NewsUCIPEM n. 793 – 16 febbraio 2020

 

 

NewsUCIPEM n. 793 – 16 febbraio 2020

Unione Consultori Italiani Prematrimoniali E Matrimoniali

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02 ABUSI                                                        Lotta agli abusi, diplomati alla Gregoriana 25 studenti

02                                                                      Come la Chiesa aiuta le vittime

04 ADOZIONE INTERNAZIONALE         Cos’è e come funziona

05 AFFIDO FAMILIARE                           Non smantellare il sistema

06 ASSEGNO MANTENIMENTO FIGLI Omesso: è reato anche per i figli nati fuori dal matrimonio                              

07 ASSOCIAZIONI – MOVIMENTI         Centro Giovani Coppie

08 BIBBIA                                                      Benigni e il Cantico:  l’interpretazione è questione seria

10 CENTRO INTERN.STUDI FAMIGLIA Newsletter CISF – n. 6, 12 febbraio 2020

12 CHIESA CATTOLICA                              Papa Francesco ha pubblicato l’esortazione “Querida Amazonia”

16                                                                      Cristo si è incarnato in un essere umano non in un maschio.

17                                                                      Cardinale Schönborn. Scarsità clero, i preti sposati non sono la via   18                                                            Anni di piombo: la via di Martini per curare l’Italia

19 CONSULTORI FAM. CATTOLICI        Roma Al Quadraro. Il valore della paternità

11 CONSULTORI UCIPEM                        Parma. Corretta alimentazione, sport, benessere in adolescenza

21                                                                      Roma1. Carcere, quei drammi familiari di cui farsi carico

22 CORTE COSTITUZIONALE                  Giudizi innanzi alla Corte: ammessi gli “amici curiæ”   

22 DALLA NAVATA                                    VI Domenica del tempo ordinario – Anno A -16 febbraio 2020

23                                                                      Gesù viene a guarirci, non a rifare un «codice»

23 DEMOGRAFIA                                        Indicatori demografici

28 DIVORZIO                                                La notorietà del marito non basta per conservarne il cognome

29 DONNE NELLA CHIESA                       La Chiesa è donna, ma ci sono pregiudizi da superare

30 FORUM ASS. FAMILIARI                    Incontro con il Presidente della Repubblica

32                                                                      L’Italia dia finalmente valore a ogni figlio

33                                                                      Il Governo metta subito le risorse necessarie nel piano famiglia

33                                                                      Un «social bombing» per ridare slancio ad affido e adozione

34 FRANCESCO VESCOVO DI ROMA   Alcuni temi dell’esortazione post-sinodale, “Querida Amazonia”

35                                                                      Il valore magisteriale dei documenti del sinodo

38                                                                      Querida Amazonia: una speranza per tutta la Chiesa   

39                                                                      Sinodo panamazzonico: la terza via

40                                                                      Riforme nella Chiesa: siamo solo all’inizio

41                                                                      Una lettera d’amore

42                                                                      Documenti su due diverse lunghezze d’onda?

44                                                                      Preti sposati, lo storico Faggioli: ecco la partita resta aperta

45                                                                      Querida Amazonia e il sinodo. E se avessimo capito male?

46                                                                      Dibattito – Esortazione postsinodale: fuori luogo e fuori tempo

47                                                                      Ma il documento sinodale indica il percorso per il futuro

48                                                                      Le sei poesie citate da Papa Francesco in “Querida Amazonia”.

50 GENITORIALITÀ                                     Diventare mamma e papà

51                                                                      Per De Rita non solo economia fa rima con democrazia

52 MIGRANTI                                               Nel 2019 reinsediati 63.696 rifugiati su 1,4 milioni

53                                                                      Gli stranieri ci invadono?

54                                                                      Tra i migranti anche migliaia di minori non accompagnati (ANSA)

55 PEDAGOGIA                                           I nuovi “fidanzatini in rete”: le emozioni al tempo dei social

56 POLITICA                                                  Denatalità: è tempo di risposte

57 SESSUOLOGIA                                       Proliferano le infezioni veneree tra i giovanissimi

58                                                    Boom di infezioni veneree: torna la sifilide.

59 SINODO PANAMAZZONICO             Papa Francesco tra profezia e vigilanza in “Querida Amazonia

61                                                                      “Querida Amazonia” può diventare anche “querida mujer”?

63                                                                      Il Sinodo e la natura della dottrina. Alcuni chiarimenti formali

64 TEOLOGIA                                               Teologia morale. Un nuovo e moderno dizionario tematico

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ABUSI

Lotta agli abusi, diplomati alla Gregoriana 25 studenti

Sono 25 gli studenti che hanno conseguito questa mattina, 14 febbraio 2020, il diploma di laurea del Center for Child Protection, istituito presso la Pontificia Università Gregoriana. Provengono da 19 Paesi del mondo: hanno concluso un programma di diploma di un semestre che, dal 2016, si tiene ogni anno alla Gregoriana al fine di educare esperti nella prevenzione dell’abuso sessuale di minori. Coordinato da Suor Karolin Kuhn, Katharina A. Fuchs e padre Antonio Carrón de la Torre, il corso di diploma comprende lezioni interdisciplinari che si concentrano su diversi argomenti relativi alla tutela di bambini e adolescenti.

«I laureati del nostro corso di diploma – spiega padre Hans Zollner, presidente del Center for Child Protection – sono pronti a esplorare e trovare soluzioni in aree in cui le misure di salvaguardia devono ancora essere sviluppate. Sono pronti ad attuare queste misure nei loro contesti di origine, cosa che noi, come estranei, non possiamo fare. Tornano a casa pronti a cercare ciò che deve essere cambiato, perché conoscono molto bene i loro Paesi, le loro diocesi e le loro culture».

La cerimonia di laurea è stata preceduta da una relazione di Myriam Wijlens, membro della Pontificia Commissione per la protezione dei minori e professore di Diritto Canonico alla Facoltà di Teologia cattolica dell’Università di Erfurt (Germania). A nome dei vescovi e dei superiori maggiori, ha condotto numerose indagini penali canoniche preliminari sentendo vittime e accusati. Prima della cerimonia, i 25 laureati hanno raccontato alcune delle esperienze maturate nei mesi di corso. «Ognuno è responsabile della protezione dei minori e degli adulti vulnerabili», dichiara uno di loro. Ancora: «Essere un tutore significa riflettere sul presente, aumentare la consapevolezza e contribuire a un cambiamento di cultura, a cominciare da noi stessi».

Redazione online     Romasette      14 febbraio 2020

www.romasette.it/lotta-agli-abusi-diplomati-alla-gregoriana-25-studenti

 

Come la Chiesa aiuta le vittime

Viaggio tra le realtà romane che si occupano di sostenere chi è stato abusato e recuperare chi si è macchiato di un orribile delitto. L’aiuto ai consacrati in difficoltà e il loro reinserimento nella vita ecclesiale

Il viaggio nel mondo delle realtà ecclesiali romane che si prendono cura delle vittime di abusi, degli stessi colpevoli ma anche di tutti quei consacrati in difficoltà alle prese con patologie legate al disagio psicologico, affettivo e comportamentale, non è un viaggio facile. Primo, perché gli operatori, i volontari, gli psicoterapeuti preferiscono mantenere un giusto riserbo sulla loro attività, per rispetto di chi aiutano ma anche di loro stessi. Secondo, perché hanno timore che il mondo, la società, non lì capisca o travisi ciò che loro fanno. Com’è successo ad alcuni sacerdoti che, occupandosi del recupero e del reinserimento di alcuni confratelli macchiatisi del terribile delitto di abuso, sono stati minacciati e la sede della loro associazione fatta oggetto di vandalismo.

Al Centro Auribus, l’ascolto delle vittime prima cura essenziale. Chi preferisce non eclissarsi ma raccontare, è il neonato Centro di “Assistenza universale per religiosi in bisogno di sostegno“. Ospitato dall’Istituto Giuridico Clarettiano, nella sede del Gianicolo, “Auribus” ascolta le vittime di abusi, le prende per mano, le conduce verso la rinascita. Ma è anche un “pronto soccorso giuridico” dove si sostengono i sacerdoti dal punto di vista legale, per neutralizzare accuse infondate e per cercare di far rispettare la verità e la giustizia. E’ Lucia Musso, avvocato rotale e della Curia Romana, a far comprendere che la chiave di volta è l’ascolto delle vittime e molto spesso degli stessi colpevoli: “Le persone – afferma – non sempre sono disponibili a narrare un fatto che ha traumatizzato la loro vita. L’ascolto è una delle fasi più complesse, dove conta molto stabilire un’empatia. Ogni persona ha bisogno di essere ascoltata in modo diverso, tenendo conto dei silenzi, dei tempi del racconto, dei pianti”. Oltre all’ascolto occorre appurare con certezza i fatti accaduti anche “per conoscere se si è in presenza di false accuse” e comprendere come la vittima abbia “introiettato e vissuto la vicenda ma anche quali danni psicologici abbia provocato”.

Ascolta l’intervista a Lucia Musso

 https://media.vaticannews.va/media/audio/s1/2020/02/13/10/135473138_F135473138.mp3

Senza la formazione l’aiuto sarebbe inefficace. Altro tassello fondamentale è la formazione.  Lo sa bene Manuel Arroba Conde, professore di diritto processuale canonico e giudice della Rota di Madrid, che come professionista volontario presta servizio al Centro Auribus.  “Si tratta – dice – di creare occasioni di formazione permanente per approfondire concetti nuovi che hanno a che fare con il problema degli abusi e che sono presenti anche nelle recenti leggi volute da Papa Francesco. Per esempio, si deve approfondire il concetto di persona vulnerabile, il concetto di abuso di coscienza e di autorità. Ma approfondire, nell’esaminare i casi, pure il problema tra il segreto e la trasparenza.  Ed infine, affrontare le fasi principali dei diversi processi”.  Insomma, il professor Arroba Conde spiega che chi vuole essere davvero d’aiuto non deve arroccarsi nei confini della propria professione ma farsi interrogare da altre specialità professionali.

Ascolta l’intervista ad Arroba Conde

https://media.vaticannews.va/media/audio/s1/2020/02/13/10/135473182_F135473182.mp3

Sì all’assistenza spirituale: ma prima curare le ferite psicologiche. Alle vittime, come ai colpevoli da recuperare, non si può negare un’assistenza spirituale. Ad occuparsene, per quello che può essere possibile, è padre José-Félix Valderrabano, superiore della comunità dell’Istituto Giuridico Clarettiano. Assicura che la dimensione della fede può essere una carta vincente, ma prima bisogna sanare le ferite psicologiche: “Non si tratta di dare ricette. In questi casi, prima di tutto occorre ascoltare. Capire le necessità delle persone che si rivolgono ad un centro come il nostro”. E questo, assicura padre Valderrabano, va fatto con molto tatto e tanta pazienza. Perché “prima di ogni altra cosa conviene sanare le ferite che la persona si porta dentro. La fede, certo, può aiutare ma le persone ferite spesso non sono aperte ad accogliere la grazia che Dio sempre dà e che comunque rimane sempre efficace…”

Ascolta l’intervista a padre Valderrabano

https://media.vaticannews.va/media/audio/s1/2020/02/13/10/135473199_F135473199.mp

Consacrati in difficoltà, al Divino Amore una comunità che accoglie. La Comunità del Monte Tabor si trova nella verde campagna romana del Divino Amore, proprio davanti al Santuario mariano, caro a tutti i romani. Fondata nell’ambito dell’Apostolato Accademico Salvatoriano, un’associazione pubblica di fedeli, da anni ospita consacrati, provenienti da ogni parte del mondo, affetti dai più svariati disagi. Tra loro ci sono anche sacerdoti che hanno abusato, ma sono solo una piccolissima parte. E’ una delle poche strutture del genere esistenti in Italia, visitata di recente da Papa Francesco in uno dei suoi “Venerdì della misericordia”. Il racconto di don Ermes Luparia, psicologo, psicoterapeuta, diacono permanente, fondatore e guida della comunità, fa capire quanto sia importante il loro lavoro, svolto a riflettori spenti: “In forma residenziale ed in forma ambulatoriale ci occupiamo di moltissimi disagi. Alcune patologie come l’alcolismo o le psicosi rilevanti, però, non le possiamo trattare non essendo una clinica”. Il metodo di aiuto utilizzato dalla Comunità del Monte Tabor è quello olistico, globale. “Nel nostro programma di rigenerazione – spiega don Luparia – abbiamo inserito anche elementi di carattere spirituale, culturale e formativo. Abbiamo previsto spazi di riflessione sull’identità sacerdotale, spazi di preghiera. Cerchiamo non soltanto di sanare le ferite ma anche di dare una nuova struttura umana ad una persona che va totalmente ricostruita”.

Ascolta l’intervista a don Ermes Luparia

https://media.vaticannews.va/media/audio/s1/2020/02/13/10/135473280_F135473280.mp3

Vasi di Creta, psicologi e psicoterapeuti a servizio dei consacrati. A sostegno della vita consacrata e sacerdotale a Roma c’è anche il servizio psicologico e psicoterapeutico “Vasi di Creta”, il cui responsabile scientifico è il noto psichiatra Tonino Cantelmi. Il suo coordinatore, la professoressa Barbara Costantini, psicologa e psicoterapeuta, racconta alcuni particolari della sua attività senza fare riferimenti a persone concrete. Il riserbo, dice, è un atteggiamento che “ci ha permesso di conquistare la fiducia dei nostri pazienti, e noi non vogliamo tradirli”. Ma il suo racconto non perde di intensità: “Il nostro servizio ha sullo sfondo la vita cristiana. Noi lavoriamo per rafforzare le persone. Tra i problemi che riscontriamo in questo periodo storico, è lo stress da super lavoro dei sacerdoti, dei consacrati. Pensiamo a coloro i quali si dedicano alle vittime della tratta o della prostituzione. Situazioni pesanti che generano disagi, ai quali occorre porre rimedio”.  Poi aggiunge: “la nostra sfida è aiutare i consacrati, perché se li si aiuta, si aiuta tutta la Chiesa”.

Ascolta l’intervista a Barbara Costantini

https://media.vaticannews.va/media/audio/s1/2020/02/13/10/135473324_F135473324.mp3

Federico Piana – Città del Vaticano   Vatican news  16 febbraio 2020

www.vaticannews.va/it/chiesa/news/2020-02/abusi-come-chiesa-aiuta-vittime.html?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=NewsletterVN-IT

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ADOZIONE INTERNAZIONALE

Adozione internazionale: cos’è e come funziona

   Quando la coppia intende adottare un minore straniero: procedura ed effetti.

Tu e tua moglie desiderate adottare un bambino straniero. Vi siete rivolti, quindi, al vostro avvocato di fiducia il quale vi ha illustrato la procedura di adozione, nonché le difficoltà che potreste incontrare. È bene quindi conoscere la materia per capire quale soluzione scegliere e se si è in possesso dei requisiti previsti dalla legge. Sappi che adottare un bambino all’estero non è affatto facile e i costi sono molto elevati, in quanto tutti i viaggi nel paese di origine sono a carico della coppia.

Cos’è l’adozione? Chiariamo subito che l’adozione è uno strumento che consente ad una coppia di coniugi di accogliere un minore che si trova in stato di abbandono, perché privo del sostegno morale e materiale della sua famiglia di origine.

L’adozione si distingue in quattro tipologie:

  1. Legittimante: è l’adozione che elimina ogni legame tra la famiglia di origine ed il minore. Il minore adottato, quindi, diventa a tutti gli effetti figlio dei genitori adottivi;
  2. Particolare: prevista solo nei casi indicati dalla legge e non comporta la perdita del legame tra il minore adottato e la sua famiglia di origine;
  3. Di persone maggiorenni: volta a consentire una discendenza a colui che non ha figli;
  4. Internazionale: cioè quando il minore straniero viene adottato da una coppia italiana o straniera ma residente in Italia.

Adozione internazionale: cos’è e come funziona. Si parla di adozione internazionale quando:

 

  • Il minore straniero viene adottato da coniugi italiani;
  • Il minore straniero viene adottato da coniugi stranieri ma residenti in Italia;
  • Il minore italiano viene adottato da coniugi residenti all’estero.

I requisiti per procedere all’adozione internazionale sono:

  1. La dichiarazione dello stato di abbandono del minore: vuol dire che il minore non ha l’assistenza morale e materiale da parte dei suoi genitori (oppure da parte dei parenti entro il quarto grado) e non siano possibili misure di tutela nel suo paese di origine;
  2. I coniugi devono avere la residenza in Italia oppure essere cittadini italiani residenti all’estero;
  3. La coppia deve essere sposata da almeno tre anni (senza che sia intervenuta una separazione, neppure di fatto);
  4. La coppia deve avere un’età superiore al minore di almeno 18 anni e massimo 45 anni. Tuttavia, sono previste delle eccezioni qualora, ad esempio, il Tribunale accerti che dalla mancata adozione derivi un danno grave e inevitabile per il minore;
  5. La coppia deve essere capace ad educare, istruire e mantenere il minore;
  6. La coppia deve essere stata dichiarata idonea all’adozione e quindi deve essere in possesso del decreto di idoneità all’adozione.

Il procedimento di adozione internazionale è abbastanza lungo ed articolato e prevede diversi step. Innanzitutto, se siete una coppia residente in Italia e avete optato per l’adozione internazionale allora dovete presentare una dichiarazione di disponibilità al Tribunale per i Minorenni del distretto in cui avete la residenza. Se l’accertamento è positivo, il Tribunale emette un decreto con cui vi dichiara idonei all’adozione (in base ad una relazione presentata dai servizi sociali). Attenzione però: non sarete dichiarati idonei se date la vostra disponibilità a condizione che il bambino abbia determinate caratteristiche genetiche, razziali, ecc. Ad esempio, se dichiarate di voler adottare un minore straniero a patto che non sia cinese o che non sia invalido e così via, il Tribunale emetterà immediatamente un decreto di inidoneità per manifesta carenza dei requisiti.

Per prevenire ed evitare un vero e proprio commercio dei minori stranieri, sono stati istituiti gli Enti autorizzati, vale a dire organizzazioni senza scopo di lucro che si occupano essenzialmente di:

  • Prestare attività di assistenza alla coppia che intende adottare un minore straniero;
  • Curare gli incontri tra la coppia e il minore;
  • Verificare che vi siano tutte le informazioni sullo stato di salute del minore e sulla sua famiglia di origine;
  • Curare il trasferimento, l’arrivo e l’inserimento del minore presso i genitori adottivi.

Il decreto di idoneità, unitamente alla documentazione che attesta i requisiti della coppia, viene poi trasmesso a Roma alla Commissione per le adozioni internazionali e all’Ente autorizzato scelto dalla coppia. Se lo Stato straniero emette il provvedimento di adozione internazionale, la commissione autorizza l’ingresso e la residenza del minore in Italia.

Adozione internazionale: quali sono gli effetti? L’adozione pronunciata all’estero produce gli stessi effetti dell’adozione dei minorenni pronunciata in Italia. Più precisamente, l’adottato:

  • Diventa a tutti gli effetti figlio nato nel matrimonio degli adottanti;
  • Assume e trasmette il cognome del padre adottivo;
  • Non ha più rapporti con la famiglia d’origine, salvi i divieti matrimoniali.

Qualora lo stato straniero abbia pronunciato l’adozione prima che il minore arrivi in Italia, il Tribunale per i minorenni dovrà verificare:

  • Che siano stati acquisiti tutti i consensi necessari e che non sia stato pagato alcun corrispettivo per ottenerli;
  • Che l’adozione non sia contraria ai principi fondamentali che regolano il diritto di famiglia e dei minori (ad esempio non è stata rispettata la differenza di età tra adottanti e adottato).

Fatte le opportune verifiche, il Tribunale provvederà alla trascrizione dell’adozione nei registri di stato civile.

Se, invece, l’adozione si deve perfezionare dopo l’ingresso del minore in Italia, allora si procederà ad un periodo di affidamento preadottivo al termine del quale il Tribunale pronuncia l’adozione e provvede alla trascrizione.

Adozione internazionale: quanto costa? In merito ai costi che una coppia deve sostenere per adottare un minore straniero, devi sapere che ogni spesa è a carico tuo: dai viaggi all’estero alle spese amministrative (da versare alle casse dello Stato di provenienza del minore). Tieni presente, però, che i costi cambiano da paese a paese. Inoltre, puoi chiedere un rimborso delle spese sostenute per la procedura di adozione internazionale pari al 50%. Ovviamente, devi aver cura di conservare tutta la documentazione che attesti le spese sostenute in Italia e all’estero.

Marina Moretti   La legge per tutti    14 Febbraio 2020

www.laleggepertutti.it/366855_adozione-internazionale-cose-e-come-funziona

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AFFIDO FAMILIARE

Non smantellare il sistema

Colella: «L’affido è una delle tante misure di sostegno a minori e famiglie, non certo l’unica»

Per Anna Maria Colella, una vita spesa nel mondo della tutela dell’infanzia, a livello regionale piemontese, nazionale e internazionale, con il decreto di legge regionale voluto dalla Giunta della Regione Piemonte guidata da Alberto Cirio che punta ad azzerare gli affidi familiari di minori «è sotto attacco il sistema della tutela dei minori in Piemonte. La città di Torino nel 1975 è stata la prima in cui è stato proposto l’affido familiare. All’inizio degli anni ’80 erano oltre 5 mila i bambini in istituto (oggi sono 1131, e fra questi 343 sono minori non accompagnati, altrimenti i numeri sarebbero ancora inferiori). E’ stato fatto un enorme lavoro di formazione di tutti i soggetti interessati al processo di crescita e tutela di un minore e al benessere delle famiglie. Lavoro di cui oggi si vuole fare tabula rasa, senza consultare tutti quei soggetti che concorrono alla gestione del sistema socioassistenziale e che avrebbero molto da dire».

Il grave errore secondo Colella «sta nel raccontare l’affido come un semplice allontanamento, mentre si tratta di una delle tante misure di sostegno ai bambini e alle loro famiglie. Vorremo tutti vivere in un mondo perfetto, ma se vi sono motivi gravi l’affido è un’opzione, cui si giunge dopo un lungo iter che coinvolge molti attori, compresi i tribunali. Pensare che i componenti dell’intera catena decisionale, dai servizi sociali, alle scuole, agli avvocati a ai giudici tramino per smantellare la famiglia biologica, significa gettare discredito sull’intero sistema. Anche perché, dei 1300 affidi in Piemonte, la metà va a parenti della famiglia di origine. Nessuno strappo brutale dunque, ma una rimodulazione della vita del minore, mettendo la sua serenità al centro dei ragionamenti».

         Colella evidenzia come nel testo di legge si parla di finanziamenti alle famiglie, riducendo tutto a una questione economica, come se l’affido fosse un business e insistendo sulla salvaguardia della famiglia biologica, ad ogni costo. L’affido è anche un aiuto ai genitori che possono essere assistiti per superare le proprie difficoltà. Il faro di ogni iniziativa in materia deve essere il bene del minore e questa proposta di legge, anche se afferma di muoversi con questa intenzione, in realtà pone l’accento sul diritto del genitore a crescere i propri figli, costi quel che costi.

Claudio Geymonat                 Riforma                      12 febbraio 2020

https://riforma.it/it/articolo/2020/02/12/affido-non-smantellare-il-sistema?utm_source=newsletter&utm_medium=email

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ASSEGNO di MANTENIMENTO AI FIGLI

Omesso mantenimento: è reato anche per i figli nati fuori dal matrimonio

Corte Costituzionale, Sentenza n. 189, 18 luglio 2019

www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2019&numero=189

Sull’ammissibilità dell’estensione ai figli nati fuori dal matrimonio dell’ambito di applicabilità dell’art. 570 bis c.p. si è espressa la Corte Costituzionale con una sentenza “storica”.

La questione di legittimità dell’art. 570-bis c.p. La Corte Costituzionale, sent. n. 189/2019, riunisce i giudizi proposti con varie rimessioni, tutte aventi in comune argomenti inerenti l’art. 570 bis c.p., introdotto dal d. lgs. 21/2018 in sostituzione degli artt. 12 sexies, L. 898/70 e 3 L. 54/2006, contestualmente abrogati. La questione di legittimità veniva sollevata:

  • Dal Tribunale di Nocera Inferiore (per la parte della norma che non prevedeva la tutela dei figli di genitori non coniugati);
  • Dalla Corte d’appello di Milano (sia per i figli minori nati al di fuori del matrimonio che per i figli maggiorenni nati fuori dal matrimonio e senza colpa non economicamente autosufficienti -prova, quest’ultima, assai difficile, come notato dai relatori);
  • Dalla Corte d’appello di Trento (sempre con riguardo alla violazione degli obblighi di assistenza familiare da parte del genitore non coniugato);
  • Dal Tribunale di Civitavecchia (per i figli nati fuori dal matrimonio).

Argomentavano i giudici a quibus che la norma, così come formulata, aveva comportato la parziale abolitio criminis dell’omesso versamento dell’assegno periodico per il mantenimento, l’educazione e l’istruzione dei figli nati fuori dal matrimonio, in precedenza ricompresa, secondo l’interpretazione della Cassazione, nell’abrogato art. 3, L. 54/06, determinando la violazione degli artt. 3, 25, c.2, 30 e 76 Cost.

Art. 570-bis c.p.: l’excursus della Consulta. La Corte effettuava anzitutto un breve excursus:

www.altalex.com/documents/news/2014/11/10/dei-delitti-contro-la-famiglia#art570bis

  • L’art. 570 c.p., c. 2, n. 2, originariamente prevedeva la pena della multa e reclusione per chi fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore, ovvero inabili al lavoro, ovvero agli ascendenti o al coniuge non legalmente separato per sua colpa; la giurisprudenza, dopo aver applicato la disposizione ai soli figli riconosciuti, a seguito dell’equiparazione dei figli nati fuori dal matrimonio agli altri figli, è stata ritenuta operante anche per essi (Cass. pen. 51215/14).
  • L’art. 12 sexies, L. 74/87, aggiunge l’applicabilità delle pene previste dall’art. 570 al coniuge che, a seguito della cessazione degli effetti civili del matrimonio, si sottrae all’obbligo di corresponsione dell’assegno stabilito in sede giudiziale in favore dell’altro coniuge o dei figli, e viene considerato dalla giurisprudenza applicabile anche al caso del mancato versamento dell’assegno divorzile stabilito in favore dei figli maggiorenni non inabili al lavoro ma non autosufficienti;
  • L’art. 3, L. 54/06 prevedeva che le disposizioni dell’art. 12-sexies fossero applicabili alla violazione di obblighi di natura economica discendenti dalla sentenza di separazione dei coniugi; l’art. 4 della medesima legge, che le disposizioni in essa contenute si applicavano anche “ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati”, facendo ritenere alla Cassazione che la sanzione penale dell’art. 3 potesse tutelare anche i figli nati fuori dal matrimonio (tranne che in una sentenza: la n. 2666/17 Cass. pen.).

I rimettenti chiarivano perché non fosse a loro avviso possibile estendere la portata dell’art. 570-bis c.p. all’omesso adempimento degli obblighi economici nei confronti dei figli nati fuori dal matrimonio: la norma individua solo il “coniuge” come soggetto attivo del reato (“Le pene previste dall’articolo 570 si applicano al coniuge che si sottrae all’obbligo di corresponsione di ogni tipologia di assegno dovuto in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio ovvero vìola gli obblighi di natura economica in materia di separazione dei coniugi e di affidamento condiviso dei figli”).

La decisione della Corte Costituzionale. La Corte Costituzionale rileva come l’art. 4 della L. 54/08 febbraio 2006 sia tuttora in vigore, e come la Cassazione ritenga esso sia all’oggi riferibile al nuovo art. 570-bis c.p., estendendosi dunque quest’ultimo anche ai figli nati fuori dal matrimonio (56080/18; 55744/18 et similia).                                                                              www.camera.it/parlam/leggi/06054l.htm

Il Giudice delle Leggi ritiene tale interpretazione fondata e idonea a superare i dubbi di costituzionalità avanzati, pur notando che l’operazione ermeneutica ad essa sottesa, per quanto ineccepibile, non è certo di “solare evidenza” (si tratta di applicare il combinato disposto dell’art. 4, c. 2, L. 54/2006 e l’art. 8, D. lgs. 21/18, integrandole con l’art. 570-bis c.p.), in ciò contrastando con lo scopo dichiarato dal Legislatore nella relazione governativa allo schema di decreto legislativo recante “Disposizioni di attuazione del principio di delega della riserva di codice nella materia penale a norma dell’articolo 1, c. 85, l. q, L. 103/17”, cioè quello di garantire una migliore conoscenza dei precetti e delle sanzioni. Auspicava dunque una riformulazione, nel senso indicato dalla Cassazione, dell’art. 570-bis c.p.

Dott.ssa Laura Muscolino      Studio Cataldi 9 febbraio 2020

www.studiocataldi.it/articoli/37242-omesso-mantenimento-e-reato-anche-per-i-figli-nati-fuori-dal-matrimonio.asp

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ASSOCIAZIONI – MOVIMENTI

Centro Giovani Coppie

All’interno Del Ciclo Di Conferenze 2019-20 “Diversi come due gocce d’acqua” la conferenza

Noi e lo straniero: un futuro da decifrare

Venerdì 13 marzo 2020 ore 21 Piazza San Fedele, 4 – Milano Sala Ricci       Ingresso libero

Relatore: Marco Aime, Antropologo.La sua attività di ricerca empirica si svolge lungo due filoni principali: le Alpi e l’Africa. A partire dalla tesi laurea, ha condotto una ricerca sul terreno in una borgata della Valle Grana (CN) per studiare le credenze di magia degli abitanti locali. Alla fine degli anni Novanta ha condotto, insieme a Pier Paolo Viazzo e Stefano Allovio, una ricerca sui pastori transumanti di Roaschia (CN). Il filone alpino è stato ripreso in anni recenti con la ricerca condotta in Valle di Susa.

Per quanto riguarda l’Africa occidentale, la prima ricerca risale all’epoca del dottorato (1992-96) condotta in Benin per studiare il sistema politico tradizionale dei tangba (taneka). Successivamente ha svolto una ricerca in Mali con la finalità di studiare la reazione dei dogon al turismo, alla luce della notorietà di questa popolazione in seguito ai testi etnografici della scuola francese di Marcel Griaule. L’assidua frequentazione dell’Africa occidentale ha dato vita a una ricerca empirico-teorica sui mercati di quest’area e sul loro ruolo sociale, economico e politico. Sempre in Mali ha svolto ricerche di carattere storico-antropologico a Timbuctu, in particolare su una istituzione tipica della città, risalente al XV secolo: quella delle associazioni di età (kondey), che coinvolgono tutti gli abitanti, maschi e femmine, per l’intera loro esistenza, comportando obblighi e doveri ben precisi. Sul piano teorico uno dei temi affrontati è quello legato al tema dell’identità, entrato in modo sempre più ossessivo nel dibattito pubblico nazionale e non, che può condurre fino a forme di neo razzismo. Queste riflessioni sono sfociate in diversi testi.  (Vedi …)

https://us10.campaign-archive.com/?u=b2404fd33391b343da6b232d7&id=5f44d549ef&e=f682904bbd

https://it.wikipedia.org/wiki/Marco_Aime#Biografia

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BIBBIA

Benigni e il Cantico dei cantici: l’interpretazione è una questione seria

“O voi ch’avete gli intelletti sani, / mirate la dottrina che s’asconde / dietro al velame de li versi strani” (Dante).

Il “Cantico dei cantici” non nomina di Dio, eppure parla solo del suo amore per Israele e per l’umanità. Dove, esattamente? Nel “tempo del canone”: nell’essere cioè collocato tra gli “scritti” o tra “i rotoli” destinati alla lettura liturgica. Se quel testo (chiunque l’abbia scritto o in qualunque tempo sia stato scritto) è “ispirato da Dio”. E qui comincia il bello. Chi decide dell’ispirazione? Chi ha potuto accogliere nel canone ebraico un poema sull’amore di una donna e del suo uomo, giudicando così della sua “sacralità”, come fosse un dono di Dio per meglio parlare di sé, auto rivelandosi, auto comunicandosi con “quelle parole”.

Il linguaggio è figurato, pieno di metafore e di similitudini. Pertanto, il senso va cercato non “fuori da quelle parole” (che dovrebbero avere significati diversi dalla loro lettera), ma “dentro quelle parole”, ridondanti sensualità ed erotismo, nella descrizione piena di meraviglia della bellezza dei corpi, maschile e femminile, e della trascendenza divina dell’amplesso sessuale. “Lettera e allegoria” devono stare insieme, mai separate.

         Un cattolico “consapevole” non dovrebbe scandalizzarsi per questa elevazione sublimante della cosa “più carnale che c’è al mondo”, l’amplesso sessuale. Si sa, per esempio, che il matrimonio indissolubile, celebrato in una chiesa cattolica, è tale solo se viene consumato, diversamente potrebbe essere riconosciuto nullo, mai esistito. Il sesso come cosa sporca e impura, non è un tema per la rivelazione di Dio. Anzi, l’alterità – diversità sessuale parla di Dio e dell’immagine di Dio nella quale l’uomo fu creato, secondo l’insegnamento di Genesi: maschio e femmina lo creò. L’uomo è un essere umano nella sua carne e nel suo essere maschio-femmina: ish = maschio, uomo, si traduce letteralmente “puntato” e indica il genitale maschile, così come anche issah= donna si traduce letteralmente “concava”. Se nella poesia d’amore del Cantico dei cantici tutto è simbolo di eros, di attrazione sensuale, di impatto sessuale è perché – nell’interpretazione del testo come ispirato – tutti i simboli erotici messi in gioco per raccontare della ricerca, dell’assenza, della perdita e del ritrovamento dell’amato, parlano di amore e perciò di Dio: qui eros parla solo di amore, cioè di dono infinito per la gioia (che comporta tutto il piacere de mondo) e non di possesso allo scopo del piacere (che non realizzerà mai la gioia). Insomma, l’eros del Cantico parla di immedesimazione di sé nell’altro attraverso l’unione e non di dominio.

         Cantico dei Cantici, il significato di coppia: vi spieghiamo perché Benigni non fa una cover [versione di un brano musicale già interpretato e pubblicato in precedenza] della Bibbia. Dentro queste semplici, ma essenziali considerazioni, è ovvio che il testo “costruito” e poi “declamato” da Benigni non è più, obiettivamente, il testo del Cantico dei cantici, come d’altronde egli stesso ha precisato: “cosi come lo canterò io non lo troverete nella Bibbia”. Non lo sarebbe stato comunque, anche qualora avesse preso il testo come si trova attualmente tradotto nell’attuale Bibbia. Perché? La questione seria è l’interpretazione: dire che “quel rapporto d’amore della coppia”, vale per tutte le coppie (uomo e uomo / donna e donna) è l’opinione del Clown. Ci creda o no davvero, che l’abbia detto perché “costretto” dal pensiero dominante dell’ideologia gender, non è un problema. La questione seria è che in questo modo ha dato una chiave di lettura del testo che non si trova per nulla nel Cantico dei cantici e snatura totalmente il testo.

         La sua non è stata perciò una cover – per quanto libera nella interpretazione – ma un “nuovo testo”. Se l’interpretazione di Benigni, infatti, non è stata una fakenews, cioè una balla inventata del tutto – poiché è vero che quel testo è stracarico di simboli erotici e parla dell’amore carnale-, è certamente una post-verità, cioè non dice tutta la verità e, non dicendola tutta, non la dice e basta, finché eros se ne va girovagando lontano d’amore. «Quando sono ubriaco sulla scena eseguo senza precisione dei movimenti che solo la precisione giustifica e cado nell’errore più penoso che un clown possa fare: rido delle mie stesse trovate (Heinrich Böll).

Benigni non era ubriaco e non ha riso della sua trovata. Anzi era troppo composto anche nel ricevere i saluti finali, già immaginando il tormentone che avrebbero creato le “sue parole”. Ha solo tentato una sua operazione artistica, la cui genialità non può patire giudizi moralistici di sorta. Forse il Clown avrebbe raggiunto lo scopo di comunicare quello che voleva (“ritorniamo all’amore, all’amore vero, all’amore come luogo in cui il mistero si svela e pacifica tutti i rapporti umani, ritorniamo all’unico capolavoro della vita che rende la vita degna di essere vissuta, l’amore; ritorniamo, perché in giro se ne vede poco”), interpretando, con le stesse parole delle canzoni sanremesi, una lettera di Amore a Eros, perché Eros ritorni ad Amore.

         È questa l’opinione di un altro Clown, mandata per conoscenza anche a Benigni, come umile proposta per la prossima volta, potendola accettare come un “dono” di amicizia.    

Monsignor Antonio Staglianò, Vescovo di Noto         Famiglia cristiana 13 febbraio 2020

 

Lettera di Eros ad Amore.        Caro Eros,

desideravo scriverti da tempo, proprio dal tempo in cui ti sei definitivamente separato da me. Spero di trovarti nel pieno delle tue passioni, dei tuoi moti amorosi, delle tue turbe cardiache. Ti penso spesso nel mio quotidiano, specie quando mi rendo conto del disordine che regna ormai sovrano nel mondo e ti fa sentire vivo, eccessivamente attraente. Tutti sembrano pazzi di te. Forse, è meglio dire, “pazzi per te”. È strano però che si faccia tanta fatica a nominarti. Parlano di te e ti chiamano con un altro nome.

         Andando in giro, per non so più quale città, ho intravisto la pubblicità di un nuovo film in Occidente: “Tutti pazzi per il sesso”. Per il Sesso? E com’è possibile! Quando sei venuto a lamentarti, mi hai detto che il sesso è banale, meccanicamente monotono, semplicemente incapace: insomma, “non ce la fa”, non riesce a starti dietro. Sei troppo creativo tu, nella tua immaginazione, arrogante nella tua prepotenza, irrefrenabile nella tua fantasia. Sarà questo il motivo della frustrazione globalizzata che coglie gli esseri umani e li rende tanto irrequieti. E come se si trovassero davanti a un rebus irrisolvibile: tu sei una forza prorompente di autotrascendimento verso l’altro – sei fatto così, spingi sempre oltre- e il sesso, invece, cerca il proprio piacere nel cerchio chiuso del possesso. Per non dire che tu sei dinamismo inesauribile in tutti e lui è – almeno nel maschio – solo un muscolo caduco, precario, spesso inconcludente. Perciò, la vostra alleanza senza di me è un patto scellerato che rende voraci e insoddisfatti, frustra nell’animo e costringe a cercare additivi supplementari: che sia viagra o pornografia, poco importa. Conta, invece, il fatto – il dato di fatto- che io non circolo più facilmente tra le persone.

         Eppure gli uomini “sono fatti per amare”, sono fatti per me, per l’amore. Ho ispirato io quella canzone di Nek:se non ami, non ti ami non ci sei; se non ami non hai il senso della cose più piccole e non serve a nulla scalare le montagne, costruire grattacieli, comprare tutto ciò che si vuole”. Solo l’amore rende felici e dona gioia. Anche tu lo sai. Per questo, spesso, ti fai chiamare come me, per abbagliare con i tuoi lampi e accecare con i tuoi allucinogeni. Ti sei inventato l’amore romantico, l’amore come incantamento, fumo negli occhi che svanisce in un istante di vita troppo velocemente, lasciando nella prostrazione: Sturm und Drang, impeto e assalto, ben espresso nella metafora di un fuoco di artificio, bello, intenso, affascinante e senza durata, con i rischi che comporta e quella strana puzza insopportabile che le sue polveri velenose lasciano nell’aria. Nello stesso tempo ti sei inventato pure l’amore cinico, quello che schiavizza e non rende libero, sia per gelosia o per troppo soffocante amore, che fa dell’altro un oggetto, merce di consumo, da gettare via o allontanare, a proprio piacimento e interesse, e tutto trasforma in uno specchio, in cui guardare solo e sempre la propria faccia. E oggi giorno ti sei mischiato con la tecnocrazia imperante, approfittando di nuovi strumenti come la “realtà aumentata”, per creare l’amore virtuale, questa variazione disarmonica dello stesso vecchio tema, l’avvilente autoipsazione che fa sprofondare in una più grande vertiginosa solitudine.

         Questo non posso proprio sopportare, Eros: ti sei allontanato da me e ti nascondi dietro il mio nome. Io però, assolutamente, non sono cinico, anche se a tratti posso essere romantico, mai virtuale. Sono Amore e basta: dono che vive nel dono, esclusivamente nel dono. E vorrei aggiungere che non sono mai stato platonico, sempre corporeo, “incarnato”.

         Le forme in cui mi esprimo tra gli uomini attraversano le fibre più profonde del corpo umano, perché risiedo nella loro anima e costituisco, per ogni persona, l’altezza della dignità, la larghezza del cuore, la bellezza dei volti, la luminosità di un sorriso e la gioia della vita. Esisto come vero amore nel rapporto coniugale, in quello fraterno, in quello amicale e in quello solidale. In tutti sono sempre “apertura”, abnegazione, attesa speranzosa, perdono, impegno per l’altro, legame duraturo. Parlo il linguaggio del “per sempre” e dell’esclusività che compie il miracolo di integrare l’altro in una relazione pacificante. Insomma vivo della verità di me, che, in me, è ordine, logos.

         D’altronde ti capisco, non hai mai accettato quell’aspetto di me che avrebbe potuto mettere ordine nel tuo essere: la mia pacificante armonia l’hai sempre sopportata come fosse una prigione.

         Caro Eros, non prenderla come se questa mia fosse una missiva di rimprovero. Voglio solo ragionare con te: farti ragionare. Certo – potresti dirmi – “vieni proprio tu a parlarmi di ragione! Tu che, per antonomasia, nella storia dell’uomo, sei sempre stato al di sopra della ragione, risiedendo nel cuore”. E come darti torto. C’è però chi sostenne – mi pare Pascal- che anche “il cuore ha le sue ragioni”. Le ragioni del cuore sono la verità dell’amore, quella stessa che – se restassi indissolubilmente legato a me – tu stesso potresti riconoscere e vivere. Perciò ti ho scritto con tutta la schiettezza possibile e desidero ragionare con te e farti ragionare.

         Tu sei conosciuto come il “dio” dell’amore fisico e del desiderio carnale, colui che fa muovere una cosa verso un’altra, una forza che spinge verso la bellezza. Tuttavia, non c’è bellezza senza verità e la verità della bellezza è l’amore che sa splendere più nella luce degli occhi che non nella formosità dei corpi.

         E allora, dimmi: senza di me, con quale bellezza attrai tu gli esseri umani? “Si, ma quale bellezza?” Non fu questa la domanda ultima di Ippolit – il giovane nichilista morente – al principe Miskin, piegato al suo capezzale, dopo che i due stabilirono che “solo la bellezza salverà il mondo”? [Personaggi dell’Idiota, romanzo di Fëdor Dostoevskij].

 È forse la bellezza che seduce, sconvolge, inquieta, stravolge i sentimenti, produce le ferite dell’abbandono, se non addirittura la violenza sull’altro, a salvare il mondo? O non piuttosto la bellezza che “diletta” per la semplicità, la tenerezza, la dolcezza, la sicurezza, l’armonia dei sentimenti e l’intelligenza nei progetti comuni.

Proprio questa bellezza che “prende fuoco” nella dedizione, fino al dono di sé per la vita e per la morte, salverà il mondo. Salverà le persone dalla catastrofe dell’angoscia in cui le stai gettando in questi “usi postmoderni del sesso” (Z. Bauman) che ti sei inventato, da quando ti sei separato definitivamente da me.

         L’amore salverà il mondo e questa sarà la bellezza. “L’amore è nel sorriso quando incontri la bellezza” (Amara). Nel sorriso, Eros, non oltre. Non va oltre perché non c’è bisogno! Quanto amore in un sorriso! Hai mai visto un sorriso, un sorriso vero? Forse no. Per questo pensi che non ti possa bastare. Il sorriso di chi incontra la bellezza è pieno zeppo di amore: di amore che trabocca, di amore non arginabile!

         Eros, non volermene se – concludendo – torno di nuovo a battere sullo stesso punto: il tuo non è amore! Tu sei passione, coinvolgimento, slancio, entusiasmo, trasporto, eccitazione. Io sono semplicemente amore: sono semplice io, perché ordinato, vivo di una “rectitudo” che è la mia verità bella e giusta. E l’impossibile diventa reale: tanto più sono ordinato a servire me stesso, tanto più dilato gli spazi dell’amore, oltrepasso ogni rigidità, riscaldo gli affetti e faccio gioire chi mi accoglie.

Nessun possibile narcisismo attenta la mia verità: più sono me stesso e più mi dono, sono dono per natura, se vuoi proprio “per istinto”. L’ordine/rettitudine libera la mia identità e mi permette di essere me stesso, in modo vero, autentico, perfetto, impeccabile: sono semplice perché disinteressato e non ho bisogno di nulla per arricchirmi, per gonfiarmi, per sentirmi importante. Io basto a me stesso, e non perché sono auto-referenziale, ma perché, più di quanto sono, non posso essere.

         Ragiona con me, amico Eros. Ti diverte vedere crescere l’orgoglio e la prepotenza dei tuoi figli? Pensi sia questo il modo di educarli? Dovresti anche un po’ vergognartene. Dove ci sei tu regna e regnerà sempre il caos, e mi dispiace dirtelo in maniera sì dura ma, se non ti dai una regolata, se non metti un po’ d’ordine tra le tue cose, andrà sempre peggio per gli esseri umani.

         Con questa lettera non volevo “farti la morale” e soprattutto non era mia intenzione tediarti: ho inteso invitarti a ragionare, perché oggi c’è tanto bisogno di pensare. È una sacrosanta verità che si ama con il cuore. Tuttavia gli esseri umani non sono fatti a compartimenti stagni.

Sono un tutto organico: se amano con il cuore, non possono farlo se non abitando la loro intelligenza; e se ragionano con la testa, non potranno mai farlo senza affetti, emozioni e sentimenti. Lo sai che esiste l’intelligenza emotiva e ogni immaginazione creativa è straricca di ragionamenti?

         Non ti dico null’altro. Perdonami l’invadenza. Manifesto una speranza: oh! se tu potessi ritornare definitivamente da me e in me stabilissi la tua casa, potresti vivere e far vivere d’amore. Attendo amabilmente di ricevere presto tue notizie.                Ti abbraccio, Amore

Famiglia cristiana   13 febbraio 2020

https://www.famigliacristiana.it/blogpost/benigni-e-il-cantico-dei-cantici-linterpretazione-e-la-questione-seria.aspx?utm_source=newsletter&utm_medium=newsletter+fc&utm_content=news&utm_campaign=fc2007

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CENTRO INTERNAZIONALE STUDI FAMIGLIA

Newsletter CISF – n. 6, 12 febbraio 2020

Lo sport non è tutto. Una lezione di vita da un mito della pallacanestro mondiale. Sarunas Jasikevicius, giocatore di basket lituano di livello mondiale, ora allenatore, spiega perché per un suo giocatore è più importante la nascita di un figlio che giocare una semifinale.

https://www.youtube.com/watch?v=G0a-Nr_vRjM

Nascite in calo in Italia: ma non era la notizia dell’anno scorso? Il commento del direttore Cisf (F.Belletti), ai dati Istat sulla natalità. Nel 2019 sono venuti al mondo 435mila bambini, dall’Unità d’Italia il numero più basso in assoluto. “[…] Siamo anche un po’ stufi di ripetere che esiste un’emergenza natalità nel nostro Paese (che rimane una verità, purtroppo), e certo non è sbagliato continuare a chiedere di dare finalmente corpo e operatività ad un Piano per la Natalità, come ormai da cinque anni chiede con forza e buone ragioni il Forum delle associazioni familiari. Forse però il problema è più ampio, e la sterilità volontaria del nostro popolo ci dice anche di una povertà ancora più grave di quella demografica: la perdita di capacità di speranza e di progetto, che il nostro Paese testimonia anche attraverso il rifiuto di mettere al mondo le nuove generazioni […]”

www.famigliacristiana.it/articolo/nascite-in-calo-in-italia-ma-non-era-la-notizia-dellanno-scorso.aspx?utm_source=newsletter&utm_medium=newsletter_cisf&utm_campaign=newsletter_cisf_12_02_2020

Meno figli per aiutare il clima? Un esempio di falsa scienza. A Cremona un dépliant sulla tutela ambientale, subito ritirato, consigliava le quattro azioni individuali più efficaci contro il climate change, tra cui “fare meno figli”. Un commento del direttore Cisf (F. Belletti) su ilsussidiario.net. “[…] L’errore di contrapporre natalità e tutela dell’ambiente purtroppo caratterizza troppa cultura ambientalista, ideologicamente legata a modelli di analisi socio-economica e ambientale ormai obsoleti, come le teorie neo-malthusiane, o le profezie del Club di Roma, degli anni Settanta, che prevedevano il totale collasso del pianeta in caso di popolazione mondiale superiore ai 3 miliardi di abitanti (sic!). Forse i primi a dover rileggere la Laudato Si’ sono proprio questi ecologisti estremi, per riscoprire che uomo e ambiente si salvano “l’uno con l’altro”, e non “uno contro l’altro” […]”.

www.ilsussidiario.net/news/meno-figli-per-aiutare-il-clima-dopo-ce-solo-il-cannibalismo-del-prof-soderlund/1982958/?fbclid=IwAR1fo9FSVUcjJHUrzwHdzuE1Ew7sT2FSvmxqdyIj99J9U_gPS8jp74mlF4w

USA. Convivenze prematrimoniali e stabilità delle relazioni. Qualche interessante riflessione dai dati di un recente studio americano, pubblicato sul sito del Institute for Family Studies, intitolato “Cohabitation: Safety Net or Stability Threat?” (La convivenza: rete di sicurezza o minaccia alla stabilità?). L’articolo presenta risultati molto interessanti, in controtendenza rispetto al sentire comune che vede nella convivenza prematrimoniale un modo per tutelarsi da futuri fallimenti del proprio matrimonio. La realtà è esattamente il contrario: “I conviventi seriali, le coppie con un diverso livello di coinvolgimento e coloro che usano la convivenza come test corrono un rischio maggiore [lo studio stima fino al 15%] di avere relazioni poco soddisfacenti e di rottura della relazione stessa”.

https://ifstudies.org/blog/cohabitation-safety-net-or-stability-threat

CasAmica Onlus. Accogliere i familiari dei malati fuori sede. CasAmica Onlus è un’organizzazione di volontariato che, dal 1986 accoglie malati e loro familiari in difficoltà provenienti da tutta Italia per curarsi negli ospedali della città. “Dopo 30 anni di esperienza nella città di Milano, dove accogliamo circa 4.000 persone all’anno in quattro case, nel 2016 abbiamo aperto due nuove Case, a Lecco e a Roma, portando i posti letto offerti da 100 a quasi 200. Aperte 365 giorni all’anno, le nostre sei case si trovano nei pressi di importanti centri di eccellenza ospedaliera, come l’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, il Policlinico Universitario Campus Bio-Medico a Roma e l’Ospedale Manzoni di Lecco. L’accoglienza a Milano e Roma è rivolta sia gli adulti che ai bambini, ai quali sono dedicate camere e spazi comuni progettati per loro. La casa di Lecco è stata invece pensata per accogliere in particolare le persone che stanno affrontando un lungo periodo di riabilitazione. In tutte le nostre Case gli ospiti trovano il conforto, la dedizione e il sostegno di circa 120 volontari e dei nostri operatori, nel rispetto di uno stile di accoglienza che negli anni si è fatto sempre più attento a creare un ambiente confortevole e familiare”.

Dalle case editrici

  • Alpes, Corpi e storia di vita. La sfida della malattia cronica, Vannotti M., Gennart M.
  • Cantagalli, Il discernimento nella morale coniugale, Melina L.
  • Cantagalli, La fede e la giustizia degli affetti. Teologia fondamentale della forma cristiana, Sequeri P.
  • Rollo Dolores, Fogassi Leonardo, L’altro sono io. I neuroni specchio nello sviluppo dell’uomo. Cosa sono e a cosa servono, San Paolo, Cinisello B. (MI), 2018, pp. 171, € 16,00.

[…] Con i neuroni specchio, infatti, è cambiata la prospettiva di studio dell’uomo e delle sue facoltà, del suo processo evolutivo e dei fattori che possono influenzarlo. La relazione primaria con l’adulto di riferimento, l’imitazione e la condivisione emotivo-affettiva acquistano un significato nuovo, fondamentale in una prospettiva evolutivo-educativa. Scopriamo così che fin dalla nascita la nostra mente è organizzata in forma dialogica, e grazie alla scoperta dei neuroni specchio il sistema nervoso può essere visto attraverso la lente socio-relazionale […] In pratica, riusciamo a capire chi siamo grazie alle interazioni che abbiamo avuto con gli altri.

http://newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/attachments/newscisf0620_allegatolibri.pdf

  • Specializzarsi per la famiglia
  • La consulenza tecnica d’ufficio sui minorenni in ambito civile e penale. Corso di formazione. “Il corso si propone di formare i professionisti affinché siano in grado di operare come consulenti tecnici di ufficio e di parte, rispettando i criteri richiesti dall’Ordine degli Psicologi della Lombardia e dei principali Ordini degli Psicologi in Italia. L’obiettivo del corso è quello di acquisire competenze teoriche, tecniche e metodologiche nel settore della consulenza tecnica psicologica (CTU e CTP) in area civile e penale. Il corso è articolato in due moduli a cui è possibile iscriversi anche singolarmente”. Promosso da IRIS e CTA, Milano, sette giornate di formazione, dal 29 febbraio al 19 maggio 2020.

www.centrocta.it/newsletter/CORSO_CTU_def2020.pdf

  • Save the date
    • Nord. Maturi al punto giusto, incontro di orientamento al futuro per i maturandi, 7.a edizione, promosso da Fondazione Comunità e Scuola e altre agenzie pubbliche e private del territorio, Brescia, 7 marzo 2020.                                                    www.maturialpuntogiusto.it
    • Nord. Bullismo e Cyberbullismo. Le vittime e gli autori, la normativa e i percorsi di presa in carico, seminario promosso da IRIS in collaborazione con CTA, Milano, 3 marzo 2020.

www.centrocta.it/newsletter/SeminarioBULLISMOeCYBERBULLISMO.pdf

  • Nord. Comuni family friendly: 11.a Convention, promossa dall’Agenzia provinciale per la famiglia con il Comune di Storo e il Distretto famiglia Valle del Chiese, Storo (TN), 5 marzo 2020.

www.trentinofamiglia.it/News-eventi/Eventi-annuali-dell-Agenzia/Convention-Comuni-family-friendly

  • Nord. Hai mai pensato all’affido familiare? percorso di formazione all’accoglienza in famiglia, promosso dalla ASC Sociale del Legnanese So.Le, Piano di Zona Legnanese e AffiDandoci (Associazione Famiglie Affidatarie), Legnano (MI), cinque incontri dal 4 marzo al 22 aprile 2020

www.ascsole.it/2020/02/05/hai-mai-pensato-allaffido-familiare

  • Nord. La dichiarazione di nullità del matrimonio canonico: aspetti canonici, civili e deontologici, percorso formativo per avvocati (con crediti formativi) promosso da AIAF Veneto (Sez. Treviso), Treviso, 28 febbraio, 1 aprile, 16 ottobre 2020.

www.aiaf-veneto.it/wp-content/uploads/2020/01/NULLITA-MATRIMONIO-CANONICO.pdf

  • Centro. RenAIssance A Human-centric Artificial Intelligence (RiNascimento: un Intelligenza Artificiale umano-centrica), evento conclusivo della tre giorni su “The Good Algorithm”, promossa dalla Pontificia Accademia della Vita, Roma, 28 febbraio 2020.

www.academyforlife.va/content/pav/it/notizie/2020/intelligenza-artificiale-2020.html

  • Centro. La dimensione familiare della scuola, III Giornata interdisciplinare di studio sull’Antropologia Giuridica della Famiglia, organizzata dal Centro di Studi Giuridici sulla Famiglia della Facoltà di Diritto Canonico della Pontificia Università della Santa Croce, Roma, 5 marzo 2020.

www.educationglobalcompact.org/it/la-dimensione-familiare-della-scuola

  • Sud. La sindrome dello spettro autistico. Dialogo inter-istituzionale, workshop presso il Liceo Classico M. Cutelli promosso da enti vari del territorio, Catania, 12-13 marzo 2020.

www.anffas.net/dld/files/locandina%20workshop%20autismo.pdf

Iscrizione               http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/newsletter-cisf.aspx

Archivio     http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/elenco-newsletter-cisf.aspx

http://newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/febbraio2020/5159/index.html

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CHIESA CATTOLICA

Papa Francesco ha pubblicato l’esortazione post sinodale “Querida Amazonia”

www.vatican.va/content/francesco/it/apost_exhortations/documents/papa-francesco_esortazione-ap_20200202_querida-amazonia.html

L’esortazione apostolica post-sinodale “Querida Amazonia“[Amata Amazzonia- quinta Esortazione apostolica], sottoscritta da Papa Francesco, è uscita con la data del 2 febbraio 2020. Questo documento, frutto del Sinodo “Amazzonia, nuovi cammini per la Chiesa”, tenutosi a Roma dal 6 al 27 ottobre 2019, è formato da una breve presentazione di Papa Francesco (nn. 1-7) e da quattro capitoli o “sogni” e da una conclusione. In tutto 111 paragrafi.

Nella presentazione il Papa annuncia i quattro grandi sogni che l’Amazzonia gli ispira (n.7) e che aprono a vari capitoli. Li presentiamo sinteticamente già affermando che il documento tanto paventato si palesa fedelmente cattolico e attento alle problematiche antropologiche e ambientali, nello stile di quella sapientia cordis [sapienza del cuore] propria dei Papa del Concilio Vaticano II e del post-Concilio.

Capitolo primo: un sogno sociale (nn. 8-27). Qui Papa Francesco coglie il desiderio dei Padri Sinodali che auspicano per l’Amazzonia e i suoi abitanti un “buon vivere” (n.8). Ciò presuppone la stigmatizzazione degli “interi colonizzatori…che sono andati saccheggiando e assediando i popoli indigeni, rivieraschi e di origine africana” (n.9) “che hanno favorito i movimenti migratori più recenti degli indigeni verso le periferie della città” (n.10).

“Alle operazioni economiche nazionali ed internazionali che danneggiano l’Amazzonia e non rispettano il diritto dei popoli… Bisogna indignarsi come si indignava Mosè (cfr Es 11,8); come si indignava Gesù (cfr Mc 3,5)” (nn. 14-15). “Non è sano che ci abituiamo al male, non ci fa bene permettere che ci anestetizziamo la coscienza sociale” (n.15). A causa di questo sfruttamento umano molti indigeni si sono visti “obbligati a emigrare in città, cercando di sopravvivere…Come sanare – si chiede il documento – un danno così grande?” (n.21).

Di fronte a questo dramma, la Chiesa “è chiamata ad ascoltare le grida dei popoli amazzonici per poter esercitare in modo trasparente il suo ruolo profetico” (n.19). È doveroso stigmatizzare le Istituzioni degradate (nn. 23-25) ed avviare un dialogo sociale alla pari, partendo dagli ultimi (n.6) e facendo di essi dei protagonisti (n.27).

Capitolo secondo: un sogno culturale (nn. 28-40). In Amazzonia vivono molti popoli e nazionalità. Vi sono 110 popoli indigenti in stato di isolamento volontario (cfr n.29). “Prima della colonizzazione, la popolazione si concentrava lungo le rive dei fiumi e dei laghi; l’avanzata colonizzatrice sospinse poi gli antichi abitanti verso l’interno della foresta” (n.30). “Ogni popolo che è riuscito a sopravvivere in Amazzonia possiede la propria identità culturale e una ricchezza unica all’interno di un universo multi-culturale, in forza della stretta relazione che gli abitanti stabiliscono con l’ambiente” (n.31).

È doveroso che questi popoli costudiscano le loro radici. “Per secoli i popoli amazzonici hanno trasmesso la loro saggezza culturale oralmente, attraverso miti, leggende, narrazioni” (n.34). Negli “ultimi anni alcuni popoli hanno iniziato a scrivere per raccontare la loro storia e descrivere il significato delle loro usanze” (n.35).

È importante che la cultura di questi popoli venga confrontata con altre culture. “L’identità e il dialogo non sono nemici…Una cultura può diventare sterile quando si chiude in se stessa…rifiutando ogni scambio e confronto intorno alla verità dell’uomo” (n.37). “L’economia globalizzata danneggia senza pudore la ricchezza umana, sociale e culturale. La disintegrazione delle famiglie, che si verifica a partire da migrazioni forzate, intacca la trasmissione dei valori” (n.39).

È importante quindi per un buon progetto dell’Amazzonia, assumere la prospettiva dei diritti dei popoli e delle culture e far sì che questo sviluppo venga realizzato da “attori” locali a partire dalla propria cultura e habitat. “Se le culture ancestrali si sono sviluppate in intimo contatto con l’ambiente naturale circostante, difficilmente potranno conservarsi indenni quando tale ambiente si deteriora” (n.40).

Capitolo terzo: un sogno ecologico (nn.41-60). Nella realtà culturale come l’Amazzonia, l’esistenza culturale è sempre cosmica e ci porta a considerare che “liberare gli altri dalla loro schiavitù, implica certamente prendersi cura dell’ambiente e proteggerlo, ma ancor più aiutare il cuore dell’uomo ad aprirsi con fiducia a quel Dio che non solo ha creato tutto ciò che esiste, ma ci ha anche donato sé stesso in Gesù Cristo” (n.41).

L’ecologia della natura porta sia all’ecologia umana, come disse Benedetto XVI, sia all’ecologia sociale. “Se la cura delle persone e la cura degli ecosistemi sono inseparabili, ciò diventa particolarmente significativo lì dove la foresta non è una risorsa da sfruttare [bensì] è un essere, o vari esseri con i quali relazionarsi…Abusare della natura, per i popoli originari dell’Amazzonia, significa abusare degli antenati, dei fratelli e delle sorelle, della creazione e del Creatore, ipotecando il futuro. Gli indigeni quando rimangono nei loro territori sono quelli che meglio se ne prendono cura” (n.42).

I popoli amazzonici chiedono che cessino i maltrattamenti e lo sterminio della Madre-Terra che le multinazionali hanno inflitto e continuano ad infliggere alterando l’equilibrio del corso dei fiumi e dei ruscelli (nn. 43-44). L’equilibrio planetario dipende anche dalla salute dell’Amazzonia, grazie alle sue foreste “dalle quali dipendono anche i cicli delle piogge, l’equilibrio del clima e una grande varietà di esseri viventi… Quando si elimina la foresta, questa non viene più rimpiazzata perché rimane un terreno con poche sostanze nutritive che si trasforma in un’area desertica o povera di vegetazione. Questo è grave, perché nelle viscere della foresta amazzonica sussistono innumerevoli risorse che potrebbero essere indispensabili per la cura delle malattie” (n.48).

È doveroso che la Comunità internazionale concretamente tuteli il bene dell’Amazzonia, perché tutelando questo, tutela il bene dell’umanità e del pianeta Terra. Purtroppo “i più potenti non si accontentano mai dei profitti che ottengono, e le risorse del potere economico si accrescono di molto con lo sviluppo scientifico e tecnologico. Per questo dovremmo tutti insistere sull’urgenza di creare un sistema normativo che includa i limiti inviolabili e assicuri la protezione degli ecosistemi… Se la chiamata di Dio esige un ascolto attento del grido di poveri e nello stesso tempo della terra, per noi il grido che l’Amazzonia eleva al Creatore è simile al grido del Popolo di Dio in Egitto (cfr Es 3,7). È un grido da schiavitù e di abbandono che invoca la libertà” (n.52).

Non bisogna allora abbassare la guardia circa la tutela di questa ecologia integrale, accontentandoci di “accomodare questioni tecniche o di decisioni politiche, giuridiche e sociali. La grande ecologia comprende sempre un aspetto educativo che sollecita lo sviluppo di nuove abitudini nelle persone e nei gruppi umani” (n.58). Di fronte a questa emergenza ecologica la Chiesa Cattolica è disponibile e desidera offrire il proprio contributo alla cura e alla crescita dell’Amazzonia offrendo “la sua esperienza spirituale, la sua consapevolezza circa il valore del creato, la sua preoccupazione per la giustizia, la sua scelta per gli ultimi e la sua tradizione educativa” (n.60).

Capitolo quarto: sogno ecclesiale (nn. 61-110). Dopo aver “dato voce” ai popoli dell’Amazzonia stigmatizzando i gravi problemi ecologici, culturali e sociali, Papa Francesco e i Padri Sinodali sentono il dovere di sottolineare che non rinunciano ad offrire la proposta di fede ricevuta dal Vangelo (cfr n.62). “Non possiamo accontentarci – scrivono – di un messaggio sociale. Se diamo la nostra vita per loro, per la giustizia e la dignità che meritano, non possiamo nascondere ad essi che lo facciamo perché riconosciamo Cristo in loro e perché scopriamo l’immensa dignità concessa loro da Dio Padre che li ama infinitamente” (n.63).

Anche i popoli dell’Amazzonia “hanno diritto all’annuncio del Vangelo, soprattutto a quel primo annuncio che si chiama kerygma... che è l’annuncio di un Dio che ama infinitamente ogni essere umano che ha manifestato pienamente questo amore in Cristo crocifisso per noi e risorto nella nostra vita” (n.64). Nell’offrire la sua proposta evangelica “la Chiesa non pretende di negare l’autonomia della cultura. Anzi al contrario, nutre per essa il maggior rispetto e [sottolinea che] una fede che non diviene cultura è una fede non pienamente accolta, né totalmente pensata, né felicemente vissuta” (n.67). A queste affermazioni di Giovanni Paolo II, Papa Francesco aggiunge nella Evangelii gaudium che “la grazia suppone la cultura e il dono di Dio si incarna nella cultura di chi lo riceve” (EG n.115).

“Per ottenere una rinnovata inculturazione del Vangelo in Amazzonia la Chiesa ha bisogno di ascoltare la sua saggezza ancestrale, tornare a dare voce agli anziani, riconoscere i valori presenti nello stile di vita delle comunità originarie, recuperare in tempo le preziose narrazioni dei popoli… Come l’apertura all’azione di Dio, il senso di gratitudine per i frutti della terra, il carattere sacro della vita umana e la stima per la famiglia, il senso di solidarietà, la corresponsabilità nel lavoro comune, l’importanza della dimensione cultuale, la fede in una vita al di là di quella terrena ecc” (n.70).

“Il rapporto con Cristo, vero Dio e vero uomo, liberatore e redentore, non è nemico di questa visione del mondo marcatamente cosmica che caratterizza questi popoli, perché Egli è anche il Risorto che penetra tutte le cose. Per l’esperienza cristiana, tutte le creature dell’universo materiale trovano il loro vero senso nel Verbo incarnato, perché il Figlio di Dio ha incorporato nella sua persona parte dell’universo materiale, dove ha introdotto un germe di trasformazione definitiva” (n.74).

L’inculturazione del Vangelo in Amazzonia, considerata la situazione di povertà, deve essere caratterizzata sia da un timbro fortemente sociale, in quanto nel cuore del Vangelo riconosciamo l’intima connessione tra evangelizzazione e promozione umana (cfr n.75), che dà una spiritualità che risponda ad un desiderio di trascendenza (cfr n.76). Saper coniugare ciò significa far “nascere testimonianze di santità con il volto amazzonico… santità fatta di incontro e dedizione, contemplazione e servizio, di solitudine accogliente e di vita comune, di gioiosa sobrietà e di lotta per la giustizia” (n.77).

Soggiunge l’esortazione post-sinodale che sarà senza dubbio, pur recependo in qualche modo “un simbolo indigeno senza necessariamente qualificarlo come idolatrico” (n.79) una “spiritualità centrata sull’unico Dio e Signore, ma al tempo stesso capace di entrare in contatto con i bisogni quotidiani delle persone che cercano una vita dignitosa… Il peggior pericolo sarebbe allontanarli dall’incontro con Cristo, presentandolo come un nemico della gioia e come uno che è indifferente alle angosce umane. Oggi è indispensabile mostrare che la santità non priva le persone di forze, di vita e gioia” (n.80).

Ciò che la Chiesa dovrà cercare di fare quale impegno di inculturazione della sua spiritualità cristiana nelle culture dei popoli dell’Amazzonia, sarà quello di far incontrare, nella celebrazione dei sacramenti, senza alterare nulla di ciò che è essenziale dell’istituzione cristica “il divino e il cosmico, la grazia e il creato” (n.81). Ciò soprattutto nei sacramenti dell’Eucarestia, della Riconciliazione e nel vivere il giorno della domenica con il valore del riposo e della festa (cfr n.83).

“I sacramenti mostrano e comunicano il Dio vicino che viene con misericordia a guarire e fortificare i suoi figli. Pertanto debbono essere accessibili, soprattutto ai poveri e non devono essere mai negati per motivi di denaro. Neppure è ammissibile… una disciplina che escluda ed allontani, perché in questo modo i poveri e i dimenticati dell’Amazzonia alla fine vengono scartati da una Chiesa trasformata in dogma. Piuttosto nelle difficili situazioni che vivono le persone più bisognose, la Chiesa deve avere una cura speciale per comprendere, consolare e integrare, evitando di imporre loro una serie di norme come se fossero delle pietre (n.84).

Per far sì che la Chiesa espleti la sua maternità, l’esortazione post-sinodale chiede che la Chiesa che è in Amazzonia sappia “pensare ad una inculturazione del mondo in cui si strutturano e vivono i ministeri ecclesiali” (n.85). “Occorre che la ministerialità si configuri in modo tale da essere al servizio di una maggiore frequenza della celebrazione eucaristica anche nelle Comunità più remote e nascoste… [soprattutto per quelle] private dell’Eucarestia domenicale per lunghi periodi di tempo” (n.86). Si tratta allora di sottolineare ciò che è ad essentiam dell’identità e del ministero del presbitero, che a lui deriva dal sacramento dell’ordine, che lo configura a Cristo, sacerdote (cfr. n.87). E che non può essere mai, per nessun motivo, delegata.

“La prima conclusione è che tale carattere esclusivo ricevuto nell’ordine abilita lui solo [il presbitero] a presiedere l’Eucarestia. Questa è la sua funzione specifica, principale e non delegabile” (n.87). Continua il Documento: “Nelle circostanze specifiche dell’Amazzonia… Occorre trovare un modo di assicurare il ministero sacerdotale. I laici potranno annunciare la Parola, insegnare, organizzare le loro Comunità, celebrare alcuni sacramenti, cercare varie espressioni per la pietà popolare e sviluppare i molteplici doni che lo Spirito riserva loro. Ma hanno bisogno dell’Eucarestia, perché Essa fa la chiesa e arriviamo a dire che non è possibile che si formi una Comunità cristiana se non assumendo come radice e come cardine la celebrazione della sacra Eucarestia” (n.89). Qui il Papa chiede ai Vescovi son solo di pregare per le vocazioni, ma anche “di essere più generosi, orientando coloro che mostrano una vocazione missionaria affinché scelgano l’Amazzonia” (n.90).

Ricorda Papa Francesco che “non sempre possiamo pensare a progetti per Comunità stabili, perché in Amazzonia c’è una grande mobilità interna… perciò occorre pensare a gruppi missionari itineranti e sostenere l’inserimento e l’itineranza delle persone consacrate vicino ai più poveri ed esclusi” (n.98).

Bisogna riconoscere che in Amazzonia vi sono “Comunità cristiane che si sono sostenute e hanno trasmesso la fede per lungo tempo senza sacerdote, grazie alla presenza di donne forti e generose che hanno battezzato, catechizzato, insegnato a pregare, sono state missionarie, certamente chiamate e spinte dallo Spirito. Per secoli le donne hanno tenuto in piedi la Chiesa in quei luoghi con ammirevole dedizione e fede ardente” (n.99).

Non si tratta di “accordare alle donne uno status – dice il Documento – dando ad esse l’accesso all’ordine sacro, che orienterebbe a clericalizzare le donne diminuendo il grande valore di quanto esse hanno già dato e provocherebbe un impoverimento del loro indispensabile contributo” (100). “In una Chiesa sinodale le donne… dovrebbero poter accedere a funzioni e anche a servizi ecclesiali che non richiedono l’ordine sacro e permettano di esprimere meglio il posto loro proprio” (n.103).

Questo delicato capitolo si chiude con un’esortazione a trovare anche in Amazzonia spazi per dialogare e costruire una convivenza ecumenica e interreligiosa (cfr nn.106-108). “Come cristiani ci unisce tutta la fede in Dio, il Padre che ci dà la vita e ci ama tanto. Ci unisce la fede in Cristo Gesù, l’unico Redentore, che ci ha liberato con il suo sangue benedetto e la sua resurrezione gloriosa. Ci unisce il desiderio della sua Parola, che guida i nostri passi. Ci unisce il fuoco dello Spirito che ci spinge alla missione. Ci unisce il comandamento nuovo che Gesù ci ha lasciato, la ricerca di una civiltà dell’amore, la passione per il Regno che il Signore ci chiama a costruire con Lui.

Ci unisce la lotta per la pace e la giustizia. Ci unisce la convinzione che non si esaurisce tutto in questa vita, ma che siamo chiamati alla festa celeste, dove Dio asciugherà ogni lacrima e raccoglierà quanto abbiamo fatto per coloro che soffrono” (n.109).

Conclusione (n.111). Papa Francesco conclude l’esortazione post-sinodale per l’Amazzonia con una significativa preghiera a Maria affinché chieda a Gesù che “effonda tutto il suo amore sugli uomini e sulle donne che abitano l’Amazzonia, perché sappiano ammirarla e custodirla” (n.111).

Ettore Malnati. Docente di teologia sistematica, Vicario episcopale per il laicato e la cultura della Diocesi di Trieste

Vatican insider                       14 febbraio 2020

www.lastampa.it/vatican-insider/it/2020/02/14/news/querida-amazonia-un-documento-fedelmente-cattolico-e-attento-alle-problematiche-antropologiche-e-ambientali-1.38469097

Inoltre     www.lastampa.it/vatican-insider/it/2020/02/12/news/amazzonia-dal-papa-nessuno-spiraglio-per-i-preti-sposati-1.38460119

 

Cristo si è incarnato in un essere umano non in un maschio.

Esplosiva affermazione del vicepresidente dei vescovi tedeschi Cristo si è fatto essere umano, non uomo: a fare questa affermazione, potenzialmente esplosiva rispetto al dibattito sul sacerdozio femminile, tradizionalmente chiuso davanti alla mascolinità di Gesù, considerata un elemento ostativo per l’ordinazione delle donne, è il vescovo di Osnabrück mons. Franz-Joseph Bode, vicepresidente dei vescovi tedeschi. Un’osservazione, quella del vescovo, che azzera la tradizione della Chiesa Cattolica Romana sulla ministerialità solo maschile.

 E che contraddice rotondamente l’Esortazione post-sinodale di papa Francesco Querida Amazonia.

 Le parole di Bode sono comparse sul settimanale diocesano di Osnabrück Kirchenbote il 5 febbraio 2020 e sono state riprese da Katholisch.de il giorno successivo. Nel contesto del Cammino Sinodale che la Germania ha da poco inaugurato, volendo farne una struttura con capacità decisionale, i tedeschi dunque andranno probabilmente ben oltre il vicolo cieco in cui il papa – come tutti i precedenti – nell’Esortazione apostolica post-sinodale ha ingabbiato il ruolo della donna.

Sta di fatto che l’implicazione dell’affermazione di Bode è che il sacerdozio viene sganciato dall’identità maschile di Gesù, liberando la strada da qualsivoglia impedimento ontologico e togliendo argomenti a chi si oppone al ministero ordinato femminile. Ciò potrebbe preludere a passi decisamente radicali: la Germania non sembra temere conseguenze per i salti in avanti che sembra intenzionata a compiere.

Ma Bode è avanti su molti temi: nell’intervista che ha rilasciato sul giornale della sua diocesi, si è detto molto soddisfatto del primo incontro del Sinodaler Weg, avvenuto a Francoforte ai primi di febbraio, nel quale, ha spiegato, più che una polarizzazione di posizioni sui temi vi è stato un largo consenso al centro.

 Sarà lui a presiedere il forum sul ruolo delle donne nella Chiesa, accanto alla teologa Dorothea Sattler, la cui posizione sulla possibilità, in termini teologici, che Dio potesse incarnarsi anche in una donna non è una novità (die Welt, settembre 2019), poiché il genere di Gesù non ha alcun ruolo nella dottrina della salvezza. Sattler, che dirige

l’Istituto per l’ecumenismo e la dogmatica all’Università di Münster, è perciò favorevole all’ordinazione delle donne.

«L’interazione tra uomini e donne è uno dei segni importanti dei tempi», ha affermato Bode nell’intervista. Molte decisioni prese da uomini, come quella di coprire abusi sessuali, sarebbero state diverse se avessero coinvolto delle donne, ha aggiunto.

Il forum, ha poi preannunciato, si occuperà di ciò che già esiste per le donne, ma si parlerà anche di «questioni fondamentali» come l’ordinazione delle donne. Il vescovo di Osnabrück è favorevole ai viri probati, cioè all’ordinazione presbiterale di uomini sposati – altro punto altamente divisivo all’interno della Chiesa, peraltro stoppato da Francesco in Querida Amazonia – e ha delineato la possibilità di un sacerdozio a due velocità: uno a tempo pieno e uno a tempo parziale per chi fosse sposato, dando vita a due ministeri assolutamente compatibili.

 Ludovica Eugenio                 “www.adista.it”           14 febbraio 2020

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202002/200214eugenio.pdf

 

Il cardinale Schönborn. Scarsità del clero, i preti sposati non sono la via d’uscita

 

Eminenza, letta l’esortazione, per lei come si può sintetizzare il sogno ecclesiale di papa Francesco per ’Amazzonia?

Senza la Laudato sì, il lavoro del sinodo non sarebbe diventato quello che è diventato: un grande appello all’aiuto dell’enorme ecosistema amazzonico. Riesco ancora a sentire ciò che il professor Schellnhuber dell’istituto di ricerca sull’impatto climatico di Potsdam ha detto ai partecipanti al sinodo: «La distruzione della foresta amazzonica è la distruzione del mondo». Papa Francesco qui spiega: «L’equilibrio planetario dipende anche dalla salute dell’Amazzonia». E ancora più chiaramente: «Gli interessi di alcune potenti aziende non devono superare il benessere dell’Amazzonia e dell’intera umanità». Ma qui più che protestare contro una «economia che uccide», Papa Francesco si preoccupa di un atteggiamento che chiama «la profezia della contemplazione», un atteggiamento che non usa il mondo solo come materia per la produzione e il consumo, ma vede e lo rispetta come un dono di Dio. In definitiva, è una questione d’amore: «Possiamo amare l’Amazzonia e non solo usarla». E questo atteggiamento è in definitiva ciò che riguarda una «pastorale della presenza» in Amazzonia.

Quali sono in sostanza le priorità per la Chiesa in Amazzonia?

Mi permetto di dare solo alcuni suggerimenti all’ultimo dettagliato capitolo dell’esortazione. La premessa sull’intero tema della pastorale in Amazzonia è l’urgenza dell’evangelizzazione. Francesco lo intende principalmente come l’annuncio diretto di Gesù Cristo, il kerygma. Al sinodo, ho chiesto a molti perché i “pentecostali”, gli evangelici, le chiese libere in Amazzonia hanno così tanto successo. Più della metà dei cattolici (alcuni dicono il 60-80%) sono andati in queste chiese. Sono stato sorpreso dal fatto che questo argomento di vitale importanza non sia stato affrontato. Ma una cosa è stata principalmente menzionata come causa: i “pentecostali” parlano direttamente di Gesù Cristo. Predicano il kerygma mentre la predicazione cattolica non fa abbastanza. Papa Francesco commemora quindi i grandi evangelizzatori dell’America Latina come San Toribio di Mogrovejo. E parla dell’inculturazione come seconda priorità pastorale.

Il sinodo se n’era molto occupato fino al dibattito sul “rito amazzonico”.

Papa Francesco si occupa qui della questione dell’inculturazione in generale. Cita il tema del proprio rito solo in una nota a piè di pagina come proposta del Sinodo, senza valutarlo. Interessanti sono i chiarimenti sui simboli indigeni, che sono cresciuti dai miti dei popoli e sono interpretati in senso cristiano, ricordando durante il sinodo le azioni deplorevoli contro le figure della Pachamama [in lingua quechua Madre terra].

www.osservatoreromano.va/it/news/e-una-divinita-la-pachamama].

Veniamo alla questione della scarsità dei sacerdoti in Amazzonia. Qual è la via d’uscita?

Da un lato, il Papa sottolinea l’inconfondibilità e l’insostituibilità del sacerdozio sacramentale, dall’altro, il suo carattere di servizio completo per il popolo di Dio e la sua santificazione. Se è vero che «l’Eucaristia fa la Chiesa», allora i popoli amazzonici non devono essere senza i sacramenti dell’Eucaristia e del perdono. Nell’Esortazione non fa menzione della proposta di aprire la possibilità per i diaconi permanenti di essere ordinati sacerdoti per le regioni più remote dell’Amazzonia, come era stata proposta nel documento finale del sinodo.

Ma anche se l’esortazione non riprende quel punto, presentando il documento finale del sinodo «ufficialmente», questo punto può considerarsi confermato in modo implicito?

Nella esortazione apostolica Amoris lætitia Papa Francesco usa spesso frasi chiare per dire esplicitamente che ha fatto interamente suoi alcuni suggerimenti e richieste usciti dal sinodo. Stavolta, non c’è nessuna clausola che possa indicare in forma esplicita o almeno implicita la sua “assunzione” dell’intero documento del sinodo amazzonico. Esprimendo la volontà di «presentare ufficialmente» questo documento, il Papa non fa che suggerire solo cosa intende per sinodalità. Se dunque non fa menzione della proposta del sinodo di aprire la possibilità per i diaconi permanenti, c’è però la richiesta del Papa di utilizzare intensamente tutti i percorsi che non sono stati abbastanza usati per porre rimedio alla precaria situazione della mancanza di sacerdoti, senza fare immediatamente preti sposati, come via d’uscita.

A quali percorsi si riferisce?

La nota 132 affronta discretamente un grosso problema. È stato menzionato direttamente nel Sinodo che alcuni paesi amazzonici inviano più sacerdoti in Europa o in Nord America che al proprio vicariato in Amazzonia. Solo in Colombia sono 1.200. Se solo un terzo o un quarto di questi sacerdoti fossero disponibili per le diocesi amazzoniche, difficilmente ci sarebbe una carenza di preti sul posto. Nella nota 133 menziona la mancanza di seminari per gli indigeni. Mi aveva scosso dal sinodo la quasi totale mancanza di sacerdoti indigeni. Come è possibile che dopo 500 anni di cristianesimo non ci sia praticamente alcun clero locale in questa regione? La testimonianza del primo sacerdote indigeno salesiano che ha parlato al Sinodo è stata impressionante. Infine, il Papa menziona un argomento che aveva trovato posto anche nel documento finale: la sorprendente mancanza di diaconi permanenti, «che dovrebbero essere molto più numerosi in Amazzonia». Mi chiedo: perché questa opportunità aperta dal Vaticano II non è stata più utilizzata? Papa Francesco conclude allora la questione in maniera concreta: «Quindi non si tratta solo di consentire una maggiore presenza di ministri ordinati che possano celebrare l’Eucaristia. Sarebbe un obiettivo troppo limitato se non provassimo a portare nuova vita anche nelle chiese».

Nell’esortazione sottolinea con enfasi l’importanza dei ministeri per i laici. Ma può essere un modo di evitare il problema e lasciare le cose come sono.

Sottolinea la necessità di promuovere persone mature e autorevoli e in particolare la presenza di donne «forti e generose» che battezzano, fanno catechesi, sono dirigenti di preghiera e che dovrebbero avere uno status stabile e una partecipazione più chiara alla Chiesa senza essere clericalizzate. Vede un compito prioritario nel rafforzare il ruolo delle donne, che è sempre stato insostituibile, soprattutto nelle remote comunità dell’Amazzonia.

Non si tratta quindi di relativizzare i problemi, evitarli o lasciare le cose come sono. La “soluzione” sta nel “più grande”, quello che Dio dona spesso in modo sorprendente. Con questa speranza per il più grande lavoro di Dio, per la sorpresa delle sue vie, accettato con coraggio e generosità papa Francesco osserva l’immensa complessità dell’amata Amazzonia. Non ha soluzioni semplicistiche, ma la gioia del Vangelo gli dà fiducia che non può essere scoraggiata. E dice tutto questo non solo per l’Amazzonia, ma per tutti noi.

Stefania Falasca                  Avvenire        12 febbraio 2020

www.avvenire.it/papa/pagine/intervista-al-cardinale-christoph-schonborn

 

                                            Anni di piombo: la via di Martini per curare l’Italia

Carlo Maria Martini entrò a Milano da arcivescovo il 10 febbraio 1980. L’8 gennaio le Brigate Rosse avevano ucciso tre agenti di polizia alla Barona; 5 giorni prima dell’ingresso, mentre Martini era in ritiro a Rho, a Monza è assassinato Paolo Paoletti, direttore dell’Icmesa, la fabbrica di Seveso della nube di diossina del ’76; il 19 marzo le Brigate Rosse uccidono il giudice Guido Galli all’Università Statale, a poche decine di metri dalla Curia, da dove Martini giunge appresa la notizia; il 28 maggio la vittima è Walter Tobagi. Il 13 giugno ’84 i terroristi consegnano un piccolo arsenale di armi presso l’arcivescovado di Milano: anche se non sono mancati i colpi di coda, s’avviavano a conclusione gli Anni di piombo. La consegna delle armi a Martini era frutto del dialogo da lui avviato negli anni con alcuni terroristi detenuti nel carcere San Vittore ma lo espose alla critica di trascurare, in questo modo, le vittime.

In realtà, il disegno di Martini aveva un respiro più vasto: da lui ispirato, nell’aprile 1985 il convegno della Chiesa italiana su Riconciliazione cristiana e comunità degli uomini avrebbe dovuto contribuire a sanare non solo le ferite inflitte dai terroristi alla società, bensì le divisioni e le ineguaglianze che più in generale ancora la caratterizzavano. Invece, l’intervento di Giovanni Paolo II, prontamente fatto proprio dal cardinal Ruini, spostò l’attenzione sulla dimensione immediatamente politica, richiamando i cattolici all’impegno diretto in questo campo: dalla riconciliazione alla riconquista. Introducendo il volume che Silvia Meroni ha dedicato a Martini e gli Anni di piombo (Carlo Maria Martini e gli Anni di piombo. Le fatiche di un vescovo e le voci dei testimoni, postfazione di Alberto Conci e Francesco Scanziani, Àncora, pp. 351, € 27), Marco Garzonio acutamente osserva come i nodi allora irrisolti sarebbero comunque venuti al pettine 10 anni dopo con Tangentopoli, quando le coscienze cattoliche risultarono impreparate al riemergere di antiche e nuove fratture, in forme certo meno sanguinose ma altrettanto laceranti.

Due sono i pregi maggiori del libro di Meroni. Anzitutto, l’uso di molte fonti inedite e soprattutto di

interviste condotte dall’autrice con vittime e protagonisti ecclesiali di quella stagione, tra cui spiccano quelle di don Luigi Melesi, all’epoca cappellano di San Vittore, che chiarisce che cosa realmente sia stata la consegna delle armi a Martini, e di padre Virgilio Fantuzzi, redattore della rivista dei gesuiti «La civiltà cattolica», che ricorda come Martini dopo quell’episodio gli avesse chiesto un articolo in cui venisse chiarita la sua posizione e smentita l’accusa di essere «troppo sbilanciato sul versante dei criminali». Scriveva Fantuzzi, di fatto a nome di Martini: «Volere la pace e la riconciliazione non vuol dire mettere da parte le vittime, ma al contrario trasformare l’amore per le vittime in volontà efficace di eliminare le radici dalle quali è nata questa offesa».

      L’articolo non ebbe la risonanza che meritava, come pure la costante — ma discreta e non esibita —attenzione riservata da Martini ai parenti delle vittime, ora ben messa in luce dall’autrice, che rileva anche come alcuni tratti caratteriali dell’arcivescovo potevano dare un’impressione di distacco, smentita però dagli incontri personali. In questo senso, le pagine di Meroni costituiscono una agiografia nel senso più pieno e migliore del termine, mostrando le incertezze e la sofferenza dell’uomo Martini di fronte al male, la fermezza e la fede del credente e del pastore.

Marco Rizzi                        “Corriere della Sera”   10 febbraio 2020

www.c3dem.it/wp-content/uploads/2020/02/anni-di-piombo-la-via-di-martini-per-curare-litalia-marco-rizzi-cds.pdf

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CONSULTORI FAMILIARI CATTOLICI

Roma. Al Quadraro. Il valore della paternità, quei “no” per gestire il conflitto

Oggi i genitori privilegiano un ruolo protettivo verso i figli ma resta fondamentale il senso del limite. Ai padri il compito di assumersi la responsabilità dell’eredità.

Ascoltando la narrazione delle famiglie, durante il lavoro clinico, appare sempre più evidente una trasformazione e un aumento della complessità dei ruoli e delle funzioni nella famiglia “moderna”. Tale complessità è maturata non solo perché l’evoluzione della famiglia segue o presenta una “contiguità” con ciò che è visibile a livello sociale: dove per famiglia, fino a qualche decennio fa, si intendeva la configurazione padre-madre e figlio/i, mentre ora appaiono famiglie dalla diversa configurazione, ma anche perché all’interno di ogni specifica famiglia l’assetto di ruoli e funzioni sono modulate da dinamiche emotive che condizionano il compito educativo genitoriale.

Simona Argentieri, nel testo il “Padre materno”, evidenzia la ricchezza e la duttilità da parte dei padri di svolgere le funzioni di accudimento primarie conosciute come “maternage”, che nel passato erano prerogativa delle madri. Oggi è ampiamente diffusa la co-presenza di padri e madri, nonché il riconoscimento e la tutela dei diritti alla paternità nella crescita dei figli con relativo congedo dal lavoro. È sempre più visibile, soprattutto nelle coppie giovani, il desiderio di “esserci” e di occuparsi dei propri figli, dove non si tratta di eseguire un compito ma di appagare il bisogno di intimità, di contatto fisico e di tenerezza. Mentre, come spesso rilevato durante le terapie familiari, sembrano più difficili da gestire e svolgere le funzioni che richiamano alla costruzione del senso del limite, fondamentali per la crescita e determinanti durante l’adolescenza, dove entrano prepotentemente in gioco le sfide, l’aggressività e il conflitto.

            Tale difficoltà di coniugare il desiderio di tenerezza con la necessità di porre limiti, affrontando il conflitto, è ben approfondito nel saggio dello psicoanalista Massimo Recalcati,Cosa resta del padre”. L’autore sottolinea: «Come i genitori siano oggi più preoccupati di farsi amare dai loro figli che di educarli, più ansiosi di proteggerli che di sopportarne i conflitti. Questo vale a maggior ragione per i padri, la cui funzione educativa spesso e volentieri viene demandata alla madre e dove si osserva la dissoluzione dell’autorità paterna: il padre non è più Padre, cioè pater familias, e ogni tentativo di restaurare quel tipo di Ordine o Legge è fallimentare».

            Cosa resta del padre? La possibilità di testimoniare ai figli le passioni, le vocazioni, i progetti, senza pretendere di proporre modelli o valori universali; si tratta di assumersi la responsabilità dell’eredità, ossia della facoltà di trasmettere il desiderio da una generazione all’altra. Tale testimonianza non lo esime “dall’opporre dei no” e quindi dall’affrontare il conflitto, indispensabile alla crescita e alla maturazione dei figli.

Possiamo affermare che nel percorso di crescita non può non esserci il conflitto, anzi la sua presenza è garante del riconoscimento della alterità-diversità con cui si attiva un confronto e si cerca una mediazione: se ciò venisse a mancare è facile il verificarsi della violenza che nega qualsiasi forma di discorso e dove si verifica la rottura del riconoscimento dell’Altro come realtà e come possibile interlocutore. È fondamentale che i genitori non neghino il conflitto ma lo affrontino reggendo “l’onda d’urto” che ne deriva inevitabilmente; se questo non accade, la distanza tra le generazioni si assottiglia e le posizioni nei rapporti parentali si appiattiscono.

            Perché è così difficile e complicato assumere “un ruolo di autorità”? La Argentieri dà una lettura su tale riluttanza come frutto di un rapporto problematico con l’aggressività sana: «Esercitare l’aggressività sana, infliggere regole e frustrazioni, significa tollerare che un figlio ci viva a tratti come “cattivi” e che a sua volta, come sarebbe giusto e naturale, diriga contro di noi l’ostilità. Ho sentito spesso teorizzare da molti genitori e soprattutto dai papà che il bambino deve potersi sviluppare nella massima libertà. Quello che si rischia è di non riconoscere che esercitare sui figli una funzione adulta, di conflitto e di disciplina, non solo ha valore normativo/punitivo ma anche protettivo».

La crescita “armonica” dei figli si caratterizza per un “cammino relazionale” che passa dalla tenerezza della protezione alla fase dell’imposizione dei limiti e della separazione, fino all’assunzione della responsabilità di se stessi e delle proprie azioni. Quello che oggi si osserva nei genitori è il privilegiare il contatto/protezione rispetto all’individuazione/differenziazione, lasciando ai figli il “peso” di inventare e definire norme e limiti. L’esperienza clinica e quella quotidiana – condivido con la Argentieri – testimoniano come per molti giovani non abbia più molto senso sfidare l’autorità di genitori che, da almeno due generazioni, sembrano avere abdicato non solo dall’autorità e dall’autorevolezza ma anche dalla funzione adulta normativa, punitiva e protettiva. L’opportunità di un dialogo complesso e rispettoso delle molteplici variabili personali e relazionali, tra genitori e figli, può ridursi in infantilismi, in deleghe sociali, favorendo la perdita delle specificità di ogni persona coinvolta.

            Lo scenario che potrebbe configurarsi è il passaggio dallo sviluppo delle potenzialità e risorse di ogni singolo individuo ad un’indifferenziazione di massa più facilmente manipolabile socialmente e politicamente. Tale sofferente prospettiva a livello macro-sociale non deve offuscare la speranza di cosa è possibile fare nel livello micro-sociale. Ciò che accade all’interno di un sistema familiare è correlato al “gioco dei ruoli” e se la paternità non riesce ad essere assunta dal padre c’è da chiedersi come possa essere sostenuta, valorizzata dalla compagna, con la possibilità da parte della coppia di recuperare la relazione coniugale che spesso “manifesta” sofferenza con la nascita dei figli.

Credo opportuno che la famiglia vada sostenuta in questo “dialogo” sia per dare spazio ad una riflessione di ciò che accade al suo interno sia per rimodulare, a livello più generale, le funzioni e i ruoli fondamentali per una crescita armonica fondante una società più sana. (Laura Boccanera)

Consultorio familiare diocesano                    31 gennaio 2020

www.romasette.it/il-valore-della-paternita-quei-no-per-gestire-il-conflitto

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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM

Parma. Corretta alimentazione dei ragazzi, sport e benessere in adolescenza

Sono questi i temi fondamentali dei seminari “Adolescenti tra frigo e divano” che si svolgeranno nei prossimi mesi. I seminari sono realizzati dalle associazioni Famiglia Più e Maendeleo-Italia, in collaborazione con lo Spazio Giovani della Biblioteca Civica di Parma, nell’ambito del progetto “Valorizzazione delle raccolte librarie della Biblioteca Civica dell’Ospedale Vecchio e delle raccolte audiovisive del Centro Cinema Lino Ventura”.

Gli incontri, dedicati al mondo degli adolescenti, sono realizzati con il patrocinio del Comune di Parma, la collaborazione di Aurora Domus Cooperativa Sociale e Zebre Rugby Club di Parma, e sono inseriti nel denso calendario di eventi di Parma 2020 – Capitale italiana della Cultura.

I seminari sono rivolti a genitori, educatori, insegnanti e istruttori sportivi, per proporre riflessioni su abitudini e comportamenti della fascia più giovane della popolazione. Durante le conferenze saranno esposti anche libri e dvd sui temi alimentazione, benessere e sport e al termine saranno realizzate attività per i bambini e ragazzi presenti.

Gli appuntamenti prenderanno il via con la conferenza del dr Federico Cioni, medico nutrizionista della società Zebre Rugby Club di Parma. I successivi appuntamenti sono in programma con gli interventi delle dr Silvia Levati e Micaela Fusi, psicologhe dell’associazione Famiglia Più.

www.famigliapiu.it/index.php/category/iniziative

 

Roma1. Centro La Famiglia. Carcere, quei drammi familiari di cui farsi carico

Dove c’è un detenuto c’è un legame da non spezzare. L’importanza di un ascolto profondo di chi fuori vive una “detenzione” emotiva e affettiva pesante.

“Chiudiamoli dentro e buttiamo la chiave”. Frase storica, usata, abusata rispetto a chi vive l’esperienza del carcere. Entrata ormai nel gergo comune, dettata spesso dalla paura, dalla rabbia, dall’esasperazione per un mondo che sembra in caduta libera. Ma c’è altro. Frase dettata dalla non conoscenza, dal sentito dire, da una rapida classificazione del “problema”. Allora entriamo in questa realtà, non con la pretesa di un buonismo che cancelli le colpe e crei ingiustizie, ma con l’intenzione di capire di più, di entrare in un “non luogo”, di visitare, anche se solo virtualmente, una realtà di vita vicina quanto distante.

            Il carcere di Rebibbia, a Roma, rappresenta una città nella città, luogo che ospita le più svariate esperienze di vita e, oserei dire, di morte. Di quella morte non fisica ma spirituale, interiore, la morte che deriva dalla perdita di ogni dignità a causa di una vita segnata dall’errore e dalla caduta. Nel carcere si incontrano tante storie, visi che portano dentro un vissuto e che rimandano, non solo alla storia personale, ma anche a un tessuto familiare fortemente compromesso. Dietro ogni detenuto c’è un’esistenza complessa, una famiglia, legami coniugali e genitoriali. Compito del percorso riabilitativo non è solo quello di far scontare una pena e reinserire nella società ma di prendersi carico di tutto il tessuto relazionale che il detenuto porta dentro di sé.

            Tante le ricadute sulla vita familiare. Nel pochissimo tempo destinato alle visite in carcere, si devono tenere in piedi legami esistenti ma lacerati dalla detenzione e dalla lontananza, si deve continuare a rimanere padri, madri, mariti, mogli, in un’assenza che rende difficoltosa la salvaguardia dell’unione. Basti pensare che nell’arco di un anno il tempo riservato agli incontri è di 72 ore, 6 ore al mese da dividere tra tutti i componenti della famiglia che insieme non possono visitare il carcerato. Questo significa che si è compagni di vita o genitori per una manciata di ore al mese, con bambini spesso piccoli da crescere e adolescenti da poter seguire. La sofferenza di chi vive fuori dal carcere è molto profonda e occorre creare una rete che mantenga unite, anche se spesso solo virtualmente, famiglie spezzate. Spesso tocca ai volontari tenere i rapporti con i familiari che rappresentano una reale periferia esistenziale.

            Fondamentali sono i momenti in cui si dedica spazio all’ascolto di chi, fuori, vive la solitudine morale, spirituale, i dubbi, le paure, i timori di un futuro incerto per sé e per i figli. L’emergenza materiale è ingente: spesso il detenuto era l’unico sostentamento di tutto il nucleo familiare e la sua mancanza, il lungo tempo prima del ritorno, non garantisce la costruzione di una quotidianità degna e dignitosa. La rete di aiuti diventa il tassello necessario per la sopravvivenza di queste famiglie, l’ascolto del loro dolore, la via per non sentirsi abbandonati, dimenticati dagli affetti e da un sistema carcerario che, nelle sue regole, non agevola la continuità affettiva.

            La perdita di una figura di riferimento importante ricade pesantemente su chi, fuori, deve lottare ogni giorno per la sopravvivenza propria e dei propri figli, su chi deve far da madre e padre a piccole vite in crescita, deve “tamponare” esigenze di ogni tipo soprattutto emotive e affettive. Un’ulteriore criticità è rappresentata dal giudizio che la famiglia di un detenuto vive sulla propria pelle. La discriminazione davanti a storie di vita così pesanti, ma anche la paura che ognuno di noi può sperimentare davanti a una realtà sconosciuta e critica, chiude l’intera famiglia in una solitudine relazionale che spesso pesa ancora di più della detenzione stessa.

            Il carcere allarga quindi la sua realtà di periferia oltre le sbarre, laddove vive ogni componente di quel nucleo familiare toccato profondamente dal reato. Non si vuole assolvere e mostrare il carcerato come la vittima. Non lo è, e lo sa. Sa di aver sbagliato, di aver buttato la sua e l’altrui vita, sa il male che ha fatto e per il quale paga. Non tutti, bisogna dirlo. Alcuni rimangono ancorati alla presunta giustizia dei loro atti, altri faticano a riconoscere la propria responsabilità.

            La sfida che da “liberi” possiamo raccogliere è lavorare sul giudizio e pregiudizio che alligna intorno alla vita del detenuto. Guardare alla realtà carceraria in un’ottica più vasta che comprende tutto il suo tessuto familiare, l’impossibilità di una presenza continua, di una mano a crescere figli, a essere guida e punto di riferimento. Dove c’è un detenuto c’è un intero dramma di cui prendersi carico, un legame da non spezzare, un ascolto profondo da donare a chi, fuori dal carcere, vive ogni giorno una detenzione emotiva e affettiva pesante. Vorrei lasciare un esempio realmente sperimentato. Un detenuto, che chiamiamo Stefano, padre biologico di tre figli, che scopre, solo in carcere, di non essere affatto un padre, di non essere stato guida ma peso e zavorra nella crescita dei figli e che oggi spera e desidera ricostruire la sua paternità. Nella speranza di averne ancora il tempo. Quel padre, seppur ha sbagliato, incontrerà i figli nell’area verde del carcere forse una volta al mese. Li vedrà crescere di colloquio in colloquio con accanto una madre che faticherà a ricoprire tutti i ruoli a lei richiesti.

            Occorre quindi chiedersi come porsi in ascolto di queste famiglie senza aprirsi al giudizio e al pregiudizio. Occorre accompagnare il loro cammino, confortare, tenere i contatti anche solo con una telefonata, poche parole per trasmettere consolazione, vicinanza e coraggio, essere traghettatori di quel periodo di detenzione verso la costruzione di un futuro diverso anche se spesso non vicino. Un compito non facile ma che, ci auguriamo, non spetti solo ai volontari ma sia assunto come impegno esistenziale da ognuno di noi. Perché il dolore abita nella porta accanto, forse vissuto in solitudine, nell’abbandono, nella paura di parlare per non essere giudicati. Perché il riscatto del detenuto e il suo reinserimento in società passa dall’accoglienza della sua famiglia dove poter ritrovarsi e ritrovare nei propri affetti, la volontà, il coraggio e la speranza di potersi ricostruire.

Alessandra Bialetti, pedagogista sociale e consulente della coppia e della famiglia    7 febbraio 2020

www.romasette.it/carcere-quei-drammi-familiari-di-cui-farsi-carico

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CORTE COSTITUZIONALE

Giudizi innanzi alla Corte Costituzionale: ammessi gli “amici curiæ”

       Nella Gazzetta Ufficiale del 22 gennaio 2020 è stato pubblicato il provvedimento che modifica le regole dei giudizi davanti alla Corte Costituzionale. La Delibera dell’8 gennaio 2020, rivelata dall’Ufficio stampa della stessa Corte attraverso una nota datata 11 gennaio, e composta di 8 articoli, ha introdotto modificazioni alle “Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale”.

Amici curiæ. La novità di risalto è rappresentata dall’apertura della Corte Costituzionale all’ascolto della società civile. In particolare, grazie alle modifiche normative apportate dall’articolo 2 della Delibera in commento, è ora possibile ascoltare i cosiddetti “Amici curiae”, cioè le formazioni sociali senza scopo di lucro e i soggetti istituzionali, portatori di interessi collettivi o diffusi attinenti alla questione di costituzionalità oggetto di uno specifico giudizio. I citati soggetti, nel termine di venti giorni decorrenti dalla pubblicazione, in Gazzetta Ufficiale, dell’ordinanza di rimessione delle singole questioni, hanno facoltà di presentare, per iscritto, alla Corte costituzionale, una loro opinione. Tale opinione:

  • non può superare la lunghezza di 25.000 caratteri, spazi inclusi,
  • è inviata per posta elettronica alla cancelleria della Corte Costituzionale,
  • la cancelleria comunica l’avvenuta ricezione mediante posta elettronica.

Sono ammesse le opinioni che offrono elementi utili alla conoscenza e alla valutazione del caso, anche in ragione della relativa complessità. Espressa tale opinione, le formazioni sociali e i soggetti istituzionali:

  • non assumono, in ogni caso, qualità di parte nel giudizio costituzionale,
  • non possono ottenere copia degli atti,
  • non partecipano all’udienza.

La Consulta, grazie alle nuove disposizioni contenute nell’articolo 3 della Delibera in commento, vanta ora la possibilità di disporre che siano ascoltati esperti di chiara fama nelle ipotesi ove, con riferimento a specifiche discipline, lo stesso organo ritenga necessario acquisire informazioni pertinenti. Gli esperti, una volta ammessi, vengono ascoltati in apposita adunanza in camera di consiglio, alla quale possono assistere le parti costituite. Attraverso l’autorizzazione del Presidente, le parti possono formulare domande agli esperti.

            Interventi in giudizio. Ulteriori novità riguardano gli interventi in giudizio: in quelli in via incidentale possono intervenire anche i titolari di un interesse qualificato, inerente in modo diretto e immediato il rapporto giuridico dedotto in Giudizio. (GU n.17 del 22-1-2020)

www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaDettaglioAtto/originario;jsessionid=D0Uzbs4fPx6xYq3mnAoAjQ__.ntc-as2-guri2a?atto.dataPubblicazioneGazzetta=2020-01-22&atto.codiceRedazionale=20A00443&elenco30giorni=false

Laura Biarella             Altalex            28 gennaio 2020

www.altalex.com/documents/leggi/2020/01/28/giudizi-innanzi-corte-costituzionale-ammessi-amici-curiae

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DALLA NAVATA

VI Domenica del tempo ordinario – Anno A – 16 febbraio 2020

Siràcide                   15, 18. Davanti agli uomini stanno la vita e la morte, il bene e il male: a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà.

Salmo                   118, 18. Aprimi gli occhi perché io consideri le meraviglie della tua legge.

1Corinzi                 02, 10. Ma a noi Dio le ha rivelate per mezzo dello Spirito; lo Spirito infatti conosce bene ogni cosa, anche le profondità di Dio.

Matteo                  05, 17. «Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento.

 

Gesù viene a guarirci, non a rifare un «codice»

Ma io vi dico. Gesù entra nel progetto di Dio non per rifare un codice, ma per rifare il coraggio del cuore, il coraggio del sogno. Agendo su tre leve decisive: la violenza, il desiderio, la sincerità. Fu detto: non ucciderai; ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, chi nutre rancore è potenzialmente un omicida. Gesù va diritto al movente delle azioni, al laboratorio dove si assemblano i gesti. L’apostolo Giovanni affermerà una cosa enorme: «Chi non ama suo fratello è omicida» (1 Gv 3,15). Chi non ama, uccide. Il disamore non è solo il mio lento morire, ma è un incubatore di violenza e omicidi. Ma io vi dico: chiunque si adira con il fratello, o gli dice pazzo, o stupido, è sulla linea di Caino.

Gesù mostra i primi tre passi verso la morte: l’ira, l’insulto, il disprezzo, tre forme di omicidio. L’uccisione esteriore viene dalla eliminazione interiore dell’altro. Chi gli dice pazzo sarà destinato al fuoco della Geenna. Geenna non è l’inferno, ma quel vallone alla periferia di Gerusalemme, dove si bruciavano le immondizie della città, da cui saliva perennemente un fumo acre e cattivo. Gesù dice: se tu disprezzi e insulti il fratello tu fai spazzatura della tua vita, la butti nell’immondizia; è ben più di un castigo, è la tua umanità che marcisce e va in fumo. Ascolti queste pagine che sono tra le più radicali del Vangelo e capisci per contrasto che diventano le più umane, perché Gesù parla solo della vita, con le parole proprie della vita: «Custodisci le mie parole ed esse ti custodiranno» (Prov 4,4), e non finirai nell’immondezzaio della storia.

Avete inteso che fu detto: non commettere adulterio. Ma io vi dico: se guardi una donna per desiderarla sei già adultero. Non dice semplicemente: se tu desideri una donna; ma: se guardi per desiderare, con atteggiamento predatorio, per conquistare e violare, per sedurre e possedere, se la riduci a un oggetto da prendere o collezionare, tu commetti un reato contro la grandezza di quella persona.

Adulterio viene dal verbo a(du)lterare che significa: tu alteri, cambi, falsifichi, manipoli la persona. Le rubi il sogno di Dio. Adulterio non è tanto un reato contro la morale, ma un delitto contro la persona, deturpi il volto alto e puro dell’uomo.

Terza leva: Ma io vi dico: Non giurate affatto; il vostro dire sia sì, sì; no, no. Dal divieto del giuramento, Gesù va fino in fondo, arriva al divieto della menzogna. Di’ sempre la verità e non servirà più giurare. Non abbiamo bisogno di mostraci diversi da ciò che siamo nell’intimo. Dobbiamo solo curare il nostro cuore, per poi prenderci cura della vita attorno a noi; c’è da guarire il cuore per poi guarire la vita.

Padre Ermes Ronchi, OSM

                                                     www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/47918.html

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DEMOGRAFIA

Indicatori demografici

Continua a diminuire la popolazione: al 1° gennaio 2020 i residenti ammontano a 60 milioni 317mila, 116mila in meno su base annua.

Aumenta il divario tra nascite e decessi: per 100 persone decedute arrivano soltanto 67 bambini (dieci anni fa erano 96).

Positivi ma in rallentamento i flussi migratori netti con l’estero: il saldo è di +143mila, 32mila in meno rispetto al 2018, frutto di 307mila iscrizioni e 164mila cancellazioni.

Ulteriore rialzo dell’età media: 45,7 anni al 1° gennaio 2020.

Comunicato stampa               11 febbraio 2020

www.istat.it/it/files//2020/02/Indicatori-demografici_2019.pdf

 

 

https://www.istat.it/it/archivio/indicatori+demografici

Indicatori demografici anno 2019

La popolazione residente prosegue il suo trend di diminuzione. Alla luce dei primi risultati provvisori, l’anno appena concluso non risulta contrassegnato, per quanto concerne il quadro demografico nazionale, da significativi cambiamenti, inversioni di tendenza o improvvisi quanto temporanei shock di periodo. Il 2019 è, infatti, un anno nel quale le tendenze demografiche risultano da un punto di vista congiunturale in linea con quelle mediamente espresse negli anni più recenti.

Le evidenze documentano ancora una volta bassi livelli fecondità, un regolare quanto atteso aumento della speranza di vita, cui si accompagna, come ormai di consueto, una vivace dinamica delle migrazioni internazionali. Il riflesso di tali andamenti demografici comporta nel complesso un’ulteriore riduzione della popolazione residente, scesa al 1° gennaio 2020 a 60 milioni 317mila. La popolazione, che risulta ininterrottamente in calo da cinque anni consecutivi, registra nel 2019 una riduzione pari al -1,9‰ residenti. La riduzione si deve al rilevante bilancio negativo della dinamica naturale (nascite-decessi) risultata nel 2019 pari a -212mila unità, solo parzialmente attenuata da un saldo migratorio con l’estero ampiamente positivo (+143mila). Le ordinarie operazioni di allineamento e revisione delle anagrafi (saldo per altri motivi) comportano, inoltre, un saldo negativo per 48mila unità. Nel complesso, pertanto, la popolazione diminuisce di 116mila unità.

In crescita demografica solo alcune regioni del Nord. Il calo della popolazione si concentra prevalentemente nel Mezzogiorno (-6,3‰) e in misura inferiore nel Centro (-2,2‰). Al contrario, prosegue il processo di crescita della popolazione nel Nord (+1,4‰).

Lo sviluppo demografico più importante si è registrato nelle Province autonome di Bolzano e Trento, rispettivamente con tassi di variazione pari a +5‰ e +3, ‰. Rilevante anche l’incremento di popolazione osservato in Lombardia (+3,4‰) ed Emilia +-2,8‰).     

La Toscana, pur con un tasso di variazione negativo (-0,5‰) è la regione del Centro che contiene maggiormente la flessione demografica e comunque l’ultima a porsi sopra il livello di variazione medio nazionale (-1,9‰).

Totalmente contrapposte le condizioni di sviluppo demografico nelle quali versano le singole regioni del Mezzogiorno, la migliore delle quali – la Sardegna – viaggia nel 2019 a ritmi di variazione della popolazione pari al -5, ‰. Particolarmente critica, infine, la dinamica demografica di Molise e Basilicata che nel volgere di un solo anno perdono circa l’1o‰ delle rispettive popolazioni.

Il ricambio naturale della popolazione appare sempre più compromesso. Nel 2019 si registra in Italia un saldo naturale pari a -212mila unità, frutto della differenza tra 435mila nascite e 647mila decessi. Preannunciato dall’antitetica dinamica prospettiva di nascite e decessi nell’ultimo decennio, si tratta del più basso livello di ricambio naturale mai espresso dal Paese dal 1918.Ciò comporta che il ricambio per ogni 100 residenti che lasciano per morte sia oggi assicurato da appena 67 neonati, mentre dieci anni fa risultava pari a 96.

L’analisi in serie storica delle nascite pone in evidenza come il dato relativo al 2019, appena 435mila,

risulti il più basso mai riscontrato nel Paese. Per contro, il numero dei decessi, 647mila, pur di poco inferiore al record riscontrato nel 2017 (649mila), rispecchia in pieno le tendenze da tempo evidenziate. Nel lungo termine, i guadagni conseguiti di sopravvivenza allargano la base di coloro che vivono molto più a lungo di un tempo e fino alle età più avanzate dell’esistenza, portando a far crescere il numero annuale di decessi e accentuando oltremodo, in senso fortemente negativo, il bilancio del saldo naturale.

Pur nella varietà dei diversi contesti territoriali, più o meno marcati anche in relazione al diverso livello

di invecchiamento, la dinamica naturale è ovunque negativa, eccezion fatta per la Provincia di Bolzano, l’unica dove il ricambio della popolazione risulta ancora più che in equilibrio (+1,3‰ residenti).

Più che positivo, sebbene in calo, il saldo migratorio con l’estero. Il saldo migratorio con l’estero nel 2019 risulta positivo per 143mila unità, in virtù del fatto che a fronte di 307mila iscrizioni anagrafiche dall’estero si hanno solo 164mila cancellazioni. Il dato risulta in evidente calo se confrontato con quello del biennio precedente (in media oltre 180mila unità aggiuntive annue) e persino al di sotto della media degli ultimi cinque anni (+156mila).

Dal lato delle iscrizioni si assiste a una sostanziale riduzione del volume complessivo se confrontato con quello del biennio precedente, con 25mila ingressi in meno rispetto al 2018 e 34mila sul 2017. Parallelamente, si assiste a un nuovo rialzo delle cancellazioni per l’estero, il cui volume totale, sfiorando le 164mila unità, raggiunge il livello più alto da che sono disponibili statistiche omogenee sul fenomeno (1981).

Per quanto i movimenti con l’estero rappresentino un fondamentale stimolo per il ricambio demografico, anche a fronte del calo osservato nell’ultimo anno, va anche sempre sottolineato quanto differenziati siano gli schemi di comportamento tra cittadini italiani e non italiani. Infatti, i movimenti in ingresso sono per lo più dovuti a cittadini stranieri, 265mila, oltre 20mila in meno sull’anno precedente, ma in ogni caso preponderanti rispetto agli appena 43mila rimpatri di italiani, che a loro volta si riducono di circa 4mila unità. Sul versante dei movimenti in uscita, al contrario, la quota prevalente è da attribuire ai cittadini italiani, circa 120mila e 3mila in più sul 2018, mentre le emigrazioni di stranieri (certificate da una cancellazione anagrafica) riguardano soltanto 44mila individui (+4mila).

Il saldo migratorio netto generale della popolazione residente, pari a +143mila nel 2019, è dunque la somma di due componenti di segno opposto: l’una positiva per 220mila unità e dovuta alla popolazione straniera, l’altra negativa per 77mila unità e dovuta al comportamento migratorio degli italiani. Sul piano territoriale, tutte le regioni sono interessate da saldi migratori con l’estero positivi, tuttavia in veste più accentuata nel Nord (3,1‰ abitanti) e nel Centro (2,9 ‰), rispetto a un Mezzogiorno meno attrattivo (1,1‰). La regione con la più vivace dinamica per migrazioni internazionali è l’Emilia-Romagna (3,8‰), che precede Toscana (3,7‰) e Lombardia (3,5‰), mentre appaiate per livelli minimi risultano Sicilia e Sardegna (0,6‰

Stabile il numero medio di figli per donna. Nonostante l’ennesimo record negativo di nascite, la fecondità rimane costante al livello espresso nel 2018, ossia 1,29 figli per donna. Ciò in quanto il numero annuale di nascite è vincolato non solo ai livelli riproduttivi delle madri ma anche alla loro dimensione assoluta e strutturale. Nell’ultimo biennio, in particolare, tra le donne residenti in età feconda (convenzionalmente di 15-49anni) si stima una riduzione di circa 180mila unità. In aggiunta a tale fattore va poi richiamato che i tassi specifici di fecondità per età della madre continuano a mostrare un sostanziale declino nelle età giovanili (fino a circa 30 anni) e un progressivo rialzo in quelle più anziane (dopo i 30). L’età media al parto ha toccato i 32,1 anni, anche perché nel frattempo la fecondità espressa dalle donne 35-39enni ha superato quella delle 25-29enni. Non solo, fanno più figli le donne ultraquarantenni di quanti ne facciano le giovani sotto i 20 anni di età mentre il divario con le 20-24enni è stato quasi del tutto assorbito.

Rilevante il contributo alla natalità delle immigrate.

Circa un quinto delle nascite occorse nel 2019 è da parte di madre straniera. Tra queste, pari a un totale di 85mila, 63mila sono quelle prodotte con partner straniero (che quindi incrementano il numero di nati in Italia con cittadinanza estera), 22mila quelle con partner italiano. I nati da cittadine italiane sono invece 349mila, di cui 341mila con partner connazionale e circa 8mila con partner straniero.

Al pari di quella generale, la natalità risulta in calo per tutte le tipologie di coppia. Le donne straniere, che usualmente evidenziano un comportamento riproduttivo più marcato e che sono favorite da una struttura per età più giovane, hanno avuto in media 1,89 figli (contro 1,94 del 2018). Le italiane, dal canto loro, con 1,22 figli sono rimaste all’incirca allo stesso livello dell’anno precedente (1,21). Nel frattempo, l’età media al parto sale di un ulteriore punto decimale sia per le straniere sia per le italiane. Le prime, abitualmente precoci, procreano in media intorno ai 29,1 anni di età. Le italiane, come noto più tardive, hanno come riferimento centrale i 32,6 anni.

Fecondità più alta al Nord. Nel 2019, come ormai da qualche anno, la fecondità più elevata si manifesta nel Nord del Paese (1,36 figli per donna), ben davanti a quella del Mezzogiorno (1,26) e del Centro (1,25). Il primato della zona più prolifica spetta alla Provincia di Bolzano con 1,69 figli per donna, che precede Trento con 1,43. A parte queste due specifiche realità del Nord-est, la zona dove la propensione ad avere figli

Risulta più alta è nel triangolo Lombardia (1,36), Emilia-Romagna (1,35) e Veneto (1,32), evocando una discreta correlazione tra intenzioni riproduttive e potenzialità garantite da un maggior sviluppo economico e sociale di tali regioni.

La speranza di vita alla nascita si allunga di un mese. Nel 2019 migliorano le condizioni di sopravvivenza della popolazione e si registra un ulteriore aumento della speranza di vita alla nascita. A livello nazionale gli uomini sfiorano gli 81 anni, le donne gli 85,3. Per gli uni come per le altre l’incremento sul 2018 è pari a 0,1 decimi di anno, corrispondente a un mese di vita in più. Dopo decenni di costanti e consistenti incrementi è da sottolineare, tuttavia, come la speranza di vita abbia iniziato a rallentare il suo ritmo di crescita.

 Il fenomeno è particolarmente accentuato tra le donne. Basti pensare che il genere femminile impiegò 18 anni, ovvero dal 1972 al 1990, per portarsi da 75 a oltre 80 anni di speranza di vita alla nascita. Invece, per raggiungere il successivo traguardo degli 85 anni occorse circa un quarto di secolo, dal 1990 al 2014. Venendo poi all’analisi di quanto avvenuto più di recente, nel solo decennio 2009-2019 le donne conseguono un incremento di sopravvivenza pari a 1,5 mesi in più all’anno, quando nel decennio precedente, 1999-2009, fu pari a 2,5.

Gli uomini presentano più ampi margini di guadagno in termini di sopravvivenza. Margini, peraltro, che finora hanno di fatto consentito loro di recuperare parte dello svantaggio sulle donne, oggi pari a 4,3 anni di speranza di vita in meno, contro i circa 7 di 40 anni fa. Tuttavia, anche per gli uomini i ritmi di crescita appaiono in calo; a fronte di un guadagno medio annuale di circa 3,5 mesi nel decennio 1999-2009, si è passati a 2,5 mesi all’anno nel decennio 2009-2019.

Si vive più a lungo nel Nord-est. Il rallentamento dei ritmi di crescita della speranza di vita non pregiudica comunque l’evidenza che vede l’Italia tra i Paesi a elevata longevità, in grado di segnare ogni anno nuovi record di sopravvivenza, quali quelli riscontrati nel 2019.

Particolarmente felice, sotto questo punto di vista, è la situazione che emerge un po’ in tutto il Nordest, dove si riscontrano condizioni di sopravvivenza assai favorevoli. Gli uomini residenti in questa ripartizione geografica possono infatti contare su una speranza di vita alla nascita pari a 81,6 anni, le donne pari a 85,9. Il Mezzogiorno, al contrario, gode di condizioni di sopravvivenza meno favorevoli, in virtù di una speranza di vita alla nascita di 80,2 anni tra gli uomini e di 84,5 tra le donne. Intermedi e ravvicinati sono invece i livelli di sopravvivenza nel Nord-ovest e nel Centro, dove risulta identica la speranza di vita alla nascita per le donne (85,5) mentre leggermente favoriti risultano i residenti nel Centro per quanto concerne gli uomini (81,3 contro 81,1).

Il primato regionale tra gli uomini compete alla Provincia di Trento (82,2 anni), seguono Umbria (81,9), Marche (81,8) e Provincia di Bolzano (81,8). Trento rappresenta l’area più favorevole per la sopravvivenza anche per le donne, grazie a una vita media di 86,6 anni, dato che costituisce peraltro il più alto livello di speranza di vita alla nascita mai toccato nella storia del Paese per una singola regione.

Le migrazioni interne uno dei motivi dello spopolamento nel Mezzogiorno. Nel Mezzogiorno il bilancio demografico complessivo presenta per l’ennesima volta (dal 2014) segno negativo (-129mila residenti, pari al -6,3‰ abitanti). A tale situazione concorrono sia le poste demografiche relative alla dinamica naturale (-2,9‰), sia soprattutto quelle relative alle migrazioni interne (-3,8‰). Si conta, infatti, che nel corso del 2019 circa 418mila individui abbiano lasciato un Comune del Mezzogiorno quale luogo di residenza per trasferirsi in un altro Comune italiano (eventualmente anche dello stesso Mezzogiorno, ma in ogni caso diverso da quello di origine), mentre circa 341mila sono gli individui che hanno eletto un Comune del Mezzogiorno quale luogo di dimora abituale (eventualmente anche provenienti da altro Comune dello stesso Mezzogiorno). Tale dinamica sfavorevole ha generato, quindi, un saldo negativo pari a -77mila unità per il complesso della ripartizione, risultando peraltro accresciuto rispetto al -73mila occorso nel 2018.

La questione accomuna tutte le regioni del Mezzogiorno – singolarmente prese tutte presentano saldi migratori interni negativi – pur se all’interno di un contesto eterogeneo nel quale i margini di grandezza variano dal -1‰ mille della Sardegna al -5,8 per mille della Calabria. Le regioni del Nord, dove globalmente si riscontra un tasso del +2,5 per mille, sono quelle a maggiore capacità attrattiva, rispetto a quelle di un Centro che nel complesso registra un +0,6 per mille. Sotto questo profilo, emergono flussi migratori netti molto positivi tanto nella zona nord-occidentale (Lombardia, +3‰), quanto soprattutto in quella nord-orientale e segnatamente nelle Province di Trento (+3,9‰) e Bolzano (+3,4‰) e in Emilia-Romagna (+3,7‰).

55 milioni i cittadini italiani residenti, 5,4 milioni gli stranieri. Al 1° gennaio 2020 gli stranieri residenti ammontano a 5 milioni 382mila, in crescita di 123mila unità (+2,3%) rispetto a un anno prima. Nel conteggio concorrono 220mila unità in più per effetto delle migrazioni con l’estero, 55mila unità in più per effetto della dinamica naturale (63mila nati stranieri contro appena 8mila decessi), 46mila unità in meno per effetto delle revisioni anagrafiche e, infine, 109mila unità in meno per acquisizioni della cittadinanza italiana.

La popolazione residente straniera costituisce dunque l’8,9% del totale (era l’8,7% un anno prima). Le

regioni dove più forte è l’incidenza della popolazione straniera sul totale dei residenti sono l’Emilia-Romagna (12,6%), la Lombardia (12,1%) e il Lazio (11,7%). Il peso percentuale della popolazione straniera risulta relativamente più basso nel Mezzogiorno (4,4% contro l’11% del Centro-nord); il minimo è in Puglia e Sardegna (3,5%). Peraltro, fatto pari a 100 il numero di residenti stranieri sul territorio nazionale, 58 risiedono nel Nord (di cui 23 nella sola Lombardia), 25 nel Centro e appena 17 nel Mezzogiorno.

Il ricambio demografico debole determina effetti soprattutto sulla popolazione di cittadinanza italiana, il cui ammontare continua a decrescere di anno in anno. In complesso gli italiani residenti ammontano a 54 milioni 935mila al 1° gennaio 2020, con una riduzione di circa 240mila unità (-4,3 ‰) sull’anno precedente. Per i cittadini italiani risultano ampiamente negative le principali poste demografiche: il saldo naturale (-267mila unità), il saldo migratorio netto con l’estero (-77mila) e il saldo per gli aggiustamenti di carattere anagrafico (-2mila). Parziale compensazione di tali diminuzioni deriva dalle sole acquisizioni della cittadinanza italiana (+109mila).

Con la sola eccezione del Trentino-Alto Adige, tutte le regioni sono interessate da un processo di riduzione della popolazione di cittadinanza italiana. La questione colpisce particolarmente regioni demograficamente depresse o a più forte invecchiamento. Come ad esempio la Basilicata (-11,3 ‰), il Molise (-10,4‰) e la Calabria (-9,1‰) nel Mezzogiorno, ma anche regioni nel Nord del Paese come la Liguria (-8,7‰).

Mezzogiorno più giovane ma a grandi passi verso un profilo per età più anziano. Come conseguenza delle dinamiche dell’ultimo secolo, la struttura per età della popolazione prosegue il suo lento ma costante scivolamento verso le età più anziane. In termini assoluti di confronto ciò si deve al fatto che la vita media si è fortunatamente allungata. Prendendo ad esempio in esame quanto accaduto solo negli ultimi dieci anni (benché le origini del processo, come detto, siano assai più remote) gli individui con 65 anni di età e oltre sono passati da 12,1 a 13,9 milioni, conseguendo pertanto una crescita di 1,8 milioni. Visto in termini relativi, e in tale analisi sono da considerare però anche gli effetti di un regime di fecondità decrescente, ciò porta gli ultrasessantacinquenni a rappresentare il 23,1% della popolazione totale al 1° gennaio 2020. Il 63,9% della popolazione, d’altro canto, ha età compresa tra 15 e 64 anni mentre solo il 13% ha meno di 15 anni.

Rispetto a 10 anni orsono le distanze tra le classi di età più rappresentative si sono ulteriormente allungate. La classe più anziana ha cumulato 2,7 punti percentuali in più rispetto al 2010 mentre, al contrario, le persone in condizione attiva o formativa sono rispettivamente scese di 1,6 e 1,1 punti percentuali.

Ancora nel 2020, il Mezzogiorno presenta una popolazione più giovane rispetto al Centro-nord. Ad esempio, la popolazione ultrasessantacinquenne incide per il 21,6% del totale, quando nel Nord e nel Centro risulta rispettivamente pari al 23,9% e al 23,8%. Così come, prendendo a riferimento un indicatore sintetico quale l’età media della popolazione, si può rilevare come per il Mezzogiorno (44,6 anni) risulti di oltre un anno e mezzo inferiore rispetto a quella del Centro-nord (46,2 anni).

Ciononostante, si deve anche sottolineare che le distanze sono in progressiva riduzione. Nel 2010, infatti, il Mezzogiorno deteneva un’età media di oltre due anni e mezzo inferiore; il segno evidente che la recente dinamica demografica di questa ripartizione – bassa natalità, relativo minor impatto delle migrazioni con l’estero, fuga dei giovani verso il Centro-nord – sta alimentando oltre misura il processo di invecchiamento.

Culle vuote. Gli italiani continuano a diminuire: al primo gennaio di quest’anno i residenti ammontano a 60 milioni 317 mila, 116 mila in meno rispetto allo scorso anno. Il calo è dovuto sostanzialmente al Mezzogiorno e al Centro, mentre nel Nord Italia crescono con un buon ritmo Bolzano (5‰)), Trento (3,6 ‰), la Lombardia e l’Emilia Romagna. Tra le Regioni del Centro quella con il tasso inferiore di perdita è la Toscana. Il calo della popolazione è determinato dalle nascite, decisamente inferiori ai decessi: sono rispettivamente 435 mila contro 647 mila. Si tratta, sottolinea l’Istat, “del più basso livello di ricambio naturale mai espresso dal Paese dal 1918”. La differenza è infatti di 212 mila unità: per ogni 100 persone che muoiono in Italia dunque ne nascono solo 67, dieci anni fa erano 96.

            La popolazione residente in Italia è in calo per il quinto anno consecutivo, nonostante il saldo migratorio con l’estero risulti ancora positivo, nel 2019 per 143 mila unità (è la differenza tra 307 mila nuove iscrizioni e 164 mila cancellazioni). Calano gli ingressi di stranieri in Italia: l’anno scorso sono 25 mila in meno rispetto al 2018 e 34 mila in meno sul 2017. La quota di popolazione straniera sul totale è dell’8,9%.

            Nel flusso con l’estero il problema tuttavia non è rappresentato dalla parte che riguarda gli stranieri, ma gli italiani. Quelli che vanno a vivere all’estero sono superiori a quelli che rientrano: il saldo migratorio degli italiani è negativo per 77 mila unità, mentre quello degli stranieri è positivo per 220 mila unità

6 tabelle                           www.istat.it/it/files//2020/02/Indicatori-demografici_2019.pdf

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DIVORZIO

La notorietà garantita dal marito non basta per consentire all’ex moglie di conservarne il cognome

Corte di Cassazione, prima Sezione civile, sentenza n. 3454, 12 febbraio 2020

https://sentenze.laleggepertutti.it/sentenza/cassazione-civile-n-3454-del-12-02-2020

Lui avvocato di spicco e anche politico di rilievo, lei ex moglie che, amareggiata per la chiusura del matrimonio, punta almeno a conservare la notorietà garantitale dal cognome del marito, cognome che, spiega, per anni l’ha identificata nel contesto sociale.

A respingere la richiesta è la Cassazione, ritenendo mancanti i presupposti concreti per riconoscere alla donna il diritto di identificarsi ancora col cognome dell’oramai ex coniuge. Decisive due considerazioni: in primo luogo, «non vi è più, come in passato, la perdita del cognome personale della donna – che, pertanto, continua quindi a identificarla –, ma solo l’aggiunta del cognome maritale»; in secondo luogo, non si può escludere che «il perdurante uso del cognome maritale possa costituire un pregiudizio per il coniuge che non vi acconsente e che intenda ricreare un nuovo nucleo familiare che sia riconoscibile, come legame familiare attuale, anche nei rapporti sociali e in quelli rilevanti giuridicamente»

Identità. Ufficializzata la «cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario» tra Tizia e Caio, resta un nodo da sciogliere: l’uso del cognome del marito da parte della oramai ex moglie. Su questo tasto batte con insistenza la donna: le risposte dei Giudici sono però negative. Prima in Tribunale e poi in Appello, difatti, viene respinta la domanda di Tizia finalizzata alla conservazione del diritto ad utilizzare il cognome maritale.

Questione chiusa? Assolutamente no. Ecco spiegato il ricorso in Cassazione proposto dall’avvocato della donna, ricorso centrato sull’interesse dell’ex moglie (e anche della figlia) a conservare il cognome maritale. Per chiarire la posizione della propria cliente il legale si sofferma sui «profili di identità sociale e di vita di relazione». Più precisamente, egli spiega che «la donna, pur essendosi sposata a 38 anni, si era costruita nell’ambiente sociale di riferimento una identità personale e sociale esclusivamente» col cognome del marito, e difatti «da ventitré anni (sette di fidanzamento e sedici di matrimonio) era così conosciuta nel suo attuale ambiente sociale ed amicale».

Per quanto concerne poi la posizione della figlia di Tizia, il legale ne sostiene «l’interesse a che la madre continui a utilizzare il cognome maritale», rimarcando «il disagio ed il pregiudizio che la contraria determinazione avrebbe potuto provocarle nell’ambiente scolastico in cui la madre aveva sempre speso il cognome maritale».

Notorietà. La visione proposta dall’avvocato della donna non convince però i Giudici della Cassazione. Consequenziale è la conferma della decisione della pronuncia d’Appello. Ciò significa che l’ex moglie non può continuare ad utilizzare impunemente il cognome di Caio.

I magistrati del ‘Palazzaccio’ richiamano il Codice Civile, ricordando che esso «prevede che la moglie aggiunga al proprio cognome quello del marito e lo conservi durante lo stato vedovile, no a che passi a nuove nozze», e aggiungono che tale diritto-dovere «consegue esclusivamente al rapporto di coniugio». In sostanza, quindi, «non vi è più, come avveniva in passato, la perdita del cognome personale della donna – che, pertanto, continua quindi ad individuarla –, ma solo l’aggiunta del cognome maritale» e «questo effetto del matrimonio è circoscritto temporalmente alla perduranza del rapporto di coniugio».

Logico dedurre che «la possibilità di consentire con effetti di carattere giuridico-formali la conservazione del cognome del marito, accanto al proprio, dopo il divorzio, è da considerarsi una ipotesi straordinaria» che non può essere giustificata, però, sottolineano i giudici della Cassazione, «con il mero desiderio di conservare come tratto identitario il riferimento a una relazione familiare ormai chiusa quanto alla sua rilevanza giuridica». Peraltro, «non può escludersi che il perdurante uso del cognome maritale possa costituire un pregiudizio per il coniuge che non vi acconsente e che intenda ricreare un nuovo nucleo familiare che sia riconoscibile, come legame familiare attuale, anche nei rapporti sociali e in quelli rilevanti giuridicamente».

In sostanza, solo circostanze eccezionali possono consentire l’autorizzazione all’utilizzo del cognome del marito una volta chiuso il matrimonio, e in questa vicenda, osservano i Giudici, «nessun interesse davvero meritevole di tutela è stato allegato dalla donna al mantenimento del cognome maritale unitamente al proprio», essendosi ella limitata a puntare sulla «conservazione della notorietà derivatale dall’ex marito nelle frequentazioni sociali», ossia «tra quelle stesse persone che non possono ignorare le vicende della coppia».

Allargando l’orizzonte, poi, si può affermare, secondo i giudici, che «l’uso consuetudinario del cognome maritale – comune a tutte le donne divorziate nel corso del coniugio – non può assumere maggior merito per la notorietà dell’uomo con cui la donna è stata sposata, perché l’interesse a ciò sotteso sarebbe senza dubbio effimero», e in questo caso la donna «nulla allega che possa far ritenere la sua situazione straordinaria, limitandosi a rilevare l’uso del cognome maritale nelle relazioni sociali acquisite».

Peraltro, non si può ignorare che Tizia «si era sposata a 38 anni», quando cioè «aveva già acquisito una propria identità, col suo cognome, anche al di fuori della stretta cerchia familiare», e che «il matrimonio è durato dodici anni e che la convivenza matrimoniale è durata ancora meno, per la crisi coniugale intervenuta dopo pochi anni» dalla celebrazione delle nozze.

Per chiudere, infine, spazio anche alla posizione della figlia. Anche su questo fronte non vi è alcuno specifico e straordinario interesse della ragazza a vedere la madre utilizzare il cognome dell’ex marito, poiché «la sua condizione è del tutto uguale a quella di figli di coppie divorziate e sta ai genitori sostenerla nel suo paventato possibile disagio».

Attilio Ievolella           Il familiarista              14 febbraio 2020

http://ilfamiliarista.it/articoli/news/la-notoriet-garantita-dal-marito-non-basta-consentire-all-ex-moglie-di-conservarne-il?utm_source=MAILUP&utm_medium=newsletter&utm_campaign=FAM_standard_19_Febbraio_2020

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DONNE NELLA CHIESA

Ouellet: la Chiesa è donna, lo dice la teologia ma ci sono pregiudizi da superare

Lectio magistralis del cardinale Marc Ouellet, prefetto delle Congregazione per i Vescovi, all’Istituto di Studi superiori della donna (Issd), presso il Pontificio Ateneo Regina Apostolorum. Intervista al porporato che invita a superare gli ostacoli che si frappongono alla valorizzazione piena delle donne

             “Si riconosce oggi senza difficoltà come sia necessario un più concreto riconoscimento teologico e pratico della donna nella Chiesa e nella società”. Ha esordito con parole chiare e decise il cardinale Marc Ouellet, nella sua Lectio Magistralis, intitolata “La Chiesa è donna”, in apertura oggi della seconda parte del Corso di specializzazione “Donne e Chiesa”, inaugurato quest’anno presso l’Istituto di Studi superiori della donna (Issd), nel Pontificio Ateneo Regina Apostolorum.

Rimuovere ostacoli alla valorizzazione della donna. Un’iniziativa originale e provvidenziale, ha sottolineato il porporato che ha svolto una dotta relazione su “La donna alla luce della Trinità e di Maria-Chiesa”, concentrandosi sulla ricerca teologica, “che deve fare la sua parte su quest’argomento, al fine – ha detto – di rimuovere ostacoli alla promozione della donna e di valorizzarne la dignità a partire dalle risorse della rivelazione cristiana”.

Nuovo diploma accademico su “Donne e Chiesa“. Il Corso, suddiviso in due settimane, a settembre e a febbraio, con 100 ore di lezioni, conta una trentina di studenti, di una decina di Paesi, in massima parte donne laiche e religiose, assenti i sacerdoti, “che speriamo si facciano avanti per il prossimo anno”, ha sottolineato Marta Rodriguez, direttrice dell’Issd, evidenziando che il progetto ha coinvolto 46 docenti di 12 Pontificie Università e di altre realtà ecclesiali presenti sul territorio con particolari iniziative.

Il progetto di Dio sull’intera umanità. Non ha voluto, il cardinale Ouellet nel suo intervento, entrare in merito alla “disputata quæstio dell’ordinazione sacerdotale riservata agli uomini” che “ha fatto scorrere – ha constatato – grande quantità d’inchiostro e continua a sollevare le critiche dei sostenitori di una concezione assolutamente paritaria dell’uguaglianza tra l’uomo e la donna dal punto di vista dei ruoli che sono loro assegnati nei diversi ambiti culturali”. “Non discuterò in questa sede – ha dunque premesso – della precisa questione del ministero ordinato per la donna, allo scopo di limitarmi al fondamento teologico del ‘mistero’ della donna alla luce della Trinità e del rapporto nuziale di Cristo e della Chiesa”, inquadrato “in una teologia dell’Alleanza che abbracci l’intero progetto di Dio sull’umanità e il cosmo”.

Il rischio di proiettare la sessualità umana in Dio. Il cardinale Ouellet ha quindi messo in guardia dal “non cadere nel grossolano antropomorfismo frequente in certe religioni, consistente nel proiettare in Dio la sessualità umana”. “Il dominio della sessualità, nonostante i progressi della conoscenza scientifica, appare infatti – ha osservato – più che mai confuso e rimane, più o meno tacito, il tabù di porlo in rapporto con Dio, se non si tratta del punto di vista morale. Ragione di più per rimettere in cantiere le scottanti domande di attualità: la donna, la differenza sessuale, la famiglia, la fecondità, l’avvenire del Cristianesimo, in un mondo sempre più secolarizzato e antropologicamente incerto e confuso. La Chiesa cattolica – ha ricordato – se ne occupa intensamente dal Concilio Vaticano II, consapevole di avere dei ritardi da colmare, ma anche di servire un Vangelo profetico destinato al mondo”.

I pregiudizi storici che negano l’eguale dignità della donna. “La Chiesa è donna” è infatti ancora oggi un’affermazione difficile da capire, perché vi sono dei pregiudizi da superare, come conferma il cardinale Marc Ouellet, ai microfoni di Vatican News. Ascolta l’intervista al cardinale Marc Ouellet

https://media.vaticannews.va/media/audio/s1/2020/02/10/12/135474745_F135474745.mp3

Ci sono pregiudizi storici, cioè la donna è stata mantenuta per secoli in secondo piano, non ha avuto accesso all’educazione superiore, in tanti ambienti, e soltanto negli ultimi 50 anni, in un certo senso, stiamo facendo progressi globali verso l’uguaglianza, almeno per quanto riguarda l’accesso all’istruzione; ma manca ancora tanto per un’integrazione della donna: socialmente, nell’ambito del lavoro, anche nei servizi ecclesiali proprio per questa eredità storica, per questo sfruttamento della donna che c’è stato e che bisogna correggere perché così non possiamo avanti. Se vogliamo migliorare la società, dobbiamo mettere a frutto le qualità della donna che hanno anche questo fondamento divino e di grazia, in un modo più concreto. Questo, Papa Francesco l’ha sottolineato, come già aveva fatto molto Giovanni Paolo II: hanno cercato personalmente di fare una riflessione teologica che mostri il fondamento della dignità della donna, anche per superare i pregiudizi teologici che esistono, di cui non siamo consapevoli, e per questo bisogna fare una riflessione profonda che libera gli spiriti, la volontà di agire e di arrivare a decisioni più concrete, ma a partire da una visione rinnovata, non solo per la pressione culturale. C’è infatti un sentimento molto diffuso secondo cui la donna deve ancora essere ‘scoperta’, per così dire, nei suoi valori per poter essere integrata. Quindi, la ricerca è in corso e io sono molto contento di vedere che a livello universitario si sta facendo un lavoro interdisciplinare. Ovviamente, il tema è la donna perché la Chiesa è donna.

Quali sono gli aspetti teologici che supportano la centralità donna?

Io ho sottolineato nella mia relazione il ruolo dello Spirito Santo nella Santissima Trinità e anche nell’economia della Salvezza, la sua vicinanza alla Vergine Maria e la sua azione materna e anche nuziale. Tutto questo mi sembra gettare una luce fondamentale per capire la genuinità del modo di essere della donna che, in certo modo, se è subordinato o se è secondo, non è per niente ‘secondario’ o non deve essere ‘sub-ordinato’ in un senso di oppressione e di discriminazione ma, al contrario, dev’essere esaltato per sfruttare i doni propri della donna. Infatti, in un certo femminismo c’è una mascolinizzazione della donna: non raccontiamo storie! C’è il modello maschile secondo il quale la donna vuole eguagliarsi: questa è una strada sbagliata. Bisogna promuovere la donna per la donna, e non farne un uomo: questa è una strada sbagliata. Bisogna invece veramente integrarla meglio anche nelle situazioni decisionali, in virtù dei suoi carismi. Ci sono donne che hanno capacità di formazione, di organizzazione, di decisione e discernimento straordinarie! Io penso alla formazione sacerdotale, per esempio, dove abbiamo bisogno – nelle équipe di formatori – della presenza di donne che aiutino a fare i discernimenti. Ho elencato i campi nei quali le donne eccellono, anche nella teologia, nella filosofia, nell’arte, nel servizio, sociale di cui abbiamo tanti esempi in particolare attraverso la testimonianza delle religiose.

            E’ importante che questi fondamenti teologici sulla Chiesa che è donna, siano più diffusi ed è importante – come lei ha sottolineato in chiusura della sua relazione –  un investimento forte da parte della Chiesa e anche delle istituzioni civili, perché questa percezione del ruolo insostituibile della donna sia tradotto in azioni.

La politica dovrebbe funzionare diversamente, con la presenza delle donne, perché la capacità di mediazione, di riconciliazione, di pacificazione sono qualità molto più evidenti nella donna. E in questo mondo, che vediamo frantumarsi in tanti modi, credo che non possiamo trovare soluzioni senza un investimento di energie delle donne per portare avanti le società e anche la vita politica, anche a livello internazionale. Abbiamo alcuni esempi, ma c’è tanto ancora da fare!

Roberta Gisotti – Città del Vaticano  Vatican news  10 febbraio 2020

www.vaticannews.va/it/chiesa/news/2020-02/chiesa-donna-lo-dice-la-teologia-ma-ci-sono-pregiudizi.html?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=NewsletterVN-IT

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FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI

Incontro con il Presidente della Repubblica

Martedì 11 febbraio 2020 il Forum delle Associazioni Familiari ha incontrato il Presidente della Repubblica. Di seguito riportiamo il testo integrale che è stato letto dal suo presidente Gigi De Palo.

   Gentile Presidente,

Mi lasci dire che è un vero piacere per tutti noi, dal nostro punto di vista personale, come anche da quello delle associazioni che rappresentiamo, essere qui oggi. Essere ricevuti da Lei, che rappresenta l’Unità Nazionale, è motivo di orgoglio per tutte le famiglie italiane. Qui in questa sala, questa mattina, ci sono donne e uomini di buona volontà che ogni santo giorno si spendono e si danno in pasto per il Bene Comune.

Ci sono una rappresentanza di madri e padri coraggiosi che, nonostante le difficoltà, hanno scelto, non solo di mettere al mondo dei figli, ma anche di farsi carico di quei bambini abbandonati aprendo le porte della loro famiglia all’affido o all’adozione. Ci sono presidenti e delegati delle più grandi associazioni italiane che hanno fatto e fanno la storia del Nostro Paese. Associazioni che, mentre noi siamo qui a parlare, silenziosamente risolvono i problemi di centinaia di migliaia di famiglie in difficoltà. Abbracciano e cercano di offrire risposte concrete a quelle famiglie immigrate che hanno lasciato il loro Paese perché perseguitate per la loro religione.

Sono quelle che io definisco le “cellule staminali”, rigorosamente adulte, che silenziosamente, senza clamore e quotidianamente, lavorano per la coesione sociale di questa nostra Italia così bella, ma così in difficoltà in questo periodo. Quella sussidiarietà spontanea che non viene mai valorizzata abbastanza e che produce un risparmio economico e una ricchezza sociale difficili da quantificare.

Il 30 novembre 1995, 25 anni fa, erano appena 25 le associazioni che andarono dal notaio per far nascere il Forum. Oggi sono diventate 582, tra nazionali e locali, e continuano ad aumentare.

Presidente, noi siamo qui per chiederLe di aiutarci a portare sempre più alla ribalta il problema della natalità che, ormai, è diventato un principio negoziabile: non si può accettare il fatto che una famiglia, pur volendo un figlio abbia paura a metterlo al mondo. Fare un figlio non può essere la seconda causa di povertà in un Paese a nascita zero.

Presidente, le famiglie italiane sono stanche di essere abbandonate pur portando sulle loro spalle il Welfare del Paese. I giovani italiani sono stanchi di dover andare all’estero a realizzare i loro sogni, non solo lavorativi, ma anche familiari. Le donne italiane sono stanche di dover nascondere il pancione, perché altrimenti rischiano il licenziamento e quindi di perdere il lavoro.

Sono ormai quarant’anni che in Italia si parla di famiglia senza che nessuno abbia fatto realmente qualcosa. Perché? Perché la famiglia, nonostante tutto, regge. Perché non si può scioperare in famiglia. Non si può smettere di dare da mangiare a un figlio, di farsi carico di una nonna malata, di accompagnare dal dottore il proprio bambino disabile.

Presidente, cosa possiamo fare? In Italia, da troppi anni, viviamo in una condizione di discriminazione fiscale, dove le famiglie non riescono ad arrivare alla fine del mese. Oggi siamo qui, innanzi la Più Alta Carica dello Stato, a chiedere che la Costituzione venga semplicemente attuata: crediamo in un sistema tributario che si basi su autentici criteri di progressività, quindi auspichiamo che l’articolo 53 della Costituzione trovi vera e piena applicazione, perché una famiglia composta da cinque persone non può avere la medesima pressione fiscale di una composta da tre. Aggiungo: uno Stato che conferisce più spesa pubblica in pensioni e sempre meno nell’aiuto alla genitorialità è uno Stato che prende una chiara posizione a discapito del suo stesso futuro.

Il tempo della famiglia sembra non arrivare mai. E le famiglie non chiedono elemosina. Le famiglie vogliono giustizia. Non vogliono aiuti, ma chiedono di essere messe nelle condizioni di aiutare questo Paese dove non nascono più bambini.

Per questo, nei mesi scorsi abbiamo lanciato un Patto per la Natalità che mettesse attorno ad un tavolo tutte le forze politiche, mediatiche, sindacali e imprenditoriali affinché si ragionasse seriamente su come far ripartire le nascite. La famiglia non è un problema, ma la soluzione dei problemi. Ci aiuti anche lei in questa missione che sembra più grande di noi.

Dal canto suo, infatti, la famiglia ha sempre conciliato le opinioni di tutti e unito il Paese, fin dal dibattito in Assemblea Costituente: penso alla dialettica tra Comunisti e Democristiani, i quali sul tema “famiglia” arrivarono ad un punto comune, di sintesi; penso anche a ciò che accade il giorno dopo ogni tornata elettorale: le famiglie, a prescindere dalle percentuali dei consensi ricevuti da una parte o dall’altra, portano comunque avanti una missione alla quale non può attribuirsi alcun colore politico. È la famiglia il luogo dove si impara che le differenze sono ricchezza e non presupposto di chiusura.

Tra le sfide della famiglia c’è sicuramente anche quella educativa, che attraversa la scuola quale primario luogo civico di incontro per le famiglie e per i ragazzi. Noi crediamo fortemente nel fatto che occorra ricostruire una “stima educativa” tra genitori, docenti e dirigenti. L’alleanza educativa è possibile, noi vi lavoriamo costruendo percorsi. L’educazione è un bene pubblico e un investimento per tutta la comunità civile. Occorre maggiore consapevolezza: non esportiamo solo cervelli, ma anche pancioni. Le nuove generazioni vanno all’estero e lì trovano quelle condizioni necessarie per metter su famiglia. Noi genitori non vogliamo rassegnarci a vedere 5 figli su Skype.

Presidente, in conclusione, La invito già da oggi agli Stati Generali della Natalità, che terremo il 15 maggio di quest’anno 2020 a Roma. Riuniremo tutti i pezzi frammentati di questo Paese e, con il nostro stile sempre scevro da qualunque moto di polemica e ricco di proposta, proveremo a gettare solide basi per il futuro della Nazione.

Siamo convinti che alla famiglia come “apparato” dello Stato viene affidata la missione più bella di tutte: quella di dare alla luce ed educare i cittadini di domani. Abbiamo voglia di farlo e vogliamo farlo continuando a pensare di avere le Istituzioni dalla nostra parte. Sono certo Lei questo, con le sue parole, potrà confermarcelo.               Grazie

 

L’Italia dia finalmente valore a ogni figlio

Gentile direttore,

l’incontro che il Forum delle associazioni familiari ha avuto al Quirinale con il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, è forse il più significativo di una serie di appuntamenti nei quali siamo stati impegnati a sollecitare le istituzioni affinché il problema denatalità potesse diventare non un tema, ma “il” tema per l’opinione pubblica e le agende dei decisori.

Oltre all’incontro di martedì 11 febbraio con la prima carica dello Stato, c’è stato quello con la presidente Maria Elisabetta Alberti Casellati alcune settimane fa, in un evento sull’«inverno demografico» in Senato; ho personalmente incontrato i leader politici dei partiti, nessuno escluso. Tutti si sono detti preoccupati e pronti – almeno a parole – a fare qualcosa.

Tutte le forze politiche hanno aderito al “Patto per la natalità”, da noi lanciato nel gennaio 2018; ora i partiti sono d’accordo sull’assegno unico per figlio che noi per primi abbiamo proposto, alcuni mesi fa. Dopo anni di paziente lavoro di pungolo del nostro Forum, finalmente si parla di natalità.

Che cosa manca allora? C’è da mettere le risorse necessarie nel piano famiglia che il Governo sta varando. Il presidente Conte e il ministro Gualtieri devono dare un segnale sulle concrete priorità di esecutivo e Mef. L’analisi è chiara da vent’anni: è tempo di sintesi. Tutti i grandi giornali, a cominciare dal suo che lo fa da sempre, hanno dato visibilità a questo tema – e ve ne siamo grati – con editoriali, interventi e pagine. D’altronde, il dato del declino demografico è incontrovertibile.

Fra mille anni, gli studiosi guarderanno a quest’epoca chiedendosi com’è possibile che uno dei Paesi più ricchi e culturalmente dotati al mondo si sia lasciato morire, lentamente, fino all’estinzione. Il Forum Famiglie, come sempre, sarà megafono dei nuclei familiari che con i loro figli contribuiscono in modo decisivo – come ci ha ricordato Mattarella – all’esistenza stessa dello Stato. Abbiamo organizzato il 15 maggio prossimo 2020 a Roma, nella Giornata internazionale della Famiglia, gli Stati Generali della Natalità con l’obiettivo di mettere le principali realtà nazionali attorno a un tavolo e con esse iniziare a progettare un domani demografico diverso.

La politica, però, ha il dovere di anticipare le tendenze. Ecco perché, da subito, è importante dare a ogni figlio un valore indipendente dal reddito: un nuovo nato non è una “bega” dei suoi genitori, ma anche un “bene comune” che contribuirà a pensioni, Pil, sviluppo socio-culturale del Paese. Non vogliamo rassegnarci a vedere i nostri figli su Skype, mentre vanno all’estero a realizzare i loro sogni lavorativi e familiari, delusi da un’Italia sorda alle loro aspirazioni: un conto è emigrare per scelta, un altro farlo per necessità. Grazie, fin d’ora, per l’attenzione che la sua testata continuerà a dare alle nostre sollecitazioni e, ne siamo certi, anche ai prossimi Stati Generali della Natalità.

Gigi De Palo, Presidente nazionale Forum delle associazioni familiari   Avvenire 13 febbraio 2020

www.avvenire.it/opinioni/pagine/l-italia-dia-finalmente-valore-a-ogni-figlio

                                         

“Il Governo metta subito le risorse necessarie nel piano famiglia”

 “C’è da mettere le risorse necessarie nel piano famiglia che il Governo sta varando. Il presidente Conte e il ministro Gualtieri devono dare un segnale sulle concrete priorità di esecutivo e MEF”: è uno dei passaggi della lettera aperta inviata dal presidente nazionale del Forum delle associazioni familiari, Gigi De Palo, ai direttori dei principali quotidiani italiani, dopo l’incontro di ieri al Quirinale con il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, dal quale sono scaturite, in risposta alle sollecitazioni del presidente del Forum, le parole forti del Capo dello Stato sul tema del destino demografico del Paese, proprio nel giorno in cui l’Istat confermava il dato peggiore nel rapporto nascite-decessi in Italia dalla fine della Prima Guerra Mondiale e certificava il declino demografico nazionale.

            “Oltre all’incontro di ieri con la prima carica dello Stato, c’è stato quello con il presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati alcune settimane fa, in un evento sull’inverno demografico in Senato; ho personalmente incontrato i leader politici dei partiti, nessuno escluso”, sottolinea De Palo, che aggiunge: “Tutte le forze politiche hanno aderito al ‘Patto per la natalità’, da noi lanciato nel gennaio 2018; ora i partiti sono d’accordo sull’assegno unico per figlio che noi per primi abbiamo proposto, alcuni mesi fa”. Anche per fare sintesi dopo decenni di analisi, il Forum Famiglie ha convocato il prossimo 15 maggio 2020, Giornata internazionale della famiglia, “gli Stati Generali della Natalità con l’obiettivo di mettere le principali realtà nazionali attorno a un tavolo e con esse iniziare a progettare un domani demografico diverso”, scrive De Palo. Che conclude: “Non vogliamo rassegnarci a vedere i nostri figli su Skype, mentre vanno all’estero a realizzare i loro sogni lavorativi e familiari, delusi da un’Italia sorda alle loro aspirazioni”.

Lettera ai Direttori dei quotidiani                 13 febbraio 2020

www.forumfamiglie.org/2020/02/13/famiglia-de-palo-forum-famiglie-governo-metta-subito-le-risorse-necessarie-nel-piano-famiglia

 

Forum famiglie. #Dònàti: un «social bombing» per ridare slancio ad affido e adozione

Le associazioni familiari lanciano l’iniziativa #Dònàti per ribadire il valore etico, personale e sociale dell’accoglienza solidale e disinteressata

Affido familiare uguale affari illeciti e manovre oscure? Il Forum delle associazioni familiari non ci sta e rilancia il progetto nazionale #Dònàti per ribadire che l’accoglienza di un minore fuori famiglia è gesto generoso, solidale, di profondo significato etico, personale e sociale.

Sabato 15 febbraio 2020 arriva su tutti i social una campagna per ristabilire in modo equilibrato i termini della questione. Affido e adozione non sono prassi da guardare con sospetto, ma gesti tanto impegnativi quanto meravigliosi, e sarebbe sbagliato vedere nelle pieghe di queste realtà, pur complicate e appesantite nel nostro Paese da lunghe attese e obblighi burocratici gravosi, uno strumento negativo. Ma occorre spiegare e rispiegare che è proprio vero il contrario.

#Dònàti, con la possibilità di far cadere l’accento su due diverse consonanti, vuol dire proprio questo. Un figlio è sempre e comunque un dono da accogliere con gioia e responsabilità, Ma anche i genitori che si donano a lui o a lei con amore e apertura, rappresentano una risorsa educativa e materiale importantissima per un bambino costretto a vivere fuori dalla propria famiglia d’origine.

Cantare la bellezza dell’affido e dell’adozione in tutte le sue tante declinazioni non vuol dire dimenticare o minimizzare quanto avvenuto nella Val d’Enza. Nessuno come le associazioni che danno voce ai genitori adottivi e affidatari desidera che questo brutto capitolo si concluda con condanne esemplari, se la giustizia confermerà i pesantissimi indizi a carico delle persone coinvolte nell’indagine. E la speranza è che tutto avvenga senza inutili ritardi e senza lasciare ombre di sorta. Compresa la vergognosa confusione sparsa con una strumentalizzazione politica tanto più inaccettabile perché orchestrata sulla sorte dei bambini e sul dolore delle famiglie.

            Ma gli affidi illeciti di Reggio Emilia non c’entrano nulla con l’impegno silenzioso e positivo di migliaia di genitori che aprono generosamente le porte di casa – e soprattutto quelle del cuore – per offrire a un bambino a una bambina in difficoltà la possibilità di crescere serenamente, con tutti gli aiuti necessari.

Video  youtu.be/L6ZJZ6RKzK4

Domani, questa verità verranno affermate con brevi videomessaggi di figure istituzionali – tra gli altri il ministro della famiglia Elena Bonetti e il direttore dell’Ufficio famiglia Cei, padre Marco Vianelli – e del mondo dello spettacolo e dello sport, nonché di rappresentanti di associazioni nazionali che si occupano di affido o adozione, famiglie che racconteranno la loro storia, ma anche volontari che ogni giorno si spendono in Italia per realizzare il sogno di un minore abbandonato di trovare una mamma e un papà che possano restituirgli una vita in famiglia: sono attese tantissime testimonianze e contributi di sostegno alla L’iniziativa fa parte del progetto nazionale Dònàti: fatti un dono, dona una famiglia a chi non l’ha lanciato dal Forum Famiglie nel 2018 con l’obiettivo di ridare slancio all’accoglienza dei bambini e minori fuori famiglia nel nostro Paese.                                                                                  Video        https://youtu.be/UZ1z-SAmsPU

            L’invito a tutte le persone, di ogni età, che hanno a cuore il destino dei minori senza famiglia è a mettere “mi piace”, commentare, condividere, retwittare, rispondere, argomentare, partecipando attivamente all’iniziativa con creatività social. Solo parlando, riflettendo, testimoniando e facendo opinione su un tema tanto delicato e attuale come questo sarà possibile davvero cambiare la storia di migliaia di bambini che oggi, in Italia, non possono crescere con l’affetto di una mamma e di un papà.

            In Italia, nel 2016 (ultimo dato disponibile, fonte: Quaderni della ricerca sociale n.42), i minori fuori dalla famiglia d’origine erano 26.615, di cui 14.012 accolti in famiglia e 12.603 presso strutture d’accoglienza.

 www.minori.gov.it/it/minori/quaderno-42-come-cambia-la-vita-dei-bambini

www.minori.gov.it/sites/default/files/Quaderni_Centro_Nazionale_42.pdf

Le stime Unicef più recenti, d’altra parte, indicano in 140 milioni i bambini abbandonati nel mondo. Tra questi, moltissimi sono orfani, soli in Paesi in guerra, abbandonati dai genitori in istituto o, ancora, bambini di strada senza alcun genitore. In questo contesto, in Italia esistono oltre 3 milioni di coppie sterili e circa 5 milioni di coppie sposate senza figli. Non solo: un anticipo del resoconto annuale della Commissione per le Adozioni Internazionali (Cai) ci mostra un ulteriore calo nel numero di adozioni realizzate (-14% dal 2018); negli ultimi dieci anni, nel nostro Paese, si è passati da circa 4.300 adozioni a nemmeno mille. Tanti, troppi bambini che mancano all’appello dell’Istat, che proprio qualche giorno fa ha tracciato, per l’ennesima volta, un quadro preoccupante e drammatico dei livelli di natalità in Italia.

            Certo, la generosità di tante famiglie non basterà a risolvere i tanti problemi che l’inchiesta di Bibbiano ha scoperchiato. Se è giusto, anzi giustissimo, urgente e doveroso non smettere di spiegare che affido e adozione sono scelte luminose, non dobbiamo neppure stancarci di ribadire che nel nostro sistema di protezione dei minori fuori famiglia sono tanti i “buchi” a cui porre rimedio. L’abbiamo scritto tante volte in questi mesi, ma anche in questa occasione non possiamo non ricordare per esempio l’esigenza di dare voce alle famiglie a cui viene sottratto un figlio con il diritto di difesa paritetico già all’inizio del procedimento giudiziario, l’urgenza di riformare l’articolo 403 del codice civile (allontanamento coatto dalle famiglie), la necessità di rivedere la legge che permette ai Comuni al di sotto dei 15mila abitanti di delegare i servizi sociali alle cooperative.

Come va rivisto tutto il sistema delle strutture d’accoglienza, con regolamenti e costi trasparenti, coerenti tra Nord e Sud. Tantissimi problemi che potrebbero essere affrontati solo da una legge quadro di riforma dell’intero sistema. Operazione complessa e difficile ma ormai irrinunciabile. Perché senza norme adeguate e procedimenti corretti rischiamo di vanificare e reprimere la generosità di tante famiglie che vorrebbero accogliere la sofferenza di un bambino in difficoltà ma sono trattenute dall’alone di incertezza e di sospetto che solo scelte politiche coraggiose potrebbero dissipare. Ma nell’attesa che la politica svolga fino in fondo il suo compito, la campagna delle associazioni del Forum rimane impegno lodevole e condivisibile.

#Dònàti è scelta meravigliosa. Non stanchiamoci di ripeterlo.

Luciano Moia             Avvenire         14 febbraio 2020

www.avvenire.it/attualita/pagine/ecco-l-affido-che-fa-bene

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FRANCESCO VESCOVO DI ROMA

Alcuni temi dell’esortazione apostolica post-sinodale “Querida Amazonia”

ww.vatican.va/content/francesco/it/apost_exhortations/documents/papa-francesco_esortazione-ap_20200202_querida-amazonia.html

Il ruolo delle donne, l’esclusività del sacerdote nel celebrare l’Eucaristia, la maggiore partecipazione dei laici alla vita della comunità: sono alcuni temi dell’esortazione apostolica post-sinodale, “Querida Amazonia” (2 febbraio 2020). Per il Papa, lo sfruttamento dell’Amazzonia è “un’ingiustizia e un crimine”: “Non possiamo permettere che la globalizzazione diventi un nuovo colonialismo”. “L’equilibrio planetario dipende anche dalla salute dell’Amazzonia”

Solo il sacerdote può dire: “Questo è il mio corpo”. E dunque solo lui è abilitato a “presiedere l’Eucaristia”. Nel quarto e ultimo capitolo dell’esortazione apostolica post-sinodale “Querida Amazonia”, dedicato all’aspetto pastorale, il Papa non fa alcun riferimento all’ordinazione sacerdotale di diaconi sposati per supplire alla carenza di clero, avanzata nel corso del Sinodo sull’Amazzonia dell’ottobre scorso. “Ciò che non può essere delegato”, nell’esercizio del ministero sacerdotale, è proprio l’essenza dell’ordine sacro, che “configura” il prete a “Cristo sacerdote”. “Tale carattere esclusivo ricevuto dall’Ordine abilita lui solo a presiedere l’Eucaristia. Questa è la sua funzione specifica, principale e non delegabile”. Ci sono altre parole, ricorda Francesco, che “solo lui può pronunciare: ‘Io ti assolvo dai tuoi peccati’. In questi due Sacramenti c’è il cuore della sua identità esclusiva”.

“In una Chiesa sinodale le donne, che di fatto svolgono un ruolo centrale nelle comunità amazzoniche, dovrebbero poter accedere a funzioni e anche a servizi ecclesiali che non richiedano l’Ordine sacro e permettano di esprimere meglio il posto loro proprio”. È l’altra proposta del Papa, che sottolinea che “tali servizi comportano una stabilità, un riconoscimento pubblico e il mandato da parte del vescovo”. “Questo fa anche sì che le donne abbiano un’incidenza reale ed effettiva nell’organizzazione, nelle decisioni più importanti e nella guida delle comunità – la tesi di Francesco – ma senza smettere di farlo con lo stile proprio della loro impronta femminile”. Quattro i “sogni” attorno a cui è articolata l’esortazione: sociale, culturale, ecologico ed ecclesiale, che corrispondono alle quattro “letture” che il Santo Padre aveva consigliato di adottare, nel suo discorso a braccio pronunciato a conclusione del Sinodo sull’Amazzonia dell’ottobre scorso.

I sacramenti “devono essere accessibili, soprattutto ai poveri, e non devono mai essere negati per motivi di denaro”, il monito a proposito della necessità di assicurare “una maggiore frequenza della celebrazione dell’Eucaristia, anche nelle comunità più remote e nascoste”. “I laici potranno annunciare la Parola, insegnare, organizzare le loro comunità, celebrare alcuni Sacramenti, cercare varie espressioni per la pietà popolare e sviluppare i molteplici doni che lo Spirito riversa su di loro”, prosegue il Papa: “Ma hanno bisogno della celebrazione dell’Eucaristia, perché essa fa la Chiesa”.

            Di qui l’invito a “tutti i vescovi, in particolare quelli dell’America Latina, non solo a promuovere la preghiera per le vocazioni sacerdotali, ma anche a essere più generosi, orientando coloro che mostrano una vocazione missionaria affinché scelgano l’Amazzonia”.

            Diaconi permanenti, religiose e laici dovrebbero assumere “responsabilità importanti per la crescita delle comunità”: “Una Chiesa con volti amazzonici – scrive Francesco – richiede la presenza stabile di responsabili laici maturi e dotati di autorità, che conoscano le lingue, le culture, l’esperienza spirituale e il modo di vivere in comunità dei diversi luoghi”.

            “È possibile – aggiunge il Santo Padre in una nota, sulla scorta del Codice di diritto canonico – che il vescovo affidi ad un diacono o ad una persona non insignita del carattere sacerdotale o ad una comunità di persone una partecipazione nell’esercizio della cura pastorale di una parrocchia”.

            “Permettere lo sviluppo di una cultura ecclesiale propria, marcatamente laicale”, il “sogno” del Papa per l’Amazzonia, “attraverso un nuovo incisivo protagonismo dei laici”. Il modello indicato è quello delle “comunità di base”, che “quando hanno saputo integrare la difesa dei diritti sociali con l’annuncio missionario e la spiritualità, sono state vere esperienze di sinodalità nel cammino evangelizzatore della Chiesa in Amazzonia”.

            A proposito del ruolo femminile, Francesco mette in guardia dal “riduzionismo” che “ci porterebbe a pensare che si accorderebbe alle donne uno status e una partecipazione maggiore nella Chiesa solo se si desse loro accesso all’Ordine sacro”. “Senza le donne” la Chiesa “crolla”, l’omaggio del Papa, “come sarebbero cadute a pezzi tante comunità dell’Amazzonia se non ci fossero state le donne, a sostenerle, a sorreggerle e a prendersene cura”.

            Nella prima parte dell’esortazione, Francesco parla di “ingiustizia e crimine”, riguardo allo sfruttamento dell’Amazzonia: “Non possiamo permettere che la globalizzazione diventi un nuovo tipo di colonialismo”, l’appello del Papa, secondo il quale “bisogna indignarsi” per “un passato vergognoso”. Non manca un “mea culpa” su quei missionari che, in Amazzonia, non sono stati “a fianco degli oppressi”. “L’equilibrio planetario dipende anche dalla salute dell’Amazzonia”, l’esordio del capitolo dell’esortazione dedicato ai temi ecologici: “Il grido dell’Amazzonia raggiunge tutti, perché l’aspetto di conquista e di sfruttamento delle risorse è giunto oggi a minacciare la stessa capacità ospitale dell’ambiente: l’ambiente come ‘risorsa’ rischia di minacciare l’ambiente come ‘casa’”.

M. Michela Nicolais   agenziaSIR  12 febbraio 2020

www.agensir.it/chiesa/2020/02/12/querida-amazonia-di-papa-francesco-solo-il-sacerdote-puo-presiedere-leucaristia-no-alla-clericalizzazione-delle-donne

 

Il valore magisteriale dei documenti del sinodo

L’esortazione apostolica di papa Francesco non sostituisce e non cancella il documento finale del Sinodo dei Vescovi per l’Amazzonia che resta, insieme al testo del papa, come una “lezione” per tutta la Chiesa.

Il 12 febbraio nell’Aula Giovanni Paolo II della Sala Stampa della Santa Sede, si è tenuta la Conferenza Stampa di presentazione dell’Esortazione Apostolica post-sinodale del Santo Padre Francesco “Querida Amazonia”, frutto dell’Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi per la Regione Panamazzonica “Amazzonia: nuovi cammini per la Chiesa e per una ecologia integrale” (6-27 ottobre 2019).

Sono intervenuti alla Conferenza Stampa: il Card. Lorenzo Baldisseri, Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi; il Card. Michael Czerny, S.J., Sotto-Segretario della Sezione Migranti e Rifugiati del Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, Segretario Speciale del Sinodo dei Vescovi per la Regione Panamazzonica; P. Adelson Araújo dos Santos, S.J., Teologo e Docente di Spiritualità alla Pontificia Università Gregoriana; Suor Augusta de Oliveira, S.M.R., Vicaria Generale delle Serve di Maria Riparatrici; Prof. Carlos Nobre, Scienziato climatologo, Premio Nobel 2007 per la pace, Membro della Commissione Scienze Ambientali del Consiglio Nazionale di Sviluppo Scientifico e Tecnologico.

Presente con un contributo video, Mons. David Martínez de Aguirre Guinea, O.P., Vescovo del Vicariato di Puerto Maldonado, Segretario Speciale del Sinodo dei Vescovi per la Regione Panamazzonica.

Intervento del Card. Lorenzo Baldisseri. All’Angelus del 15 ottobre 2017 Papa Francesco ha indetto l’Assemblea Speciale per la Regione Panamazzonica sul tema “Amazzonia: nuovi cammini per la Chiesa e per una ecologia integrale”. A partire da quel momento è iniziato un processo sinodale, proseguito per ben due anni, durante i quali si è svolta la fase preparatoria portata avanti da questa Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi insieme al Consiglio pre-sinodale – appositamente nominato dal Santo Padre – con la preziosa collaborazione della Rete Ecclesiale Panamazzonica (REPAM). Così ha avuto luogo un’amplia consultazione a tutto il Popolo di Dio in Amazzonia a partire dal Documento Preparatorio con il relativo Questionario, pubblicato l’8 giugno 2018. In questa fase è stata decisiva l’attività svolta dalla REPAM nell’organizzazione di circa 260 eventi nel territorio amazzonico, di cui 70 Assemblee territoriali, 25 Forum tematici e più di 170 altre attività. Si può dunque dire che, complessivamente, hanno partecipato a tali iniziative più di 87.000 persone.

Non meno significativo è stato il Seminario di studi organizzato a Roma dalla Segreteria Generale dal 25 al 27 di febbraio del 2019 sul tema: Verso il Sinodo Speciale per l’Amazzonia: dimensione regionale e universale. In fase preparatoria ha avuto luogo anche la Conferenza Internazionale celebrata dal 19 al 21 marzo del 2019, alla Georgetown University a Washington per affrontare il tema dell’Ecologia integrale come risposta sinodale dalla regione amazzonica e altri biomi e territori per la cura della nostra casa comune. Tutto questo materiale è confluito nell’elaborazione dell’Instrumentum laboris o Documento di lavoro, pubblicato il 17 giugno 2019, che è stato poi il testo base della discussione sinodale durante la fase celebrativa.

L’Assemblea sinodale si è caratterizzata da una corale e vivace partecipazione, ricca di testimonianze e di proposte da parte dei 185 Padri sinodali. Tra i partecipanti è stata significativa la presenza di 25 Esperti e di 55 Uditori e Uditrici, tra i quali 16 rappresentanti di diverse etnie indigene e popoli originari, 10 religiose presentate dall’Unione Internazionale delle Superiore Generali (U.I.S.G.), 6 Delegati fraterni e 12 Invitati speciali scelti a motivo della loro alta competenza scientifica ed anche per l’appartenenza a organismi ed associazioni internazionali.

La fase celebrativa si è protratta per tre settimane (dal 6 al 27 ottobre 2019), durante le quali si è seguita un’accurata metodologia, che ha facilitato lo svolgersi dei lavori. Così si sono alternati momenti di ascolto in Sessioni Plenarie e altri momenti di attiva partecipazione in Circoli minori. Tutto questo grande lavoro è poi confluito nella redazione di un Progetto del Documento finale, che, una volta emendato dai Circoli minori, è diventato il Documento finale, votato con un’amplia maggioranza di oltre due terzi. In seguito alla votazione, secondo la prassi sinodale, il Documento è stato consegnato al Santo Padre e per suo volere reso immediatamente pubblico alla Stampa.

Non sono mancati durante la fase celebrativa del Sinodo alcuni interventi di Papa Francesco, che ha offerto significative riflessioni per la discussione sinodale. Ad esempio, nel suo discorso di apertura dei lavori sinodali il Santo Padre ha sottolineato “quattro dimensioni: la dimensione pastorale, la dimensione culturale, la dimensione sociale e la dimensione ecologica“, che poi si vedono in qualche modo rispecchiate nel Documento finale. Esso, infatti – dopo un capitolo iniziale destinato alla conversione integrale – sviluppa il tema dei nuovi cammini in quattro capitoli, ognuno dei quali è dedicato a un tipo di conversione: conversione pastorale, conversione culturale, conversione ecologica e conversione sinodale. Anche nel suo discorso di chiusura del Sinodo, il Santo Padre riprendeva i contenuti emersi nell’Assemblea collocandoli in quattro diagnosi: quella culturale, che include la inculturazione e l’interculturalità nei popoli amazzonici; quella ecologica, secondo una prospettiva integrale che va incontro alla denuncia della distruzione del creato, di cui l’Amazzonia è uno dei punti più importanti; quella sociale, che implica non solo lo sfruttamento della creazione ma anche delle persone insieme alla distruzione dell’identità culturale; e infine quella pastorale, la principale, poiché l’annuncio del Vangelo è urgente, ma ciò che è importante è che esso sia udito, assimilato e compreso dalle diverse culture in terra Amazzonica. Con la consegna del Documento finale al Santo Padre si è conclusa la fase celebrativa. La Segreteria del Sinodo dei Vescovi è rimasta poi in attesa dell’Esortazione Apostolica post-sinodale che oggi viene presentata.

            Intervento del Card. Michael Czerny, S.J. L’Esortazione ha per titolo Querida Amazonia, cara Amazzonia, come una lettera, una lettera d’amore. Nel cuore della lettera c’è l’amore di Papa Francesco per l’Amazzonia e i suoi numerosi popoli, il suo amore per il mondo e tutti i suoi popoli. E esaminando l’Esortazione si scorge la verità che “Solo ciò che si ama può essere salvato. Solo quello che si abbraccia può essere trasformato”. Una persona che ama non può fare a meno di parlare con passione della persona amata. In questo caso, l’amata Amazzonia ha ovviamente colpito il Papa “in tutto il suo splendore, il suo dramma, il suo mistero” (§ 1), ma, allo stesso tempo la grande regione è segnata da sofferenza e distruzione fino ad arrivare alla disperazione. L’effetto su Papa Francesco fa pensare a quello di un artista che scopre una bellezza terribile e, stimolato a contemplare e a creare, ora comunica una nuova epifania di bellezza e sofferenza, di grande promessa e di grande pericolo. (2) Così la sua affettuosa e premurosa lettera necessariamente include una forte denuncia di ingiustizie e molti avvertimenti di pericoli come pure inviti urgenti a condividere i suoi sogni e ad accoglierli.

Nell’introduzione di Querida Amazonia, Papa Francesco spiega che non intende né sostituire né ripetere il Documento conclusivo dell’Assemblea Speciale del Sinodo del Vescovi per la Regione Panamazzonica. Piuttosto Papa Francesco ne fa una presentazione. Egli prega affinché tutta la Chiesa si faccia arricchire e accolga la sfida del lavoro del Sinodo. Il Papa sollecita la Chiesa a un rinnovato e innovativo impegno missionario per accompagnare il popolo dell’Amazzonia in tutte le sfide significative che deve affrontare. Egli chiede a tutta la Chiesa in Amazzonia l’impegno nell’applicare il lavoro sinodale e auspica che tutte le persone di buona volontà siano ispirate dal documento conclusivo e del suo compagno dittico, la bella Querida Amazonia.

Qual è lo status di questi due documenti? Dove possono essere collocati in questo magistero, nel corpo dell’insegnamento ufficiale della Chiesa? Cercherò di applicare norme accettate nell’interpretazione di documenti del magistero. Querida Amazonia è una Esortazione Post-Sinodale. E’ un documento del magistero. Appartiene all’autentico Magistero del Successore di Pietro. Partecipa al suo Magistero ordinario. Amazzonia: nuovi cammini per la Chiesa e per un’ecologia integrale è il documento conclusivo dell’Assemblea Speciale del Sinodo dei Vescovi per le Regione Panamazzonica. Come ogni documento sinodale, è costituito da proposte che i Padri Sinodali hanno votato per l’approvazione ed hanno affidato al Santo Padre. A sua volta il Papa autorizza la sua pubblicazione con i voti espressi.

All’inizio di Querida Amazonia il Papa scrive: ” (…) voglio presentare ufficialmente quel Documento che ci offre le conclusioni del Sinodo” (QA § 3) e incoraggia a leggerlo per intero. Così, a parte l’autorità magisteriale formale, la presentazione ufficiale e l’incoraggiamento conferiscono al documento conclusivo una certa autorità morale. Ignorarla sarebbe una mancanza di obbedienza alla legittima autorità del Santo Padre, mentre trovare difficili alcuni punti non sarebbe considerata una mancanza di fede.

Essendo un Sinodo “speciale” che si è concentrato su di una regione del mondo, il processo sinodale, il documento conclusivo e l’Esortazione Post-Sinodale Querida Amazonia richiederanno comprensione creativa e comprensiva per le lezioni ivi contenute da applicare oltre l’Amazzonia. Esse toccano tutta la Chiesa e tutto il mondo, anche se non in modo non uniforme. Il Papa auspica che l’Esortazione Querida Amazonia “possa aiutare e orientare verso un’armoniosa, creativa e fruttuosa ricezione dell’intero cammino sinodale” Così abbiamo due documenti di diverso tenore.

Il Documento Conclusivo è il risultato del cammino sinodale, mentre l’Esortazione Querida Amazonia contiene le riflessioni del Santo Padre sul cammino sinodale e il documento conclusivo. Il primo contiene le proposte presentate e votate dai Padri Sinodali ha il peso di un documento sinodale conclusivo. Il secondo che riflette l’intero cammino e il suo documento conclusivo, ha l’autorità del magistero ordinario del Successore di Pietro. Il Papa prega affinché “tutta la Chiesa si lasci arricchire e interpellare” dal lavoro dell’Assemblea Sinodale, che tutti in Amazzonia “si impegnino nella sua applicazione” e che “possa ispirare in qualche modo tutte le persone di buona volontà”. (§ 4).

 In conclusione, Papa Francesco esorta “tutti a procedere su vie concrete che permettano di trasformare la realtà dell’Amazzonia e di liberarla dai mali che la affliggono” (§ 111).

www.chiesadituttichiesadeipoveri.it/il-valore-magisteriale-dei-documenti-del-sinodo

 

Querida Amazonia: una speranza per tutta la Chiesa

All’indomani della pubblicazione di “Querida Amazonia”, i commenti all’Esortazione post-sinodale delle Conferenze episcopali di tutto il mondo sono all’insegna della speranza: parola chiave del testo del Papa. Allo stesso tempo viene posto l’accento sull’invito a camminare insieme in difesa dei diritti dei più deboli e del Creato. Speranza, sogno, invito e sfida all’azione per tutta la Chiesa. Ricorrono questi termini nei pronunciamenti di molte Conferenze episcopali dopo la pubblicazione dell’Esortazione post-sinodale di Papa Francesco: “Querida Amazonia”. Il documento fa seguito al Sinodo speciale dei vescovi, svoltosi in Vaticano ad ottobre dello scorso anno 2019, sul tema: “

Celam: la Chiesa intimamente unita all’Amazzonia. In un comunicato, la presidenza del Celam, Consiglio Episcopale Latinoamericano, si sofferma in particolare sul settimo punto dell’Esortazione nel quale il Papa afferma di sognare “un’Amazzonia che lotti per i diritti dei più poveri, dei popoli originari, degli ultimi, dove la loro voce sia ascoltata e la loro dignità sia promossa”, dove tra l’altro ci siano “comunità cristiane capaci di impegnarsi e di incarnarsi in Amazzonia, fino al punto di donare alla Chiesa nuovi volti con tratti amazzonici”. “L’Esortazione – si legge nel documento del Celam – mostra con chiarezza che la Chiesa è intimamente unita all’Amazzonia”, in cammino con i popoli e le comunità indigene, nella difesa e nella promozione dei loro diritti, nella “costruzione di una vita dignitosa, espressa da Papa Francesco nel suo sogno sociale, culturale, ecologico ed ecclesiale”. L’invito è di proteggere l’Amazzonia, “cuore del pianeta”, affrontando con decisione questioni come “la deforestazione, il flagello della tratta delle persone, l’inquinamento ambientale”.

Accogliere l’Esortazione del Papa, leggendola, studiandola, condividendola e soprattutto assumendola “come un vero impegno ad agire per la vita, e la vita in abbondanza, per questa Amazzonia e per le generazioni future in tutto il mondo”. Così il Repam, Rete ecclesiale panamazzonica, commentando in una nota “Querida Amazonia” e ponendo l’accento sui sogni espressi da Francesco, con l’auspicio che diventino impegno vero e proprio. Nel testo diffuso, – a firma del presidente, del vicepresidente e del segretario esecutivo, rispettivamente Cardinale Claudio Hummes, cardinale Pedro Barreto e Mauricio López – si ricorda che “la nostra amata Amazzonia è un dono dalla periferia al centro”, “un volto concreto che porta vita, che apre nuove possibilità” e che pone l’uomo “di fronte all’urgenza di una vera crisi climatica”. Come nel Vangelo, “i margini si illuminano di una nuova luce grazie alla conversione integrale del centro, affinché ci sia vita in abbondanza per tutti”. In quest’ottica, la Repam invita a lottare innanzitutto per i diritti dei popoli indigeni, tutelandone la dignità e la varietà culturale, formando “comunità pienamente cristiane con il loro volto amazzonico”.

Vescovi Usa: una visione di speranza per l’Amazzonia. “Una visione speranzosa e stimolante per il futuro della regione amazzonica, uno degli ecosistemi più sensibili e cruciali della terra, che ospita una ricca diversità di culture e di popoli”. In una nota a commento di “Querida Amazonia”, il presidente della Conferenza episcopale degli Stati Uniti, monsignor José H. Gomez, sottolinea che l’evangelizzazione è chiamata a rispettare “le identità e le storie dei popoli amazzonici” e allo stesso tempo è “aperta alla novità dello Spirito, capace di creare sempre qualcosa di nuovo con l’inesauribile tesoro di Gesù Cristo”. “Querida Amazonia” è anche “a tutti noi una chiamata, nelle Americhe e in tutto l’Occidente, ad esaminare – spiega monsignor Gomez – il nostro stile di vita e a riflettere sulle conseguenze che le nostre decisioni hanno per l’ambiente e per i poveri”.

Vescovi Australia: una sfida per la Chiesa. “L’Amazzonia è lontana da noi, ma i suoi problemi non lo sono”: lo scrive monsignor Mark Coleridge, presidente della Conferenza episcopale australiana, a commento dell’Esortazione post-sinodale di Papa Francesco. Un documento che richiama anche alcune questioni aperte in Australia come la cultura indigena e una comprensione integrale dell’ecologia. Anche qui infatti, sottolinea l’arcivescovo di Brisbane, “assistiamo a volte in modo drammatico, al danno causato dagli abusi sulla natura, non solo sull’ambiente ma anche sulle comunità e su tantissime persone”. Per monsignor Coleridge, anche l’attenzione del Papa alle culture indigene in Amazzonia interessa in modo particolare l’Australia “considerata la terribile mancanza di progressi” per colmare il divario socio-economico tra le popolazioni aborigene e quelle non aborigene australiane. In questo senso esse sono “una sfida e un incoraggiamento” per la Chiesa del Paese. Infine l’arcivescovo ricorda l’importanza del protagonismo dei laici e del ruolo dei consacrati e dei diaconi permanenti nella Chiesa in Amazzonia, evidenziato in “Querida Amazonia”. “Quando tutti svolgono la propria parte – osserva – la testimonianza della Chiesa assume più forza”.

            “Un invito all’azione per tutti nella nostra Chiesa e nel nostro mondo”: è il pensiero di monsignor Eamon Martin, arcivescovo di Armagh e primate di tutta l’Irlanda, su “Querida Amazonia”, che “raccoglie le preoccupazioni espresse in tutto il mondo, in particolare dai nostri giovani, che chiedono di lavorare insieme per il rispetto del creato e della vita, la promozione della dignità della persona umana e per la protezione di chi è più colpito dalla distruzione dell’ambiente”. Nel commento di monsignor Martin trova spazio la riflessione del Papa sul pieno coinvolgimento dei laici, soprattutto delle donne, nella vita ecclesiale, e l’invito ad inviare missionari in Amazzonia. “Sarebbe molto bello – scrive il primate – se alcuni sacerdoti irlandesi, religiosi e missionari laici oggi prendessero in considerazione l’idea di offrire un periodo di ministero di cinque anni all’Amazzonia”. Un invito raccolto in passato dall’Irlanda, Paese che ha spesso risposto con vigore alla chiamata missionaria della Chiesa.

Benedetta Capelli – Città del Vaticano Vatican news 13 febbraio 2020

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Sinodo panamazzonico: la terza via

Querida Amazonia potrebbe scontentare un po’ tutti. Una grande attesa, caricata di aspettative, poco importa da parte di chi, finisce per retroagire negativamente sull’evento stesso. L’attesa più che il contenuto ne determina il criterio ermeneutico. È quel che succede qui da noi (diversa è la recezione latinoamericana) circa l’esortazione postsinodale pubblicata il 12 febbraio 2020 da papa Francesco e relativa al Sinodo panamazzonico dell’ottobre scorso.

Il documento affronta alcuni (non tutti) dei nodi presi in carico dal Sinodo: dallo sfruttamento del suolo, all’ingiustizia economica, ai diritti delle popolazioni indigene, alle necessità pastorali delle comunità. Ma è su quest’ultimo punto, e segnatamente sulla questione dei ministeri, che l’attenzione europea-occidentale si è concentrata. Ai «conservatori» non basterà quella che appare una frenata del papa. Ai «progressisti» appare come una smentita del Sinodo panamazzonico.

            Là dove il Documento finale sinodale ha aperto a larga maggioranza in determinati casi al sacerdozio uxorato, il papa non ha rilanciato. Così aveva detto il Sinodo: «Proponiamo di stabilire criteri e disposizioni, da parte dell’autorità competente, per ordinare sacerdoti uomini idonei e riconosciuti dalla comunità, che abbiano un diaconato permanente fecondo e ricevano una formazione adeguata per il presbiterato, potendo avere una famiglia costituita e stabile, per sostenere la vita della comunità attraverso la predicazione della Parola e la celebrazione dei sacramenti nelle zone più remote della regione amazzonica» (n. 111).

            Il papa non ha detto sì, ma ha ribadito che «occorre trovare un modo per assicurare il ministero sacerdotale», affinché «i popoli amazzonici non siano privati del Cibo di nuova vita» (Querida Amazonia, n. 89). C’è in realtà un’apertura in via d’eccezione lasciata al discernimento delle Chiese locali, ma non una modifica della disciplina generale. Più spedita l’accoglienza del rito amazzonico.

Più arretrata (soprattutto su un piano teologico) la questione dei ministeri femminili, segnatamente il diaconato. L’ordinazione di diaconi sposati e il riconoscimento di ministeri femminili, quali il diaconato, posti in termini generali sono ancora questioni lasciate alla discussione.

Qui non c’entra il libro del card. Sarah. E il dibattito sui due papi. Qui il tema è la recezione condivisa della Chiesa, di tutta la Chiesa universale nella sua larga maggioranza di una nuova disciplina generale, che sia adeguatamente supportata da una solida riflessione teologica ed ecclesiologica. Non siamo ancora lì. Il Sinodo panamazzonico ha aperto un processo e il papa ha lasciato aperto il processo. La mens del documento è infatti la questione sinodale e il peso da dare ai sinodi anche in rapporto agli interventi papali nelle esortazioni postsinodali. Questo è il centro.

Il processo è aperto. Il papa riconosce certamente autorevolezza al Documento finale del Sinodo e la sua esortazione lo affianca. Questi i punti centrali: «Voglio presentare ufficialmente quel Documento che ci offre le conclusioni del Sinodo», «ho preferito non citare tale Documento in questa esortazione perché invito a leggerlo integralmente» (n. 3); «non intendo né sostituirlo, né ripeterlo» (n. 2).

www.sinodoamazonico.va/content/sinodoamazonico/it/documenti/documento-finale-del-sinodo-per-l-amazzonia.html

I criteri interpretativi sulla natura dell’esortazione apostolica forniti da queste premesse sono ulteriormente illuminati alla fine dell’esortazione, che riprende l’Evangelii gaudium. «Il conflitto – dice il papa – si supera a un livello superiore dove ognuna delle parti, senza smettere di essere fedele a se stessa, si integra con l’altra in una nuova realtà». Tutto si risolve «su di un piano superiore che conserva in sé le preziose potenzialità delle polarità in contrasto» (cf. EG 228; EV 31/2334). Diversamente il conflitto ci blocca, «perdiamo la prospettiva, gli orizzonti si limitano e la realtà stessa resta frammentata» (Querida Amazonia, n. 104). E ancora: «la via d’uscita si trova per “traboccamento”, trascendendo la dialettica che limita la visione per poter riconoscere così un dono più grande che Dio sta offrendo» (n. 105).

            Papa Francesco ritorna allo spirito del primo Sinodo celebrato dopo il concilio Vaticano II e prima che le esortazioni apostoliche postsinodali divenissero lo strumento di controllo del papa sulle indicazioni del Sinodo. Il metodo sinodale si conferma come il centro del magistero ecclesiologico di Francesco, la vera novità. Poi la profezia deve trovare la chiave della sua responsabilità storica concreta, scontandone tutta la fatica. È la dinamica dello Spirito nella storia. Mai risolta. Mai ingessabile.

Gianfranco Brunelli    Il Regno attualità 15 febbraio 2020

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Riforme nella Chiesa: siamo solo all’inizio

Con l’esortazione Querida Amazonia papa Francesco ricorda l’obiettivo dei recenti lavori sinodali: portare l’Amazzonia, con le sue contraddizioni e le sue potenzialità, e i popoli indigeni che la abitano, all’attenzione della Chiesa e del mondo occidentale. Di quel mondo, per l’appunto, in cui fa da padrone il capitalismo sfrenato, denunciato più volte da papa Francesco che in diverse occasioni ha parlato di una «globalizzazione dell’indifferenza» e di una «cultura dello scarto».

Sia chiaro: non è l’Amazzonia ad avere bisogno dell’Occidente. Semmai è il contrario… ma può l’Amazzonia salvare oggi un Occidente sempre più scristianizzato, che ha messo da parte Dio per fare spazio all’idolo (unico) del denaro? Probabilmente sì: a patto di valorizzare – ci dice papa Francesco in questa esortazione – la dimensione comunitaria rispetto a quella individuale e di anteporre il «ben vivere» amazzonico al «benessere» occidentale. Il tentativo di proporre un metodo alternativo nella definizione delle relazioni tra gli uomini, e tra gli uomini e le altre specie viventi, animali e vegetali, sta alla base del principio dell’ecologia integrale, proposta da papa Bergoglio nell’enciclica Laudato si’. Ciò consente di comporre le crisi che alimentano i conflitti sociali, e che sfociano soprattutto nei conflitti ambientali.

Preti sposati: forse ci siamo. Insomma, la posta in gioco di questo processo sinodale è davvero alta. Ma è una vecchia tentazione, quella dell’Occidente, di ridurre il tutto a questioni che riguardano l’uomo (cioè il maschio) e il suo rapporto con il potere. Con questa esortazione il primo papa latino-americano non cade nella trappola di chi avrebbe voluto fare del Sinodo panamazzonico una sorta di «referendum» sul sacerdozio uxorato e, magari, sull’ordinazione diaconale delle donne. D’altronde non erano questi i temi principali nell’agenda del Sinodo, come già avevamo scritto su Moralia nel commentare il n. 111 del Documento finale (Preti sposati: dov’è la novità, 1 novembre 2019).

www.ilregno.it/moralia/blog/preti-sposati-dove-la-novita-luigi-mariano-guzzo

Eppure chi si aspettava la fine del celibato obbligatorio nella Chiesa di rito latino, e oggi si ritiene deluso dalla Querida Amazonia, dovrebbe ricordare che il programma di riforma ecclesiale portato avanti da Francesco s’ispira a un principio chiaro: quello secondo cui «il tempo è superiore allo spazio», richiamato sin dall’enciclica Lumen fidei (n. 57). I processi, in altre parole, devono essere innanzitutto avviati…

www.vatican.va/content/francesco/it/encyclicals/documents/papa-francesco_20130629_enciclica-lumen-fidei.html

A una prima (e superficiale) lettura dell’esortazione potrebbe sembrare che papa Francesco non dia una risposta ai padri sinodali, che suggerivano di prendere in considerazione la possibilità di ordinare sacerdoti diaconi sposati (il card. Martini, com’è noto, avrebbe utilizzato l’espressione di viri probati). In realtà questa possibilità non è esclusa, anzi rimane del tutto aperta. Perché quando papa Francesco parla della «funzione specifica, principale e non delegabile» del sacerdote (n. 87), la cui potestà «può essere ricevuta soltanto nel sacramento dell’ordine sacerdotale» (n. 88), fa riferimento al carattere insostituibile del ministero sacerdotale, in particolare per la consacrazione eucaristica e per l’assoluzione dei peccati. Da qui l’esigenza per la regione panamazzonica di avere presbiteri. Ma c’è nel papa la consapevolezza che «il modo di configurare la vita e l’esercizio del ministero dei sacerdoti non è monolitico e acquista varie sfumature in luoghi diversi della terra» (n. 87), tant’è che «nelle circostanze specifiche dell’Amazzonia, specialmente nelle sue foreste e luoghi più remoti, occorre trovare un modo per assicurare il ministero sacerdotale» (n. 89), in quanto «è urgente fare in modo che i popoli amazzonici non siano privati del Cibo di nuova vita e del Sacramento del perdono» (ivi).Che non siano proprio questi passaggi a rappresentare il «grimaldello» che permetterà di valutare positivamente l’ordinazione sacerdotale di uomini sposati, considerata la funzione necessaria e insostituibile del sacerdozio? Insomma, la ricerca di nuove strade sulla vita e sull’esercizio del sacerdozio nella Chiesa, e in particolare nella Chiesa amazzonica, è appena iniziata. Il cammino sinodale non è ancora concluso, tenuto anche conto che alcuni padri sinodali chiedevano, a partire dall’Amazzonia, un approccio universale al tema, che coinvolga così l’intera Chiesa cattolica.

E le donne? Anche per le donne il processo sinodale non è ancora concluso. A ragione papa Francesco mette in guardia dall’orientamento di «clericalizzare» le donne (n. 100). Si ricordi che per lo stesso pontefice il clericalismo è una «perversione», dalla quale pure i seminaristi devono restare immuni. E allora? Il papa invita a riscoprire il ruolo della donna nella Chiesa senza ridurre il problema all’ordine sacro. Sarebbe più semplice, forse, dire «sì» o dire «no» alle donne diacono o alle donne prete. Ma se per l’ordinazione sacerdotale l’esortazione ripropone la dottrina classica cattolica dell’uomo come incorporato a Cristo sacerdote (n. 101), per l’ordinazione diaconale invece il papa non avrebbe potuto prendere una netta decisione in questa esortazione, a costo di rendere vano il lavoro che la Commissione incaricata sta portando avanti (non senza difficoltà, a dire il vero. È chiaro che il rapporto tra sacerdozio universale e sacerdozio ministeriale nella Chiesa è ancora irrisolto. Ma intanto i processi di riforma sono avviati. Siamo ancora all’inizio…

Luigi Mariano Guzzo, canonista, collabora con la cattedra di Diritto ecclesiastico e diritto canonico, e insegna Beni ecclesiastici e beni culturali presso l’Università Magna Grecia di Catanzaro. 13 febbraio 2020

www.ilregno.it/moralia/blog/riforme-nella-chiesa-siamo-solo-allinizio-luigi-mariano-guzzo

 

Una lettera d’amore

C’è delusione per l’”Esortazione postsinodale” del papa a conclusione del Sinodo per l’Amazzonia. Ci si aspettava un’apertura sul ministero sacerdotale di uomini sposati e anche sull’accesso delle donne al sacro ordine del diaconato, che invece non c’è stata nonostante che il documento finale votato dal Sinodo dei vescovi al n. 111 proponesse l’ordinazione di uomini sposati “idonei e riconosciuti dalla comunità” e al n. 102 riconoscesse “la ministerialità che Gesù ha riservato alle donne”.

Sarebbe sbagliato però ridurre l’attenzione a questi due soli punti quando lo scritto del papa “Querida Amazonia”, Cara Amazzonia, è di una ricchezza straordinaria ed esprime un’intensità di coinvolgimento e di amore per una terra e per i poveri che la abitano quale nessun papa aveva mai manifestato finora. Si tratta di un testo intriso di poesia, e si sa che la poesia apre spazi che vanno ben oltre le parole, il che è un buon criterio ermeneutico per intendere anche ciò che nel testo non viene detto. Non si era mai visto un papa che in un documento magisteriale facesse propria una poesia così: “Del fiume fa il tuo sangue… Poi piantati, germoglia e cresci, che la tua radice si aggrappi alla terra perpetuamente e alla fine sii canoa, scialuppa, zattera, suolo, giara, stalla e uomo” (da “Llamado” del peruviano Javier Yglesias).

Bisogna dire piuttosto che la rinuncia del papa ad affrettare la riforma della Chiesa su questi due temi cruciali certamente risponde alla preoccupazione di non dare pretesti a uno scisma nella Chiesa, dopo l’intimidazione del libro del cardinale Sarah avallata da un ex papa che secondo la dottrina romana era stato infallibile fino al 28 febbraio 2013 e da un cardinale che senza essere infallibile era stato presidente dei vescovi della Chiesa italiana dal 1991 al 2007.  Certamente si trattava di una situazione nuova: non era mai successo che un papa infallibile ieri interferisse sulle decisioni di un papa infallibile oggi; è una cosa che poteva succedere solo dopo il 1870, e infatti oggi è accaduta, perciò ci vorrebbe ora una bella norma canonica a regolare la statuto degli ex papi.

In ogni caso Francesco ha scelto con saggezza, sotto ricatto, scontentando i fedeli, ma pago di aver attivato un processo, che è molto più che occupare uno spazio. E il papa è stato ben attento a lasciarlo aperto proprio attraverso la scelta che ha fatto con la sua Esortazione. Questa infatti non sostituisce e perciò non cancella il documento finale del Sinodo dove quelle aperture erano contenute. Infatti scrive il papa nella sua Esortazione apostolica di non voler “ripetere e sostituire” le conclusioni del Sinodo, ma esprimerne le risonanze provocate in lui, e insieme “presentare ufficialmente” quel documento finale “a cui hanno collaborato tante persone che conoscono meglio di me e della Curia romana la problematica dell’Amazzonia”, che è come dire: state a sentire loro.

A corroborare questa lettura è venuta la dichiarazione del cardinale Czerny, segretario speciale del Sinodo per l’Amazzonia, nella conferenza stampa in Vaticano di presentazione dello scritto del papa. Egli ha detto che si tratta di “una lettera d’amore”. E un documento del magistero, appartiene al magistero ordinario del successore di Pietro. Il documento finale del Sinodo è invece costituito da proposte che i Padri hanno votato ed hanno affidato al Santo Padre. Ebbene, il papa ha autorizzato la sua pubblicazione con i voti espressi, lo ha presentato ufficialmente e ha incoraggiato a leggerlo per intero. Ciò vuol dire, ha concluso il cardinale, che esso, al di là dell’autorità magisteriale formale, assume “una certa autorità morale e ignorarla sarebbe una mancanza di obbedienza alla legittima autorità del Santo Padre, mentre – ha aggiunto sornione – trovare difficili alcuni punti non sarebbe considerata una mancanza di fede”. Che è come dire che se il card. Sarah trova difficile il far preti uomini sposati, non per questo si deve pensare che manchi di fede. Il segretario speciale del Sinodo ha concluso che “le lezioni” che vengono dal documento sinodale e dall’Esortazione “Querida Amazonia” sono da applicare oltre l’Amazzonia, “esse toccano tutta la Chiesa e tutto il mondo anche se in modo non uniforme”.

Mai un Sinodo dei Vescovi, tanto meno un Sinodo locale, aveva avuto un simile riconoscimento della sua autorità e della sua autonomia. Questo vuol dire che la partita non è chiusa, e quando nell’Esortazione del papa si trova scritto che i popoli amazzonici hanno bisogno della celebrazione dell’eucarestia, ed è urgente fare in modo che non siano privati di essa come del sacramento del perdono, è chiaro che la strada resta aperta al sacerdozio senza celibato. Non a caso il papa precisa che la sola cosa che distingue il sacerdozio cattolico è l’ordine sacro, e non è certo, come alcuni pensano, il potere, il fatto di essere la massima autorità della comunità”; allo stesso modo, si potrebbe continuare, a distinguerlo non è il celibato.

E quanto alle donne, è sorprendente la motivazione edificante e femminista data dal papa del non cooptarle all’ordine sacro: sarebbe riduzionista, sarebbe un pensarle solo in modo funzionale se si ritenesse che la Chiesa, per godere del loro carisma, le debba ordinare, quando “senza le donne essa crolla”, sono loro che anche in Amazzonia hanno tenuto in piedi la Chiesa, e tutto ora bisogna fare tranne che clericalizzarle. C’è qui l’eco di una discussione, aperta anche tra le donne.

La lettera del papa può apparire perciò non come un momento di ripiegamento nel conflitto aperto nella Chiesa, ma come uno straordinario atto di governo.

            Raniero La Valle                    14 febbraio 2020

http://ranierolavalle.blogspot.com/2020/02/una-lettera-damore.html

 

Documenti su due diverse lunghezze d’onda?

Al momento la Chiesa cattolica sembra essere una delle ultime cose che si frappongono tra Jair Bolsonaro e la sopravvivenza della regione amazzonica – e con essa forse del pianeta. L’orientamento rapace del presidente brasiliano per sviluppare la foresta tropicale sarebbe catastrofico anche se il mondo non stesse già letteralmente bruciando, dalla California alla Siberia all’Australia.

Querida Amazonia, l’esortazione di papa Francesco sul Sinodo sull’Amazzonia dell’autunno scorso equivale ad una lettere d’amore papale, un biglietto d’auguri per San Valentino all’Amazzonia. Pubblicata il 12 febbraio, anniversario dell’assassinio di suor Dorothy Stang nel 2005, nello stato brasiliano del Parà nel Bacino Amazzonico, esprime il sogno di Francesco per la regione –socialmente, culturalmente, ecologicamente, ed ecclesiasticamente.

In 111 paragrafi, e in un linguaggio poetico ricco di riferimenti letterari (Mario Vargas Llosa, Pablo

Neruda, Vinicius de Moraes), Francesco espone la sua visione per una trasformazione profonda di una parte del mondo su cui pendono innumerevoli minacce. La supplica di Francesco di proteggere l’Amazzonia non è passata inosservata allo stesso Bolsonaro, che il 13 febbraio 2020 ha risposto sferzante: “Beh, il papa sarà anche argentino, ma Dio è brasiliano”.

Querida Amazonia è un’esortazione post-sinodale di tipo unico. E la cosa è appropriata dato che giunge dopo un sinodo significativamente differente da quelli precedenti: dedicato ad una particolare regione del mondo e ampiamente preparato da gruppi della regione, ecclesiali e di altro tipo; fortemente supportato da teologi e laici cattolici che hanno lavorato insieme ai loro vescovi prima di andare a Roma; e che ha toccato direttamente i problemi nevralgici dei preti sposati e dei diaconi maschi e femmine in posizioni di leadership istituzionale.

Inoltre, è stato un test importante dopo la pubblicazione di una importante riforma del sinodo dei vescovi istituito da Paolo VIEpiscopalis Communio del 2018 –, un documento che affrontava i problemi del primato papale e della preparazione dei documenti finali nello sforzo di dar forma ad una Chiesa più sinodale. Inoltre, si era svolto su uno sfondo di forte opposizione a Francesco e di atti di razzismo contro partecipanti indigeni – un responsabile dei quali fu recentemente salutato dallo scrittore Rod Dreher come “eroe”.

Querida Amazonia è unica anche per il fatto che non impegna direttamente il documento finale votato e approvato dal Sinodo, in cui c’è il paragrafo che chiede a Francesco di prendere in considerazione l’ordinazione presbiterale di uomini sposati (passato con i due terzi dei voti). Nei casi precedenti, specialmente in Amoris lætitia, Francesco includeva parti dei documenti finali nelle sue esortazioni post-sinodali. Ma questa volta no. Infatti dichiara esplicitamente all’inizio che non farà così in Querida Amazonia.

Ma neppure contraddice il documento finale; semplicemente offre le sue conclusioni, ed opta di non adottare le decisioni riguardanti i preti sposati. Così restiamo con due differenti documenti, entrambi frutto del processo sinodale. È l’applicazione definitiva al magistero, in questi tempi straordinari, del principio cattolico del et…et… e non del o… o… .

Pensateci nel considerare la reinterpretazione del primato papale per una Chiesa sinodale, ma anche del suo modo di trattare – per la prima volta – il suo genuino disaccordo con la maggioranza del Sinodo. Il suo linguaggio sul presbiterato, nel capitolo 4, a volte trasmette una teologia più preconciliare che conciliare o post-conciliare del ministero ordinato, con particolare attenzione a ciò che è unico del prete e della sua esclusiva identità (par. 87-88). Le fonti più importanti di questa sezione derivano totalmente dall’epoca di Giovanni Paolo II; la grande enfasi su ciò che i laici possono fare contribuisce a preservare il sistema clericale proprio così com’è. Piuttosto che accogliere le proposte sinodali sull’ordinazione al presbiterato dei viri probati, la soluzione di Francesco è pregare per le vocazioni e per una diffusione più efficiente del clero. C’è una piccola apertura sulla possibilità di un rito amazzonico – molto piccola, comunque, paragonata alla proposta del documento finale. E il linguaggio di Francesco sulle donne è tipicamente e tristemente inadeguato, mentre le sue grandi lodi del “femminile” sono controproducenti. Ciò che dice qui coincide con ciò che è sempre stato detto su questi temi. Ci si chiede che cosa succederà alla commissione pontificia per lo studio del diaconato delle donne – se sarà ricostituita o no, e su quali basi.

La sua riluttanza ad accettare la conclusione del Sinodo riflette un timore di spaccatura della Chiesa in due? Questo non lo ha fermato prima. E val la pena di notare quanto emerga il concetto di inculturazione (il paragrafo 82 comprende una interessante autocritica sulla mancanza nella Chiesa di liturgie inculturate). Ci sono anche alcune interessanti aperture su comunità ecclesiali di base, che è uno dei grandi capovolgimenti del pontificato di Francesco quando si tratta della vita della Chiesa in America Latina. La sinodalità è diventata possibile con la riabilitazione da parte dell’insegnamento papale dell’inculturazione.

La grande domanda è che cosa succederà dopo. Questo documento è il capolinea del documento finale del Sinodo? Oppure è solo una pausa nel processo? Come mi diceva un collega italiano: “Roma locuta, causa infinita” – Roma ha parlato, la discussione non finisce mai. Il processo sinodale è per definizione aperto e “mai finito”. Padre Antonio Spadaro, scrivendo su Civiltà Cattolica, ha sottolineato gli spazi per la ricezione del Sinodo aperti da Querida Amazonia.

Nell’introduzione dell’esortazione, è importante il paragrafo 4 che invita le chiese locali a prendere l’iniziativa. Nel paragrafo 97, si invita alla creazione di quello che potrebbe essere un organo “ecclesiale sovranazionale” per l’attuazione di nuovi ministeri e riti. I nuovi ministeri per le donne (paragrafo 103) saranno creati con i criteri “istituzionali” di “stabilità, riconoscimento pubblico e il mandato da parte del vescovo”.

Certo, la sinodalità non riguarda solo i documenti papali, ma anche l’impatto degli eventi sinodali stessi. E non c’è modo di mettere il bavaglio alle aspettative sinodali nella Chiesa di oggi. Una domanda parallela emerge riguardo a ciò che questo documento significa per i processi sinodali locali nelle chiese in varie parti del mondo, e specialmente per il “percorso sinodale” in Germania e il “concilio plenario” in Australia. Che tipo di messaggio manda una esortazione atipica come questa alla Chiesa e ai rappresentanti dei laici coinvolti in questi processi?

I futuri storici della Chiesa potranno pure essere interessati a sapere chi ha scritto il capitolo 4 di Querida Amazonia. Ci sono state chiaramente diverse mani all’opera qui – e differenti da quelle di coloro che lavorarono al Sinodo. Sarebbe anche interessante sapere che cosa è successo dopo il Sinodo, tra novembre e gennaio, che ha reso necessaria una così rapida risposta papale. Questo è stato l’intervallo di tempo più breve tra la conclusione di un sinodo e la pubblicazione di una esortazione post-sinodale.

Ciò che possiamo dire ora è che il Sinodo per l’Amazzonia e Querida Amazonia rappresentano uno spartiacque perché rivelano la complessità della transizione da una Chiesa cattolica papale-episcopale ad una Chiesa cattolica sinodale. Adesso abbiamo una visione più chiara sui problemi irrisolti tra il primato papale e la sinodalità. E ciò che vediamo con Querida Amazonia potrebbe suggerire un tradimento del Sinodo per l’Amazzonia almeno per quanto riguarda le riforme istituzionali della Chiesa. Francesco non ha approvato il documento finale, e così esso non rientra nel magistero (secondo Episcopalis Communio). Secondo le fonti della gerarchia tradizionale, solo Querida Amazonia è parte del magistero ordinario del papa. Ma anche questo non è del tutto vero, dato che lo stesso Francesco dice che Querida Amazonia non sostituisce il documento finale del Sinodo.

La speranza che Querida Amazonia un processo simile a quello avvenuto con Amoris lætitia potrebbe rimanere un pio desiderio – non a causa dell’opposizione degli episcopati locali, ma, questa volta, a causa dell’opposizione di Francesco, per non parlare della resistenza che egli si trova continuamente ad affrontare a Roma e altrove. Inoltre, le posizioni di Francesco sui temi dei sinodi del 2014-2015 erano in linea con quelle delle maggioranze sinodali. Questa volta non corrispondono e forse la cosa non dovrebbe sorprendere: dal 2013, Francesco ha ripetutamente chiarito il suo pensiero sul celibato e sui preti sposati, sui diaconi e sulle donne diacono, e sulle donne e i ministeri.

La vera grande riforma istituzionale di Francesco il Sinodo dei vescovi e la sinodalità – ora mostra la sua debolezza sistemica: la sinodalità cattolica ruota ancora istituzionalmente e canonicamente attorno al Sinodo dei vescovi, che era stato concepito nel 1965 come uno strumento del primato papale per cooptare elementi della collegialità episcopale. Nel 2020, cinquantacinque anni dopo l’istituzione del sinodo dei vescovi da parte di Paolo VI, le proposte dei vescovi dipendono ancora dal fiat papale, anche quando vi è un grande consenso come nel Sinodo per l’Amazzonia.

In secondo luogo, il braccio istituzionale della sinodalità cattolica non sa come accogliere la partecipazione del popolo di Dio, o in quale forma: come può il fedele popolo di Dio essere rappresentato e sentito e contribuire al processo decisionale? Ma non si può tornare indietro. L’insegnamento del papa ha riconosciuto la necessità di tener conto del sensus ecclesiae.

Querida Amazonia non è come Humanæ Vitæ. In qualche modo, lo spazio tra Querida Amazonia e il documento finale del Sinodo deve ancora essere riempito. A Francesco piace dire che “il tempo è superiore allo spazio”. Il tempo è anche superiore a Roma rispetto alla Chiesa globale, dove, secondo molti cattolici, questa potrebbe essere l’ultima possibilità per una riforma istituzionale – e potrebbe anche essere l’ultima generazione di cattolici disposti a credere che questo sia possibile. Il momento è cruciale per il pontificato di

Francesco.

Massimo Faggioli        “www.commonwealmagazine.org” 14 febbraio 2020

Traduzione: www.finesettimana.org

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202002/200214faggioli.pdf

 

Preti sposati, lo storico Faggioli non ha dubbi: “Ecco perché la partita resta aperta”

Una mancata apertura più che una chiusura. Questa l’interpretazione, da parte dello storico della Chiesa Massimo Faggioli, dell’esortazione apostolica post sinodale Querida Amazzonia in cui il Papa preferisce non affrontare di petto le proposte di diaconato femminile, ordinazione sacerdotale di uomini sposati e istituzione di uno specifico rito amazzonico, scaturite dal Sinodo dei vescovi di ottobre 2019. Per il 50enne ordinario di Teologia e Studi religiosi all’Università Villanova di Filadelfia, negli Stati Uniti, la situazione, dopo la pubblicazione nei giorni scorsi del documento, “è fluida molto dipenderà dalle prossime mosse delle Chiese locali della regione: siamo al punto di svolta del papato bergogliano”.

Professore, si aspettava un’esortazione così accurata nella diagnosi della situazione socioambientale in Amazzonia e al contempo così scarna sulle soluzioni pastorali per l’annuncio del Vangelo nella selva?

“La prima parte politico-ecologica si pone in scia con la produzione precedente del Papa, a partire dalla Laudato si’. Sorprende, invece, l’ultimo capitolo, quello sui ministeri, perché non recepisce le proposte votate dal Sinodo, ma nemmeno le boccia. Francesco non annulla la relazione finale dell’assemblea, l’affianca“.

Che cosa ne pensa della polemica sul presunto valore magisteriale della relazione?

“Dal punto di vista formale, ritengo che sia atto di magistero solo l’esortazione del Papa, non il documento di chiusura dell’assise che contiene le proposte passate sotto silenzio. Manca un’approvazione esplicita di quel testo, come richiesto dalla costituzione Episcopalis communio (15 settembre 2018) le sostituirlo e invita a leggerlo integralmente “.

www.vatican.va/content/francesco/it/apost_constitutions/documents/papa-francesco_costituzione-ap_20180915_episcopalis-communio.html

Ha avuto l’impressione che l’esortazione sia stata scritta prima del dibattito sinodale?

“Questa è una buona domanda. Probabilmente fra cent’anni si conoscerà la genesi del provvedimento. L’impressione è che il capitolo quarto non sia stato scritto dalle stesse mani che hanno confezionato gli altri tre“.

‘Querida Amazzonia’ è in controtendenza rispetto alle altre esortazioni post sinodali di Bergoglio e non solo che a loro modo rispondono alle sollecitazioni delle corrispettive assemblee episcopali?

“Sì, questo è un testo che si pone in maniera diagonale, non parallela, né frontale davanti alle proposte del Sinodo. Lo stile del Papa è diverso da quello dei predecessori Paolo VI e Giovanni Paolo II che si sono espressi in termini definitivi, quasi infallibili. Dal canto suo Francesco lascia aperto il processo sinodale, anche se non è chiaro come questo potrà svilupparsi nel futuro prossimo”.

Insomma dall’esortazione esce più una mancata apertura che una chiusura?

“Proprio così. Sull’introduzione di un rito amazzonico ci sono degli spiragli, non è lo stesso sui viri probati e sul diaconato femminile. Il Papa è come se avesse voluto mettere in pausa il cammino delle riforme in Amazzonia. Molto dipenderà da come reagiranno le Chiese locali in quell’area: se continueranno ad avanzare a Roma delle richieste sui ministeri, sarà difficile non dare risposte puntuali”.

In seno all’episcopato brasiliano qualcuno prevede che possano uscire nei prossimi mesi dei documenti papali ad hoc sulle singole questioni sul tappeto. “È qualcosa che potrebbe succedere, Bergoglio in questi anni ci ha abituato a delle sorprese. Certo è che la differenza fra la sua esortazione e la relazione finale del Sinodo sull’Amazzonia ha creato un vuoto. Che va colmato nell’immediato…. Francesco non ha davanti a sé altri dieci anni di pontificato e dopo di lui tutto potrebbe essere chiuso in via definitiva. Ci troviamo davanti a un punto di svolta di questo pontificato. Nell’episcopato sudamericano, che sostiene Bergoglio e ha lavorato duramente prima e durante l’assemblea di ottobre, serpeggia una certa delusione per le conclusioni del Papa”.

Francesco ha avuto paura di uno scisma a destra o di suo si oppone a qualsiasi ipotesi di deroga al celibato obbligatorio?

“Credo che il timore di una rottura dell’unità cattolica abbia avuto il suo peso. Certo è che la tregua con i cattolici conservatori, che oggi tirano un sospiro di sollievo per lo scampato pericolo, durerà poco. Appena riprenderà a parlare di poveri e ultimi della Terra ricominceranno a criticarlo”.

Ma il Papa che cosa pensa davvero del celibato?

“Con la sua esortazione ha fatto capire che non considera prioritarie per la Chiesa quelle riforme strutturali che nella comunità cattolica auspicano in tanti. Sono in via di svolgimento il Concilio plenario della Chiesa in Australia, il processo sinodale in Germania. La situazione è in evoluzione”.

intervista di Giovanni Panettiere in “QN”  16 febbraio 2020

.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202002/200216faggiolipanettiere.pdf

 

Querida Amazonia e il sinodo. E se avessimo capito male?

E se non avessimo capito, dal punto di vista ecclesiale, che l’orizzonte di Querida Amazonía è molto più riformatore di quello che si è detto? Cosa succederebbe se non contenesse solo l’apertura alla piccola, possibile deroga per ordinare prete qualche uomo sposato (i famosi viri probati), ma quella relativa alla creazione di una Chiesa di rito amazzonico facendone la battistrada di una Chiesa cattolica nella quale i laici avessero vera autorità comunitaria? Insomma, cosa succederebbe se avessimo capito male?

Il punto è importantissimo perché le possibilità sono due: o Francesco ha smentito il sinodo e quindi ha interrotto, lui che lo ha avviato, il percorso di riforma sinodale della Chiesa, o ha confermato il percorso sinodale. Per capirlo secondo alcuni è necessario stare alle parole ufficiali e proprio alle parole ufficiali di papa Francesco fa riferimento per sostenere una tesi molto interessante un nome prestigioso come Viktor Manuel Fernandez, da tanti definito per anni “il teologo del papa” e oggi arcivescovo argentino di La Plata dopo essere stato gran cancelliere della Pontifica Università Argentina.

Dunque quello che dice va letto con attenzione perché propone di cambiare, e non di poco, il senso di quel che sin qui si è detto. La sua dichiarazione, apparsa su Religion Digital, parte da una constatazione un po’ amareggiata: “Molta gente, prima di leggere ‘Querida Amazonia’, si è concentrata sul disappunto che non vi si parli di viri probati, cioè dell’ordinazione di alcuni uomini sposati. Qui non si è saputa riconoscere una preoccupazione che Francesco ha espresso varie volte: pensare a soluzioni troppo clericali davanti ai problemi della società e della Chiesa in Amazzonia. Lui ha meglio insistito nel confrontarsi con le carenze e le difficoltà dando luogo, con maggiore audacia, a una Chiesa marcatamente laicale. Alcune persone progressiste, durante il Sinodo si sono lamentate che le aspettative si concentrano sui viri probati invece che sul cammino di cui si ha bisogno in Amazzonia. Si tratta di dare maggiore autorità ai laici, e di accompagnarli perché possano prendere loro le redini della Chiesa in Amazzonia. Per questo Francesco chiede espressamente che non si confonda il sacerdozio con il potere. Francesco chiede che i laici in Amazzonia sviluppino di più le loro attribuzioni e capacità di organizzazione e gestione delle comunità. La discussione sui viri probati ha indotto alcuni a concentrarsi su questo invece di immaginare i cammini di una Chiesa marcatamente laicale”.

Siamo solo all’inizio, all’indicazione dell’orizzonte. Il ragionamento di Fernandez parte da un’idea molto interessante: è poco riformista chi risolverebbe il problema con una frasetta del papa che autorizza l’ordinazione dei preti sposati. Prima di tutto perché resterebbe in un orizzonte congiunturale, in una visione clericale, mentre il problema è cambiare l’orizzonte, dare vera autorità ecclesiale ai laici. In questa nuova Chiesa Francesco però come affronta il problema essenziale dell’eucaristia negata per l’assenza di sacerdoti? Il sinodo ha chiesto l’eccezione di poter ordinare uomini sposati.

Francesco rifiuta la richiesta del documento sinodale? Prosegue Fernandez: “Certamente, non si può neanche dire, come hanno detto alcuni, che Francesco ha chiuso le porte o ha escluso la possibilità di ordinare alcuni uomini sposati. Difatti, nell’introduzione Francesco limita gli obiettivi del suo documento scrivendo ‘Non svilupperò qui tutte le questioni abbondantemente esposte nel documento conclusivo’. Si riferisce al documento conclusivo del sinodo ed è chiaro che se il Papa non sviluppa alcuni punti non è perché li esclude ma perché non ha senso ripetere ciò che è già stato detto. Per la prima volta un’esortazione apostolica non vuole essere una interpretazione del documento conclusivo del Sinodo né una restrizione dei suoi contenuti, né un testo che lascia dietro di sé quello sinodale. È solo un accompagnamento e dice esplicitamente: Non pretendo di sostituirlo o di ripeterlo”. E aggiunge: “Tanto chiaro è che non pretende di sostituirlo che afferma di ‘presentarlo ufficialmente’ e chiede che tutti i vescovi e agenti pastorali dell’Amazzonia si impegnino nella sua applicazione. Questa è un’enorme novità sinodale che purtroppo non è stata notata”.

Il papa, sembra dirci quello che tante volte è stato definito “il suo teologo”, da tanti osservatori, è meno verticista di chi lo legge e magari lo accusa di verticismo. Dunque il testo sinodale è recepito dal Papa secondo queste parole che leggono con citazioni letterali e che colpiscono per l’autorevolezza dell’autore. Il percorso di sinodalizzazione della Chiesa dunque non sarebbe stato interrotto, ma accelerato. In effetti andandosi a rileggere l’esortazione apostolica vi è scritto proprio così al riguardo del documento sinodale: “Lo presento ufficialmente”.

Il tema del recepimento del documento sinodale evidentemente sta a cuore al teologo vescovo Fernandez, e si può dedurre che sta a cuore al Papa, altrimenti è difficile pensare che lo avrebbe scritto così. Ma continuiamo nella lettura del suo intervento.

“Al contempo mostra un’enorme apertura ai riti e alle espressioni indigene chiedendo che non le si accusi di essere pagani o idolatri e lascia spazio a un rito amazzonico. Nel sinodo si disse chiaramente che questo era il contesto adeguato per pensare alla possibilità dei viri probati”.

In effetti la sottolineatura della disattenzione nei confronti delle espressioni indigene è sorprendente perché coglie un aspetto non rilevato e che indica un’interiorizzazione della visione per cui queste spiritualità non ci interessano. Sembra invece interessare al vescovo di Roma, e Fernandez lo sottolinea. Tanto gli interessa che Fernandez ci fa notare che il testo contempla la possibilità di creare un rito amazzonico! Leggendo Fernandez si capisce che la grande novità sarebbe la creazione di una Chiesa cattolica di rito amazzonico. Questo sì sarebbe un cambiamento epocale, soprattutto per l’Amazzonia e chi la vive, ma anche per chi vi volesse ragionare sulle potenzialità della sinodalizzazione della Chiesa.

Riccardo Cristiano     “formiche” – www.formiche.net – 13 febbraio 2020

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt202002/200214cristiano.pdf

 

Dibattito – Esortazione postsinodale: fuori luogo e fuori tempo

L’esortazione Querida Amazonía riprende e rilancia il grido dei poveri / grido della terra di Laudato si’, anche se l’urgenza della crisi globale incalza e fa apparire lenta ogni conversione dei modelli. Il capitolo sulla Chiesa e la sua ministerialità invece cosa e chi ascolta? Pregare per le vocazioni, mandare missionari, mistica della femminilità: mancano solo i chierichetti. Rispondere così è come negare il cambiamento climatico. Quasi inutili queste ulteriori parole, mentre già da molte parti si sono levati commenti e considerazioni. Quasi inutili eppure doverose, proprio perché l’antico adagio «quello che riguarda tutti, da tutti deve essere trattato» è stato indicato anche di recente come orizzonte di esigente sinodalità.

            Dunque non ci sottraiamo a questo che è un compito, da svolgere con rigore e senza opportunismi, anche quando è sgradevole: e in questo caso senza dubbio lo è. È certo che il sogno – come non ricordare I have a dream del pastore battista Martin Luther King? – sociale, culturale ed ecologico che occupa buona parte del documento risponde a un’urgenza epocale e riprende una parte importante del dibattito sinodale e del lungo cammino di popolo che l’ha preceduto.

Meglio tardi che mai, si può dire ed è sicuro che sia così. Tuttavia tardi è tardi e alla devastazione dell’Amazzonia replicano i roghi dell’Australia, per limitarsi agli eventi più eclatanti, connessi anche se distanti: la giovane Greta Thunberg sa che comunque ci muoviamo, arriviamo ormai tardi e ne chiede ragione. Mentre mettiamo più che tiepidamente in atto risposte minime e del tutto insufficienti, troviamo magari pure che lei sia insistente, ossessiva, fuori luogo. Mentre noi siamo intanto comunque fuori tempo.

Donna e clericalismo. Paragonato a queste sfide, il sogno ecclesiale che occupa il IV capitolo dell’esortazione risulta qualcosa di marginale, di settoriale, di clericale. Pure, come già c’è stato modo di osservare rispetto al Documento finale1 un certo estrattivismo teologico ha portato a focalizzare tutte le reazioni almeno occidentali proprio su quella parte, cui veniva demandato quel sogno di sinodalità – piramide rovesciata si diceva… Chiesa e sinodo sono sinonimi… si ribadiva – che sembra così remoto nella pratica ecclesiale. Poteva sembrare effettivamente una posizione di comodo, ma aveva una sua plausibilità, perché la comunità cattolica di quell’enorme territorio mostra in grande tutte le contraddizioni che si vivono a scala ridotta nel vecchio mondo. Così reclutamento, formazione e disciplina del clero e questione dei compiti riconosciuti (e non solo svolti) dalle donne sono punti nevralgici in tutti quei contesti dove sia rimasta una plausibile esperienza ecclesiale cattolica. Non unici, ma significativi.

            Bene, proprio su questi aspetti Querida Amazonia non è solo lenta, di quella lentezza che può far sperare un profondo processo di discernimento. Non è lenta, è immobile, riproponendo, tra l’altro, per evitare il dibattito sull’ordinazione delle donne, il fantasma del clericalismo! Ma nella Lettera al popolo di Dio il clericalismo era una delle questioni più gravi della Chiesa, cattivo funzionamento e asimmetria espressi soprattutto da uomini della sua struttura: assurdo agitarlo come spauracchio di fronte alla ministerialità delle donne. Si è già scritto molto su tutto questo, sembra di sprecare energie a farlo nuovamente: è fuori luogo e fuori tempo.

            Non è cosa grave come la distruzione del pianeta, ovvio, ma è atteggiamento ancora più miope, dal momento che si tratterebbe di una questione ben più facilmente risolvibile che non lo stravolgimento dell’ecosistema. C’è tuttavia un peso, un freno, una zavorra che trattiene, se anche questioni documentate nella tradizione e attestate nella Scrittura sembrano montagne insormontabili: valga il caso delle diacone (per tacere di profetesse e apostole), valga il caso di vescovi per bene, sposati una sola volta e bravi padri di famiglia (cf. 1Tm 3,2).

            Perché i fantasmi evocati per le donne e il femminile sono gravi, ma il dibattito sul celibato del clero latino che ha accompagnato Querida Amazonia è quasi più rocambolesco, dopo che il Concilio ha chiaramente affermato che «la perfetta e perpetua continenza per il regno dei cieli (…) non è certamente richiesta dalla natura stessa del sacerdozio, come risulta evidente se si pensa alla prassi della Chiesa primitiva e alla tradizione delle Chiese orientali» (Presbiterorum ordinis, n. 16; EV 1/1296).

Certo, come argutamente osserva Stefano Sodaro, «Roma non locuta, causa non finita» e molte volte proprio in questi spazi di non locuzione si sono inseriti cambiamenti. Sempre tardivi, ovviamente, timidamente fuori tempo, quando ormai la frontiera del dibattito si è già spostata.

            Vi sono infatti dimensioni del reale che, come la fede, spostano anche le montagne, come sostiene la versione del tutto sovversiva che Slavoj Zizek (In difesa delle cause perse) dà dell’antico brocardo: Causa locuta, Roma finita. Ma del resto la realtà non è forse superiore all’idea?

«Galleggiano ombre di me, legni morti. / Ma la stella nasce senza rimprovero / sopra le mani di questo bambino, esperte, / che conquistano le acque e la notte. / Mi basti conoscere / che Tu mi conosci interamente, / prima dei miei giorni (P. Casaldáliga, Carta de navegar [Por el Tocantins amazónico])».

            Cristina Simonelli, presidente del Coordinamento delle teologhe italiane

Blog Il regno delle donne   13 febbraio 2020 Il Regno Attualità n. 4/2020, pag. 71

www.ilregno.it/attualita/2020/4/dibattito-esortazione-postsinodale-fuori-luogo-e-fuori-temp-cristina-simonelli

 

Leggi le opinioni di Noi Siamo Chiesa. Ma il documento sinodale indica il percorso per il futuro.

La lettura dei primi tre capitoli dell’Esortazione postsinodaleQuerida Amazonia” (“Un sogno sociale, “Un sogno culturale”, “Un sogno ecologico”) è interessante. Si percorre infatti l’itinerario precedente e contestuale al Sinodo che ha avuto una partecipazione corale dal basso, del tutto inconsueta per momenti di vita ecclesiale di questo tipo. In esso la Chiesa amazzonica ha dato il migliore contributo che esista per quanto riguarda un’analisi disincantata della situazione. Si passa dalla rapina delle risorse al disastro ecologico fino al racconto delle ricchezze culturali dei popoli indigeni, ora molto sofferenti per le violenze permanenti che subiscono e per la disgregazione che sopportano, costretti come sono da tempo a emigrazioni e a inurbazioni continue. “Il “bien vivir” dei popoli indigeni (quello che è sopravvissuto) “implica un’armonia personale, familiare, comunitaria e cosmica e si manifesta nel modo comunitario di pensare l’esistenza, nella capacità di trovare gioia e pienezza in una vita austera e semplice, come pure nella cura responsabile della natura che preserva le risorse per le generazioni future”. Il testo denuncia senza riserve “l’ingiustizia e il crimine” ed è anche ricco nel descrivere le diversità e la complessità dei popoli amazzonici.

Il quarto capitolo (“Un sogno ecclesiale”) contiene invece quanto riguarda più direttamente la Chiesa. Parla ampiamente dell’inculturazione, si sofferma sulla assoluta necessità ed opportunità che laici, e donne in particolare, continuino nel ruolo che già svolgono di dare continuità alla vita di tante piccole e disperse comunità. Forte è la sottolineatura dell’importanza dell’Eucaristia come momento indispensabile della vita del Popolo di Dio. Ma il passaggio fondamentale, ed il più atteso, che permetterebbe veramente di andare nella direzione dell’inculturazione, quello dell’accettazione della proposta dei viri probati viene ignorato, cioè bocciato. Si ricorre a una descrizione del ruolo del “sacerdote” (non del “presbitero”) che sembra scritta dall’ex S. Uffizio. Per quanto riguarda il diaconato femminile, dopo molti riconoscimenti ai ruoli femminili, identica posizione negativa. Dice il testo, “in realtà questa visione limiterebbe le prospettive, ci orienterebbe a clericalizzare le donne, diminuirebbe il grande valore di quanto esse hanno già dato e sottilmente provocherebbe un impoverimento del loro indispensabile contributo”. Sorprendente davvero questa affermazione che boccia il diaconato femminile ben aldilà dei confini dell’Amazzonia. Ci appare evidente una contraddizione tra la proclamata volontà di accettare pienamente sensibilità e culture che vengono da lontano e che esigono riconoscimenti ed accoglienza con il dovere di riconoscere nuovi ministeri e, in particolare, di facilitare l’assemblea eucaristica comunitaria, il cui ruolo, peraltro, viene enfatizzato. Tutto ciò per rispettare la norma canonica del celibato dei preti che, applicata nello specifico, ci appare contraddire, in modo poco evangelico, le legittime attese del popolo cristiano dei paesi amazzonici e di cui a larga maggioranza il Sinodo auspica il cambiamento.

Altre proposte significative, per le quali il ruolo del Vaticano è importante, sono ignorate. Pensiamo alla richiesta di “ridimensionare le vaste aree geografiche delle diocesi, dei vicariati e delle ‘prelature”, di creare un fondo amazzonico per il sostegno all’evangelizzazione, di sensibilizzare e incoraggiare le agenzie internazionali di cooperazione cattolica a sostenere le attività di evangelizzazione al di là dei progetti sociali.”, di creare strutture post sinodali amazzoniche. Il Sinodo ha anche chiesto “l’elaborazione di un rito amazzonico che esprima il patrimonio liturgico, teologico, disciplinare e spirituale dell’Amazzonia”. E’ una proposta molto importante ma i nuovi riti devono essere approvati da Roma! Inoltre il Sinodo ha ipotizzato la creazione di una Università amazzonica.

            Il nostro profondo disappunto si unisce a considerazioni più generali sulla collocazione dell’Esortazione all’interno di questo momento particolare della vita ecclesiale. Noi, insieme a molti altri, pensiamo che questo testo sia stato fortemente condizionato dalla questione tedesca dove il Percorso Sinodale, là appena avviato, ha fatto intravvedere dall’inizio una posizione esplicita a favore del celibato facoltativo dei preti e del diaconato femminile. Quindi papa Francesco ha penalizzato la cristianità in Amazzonia per bloccare la Chiesa in Germania (ed anche altrove, per esempio, in Australia)?

Il testo dell’Esortazione ci sembra che rafforzi il clericalismo che lo stesso Francesco vuole combattere, contraddice l’opinione che ci sembra diffusa nel laicato cattolico favorevole al celibato facoltativo, rafforza molto i conservatori di ogni tipo, da quelli corretti a quelli sleali in Curia e fuori, che non conoscono il Vangelo che condanna i loro idoli. Al di là della nostra posizione critica, non possiamo accettare che questo testo sia una svolta nel pontificato. Ci sembra di grande importanza il testo sinodale, che lo stesso Francesco “invita a leggere integralmente esortando tutti ad impegnarsi nella sua applicazione perché possa ispirare in qualche modo tutte le persone di buona volontà”. Esso indica la via per il futuro, quando non potrà non essere recepito. E’ un vero peccato che papa Francesco si sia trovato in difficoltà nell’accettarlo todo corde.

                                Noi Siamo Chiesa  12 febbraio 2020

www.noisiamochiesa.org/?p=7874

 

Ecco le 6 poesie citate da Papa Francesco in “Querida Amazonia”. Perché le ha scelte?

I poeti, che raccontano l’Amazzonia, «contemplativi e profetici», ci aiutano a «liberarci dal paradigma tecnocratico e consumista che soffoca la natura e ci priva di un’esistenza realmente dignitosa»

 “Nessun sogno è irraggiungibile quando chi lo suscita, o lo coltiva nel cuore, è lo spirito di Dio”.

E’ un Papa che sogna, e che, al contempo, offre suggerimenti concreti per cambiare il destino dell’Amazzonia. Ecco perché nell’esortazione “Querida Amazonia” si affida anche alla poesia per raccontare la bellezza violata e sfregiata dall’uomo nel “polmone verde del mondo”.

1)      “Sto vivendo con la pioggia”. La prima poesia citata dal Papa si lega alla visione della vita che hanno gli indigeni. Una visione molto diversa da quella nostra, “occidentale”. «Senza sminuire l’importanza della libertà personale – dice il Papa – va sottolineato che i popoli originari dell’Amazzonia possiedono un forte senso comunitario. Essi vivono così “il lavoro, il riposo, le relazioni umane, i riti e le celebrazioni. Tutto è condiviso, gli spazi privati – tipici della modernità – sono minimi” (…). Le relazioni umane sono impregnate dalla natura circostante, perché gli indigeni la sentono e la percepiscono come una realtà che integra la loro società e la loro cultura, come un prolungamento del loro corpo personale, familiare e di gruppo sociale»:

 “Quella stella si avvicina

aleggiano i colibrì

più che la cascata tuona il mio cuore

con le tue labbra irrigherò la terra

che su di noi giochi il vento”.

autore: Yana Lucila Lema                                      titolo: Tamyahuan Shamakupani (Con la lluvia estoy viviendo)

«Questo moltiplica l’effetto disintegratore dello sradicamento che vivono gli indigeni – sottolinea Francesco – che si vedono obbligati a emigrare in città, cercando di sopravvivere, a volte anche in maniera non dignitosa, tra le abitudini urbane più individualiste e in un ambiente ostile. Come sanare un danno così grave? Come ricostruire quelle vite sradicate? Di fronte a una tale realtà, bisogna apprezzare e accompagnare tutti gli sforzi che fanno molti di questi gruppi sociali per conservare i loro valori e stili di vita e integrarsi nei nuovi contesti senza perderli, anzi, offrendoli come contributo al bene comune».

2) “Llamado” La seconda poesia prova a scavare dentro la vita del popolo amazzonico. «Ogni popolo che è riuscito a sopravvivere in Amazzonia – osserva il pontefice – possiede la propria identità culturale e una ricchezza unica all’interno di un universo multiculturale, in forza della stretta relazione che gli abitanti stabiliscono con l’ambiente, in una simbiosi – non deterministica – difficile da comprendere con schemi mentali esterni»:

“C’era una volta un paesaggio

che appariva col suo fiume i suoi animali,  

le sue nuvole, i suoi alberi.

A volte però, quando da nessuna parte si vedeva il paesaggio col suo fiume e i suoi alberi,

a queste cose toccava apparire nella mente di un ragazzo”.

“Del fiume fa’ il tuo sangue […].

Poi piantati, germoglia e cresci

che la tua radice si aggrappi alla terra perpetuamente,

e alla fine sii canoa, scialuppa, zattera, suolo, giara, stalla e uomo”.

autore: Javier Yglesias                          titolo: “Llamado”, in Revista peruana de literatura

I gruppi umani, i loro stili di vita e le loro visioni del mondo, «sono vari tanto quanto il territorio – sentenzia Francesco – avendo dovuto adattarsi alla geografia e alle sue risorse (..). In Amazzonia incontriamo inoltre migliaia di comunità indigene, afro-discendenti, rivierasche e abitanti città, che a loro volta sono molto diverse tra loro e ospitano una grande diversità umana. Attraverso un territorio e le sue caratteristiche Dio si manifesta, riflette qualcosa della sua inesauribile bellezza. Pertanto, i diversi gruppi, in una sintesi vitale con l’ambiente circostante, sviluppano una forma peculiare di saggezza».

3. “Il Rio delle Amazzoni”. La terza poesia celebre il grande fiume, “anima” dell’Amazzonia. «L’acqua – afferma il Papa – abbaglia nel gran Rio delle Amazzoni, che raccoglie e vivifica tutto all’intorno»:

“Rio delle Amazzoni

capitale delle sillabe dell’acqua, padre patriarca, sei

l’eternità segreta

delle fecondazioni,

a te scendono fiumi come uccelli”.

autore: Pablo Neruda                                            titolo: “Amazonas”, in Canto General

   «È inoltre la colonna vertebrale – sottolinea il pontefice – che armonizza e unisce: “Il fiume non ci separa, ci unisce, ci aiuta a convivere tra diverse culture e lingue”. Per quanto sia vero che in questo territorio ci siano molte “Amazzonie”, il suo asse principale è il grande fiume, figlio di molti altri fiumi».

4) “Per vivere un grande amore”. La quarta poesia racconta l’importanza dei versi per descrivere una dimensione dei luoghi che la società consumistica tende a non considerare. «I poeti popolari – scrive Francesco – che si sono innamorati della sua immensa bellezza, hanno cercato di esprimere quanto il fiume faceva loro percepire, e la vita che dona al suo passaggio, in una danza di delfini, anaconda, alberi e canoe. Ma pure deplorano i pericoli che lo minacciano. Questi poeti, contemplativi e profetici, ci aiutano a liberarci dal paradigma tecnocratico e consumista che soffoca la natura e ci priva di un’esistenza realmente dignitosa»:

    “Il mondo soffre per la trasformazione dei piedi in gomma,

    delle gambe in cuoio, del corpo in tessuto e della testa in acciaio […].

    Il mondo soffre per la trasformazione della pala in fucile,

    dell’aratro in carro armato,

    dell’immagine del seminatore

    che sparge semi in quella dell’automa con i suoi lanciafiamme,

    dalla cui semina germogliano deserti.

    Solo la poesia, con l’umiltà della sua voce,

    potrà salvare questo mondo”.

   autore: Vinicius de Moraes                     titolo: Para vivir un gran amor

5) “Coloro che hanno creduto”. La quinta poesia «aiuta ad esprimere una dolorosa sensazione che oggi in molti condividiamo. La verità ineludibile – dice il Papa – è che, nelle attuali condizioni, con questo modo di trattare l’Amazzonia, tanta vita e tanta bellezza stiano “prendendo la direzione della fine”, benché molti vogliano continuare a credere che non è successo nulla»:

    “Quelli che credevano che il fiume fosse una corda per giocare si sbagliavano.

    Il fiume è una vena sottile sulla faccia della terra. […]

    Il fiume è una fune a cui si aggrappano animali e alberi.

    Se tirano troppo forte, il fiume potrebbe esplodere.

    Potrebbe esplodere e lavarci la faccia con l’acqua e con il sangue”.

    autore: Juan Carlos Galeano                                 titolo: “Los que creyeron”, in Amazonia y otros poemas

6) “La carta dei naviganti”. Nella sesta ed ultima poesia, Francesco spiega che «va apprezzato lo spirito indigeno dell’interconnessione e dell’interdipendenza di tutto il creato, spirito di gratuità che ama la vita come dono, spirito di sacra ammirazione davanti alla natura che ci oltrepassa con tanta vita». Tuttavia, prosegue, «si tratta anche di far sì che questa relazione con Dio presente nel cosmo diventi sempre più la relazione personale con un Tu che sostiene la propria realtà e vuole darle un senso, un Tu che ci conosce e ci ama»:

    “Galleggiano ombre di me, legni morti.

    Ma la stella nasce senza rimprovero

    sopra le mani di questo bambino, esperte,

    che conquistano le acque e la notte.

    Mi basti conoscere

    che Tu mi conosci interamente,

    prima dei miei giorni”.

    autore: Pedro Casaldáliga                                    titolo: “Carta de navegar” (Por el Tocantins amazónico)

«Allo stesso modo – chiosa il pontefice – il rapporto con Cristo, vero Dio e vero uomo, liberatore e redentore, non è nemico di questa visione del mondo marcatamente cosmica che caratterizza questi popoli, perché Egli è anche il Risorto che penetra tutte le cose».

Gelsomino Del Guercio          Aleteia              12 febbraio 2020

https://it.aleteia.org/2020/02/12/6-poesie-papa-francesco-esortazione-apostolica-querida-amazonia/?utm_campaign=NL_it&utm_source=daily_newsletter&utm_medium=mail&utm_content=NL_it

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GENITORIALITÀ

Diventare mamma e papà 

Avere i figli non è solo un atto privato ma in Italia manca una strategia di sostegno alle famiglie.

Le ricerche ci dicono che il desiderio di avere dei figli e costituire una famiglia rimane molto popolare tra i giovani. In Italia, secondo i dati forniti dall’Osservatorio dell’Istituto Toniolo, ancora oggi due ragazzi su tre considerano diventare genitori come una dimensione fondamentale della propria realizzazione. Sappiamo però che le cose vanno in ben altro modo. Secondo i dati appena resi noti dall’Istat, nel 2019 in Italia il numero delle nascite zero è stato pari circa a 435.000, meno della metà rispetto ai nati del 1974 e minimo storico dall’Unità d’Italia. Con un’ulteriore flessione del tasso di fecondità (1,29 figli per donna, fanalino di coda in Europa) e i tanti giovani che lasciano il Paese (in 10 anni abbiamo perso 250.000 giovani), da cinque anni l’Italia segna un bilancio demografico negativo (nel 2019 -1,9 per 1.000 residenti). Per molti dei nostri giovani l’aspirazione a diventare padri e madri è destinata a non realizzarsi mai. O almeno a essere rinviata sine die.

Le ragioni culturali — legate all’instabilità delle relazioni affettive — non bastano a spiegare la situazione. L’inverno demografico del nostro Paese rivela un grave ritardo nel capire, prima ancora che nel contrastare, le cause di una difficoltà che non sta solo penalizzando una intera generazione, ma anche compromettendo ogni prospettiva di rilancio. L’Italia si trova così a vivere in modo particolarmente acuto uno dei paradossi delle società contemporanee che, se non governate, finiscono per negare la stessa facoltà di scelta individuale di cui si riempiono retoricamente la bocca. Infatti, le condizioni nelle quali vivono i nostri giovani — dal punto di vista del lavoro (con salari bassi, precarietà persistente e percorsi di carriera stentati, specie per le donne in età fertile), della casa (con un mercato immobiliare che continua a essere caratterizzato da valori sproporzionati) e dei servizi (con la scarsità e il costo degli asili nido) — sono tali da rendere molto difficile la decisione di formare una famiglia. Il problema nasce dal fatto che in Italia, più che altrove, ci si ostina a non collocare la questione demografica nella giusta cornice. Che è quella della sostenibilità integrale, per la quale l’elemento intergenerazionale è essenziale.

            Il confronto internazionale (in primis con la Francia, dove una politica lungimirante ha riportato il tasso di fertilità a 2,01 bambini per donna) mostra chiaramente che solo un’azione mirata e prolungata permette di affrontare la questione. Se si vuole restituire ai nostri giovani la possibilità di scegliere di costruire una famiglia occorre dunque mettere in campo una strategia complessiva. Non singole misure spot come si è fatto negli ultimi decenni. Per questo, prima ancora di mettersi a elencare i vari interventi possibili, occorre superare la contesa ideologica (famiglia sì, famiglia no) che ha occupato il dibattito pubblico nel nostro Paese e convenire finalmente su una visione positiva e realista.

            In primo luogo, mettere al mondo, accudire e educare i figli non è semplicemente un atto privato, che riguarda chi decide di darlo, ma è una decisione che ha rilievo di interesse generale. Un contributo allo sviluppo della società italiana nella prospettiva della sostenibilità integrale di lungo periodo.

            In secondo luogo, in una società avanzata esistono tanti tipi di famiglia, più o meno stabili. Sappiamo anche, però, che il lavoro di cura è un lavoro difficile che si estende su almeno due decenni. Per quanto oggi un tale compito non possa più essere fatto ricadere solo sulla famiglia – che spesso non è nella condizione di poterlo fare – rimane il fatto che il suo svolgimento sia più facile (e meno costoso) se si è in due: è nell’interesse sociale che il nucleo familiare abbia una certa stabilità.

            In terzo luogo, è in atto nella vita sociale una lenta ma profonda rinegoziazione dei rapporti di genere. Su tanti piani diversi. Da qualunque parte la si voglia prendere, al cuore c’è la questione femminile. Tanto più se si tiene conto che il livello di studio delle ragazze è oggi superiore a quello dei ragazzi. Se non si affronta e si risolve — dentro e fuori la famiglia (a cominciare dall’ambito lavorativo) — la questione femminile, non sarà possibile nessun rilancio. Né economico né demografico.

            In quarto luogo, la famiglia non è una cellula autosufficiente. Non lo è mai stata e lo è ancora meno oggi. Il suo nucleo più intimo può esistere e funzionare solo dentro un ecosistema. E poiché il contesto tradizionale (fatto di reti parentali e di vicinato) non esiste più, ne va costruito uno nuovo. Vale qui il vecchio detto africano «per crescere un bambino ci vuole un villaggio». Cioè una comunità. Che oggi va ricostituita tessendo una rete di spazi, contesti, servizi. Quando questo non accade, si arriva al paradosso che il mettere al mondo figli diventa un privilegio di chi sta bene.

            Infine, va riconosciuto e premiato il ruolo educativo della famiglia. Tutto ciò che i genitori spendono per far sviluppare le doti e le capacità dei propri figli — in ambito scolastico, professionale, artistico, sportivo e così via — va considerato come un investimento che ha nel formare persone e cittadini migliori il suo ritorno sociale.

Mauro Magatti, sociologo                  Corriere della sera     11 febbraio 2020

www.corriere.it/opinioni/20_febbraio_11/10-cultura-aprecorriere-web-sezioni-20c92c3c-4d06-11ea-abdf-2e1b18f873ec.shtml?refresh_ce-cp

 

Per De Rita non solo economia fa rima con democrazia

 “Si rifiutano i sacrifici che i figli richiedono”

Analisi secca, senza sfumature: «Per riempire le culle non bastano bonus o asili nido gratis. Bisogna lavorare sul tessuto sociale e ricostruire un’idea di comunità». Il sociologo Giuseppe De Rita, fondatore del Censis ed ex presidente del Cnel, attribuisce il crollo delle nascite a «una dinamica culturale malata». Prende in mano i dati sulla natalità a partire dagli anni 70 e li mette a confronto con quella che chiama la «cetomedizzazione» dell’Italia.

Qual è la tendenza in corso?

«In Italia la denatalità è un dato ormai strutturale. Ciò provoca un danno anche economico. Per anni la dottrina tradizionale riteneva l’elevata natalità un moltiplicatore delle possibilità di povertà».

Poi cosa è cambiato?

«Ora la prospettiva sociologica si è capovolta: la denatalità diminuisce la ricchezza sociale attraverso effetti negativi sulla mobilità economica e sulla psicologia collettiva. Le culle sempre più vuote sono il risultato di un Paese impaurito, ripiegato sul presente, incapace di pensare al futuro».

Problema solo culturale?

«Non solo. C’è un narcisismo di massa che fa temere al ceto medio un progressivo impoverimento. Non si è più disposti a fare sacrifici per proiettare in avanti, attraverso i figli, le proprie speranze. Il crollo delle nascite nell’ultimo decennio sarebbe stato ancora più verticale se l’Italia non avesse goduto dell’effetto compensatorio della fecondità delle straniere».

Cosa deve fare la politica?

«C’è un quadro di incertezza occupazionale ed economica che contribuisce a una profonda revisione anche dei modelli culturali relativi alla procreazione. E’ un paradigma sociale segnato dalla tendenza a rinviare i momenti di passaggio alla vita adulta, soprattutto la scelta coraggiosa di diventare genitori».

Qual è l’alternativa?

«Si preferisce divertirsi o mettere da parte risorse in vista di qualche investimento o nel timore di esigenze future. Quello che entra in cassa viene messo a risparmio invece che a consumo. Fare figli è ritenuto un salto nel buio».

Quanto ha inciso la crisi economica di questo decennio?

«La crisi ha pesato su tutto, anche sulla voglia di avere figli. Ma non è detto che le coppie sarebbero più propense ad allargare la famiglia se migliorassero gli interventi pubblici. E’ un problema più profondo, di mentalità e di dittatura dell’io. Una società che non sa più dire “noi” non fa figli. Si è perso l’equilibrio nei rapporti sociali necessario per stare bene insieme, uno accanto all’altro. Per uscire dall’inverno demografico occorre rimboccarsi le maniche. Servono umiltà, volontà di fare, capire, migliorarsi. Altrimenti è la decadenza».

Cosa è cambiato dal 2008?

«Il ceto medio di natura impiegatizia ha peggiorato la propria condizione, si è precarizzato e ha introiettato insicurezze e rabbia che prima non aveva. Invece di un salto di qualità c’è stato un balzo all’indietro generalizzato».

E ciò a cosa è dovuto?

«L’egolatria dei social riduce gli orizzonti mentali e impedisce di accettare la sfida della genitorialità. Sono cresciuti timori, risentimento, autoreferenzialità. Tutti dicono che in Italia non c’è più un euro, ma non è vero. Aumentano i depositi bancari, le polizze vita, il risparmio nei fondi d’investimento, i soldi provenienti dall’economia sommersa e nascosti nel materasso. Lo conferma il fatto che in giro sono introvabili le banconote da 200 euro. Se non si fanno figli è soprattutto perché non si vuole ridimensionare tenore di vita, abitudini e comodità. I figli costano e obbligano eterni Peter Pan a uscire da loro egoismo». ».

Tanti vanno all’estero.

«Le nuove generazioni, quelle in età fertile, vanno a studiare o lavorare all’estero e lasciano il Paese al suo declino. La metafora della mucillagine rende bene l’idea: monadi scomposte che si riaggregano in poltiglie indistinte, senza un collante che le unisca in nome di un bene comune o di un progetto familiare. Non c’è più la speranza di migliorare, di crescere».

www.santalmassiaschienadritta.it/2020/02/per-de-rita-non-solo-economia-fa-rima-con-democrazia-di-giacomo-galeazzi.html

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MIGRANTI

Nel 2019 reinsediati 63.696 rifugiati su 1,4 milioni

I dati forniti dall’Unhcr [United Nations High Commissioner for Refugees – Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati]: soddisfatto solo il 4,5% delle esigenze a livello mondiale. L’appello ai governi affinché mettano a disposizione ulteriori posti.  Degli 1,4 milioni di rifugiati che si stima necessitino di essere reinsediati con urgenza a livello mondiale, solo 63.696 sono stati reinsediati l’anno scorso tramite Unhcr. Come fa sapere l’Alto commissariato in una nota, è stato così soddisfatto solo il 4,5% delle esigenze di reinsediamento a livello mondiale nel 2019, per questi si fa appello ai governi affinché mettano a disposizione ulteriori posti.

            Come si legge ancora nel comunicato, sebbene lo scorso anno il numero di rifugiati reinsediati sia cresciuto moderatamente del 14% rispetto all’anno precedente – nel corso del quale le persone reinsediate erano state 55.680 -, continua a esservi un divario enorme tra le esigenze di reinsediamento e i posti messi a disposizione dai governi in tutto il mondo. «Il reinsediamento non rappresenta una soluzione a disposizione di tutti i rifugiati su scala mondiale ma costituisce una misura salvavita volta ad assicurare la protezione di coloro che sono maggiormente a rischio e le cui vite spesso dipendono da essa», ha dichiarato Grainne O’Hara, direttrice dell’Unhcr per la Protezione internazionale.

            Il numero più elevato di partenze facilitate dall’Unhcr nell’ambito del programma di reinsediamento l’anno scorso ha avuto per destinazione gli Stati Uniti, seguiti da Canada, Regno Unito, Svezia e Germania. Dei più di 63mila rifugiati reinsediati l’anno scorso, la maggior parte era originaria di Siria, Repubblica Democratica del Congo, e Myanmar. Come evidenzia l’Agenzia Onu, incrementare le opportunità di reinsediamento ed avvalersi degli altri canali complementari di ammissione messi a disposizione dei rifugiati, tra i quali il ricongiungimento familiare e l’accesso a percorsi professionali e di studio, costituisce uno degli obiettivi chiave del Global Compact sui rifugiati. Per gli Stati inoltre il reinsediamento rappresenta una modalità concreta di condivisione delle responsabilità che permette di mostrare solidarietà nei confronti di quei Paesi che accolgono popolazioni rifugiate di vaste dimensioni.

            Al fine di incrementare il numero di posti per il reinsediamento e di ammissioni, nonché quello di Paesi che partecipano a tali programmi, l’anno scorso è stata lanciata una Strategia triennale su reinsediamento e canali complementari (Three-Year Strategy on Resettlement and Complementary Pathways) promossa da governi, organizzazioni non governative, società civile e Unhcr. Nonostante l’obiettivo di 60mila partenze verso 29 Stati differenti fissato dalla Strategia per il reinsediamento sia stato raggiunto, sulla base delle previsioni attuali l’Unhcr esprime preoccupazione in merito al fatto che, quest’anno, sarà reinsediato un numero inferiore di rifugiati. Nel 2020, l’obiettivo è che, nell’ambito del programma, 31 Paesi possano accogliere fino a 70mila rifugiati mediante l’intervento dell’Agenzia Onu.

L’Unhcr e l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) hanno lanciato congiuntamente l’Iniziativa per l’implementazione di un programma di reinsediamento e di canali complementari sostenibili (Sustainable Resettlement and Complementary Pathways Initiative – Crisp), al fine di realizzare le attività previste per il conseguimento degli obiettivi definiti dalla Strategia triennale e, a tal fine, rivolgono un appello agli Stati affinché assicurino il sostegno finanziario richiesto di 19,9 milioni di dollari.

Redattore sociale                    Romasette      6 febbraio 2020

www.romasette.it/nel-2019-reinsediati-63-696-rifugiati-su-14-milioni

 

Gli stranieri ci invadono?

«Ecco un’altra fake news sull’immigrazione. Dati alla mano, vediamo perché non è così» lo afferma la Fondazione Leone Moressa    www.fondazioneleonemoressa.org

Lo stereotipo è, per definizione, un’opinione «precostituita, generalizzata e semplicistica, che non si fonda cioè sulla valutazione personale dei singoli casi ma si ripete meccanicamente, su persone o avvenimenti e situazioni». Lo stereotipo ha quasi sempre, dunque, una base di verità, dato che generalmente nasce dall’osservazione empirica di un elemento realmente esistente. La distorsione sta però nella generalizzazione di quel dato, che viene quindi utilizzato come modello anche in contesti e ambiti differenti: «Gli stranieri ci invadono? Ecco un’altra fake news sull’immigrazione, alimentata da una teoria complottista nota come “piano Kalergi”. Dati alla mano, vediamo perché non è così», lo afferma la Fondazione Moressa (Studi e ricerche sull’immigrazione e l’economia) nel suo ultimo Rapporto: Gli stranieri ci invadono? – Analisi e considerazioni sulle dinamiche demografiche in corso in Italia e in Europa. Allo scopo di diffondere la conoscenza del valore economico degli stranieri in Italia, la Fondazione Leone Moressa (nata nel 2002 da un’iniziativa della Associazione Artigiani e Piccole Imprese di Mestre Cgia) promuove la ricerca scientifica rivolta allo studio dell’immigrazione attraverso la raccolta e l’elaborazione di dati e informazioni sul fenomeno migratorio e sui rapporti multietnici.

I dati analizzati dall’istituto di ricerca e resi pubblici consentono di affermare che non c’è un «pericolo d’invasione dell’Italia (e nemmeno dell’Europa) da parte degli immigrati». Anzi, «il declino demografico in corso richiederà in futuro una maggior presenza di forza lavoro giovane, per controbilanciare l’aumento della componente anziana», in continuo aumento.

La migrazione è un fenomeno globale, non coinvolge solo l’Italia o l’Europa. Secondo le Nazioni Unite sono 272 milioni le persone residenti in un Paese diverso da quello di nascita (migranti internazionali), ovvero il 3,5% della popolazione mondiale. Si tratta di un fenomeno che coinvolge tutti i continenti, tanto che i primi Paesi per numero di immigrati sono Stati Uniti, Arabia Saudita, Germania e Russia.

            «La migrazione – si legge ancora – non segue necessariamente una rotta Sud-Nord, ma generalmente si realizza tra paesi vicini, nella stessa regione geografica. Questo è ancor più vero per le migrazioni forzate (c.d. profughi): il 58% dei profughi nel mondo è ancora all’interno del Paese d’origine (sfollati interni), mentre i principali Paesi di accoglienza sono Turchia, Pakistan e Uganda».

            Nemmeno l’assunto che la migrazione proceda da Paesi poveri a Paesi ricchi è valido in assoluto. «Negli ultimi anni l’Ue ha registrato tassi di crescita nettamente inferiori rispetto alla media mondiale e soprattutto rispetto alle aree principali di emigrazione, come Africa e Asia. In tutta l’Ue la popolazione straniera (includendo cittadini comunitari in altri Paesi membri) rappresenta il 7,8% della popolazione totale.

Presentano valori sopra la media i Paesi più popolosi come Germania (11,7%) e Regno Unito (9,5%). L’Italia, con 5,2 milioni di stranieri residenti, si colloca leggermente al di sotto degli altri grandi Paesi Ue, caratterizzati peraltro da una storia migratoria più lunga e dà continuità linguistiche e culturali con i Paesi d’origine».

Negli ultimi anni, anzi, l’immigrazione in Italia è diminuita: «i Permessi di Soggiorno per lavoro sono stati ridotti drasticamente (-96,1% dal 2010 al 2018), mentre l’aumento dei motivi umanitari non ha comunque portato questa componente ad essere la principale, seconda dietro ai ricongiungimenti familiari. Gli immigrati presenti oggi in Italia, dunque, non sono principalmente quelli arrivati negli ultimi anni via mare. Sono invece in maggioranza nazionalità radicate nel nostro Paese da almeno vent’anni, come Romania, Albania, Marocco, Cina, Ucraina. Anche l’identikit dell’immigrato in Italia è profondamente diverso rispetto a quello che comunemente si immagina: si tratta in prevalenza di donne (51,7%), di cittadini di provenienza europea e di religione cristiana».

Tornato alla ribalta con la crisi migratoria del 2015, il «piano Kalergi» è un’ipotesi di complotto «che va per la maggiore negli ambienti della destra radicale europea – scrive Alberto Magnani su Il Sole 24 Ore sfatando una serie di miti complottistici e spiegando l’ossessione legata a George Soros, con ampia visibilità anche nella politica nazionale e nei talk show italiani. In sintesi, si tratta di un progetto di sostituzione etnica per rimpiazzare i cittadini europei, rincalzandoli con la deportazione di masse da altri continenti. L’ispiratore sarebbe stato Richard Nikolaus Eijiro [*Tokyo 16 novembre 189 – 27 luglio 1972,] meglio noto appunto come conte di Coudenhove-Kalergi: un politico austriaco-giapponese, pioniere teorico del paneuropeismo (una corrente di pensiero favorevole all’integrazione europea, poi confluita nei progetti politici comunitari). Davvero il conte di Kalergi pianificava una sorta di «genocidio bianco» a danno dei cittadini europei? Come è prevedibile, no.

In una pubblicazione del 1925, «Praktischer idealismus» (Idealismo pratico), Kalergi parla effettivamente di «meticciato» (Rassenmischung), ma in un’ottica ben diversa da quella che gli è stata attribuita decenni dopo. Il meticciato in questione si riferisce all’integrazione fra popoli europei, come argine alle conflittualità che sarebbero esplose di lì a breve nella seconda guerra mondiale. La versione complottista dell’idealismo di Kalergi è successiva e “merito” di Gerd Honsik, un neonazista austriaco morto nel 2018 e noto per le sue pubblicazioni negazioniste. In un libro del 2005, intitolato «Fermiamo il piano Kalergi!», Honsik attribuisce al politico il progetto di un «genocidio per annientare i popoli europei attraverso le migrazioni dall’Africa e dall’Europa».

Redazione Torino       Riforma          5 febbraio 2029

https://riforma.it/it/articolo/2020/02/05/gli-stranieri-ci-invadono?utm_source=newsletter&utm_medium=email

 

Tra i migranti in Italia anche migliaia di minori non accompagnati (ANSA)

Minori invisibili: 5 mila piccoli migranti scomparsi in Italia. Che fine fanno i minori migranti non accompagnati che giungono in Italia? Sono oltre 6 mila quelli censiti ufficialmente a fine 2019 dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, inseriti in programmi di assistenza. Altri 5 mila sono però svaniti nel nulla. Appello di Save the Children: chi arriva in Italia arriva in Europa.

Li vediamo scendere dalle navi, che li hanno soccorsi in mare, altri arrivano su barconi di fortuna che approdano di notte in luoghi nascosti delle coste italiane, altri ancora sfuggono ai controlli delle frontiere terrestri: migliaia di minori non accompagnati, in massima parte ragazzi adolescenti, ma ci sono tra loro anche ragazzine e bambini. E’ la fotografia inquietante dei piccoli e giovanissimi migranti lasciati soli ad affrontare le intemperie fisiche e psichiche della vita, ad orientarsi nel mondo degli adulti.

Seimila minori stranieri non accompagnati. Ogni mese il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, attraverso la Direzione generale dell’immigrazione e delle politiche dell’integrazione, presenta un report sui minori stranieri non accompagnati (msna) in Italia. Al 31 dicembre 2019 quelli presenti e censiti risultavano 6.054, quasi il 95% maschi, di cui 5.740 di età compresa tra i 15 e 17 anni, oltre a 270 bambini tra 7 e 14 anni e 44 sotto i 6 anni. Sono numeri solo indicativi, che variano continuamente, frutto di attività di monitoraggio sul territorio, passibili quindi di stime in difetto.

Paesi di maggiore provenienza: Albania, Egitto, Pakistan. Riguardo la provenienza, in cima alla lista dei 35 Paesi con maggiori presenze è l’Albania con 1.676 minori, seguita da Egitto 531 e Pakistan 501 e poi molti altri Stati africani (Costa d’Avorio, Tunisia, Gambia, Senegal, Guinea, Mali, Nigeria, Marocco, Somalia, Eritrea, Ghana, Sudan, Camerun, Sierra Leone, Guinea Bissau, Burkina Faso, Etiopia, Benin, Repubblica democratica del Congo, Ciad, Algeria, Guinea equatoriale) ma anche asiatici (Bangladesh, Afghanistan, Iraq, India, Siria) ed europei (Kosovo, Ucraina e Moldova), oltre che Turchia e Perù.

Cinquemila risultano irreperibili. Il report ministeriale registra anche i minori arrivati da soli in territorio italiano, che si sono poi resi irreperibili alle autorità: a fine 2019 questi erano 5.383, scomparsi nel nulla nel corso degli anni. Ma qual è l’iter di questi giovanissimi migranti, una volta che vengono registrati dalla autorità competenti e quale sorte può essere toccata a quelli svaniti nel nulla? Raffaella Milano, direttrice del programma Italia-Europa dell’organizzazione umanitaria Save the Children, lancia un appello perché sia attivata una rete europea di protezione per tutti questi minori.

Ascolta l’intervista a Raffaela Milano

https://media.vaticannews.va/media/audio/s1/2020/02/03/15/135464758_F135464758.mp3

 I minori non accompagnati, che sono registrati ufficialmente nel nostro Paese, hanno la possibilità per la legge italiana di essere accolti e di essere accompagnati fino alla maggiore età. Una delle preoccupazioni che noi come Save the Children abbiamo e che abbiamo espresso anche alle istituzioni è di fare in modo che però anche al passaggio alla maggiore età questo investimento, anche di educazione a scuola e d’inserimento professionale che si è fatto, non venga perso e che quindi le procedure per consentire ad un neomaggiorenne di rimanere legalmente in Italia siano procedure effettive, efficaci perché sono dei percorsi di crescita che vanno custoditi. La legge Sandra Zampa che riguarda i minori stranieri non accompagnati ha previsto una figura, quella del tutore volontario, cioè un adulto di riferimento, che accompagna il minore nella sua crescita. E c’è da registrare positivamente, che più di 3 mila persone in Italia si sono formate per essere tutori volontari, quindi diventare quell’adulto di riferimento che possa accompagnare un ragazzo, un adolescente, una ragazza nelle proprie scelte e nel costruire il proprio futuro. Si tratta infatti di minori che dobbiamo in qualche modo accompagnare a ricostruire le dimensioni di un futuro in un Paese che non hanno scelto, dopo esperienze spesso drammatiche come quelle di cui abbiamo avuto testimonianza anche nel recente sbarco dalla Ocean Viking e che però possono essere per il nostro Paese davvero una risorsa e non un problema.

Legge 7 aprile 2017, n.47  Disposizioni in materia di misure di protezione dei minori stranieri non accompagnati

                                                                        www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2017/04/21/17G00062/sg

 www.filodiritto.com/legge-n-472017-misure-di-protezione-dei-minori-stranieri-non-accompagnati

C’è un aspetto ancora più inquietante: sappiamo che ci sono migliaia di minori che entrano- come dire – in zone d’ombra e spariscono per sempre dai radar.

E’ assolutamente vero ed è una delle preoccupazioni principali che dobbiamo avere, perché c’è un numero, che ogni anno è di diverse migliaia di minori cosiddetti irreperibili, che si allontanano dal circuito di accoglienza. In molti casi succede perché non esiste ancora un meccanismo europeo di ricollocamento di questi ragazzi, che arrivano in Italia solo come una tappa del loro viaggio. Noi come Save the Children siamo presenti anche alla frontiera nord, a Ventimiglia, e vediamo ogni giorno purtroppo come ragazzi e ragazze – che già hanno fatto un viaggio terribile nelle mani dei trafficanti – siano costretti a riprendere il loro viaggio in condizioni non protette per ricongiungersi con i familiari e raggiungere le loro comunità in altri Paesi europei. Come Save the Children chiediamo e continuiamo a chiedere con forza che l’Europa tutta attivi un meccanismo di relocation, così si chiama tecnicamente, che consenta ai minori di non doversi rendere irreperibili per continuare poi illegalmente il viaggio, con tutti i rischi che questo significa per un adolescente, ma abbiano la possibilità di farlo in modo sicuro, sapendo che chi arriva in Italia arriva in Europa, non arriva solo in Italia. Accanto a questo c’è poi il fenomeno delle minorenni e dei minorenni che spariscono perché vittime di tratta, vittime di sfruttamento sessuale, di sfruttamento lavorativo. Anche qui purtroppo sappiamo che gli adolescenti sono i più vulnerabili. Hanno talvolta contratto dei debiti di viaggio, devono mandare dei soldi in patria, spesso sono anche ricattati e ricattabili e questo li porta a diventare facili prede di sfruttamento. Anche su questo è necessario fare di più: fare di più per garantire a tutti i minori che toccano terra in Italia, in Europa, la possibilità, il diritto di essere effettivamente protetti.

Roberta Gisotti – Città del Vaticano  Roberta Gisotti –Vatican news          03 febbraio 2020

www.vaticannews.va/it/mondo/news/2020-02/minori-invisibili-5-mila-piccoli-migranti-sono-scomparsi-italia.html?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=NewsletterVN-IT

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PEDAGOGIA

I nuovi “fidanzatini in rete”: le emozioni al tempo dei social

I primi amori e le relazioni ridefinite dalla comunicazione digitale. L’urgenza di portare nei luoghi dell’educazione voci mature e consapevoli su affettività e sessualità

            Parrebbe una perdita di tempo il ribadire come nell’ultimo decennio le relazioni siano state ridefinite dalla comunicazione digitale, le nostre ma ovviamente in modo radicale quelle dei nostri adolescenti. Da qualche anno, anche su questa rubrica, periodicamente ci siamo interrogati su come WhatsApp, Instagram, chat di ogni tipo abbiano determinato una svolta repentina e imprevista per intensità e pervasività. Oggi più di ieri, ognuno di noi (chi più chi meno) ha definitivamente preso atto di tale cambiamento. Eppure, passato il tempo dell’insorgenza del fenomeno, è arrivato il momento più importante, specie per chi educa: quello in cui dalla registrazione del mutamento occorrerebbe passare a quello della gestione di quanto si è normalizzato e che per la prima volta è divenuto strutturale.

            Da questo punto di vista sarebbe importante una riflessione su come anche le relazioni affettive tra gli adolescenti, i “primi amori” per capirci, siano sensibilmente mutate. A riguardo mi permetto tre osservazioni, al fine di imbastire un possibile discorso su quelli che, utilizzando una definizione che farebbe giustamente imbestialire i nostri adolescenti, potremmo definire “i nuovi fidanzatini in rete”.

            “I nuovi fidanzatini in rete” stanno insieme un numero esorbitante di ore, più di una qualsiasi coppia del passato, giovane o adulta che sia. Ore e ore, è vero attraverso la comunicazione digitale, a distanza, mediati dallo schermo, ma comunque continuamente insieme. Occorrerebbero saggi interi per capire cosa comporti a livello emotivo un passaggio così repentino da una gradualità del rapporto affettivo, che in passato era data per semplice contingenza, a un continuum (spesso anche notturno) che poi, quando magari un rapporto finisce, si tronca letteralmente attraverso il semplice blocco del profilo o contatto altrui.

            “I nuovi fidanzatini in rete” prescindono inoltre, durante questo numero esorbitante di ore, dal linguaggio del corpo, ma di contro favoleggiando (come è normale che sia) continuamente sul corpo e intorno al corpo. Si tratta dunque di un agito continuo “in absentia” di una corporeità che viene sublimata attraverso la parola digitale, ma che poi (e accade spesso e volentieri), nel momento in cui diventa reale, magari a una festa o in qualsiasi altro luogo, deve fare i conti spesso traumatici con un bagaglio imponente di aspettative che rischiano di essere insostenibili.

Infine, “i nuovi fidanzatini in rete” tendono continuamente a “deindividuarsi” nel gioco di ruolo, naturale ma estremizzato all’eccesso dal “continuum” digitale, che porta i ragazzi e le ragazze a perdere freni inibitori verbali (non necessariamente inerenti la sola sessualità), fino ad assumere posture che finiscono per essere identitarie, con l’onere poi di doverle sostenere o giustificare nel momento dell’incontro reale.

            Mi fermo giusto qui. Quindi? Maledire il tempo presente e rimpiangere il passato? Ovviamente no. Ma aprire gli occhi, porsi il problema, uscire dagli steccati ideologici, portare a scuola e nei luoghi dell’educazione voci mature e consapevoli su affettività, sessualità, gestione delle emozioni perché i nostri ragazzi, inclusi “i nuovi fidanzatini in rete”, hanno sicuramente dentro domande che vorrebbero trovare risposte.

Roberto Contu, insegnante lettere nella scuola secondaria superiore.    Roma sette      5 febbraio 2020

www.romasette.it/i-nuovi-fidanzatini-in-rete-le-emozioni-al-tempo-dei-social

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POLITICA

Denatalità: è tempo di risposte

Lo spopolamento delle aree ai margini dello sviluppo e il calo delle nascite sono due grandi fenomeni che interessano molti Paesi avanzati, e in particolare l’Italia, ma che il dibattito pubblico e la politica hanno trascurato per troppo tempo. Nel diffondere il rapporto sugli indicatori demografici del 2019, l’Istat ha avuto il merito di metterli sullo stesso piano, lasciando capire che la soglia di emergenza è già stata superata. Anche perché si tratta di tendenze molto difficili da contrastare.

            Prendiamo il Sud, ma anche tante aree montane o periferiche: le persone lasciano i territori con pochi o cattivi servizi, dove il gap tecnologico è più alto, le infrastrutture sono carenti, i trasporti difficili, il capitale sociale basso. E come biasimarle? I grandi poli di attrazione sono la Lombardia e l’Emilia Romagna, ma potremmo dire le aree metropolitane di Milano e Bologna, perché questa è la stagione del successo delle città, per le maggiori opportunità che offrono. Si può contrastare questa tendenza – non invertirla – a condizione di riconoscere che senza grandi investimenti tecnologici e nella direzione di un maggiore sviluppo, tutto sarà più difficile.

            La difficoltà dei “luoghi che non contano” non riguarda solo la fuga delle popolazioni residenti, ma si ripercuote sulla natalità: a differenza di un tempo, oggi chi è più povero o vive in contesti arretrati ha meno figli. Le nascite premiano invece le aree più ricche, dove i redditi sono più alti e i servizi più diffusi. È per questo che i tassi di fecondità sono da tempo più alti al Nord rispetto al Sud. Ed è per questo che il declino demografico è più preoccupante in Italia, Paese avaro di sostegni universali e servizi per le famiglie nel confronto europeo.

            E qui veniamo al secondo punto, la denatalità. Anche in questo caso si può e si deve intervenire per contrastare la tendenza in corso, sapendo però che invertirla resta difficile. Per due terzi le minori nascite sono dovute a ragioni strutturali: a causa dei tanti anni di denatalità oggi non ci sono abbastanza donne in età fertile per aumentare le nascite in tempi brevi. D’altra parte il contesto sociale e culturale non aiuta: anni di “storytelling” negativo e di esaltazione dell’individualismo hanno contribuito a logorare l’immagine della famiglia con figli come una prospettiva desiderabile per chi non è mosso da forti motivazioni anche spirituali. È sufficiente guardare due bei film del momento, “Figli” e “Storia di un matrimonio”, per rendersi conto che l’emergenza non riguarda tanto il fatto che oggi vengono al mondo pochi bambini, ma che ovunque non nascono abbastanza genitori: la fine della famiglia è anche la crisi della capacità di essere per qualcun altro, non solo per se stessi.

            Le esperienze, in Italia come all’estero, dimostrano però che azioni ampie e coerenti possono avere effetti positivi. L’idea che il ventaglio di misure del “Family Act” proposto dalla ministra per la Famiglia e le pari opportunità Elena Bonetti e l’Assegno unico previsto dalla legge delega Delrio-Lepri possano convergere in un piano per la famiglia e la natalità, come suggerito dal premier Giuseppe Conte, è un passo importante. Una misura non può escludere l’altra: tutti i Paesi che hanno ampliato i servizi per l’educazione e la cura dei bambini e per facilitare la conciliazione famiglia-lavoro prevedono infatti, di base, un assegno di 100-200 euro al mese per ogni figlio, senza limiti di reddito e senza distinzioni tra lavoratori autonomi e dipendenti. Non è un dettaglio da poco.

Allo stesso tempo andrebbe ricordato che un piano per contrastare il declino demografico in tutte le aree del Paese, non solo in quelle più ricche, avrebbe poca efficacia in un contesto caratterizzato da instabilità e insicurezza: la natalità, lo dimostrano numerose ricerche, non va d’accordo con i debiti pubblici elevati, i sistemi previdenziali insostenibili, i deficit elettorali, i bonus e le provvidenze di welfare che penalizzano le coppie sposate e con più figli rispetto ai single, i sistemi fiscali che non compensano i maggiori costi sostenuti da tutti i genitori.

            Questo dovrebbe far capire che la crisi della natalità non ha solo una dimensione personale, ma pubblica. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, incontrando il Forum delle associazioni familiari, lo ha detto molto chiaramente: se il numero delle famiglie con figli diminuisce, come sta avvenendo, «è un problema che riguarda l’esistenza del nostro Paese», e per tale ragione «va assunta ogni iniziativa per contrastare questo fenomeno». Subito.

Massimo Calvi                        Avvenire         12 febbraio 2020

www.avvenire.it/opinioni/Pagine/chiamata-demergenza

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SESSUOLOGIA

Proliferano le infezioni veneree tra i giovanissimi

            “grazie” anche ad un cattivo uso della tecnologia e della chimica

Nel recente convegno di alta formazione: “Le malattie sessualmente trasmissibili nel nuovo millennio: percorsi avanzati di prevenzione, diagnosi e terapie”, tenutosi a Roma, sono stati presentati i dati relativi all’andamento di questo fenomeno negli ultimi dieci anni (Leggo). Le infezioni sessualmente trasmesse (IST) costituiscono un gruppo di malattie infettive molto diffuso in tutto il mondo, che può essere causa di sintomi acuti, infezioni croniche e gravi complicanze a lungo termine per milioni di persone ogni anno, le cui cure richiedono l’impiego di grandi risorse finanziarie. Le IST sono molto spesso asintomatiche o con un decorso subdolo, favoriscono l’acquisizione e la trasmissione dell’Hiv (il virus responsabile dell’Aids) e possono comportare gravi complicanze in caso di mancata o errata diagnosi o terapia. Fra queste ultime ci sono sterilità, gravidanza ectopica, parto pretermine, aborto, danni al feto e al neonato, tumori. Le donne sono più suscettibili per la struttura anatomica dell’apparato genitale maggiormente complessa e favorevole all’insediamento dei microorganismi patogeni.

            Ogni giorno nel mondo 3 milioni di infezioni sessuali. A livello internazionale, Italia compresa, si registra un notevole aumento di casi: si stima che nel mondo si verifichino ogni giorno tre milioni di infezioni sessuali. A livello mondiale nel 2018 sono stati registrati oltre 357 milioni di casi di origine batterica e 745 milioni di casi di natura virale. Nello specifico, si tratta di 410 milioni di casi di herpes genitale, 290 di papilloma virus, 134 di tricomoniasi, 131 di clamidia, 78 di gonorrea, 6,5 di sifilide. Per quanto riguarda quello che una volta veniva chiamato “il mal francese”, le stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità del 2019 relative all’anno 2016 individuano circa 661 mila casi di sifilide congenita, responsabili di oltre 200.000 morti neonatali.

I numeri in Italia. I numeri del nostro Paese sono allarmanti: 4.000 casi nel decennio 1999-2009 a fronte dei 5.300 dell’ultima decade; la sifilide fino al 2000 contava 80 casi annui contro gli attuali 420; i condilomi acuminati, con 1.500 casi l’anno fino al 2007, oggi toccano i 3.000.

Troppe app di incontri: sesso fra sconosciuti. I motivi di questa escalation, secondo l’Istituto San Gallicano di Roma, vanno individuati anche nella grande proliferazione di app dedicate a facilitare incontri fra sconosciuti, per finalità sessuali in primis. La velocità e numerosità degli incontri tra individui con nulla o scarsa conoscenza reciproca, insieme alla carenza di precauzioni per proteggersi dal contagio, costituiscono gli elementi principali del pericoloso mix presente nei costumi sessuali attuali.

Il chemsex. Un discorso per alcuni aspetti a parte va fatto per la chimica, con il fenomeno del chemsex, ossia il sesso praticato sotto l’effetto di sostanze assunte specificamente per migliorare le prestazioni erotiche. Questo termine si riferisce quindi ad attività sessuali in cui vengono utilizzati farmaci e droghe, una miscela chimica di tre sostanze illegali ad effetto anfetamino-simile che mantengono elevata l’eccitazione e difficile il raggiungimento dell’orgasmo, consentendo a chi ne fa uso di rimanere sveglio per giorni. Questo tragico fenomeno giunge raramente all’attenzione del grande pubblico, a meno che qualcosa non vada storto. Anche in Italia abbiamo recentemente assistito ad un gravissimo fatto di cronaca, maturato nel contesto di questa pratica, che ha visto morire orrendamente una ragazzo romano di 23 anni: Luca Varani.

Le prime vittime? gli adolescenti! Intervistato su questo argomento, il professor Aldo Morrone, direttore scientifico dell’Istituto San Gallicano, ha evidenziato come molti adolescenti ricorrano alle pratiche del sesso chimico sotto la spinta della paura dell’impotenza e del miraggio di prestazioni record, in assenza di adeguate conoscenze sui rischi insiti nella promiscuità dei rapporti sessuali. La seduzione della tecnologia delle app dedicate e delle “sirene” del chemsex fa breccia specialmente nei giovani e giovanissimi, che pertanto rischiano sempre di più di collocarsi al primo posto fra le vittime del pericolosissimo gioco della sessualità “mordi e fuggi”

Silvia Lucchetti    Aleteia 10 febbraio 2020

https://it.aleteia.org/2020/02/10/boom-infezioni-veneree-app-incontri-chemsex/?utm_campaign=NL_it&utm_source=daily_newsletter&utm_medium=mail&utm_content=NL_it

 

Sesso, boom di infezioni veneree: torna la sifilide. «Troppe app di incontri»

Descritta per la prima volta nel XVI secolo, tanto affievolita da considerarsi ormai vinta tra gli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento, la sifilide, detta anche male francese, torna a fare paura. Numeri alla mano, infatti, si registra un sensibile aumento di casi a livello internazionale. E pure in Italia. La crescita di episodi non riguarda solo la sifilide ma, in generale, le malattie sessualmente trasmissibili.

Secondo i dati dell’Organizzazione mondiale della Sanità, si verificano tre milioni di casi di infezioni sessuali al giorno nel mondo. Nel 2018 sono stati registrati oltre 357 milioni di casi di origine batterica e 745 milioni di casi virali. In particolare, si tratta di tricomoniasi con 143 milioni, clamidia con 131, gonorrea con 78, sifilide con 6,5. A ciò vanno aggiunte le stime relative al numero di persone che avrebbero contratto un’infezione genitale da virus dell’herpes simplex, oltre 410 milioni, e le donne con un’infezione da papilloma virus umano, più di 290 milioni. Il fenomeno cresce anche in Italia. A dare l’allarme è l’istituto San Gallicano di Roma. Per comprendere la misura di ciò che sta accadendo basta guardare al trend degli ultimi dieci anni. I dati, presentati a margine del convegno medico di alta formazione Le malattie sessualmente trasmissibili nel nuovo millennio: percorsi avanzati di prevenzione, diagnosi e terapie tenutosi a Roma, sono chiari. Le segnalazioni di infezioni sessualmente trasmissibili erano 4000 all’anno nel decennio precedente, oggi sono arrivate fino a 5300. A crescere, in particolare, è stata la sifilide, passata da 80 casi annui prima del 2000 a 420 casi annui dopo il 2000. I condilomi acuminati sono saliti dai 1500 casi annui registrati nel periodo fino al 2007 ai 3000 riscontrati tra 2008 e 2016.

Le ragioni di questa nuova proliferazione di malattie che si credevano se non completamente superate, comunque ormai lontane dalla grande diffusione, secondo gli esperti dell’Istituto sarebbero da ricercare anche nella tecnologia, con le molte app che sono dedicate a favorire incontri tra sconosciuti, pure a fini sessuali. Velocità degli incontri, scarsa o mancata conoscenza tra gli individui, carenza o assenza di precauzioni creano un mix decisamente pericoloso. Il resto lo fa la chimica, con il chemsex, ossia il sesso sotto droghe, prese proprio per migliorare le prestazioni. Un gioco pericoloso, che vede al primo posto, tra le vittime, i giovani e i giovanissimi, che usano le app per incontri sessuali, anche di gruppo e, per assicurarsi prestazioni record fanno ricorso spesso ad aiuti farmacologici. Le stime Oms del 2019 evidenziano circa 661mila casi di sifilide congenita nel 2016, che hanno causato oltre 200mila morti neonatali.

Valeria Arnaldi                      “Leggo”             6 febbraio 2020

www.leggo.it/sanita/sesso_infezioni_sifilide_ultime_notizie-5031810.html?fbclid=IwAR0mhwm_ghXiT7-AkrVj1SyDV9ZLK7EMYxmfOEW5LOMiMlLRq2_vyRk1cJ4

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SINODO PANAMAZZONICO

Papa Francesco tra profezia e vigilanza in “Querida Amazonia”

Il testo della Esortazione Apostolica “Querida Amazonia” (= QA), pubblicato oggi 12 febbraio 2020, si caratterizza per un primo tratto originale. Ossia la sua “posizione” rispetto al testo conclusivo del Sinodo straordinario, ossia Amazzonia: nuovi cammini per la Chiesa e per una ecologia integrale (= ANC). In effetti, la scelta di promuovere direttamente il testo conclusivo del Sinodo, nella sua articolazione, come “documento di riferimento” – così come si afferma esplicitamente ai nn. 2-3 di QA – crea una sorta di rimando esplicito – quasi un combinato disposto – della Esortazione rispetto al Sinodo nella sua integralità. Addirittura, la scelta forte di non citare mai il testo conclusivo, ma di assumerlo come autorevole nella sua interezza, viene così espressa: “non intendo né sostituirlo, né ripeterlo” (QA 2)

Mi pare che questa premessa sia decisiva per leggere correttamente il testo e come tale lo qualifica decisamente, in analogia con quanto Francesco ha fatto in Amoris Lætitia. In modo ancora più esplicito di quanto avvenuto 4 anni fa, in questo caso una “riserva di autorità” è lasciata al testo sinodale. Francesco, di suo, traduce i nodi di quel testo in 4 sogni: un sogno sociale, un sogno culturale, un sogno ecologico e un sogno ecclesiale. La Amazzonia ci fa sognare. E fa sognare anche Roma. Ma Roma soffre anche di insonnia. E anche il papa che “dorme bene”, e che sa riconfigurare il sogno ecclesiale in modo tanto efficace, talvolta può trovarsi a soffrire di insonnia, quasi a rimanere con gli occhi sbarrati. Proviamo a vedere come e perché.

  1. Il grande sogno possibile. Un grande sogno che è destinato a realizzarsi. Questa mi pare la bella notizia che QA ci presenta con la forza di una prosa spesso alta, ispirata, forte. Non vorrei che si sottovalutasse la chiave “onirica” con cui il testo è stato scritto. Non è solo retorica. O, meglio, è alta retorica magisteriale. Fare della “tradizione ecclesiale” un luogo di elaborazione di sogni, ossia di rappresentazione dei desideri dell’uomo e delle donne e dei disegni misteriosi del Dio di Gesù Cristo, questo mi pare un bell’esercizio del magistero, di cui la Chiesa ha urgente bisogno. Così, la rilettura di ANC che Francesco propone in QA si struttura come “articolazione di 4 sogni”. Tali sogni investono quattro livelli della vita dell’Amazzonia, di cui la Chiesa può e deve prendersi cura. Tale prospettiva viene formulata, con stile potente, in QA 6-7: “La predicazione deve incarnarsi, la spiritualità deve incarnarsi, le strutture della Chiesa devono incarnarsi. Per questo mi permetto umilmente, in questa breve Esortazione, di formulare quattro grandi sogni che l’Amazzonia mi ispira.

    7. Sogno un’Amazzonia che lotti per i diritti dei più poveri, dei popoli originari, degli ultimi, dove la loro voce sia ascoltata e la loro dignità sia promossa.

    Sogno un’Amazzonia che difenda la ricchezza culturale che la distingue, dove risplende in forme tanto varie la bellezza umana.

    Sogno un’Amazzonia che custodisca gelosamente l’irresistibile bellezza naturale che l’adorna, la vita traboccante che riempie i suoi fiumi e le sue foreste.

    Sogno comunità cristiane capaci di impegnarsi e di incarnarsi in Amazzonia, fino al punto di donare alla Chiesa nuovi volti con tratti amazzonici”.

Ognuno di questi “sogni” struttura un capitolo del testo, di cui schizzo in breve il contenuto:

a) Un sogno sociale (8-27). La promozione della giustizia sociale di una “vita buona” in Amazzonia è compito primario, in cui “cura del creato” e “attenzione agli ultimi” si intrecciano profondamente. Una Chiesa capace di indignarsi e di far sentire coralmente la propria voce profetica assume uno stile di ascolto e di dialogo, in cui gli ultimi possano diventare protagonisti e la vita buona sia davvero accessibile a tutti.

b) Un sogno culturale (28-40). La Amazzonia è un “tesoro di culture” che devono essere valorizzate. Questa parte del testo è intrecciata di poesie. Leggiamone una, al n. 31

 

«Del fiume fa’ il tuo sangue […].

Poi piantati,

germoglia e cresci

che la tua radice

si aggrappi alla terra

perpetuamente

e alla fine

sii canoa,

scialuppa, zattera,

suolo, giara,

stalla e uomo».

 La custodia delle radici, l’incontro interculturale, la cura per il dialogo e per le identità diventa uno stile di relazione nel quale la Chiesa può scoprire e rileggere ancor meglio il mistero che la costituisce. Questo impone di assumere la prospettiva “dei diritti dei popoli e delle culture”, in rapporto delicatissimo con le condizioni dell’ambiente in cui tali culture si sono sviluppate e possono essere salvaguardate.

c) Un sogno ecologico (41-60). Anche il registro del “sogno ecologico” è profezia e poesia. Ecco uno dei testi proposto al n.47

«Quelli che credevano che il fiume fosse una corda per giocare si sbagliavano.

Il fiume è una vena sottile sulla faccia della terra. […]

Il fiume è una fune a cui si aggrappano animali e alberi.

Se tirano troppo forte, il fiume potrebbe esplodere.

Potrebbe esplodere e lavarci la faccia con l’acqua e con il sangue»

L’approccio alla “custodia della casa comune” si nutre di una tradizione spirituale e relazionale che deve recuperare uno sguardo contemplativo e estatico nei confronti della natura e del creato. Fa proprio il grido dei popoli per il degrado dell’ambiente e lo rilancia profeticamente, impegnando in esso la Chiesa tutta.

d) Un sogno ecclesiale (61-110). L’ultimo livello del sogno è quello più direttamente destinato alle comunità cristiane. Ed è anche il più complesso. E’ un sogno che, potremmo dire, in parte scaturisce “da un sonno agitato”. In effetti questo quarto sogno si divide in due parti.

La prima (61-84) è dedicata al tema della inculturazione, mentre la seconda (85-110) si occupa di ministerialità, di eucaristia, di ecumenismo. Nella prima si riesce ancora a sognare in senso proprio. Nella seconda la veglia talora si impone inesorabilmente, e rende difficile il sogno. Nella prima parte, in effetti, sul tema della inculturazione, leggiamo parole forti, profetiche, di grande coraggio. Il lavoro di inculturazione può così riconoscere che “È possibile recepire in qualche modo un simbolo indigeno senza necessariamente qualificarlo come idolatrico. Un mito carico di senso spirituale può essere valorizzato e non sempre considerato un errore pagano” (QA 79). E ancora: “Questo ci consente di raccogliere nella liturgia molti elementi propri dell’esperienza degli indigeni nel loro intimo contatto con la natura e stimolare espressioni native in canti, danze, riti, gesti e simboli. Già il Concilio Vaticano II aveva richiesto questo sforzo di inculturazione della liturgia nei popoli indigeni, [119] ma sono trascorsi più di cinquant’anni e abbiamo fatto pochi progressi in questa direzione” (QA 82). Questo slancio, profetico e poetico, arriva fino ad una soglia, che nel testo è il n. 85, con il quale inizia la sezione dal titolo “Inculturazione della ministerialità”. In quel punto troviamo l’ultimo lampo di quello slancio che ha attraversato i 3/4 del testo. Vi si legge:

“L’inculturazione deve anche svilupparsi e riflettersi in un modo incarnato di attuare l’organizzazione ecclesiale e la ministerialità. Se si incultura la spiritualità, se si incultura la santità, se si incultura il Vangelo stesso, come fare a meno di pensare a una inculturazione del modo in cui si strutturano e si vivono i ministeri ecclesiali? La pastorale della Chiesa ha in Amazzonia una presenza precaria, dovuta in parte all’immensa estensione territoriale con molti luoghi di difficile accesso, alla grande diversità culturale, ai gravi problemi sociali, come pure alla scelta di alcuni popoli di isolarsi. Questo non può lasciarci indifferenti ed esige dalla Chiesa una risposta specifica e coraggiosa” (QA 85).

Ma qui “al pensier mancò la possa”: la poesia cede il posto alla mera descrizione normativa, e la profezia fa spazio ad una vigilanza preoccupata. Nel concreto il discorso sulle comunità “prive di eucaristia” non riesce a immaginare se non risposte mediate dal linguaggio elaborato nell’Europa del 500. Non si riesce a sognare. Il punto più lontano dal tono e dalla libertà del sogno è la mancanza di immaginazione con cui si parla della donna (99-105): come a dire: de mulieribus ne somnium quidem!

Il piccolo sogno impossibile. Il registro verbale, come ho cercato di far vedere, mostra la differenza tra il modo di riflettere sui primi tre “sogni” e il linguaggio più rigido che compare nel modo di pensare la struttura ministeriale e sacramentale della Chiesa. Nessuna poesia, poche immagini, poco slancio. Qui il testo mostra apertamente la fatica di concepire un sogno in questo ambito. Anzi, sembra quasi restare segnato da un tratto di insonnia, da una impossibilità di uscire dalle rappresentazioni più classiche e più abituali, che si impongono in una “veglia da cui non si può scappare”. Dov’è la inquietudine, dove la incompletezza, dove la immaginazione? Sembra di poter riconoscere, anche in Amazzonia, solo il prete in nigris, frutto del Seminario tridentino, destinato a “fare l’eucaristia” e ad “assolvere dal peccato”. Un “Curato d’Ars” col biglietto per Manaus. Mera fattualità del passato acquisito: un abitante della foresta curiale, un estraneo alla foresta amazzonica. Così, in questo passaggio finale del testo, la foresta curiale sembra prevalere sulla foresta amazzonica, che appare ridotta a variabile secondaria, quasi irrilevante.

            Ma qui, io credo, vi sono ragioni più profonde. Perché è la mancanza di desiderio che non fa sognare. E il desiderio non si può creare “ex officio”. Quando manca il desiderio, allora diventa facile leggere tutte le novità solo “in negativo”. Senza desiderio di altro, ci si tiene quel che c’è. Se le comunità desiderano l’eucaristia non è perché neghino di dover essere presiedute, ma perché pensano che la presidenza possa essere concepita e sognata con schemi diversi dal Concilio Lateranense IV o dal Concilio di Trento. Se le donne vogliono accedere al ministero ordinato, non è per seguire le mode, o per inseguire il potere, ma perché sognano che venga riconosciuta obiettivamente quella bella autorità che già hanno ampiamente dimostrata. Senza che per questo si possa pensare che “accedere all’ordine sacro” sia sinonimo – chissà perché solo per loro – di “cedimento al clericalismo”. Quando un uso nuovo del sacramento viene subito identificato con l’abuso è perché il desiderio non è coltivato, il sogno è diventato impossibile e lo Spirito non riesce più a prendere la parola.

            In una foresta, quella della Amazzonia, è consentito sognare. In un’altra foresta, la Curia romana, sembra essere vietato. Un uomo che ha l’arte del sonno, come Francesco, può sognare anche a Roma. Ma qualche volta il suo sonno è turbato. La onestà del pastore e dell’uomo sa bene questa cosa e la dice così: “Voglio presentare ufficialmente quel Documento (ANC), che ci offre le conclusioni del Sinodo e a cui hanno collaborato tante persone che conoscono meglio di me e della Curia romana la problematica dell’Amazzonia, perché ci vivono, ci soffrono e la amano con passione. Ho preferito non citare tale Documento in questa Esortazione, perché invito a leggerlo integralmente” (QA 3).

Per sognare su questi temi istituzionali, sulla base di quanto esposto profeticamente e poeticamente nei primi 3 sogni e mezzo, occorre riferirsi necessariamente a quanti vivono, soffrono e amano con passione in Amazzonia. Loro sanno sognare anche su questi argomenti. Perché il loro desiderio è vivo, sa discernere la Parola e così sa alimentare il sogno. Con tutta la poesia e la profezia necessaria.

Brevi conclusioni. Tra le due foreste il cammino di Francesco è dunque decisamente orientato, ma cauto. Resta limpida, nel suo testo, la indicazione che il “sogno ecclesiale” ha bisogno di estendersi alla integralità della esperienza. La forza del desiderio, illuminato dalla Parola, si fa sogno e si esprime con una forza mai udita nei primi 85 numeri. Ma ad ogni generazione è dato di sognare, e di rielaborare, solo una parte di ciò che vive. Così il grande sogno della società, della cultura e della ecologia, quando varca la soglia istituzionale, rischia di spegnersi. E sembra sperimentare, al posto del sogno, una insonnia agitata e una incertezza preoccupata.

            Forse ad un figlio del Concilio, e figlio di prima generazione, come è Francesco, non si può chiedere di più. Anche se parziale, il sogno profetico dei primi 3 capitoli e mezzo sa riscattare la insonnia vigilante che nelle ultime pagine affatica il testo. La sintesi sul “sogno sociale”, sul “sogno culturale”, sul “sogno ecologico”, ma anche quella sul “sogno ecclesiale di inculturazione”, rimane un testo prezioso, con molte aperture di grande valore, che potranno produrre frutti grandi e preziosi. La scarsa “capacità onirica” per ciò che riguarda la struttura ministeriale della istituzione è segno di una resistenza obiettiva, direi corporea prima che mentale. Il corpo non sogna perché manca del desiderio. Perciò il testo di QA sul prete e sulla donna sembra non avere un desiderio, che voglia esprimersi in un sogno, e sembra che Dio stesso, a questo riguardo, non abbia più niente da dire e non debba mandare sogni agli uomini. Ma il testo finale di ANC, che non è sostituito, ma valorizzato nella sua integralità da parte di QA, ci permette, o meglio ci impone, di sognare ancora, anche a proposito di questi temi. E non è affatto detto che i sogni, con la forza del desiderio da riaccendere e con il mistero della Parola di Dio da ascoltare e da discernere, non siano proprio ciò di cui abbiamo più bisogno, anche oggi, soprattutto oggi

Andrea Grillo   blog: Come se non     12 febbraio 2020

www.cittadellaeditrice/munera/il-sogno-della-foresta-amazzonica-e-linsonnia-della-foresta-curiale-papa-francesco-tra-profezia-e-vigilanza-in-querida-amazonia

 

“Querida Amazonia” può diventare anche “querida mujer”? Sui laici e sul ministero delle donne

            Il dibattito suscitato dal nuovo documento papale è di grande intesse. Non solo perché solleva le reazioni più diverse, dal totale pessimismo sulle possibilità di rinnovamento ecclesiale, alla scoperta di nuovi percorsi di reale trasformazione che si dischiudono proprio grazie a tale Esortazione. Qui vorrei però soffermarmi su un punto particolare della Esortazione, ossia sulla considerazione che riserva alla categoria di “laico” e, al suo interno, a quella di “donna”. E vorrei partire da due testi importanti, che abbiamo letto tra ieri e oggi. Da un lato la fiera reazione di C. Simonelli sul Regno. Dall’altro la acuta lettura di Riccardo Cristiano, in relazione ad un testo dell’Arcivescovo V. Fernandez, per il blog “formiche”.

In estrema sintesi, mi colpisce come si possa dare, contemporaneamente, una grande mutazione di orizzonte, che possa prevedere una “chiesa marcatamente laicale”, addirittura una “chiesa cattolica di rito amazzonico”, fondata su una autorità prevalentemente laicale, e insieme compaia, nello stesso testo, una comprensione così limitata e così impacciata della donna, nella quale essa viene pensata e presentata “fuori dallo spazio e fuori dal tempo” e senza slancio.

Questo è il punto su cui vorrei soffermarmi.  La questione è presto detta: per pensare il “processo ecclesiale” di trasformazione della “forma tridentina” della istituzione, avremmo bisogno di una elaborazione ben più avanzata di ciò che chiamiamo “laico” e di ciò che diciamo della “donna”. Vediamo rapidamente qualcosa di entrambe queste categorie.

Una chiesa di “laici”? La categoria di “laici” resta una categoria residuale e poco significativa, sia dal punto di vista teologico, sia dal punto di vista ecclesiologico. Se continuiamo a ragionare “per differenza” – laici sono tutti quelli che non sono chierici – non ne trarremo gran frutto. Penso che dovremmo smettere di parlare così. Perché i cristiani, tutti i cristiani battezzati, sono “conformati a Cristo” e nel rapporto con lui partecipano del “sacerdozio comune”, al cui servizio esiste un sacerdozio ministeriale. E’ evidente che il vantaggio della categoria di “laicato” è precisamente di lasciare inalterata una categoria di sacerdozio riservata ai chierici.

 Ma questo, a partire dal Concilio Vaticano II, è una visione vecchia, datata e inefficace. Io capisco bene che si debba lavorare per modelli ecclesiali diversi, ma prima di tutti si deve cominciare dalle parole. In Amazzonia – come in Germania o in Polonia o in Africa – non ci sono “laici”, ma fedeli che partecipano del sacerdozio comune, oltre che del munus profetico e regale. Se iniziamo a pensare in questo modo, possiamo certamente vedere come una chiesa “di battezzati” – che non è una cosa nuova – esiga un ripensamento accurato dei soggetti comuni e dei soggetti ministeriali.

            La donna fuori dallo spazio e dal tempo? Le pagine dedicate alla donna sono, in QA, tra le meno felici. Ma questo accade non senza motivo. In effetti il tema dei laicato è già riduttivo, se ci si aggiunge l’aggettivo “laicato femminile” si raggiunge il massimo della riduzione. Si tratta di una riduzione che patisce una doppia minorità.

  1. La prima dipende dalla pretesa che “il modello di donna” sia sempre uguale, nello spazio e nel tempo. E che pertanto non debba risentire delle variabili culturali. Che tutto si possa inculturare, meno che la donna, immune da ogni mutamento, sia da quelli “moderni”, che hanno fatto emergere una nuova identità “pubblica” del femminile; sia di quelli provenienti da “tradizioni diverse”, nelle quali, non a motivo della modernizzazione, ma per altre ragioni, le donne esercitano un ruolo “pubblico” e “autorevole” in modo strutturale.
  2.  La seconda dipende dalla interferenza “spirituale” di questo modello “astorico”, in cui la vocazione della donna è letta proiettando su alcuni modelli femminili della tradizione tutto il peso della definizione. Fino a correlare gli uomini battezzati a Cristo e le donne battezzate a Maria. Questa operazione è teoricamente debolissima e senza vero fondamento, se non nelle abitudini di una parte della tradizione europea, che così ha elaborato la pretesa di una identità statica.

Come dire “querida mujer”? Per questo, a me pare, il grande valore di QA discende da un grande sforzo di “conoscenza diretta” del fenomeno Amazzonia. Possiamo dire “cara” alla Amazzonia perché abbiamo fatto la fatica di conoscerla davvero, di sottrarla agli stereotipi, di viverla con passione. La sua foresta diventa ospitale e piena di vita, se non la sottoponiamo immediatamente alle regole della foresta urbana o di quella curiale.

            La stessa cosa dobbiamo fare con la “donna”. Anche la foresta del femminile, che copra per metà la terra, deve essere sottratta alla forza di pregiudizi secolari, alla cecità di correlazioni troppo ingenue o troppo maliziose, di cui la foresta curiale è maestra. Una teologia della donna non può che passare attraverso una teologia di donne. Il cammino ecclesiale, che è lungimirante, ha ormai donne, tante e qualificate, che possono insegnare teologia ed essere autorevoli nella Chiesa, non solo in privato.

Nessuna donna avrebbe mai scritto quello che uomini di curia hanno scritto su di lei, senza conoscerla davvero. Io credo che il “sogno ecclesiale”, che QA ha scritto col fuoco, e che lascerà il segno, debba contemplare anche un “sogno femminile”, un sogno sulle donne, ma soprattutto un sogno delle donne che scaturisce dal loro corpo, dal loro desiderio e dal loro discernimento della Parola. Non vorrei che ci illudessimo di costruire una “Chiesa di popolo”, in Amazzonia o altrove, senza rivedere, bene a fondo, il modo con cui parliamo delle donne. Salvate dall’unico Cristo e al servizio dell’unico Signore. Sotto il “presidio” di Maria, certo, ma esattamente come tutti gli altri.

Andrea Grillo  blog: Come se non      14 febbraio 2020

https://www.cittadellaeditrice.com/munera/querida-amazonia-puo-diventare-anche-querida-mujer-sui-laici-e-sul-ministero-delle-donne

 

Il Sinodo e la natura della dottrina. Alcuni chiarimenti formali intorno a “Querida Amazonia”

Tra i temi che sono diventati oggetto di dibattito, immediatamente dopo le ore 13 del 12 febbraio 2020, con la presentazione della Esortazione Querida Amazonia, mi sembra che meriti attenzione la riflessione, spesso esasperata, sul “valore magisteriale” di QA in rapporto al documento finale (=DF) del Sinodo. Se qualcuno ha parlato di ”enigma” (Prezzi) è perché vi sono in atto elementi di “trasformazione” dell’esercizio stesso del magistero che mettono in imbarazzo i commentatori.

A ciò va aggiunto che, proprio sul versante ufficiale del Vaticano, durante la conferenza stampa, è venuta una “versione ufficiale” del rapporto tra i due testi – uno è magisteriale, l’altro no – che desta grande sorpresa, perché non rispetta la complessità dell’oggetto di cui si stava parlando. Per questo motivo credo sia utile fissare alcune delimitazioni al “libero dibattito” che, come sempre, può e deve seguire la approvazione di un documento ufficiale. Aggiungo, ancora in premessa, che in questa delimitazione non è fuori luogo che alcuni teologi (Faggioli, Cosentino, Albarello) abbiano preso la parola in modo anche dialettico, ma recando sicuramente un contributo prezioso, che può aiutare i giornalisti ad esercitare la loro funzione informativa in modo più adeguato. Come dunque possiamo “delimitare” il campo della discussione, in modo ragionevole?

Definiamo due punti ciechi.

1. La pretesa di una assoluta differenza qualitativa tra QA e DF. La prima posizione, che in questo caso non può essere sostenuta, neppure se si riveste un ruolo ufficiale, è che l’unico elemento magisteriale da considerare sia QA, mentre DF sarebbe soltanto un documento “interno” all’iter di preparazione di QA. Questa posizione tradisce una debolezza abbastanza sorprendente. Perché sembra non aver letto il testo di QA nei suoi primi numeri. Come si fa sostenere che QA abbia “sostituito” DF, se QA dice, esplicitamente, di non volerlo sostituire? Come è stato messo bene in luce, soprattutto da Prezzi e da Faggioli, ma anche da Mons. Fernandez e dagli stessi Card. Czerny e Hummes, la novità consiste proprio nel fatto che QA decide, esplicitamente ed apertamente, di non sostituire DF. Dunque rimanda a DF per tutte le questioni di cui non si occupa direttamente. Ovviamente qui il rimando a DF è un rimando “condizionato”, dato che DF non è documento operativo, ma propositivo. Perciò, come si è già osservato, DF non può decidere perché rimanda la decisione a QA, ma QA si astiene dal decidere e rimanda ai contenuti di DF. Per un Sinodo, in cui obiettivo è assumere decisioni, sembra un po’ poco.

2. La confusione tra i due testi. La seconda posizione, anch’essa forzata, vorrebbe trascurare la differenza tra QA e DF e rilanciare immediatamente, come se fossero testi della Esortazione, i testi di DF. Questa via opposta tende ad affermare, a tutti i costi, un “concordismo” e una “continuità” tra i due documenti che invece pare problematica e che comunque esige una delicata mediazione. Forse la variabile decisiva, in questo caso, non è tanto quella del tempo – in futuro si vedrà – ma quella dello spazio – altrove rispetto a Roma. La distanza da Roma permette di vedere molta più sintesi di quanto non possa essere colta, immediatamente, collocandosi alle fondamenta del cupolone. Perciò bisogna distinguere bene tra chi solo per opportunismo cerca di “mescolare le carte” e mettere tutto in fila, senza salti, e chi, invece, per diversa esperienza ecclesiale e per diversa urgenza pastorale, sa che il risultato del cammino sinodale è comunque molto più grande che singoli punti di evoluzione disciplinare.

3. La interpretazione dei testi e la resistenza dei testi. In ultima analisi, mi parrebbe utile delimitare il campo dell’ampio dibattito, considerando queste due posizioni-limite come forme “ideologiche” di lettura dei testi.

Da un lato posso capire che vi sia l’interesse a “fare chiarezza” e che, per evitare la confusione, si propongano soluzione drastiche, come quelle che ho indicato. Ma queste risoluzioni, che certo mirano alla prudenza, sono in realtà gravemente imprudenti, perché aumentano anziché diminuire il conflitto. Le “interpretazioni autentiche”, infatti, devono rispettare il testo che interpretano. Non possono fargli dire quello che non dice. Chiarire il testo non significa non fagli dire quello che dice o fargli dire quello che non dice. Per questo, io credo, sarebbe utile che al comunicatore fosse sempre affiancato anche un “esperto” del contenuto. In questo caso un canonista e un teologo possono chiarire meglio le relazioni tra i testi ed evitare illusioni concordiste o opposizioni irriducibili. Comunque, una volta pubblicato, il testo esige sempre letture competenti. Il testo resiste a chi voglia costringerlo a dire quello che non dice. Il testo dice ostinatamente ciò che si vorrebbe non dicesse. Per questo il suo chiarimento non si riduce mai soltanto all’esercizio della autorità, ma chiede anche un “sapere sui segni e sui sogni” e una “coscienza dei lampi e degli enigmi”. Da questo punto di vista, per tutti coloro che comunicano nel campo delicato della “dottrina cristiana”, dovrebbe sempre valere il duplice principio: bisogna offrire chiarimenti e insieme salvare i fenomeni. Anche per comprendere la “natura della dottrina sinodale” questi due principi devono essere rispettati, anche se non è cosa facile. Se manca uno dei due – cioè se i chiarimenti si mangiano i fenomeni, o se i fenomeni non permettono più chiarimenti – la confusione è destinata solo ad aumentare.

Andrea Grillo             blog: Come se non      16 febbraio 2020

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TEOLOGIA

Teologia morale. Un nuovo e moderno dizionario tematico

Dovessi scrivere io un trattato di morale, avrebbe cento pagine, novantanove delle quali assolutamentebianche. Sull’ultima scriverei: Conosco un solo dovere, ed è quello di amare”. Così annotava nei suoi Taccuini Albert Camus, morto sessant’anni fa non ancora quarantasettenne, e continuava affermando altrove che “non essere amati è una sfortuna; non saper amare è una tragedia”. Agnostico ma spiritualmente molto vigile, in pratica ribadiva il monito di Cristo sul “più grande e primo dei comandamenti… Amerai…” (si veda Matteo 22,36-40). Se è vero che il precetto dell’amore è il legame solido che annoda in sé il sistema morale cristiano, è pur vero che la sua ramificazione e declinazione esistenziale è complessa.

Così, è giusto che i quattro coordinatori e gli oltre ottanta autori del nuovo dizionario di Teologia morale – l’ultimo di una lunga serie offerta dall’editrice San Paolo – abbiano scelto di non lasciare bianche 1.266 pagine di questo imponente volume per stampare sull’ultima, la 1.267, il solo comando evangelico dell’amore. Questo, comunque, non impedisce che ci sia il lemma “Amore”, ma ormai la raggiera tematica si espande in modo impressionante e giunge a lambire territori che fino a qualche anno fa erano ignoti o quasi.

            Tanto per far comprendere quanto sia indispensabile aver colmato quelle centinaia di pagine, vorremmo solo citare qualche voce che vibra secondo la sensibilità contemporanea: pensiamo alle “neuroscienze”, oppure alla “ricerca e sperimentazione biologica”, alle “scienze umane”, oppure alla “transessualità”, alle “dipendenze” e persino all'”enhancement”, piegandosi all’inglese perché il nostro “miglioramento” non ne copre pienamente il sotteso orizzonte tematico. Questa apertura sui nuovi percorsi appare ancor più marcata, se teniamo conto del fatto che il dizionario ha alla base un precedente strumento che sviluppava la tradizionale sequenza dei soggetti della morale cristiana.

Infatti, che il decalogo, l’etica sessuale, il peccato, il furto, la solidarietà, le virtù, l’opzione fondamentale e così via fossero negli elenchi del testo precedente e che siano ancora riproposti, è un dato scontato. Come osservava il regista polacco Kieslowski, autore di una straordinaria “esegesi” filmica dei dieci comandamenti, questi precetti li violiamo ogni giorno, eppure stanno sempre lì, infissi nel cielo della morale di tutti, credenti e non, come stella-guida per un’esistenza autenticamente umana. Questi stessi comandamenti esigono, però, nei nostri tempi un’attualizzazione inedita, perché sono assediati da interrogativi inattesi. Detto secondo un’altra prospettiva, la morale fondamentale classica, la cui struttura scheletrica deve permanere, ha visto tessersi su di sé una nuova carne, organi sorprendenti e, naturalmente, persino escrescenze e deformazioni.

Sempre esemplificando: la bioetica coinvolge costantemente le questioni sulla sessualità, la corporeità, la vita, ma vede esplodere una irradiazione di corollari decisivi e finora poco o per niente esplorati, come l’ingegneria genetica, la procreazione medicalmente assistita, le dipendenze, l’handicap, l’ecologia e persino lo sport, tutte voci trattate con finezza e senza esitazioni in questo dizionario. Continuando l’esemplificazione, la morale sociale si regge sempre sui pilastri della politica giusta, della partecipazione, della pace, del bene comune e così via, procedendo secondo la tradizionale dottrina sociale della Chiesa. Ma ormai si affacciano nuovi interrogativi spesso laceranti: tanto per citarne alcuni (tutti coperti da voci ben calibrate), le migrazioni, l’etica professionale e degli affari, l’economia in tutte le sue varianti, le tecnologie informatiche che hanno creato un’inedita infosfera e altro ancora.

I mutamenti di paradigma socio-culturali a cui assistiamo e di cui siamo anche attori avanzano con un’accelerazione frenetica ed esigono, quindi, che il discorso sia capace di isolare certamente alcuni perimetri etici stabili, ma anche di marcarli con frontiere non rigide bensì mobili e aperte. Si dev’essere, allora, capaci di individuare i nodi tematici, consapevoli però che le relative funi sono ininterrottamente tirate verso altri agganci. Fuor di metafora, l’affermazione di una fondata oggettività etica non può cristallizzarsi in un’autoreferenzialità esclusiva. Sarebbe, perciò, interessante, a questo proposito, condurre una comparazione su alcune voci di questo volume.

Da un lato, si legga la voce “Teologia morale – contenuti essenziali” oppure quella dedicata alla “Teologia morale – questioni teoriche e metodologiche”, e si ritroverà, sia pure con un linguaggio ovviamente aggiornato, la filigrana teorica tradizionale e permanente. D’altro lato, si segua invece la lista delle voci che iniziano col lemma “Etica”, ed ecco fiorire una serie di specificazioni dalle sfumature inaspettate eppur rilevanti nella contemporaneità: “etica applicata, professionale, femminile, globale, interreligiosa, ortodossa, protestante, narrativa, normativa, estetica, degli affari…”. In questa luce, si capisce quanto sia delicato il lavoro del teologo moralista la cui attrezzatura deve comprendere necessariamente strumenti in passato poco praticati o del tutto assenti, come quelli elaborati appunto dalla scienza, dalla tecnologia, dalla psicologia, dalla ricerca, dall’informatica, dall’ecologia, dall’antropologia culturale e da altre discipline.

Le stesse questioni che sollecitavano l’interesse dei moralisti di pochi decenni fa (oltre a quelli del passato) come, ad esempio, l’educazione sessuale, l’erotismo, l’eutanasia, l’identità sessuale, l’omosessualità, la convivenza more uxorio, la pornografia, il suicidio, i trapianti postulano oggi una complessa ridefinizione, pur nella permanenza di alcune linee-guida portanti. In questo senso risulta emblematica la riscrittura della voce “Legge naturale”, nella consapevolezza che – rispetto alla tradizione codificata – lo stesso concetto oggi non registra più una condivisione generale. Infatti, nel pensiero filosofico moderno, è vanificata – come si scrive nel dizionario – “la possibilità del riferimento a una natura comune tra le persone”, perché “l’importanza assunta dalla cultura nell’ambito delle scienze umane, dando risalto esclusivo alla dimensione della storicità, destituisce di significato ogni appello a un dato ontologico, considerato come immutabile”.

La citazione basta da sola a far comprendere quanto fondamentale sia questo dizionario e lo sforzo dei suoi artefici – a partire dai quattro curatori, figure di primo piano nello studio della morale cattolica – per riuscire a custodire l’anima profonda, nobile e feconda dell’etica cristiana non rinserrandola in stereotipi o in oasi protette solo apologetiche che ignorano la pressione esterna della cultura attuale. Una nota a margine. È noto che i dizionari tematici di loro natura non si leggono di seguito come un trattato o un romanzo. Tuttavia, quando sono ben costruiti, è possibile una lettura sistematica seguendo non l’alfabeto, ma una mappa concettuale. Ebbene, questo esercizio è limpidamente proposto in questo dizionario proprio attraverso un’iniziale “proposta di lettura sistematica”.

Gianfranco Ravasi     “Il Sole 24 Ore”   9 febbraio 2020

A cura di Paolo Benanti, Francesco Compagnoni, Aristide Fumagalli, Giannino Piana, Teologia morale, San Paolo, Cinisello Balsamo (Milano), pagg. XXXVIII-1229, € 149

https://francescomacri.wordpress.com/2020/02/10/teologia-morale-un-nuovo-e-moderno-dizionario-tematico

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