzionale-della-sussidiar/155375
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