NewsUCIPEM n. 801 – 12 APRILE 2020

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NewsUCIPEM n. 801 – 12 APRILE 2020

Unione Consultori Italiani Prematrimoniali E Matrimoniali

ucipemnazionale@gmail.com                                                           

 “Notiziario Ucipem” unica rivista ufficiale – registrata Tribunale Milano n. 116 del 25.2.1984

Supplemento online. Direttore responsabile Maria Chiara Duranti. Direttore editoriale Giancarlo Marcone

News gratuite si propongono di riprendere dai media e inviare informazioni, di recente acquisizione, che siano d’interesse, d’aggiornamento, di documentazione, di confronto e di stimolo per gli operatori dei consultori familiari e quanti seguono nella società civile e nelle comunità ecclesiali le problematiche familiari e consultoriali. Sono così strutturate:

  • Notizie in breve per consulenti familiari, assistenti sociali, medici, legali, consulenti etici ed altri operatori, responsabili dell’Associazione o dell’Ente gestore con note della redazione {…ndr}.
  • Link diretti e link per download a siti internet, per documentazione.

I testi, anche se il contenuto non è condiviso, vengono riprese nell’intento di offrire documenti ed opinioni di interesse consultoriale, che incidono sull’opinione pubblica. La responsabilità delle opinioni riportate è dei singoli autori, il cui nominativo è riportato in calce ad ogni testo.

Il contenuto delle news è liberamente riproducibile citando la fonte.        

In ottemperanza alla direttiva europea sulle comunicazioni on-line (direttiva 2000/31/CE), se non desiderate ricevere ulteriori news e/o se questo messaggio vi ha disturbato, inviate una e-mail all’indirizzo: newsucipem@gmail.com con richiesta di disconnessione.

Chi desidera connettersi invii a newsucipem@gmail.com la richiesta indicando nominativo e-comune d’esercizio d’attività, e-mail, ed eventuale consultorio di appartenenza.               [Invio a 1.462 connessi]

 

 Carta dell’UCIPEM, Approvata dall’Assemblea dei Soci il 20 ottobre 1979. Promulgata dal Consiglio direttivo il 14 dicembre 1979.

1. Fondamenti antropologici

1.1 L’UCIPEM assume come fondamento e fine del proprio servizio consultoriale la persona umana e la considera, in accordo con la visione evangelica, nella sua unità e nella dinamica delle sue relazioni sociali, familiari e di coppia

02 ADOZIONE                                                   Tasso di successo rispetto a PMA degli iter adottivi è superiore

02 ASSEGNO MANTENIMENTO FIGLI     Mantenimento diretto: Cassazione non riesce a comprendere

05 ASSOC. CONSULENTI FAMILIARI        Ascolto a distanza

05 AUTORITÀ GARANTE MINORI             La nota inviata al presidente Giuseppe Conte

09                                                                          Didattica a distanza e diritti degli studenti

09                                                                          Coronavirus, il Bureau della Rete europea dei garanti (Enoc)

10                                                                          Il grido dei minori a rischio

11 BIBBIA                                                           In che lingua parlava Gesù?

12 CENTRO INTER.STUDI FAMIGLIA       Newsletter CISF – n.14, 8 aprile 2020

14 CHIESA CATTOLICA                                  Avere fede senza saperlo

15                                                                          La profezia di Caifa

16 CITAZIONI                                                    Sulla morale sessuale nella chiesa cattolica

23 CITTÀ DEL VATICANO                             Una nuova commissione sul diaconato femminile

24 CONIUGI                                                      La coniugalità dell’amore

27 CONSULTORI UCIPEM                            Trento: consulenze e gruppi di ascolto online per sostenere     28 CONVIVENZA                                   Obbligazioni naturali e attribuzioni patrimoniali nel more uxorio

29 CORONAVIRUS                                          E se per gli adolescenti fosse anche un allenamento alla vita?

31                                                                          I giovani pronti ai sacrifici: una spinta al cambiamento

32 DALLA NAVATA                                        Domenica di Pasqua. Anno A-12 aprile 2020

32                                                                          Un Dio di donne.

33 DIRITTO DI FAMIGLIA                             Delibera dell’Organismo Congressuale Forense

35 ECONOMIA                                                 Il mondo che verrà secondo l’economista Stefano Zamagni

38 FAMIGLIA                                                    Fare famiglia oggi. Un atto rivoluzionario

39 FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI    L’assegno universale per figli? Il momento è adesso

40 POLITICA                                                      Le quattro lezioni della crisi secondo Zamagni                 

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ADOZIONE

Il tasso di successo rispetto alla fecondazione assistita degli iter adottivi è molto superiore.

            Perché non favorire allora questa scelta di giustizia? Quella artificiale porta 8 coppie su 10 a una cocente delusione. L’emergenza Coronavirus imporrà un forte stop alle nascite con fecondazione assistita. Con l’inizio del periodo di blocco totale del Paese, infatti, sono stati sospesi circa 35mila trattamenti. E, secondo previsioni, la frenata non è destinata a fermarsi. Secondo il ginecologo Antonino Guglielmino, presidente della Società italiana della riproduzione umana, considerando un blocco totale dei trattamenti per procreazione medicalmente assistita nei mesi da marzo a maggio, si dovranno calcolare 4.500 nascite in meno per l’anno 2020 rispetto al 2019. Sono infatti circa 98mila i trattamenti di PMA che vengono svolti ogni anno in Italia. Trattamenti che interessano all’incirca 78mila coppie e che portano alla nascita di 13mila bambini: “Mantenere questi numeri – spiega Guglielmino – sembra molto difficile visto il prolungarsi della pandemia nel periodo primaverile, il più gettonato per accedere ai trattamenti”.

Coronavirus: perché investire sulla adozione internazionale. “A fronte di questo rallentamento – dice Marco Griffini, presidente di Ai.Bi. – Amici dei Bambini, Ente autorizzato alla adozione internazionale – sarebbe opportuno, da parte delle istituzioni, tornare a considerare l’ipotesi di investire sulla adozione internazionale proprio in questo momento, anche quale opzione di contrasto alla già complessa situazione demografica. D’altro canto i dati più recenti dimostrano come nel 2017, le percentuali di successo delle tecniche di PMA senza donazione di gameti, considerando come indicatore la percentuale di gravidanze ottenute su cicli iniziati, si attestassero su un valore medio effettivo di due su 10. Nove su 10, con lo stesso termine di paragone, sono quelle che, dopo aver conferito l’incarico a un Ente autorizzato, riescono a portare a termine l’adozione internazionale di un minore abbandonato. Un tasso di successo, quindi, di molto superiore. Perché allora non dare un’ulteriore opportunità a questa che è anche una grande scelta di giustizia?

AIBInews 8 aprile 2020

www.aibi.it/ita/coronavirus-sospesi-i-trattamenti-da-pma-4-500-nati-in-meno-griffini-ai-bi-investire-su-adozione-internazionale

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ASSEGNO MANTENIMENTO FIGLI

Mantenimento diretto: una modalità che la Cassazione non riesce a comprendere

Corte di Cassazione, prima Sezione civile, ordinanza n. 1562, 23 gennaio 2020

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La Suprema Corte non riesce a districarsi tra le varie forme di contribuzione e di spesa. L’ordinanza destinata a disciplinare il mantenimento di un figlio ora maggiorenne, conferma ancora una volta le difficoltà ideologiche dei giudici di legittimità nel maneggiare gli aspetti fondanti della riforma del 2006 sull’affidamento condiviso. Come in Cass. 1191/2020 emergono vistosamente le simpatie per il modello monogenitoriale riguardo alla frequentazione (Affidamento dei figli: la Cassazione predilige modello monogenitoriale) così il recente provvedimento rivela analoga propensione per la parte economica.

La SC, va riconosciuto, si sforza di “mettere ordine” nella materia toccandone un po’ tutti gli aspetti applicativi: la relazione tra le nuove decisioni e le valutazioni pregresse; il legame tra tenore di vita precedente ed esigenze attuali dei figli; la definizione delle “spese straordinarie” e la possibilità di darne una valutazione a forfait; la ricapitolazione dei parametri su cui fondare il calcolo dell’assegno e i criteri per la sua quantificazione. Purtroppo tutti questi lodevoli tentativi di razionalizzazione risentono negativamente di essenziali difetti di impostazione, per cui, sulla base di premesse errate, diventa proibitivo giungere a conclusioni convincenti, che non riguardano certamente le conclusioni pratiche, sulle quali si può essere d’accordo e che non verranno qui discusse. Il dissenso tocca invece, più pesantemente, le considerazioni che le sorreggono.

Già la terminologia utilizzata nel riassumere la vicenda evidenzia che la distanza culturale tra la riforma del 2006 e la giurisprudenza precedente è tuttora ben lungi dall’essere stata percepita. Certamente la prevista “rivoluzione copernicana” non si è verificata, ma forse perché non ci si è neppure accorti che doveva compiersi. Inquadrare la situazione introducendo un “genitore convivente” significa al contempo essere rimasti al tempo del “diritto di visita”; ovvero non essersi adeguati al cambiamento. Già in regime di affidamento condiviso e a proposito di figli minorenni sarebbe terminologia inappropriata. Salvo che non descriva concretamente la situazione reale. Ma questo non risolverebbe il problema, perché sarebbe la dimostrazione di una infedeltà di partenza (salvo motivate eccezioni); peggiorando la situazione.

Nella fattispecie gli accenni al precedente assetto presenti nell’ordinanza fanno ben comprendere che quel figlio ha vissuto prima della maggiore età un regime sbilanciato, che gli ha trasmesso il messaggio di una disparità, di una diversa valenza dei propri genitori. A questo punto già si pone il problema se questo squilibrio sia così largamente praticato in conseguenza di motivi specifici, comunque da considerare occasionali, per quanto frequenti possano essere; oppure corrisponda a una saggia regola da applicare sistematicamente, come punto di partenza. Tutto lascia pensare che, a ragione o a torto, gli interpreti della normativa e la componente tecnica dei suoi destinatari siano convinti di trovarsi nel secondo caso. Ne dà prova l’emissione di linee-guida e protocolli – controfirmati dall’intero sistema legale e confermati dalle “istruzioni” disponibili nelle cancellerie – che declinano un solo verbo (le eccezioni sono ancora molto rare), quello della sostanziale monogenitorialità, che trova la sua esaltazione nel meccanismo del mantenimento, rigorosamente indiretto.

L’ordinanza qui considerata non avrebbe quindi alcun particolare motivo di interesse – collocandosi nel solco di una consolidatissima giurisprudenza – se non fosse che nella fattispecie il modello a genitore prevalente stende la sua ombra anche nel caso di un figlio la cui maggiore età (prima imminente e poi raggiunta) sembra nulla mutare né dalla parte dei suoi familiari né da quella degli organi giudicanti, che non spendono una parola per differenziare il regime passato dal presente e futuro. Pertanto, la distanza culturale e ideologica della Suprema Corte dai concetti e dalle modalità associati al modello bilanciato trova una ancor maggiore evidenza, che verrà qui analizzata.

Il mantenimento del figlio maggiorenne. Se già un figlio minorenne dovrebbe, per legge, sentirsi del tutto a suo agio, “a casa”, sia presso la madre che presso il padre in regime di affidamento condiviso, e quindi vedere concretamente soddisfatti i suoi bisogni per iniziativa sia dell’uno che dell’altro, non è pensabile che un figlio maggiorenne – legittimato a cambiare in qualunque momento la propria domiciliazione nonché, soprattutto, in grado di autogestirsi – debba fare un passo indietro nell’amministrazione delle risorse a lui destinate rispetto a un genitore che non è mai stato affidatario esclusivo e che oggi è considerato “il genitore convivente” solo in forza dei “prevalenti tempi di convivenza”. Evidentemente per giungere a ciò si considera questa prevalenza rigidamente stabilita e si attribuisce ad essa decisiva valenza ai fini delle regole di contribuzione al mantenimento. A dispetto di una maggiore età che – oltre alla possibilità di acquistare e vendere immobili, contrarre matrimonio, eleggere il Parlamento e portare una pistola – conferisce a quel figlio anche la facoltà di spostarsi liberamente da un genitore all’altro, non essendo più in affidamento.

Giova, d’altra parte, a rendere meno nuova e sorprendente questa assunzione, il modulo per le separazioni consensuali adottato dal tribunale di Varese e raccomandato come esempio da seguire dal Ministero della Giustizia dove si richiede ai redattori di impegnare il futuro con questa singolare dichiarazione: “I figli maggiorenni, ma non economicamente autosufficienti, vivranno con …”. Dove, in aggiunta, non può farsi a meno di notare che il modulo non viene compilato dal soggetto protagonista, ma dai suoi genitori, ovvero che il figlio maggiorenne viene ufficialmente esautorato dalle istituzioni.   In altre parole, dal fittizio prolungamento oltre la maggiore età di un regime illegittimamente sbilanciato si deduce anche il permanere jure proprio e non ex capite filiorum del diritto di percepire e gestire le risorse destinate ai figli, benché maggiorenni. Illumina sul punto la decisione, ex pluris, di Cass. 25300/2013 che così motiva: “… soprattutto osta all’accoglimento della richiesta di versamento diretto ai figli la circostanza che questi ultimi non hanno proposto la relativa domanda in giudizio. A tale ultimo riguardo va richiamata la giurisprudenza di questa Corte formatasi sulla base della disciplina anteriore all’entrata in vigore della L. 8 febbraio 2006, n. 54 (cui si deve l’introduzione dell’art. 155 quinquies c.c.”. Il “principio di continuità”, ovvero la riluttanza nel prendere atto della riforma del 2006, non poteva essere illustrato in modo più efficace. Il capovolgimento attuale della posizione del figlio, posto in subordine rispetto al fantomatico “genitore convivente”, la dice lunga sulla autenticità della preminente (se non esclusiva) considerazione per l’interesse dei figli che il sistema legale continuamente sbandiera.

Naturalmente tutto questo è reso tecnicamente possibile grazie alla infelice e adultocentrica formulazione attuale dell’art. 337-septies comma I c.c., voluta da un emendamento degli avversari della riforma durante i lavori preparatori della Legge n. 54/2006, che stravolse la stesura originaria, che per i figli maggiorenni stabiliva “Ove debba essere disposto il pagamento di un assegno periodico, esso deve essere versato direttamente al figlio, salvo che il giudice, valutate le circostanze, disponga diversamente.

 Resta il fatto che il codice civile continua anche in altri passaggi a offrire soluzioni di maggiore ragionevolezza. Ci si potrebbe, ad es., ispirare all’art. 315 bis, comma IV, c.c. secondo il quale “Il figlio deve rispettare i genitori e deve contribuire, in relazione alle proprie capacità, alle proprie sostanze e al proprio reddito, al mantenimento della famiglia finché convive con essa.”, applicando il quale ben si potrebbe “indennizzare” il genitore che per effetto delle sue scarse risorse e degli oneri inevitabilmente sostenuti nell’ospitare il figlio si trovasse in credito verso di lui; anziché mantenere in vita (o creare: il figlio potrebbe essere già maggiorenne al momento della separazione dei genitori) una relazione interna all’estinto rapporto di coppia, del tutto impropria visto che entrambi sono autonomamente obbligati verso il figlio e non tra loro.

La discutibile definizione e gestione delle “spese straordinarie”. Dopo di che, entrando nel vivo della questione, la SC in 1562/2020 affronta il problema delle “spese straordinarie” – da dividere tra i genitori, tipicamente al 50%, nella errata convinzione che così si realizza il mantenimento diretto – delle quali dà una definizione quasi ragionevole: seguendo Cass. 08/06/2012, n. 9372, “quelle che per la loro rilevanza, la loro imprevedibilità e la loro imponderabilità esulano dall’ordinario regime di vita dei figli”. Quasi, perché se la imprevedibilità e la imponderabilità (ovvero indeterminatezza quantitativa) non permettono di decidere immediatamente in merito ad esse, la rilevanza attiene evidentemente a voci certe nell’an e nel quantum, che tuttavia dovrebbero essere considerate “straordinarie” per effetto di una valutazione della loro pesantezza del tutto soggettiva e quindi contestabile.

Il fatto è che ancora una volta la SC non realizza che una classificazione costruita sul modello dei Protocolli diffusi in tutta Italia, che può essere minuziosa (per non dire pedante) quanto si voglia, ma che comunque non coglie e non definisce l’aspetto più delicato della questione: anche per il gruppo delle voci da concordare resta indeterminato chi prende l’iniziativa di proporre la spesa all’altro e chi materialmente procederà. Mentre per quelle che non richiedono consultazioni può addirittura succedere che provvedano entrambi all’insaputa uno dell’altro.

Tutto questo in linea di principio. Ma in pratica le cose vanno ancora peggio. Per la definizione, infatti, di tipo operativo che viene data convenzionalmente alle cosiddette spese straordinarie, lo sono “quelle che non sono comprese nell’assegno”. Ciò vuol dire che l’assegno deve necessariamente esistere. Ma perché mai? Questa è una scelta a priori a favore del mantenimento indiretto, ovvero del genitore prevalente. Non a caso è proprio quest’ultimo che tipicamente su tutto decide e provvede, a prescindere dalla categoria di spesa, e poi per quelle considerate straordinarie dalla classificazione locale manda il conto all’altro chiedendo il parziale rimborso, sentendosi protetto da pronunciamenti come quello di Cass. 2127/2016, secondo il quale “Non è configurabile a carico del coniuge affidatario o presso il quale sono normalmente residenti i figli, anche nel caso di decisioni di maggiore interesse per questi ultimi, un obbligo di informazione e di concertazione preventiva con l’altro genitore in ordine alla effettuazione e determinazione delle spese straordinarie che, se non adempiuto, comporti la perdita del diritto al rimborso.“  Un sistema i cui difetti appaiono evidenti. A parte la violazione della norma che prescrive che il mantenimento sia diretto, il genitore che anticipa il denaro occorrente e poi attende il rimborso deve: tenere mensilmente una contabilità delle uscite; esporsi al rischio frequentissimo di contestazioni; di conseguenza conservare gli scontrini e ogni altro attestato che documenti l’uscita. Un meccanismo faticoso e farraginoso che crea, oltre tutto, un clima di tensione e di sfiducia.

Allora come procedere? Se si vuole rispettare la norma e al tempo stesso evitare effetti secondari indesiderabili conviene ripartire tra i genitori al momento della separazione tutte le spese già esistenti o prevedibili, ciascuna per intero, ma in modo che l’ammontare totale rispettivo sia proporzionale alle risorse. Le spese imprevedibili verranno divise, se e quando si verifichino, nella stessa misura. Tutto qui.

La posizione dell’avvocatura. E’ istintivo, tuttavia, chiedersi se questa difficoltà di comprensione sia limitata alla Suprema Corte o più estesa e quale ne sia la matrice culturale, ovvero quale ragionamento – accettabile o meno – stia alla sua base. La risposta è già intuibile dalla stessa vicenda che qui si esamina, visto che nessuna obiezione è stata mossa nel suo iter sulla sua forma, ma solo sulla sua misura. Comunque, un inequivocabile chiarimento è fornito dalle linee guida – largamente seguite – del Consiglio Nazionale Forense del novembre 2017 nella loro ampia introduzione.

Questa inizia richiamando la tesi secondo la quale “Con il venir meno del genitore affidatario in via esclusiva e con l’introduzione della natura meramente perequativa dell’assegno di mantenimento dei figli, qualcuno oggi ritiene … che la forma del mantenimento diretto debba ritenersi la più idonea a realizzare il principio della bi-genitorialità sotteso all’affidamento condiviso. La prassi che assegnava al genitore non convivente il ruolo di finanziatore con poteri di controllo ma senza poteri di gestione, sembra destinata a tramontare poiché in contrasto con il nuovo modello legale, che sostituisce all’affidamento monogenitoriale l’affidamento condiviso, alla potestà genitoriale la responsabilità genitoriale e all’assegno di mantenimento il mantenimento diretto.”

Tuttavia subito dopo si assume la posizione opposta, respingendola con le seguenti considerazioni: ““Non può sottacersi che questo modello familiare, fondato sull’effettiva eguaglianza economico-sociale, giuridica e culturale dei due genitori sembra faticare ad affermarsi nella nostra società, dove invece i ruoli genitoriali tradizionali, che assegnano alla madre la prevalenza dei compiti di cura ed accudimento, sono ancora molto marcati. L’assegno periodico di mantenimento, pertanto, trova la sua necessità nel diverso tempo di cura dedicato da ciascun genitore ai figli e in attuazione dei principi costituzionali di eguaglianza e solidarietà familiare disciplinati dall’art. 316 bis c.c.”

Un ragionamento che è veramente difficile condividere. Anche volendo seguire dei giuristi mentre si avventurano nel terreno per loro infido della sociologia – mettendo da parte con un certo sforzo le scelte del legislatore – proprio perché innegabilmente la donna è tuttora penalizzata nella ricerca di impiego, la carriera e la vita privata fino a che vive la vita familiare all’interno della coppia, non si vede perché dovrebbe protrarre questi ingiusti sacrifici una volta che questa ha fine, anziché tirare un sospiro di sollievo e chiamare il padre a fare la sua parte in condizioni di assoluta parità. Che poi è proprio quello che sostengono i principi costituzionali di uguaglianza e solidarietà, malamente citati.

Il problema appare dunque esteso all’intero sistema legale. Se poi si volesse cercare di compiere un ulteriore passo nell’analisi di questa difficoltà di comprensione mettendosi dal punto di vista di chi la incontra, si potrebbe azzardare che questa sorta di “blocco” discenda dall’associazione (corretta) della forma diretta del mantenimento con il concetto e gli indigeriti principi della bigenitorialità. L’avversione (evidente) per quest’ultima travolge anche la modalità, esaltando l’“assegno”: mettere tutto il denaro che serve per i figli nelle mani di un genitore solo – con il conseguente potere decisionale –  ben realizza nella sostanza il sempre amato affidamento esclusivo.

Marino Maglietta                     altalex             8 aprile 2020

 www.altalex.com/documents/news/2020/04/08/mantenimento-diretto-modalita-che-cassazione-non-riesce-a-comprendere

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ASSOCIAZIONE ITALIANA CONSULENTI CONIUGALI E FAMILIARI

Ascolto a distanza

Per la campagna dell’AICCeF sull’ascolto a distanza, a sostegno delle famiglie,

https://ilconsulente26.blogspot.com/2020/04/laiccef-e-lascolto-distanza.html

viene pubblicato l’elenco dei Consulenti Familiari che hanno aderito, fino ad ora, all’iniziativa

https://ilconsulente26.blogspot.com/2015/10/giornata-di-studio-e-assemblea-dei-soci.html

e quello delle Strutture Consultoriali che hanno attivato un punto di ascolto (in allestimento)

www.aiccef.it/it/news/l-ascolto-telefonico.html

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AUTORITÀ GARANTE MINORI

    La nota inviata al presidente Giuseppe Conte

L’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza (Agia), Filomena Albano, ha scritto al presidente del Consiglio dei Ministri, Giuseppe Conte, chiedendo interventi urgenti per bambini e ragazzi che in questi giorni sono alle prese con le misure di contenimento dell’epidemia causata dal coronavirus.

                  

 La nota inviata al presidente Giuseppe Conte

 Al Presidente del Consiglio dei Ministri                                Gentile Presidente,

Le scrivo per segnalarLe la difficile e complessa situazione che stanno vivendo i bambini e ragazzi nel nostro Paese, per i quali le misure di contenimento adottate per contrastare il diffondersi del virus Covid- 19 hanno inciso in modo significativo.

Tali misure, finalizzate alla tutela prioritaria della salute pubblica, impattano su tutti ma soprattutto su quei bambini e ragazzi che vivono, nella attuale situazione, una condizione di aggravata vulnerabilità, quali, ad esempio, i minorenni con disabilità, quelli che vivono fuori famiglia, quelli che versano in condizioni di povertà economica ed educativa o in condizioni di marginalità sociale, i figli dei genitori detenuti, quelli che vivono in famiglie problematiche, i figli di genitori separati, i ragazzi inseriti nel circuito penale, quelli segnati dall’epidemia.

Questi bambini e ragazzi, costretti all’isolamento, senza andare a scuola, senza contatti sociali e in alcuni casi senza adeguati supporti di tipo educativo, psicologico e didattico, si ritrovano a vivere in condizioni difficili, spesso drammatiche, di isolamento, pericolo ed emarginazione.

Si è ben consapevoli degli sforzi fatti dalle istituzioni in una situazione complessa che si è evoluta molto rapidamente. Tuttavia, la necessità di tutelare prioritariamente il diritto alla salute e di contrastare e prevenire l’emergenza epidemiologica va contemperata con altri diritti, sanciti anche a livello internazionale, quali il diritto di uguaglianza e di non discriminazione in vista di realizzare il principio del superiore interesse del minore.

È nostro dovere operare un bilanciamento tra tutti i diritti coinvolti, affinché i bambini e i ragazzi vulnerabili e le loro famiglie non vengano lasciati soli.

I bambini e i ragazzi con disabilità. I bambini e i ragazzi con disabilità e le loro famiglie vivono con particolare difficoltà la condizione di isolamento dettata dall’emergenza sanitaria. Il cambiamento repentino della routine quotidiana, cadenzata da momenti educativi, di socializzazione, assistenziali, terapeutici e riabilitativi, rischia di incidere fortemente sul loro equilibrio e sul loro benessere psico-fisico.

A ciò si aggiunga il fatto che non sempre è facile o possibile spiegare ai bambini e ai ragazzi il perché di tale cambiamento e il motivo per cui si è costretti a rimanere a casa. La chiusura delle scuole, dei centri e dei servizi semi-residenziali di cui fruivano, accompagnata dalla riduzione o interruzione delle prestazioni assistenziali, terapeutiche-riabilitative, hanno di fatto determinato una gestione delle conseguenze a carico delle famiglie, da sole impossibilitate a svolgere tutte le funzioni di cura, assistenza, socializzazione e riabilitazione di cui necessitano i loro figli. Tale situazione, rischia, peraltro, di compromettere i risultati faticosamente raggiunti con le terapie riabilitative e con gli interventi educativi e di socializzazione, creando di fatto una condizione di ulteriore diseguaglianza.

I bambini e i ragazzi in situazione di povertà economica, educativa e di marginalità sociale. Sono tanti i bambini e i ragazzi in situazione di povertà economica, ed educativa, che a volte non hanno genitori in grado di dare loro informazioni adeguate e di sostenerli affettivamente ed emotivamente. L’isolamento sociale, se non accompagnato da informazioni adeguate dal punto di vista educativo, rischia di creare disorientamento, incertezza e confusione. È quanto mai importante raggiungerli e fornire loro informazioni adeguate, stimoli positivi anche attraverso il servizio pubblico, radio e televisivo, o con interventi da remoto, per restituire un ritmo quotidiano alle giornate e segnali di speranza. Allo stesso modo occorre monitorare la loro condizione, per cogliere eventuali segnali di disagio conclamato.

Allo stesso modo non vanno dimenticati i minorenni in condizione di marginalità sociale, come quelli che vivono all’interno dei campi rom, dove la precarietà abitativa rischia di amplificare il rischio del contagio.

La didattica a distanza non risponde al principio di uguaglianza sostanziale se tanti bambini, in condizioni socio economiche svantaggiate non sono raggiunti. Nessuno studente dovrebbe rimanere indietro a causa del digital divide, eppure ci sono tanti ragazzi sprovvisti di computer o tablet, nonché di connessione ad internet. Le istituzioni scolastiche non sono sempre munite degli strumenti necessari per attivare modalità di apprendimento a distanza, indispensabili affinché venga garantito il diritto allo studio, anche in questa situazione di eccezionale emergenza.

Figli di genitori detenuti.  Occorre garantire il diritto dei figli dei genitori detenuti alla continuità del legame affettivo con il proprio genitore, coltivabile pure a distanza, anche ora che sono state sospese le visite esterne, i permessi e provvedimenti di semilibertà. Nei momenti di difficoltà è importante dare la possibilità a bambini e ragazzi di esprimere le proprie paure, le proprie incertezze e di essere ascoltati e supportati.

I bambini e i ragazzi che vivono in famiglie problematiche. L’isolamento, la convivenza forzata, possono comportare per i figli che vivono in famiglie problematiche il rischio di una maggior esposizione a situazioni di violenza diretta o assistita. Stare a casa, scollegando la famiglia dal contesto scolastico ed educativo, può aggravare situazioni già in atto di maltrattamenti e rendere più difficile attivare gli interventi delle forze dell’ordine e i conseguenti meccanismi di protezione. Situazione aggravata dall’avvenuta sospensione degli interventi di supporto educativo per nuclei familiari fragili (inserimento in centri semiresidenziali, diurni, educativa territoriale e domiciliare).

I bambini e i ragazzi che vivono fuori famiglia. I bambini e ragazzi che vivono fuori dalla famiglia di origine sono temporaneamente inseriti in comunità o accolti da famiglie affidatarie. Sono bambini e ragazzi per i quali l’isolamento forzato può minare la tenuta di una situazione già vulnerabile. Alcuni di loro stanno elaborando la peculiarità della loro storia e sono in una fase di ricostruzione assistita del rapporto con la famiglia di origine. Le stringenti regole sanitarie, la sospensione degli incontri con le famiglie, possono portarli ad accentuare il desiderio di fuga, a sviluppare forme depressive o comportamenti di autolesionismo e di violenza. Hanno bisogno di supporto continuativo qualificato, che in questo momento richiede agli operatori turni più lunghi, anche per la necessità di coprire i tempi persi dalla scuola, e impegno rafforzato. Interventi indispensabili per evitare che i ragazzi scivolino in situazioni più gravi che possano portare a conseguenze estreme. E’ essenziale non farli sentire soli, spiegare loro cosa sta succedendo, agevolare forme di contatto a distanza con l’esterno.

E poi ci sono i care leavers, ragazzi neomaggiorenni cresciuti in comunità o in affido. Molti di loro oggi vivono soli o sono rientrati nelle famiglie di origine. Alcuni tra loro vivono altrettante situazioni di rischio perché privati dell’aiuto necessario.

I figli di genitori separati o divorziati. E’ importante che entrambi i genitori supportino i figli e collaborino tra di loro per trovare soluzioni rispondenti al loro superiore interesse. I bambini e i ragazzi hanno bisogno di sapere di essere nei pensieri dei loro genitori, di poter fare affidamento su di loro e di mantenere rapporti con entrambi. Ogni situazione ha le sue peculiarità, ogni separazione ha le sue regole, ma questo è il momento di far ricorso al buon senso e riscoprire quel profondo sentimento di protezione nei confronti dei figli. I bambini e i ragazzi hanno il diritto di essere ascoltati, i genitori hanno la responsabilità di intercettare i loro bisogni. È fondamentale che i figli mantengano i rapporti con entrambi, seppure a distanza. Quando questo periodo sarà finito tutti, ma i bambini e i ragazzi in particolare, avranno bisogno di elaborare ciò che è accaduto.

                I minorenni ristretti. Vi sono poi i minorenni ristretti presso gli istituti penali o quelli comunque sottoposti a una misura restrittiva della libertà personale, che, nella situazione emergenziale hanno dovuto sospendere i percorsi di istruzione e formazione, così come la fruizione di permessi, troncando di fatto ogni rapporto con l’esterno. Questi ragazzi esprimono l’esigenza di ricevere un’adeguata informazione, assistenza sanitaria e un ulteriore supporto psicologico, anche a fronte del carico emotivo derivante dall’interruzione dei contatti con i familiari e con il mondo esterno e dalla paura del contagio.

Minori stranieri non accompagnati. L’emergenza sanitaria rischia di avere un effetto pesante anche sui minori stranieri non accompagnati, bambini e adolescenti che sono arrivati nel nostro Paese senza adulti di riferimento e che l’Italia ha accolto. Essi rischiano di veder compromessi i percorsi di inclusione e il loro benessere psicofisico a causa dell’incertezza nella quale anche loro “vulnerabili tra i vulnerabili” attualmente si trovano.

I bambini e i ragazzi segnati dall’epidemia. Vi è infine una nuova categoria di vulnerabili generata dal propagarsi dell’epidemia. Sono le vittime indirette del virus, i bambini e i ragazzi figli di pazienti ricoverati in ospedale o finanche deceduti, che potrebbero anche essi risultare positivi al contagio. Si tratta di una emergenza nell’emergenza che richiede l’adozione di interventi tempestivi di tutela che consentano, nel limite del possibile, di garantire la continuità degli affetti e un adeguato sostegno materiale e psicologi

Nonostante gli sforzi e gli strumenti messi in campo dalle istituzioni e dal terzo settore per fronteggiare l’emergenza, giungono da parte delle organizzazioni del settore e da privati cittadini segnali di grande difficoltà, riferiti alle situazioni di vulnerabilità illustrate in via esemplificativa, per il superamento delle quali si rende necessaria l’adozione di ulteriori misure di sostegno. E’ necessario pensare al presente dei bambini e dei ragazzi, per garantire loro un futuro.

Alla luce di quanto rappresentato, questa Autorità garante, nell’esercizio dei propri compiti e in chiave di collaborazione istituzionale, segnala i seguenti interventi quali necessari per assicurare la piena promozione e tutela dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza.

  • In ambito nazionale occorre dare tempestiva attuazione alle misure già adottate e fornire indicazioni chiare per garantire interventi coordinati e omogenei nel Paese. Occorre altresì adottare ulteriori misure mirate a garantire adeguate risorse economiche e umane anche in campo psico-socio-educativo.
  • In ambito regionale è opportuno attivare, come è già stato fatto da alcune regioni, cabine di regia locali per mettere a sistema le risorse esistenti (fare rete) e trovare soluzioni che garantiscano la continuità degli interventi urgenti e la riorganizzazione dell’offerta dei servizi attraverso l’attivazione di collegamenti informatici e la valorizzazione delle attività domiciliari.
  • Per i bambini e i ragazzi con disabilità, le loro famiglie e gli operatori del settore è importante adottare misure specifiche, che si sviluppino in un’ottica di sistema (non frammentata e segmentata) e che tengano conto dei principi di continuità – dei percorsi e degli interventi – e di specificità, in relazione all’età e alla tipologia di disabilità, di disagio e/o disturbo.
  • Per i bambini e i ragazzi in povertà economica, educativa o di marginalità sociale è importante intervenire con misure che connettano, attivino, responsabilizzino, e che siano comprensive di interventi da mettere in campo nel post emergenza da COVID-19, affinché il gap educativo sia colmato tempestivamente, nella considerazione della maggiore efficacia rivestita dagli interventi precoci, peraltro rispondenti al superiore interesse del minore.
  • Per rendere effettivo il diritto all’istruzione, occorre che gli interventi necessari ad attivare la scuola a distanza siano realizzati tempestivamente e che i bambini e i ragazzi, che ne sono privi, vengano al più presto dotati di computer o tablet nonché di connessione di rete, così come dei materiali didattici e degli altri supporti (recupero scolastico da remoto) necessari a dare continuità ai percorsi educativi. Inoltre, è auspicabile garantire oltre a una cabina di regia unitaria a livello centrale, anche dei coordinamenti a livello locale con il duplice obiettivo di monitorare quanti studenti sono effettivamente raggiunti, con quali modalità e livello di efficacia, di porsi in ascolto di nuove proposte e di eventuali nodi critici e di verificare se e in quale misura la situazione emergenziale che stiamo vivendo incida sulla dispersione scolastica.
  • Per garantire la continuità dei rapporti dei figli con i genitori detenuti si auspica che vengano individuate e rafforzate modalità per attivare incontri a distanza, seppur rispondenti alle esigenze di sicurezza.
  • Per garantire una adeguata tutela ai ragazzi che vivono in situazioni familiari a rischio occorre prevedere delle procedure semplificate per attivare l’eventuale intervento delle forze dell’ordine. È importante inoltre rassicurare le persone che si trovano in questa situazione in merito alla piena operatività del sistema di tutela e della rete antiviolenza anche durante l’emergenza. Occorre, infine, sensibilizzare la popolazione rispetto all’importanza di contattare le forze dell’ordine a fronte del sospetto di situazioni di violenza.
  • Per i ragazzi del circuito penale, lì dove una attenta valutazione della posizione giuridica e della condizione personale lo consenta, dovrebbe essere agevolato il ricorso a misure alternative alla detenzione in istituto penale e, fatte salve le valutazioni caso per caso, dovrebbero essere limitate le misure di aggravamento delle custodie cautelari più lievi (prescrizioni e permanenza in casa) per gli evidenti rischi, anche sanitari, derivanti da nuovi ingressi in comunità o in istituto penale. Inoltre, si avverte l’esigenza di compensare le ulteriori limitazioni e restrizioni derivanti dalle esigenze di contenimento epidemiologico, favorendo l’accesso a mezzi di comunicazione alternativi (come il telefono o la comunicazione VOIP ovvero le telecomunicazioni informatiche), contemperando il diritto alla riservatezza con le esigenze di sorveglianza.
  • Per i minori stranieri non accompagnati e neomaggiorenni è indispensabile garantire la stabilità dell’accoglienza, evitando trasferimenti non strettamente necessari e consentendo agli stessi di restare nelle comunità e nei centri oltre il compimento dei 18 anni e oltre il termine dell’emergenza; occorre garantire le nomine dei tutori, anche in ragione della particolare importanza di questa figura di rappresentanza e tutela in un momento così delicato e incerto; supportare gli operatori dei centri e delle comunità chiamati anche allo svolgimento di compiti supplementari e assicurare che siano dotati dei dispositivi di protezione e che gli spazi siano adeguati e sanificati.
  • Per i bambini e i ragazzi, segnati dall’epidemia, occorre definire tempestivamente interventi di protezione e tutela che favoriscano la continuità affettiva con i familiari più vicini e offrano un adeguato supporto materiale e psicologico. Sarebbe altresì auspicabile attrezzare spazi dedicati per accogliere loro, qualora si rendesse necessario il ricovero.

Nel garantire la piena disponibilità a collaborare per l’attuazione delle misure indicate si rappresenta che, in questo periodo di straordinaria emergenza, l’Autorità garante mantiene ferma e rafforza la sua azione di “ascolto”, mirato a intercettare le necessità e i bisogni di tutti e in particolare dei più fragili che spesso sono meno evidenti, ma non per questo meno importanti. Un ascolto finalizzato a raccogliere e diffondere come buone prassi le soluzioni nate dai territori, ma anche a indicare alle istituzioni gli interventi da realizzare prioritariamente in risposta alle nuove esigenze nate dall’emergenza.

  • Magistrato   Filomena Albano                                  27 marzo 2020

www.garanteinfanzia.org/sites/default/files/nota-agia-coronavirus_1.pdf

 

Didattica a distanza e diritti degli studenti

L’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza e il Ministero dell’istruzione hanno messo a punto una mini guida per docenti intitolata “Didattica a distanza e diritti degli studenti”. L’obiettivo è quello di offrire agli insegnanti uno strumento metodologico-pratico per proseguire l’azione educativa nel rispetto dei diritti delle persone di minore età, così come sanciti dalla Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. www.garanteinfanzia.org/sites/default/files/miniguida-mi-agia-didattica-a-distanza.pdf

Questo nei difficili giorni dell’emergenza coronavirus, nel corso dei quali docenti e studenti, insieme alle loro famiglie, si stanno mettendo in gioco sperimentando la didattica a distanza. I bambini e i ragazzi inoltre vivono a fatica l’isolamento sociale: una condizione nella quale occorre cambiare le regole del gioco e accompagnare tutti ad apprendere modalità creative per entrare in relazione.

            La mini guida rappresenta uno strumento che offre riflessioni e stimoli a partire dal “Manifesto della scuola che non si ferma” del Ministero dell’istruzione e dalla Convenzione Onu. La guida, scaricabile dai siti dell’Agia e del Ministero dell’istruzione, è stata realizzata dal Comitato paritetico istituito in attuazione del protocollo di intesa tra il Ministero e l’Autorità garante.

             Didattica a distanza e diritti degli studenti. Mini-guida per docenti (pdf)

www.garanteinfanzia.org/sites/default/files/miniguida-mi-agia-didattica-a-distanza.pdf

La mini guida è suddivisa in cinque paragrafi, corrispondenti a cinque articoli della Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Ogni paragrafo, poi, è articolato, in suggerimenti di attività pratiche.

Ai docenti viene chiesto anche di inviare all’ indirizzo di posta elettronica lascuolanonsiferma@istruzione.it idee, video e spunti ulteriori che potranno diventare patrimonio comune della comunità educante. L’ottica scelta, dunque, è bidirezionale: si offre uno strumento metodologico-pratico e, contemporaneamente, ci si pone in posizione di ascolto.

www.garanteinfanzia.org/news/coronavirus-mini-guida-docenti-su-didattica-distanza-e-diritti

 

Coronavirus, il Bureau della Rete europea dei garanti (Enoc): “Assicurare i diritti dell’infanzia”

Gli effetti su bambini e ragazzi delle misure per contenere l’espansione del coronavirus hanno richiamato l’attenzione dell’Enoc, la Rete europea dei garanti della quale fa parte anche l’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza italiana. Il Bureau dell’ENOC ha invitato i governi, la Commissione europea e il Consiglio d’Europa ad adottare ogni iniziativa utile a garantire il rispetto dei diritti previsti dalla Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza e dai commenti generali del Comitato Onu per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. 

            L’Enoc pone l’accento, in particolare, sui diritti a una corretta informazione, alla protezione da violenza e abusi, alla salute, allo sviluppo, a un adeguato livello di vita e al diritto all’istruzione. L’attenzione viene richiamata anche sui bimbi di strada, sui minorenni migranti e su quelli non accompagnati. Il testo dello statement è stato tradotto in italiano dall’Autorità garante.

                I diritti dei minorenni nel contesto dell’epidemia di COVID-19

    Sono cruciali, secondo l’Enoc, informazioni chiare e adeguate all’età, anche per controbilanciare la disinformazione. Necessarie, poi, disposizioni speciali per i minorenni vulnerabili. L’autoisolamento, la quarantena e il blocco delle attività possono aumentare il rischio di violenza familiare e domestica. Durante l’emergenza da Covid-19 è dunque necessario fare opera di sensibilizzazione contro violenze e abusi, incluse le punizioni fisiche.  

La Rete europea chiede che i genitori siano assistiti quanto più possibile durante il periodo di emergenza sanitaria, che le famiglie più vulnerabili beneficino di assegni familiari o di alimenti non più forniti dalle mense scolastiche e che siano prese misure per affrontare diversi aspetti della povertà.

Positivo per l’Enoc il ricorso alla didattica a distanza in molti Paesi, ma ciò non deve tradursi in una pressione ulteriore per le famiglie in questo periodo di ansia. Preoccupazione viene espressa pure per l’impatto della crisi Covid-19 sui bambini e ragazzi che vivono fuori dalla famiglia di origine e sugli operatori.  Va garantito poi un tetto ai bambini di strada nonché a tutti i minori non accompagnati e sono da sospendere le espulsioni. Chieste, infine, misure a tutela delle partorienti e delle neomamme.

Agia    6 aprile 2020

www.garanteinfanzia.org/news/coronavirus-appello-enoc-assicurare-i-diritti-infanzia

 

Il grido dei minori a rischio

La Garante a Conte: sui ragazzi vulnerabili conseguenze pesantissime per l’emergenza sanitaria. Le misure decise dal governo per la tutela della salute «impattano su tutti, ma soprattutto su quei bambini e ragazzi che vivono, nella attuale situazione, una condizione di aggravata vulnerabilità». Come minorenni con disabilità, quelli che vivono fuori famiglia, che versano in condizioni di povertà economica o educativa, figli di genitori separati, figli di detenuti, quelli che vivono in situazioni problematiche, quelli segnati dall’epidemia. Per tutti questi ragazzi servono interventi specifici, tutele organiche, aiuti modellati sui loro bisogni.

 Lo scrive in una nota al presidente Conte, la garante per l’infanzia e l’adolescenza, Filomena Albano, sottolineando come questi ragazzi sono «costretti all’isolamento, senza andare a scuola, senza contatti sociali e in alcuni casi senza adeguati supporti di tipo educativo, psicologico e didattico». I ragazzi con disabilità per esempio vivono con particolare difficoltà la situazione di isolamento imposta dall’emergenza sanitaria. Per molti di loro «il cambio repentino della routine quotidiana rischia di incidere fortemente sull’equilibrio e sul benessere psicofisico». C’è poi il grande capitolo dei ragazzi in condizioni di povertà economica, educativa e di marginalità sociale. Qui la garante ricorda i minorenni che non dispongono neppure dello stimolo positivo rappresentato da tv, radio, media, come i ragazzi che vivono all’interno dei campi rom, i figli di genitori detenuti, o in situazioni problematiche, quando per esempio «stare a casa, scollegando la famiglia dal contesto scolastico ed educativo, può aggravare situazioni di maltrattamenti e rendere più difficile attivare gli interventi delle forze dell’ordine e i conseguenti meccanismi di protezione».

Strettamente collegato a questi aspetti, quello dei minori fuori famiglia. Sono ragazzi che, in comunità o accolti da famiglie affidatarie, stanno «elaborando la peculiarità della loro storia e sono in fase di ricostruzione assistita del rapporto con la famiglia di origine». L’isolamento forzato e la sospensione degli incontri con le famiglie possono sviluppare forme depressive o comportamenti di autolesionismo. Da qui la necessità di «supporto continuativo qualificato» per evitare che questi ragazzi scivolino in situazioni di gravi. Come la stessa attenzione va riservata ai figli di genitori separati e divorziati che vanno aiutati a mantenere il rapporto con entrambi i genitori.

Per tutte queste situazioni Filomena Albano indica una serie di interventi di tipo educativo, strutturale ed economico, raccogliendo i segnali di difficoltà giunti dal terzo settore e da organizzazioni del settore. A questo proposito erano arrivati però anche auspici, da parte di alcuni associazioni, per un ricorso ancora più disinvolto all’articolo 403 del codice civile che permette l’allontanamento coatto dei minorenni dalle famiglia sulla base di una valutazione anche esclusiva dei servizi sociali. Ipotesi che aveva sollevato ondate di critiche.

 In particolare un gruppo di avvocati, di esperti e di addetti ai lavori ha indirizzato al governo una lettera aperta – prima firmataria l’avvocato Patrizia Micai, impegnata da anni nella difesa delle vittime della malagiustizia – in cui si spiega perché la sollecitazione all’articolo 403 appare del tutto fuori luogo: «Il sistema che noi firmatari contestiamo abusa troppo spesso proprio dell’art. 403 del Codice civile, eludendo sistematicamente la norma che dispone “tempestiva comunicazione del provvedimento ai genitori del minore dando conto delle motivazioni”, trasformando questo intervento nell’esproprio del minore, provocando conseguenze emotive atroci e un doppio trauma: quello del bambino e quello dei genitori, difficilmente gestibile in un momento di tale emergenza sanitaria».

Come appare inaccettabile la proposta, sempre contenuta nell’appello di alcune associazioni, di dare vita a una task force tra istituzioni: «Chi deciderà la composizione della task force? Quante saranno, e dove? I Servizi sociali dei Comuni in questo momento non possono garantire nemmeno i servizi indispensabili, non riescono neppure a contattare i cittadini in difficoltà e a supportarli, si affidano per lo più alla polizia municipale e alla Protezione civile».

Da qui la richiesta di convocare ai tavoli istituzionali le vere vittime «ovvero le associazioni che rappresentano le vittime, i loro tecnici avvocati e consulenti al fine di instaurare tavoli partecipati per la rinnovata e ricostruita tutela del bambino».

            Luciano Moia Avvenire         9 aprile 2020

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202004/200409moia.pdf

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BIBBIA

In che lingua parlava Gesù?

E i protagonisti dei grandi eventi che portarono alla sua morte in croce? La questione, da tempo al centro del dibattito tra gli studiosi, può essere assunta proprio nei giorni della Settimana Santa, come filo rosso per comprendere alcune dinamiche fondamentali dell’annuncio della Buona Novella dall’inizio fino a noi.

Le quattro lingue della Palestina. Va detto innanzitutto che al tempo in cui si svolsero gli eventi descritti nei Vangeli quattro erano le lingue parlate in Palestina.

  1. Quella ufficiale (ma anche la meno diffusa: usata solo da un ristretto numero di funzionari pubblico) era il latino.
  2. Quella religiosa era l’ebraico, parlata nelle sinagoghe, dove si leggevano i testi della Torah, e dai farisei che erano gli ebrei più osservanti.
  3. Quella della vita quotidiana era invece l’aramaico, che il popolo aveva adottato dopo il ritorno dall’esilio babilonese (VI sec. a.C.).
  4.  E infine il greco della koiné (antico dialetto greco), che era un po’ come l’inglese di oggi, parlata ovunque. Ebraico e aramaico erano lingue semitiche, imparentate tra loro come ad esempio l’italiano e il napoletano, dato che l’aramaico (nell’VIII secolo a.C. lingua delle comunicazioni internazionali nella Mesopotamia) era diventata una sorta di dialetto.

Gesù parlava solo l’aramaico? Tra queste quattro lingue è ormai certo che quella usata da Gesù per la predicazione e per i colloqui con i discepoli fosse l’aramaico. Come ricorda Rinaldo Fabris, nel suo “Gesù il Nazareno” (Cittadella Editrice), sono almeno una ventina i passi dei Vangeli canonici (scritti in greco) in cui vengono citate parole o espressioni aramaiche. Per limitarci a quelle che riguardano la Settimana Santa: “Abba” (Padre), usato da Gesù nel Getsemani; “Eloi Eloi lemà sabachtani” (Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato) cioè le ultime parole di Cristo sulla croce secondo Marco e Matteo; il toponomastico Golgotha (“Luogo del cranio”) per indicare l’altura della crocifissione; e infine l’appellativo “rabbunì” (maestro mio) con cui Maria di Magdala chiama Gesù dopo la risurrezione. E a proposito di vittoria sulla morte, possiamo citare ancora il “talità qum”, (ragazza alzati) con cui Cristo riporta in vita la figlia di Giairo.

Del resto è naturale: cresciuto ed educato in una modesta famiglia della Galilea che abitava a Nazareth, villaggio di poche centinaia di abitanti, Egli certamente aveva come lingua materna l’aramaico occidentale che si parlava nella sua terra. Tra l’altro connotato da accento diverso da quello in uso a Gerusalemme, come attesta il “riconoscimento” di Pietro, nella notte dell’arresto di Gesù (Mt 26,73) proprio a motivo di come parlava.

L’aramaico, scelta di incarnazione. Questo fatto ci dice già una cosa importante. La concretezza dell’incarnazione vale per tutti gli aspetti della vita. Gesù si esprime in un idioma che tutti possono comprendere e poco importa se non è la lingua dei dotti. Anzi proprio questa vicinanza ai “piccoli”, al punto da parlare in “dialetto”, conferma se mai ce ne fosse bisogno la sua “rivoluzione” delle periferie, come direbbe papa Francesco. Il quale, parlando ai genitori dei bambini che stava battezzando nella Cappella Sistina il 7 gennaio 2018, raccomandò: “La trasmissione della fede soltanto può farsi in dialetto, la lingua intima delle coppie. Nel dialetto della famiglia, nel dialetto di papà e mamma, di nonno e nonna”. E non è un caso che un grande santo e teologo come Tommaso d’Aquino abbia predicato il quaresimale del 1273 in dialetto napoletano.

Le ipotesi sull’ebraico e il greco. Ciò che resta ancora incerto è se Gesù sapesse parlare nelle altre lingue. Almeno l’ebraico e il greco. Quanto all’ebraico, bisogna registrare un simpatico siparietto durante la visita di papa Francesco in Medio Oriente nel 2014. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, durante un incontro ufficiale, disse al Pontefice: «Gesù ha vissuto qui, parlava ebraico». «Aramaico», lo corresse Francesco. Al che Netanyahu, immediatamente, precisò: «Parlava aramaico ma conosceva l’ebraico, perché leggeva le Scritture». Al di là dei cordiali sorrisi che chiusero l’episodio, viene da chiedersi: è proprio così? Secondo Fabris, “sulla base delle scarne informazioni del Vangeli non si è in grado di dare una risposta categorica alla domanda se Gesù sapesse leggere e scrivere”. E anche l’episodio riferito da san Luca, in cui nella sinagoga di Nazareth Egli prende e legge il rotolo del profeta Isaia, “non può essere addotto come prova che egli è in grado di leggere il testo ebraico della Bibbia”. Probabilmente infatti, argomenta lo studioso, quel racconto è il frutto di una rielaborazione dell’evangelista al quale interessa dire che Gesù è il Messia.

Tuttavia questo punto non è pacifico fra gli esegeti. Stefano Tarocchi, biblista e preside emerito della Facoltà Teologica dell’Italia centrale, nota infatti che “diversi altri racconti dei Vangeli favoriscono la teoria secondo cui Gesù era in grado di servirsi anche dell’ebraico quando la situazione lo richiedeva”. Soprattutto le conversazioni e discussioni con capi religiosi ebrei. “Questi dialoghi di solito avvenivano in ebraico anche tra chi aveva come prima lingua l’aramaico. Per essere credibile come interlocutore, con molta probabilità Gesù usava l’ebraico quando era impegnato in discorsi teologici con i farisei, gli scribi e gli altri capi ebrei”.

Quanto al greco, alcuni esegeti hanno ipotizzato che Gesù potesse conoscerlo, dato che vicino a Nazaret c’erano Sepphoris, capitale della tetrarchia di Erode Antipa, e Tiberiade, centro commerciale di una certa importanza, dove i mercanti greci arrivavano facilmente. Ma Fabris esclude un’ipotesi del genere, così come la possibilità che egli abbia conversato o insegnato in greco.

In che lingua parlarono Pilato e Gesù durante il processo? Più possibilista è invece Tarocchi, citando la conversazione con il centurione romano di Matteo 8,5-13. “Anche Ponzio Pilato [*Tarragona -Spagna] nel processo – afferma – avrebbe usato il greco, non il latino, come ha invece immaginato Mel Gibson in The Passion. Non è nemmeno ipotizzabile che un governatore romano abbia potuto conoscere ed usare l’aramaico”. Tuttavia il dialogo potrebbe essersi svolto con l’intermediazione di un interprete (anche se nei Vangeli non se ne fa menzione), perché quello a Gesù non era certamente l’unico processo che Pilato fece nella sua carriera e la registrazione di un particolare così scontato può essere stata considerata superflua.

L’importanza del greco per l’evangelizzazione. Il greco però sicuramente entra in scena – e pesantemente – dopo la risurrezione. Soprattutto grazie alle lettere di Paolo, che sono i documenti più antichi del Nuovo Testamento, tutto scritto nell’”inglese” dell’epoca.

A questo punto il cambio di priorità, e dunque di paradigma anche linguistico, appare evidente. Alla logica dell’incarnazione si affianca quella dell’universalità del messaggio evangelico, che essendo destinato a tutti gli uomini, ha bisogno di un veicolo comunicativo il più possibile conosciuto. Il greco, appunto, che diviene così la lingua della “fase due” dell’evangelizzazione, dopo il primo annuncio del Nazareno. A quel punto l’idioma originale parlato da Gesù diventa secondario, quasi ininfluente. “Siamo Parti, Medi, Elamiti e abitanti della Mesopotamia, della Giudea, della Cappadòcia, del Ponto e dell’Asia, della Frigia e della Panfilia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirène, stranieri di Roma, Ebrei e prosèliti, Cretesi e Arabi e li udiamo annunziare nelle nostre lingue le grandi opere di Dio”, esclameranno i presenti alla predicazione degli Apostoli, il giorno di Pentecoste. La voce di Cristo raggiunge ognuno nel suo linguaggio, secondo la doppia regola dell’incarnazione e dell’universalizzazione del messaggio della salvezza. E non è un caso che la Bibbia sia oggi il libro tradotto nel maggior numero di lingue al mondo.

Mimmo Muolo             Avvenire         7 aprile 2020

www.avvenire.it/chiesa/pagine/in-che-lingua-parlava-gesu

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CENTRO INTERNAZIONALE STUDI FAMIGLIA

Newsletter CISF – N. 14, 8 aprile 2020

Pandemia. Dilemmi etici per le cure agli anziani, tra utilitarismo e “la scelta di Enea”. Un breve e commovente video di Mauro Berruto, di grande attualità sull’emergenza Coronavirus, ma anche capace di allargare il cuore sul senso della vita, della cura, della resistenza dell’umano.

www.facebook.com/mauroberruto1969/videos/vb.102099063217390/137539324331895/?type=3&theater

Lo straordinario nel quotidiano – un libro. Mariantonia Avati, Il silenzio del sabato, Ed. La Nave di Teseo, Milano 2018, pp. 194, imperdibile! In occasione della Settimana Santa e della Pasqua di Resurrezione, da vivere con modalità assolutamente imprevedibili data l’emergenza pandemia, merita una lettura serena, fresca e meditativa questo splendido volume, scritto da una donna in onore e memoria di Maria, la madre di Gesù. Il ritratto che ne viene fuori rimane conficcato nel cuore, nel suo essere donna, madre, sposa, nel suo essere donna del sorriso, anzi, colei che “rise come mai altra donna avrebbe saputo ridere”. La storia accompagna Maria nei tre giorni del pianto, quelli più dolorosi della sua vita e della storia, da quando suo Figlio viene innalzato sulla croce fino al lieto annuncio della Sua Resurrezione. Non si può raccontare, questo libro: bisogna leggerlo! (F. Belletti).

v  Il ministro Elena Bonetti in dialogo con il Forum delle associazioni familiari. Riflessione in merito

www.famigliacristiana.it/articolo/ecco-le-proposte-del-ministero-per-le-famiglie-in-difficolta-un-segnale-di-ottimismo.aspx

Il 2 aprile 2020 sui canali social del Forum delle associazioni familiari il Ministro per la Famiglia Elena Bonetti ha dialogato con Gigi De Palo, presidente nazionale del Forum. Oltre 45 minuti di dialogo a tutto campo (con 383 interventi, domande e commenti sulla chat collegata), per ragionare su come le famiglie stanno attraversando l’emergenza Coronavirus, e soprattutto su come politica e Governo possono riconoscere il loro insostituibile ruolo: “famiglie come ossatura fondamentale del nostro Paese” […]”.

www.facebook.com/forumfamiglie/videos/284976969155915

Emergenza coronavirus

  • ISS – Istituto superiore della sanità. Qualche indicazione per gestire lo stress e mitigare l’ansia. Il 6 marzo 2020 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS/WHO) ha divulgato alcuni consigli da seguire per gestire lo stress associato alla emergenza sanitaria globale del COVID-19. A partire da quei documenti ecco un approfondimento sui comportamenti consigliati per gestire lo stress e mitigare l’ansia, rivolto alle persone confinate in casa e in particolare ai genitori di bambini da zero a tre anni

 www.iss.it/documents/20126/0/stress+raccomandazioni+OMS+in+italiano.pdf/9b697cea-8325-a777-a7a1-30a84eb20011?t=1583515083392

  • USAEmergenza pandemia. Alcune indicazioni per avvocati di famiglia e genitori separati (AFCC). Due preziosi documenti sintetici predisposti da un’importante network statunitense di operatori della giustizia minorile e del diritto di famiglia (AFCC, con molti associati anche a livello internazionale); il primo indirizzato agli operatori, e in particolare agli avvocati matrimonialisti

https://files.constantcontact.com/6beb60a3701/7d873ba4-8079-4eb3-b2e6-2ff3457bfe1f.pdf

     il secondo indirizzato ai genitori separati/divorziati

https://files.constantcontact.com/6beb60a3701/3a7d5f42-0c95-4739-b563-eff9481b636b.pdf

  • Ciascun documento contiene sette suggerimenti, con brevi descrizioni (Seven Tips).

Natalità e politiche pubbliche. Cosa serve di più. Quando sarà risolta la crisi causata dal coronavirus, l’Italia si troverà ad affrontare vecchie e nuove emergenze, tra le quali non è affatto secondaria la sua cronica denatalità. Un pregevole studio americano, “Pro-Natal Policies Work, But They Come With a Hefty Price Tag” (“Le politiche nataliste funzionano, ma a caro prezzo”) ha effettuato una comparazione tra i risultati ottenuti da Polonia e Ungheria, con i loro importanti investimenti sulla natalità, e i risultati attesi negli Stati Uniti dagli interventi in vigore e da quelli in discussione (peraltro, il tasso di fecondità USA è di 1,72 figli per donna, mentre l’Italia viaggia sotto l’1,3). Lo studio (molto documentato, e un ottimo esempio metodologico di come effettuare una valutazione preventiva dei risultati che ci si può realisticamente attendere da un determinato provvedimento), arriva a una conclusione molto importante: i sussidi monetari da soli non bastano, e rischiano di essere una montagna di soldi buttati, se non sono accompagnati da interventi sull’occupazione, l’istruzione, l’abitazione, gli ostacoli – anche culturali – al matrimonio. Icastica la chiosa finale: “Without such a broad approach, pro-natal efforts will involve spending a great deal of money without a lot of results to show for it” (senza un approccio globale, tanti soldi spesi, risultati minimi).

https://ifstudies.org/blog/pro-natal-policies-work-but-they-come-with-a-hefty-price-tag

Dati ISTAT sul welfare aziendale. Tema da non dimenticare, anche dopo l’emergenza coronavirus. Recentemente l’Istat ha reso noti i dati del Censimento permanente delle imprese, uno strumento di rilevazione che si propone di fornire un quadro puntuale della situazione delle aziende italiane. Tra i vari dati rilevati, di grande interesse per chi si occupa di politiche familiari sono i risultati relativi alle azioni volontarie per il benessere dei propri collaboratori. In sintesi “[…] circa il 53% delle nostre aziende con tre o più dipendenti (1.033.737) ha adottato almeno una misura per il sostegno alla genitorialità e alla conciliazione vita-lavoro. In particolare, il 20,5% delle imprese ha attivato forme di comunicazione interna per informare i lavoratori sui diritti legati alla genitorialità; per quanto riguarda i permessi e i congedi parentali e familiari, il 25,5% prevede interventi extra rispetto a quelli previsti dalla normativa in caso di nascita di un figlio; inoltre, il 22,5% predispone permessi specifici nel caso dell’inserimento di figli al nido o alla scuola dell’infanzia. Sono l’8,6% le imprese che scelgono invece di estendere volontariamente la durata del congedo parentale e il 15,6% quelle che lo fanno in caso di gravi motivi (di salute, familiari, ecc). La presenza di un asilo nido aziendale a condizioni gratuite o agevolate riguarda solo l’1,7% delle aziende […]”

www.secondowelfare.it/privati/aziende/istat-il-53-delle-imprese-ha-adottato-almeno-una-misura-per-il-sostegno-della-genitorialit-e-dell.html

Audizione del CNEL sul decreto “cura italia” (25 marzo 2020). Una stimolante analisi del provvedimento d’urgenza messo in campo dal Governo, e una puntuale rassegna delle misure integrative proposte da vari soggetti pubblici e privati- “[…]Tutti gli interventi ovviamente si sostanziano in misure-tampone, con una dotazione finanziaria che probabilmente dovrà essere rivista, a seconda dei prossimi sviluppi dell’epidemia e delle relative misure di contenimento. In conseguenza della emergenza sanitaria in atto le famiglie italiane hanno verosimilmente registrato un drastico incremento del loro lavoro di cura, con speciale riferimento ai minori, agli anziani ed ai disabili […]”.

www.cnel.it/Portals/0/CNEL/Presidenza/Audizione%20CNEL%2025%20marzo%202020%20-%20%20Disegno%20di%20legge%20a.s.%201766%20(d.l.%20182020%20covid-19)Comm.%205%20Senato%2025%20marzo%202020%20(1).pdf?ver=2020-03-25-150617-663

Centri residenziali e pandemia. Uno strumento per gestire l’emergenza. Se l’emergenza causata dal Coronavirus è certamente gravissima, e colpisce ormai tutte le fasce della popolazione, le categorie più deboli e fragili, quali le persone ricoverate all’interno di strutture residenziali per portatori di handicap o anziani non autosufficienti, sono ancora di più a rischio, come la cronaca di questi giorni ci mostra. Per questo, il gruppo Unità di Crisi Covid-19 di Anffas Nazionale – con la competenza e la grande sensibilità che caratterizza chi quotidianamente conduce una battaglia in difesa dei diritti e della dignità dei più deboli – ha pubblicato un “Documento sulla gestione delle emergenze nei centri residenziali”. L’obiettivo è quello di fornire indicazioni volte ad assicurare una riduzione dei rischi di contagio nelle strutture residenziali, l’ottenimento di condizioni di lavoro tali da tutelare la sicurezza e la salute di tutti i lavoratori ed ospiti e l’identificazione nonché la gestione tempestiva dei casi di infezione.

www.anffas.net/dld/files/Gestione%20delle%20emergenze%20nei%20centri_residenziali.pdf

Gli operatori sanitari, tra retorica degli eroi ed isolamento per la paura degli untori. Gli operatori sociosanitari rappresentano, a detta dello psichiatra, una delle categorie che necessitano di supporto psicosociale immediato. A lanciare l’allarme è Tonino Cantelmi, presidente dell’Istituto di terapia cognitivo-interpersonale (Itci) di Roma e coautore, con Emiliano Lambiase, dello studio ‘Covid-19: impatto sulla salute mentale e supporto psicosociale’. Infatti: […]se da un lato vengono esaltati, ammirati, quasi vissuti come degli eroi, dall’altro rischiano di essere gli untori e come tali possono essere vissuti dai familiari o dalle persone conviventi […]”

www.salutedomani.com/article/coronavirus_operatori_sociosanitari_eroi_o_untori_depressione_50_ansia_45_e_insonnia_34_serve_supporto_psicosociale_28971

Webinar – formazione a distanza

  • Progetti web della fondazione Crc-Cuneo, Webinar Riconnessioni Cuneo. “L’ecosistema della (dis)attenzione. Pensare una didattica per le nuove generazioni”.  Un innovativo intervento on line, legato ad un territorio specifico (la Provincia di Cuneo), che valorizza le potenzialità della rete (che per definizione eccedono i confini geografici di un territorio pre-definito). Un’interessante combinazione di strumentazioni “global” a servizio di attività “local”. “Parleremo di contenuti digitali e nuovi format narrativi nel corso del webinar. “L’ecosistema della (dis)attenzione. Pensare una didattica per le nuove generazioni”. L’iniziativa si inserisce tra le attività del progetto Riconnessioni che da quest’anno approda in provincia di Cuneo con la Fondazione CRC. Durante il webinar verrà presentata la nuova sezione “Riconnessioni Cuneo” sul sito www.riconnessioni.it che vuole diventare il punto di riferimento per tutti gli insegnanti e le persone interessate a conoscere le attività progettuali sul territorio e on-line”. L’intervento si rivolge principalmente a docenti, formatori ed educatori ma è aperto a tutte le persone interessate ad approfondire il tema. Relatori: Roberta Franceschetti ed Elisa Salamini cofondatori di Mamamò (Premio Andersen 2018 Migliore progetto sul digitale), associazione culturale e portale che promuove la cultura e l’alfabetizzazione digitale di adulti e bambini”.                                                                                                       www.riconnessioni.it

Iscrizione               http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/newsletter-cisf.aspx

Archivio     http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/elenco-newsletter-cisf.aspx

http://newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/aprile2020/5167/index.html

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CHIESA CATTOLICA

Avere fede senza saperlo

Durante la cena d’addio con i suoi discepoli Gesù non ha imposto un solo comandamento (quello dell’Eucaristia). Ha imposto loro tre comandamenti:

  1. Lavare i piedi degli altri (Gv 13, 1-15);
  2. Ricordare Gesù attraverso l’Eucaristia (1 Cor 1,24; cf. Lc 22,19; Mc 14, 22-26; Mt 26, 26-29);
  3. Il comandamento “nuovo” dell’amore reciproco (Gv 13, 33-35).

Tra le molte deviazioni e allontanamenti verificatisi nella Chiesa riguardo al Vangelo, spicca considerevolmente la riduzione a uno solo dei tre comandamenti (dell’Ultima Cena) di Gesù. La lavanda dei piedi è stata ridotta a un rituale religioso (che può essere soppresso, se lo decide il celebrante). E riguardo al “comandamento nuovo” dell’amore reciproco, molte persone non sanno neanche perché è “nuovo”; e soprattutto, nessuno perde il sonno se non è praticato; cosa che non solo “è frequente”, ma soprattutto si considera come “la cosa più naturale” o forse “normale”.

Mi sembra comprensibile che il comandamento su cui si è concentrato il più grande interesse della Chiesa e che è emerso maggiormente per la sua importanza, sia stato quello dell’Eucaristia. Non solo perché è stato costituito come un “sacramento”, cosa che non è successa con gli altri due comandamenti di Gesù (lavare i piedi agli altri e amarci reciprocamente come ci ha amato il Signore).

Oltre a ciò che ho appena detto, nella celebrazione dell’Eucaristia c’è un fattore di condizionamento decisivo e capitale, che non si verifica negli altri due comandamenti lasciatici da Gesù durante l’Ultima Cena. Vivere lavando i piedi degli altri (cioè, servendo gli altri), chi deve farlo? Solo i vescovi come successori degli apostoli? Devono farlo tutti i preti? Dobbiamo farlo noi tutti credenti in Gesù e nel suo Vangelo?

La verità è che noi teologi non ci siamo preoccupati molto di rispondere a queste domande. E se parliamo di amare gli altri come ci ha amato Gesù, questo è un buon “consiglio spirituale”. Ma un “comandamento”? Chi l’ha detto? … Bene, sebbene molte persone non lo sappiano o non ci pensino, servire gli altri e amare tutti, lo ha detto Gesù. Ed è molto chiaro nel Vangelo.

Allora perché tanta importanza al “comandamento eucaristico”? E perché così poco interesse per gli altri due “comandamenti” di Gesù? Mi sembra che la risposta sia semplice: vivere al servizio degli altri e, per di più, amando tutti, al di là di come la pensino o vivano, tutto ciò è duro, difficile e complicato. Molto complicato ed esigente. Mentre, al contrario, il comandamento dell’Eucaristia si basa e si spiega non a partire da un “dovere”, ma dal privilegio di un “potere”. Per questo motivo i chierici dicono nei loro sermoni: “dovete servire il vostro prossimo”, “dovete amare gli altri”, etc., etc. Ma, se si tratta di celebrare una messa, in quel caso, se non c’è un prete, non c’è messa. Perché il potere è potere. E il potere lo ha il clero. Siamo sicuri che Dio voglia questo? Gesù ha dato veramente queste disposizioni?

Inoltre – come se ciò non bastasse – questo potere è del tutto unico. Perché coloro che vi si sottomettono (cioè, tutti quelli che vogliono essere cristiani), al celebrante dell’Eucaristia devono sottomettere anche la parte più intima delle loro coscienze. E in cose fondamentali devono pensare come pensa il celebrante. E nella loro vita familiare e professionale comportarsi come dispone e decide il prete …, eccetera.

Davvero, possiamo essere sicuri che il Signore Gesù abbia disposto tutto questo in questo modo? Non si dovrebbe pensare, invece, che i teologi e il clero abbiano esagerato un p’ (o forse “molto”) in una smisurata ambizione di potere e comando? E finisco per ripetere ciò che ho già spiegato in un’altra occasione. Perché Gesù ha detto che l’ultimo comandamento che ci ha dato, è un comandamento “nuovo”? In cosa consisteva la novità?

La risposta è semplice: la tradizione di Israele univa sempre “l’amore di Dio” con “l’amore del prossimo” (Mc 12, 28-34; Mt 22, 34-40; Lc 10, 25-28). Nel comandamento dell’Ultima Cena non si menziona più Dio. Gesù si è limitato a dire: “amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato”. Perché non si menziona Dio? Perché Dio sta nell’altro. Cioè, colui che fa del bene a chiunque, crede in Dio e ama Dio. Anche se non lo sa e non lo sospetta. Dio si è umanizzato con tutte le conseguenze. “Quello che avete fatto a uno di questi, l’avete fatto a me” (Mt 25,40).

José Marìa Castillo          “Religiòn Digital” 9 aprile 2020  Traduzione Lorenzo Tommaselli

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202004/200409castillo.pdf

 

La profezia di Caifa

Non si può celebrare impunemente questa Pasqua senza chiedersi il significato dell’oceano di sofferenze in cui è oggi immerso tutto il mondo e senza chiedersi il significato della Pasqua stessa. Di per sé l’evento che ha dato origine alla Pasqua è stato un evento di ordinaria violenza, storicamente irrilevante, (infatti non annotato dagli storici di allora), in quanto simile a infinite altre sofferenze e morti inflitte nel tempo, di condanna in condanna, di genocidio in genocidio, fino ad ora. E nemmeno la sua ragione era inusuale, ma anzi del tutto comune, come risulta dalla motivazione di un presunto interesse generale, datane da Caifa, per cui occorreva “far fuori quest’uomo”, come papa Francesco ha riassunto la situazione nell’omelia a Santa Marta, con un efficace linguaggio non religioso che sarebbe piaciuto a Bonhoeffer. Quella che infatti veniva messa in campo era una “ragion di Stato”, come poi sarebbe avvenuto infinite altre volte nella storia. Gesù secondo il Sinedrio avrebbe messo a rischio il rapporto con gli odiati occupanti romani, i quali sarebbero venuti e avrebbero distrutto il tempio e la nazione. Dunque nella percezione degli Ebrei si trattava di un pericolo da togliere (“è bene che un uomo solo muoia per il popolo e non vada in rovina la nazione intera”), non di un sacrificio espiatorio da offrire in olocausto. La lettura della uccisione di Gesù come un sacrificio è una lettura cristiana, che viene dalla assimilazione mistica di Gesù al servo sofferente.

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/cotidie/2020/documents/papa-francesco-cotidie_20200404_ilprocesso-dellatentazione.html

            Perché dunque un evento storicamente così ordinario e seriale ha avuto un impatto così potente da dividere in due fasi la storia anche profana del mondo, e da essere registrato come dirompente anche da parte di chi non condivide la fede nella resurrezione? Bisogna tornare a Caifa, che l’evangelista Giovanni, riconoscendone l’autorità come sommo sacerdote, considera come un profeta suo malgrado: egli “profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione e non soltanto per la nazione, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi”. Di tale profezia non si è realizzata la prima parte, perché in effetti i Romani vennero e distrussero il tempio e la nazione, ma si realizzò invece la seconda, perché l’abbraccio di Dio fu riconosciuto come esteso dagli Ebrei a tutte le genti.

            Ora questo è avvenuto precisamente perché accettando la morte Gesù ha decostruito, e invalidato per sempre, inchiodandola alla croce, la legge (“il chirografo”, lo chiama Paolo) del sacrificio. Era l’ideologia per la quale la sofferenza e la morte erano tributate a Dio come espiazione per i peccati, cosa questa che, superati i sacrifici umani, era rappresentata nel sacrificio del capro espiatorio, e ritualmente dell’agnello pasquale. Questa costruzione umana che faceva di Dio colui che riceveva soddisfazione e lode dal dolore, diventava impossibile a concepirsi nel momento in cui ad addossarsi i peccati era Dio stesso e a patire era quello stesso Dio a cui quel patimento sarebbe stato dovuto. Già Dio lo aveva fatto sapere: “Misericordia voglio e non sacrifici”, ma Gesù lo rende irrefutabile col rivelare il proprio rapporto col Padre. Egli non dice solo: “Quello che farete a uno di questi piccoli lo farete a me”, ma dice anche: quello che fate a me lo fate al Padre. Questo è infatti il tema della controversia con i capi dei sacerdoti e i farisei, il suo rapporto col Padre: “Io e il Padre siamo una cosa sola”; e questo è ciò che poté essere espresso poi nella formula cristologica “Unus de Trinitate passus est”.  Da quel momento nessun sacrificio si può imputare a Dio, nessuna morte può essere inflitta a suo nome, nessuna sofferenza può essere causata per piacere a lui, e non solo le sofferenze imposte agli altri ma anche quelle inflitte a se stessi, cosa lontanissima dalla comprensione di un san Pier Damiani che afflisse tutta la Chiesa spargendo l’idea di un’ascesi autopunitiva selvaggia.

            E proprio questa è la buona notizia, non c’è alcuna sofferenza che possa essere ricondotta a un compiacimento di Dio; e poiché Dio è il bene, nessuna sofferenza può essere inflitta a fin di bene, la pena di morte è ormai condannata anche dal catechismo. Certamente la sofferenza resta, e molto si impara nel soffrire, e talvolta essa dilaga, senza responsabilità di alcuno; e c’è pure una sofferenza che è la conseguenza non voluta di scelte e comportamenti giusti e necessari; ma nessuna sofferenza può essere voluta direttamente in quanto tale o imposta per se stessa. Ad esempio oggi la sofferenza causata dalle misure prese contro il virus è grande, ma essa è la condizione e l’effetto indesiderato della lotta contro la pandemia, non è certo voluta da chi l’impone. Così come l’ostinazione di tenere la gente in carcere, il chiedere “che sia fatta giustizia”, il pensare che non sia fatta giustizia finché il reo non soffra e non pareggi così il suo debito, cioè fino a quando non scatti la vendetta, pur civilizzata perché fatta dallo Stato, è un’aberrazione.

            Ma c’è un altro risvolto della profezia di Caifa. L’elezione divina di Israele si è estesa a tutti i popoli. E che ne è della terra, la cui promessa era legata a quell’elezione? Non è più promessa? Si, resta la promessa, ma anch’essa ormai è estesa a tutta la Terra; essa non riguarda più la sola terra di Canaan offerta a un solo popolo, a esclusione di altri, bensì è la promessa di tutta la Terra a tutta l’umanità nel suo insieme; nessuno può più rivendicare possessi esclusivi, l’unità della comunità umana annunciata dalla Pasqua, porta con sé anche l’unità della Terra, promessa non più a un solo popolo ma a tutti, una Terra risanata dove scorra latte e miele, dove si costruiscano case e si possano abitare, si piantino vigne e se ne possa godere il frutto, in cui si possa vivere liberi e nessuno sia più straniero.

Raniero La Valle                    6 aprile 2020

http://ranierolavalle.blogspot.com/2020/04/la-profezia-di-caifa.html

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CITAZIONI

Sulla morale sessuale nella chiesa cattolica

Enrico Chiavacci (è morto il 25 agosto 2013 scorso, all’età di 87 anni, a San Silvestro a Ruffignano, presso Firenze (dove, per lunghi anni, era stato parroco). Come ha scritto Giannino Piana (Rocca, n.18/2013), con la sua scomparsa la ricerca teologico-morale italiana (e non solo) ha perso uno dei più importanti protagonisti del rinnovamento postconciliare. Già prima del Concilio Chiavacci aveva avviato una profonda opera di ripensamento e di reinterpretazione del messaggio morale cristiano, intravvedendo poi nella svolta conciliare l’aprirsi di nuove e feconde possibilità. Sotto tale profilo la costituzione “Gaudium et Spes” ha costituito il testo principale di riferimento (accanto alla Dei Verbum) per l’indicazione di una metodologia innovativa con la quale affrontare le diverse questioni etiche. Parola di Dio ed esperienza umana (arricchita dalla sua diretta esperienza pastorale- era anche consulente etico del consultorio familiare UCIPEM di Firenze) sono diventati per lui, nella loro stretta correlazione (come richiamata da GS) il riferimento obbligato quali anche quelle relative all’etica sessuale e alla bioetica. Al di là delle soluzioni tecniche (mai comunque demonizzate ma fatte oggetto di accoglienza critica e di serio discernimento), i criteri inderogabili per una corretta valutazione etica (sia a livello delle scelte personali che nella ricerca di un’etica comune per la convivenza umana) venivano identificati nel rispetto della dignità della persona e nella salvaguardia della libertà di coscienza di ogni soggetto umano.

      La redazione di “Matrimonio” ha ritenuto di dover ricordare Enrico Chiavacci riproponendo, come quaderno, un suo importante contributo su un tema che, proprio in questi mesi di rilettura del messaggio conciliare, appare di particolare attualità. Questo testo assume ulteriore rilievo in vista del Sinodo sulla famiglia, quasi profetica anticipazione di risposta ad alcune almeno delle domande proposte dal “questionario” contenuto nel “Documento preparatorio”.

            Redazione di Matrimonio

{amava le battute. Il dilemma dei teologi moralisti: si può pregare mentre si fuma? si può fumare mentre si prega?}

 

Sulla morale sessuale nella chiesa cattolica

Sono spinto ad affrontare questo tema, in forma estremamente sintetica, da un bell’articolo di Karl Hilpert apparso su Herder Korrespondenz sulla sessualità vissuta responsabilmente. Ho affrontato il tema diverse volte e in diverse sedi. Oggi, nel 40° dell’enciclica Humanæ Vitæ, il dibattito e la rigidità di talune posizioni magisteriali stanno riapparendo su innumerevoli riviste. Ma è ormai tempo per una più profonda e seria riflessione: una riflessione che prenda atto delle origini e delle ragioni della dottrina morale recepita, ponendole a confronto con le trasformazioni profonde dell’esperienza umana in materia, tutte avvenute tra il XIX e il XX secolo e tuttora in crisi di crescenza. È ormai tempo che la teologia morale offra un cammino sistematico profondamente innovativo, alla luce del Vangelo e di questa relativamente recente esperienza umana.

Da dove veniamo. Le prime elaborazioni dell’epoca dei Padri si basano sulla base filosofica dell’interpretazione della natura derivante da Platone o da Aristotele. Si noti anche che, fino al XIX secolo, non esiste né l’idea né il termine astratto ‘sessualità’: esistono solo comportamenti singoli legati alla sfera sessuale ciascuno con la sua propria valutazione morale. Ne vedremo in seguito l’importanza. Per Agostino l’attività sessuale, letta come impulso corporeo, è sempre – in una visione più o meno platonica – cosa negativa. Solo l’obbedire all’ordine di moltiplicarsi può legittimarla. Il rapporto sessuale fra coniugi non deve avvenire per piacere, ma esclusivamente per la procreazione, eventualmente con piacere: la ricerca della soddisfazione sessuale fuori dall’intenzione procreativa è peccaminosa.

Così gli sposi che rifiutano la prole e si uniscono nei tempi allora considerati infecondi (le mestruazioni) trasformano il matrimonio in un lupanare. In una visione aristotelica (che poi resterà dominante) invece l’uomo è un animale razionale, e deve imparare dagli animali a compiere per convinzione razionale quello che gli animali compiono per istinto (id quod natura omnia animalia docuit): lo scopo di ogni attività sessuale deve essere legato alla possibilità procreativa, anche se non direttamente intesa.

Il peccato contro natura è descritto nelle sue varie modalità da San Pier Damiani nell’XI secolo, in un libello indirizzato al papa Leone IX – il Liber gomorrhianus – contro i costumi sessuali del clero, lodato e approvato dal papa. Il vizio contro natura è specificato in quattro punti: “Alii siquidem secus (masturbazione solitaria), alii in aliorum manibus, alii inter femora (vel crura) (si ha qui il rapporto omosessuale), alii denique consumato actu contra naturam delinquunt (rapporto ‘in vase indebito’, cioè penetrazione anale che è peccato anche fra coniugi).

Tale opinione, basata sulla legge naturale, passerà quasi invariata in S. Alfonso e rimarrà dominante nella morale cristiana fino ai nostri giorni, e nella cultura occidentale fino al XIX secolo. Il Codice di diritto canonico del 1917, in vigore fino al 1983, definisce il patto matrimoniale come jus ad actus per se aptos ad prolis generationem (can. 1081).

 Parallela a questi schemi permane l’idea della ‘purità’ (purezza esteriore, non adeguatamente distinguibile dal nostro concetto generico di pulizia, come l’evitare qualcosa di ‘sudicio’: recenti autori tedeschi usano l’unico termine polivalente reinheit[purezza]) tipica di tutta la tradizione ebraica nel senso di purità cultuale esteriore: una tradizione che Gesù ha ripetutamente rifiutato, ma che è rimasta nella sfera sessuale cristiana e occidentale fin quasi ai nostri giorni.

Lo stato di perfezione verginale (o comunque di assoluta castità monastica) è stato sempre considerato via di perfezione superiore a quello coniugale fino ad alcune aperture di Pio XII (ma ancora vivo in gran parte della mentalità popolare). Maria è sempre stata esaltata come vergine purissima e non – come nel Vangelo – come vergine per esprimere la diretta divina paternità del Figlio suo: almeno non solo, e spesso neppure in primo luogo, per questo.

Emissioni corporee comunque legate al sesso rendono in qualche modo ‘impuri’. Così, prima che fosse diffuso il celibato dei preti, sembra fosse raccomandato ai preti uxorati di non celebrare la Messa senza prima essersi astenuti per qualche giorno dai pur legittimi rapporti con la moglie; è comunque ampiamente documentato, dal IV-V secolo, che l’uomo sposato ammesso al presbiterato doveva astenersi dal rapporto coniugale e mantenere la vita familiare considerando e amando la moglie come una sorella Così fin quasi ai giorni nostri la donna che aveva partorito non era conveniente che entrasse in chiesa senza una previa benedizione ‘mulieris post partum’, prevista dal Rituale e detta in Italia popolarmente ‘rientrare in santo’: io stesso, parroco di una parrocchia contadina, ho celebrato il breve rito negli anni ’60, ed era costume che la donna entrasse in chiesa coperta dalla stola del celebrante; ho faticato per far capire che il parto era già di suo una benedizione che non richiedeva ulteriori purificazioni.

Il che dimostra come essere molto anziano per un teologo moralista, in cura d’anime da 58 anni, può essere un vantaggio invece che il peso di una tradizione recepita e mantenuta passivamente. Vedremo in seguito come questa ‘purità’ tutta esteriore sia oggi ripresa in forma totalmente laica: uno strano ma insopprimibile riemergere.

Va anche considerata, entro lo schema tradizionale, la funzione della donna in materia di sesso (e quindi di conseguenza la condizione globale della sposa). La vita nuova è vista tutta nel seme maschile: la donna deve limitarsi ad accogliere il seme per farlo sviluppare fino al parto. La scoperta scientifica della funzione attiva dell’ovulo risale solo alla fine del XVIII secolo, ma compresa e sviluppata solo verso la fine del XIX con la combinazione dei cromosomi. Il DNA e la complessità della combinazione genetica è studiato solo dopo il 1950, ed è tuttora ai suoi primi passi. Nel rapporto sessuale la funzione della donna è sostanzialmente passiva: l’eccitazione è necessaria solo nell’uomo, e la donna ha il dovere di subire l’aggressione maritale. Jean-Jacques Rousseau, nell’ultima parte dell’ ‘Emilio’ (1762) – la quinta, dedicata alla futura ipotetica sposa Sophie – raccomanda a Sofia di non opporre resistenza, o almeno il minimo possibile, alle future aggressioni del marito. L’eccitazione sessuale della moglie non è ben vista: io credo che fosse tollerata, non peccaminosa, solo per facilitare l’ingresso del marito. Io ho memoria dei cauti accenni di mia nonna e anche di mia madre sulla loro condizione; e nel 1949 nei corsi di morale matrimoniale mi veniva insegnato che il marito può sempre chiedere il debito coniugale, ma non è conveniente che sia la moglie a chiederlo; mi si insegnava anche che la posizione naturale – e perciò non peccaminosa – era quella dell’uomo sopra la donna: altre posizioni non eccedevano il peccato veniale, salvo casi di necessità.

Si apre qui la questione dell’amore. Impossibile per me, qui, studiare le valenze semantiche e umane del termine nell’area culturale occidentale, quali sviluppatesi nel corso di oltre un millennio. Possiamo distinguere fra amore come attenzione, cura, servizio all’altro: frutto di un atto di volontà come è l’amore del prossimo insegnato dal Vangelo, e amore come intesa e attrazione specifica fra due persone (di norma maschio e femmina) con una componente sessuale. Quello che importa comprendere è che per la Chiesa e per la cultura occidentale (e molto più in altre aree culturali) l’amore come intesa e attrazione reciproca non è richiesto per il matrimonio. In genere il matrimonio è combinato dai genitori (o da altre simili autorità), spesso fin dall’infanzia. Nelle famiglie signorili per motivi di lignaggio o di classe sociale, in quelle contadine per lo più per motivi ‘poderali’. Ciò in genere fino al XIX secolo, ma anche oltre.

Una mia nonna mi raccontava (ridendo) come sua madre gli indicò dalla finestra quale sarebbe stato il suo sposo, Enrico, e il matrimonio per mia fortuna ebbe buon esito. Ma ancora negli anni ’60 del XX secolo io, allora giudice matrimoniale, ebbi una causa di appello: una ragazza figlia di contadini non voleva lo sposo designato dal padre per creare nuove unità poderali. Era ricorsa al parroco, che rispose: ‘fai quello che tuo padre ti dice’; poi all’ufficio matrimoni del Comune, ed ebbe come risposta: ‘se non ridi ora, riderai poi’; infine al medico condotto, che prese a cuore la cosa, ne parlò col padre che gli rispose: ‘Lei pensi ai fatti suoi. Altrimenti finisce male’.

Nel XX secolo, per motivi che subito vedremo, l’importanza dell’amore come scelta, intesa e attrazione reciproca diventò gradualmente normalità: ma non senza il consenso e la stretta sorveglianza dei genitori (il ‘fidanzato in casa’, autorizzato a incontrare lei nei giorni stabiliti e sotto la sorveglianza di un parente anziano, in genere una zia). Anche io quattordicenne ho dovuto fare lo chaperon [accompagnatore] alle passeggiate domenicali di una mia cugina col fidanzato (ogni teologo sotto i 75 anni può saperlo solo dai libri, mentre io ne sono diretto testimone). Una celebre coppia di attori cinematografici – Osvaldo Valenti e Luisa Ferida – non poté sposarsi per il divieto del padre di lui, di famiglia appartenente al mondo ‘bene’ dell’epoca, al matrimonio con la Ferida che proveniva da un’ambiente popolare (anni 30-40).

Nel 1954 Carlo Carretto, un dirigente nazionale dell’Azione Cattolica, pubblicò il libro ‘Famiglia, piccola chiesa’, che suscitò scalpore e duro rigetto nella Chiesa italiana, e lui fu prontamente rimosso dal suo incarico.

Nel XIX secolo l’amore ‘romantico’ divenne la normalità nella narrativa occidentale, ma molto spesso come fatale passione extraconiugale in gran parte dei casi (si pensi a Anna Karenina e alla freddezza del marito; a Lucia di Lammermoor e al matrimonio imposto dalla famiglia; a Violetta Valery, la Traviata, e l’amore socialmente insostenibile).

Solo col progredire del XX secolo divenne normalità per i futuri sposi, ammessa sia dalla Chiesa che dalla nostra cultura. In realtà un’attrazione corrisposta e ‘sessuata’, ma con profonda valenza non solo ‘sessuale’ fra due persone, vi è sempre stata. I grandi poemi e le grandi narrazioni di tutti i tempi ne rendono testimonianza: l’amor che a nullo amato amar perdona è un’esperienza presente in ogni epoca e cultura. Si pensi al Cantico dei cantici. Solo che non è stato preso in seria considerazione nella morale sessuale e matrimoniale cristiana. Era in realtà un mistero, e in qualche modo lo è ancora e lo sarà sempre: nei secoli scorsi si è misticizzato l’amore, in specie per la donna (negli Autori tedeschi Mystifizierung qui non indica ‘mistificazione’ ma ‘misticizzazione’). La perfezione dell’amore ‘romantico’ (misticizzato) era già vista da secoli per la donna nella consacrazione verginale delle suore, che divenivano ‘spose di Cristo’. È difficile escludere, almeno per alcuni rari casi, una inconscia componente sessuale: ma è un tema che qui non posso discutere. Ma anche per la sposa cristiana valeva il detto ‘non per il piacer mio, ma per dar figli a Dio’, ricamato sulla camicia da notte o sul lenzuolo nuziale.

Dove andare? Il punto veramente importante per l’oggi della riflessione morale (cristiana e non) è a mio vedere un altro. Nel corso del XIX secolo due concezioni nuove sono emerse, parallelamente e profondamente innovative rispetto all’impianto di base di tutta la riflessione morale cristiana precedente.

  1. Primo: l’essere umano non può prendere coscienza e conoscenza di se stesso se non in relazione all’altro. Fin dal seno materno, e poi specialmente nell’infanzia, l’essere umano (come molte altre specie viventi) riceve passivamente memorie – suoni, gesti, linguaggi etc.- che restano spesso allo stato inconscio ma che influiscono sulle sue future scelte e in generale sulla comprensione di sé. Si pensi alla fenomenologia di Edmund Husserl e al tema decisivo della coscienza intenzionale, e al conseguente dramma di Jean-Paul Sartre sul rapporto-dilemma fra io e non-io. Ma già Ludwig Feuerbach diceva: ‘Io non posso comprendermi se non specchiandomi nei tuoi occhi’, frase citata da Henri-Marie De Lubac nel ‘Dramma dell’umanesimo ateo’.
  2. Secondo: la relazione con l’altro è sempre ‘sessuata’, e quindi il sesso – e in genere la vita e la morale sessuale – non è più pensabile solo come una serie di singoli comportamenti, ma primariamente come una capacità di relazione di una ‘persona’ con un’altra. L’attrazione amorosa, sempre misteriosa, di una persona verso un’altra (si pensi all’influsso inevitabilmente inconscio e impercepibile dei feromoni) chiama in gioco la persona nella sua interezza.

È significativo, e dovrebbe far pensare di più i teologi moralisti, che il termine astratto ‘sexuality’ sia registrato nel grande dizionario Merriam-Webster come apparso verso il 1800 (e ‘homosexuality‘ solo alla fine del secolo, 1892). Ma del resto nel mondo cattolico solo nel XX secolo sorsero gruppi o centri di spiritualità coniugale che tenevano in qualche modo conto di questa variazione (in Italia, se ben ricordo, fu attiva l’Opera della Regalità) pur senza analizzarne le cause o la stessa novità teorica.

Inutile ricordare la grande importanza che in ciò ebbe Sigmund Freud, e non solo nella concezione della sessualità, ma anche e soprattutto nella concezione dell’unicità della personalità umana nel suo rapportarsi all’altro/a. Oggi molti importanti, e più recenti, studiosi di teologia morale al termine ‘sessualità’ preferiscono il termine ‘relazione’: oggi la morale sessuale non può concepirsi che all’interno di una ‘morale della relazione’.

Io credo che ormai una normativa astratta di singoli comportamenti dei singoli, valida per tutti e per sempre, sia inadeguata per comprendere il significato che un determinato comportamento può assumere all’interno della relazione da cui nasce. Oggi si assiste indubbiamente a una tragica trasformazione sociale profonda del significato della sessualità: alla perdita di significato (di rilevanza) della sessualità per il mio pormi come persona di fronte ad altra persona. E di questo si usa dar la colpa genericamente alla rivoluzione culturale degli anni ’60-’70 (il temibile sessantotto), e alla sua radice negli autori della Scuola di Francoforte. Questo vizio semplicistico di tanti autori e predicatori (e gerarchie) cristiani è legato a due autori fondamentali per quell’epoca di passaggio: Wilhelm Reich e Herbert Marcuse.

Reich, con ‘La rivoluzione sessuale‘ nell’edizione americana del 1946, adotta il principio che la piena realizzazione della persona si ha nell’orgasmo (e arriverà poi a leggere il cosmo intero come un grande orgasmo), distanziandosi così radicalmente dalla sua matrice marxista e dalle prime edizioni (1929-32). In questo quadro il partner sessuale non entra se non come strumento per me: l’idea stessa di relazione fra persone sparisce salvo che come convenienza reciproca. E il libro ebbe in Italia dieci ristampe in dieci anni. Oggi, e solo da pochissimi anni, alla locuzione classica di ‘fare all’amore’ subentra la nuova locuzione ‘fare sesso’. Basta pensare al sesso onnipresente nelle varie forme oggi possibili della comunicazione, visiva e uditiva, pubblica e privata: lo scopo è – per principio – la stimolazione sessuale; ma il vero scopo nell’offerente è il lucro derivante dall’indice di ascolto e dall’acquisto o dal ritorno di pubblicità; nelle persone coinvolte è spesso ancora lucro, ma un povero lucro non disgiunto da miseria o da voglia di visibilità, e sempre oggettivamente asservimento.

Marcuse invece, fedele all’originaria ispirazione marxista, vede nel ‘principio di produzione’, dominante nella civiltà e nel ‘superego’ occidentale, la causa della degenerazione dell’eros. L’altro (in genere l’altra) è visto come strumento di produzione: nella fattispecie, trattandosi di sessualità, è meglio parlare, traducendo dal tedesco (Leistung), di ‘principio di prestazione’ e dell’altro come capace di prestazione. Ma la critica marcusiana a tale fenomeno riprende l’originario impegno di Karl Marx per la liberazione della donna. Eros e civiltà è davvero un libro molto serio, e per i suoi tempi (1955) quasi profetico, e dice esattamente il contrario di Reich.

Vi è da domandarsi se tanti censori cristiani abbiano mai letto gli autori che criticano. Ricordo che un giorno, negli anni ’60, durante un pranzo un cardinale serio e colto mi domandava sommessamente: “ma chi è questo Marcuse?” E qui occorre rilevare un singolare fenomeno su cui occorrerebbe riflettere. Oggi, collegato al sesso, vi è un ritorno massiccio dell’idea tradizionale di purezza-pulizia, parallelo e inverso rispetto ad essa: un ritorno accolto e promosso in forme ossessive dai vari media sempre a scopo di lucro. Si pensi ai vari prodotti di bellezza, al vero culto degli odori corporei da promuovere o da rimuovere, allo slogan ‘prenditi cura di te promosso da una nota casa di prodotti femminili, alla corsa verso la chirurgia plastica, alla miriade di prodotti para-medicali contro irritazioni, gonfiori, rughe; e si pensi anche al ‘body-building’, alle palestre, alle massaggiatrici o che altro. Per l’uomo, accanto a prodotti simili, è dominante la prestanza fisica, legata all’idea di potenza sessuale: molte ragazze cercano o sospirano di aver rapporti con assi del calcio o del ciclismo o che altro. Io credo si tratti di una vera liturgia-purità del sesso, o meglio dell’attrazione sessuale sia pure non sempre del tutto consapevole, ma che in ogni caso non ha niente a che vedere con la relazione interpersonale (e in questo senso, e solo in questo, è in continuità col passato).

Partire dal Concilio. Occorre dunque, se vogliamo studiare i gravi problemi morali del nostro tempo, procedere alla luce del Vangelo e dell’esperienza umana. Nel Vangelo abbiamo ben poco, ma quel poco è importante. In Matteo 19 vi è il tema del matrimonio, e viene citato Genesi 3 (e non Genesi 1): crescete e moltiplicatevi): il commento di Gesù è “Così che non sono più due, ma una carne sola”, e la congiunzione è opera di Dio, come il formarsi di una convivenza nuova (“lascerà il padre e la madre”) con una evidente valenza sessuale.

In Matteo 5 vi è la condanna del guardare una donna con occhio impuro: ciò è direttamene riferito al desiderare la donna d’altri, ma introduce il tema dell’occhio impuro, cioè il guardare una donna per desiderarne il possesso. L’attrazione sessuale è moralmente buona se mirata a una vita di relazione nuova e totalmente dedicata: per questo il ripudio, anche se non motivato da altri nuovi amori, è la rottura di una relazione che deve essere dono reciproco e totale.

Ciò appare anche nel Cantico dei Cantici, dove l’attrazione sessuale è esplicita, ma sfocia in una dedizione reciproca inestinguibile: “forte come la morte è l’amore”. Si noti come in tutta la Scrittura la procreazione non è mai la causa, primaria o unica, giustificante il rapporto sessuale: lo è sempre invece la relazione di dono totale. Un’argomentazione contraria, da Genesi 1 o da 1Timoteo, sarebbe piuttosto funambolica. Col Concilio, e solo col Concilio, l’esperienza umana maturata fra il XIX e il XX secolo, e che abbiamo sopra descritto, viene recepita da un documento magisteriale. Nel 1930/40 due autori tedeschi avevano proposto, come valore in sé e non subordinato alla procreazione, la Zweinigkeit -l’esser due in uno. La proposta venne ufficialmente riprovata negli anni ’40. Ma ancora nel 1959, e cioè tre anni prima del Concilio, la Civiltà Cattolica pubblicava ben tre articoli roventi contro tale dottrina. Nel Codice di diritto canonico (CJC) del 1917, e in vigore fino al 1983, viene ribadita la distinzione fra fine primario del matrimonio (procreatio prolis) e fine secondario (mutuum adiutorim).                   www.sursumcorda.cloud/articoli/codice-diritto-canonico-17-italiano.html

Nella Costituzione Gaudium et spes (GS) invece tutto l’impianto del rapporto matrimonio-amore-sessualità-procreazione viene radicalmente riesaminato, proprio ed esplicitamente alla luce del Vangelo e dell’esperienza umana, e superando di slancio oltre un millennio di una logica e di regolamentazioni varie, sia religiose che culturali. Ciò spiega la difficoltà di comprensione e di ricezione della dottrina conciliare, che però almeno in parte è dovuta alla superficialità della lettura del documento (o della nonlettura), e anche al timore di infrangere una tradizione ecclesiastica di regole e precetti, tradizione però solo umana: l’infallibilità (e quindi la perennità) del Magistero ‘tantum patet [è evidente] quantum divina revelatio‘. Non si può dire che la Chiesa nel passato abbia ‘sbagliato’: ha detto quello che era da ritenersi giusto nel quadro delle conoscenze filosofiche e scientifiche e dell’esperienza umana di cui disponeva. Oggi, nella stessa prospettiva, occorre un profondo ‘cambiamento di paradigma’. E, come era prevedibile, è nata anche una vera fobia del cambiamento: ciò non deve meravigliare. Si tratta di fenomeni epocali che richiedono tempi secolari di comprensione ed accettazione: si pensi al caso di Galileo, formalmente riabilitato solo in tempi recentissimi a quattro secoli di distanza; ma si pensi anche all’evoluzionismo, che dopo oltre un secolo da Darwin è ancora dibattuto in mille modi nell’ambito cristiano.

GS riconosce subito le profonde piaghe che oggi mettono a grave rischio amore e matrimonio: poligamia, divorzio, libero amore, e altre deformazioni; ma anche all’interno del matrimonio l’egoismo, l’edonismo, l’uso improprio antiprocreativo: ‘Quibus omnibus conscientiæ anguntur’ (GS 47) [Da tutto ciò sorgono difficoltà che angustiano la coscienza]. Ma le profonde mutazioni sociali odierne, nonostante tutte le difficoltà che ne derivano, ‘sɶpe sæpius veram eiusdem istituti indolem vario modo manifestant’ (GS 47) [molto spesso rendono manifesta in maniere diverse la vera natura di questa istituzione]. E subito GS dà una definizione del matrimonio come ‘intima communio vitæ et amoris coniugalis’ (GS 48) [L’intima comunità di vita e d’amore coniugale] e tale comunità deve nascere da una ‘intima unio, utpote mutua duarum personarum donatio’ (GS 4) [intima unione, in quanto mutua donazione di due persone]. Qui appare chiaramente quello che ho chiamato ‘cambiamento di paradigma’: al centro di tutta la trattazione di GS appare sempre, e ripetutamente, la mutua personarum donatio, la relazione interpersonale specifica e paritetica che

  1.  abolisce ogni superiorità o potestà dell’uomo rispetto alla donna: æquali etiam dignitate personali cum mulieris tum viri agnoscenda in mutua atque plena dilectione; GS 49 [uguale dignità personale che bisogna riconoscere sia all’uomo che alla donna nel mutuo e pieno amore.]
  2. dà un nuovo senso e dignità al rapporto sessuale: gli atti propri del coniugio honesti ac digni sunt et, modo vere humano exerciti, donationem mutuam significant et fovent: GS 49  [gli atti coi quali i coniugi si uniscono in casta intimità sono onesti e degni; compiuti in modo veramente umano, favoriscono la mutua donazione che essi significano ed arricchiscono vicendevolmente nella gioia e nella gratitudine gli sposi stessi.]
  3.  così la sessualità ha una sua propria e specifica finalità, indipendente per principio dalla finalità procreativa. Amor ille mutua fide ratus, et potissimum sacramento Christi sanctus, inter prospera et adversa corpore ac mente indissolubiliter fidelis est. GS 49 [Quest’amore, ratificato da un impegno mutuo e soprattutto consacrato da un sacramento di Cristo, resta indissolubilmente fedele nella prospera e cattiva sorte].

Da notare l’importante compito che incombe sui coniugi animati da questo autentico amore coniugale: essi debbono fare la loro parte per la formazione di una sana opinione pubblica, non solo con l’armonia e la fedeltà nell’amore e con l’educazione dei figli, ma anche – e questo è del tutto nuovo – “in necessaria renovatione culturali, psychologica et sociali in favorem matrimonii et familiae”GS 49 [nel necessario rinnovamento culturale, psicologico e sociale a favore del matrimonio e della famiglia].

(A tale necessario rinnovamento culturale, psicologico e sociale io sto qui cercando di offrire un possibile e coerente volto). Alla coppia così costituita come relazione di dono totale e reciproco, come communitas vitæ et amoris, Dio ha affidato il compito di procreare, ma non solo quello: “ipsa indoles fɶderis inter personas atque bonum prolis exigunt ut mutuus etiam coniugum amor recto ordine exhibeatur, proficiat et maturescat [l carattere stesso di alleanza indissolubile tra persone e il bene dei figli esigono che anche il mutuo amore dei coniugi abbia le sue giuste manifestazioni, si sviluppi e arrivi a maturità].

Nel compito di procreare i coniugi devono sentirsi come cooperatori con l’opera del Creatore, “eiusque veluti interpretes” GS50[e quasi suoi interpreti]. La decisione di procreare dunque spetta alla libera e generosa volontà dei coniugi. Possono infatti imporsi serie ragioni, singole e collettive, per cui la procreazione può non corrispondere all’amore di humana generandi facultas mirabiliter exsuperant ea quæ in inferioribus vitæ gradibus habentur; proinde ipsi actus GS 51 [la facoltà umana di generare sono meravigliosamente superiori a quanto avviene negli stadi inferiori della vita; perciò anche gli atti specifici della vita coniugale, ordinati secondo la vera dignità umana, devono essere rispettati con grande stima] e GS enumera le ragioni fondamentali per cui può essere conveniente o doveroso non procreare. Ma questo non deve risolversi nell’astensione dai rapporti sessuali: “Ubi autem intima vita coniugalis abrumpitur, bonum fidei non raro in discrimen vocari et bonum prolis (quella già nata) pessumdari possunt”. GS 51 [Là dove, infatti, è interrotta l’intimità della vita coniugale, non è raro che la fedeltà sia messa in pericolo e possa venir compromesso il bene dei figli].

E poco dopo ciò viene ribadito con una affermazione di estrema importanza: “Indoles vero sexualis hominis necnon humana generandi facultas mirabiliter exsuperant ea quæ in inferioribus vitæ gradibus habentur; proinde ipsi actus vitae coniugalis proprii, secundum germanam dignitatem humanam ordinati, magna observantia reverendi sunt”. GS 51 [La sessualità propria dell’uomo e la facoltà umana di generare sono meravigliosamente superiori a quanto avviene negli stadi inferiori della vita; perciò anche gli atti specifici della vita coniugale, ordinati secondo la vera dignità umana, devono essere rispettati con grande stima]. Si noti come con questa semplice frase – mirabiliter exsuperant – va in crisi l’intero impianto ultramillenario della morale sessuale cristiana. Tale impianto, che già ben conosciamo, era basato sull’unica specifica ragion d’essere del rapporto sessuale, tipica per tutto il regno animale a cui l’essere umano appartiene, che è quella della riproduzione.

Ogni singolo atto che tendesse ad evitare la riproduzione era considerato ‘contra naturam’. La rilevanza della relazione fra ‘persone’ era sconosciuta. (E il termine stesso di ‘persona’ indicava semplicemente un singolo essere umano più che – come da oltre un secolo – la complessità irripetibile della sua identità psicofisica: e proprio in questo senso oggi giustamente si parla di ‘dignità della persona’). Da qui nacque una morale sessuale fatta di prescrizioni o divieti di singoli atti o comportamenti. La GS segna qui una frattura veramente epocale: i rapporti sessuali (nel matrimonio) mirabiliter exsuperant quello che avviene nel regno animale, e la dignità della persona umana fa sì che essi magna observantia reverendi sunt. L’enciclica Humanæ Vitæ bene esprime, e anche arricchisce, il tema della GS, ma nell’indicare le condizioni di liceità dei modi di impedire la procreazione ricade nella vecchia logica: l’atto viene giudicato nella sua pura fisicità. L’uso dei tempi infecondi consiste nel non fare nulla che possa ostacolare la procreazione, e per questo viene detto ‘metodo naturale’.

Ma si pensi, a titolo di esempio, al problema oggi gravissimo dell’AIDS (HIV): come evitare il contagio, o evitare di trasmetterlo nei figli, se non rinunciando del tutto a ogni rapporto, contro il dettato già ricordato di GS? In questi e altri simili casi la naturalità puramente fisica (animale) si scontra con, e contraddice, la naturalità umana della relazione interpersonale. Del resto è noto che il papa Paolo VI, per sua stessacontraccettivi, scelse quello di minoranza non senza grande angoscia ed esitazione: e l’Enciclica venne presentata ufficialmente, se ben ricordo, sull’Osservatore Romano come non infallibile.

Restano aperti molti nuovi problemi: vi è molto da riflettere, da discutere e da proporre, una volta caduto il principio assoluto fisico-naturalistico e affermata l’idea di persona con la sua capacità espressiva inglobante la sessualità. Si pensi alla valutazione dei rapporti prematrimoniali, ad alcune situazioni di vera omosessualità (la ‘persona omosessuale’), alla sessualità in persone gravemente minorate sul piano fisico così da essere incapaci di rapporti sessuali completi e di unione matrimoniale, alla sessualità di giovanissimi non ancora in grado di concepirsi come ‘persone’.

Io ritengo, dopo oltre quaranta anni di studio ma anche di continua esperienza parrocchiale e di colloqui con i giovani, che oggi si assista a un doppio e simmetrico irrigidimento cristiano e ‘pagano’: di segno opposto ma con unica base che direi individualistica. Il problema ‘morale’, nel senso generico di scelte di vita, nell’area della sessualità viene letto da un lato e dall’altro come problema di comportamenti singoli personali, in cui l’attenzione alla persona dell’altro ha scarso o nullo rilievo.

  • Nell’area cristiana il tema è il lecito/illecito di un comportamento, sulla base di schemi astratti vecchi di oltre un millennio, nati e sviluppatisi fino ai nostri giorni senza alcuna (o scarsa) attenzione all’amore come dono reciproco, come relazione profonda interpersonale che trova la sua espressione nel rapporto sessuale. Il sesso è problema del singolo, e si risolve in pratica in una serie di divieti; ciò avviene in genere anche all’interno dei corsi di preparazione al matrimonio, e ciò avviene talora anche in riprovazioni ufficiali nei confronti di Autori che cercano – nel quadro tracciato dalla GS – di studiare più a fondo il problema.
  • Nella mentalità invece oggi dominante nell’area occidentale si ha un processo simile e inverso. Il sesso è sempre un problema del singolo, maschio o femmina che sia. Il singolo mira sempre a celebrare o soddisfare se stesso anche in campo sessuale, come in campo economico o in quello di prevalenza sugli altri. Si cerca perciò di fare sesso senza alcuna preoccupazione per una relazione profonda e vitale per il partner, consensuale o pagato che sia. Il senso ultimo del ‘party’, fra pochi o fra moltitudini, è quasi sempre questo. È in sostanza la logica di Reich (ma non affatto di Marcuse). E si noti che oggi questo vale egualmente per gli uomini come per le donne. Detto brevemente, si cerca sesso e non amore. E tutto il mondo della comunicazione di massa (e di internet) si basa su questo come essenziale fonte di lucro, sia nei film che nelle promozioni (réclames), accentuando e promovendo tale mentalità.

L’annuncio morale cristiano deve coraggiosamente affrontare la morale sessuale con spirito nuovo. Forse noi – teologi, pastori, e anche Magistero – abbiamo troppo e spesso esclusivamente calcato la mano sui comportamenti sessuali invece che sull’idea centrale di vita di relazione, che dovrebbe essere, secondo il Vangelo, il cuore di ogni esortazione morale cristiana in ogni campo, e primariamente nella relazione esplicitamente sessuata.

Forse solo in questo quadro, oggi, singoli precetti in materia sessuale possono avere senso e accoglienza nei nostri giovani (e meno giovani), sopraffatti da un imperante individualismo-egoismo. Occorre riacquistare il senso p17rofondo dell’importanza dell’altro per me, per le mie scelte di vita. Molto studio e preghiera e molta attenzione pastorale attendono sia i poveri moralisti sia i pastori a ogni livello.

Firenze, il 16 dicembre 2008.       “Rivista di teologia morale” n. 161 del gennaio 2009, pp.53-68)

Matrimonio in relazione d’amore      Anno XXXVIII – n. 4 – dicembre 2013

https://rivista-matrimonio.org/images/filespdf/Quaderni/Quaderno_25_2013.pdf

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CITTÀ DEL VATICANO

Una nuova commissione sul diaconato femminile: “audiatur et altera pars”

Come preannunciato alla fine del Sinodo sulla Amazzonia, dove il tema era apparso più volte con un rilievo assai significativo, ecco che viene annunciata la costituzione di una “nuova” commissione di studio sul diaconato femminile. La composizione è la seguente: la prof.ssa Catherine Brown Tkacz, Lviv (Ucraina); il prof. Dominic Cerrato, Steubenville (USA); il prof. Don Santiago del Cura Elena, Burgos (Spagna); la prof.ssa Caroline Farey, Shrewsbury (Gran Bretagna); la prof.ssa Barbara Hallensleben, Friburgo (Svizzera); il prof. Don Manfred Hauke, Lugano (Svizzera); il prof. James Keating, Omaha (USA); il prof. Mons. Angelo Lameri,  liturgista Crema (Italia); la prof.ssa Rosalba Manes, biblistaViterbo (Italia); la prof.ssa Anne-Marie Pelletier, Parigi (Francia).

Il cardinale Giuseppe Petrocchi, arcivescovo dell’Aquila, ne sarà presidente, e don Denis Dupont-Fauville, officiale della Cdf, segretario.

Diversamente da quanto era stato anticipato da papa Francesco, alla chiusura del Sinodo, salvo errore, non sembra che tra i membri di nuova nomina vi siano esperti provenienti dalla America Latina. I criteri con cui sono stati scelti i membri della commissione sono, evidentemente, molteplici. Tutti, ovviamente, concorrono alla migliore definizione del profilo di un “diaconato femminile”, le cui radici sono nella storia, ma la cui figura può essere solo il frutto di un pensiero sistematico fresco, aperto e lungimirante.

Tra i nuovi membri conosco di fama o di persona soltanto 4 membri. Degli altri non posso dire nulla, per mia scarsa conoscenza. La prof. Pelletier e il prof. Del Cura Elena sono teologi di grande respiro, che non hanno mai dedicato specificamente al diaconato una ricerca assidua e continua, ma hanno potuto e potranno avere una funzione di “contestualizzazione” sistematica di grande influenza, per la loro autorevolezza e per il giudizio equilibrato che li qualifica. Conosco molto meglio Angelo Lameri, la cui competenza liturgica e sacramentale è un dato rassicurante e positivo. Potrà contribuire non poco districare la matassa storica e a immaginare la liturgica progressio.

A Lugano ho avuto modo di conoscere, anni fa, il prof. Hauke, che sembra, almeno nel quadro delle mie conoscenze, il più caratterizzato. Entra in commissione portando con sé, da quasi 40 anni, tesi sulla ordinazione delle donne e sul diaconato che non è esagerato considerare estreme. Voglio ricordare qui solo due testi. Il primo è una dichiarazione da lui rilasciata circa un anno fa, in merito ai lavori della Commissione precedente, quando aveva dichiarato: “Non possiamo identificare la consacrazione delle diaconesse con l’ordinazione dei diaconi. Non era un’ordinazione sacramentale che possa essere identificata con il sacramento dell’Ordine. La storia dell’istituto delle diaconesse non offre una base solida, quindi per l’introduzione di un diaconato femminile sacramentale. La Chiesa antica non aveva un diaconato femminile equivalente a quello maschile”. Dicendo così, egli faceva propria una “tesi” – una tra le diverse in campo – proposta da A. Martimort. Se anche questa tesi fosse assodata – cosa che storicamente non è per nulla pacifico – resterebbe il problema sistematico, che dovrebbe introdurre questa diversa considerazione: se la Chiesa antica non aveva un diaconato femminile equivalente a quello maschile, forse è perché nella Chiesa antica la donna non era compresa come dotata della stessa autorità dell’uomo. Posta così la questione, ed evidenziato il problema di una ermeneutica antropologica e sociologica che costituisce un pericoloso filtro del pensiero teologico, non dovrà essere la storia a risolvere il nostro problema, ma saremo noi che, considerata la storia nelle sue peculiarità, potremo stabilire quali siano le forme adeguate ed efficaci del riconoscimento del ruolo pubblico della donna, non solo fuori, ma anche nella Chiesa, come invocato già nel 1963 da Giovanni XXIII nella enciclica Pacem in terris.

E’ poi meritevole di una certa considerazione il giudizio che Alberto Piola, nel suo equilibrato volume su “Donna e sacerdozio”, ha formulato sulla concezione che il prof. Hauke, nella sua dissertazione dottorale risalente al 1982, proponeva della donna in relazione al ministero ordinato: “Quella di Hauke è l’argomentazione teologica che in modo più ampio ha analizzato dopo il Vaticano II il rapporto tra antropologia della donna e la sua esclusione dal sacerdozio;… sembra che la argomentazione antropologica quasi preceda il richiamo alla volontà di Cristo….è una posizione più simile alla teologia preconciliare che al resto del dibattito che ha seguito Inter insigniores -1976 ( anche per una accettazione, che in alcuni punti sembra acritica, della teologia della donna preconciliare).

www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_19761015_inter-insigniores_it.html

Soprattutto mancano le sfumature…tutto è chiaro e sicuro, le conclusioni sono nette e logicamente deducibili, le posizioni differenti dalla propria sono duramente combattute, il nemico è identificato nella teologia femminista; nella prima parte si ha la “pretesa” di fare una summa enciclopedica dell’essere uomo e dell’essere donna, mentre nella seconda parte manca una discussione critica di quelle posizioni che Hauke dà per scontate e che invece gli altri teologi discutono in quegli stessi anni…In ogni caso Hauke resta una voce del tutto isolata nel periodo post-conciliare nel suo fondare l’esclusione del sacerdozio alle donne su quella particolare interpretazione di 1Cor 14 (testo inteso come espressione di un “comando del Signore”). (A. Piola, Donna e sacerdozio, Torino, Effatà, 2006, 498-499). E’ evidente che, nella economia articolata di una Commissione, debba sempre essere tenuto presente con scrupolosa attenzione il principio di garanzia “audiatur et altera pars” [sia ascoltata anche l’altra parte]. La “altera pars” si presenta dunque con un profilo alquanto definito. Ora attendiamo fiduciosi il profilarsi altrettanto chiaro di una “pars prima”.

Andrea Grillo             “Come se non”          8 aprile 2020

www.cittadellaeditrice.com/munera/una-nuova-commissione-sul-diaconato-femminile-audiatur-et-altera-pars

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CONIUGI

La coniugalità dell’amore

L’amore coniugale esiste e può durare se alla base vi sono reciprocità e consapevolezza. L’amore non si può definire ma delinearlo per delimitarne anche eventuali strappi e danni e così il legislatore ha fissato le pietre miliari del sodalizio coniugale, in particolare negli articoli 143, 144 e 147 del codice civile

            Ci si sposa per amore e promettendosi di amarsi per sempre. “Sempre” ha la stessa radice etimologica di “insieme”, che dà il senso di unità, di cosa che avviene una sola volta: immagine che si addice alla coppia. L’amore coniugale può durare per sempre se si dura insieme.

            Lo psicologo e psicoterapeuta Massimo Borgioni afferma: “Tutti i rapporti affettivi conoscono fasi di crisi che spesso corrispondono ai mutamenti inevitabili connessi con il ciclo di vita. La relazione amorosa fra adulti va incontro a diversi tipi di criticità: il declino della fase di innamoramento ed il passaggio verso una dimensione più matura e stabilizzata del rapporto, la convivenza, la nascita dei figli, le trasformazioni personali e fisiche, l’eventuale cambiamento del ruolo lavorativo di uno o entrambi i partner, infine le esperienze di separazione e di perdita. Inevitabilmente queste fasi di passaggio impattano sulla coppia e, quanto più il rapporto è percepito come sicuro, tanto più è probabile che i coniugi siano capaci di attingere a diverse strategie di coping (una serie di azioni o il processo di pensiero applicati per far fronte a un problema o, comunque, a una situazione stressante), potendo, quindi, superare le crisi e trarre elementi di crescita come individui e come coppia”.

            La coppia non può nascere da un colpo di fulmine ma deve (o dovrebbe) fondarsi su “pilastri” di conoscenza e consapevolezza, innanzitutto di sé (altrimenti ci si ritrova ben presto sconosciuti che non sanno quello che vogliono da se stessi e dall’altro). Solo così si può auspicare e maturare il “coping” (da “cope”, farcela, affrontare) in situazioni di difficoltà. Partire da false premesse in una relazione sentimentale è falsare le promesse, innanzitutto con se stessi. Considerato il ciclo vitale sempre più breve e insidioso della coppia coniugale sarebbe opportuno condividere e concordare, a titolo preventivo, in base agli articoli 143 e 144 cod. civ., le modalità di coping della coppia come autotraining.

Anche gli esperti Edoardo e Chiara Vian (che si occupano di coppie in difficoltà) parlano delle tappe del ciclo vitale di una coppia: “[…] tappa del ciclo vitale di due giovani che stanno formando la propria «membrana di coppia», cioè quella nuova identità che non li caratterizza più socialmente come figli ma come compagni e prossimamente come coniugi. Questa giovane coppia ha, appunto, come primo obiettivo del proprio tempo di vita quello di plasmare una «membrana» sufficientemente spessa da non far entrare nella propria relazione troppi elementi estranei, ma anche sufficientemente permeabile, in modo da permettere un’interazione della coppia con elementi sani della realtà, rendendola di fatto sufficientemente aperta. Per permettere il costituirsi di questa semipermeabilità i due giovani dovranno trovare delle nuove distanze con le proprie origini, quindi con i propri genitori. Non troppo lontani per non rischiare di perdere quella trasmissione di sapere e di affetto che i propri genitori continuano a garantire, ma neppure troppo vicini rischiando un’intrusività che non permetta alla coppia di formare una nuova e originale famiglia che mescoli il meglio delle due stirpi con spazi di creatività”.

La vita di coppia non si può affrettare né improvvisare. Va costruita come una casa su solide fondamenta di piano in piano, va preparata come una missione spaziale con misurazioni, distanze e prove, va articolata come un viaggio intorno al mondo con bagagli e quanto strettamente necessario. Occorre concordare le tappe e le mete salienti, tra cui dove andare ad abitare. Anche il rapporto con le famiglie di origine va costruito e concordato perché rispetto a esse non ci si deve né incistare né incuneare. Lo stesso mangiare insieme e ritrovarsi con i genitori (o con gli amici dell’uno o dell’altra) non deve essere oggetto di compromessi o di calendarizzazione. Dalla lettura dell’art. 144 cod. civ., ove si parla dell’indirizzo concordato della vita familiare, emerge come la “famiglia” sia un’entità altra e superiore rispetto ai singoli coniugi.

Gli esperti Vian aggiungono: “Vivere accanto alla famiglia d’origine non è mai un bene per una giovane coppia che, soprattutto agli inizi del proprio percorso, deve costruirsi una nuova identità”. L’art. 144 cod. civ. è rubricato “Indirizzo della vita familiare e residenza della famiglia” e il 1° comma prevede che “I coniugi concordano tra loro l’indirizzo della vita familiare e fissano la residenza della famiglia secondo le esigenze di entrambi e quelle preminenti della famiglia”, perché è importante anche la scelta dell’indirizzo civico ai fini dell’indirizzo della vita di e in famiglia e cogliere la differenza tra il concordare e l’accordarsi. Concordare è volgere lo sguardo verso lo stesso punto e, anche se uno dei due dovesse rallentare il passo, l’altro sa come muoversi e dove andare per aspettare l’altro e farsi raggiungere perché alla base vi è la concordia, lo stesso cuore, e non un accordo tra due che erano contrapposti.

Nella vita di coppia, di tanto in tanto, bisognerebbe fare un’analisi di controllo per esaminare come va, anziché lasciarsi andare alla prima difficoltà e gettare alle ortiche quello che c’è stato e potrebbe esserci ancora. Proprio nei momenti di crisi di coppia bisognerebbe girarsi e chiedersi che cosa si sia fatto o meno perché ci si è persi di vista e si è presa un’altra direzione. Lungo il marciapiede della vita è necessario fermarsi, esprimere le proprie emozioni e riprendere con una nuova carica lasciandosi tutto e tutti alle spalle. Amarsi è anche accompagnarsi e aspettarsi sino al prossimo ritorno, in ogni situazione, mettere radici profonde e seguire insieme anche i percorsi più impervi, come un albero d’ulivo che si intreccia lungo la sua crescita ma continua a portare frutto nonostante tempeste o siccità. Le fiabe delle storie d’amore con lieto fine cominciano col “c’era”: tempo verbale imperfetto che indica il divenire, le azioni incompiute da realizzare ancora. È il tempo verbale passato più bello perché lascia il tutto indefinito. Tempo di vita che si può far germogliare se ci si crede in due, se si fa in due (è questa la vera generatività). La vita di coppia, in particolare della coppia coniugale, è un progetto e non un programma, e il legislatore, in special modo con la riforma del diritto di famiglia del 1975 (legge n. 151 del 19 maggio 1975), ha fornito la “legenda” del progetto da personalizzare con gli artt. 143, 144 e 147 cod. civ..

Coppia: sfidare i tempi, ogni tempo, con le proprie differenze, avvicinandosi e armonizzandosi andandosi incontro l’un l’altro, ma senza appiattirsi o addirittura annientarsi pur di andare incontro all’altro. Vita coniugale è unificazione di intenti e non uniformazione di modi di intendere (o, addirittura, di quei processi interiori quali il pensare o il sognare; in tal caso il rapporto diverrebbe patologico, come taluni pretendono). È comunione, non “con-fusione” o continua effusione. È questo il senso degli artt. 143 e 144 cod. civ. e delle parole introdotte dalla riforma del diritto di famiglia del 1975, tra cui “assistenza morale” e “secondo le esigenze di entrambi” (espressione con significati diversi rispetto ad altre sinonime che si usano nel linguaggio comune): farsi sentire dentro dall’altro e sentire quello che viene da dentro dall’altro.

Quanto su analizzato è scritto con linguaggio teatrale nel dramma “La bottega dell’orefice”, pubblicato nel 1960 da Karol Wojtyla, diventato poi papa Giovanni Paolo II, con lo pseudonimo Andrej Jawien. Il testo teatrale, sull’amore coniugale, è in tre atti: I “I richiami”, sulla coppia di fidanzati; II “Lo sposo”, sulla coppia in crisi; III “I figli”, sulla preparazione del matrimonio dei figli attraverso l’analisi del matrimonio dei genitori. Sarebbe interessante rileggere alcuni brani dell’opera in chiave moderna e giuridica, perché ogni coppia e famiglia è “teatro” e “spettacolo”, qualcosa che si guarda e che, quindi, suscita emozioni e comporta ruoli, dialoghi, monologhi, cambi di scena, improvvisazioni, ripetizioni.

“[…] non esistevo quasi più per lui. Forse mi tradiva – non so, perché anch’io non mi occupavo più della sua vita. Mi era diventato indifferente. Forse, dopo il lavoro, andava a giocare a carte, dalle bevute tornava molto tardi, senza una parola, e se ne gettava là una rispondevo col silenzio” […]. “La vita si trasformava sempre di più nella pesante coesistenza di due che occupavano sempre meno posto uno nell’altro. Ora rimane solo l’insieme dei doveri, un insieme convenzionale e mutevole, sempre più spoglio del puro sapore dell’entusiasmo. E così poco ci unisce, così poco” (da “La bottega dell’orefice”). Descrizioni profonde e sempre più attuali della mancata comunicazione e mancata comunione nella vita di coppia (nell’art. 1 della legge 1° dicembre 1970, n. 898 “Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio” si parla di “comunione spirituale e materiale”).

La coppia si costruisce e si costituisce sulla comunicazione e comunione e ogni coppia coniugale trova il proprio codice e il proprio canale concordando l’indirizzo della vita familiare (art. 144 cod. civ.) perché quel che rileva è che i coniugi si ritrovino allo “stesso indirizzo di vita” e che siano “colleghi di vita”.

“[…] l’amore è una sintesi di due esistenze che convergono a un certo punto e da due diventano una sola” (da “La bottega dell’orefice”). La vita di coppia è ontologicamente sintesi, in altre parole composizione. Quella composizione che si manifesta nel consenso, dal consenso matrimoniale al consenso al rapporto sessuale. “Il matrimonio potrà essere concluso soltanto con il libero e pieno consenso dei futuri coniugi” (art. 16 par. 2 Dichiarazione Universale dei Diritti Umani). “Consenso”, da “consentire”, sentire insieme, avere lo stesso sentimento, e questo presuppone conoscenza e consapevolezza, innanzitutto di sé per averla poi dell’altro, così il consenso può essere “libero” e “pieno” (libertà e pienezza, quanto di più proprio della persona) e si può fare in modo che continui a essere tale.

“I miei genitori vivono come due esseri estranei, non c’è l’unione di cui si dovrebbe sognare quando si accetta la vita in comune e si vuole anche offrirla. Non sarà un errore, mio caro, non ci passerà presto? Non mi lascerai un bel giorno, come ha fatto mio padre, un estraneo nella nostra casa – o non ti lascerò forse io come ha fatto mia madre, divenuta altrettanto estranea? Può dunque l’amore umano durare quanto la vita di un uomo? Forse l’affetto che mi invade è proprio amore ma sento dentro di me un presagio che viene dal futuro – questa è la paura” (dal III atto de “La bottega dell’orefice”). Sono molte le coppie che vivono con divisione, e non con condivisione, sino all’estraneità, una delle cause che rende “intollerabile la prosecuzione della convivenza” (art. 151 cod. civ.).

“L’amore deve essere forse un compromesso? O non deve invece nascere da una lotta continua per l’amore dell’altro?” (da “La bottega dell’orefice”). Amare non è scendere a compromessi, ma ascendere all’altro e insieme verso l’amore. Scendere a compromessi è mettere da parte qualcosa di sé o dell’altro e, alla lunga, ci si inaridisce o inasprisce. Scendere a compromessi è perdere qualcosa sino a perdere se stessi. Il matrimonio, invece, è prendere l’uno dall’altro e dell’altro, “com-prendere”. “Con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono gli stessi doveri” (art. 143 comma 1 cod. civ.). Il legislatore della riforma di diritto di famiglia (legge n. 151 del 19 maggio 1975) ha introdotto due verbi significativi, “acquistare” e “assumere”. Stessi diritti e medesimi doveri non significa usare nel rapporto tra coniugi il bilancino dell’orefice, fare le stesse cose e soppesarle (cambiare lo stesso numero di volte il pannolino ai bambini, dare loro il biberon, andare a buttare la busta dei rifiuti, … tra le azioni quotidiane più recriminate), ma significa reciprocità nel rispetto come nell’abbraccio, come nel coito, proprio secondo l’etimologia di “coppia”, che è “copula, legame, congiunzione”. Mentre nel testo previgente dell’art. 143 cod. civ. si diceva che “Il matrimonio impone ai coniugi l’obbligo reciproco della…”, nel novellato art. 143 comma 2 cod. civ. si legge che “Dal matrimonio deriva l’obbligo reciproco alla…”: un “flusso” che coinvolge entrambi e un “moto a luogo” dell’uno verso l’altro.

“[…] mi ascoltava ma senza preoccuparsi molto di quello che dicevo. Così il mio rancore è aumentato ancora. Non mi ama più – ho dovuto riconoscere – se non si accorge più della mia tristezza. Non riuscivo a darmi pace e non sapevo come impedire la crepa: (all’inizio i suoi margini si sono fermati ma da un momento all’altro potevano disgiungersi ancora di più – in ogni caso sentivo che ormai non si sarebbero più riaccostati)” (da “La bottega dell’orefice”). Non ascoltare, non accorgersi della sofferenza dell’altro, tacere non è “non far niente di male” ma è non ottemperare all’obbligo coniugale reciproco all’assistenza morale e materiale di cui all’art. 143 comma 2 cod. civ..

“Siamo diventati per loro un varco che devono attraversare con difficoltà per entrare in case nuove – nel rifugio delle loro anime. Sarebbe già molto se non inciampassero. – Viviamo in loro per lungo tempo. Quando crescono in fretta sembra che diventino inaccessibili, impermeabili come l’argilla, ma ormai sono impregnati di noi. E anche se si chiudono esteriormente rimaniamo lo stesso dentro di loro e fa quasi paura il pensarci – la loro vita è come una verifica del nostro operato, di ciò che è stata la nostra sofferenza” (da “La bottega dell’orefice”). Una rappresentazione della relazione genitori-figli realistica, sempre attuale e ricca di spunti per le varie scienze umane. I genitori sono un varco e la genitorialità è aprirsi alla vita e aprire alla vita. La famiglia: un nodo che avvolge, un nido che accoglie. Deve essere un nodo al filo che tesse la trama della vita e non un nodo scorsoio o un nodo irrisolto. Deve essere un nido di uccelli che dà la vita, il patrimonio genetico della specie e il nutrimento necessario per irrobustire le ali con cui spiccare il volo e non un nido di vespe o calabroni, insidioso e insidiato. Non si devono tenere i figli sotto una campana di vetro perché sotto quella campana possono sentirsi male o la campana, prima o poi, si può rompere e più di qualcuno può farsi male. Famiglia comincia con la sillaba “fa”, come la nota musicale e come il verbo fare: un’indicazione per come dovrebbe essere la famiglia. La rilevanza e l’unicità della famiglia sono rimarcate anche e soprattutto nelle fonti di diritto internazionale, come il Preambolo della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia.

Mons. Renzo Bonetti, esperto in materia matrimoniale e familiare, scrive sul matrimonio:“Dio vi ha dato un castello, voi vi siete adattati ad un garage e continuate a dire: che bello questo garage. In fondo stiamo anche bene, un po’ strettini, ma stiamo bene! Dio vi ha dato mille stanze per vivere la vostra nuzialità, vi offre una torre da cui vedere tutto il mondo e voi lì…”. Non è il matrimonio a essere difficile, ma le scelte quotidiane lo rendono tale. Il matrimonio è un’istituzione fallita o finita se nessuno ci crede più e non vi investe più. “Coniugio”, “unito dallo stesso giogo”: fare strada e seguirsi nella quotidianità della vita. Così si rende realtà il “vissero felici e contenti”! Il matrimonio non è solo un impegno tra due, ma pure nei confronti di altri, anche per questo è celebrato con rito pubblico. Occorre una maggiore consapevolezza personale, intrapersonale e interpersonale per prevenire i motivi di separazione, ma anche per evitare l’esacerbazione della conflittualità in caso di separazione.

Margherita Marzario Altalex             10 aprile 2020

www.altalex.com/documents/news/2020/04/10/coniugalita-amore

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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM

Trento. Covid-19: consulenze e gruppi di ascolto online per sostenere genitori e coppie

Il Consultorio Familiare Ucipem di Trento, da oltre 50 anni al servizio delle persone, delle coppie e delle famiglie che vivono momenti di difficoltà nelle relazioni interpersonali, di coppia, familiari e nei rapporti genitori-figli, è attivo anche in questo periodo per offrire ascolto e aiuto attraverso consulenze online individuali e di coppia.

Gli operatori Ucipem, esperti in psicoterapia, singola e di coppia, psicologia, pedagogia, diritto di famiglia, assistenza sociale, mediazione e sessuologia, possono prendersi cura delle persone che hanno bisogno di un confronto, di un consiglio, di un aiuto.

Il servizio di consulenza online è attivo attraverso varie modalità (skype, messenger, whatsapp e telefono) ed è gratuito. Per prenotare una consulenza è possibile contattare la segreteria del Consultorio

Una novità pensata per questo periodo di sospensione è l’attivazione di gruppi di ascolto online. L’obiettivo è supportare le persone con l’ascolto, il confronto e la condivisione della fatica e delle strategie utili ad attraversarla. I gruppi saranno seguiti da psicologi e psicoterapeuti, specializzati nel sostegno ai legami.

I gruppi di ascolto si rivolgono a tre tipologie di utenti:

  1. Il primo è per genitori con figli piccoli (fino alla 5/a elementare);
  2. Il secondo per genitori con figli preadolescenti e adolescenti;
  3. Il terzo è per coppie che cercano di mantenere, rafforzare o ricostruire il loro equilibrio interno.

Anche per far parte di un gruppo è necessario iscriversi presso la segreteria del Consultorio al telefono sopra indicato.

www.agenziagiornalisticaopinione.it/lancio-dagenzia/consultorio-familiare-ucipem-trento-covid-19-consulenze-e-gruppi-di-ascolto-online-per-sostenere-genitori-e-coppie-in-questo-periodo-di-sospensione

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CONVIVENZA

Obbligazioni naturali e attribuzioni patrimoniali al convivente more uxorio

            Ai sensi dell’art. 2034, cod. civ. si intende per obbligazioni naturali quanto è stato spontaneamente prestato in esecuzione di doveri morali o sociali: per esse non è ammessa la ripetizione, salvo non siano state eseguite da un incapace, né è previsto producano altri effetti. L’articolo distingue le obbligazioni naturali in due categorie, prevedendo al comma II fattispecie “tipiche” e, al comma I, con disposizione più ampia, l’esecuzione spontanea di un dovere morale o sociale (“atipiche”).

Le obbligazioni naturali atipiche: la differenza dalla donazione remuneratoria e d’uso. Le obbligazioni naturali atipiche si fondano sulla esecuzione spontanea di un dovere morale (l’obbligo di carattere etico, che vincola il soggetto a livello personale) o sociale (il dovere sentito come tale dalla collettività). Si differenziano dalla donazione remuneratoria, per alcuni, per la causa: la donazione remuneratoria è una atto di liberalità effettuato con animus donandi, senza effettiva controprestazione del donatario, mentre l’obbligazione naturale è un atto che il soggetto non compie liberamente, ma mosso da un obbligo morale; per altri, la differenza starebbe nell’intensità del vincolo morale o sociale; nell’entità dell’attribuzione (donazione e non obbligazione naturale se la prestazione è sproporzionata rispetto al dovere sociale o morale); nel motivo (se chi effettua l’attribuzione patrimoniale vuole remunerare la persona di sua iniziativa, senza che gli sia imposto da un particolare dovere morale o sociale avremmo una donazione remuneratoria).

            Va ricordato che la distinzione non è di poco conto: l’adempimento di una obbligazione naturale non è soggetto a collazione, riduzione e revocatoria, ed anche quando non è di modico valore non è soggetta alle forme della donazione. La differenza dalla donazione d’uso sarebbe invece, secondo alcuni, nell’entità dell’attribuzione, che deve essere di modico valore, o nell’animus; per altri, la liberalità d’uso sarebbe effettuata con animus donandi, mentre l’obbligazione naturale sarebbe effettuata con animus solvendi; altri ancora ritengono che l’obbligazione naturale sarebbe diretta a compensare un servizio stimabile, mentre la donazione d’uso atta a compensare un servizio non stimabile.

Nell’ambito delle obbligazioni naturali hanno assunto particolare rilievo le c.d. “unioni di fatto” o convivenze more uxorio, quali formazioni sociali rilevanti ex art. 2 Costituzione, caratterizzate da doveri di natura morale e sociale di ciascun convivente nei confronti dell’altro, che si esprimono anche nei rapporti di natura patrimoniale. Dal dovere di solidarietà tra le due persone unite da un legame stabile consegue infatti che le reciproche attribuzioni patrimoniali, le spese di vitto ed alloggio relative al periodo di convivenza e l’attività lavorativa e di assistenza svolta in favore dell’altro, siano in linea generale da ritenersi effettuate in adempimento di una obbligazione naturale, purché siano rispettati i principi di proporzionalità e di adeguatezza alle condizioni sociali e patrimoniali dei componenti della famiglia di fatto, senza che assumano rilievo le eventuali rinunce operate dal convivente – quale quella di trasferirsi all’estero recedendo dal rapporto di lavoro – ancorché suggerite o richieste dall’altro convivente, che abbiano determinato una situazione di precarietà sul piano economico, dal momento che tali dazioni non hanno valenza indennitaria. Si deve infatti presumere che le spese del ménage familiare siano state effettuate nel pieno spirito solidaristico, senza verificare quanto avesse contribuito l’uno piuttosto che l’altro, per cui gli esborsi con i quali uno ha inteso partecipare ai bisogni e alle necessità domestiche e di coppia possono giustificarsi come atto di liberalità o versamenti eseguiti in attuazione di un’obbligazione naturale.

            Può ravvisarsi l’adempimento di una obbligazione naturale anche nella dazione di una somma di danaro da parte di uno/a in favore dell’altra/a in occasione della cessazione della relazione, a condizione che la prestazione risulti adeguata alle circostanze e proporzionata alla entità del patrimonio e alle condizioni sociali del solvens.

            In caso di attribuzioni economico patrimoniali che esulino dal mero adempimento delle obbligazioni normalmente connesse e originate dal rapporto di convivenza, che hanno come effetto esclusivo l’arricchimento del partner e travalicano i limiti della proporzionalità e dell’adeguatezza, risulta tuttavia esperibile l’azione ex art. 2041, cod. civ. successivamente al venir meno della convivenza. In tale caso, le prestazioni che esulino dai doveri di carattere morale e civile di mutua assistenza e collaborazione fanno sorgere il diritto alla corresponsione di un indennizzo, sub specie di arricchimento senza causa.

            L’art. 2041, cod. civ. costituisce infatti una norma di chiusura della disciplina delle obbligazioni, diretta a conferire uno strumento di tutela ogniqualvolta si verifichi uno spostamento patrimoniale tra due soggetti (utiliter versum), per cui uno subisca un danno e l’altro si arricchisca senza giusta causa. La mancanza di una giusta causa non consiste nell’assenza di una ragione atta a giustificare la locupletazione dell’arricchito, ma piuttosto nella carenza di una ragione che legittimi quest’ultimo a trattenere quanto ricevuto, ed individua tutte le ipotesi di arricchimento/depauperamento prive di una giustificazione secundum ius, fondata su un titolo legale o negoziale idoneo a sorreggere tanto l’incremento patrimoniale dell’arricchito quanto il corrispettivo decremento patrimoniale del depauperato. L’arricchimento risulta, quindi, senza giusta causa se corrisponde ad un impoverimento non remunerato, ovvero non conseguente ad un atto di liberalità né ad un’obbligazione naturale, e ciò perché l’ordinamento esige che ogni arricchimento dipenda dalla realizzazione di un interesse meritevole di tutela. È ad esempio accoglibile la domanda proposta dall’ex convivente nei confronti dell’ex partner diretta alla corresponsione di un indennizzo per avere contribuito economicamente alla costruzione di un immobile intestato alla donna, potendosi applicare l’azione di ingiustificato arricchimento in presenza di prestazioni a vantaggio di uno dei conviventi, in quanto esulano dal mero adempimento delle obbligazioni nascenti dal rapporto di convivenza e travalicanti i limiti di proporzionalità e adeguatezza. Anche nel caso di trasferimento di immobile rientrante nelle obbligazioni naturali, si ritiene che possa rientrare in tale ambito il solo beneficio della intestazione in favore della convivente dell’immobile medesimo, riconoscendo – per contro – al convivente l’indennità di cui all’art. 936, cod. civ. ragguagliata all’incremento di valore degli immobili intervenuto per effetto delle addizioni da quest’ultimo poste in essere. E’ altresì escluso il rapporto di proporzionalità tra un’opera edificatoria realizzata, a proprie spese e con la propria manodopera, con l’arricchimento esclusivo del solo partner, e l’adempimento dei doveri morali e sociali da parte del convivente more uxorio.

            Allo stesso modo, le elargizioni patrimoniali effettuate nel corso della relazione sentimentale, anche se non tradottasi in convivenza, possono sì configurare l’adempimento di una obbligazione naturale (se la prestazione risulta adeguata alle circostanze e proporzionata all’entità del patrimonio e alle condizioni sociali del solvens), ma anche inquadrarsi diversamente, ove abbiano come effetto esclusivo l’arricchimento del partner e non sussista un rapporto di proporzionalità tra quanto sborsato e i doveri morali e sociali assunti reciprocamente dagli stessi soggetti. Si pensi al caso di elargizioni di denaro avvenute a titolo di prestito – e così di mutuo – con conseguente obbligo del mutuatario di provvedere non solo alla restituzione di quanto percepito, ma anche al pagamento degli interessi dalla data della domanda sino all’effettivo soddisfo.

Walter Giacardi                     altalex                        8 aprile 2020

www.altalex.com/documents/news/2020/04/08/obbligazioni-naturali-e-attribuzione-patrimoniali-convivente-more-uxorio

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CORONAVIRUS

E se il Coronavirus per gli adolescenti fosse anche un allenamento alla vita?

Un dialogo con Alberto Pellai su come l’esperienza dell’isolamento cambierà radicalmente le nostre famiglie. A cominciare dagli adolescenti: «Gli abbiamo chiesto di stare “imprigionati” proprio in una fase della vita che per definizione deve stare nel fuori, vivere di esplorazione e di relazione. Per loro, dentro questo sacrificio c’è anche un allenamento alla vita che forse come genitori del terzo millennio non avremmo mai immaginato di dover imporre, convinti come eravamo di crescerli felici, senza fatica e senza frustrazioni»

            Chiusi in casa. Gomito a gomito, genitori e figli, h24. Ragazzi in DAD-didattica a distanza (talvolta somiglia pure all’homeschooling), genitori in smartworking, bambini semplicemente assetati nella naturale dimensione del giocare, saltare, correre. Ci sono i bisogni di ciascuno che chiedono risposta e insieme la consapevolezza che di questo tempo eccezionale – non necessariamente più lento, ma certamente che si srotola in un perimetro fisico e di relazioni più ristretto – non si possa sprecare l’occasione di rafforzare le relazioni famigliari, in particolare con i nostri figli. «Sembra davvero che la sfida oggi non sia solo combattere il Coronavirus, ma anche riuscire ad essere buoni genitori in un tempo di confinamento e isolamento sociale», ha scritto Alberto Pellai in uno dei numerosi post con cui in queste settimane ha accompagnato tanti genitori.

Queste settimane rimarranno nella memoria delle nostre famiglie, uno di quei momenti storici che racconteremo ai nostri nipoti. Ma davvero si può dire che queste settimane cambieranno per sempre le nostre famiglie? In che senso?

Questo tempo ci sta facendo sentire il potere funzionale e disfunzionale dell’intimità familiare e dello “stare con” e “stare per” all’interno della famiglia. La forza del legame, che quando è un legame che funziona ha una funzione protettiva, di sostegno e generativa. Mentre quando il legame non è curaro o è disfunzionale diventerà ahimè distruttivo. Ci hanno dato pochissime informazioni sugli aspetti relazionali e psicologici della emergenza in Cina, ma uno dei dati arrivati a noi è che sono aumentate le separazioni dopo l’isolamento: effettivamente impareremo che la famiglia è luogo di protezione e sicurezza, che aiuta a tenere nei momenti di difficoltà dove è costruita su basi solide, mentre là dove poggiava già su basi fragili, purtroppo vedremo molto macerie.

Sui social, il nostro principale canale di relazioni, si leggono post sul “riscoprire” ciò che conta davvero nella vita, tra cui appunto la famiglia. È solo retorica? O cambierà davvero la consapevolezza del valore della famiglia?

Io credo che quei post siano veramente ancorati al principio di realtà. Siamo chiusi in casa e l’unica risorsa che abbiamo è la famiglia, è lì che ci aggrappiamo, in cui troviamo uno spazio relazionale che ci permette di avere la bellezza dei legami, un po’ di divertimento, il piacere dello stare insieme. Davvero con questi post stiamo raccontando che tocchiamo una differenza tra prima, dove in famiglia provavamo a fare queste cose ma nella fretta, in un tempo compresso. Prima era come se la dimensione del dovere di fare famiglia fosse prevalente sul piacere di esserlo. In questo momento stiamo capendo che dentro al dovere c’è anche il piacere.

            Come genitori ci siamo scoperti però tutti un po’ incapaci di so-stare nella relazione con i figli, perché poco abituati a farlo. Quindi la lezione da imparare per il futuro qual è?

Questo è un tema molto forte. La prima fase – che stiamo ancora vivendo – è quella del cambiamento di copione: prima sempre nel fuori, oggi sempre nel dentro. Questo ci ha obbligato a ridefinirci in relazione con gli altri componenti della famiglia. Piano piano scopriamo il nostro nuovo ritmo, armonizzando il nostro ritmo su quello della famiglia. Se penso ad una cosa che è cambiata vistosamente a casa mia, è il modo di stare a tavola: nonostante fosse un momento che abbiamo sempre curato, prima tutti si aveva un po’ l’ansia di alzarsi per andare da un’altra parte a fare cose, adesso è un tempo tranquillo e dilatato, è pazzesco perché proprio adesso che abbiamo meno da dirci, dal momento che nessuno esce o entra per fare cose, a tavola si parla tantissimo. In queste giornate in cui tutti siamo iperconnessi, ci sediamo a tavola desiderosi di staccare dall’iperconnessione: la tavola è una zona franca di igiene mentale, il tempo per stare in una relazione reale.

               Sugli adolescenti ci sono due aspetti da sottolineare. Da una parte si sono imbattuti nella dimensione della responsabilità e sacrificio in maniera potente. Nulla è più impegnativo che togliere la libertà a una persona e noi gli abbiamo chiesto di stare “imprigionati” proprio in una fase della vita che per definizione deve stare nel fuori, vivere di esplorazione e di relazione. Per loro, dentro questo sacrificio c’è anche un allenamento alla vita che forse come genitori del terzo millennio non avremmo mai immaginato di dover imporre, convinti come eravamo di crescerli felici, senza fatica e senza frustrazioni.  Alberto Pellai

Possiamo rivolgere una riflessione specifica agli adolescenti? Tante volte “prima” abbiamo parlato della loro convinzione di essere immortali, che li portava anche a sfide social pericolose: può essere che questa esperienza faccia riflettere più profondamente?

Sugli adolescenti ci sono due aspetti da sottolineare. Da una parte si sono imbattuti nella dimensione della responsabilità e sacrificio in maniera potente. Nulla è più impegnativo che togliere la libertà a una persona e noi gli abbiamo chiesto di stare “imprigionati” proprio in una fase della vita che per definizione è nel fuori, deve vivere di esplorazione e di relazione. Per loro, dentro questo sacrificio c’è anche un allenamento alla vita che forse come genitori del terzo millennio non avremmo mai immaginato di dover imporre, convinti come eravamo di crescerli felici, senza fatica e senza frustrazioni. È un momento di formazione che fino a metà del secolo scorso tutti facevano, nella prima parte delle loro esistenze: o si andava in guerra o si vedevano da vicino le conseguenze della guerra, c’era questa dimensione di preparazione all’adultità nel percorso di crescita. Ora, questa non è una guerra, abbiamo il frigo pieno e tutte le sicurezze che ci servono, ma certamente stiamo chiedendo loro una quantità di sacrifici impensabili pochi giorni fa e ora necessari. Stiamo chiedendo tanto e si stanno dimostrando all’altezza. Io sono molto grato alla scuola, ai miei due figli grandi gli ha strutturato la vita, dalle 8 fanno lezione, li vedo partecipare con grande senso di responsabilità, è come se avessero pescato un hardware autonomo, sentono che non è un tempo di vacanza ma un tempo da usare, con gli stessi obiettivi di prima che però vanno raggiunti in altro modo. Li vedo anche responsabilizzati nei confronti collettività, hanno rinunciato al loro bisogno di trasgredire e stare fuori dal frame, sentono che l’unione fa la forza, fra loro si stanno facendo dicendo “non usciamo”, in una sorta di educazione tra pari. E mi ha commosso vedere, come padre, che sanno cooperare: la grande fa un’ora di ginnastica al giorno con la piccola, il grande organizza tornei di carte o dama…

L’esperienza che stiamo facendo con #iorestoacasa è ambivalente, tant’è che anche gli hashtag hanno provato poi a recuperare qualche sfumatura per dire che si resta a casa non per paura ma per proteggere sia noi sia gli altri, in particolare i più fragili. Ma l’accezione prima è sicuramente quella della chiusura nella propria area di sicurezza. La famiglia però è per sua natura relazione, apertura, comunità… Questo #iorestoacasa rischia di essere un ulteriore passo di chiusura nel privato e nei nostri appartamenti, che ci porteremo dietro ancora più forte dopo questa esperienza?

È un aspetto da attenzionare. Il messaggio fortissimo che ci è stato dato di distanziamento e isolamento sociale c’è e amplifica certamente una tendenza a vedere l’altro come nemico. Ma dentro l’emergenza nessuno è l’untore e nessuno è l’unto che deve stare lontano dagli altri per un diritto a salvarsi, battere la pandemia è trovare una quadra. Se uno cammina per strada, in questi giorni dalle finestre si sente gridare cose orribili… questo è anche un piccolo allenamento di dittatura, tutti chiusi nelle case, non si può dire e fare, tutti si spiano fra loro. C’è una dimensione di solidarietà, per esempio le persone che cantano l’Inno d’Italia alla finestra, ma non so se questo durerà quando saremo alla quinta settimana di questa vita. Spero che l’elaborazione che faremo di questa serrata sarà il capire che la cosa più importante è la libertà, lo stare con gli altri. Certamente c’è il pericolo che in questa situazione i ragazzi che sono già a rischio di ritiro sociale diventino hikikomori, che le persine che hanno tendenze al gioco si perdano nell’online… Vedremo molto malessere, la salute mentale sarà un’emergenza dopo questa prima emergenza sanitaria: la depressione, la fatica, le famiglie scoppiate, le fragilità che si rompono… tutti i fattori di protezione che servono al nostro benessere mentale ci sono stati tolti per proteggere il corpo, ma il corpo è un contenitore.

                Il messaggio fortissimo di distanziamento e isolamento sociale amplifica certamente una tendenza a vedere l’altro come nemico. Ma dentro l’emergenza nessuno è l’untore e nessuno è l’unto che deve stare lontano dagli altri per un diritto a salvarsi, battere la pandemia è trovare una quadra. Certamente c’è il pericolo che in questa situazione i ragazzi che sono già a rischio di ritiro sociale diventino hikikomori, che le persine che hanno tendenze al gioco si perdano nell’online… Vedremo molto malessere, la salute mentale sarà un’emergenza dopo questa prima emergenza sanitaria perché tutti i fattori di protezione che servono al nostro benessere mentale ci sono stati tolti, per proteggere il corpo                               Alberto Pellai

            Vede un antidoto?

Produrre parola, cultura, pensiero e riflessione, tenere alto lo sguardo e trasformare la crisi in opportunità. Sono solo la parola e la cultura che seminano in un territorio desertificato. Se ci pensa, tutti stiamo parlando tantissimo, perché dobbiamo dar senso a qualcosa che “un senso non ce l’ha”. Ognuno di noi deve sviluppare il pensiero e trovare risposta alla domanda “cosa significa stare uniti?”. Non solo “che cosa posso fare per me stesso?” ma anche “che cosa posso fare per gli altri?”. È l’unico modo per dare senso a questa reclusione.

            L’intervista è stata pubblicata sul numero di aprile di VITA

    Sara De Carli                      Vita.it             01 aprile 2020

www.vita.it/it/article/2020/04/01/e-se-il-coronavirus-per-gli-adolescenti-fosse-anche-un-allenamento-all/154802

 

    I giovani pronti ai sacrifici: una spinta al cambiamento

È passato esattamente un mese da quando il lockdown [confinamento] è stato esteso all’intera penisola. Da allora viviamo tutti una comune condizione di spaesamento. Le due frasi più utilizzate in questo periodo sono state andrà tutto bene e nulla sarà più come prima, ma non abbiamo ancora chiaro come far stare assieme l’auspicio della prima con la consapevolezza della seconda. Il governo sta preparando la Fase 2 che consentirà di uscire dal lockdown attraverso la graduale ripresa delle attività e degli spostamenti. Ma a monte c’è la necessità di favorire il passaggio nei cittadini italiani dallo spaesamento al riorientamento, che richiede la definizione di nuove coordinate per muoversi ed operare in una realtà che sarà diversa.

            Questo passaggio dalla quotidianità ante Covid-19 al nuovo scenario ancora tutto da costruire – con nel mezzo il grande esperimento sociale a cui ci ha costretto il lockdown – è un momento unico, quasi certamente irripetibile in questa forma, per guardare la realtà in modo diverso, oltre le posizioni di comodo e la ripetizione di schemi dati per scontati. Da questo nuovo sguardo è necessario partire per capire come dall’isolamento si scenderà di nuovo in campo, si andrà a trovare la propria posizione, si potrà ridefinire i propri spazi di azione con rinnovati obiettivi, progetti e strumenti.

I dati dell’indagine dell’Osservatorio giovani dell’Istituto Toniolo condotta negli ultimi giorni del mese di marzo (all’apice della Fase 1) su un campione solido di residenti italiani tra i 20 e i 34 anni, consente di leggere l’impatto della crisi sanitaria e le prospettive del dopo attraverso timori e aspettative delle nuove generazioni. Da un lato sono i giovani la componente che vivrà le maggiori ricadute sui percorsi di formazione e professionali, d’altro lato è attraverso i loro occhi che la realtà che cambia trasforma modi di pensare e di agire che rimodellano la società futura.

I dati dell’indagine evidenziano, dopo una certa titubanza iniziale, come si sia fatta strada una grande consapevolezza del momento difficile che sta attraversando l’Italia e della necessità delle misure drastiche adottate. Inoltre, gran parte degli intervistati pensa che rischi come quello della pandemia Covid-19 siano destinati ad aumentare. Più che un evento raro, accaduto per una combinazione di circostanze negative, la crisi sanitaria è infatti letta come il segnale di un mondo che espone a nuove insidie, con la necessità di nuovi strumenti collettivi per affrontarle ma anche di un cambiamento di atteggiamento e nei comportamenti dei singoli. Sul quadro nazionale, a preoccupare è soprattutto la situazione economica, i possibili contraccolpi sul mercato del lavoro e le opportunità professionali.

Tra le potenziali ricadute positive indicano la spinta verso l’innovazione tecnologica e le competenze digitali, ma anche la rafforzata fiducia nella scienza, oltre che una riaffermazione dell’importanza delle relazioni familiari. Nella dimensione personale emerge una grande voglia di reagire positivamente, di poter contare sulle proprie capacità e sugli altri, di adottare un atteggiamento proattivo verso il cambiamento. Oltre la metà degli intervistati afferma di sentire di apprezzare di più la vita e quasi il 30 percento ha sperimentato, con la crisi, opportunità che non immaginava. Si tratta di una energia positiva che sarà importante tenere viva, sostenere e valorizzare, per alimentare la spinta di vitalità di cui avrà gran bisogno il Paese per ripartire.

Alessandro Rosina       “Il Messaggero”         9 aprile 2020

www.ilmessaggero.it/italia/covid_19_giovani_italia_sacrifici_sondaggio_ipsos_toniolo-5160988.html

https://francescomacri.wordpress.com/2020/04/10/i-giovani-pronti-ai-sacrifici-una-spinta-al-cambiamento/#more-54741

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DALLA NAVATA

Domenica di Pasqua. Resurrezione del Signore. Anno A       12 aprile 2020

 

 

Atti Apostoli       10, 42. E ci ha ordinato di annunciare al popolo e di testimoniare che egli è il giudice dei vivi e dei morti, costituito da Dio.

Salmo                 117, 22. La pietra scartata dai costruttori è divenuta la pietra d’angolo.
Questo è stato fatto dal Signore: una meraviglia ai nostri occhi.

Colossesi              03, 02. Rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra

Giovanni             20,01 Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro.

 

Un Dio di donne.

Sono le donne che venerdì hanno abitato, senza mollare di un centimetro, il perimetro attorno alla croce, sul Calvario; sono ancora le donne che a Pasqua corrono, nel vento del mattino, e lo vedono per prime.

Nel vangelo di stanotte Matteo raccontava di due donne e un angelo; le donne hanno il cuore grande abbastanza per parlare con gli angeli, sanno la loro lingua.

Nel vangelo di stamattina è ancora una donna, Maria di Magdala, ad ascoltare per prima le parole del risorto: lei conosce la lingua di Dio. Donna perché piangi? Sembrano proprio dette per noi, oggi, queste parole. Dio prova dolore per il dolore del mondo, raccoglie ad una ad una le nostre lacrime, le ripone nella sua anfora, le scrive nel suo libro e conta i passi del nostro vagare.

Poi la chiama: Maria! E lei si gira, sussurrando, piangendo, balbettando… e il vangelo, per prudenza, riferisce che abbia detto Rabbuni, Maestro. Ma nel giardino io sono sicuro che è risuonata un’altra parola, direttamente dal cuore: Amore! Sei tu. Sei qui.

Gesù non merita prudenza, merita la fretta dell’amore che non sopporta indugi, che è sempre in ritardo sugli abbracci. L’angelo ha detto alle donne: “So che cercate Gesù, non è qui!”. Cercate meglio, con occhi nuovi.

Che bello questo: non è qui! Cristo c’è, esiste, ma non qui. Va cercato diversamente, è in giro per le strade, un Dio da cogliere nella vita fuori. Non qui, non nelle tombe. Dappertutto, ma non fra le cose morte.
Lui è dentro i sogni di bellezza, in ogni scelta per un più grande amore, dentro l’atto di generare, nei gesti di pace, negli abbracci degli amanti, nel grido vittorioso del bimbo che nasce, nell’ultimo respiro del morente, nella tenerezza con cui si cura un malato.

Non è qui, vi precede. È sulla strada, è davanti, è il primo della carovana che incalza la nostra vita seduta. Io sono la via, la strada, il futuro.

Pasqua viene da un verbo ebraico (pesah) che vuol dire passare. Non è festa per stanziali, ma per migratori, per chi prova a scollinare verso giustizia, pace, armonia con il creato.
La Evangelii Gaudium conforta il mio cuore migrante: il cristiano sa bene che non va perduto nessun gesto d’amore e nessuna generosa fatica.

Non va perduta nessuna dolorosa pazienza. Io so che, per la Risurrezione di Cristo, tutto questo circola come energia di vita attraverso le vene del mondo. Il mondo è una immensa collina di croci. È vero. E tuttavia dove la terra è stata spianata, vedo spuntare un filo d’erba testardo, e poi un fiore che si impunta, ostinato, a fiorire. Vedo mucchi di macerie, eppure sono sicuro che la vita è assediata ma non espugnata.
Questa è la pasqua dei fragili, di molti crocifissi. Ma anche di mille e mille uomini e donne mirabili, nonostante; di mille Cirenei; di mille ciliegi fioriti sulle colline, nonostante

Tutti loro mi dicono: Non cercare fra i morti, colui che vive. Il mio Dio è vivo. E mi precede. Io non appartengo a un Dio compianto. E lo ripeto alle mie paure: io appartengo a un Dio vivo!

E questa fede mi fa dolce e fortissima compagnia.

Ermes Ronchi osm

www.cercoiltuovolto.it/vangelo-del-giorno/p-ermes-ronchi-commento-al-vangelo-del-giorno-12-aprile-2020

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DIRITTO DI FAMIGLIA

Delibera dell’Organismo Congressuale Forense

L’Assemblea dell’Organismo Congressuale Forense riunita in modalità telematica il giorno 8 aprile 2020, ha approvato la seguente delibera:             OMISSIS –

Iniziative per favorire la ripresa delle attività di assistenza nel periodo di emergenza e altre iniziative in ambito familiare

1) Negoziazione assistita. Deposito e restituzione atti. Durante questa prima fase di emergenza e, prevedibilmente, anche nel corso della c.d. “seconda fase”, le attività di assistenza e difesa delle parti coinvolte in controversie sorte in ambito familiare hanno subito una sostanziale contrazione, dovendo retrocedere rispetto alla necessità di tutelare la salute dei cittadini. Le prassi seguite dai diversi Uffici Giudiziari, inoltre, non risultano affatto uniformi, dovendosi osservare – ad esempio – che taluni Tribunali continuano a trattare gli affari “familiari” ed altri provvedono invece al rinvio in blocco di tali tipi di procedimenti.

E’ indubbio, tuttavia, che occorre sin da ora assumere iniziative volte a favorire la ripresa, quanto più celere possibile, nel principale interesse delle stesse parti (e degli interessi coinvolti, primi fra tutti quelli dei minori). L’istituto della negoziazione assistita in ambito familiare, più di ogni altro strumento di risoluzione alternativa delle controversie, già prima dell’emergenza, ha dato prova della sua capacità di incidere, con velocità e concretezza, nella definizione dei conflitti familiari, con forte spinta anche in termini di deflazione del carico giudiziario.

Appare quindi essenziale – ed urgente – intervenire oggi per favorire ancora di più l’utilizzo di tale istituto, al fine di diminuire ulteriormente il carico giudiziario e la conseguente necessità di comparizione delle parti e dei loro difensori in udienza, essenziale in questo momento per evitare il rischio di contagio da Covid19.

Nella attuale fase e, lo si ripete, anche nel prossimo futuro, perlomeno finché durerà la fase emergenziale, occorre inoltre ridurre ulteriormente ogni accesso dei difensori presso gli Uffici giudiziari, per il compimento di attività non strettamente connesse alla risoluzione delle controversie, bensì collegate ad adempimenti meramente burocratici.

A tal fine, la prima proposta che si ritiene di formulare tende a consentire ai difensori delle parti che abbiano attivato il procedimento di negoziazione assistita di poter procedere al deposito degli accordi e degli atti allegati (in formato pdf) mediante

  • L’utilizzo di posta elettronica certificata all’indirizzo dedicato da attivarsi presso le locali Procure delle Repubblica presso i Tribunali, prevedendo quindi che i medesimi Uffici,
  • Dopo l’emissione del provvedimento di autorizzazione o nullaosta, provvedano alla
  • Restituzione degli stessi ai difensori sempre a mezzo pec.

E’ indispensabile a tal fine che tutti gli Uffici delle Procure siano dotati di apposita PEC. Si chiede pertanto al competente Ministero della Giustizia di attivarsi in tal senso.

2) Negoziazione assistita. Interventi di ordine generale. Nella medesima ottica di favorire il ricorso allo strumento della negoziazione assistita in ambito familiare, con riduzione dell’utilizzo dello strumento giudiziario (con ricadute, in questa fase emergenziale, di riduzione anche e soprattutto dei contatti interpersonali) si ritiene di proporre ulteriori interventi legislativi, da assumere con carattere di urgenza – già oggetto di precedenti iniziative da parte dell’Organismo Congressuale Forense – diretti a:

Estendere la possibilità di ricorrere al beneficio del patrocinio a spese dello Stato anche per i procedimenti di negoziazione assistita in ambito familiare;

  • Estendere l’istituto anche alla risoluzione consensuale delle controversie tra genitori non coniugati o non uniti civilmente, anche per la modifica di precedenti provvedimenti già assunti giudizialmente;
  • Prevedere la possibilità di inserire negli accordi di divorzio o cessazione degli effetti civili, raggiunti a seguito di negoziazione assistita, il riconoscimento della c.d. “una tantum”, prevista dall’art. 5 comma 8° della legge 898/70 che, ancora oggi, richiede la valutazione di equità da parte del Tribunale. In tal caso la valutazione di equità viene fatta dagli avvocati che assistono le parti e sottoscrivono l’accordo.
  • Prevedere la possibilità espressa di consentire che, con i medesimi accordi, avvenga l’immediato trasferimento immobiliare di cespiti familiari, quando il trasferimento sia previsto come elemento funzionale ed indispensabile ai fini della risoluzione della crisi.
  • Prevedere (eventualmente per la sola fase emergenziale) che gli incontri tra le parti ed i difensori per il raggiungimento dell’accordo possa avvenire da remoto, con strumenti di video conferenza e con modalità da inserire nella convenzione e richiamate nel successivo accordo: prevedendo inoltre che tale modalità possa essere estesa anche alle trattative in corso, con integrazione consensuale della originaria convenzione. Si tratta di interventi, come detto, diretti a promuovere il ricorso ai procedimenti di negoziazione assistita, essenziale nel periodo emergenziale.

3) Procedimenti giudiziari consensuali di separazione, divorzio, cessazione degli effetti civili del matrimonio e di affidamento di figli minori nati fuori dal matrimonio. Per la sola fase emergenziale connessa alla necessità di evitare la diffusione del contagio epidemiologico, escludendosi che tale modalità possa essere successivamente adottata anche al termine della crisi, si ritiene di promuovere l’applicazione della prassi – già adottata da taluni uffici giudiziari in accordo con l’Avvocatura – che consente, nei soli casi di procedimenti di natura consensuale in ambito familiare e su richiesta delle parti tramite i difensori, di promuovere la c.d. “trattazione scritta” manifestando (nello stesso ricorso ovvero, nei casi di procedimenti ad oggi instaurati, con successiva istanza congiunta da depositare nel fascicolo telematico) la rinuncia a comparire e la conferma integrale delle condizioni di ricorso, ribadendo la volontà di non riconciliarsi.

All’esito della istanza di trattazione scritta il Tribunale provvederà alla emissione del provvedimento definitivo (omologa, sentenza, decreto) provvedendo poi all’acquisizione per via telematica del parere del Pubblico Ministero.

4) Problematiche connesse allo spostamento dei genitori al fine di adempiere alle obbligazioni (o agli accordi) derivanti dall’affidamento dei figli minori. Una delle maggiori problematiche emerse a seguito della emanazione dei provvedimenti, sia governativi che a livello locale, che hanno imposto limitazioni agli spostamenti delle persone, sia all’interno che tra comuni diversi, se non per comprovate ragioni di necessità, salute o urgenza, ha riguardato proprio la tematica degli spostamenti dei genitori per prelevare e riportare figli collocati presso l’altro genitore.

Sul punto è intervenuto, dopo la pubblicazione degli iniziali provvedimenti che istituivano le prime “zone rosse”, anche il Ministero dell’Interno offrendo chiarimenti ai cittadini e indicazioni alle autorità preposte ai controlli, specificando che tali spostamenti devono ritenersi consentiti. Tuttavia il problema è stato nuovamente riproposto dopo l’emanazione del D.l. 18/2020 che, secondo alcune interpretazioni, avrebbe ulteriormente ristretto il regime degli spostamenti consentiti. Non consta che, all’esito della pubblicazione del citato decreto, il Ministero dell’Interno sia nuovamente intervenuto con note di chiarimenti, dovendosi perciò ritenere che il quadro non sia mutato e che, quindi, gli spostamenti dei genitori per adempiere agli obblighi connessi all’affidamento dei figli minori siano tutt’ora consentiti. Tuttavia appaiono proseguire, seppure in misura più limitata, segnalazioni di criticità al riguardo che suggeriscono un definitivo intervento chiarificatore, seppure a livello di mera circolare ministeriale.

Al riguardo va peraltro segnalata un’ulteriore criticità, riguardante situazioni familiari nelle quali possono trovarsi coinvolti e pregiudicati nel diritto di continuare ad avere rapporti con entrambi i genitori, quei minori figli di genitori che non risultino formalmente separati o i quali non abbiano ancora regolamentato davanti all’autorità giudiziaria le modalità di affidamento e visita dei figli, seppure possano avere trovato un accordo soddisfacente per entrambi.

Analoga situazione può verificarsi (e spesso si verifica) anche quando i genitori, dopo l’emanazione dei provvedimenti giudiziali, abbiano modificato consensualmente il regime previsto dall’autorità giudiziaria in ragione delle rispettive esigenze, senza però far modificare i provvedimenti già assunti.

 E’ ovvio che i minori coinvolti in queste situazioni non possano essere pregiudicati da scelte, pur legittime, dei genitori che – per le più diverse ragioni – non abbiano formalmente regolamentato il diritto di visita. Diversamente ragionando si creerebbe una ingiustificata disparità tra minori di genitori formalmente separati o che abbiano già ottenuto provvedimenti giudiziari per la regolamentazione delle visite e minori figli di genitori che non vi abbiano ancora provveduto (o non vogliano provvedervi).

Al riguardo, essendo compito dell’Avvocatura segnalare criticità e offrire soluzioni che consentano – con il minor sacrificio – di pervenire ad accordi tra le parti, si segnala la necessità di un intervento anche sulla questione consentendo ai genitori non separati – che abbiano in tale senso già raggiunto una intesa – di formalizzare tale accordo anche con semplice scrittura privata e di inserire tale ulteriore modalità (adempimento di obblighi connessi all’affidamento dei figli minori ovvero di diversi accordi tra genitori) nei modelli di autocertificazione forniti dalla pubblica amministrazione.

            5) Gestione incapaci. Preso atto della fase emergenziale e del D.M. innanzi citato che limita la circolazione degli individui, si chiede al Ministero di esplicitare con propria nota o circolare interpretativa la possibilità di svolgere le incombenze necessarie all’assistenza degli interdetti, inabilitati e dei fruitori di amministrazione di sostegno anche da parte di soggetti diversi da quelli incaricati ex officio (curatori, tutori, amministratori di sostegno e pro-tutori) ove questi ultimi siano impediti, mediante la esibizione della sola autocertificazione , stante l’esigenza primaria dell’accudimento e della cura delle fasce deboli della popolazione. Consentire tale favor anche nei confronti dei prossimi congiunti di soggetti non ancora accertati giudizialmente, ma nel medesimo stato certificato di idonea documentazione del medico curante.

A cura del gruppo di lavoro Famiglia e Diritti                      Roma, 8 aprile 2020

Il Segretario                                         Il Coordinatore

Avv. Vincenzo Ciraolo                                               Avv. Giovanni Malinconico

www.osservatoriofamiglia.it/include/open-pdf.php?iddocumento=4637

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ECONOMIA

Il mondo che verrà secondo l’economista Stefano Zamagni

Sulle pagine dell’Osservatore Romano di oggi l’intervista al presidente della Pontificia accademia delle Scienze Sociali sul dopo coronavirus, che includerà “nemici” importanti, a partire dal neoliberismo, ma anche e soprattutto un’epoca migliore

 

Nel “nuovo mondo” del dopovirus il nemico numero uno sarà il liberismo. E insieme ad esso, almeno in Italia, la burocrazia, l’ostinazione nel rifiutare il principio di sussidiarietà, la resistenza alle opportunità che la tecnologia ha dimostrato di poter fornire. Nonostante questo compito impegnativo all’orizzonte, secondo Stefano Zamagni, economista, presidente della Pontificia accademia delle Scienze Sociali, il futuro comunque sarà migliore del passato. L’Europa, per esempio, sarà più forte e i sovranismi, nell’immediato, saranno costretti ad arretrare. Perché tutto questo accada, però, occorrono iniziative tempestive, coraggiose e lungimiranti. In Italia, per esempio, servirebbe un think tank, un gruppo di esperti politicamente indipendenti e desiderosi di dare una mano al loro paese, in grado di elaborare nel termine di poche settimane un vasto progetto con cui ripartire, quando si avvierà finalmente la famosa “fase 2”.

Professor Zamagni, prima di tutto mi permetta una domanda ineludibile: lei è favorevole alla riapertura in Italia, in tempi brevi, delle attività produttive, anche correndo qualche rischio, o preferisce attendere il via libera degli scienziati?

            R. – Il punto è delicato e richiede una risposta articolata. Circola uno studio recente realizzato da un team di esperti dell’Università di Alicante, istituzione piuttosto attendibile, secondo il quale in Italia e in Spagna il 24 aprile sarà la data di un deciso cambio di rotta, in positivo, dell’epidemia. Se questo è vero ha un senso riaprire. Altri studi però mostrano scenari diversi. Ci sono pareri discordanti anche a livello scientifico: questo va detto. I police makers, i governanti, sono costretti a basarsi su questi dati, che non sono concordi. Purtroppo, negli anni passati, quando era possibile farlo, gli istituti scientifici non sono stati messi nella condizione di effettuare studi che adesso sarebbero preziosi. Bisogna dire con chiarezza, però, che non si muore solo di virus: se entro due mesi la situazione non si risolvesse si potrebbe cominciare a morire anche per denutrizione, per cattiva alimentazione, per insufficiente assistenza sanitaria. I modi per riaprire gradualmente ci sono. Occorre iniziare con le attività che producono valore aggiunto: le partite di calcio, tanto per intendersi, non sono fra queste.  Fino ad ora, durante questa crisi, abbiamo solo redistribuito valore, senza produrlo. E’ chiaro che così non possiamo reggere. E qui devo dire che le autorità italiane non hanno mostrato di voler valorizzare i tanti organismi del cosiddetto “terzo settore” che potrebbero fare un mondo di bene. Ho sottoscritto, assieme ad altri, un appello per avviare il servizio civile universale. Ci sono 80.000 giovani che in base agli ultimi bandi sono pronti a lavorare gratuitamente per un anno. Lo stesso vale per molte fondazioni sanitarie. Sarebbe un vero e proprio esercito pronto a scendere in campo. Parliamo di circa 360 mila organizzazioni. Il problema è che ci sono alcuni settori che sono contrari al principio di sussidiarietà. C’è troppo dogmatismo e poca cultura. Prendiamo il tema della fragilità e della vulnerabilità, di cui si parla molto in questi giorni. Sfugge una distinzione fra queste due categorie. Noi in questi giorni siamo intervenuti a favore dei più fragili, di chi si trova in condizione di bisogno. Ed era giusto farlo. Ma la vulnerabilità è la condizione di chi, con una percentuale di probabilità superiore al 50%, entro un determinato lasso di tempo potrebbe trovarsi fra quelli che oggi vengono definiti fragili.

In questi giorni abbiamo sentito molti pareri, anche diversi, in merito agli effetti che il lockdown avrà sull’economia italiana e su quella mondiale. Si può dire ormai, almeno a grandi linee, quali saranno le principali emergenze che si dovranno affrontare nell’immediato?

            R. – In primo luogo bisogna passare dal Welfare State alla Welfare Society: ammettere anzitutto che la salute non è un bene privato ma pubblico. Questo virus ce lo sta dimostrando chiaramente: se io mi ammalo finisco con il fare ammalare anche gli altri. Diventa un problema comune.

Poi occorre passare dal modello della cosiddetta “alternanza scuola-lavoro” alla “convergenza scuola-lavoro”, perché i due mondi non sono alternativi. Nei progetti educativi bisogna introdurre il termine “conazione” (conoscenza e azione). Il sapere va usato in senso trasformativo. Oggi le imprese hanno fame di conoscenza eppure non riescono a impiegare chi la possiede. Naturalmente ciò comporta riscrivere l’architettura filosofica che è alla base della scuola. E’ lo stesso concetto attorno al quale ruota il progetto educativo che il Papa ha inteso promuovere e che verrà rilanciato nei prossimi mesi.

Un altro punto fondamentale è quello della deburocratizzazione. Nessuno ha l’onestà di dire che la burocrazia c’è per colpa di tutti i partiti politici, e sottolineo tutti, che l’hanno creata a colpi di leggi a partire dagli anni ’80 del secolo scorso in poi (il miracolo economico precedente si è potuto verificare proprio in assenza di questo genere di ostacoli). La burocrazia la si tiene in vita in virtù di quella che viene definita la rent seeking [ricerca di rendita]: non è altro che uno strumento per mantenere o estrarre rendita. Ecco, bisogna far partire una lotta senza quartiere contro le posizioni di rendita che si annidano nella burocrazia. Anche perché per mantenere il burocrate, per giustificare il suo stipendio, l’unico modo è fargli produrre carte su carte, in un processo autorigenerativo.

 Altro punto fondamentale è quello del tasso di imprenditorialità, che in Italia è calato molto: muoiono molte più imprese di quante ne nascano, e quando dicono “muoiono” mi riferisco anche a quelle che passano di mano ad aziende francesi o tedesche pur mantenendo il marchio formalmente invariato. C’è differenza fra imprenditorialità e managerialità. In Italia ci sono tanti bravissimi manager, abbiamo ottime e numerose business school. Il problema è che mentre il manager ha bisogno di tecnica, l’imprenditore ha bisogno di cultura, di alta cultura. E qui le nostre università hanno delle colpe, sfido chiunque a dimostrare il contrario.

Infine c’è la questione della “tassazione promozionale”, quella che gli inglesi definiscono Optimal taxation theory: le tasse le deve pagare soprattutto chi ha rendita, non chi produce valore. Se questo facesse parte di un programma elettorale scommetto che la gente lo voterebbe in massa. Mi piacerebbe sapere cosa hanno da dire su questo punto i grandi fautori della meritocrazia. Se si fosse realmente meritocratici si dovrebbe essere d’accordo. Ma bisogna intervenire subito. Serve un think tank [centro studi] composto da esperti indipendenti, liberi da vincoli partitici, che abbiano a cuore le sorti del paese e che nel termine di tre mesi siano in grado di elaborare un progetto.

            Cosa ci ha insegnato, ci sta insegnando, questa pandemia, sotto il profilo dei rapporti economici e sociali?

R. – La lezione principale è che il modello liberista è il nemico numero uno. Fino a qualche tempo fa c’era chi ancora inneggiava al neoliberismo. O chi confondeva il globalismo con la globalizzazione, quando naturalmente si tratta di cose molte diverse. È sempre il vecchio concetto caro ad Adam Smith, secondo cui la marea quando si alza solleva tanto le imbarcazioni grandi quanto quelle piccole, la teoria secondo la quale in economia c’è sempre una mano invisibile che aggiusta tutte le cose. C’è voluto il Papa con la Evangelii Gaudium a fare presente che non è così. Oggi chi ancora sostiene le posizioni neoliberiste o è un incompetente o lo fa in cattiva fede. La pandemia di questi giorni somiglia tanto alla “distruzione creatrice” di cui parlava Joseph Schumpeter nel 1912, quella che viene considerata la componente fisiologica del capitalismo, la cui ontologia ruota attorno appunto al principio darwiniano del far morire per ricreare. Secondo l’economista austriaco, non c’è niente che si può fare per evitarlo. Il problema è che dalla dimensione economica questo principio si è spostato a livello sociale. E i più poveri, i più fragili, sono quelli che pagano. Lo vediamo in questi giorni, anche a livello sanitario, con la drammatica scelta di chi curare. Questo meccanismo va domato: la dimensione del creare deve prevalere su quella distruttiva, in modo che la prima possa compensare gli effetti della seconda. Ma sono certo che questo accadrà, perché la gente sta aprendo gli occhi. Vede, bisogna distinguere sempre fra capitalismo ed economia di mercato. Dire che bisogna accettare il primo per salvare il secondo è una grande falsità. Dovremmo cambiare anche i libri di economia in uso all’università, che finora hanno insegnato questo. Poi naturalmente occorre continuare a lavorare anche sull’eccessiva finanziarizzazione dell’economia, che del resto è già entrata in crisi da tempo.

            Didattica a distanza, smart working, telelavoro, e-commerce: meno tempo sprecato, meno inquinamento, maggiore efficienza. Sarà davvero questa l’eredità positiva che il virus lascerà al mondo o fatalmente si tornerà indietro?

            R. – Se non fosse accaduto quello che è accaduto ci sarebbero voluti anni per convincerci ad andare in questa direzione. Ora, se non altro, possiamo dire che se dopo l’emergenza un’azienda non si adatta allo smart working o al telelavoro la colpa è solo sua: la tecnologia, come si è visto, c’è e funziona senza particolari problemi. Purtroppo anche qui è ben presente la mentalità di cui si parlava prima, quella della rendita di posizione, del timore di usare criteri di valutazione diversi. Una trasformazione del genere farà cambiare anche i meccanismi di contrattazione collettiva e le relazioni industriali. Anche il mondo sindacale potrebbe venirne rinvigorito, a patto che i suoi esponenti ne siano all’altezza. Si dovrà essere pagati non in base al tempo di lavoro, ma in base ai progetti, imparare a valutare l’outcome [esito], non l’output [produzione], il risultato finale, non il mero prodotto quotidiano.

Al momento comunque rimangono alcune note dolenti. O quanto meno alcune criticità. A suo parere come si sta comportando l’Europa? E’ davvero a un bivio, come osservano in molti? Come ne uscirà?

R. – Ne uscirà rafforzata. Anche i paesi più ricchi della comunità si renderanno conto che occorre riscrivere i trattati, da quello di Maastricht a quello di Dublino. Di fronte a situazioni come quelle che stiamo vivendo, occorre prendere coscienza che non ci si può fermare all’unione monetaria ma occorre andare avanti. Torna anche qui il concetto di vulnerabilità: a un certo punto l’Europa si è sentita forte, meno fragile. Ma rimane al momento estremamente vulnerabile. Credo però, come già sta accadendo in questi giorni, che gli antieuropeisti e i sovranisti, inevitabilmente, verranno messi a tacere. Almeno per qualche tempo.  I nazionalisti pretendono di essere interpreti del bene della nazione e degli interessi del popolo. La realtà ci dice invece che la salvezza è nella cooperazione.

            Questo a livello europeo. In scala mondiale alcuni dei paesi più influenti o emergenti sono guidati però da leader che nel passato si sono dimostrati un po’ refrattari all’idea della cooperazione.

            R.- In effetti, a livello mondiale sono un po’ meno ottimista. La colpa anche qui è tutta occidentale. Siamo noi che abbiamo permesso che certi stati diventassero dei giganti economici, potenti ma fondati su linee di sviluppo così lontane da quelle proprie delle nostre democrazie e soprattutto così noncuranti dei diritti umani…Bisogna cambiare registro. E per questo occorre un’Europa forte. Le potenzialità per primeggiare ci sono, ci sarebbero tutte. Eppure continuiamo ad azzannarci fra noi, a insistere su politiche di austerità che tra l’altro non hanno alcun vantaggio scientificamente fondato.

            Quanto l’economia civile, l’economia verde, la microeconomia possono realmente costituire un’occasione concreta di sviluppo?

R. – L’economia civile è un paradigma teorico che viene rifiutato forse anche perché nasce in ambienti cattolici. Le sue caratteristiche sono semplici: non esclude nessuno dal mercato; afferma che il fine dell’agire economico è il bene comune, non il bene totale; afferma che l’ordine sociale è il frutto dell’interazione fra stato, mercato e società civile; non accetta il principio del “Noma”, dei Non-overlapping magisteria (la teoria secondo qui scienza e religione avrebbero aree di indagine diverse e non sovrapponibili, ndr). Quest’ultima è una teoria antica. Se ne può trovare origine sin dal 1829, quando Richard Whatley, arcivescovo anglicano e professore di economia a Oxford, affermava che l’economia è una scienza neutrale che deve essere separata dall’etica e dalla politica. Un concetto antico ma assolutamente inaccettabile.

            Chi a suo parere può assumere la leadership nel guidare questi processi innovativi?

R.- Questo è un falso problema. È l’uso che dà il metodo, secondo l’epistemologia: è una delle poche affermazioni di Kant sulle quali sono d’accordo. Prima di cercare il leader devi creare le coscienze. A quel punto il leader verrà fuori. Bisogna che la gente cambi, come dire, il mindset [mentalità]. Fece lo stesso anche Gesù, in fondo, affidandosi agli analfabeti, Pietro per primo, ed esortandoli ad andare in giro a convincere gli altri. Quando nelle persone inietti il desiderio del cambiamento, si è già a buon punto.

Marco Bellizi  Vatican news  09 aprile 2020

www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2020-04/osservatore-romano-zamagni-ecnomia-coronavirus-futuro.html?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=NewsletterVN-IT

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FAMIGLIA

Fare famiglia oggi. Un atto rivoluzionario

La prospettiva familiare nei nuovi standard sociali

In questo periodo di quarantena, le famiglie di tutta Italia e di molti altri paesi del mondo sono messe a dura prova. Possiamo far fruttare questo tempo di drammatica attesa tornando a riflettere sul valore della famiglia oggi, chiedendoci se è ancora possibile affermare che il matrimonio faccia la differenza all’interno di una coppia, e rivolgendoci in special modo ai giovani.

            Se fino a ieri decidere di sposarsi e creare una famiglia, non era visto come una vera e propria scelta di vita, ma praticamente un’opzione già scritta, naturale, così come – troppo spesso – quella di definirsi vagamente “cristiani”, per l’educazione ricevuta dai genitori, – su entrambi i fronti – possiamo affermare, con una certa sicurezza, che oggi non è più così, che quello che lo standard globalizzato di “vita di successo” propone ad un giovane (studio, carriera, sport, vita sociale, relazioni a distanza) contempla altrettanto “naturalmente” l’impossibilità, se non la totale rinuncia, ad instaurare un legame indissolubile, o che quantomeno ci prova.

            Smettiamola di ripetere che i giovani d’oggi non vogliono assumersi responsabilità e sposarsi e cominciamo a vedere che è il mondo nel quale vivono (lavorativo, sociale e dunque relazionale) e in cui sono immersi a “diseducarli” al matrimonio.

Una scelta potenzialmente rivoluzionaria. Senza bisogno di riprendere le solite logiche della mercificazione delle relazioni, basta dire che non è possibile e non è pensabile che il desiderio di un’unione fedele, armonica e duratura nel tempo con una persona amata sia svanito, sia semplicemente crollato sotto le picconate della rivoluzione sessuale, la quale è sembrata fornire formalmente una giustificazione ad una liberazione del desiderio sessuale dai “rigidi” schemi dell’assetto societario. Sarebbe ridicolo infatti credere che oggi, nell’era del “divorzio breve” e delle “coppie di fatto”, il matrimonio possa essere visto ancora come la gabbia soffocante dell’amore e del desiderio o ironizzato come la fine della libertà individuale.

            Ad oggi pare, al contrario, che la precarietà e – numericamente – la fatica di rimanere insieme a qualcuno per tutta la vita, nonostante il tempo che passa, permettano all’istituzione matrimoniale di poter avere la chance di “sfidare le contraddizioni del nostro tempo”.

 In un mondo globalizzato in cui ormai sono pochissimi i giovani che nascono, studiano e lavorano nella stessa città quasi per tutta la vita, fare famiglia è davvero un atto di coraggio, è un atto rivoluzionario. Segna la fuoriuscita dallo schema di una vita da “migrante”, da vagabondo relazionale che ha come unico maestro “le esperienze” ma che non ha più guide, e non le vuole avere, poiché vivendo in un mondo sempre più “smart” sa benissimo che verità e conoscenza non lo precedono, ma gli stanno avanti, sempre un passo avanti, e seguono dunque lo schema dell’avanzamento tecnologico.

Riscoprire il gusto di un’unione forte. Quello che davvero importa sottolineare, è come in fin dei conti non si tratti di fare la morale a nessuno, messaggio che traspare ampiamente anche dall’esortazione apostolica di Papa Francesco Amoris Lætitia: “Bisogna aiutare i giovani a scoprire il valore e la ricchezza del matrimonio. Devono poter cogliere l’attrattiva di un’unione piena che eleva e perfeziona la dimensione sociale dell’esistenza. […] Non si tratta di dare loro tutto il Catechismo, né di saturarli con troppi argomenti.”

            Citando le parole del grande Ignazio di Loyola, infatti, “Non il molto sapere sazia e soddisfa l’anima, ma il sentire e il gustare interiormente le cose”.

            Non è dunque di un contenitore normativo che le persone hanno bisogno per maturare la consapevolezza che il desiderio d’amore autentico si nutra di una spinta verso l’infinito, e dunque spinga l’amante a stabilire con l’amato un legame “forte come la morte” – come recita il Cantico dei Cantici – ma è di un contenuto e di esempi credibili che hanno disperatamente bisogno i giovani, di un insegnamento che sia autenticamente liberante e che fornisca gli strumenti intellettuali, psicologici, pedagogici e anche teologici per rompere la catena dell’amore narcisistico, che tiene lontana per timore o egoismo la felicità e la gioia della condivisione piena, mentre tiene legati all’incantamento dell’ego e dunque alle dipendenze di “qualcuno” – come accade spesso sul lavoro .

Spossessamento. Il fatto che noi stessi siamo quel qualcuno da cui dipendiamo narcisisticamente non ci rende, infatti, meno schiavi e meno incapaci di donare “tutto” di noi a qualcun altro, il quale rimarrà sempre un po’ estraneo per quanto conosciuto, misteriosamente inafferrabile e talvolta incomprensibile. È proprio il caso di dire, allora, che correre il rischio dell’amore significa al contempo riceverlo compiutamente in dono, quale unica esperienza di spossessamento che ci libera davvero ed è in grado di farci sentire “salvati”.

            Sull’essenziale differenza che intercorre tra il semplice, seppur genuino, slancio dei cuori e la maturazione dell’impegno matrimoniale l’Amoris Lætitia e aggiunge: “Imparare ad amare qualcuno non è qualcosa che si improvvisa, né può essere l’obiettivo di un breve corso previo alla celebrazione del matrimonio. […] Nulla è più volubile, precario e imprevedibile del desiderio […]. Se si riconoscono con chiarezza i punti deboli dell’altro, occorre avere una fiducia realistica nella possibilità di aiutarlo a sviluppare il meglio della sua persona per controbilanciare il peso delle sue fragilità, con un deciso interesse a promuoverlo come essere umano. Questo implica accettare con ferma volontà la possibilità di affrontare alcune rinunce, momenti difficili e situazioni conflittuali […] individuare i segnali di pericolo che potrà avere la relazione per trovare prima di sposarsi i mezzi che permettano di affrontarli con successo”.

Una sfida a superare i propri schemi. Lungi dall’astrattezza dell’“e vissero per sempre felici e contenti”, il modello fornitoci dall’esortazione apostolica di Papa Francesco comunica un messaggio di tangibile concretezza e pragmaticità. Il matrimonio, in quest’ottica, fa la differenza perché sottrae l’amore alla vaghezza del sentimentalismo, e si delinea compiutamente come “progetto a due”, come patto e promessa reciproca di affrontarne conseguenze e contraddizioni.

            Remando contro il vecchio detto “ogni testa è tribunale”, la sfida rivoluzionaria che il matrimonio cristiano mette al centro della vita di coppia è vincolarsi alla deposizione delle vesti del giudice che sentenzia nello spazio pubblico del foro, e imparare ad uscire continuamente dai propri schemi per incontrare l’altro da amante, ammettendolo, invece, allo spazio privato e condiviso della casa.

Veronica Sciacca                    tuttavia           12 aprile 2020

www.tuttavia.eu/2020/04/12/fare-famiglia-oggi-un-atto-rivoluzionario

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FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI

L’assegno universale per figli? Il momento è adesso

Se l’avessimo fatto prima, oggi sarebbe stato come l’arca di Noè, dice presidente del Forum Famiglie: «Noi chiediamo una visione coraggiosa del futuro, non di tappare i buchi. Adesso devi decidere cosa vuoi fare, dove vuoi investire le risorse che hai. Dove il paese ti risponde con forza? Su chi scommetti? Chi può correre, se gli dai gambe? Le famiglie, che sono le fondamenta del paese»

«Sto facendo un comunicato al giorno, dicendo sempre solo una cosa: il Governo faccia un assegno straordinario per ogni figlio fino ai 18 anni, indipendente dal reddito e dall’ISEE. Cominciando da chi, in questo momento, è più a rischio povertà: le partite IVA e le famiglie numerose. Ripeto sempre una cosa, sempre la stessa, perché questo è il tema»: Gigi De Palo, il presidente del Forum delle Famiglie, non è ancora stanco di dirlo. Non può essere stanco: «Dovresti leggere i messaggi che mi arrivano. Ci sono famiglie disperate, il mio ruolo è dare loro voce. Finora le famiglie si sono fatte sentire educatamente, ma iniziano a essere stanche di doversi caricare sulle spalle le insufficienze del Paese, senza ricevere risposte semplici, universali e concrete alle complicazioni attuali… Dal Governo arrivano anche risorse, ma senza mai considerare la famiglia: bene per esempio i 600 euro per gli autonomi, ma puoi non tener conto della composizione familiare? Come fai a non pensare che 600 euro per una persona sola hanno un valore, ma se in famiglia si è in 7 – come noi – le difficoltà cambiano? Vuol dire che hai un approccio che non considera per nulla la famiglia, che la dai per scontata. Il fatto è che la tenuta delle famiglie era già allo stremo prima del Coronavirus…».

La richiesta quindi qual è? Chiediamo al Presidente del Consiglio di concretizzare con il suo Governo l’idea di un assegno straordinario per ogni figlio fino ai 18 anni, indipendente da ISEE e reddito. Una misura molto più utile di tanti decreti-toppa, che finora non hanno preso in considerazione le famiglie: sono incentrati sui lavoratori, si è molto proiettati sul sostegno alle aziende… poco sulle famiglie.

Qual è il problema di fondo? Il Governo sembra che non comprende che il Paese è fatto di famiglie, che non si può guardare ai lavoratori differenziandoli in base alla tipologia di contratto. I medici stanno in prima linea, ma sono le famiglie, nelle retrovie, che stanno reggendo l’impatto di tutto. Ci viene chiedo di fare da baby-sitter, da insegnanti di sostegno, da tecnici informatici, di occuparsi dei nonni anziani ma senza poterli vedere, di prendersi cura di parenti fragili, fare la spesa… il tutto rimanendo a casa e continuando comunque, per chi può, a lavorare. In questo momento mia moglie sta facendo fare fisioterapia a Giorgio, nostro figlio più piccolo che ha la sindrome di Down, che altrimenti tornerebbe indietro nel suo percorso… Se non ci fossero le famiglie, il Paese sarebbe già a rotoli. Eppure tutto questo è dato per scontato. Le famiglie non dicono che non vogliono fare tutto questo, né chiedono elemosina, chiedono semplicemente di essere messe nelle condizioni di poterlo fare. Dal Presidente del Consiglio mi aspetterei anche un discorso motivante, che riconosca e valorizzi il fatto che le famiglie stanno facendo i salti mortali… Ci vuole una valorizzazione del ruolo delle famiglie, della sussidiarietà spontanea e gratuita del paese.

Immagino che un esponente del Governo qui le citerebbe il congedo parentale straordinario, il voucher baby sitter, i 600 euro per le partite IVA. Il voucher baby sitter andava bene venti giorni fa, ma oggi chi se la mette in casa una baby sitter? E chi entra in una casa a cuor leggero? Poi c’è il problema enorme dei lavoratori atipici con figli, sto ricevendo mail bellissime di famiglie che hanno un lavoro da dipendente, che sono disposte a dare una parte del loro stipendio a chi ha una partita IVA. Sul bonus da 600 euro, l’ho già detto, è micidiale che si sia fatto un discorso individuale. Se avessimo fatto l’assegno unico a suo tempo, adesso sarebbe tutto radicalmente diverso. Noè ha costruito l’Arca quando ancora c’era il sole: da noi quando era necessario e semplice, nessun esecutivo ha mai messo le famiglie in condizione di svolgere la loro funzione generativa per la società. Ora paghiamo questo ritardo. Adesso che diluvia, non riusciamo più a vedere il valore insostituibile delle famiglie.

È ancora il momento giusto? Charles De Gaulle, in Francia, fece il quoziente familiare nel bel mezzo della Seconda Guerra Mondiale: in quell’atto c’era coraggio e visione. Diamo un segnale, un assegno straordinario per ogni figlio fino ai 18 anni, partendo dalle famiglie numerose e dalle partite IVA, che rischiano di diventare povere. Un assegno indipendente da reddito e ISEE o almeno con un ISEE molto alto. Da lì poi si potrà partire per estendere l’assegno a tutti. Un assegno che arrivi in tasca alle famiglie, una cosa semplice e diretta, senza obbligarle a fare i salti mortali per districarsi fra i decreti e fra i cavilli, per capire a quali misure potrebbe avere diritto… I decreti di questa emergenza finora, un po’ come accade con le leggi di bilancio, sottintendono l’idea che il bene comune sia la somma degli interessi di varie categorie: quello dei poveri, dei disoccupati, delle partite IBVA, delle imprese, dei dipendenti, di chi ha bisogno della baby sitter… Ma non è così. In quel modo vai a parcellizzare le risposte e le poche risorse che hai a disposizione diventano quasi inutili, non impattano. Noi chiediamo una visione coraggiosa del futuro, non di tappare i buchi. Adesso devi decidere cosa vuoi fare, dove vuoi investire le risorse che hai. Dove il paese ti risponde con forza? Su chi scommetti? Chi può correre, se gli dai gambe? Le famiglie, che sono le fondamenta del paese. Il Governo dovrebbe capire che la famiglia non è un costo ma un investimento. Abbiamo un buon rapporto con la ministra alla famiglia, ma tutto il governo dovrebbe comprendere e non date per scontato il valore insostituibile delle famiglie in questa fase delicata del Paese.

Si parla di reddito di emergenza. Secondo me, torniamo indietro di trent’anni. È un approccio statalista, come quello dei buoni spesa, in una società che ha bisogno di sussidiarietà. In Italia chi è più in difficoltà sono le famiglie del ceto medio, quelle che in questo momento non prendono né assegni familiari né stipendio: ma non rientrano nelle famiglie povere

Sara De Carlo Vita.it  7 aprile 2020

www.vita.it/it/article/2020/04/07/lassegno-universale-per-figli-il-momento-e-adesso/154900

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POLITICA

Le quattro lezioni della crisi secondo Zamagni   

È sbagliato pensare che perché qualcosa possa realizzarsi sia necessario intervenire solamente sul lato delle opportunità, cioè delle risorse e degli incentivi. Occorre piuttosto insistere sull’elemento della speranza, che non è mai utopia. Ha scritto Erodoto: “Ta pathemata mathemata”, le sofferenze [quelle serie] insegnano. Cosa ci sta insegnando la terribile crisi che dal 21 febbraio ci sta perseguitando?

  1. Dobbiamo riconoscerlo: negli ultimi decenni, la cultura, anche quella blasonata, ha di fatto posto in disparte quella virtù cardinale che è la prudenza. Anzi, si è voluto far credere che prudente è il soggetto che teme di prendere decisioni, perché avverso al rischio. Ma la prudenza – l’auriga virtutum secondo l’Aquinate, perché guida tutte le altre virtù – è esattamente il contrario. È piuttosto la virtù del voler guardare lontano per mirare al bene comune. Perché si è atteso fino al 21 febbraio per prendere i primi timidi provvedimenti quando si sapeva da oltre un mese e mezzo che in Cina (e subito dopo in Corea del Sud) il virus andava mietendo vittime? Perché si è fatto credere che la pandemia fosse un caso di cigno nero, cioè un evento imprevedibile, quando invece era stato previsto da almeno tre anni? (Cfr. la dichiarazione di Anthony Fauci, Direttore dell’Istituto Nazionale per le malattie infettive, USA, su Healio, gennaio 2017) Perché non si è tenuto conto del fatto, arcinoto, che il tratto iniziale della curva esponenziale che descrive l’andamento temporale dell’infezione è quasi piatto, il che ha indotto a credere che non ci fosse motivo di preoccuparsi più di tanto?
  2. La pandemia ci sta facendo comprendere la profonda differenza tra government e governance. (Purtroppo la lingua italiana possiede un solo vocabolo: governo). Government è l’istituzione politica cui spetta l’ultima parola, come si è soliti dire; governance, invece, dice dei soggetti e dei modi in cui le decisioni finali prese dal governo devono essere concretamente realizzate per conseguire l’obiettivo dichiarato. Chi l’ha detto che la funzione implementativa vada affidata alla sola burocrazia o ad altri organi dello Stato? Solo chi non conosce o non crede al principio di sussidiarietà (circolare) può pensare questo. E dire che il nuovo articolo 118 della Costituzione (introdotto nel 2001) parla esplicitamente di sussidiarietà, rinviando ai corpi intermedi della società (art. 2 della Costituzione) il compito di intervenire fin dalla fase di co-progettazione degli interventi e non solo in quella della cogestione degli stessi. Un solo esempio (per ragioni di spazio) di mancata applicazione del principio di sussidiarietà. Il prof. Giuseppe Pellicci, direttore dell’Istituto Europeo di Oncologia di Milano (un Ente di Terzo Settore) ha dichiarato: “Con più di 290 colleghi abbiamo offerto di aprire i nostri laboratori in tutta Italia e mettere a disposizione macchine e personale. Insieme possiamo analizzare i tamponi necessari. Solo in Lombardia saremmo in grado di passare dai circa centomila attuali a cinquecentomila”. (Corriere della Sera, 26 marzo 2020). Ma l’offerta non è stata accolta. Penso anche al Servizio Civile Universale, a questo “esercito del bene comune”, come è stato definito. Ci sono 80.000 giovani che nell’ultimo bando non hanno trovato posto per fare un anno di servizio civile volontario per la mancanza di copertura finanziaria, peraltro modesta. Perché non provvedere subito alla bisogna? E così via con tanti altri esempi.
  3. La salute di una persona e di una popolazione è funzione di cinque variabili. Certamente la sanità è la prima di queste, le altre quattro sono: gli stili di vita, le condizioni lavorative, l’ambiente (ecologico), la famiglia. L’errore che continuiamo a commettere è quello di pensare che la nostra salute dipenda unicamente dalle strutture sanitarie. È bensì vero che questa crisi ha messo a nudo non poche carenze e inefficienze del nostro sistema sanitario, alle quali occorrerà porre rimedio in fretta. Ma se non prestiamo attenzione alle altre variabili potrà accadere che i tassi di mortalità e di morbilità non declineranno di certo. Per farmi capire: non si muore e non ci si ammala solo a causa del virus, ma anche per la denutrizione (o malnutrizione) o per il senso di isolamento sociale che deriverebbero da una eventuale grave e lunga recessione economica. Con l’aggravante che, mentre il virus colpisce tutti indistintamente, le nuove povertà andrebbero a colpire gli scarti umani, come li ha chiamati papa Francesco. Che fare allora? Occorre intervenire, sin da ora, senza aspettare la fine della pandemia (prevista per l’inizio dell’autunno), affinchè il governo dia vita ad un gruppo di lavoro formato da persone competenti, libere da ogni legame di partito e di affari, con forte motivazione intrinseca, al quale chiedere di elaborare, in un lasso di tempo di non più di tre mesi, un piano di rinascita nazionale. Il gruppo dovrà darsi da sé le regole per lo svolgimento della propria missione, senza interferenza alcuna dall’esterno. Il piano verrebbe poi affidato al governo e al parlamento che decideranno in merito. (A scanso di equivoci, un piano non è una lista di proposte – ce ne sono già fin troppe – ma un insieme articolato di progetti). Sarebbe questo un esempio concreto di quella democrazia deliberativa (che non è, beninteso, la democrazia decidente) verso la quale il nostro paese dovrà andare se vorrà vedere l’alba di un nuovo giorno.
  4. C’è infine una quarta lezione da trarre, quella riguardante l’urgenza di ripensare in radice i Trattati Europei, perché l’Unione Europea ha bisogno di un “supplemento d’anima”. Non saranno le tecnicalità, pur necessarie, a salvare l’Unione. Ma di ciò, in un’altra occasione.

Termino ricordando che la possibilità è sempre la combinazione di due elementi: le opportunità e la speranza. È sbagliato pensare che perché qualcosa possa realizzarsi sia necessario intervenire solamente sul lato delle opportunità, cioè delle risorse e degli incentivi. Occorre piuttosto insistere sull’elemento della speranza, che non è mai utopia. Essa si alimenta con la creatività dell’intelligenza politica e con la purezza della passione civile. È la speranza che sprona all’azione e all’intraprendere, perché chi è capace di sperare è anche chi è capace di agire per vincere la paralizzante apatia dell’esistente. “Tutto andrà bene!”

politicainsieme.com

Stefano Zamagni        Politica insieme          3 aprile 2020

www.politicainsieme.com/le-quattro-lezione-della-crisi-del-covid-19-di-stefano-zamagni

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