NewsUCIPEM n. 786 – 29 dicembre 2019

NewsUCIPEM n. 786 – 29 dicembre 2019

Unione Consultori Italiani Prematrimoniali E Matrimoniali

ucipemnazionale@gmail.com                                                 www.ucipem.com

 “Notiziario Ucipem” unica rivista ufficiale – registrata Tribunale Milano n. 116 del 25.2.1984

Supplemento online. Direttore responsabile Maria Chiara Duranti. Direttore editoriale Giancarlo Marcone

News gratuite si propongono di riprendere dai media e inviare informazioni, di recente acquisizione, che siano d’interesse, d’aggiornamento, di documentazione, di confronto e di stimolo per gli operatori dei consultori familiari e quanti seguono nella società civile e nelle comunità ecclesiali le problematiche familiari e consultoriali. Sono così strutturate:

  • Notizie in breve per consulenti familiari, assistenti sociali, medici, legali, consulenti etici ed altri operatori, responsabili dell’Associazione o dell’Ente gestore con note della redazione {…ndr}.
  • Link diretti e link per download a siti internet, per documentazione.

I testi, anche se il contenuto non è condiviso, vengono riprese nell’intento di offrire documenti ed opinioni di interesse consultoriale, che incidono sull’opinione pubblica. La responsabilità delle opinioni riportate è dei singoli autori, il cui nominativo è riportato in calce ad ogni testo.

Il contenuto delle news è liberamente riproducibile citando la fonte.            

In ottemperanza alla direttiva europea sulle comunicazioni on-line (direttiva 2000/31/CE), se non desiderate ricevere ulteriori news e/o se questo messaggio vi ha disturbato, inviate una e-mail all’indirizzo: newsucipem@gmail.com con richiesta di disconnessione.

Chi desidera connettersi invii a newsucipem@gmail.com la richiesta indicando nominativo e-comune d’esercizio d’attività, e-mail, ed eventuale consultorio di appartenenza.    [Invio a 1.462 connessi]

02 ACCOGLIENZA FAM. TEMPORANEA I bambini sottratti. «Ecco perché credemmo ai deliri di Bibbiano»

03 ADOZIONI INTERNAZIONALI                Cosa è cambiato delle procedure in Cina?

03 AFFIDO TEMPORANEO                           etero familiare ed interesse esclusivo del minore

04 ALTERNATIVA A IVG                               Proteggere una mamma fragile significa salvare i suoi bambini

04 APPROFONDIMENTI                               Siamo noi Betlemme. Vogliamo essere la culla o la tomba di Gesù?

06 ASS. CONSULENTI CONIUGALI            La nuova scuola di formazione AICCEF

06 ASSOCIAZIONI – MOVIMENTI             Centro Italiano Femminile- Il Convegno nazionale

06 CASA FAMILIARE                                      Allontanamento dalla casa familiare: ultime sentenze

08 CENTRO INTERN. STUDI FAMIGLIA   Newsletter CISF – N. 48, 23 dicembre 2019

08 CHIESA CATTOLICA                                  Abolizione del segreto pontificio. Ora i vescovi italiani capiranno..

09 COMM. ADOZIONI INTERNAZION.    Nuovi criteri per la presentazione delle istanze di autorizzazione

10 CONSULTORI FAMILIARI                        Studio ACLI: dossier il consultorio familiare

16 CONSULTORI UCIPEM                            Collegno.Nuova denominazione, nuovo Statuto, nuova sede legale

16                                                                          Imola. Decalogo per i genitori scritto dai figli                   

16                                                                          Pescara. Parent Star

15                                                                                            Laboratorio sulla comunicazione di coppia

17 DALLA NAVATA                                         S. Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe – Anno A – 29 dicembre 2019

17                                                                          Giuseppe, un padre concreto e sognatore

18 DIBATTITI NELLE CHIESE                        I cristiani integralisti e quelli progressisti hanno la stessa fede, ma.

19                                                                          Trambusto in Vaticano: il Natale temerario di Francesco

20 DIVORZIO                                                    Separazione: trasferimento immobile come mantenimento

21 DONNE NELLA CHIESA                           Questo vorrei dire a Papa Francesco

21                                                                          Che posto ha la donna nella Chiesa?

23                                                                          TogetHER. Cultura, potere, parola di Dio sul ministero delle donne

28 FRANCESCO VESCOVO DI ROMA        Il discorso alla Curia romana

30                                                                          L’urgenza di superare una Chiesa monocolore

32 GOVERNO                                                   Dipartimento per le politiche della famiglia                                     

32 MATERNITÀ                                                Congedo di maternità: le regole in vigore

33                                                                          Il lavoratore intermittente e maternità

35 SINODO PANAMAZZONICO                 Ministeri femminili: prospettive post-Sinodo

37 TEOLOGIA                                                    Gesù è stato un ebreo laico senza alcuna formazione rabbinica

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

ACCOGLIENZA FAMILIARE. TEMPORANEA

I bambini sottratti. Gli operatori: «Ecco perché credemmo ai deliri di Bibbiano»

«La Anghinolfi e Monopoli ci raccontavano che esisteva una rete potentissima di pedofili, ai quali i genitori vendevano i propri figli per soddisfare le pulsioni sessuali del gruppo». Ai bambini sottratti quindi alle famiglie venivano poi attribuiti «racconti di omicidi di altri bambini, episodi di cannibalismo e rituali satanici. Racconti che a noi vennero riferiti sia da Monopoli che dalla Bolognini (la moglie di Claudio Foti, fondatore della onlus Hänsel e Gretel, ndr). Monopoli si mostrava spaventato e faceva spaventare anche noi operatori. ».

È un quadro allucinante quello che emerge nero su bianco nell’ordinanza con cui il 21 dicembre 2019 il giudice per le indagini preliminari Luca Ramponi ha revocato gli arresti domiciliari a due tra i principali indagati nell’inchiesta ‘Angeli e Demoni‘, l’ex capo dei servizi sociali della Val d’Enza Federica Anghinolfi e l’assistente sociale Francesco Monopoli. Apparentemente una buona notizia per i due indagati, in realtà un boomerang, che riporta con dovizia di particolari le deposizioni di psicologi e assistenti sociali della Val d’Enza, rimarcando nei due indagati «l’esistenza di un programma criminoso» finalizzato a inventare «abusi in realtà mai avvenuti».

Anghinolfi, Monopoli e i loro complici avrebbero infatti convinto gli operatori dell’esistenza «di una rete di pedofili in Val d’Enza collegata alla nota e presunta vicenda dei Diavoli della Bassa Modenese, che andava a tutti i costi ‘smascherata’ anche a costo di falsità in atti pubblici, simulazioni, frodi processuali e depistaggi».

Bibbiano come Finale Emilia o Mirandola, dunque. Un parallelismo subito saltato agli occhi di noi giornalisti di Avvenire che già vent’anni fa ci occupammo dell’inchiesta sulla Bassa Modenese, finita con 16 bambini tolti alle famiglie e mai più tornati a casa, nemmeno dopo l’assoluzione dei genitori. Anche lì la Hänsel e Gretel. Anche lì genitori che avrebbero venduto i figli a una fantomatica cupola di pedofili potenti. Anche lì decine di piccoli ‘assassinati’, secondo i bimbi interrogati dagli psicologi e dai servizi sociali della Val d’Enza. Anche lì ‘riti satanici’.

E poi cimiteri, boschi, camion, sangue… (tenete a mente questi elementi). Un parallelismo però fino ad oggi negato con veemenza da chi sostiene che il ‘caso Bibbiano’ non esista. Ma ora dagli interrogatori in Val d’Enza emerge che a collegare i due casi emiliani erano proprio gli indagati. Ecco qualche stralcio: «La Bolognini diceva che in Val d’Enza vi erano degli elementi in comune con i casi dei pedofili della Bassa Modenese », dice Cinzia Magnarelli, assistente sociale, spiegando così perché era stata costretta a falsificare le relazioni sui genitori dei bambini. «La Anghinolfi riteneva che tale rete di pedofili fosse collegata a quella dei Diavoli della Bassa Modenese», conferma l’ex comandante della Polizia municipale, Cristina Caggiati.

Anche a Bibbiano, come vent’anni fa nel Modenese, «gli abusi sessuali rituali ci vennero dati per certi», fatti passare per veri attraverso «certificati medici indiscutibili», come racconta la consulente tecnica d’ufficio presso il Tribunale dei minori di Bologna, Anna Maria Capponcelli. Prove in realtà inesistenti e fasulle.

Purché i giudici non sappiano! Perché il piano funzionasse, era fondamentale che magistrati, Carabinieri e Polizia ne fossero all’oscuro. Ma come indurre psicologi e assistenti sociali all’omertà? Sostenendo che della cosiddetta rete facevano parte «giudici e forze dell’ordine ». Guai quindi a informarli. Da parte di Monopoli e Anghinolfi «la richiesta di silenzio era imperativa». Un’altra deposizione: «Ritenevano che la rete era composta da magistrati, ecclesiastici, carabinieri e poliziotti». Di nuovo sacerdoti, come nella Bassa Modenese, dove ben sette furono coinvolti, poi risultati innocenti (solo don Giorgio Govoni non fece in tempo ad avere giustizia perché morì di crepacuore durante il processo di primo grado).

            Dall’ordinanza del gip si scopre un particolare agghiacciante: per terrorizzare gli operatori e convincerli dell’esistenza della potente cupola, la Anghinolfi disse loro che «anche il piccolo Tommaso Onofri potesse essere stato vittima della citata rete». Tutti ricordano Tommy, 17 mesi, rapito dal suo seggiolone e ucciso a Casalbaroncolo (Parma) il 2 marzo 2006. Nessun mistero: sta scontando l’ergastolo il muratore Mario Alessi, condannato con i suoi complici Antonella Conserva e Salvatore Raimondi. Eppure la Anghinolfi in varie chat imputa l’assassinio di Tommy alla fantomatica rete di ricchi professionisti, usandone la tragedia proprio per la sua alta valenza emotiva.

Tra deliri e imposizioni. La simbologia utilizzata dalla moglie di Foti, Nadia Bolognini, «si rifaceva alla presenza del bosco, delle maschere, dei camionisti e del sangue». Impressionanti di nuovo le analogie con i deliri inventati nella Bassa Modenese, dove tra l’altro don Giorgio Govoni venne accusato di trasportare sul suo camion i cadaveri di numerosi bimbi decapitati (in realtà mai esistiti) e di gettarli nel Panaro. Della Anghinolfi emerge spesso la «assoluta mancanza di equilibrio e autocontrollo»: «Con toni militari e aggressivi – testimonia il vigile urbano Fernando Rocchi – ci urlò di procedere immediatamente all’arresto» del padre di un bambino. «La persona da calmare, più che l’uomo, era la Anghinolfi, che sembrava aver perso il senno. ‘Voi siete la mia polizia municipale e vi ordino di arrestarlo’, gridò quando le spiegammo che non vi era nessun presupposto a procedere». Grazie a «elementi di prova solidi», la fase delle indagini è conclusa.

            Domiciliari revocati perché prove già solide. Perché, di fronte a un quadro accusatorio tanto grave, il gip Luca Ramponi, su richiesta del pm Valentina Salvi ha disposto la revoca dei domiciliari cui Federica Anghinolfi e Francesco Monopoli erano sottoposti dallo scorso 27 giugno 2019? Perché di fronte a una «gravità indiziaria ormai cristallizzata in elementi di prova solidi» non c’è più pericolo che possano inquinare le prove.

In sostituzione, «deve ritenersi adeguata la sola sospensione dall’esercizio del pubblico ufficio e dalla professione di assistente sociale», spiega l’ordinanza del giudice Ramponi, perché invece «il pericolo che reiterino il reato» c’è, ed è legato allo svolgimento delle loro funzioni. Per entrambi, dunque, sono state disposte «misure interdittive di 12 mesi», periodo sufficiente per ottenere «una cesura netta rispetto alla attività deviata di cui sono emersi i gravi indizi».

Per un anno divieto di esercitare del tutto la professione, dunque. Così si evita «la possibilità per gli indagati di ricostruire quel ruolo pubblico che altrimenti conferirebbe nuovamente una qualche parvenza di autorevolezza e potrebbe rinfocolare in loro il perseguimento degli scopi criminosi».

Lucia Bellaspiga         Avvenire 28 dicembre 2019

www.avvenire.it/attualita/pagine/credemmo-ai-deliri-di-bibbiano

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

ADOZIONI INTERNAZIONALI

Cosa è cambiato delle procedure in Cina?

La Cina ha reso più trasparenti le procedure di adozioni internazionali. Il China Center for Children’s Welfare and Adoption (CCCWA), Autorità centrale dedicata, ha infatti comunicato di aver variato la procedura di abbinamento per i bambini non “special focus”.

Mentre, in precedenza, i bambini non special focus e i bambini special focus venivano pubblicati sul portale del CCCWA una volta al mese in un giorno e in un’ora prefissati, lasciando alla velocità di blocco del singolo Ente la possibilità per lo stesso di “conquistarsi” il bambino, ora tale procedimento sarà lasciato per i soli bambini special focus.

Per i bambini non-special focus invece l’Autorità Centrale invierà a tutti gli Enti un elenco di bambini con le corrispondenti schede e saranno gli enti a proporre per ogni bambino una famiglia; a prevalere, sarà la famiglia da più tempo registrata presso il CCCWA. Una procedura più trasparente, quindi, che elimina quelle “competizioni” tra Enti autorizzati di tutto il mondo che si verificavano in precedenza.

Dunque nessuna corsa all’ email.

            La volontà dell’autorità cinese è certamente quella di rendere più trasparente la procedura adottiva e di poter trovare la famiglia più rispondente ai bisogni dei bambini segnalati.

newsAIBI        27 dicembre 2019

www.aibi.it/ita/adozioni-cosa-e-cambiato-delle-procedure-in-cina

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

AFFIDO TEMPORANEO

Affido temporaneo etero familiare ed interesse esclusivo del minore

Corte di Cassazione, prima Sezione civile, sentenza n. 28257, 04 novembre 2019

https://sentenze.laleggepertutti.it/sentenza/cassazione-civile-n-28257-del-04-11-2019

In materia di affido anche temporaneo dei minori, il giudizio sull’adeguatezza del familiare prescelto quale affidatario temporaneo, ai sensi dell’art. 333 c.c., a soddisfare le esigenze del minore ed a salvaguardarne il sano ed equilibrato sviluppo psico-fisico, deve essere svolto dal giudice del merito valorizzando, fra le figure vicarie interfamiliari, il contributo al mantenimento del rapporto con la famiglia di origine, che è criterio guida di ogni scelta in tema di affido minorile.

 (In applicazione del principio la S.C. ha cassato la decisione della corte di merito, che aveva disposto l’affidamento temporaneo eterofamiliare di un minore, senza aver adeguatamente valutato la possibilità dell’affido interfamiliare ai nonni).

Redazione       Il caso.it           23 dicembre 2019

news.ilcaso.it/news_7017?https://news.ilcaso.it/?utm_source=newsletter&utm_campaign=solo%20news&utm_medium=email

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

ALTERNATIVA A IVG

Proteggere una mamma fragile significa salvare i suoi bambini

“La Tua Casa” è un progetto abitativo che accompagna le madri sole verso l’autonomia. Proteggere una mamma fragile, significa salvare i suoi bambini. L’abbandono minorile è la quarta emergenza umanitaria del nostro tempo e Ai.Bi. Amici dei Bambini, organizzazione nata oltre trent’anni fa da un movimento di famiglie adottive e affidatarie, lotta ogni giorno per combatterla. Ai.Bi. previene l’abbandono dei bambini sostenendo le famiglie più fragili e offrendo casa, aiuto e protezione alle mamme sole.

Sono madri giovani, prive del sostegno di una famiglia, che soffrono per gravi difficoltà personali, relazionali, economiche. Custodire e tutelare il legame d’amore tra queste mamme ed i loro figli è indispensabile per garantire ai bambini una crescita equilibrata e una vita serena.

Il progetto “La Tua Casa” è un luogo, da poco inaugurato, dove giovanni mamme crescono insieme ai loro figli. La comunità mamma-bambini ospiterà quattro mamme con i loro figli, in tutto 10 persone. Un gruppo di educatori affiancherà le mamme ogni giorno, per tutto il giorno e la notte, sostenendole nell’impegnativo compito di essere un buon genitore.

Un ulteriore appartamento ospiterà due mamme con i loro bambini, in tutto cinque persone. Un educatore le affiancherà per aiutarle a costruire un percorso di vita stabile e sereno, per loro stesse e per i figli. Il terzo alloggio ospiterà invece una sola mamma con i suoi felici bambini, in tutto tre persone. È un servizio per le mamme uscite dalla comunità, che hanno bisogno di tempo per completare il percorso verso l’autonomia.

Per prevenire l’abbandono dei minori, Amici dei Bambini sostiene le famiglie più fragili in un percorso di crescita e offre casa, aiuto e protezione a mamme rimaste sole con i figli. “La Tua Casa” è un progetto di accoglienza e sostegno a giovani mamme in difficoltà e ai loro bambini. Sarà realizzato in provincia di Milano, in un immobile confiscato alla mafia. Mamme e bambini entreranno in un ambiente familiare, che garantirà loro cura e protezione, supporto psicologico ed educativo, accompagnamento all’autonomia e al reinserimento sociale.

NewsAIBI                   27 dicembre 2019

www.aibi.it/ita/proteggere-una-mamma-fragile-significa-salvare-i-suoi-bambini

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

APPROFONDIMENTI

Padre Ronchi: “Siamo noi Betlemme. Vogliamo essere la culla o la tomba di Gesù?”

 

 

Un atto di fiducia assoluta da parte di Dio e una realtà che sconvolge e invita a schierarsi dalla parte dei più fragili. E’ una lettura controcorrente del Natale, quella offerta al Sir da padre Ermes Ronchi, che definisce Dio “un mendicante d’amore come noi” e assicura: “Noi possiamo essere la sua culla o la sua tomba, la sua mangiatoia o il suo calvario”

Il Natale “è un atto di fiducia che nasce da un desiderio di comunione, comunione che si era interrotta. L’uomo e la donna, Adamo ed Eva, non si erano fidati di Dio, ma Dio rovescerà la situazione fidandosi proprio di un uomo e di una donna”. Parola di padre Ermes Ronchi, dell’Ordine dei Servi di Maria, scelto nel 2016 da Papa Francesco per guidare gli Esercizi spirituali di Quaresima per il Pontefice e per la Curia romana.

“Si fiderà di una ragazzina che dice ‘sì’ e di un uomo ferito dai dubbi, ma che con i suoi sogni e le sue mani callose si mette al servizio di questa fanciulla e del suo bambino”.

Dunque un atto di fiducia assoluta.

Sì, un filo che rammenda lo strappo creatosi nel tessuto del cosmo. E oltre a questo c’è il dono di sé. Dio aveva creato Adamo ed Eva con la polvere del suolo, Geremia dice che il vasaio aveva realizzato il vaso con la creta; ora però è il vasaio a farsi creta. Il creatore diventa creatura, si fa piccolo, fragile, e si affida a due giovani innamorati. La storia riparte da qui: dall’umiltà di un Dio che da grande creatore si fa povero vaso. E’ sconvolgente pensare che il Signore si faccia uomo perché ogni uomo possa riconoscersi in lui: non ha nessuna logica se non l’eccedenza del Suo amore.

Dio entra nella storia del mondo nell’umiltà più totale, rifiutato dalle locande, escluso, e allo stesso modo ne esce crocifisso come un malfattore tra due ladroni. Questo iniziare dal fondo, dal basso, dagli ultimi perché nessuno sia escluso è un estendere l’abbraccio per arrivare al più lontano, per comprendere che nessuno va così lontano che Dio non lo possa raggiungere. Io immagino il Natale come l’abbraccio di Dio.

    Il mondo non è sempre comprensibile ma è sempre abbracciabile per Dio. Anche noi siamo in questo mondo, non per convertirlo, ma per amarlo.

            Natale è solo un fare memoria o è anche un progetto di vita?

E’ una realtà che sconvolge; un avvenimento drammatico nel senso che il Natale è il giudizio di Dio su questo mondo, non attraverso un decreto bensì tramite un bambino, perché il mondo diventi tutt’altro rispetto a quello che è. E’ un giudizio sulle cose. Il mondo girava sempre nella stessa direzione: il piccolo al servizio del grande, il potente e il forte che dominavano sui poveri e sui deboli. Ora questo meccanismo della storia si inceppa, come una ruota ben oliata che all’improvviso si blocca per un granello di sabbia finito nei suoi ingranaggi e poi riparte, ma nella direzione inversa. Con un rovesciamento: Dio va verso l’uomo, il potente si fa piccolo. Ora il movimento è dal grande tempio alla grotta, da Gerusalemme a Betlemme, dai magi verso un neonato perché la storia non può più essere quella di prima. Ma solo questo ribaltamento consente una vita buona, bella e felice.

Ha una straordinaria forza dirompente l’immagine di un Dio che si fa piccolo e indifeso come un neonato. Quel bambino vivrà solo se i suoi genitori lo ameranno, solo se Giuseppe e Maria si prenderanno cura di lui. Mi colpisce pensare che Dio si affidi totalmente a questa coppia di innamorati al punto da dire: “Se voi non mi amerete, io non riuscirò a vivere”.  Dio vive per il nostro amore: noi possiamo essere la sua culla o la sua tomba, la sua mangiatoia o il suo calvario.

Ma veramente l’Onnipotente ha bisogno del nostro amore?

E’ un mendicante d’amore come noi. Dio è amore e, come sostiene Origene, caritas est passio. Dio, che è amore, è anche passione, intesa come patire fino alla croce ma anche come appassionarsi per noi. Dio prima patì, poi si incarnò. Patì, ossia provò sofferenza, vedendo Adamo, l’uomo, smarrito e oppresso, e decise di incarnarsi. Dio prova dolore per il dolore dell’uomo; questo è l’amore.

Qual è oggi il messaggio del Natale?

Il Natale ci chiama alla scelta della piccolezza, a schierarsi dalla parte di chi è più fragile. Ci chiama a proteggere il più debole come hanno fatto Giuseppe e Maria con quel bambino. Ci chiama a difendere la vita in ogni situazione in cui venga minacciata. Inoltre, a Natale io mi sento come una madre di Cristo. Nasci in me, Signore!

                Se Cristo non nasce in noi sarà nato invano. Dobbiamo dare a quel pezzetto di Dio che è in ognuno di noi un po’ di tempo e un po’ di cuore, come una madre fa spazio al suo bambino mentre le cresce in grembo. Noi tutti dobbiamo diventare madre di Cristo. Questa è Betlemme; siamo noi Betlemme, il nostro cuore è la sua culla e la sua mangiatoia.

Qual è il suo augurio?

Lasciamoci toccare dai segni e dai simboli. Davanti al bambino spogliamoci delle nostre difese logiche e razionali. Sulla terra dobbiamo salvare due cose: i bambini e gli innamorati, Gesù bambino e Dio innamorato.

Giovanna Pasqualin Traversa   AgenziaSIR  25 dicembre 2019

www.agensir.it/chiesa/2019/12/25/natale-padre-ronchi-siamo-noi-betlemme-vogliamo-essere-la-culla-o-la-tomba-di-gesu

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

ASSOCIAZIONE ITALIANA CONSULENTI CONIUGALI e FAMILIARI

La nuova scuola di formazione AICCEF

L’AICCEF si arricchisce di una nuova Scuola di formazione in Consulenza familiare con sede a Napoli.

Il Consiglio Direttivo ha deliberato all’unanimità di riconoscere la Scuola di formazione Spazio Famiglia – Nina Moscati di Napoli come una Scuola riconosciuta Aiccef, con decorrenza 1 dicembre 2019. 

L’associazione Spazio Famiglia – Nina Moscati è un’associazione di promozione sociale, con un Consiglio Direttivo formato da 5 componenti, di cui il presidente è Stefania Sinigaglia. Le attività dell’Associazione sono varie e tutte indirizzate alla famiglia:

      Vi è il Centro di Consultazione alla persona, la coppia e la famiglia, che ha uno staff di Consulenti della coppia e della famiglia, uno psichiatra, cinque psicoterapeuti, due mediatori familiari e due avvocati;

       Si realizzano progetti socio-educativi e pedagogici presso scuole pubbliche e circoscrizioni; nonché percorsi formativi di orientamento scolastico e lavorativo, percorsi di mediazione artistica e Gruppi di parola per figli di separati.

Parte fondamentale dell’Associazione è il Centro di formazione alla consulenza familiare, che è la vera e propria Scuola di formazione a cui si dedicano la maggior parte delle risorse umane, logistiche e organizzative. L’Associazione è situato in zona Arenaccia, un quartiere centrale della città a poca distanza dalla stazione ferroviaria e da strade principali. Gli ambienti utilizzati sono a piano terra, recentemente ampliati, con varie sale per consulenza e due aule plenarie attrezzate, di cui una di 100 posti a sedere. Tutti i locali sono tinteggiati in colori caldi, vivaci e rilassanti e l’ambiente appare molto accogliente.

L’equipe dei docenti della scuola di formazione, di cui è Segretaria didattica Daniela Ferrone, è composto da Vittoria Bocchetti, consulente familiare, Roberto Iannotti psicologo e psicoterapeuta di indirizzo rogersiano, Carmen Parpaiola psicologa e psicoterapeuta sistemica.

La Scuola di formazione in Consulenza familiare Spazio Famiglia-Nina Moscati, che aveva presentato domanda di riconoscimento all’Aiccef come Scuola aderente, in data 30 novembre 2019 ha consegnato i primi Diplomi di Consulente della Coppia e della Famiglia. Con il rilascio di tali Diplomi, a cui la Presidente ed altri Consiglieri hanno assistito, si conclude il processo di accreditamento e valutazione della Scuola Nina Moscati.

News 25 dicembre 2019

www.aiccef.it/it/news/una-nuova-scuola-di-formazione-all-aiccef.html

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

ASSOCIAZIONI E MOVIMENTI

Centro Italiano Femminile- Il Convegno nazionale

IL CIF nell’Italia di oggi. Perché siamo qui. Fede, Laicità, Politica

Roma   23-26 gennaio 2020 Hotel Cicerone Via Cicerone, 55

www.cifnazionale.it

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

CASA FAMILIARE

Allontanamento dalla casa familiare: ultime sentenze

  1. Allontanamento dalla casa familiare: presupposto. In tema di misure cautelari personali, il presupposto della misura dell’allontanamento dalla casa familiare non è la condizione di “attuale” coabitazione dei coniugi, ma l’esistenza di una situazione per cui all’interno della relazione familiare prendono corpo condotte in grado di minacciare l’incolumità fisica e psichica di una persona. Cassazione penale sez. VI, 17/09/2015, n.17950
  2. Tutela contro gli abusi familiari. La tutela contro gli abusi familiari, prevista dall’art. 5 della l. n. 154/2001, prevede quali presupposti oltre al legame familiare di coniugio o more uxorio, la convivenza con l’autore del comportamento pregiudizievole, nel caso di specie non può quindi essere accolta la richiesta di tutela, con conseguente allontanamento dalla casa familiare, proposta dall’ex coniuge nei confronti del nuovo compagno della moglie, che convive con la stessa e la figlia in appartamento attiguo, ma separato e distinto da quello del richiedente. Tribunale Milano sez. IX, 04/07/2019, n.12196.
  3. Allontanamento dalla casa familiare: la reiterazione del reato. Presupposto per l’applicazione della misura cautelare dell’allontanamento dalla casa familiare è la prognosi di reiterazione del reato, dovendo sussistere un pericolo non solo concreto ma anche attuale, diversamente l’adozione dei provvedimenti di cui al secondo comma dell’art. 330 c.c. avrà luogo nel caso in cui il genitore abbia posto in essere una condotta gravemente pregiudizievole per l’interesse del minore. Con riferimento al caso di specie, l’esclusione delle esigenze cautelari, nel caso in cui la condotta di aggressione del genitore nei confronti dei figli minori risulti sporadica e occasionale, non influisce sull’adozione dei provvedimenti di cui al citato articolo, essendo a tal fine necessario, quale unico presupposto, la grave violazione dei doveri inerenti la responsabilità genitoriale. Tribunale minorenni Caltanissetta, 05/04/2019.
  4. Lesioni personali dolose e percosse. È costituzionalmente illegittimo, in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 l. 11 marzo 1953, n. 87, l’art. 4, comma 1, lett. a), d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274, nella parte in cui non esclude dai delitti, consumati o tentati, di competenza del giudice di pace anche quello di lesioni volontarie, previsto dall’art. 582, comma 2, c.p., per fatti commessi contro gli altri soggetti elencati al numero 1) del comma 1 dell’art. 577 c.p., come modificato dall’art. 2 l. 11 gennaio 2018, n. 4. Per effetto di tale disposizione, infatti, mentre l’omicidio del coniuge, anche separato, è considerato più grave dell’omicidio del coniuge divorziato, invece le lesioni volontarie lievissime in danno del primo vedono, all’opposto, un contrasto meno energico rispetto a quelle in danno del secondo, perché la competenza del giudice di pace esclude l’adozione di misure cautelari personali quali l’allontanamento dalla casa familiare a tutela del coniuge, anche separato, che subisca tale violenza domestica. Analoga considerazione vale per la parte di un’unione civile che subisca una violenza domestica in costanza dell’unione o dopo la cessazione della stessa. Corte Costituzionale, 14/12/2018, n.236.
  5. Istanza di concessione dell’allontanamento dalla casa familiare. In tema di ordini di protezione contro gli abusi familiari nei casi di cui all’articolo 342-bis del Cc, il decreto motivato emesso dal tribunale in sede di reclamo con cui si accolga o si rigetti l’istanza di concessione della misura cautelare dell’allontanamento dalla casa familiare, non è impugnabile per cassazione né con ricorso ordinario – stante l’espressa previsione di non impugnabilità contenuta nell’articolo 736-bis del Cpc, introdotto dall’articolo 3 della legge n. 154 del 2001, – né con ricorso straordinario ai sensi dell’articolo 111 della Costituzione, giacché detto decreto difetta dei requisiti della decisorietà e della definitività. Tale principio non muta solo per il fatto che il reclamo sia stato portato all’esame della Corte d’appello, anziché del tribunale, perché il provvedimento di base reclamato era stato reso dal tribunale – per l’irrilevanza – ai fini dell’ammissibilità del controllo – dell’organo giurisdizionale che lo ha pronunciato. Cassazione civile sez. I, 22/06/2017, n.15482.
  6. Imputato sottoposto all’allontanamento dalla casa familiare. È valida la notifica dell’avviso di deposito della sentenza all’imputato contumace effettuata, presso il domicilio dichiarato, a mani del familiare qualificatosi come convivente, a nulla rilevando che nel frattempo l’imputato sia stato sottoposto alla misura cautelare dell’allontanamento dalla casa familiare, in quanto l’applicazione di tale misura non comporta, di per sé, il venir meno del diretto collegamento con detto domicilio e la rescissione del rapporto di convivenza con i familiari che ivi si trovano, dovendosi quest’ultimo intendere come basato, più che sulla continuità della coabitazione, sulla persistenza dei vincoli che legano i membri di una stessa famiglia. Cassazione penale sez. III, 22/09/2016, n.5242.
  7. Allontanamento dalla casa coniugale disposto dal giudice. La misura cautelare dell’allontanamento dalla casa familiare è misura proporzionata e preventiva del reato di maltrattamenti in famiglia. Ufficio Indagini preliminari Bari, 30/12/2015.
  8. Lesioni volontarie. Nel caso di soggetto indagato per lesioni volontarie ai danni della ex compagna con le aggravanti comuni di cui all’art. 61, commi 1 e 11, c.p., trova applicazione la misura cautelare di cui all’art. 282 ter c.p.p. (divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa) con le prescrizioni aggiuntive di cui al comma 2 dello stesso, e non la più grave misura prevista dall’art. 282 bis c.p.p. (allontanamento dalla casa familiare). Ufficio Indagini preliminari Nola, 18/11/2014.
  9. Allontanamento dalla casa di abitazione e stalking. In tema di misure cautelari personali, il riferimento normativa all’allontanamento dalla casa familiare non consente una dilatazione della sfera di operatività della misura, tale da ricomprendervi fattispecie caratterizzate dall’insussistenza di una situazione per cui all’interno di una relazione familiare si manifestano condotte in grado di minacciare l’incolumità della persona (nella specie, la Suprema corte ha ritenuto che la misura cautelare dell’allontanamento dalla casa di abitazione non sia applicabile al delitto di stalking realizzato dall’indagato nei confronti dei vicini di casa). Cassazione penale sez. V, 19/03/2014, n.27177.
  10. 10.    Bilanciamento di interessi tra marito allontanato e vittime degli abusi familiari. In tema di allontanamento dalla casa familiare ex art. 342 bis e 342 ter c.c., nel bilanciamento di interessi contrapposti tra il marito allontanato e quelli delle vittime degli abusi familiari deve darsi nettamente la prevalenza a questi ultimi ad essere tutelati da ulteriori atti di aggressione e a vivere in un ambiente sereno e non contaminato da comportamenti vessatori e prevaricatori del familiare violento. Tribunale Monza sez. IV, 07/05/2012

La Legge per tutti                  22 dicembre 2019

www.laleggepertutti.it/340495_allontanamento-dalla-casa-familiare-ultime-sentenze

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

CENTRO INTERNAZIONALE STUDI FAMIGLIA

Newsletter CISF – N. 48, 23 dicembre 2019

Soldati fuori dalla trincea, disarmati… “stavamo parlando di un cessate il fuoco. Per la vigilia di Natale…”

A Christmas song. To build peace and defeat war [from the movie Joyeux noel – 2005].

www.youtube.com/watch?v=u9TFJHVibHY&feature=youtu.be&t=24

Grazie al canto di Adeste fideles uomini in trincea lasciano le armi e si incontrano nella terra di nessuno, per ricordare la nascita di un Bambino che porta la pace nel mondo a chi ha il cuore aperto. Come quello di chi rischia di uscire dalla trincea protetto solo dalla forza del canto e dalla fiducia nell’umanità degli altri, che stavolta non spareranno. Perché il passo più rischioso verso la pace è quello di chi si muove per primo, senza armi contro i fucili, ma il passo più difficile è il secondo, quello che di chi “risponde alla fiducia con la fiducia”. Da un episodio vero, nel Natale 1914, sul fronte franco-tedesco, ricordato da un film che andrebbe rivisto ad ogni Natale. Per ricordare la speranza della pace e per non dimenticare l’orrore della guerra, che purtroppo non appartiene solo ad un lontano passato, ma è ancora il triste quotidiano di troppi essere umani anche oggi.

Filmato da “Joyeux Noel”                  www.youtube.com/watch?v=u9TFJHVibHY&feature=youtu.be&t=24

NB sia pure per pochi giorni, quegli uomini seppero trovare la pace e la pietas per i tanti caduti. Poi tutti, francesi, scozzesi e tedeschi, vennero mandati a morire dai loro superiori, su fronti ben più pericolosi. Perché il potere della morte non tollera i costruttori di pace.

Iscrizione               http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/newsletter-cisf.aspx

Archivio     http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/elenco-newsletter-cisf.aspx

http://newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/dicembre2019/5154/index.html

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

CHIESA CATTOLICA

Ottima l’abolizione del segreto pontificio. Ora i vescovi italiani capiranno che devono cambiare linea?

Ottima l’abolizione, anche se in ritardo, del segreto pontificio. In Italia i vescovi sono in grande ritardo e su una linea sbagliata.

Un grande passo in avanti. La stampa e tutti i media oggi danno, in modo insolito per questioni di questo genere, ampia ed esauriente informazione sulla decisione di papa Francesco di abolire il cd “segreto pontificio” sulle informazioni ed i procedimenti canonici della Chiesa relativi agli abusi sessuali di preti nei confronti di minori. Da troppo tempo ciò era richiesto dalle organizzazioni delle vittime ed anche da alcuni ambienti interni alla struttura ecclesiastica impegnati su questo problema. Ci sono voluti quasi vent’anni da quando è esploso lo scandalo dei preti pedofili perché cadesse un muro, quello che separava quasi del tutto la giurisdizione civile da quella canonica, tutta interna alla Chiesa.  Un grande passo avanti è stato fatto per merito di papa Francesco e di quanti hanno sempre denunciato il privilegio di una giurisdizione, che è in contraddizione con i valori evangelici e con una corretta concezione e pratica della laicità delle istituzioni. Ora i vescovi dovranno consegnare documenti (potrebbero anche darli spontaneamente!) a richiesta delle legittime autorità e la Congregazione per la Difesa della Fede non potrà chiudersi a riccio, come ha sempre fatto, e dovrà rispondere con fatti e testi anche se mediante il passaggio della rogatoria internazionale. Ora la direzione di marcia è stata chiaramente indicata e nello sterminato universo cattolico i presbiteri onesti e tutti gli altri battezzati, uomini e donne, cercheranno di non tacere più per il “buon nome della Chiesa” e si impegneranno a favore delle vittime, fratelli nella fede, le cui sofferenze psicologiche e morali quasi sempre restano per anni o decenni nel profondo del loro vissuto, ben oltre la eventuale condanna dei colpevoli, i processi, le prescrizioni e tante eventuali belle parole.

I vescovi italiani. L’ abbondanza degli interventi di oggi si è fermata alle decisioni del papa. Ce ne dispiace. Da sette anni il nostro movimento (ma non da solo!)  è intervenuto sulla situazione italiana facendosi portavoce di opinioni, spesso troppo silenziose, delle vittime e di un vasto tessuto di cattolici preoccupati, quasi angosciati, per la perdita di credibilità della loro Chiesa per la linea adottata dalle autorità ecclesiastiche su questa questione.  Le nostre posizioni sono sempre state ignorate al vertice dei vescovi ma forse hanno contribuito a creare opinioni nel tessuto di base della nostra Chiesa. Cerchiamo di sintetizzarle (i tanti interventi sono reperibili su www.noisiamochiesa.org)

La CEI è andata a rimorchio delle pressioni vaticane ed è in Europa la Conferenza episcopale più ferma ed arretrata nell’affrontare il problema.  Si leggano le cd Linee Guida scritte nel 2012, corrette nel 2014 ed infine nel 2019. Si partì dal sostenere in modo esplicito che la situazione italiana era diversa da quella degli altri paesi ma si è, nello stesso tempo e in modo contradditorio, continuamente ripetuto che non si conoscevano i dati essenziali del fenomeno. E non si è fatto nulla per conoscerli in modo soddisfacente, come è stato fatto per esempio in Germania. Eppure ci sono le cronache continue sui media, anche se piuttosto contenute, per fatti emersi nei tribunali (senza che mai una volta fossero la conseguenza di denunce dei vescovi!). Non è mai stata programmata una solenne celebrazione collettiva di pentimento (al contrario di quanto è stato fatto nella maggior parte dei paesi europei), niente è stato fatto per le vittime (se non qualche parola di rito) mentre sarebbe necessario concentrare le energie più che sul recupero del prete pedofilo soprattutto sulla condizione delle vittime per troppo tempo invitate al silenzio.

            Il quarto comma dell’art. 4. I vescovi hanno sempre ben conosciuto il quarto comma dell’art.4 del nuovo Concordato del 1984 che dice che “Gli ecclesiastici non sono tenuti a dare a magistrati o ad altra autorità informazioni su persone o materie di cui siano venuti a conoscenza per ragione del loro ministero.” Questo privilegio, nella prassi, è diventato un abuso. Ora nelle nuove Linee Guida di maggio 2019 si dice che il vescovo ha l’obbligo morale “di procedere all’inoltro dell’esposto all’autorità civile qualora, dopo il sollecito espletamento dell’indagine previa, sia accertata la sussistenza del fumus delicti.” Si tratta di un obbligo non giuridico e dopo aver svolto la cd “indagine previa” da parte del vescovo che ha quindi il controllo di tutta la vicenda. Si può sperare in Italia con una maggioranza di vescovi che, fino ad ora, non si è comportata correttamente? Stante i precedenti in cui il prete pedofilo è sempre stato nascosto o trasferito da una parrocchia ad un’altra, c’è da credere che l’elemento decisivo per sbloccare la situazione sia quello del magistrato che costringe il vescovo a consegnare i documenti perché non esiste più, ora, il segreto pontificio.

I vescovi stanno ora organizzando strutture diocesane di intervento sul problema ma sono solo proiettate sulla prevenzione e la formazione nei seminari, negli oratori ecc.. L’efficacia di queste iniziative non potrà che essere verificata nei tempi medio-lunghi. Niente è previsto per quello che tutto dovrebbe precedere e cioè, lo ripetiamo: la priorità assoluta alle vittime, il riconoscimento delle colpe e delle responsabilità, l’accertamento della situazione del passato e di oggi, la comunicazione da oggi all’autorità civile dei fatti che emergono, l’affidamento ai laici e soprattutto alle donne di occuparsi di ogni questione della pedofilia del clero sottraendola alla gestione clericale.

E le donne abusate?  Un’altra questione incombe sulla Chiesa. E’ stata nascosta da tempo. Qualcuno ne ha parlato a proposito dell’abolizione del segreto pontificio. Le denunce già ci sono e da tempo. Ma la questione è stata insabbiata. Si tratta di abusi e violenze, soprattutto sulle suore, in modo diffuso, dall’Africa ad altre diocesi. Aspettiamo che siano i media e sempre dall’esterno della Chiesa perché il problema sia affrontato? Senza il segreto pontificio si può fare qualcosa subito? Sappiamo che è già un’emergenza.

                                                    Noi siamo chiesa        Roma 18 dicembre 2019 

www.noisiamochiesa.org/?p=7797

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

COMMISSIONE ADOZIONI INTERNAZIONALI

Nuovi criteri per la presentazione delle istanze di autorizzazione

Nel corso dell’ultima seduta del 18 dicembre 2019, la Commissione per le Adozioni Internazionali ha deliberato di differire al terzo trimestre del 2020 (1 luglio – 30 settembre) il periodo di presentazione delle istanze di autorizzazione.

La Commissione ha stabilito di limitare la presentazione delle istanze ai soli Enti già iscritti all’Albo e per quei Paesi in cui non siano già presenti Enti e nei quali l’Autorità Centrale/Competente sia chiaramente identificabile.

Infine, nel caso di fusione tra due enti, la Commissione ha disposto che potrà concedere autorizzazioni all’ente incorporante nel Paese in cui sia già accreditato l’ente incorporato.

La Commissione si riserva di apportare, con successive deliberazioni, integrazioni a detti criteri.

Comunicato 27 dicembre 2019

www.commissioneadozioni.it/notizie/nuovi-criteri-per-la-presentazione-delle-istanze-di-autorizzazione

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

CONSULTORI FAMILIARI

Studio ACLI: dossier il consultorio familiare

Nascita ed evoluzione di un modello sociale di salute in Italia

  • Introduzione
  • Cittadinanza, salute, servizi sociali: le riforme degli anni ‘70: legislazione nazionale, regionale e provinciale
  • Leggi e fonti nazionali leggi regionali e provinciali
  • I consultori familiari tra innovazione e criticità
  • Il dibattito sui consultori
  • Salute riproduttiva, fecondità e natalità: i numeri
  • Ministero della Salute 21 Legge 194: relazione annuale al Parlamento con i dati 2017
  • Procreazione medicalmente assistita, relazione al Parlamento 2018
  • Istat
  • Rapporto annuale 2019. La situazione del Paese
  • La salute riproduttiva della donna
  • Informazioni sulla rilevazione Interruzioni volontarie della gravidanza
  • Interruzioni volontarie della gravidanza
  • Natalità e fecondità della popolazione residente
  • Madri sole con figli minori
  • L’evoluzione demografica in Italia dall’Unità a oggi 28 Annuario statistico italiano 2018 28
  • Le proposte di modifica
  • A livello nazionale
  • XVIII Legislatura
  • XVII Legislatura
  • A livello regionale
  • Lombardia
  • Emilia-Romagna
  • Liguria
  • Lazio


            Introduzione:
«I consultori familiari, istituiti dalla Legge 29 luglio 1975, n. 405, sono servizi

www.trovanorme.salute.gov.it/norme/dettaglioAtto?id=25554

socio-sanitari integrati di base, con competenze multidisciplinari. [previste da L. n 194- 22 maggio 1978 e dall’ art. 3 L n. 40-19 febbraio 2004.]

www.trovanorme.salute.gov.it/norme/dettaglioAtto?id=4538&articolo=3

[di competenza Ministero salute e purtroppo non inseriti nella Legge 8 novembre 2000, n. 328 “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali”]

Costituiscono un importante strumento all’interno del distretto, per attuare gli interventi previsti a tutela della salute della donna, più globalmente intesa e considerata nell’arco dell’intera vita, nonché a tutela della salute dell’età evolutiva e dell’adolescenza, e delle relazioni di coppia e familiari.».

Così si legge sul sito del Ministero della salute. Già in queste cinque righe di sommaria presentazione si annunciano alcune caratteristiche fondamentali di questo istituto “ibrido” (le analizzeremo distintamente nel corso di questo dossier), il cui funzionamento e monitoraggio ha posto non pochi problemi, tanto che – nel novembre 2010 – sul frontespizio del Dossier “Organizzazione e attività dei Consultori familiari pubblici in Italia. Anno 2008″, appena realizzato dal Dipartimento della prevenzione e della comunicazione – Direzione Generale della prevenzione sanitaria del Ministero della Salute, compare una sorta di speciale avvertenza «Questo rapporto è il primo tentativo di costruzione di un rapporto nazionale sui Consultori familiari a distanza di 35 anni dalla loro istituzione. Le difficoltà nel giungere a questo risultato non sono state poche. Alcune sono state superate, altre ancora no. Prendendo però questo primo rapporto come punto di partenza, con l’impegno di tutti, è possibile migliorarne la qualità ed avere a disposizione un prodotto utile al monitoraggio di questo servizio prezioso per la salute degli adolescenti, delle donne e delle famiglie».

www.google.com/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=3&ved=2ahUKEwjhp67gtYPnAhVQy6QKHctCDdcQFjACegQIBhAC&url=http%3A%2F%2Fwww.salute.gov.it%2Fimgs%2FC_17_pubblicazioni_1406_allegato.pdf&usg=AOvVaw2EZwiUVdsUvWsgJCjiwxt

 Acquisiamo così i primi elementi:

  • Sono servizi integrati di base;
  •  O hanno carattere distrettuale;
  • O hanno competenze multidisciplinari;
  • Non hanno evidentemente obiettivi facilmente misurabili (visto che lo stesso Ministero della salute ha redatto il primo Rapporto di monitoraggio a 35 anni dalla loro istituzione);

[Inoltre Consultori familiari, la prima fotografia dell’Istituto Superiore Sanità 12 dicembre 2019] 

www.epicentro.iss.it/consultori/indagine-2018-2019

  • O la loro “programmazione, il funzionamento, la gestione e il controllo” competono alle regioni (con ciò sviluppandosi con modelli organizzativi diversi e riproducendo nel territorio disparità e disuguaglianze);
  •  O precedono l’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale, con il quale dovranno fare conti non facili.

 Rispetto ai Consultori – e dunque alla loro evoluzione, almeno per i primi anni – va poi tenuto in conto il clima “speciale” in cui sono nati, e di cui converrà richiamare più avanti alcuni elementi, ma anche il fatto che i consultori pubblici hanno avuto alcuni antecedenti significativi, ad opera di associazioni volontaristiche, operanti già da qualche decennio (in particolare UCIPEM, UICEMP [Unione Italiana Centri Educazione Matrimoniale e Prematrimoniale] e AIED) e ad oggi ancora attivi. UCIPEM e AIED hanno rappresentato le due organizzazioni private più importanti e i più significativi antecedenti dei Consultori pubblici. Diversissimi per nascita, obiettivi e finalità entrambe hanno risposto ad istanze molto diffuse e popolari.

«C’era, negli anni dell’immediato dopoguerra, un gran vociferare per la “ricostruzione” del Paese: “Ebbene – mi dissi – noi ci dedicheremo alla ricostruzione della famiglia”. Sorsero così varie iniziative, per quel tempo insolite: pubblicazioni specifiche, editoriali e periodiche, corsi di preparazione al matrimonio, corsi di riorientamento per sposi e genitori, un consultorio prematrimoniale e matrimoniale per le difficoltà critiche che possono insorgere nella preparazione al matrimonio e lungo il corso della vita coniugale. Ecco, l’idea del consultorio scaturiva da una serie di iniziative, specificatamente orientate all’aiuto della famiglia, le quali ci avevano fatto approfondire l’osservazione di situazioni problematiche, e istanze, più o meno esplicite, che richiedevano un organismo particolarmente qualificato, che le accogliesse e le esaminasse, in modo da chiarire ed evidenziare la soluzione migliore, caso per caso.

Il 15 febbraio del 1948, quando annunciai al pubblico milanese che l’Istituto “La Casa” istitutiva un consultorio di quel genere, la stampa (a cominciare da quella quotidiana) mostrò subito vivo interesse, come se si fosse squarciato un velo che nascondeva una problematica sociale, diffusa e dolente. Ricordo che le prime persone che giunsero al consultorio si riferivano a un giornale o venivano addirittura con il giornale sul quale avevano letto la notizia, quasi per scusarsi di chiedere un aiuto così insolito di cui da tempo sentivano il bisogno… Nel giro di pochi anni, sorsero altri consultori in Italia, con i medesimi intendimenti e sempre per iniziativa di persone sensibili e volenterose, senza riconoscimenti, né aiuti di nessuna sorta. Sono questi consultori, i quali nel 1968 (24 marzo) si raggrupparono sotto la sigla UCIPEM (Unione Consultori Italiani Prematrimoniali e Matrimoniali)»

(don Paolo Liggeri, Il Consultorio in Italia: storia, legislazione, fisionomia, finalità e struttura, sito UCIPEM)

L‘A.I.E.D. – Associazione Italiana per l’Educazione Demografica viene costituita il 10 ottobre 1953. «Primo obiettivo dell’AIED è stato quello di ottenere l’abrogazione dell’articolo 553 del Codice Penale (assurdo retaggio della legislazione fascista), che vietava fino ad allora la propaganda e l’uso di qualsiasi mezzo contraccettivo, prevedendo un anno di reclusione per chi si fosse reso responsabile di simile “reato”. Secondo obiettivo è stato quello di aprire nel 1955, a Roma, in via Rasella, il primo consultorio italiano di assistenza contraccettiva.

Dopo numerose battaglie, che hanno registrato anche processi penali a carico di alcuni suoi dirigenti, I’AIED otteneva il 10 marzo 1971 l’abrogazione da parte della Corte Costituzionale del citato art. 553, riconosciuto palesemente incostituzionale. Tuttavia, malgrado tale pronunciamento, perdurava ugualmente in Italia il divieto di vendita nelle farmacie dei contraccettivi, in quanto il Ministero della Sanità continuava ad applicare alcune norme del “Regolamento per la registrazione dei farmaci” (Reg. n. 478 del 1927), che non consentiva “la registrazione di specialità medicinali e di presidi medico-chirurgici aventi indicazioni anticoncezionali”. Per questo motivo, infatti, i contraccettivi venivano ancora registrati sotto “mentite spoglie”: la pillola come regolatore dei cicli mestruali, mentre gli spermicidi come antisettici per l’igiene intima della donna. L’AIED intraprendeva così, nel giugno 1976, una solitaria azione di denuncia legale e politica nei confronti dell’allora Ministro della Sanità per inosservanza della legge 22 luglio 1975, n. 405, che aveva istituito in Italia i consultori familiari, i quali dovevano servire a fornire proprio assistenza contraccettiva e che –  paradossalmente – non potevano farlo! A seguito di quest’azione, il Ministero della Sanità, con decreto dell’ottobre 1976, provvedeva finalmente ad abrogare quelle norme. Si apriva così definitivamente in Italia la strada per una effettiva pratica della contraccezione, e la possibilità di realizzare – attraverso di essa – i principi della maternità libera e responsabile. (AIED, La nostra storia)»

Affrontare il tema consultori oggi è particolarmente importante per almeno tre ordini di motivi:

  1. I consultori sono la frontiera sociale in sanità, purtroppo periferia della spesa sanitaria, tanto da indurre a pensare che il loro ambito debba essere parte attiva dei piani di zona (indi delle politiche di welfare) ed uscire dai confini delle aziende sanitarie pubbliche;
  2. O i consultori sono il luogo della multidisciplinarietà, come tali possono rappresentare realtà privilegiate laddove si voglia scegliere di sperimentare il lavoro in equipe;
  3. O i consultori sono molto spesso sulla carta e vengono sussidiati da esperienze volontaristiche o comunque del privato sociale, generando un sistema inadeguato e/o obsoleto, in tempi che necessitano di mediare i conflitti familiari, di ricomporre le crisi, di fronteggiare con il supporto alla genitorialità la crescente e drammatica povertà educativa.

Attualmente non è semplice conoscere la distribuzione territoriale dei consultori. Da uno studio, si evince che in Italia sono attivi 2.354 Consultori Familiari del SSN, mentre quelli non direttamente afferenti al Sistema Pubblico sono circa 300. La regione con maggiore presenza è la Lombardia (242 Pubblici e 64 non Pubblici).

«A queste esperienze si aggiungono poi i Punto Famiglia delle Acli, ben 70 in tutta Italia (cfr. Tab. 1): anche se a rigore non sono dei Consultori, spesso le loro attività possono essere considerate affini o più precisamente complementari a quelle svolte all’interno delle sedi consultoriali. Il Punto Famiglia è un luogo di aggregazione, accompagnamento e servizi non solo per la famiglia, ma anche con la famiglia, ove valorizzare le sue capacità di auto-tutela e mutuo-aiuto e sperimentare il protagonismo familiare. Il tratto distintivo che caratterizza i Punto Famiglia risiede nella capacità di creare legami, mettendo a disposizione dei nuclei familiari spazi, risorse, competenze umane e professionali, in cui sviluppare reti intra ed inter familiari, inter e intra generazionali, inter e intra culturali, e in cui trovare risposte a problemi contingenti. I servizi e le attività dei Punto Famiglia variano da città a città, anche in relazione alle reti territoriali coinvolte nel progetto, avendo tutti in comune l’obiettivo di sostenere famiglie e singoli in difficoltà, soprattutto nelle realtà dove l’intervento pubblico è meno presente. Dalla consulenza in materia fiscale e previdenziale ai servizi psicologici di terapia familiare, dallo Sportello Salute e Benessere, dall’accompagnamento nel disbrigo delle pratiche amministrative e all’orientamento ai servizi territoriali, alla consulenza giuridica per la famiglia e/o in materia di diritto del lavoro, dall’orientamento agli stili di vita sana alla consulenza in campo nutrizionistico, dall’accompagnamento scolastico ai percorsi di sostegno alla genitorialità, ma anche momenti di aggregazione alle famiglie, laboratori ludico-ricreativi per bambini, percorsi di alfabetizzazione informatica, corsi di lingua italiana per stranieri, ambulatori solidali, incontri formativi, campi vacanze per bambini, raccolte alimentari, ecc. ecc.»

L’esperienza dei Punti Famiglia e, più in generale e prima ancora, dei consultori familiari di iniziativa privata rappresentano una opportunità importante per le famiglie, soprattutto in quei territori che più di altri hanno patito la riduzione delle risorse e meno di altri hanno potuto usufruire di una equa distribuzione dei servizi. Ma in nessun caso queste esperienze debbono essere considerate in termini di supplenza dell’intervento pubblico e giustificarne la contrazione. La virtuosità di queste realtà consiste infatti – in modo particolare – nella capacità di creare connessioni tra i soggetti che l’iniziativa pubblica non riesce a raggiungere, concorrendo a stabilire legami stabili e fiduciari sia con le istituzioni che con le organizzazioni presenti nel territorio, affinché queste ultime arrivino a rappresentare quella rete di protezione necessaria alle famiglie e ai/alle loro componenti.

Sappiamo da indagini recenti e, prima ancora, dalla nostra esperienza che l’impoverimento che ha colpito pressoché tutte le famiglie italiane del ceto medio-basso, ha in prima battuta portato alla riduzione proprio delle spese destinate alla salute, mentre – dall’altro lato, come in una morsa a tenaglia – la sanità pubblica e i servizi erogati dagli enti locali procedevano a loro volta ad abbassare il livello delle erogazioni e delle provvidenze. I Consultori, da sempre considerati una entità spuria e non di prima necessità, non hanno fatto eccezione, continuando il trend negativo avviato ormai decenni fa. Ma, come si vedrà anche nelle pagine successive di questo dossier, i Consultori hanno rappresentato – sia pure per una breve stagione – e possono ancora rappresentare una porta d’accesso importante per le famiglie, le donne, i giovani, i bambini. Una porta meno spaventosa di quella di un ospedale, ma non meno necessaria. Vediamo come, vediamo perché…

Cittadinanza, salute, servizi sociali: le riforme degli anni ‘70

Gli anni ’70 sono stati nel nostro Paese anni di grandi cambiamenti e grandi riforme. La società italiana era cambiata e continuava a cambiare velocemente, lasciandosi alle spalle il decennio del boom economico per entrare in quello della crisi, che pure porterà a maturazione processi di portata storica. Alcune delle leggi che hanno segnato quel decennio, come spesso accade, hanno registrato e sostenuto le istanze sociali, quasi anticipandone la prefigurazione. Altre nascevano già vecchie, preoccupate di conservare più che di creare. Così, in alcuni casi, gli interventi riformatori invece di sostenersi l’un l’altro rimanevano – nella migliore delle ipotesi – uno estraneo all’altro, talvolta arrivando a confliggere. È in questa temperie che nel 1975 viene approvata la legge che istituisce i Consultori, al termine di un quinquennio in cui le relazioni sociali e i rapporti tra uomini e donne si impongono sulla scena e impongono la riscrittura del patto sociale. I consultori nascono in questo fermento, ne sono parte ed esito. Nascono prima del Servizio Sanitario Nazionale e prima del definitivo assetto del nuovo ordine delle Regioni. Quella dimensione ordinativa e amministrativa gli è estranea.

 I Consultori non sono ospedali, sono anzi quei luoghi in cui per la prima volta la medicina viene posta sotto accusa, per la sua pretesa di curare corpi che non distingue. L’inimicizia si creerà presto, non solo per questo. Certo è che l’idea di servizio alla base della nascita dei Consultori non trova luogo – e spesso neanche risorse – nel nuovo assetto della Sanità italiana disegnato dalla legge di riforma del 1978. E un peso ancora più forte avrà sulla vita e il futuro dei Consultori l’approvazione nello stesso anno di un’altra legge, la famosa 194, Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza, che ha depenalizzato condizionatamente l’aborto disciplinandone le modalità di accesso, e affidandone in gran parte l’onere proprio ai neonati Consultori. Anche solo attraverso un’osservazione formale, non è difficile immaginare la difficoltà che queste strutture – e gli operatori, in grandissima parte donne, che lavoravano al loro interno – si trovarono ad affrontare. Il percorso di attuazione della norma nazionale attraverso le legislazioni regionali durò (come vedremo più avanti, nel capitolo dedicato) oltre quattro anni e quasi subito le leggi nel frattempo approvate subirono profonde revisioni per l’adeguamento alle norme nazionali (istituzione del SSN, attuazione del Titolo V della Costituzione).

 La legge 194 poi – oltre alla legittima opposizione legata ai convincimenti etici e religiosi – trovò oggettive difficoltà nella sua applicazione, anche per la strumentalità farisaica con cui l’obiezione di coscienza venne utilizzata. I Consultori dunque, salutati con fiducia anche da ambienti tutt’altro che progressisti, ebbero assai poco tempo per godersi la popolarità e veder sviluppare i tanti progetti alla base della loro costituzione.

 Riportiamo di seguito alcuni stralci, ripresi da fonti diverse, a testimonianza di quanto affermato e della complessa, intricata e per certi versi straordinaria vicenda che è stata la nascita e la vita dei Consultori.

(….) Il referendum sul divorzio (1974), la prospettiva di quello sull’aborto, le sentenze della Corte Costituzionale sull’aborto terapeutico (1975) e, prima ancora, sulla pubblicità dei metodi contraccettivi (1971), sono stati eventi e condizioni che hanno sollecitato, sotto la pressione della società civile, le forze politiche a varare la legge costitutiva dei Consultori Familiari e il testo riflette assai bene i conflitti ideologici e gli equilibri raggiunti attraverso formulazioni riduttive ed equivoche (nel senso che ogni parte le poteva interpretare in modo diverso). Le novità della legge nazionale furono più diffusamente sviluppate nelle leggi regionali attuative, sia attraverso una maggiore sottolineatura della dimensione psicosociale dell’azione consultoriale, sia con l’indicazione alla costituzione di forme di partecipazione delle utenti e delle associazioni della società civile, per la promozione, programmazione e controllo dell’attività consultoriale. Nella pur variegata legislazione regionale il consultorio familiare veniva collocato alla frontiera tra istituzioni e società civile…». (Michele Grandolfo, I Consultori familiari. Evoluzione storica e prospettive per la loro riqualificazione, Istituto Superiore di Sanità, 1995).

«È senza dubbio merito del movimento delle donne e più specificamente dei movimenti femministi, «Che una legge in materia di consultazione familiare sia stata finalmente approvata, è indubbiamente un passo notevole, soprattutto se la legge viene vista come integrazione del nuovo diritto di famiglia. Di fronte all’indiscussa centralità sociale del matrimonio e dell’istituto familiare, in un’epoca così disturbata com’è la nostra, si è fatta sempre più evidente la necessità di poter disporre di centri specializzati cui le coppie potessero ricorrere, prima e dopo il matrimonio, per ottenere informazioni, chiarezza, assistenza nei momenti più difficili dell’intesa tra i due partner, in ordine per esempio ai problemi della unità, dell’educazione e della procreazione… Per quanto concerne i problemi della vita coniugale, riguardanti per lo più aspetti della vita affettiva e dell’attività procreativa, la coppia, se non è assai preparata e fornita di una certa cultura, da sola non riesce ad affrontarli e tanto meno a risolverli, finendo così per esasperare la convivenza e per creare situazioni di disagio e di malinteso spesso insanabili. È prevalentemente per evitare queste spaccature affettive e i profondi contrasti sui programmi procreativi che sono stati istituiti i consultori familiari… Un altro gruppo di problemi, che può mettere in crisi il nucleo familiare, si riferisce alla procreazione responsabile. Esistono ancora, purtroppo, molte coppie che, o per malintesi morali, o per incapacità di autocontrollo, o per grossolana ignoranza, non sanno programmare la propria attività procreativa, e si caricano di prole e di corrispettivi compiti che non riescono poi ad assolvere se non in minima misura, finendo anche, in certi casi, per affidare i figli a qualche parente o a qualche istituto di beneficenza. Solo un consultorio familiare, proprio perché dotato di una équipe specializzata nei settori che direttamente o indirettamente toccano il problema della procreazione, è in grado di indicare alla coppia interessata, sulla base delle notizie e delle verifiche mediche e psicologiche emerse dagli esami e dalle consultazioni, quale potrebbe essere, per essa, un piano ideale di regolazione delle nascite su giusta misura: tenuto conto delle sue attitudini educative e delle sue condizioni sanitarie e psico-affettive…». (Istituzione del Consultori familiari. La legge 29 luglio 1975, n. 405, di Giacomo Perico, sta in Consultori Familiari 1, maggio 1976)

 «Nel 1975 venivano istituiti i consultori familiari per uno specifico «servizio di assistenza alla famiglia e alla maternità». La legge n. 405 venne subito salutata come un evento significativo per il riguardo esplicito al soggetto famiglia e per le sue finalità: di prevenzione del disagio sociale, di integrazione sociosanitaria e di partecipazione civile sul territorio. Le successive norme regionali e le conseguenti iniziative sono poi risultate, spesso, inadeguate ad interpretare e attuare la migliore ispirazione della legge votata dal Parlamento. A causa di altre circostanze sociali, culturali e legislative, i servizi dei consultori familiari si sono caratterizzati sempre più come assistenza e cura offerte all’individuo più che alla persona nelle sue relazioni con la famiglia, e in termini medicali e sanitari più che di consulenza familiare…

La legge n. 405, avendo tenuto conto anche dell’esperienza e di fondamentali impostazioni dei consultori d’iniziativa cristiana sembrò innovativa rispetto alla cultura dominante. Aveva infatti come referenti dichiarati la coppia e la famiglia, anche in ordine alla problematica minorile, e si ispirava a tre grandi finalità: la prevenzione, l’integrazione sociosanitaria e la partecipazione territoriale…». (Conferenza Episcopale Italiana, Ufficio Nazionale per la Pastorale della Famiglia, I Consultori familiari sul territorio e nella comunità, Roma, 1991)

Il decennio in esame è stato davvero straordinario dal punto di vista della produzione normativa riformatrice, sia in campo sociale che per quanto riguarda il mondo del lavoro. Su quest’ultimo fronte, sono state emanate in quegli anni leggi fondamentali, anche con specifico riferimento ai soggetti femminili:

  • 1970 lo Statuto dei lavoratori (Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale, nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento);
  • 1971 la legge sulla Tutela delle lavoratrici madri;
  • 1973 quella che dispone Nuove norme per la tutela del lavoro a domicilio;
  • 1977 la legge 903, Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro.
  • La Legge 15 dicembre 1972, n. 772, Norme per il riconoscimento della obiezione di coscienza,
  • Cambiava la Scuola italiana, con la realizzazione del tempo pieno (Legge 24 settembre 1971, n. 820),
  • I cosiddetti Decreti delegati (cinque per l’esattezza, a partire dal DPR 31 maggio 1974, n. 416,
  • Istituzione e riordinamento di organi collegiali della scuola materna, elementare, secondaria ed artistica).
  • Riforma tributaria: la Legge n. 825 del 9 ottobre 1971, emanata dal governo per divulgare le disposizioni occorrenti per attuare le riforme “secondo i principi costituzionali del concorso di ognuno in ragione della propria capacità contributiva e della progressività”.

Ma le leggi che maggiormente hanno segnato – per aspetti diversissimi – il percorso verso la nascita dei Consultori e immediatamente dopo sono:

  • La Legge 1 dicembre 1970, n. 898, Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio. (GU n. 306 del 3-12-1970) e successive modifiche (436/78 e 74/87).
  • La Legge 19 maggio 1975, n. 151, Riforma del diritto di famiglia. (GU n.135 del 23-5-1975)
  • La Legge 23 dicembre 1975, n. 698, Scioglimento e trasferimento delle funzioni dell’Opera nazionale per la protezione della maternità e dell’infanzia. (GU n. 343 del 31-12-1975).
  •  Le norme che hanno liberalizzato l’uso degli anticoncezionali. (…) Nel 1976 vennero abrogate le norme che non consentivano la vendita dei contraccettivi in farmacia, legate a disposizioni sul divieto di registrazione di specialità medicinali e di presidi medico-chirurgici aventi indicazioni anticoncezionali.
  • La Legge 13 maggio 1978 n. 180, Accertamenti e trattamenti sanitari volontari e obbligatori, (“Legge Basaglia”) dispone la chiusura dei manicomi e istituisce i servizi di salute mentale.
  • La Legge 23 dicembre 1978, n. 833, con cui viene istituito il Servizio Sanitario Nazionale.
  • Legge 22 maggio 1978, n. 194, Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale 22 maggio 1978, n. 140.

Legislazione nazionale, regionale e provinciale (nel sito cliccando il testo celeste si hanno i testi)

Leggi e fonti nazionali Costituzione Italiana

Articolo 29 La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare.

Articolo 30 È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio. Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti. La legge assicura ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale, compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima. La legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità.

Articolo 31 La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose. Protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo.

Legge 29 luglio 1975, n. 405 Istituzione dei consultori familiari (GU n. 227 del 27-8-1975)

Leggi regionali e provinciali

  1. Regione Abruzzo Legge regionale 26 aprile 1978, n. 21, Istituzione del servizio per l’assistenza alla famiglia, all’infanzia, alla maternità e alla paternità responsabili
  2. Regione Basilicata Legge regionale 24 gennaio 1977, n. 7 | Abrogata dalla Legge regionale 3 gennaio 1980, n. 1, L’organizzazione, la gestione e il funzionamento del Servizio Sanitario Regionale | Abrogata dalla Legge regionale 31 ottobre 2001, n. 39, Riordino e razionalizzazione del Servizio Sanitario Regionale
  3. Regione Calabria Legge regionale 8 settembre 1977, n. 26, Norme sulla istituzione dei consultori familiari
  4. Regione Campania Legge regionale 8 agosto 1977, n. 44, Normativa per l’istituzione dei consultori familiari
  5. Regione Emilia Romagna Legge regionale 10 giugno 1976, n. 22, Istituzione del Servizio per la procreazione libera e responsabile, per la tutela sanitaria e sociale della maternità, dell’infanzia e dell’età evolutiva, per l’assistenza alla famiglia. Legge abrogata dall’art. 29 L.R. 14 agosto 1989 n. 27, Norme concernenti la realizzazione di politiche di sostegno alle scelte di procreazione ed agli impegni di cura verso i figli
  6. Regione Friuli Venezia Giulia Legge regionale 22 luglio 1978, n. 81, Istituzione dei consultori familiari, Legge regionale 23 aprile 1979, n. 18, Modifiche ed integrazioni della legge regionale 22 luglio 1978, n. 81, sull’istituzione dei consultori familiari,
  7. Regione Lazio Legge regionale 16 aprile 1976, n. 15, Istituzione del servizio di assistenza alla famiglia e di educazione alla maternità e paternità responsabili
  8. Regione Liguria Legge regionale 2 settembre 1976, n. 26, Assistenza alla famiglia, alla maternità, all’infanzia, all’età evolutiva,
  9. Regione Lombardia Legge regionale 6 settembre 1976, N. 44, Istituzione del servizio per l’educazione sessuale, per la procreazione libera e consapevole, per l’assistenza alla maternità, all’infanzia e alla famiglia
  10. Regione Marche Legge regionale 31 marzo 1977, n. 11, Criteri per la programmazione, il funzionamento, la gestione e il controllo del servizio dei consultori familiari,
  11. Regione Molise Legge regionale 13 novembre 1978, n. 28, Istituzione dei consultori familiari nel Molise, Legge regionale 16 giugno 1983, n. 17, Modifiche alla legge regionale 13 novembre 1978, n. 28,
  12. Regione Piemonte Legge regionale 9 luglio 1976, n. 39, Norme e criteri per la programmazione, gestione e controllo dei Servizi consultoriali, B.U. 20 luglio 1976, n. 30
  13. Regione Puglia Legge regionale 5 settembre 1977, n. 30, Istituzione del servizio di assistenza alla famiglia e di educazione alla maternità e paternità responsabili
  14. Regione Sardegna Legge Regionale 8 marzo 1979, n. 8, Istituzione e disciplina dei Consultori familiari
  15. Regione Sicilia Legge regionale 24 luglio 1978, n. 21, Istituzione dei consultori familiari in Sicilia; Legge regionale 31 luglio 2003, n. 10, Norme per la tutela e la valorizzazione della famiglia
  16. Regione Toscana Legge regionale 12 marzo 1977, n. 18, Istituzione del servizio di assistenza alla famiglia, alla maternità, all’infanzia e ai giovani in età evolutiva,
  17. Regione Trentino Alto Adige. Provincia autonoma di Bolzano Legge provinciale 17 agosto 1979, n. 101, Istituzione dei consultori familiari.                   Provincia autonoma di Trento Legge provinciale 29 agosto 1977, n. 20, Istituzione e disciplina del servizio di consultorio per il singolo, la coppia e la famiglia
  18. Regione Umbria Legge regionale 1 settembre 1977, n. 54, Organizzazione dei servizi di assistenza socio – sanitaria, per la procreazione responsabile, la maternità, l’infanzia e l’età evolutiva | Abrogata dall’art. 47, comma 1, lett. c) della L.R. 23 gennaio 1997, n. 3, Riorganizzazione della rete di protezione sociale regionale e riordino delle funzioni socio – assistenziali. Legge regionale 16 febbraio 2010, n. 13, Disciplina dei servizi e degli interventi a favore della famiglia.
  19. Regione Valle d’Aosta Legge regionale 11 novembre 1977, n. 65, Interventi per la procreazione libera e responsabile, la tutela della salute della donna, dei figli, della coppia e della famiglia
  20. Regione Veneto Legge regionale 25 marzo 1977, n. 28, Disciplina dei Consultori familiari.

A cura di Simonetta De Fazi 23 luglio 2019

www.google.com/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=30&ved=2ahUKEwjh1_ua6sPmAhXFy6QKHeF9DG44FBAWMAl6BAgIEAc&url=https%3A%2F%2Fwww.acli.it%2Fwp-content%2Fuploads%2FPDF%2FDOSSIER%2FDOSSIER_cosultorio_familiare.pdf.pagespeed.ce.JNh34Nixfs.pdf&usg=AOvVaw39NV7vh9S9UzPTHjHe49nS

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM

Collegno. Nuova denominazione, Nuovo Statuto, Nuova sede legale

La riforma del Terzo Settore prevede che le organizzazioni di volontariato adeguino lo statuto sociale ai fini degli adempimenti richiesti dal D.Lgs 03/07/2017 n° 117 (art. 101, comma 2) e, più specificamente, per l’applicazione delle norme previgenti ai fini e per gli effetti derivanti dall’iscrizione nel registro Regionale ODV del Piemonte.                                                        www.famigliacentro.it/2019/12/02/nuovo-statuto

Contestualmente è modificato il nome dell’organizzazione in: FAMIGLIALCENTRO ODV, via Martiri XXX aprile n. 34 – 10093 Collegno (TO). La sede operativa continua ad essere in Via Roma 102 – 10093 Collegno (TO).

La sostanza non cambia: noi siamo sempre a servizio delle famiglie del nostro territorio, con la stessa voglia, la stessa disponibilità, la stessa competenza. È un’organizzazione di volontariato mirata a supportare le persone in situazioni di difficoltà relazionali.                                                                www.famigliacentro.it

 

Imola. Decalogo per i genitori scritto dai figli

1)      Non catalogateci. Non Siamo fatti in serie. Non c’è un solo modo di essere figli. Non c’è un solo modo di essere adolescenti, ma mille modi. L’importante è crescere bene.

2)      Non viziateci. Sappiamo benissimo che non abbiamo bisogno di tutte le cose che vi chiediamo. E’ di voi che abbiamo bisogno.

3)      Continuate ad “infiltrarvi” nella nostra vita: ci fa piacere, anche se spesso reagiamo male. Ma rimanete adulti, non fatevi ragazzi come noi.

4)      Siate più allegri, meno seri, più creativi. Non brontolate in continuazione, altrimenti dovremmo difenderci facendo finta di essere sordi.

5)      Non preoccupatevi se contestiamo, magari in modo maldestro. Un figlio che non contesta è un figlio che ha paura di crescere, come un pulcino che non cerca di spaccare il guscio.

6)      Non lasciateci orfani: abbiamo bisogno di una madre (ma che non risolva tutti i nostri problemi!) e di un padre con una forte identità maschile.

7)      Parlateci, ci interessa il vostro punto di vista. Aiutateci a pensare, a capire: giustificate le vostre affermazioni ma lasciateci anche controbattere, altrimenti non impareremo a ragionare.

8)      Non giudicateci dalla quantità di brillantina, o dall’altezza dei tacchi, o dal tono della voce. Noi siamo molto di più di quello che appare, ma ancora non sappiamo dimostrarlo.

9)      Dateci il gusto della fatica, della conquista. Siate esigenti con noi. Dove c’è fatica c’è vita. Chi non fa fatica non vive. Se sapremo gustare la vita, non avremo paura della morte.

10)  Abbiate fiducia in voi e in noi. Insieme sicuramente ce la faremo.

 https://sites.google.com/site/consfamiliareucipemimola/i-nostri-corsi/per-i-genitori

 

Pescara. Parent Star

Ciclo di incontri gratuiti dedicati ai genitori. Parleremo di Affettività e Sessualità. 1° incontro: mercoledì 12 febbraio 2020 (6 incontri sino al 25 marzo 2020)

Laboratorio sull’educazione all’affettività e alla sessualità per mamme e papà in difficoltà,

Progetto Accogliamoci – Piano Regionale per la famiglia

Città di Pescara – Centro Servizi Famiglie – consultorio UCIPEM

Il Parent Star è un percorso (applicato in 56 paesi del mondo ed approvato dalle maggiori autorità scientifiche del settore) in cui i genitori sperimentano come affrontare le tematiche dell’affettività e della sessualità con i figli adolescenti. Ogni appuntamento rappresenta l’occasione per riconoscere come ciascun adulto attuale abbia vissuto queste tematiche da ragazzo e come possa parlarne ai propri figli senza paure, entrando in relazione con loro con serenità.

            Conduttori: Annalisa La Vella e Mario Fusco (formatori ufficiali Teen Star Italia).

www.teenstar.it/index.asp

https://it-it.facebook.com/pg/consultoriofamiliare.ucipem/posts/?ref=page_internal

Il Centro Servizi Famiglie organizza Laboratorio gratuito – sulla comunicazione di coppia – “Io comunico, tu comunichi, noi comunichiamo”

I Laboratori, a cura del Consultorio Familiare UCIPEM, condotti dalle dott.sse Paola Scoponi e Rossella Scelza, sono rivolti alle coppie che sentono l’esigenza di migliorare le proprie modalità comunicative.

  • “La comunicazione… ma che cos’è?”
  •  Ascol – ti – amo
  •  Il conflitto, come lo affrontiamo?
  •  Comunichiamo efficace – mente .

www.comune.pescara.it/internet/index.php?codice=147&idnews=8269

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

DALLA NAVATA

Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe – Anno A – 29 dicembre 2019

SiràcideGènesi   03  14, 03 Il Signore ha glorificato il padre al di sopra dei figli e ha stabilito il diritto della

18Salmo                      127, 01 Beato chi teme il Signore e cammina nelle sue vie.

Colossési           03, 19 Voi, mogli, state sottomesse ai mariti, come conviene nel Signore. Voi, mariti, amate le vostre mogli e non trattatele con durezza. Voi, figli, obbedite ai genitori in tutto; ciò è gradito al Signore. Voi, padri, non esasperate i vostri figli, perché non si scoraggino.

Matteo              02, 14 Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Dall’Egitto ho chiamato mio figlio».

 

Giuseppe, un padre concreto e sognatore

Il Vangelo racconta di una famiglia guidata da un sogno. Oggi noi, a distanza, vediamo che il personaggio importante di quelle notti non è Erode il Grande, non è suo figlio Archelao, ma un uomo silenzioso e coraggioso, concreto e sognatore: Giuseppe, il disarmato che è più forte di ogni Erode. E che cosa fa Giuseppe? Sogna, stringe a sé la sua famiglia, e si mette in cammino.

 Tre azioni: seguire un sogno, andare e custodire. Tre verbi decisivi per ogni famiglia e per ogni individuo; di più, per le sorti del mondo.

Sognare è il primo verbo. È il verbo di chi non si accontenta del mondo così com’è. Un granello di sogno, caduto dentro gli ingranaggi duri della storia, è sufficiente a modificarne il corso. Giuseppe nel suo sogno non vede immagini, ascolta parole, è un sogno di parole. È quello che è concesso a ciascuno di noi, noi tutti abbiamo il Vangelo che ci abita con il suo sogno di cieli nuovi e terra nuova. Nel Vangelo Giuseppe sogna quattro volte (l’uomo giusto ha gli stessi sogni di Dio) ma ogni volta l’angelo porta un annunzio parziale, ogni volta una profezia breve, troppo breve; eppure per partire e ripartire, Giuseppe non pretende di avere tutto l’orizzonte chiaro davanti a sé, ma solo tanta luce quanta ne basta al primo passo, tanto coraggio quanto serve alla prima notte, tanta forza quanta basta per cominciare.

Andare, è la seconda azione. Ciò che Dio indica, però, è davvero poco, indica la direzione verso cui fuggire, solo la direzione; poi devono subentrare la libertà e l’intelligenza dell’uomo, la creatività e la tenacia di Giuseppe. Tocca a noi studiare scelte, strategie, itinerari, riposi, misurare la fatica. Il Signore non offre mai un prontuario di regole per la vita sociale o individuale, lui accende obbiettivi e il cuore, poi ti affida alla tua libertà e alla tua intelligenza. Il terzo verbo è custodire, prendere con sé, stringere a sé, proteggere. Abbiamo il racconto di un padre, una madre e un figlio: le sorti del mondo si decidono dentro una famiglia. È successo allora e succede sempre. Dentro gli affetti, dentro lo stringersi amoroso delle vite, nell’umile coraggio di una, di tante, di infinite creature innamorate e silenziose.

Custodire. «Compito supremo di ogni vita è custodire delle vite con la propria vita» (Elias Canetti), senza contare fatiche e senza accumulare rimpianti. Allora vedo Vangelo di Dio quando vedo un uomo e una donna che prendono su di sé la vita dei loro piccoli; è Vangelo di Dio ogni uomo e ogni donna che camminano insieme, dietro a un sogno. Ed è Parola di Dio colui che oggi mi affianca nel cammino, è grazia di Dio che comincia e ricomincia sempre dal volto di chi mi ama.

Padre Ermes Ronchi, OSM

www.cercoiltuovolto.it/vangelo-della-domenica/commento-al-vangelo-del-29-dicembre-2019-p-ermes-ronchi

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

DIBATTITI NELLE CHIESE

I cristiani integralisti e quelli progressisti condividono la stessa fede, ma non hanno le stesse priorità

Non sapevo che i cristiani potessero essere progressisti fino al college. Sebbene frequentassi la Christian Reformed Church, una chiesa conservatrice relativamente riformata, nella mia scuola invece c’era una piccola presenza di professori e studenti progressisti.

Andavo in chiesa con la mia famiglia ogni domenica. Abbiamo frequentato prevalentemente chiese bianche non confessionali o assemblee di Dio. Quello che ho sentito dal pulpito è stato davvero vario dalle profezie apocalittiche, ai sermoni che giustificavano il sesso etero normativo, i ruoli di genere e condannavano il sesso prematrimoniale, l’aborto e l’alcool. […] Fino a poco tempo fa i miei genitori hanno votato il partito repubblicano, un movimento politico (ndr che in Italia definiremmo di destra) assai sostenuto nelle chiese conservatrici.

[…] Così quando ho incontrato a scuola il mio amico Sean e ho iniziato a cenare con la sua famiglia, sono rimasto sorpreso dal fatto che i suoi genitori, Peter e Peggy, che sono estremamente impegnati in politica e informati su ciò che accade nel mondo, fossero così diretti nel loro disprezzo e nella loro mancanza di fiducia nei confronti dei movimenti politici di destra e verso i loro rappresentanti.

Venti anni dopo, sono esattamente gli stessi: sempre critici verso i movimenti e le tendenze politiche conservatrici. Ma la cosa che più mi mandava, e mi manda in confusione, è che il loro sistema morale di valori deriva da una fede cristiana profondamente radicata.

Quella stessa fede cristiana che è brandita dai cristiani integralisti, che si oppongono con forza e nel nome della Bibbia a tutto ciò che i cristiani progressisti, come Peter e Peggy, sostengono, ovvero: l’equità matrimoniale, il sostegno agli immigrati, i diritti riproduttivi delle donne e la lotta contro il cambiamento climatico causato dall’uomo.

Sebbene i cristiani progressisti siano da tempo impegnati nella giustizia sociale, è la prima volta che affrontano un panorama politico così polarizzato. Ora stanno combattendo per le loro convinzioni su più fronti: in politica, all’interno delle loro comunità cristiane e persino all’interno delle loro chiese.

Mentre i cristiani integralisti tendono a concentrarsi sul peccato, sul pentimento e sulla salvezza, i cristiani progressisti identificano nell’amore radicale di Cristo e nell’inclusione delle persone emarginate come il cuore della loro fede.

[…] Alcuni cristiani progressisti appartengano a chiese storicamente conservatrici, ma il loro impegno sta contribuendo a farle discutere su temi quali la tutela dell’ambiente, i diritti delle persone LGBTQ+, la salute riproduttiva delle donne, l’immigrazione, l’equità razziale, il costo degli alloggi e la disparità della ricchezza.

            Nonostante l’agenda dei cristiani integralisti si opponga a tutti questi temi, i cristiani progressisti e quelli conservatori hanno alcune cose in comune. Un sondaggio di Pew Research rivela che anche i cristiani progressisti pregano quotidianamente e cercano momenti di “pace spirituale”, oltre il 40% di loro legge regolarmente la Bibbia e il 36% frequenta la chiesa almeno una volta alla settimana. Inoltre entrambi i due tipi di cristiani sono ugualmente dogmatici nella loro interpretazione delle Scritture. […]

A livello locale i cristiani progressisti spesso avvicinano i gruppi sociali più emarginati alle loro comunità di fede. Molti di loro partecipano agli sforzi per la giustizia sociale attraverso le loro chiese o collaborando alle iniziative delle loro comunità. […]

            Ma oggi poche chiese cristiane sono omogenee politicamente. I dati mostrano che la maggior parte dei cristiani progressisti si identifica nei movimenti politici progressisti, ma anche che un terzo di loro riferisce di votare a destra o di avere opinioni di centro. Questo pluralismo nelle chiese offre l’opportunità ai fedeli progressisti e conservatori di confrontarsi insieme sulle questioni politiche all’interno della loro comunità di fede.

[…] Dai cristiani progressisti si può imparare l’attenzione per l’impegno civico, per l’organizzazione della comunità e la giustizia sociale che richiedono empatia alle sfide affrontate dai gruppi tradizionalmente più emarginati, ma anche un’interazione significativa con persone diverse tra di loro. Perché essere vicini a persone che non guardano, parlano, pensano o si comportano come vogliamo noi è sempre molto difficile.

Tuttavia, dalla religione e dalla politica, ormai sono arrivata ad aspettarmi l’inaspettato. Mia madre si è trasferita, alcuni anni fa, in una ricca comunità della Florida centrale, lì è diventata una convinta sostenitrice di Bernie Sanders (considerato negli Stati Uniti un politico radicale e di sinistra). Seppur faccia parte di una famiglia in gran parte conservatrice, è diventata fortemente anti-Trump per lo stesso motivo per cui lo sono i cristiani progressisti Peggy e Peter: perché lo dice la Bibbia.

                      Ruth Terry, una scrittrice freelance che vive da poco ad Istanbul, in Turchia.

Yes! Magazine (Stati Uniti)    24 dicembre 2019, liberamente tradotte da Innocenzo Pontillo

Gionata          26 dicembre 2019

www.yesmagazine.org/social-justice/2019/12/24/political-christian-belief

www.gionata.org/i-cristiani-integralisti-e-quelli-progressisti-condividono-la-stessa-fede-ma-non-hanno-le-stesse-priorita

 

Trambusto in Vaticano: il Natale temerario di Francesco

Passati i giorni di Natale in cui, giustamente, abbiamo dato spazio alla gioia e alla contemplazione del mistero, è impossibile non soffermarsi sul trambusto che, proprio in questi giorni, sta provenendo da oltre Tevere.

Lotta alla pedofilia. Una settimana prima delle festività, Francesco ha annunciato gli ormai noti provvedimenti a favore della lotta alla pedofilia clericale. Ha abolito il “segreto pontificio”, una vera stortura giuridica che proteggeva qualunque pedofilo che si nascondesse sotto l’abito talare. Finora, il vescovo che avesse avuto notizia di atti di abuso su minori commessi da un chierico, era tenuto, per diritto canonico, a non rivelarli. Il che faceva sì che qualunque indagine in materia non riusciva mai a concludersi, sempre che riuscisse a iniziare. Ora, gli stessi vescovi sono tenuti a collaborare con la giustizia penale degli Stati in cui risiedono, e a nient’altro.

E’ un provvedimento, oltre che giusto, anche bello. Con esso, il papa conferma che la sua Chiesa vuole stare nel mondo. I suoi collaboratori sono cittadini come tutti, proprio come voleva San Paolo: “Ciascuno stia sottomesso alle autorità costituite; poiché non c’è autorità se non da Dio e quelle che esistono sono stabilite da Dio. Quindi chi si oppone all’autorità, si oppone all’ordine stabilito da Dio” (Rm 13,1-2).

            Ed è una scelta fortissima da parte del pontefice perché scalza secoli di certezze e di privilegi fondati unicamente sul potere. A Francesco, una Chiesa potente, anzi, un potente clero, non piace. Sente il dovere di allinearsi alla profezia del Magnificat: “ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili” (Lc 1,52)

Rileggiamo le Scritture. Il giorno dopo, la Commissione Biblica dell’ex Sant’Uffizio pubblica il volume “Che Cosa è l’Uomo?”, che invita a rivedere i fondamenti scritturali su cui si baserebbero le storiche condanne in materia di divorzio e omosessualità. Per la prima volta nella storia della Chiesa, si parla “dell’omosessualità e delle unioni omosessuali quale legittima e degna espressione dell’essere umano”.

            E’ un altro durissimo colpo alle abitudini mentali – chiamiamole così – della curia romana. Tant’è vero che lo stesso Sant’Uffizio si sente in dovere di rettificare per limitare il trambusto. Su L’Avvenire, padre Bovati, principale autore di “Che cosa è l’Uomo?”, viene sottoposto a una lunga intervista il cui titolo la dice già lunga: “Divorzio, da noi biblisti nessuna confusione “. Si ribadisce che non esiste solo la Scrittura ma anche la morale; si tace sul fatto che, comunque, una morale non fondata sulla Scrittura non ha senso per un cristiano. Come al solito: abbiamo scherzato; non prendeteci troppo sul serio. Eh già che non vi prendiamo sul serio, cari monsignori. Perché la morale sarà anche importante ma non è un’alternativa al Vangelo. Casomai è un suo complemento. E soprattutto, non potete tirarla in ballo a giorni alterni. Sono finiti i tempi in cui valeva l’adagio “fai come il prete dice ma non come il prete fa”.

Dimissioni del cardinal Sodano. Il trambusto prosegue con la cerimonia degli auguri di Natale del papa alla famiglia pontificia. Di fronte a una sessantina di cardinali e un folto numero di altri prelati, Francesco ne combina un’altra delle sue, anzi, due.

  1. Primo: annuncia i contenuti della riforma della curia, ormai finalmente imminente. Prevede semplificazioni nei dicasteri, accorpamenti (e dunque pensionamenti), nuovi organismi. Ma specifica che il cambiamento dev’essere autentico e profondo; non solo di struttura. Cita il Gattopardo: “Capita spesso di vivere il cambiamento limitandosi a indossare un nuovo vestito, e poi rimanere in realtà come si era prima”. “In un famoso romanzo italiano si legge: se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”.
  2. Secondo, e forse più importante, accetta le dimissioni del decano del collegio cardinalizio, Angelo Sodano. La figura più potente e a tratti più sinistra del Vaticano, lascia il passo. E’ stato l’ultimo vero principe della Chiesa, anche nel senso più deteriore. Ha stretto amicizie diplomatiche talvolta imbarazzanti, a cominciare da quella con Pinochet. Ha protetto chi voleva e condannato chi non gli piaceva, forte di una sorta di “ragion di Stato” spesso oscura e talvolta palesemente in contraddizione col Vangelo e col buon senso. Per approfondire, rimando come ormai consueto a un articolo di Lepore su L’inkiesta. Ora, l’eminente tra le eminenze va in pensione.

www.linkiesta.it/it/article/2019/12/25/papa-cardinale-sodano/44877

Il mea culpa dei Legionari di Cristo. Un altro gesto nella direzione del Magnificat? O qualcosa di più? Fatto sta che, nelle stesse ore, giunge sulla scrivania del papa un altro documento destinato ad aumentare il trambusto. I “Legionari di Cristo” consegnano il rapporto dell’indagine interna sui crimini sessuali compiuti dai loro stessi preti. Ammettono di essere stati fondati da un orco, il famigerato Marcial Maciel Degollado. Abusatore di 60 ragazzini, Maciel era avvezzo non solo ad intimità indecenti coi propri seminaristi. Frequentava anche diverse donne che metteva incinte per violare i propri stessi figli naturali! I suoi seguaci portarono a compimento la sua opera macchiandosi di 175 casi di abuso interni alla congregazione.

            L’ammissione dei Legionari di Cristo ha qualcosa a che fare con Sodano, che – non è un segreto – li protesse per decenni al fine (o con la scusa) di non creare scandali. E ha molto a che fare con gli studi biblici su matrimonio e omosessualità. Testimonia infatti le mostruosità a cui si può giungere quando i princìpi morali si limitano ostinatamente a disumane proibizioni.

            Speriamo che tutto questo trambusto porti davvero a un profondo cambiamento. Speriamo che sia un Natale di autentica rinascita.

            Natale a San Pietro. Ho notato che, alla messa della notte di Natale a San Pietro, i cardinali presenti erano ridotti, dalla sessantina del giorno prima, a ventidue. Qualcuno si era sentito offeso? Qualcun altro aveva condiviso l’invito di Francesco a passare le feste con le proprie comunità? Non sappiamo. Comunque, il corteo papale non occupava più tutta la navata ma circa la metà. Le riprese dall’alto all’interno della basilica non inquadravano più un pubblico prevalentemente parato in bianco. Prevalevano le tinte contrastanti dei vestiti dei laici. Speriamo che anche questi siano segni di novità.

Massimo Battaglio · 28 dicembre 2019

www.gionata.org/trambusto-in-vaticano-il-natale-temerario-di-francesco

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

DIVORZIO

Separazione: trasferimento immobile come mantenimento

             Intestazione della casa all’ex moglie dietro rinuncia (totale o parziale) al mantenimento: conseguenze, rischi e regime fiscale. Capita sempre più spesso che, a fronte di un atto di separazione consensuale, i coniugi prevedano, in attuazione dell’obbligo di mantenimento, il trasferimento della proprietà della casa familiare. In questo modo, il titolare del bene (di solito, l’uomo), costretto il più delle volte a rinunciare all’abitazione per lasciar spazio all’ex moglie e ai figli, preferisce abdicare alla stessa proprietà in cambio di una rinuncia totale o parziale, da parte della donna, all’assegno di mantenimento. Un patto di questo tipo è sicuramente lecito, essendo i coniugi arbitri dei propri interessi. Ciò che non è consentito è limitare o escludere il mantenimento dei figli sulla cui congruità l’ultima parola spetta sempre al giudice, trattandosi di interessi di soggetti deboli. 

Spesso, avviene che l’accordo di separazione e la conseguente intestazione della casa alla moglie non sia altro che il frutto di un intento simulatorio, volto a trasferire la proprietà del bene al solo scopo di sottrarlo alle aggressioni dei creditori. Succede, ad esempio, in caso di soggetti indebitati con le banche o con il Fisco.

Trasferimento immobile alla moglie: c’è bisogno del notaio? Per trasferire la proprietà della casa alla moglie è necessario inserire tale previsione, insieme a tutti gli altri elementi dell’accordo, nell’atto di separazione che l’avvocato depositerà in tribunale e che sarà firmato dai coniugi innanzi al giudice designato.

Pertanto, non c’è bisogno di andare da un notaio. L’atto pubblico è costituito dalla sentenza del giudice che rende esecutiva la separazione consensuale; essa andrà poi trascritta nei pubblici registri immobiliari.

Trasferimento immobile alla moglie: trattamento fiscale. Da un punto di vista fiscale, il trasferimento della casa alla ex moglie operato con l’atto di separazione consensuale è conveniente. Difatti, la Cassazione [Cass. Sent. n. 3110, 17.02.2016] ha ritenuto l’operazione esente da imposta di registro e di bollo. Il vantaggio è netto: in questo modo, nel caso di una coppia in regime di comunione dei beni, il coniuge potrà cedere all’altro il proprio 50% senza doversi svenare per via delle tasse. L’unico appiglio che ha il Fisco per recuperare l’imposta è quello di dimostrare che la separazione o il divorzio non è effettivo, ma siglato solo per una finalità elusiva: una prova estremamente difficile che potrebbe essere fornita, per esempio, se i due coniugi continuano a risiedere nello stesso immobile e uno dei due continua a percepire gli assegni per il nucleo familiare. Leggi Trasferimento di immobile tra coniugi senza tasse.

Trasferimento immobile alla moglie: che succede al divorzio? Secondo un orientamento seguito da diverse sentenze, gli accordi stretti con la separazione possono essere oggetto di ripensamento al momento del divorzio. La conseguenza di questa interpretazione della legge potrebbe essere pericolosa. Difatti, il marito che, alla separazione, abbia acconsentito a trasferire la casa alla moglie, a fronte di una rinuncia, da parte di questa, all’assegno di mantenimento, potrebbe ritrovarsi poi, al momento del divorzio, con una nuova richiesta di alimenti. Un cambio di rotta imprevisto senza la possibilità di riprendersi l’immobile. E il giudice, che ritenga l’immobile da solo insufficiente a soddisfare le esigenze economiche della donna in relazione alle capacità dell’uomo, potrebbe accordarglielo.

Effetti del trasferimento della casa alla ex moglie. Il trasferimento della proprietà della casa all’ex moglie determina anche l’impossibilità, per i creditori del marito, di pignorare il bene. Ecco perché questa via è spesso usata da chi ha contratto molti debiti. Senonché, i creditori potrebbero agire con l’azione di simulazione dimostrando che la separazione è, in realtà, fittizia (non ci sono termini entro cui agire) o, in alternativa, entro cinque anni, con l’azione revocatoria dimostrando che il passaggio di proprietà del bene ha privato il vecchio titolare di ogni garanzia patrimoniale. In entrambi i casi, l’azione legale ha lo scopo di “smontare” la separazione per pignorare il bene. A seconda del tipo di azione intrapresa, la difesa sarà differente. Per questo, è sempre bene rivolgersi a un professionista del settore.

Con la separazione si può trasferire la proprietà della casa al figlio? Il marito potrebbe anche decidere di intestare la casa al figlio minorenne o maggiorenne, ma non certo in sostituzione dell’assegno di mantenimento per quest’ultimo, a meno che l’immobile non venga “messo a reddito” con un affitto in modo che la prole possa così recuperare il denaro necessario per il sostentamento. Se il figlio è maggiorenne dovrà partecipare all’atto innanzi al giudice dichiarando di accettare la donazione. Invece, se è minorenne bisogna rivolgersi al giudice tutelare.

La legge per tutti        19 dicembre 2019

www.laleggepertutti.it/349983_separazione-trasferimento-immobile-come-mantenimento

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

DONNE NELLA CHIESA

Questo vorrei dire a Papa Francesco

Devo dire che spesso, quando ascolto papa Francesco, mi viene una voglia matta di parlare con lui. Perché normalmente, Francesco non parla, dialoga. Implicitamente, certo. Sia il suo tono che quello che dice sono spesso, però, un invito a “parlarne”. Di una cosa, in particolare, mi piacerebbe parlare, forse anche discutere con lui. A volte, quando tocca temi che riguardano le donne, dice che sarebbe importante e necessario elaborare una “teologia della donna”. E io avrei voglia di poter ragionare un po’ con lui perché, se uno percorre in su e in giù la storia della teologia, in fondo, da Tertulliano a Wojtyla, passando per Agostino, Tommaso o von Balthasar, tutti i teologi hanno sempre parlato della donna. In modi e con toni diversi, certo, ma sempre esprimendo la necessità e, forse, anche la pretesa di avere comunque qualcosa da dire sulla donna, di sanzionarla come janua diaboli (porta del diavolo) o di esaltarla per il suo “genio femminile”.

Più di una volta, poi, qualcuno ha addirittura proposto di dedicare un Sinodo dei vescovi al tema della donna. E io, con altre, abbiamo reagito con preoccupazione, abbiamo provato a mettere in guardia dal rischio, molto forte, nel quale la chiesa cattolica incorrerebbe. L’esodo inarrestabile, tanto silenzioso quanto doloroso, delle molte donne che hanno lasciato le chiese in questi anni non è forse una parola forte, un grido, che le donne per prime hanno lanciato perché non vogliono che si continui a parlare di loro, ma vogliono, piuttosto, essere ascoltate? Non nei luoghi insonorizzati delle tante assemblee ecclesiastiche in cui, ormai, anche alcune donne sono invitate, sempre e comunque, come ospiti. Non in osservanza al migliore galateo ecclesiastico per cui viene loro riconosciuto diritto di parola, ma (non sempre, ma accade) dopo accurata selezione di ciò che si può e ciò che non si può dire. Mai un titolo di libro fu così azzeccato come quello di Carmel E. McEnroy che, subito dopo il Concilio, ha raccontato l’assoluta novità della partecipazione di ventitré uditrici al Vaticano II: Guest in their own House (Ospiti a casa loro).

Questo allora vorrei dire a papa Francesco. Non per convincerlo, ma per ragionare insieme, sapendo di essere entrambi a casa propria, sia pure con grande differenza di ruolo e di autorità. Non parlate delle donne e, tanto meno, della donna continuando, di fatto, a parlare di voi. Troppo spesso, assistiamo a una sorta di “paternalismo femminista” che è una contraddizione in termini. Date l’esempio al mondo, anche quello che si ritiene “civilizzato” e che invece fa ancora tanta fatica ad accettare che, tra uomo e donna, non c’è uno che è soggetto (anche di parola) e l’altra che è oggetto (anche di parola), ma che, ormai, la soggettualità non può che essere condivisa. E ognuno parli di sé. Abbiamo gran bisogno di ascoltare uomini che parlano di maschilità. Anche nella Chiesa.

Marinella Perroni Biblista, Pontificio Ateneo S. Anselmo       L’Osservatore Romano 28 dicembre 2019

www.osservatoreromano.va/it/news/questo-vorrei-dire-papa-francesco

 

Che posto ha la donna nella Chiesa?

Qual è il posto della donna nella Chiesa? La risposta esige che si torni alle fonti, che cioè si osservi il comportamento di Gesù nei Vangeli, che si comprenda il suo insegnamento sul matrimonio.

Gesù e le donne. Nei Vangeli sono numerosi i personaggi femminili. Un gruppo di donne accompagna Gesù e i suoi discepoli: più volte Gesù addita a modello le donne, come la Cananea, che diede prova di grande fede, o quella che versò sui suoi piedi un unguento profumato di grande valore. Alcune sono accusate dai farisei di essere “peccatrici”, ma Gesù libera la donna adultera, passibile di lapidazione. Egli s’intrattiene lungamente con la Samaritana, col più grande stupore dei discepoli. I suoi principali avversari sono tutti uomini. Il traditore, Giuda, è un uomo. Le prime messaggere della Risurrezione sono delle donne. Gesù impedisce all’uomo di divorziare laddove, fino a lui, l’uomo poteva divorziare per motivi anche futili. Questo è poco ma è sicuro: Gesù non è misogino.

L’insegnamento di Paolo: si tratta di amore. San Paolo, invece, ha se non altro la fama del misogino. È lui a scrivere: «Le donne siano sottomesse ai loro mariti» (Ef 5,22-24). Però aggiunge: «…come al Signore». Non si tratta dunque di una schiavitù, ma d’amore. Dopo tre frasi di precetti per le donne, Paolo ne aggiunge otto rivolte agli uomini: «Amate le vostre mogli come Cristo ha amato la Chiesa». La relazione è reciproca, anche se non simmetrica. Il passaggio (Ef 5) comincia così: «Siate sottomessi gli uni agli altri» – e termina con le parole: «Insomma, ognuno ami la propria moglie come sé stesso e la moglie abbia riverenza per il marito».

L’Apostolo raccomanda la discrezione alla donne nelle assemblea perché la comunità cristiana non sia screditata nella società pagana, ma nell’ultimo capitolo della lettera ai Romani (Rom 16) è a delle donne che vengono rivolti i saluti più calorosi.

Una donna, madre di Dio. È Maria, una donna, la nuova Eva, la più perfetta persona umana. Non è una dea o una semidea, ma la Madre di Dio. Maria, Vergine e Madre, è evidentemente agli antipodi della cultura attuale, che esalta la genitalità disgiunta dalla fecondità. Nondimeno, per tutti i cristiani, e non soltanto per i cattolici, Maria ha un posto assolutamente eminente. Ella è colei per cui Dio è venuto al mondo: ha offerto a Dio la propria fede, all’inverso di Eva che ha preferito fidarsi di quanto le prometteva il Tentatore. Maria è la novella Eva. Il saluto dell’angelo, in latino “Ave”, riprende al contrario le lettere della parola “Eva”. San Paolo non nomina Maria, ma ricorda che Gesù è «nato da Donna». Nella Bibbia è sempre il padre ad essere nominato. Il nostro san Paolo – che dicono essere misogino – riconosce il posto unico di Maria tra tutte le creature: è da lei – solo da lei – che il Figlio di Dio è nato.

I pregiudizi del suo tempo. La Chiesa vive in una società ed è fortemente segnata dai pregiudizi del tempo. E così spesso sentiamo raccontare che ci sia voluto un concilio per decidere se le donne avessero o non avessero un’anima: è una pura chiacchiera – le donne hanno sempre avuto accesso al battesimo, e se non avessero avuto un’anima come avrebbero potuto essere battezzate? Nel famoso concilio di Mâcon (585) non si è parlato affatto di anima. Semplicemente un vescovo chiese se fosse logico chiamare una donna con la parola latina “homo” (che di per sé indica l’essere umano tutto, e non esclusivamente il maschio). Quindici secoli più tardi non abbiamo fatto enormi progressi, irretiti come siamo nel retaggio di un vocabolario neolatino.

Sarebbe facile citare tutta una serie di giudizi fortemente peggiorativi, sulle donne, emessi da uomini di Chiesa. «È debole, si è lasciata intrappolare, è seduttrice, è chiacchierona, spendacciona, possessiva, troppo emotiva, dedita all’apparenza…». Sciocchezze indegne di quanti le hanno alimentate. Ma chi è abbastanza forte da non cedere ai pregiudizi della propria epoca e dell’ambiente?

Sante e potenti donne. A fronte di ciò, la storia della santità presenta molti casi di magnifiche coppie: Francesco e Chiara d’Assisi, Teresa d’Avila e Giovanni della Croce, Francesco di Sales e Giovanna di Chantal, Vincenzo de’ Paoli e Luisa de Marillac. Caterina da Siena non esitava a muovere vivi rimproveri ai Papi che trovava troppo tiepidi. Alla nostra epoca, Giovanni Paolo II era in profonda complicità con madre Teresa e Chiara Lubich, fondatrice dei Focolari. Le donne sono numerose nel catalogo dei santi. Non è cosa di oggi o di ieri: nel Canone romano – antichissima preghiera eucaristica – vengono nominate molte donne.

Le superiori di comunità religiose femminile esercitano una vera e propria autorità canonica. Bisogna giudicare caso per caso, secondo le epoche e secondo le congregazioni, ma i vescovi e i cappellani delle suore sanno da molto tempo che non debbono cercare di interferire troppo nella vita interna delle comunità. Nel XIX secolo le donne che godevano della maggiore autorità erano fondatrici e madri generali di comunità religiose. E non erano poche.

Importanti e numerose responsabilità. Nella vita concreta della Chiesa oggi molti posti di responsabilità sono tenuti da donne. Più che nella società civile. Se guardate alla vita di una parrocchia, o anche di una diocesi, scoprirete che un certo numero di responsabilità importanti sono affidate a donne. Anche nelle specialità normalmente ritenute piuttosto maschili, come la gestione delle finanze. Nei consigli parrocchiali o diocesani, esse sono in maggioranza. Questo poi non deve stupirci, perché di solito le donne rappresentano i due terzi dei fedeli. Quanto ai posti di responsabilità, se sono molte le donne che li occupano è perché più facilmente degli uomini si accomodano a part-time e per salari inferiori a quelli pretesi dagli uomini. Non bisogna nascondersi le ragioni economiche.

Alcune donne sono presenti perfino nella vita della Santa Sede. Se esse compaiono di meno è perché la maggior parte del personale è costituita da preti.

E l’ordinazione? Cristo è lo sposo. L’ordinazione è riservata agli uomini: non dalla disciplina della Chiesa ma dalla natura del sacramento dell’Ordine. Nel testo già citato (Ef 5) san Paolo fa il parallelo tra il rapporto uomo-donna e quello Cristo-Chiesa. Cristo è lo Sposo della Chiesa come, nell’Antico Testamento, Dio si presenta come Sposo di Israele. Gesù stesso si qualifica così (Mt 9,15). Nei Vangeli è chiaro che Gesù sceglie molto specificamente i Dodici – dodici uomini – per rappresentarlo: egli li chiama, ciascuno per nome; egli spiega loro i segreti del Regno; egli dà loro lo Spirito santo per il perdono dei peccati; egli li manda in missione per predicare e battezzare. «Chi ascolta voi ascolta me».

Al seguito degli apostoli e mediante l’imposizione delle mani, il sacramento dell’ordine fa di preti e vescovi i rappresentanti di Cristo, Sposo della Chiesa. Il papa stesso non disdegna questa simbolica biblica. L’ordinazione degli uomini non è dunque una decisione di disciplina ecclesiastica o un sempre uso immemorabile. Questa posizione è comune a tutti i cristiani per i quali l’ordinazione è un vero sacramento. Altra è la posizione protestante poiché, per loro, tutti i battezzati sono uniformemente preti. Al termine della sua formazione, il pastore beneficia di un semplice «riconoscimento ministeriale». È dunque normale che i pastori protestanti siano indifferentemente uomini o donne.

Tutt’altra è la questione dell’ordinazione di uomini sposati. La pratica esiste nelle Chiese cattoliche orientali (e anche latine). Degli uomini sposati, pastori della Chiesa anglicana divenuti cattolici, hanno potuto essere ordinati preti senza separarsi dalla moglie. C’è una convenienza tra il celibato e il ministero dei preti: ecco perché, malgrado alcune sbavature, la Chiesa romana ci tiene a scegliere i suoi preti esclusivamente tra quelli che hanno fatto la scelta del celibato «per il Regno», come dice Gesù (Mt 19,12). Non si tratta però, strettamente, di un punto dogmatico.

Uomo e donna li creò (Gen 5,2). La cultura contemporanea oscilla tra punti di vista contraddittori sul rapporto uomo-donna. La Chiesa continua ad affermare la differenza e la complementarietà dei sessi. Tutta una corrente di pensiero tende a cancellare la differenza sessuale, riconoscendole soltanto una dimensione culturale o sociale. «Non si nasce donne – scrisse Simone de Beauvoir –, lo si diventa». La formula è giusta, in un certo senso, perché l’essere umano è sempre in divenire. Ma nella polemica essa vuol dire più di questo. Sarebbe la società a fabbricare gli uomini e le donne. Certo, la biologia mostra alcune differenze notevoli, ma la chirurgia fa progressi e i transessuali non esitano ad ostentare la loro riassegnazione fenotipica.

Al contrario, tante donne si lamentano di non incontrare veri uomini. Che sia nella coppia, in famiglia o sul lavoro: certo non chiedono di essere dominata da dei macisti, ma di trovare un complemento, un aiuto che non sia la copia conforme di loro stesse. «Aiuto»: è la parola che il libro della Genesi impiega quando parla di Adamo ed Eva. Ecco perché, sul semplice piano umano, la Chiesa non può che mettere in guardia contro la cosiddetta “omogenitorialità”.

Mons. Jacques Perrier   Aleteia         23 dicembre 2019       [traduzione di Giovanni Marcotullio]

https://it.aleteia.org/2019/12/23/posto-donna-chiesa/?utm_campaign=NL_it&utm_source=daily_newsletter&utm_medium=mail&utm_content=NL_it          

TogetHER.  Insieme. Cultura, potere, parola di Dio sul ministero delle donne

Un dossier che contiene i principali interventi della Conferenza teologica internazionale battista di Nassau            5-7 luglio 2019                        Agenzia NEV  12 dicembre 2019

www.nev.it/nev/2019/12/12/together-cultura-potere-parola-di-dio-sul-ministero-delle-donne

Il Carisma delle donne nel ministero

La prof.a Molly Marshall, docente di teologia e presidente del Central Baptist Theological Center (USA), ha aperto la plenaria con una lezione sulla trasformazione dell’identità e della pratica delle chiese grazie alla piena inclusione delle donne nel ministero pastorale.

Ormai da cinquant’anni, sono una sostenitrice dell’accettazione delle donne in tutti i ruoli nel ministero. Tutto iniziò, ovviamente, con la comprensione della mia vocazione. A 14 anni, mi sentii chiamata al “servizio cristiano a tempo pieno”, come si diceva nella mia chiesa in Oklahoma. La chiesa non era molto sicura di cosa fare con questo impegno, ma non mi dissuase. Sono certa non immaginassero fin dove mi sarei potuta spingere per adempiere a questa chiamata! Il mio percorso nel ministero ha attraversato il ministero coi giovani, nelle università, il lavoro pastorale e l’educazione teologica, che è stato il mio ministero primario per 36 anni. Prima come professore, e ora come presidente, ho dato la mia vita per attrezzare buoni ministri di Gesù Cristo. Molte di noi più anziane conoscono le sfide di essere pioniere, e abbiamo affrontato molte barriere per poter reclamare il nostro posto di diritto

Gli oppositori maschi hanno evocato versetti biblici decontestualizzati per argomentare contro la nostra vocazione, distorcendo la Scrittura perché seguisse una visione patriarcale. Le studiose donne hanno acutamente osservato i loro pregiudizi prospettici, in quanto hanno usato le strutture sociali del mondo del Vicino Oriente Antico e del I Secolo per situare le donne come “altro” e non adatte al ministero. Fortunatamente, una nuova lettura dei testi biblici, nuovi modelli di costruzione teologica e la testimonianza fedele delle donne nel ministero portano avanti nuovi orizzonti per la chiesa e la società, per diventare l’intero popolo di Dio. In questa relazione cercherò di identificare alcuni dei contributi unici delle donne nel ministero. Credo che le donne portino particolari doni di grazia al ministero e la loro inclusione sia trasformativa per l’identità e la pratica cristiana. Di seguito alcune modalità.

Le donne comprendono il privilegio del servizio. Molte delle donne che conosco nel ministero non danno per scontato il loro ruolo. Lo scetticismo rispetto alla loro vocazione ha richiesto loro di intraprendere un approfondito viaggio di fede e di crescente chiarezza. Molte hanno dovuto perseverare negli studi teologici in ambienti dove la loro stessa presenza è stata messa in discussione da studenti maschi, forse anche da professori. Ricordo che mi fu chiesto da un compagno di studi perché fossi nella classe di teologia, nella mia tipica competitività, essendo cresciuta tra due fratelli, risposi “sono qui per rubarti la chiesa, amico”. Rimase sconcertato dal fatto che potessi sfidare la sua posizione. Gli uomini sono abituati a muoversi attraverso il processo ecclesiale dell’affermazione della vocazione, l’incoraggiamento a perseguire la preparazione al ministero, e poi l’accesso ad una posizione di comando, e la consacrazione senza detrattori. Le donne hanno una strada più ardua. Recenti ricerche sul ministero nelle denominazioni protestanti indicano che sono donne il 13,1% dei ministri dell’American Baptist Churches, e il 6,5% della Cooperative Baptist Fellowship.

Quando le donne arrivano alla posizione desiderata, dimostrano gratitudine e ringraziamento in modi che trascendono quel che esprimono i loro colleghi maschi. Capiscono che lo Spirito sta ponendo davanti a loro una porta aperta, che attraversano con umiltà e grazia. Sono meno prone a soccombere ad una leadership autoritaria, o a predazione sessuale, dato che non si sentono “in diritto”, nei modi dannosi che spesso gli uomini hanno.  Il dono di essere le rappresentanti pastorali di Dio verso una chiesa non è preso alla leggera, e le fedeli donne battiste conoscono gli ostacoli che hanno dovuto superare per portare il tesoro in un vaso di terra al femminile. Mentre le donne sono praticamente pari agli uomini nella popolazione di studenti nelle università teologiche, le loro possibilità di un pari impiego sono molto minori. C’è ancora un significativo lavoro di sostegno da fare.  Gli ultimi cinquant’anni hanno visto passi da gigante dato che ora le donne servono in chiese in quasi tutte le denominazioni, tranne la Southern Baptist Convention e la chiesa cattolica. Le donne in queste tradizioni hanno popolato altre denominazioni portando le loro abilità pastorali in contesti più ricettivi. In quanto ex membro (della Southern Baptist Convention N.d.T.), consacrata in quella tradizione, piango la perdita dei doni e la grazia in quella denominazione dal rigido rifiuto di riconoscere la guida pastorale delle donne. Sono grata che le American Baptist Churches mi abbiano riconosciuto il “privilegio della vocazione”, quando mi sono spostata in quell’ala della casa battista. È un privilegio, senza dubbio. 

Le donne dimostrano immaginazione ermeneutica con i testi e i contesti. Esplorando il contesto socio culturale dei testi biblici, ha permesso agli interpreti biblici di comprendere lo stato contingente delle donne come imposto dai contesti storici piuttosto che da decreti divini. Esaminare la centralità delle donne nel movimento di Gesù inquadra in maniera nuova l’autorità spirituale. L’esperienza delle donne nel potere spirituale alle origini del Cristianesimo, di cui vediamo solo un accenno nel Nuovo Testamento, ha superato, relativizzato o rivisto i confini di genere e le esigenze del patriarcato. Tuttavia, i “valori familiari” promossi a sostegno dell’ordine imperiale romano produssero ansia nei loro contemporanei riguardo alla responsabilizzazione delle donne e prevalse una gerarchia di genere. Scritti del Nuovo Testamento posteriori dimostrano che il cristianesimo delle origini era disposto a sacrificare l’uguaglianza delle donne in favore della protezione imperiale. Testi come Tito 2, 3-5 ingiungono: “anche le donne anziane abbiano un comportamento conforme a santità, non siano maldicenti né dedite a molto vino, siano maestre nel bene, per incoraggiare le giovani ad amare i mariti, ad amare i figli, a essere sagge, caste, diligenti nei lavori domestici, buone, sottomesse ai loro mariti, perché la parola di Dio non sia disprezzata”. Oppure queste parole, spesso citate da uomini che vogliono mantenere le donne al loro posto: “La donna impari in silenzio con ogni sottomissione. Poiché non permetto alla donna d’insegnare, né di usare autorità sul marito, ma stia in silenzio. Infatti Adamo fu formato per primo, e poi Eva; e Adamo non fu sedotto; ma la donna, essendo stata sedotta, cadde in trasgressione; tuttavia sarà salvata partorendo figli, se persevererà nella fede, nell’amore e nella santificazione con modestia”. (1 Tim. 2:11-15) Ci sono le prove che le donne avessero il ruolo sia di presbitere che di vescove nella chiesa primitiva. In anni più recenti, c’è stato un progetto di recupero ermeneutico che ci consente di leggere testi con occhi nuovi piuttosto che con l’approccio tradizionalista che sottopone le donne alla prerogativa patriarcale.

Prendiamo, per esempio, la storia della donna che unge i piedi di Gesù. Piuttosto che vederla come una prostituta (la lettura tradizionale), studiose femministe la vedono come la profetessa che è.  Il lavoro pionieristico di Schüssler Fiorenza fa notare che Gesù pronuncia, in Marco 14, 9:dovunque sarà predicato il vangelo, anche quello che costei ha fatto sarà raccontato, in memoria di lei”, ma che questo non è accaduto. Lei scrive: “Il segno-azione profetico non divenne parte della conoscenza evangelica dei cristiani. Anche il suo nome è perso, per noi … perché era una donna”. Che noi possiamo ricordare in maniera così vivida il nome del traditore – e non il suo – è alquanto rivelatorio.

Quando ero una giovane professoressa al Southern Seminary, fui invitata per un té, un pomeriggio, dalla moglie di un professore più anziano. Aveva circa settanta anni, per cui ipotizzai che mi avrebbe fatto un bel discorso sul moderare il mio sostegno al pensiero femminista. Neanche per sogno! Aveva avuto una brillante intuizione sulla storia dello “stupro di Dina” come pretesto per la presa della terra promessa con la forza. Aprì la sua Bibbia su Genesi 34 e mi chiese “Cosa sarebbe successo se la sorella dei 12, la figlia di Lea e Giacobbe, si fosse innamorata di Sichem, il figlio del sovrano della terra di Canaan, e avessero avuto una relazione consensuale? Sichem vide Dina e “la rapì e si unì a lei violentandola. Poi egli rimase affezionato a Dina, figlia di Giacobbe; amò la giovane e parlò al cuore di lei”. (Gen. 34, 2-3) Poi chiese a suo padre di ottenere Dina per lui, perché fosse sua moglie. E se Dio avesse voluto che Israele si trasferisse nella terra attraverso legami familiari amorevoli, piuttosto che la conquista? La Bibbia riporta la sanguinosa furia scatenata dai fratelli di lei, che rende la famiglia di Giacobbe dei paria da quel momento in poi, e cerca di ascrivere la violenza alla volontà di Dio. Le donne vedono, nei testi, cose ignorate dagli uomini, in parte perché la loro socializzazione è differente, e fanno esperienza del mondo nelle loro prospettive personali e separate. Pensate ai sermoni che avete ascoltato predicati da donne, molto probabilmente hanno articolato percezioni che gli uomini avevano ignorato o che non potevano recuperare. Le donne dimostrano capacità creative per riformare la vita comunitaria, l’educazione teologica e il servizio pubblico. Le donne danno se stesse per costruire comunità di inclusione mentre guidano chiese. Dato che le donne conoscono le sfide di destreggiarsi tra la vita familiare e le responsabilità professionali, viene dato loro il modo di includere coloro che possono essere invisibili: madri che hanno bisogno di assistenza all’infanzia, membri anziani non presenti, bambini con bisogni speciali, ecc. Essendo state loro stesse marginalizzate nelle loro esperienze ecclesiastiche, cercano di allargare il cerchio dei partecipanti. Lo stile collaborativo di guida incarnato da molte donne, dà forza agli altri per usare i loro doni. Un pastore nella mia zona, che rimarrà anonimo, ha l’abitudine di capitare in tutte le riunioni della sua chiesa per assicurarsi che i suoi desideri siano rispettati. Che sia il gruppo discepolato, il consiglio economico, il gruppo connessione con il territorio, o il gruppo di missione, il solo fatto di presentarsi ha l’effetto di smorzare qualsiasi creatività da parte dei membri del comitato. Questi non credono che le loro idee verranno rispettate, per cui, perché dovrebbero azzardarsi a proporle? Le donne hanno la capacità di invogliare la partecipazione senza sentire la necessità di controllare tutti i risultati

Le donne sanno anche che il capo del corpo di Cristo, è Cristo stesso, non il pastore. Non esercitano il potere come dominio, come Letty Russel ci ha insegnato, ma condividono il potere in modo che il Corpo di Cristo possa prosperare attraverso la partecipazione delle sue molte membra. Russel amava parlare di “autorità nella comunità” L’emergere delle donne nell’educazione teologica ha insegnato a generazioni di studenti l’uguaglianza di genere nella teologia e nella pratica. Quando mi sono sentita chiamata al ministero dell’educazione teologica, fu con la chiara convinzione che le chiese non sarebbero state più accoglienti verso le donne se le università teologiche non avessero formato donne e uomini a pensare diversamente rispetto all’inclusione delle donne. E non possiamo che elogiare il fatto che docenti donne accendano l’immaginazione degli studenti mentre essi pensano a chi Dio stia chiamando al ministero. Anche oggi le donne rimangono meno del 25% di docenti e presidi, e solo l’11% dei presidenti (e non ci sono molti battisti tra loro, almeno negli Stati Uniti). Sono grata per le sorelle in tutto il mondo che hanno assunto il ministero di fornire gli strumenti per il ministero attraverso l’educazione teologica. Molte donne impiegano la loro educazione teologica nel servizio pubblico. Ho ex studentesse che dirigono organizzazioni no profit, che lavorano nello sviluppo comunitario, alcune sono state persino elette a pubblici incarichi. La nostra facoltà di teologia ha una laureata che lavora per un’organizzazione nazionale che opera con le chiese e altre comunità dal basso “per aiutare a costruire potere politico e creare organizzazioni che uniscano persone di diverse fedi e razze”. Il Gamaliel network applica fede e valori alla ricerca di pari opportunità per tutti, abbondanza condivisa, e comunità più forti e prospere. Prima di entrare a studiare teologia, questa nostra laureata era un’insegnante e ora adempie al suo ministero come istruttrice nello sviluppo di leader capaci. È la sua vocazione.

Le donne contribuiscono ad una diversa visione di Dio Sappiamo che quando gli uomini sono considerati gli interpreti normativi della Scrittura, eroi della tradizione cristiana e modelli per la pratica del ministero, è comprensibile che iniziamo a pensare che in qualche modo gli uomini siano più simili a Dio delle donne. Dobbiamo ricostruire la nostra visione teologica al riguardo. Create allo stesso modo come portatrici dell’immagine di Dio, le donne sono state relegate in uno status secondario per gran parte della storia cristiana. Incolpate per la caduta, le donne sono state escluse dalla leadership spirituale per il loro ruolo di “porta del diavolo”, nelle parole di Tertulliano. Tommaso d’Aquino sosteneva che un prete doveva avere una “somiglianza naturale” con Cristo – che significa essere un maschio – e sorprendentemente, i protestanti hanno seguito una logica simile, considerando le donne in qualche modo inadatte al ministero. (Per fortuna i battisti si sono fermati prima di chiamare le donne “espressioni difettose dell’umanità”, come fece San Tommaso d’Aquino.) Le donne hanno visto il rapporto che intercorre tra il linguaggio che usiamo per Dio e l’uguale autorità nel ministero femminile. Innanzitutto, diamo un’occhiata al nostro linguaggio per l’umanità. La maggior parte di noi ha ormai intrapreso il percorso verso un linguaggio inclusivo per l’umanità e stiamo imparando come i pronomi siano importanti per l’identità personale. Ci siamo resi conto che il linguaggio esclusivo cancella metà dell’umanità. Usare solo “uomo” o il maschile generico ignora la presenza delle donne nelle narrazioni bibliche, e nella vita. Rende il maschio normativo per quel che riguarda l’umanità e sostiene il privilegio androcentrico. Proprio quando pensiamo che il lavoro linguistico sia finito, mi capita in mano un altro libro (spesso un testo teologico) che si rivolge o descrive solo uomini. Conosciamo il potere di dare i nomi, e la Scrittura ci ricorda tutti i modi in cui l’identità è trasportata in un nome. Trasporre la Bibbia nella nomenclatura contemporanea è un primo passo verso la revisione della nostra visione di Dio; così come è importante menzionare i nomi delle donne presenti e attive nella missione redentrice di Dio. In effetti, che a volte le donne “rubino la scena”, come le ostetriche Sifra e Pua [Esodo 1, 15-21], suggerisce la meraviglia della Scrittura ispirata da Dio. I contesti hanno essenzialmente modellato le Scritture — il mondo del Vicino Oriente antico e il mondo greco-romano dei primi secoli dell’era comune — ed erano patriarcali fino al midollo. La struttura sociale era gerarchica e gli uomini detenevano la maggior parte dei diritti di eredità, divorzio e posizione religiosa. Il linguaggio della Bibbia riflette questa struttura e non sorprende che prevalgano le immagini maschili. Il problema è che molte persone ancora leggono questi testi antichi come prescrittivi per i ruoli di uomini e donne oggi, e costruiscono una visione complementarista delle relazioni tra maschi e femmine, a detrimento di entrambi. Alcuni sono persino arrivati al punto di importare la subordinazione eterna nella Trinità come uno stratagemma per discutere della subordinazione nel matrimonio cristiano. Che progressi stiamo facendo nel nostro linguaggio per Dio? Usare il linguaggio inclusivo per Dio ha un potente impatto su come vediamo Dio, come mettiamo ordine nelle relazioni umano, e come svolgiamo i nostri ruoli, come discepoli e discepole di Gesù. È difficile linguisticamente e teologicamente, eppure è un riorientamento figurativo necessario.  Se si guarda al lavoro dei grandi artisti figurativi che hanno dato forma all’immaginazione circa l’immagine di Dio, non sorprende che le figure dell’anziano, del giovane e gli uccelli abbiano un’influenza persistente. Guardiamo alla Cappella Sistina, dove Michelangelo ha faticato per rendere il soffitto la narrazione di Dio, o le grandi opere di Da Vinci, si noterà come tali immagini di Dio plasmano il linguaggio. La figura forte del Dio barbuto dai capelli grigi che si allunga verso Adamo, che si avvicina allo stesso modo a Dio, è un ritratto iper-mascolinizzato di Dio e dell’umanità. Le nostre parole, non meno di quelle immagini dipinte, restituiscono una visione simile di Dio, a meno che non impariamo nuovi modi di parlare del divino. Molte traduzioni, come la NRSV (la versione standard nuova riveduta in uso nei paesi anglofoni, N.d.T.), ha portato avanti la pratica del linguaggio inclusivo includendo “donne” e “sorelle” nei testi, ma ha lasciato “Egli” come pronome primario per parlare di Dio. La sfida è che la grammatica sfugge al genere biologico nella mente di molti. Troppi credono che Dio sia letteralmente maschio e che il “linguaggio del Padre” indichi giustamente Dio come progenitore finale. Rosemary Radford Ruether ha descritto questa realtà molto presto e ci ha esortato a usare l’intera testimonianza biblica: “Sebbene le immagini e i ruoli di Dio prevalentemente maschili facciano dello Yahwismo un agente della sacralizzazione del patriarcato, ci sono elementi critici nella teologia biblica che contraddicono questa visione di Dio”. Quindi offre una visione del Dio profetico che svaluta il privilegio della classe dirigente e accoglie gli schiavi liberati come il popolo di Dio. Rendere il personaggio di Dio come sovrano e liberatore che crea una comunità di eguali decostruisce anche l’autorità patriarcale.  Una terza risorsa è la proscrizione dell’idolatria, che include immagini verbali. Affidiamo l’idolatria linguistica alle nostre proiezioni letterali di immagini bibliche. Infine, Ruether evidenzia immagini equivalenti per Dio come maschio e femmina nelle Scritture. Molti hanno respinto il linguaggio 14 inclusivo come “politicamente corretto”, tuttavia, credo che sia molto più profondo. È un tentativo di parlare in modo giusto degli esseri umani e si sforza di offrire una visione di Dio oltre il genere sessuale. Uno dei motivi per cui ho prestato attenzione allo Spirito di Dio negli ultimi anni è che permette di eludere il linguaggio di genere per Dio. Il linguaggio dello Spirito ci permette di immaginare che Dio è oltre le nostre proiezioni antropomorfe. Il Dio che dimora eternamente nella ricchezza della comunione trinitaria ci invita a nuovi modi di immaginare Dio con noi, spostandoci oltre la nostra visione esclusivamente maschile. Cambiare lingua aiuta, ma anche la presenza incarnata delle donne come leader pastorali, aiuta. La loro stessa presenza propone una diversa visione di Dio.

Ricordo quando ho prestato servizio come pastora ad interim nella chiesa battista di Deer Park a Louisville, Kentucky, per alcuni mesi nel 1985. Due eventi si sono distinti all’inizio della mia permanenza lì. La prima domenica era il giorno della dedicazione dei bambini e un bambino aveva una brutta infezione all’orecchio. Stava piangendo, angosciato e i suoi genitori erano mortificati. Lo hanno consegnato a me e, miracolosamente, si è calmato. L’intera congregazione ha fatto “Oooh!”; Ho pensato che significasse credibilità pastorale istantanea. L’altro evento è stato quando ho battezzato una giovane donna e, in modo piuttosto naturale, le ho spostato i capelli dagli occhi mentre usciva dall’acqua, un gesto piuttosto materno. In una successiva assemblea di chiesa, una donna anziana di nome Ann Payne (che si riferiva a se stessa come A. Pain (“Un Fastidio”, N.d.T.)) chiese di fare una dichiarazione in chiesa. Disse: “quando la chiesa ha deciso di chiamare Molly come pastore ad interim, non ero molto entusiasta. Ma quando l’ho vista prendere quel bambino tra le braccia e poi amorevolmente prendersi cura di quella giovane donna nel battistero, ho visto una visione diversa di Dio. E mi è piaciuto.” Le donne predicano, servono, insegnano, presiedono la Cena del Signore, curano i malati, guidano il pensiero strategico, e intanto manifestano il loro carisma come immagine di Dio e le persone hanno un’esperienza diversa nel ministero. A volte il volto di Dio si vede meglio nel volto di una donna, come mi disse una volta il mio amato professore di teologia Dale Moody dopo che avevo predicato nella cappella del Southern Seminary.

La leadership delle donne si occupa delle reali esigenze della vita.  In un recente articolo sul New York Times, la scrittrice Tina Brown chiedeva, “Possono le donne salvare il mondo?” Era un po’ esagerato, lo ammetto; tuttavia, la sua argomentazione vale la pena di essere affrontata. In parole povere, afferma: “Durante migliaia di anni di civiltà le donne si sono evolute per affrontare le impraticabili complicazioni della vita e trovare mezzi di convivenza pacifica laddove gli uomini hanno tradizionalmente trovato strade di conflitto”. Le donne hanno accumulato tesori di conoscenza che fino a poco tempo fa sono stati respinti dagli ambienti di potere maschili. I metodi di ricerca delle donne sono stati un argomento di ricerca sin dagli anni ’80. Il primo lavoro di ricerca sulla teoria dello sviluppo delle donne è venuto dalla collaborazione di quattro donne pubblicate sotto il titolo “Women’s Ways of Knowing: The Development of Self, Voice, and Mind.”. Queste ricercatrici hanno concordato sul fatto che troppe generalizzazioni sullo sviluppo cognitivo ed emotivo sono stati estrapolati da campioni solo maschili. Il proprio genere determina molto su come si vive il mondo e quando gli studi focalizzano portano chiarezza sull’esperienza delle donne, emergono nuove intuizioni. Il campione era di 135 donne le cui età variavano dai 16 agli oltre 60 anni. Questo studio ha delineato cinque modi di conoscere, senza presumere che tutte le donne si muovano attraverso queste fasi dello sviluppo. Darò una breve panoramica di queste posizioni epistemologiche, poiché hanno importanza per le donne che rivendicano il loro posto, vocato dallo Spirito, nel ministero.

  1. Il primo modo di conoscere è il silenzio. Spesso ciò deriva da un senso di isolamento, privazione o una storia di abusi. Sentendosi disconnesse dagli altri, queste donne hanno poca fiducia nello strutturare una narrazione significativa della loro vita. La teologia patriarcale ha rafforzato questo silenzio.
  2.  Il secondo modo di conoscere è la conoscenza ricevuta: ascoltare le voci degli altri. Ciò comporta la fiducia nelle autorità esterne più delle percezioni interne. Le donne che praticano questo modo di conoscere si allineano rapidamente alle aspettative degli altri, per esempio gli ideali culturali delle donne così come prescritti da autorità infallibili, di solito uomini. Questo metodo ha un approccio piuttosto binario a ciò che è giusto o sbagliato; la conoscenza può essere assolutista se trovi l’autorità giusta. (Il pensiero fondamentalista può catturare le donne attraverso questo metodo.)
  3.  Il terzo modo di conoscere è la conoscenza soggettiva: la voce interiore. Qui, una donna inizia a riconoscere il suo sé come un’autorità. Caratteristica di questo stato di sviluppo è la “voce interiore che protesta”, che scardina le autorità esterne dal loro stato di infallibilità. Le esperienze personali diventano una fonte di verità per lei, e di solito un amicizia o una guida affidabile contribuisce a questo modo di conoscere. Alcune donne lasciano la loro tradizione di fede quando si verifica questo risveglio. I teologi maschi hanno spesso respinto la teologica femminista, donnista o latina perché si basano su una consapevolezza intersezionale.
  4. Il quarto modo di conoscere è la conoscenza procedurale: conoscenza separata e connessa. Ora la donna ha messo in fila il ragionamento critico che le permette di setacciare fonti esterne; non dipende più dai propri sentimenti ma dalla maggiore capacità di valutare le affermazioni sulla verità. Potrebbe rimanere isolata se diffida del pensiero degli altri a causa di come la conoscenza è stata usata per soggiogarla. Chi conosce in maniera connessa, d’altra parte, va oltre l’analisi spassionata e cerca di comprendere le prospettive degli altri in modo riconoscente. Capisce che le diverse prospettive fanno parte della conoscenza olistica.
  5. Il quinto e ultimo modo di conoscere è la conoscenza costruita: integrare le voci. Qui la donna capisce come il pregiudizio prospettico e la posizione sociale modellano la conoscenza e quante persone contribuiscono a intuizioni costruttive. L’empatia e le sfumature hanno un’importanza significativa nel momento in cui le donne si muovono verso pratiche e significati comunitari. La capacità di leadership richiede questo ultimo modo di conoscere e le donne con queste competenze cognitive e procedurali possono trasformare le istituzioni. È a causa della posizione di “altro” delle donne e della presunzione che fossero meno del paradigma maschile che le donne hanno “imparato e insegnato lezioni su come affrontare le apparenti impossibilità in modi che gli uomini tradizionalmente – e fino ad oggi – non posseggono”.

 Quando le donne portano questa conoscenza costruita nel ministero, vedono le complessità della fragile vita umana. Comprendono le lotte delle persone ai margini e praticano l’ospitalità che può portare alla risurrezione. Vanno oltre gli approcci semplicistici e teorici alla risoluzione dei problemi, che di solito sono proposizioni dove qualcuno vince e qualcuno perde. Trovano un terreno comune con gli altri e si muovono verso un risultato reciprocamente vantaggioso. Poiché le donne tendono a gestire le esigenze della vita in modo realistico e conoscono a fondo il dolore che cresce, vivono nella strategia della vulnerabilità di Dio. Miroslav Volf lo identifica chiaramente quando descrive come “Dio apre il sé divino a tutte le sofferenze del mondo sulla croce”. Le donne che prosperano nel ministero comprendono il mistero pasquale della sequela di Gesù. Comprendono che la nuova vita arriva attraverso la morte e si offrono in modi di redenzione come fedeli testimoni della grazia del Signore Gesù Cristo, dell’amore di Dio e della comunione dello Spirito Santo. Si appoggiano alla scorta dello Spirito per la saggezza, la compassione e la pazienza. Le donne offrono il loro servizio come strumenti di grazia, attraverso le quali (insieme ai loro fratelli) Dio sta rendendo tutte le cose nuove. In conclusione, credo che le donne portino particolari doni di grazia al ministero e la loro inclusione sia trasformativa per l’identità e la pratica cristiana. La chiesa ha bisogno del carisma delle donne nel ministero come mai prima d’ora per essere riconosciuta fedele.

Molly Marshall                      Traduzione di Dario Monaco 

The 9th Baptist International Conference on Theological Education July 5-7, 2019 | Nassau, The Bahamas

Agenzia di stampa della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia

PAG. 4     www.nev.it/nev/wp-content/uploads/2019/12/TogetHER_donne-e-ministero_dossierDT.pdf

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

FRANCESCO VESCOVO DI ROMA

Il discorso alla Curia romana

L’unità umana è la “cifra distintiva” della riforma della chiesa

Non si tratta di piccoli aggiustamenti curiali, ma di capire che non siamo nella cristianità, la fede non è più presupposta. Tutto deve cambiare, anche i magazzini in cui è depositata la fede. Dio è per tutti, non elegge e non scarta nessuno.

Pubblichiamo il discorso tenuto dal papa il 21 dicembre 2019 alla Curia romana in occasione degli auguri di Natale

«La Chiesa è rimasta indietro di duecento anni. Come mai non si scuote? Abbiamo paura? Paura invece di coraggio? Comunque la fede è il fondamento della Chiesa. La fede, la fiducia, il coraggio. […] Solo l’amore vince la stanchezza» – riprendendo queste parole dell’ultima intervista del card. Martini, papa Francesco conclude il suo discorso alla Curia in occasione dello scambio di auguri per il Natale 2019.

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2019/december/documents/papa-francesco_20191221_curia-romana.html

 

Il Papa: la Curia cambia per servire meglio l’umanità

Nel tradizionale incontro per gli auguri di Natale Francesco parla alla Curia Romana delle trasformazioni in atto nelle istituzioni vaticane, ribadendo necessità e scopi dei nuovi dicasteri. Cambiamo, dice il Papa, per vincere rigidità e paure e annunciare meglio il Vangelo a un mondo scristianizzato.

Nel mondo che cambia, la Curia Romana non cambia tanto per farlo, “per seguire le mode”. Sviluppo e crescita la Chiesa li vive dalla prospettiva di Dio e del resto la storia della Bibbia è tutto “un cammino segnato da avvii e ripartenze”. Ecco perché anche uno dei nuovi Santi, il cardinale Newman, quando parlava di “cambiamento” in realtà intendeva “conversione”.

Sfida e inerzia. Prima di portare il discorso sull’argomento che gli sta a cuore, Francesco prepara l’uditorio schierato in Sala Clementina per gli auguri di Natale – tutti i suoi primi collaboratori della Curia romana – a sintonizzarsi su una convinzione che sottende e accompagna fin dall’inizio il suo magistero, ovvero che quella attuale “non è semplicemente un’epoca di cambiamenti, ma è un cambiamento di epoca”. Aggiungendo che “l’atteggiamento sano” è quello di “lasciarsi interrogare dalle sfide del tempo presente”, con discernimento e coraggio, piuttosto che farsi sedurre dalla comoda inerzia del lasciare tutto com’è: capita spesso di vivere il cambiamento limitandosi a indossare un nuovo vestito, e poi rimanere in realtà come si era prima. Rammento l’espressione enigmatica, che si legge in un famoso romanzo italiano: “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi” (ne Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa).

Tra novità e memoria. L’articolata premessa approda al tema della riforma della Curia romana che, sostiene il Papa, “non ha mai avuto la presunzione di fare come se prima niente fosse esistito”, ma ha puntato al contrario “a valorizzare quanto di buono è stato fatto nella complessa storia della Curia”. È doveroso valorizzarne la storia per costruire un futuro che abbia basi solide, che abbia radici e perciò possa essere fecondo. Appellarsi alla memoria non vuol dire ancorarsi all’autoconservazione, ma richiamare la vita e la vitalità di un percorso in continuo sviluppo. La memoria non è statica, è dinamica. Implica per sua natura movimento. E la tradizione non è statica, è dinamica, è la garanzia del futuro e non la custodia delle ceneri.

“La rigidità che nasce dalla paura del cambiamento e finisce per disseminare di paletti e di ostacoli il terreno del bene comune, facendolo diventare un campo minato di incomunicabilità e di odio.”

Cambiare per annunciare. A questo punto Francesco passa in rassegna quelle che definisce “alcune novità dell’organizzazione curiale, come la nascita a fine 2017 della Terza Sezione della Segreteria di Stato (Sezione per il Personale di ruolo diplomatico della Santa Sede – ndr), assieme ad altri mutamenti intervenuti, ricorda, nelle “relazioni tra Curia romana e Chiese particolari” e nella “struttura di alcuni Dicasteri, in particolare quello per le Chiese Orientali e altri per il dialogo ecumenico e per quello interreligioso, in particolare con l’Ebraismo”. Ma è stata soprattutto la constatazione – già evidente già al tempo di Giovanni Paolo II che di Benedetto XVI – cioè di un mondo non più cosciente del Vangelo come in passato, a richiedere, spiega Francesco, ristrutturazioni profonde di dicasteri storici o a suggerire la nascita di nuovi.

Riferendosi alla Congregazione per la Dottrina della Fede e alla Congregazione per l’Evangelizzazione dei popoli, il Papa osserva che quando “furono istituite, si era in un’epoca nella quale era più semplice distinguere tra due versanti abbastanza definiti: un mondo cristiano da una parte e un mondo ancora da evangelizzare dall’altra”. Adesso questa situazione non esiste più. Le popolazioni che non hanno ancora ricevuto l’annuncio del Vangelo non vivono affatto soltanto nei Continenti non occidentali, ma dimorano dappertutto, specialmente nelle enormi concentrazioni urbane che richiedono esse stesse una specifica pastorale. Nelle grandi città abbiamo bisogno di altre “mappe”, di altri paradigmi, che ci aiutino a riposizionare i nostri modi di pensare e i nostri atteggiamenti: non siamo nella cristianità, non più!

Vangelo e cultura digitale. Per questo, a rimodellare le istituzioni vaticane è stata la spinta a un rinnovato annuncio del Vangelo. Tutto – consuetudini, stili, orari, linguaggio, aveva già chiarito il Papa nell’Evangelii gaudium – dev’essere “un canale adeguato all’evangelizzazione del mondo attuale, più che per l’autopreservazione”. A questo bisogno risponde, asserisce Francesco, la nascita del Dicastero per la Comunicazione, entità che accorpa nove enti dei media vaticani prima distinti fra loro. Non un mero “raggruppamento coordinativo”, precisa, ma un modo di “armonizzare” per “produrre una migliore offerta di servizi” in una “cultura ampiamente digitalizzata”.

La nuova cultura, marcata da fattori di convergenza e multimedialità, ha bisogno di una risposta adeguata da parte della Sede Apostolica nell’ambito della comunicazione. Oggi, rispetto ai servizi diversificati, prevale la forma multimediale, e questo segna anche il modo di concepirli, di pensarli e di attuarli. Tutto ciò implica, insieme al cambiamento culturale, una conversione istituzionale e personale per passare da un lavoro a compartimenti stagni – che nei casi migliori aveva qualche coordinamento – a un lavoro intrinsecamente connesso, in sinergia.

Una struttura, tanti servizi. Analoga sorte è quella toccata al Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, creato per rendere più coerente e unitario il lavoro prima distinto tra i Pontifici Consigli di Giustizia e Pace, Cor Unum, Pastorale dei Migranti e Operatori Sanitari.

La Chiesa è dunque chiamata a ricordare a tutti che non si tratta solo di questioni sociali o migratorie ma di persone umane, di fratelli e sorelle che oggi sono il simbolo di tutti gli scartati della società globalizzata. È chiamata a testimoniare che per Dio nessuno è “straniero” o “escluso”. È chiamata a svegliare le coscienze assopite nell’indifferenza dinanzi alla realtà del Mar Mediterraneo divenuto per molti, troppi, un cimitero.

L’amore vince la stanchezza. Tra “grandi sfide” e “necessari equilibri”, dunque, ciò che conta è che la Chiesa, e la Curia romana per prima, guardi all’umanità in cui tutti sono “figli di un unico Padre”. Francesco non misconosce la difficoltà di cambiamenti così grandi, il bisogno della gradualità, “l’errore umano”, con i quali, dice, “non è possibile né giusto non fare i conti”. “Legata a questo difficile processo storico, c’è sempre – stigmatizza – la tentazione di ripiegarsi sul passato (anche usando formulazioni nuove), perché più rassicurante, conosciuto e, sicuramente, meno conflittuale”. Qui occorre mettere in guardia dalla tentazione di assumere l’atteggiamento della rigidità. La rigidità che nasce dalla paura del cambiamento e finisce per disseminare di paletti e di ostacoli il terreno del bene comune, facendolo diventare un campo minato di incomunicabilità e di odio. Ricordiamo sempre che dietro ogni rigidità giace qualche squilibrio. La rigidità e lo squilibro si alimentano a vicenda in un circolo vizioso ed oggi questa tentazione della rigidità è diventata tanto attuale

L’ultima parola, il Papa la lascia al cardinale Martini che, sul punto di morte, affermò: “La Chiesa è rimasta indietro di duecento anni. Come mai non si scuote? Abbiamo paura? Paura invece di coraggio? Comunque la fede è il fondamento della Chiesa. La fede, la fiducia, il coraggio. […] Solo l’amore vince la stanchezza”.

Alessandro De Carolis – Città del Vaticano   Vatican news  21 dicembre 2019

www.vaticannews.va/it/papa/news/2019-12/papa-francesco-curia-romana-auguri-natale-riforma-vangelo.html

 

L’urgenza di superare una Chiesa monocolore

Sul crinale della riforma della Chiesa nel secolo XVI, in anticipo sui tempi, Ignazio di Loyola si distinse come infaticabile apostolo delle donne. La fitta corrispondenza con l’universo femminile del suo tempo ne documenta la filigrana: quella di un’attenzione spirituale di direttore di coscienza sorprendentemente aperto, lungimirante e perspicace. E seppure, paradosso insolubile, impedì l’istituzione di un ordine di gesuitesse, la sua azione appare volta ad arruolare le donne al servizio dell’unica grande opera che gli sembra importante sulla terra: aiutare le anime, far progredire la Chiesa nella fedeltà a Cristo. Ed è difficile non rinvenire traccia di questo milieu [contesto, ambito] di risonanza ignaziana anche nella personale e particolare attenzione mostrata verso la questione femminile dal gesuita papa Francesco.

Ma al di là della formazione personale, la sollecitudine con la quale papa Francesco, fin dalla sua elezione, si è dedicato alla questione delle donne, del loro ruolo e accesso alle responsabilità ecclesiali, evidenzia l’urgenza di affrontare una realtà che riguarda la visione della Chiesa stessa e investe la sua natura gerarchica e comunionale. È tale visione infatti che spinge il Papa a percepire il monocolore maschile come un difetto, uno squilibrio, una minorazione della Chiesa considerato che senza le donne essa risulta deficitaria nell’annuncio e nella testimonianza e che dunque compromette la sua missione. È infatti significativo che il Papa, già l’indomani dell’inizio del suo ministero petrino, abbia subito attirato l’attenzione con un gesto posto al cuore della liturgia della Settimana Santa, che sorprese e provocò, invitando due donne, due detenute, alla lavanda dei piedi che celebrava il Giovedì Santo. Un gesto rilevante consegnato alla Chiesa per esprimere e dispiegare il mistero pasquale nella carne del mondo ricongiungendo l’intera umanità. E subito dopo, con l’annuncio pasquale, celebrava la testimonianza resa dalle donne al Risorto, le prime testimoni, le prime chiamate ad annunciare la salvezza, protagoniste privilegiate della Pasqua. A più riprese ha poi fatto dichiarazioni che enumerano obiettivi affermando che «la Chiesa non può essere se stessa senza la donna e il suo ruolo» e che «la donna per la Chiesa è imprescindibile»: «Accrescere gli spazi per una presenza femminile più incisiva nella Chiesa», «elaborare una teologia approfondita del femminile», introdurre le donne «là dove si esercita l’autorità dei diversi ambiti della Chiesa».

           Riflessioni riprese nell’esortazione apostolica sulla missione Evangelii gaudium [24 novembre 2013]

www.vatican.va/content/francesco/it/apost_exhortations/documents/papa-francesco_esortazione-ap_20131124_evangelii-gaudium.html

e reiterate in questi anni in numerosi interventi, talora a braccio, fino a quelli più recenti nei quali si fa esplicita l’eco di quella speranza che animava i padri del Concilio quando l’8 dicembre 1965, alla fine dei lavori, fu pubblicato da Paolo VI il “Messaggio alle donne”. A conferma che la preoccupazione e l’invito di Francesco s’iscrivono nella corrente diretta delle istanze nate in continuità con il Vaticano II non ancora attuate e che la “questione donna” nell’urgenza dell’attuale contesto ecclesiale ed ecclesiologico ha le sue radici nel vissuto della Chiesa già nel suo sorgere, dove la presenza delle donne favorisce l’apertura universalistica, sia nei momenti fondanti, originari, decisionali, in cui si tratta di accogliere tutta la forza propulsiva dello Spirito, sia in quelli del suo avvio concreto in cui occorre superare le pesantezze di schematismi consolidati e le ostilità connesse. Del resto nel Vangelo e negli Atti degli apostoli — come rileva il biblista Damiano Marzotto nel suo «Pietro e Maddalena. Il Vangelo corre a due voci» [2010], testo definito «bellissimo» da papa Francesco — le donne si presentano non solo come «il luogo dell’accoglienza e dell’ospitalità ma come luogo della libertà e dell’universalismo, capaci cioè di rigenerare, di ridonare quello slancio che spinge agli spazi universali e quindi di far progredire la via della salvezza. Tale dinamica si è compiuta di fatto, quindi si compie e può compiersi, solo in una piena sinergia di maschile e femminile».

www.laici.va/content/laici/it/sezioni/donna/recensioni/pietro-e-maddalena–il-vangelo-corre-a-due-voci.html

Il documento finale del Sinodo sui giovani così afferma: «Una visione anche della Chiesa, fatta prevalentemente al maschile, non sta rispondendo al compito che Dio ha affidato all’umanità. In secondo luogo, è solo dalla reciprocità che può emergere una valorizzazione e una integrazione del maschile e del femminile». L’Evangelii gaudium non manca di ricordare anche che il sacerdozio ministeriale è uno dei mezzi che Gesù utilizza al servizio del suo popolo, ma che «la grande dignità viene dal Battesimo, che è accessibile a tutti» e che la presenza delle donne nelle strutture ed istanze che decidono oggi del futuro della Chiesa ricordano che il sacramento del battesimo non può essere superato. Si tratta quindi innanzitutto di riconoscere e metabolizzare che la questione non è superficialmente di pari opportunità perché non nasce dalla rivendicazione ma da una ricchezza da recuperare, quella di una Chiesa-comunione appunto. Che quello dell’Ordine, riservato agli uomini, non è il solo sacramento a garantire un’assistenza dello Spirito santo in fase di ascolto, di confronto e di decisioni. Che è piuttosto il Battesimo a compaginare un Corpo con diverse membra, la cui possibilità di movimento sorge solo dalla loro cooperazione e dalla reciprocità. In questa prospettiva si tratta quindi di superare logiche clericali nelle quali la presenza femminile negli organismi vigenti, nei vicariati, nelle curie, compresa la Curia romana, venga intesa come “concessione” alle donne e ridotta a presenza simbolica.

            «Mi preoccupa il persistere nelle società di una certa mentalità maschilista, mi preoccupa che nella stessa Chiesa il servizio a cui ciascuno è chiamato, per le donne, si trasformi a volte in servitù» ha affermato più volte il Papa: «Io soffro, dico la verità, quando vedo nella Chiesa o in alcune organizzazioni, che il ruolo di servizio, che tutti noi abbiamo e dobbiamo avere, il ruolo di servizio della donna scivola verso un ruolo di servitù». Pertanto nella prospettiva aperta da Francesco se «la donna per la Chiesa è imprescindibile» ed è «necessario ampliare gli spazi di una presenza femminile più incisiva» questo presuppone che anche nella Chiesa certo maschilismo strisciante sia «sanato dal Vangelo» — come ha rilevato opportunamente anche nella sua Esortazione apostolica — e allo stesso tempo, sempre nell’ottica del Vangelo, sia sanato il clericalismo che risponde a logiche di potere inteso come dominio. Perché il clericalismo — che riduce la Chiesa a club privato di cui qualcuno, che non sia Cristo, pretende di averne le chiavi — unito a certo maschilismo, anziché valorizzare la novità evangelica che porta a costruire una chiesa di fratelli e sorelle, esalta le differenze in modo distorto e dal punto di vista dell’annuncio di fatto realizza una devianza tradendo l’identità della Chiesa, dato che la novità evangelica vede insieme uomini e donne chiamati al discepolato, all’annuncio, al servizio per trasmettere a pieno la ricchezza del messaggio evangelico.

La fattiva collaborazione tra donne e uomini nella Chiesa nella reciprocità e nel servizio è perciò la direzione indicata da papa Francesco nei suoi reiterati interventi riguardo alla questione femminile. Quel servizio fondamentale a cui tutti, uomini e donne, sono chiamati per far progredire la Chiesa nello spirito di Cristo. In questa direzione per il Papa è necessario «andare sempre più a fondo non solo nell’identità femminile, ma anche in quella maschile, per servire così meglio l’essere umano nel suo insieme» come ha affermato. Questo sguardo complessivo che mira al bene di tutti, uomini e donne, può mettere al riparo da logiche di carattere rivendicazionista, senza tuttavia nascondere le ombre ancora presenti e i passi necessari ancora da compiere per una profonda valorizzazione della donna. E indirizzarsi verso un «approfondimento teologico che aiuti a meglio riconoscere il possibile ruolo della donna lì dove si prendono decisioni importanti, nei diversi ambiti della Chiesa» potrebbe anche contemplare un atto magisteriale.

            Nel corso del summit sugli abusi nel febbraio 2019 scorso, ascoltando una relatrice il Papa ha voluto sottolineare come in quell’ascolto ha «sentito la Chiesa parlare di se stessa. Cioè — ha detto — tutti noi abbiamo parlato sulla Chiesa. In tutti gli interventi. Ma questa volta era la Chiesa stessa che parlava» e «invitare a parlare una donna non è entrare nella modalità di un femminismo ecclesiastico… Invitare a parlare una donna sulle ferite della Chiesa — ha rimarcato — è invitare la Chiesa a parlare su se stessa. E questo credo che sia il passo che noi dobbiamo fare con molta forza: la donna è l’immagine della Chiesa. Uno stile. Senza questo stile parleremmo del popolo di Dio ma come organizzazione, forse sindacale, ma non come famiglia partorita dalla madre Chiesa».

            A conclusione del Sinodo sull’Amazzonia, preannunciando che riconvocherà la commissione sul diaconato femminile — che ha concluso i suoi lavori l’anno scorso senza venire a una conclusione unanime — ha precisato: «Non si tratta di dare più funzioni alla donna nella Chiesa — sì, questo è buono, ma così non si risolve il problema — si tratta di integrare la donna come figura della Chiesa nel nostro pensiero. E pensare anche la Chiesa con le categorie di una donna». Il Sinodo sull’Amazzonia per la prima volta ha visto la presenza di 35 donne tra le quali leader di popolazioni indigene, esperte, laiche e religiose. L’esempio di un ascolto attento verso le testimonianze di queste donne lo ha dato il Papa stesso, come hanno osservato e riportato i partecipanti all’assemblea sinodale, facendo risvegliare a quella reciprocità maschile-femminile un’assemblea di vescovi che senza la loro presenza si sarebbe probabilmente interrogata con meno coraggio. Un esempio dimostrativo e di riconoscimento affinché questo atteggiamento possa crescere e maturare come tratto abituale nel seno della Chiesa. Anche se superare una certa mentalità in un cammino condiviso da tutti è ancora lungo, questo ultimo Sinodo ha tuttavia messo in asse come il ruolo delle donne nella Chiesa può essere riconsiderato e integrato solo nella prospettiva effettiva del dinamismo sinodale e della conversione missionaria indicati dal Papa. E come per il Papa nella questione delle donne passi una questione profondamente ecclesiale. Che è quella di una rinnovata consapevolezza ecclesiale.

Stefania Falasca         L’Osservatore Romano           Francesco e le donne             28 dicembre 2019

www.osservatoreromano.va/it/news/lurgenza-di-superare-una-chiesa-monocolore

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

GOVERNO

Dipartimento per le politiche della famiglia

Banca dati geo-referenziata sulle buone pratiche territoriali delle Regioni e dei Comuni a favore delle politiche della famiglia

https://umap.openstreetmap.fr/it/map/le-iniziative-di-regioni-e-comuni-a-favore-delle-f_401515#6/41.673/12.876

E’ disponibile on line la banca dati aggiornata a tutto il 2019 sulle buone pratiche territoriali delle Regioni e dei Comuni a favore dei nuclei familiari. La banca dati consente la navigazione geo-referenziata sul territorio nazionale con notizie di dettaglio sulle iniziative implementate dalle Regioni e dai Comuni che hanno partecipato al monitoraggio.

Nel mese di gennaio 2020 verranno ultimati e pubblicati i rapporti di monitoraggio sulle politiche per la famiglia delle Regioni e dei Comuni. I rapporti saranno disponibili sia sul sito del Dipartimento per le politiche della famiglia sia sul sito www.minori.gov.it in versione PDF scaricabile.

Il lavoro di ricerca è stato realizzato dal Dipartimento per le Politiche della Famiglia in collaborazione con l’Istituto degli Innocenti di Firenze.

Presidenza del Consiglio dei Ministri – DPF   Notizie             27 dicembre 2019

famiglia.governo.it/it/notizie/banca-dati-georeferenziata-sulle-buone-pratiche-territoriali-delle-regioni-e-dei-comuni-a-favore-delle-politiche-della-famiglia

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

MATERNITÀ

Congedo di maternità: le regole in vigore

Il D. Lgs. 151, 26 marzo 2001 il cd. “Testo unico in materia di tutela e sostegno della maternità e paternità” disciplina il congedo di maternità (anche chiamato congedo obbligatorio di maternità) prevedendo il divieto per il datore di lavoro di adibire alla normale attività lavorativa per un periodo complessivo di 5 mesi, la lavoratrice dipendente in stato di gravidanza.    www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2001/04/26/001G0200/sg

Nel dettaglio è vietato adibire al lavoro le donne:

  • Durante i due mesi precedenti la data presunta del parto;
  • Ove il parto avvenga oltre tale data, per il periodo intercorrente tra la data presunta e la data effettiva di parto;
  •  Durante i tre mesi dopo il parto con decorrenza successiva alla data del parto.

Fermo restando la durata complessiva di 5 mesi del periodo obbligatorio di astensione dal lavoro, prima l’art. 20 del succitato D. Lgs. e poi in affiancamento a questo l’art. 1, L. 145, 30 dicembre 2018 (legge di bilancio 2019)                                                            www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2018/12/31/18G00172/sg

hanno previsto la facoltà di modulare diversamente il periodo di astensione dal lavoro della lavoratrice in stato di gravidanza:

  • È facoltà della lavoratrice in stato di gravidanza, qualora non arrechi pregiudizio alla sua salute e a quella del nascituro, astenersi dal lavoro dal mese precedente la data presunta del parto e nei 4 mesi successivi la data effettiva del parto. Secondo questa modulazione, è necessario che la dipendente entro il settimo mese di gravidanza si sottoponga a visita di un ginecologo del Servizio Sanitario Nazionale o con esso convenzionato e poi a visita dal medico competente del lavoro ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro ai sensi del D. Lgs. 81, 9 aprile 2008.

www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2008/04/30/008G0104/sg

    Dal 1° Gennaio 2019 è facoltà della lavoratrice in stato di gravidanza, qualora non arrechi pregiudizio alla sua salute e a quella del nascituro, di astenersi dal lavoro per il periodo di assenza obbligatoria esclusivamente dopo il parto e fino al quinto mese successivo allo stesso. Secondo questa modulazione, è necessario che la dipendente entro l’ottavo mese di gravidanza si sottoponga a visita di un ginecologo del Servizio Sanitario Nazionale o con esso convenzionato e poi a visita dal medico competente del lavoro ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro ai sensi del D. Lgs. 81/2008. E’ di pochi giorni fa la pubblicazione della circolare Inps n. 148, 13 dicembre 2019 contenente le istruzioni operative per la fruizione dei cinque mesi di congedo di maternità esclusivamente dopo l’evento del parto, secondo quanto previsto dalla legge di Bilancio 2019.                                                 www.inps.it/nuovoportaleinps/default.aspx?itemdir=53258

Il periodo di astensione flessibile può essere ridotto anche successivamente alla richiesta, nel senso che la lavoratrice può espressamente richiedere di ampliare il periodo di astensione prima del parto, ad esempio in caso di insorgenza di malattia.

È sempre richiesto alla lavoratrice dipendente, oltre a seguire le procedure su viste, presentare domanda di maternità all’Inps utilizzando i canali telematici messi a disposizione dell’istituto ovvero online, contact center o mediante Caf/Patronati. La domanda va inoltrata prima dei due mesi che precedono la data prevista del parto e comunque mai oltre un anno dalla fine del periodo indennizzabile, pena la prescrizione del diritto all’indennità.

La lavoratrice è tenuta a comunicare la data di nascita del figlio e le relative generalità entro 30 giorni dal parto.

Casi particolari per l’utilizzo del congedo di maternità. E cosa accade invece se non sussistono le condizioni di buona salute della dipendente o complicanze della gravidanza o situazioni lavorative pregiudizievoli?

E’ previsto il divieto di adibire al lavoro le donne (interdizione anticipata):

  • Nell’ipotesi di gravi complicanze della gestazione, è disposta su richiesta della lavoratrice con certificato medico dall’Asl;
  • Quando le condizioni di lavoro o ambientali siano ritenute pregiudizievoli alla salute della donna o del bambino e può essere disposta dall’Itl [Ispettorato territoriale del Lavoro] oltre che su richiesta dell’interessata e dell’azienda;
  • Quando la lavoratrice è impiegata nello svolgimento di lavori pesanti, pericolosi insalubri o che comportino il rischio all’esposizione di agenti nocivi classificati nell’allegato B del sopracitato D. Lgs. 151/2001 può essere disposta dall’Itl oltre che su richiesta dell’interessata e dell’azienda.

Tale periodo di interdizione anticipata è considerato a tutti gli effetti come astensione obbligatoria.

Gennaro Matacena     Fisco e Tasse      27 dicembre 2019

www.fiscoetasse.com/blog/congedo-di-maternita-le-regole-in-vigore

           

Il lavoratore intermittente e maternità

Il lavoratore intermittente (o a chiamata) non deve essere discriminato nei confronti del lavoratore subordinato standard e ha, quindi, diritto alle stesse protezioni se ne ricorrono i presupposti.

Hai firmato un contratto di lavoro intermittente? Ti chiedi quali tutele ti spettano nel caso in cui dovessi restare incinta? Il lavoro intermittente è, senza alcun dubbio, la forma più flessibile di contratto di lavoro presente nel nostro ordinamento e dà al datore di lavoro la possibilità di chiamare a lavorare una risorsa solo quando strettamente necessario, pagandola solo quando lavora. Tuttavia, il lavoratore intermittente ha comunque, almeno nei periodi di lavoro, gli stessi diritti e le stesse tutele di un lavoratore subordinato standard.

            Per quanto concerne il rapporto tra lavoro intermittente e maternità, come vedremo, anche i lavoratori a chiamata possono avere diritto alle erogazioni economiche previste per le lavoratrici in maternità se ricorrono una serie di requisiti. In particolare, occorre distinguere i casi in cui la maternità si verifica quando il lavoratore sta lavorando dai casi in cui tale evento si verifica nei periodi di mera disponibilità alle chiamate. Ma andiamo con ordine.

            Lavoro intermittente: cos’è? Nel nostro ordinamento, ci sono diverse tipologie contrattuali che possono essere utilizzate per contrattualizzare un rapporto di lavoro e rispondere alle esigenze di manodopera delle imprese. La forma tradizionale è il contratto di lavoro subordinato standard. Tuttavia, come noto, questa forma contrattuale viene considerata da molti eccessivamente rigida e regolamentata e, spesso, inadatta a rispondere ad esigenze discontinue e mutevoli di manodopera.

            Per questo, tra le altre forme di contratto utilizzabili, troviamo il contratto di lavoro intermittente, ossia, il contratto, anche a tempo determinato, mediante il quale un lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro che ne può utilizzare la prestazione lavorativa in modo discontinuo o intermittente [Art. 13 D. Lgs. 81, 15 giugno 2015].                                         www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2015/06/24/15G00095/sg

Il contratto di lavoro intermittente, noto anche come contratto a chiamata o job on call, è la risposta ideale alle aziende che hanno bisogno di manodopera in periodi circoscritti nel tempo per gestire picchi stagionali dell’attività, promozioni, flussi turistici, etc. Infatti, come emerge sin dalla sua definizione, con il contratto di lavoro intermittente il lavoratore non inizia a lavorare in modo stabile nel tempo, ma si mette semplicemente a disposizione del datore di lavoro per eventuali chiamate future.

Contratto a chiamata: quando può essere stipulato? Il principale limite di questa tipologia contrattuale è che non la si può usare sempre e comunque, al pari di un qualsivoglia contratto di lavoro, ma solo se ricorrono determinate ipotesi fissate dalla legge o dalla contrattazione collettiva.

            In particolare, il lavoro a chiamata è utilizzabile sempre se ricorre la cosiddetta ipotesi soggettiva, ossia, il lavoratore intermittente ha meno di 24 anni di età, purché le prestazioni lavorative siano svolte entro il venticinquesimo anno, oppure più di 55 anni. In alternativa, se non ricorre il requisito anagrafico, il lavoro a chiamata è stipulabile solo se ricorrono le ipotesi di utilizzazione previste dai contratti collettivi (nazionali, territoriali o aziendali) oppure le ipotesi oggettive previste nella tabella sulle occupazioni discontinue allegata ad un Regio Decreto del 1923 [R. D. n. 2657, 6 dicembre 1923].

www.altalex.com/documents/news/2004/11/09/tabella-delle-occupazioni-che-richiedono-un-lavoro-discontinuo-o-di-attesa

In questa tabella, sono elencate una serie di occupazioni di natura spiccatamente stagionale e ciclica. Al di fuori dell’ipotesi soggettiva e delle ipotesi oggettive, sia di fonte legale che contrattuale, non è possibile stipulare contratti di lavoro intermittente.

            Inoltre, esiste anche un vincolo all’utilizzo del lavoratore a chiamata. La legge prevede, infatti, che, fatta eccezione per i settori del turismo, dei pubblici esercizi e dello spettacolo, il contratto di lavoro intermittente è ammesso, per ciascun lavoratore con il medesimo datore di lavoro, per un periodo complessivamente non superiore a quattrocento giornate di effettivo lavoro nell’arco di tre anni solari. In caso di superamento del predetto periodo, il relativo rapporto si trasforma in un rapporto di lavoro a tempo pieno e indeterminato.

Contratto a chiamata: quando è vietato? In alcuni casi, il lavoro a chiamata è del tutto vietato. Preliminarmente, è bene chiarire che solo la legge può prevedere delle ipotesi di divieto del lavoro a chiamata. Viceversa, i contratti collettivi di lavoro possono prevedere, come abbiamo visto, delle ipotesi oggettive di ricorso al lavoro intermittente, ma non possono disporre un divieto di utilizzo di questa tipologia contrattuale. E’ quanto stabilito, di recente dalla Cassazione [Cass. Sent. n. 29423, 13.11.2019].

www.lavorosi.it/rapporti-di-lavoro/tipologie-contrattuali/cassazione-condizioni-di-legittimita-del-contratto-di-lavoro-intermittente

www.lavorosi.it/fileadmin/user_upload/GIURISPRUDENZA_2019/Cass.-sent.-n.-29423-2019.pdf

Tornando ai divieti di legge, il ricorso al lavoro intermittente è vietato:

  • Per la sostituzione di lavoratori che esercitano il diritto di sciopero;
  • Presso unità produttive nelle quali si è proceduto, entro i sei mesi precedenti, a licenziamenti collettivi che hanno riguardato lavoratori adibiti alle stesse mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro intermittente, ovvero presso unità produttive nelle quali sono operanti una sospensione del lavoro o una riduzione dell’orario in regime di cassa integrazione guadagni, che interessano lavoratori adibiti alle mansioni cui si riferisce il contratto di lavoro intermittente;
  • Ai datori di lavoro che non hanno effettuato la valutazione dei rischi in applicazione della normativa di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori.

Lavoro intermittente: le tipologie. Nelle ipotesi ammesse dalla legge e al di fuori dei divieti che abbiamo visto, il lavoro intermittente può essere attivato con due distinte tipologie:

  1. Lavoro a chiamata con obbligo di rispondere alla chiamata: in questo caso il lavoratore si obbliga, in caso di chiamata da parte del datore di lavoro, a rispondere alla chiamata. Si tratta di una forma di lavoro intermittente molto vincolante per il lavoratore e questo vincolo deve essere remunerato con la cosiddetta indennità di disponibilità. Questa indennità, corrisposta mensilmente e divisibile in quote orarie, compensa il lavoratore per l’obbligo di risposta che si è assunto e il suo ammontare deve essere determinato dai Ccnl. In mancanza, in ogni caso, tale indennità non può essere inferiore al 20% della retribuzione minima prevista dal Ccnl di settore per lavoratori di pari livello e di pari mansioni. In questa prima ipotesi il lavoratore a chiamata percepisce l’indennità di disponibilità per i periodi di non lavoro e la normale paga per i periodi di chiamata;
  2. Lavoro a chiamata senza obbligo di rispondere alla chiamata: in alternativa, il contratto di lavoro intermittente può essere stipulato senza obbligo di rispondere alla chiamata. In tal caso, il lavoratore è disponibile a ricevere le chiamate del datore di lavoro ma non si obbliga a rispondere alla chiamata. Ne consegue che, nei periodi di non chiamata, il lavoratore intermittente non matura alcun trattamento economico e normativo e non produrre quindi alcun costo per il datore di lavoro.

Nella prima tipologia, l’obbligo di risposta alla chiamata fa sorgere anche altri obblighi correlati in capo al dipendente. In particolare, considerando che in questa tipologia il datore di lavoro si aspetta una risposta affermativa alla chiamata, il lavoratore è tenuto a informare tempestivamente il datore di lavoro in caso di malattia o di altro evento che gli renda temporaneamente impossibile rispondere alla chiamata.

Il lavoratore deve specificare la durata dell’impedimento, durante il quale non matura il diritto all’indennità di disponibilità. Se non provvede a tale comunicazione, il lavoratore perde il diritto all’indennità per un periodo di quindici giorni, salvo diversa previsione del contratto individuale.

            Inoltre, Il rifiuto ingiustificato di rispondere alla chiamata può costituire motivo di licenziamento e comportare la restituzione della quota di indennità di disponibilità riferita al periodo successivo al rifiuto.

Lavoro intermittente e maternità. Il lavoratore a chiamata ha, in punto di principio, gli stessi diritti del lavoratore subordinato standard. Infatti, la legge afferma che il lavoratore intermittente non deve ricevere, per i periodi lavorati e a parità di mansioni svolte, un trattamento economico e normativo complessivamente meno favorevole rispetto al lavoratore di pari livello. Ovviamente, vista la natura a singhiozzo del rapporto, il trattamento economico, normativo e previdenziale del lavoratore intermittente è riproporzionato in ragione della prestazione lavorativa effettivamente eseguita, in particolare per quanto riguarda l’importo della retribuzione globale e delle singole componenti di essa, nonché delle ferie e dei trattamenti per malattia e infortunio, congedo di maternità e parentale.

Spetta la maternità al lavoratore intermittente? Come abbiamo visto, nel lavoro a chiamata si alternano periodi di lavoro effettivo e periodi di mera disponibilità alla chiamata. Questo andamento a singhiozzo produce effetti anche con riferimento al trattamento della maternità. Infatti, i periodi di mera disponibilità sono considerati come dei periodi di non lavoro a tutti gli effetti.

            In particolare, con riferimento al congedo di maternità, l’indennità è corrisposta per tutta la durata dell’evento, purché lo stesso abbia inizio durante la fase di svolgimento dell’attività (e, dunque, durante una chiamata), oppure entro 60 giorni dall’ultimo lavorato.

            Per quanto concerne, invece, il congedo parentale, ossia quella che viene definita maternità facoltativa o aspettativa, l’Inps ha precisato che valgono le disposizioni previste per il part time verticale, vale a dire che vanno indennizzate, nella misura del 30% della retribuzione senza riproporzionamenti che la lavoratrice/lavoratore percepirebbe qualora non si astenesse dal lavoro, soltanto le giornate di previsto svolgimento dell’attività lavorativa, nelle quali vanno ricomprese le festività cadenti nel periodo di congedo parentale richiesto.

La legge per tutti                    25 dicembre 2019

https://www.laleggepertutti.it/346368_lavoro-intermittente-e-maternita

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

SINODO PANAMAZZONICO

Ministeri femminili: prospettive post-Sinodo

Nel 1959, tra le migliaia di suggerimenti che arrivavano a Roma in preparazione al Concilio Vaticano II, pervenne una proposta formulata da un vescovo dell’Amazzonia: mons. León de Uriarte Bengoa, dal vicariato apostolico di San Ramon in Perú, chiedeva di ordinare «homines diaconi et etiam diaconissæ» e motivava la sua petizione con il necessario servizio di predicazione della Parola di Dio e di amministrazione della sacra comunione. Sessanta anni dopo quella prima richiesta, nella fase preparatoria del sinodo per l’Amazzonia e successivamente nell’aula sinodale, è risuonata un’analoga proposta, ora motivata da una riconosciuta leadership femminile esercitata da centinaia di donne in tutto il territorio amazzonico e sostenuta dalla mole di studi di storia, liturgia, teologia sistematica pubblicati nel post-concilio sull’ordinazione delle diacone.

La vita delle comunità cristiane dell’Amazzonia, tanto nella foresta, nel contesto rurale o urbano, è contrassegnata dal contributo delle donne, religiose e laiche: sono migliaia le operatrici pastorali, catechiste, responsabili di servizi di assistenza e carità, animatrici di celebrazioni liturgiche in assenza di presbitero; sono moltissime le donne incaricate dai loro vescovi di coordinare la vita pastorale (a volte di molte decine di comunità su territori vastissimi), che battezzano, sono vicine ai morenti, guidano la vita liturgica e garantiscono la formazione cristiana, laddove i vescovi e i presbiteri solo molto raramente possono farsi presenti. Le voci di queste donne sono state raccolte nella fase di ascolto presinodale; le loro esperienze sono state narrate nell’aula sinodale e nelle conferenze stampa, che hanno permesso alla chiesa intera e all’opinione pubblica di conoscere questo apporto significativo e singolare, di cui è intessuta la vita pastorale della chiesa in Amazzonia.

            Davanti a questo “dato di realtà”, nell’orizzonte di una ricerca coraggiosa per nuovi cammini di una chiesa che si sa interpellata a una riforma anche strutturale, che non può prescindere da un interrogativo sulle forme di ministerialità, il Documento preparatorio (n. 14) e l’Instrumentum laboris (n. 129) chiedevano di individuare le forme di un “ministero ufficiale” delle donne. I padri sinodali hanno risposto a questo interrogativo secondo due direttrici. In primo luogo, hanno chiesto che le donne possano accedere ai ministeri istituiti del lettorato e dell’accolitato, riservati ai soli maschi dal motu proprio Ministeria quædam di Paolo VI (1972) e dal can. 230, §1 del Codice di Diritto Canonico (1983), e hanno contestualmente suggerito la creazione di un nuovo ministero istituito di “dirigente di comunità” (Documento finale, 102). Si tratta di ministeri laicali, radicati sui sacramenti di iniziazione cristiana, da viversi in una stretta correlazione tra momenti liturgici e attività pastorale: riconoscere, con il Rito di Istituzione, il carisma presente e il servizio continuativo esercitato da donne è espressione di quella eguaglianza in soggettualità e responsabilità battesimale indicata da san Paolo nella Lettera ai Galati 3,28-30 («…non c’è maschio e femmina, tutti voi siete uno in Cristo Gesù») e realizzazione di quella ministerialità plurale anche femminile attestata in Rom 16.

In secondo luogo, molti vescovi, uditori e uditrici, esperti hanno auspicato l’ordinazione di donne diacono; sei circuli minores hanno sostenuto questa richiesta o hanno sollecitato la ripresa dello studio sulla questione, come poi indicato nel Documento finale (n. 103). Papa Francesco, nel suo discorso conclusivo, ha prospettato una ripresa dei lavori della “Commissione di studio sul diaconato delle donne”, da lui stesso creata nel 2016, con l’inserimento di nuovi membri e con un riferimento all’esperienza della chiesa panamazzonica.

Su quali ragioni teologiche e in quale prospettiva pensare all’ordinazione di diacone per l’Amazzonia? Molti dei servizi che le donne coordinatrici e responsabili pastorali esercitano in modo continuativo e competente rispecchiano quelle attività indicate come vere diaconales [propriamente diaconali] nel decreto conciliare Ad gentes al n. 16, un testo che motivò, con Lumen gentium 29, la restituzione del diaconato maschile come grado autonomo e permanente: con la grazia sacramentale dell’ordinazione, queste donne potrebbero contribuire a nuovo titolo all’edificazione della comunità cristiana, nell’annuncio della fede apostolica, come ministri ordinari del battesimo, nell’animazione liturgica, in diretta risposta alle esigenze di evangelizzazione e cura pastorale presenti in Amazzonia.

Il diaconato è un “ministero ordinato non sacerdotale”, secondo quanto affermato in Lumen gentium 29: non ci sarebbe quindi impedimento rispetto a quanto autorevolmente affermato nella Ordinatio sacerdotalis di Giovanni Paolo II (n. 4). Si tratterebbe di una “figura ministeriale nuova”, ma radicata su una tradizione antica: sia biblica (Rm 16,1-2; 1Tim 3,11), che dei primi secoli della storia della chiesa, nella logica di servizio ministeriale indicata da antichi testi liturgici di ordinazione delle diaconesse (cf. Eucologio Barberini [libro liturgico bizantino, VIII secolo]).

            La salus animarum e il bonum ecclesiæ, nella custodia dell’apostolicità della fede, hanno sempre orientato i molteplici cambiamenti — motivati da nuovi bisogni pastorali e da trasformazioni sul piano sociale e culturale — che nel corso della storia hanno segnato le figure ministeriali, l’esercizio del ministero ordinato, la teologia dei ministeri. Nel quadro della visione del ministero ordinato consegnata dal concilio Vaticano II, la teologia sistematica è interpellata oggi per valutare la possibilità di ordinare donne diacono. Sessanta anni dopo il votum di mons. León de Uriarte Bengoa, ancora una volta dall’Amazzonia, la richiesta di donne diacono — come voce profetica? — raggiunge la chiesa intera e sollecita la teologia a “pensare in novità”.

 Serena Noceti, docente di Teologia sistematica – Istituto superiore di scienze religiose della Toscana

                                    L’Osservatore Romano          28 dicembre 2019                  

www.osservatoreromano.va/it/news/ministeri-femminili-prospettive-post-sinodo

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

TEOLOGIA

Gesù è stato un ebreo laico senza alcuna formazione rabbinica

Gesù proviene da una religione incentrata sul culto sacrificale, sul sacerdozio del tempio, sulla legge religiosa e sulle sacre Scritture. La profezia, il sacerdozio cultuale ed i rabbini rappresentavano gli organismi decisivi del giudaismo, insieme al sinedrio ed all’autorità patriarcale. I profeti sono stati i grandi rinnovatori della vita di Israele e hanno conservato la speranza di un messia. L’era messianica è stata la versione ebraica dell’attesa universale di una società più fraterna, più giusta e senza male. Questa speranza ha offerto un progetto di vita ed è stata fondamentale per preservare l’identità giudaica quando persero la loro terra e si dispersero nell’impero.

Gesù è stato un laico ebreo senza alcuna formazione rabbinica, che ha cambiato il modo di comprendere la Scrittura e la legge religiosa. Con lui è sorto un altro progetto di salvezza, che ha incentrato la religione sulle aspirazioni umane e l’ha tolta dall’ambito religioso. Non era più la religione del tempio, ma un modo di vivere, legato all’etica, incentrato sulla vita profana e segnato dall’urgenza della signoria di Dio in Israele. Iniziò un processo di desacralizzazione e il centro di gravità del tempio, del culto e del sacerdozio si spostò in favore di una vita donata agli altri, specialmente ai più vulnerabili. La reazione violenta della religione minacciata e del potere politico, ostile ad ogni messianismo, è stata la sua esecuzione. È stato quindi partecipe del destino dei profeti e di tutti coloro che hanno combattuto per cambiare la società e la religione ebraica.

Il cristianesimo è nato come una corrente all’interno del giudaismo, che aveva come protagonisti in maggioranza semplici persone del popolo, discepoli laici di Gesù. Inizialmente predicarono un messaggio in continuità con quello di Gesù, cercando la conversione del popolo ebraico. Ma l’annuncio della risurrezione generò un nuovo dinamismo universale e si posero le basi di un Dio trinitario, che riformavano le immagini divine dell’Antico Testamento. Il cristianesimo è nato dal ceppo ebraico e l’ha superato. La relativizzazione della legge religiosa, del culto e del tempio ha portato alla rottura finale con l’ebraismo e ad un nuovo modo di intendere il rapporto con Dio. Il binomio peccato-castigo, che permeava il culto e la legge religiosa, fu sostituito da una dinamica centrata sulla sofferenza umana, sul perdono dei peccati e sulla misericordia divina.

 Una vita sacrificata per gli altri, seguendo il modello di Gesù, un culto esistenziale e il passaggio dalla comunità dei discepoli alla Chiesa sono stati segni caratteristici del cristianesimo. Il cristianesimo si costituì come una comunità di persone, che vivevano la salvezza come un progetto di senso nel mondo e che erano distanti dalle dinamiche ascetiche e cultuali di Israele e di altri gruppi religiosi dell’Impero romano. Non rifiutarono l’eredità ebraica e romana, ma la trasformarono. Furono adottate strutture ed incarichi non religiosi del giudaismo (presbiteri o anziani) e dell’Impero romano (vescovi e diaconi). Poiché era una religione perseguitata, non potevano avere templi e sorsero le chiese domestiche. Il ministero (diaconi, presbiteri e tra questi il vescovo) non era solo una dignità ma una carica, poiché i capi furono i primi perseguitati dalle autorità. Vivevano nel seno delle comunità che li avevano scelti e come cittadini dell’Impero, sposati e con famiglie, con un lavoro profano e uno stile di vita laico.

Il loro modo di vivere e di intendere la relazione con Dio, il culto e le leggi religiose furono anche la causa dell’ostilità che incontrarono nell’Impero romano, come prima in Israele. Da questo ci si potrebbe aspettare un nuovo modo di vivere la religione. Quello di un gruppo centrato sulla comunità e sulla missione, i cui protagonisti erano tutti i cristiani e non solo i chierici. Particolarmente rilevanza ebbero le donne, la cui conversione trascinava l’intera famiglia e che protessero e finanziarono le nascenti chiese domestiche. La quinta colonna cristiana nell’Impero progressivamente lo andava impregnando e conquistò sempre più persone, nonostante l’ostilità dei primi tre secoli.

Paradossalmente il successo sociale e religioso è stato la causa di un progressivo allontanamento dal progetto di Gesù, e da quello della Chiesa primitiva. La crescente clericalizzazione, la perdita della comunità a favore dei ministri, la creazione di un culto rigiudaizzato e romanizzato segnarono il cristianesimo, sempre più vicino al modello religioso preponderante nell’Impero. La rivelazione di Dio da parte di Gesù fu modificata a favore dell’omologazione con il teismo dalle radici ebraiche e greco-romane. Il Gesù dei vangeli fu sostituito da una teologia centrata sulla sua filiazione divina e sul rendere compatibile la persona divina e umana. E lo Spirito Santo, che aveva ispirato la creazione di una comunità protagonista, con una pluralità di ministeri e di carismi, perse sempre più rilevanza a favore di una grazia trasmessa dai sacramenti e dall’obbedienza alla gerarchia.

Duemila anni dopo viviamo la sfida di ispirarci di nuovo a Gesù ed al cristianesimo primitivo. Il futuro sta nel tornare alle origini, nella creazione di comunità, nel protagonismo dei laici e nell’uguaglianza ecclesiale delle donne. A partire da questo sarà possibile affrontare la sfida che al cristianesimo pone una società secolarizzata e laicizzata, che ha sostituito la chiesa della cristianità. Bisogna recuperare l’alternativa cristiana alla religione e alla società, ma questo implica una radicale riforma della Chiesa e del cristianesimo, recuperando il Vaticano II e andando molto al di là. Forse la crisi attuale della Chiesa e delle vocazioni presbiterali e religiose può essere la base per una nuova tappa rinnovatrice. Recuperare la fede in Gesù, e nel suo progetto di vita sono esigenze intrinseche del cristianesimo. Non conosciamo Dio, ma nell’umanità di Gesù, abbiamo il riferimento per trovarlo (Gv 1,18) e vivere una vita significativa. E a partire da questo è possibile affrontare la nuova epoca secolare, nella quale la religione ha perso l’irradiazione sociale e la capacità di rispondere alle esigenze umane. Bisogna evangelizzare di nuovo le vecchie cristianità, oggi trasformate in società senza religione. __

Juan Antonio Estrada S. J.      “Religion Digital”www.religiondigital.org – 27 dicembre 2019

www.religiondigital.org/teologia_para_una_iglesia_en_salida/Juan-Antonio-Estrada-Jesus-formacion-judaismo-cristianismo-primitivo-laicado_0_2189781005.html

Traduzione a cura di Lorenzo Tommaselli

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201912/191231estrada.pdf

▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

Ricevi questa comunicazione in quanto sei presente nella mailing list di newsUCIPEM.

I suoi dati personali sono trattati per le finalità connesse alle attività di comunicazione di newsUCIPEM. I trattamenti sono effettuati manualmente e/o attraverso strumenti automatizzati.

I suoi dati non saranno diffusi a terzi e saranno trattati in modo da garantire sicurezza e riservatezza.

Il titolare dei trattamenti è Unione Consultori Italiani Prematrimoniali e Matrimoniali Onlus

Corso Diaz, 49 – 47100 Forlì                ucipemnazionale@gmail.com

Responsabile è il dr Giancarlo Marcone, via Alessandro Favero 3-10015-Ivrea     newsucipem@gmail.com

Condividi, se ti va!