UCIPEM Unione Consultori Italiani Prematrimoniali e Matrimoniali
NewsUCIPEM n. 784 – 15 dicembre 2019
Unione Consultori Italiani Prematrimoniali E Matrimoniali
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02 ADOZIONE Biologici o non? Esistono solo genitori veri
02 Il bianco e il nero. Due opposte visioni sull’essere genitori
03 Revoca dell’adozione: ultime sentenze
04 ADOZIONE INTERNAZIONALE Formazione. Non è sufficiente il percorso fatto con i servizi?
05 Adottati discriminati: il gruppo salva
05 AFFIDO CONDIVISO La Cassazione torna indietro di mezzo secolo!
08 CENTRO INTERN. STUDI FAMIGLIA Newsletter CISF – n. 46, 11 dicembre 2019
09 CHIESA CATTOLICA Online il nuovo sito della Congregazione delle Cause dei Santi
11 Stiamo assistendo con gioia e speranza a un doppio Sinodo
12 CITAZIONI Valore e senso del piacere
14 CONFERENZA EPISCOPALE ITAL. Francesco: 50 anni di sacerdozio. Gli auguri della Chiesa Italiana
15 CONSULTORI FAMILIARI La prima fotografia dell’Istituto Superiore di Sanità
16 Consultori pubblici? Insufficienti. Il ruolo del padre resta In ombra
17 CONSULTORI UCIPEM Cremona. L’Area giovani esplora i vissuti emotivi
18 Milano. La casa news n.3 dicembre 2019
18 DALLA NAVATA III Domenica di Avvento – Anno A – 15 dicembre 2019
18 Il mondo ha bisogno di credenti credibili
19 DIVORZIO Quali diritti si perdono con il divorzio
20 DONNE NELLA CHIESA L’ossessione x sottomissione femminile serve agli uomini, non a Dio
21 FRANCESCO VESCOVO DI ROMA Francesco è l’uomo del Vangelo intervista a Raffaele Nogaro
22 insegna a essere persone di contemplazione e di azione
23 GOVERNO Adozione internazionale: Enti autorizzati dal Ministro Bonetti
24 LUDOPATIE Nominati i membri dell’Osservatorio per il contrasto.
25 Il gioco d’azzardo patologico tra prospettive e realtà
27 MATERNITÀ Congedo, astensione dal lavoro dopo il parto: istruzioni INPS
29 MEDIAZIONE La mediazione al centro dell’attenzione
30 Ascoltare lasciando traccia
31 MINORI Ascolto minore nelle azioni di status: chiarimenti dalla Cassazione
31 NULLITÀ DEL MATRIMONIO Lui/lei non vuole figli: come annullare il matrimonio
34 PEDIATRIA Malattie rare: con goccia sangue screening salva 700 neonati l’anno
35 Per 96% neonati screening metabolico, nel 2012 era il 25%
36 PSICOLOGIA Intelligenza emotiva
37 SALUTE Benessere: rischi burnout in ufficio per 9 adulti su 10
37 SOCIOLOGIA Sta cambiando il vento
38 SINODO La difficile via dei ministeri femminili
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ADOZIONE
Biologici o non? Esistono solo genitori veri
La bella lettera scritta da un padre a Repubblica. “Non ci vuole coraggio per adottare un figlio”. Non esistono genitori di serie A e di serie B. Esistono solo veri genitori. Lo scrive in una bella lettera pubblicata da Concita De Gregorio su Repubblica, lo scorso 24 novembre 2019, un padre adottivo. “Un pomeriggio – scrive l’uomo – una compagna di classe di mio figlio, guardandomi dritto negli occhi mi ha detto: ‘Lo so! Tu non sei il vero padre di A: lo hai adottato’. Tempo prima, un caro amico, saputo che adottavo un bambino mi ha sussurrato: ‘Complimenti per il vostro coraggio’. La più insopportabile è però la signora medio-borghese che puntualmente recita: ‘Che bravi. Avete fatto una cosa meravigliosa’”.
“I luoghi comuni e le visioni distorte dell’adozione purtroppo – prosegue l’uomo –dilagano e sovente delegittimano, volontariamente o involontariamente, una genitorialità piena e dirompente come quella adottiva. Chi si sognerebbe di fare i complimenti a un genitore biologico per aver messo al mondo un figlio? O assimilerebbe un figlio biologico a un atto di beneficenza o di altruismo. L’adozione non è un’opera di beneficenza, né un atto di coraggio. È solo un modo diverso di diventare famiglia. È semplicemente un atto d’amore. E i genitori adottivi sono genitori e basta, senza aggettivi e mossi dalle stesse intenzioni dei genitori biologici. Ci sentiamo genitori ‘veri’ tutti i giorni, quando lottiamo con i compiti e le regole da rispettare; quando accogliamo le inquietudini che vengono da lontano. E ci sentivamo genitori ‘veri’ già mentre lo aspettavamo. E in quell’attesa sublime in cui non conoscevamo il suo volto e l’intensità del suo sguardo, che è iniziato il cammino per diventare il nostro figlio desiderato e amato più di ogni altra cosa. E in uno di questi luoghi dell’anima che è diventato nostro figlio e non per beneficenza o volontariato”.
“Non ci vuole coraggio per adottare un figlio– continua – ci vuole coraggio per aprirsi alla vita e da questa lasciarsi trovare e travolgere. Il resto io e Carmela lo impariamo dal coraggio di A, quando ci insegna a spingerci oltre ogni ostinata certezza, a vedere altro, a sentire altro. A chiudere gli occhi e ascoltarlo con il cuore. Perché ‘quando un uomo chiude gli occhi’, dice una fiaba indiana, ‘vede molto più di prima’. Credete ci possa essere esperienza più autentica e ‘vera’ di questa, a cui dedicare la vita? Credete che basti questo amore viscerale per essere considerati genitori ‘veri’? Noi pensiamo di sì. Perché al mondo, in qualunque modo ci si arrivi, esistono solo veri genitori e veri figli. E basta”.
AiBinews 10 dicembre 2019
www.aibi.it/ita/adozione-internazionale-biologici-o-non-esistono-solo-genitori-veri
Il bianco e il nero. Due opposte visioni sull’essere genitori
La realtà amara dell’utero in affitto e la gioia esplosiva della adozione. Le strade che conducono all’utero in affitto? Influiscono negativamente sulle adozioni, eccome. A dimostrarlo la scarsa presenza di coppie ai corsi di preparazione all’adozione internazionale tenute dai servizi sociali. Gli stessi assistenti sociali, quando ne parlano con i volontari di un Ente autorizzato come Ai.Bi. – Amici dei Bambini, fanno questa riflessione, perché spesso, rivelano nei colloqui con le coppie, esce l’argomento.
La realtà è amara: ormai l’adozione è rimasta non l’ultima ma l’ultimissima spiaggia delle coppie. Si pensi al contrasto tra queste due storie, entrambe vere: una parla di una coppia di ultra sessantenni da poco tempo tornati dall’Ucraina con un neonato nato da utero in affitto. L’altra esperienza, invece bellissima, è quella di una coppia che ha incontrato nell’est Europa una bambina grandicella con tantissime difficoltà sanitarie e ha fatto domanda di adozione, riuscendo nello scopo con il tempo. La bambina adesso in Italia e viene trattata dai genitori come una principessa e pur avendo una disabilità mentale anche piuttosto evidente, grazie anche alla disponibilità economiche della coppia che le ha garantito le migliori cure, sta migliorando molto.
Questa storia dimostra cosa sia realmente l’adozione internazionale. Che è un atto di giustizia, non di egoismo. Un atto di amore per il proprio figlio. Non per se stessi.
AiBinews 15 dicembre 2019
www.aibi.it/ita/il-bianco-e-il-nero-due-opposte-visioni-sullessere-genitori
Revoca dell’adozione: ultime sentenze
- 1. Minore età dell’adottando. In tema di adozione in casi particolari, l’art. 47, primo comma, della legge 4 maggio 1983, n. 184, stabilisce che l’adozione produce effetto dalla data della sentenza che la pronuncia, sicchè è a quella data che deve permanere il requisito della minore età dell’adottando, dovendosi escludere che il sopraggiungere della maggiore età nei successivi gradi di giudizio possa comportare la revoca dell’adozione. Cassazione civile sez. I, 15/07/2014, n.16174
- Minore adottato allontanato dal nucleo familiare e revoca dell’adozione. Il provvedimento del Tribunale dei minorenni di allontanamento dalla casa familiare e di collocamento in casa famiglia del minore adottato, ancorché accompagnato dalla sospensione della potestà genitoriale, non fa venir meno l’obbligo dei genitori adottivi di provvedere al mantenimento del minore medesimo, nella specie consistente nella retta da pagare alla struttura di accoglienza, trattandosi di un obbligo collegato esclusivamente al perdurare dello status di figlio legittimo e non alla permanenza del minore presso il nucleo familiare, status che cessa esclusivamente con la revoca dell’adozione.
Cassazione civile sez. I, 08/11/2010, n.22678
- 3. Revoca dell’adottabilità del minore. Ai sensi dell’art. 5, comma 1, l. n. 184/1983, come modificato dall’art. 2, comma 1, l. n. 173/2015, deve dichiararsi la nullità del giudizio di appello conclusosi con la revoca dell’adottabilità del minore, non essendo sufficiente l’audizione degli affidatari in primo grado senza alcuna giustificazione dell’omessa reiterazione della loro convocazione nel grado di appello. Corte di Cassazione civile sez. I, 07/06/2017, n. 14167
- 4. Ruolo primario del genitore adottivo. L’adozione, ai sensi dell’art. 44 lett. b) l. n. 184/1983, di un minore da parte del coniuge del genitore naturale che eserciti la potestà parentale sul figlio stesso con lui convivente, non richiede l’assenso dell’altro genitore biologico non convivente e non esercitante la potestà, ed il cui rifiuto dell’assenso dell’adozione non è per ciò di ostacolo a quest’ultima allorché essa risponda all’interesse del figlio. Anche in tal caso, però, l’adozione non ha carattere sanzionatorio per il genitore che rifiuti l’assenso, per cui la compressione potenzialmente definitiva della potestà genitoriale (suscettibile di cessare solo in caso di revoca dell’adozione) si giustifica non in ragione di un comportamento, commissivo od omissivo, pregiudizievole al figlio, ma in considerazione del diritto di questi a realizzare un vero e proprio rapporto parentale con il genitore adottivo, in quanto questi viene giudicato la persona più adatta – per attitudini educative, situazione personale ed economica, ambiente familiare, posizione sociale, aspirazioni del minore, e così via – a svolgere il ruolo genitoriale, che, tuttavia, non comporta il venir meno dei legami affettivi tra il minore ed il genitore biologico non convivente, né esclude il mantenimento di reciproci rapporti, che devono però avvenire in modo non conflittuale, sì da non porre in discussione e rendere infecondo il ruolo primario del genitore adottivo. Corte appello Torino, 03/12/1994
- 5. Adozione di minori in stato di abbandono e revoca del decreto di adottabilità. In tema di adozione di minori in stato di abbandono, il provvedimento di affidamento preadottivo, ancorché disposto successivamente alla proposizione dell’istanza di revoca del decreto di adottabilità, impedisce l’accoglimento dell’istanza sopraindicata, dal momento che la sua proposizione non produce alcun effetto sospensivo dell’efficacia del decreto di adottabilità, essendo necessario a tale ultimo fine l’accoglimento della predetta istanza, operante con effetto ex nunc, all’esito dell’accertamento dell’effettiva sopravvenienza dei fatti allegati, idonei a superare le condizioni di cui all’art. 8 della legge 4 maggio 1984, n. 183. Corte di Cassazione civile, 12/10/2018, n. 25408
- Condotta delittuosa del minore. Qualora la revoca dell’adozione in casi particolari venga domandata allegando una condotta delittuosa del minore in danno del genitore adottivo (nella specie, tentato omicidio), il procedimento non va sospeso in attesa dell’accertamento e della qualificazione del fatto in sede penale. Tribunale minorenni Vicenza, 05/02/1992
- Revoca dell’adozione ordinaria: quali sono le cause? I fatti di violenza previsti dall’art. 306 c.c. quale causa di revoca dell’adozione ordinaria sono solo quelli che si traducono in un attentato alla vita dell’adottante (oltre che dei suoi discendenti o ascendenti) od in reati punibili con la pena della reclusione non inferiore, nel minimo, ad anni tre; ne consegue che non rileva, ai fini dell’art. 306 c.c., l’aver tentato di arrecare all’adottante lesioni gravissime ritenuto che, a causa della diminuzione fino ai due terzi della pena, prevista dall’art. 56 c.p. per il delitto tentato, nell’ipotesi del delitto punito dall’art. 583 c.p. la pena minima di sei anni prevista per tale reato scende ad anni due di reclusione e non concreta perciò l’ipotesi di indegnità di cui all’art. 306 cit.
Cassazione civile sez. I, 06/08/1991, n.8575
- 8. Revoca dell’adozione in casi particolari. La norma contenuta nell’art. 53 della legge n. 184 del 1983, che, in caso di violazione dei doveri incombenti sugli adottanti, legittima la revoca dell’adozione in casi particolari, si ricollega alla formula contenuta nell’art. 330 c.c., quale parametro di valutazione per la pronuncia di decadenza della potestà parentale, sì da attribuire al tribunale minorile, su istanza del p.m., il potere di tutelare, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 330 e ss. c.c., il minore da situazioni sopravvenute gravemente pregiudizievoli per i suoi interessi. Tribunale minorenni Torino, 03/12/1987
- 9. Scarsa attitudine al ruolo genitoriale e revoca dell’adozione. Va revocata ai sensi dell’art. 54 della legge n. 184 del 1983, l’adozione ordinaria, pur pronunciata prima dell’entrata in vigore della citata legge, nell’ipotesi in cui gli adottanti non abbiano dato prova di esercitare correttamente e con risultati proficui per il minore i doveri ed i compiti nascenti dal ruolo genitoriale (nella specie, l’adozione riguardava due sorelline, nei confronti di una delle quali gli adottanti avevano manifestato un marcato rifiuto, sollecitandone l’internamento in Istituto e dimostrando anche in tal modo una così scarsa attitudine al ruolo genitoriale, da determinare la revoca dell’adozione per entrambe le minori). Tribunale minorenni Palermo, 03/04/1984
- Revoca dell’adozione per ragioni di buon costume. La “ratio” dell’art. 308 c.c., il quale legittima il P.M. a promuovere la revoca dell’adozione per ragioni di buon costume, si individua nell’esigenza di evitare che il rapporto adottivo possa attuarsi in maniera non consona alle finalità che ad esso sono proprie: i fatti in contrasto con il buon costume di cui all’art. 308 c.c. non devono pertanto necessariamente concernere la sfera sessuale, ma possono consistere in una condotta tale da impedire o rendere oltremodo difficile che il rapporto adottivo si costituisca e si attui in conformità al suo contenuto tipico, caratterizzato da vincoli morali e spirituali d’ordine oblativo, assimilabili a quelli derivanti dalla filiazione di sangue (nella specie, l’adottante aveva abusato dei mezzi di correzione in danno dell’adottato, trascurando altresì d’assisterlo e continuando l’istituzionalizzazione già sofferta dal minore). Tribunale minorenni Perugia, 10/06/1977
La Legge per tutti 12 dicembre 2019
www.laleggepertutti.it/338896_revoca-delladozione-ultime-sentenze
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ADOZIONE INTERNAZIONALE
Formazione adozione internazionale. Non è sufficiente il percorso fatto con i servizi?
Buongiorno, ho quasi finito i colloqui con i Servizi (sociali pubblici), mi manca poi il passaggio presso il Tribunale Minorenni per avere l’idoneità. Nel frattempo sto contattando alcuni Enti per capire a chi conferire l’incarico. Mi sono rivolta a voi perché siete tra gli enti “papabili”; mi hanno però informato che, prima di dare conferimento, è obbligatorio un corso di formazione. Come mai? Non è sufficiente il percorso fatto con i Servizi?
Siamo consapevoli del fatto che i Servizi, chi più chi meno, vi sottopongono a diversi colloqui in cui vengono affrontate tematiche che riguardano la vita passata e presente di ciascuno di voi, la vita di coppia e alcune volte (non sempre) il progetto adottivo. Sono tutti temi importanti ma non sufficienti per una seria preparazione del progetto adottivo.
Il nostro corso di formazione pone al centro il minore: è necessario che ogni coppia incominci a pensarsi padre e madre di quel bambino ancora prima di incontrarlo. E’ fondamentale cercare di capire chi è questo bambino e mettersi nei suoi panni. E’ lui che ha bisogno di una mamma e di un papà che lo amino per quello che è: una persona con il suo pezzo di vita che entrerà a far parte della famiglia, un figlio che va accolto ed amato.
Il corso di formazione permette finalmente di parlare del futuro figlio: un bambino con i suoi timori, paure, ansie, reazioni e sogni. [Da quale Stato proviene, quale lingua parla, qual è la sua scolarità, a quale religione è fedele].
Basta pensare solo a noi adulti: occorre mettere da parte le nostre esigenze per aprirsi alle esigenze di “un altro”. Se ci fossero altri punti da chiarire, siamo qui.
Irene Bertuzzi Adozioni Internazionali Ai.Bi. AiBinews 13 dicembre 2019
https://www.aibi.it/ita/formazione-adozione-internazionale-non-e-sufficiente-il-percorso-fatto-con-i-servizi
Adottati discriminati: il gruppo salva
Per gli adottati esiste il rischio di essere vittima di discriminazione etnica, ma il gruppo degli amici si rivela un fattore decisivo per il loro benessere. L’accompagnamento dei genitori è importante ma occorre che la società più in generale, a cominciare dalla scuola, adotti l’adottato. Emergono interessanti linee di intervento dall’innovativa ricerca (Ferrari et al., 2017) realizzata dal Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia Università Cattolica del Sacro Cuore, a proposito della discriminazione etnica degli adottati, un aspetto raramente esplorato, sia in ambito internazionale che nel contesto italiano, a fronte, al contrario, di numerosi studi sul medesimo tema legato agli immigrati.
È importante ricordare che la maggior parte delle adozioni internazionali sono transrazziali in Italia (che è il secondo Paese al mondo e il primo in Europa per adozioni realizzate con numeri consistenti: 49.435 dal 2001 al 2016). Questa realtà riguarda molti ragazzi che oggi sono adolescenti e giovani adulti etnicamente diversi dagli altri membri della famiglia, una differenza che nella maggior parte dei casi rende lo status adottivo “visibile” dentro e fuori casa e sollecita non di rado domande e commenti inappropriati da parte degli estranei. La ricerca, che ha coinvolto 91 immigrati e 119 adottati di origine latinoamericana tra i 15 e i 24 anni, ha mostrato che, benché in misura minore rispetto agli immigrati, la discriminazione etnica è un fenomeno che riguarda anche la popolazione adottiva, un fattore di rischio associato a più bassi livelli di autostima.
A livello internazionale le ricerche hanno messo in evidenza un’associazione tra la percezione di discriminazione e l’adattamento psicosociale dell’adottato, sottolineando che alti livelli di discriminazione influenzano negativamente e sono negativamente associati a bassi livelli di riuscita scolastica e adattamento al contesto scolastico (Seol et al., 2016), alti livelli di problemi emotivo comportamentali, droga e abuso di alcool (Lee et al., 2015), depressione (Arnold et al., 2016), di stress e problemi del sonno (Koskinen et al., 2015).
La ricerca del Centro ha fatto un passo in più spostandosi dalla focalizzazione sugli effetti negativi della discriminazione etnica, a cui si è interessata la maggior parte delle ricerche relative al tema, sul livello di benessere dei soggetti che ne sono vittima e sui fattori protettivi che permettono ai soggetti di far fronte a tali conseguenze negative. Fattori che possono essere individuali e sociali. Per quanto riguarda i fattori individuali, il citato studio di Ferrari e colleghi (2017) ha evidenziato come dare valore alle proprie origini e al background [ambiente di provenienza] del Paese dove l’adottato è nato e riconoscere gli aspetti positivi di tale appartenenza, si rivela un aspetto fondamentale per permettergli di far fronte alle conseguenze negative che la discriminazione può avere per il suo benessere psicologico.
Tra i fattori protettivi sociali, invece, si rivela un fattore di cruciale importanza la relazione con i pari, che nella letteratura sulle minoranze etniche, è risultata essere un fattore protettivo rispetto agli effetti negativi della discriminazione etnica per il benessere del soggetto, poiché riduce l’impatto negativo sull’autostima e sull’adattamento psicosociale (Brody et al 2006; Juang et al., 2016).
Anche nello studio condotto dal Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia è stato verificato che il riconoscimento e la valorizzazione della differenza etnica da parte degli amici può essere un fattore protettivo, che argina gli effetti negativi della discriminazione. La ricerca evidenzia, infatti, come il percorso adottivo sia intessuto nel sociale e il sociale (amici, pari e altri adulti) si riveli di grande importanza per l’adottato perché può contribuire o meno al successo o al fallimento dell’adozione stessa.
L’adozione, dunque, non va considerata un’azione privata, che riguarda solo genitori e figli, ma è per sua natura un’azione sociale. Lavorare con i genitori è importante perché, nonostante non possano direttamente proteggerlo da queste difficoltà, sono i primi che possono preparare il figlio a farvi fronte in modo efficace. D’altra parte però diventa di grande importanza nel post adozione lavorare su più fronti aprendo piste di intervento anche nei contesti in cui i ragazzi sono inseriti. A cominciare dalle scuole, le altre agenzie educative, i media. Per diffondere una cultura che assuma l’adozione come impresa sociale.
Renata Maderna Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia Newsletter n.11|dicembre 2019
https://centridiateneo.unicatt.it/famiglia-ricerca-adottati-discriminati-il-gruppo-salva
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AFFIDO CONDIVISO
La Cassazione torna indietro di mezzo secolo!
Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, ordinanza n. 28244, 4 novembre 2019
www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_36656_3.pdf
Di recente il Sommo Pontefice è intervenuto severamente per censurare la tendenza di una parte della magistratura ad avvalersi di “una giurisprudenza, che si autodefinisce “creativa”, che “si inventa un diritto privo di qualsiasi fondamento giuridico”. In effetti, tuttavia, per la giurisprudenza detta creativa può definirsi un campo di esistenza, di tipo anticipatorio, che attiene ad aspetti che il diritto non ha ancora trattato. Minori motivi di giustificazione trovano, invece, quegli interventi, ancora più sorprendenti, che non trovano fondamento nelle norme in vigore, pur esistenti, e che anziché in avanti volgono lo sguardo al passato; anche remoto. Sembra questo il caso dell’ordinanza n. 28244.
Nessuna perplessità, va chiarito subito, sulla conclusione operativa. Realmente sembrano sussistere abbondanti motivi per escludere quel padre dall’affidamento. Ma questi sono aspetti di merito, che interessano la Suprema Corte solo di riflesso. Il problema nasce proprio laddove il giudicante si spinge a teorizzare la propria decisione, dettando regole generali destinate a influire sugli orientamenti al primo e secondo livello. Il che suscita non lievi preoccupazioni.
Dalla bigenitorialità alla ricerca del “genitore più idoneo”. Si leggono, infatti, nell’ordinanza una serie di considerazioni che, per quanto abbiano l’apparenza del buonsenso, fanno immediatamente percepire un sapore di antico. Come spesso avviene, la Cassazione richiama se stessa e i propri precedenti, concludendo che “in materia di affidamento dei figli minori, il giudice della separazione e del divorzio deve attenersi al criterio fondamentale (…) rappresentato dall’esclusivo interesse morale e materiale della prole” (dove il taglio è della Cassazione). E fin qui, più o meno ci siamo, poiché si resta in un ambito così generico che può contenere di tutto. Purtroppo ciò che si intende viene precisato subito dopo: “privilegiando quel genitore che appaia il più idoneo a ridurre al massimo i danni derivati dalla disgregazione del nucleo familiare e ad assicurare il migliore sviluppo della personalità del minore.”
In altre parole, il minore non ha più il diritto indisponibile alla bigenitorialità, da ricercare prioritariamente salvo residuali eccezioni, ma il suo interesse si realizza attraverso un rapporto non equilibrato, ma particolarmente stretto con il genitore “più idoneo”. Appare, quindi, evidente la distanza epocale di un criterio del genere dalla filosofia di un affidamento che prevede che di regola i due genitori siano investiti degli stessi diritti e doveri, seguendo le chiarissime indicazioni dell’art. 30 della Costituzione. Un affidamento, in aggiunta, che ai sensi delle norme da tempo in vigore, prevede l’esclusione di un genitore – e quindi la discriminazione tra i due – solo se quel genitore sia, comprovatamente, di potenziale pregiudizio per i figli per sue gravi carenze (v. Cass. 16593/2008, secondo cui la scelta del regime di affidamento deve avere una “motivazione non più solo in positivo sulla idoneità del genitore affidatario, ma anche in negativo sulla inidoneità educativa del genitore che in tal modo si escluda dal pari esercizio della potestà genitoriale”.
Altro motivo di distinzione non esiste, così come non esistono – secondo le norme oggi in vigore – differenze operative, di ruolo, tra i genitori in regime condiviso. Giova precisare subito che proprio su questo aspetto – passaggio dalla ricerca del “genitore più idoneo” anche tra due entrambi idonei alla investitura giuridicamente paritetica di “entrambi i genitori”, salvo dimostrata pericolosità di uno dei due – ci si è a lungo confrontati nell’arco di ben 12 anni e 4 legislature, approdando alla scelta del modello attuale, per cui ripiegare sull’antico non costituisce un dettaglio, ma una violazione delle basi stesse del cambiamento del 2006 e della volontà del Parlamento.
I contenuti antichi del provvedimento di oggi. Insiste, infatti, Cass. 28244, che incrementa, proseguendo, la distanza concreta oltre che di principio dall’istituto introdotto nel 2006: “L’individuazione di tale genitore deve essere fatta sulla base di un giudizio prognostico circa la capacità del padre o della madre di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione di genitore singolo, giudizio che, ancorandosi ad elementi concreti, potrà fondarsi sulle modalità con cui il medesimo ha svolto in passato il proprio ruolo, con particolare riguardo alla sua capacità di relazione affettiva, di attenzione, di comprensione, di educazione, di disponibilità ad un assiduo rapporto, nonché sull’apprezzamento della personalità del genitore, delle sue consuetudini di vita e dell’ambiente che è in grado di offrire al minore.” Ovvero, addirittura a ben guardare il genitore è chiamato a rispondere in negativo sia di una sua eventuale precedente scarsa presenza materiale in famiglia (anche giustificatissima: pensiamo al camionista o alla assistente di volo), sorvolando sulla drastica discontinuità che la separazione introduce, per cui il più presente può diventare il meno presente e viceversa, sia del basso grado di benessere che potrà offrire al figlio, magari in conseguenza della penalizzazione economica frutto della medesima decisione del giudice. E così facendo in sostanza si capovolge l’onere della prova: anziché doversi dimostrare il potenziale pregiudizio che il figlio può subire da un genitore se affidatario è quel genitore che deve giustificarsi e fare promesse per il futuro.
In definitiva, alla configurazione, alla investitura di pari dignità prevista dalla riforma del 2006, con residuali situazioni di inapplicabilità dell’affidamento condiviso, la Suprema Corte contrappone la ricerca, sempre e comunque, di un genitore “più idoneo”, da “privilegiare”. Inevitabilmente a questo punto viene un dubbio: forse si stanno riproponendo i criteri antichi, seguiti al tempo in cui era soluzione ordinaria l’affidamento esclusivo.
Le prove del ritorno al passato. E se ne trova puntuale conferma risalendo alla versione completa del precedente citato – virgolettandolo – dall’ordinanza stessa, che già di per sé desta sospetto, essendo stato redatto in data 29 maggio 2006, ossia appena un mese circa dopo l’introduzione della legge 54, 8 febbraio 2006 www.camera.it/parlam/leggi/06054l.htm
(Cass. 14840/27 giugno 2006, rel. Bonomi, pres. Luccioli). Si rispondeva in tal caso all’istanza di un padre che chiedeva “l’affidamento esclusivo della figlia ovvero, in subordine, l’affidamento congiunto”, nei termini seguenti: “Questa Corte ha affermato che in materia di affidamento dei figli minori il giudice della separazione e del divorzio deve attenersi al criterio posto, per la separazione, dal legislatore della riforma del diritto di famiglia, nell’art. 155 comma primo cod. civ. … dell’esclusivo interesse morale e materiale della prole, privilegiando quel genitore che appaia il più idoneo a ridurre al massimo – nei limiti consentiti da un evento comunque traumatizzante – i danni derivati dalla disgregazione del nucleo familiare e ad assicurare il migliore sviluppo della personalità del minore in quel contesto di vita che risulti più adeguato a soddisfare le sue esigenze morali, materiali e psicologiche (Cass. 19 aprile 2002, n. 5714). ” Con il resto anch’esso identico a Cass. 28244/2019. Viene dunque qui riempita l’omissione della più recente ordinanza laddove si cita la fonte, aspetto quanto mai interessante per comprendere se si sia tenuto conto del mutamento legislativo del 2006 oppure lo si sia ignorato, e radicalmente. Fonte che a sua volta rimanda al 2002, permettendo di fugare il dubbio residuo che poteva rimanere grazie all’intervallo – sia pure brevissimo – tra il 16 marzo (entrata in vigore della L. 54/2006) e il 29 maggio 2006 (redazione di Cass. 14840), che poteva teoricamente consentire di identificare il “legislatore della riforma del diritto di famiglia” nella pronuncia a favore dell’affidamento condiviso.
Ulteriori e definitive prove. Dubbio rapidamente superato dall’ulteriore passo indietro, a Cass. civile sez. I – 19/04/2002 n. 5714 (dr Maria Gabriella Luccioli rel. Consigliere). La fattispecie riguardava un padre che censurava un precedente provvedimento “per aver disciplinato il suo diritto di visita nei fine settimana in termini contrastanti con l’interesse della minore ad un valido e continuativo rapporto con la figura paterna e tali da impedire, con l’esclusione di ogni possibilità di pernottamento, qualsiasi quotidianità, confidenza e familiarità tra padre e figlia”. Nel respingere la richiesta venivano utilizzati ancora le medesime, pressoché identiche, espressioni: “Come è noto, in materia di affidamento dei figli minori il giudice della separazione e del divorzio deve attenersi al criterio fondamentale – posto per la separazione dal legislatore della riforma del diritto di famiglia nell’art. 155 comma 1 c.c. … dell’esclusivo interesse morale e materiale della prole, privilegiando quel genitore che appaia il più idoneo a ridurre al massimo – nei limiti consentiti da una situazione comunque traumatizzante – i danni derivati dalla disgregazione del nucleo familiare e ad assicurare il migliore sviluppo possibile della personalità del minore, in quel contesto di vita che risulti più adeguato a soddisfare le sue esigenze materiali, morali e psicologiche (v. per tutte Cass. 1999 n. 6312; 1997 n. 10791) “. E’, quindi, indubbio, per la proprietà transitiva dell’uguaglianza, che il legislatore che ispira il giudicante del 2019 è lo stesso cui si riferisce quello del 2002, ovvero il redattore delle freschissime norme del 1975.
Mezzo secolo fa, con nel mezzo, tuttavia, una riforma definita “Rivoluzione copernicana”. Come nel Gattopardo: “Cambiare perché nulla cambi”.
Se, poi, la curiosità spingerà qualcuno a verificare i contenuti di Cass. 6312/1999 (rel. Luccioli) vi troverà ancora le fatidiche frasi: “È noto che in materia di affidamento dei figli minori il giudice della separazione e del divorzio deve attenersi al criterio fondamentale – posto per la separazione dal legislatore della riforma del diritto di famiglia nell’art. 155 comma 1 c.c. … dell’esclusivo interesse morale e materiale della prole, privilegiando quel genitore che appaia il più idoneo a ridurre al massimo – nei limiti consentiti da una situazione comunque traumatizzante – i danni derivati dalla disgregazione del nucleo familiare e ad assicurare il migliore sviluppo possibile della personalità del minore, in quel contesto di vita che risulti più adeguato a soddisfare le sue esigenze materiali, morali e psicologiche”.
Naturalmente, la notevole rilevanza dell’ordinanza in esame discende dalla sua perfetta aderenza a una prassi consolidata. Non si tratta di un distratto, isolato provvedimento, ma della involontaria ufficializzazione di ciò che sta nei contenuti di quella ancora prevalente giurisprudenza che in inizio si è detta “creativa” e della incontestabile dimostrazione della sua appartenenza ad altra cultura e ad altro secolo rispetto al nostro. Ad essa appartengono, ad es., la sistematica introduzione di un “genitore collocatario”, il permanere del “diritto di visita” e l’altrettanto dominante rifiuto del mantenimento diretto a favore dell’assegno.
Marino Maglietta Studio Cataldi 9 dicembre 2019
www.studiocataldi.it/articoli/36656-affido-condiviso-la-cassazione-torna-indietro-di-mezzo-secolo.asp
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CONSULTORI FAMILIARI
Consultori familiari, la prima fotografia dell’Istituto Superiore di Sanità
Dal concepimento fino alla nascita, per tutta l’adolescenza e anche nell’età adulta i consultori familiari tutelano la salute della donna e del bambino. Sono troppo pochi rispetto ai bisogni della popolazione ma offrono servizi essenziali con differenze nelle diverse aree del Paese. E’ questa la prima fotografia scattata dall’Istituto Superiore di Sanità grazie al progetto CCM “Analisi delle attività della rete dei consultori familiari per una rivalutazione del loro ruolo con riferimento anche alle problematiche relative all’endometriosi” finanziato e promosso dal Ministero della Salute e coordinato dal Reparto Salute della Donna e dell’Età Evolutiva dell’ISS i cui dati saranno diffusi domani 12 dicembre nell’ambito del convegno I Consultori Familiari a 40 anni dalla loro nascita tra passato, presente e futuro.
In base a questa prima indagine sui modelli organizzativi, le attività e le risorse, effettuata su 1.800 consultori italiani, è emerso che il loro numero sul territorio è quasi la metà in rapporto ai bisogni della popolazione. In Italia, infatti, vi è un consultorio ogni 35.000 abitanti sebbene la legge 34/31 gennaio 1996 all’ art. 3 ne preveda uno ogni 20.000. La differenza tra le regioni è così marcata che in sette il numero medio di abitanti per consultorio è superiore a 40.000.
[Nell’ambito, comunque, di tali finanziamenti è riservata una quota pari a lire 200 miliardi, da destinare alla costruzione, ristrutturazione o attivazione dei consultori familiari in ragione di una unità ogni ventimila abitanti e all’attivazione e sostegno di strutture che applicano le tecnologie appropriate previste dall’Organizzazione mondiale della sanità alla preparazione e alla assistenza al parto, al fine di assicurare la realizzazione in ogni distretto delle attività e degli obiettivi di sostegno alla famiglia ed alla coppia, di promozione e tutela della procreazione responsabile, di prevenzione dell’interruzione volontaria di gravidanza (IVG), nonché le finalità previste dal progetto-obiettivo materno-infantile del Piano sanitario nazionale 1994-1996 e quelle previste dalle azioni finalizzate e/o dai progetti dei piani sanitari regionali.]
http://www.edizionieuropee.it/LAW/HTML/64/zn98_01_027022.html
http://www.edizionieuropee.it/LAW/HTML/50/zn86_11_082.html
“I consultori risultano da questa prima analisi un servizio unico per la tutela della salute della donna, del bambino e degli adolescenti – afferma Laura Lauria dell’ISS, responsabile scientifico del progetto – nonostante la frequente indisponibilità di risorse dedicate e la carenza di organico, tutti i consultori svolgono un’insostituibile funzione di informazione a sostegno della prevenzione e della promozione della salute della donna e in età evolutiva. Accompagnano il percorso nascita seguendo le donne in gravidanza e nel dopo parto, offrono lo screening del tumore della cervice uterina e garantiscono supporto a coppie, famiglie e giovani, sebbene con diversità per area geografica suscettibili di miglioramento”.
Sono servizi prevalentemente dedicati alla salute materno infantile, le cui aree più consolidate di attività sono l’assistenza al percorso nascita e al percorso IVG e gli screening oncologici per i tumori femminili.
“Il ruolo dei consultori è stato e rimane strategico per il forte orientamento alla prevenzione e alla promozione della salute, la multidisciplinarietà dell’équipe professionale e l’approccio olistico alla salute. Nell’ambito della promozione della procreazione consapevole e responsabile, i consultori hanno contribuito a ridurre le Interruzioni Volontarie di Gravidanza nel Paese di oltre il 65% dal 1982 al 2017 – dice Serena Donati, Direttore del Reparto Salute della Donna e dell’Età Evolutiva – rimane critica l’offerta gratuita dei contraccettivi che è garantita dal 25% dei consultori e l’offerta di interventi di educazione all’affettività e di promozione delle salute nelle scuole che riguardano meno della metà dei servizi.”
L’indagine si è svolta su tre livelli: regionale, di ASL e di singolo consultorio, pubblico o privato accreditato. Tutte le Regioni e PA hanno aderito al progetto. La raccolta dei dati è iniziata a livello regionale nel novembre 2018 e si è conclusa con la raccolta nelle singole sedi consultoriali nel luglio 2019.
E’ emerso che in 5 regioni i consultori sono incardinati nel Dipartimento materno infantile, in 2 regioni nel Dipartimento delle cure primarie, in 7 regioni fanno capo a Dipartimenti diversi nelle diverse ASL e in 5 non fanno parte di un Dipartimento ma di un Distretto.
I consultori privati sono presenti in 6 regioni e una PA e sono più numerosi nelle regioni del Nord.
Quasi tutte le regioni hanno istituito i Comitati Percorso Nascita aziendali dedicati al monitoraggio e miglioramento dell’assistenza in gravidanza, parto e puerperio in collaborazione con il livello regionale. L’assistenza al percorso nascita, il percorso d’interruzione volontaria di gravidanza e l’accesso allo spazio giovani sono prestazioni gratuite garantite in tutte le regioni. Cinque regioni prevedono il pagamento di un ticket per alcuni servizi: esami per infezioni/malattie sessualmente trasmissibili, visite per menopausa, consulenza psicologica e sessuologica, psicoterapie e contraccezione.
La quasi totalità dei consultori partecipanti all’indagine (1535 su 1800; 622 al Nord, 382 al Centro e 531 al Sud) operano nell’ambito della salute della donna. Più del 75% dei consultori si occupa di sessualità, contraccezione, percorso IVG, salute preconcezionale, percorso nascita, malattie sessualmente trasmissibili, screening oncologici e menopausa e post-menopausa. Nell’ambito del percorso nascita il consultorio prende in carico le gravidanze a basso rischio ostetrico e offre attivamente Corsi di Accompagnamento alla Nascita (CAN) e sostegno all’allattamento materno.
Per quanto riguarda l’area coppia, famiglia e giovani sono 1.226 (Nord 504, Centro 224, Sud 498) i consultori che effettuano attività in questo ambito. Gli argomenti più trattati sono la contraccezione, la sessualità e la salute riproduttiva, le infezioni/malattie sessualmente trasmissibili e il disagio relazionale.
Tra i consultori che hanno svolto attività nelle scuole il tema più frequente è l’educazione affettiva e sessuale (il 94%), seguito dagli stili di vita, dal bullismo e cyberbullismo; meno frequenti i programmi di prevenzione dell’uso di sostanze che però sono in carico anche ad altri servizi.
Le figure professionali più rappresentate nei consultori sono il ginecologo, l’ostetrica, lo psicologo e l’assistente sociale, con una grande sofferenza e variabilità in termini di organico tra le regioni. Prendendo ad indicatore il numero medio di ore lavorative settimanali per 20.000 abitanti previste per le diverse figure professionali per rispondere al mandato istituzionale, solo 5 regioni del Nord raggiungono lo standard atteso per la figura dell’ostetrica, 2 per il ginecologo, 6 per lo psicologo e nessuna per l’assistente sociale che al Sud registra un numero medio di ore settimanali (14) che è quasi il doppio rispetto al Centro (8 ore) e al Nord (9 ore). ISS 11 dicembre 2019 www.iss.it/?p=4749
Programma Relatori – Moderatori Silvana Borsari – Regione Emilia Romagna – Modena, Renata Bortolus – Ministero della Salute – Roma, Grazia Colombo – Sociologa – Milano, Marina D’Amato – Università degli Studi Roma 3, – Roma Serena Donati – Istituto Superiore di Sanità – Roma, Giovanni Fattorini – Associazione Ginecologi Territoriali – affiliata alla Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia, Gianmario Gazzi – Consiglio Nazionale Ordine Assistenti Sociali, Fulvio Giardina – Consiglio Nazionale Ordine Psicologi, Michele Grandolfo – già Istituto Superiore di Sanità – Roma, Laura Lauria – Istituto Superiore di Sanità – Roma, Ilaria Lega – Istituto Superiore di Sanità – Roma, Marina Mauro Piazza – Sociologa – Milano, Enrica Pizzi – Istituto Superiore di Sanità – Roma, Chiara Saraceno – Università di Torino – Torino, Angela Spinelli – Istituto Superiore di Sanità – Roma, Cristina Tamburini – Ministero della Salute – Roma, Maria Vicario – Federazione Nazionale degli Ordini della Professione Ostetrica
www.iss.it/wp-content/plugins/download-attachments/includes/download.php?id=4753
www.vita.it/it/article/2019/12/12/consultori-a-40-anni-di-vita-sono-la-meta-di-quel-che-servirebbe/153593
Rapporto.Consultori pubblici? Insufficienti. E il ruolo del padre resta nell’ombra
Un problema di numeri o di contenuti? L’indagine diffusa ieri dall’Istituto superiore di Sanità, che per la prima volta fotografa nel dettaglio la realtà dei consultori familiari italiani, sottolinea soprattutto carenze di diffusione e conferma che i servizi sono rivolti in modo specifico alla «salute materno infantile», secondo un’impostazione che guarda soprattutto agli aspetti sanitari e lascia troppo sullo sfondo la famiglia nella sua complessità relazionale. Sembrano restare nell’ombra anche i compiti educativi dei genitori, come il ruolo paterno e altre dinamiche familiari, come l’emergenza anziani.
L’indagine è stata presentata ieri a Roma in apertura del convegno “I consultori familiari a 40 anni dalla loro nascita, tra passato, presente e futuro”. Dal concepimento fino alla nascita, per tutta l’adolescenza e anche nell’età adulta i consultori familiari, si spiega, tutelano la salute della donna e del bambino. In base a questa prima indagine su 1.800 consultori italiani, è emerso che il loro numero sul territorio è quasi la metà in rapporto ai bisogni della popolazione. In Italia, infatti, vi è un consultorio ogni 35mila abitanti sebbene la legge del ’96 ne preveda uno ogni 20mila. La differenza tra le regioni è così marcata che in sette il numero medio di abitanti per consultorio è superiore a 40mila.
Ha spiegato Laura Lauria dell’Istituto superiore di Sanità, responsabile scientifico del progetto: «Nonostante la frequente indisponibilità di risorse e la carenza di organico, i consultori svolgono un’insostituibile funzione di informazione a sostegno della prevenzione e della promozione della salute della donna e in età evolutiva». Le attività più diffuse? «Percorsi per le donne in gravidanza e nel dopo parto, screening del tumore della cervice uterina, supporto a coppie, famiglie e giovani, sebbene con diversità per area geografica suscettibili di miglioramento». Servizi che – come riferisce l’indagine – si concentrano soprattutto su assistenza al percorso nascita e interruzione di gravidanza, oltre a screening oncologici per i tumori femminili.
A parere di Serena Donati, direttore del Reparto salute della donna e dell’età evolutiva, bisogna sottolineare anche una rilevante opera di «promozione della procreazione consapevole e responsabile, con cui i consultori hanno contribuito a ridurre le interruzioni volontarie di gravidanza nel Paese di oltre il 65% dal 1982 al 2017». Mentre rimane critica l’offerta «gratuita dei contraccettivi che è garantita dal 25% dei consultori e – aggiunge l’esperta – l’offerta di interventi di educazione all’affettività e di promozione delle salute nelle scuole che riguardano meno della metà dei servizi».
Proprio l’obiettivo di far rientrare la distribuzione gratuita dei contraccettivi in un quadro di educazione all’affettività, con tutte le problematicità connesse, denota uno sguardo parziale sulle dimensione familiare nella sua globalità, come sottolinea Livia Cadei, docente di pedagogia alla Cattolica e presidente della Felceaf, la federazione lombarda dei consultori familiari di ispirazione cristiana: «La nostra rete – fa notare – è da sempre attenta alla dimensione integrale della persona con un’offerta in cui gli aspetti educativi rimangono prioritari». Lodevole certamente, aggiunge Cadei, l’attenzione ai temi della maternità, ma forse la famiglia oggi avrebbe la necessità di un approccio multidisciplinare capace di intercettare tutti i suoi bisogni. Perché ignorare quasi del tutto il ruolo dell’apporto maschile alla ridefinizione non solo delle dinamiche di coppia ma anche dei compiti educativi? Troppo auspicare che la futura riforma del settore non ignori questo approccio più ampio e inclusivo
Luciano Moia Avvenire 12 dicembre 2019
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CONSULTORI UCIPEM
Cremona. L’Area giovani esplora i vissuti emotivi
Tra gennaio e febbraio 2020 le zone pastorali sono interessate dalla formazione specifica diocesana, dopo la tornata generale di ottobre sulla Parola. L’Area Giovani che raccoglie Focr, Vocazioni, Catechesi e Scuola, propone tre incontri per zona con al centro il tema dei linguaggi emotivi. Al pari della comunicazione verbale e razionale, anche le emozioni sono un veicolo potentissimo di narrazione ed espressione del sé, soprattutto in età evolutiva e dunque nella relazione spesso complessa che gli educatori cercano di costruire con i ragazzi.
Per questo motivo l’Area in stretta sinergia e con la supervisione accademica del Dipartimento di Pedagogia dell’Università Cattolica di Piacenza mette l’accento sui linguaggi emotivi in età evolutiva, invitando a ragionarne in quattro sedi formative gli adulti: catechisti, insegnanti ed educatori, articolati per target di azione (bambini, preadolescenti e adolescenti). I prof. di Cattolica Augelli e Gianotti hanno condiviso il senso del percorso ed istruito una proposta che da frontale e fondativa diviene via via più laboratoriale, allo scopo di aiutare gli adulti a lavorare innanzitutto sui propri vissuti emotivi, che giocano un ruolo di prim’ordine nell’orizzonte della relazione educativa, sia nei momenti in cui le emozioni veicolano una crisi, o una separazione generazionale, sia laddove queste emozioni creano le condizioni per una sintonia più empatica.
Il primo incontro sarà strutturato in modo frontale e prevederà l’approfondimento della natura e del funzionamento dinamico dei mondi emotivi. Il secondo incontro, curato dai tre Consultori di ispirazione cristiana presenti sul territorio diocesano (Ucipem Cremona, Agape di Caravaggio e Centro Famiglia di Viadana UCIPEM), interrogherà i diversi target e si focalizzerà più direttamente sulle fasce evolutive. Toccherà poi al terzo incontro entrare nella relazione più strettamente educativa e dunque consentire agli adulti di lavorare su di sé, nell’ottica di una autocoscienza e di una autoeducazione. Agli incontri sono invitati tutti coloro che insegnanti, educatori, catechisti, capi scout e allenatori… si riconoscono della partita.
www.focr.it/wp/wp-content/uploads/2019/12/Brochure-formazione-area-giovani-2020_web.pdf
Milano. La casa news n.3 dicembre 2019
Nuova sede via Pietro Colletta 31-20135 Milano
www.istitutolacasa.it/showPage.php?template=istituzionale&id=1
- Editoriale Luigi Filippo Colombo
- Un Dio che si è fatto bambino Dagli scritti di don Paolo Liggeri
- Adolescenti che dormono poco Anna Selvini
- Benessere in menopausa Elena D’Eredità
- Ricordo di Paola Bonzi Alice Calori
- Gira… il mondo gira Beppe Sivelli
- Essere genitori di figli adulti Giusi Costa
- I ragazzi si raccontano Alessandro e Giorgia
- Per un Natale di inclusione Mary Rapaccioli
- Umorismo dono senza età Jolanda Cavassini
- Fra teoria ed esperienza Federica Tagliabue
- Progetti di cooperazione Associazione Hogar Onlus
- Appuntamenti: corsi e gruppi
Adozione internazionale
Consultorio familiare
DSA-disturbi specifici dell’apprendimento
Famiglie in formazione 2020
www.istitutolacasa.it/pdf_sarat/rivistapdf_pdf_756910133.pdf
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DALLA NAVATA
III Domenica di Avvento – Anno A – 15 dicembre 2019
IsaiaGènesi 35 14, 04 Dite agli smarriti di cuore: «Coraggio, non temete! Ecco il vostro Dio, giunge la vendetta, la ricompensa divina. Egli viene a salvarvi».
18Salmo 145, 08 Il Signore ridona la vista ai ciechi, il Signore rialza chi è caduto, il Signore ama i giusti, il Signore protegge i forestieri.
Giacomo 05, 10 Fratelli, prendete a modello di sopportazione e di costanza i profeti che hanno parlato nel nome del Signore.
Matteo 11, 06 E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!
Il mondo ha bisogno di credenti credibili
Sei tu, o ci siamo sbagliati? Giovanni, il profeta granitico, il più grande, non capisce. Troppo diverso quel cugino di Nazaret da ciò che la gente, e lui per primo, si aspettano dal Messia. Dov’è la scure tagliente? E il fuoco per bruciare i corrotti? Il dubbio però non toglie nulla alla grandezza di Giovanni e alla stima che Gesù ha per lui. Perché non esiste una fede che non allevi dei dubbi: io credo e dubito al tempo stesso, e Dio gode che io mi ponga e gli ponga domande. Io credo e non credo, e lui si fida. Sei tu? Ma se anche dovessi aspettare ancora, sappi che io non mi arrendo, continuerò ad attendere.
La risposta di Gesù non è una affermazione assertiva, non pronuncia un “sì” o un “no”, prendere o lasciare. Lui non ha mai indottrinato nessuno. La sua pedagogia consiste nel far nascere in ciascuno risposte libere e coinvolgenti. Infatti dice: guardate, osservate, aprite lo sguardo; ascoltate, fate attenzione, tendete l’orecchio. Rimane la vecchia realtà, eppure nasce qualcosa di nuovo; si fa strada, dentro i vecchi discorsi, una parola ancora inaudita.
Dio crea storia partendo non da una legge, fosse pure la migliore, non da pratiche religiose, ma dall’ascolto del dolore della gente: ciechi, storpi, sordi, lebbrosi guariscono, ritornano uomini pieni, totali. Dio comincia dagli ultimi. È vero, è una questione di germogli. Per qualche cieco guarito, legioni d’altri sono rimasti nella notte. È una questione di lievito, un pizzico nella pasta; eppure quei piccoli segni possono bastare a farci credere che il mondo non è un malato inguaribile. Gesù non ha mai promesso di risolvere i problemi della terra con un pacchetto di miracoli.
L’ha fatto con l’Incarnazione, perdendo se stesso in mezzo al dolore dell’uomo, intrecciando il suo respiro con il nostro. E poi ha detto: voi farete miracoli più grandi dei miei. Se vi impastate con i dolenti della terra. Io ho visto uomini e donne compiere miracoli. Molte volte e in molti modi. Li ho visti, e qualche volta ho anche pianto di gioia. La fede è fatta di due cose: di occhi che sanno vedere il sogno di Dio, e di mani operose come quelle del contadino che «aspetta il prezioso frutto della terra» (Giacomo 5,7). È fatta di uno stupore, come un innamoramento per un mondo nuovo possibile, e poi di mani callose che si prendono cura di volti e nomi; lo fanno con fatica, ma «fino a che c’è fatica c’è speranza» (Lorenzo Milani).
Cosa siete andati a vedere nel deserto? Un bravo oratore? Un trascinatore di folle? No, Giovanni è uno che dice ciò che è, ed è ciò che dice; in lui messaggio e messaggero coincidono. Questo è il solo miracolo di cui la terra ha bisogno, di credenti credibili.
Padre Ermes Ronchi, OSM
www.cercoiltuovolto.it/vangelo-della-domenica/commento-al-vangelo-del-15-dicembre-2019-p-ermes-ronchi
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DIVORZIO
Quali diritti si perdono con il divorzio
www.altalex.com/documents/leggi/2012/06/27/disciplina-dei-casi-di-scioglimento-del-matrimonio
Quando due persone si sposano, non si limitano a formalizzare la propria unione spirituale e sentimentale, ma sottoscrivono un vero e proprio contratto, dal quale nascono reciproci obblighi e diritti. Una situazione che permane per l’intero rapporto matrimoniale, ma che la legge non ritiene definitiva, potendo i coniugi decidere di separarsi e poi divorziare. Col divorzio, infatti, il contratto di matrimonio, stipulato il giorno delle nozze, si scioglie definitivamente e vengono così meno tutti i principali diritti che derivavano dal rapporto formale di coppia.
Pertanto, ti chiedi: quali diritti perdo con il divorzio? In caso di morte, ho diritto alla pensione di reversibilità? Sarò ancora un erede del mio coniuge? Ho ancora diritto al Trattamento Fine Rapporto del coniuge?
Divorzio: gli effetti principali. Come ho anticipato in premessa, il matrimonio è un vero e proprio contratto, con tanto di obblighi e reciproci diritti, ma se questo viene sciolto, inevitabilmente esso cessa di produrre effetti tra le parti. Pertanto, gli ex coniugi, con il divorzio, diventano degli estranei in tutti i sensi, tant’è che hanno facoltà di risposarsi e di contrarre nuovamente un contratto di matrimonio. È noto, altresì, che la coppia non avrà più l’obbligo di reciproca assistenza (fermo restando l’eventuale mantenimento previsto), non dovrà certo coabitare e sarà stata sciolta l’eventuale comunione legale dei beni (ma tali circostanze si concretizzano già con la separazione legale). La moglie, inoltre, perderà la prerogativa di poter utilizzare il cognome del marito [Art. 143bis cod. civ.], anche se nella pratica di tutti i giorni è diventata una modalità poco applicata. Insomma, marito e moglie non saranno più tali e, in ragione del matrimonio ormai scioltosi, nulla dovranno riconoscere e pretendere dall’altro, fatta eccezione per alcuni aspetti che saranno approfonditi nel prosieguo dell’articolo.
Divorzio: la pensione di reversibilità. Leggendo quanto scritto in precedenza, avrai sicuramente capito che i coniugi divorziati perdono ogni reciproco diritto, fatte salve alcune eccezioni, quale l’eventuale mantenimento. Un’altra eccezione riguarda la cosiddetta pensione di reversibilità, normalmente prevista a favore del coniuge superstite, ma anche a vantaggio di quello divorziato. Tuttavia, per quest’ultima ipotesi, la legge [Art. 9 co. 2 Legge 898/1 dicembre 1970] richiede necessariamente la presenza di alcuni requisiti:
- Il coniuge superstite, ma divorziato, deve essere già assegnatario di un assegno di divorzio e non deve aver perso per revoca tale diritto o averlo conseguito mediante versamento in un’unica soluzione;
- Il coniuge superstite, ma divorziato, deve essere rimasto scapolo o nubile. In pratica, non deve essersi risposato;
- La pensione, da cui scaturisce la reversibilità, deve essere maturata in relazione ad un rapporto di lavoro svolto dall’ex coniuge deceduto, in un periodo antecedente alla sentenza di divorzio.
Quindi, se dovesse mancare anche uno solo di questi presupposti, il coniuge divorziato non avrebbe diritto alla pensione di reversibilità del coniuge defunto. Viceversa, se il lavoratore si fosse, nel frattempo, risposato, la pensione di reversibilità sarebbe riconosciuta ad entrambi i coniugi (cioè a quello divorziato ed a quello col quale il defunto era coniugato al momento del decesso). In questo particolare caso, la pensione andrebbe divisa tra i due aventi diritto, tenendo conto della durata dei rispettivi matrimoni ed a seguito di decisione assunta dal tribunale, invocato a riguardo [Art. 9 co. 3 Legge 898/1970].
Eredità: cosa spetta al coniuge divorziato? Normalmente, cioè in pendenza del matrimonio, il coniuge è uno degli eredi principali: lo è sia in assenza di testamento sia in presenza delle ultime volontà del defunto coniuge, visto che questi deve riservare all’altro una quota minima del proprio patrimonio. La descritta situazione cambia radicalmente con il divorzio, in virtù del quale i due della coppia diventano del tutto degli estranei. Per questa ragione, il coniuge divorziato non è parte della successione ereditaria di quello defunto, a meno che questi (ipotesi abbastanza inconsueta) non abbia lasciato qualcosa all’ex, tramite testamento e pur non avendo alcun obbligo a farlo.
Divorzio: diritto al Tfr. La legge [Art. 12bis Legge 898/1970] nonostante il divorzio, concede all’ex coniuge il diritto di pretendere una quota del Tfr maturata dall’altro. In particolare, tale facoltà, è riconosciuta in presenza dei seguenti presupposti:
- La coppia deve aver già divorziato;
- L’ex coniuge deve avere diritto a percepire un assegno divorzile;
- L’ex coniuge non deve essersi risposato.
Quindi, ricorrendo i predetti presupposti, il coniuge divorziato può pretendere una percentuale del Tfr dell’ex, nella misura del 40% dell’indennità maturata durante gli anni del matrimonio. Tra questi, andranno calcolati anche quelli durante i quali i coniugi erano semplicemente separati.
Marco Borriello La legge per tutti 10 dicembre 2019
www.laleggepertutti.it/345104_quali-diritti-si-perdono-con-il-divorzio-2
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DONNE NELLA CHIESA
L’ossessione per la sottomissione femminile serve agli uomini, non a Dio
Negli ambienti cattolici conservatori in cui sono stata educata, era comune per chi parlava o scriveva di questioni di genere riferirsi a Maria Madre di Gesù come un ideale femminile. Le giovani donne erano ammonite di imitare Maria nella purezza, mansuetudine, umiltà e obbedienza. L’immagine che ci è stata presentata era di una ragazza silenziosa e carina, addobbata in abiti voluminosi, con la testa china e lo sguardo basso. E Maria era di solito raffigurata come bianca, ovviamente. Perché il candore corrisponde alla purezza, è chiaro, e le giovani donne caucasiche hanno bisogno di vedere un modello che somigli a loro.
“Maria ama la modestia” era l’ideale della moda. La sottomissione femminile alle autorità, in particolare le autorità maschili, era la virtù obbligatoria. Restava inteso che se ci fossimo sposate avremmo seguito lo schema stabilito da Maria nella sottomissione e obbedienza della moglie.
Questo approccio all’identità femminile può rovinare la salute mentale e deformare la coscienza a seconda che se si sia brave o meno. Io non sono mai stata molto brava in questo, quindi “Mary like modesty” e “sottomissione femminile” hanno finito per essere catalizzatori, per me, di quella famosa colpa cattolica di cui sentiamo così tanto parlare. Mi è stato ricordato di quanto sia dannosa questa cultura, di recente, quando un gruppo di cattolici di estrema destra stava discutendo la questione della sottomissione femminile. Il contesto era questo: una donna aveva scritto pubblicamente che il suo fidanzato le aveva chiesto di smettere di indossare i tacchi alti e che lei aveva accettato. Mentre i tradizionalisti di estrema destra l’hanno elogiata per questo, altri, anche sacerdoti cattolici, l’hanno considerato problematico. Un uomo che impone preferenze di moda a una donna, e non dicendo “questo è solo un mio gusto”, ma sotto forma di un mandato morale? Questa è la ricetta per un abuso.
E non è cristiano. Essendo appena tornata da una lettura del racconto evangelico dell’Annunciazione, la mia risposta a questa discussione è stata: da dove proviene questa ossessione per il considerare l’idea di “obbedienza femminile” come cristiana? Sono contenta che la mia emancipazione da una struttura di potere patriarcale, che si appropria dell’insegnamento di Gesù, abbia raggiunto questo punto. Sono felice di poter finalmente vedere che loro, e non io, sono quelli che distorcono e tradiscono il Vangelo. Sì, abbiamo alcuni passaggi nel Nuovo Testamento in cui gli scrittori maschi dicono alle donne di sottomettersi ai loro mariti, ma ciò che mi colpisce di quei passaggi non è “quanto siano rivoluzionari e cristiani“, ma piuttosto “quanto sia conforme a quel tempo”. Ci si aspettava mitezza e obbedienza dalle mogli nella cultura patriarcale dell’impero romano e della Palestina ebraica. Quando Pietro, Paolo e Timoteo affermano che “le donne dovrebbero essere sottomesse“, non sembrano seguire Cristo. Sembra che stiano dicendo a questi cristiani radicali di conformarsi alla cultura dominante del mondo in cui vivono.
Perché nella storia della Natività, nulla delle azioni di Maria mi sembra sottomesso agli uomini. Quando l’angelo le si avvicina con un annuncio sorprendente non chiede il permesso né a suo padre né al suo fidanzato. E la decisione che prende è quella che potrebbe farla lapidare a morte dalla sua comunità, lei lo sa, ma è comunque d’accordo. “Sono l’ancella del Signore“, dice, non la serva di nessun uomo.
Non vediamo molto di Maria nei Vangeli. Ma quando la vediamo, non si comporta in modo particolarmente mansueto o sottomesso. Quando sente che Elisabetta è incinta “si precipita” a farle visita, non aspettando il permesso di lasciare la sua casa o chiedendo un accompagnatore maschio. Quando arriva ed Elisabetta sente il miracoloso movimento del bambino dentro di sé, la risposta di Maria è cantare un canto di lode per il quale avrebbe potuto essere arrestata come rivoluzionaria:
L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva.
D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.
Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente e Santo è il suo nome: di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono.
Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote.
Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come aveva promesso ai nostri padri, ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre.
Maria appare alle Nozze di Cana e riesce a comandare sia suo figlio che i domestici. Da un lato, questo mi sembra esattamente cosa farebbe una madre ebrea organizzata e piena di buon senso in un evento, quando vede le cose andare male e vuole sistemare la situazione. Ma sta anche prendendo in mano il miracoloso – decidendo da sola quando è arrivato il momento che suo figlio, inizi il suo ministero terreno. Mostra un’autorità spirituale sulla festa, che assume un significato liturgico a causa del lavoro miracoloso che Gesù compie lì. Se il matrimonio di Cana era una prefigurazione della Messa, era una prefigurazione in cui una donna stava presiedendo.
Più tardi, vediamo che lei e le altre donne stanno al fianco di Gesù durante la sua condanna, tortura e morte. La maggior parte degli uomini fugge, ma le donne sfidano l’autorità romana e la leadership religiosa. Restano.
Maria nei Vangeli agisce in accordo con una lunga serie di donne che generano la volontà divina attraverso comportamenti indisciplinati. Sì, anche Eva. Se dobbiamo dire, come cristiani, “o felice colpa” – dobbiamo dare credito alla donna per questo. La disobbedienza di Eva può essere deplorata dai capi religiosi maschi, ma è ripetuta e reiterata attraverso le scritture ebraiche nelle storie di Sara, Rebecca, Rachele ed Esther, che hanno tutte disobbedito e sfidato gli uomini nelle loro vite. Poi abbiamo Ruth, che di notte si è insinuata nel letto del suo capo – e Giaele che ha conficcato un paletto da tenda nella testa di un generale – e Giuditta, che ha completamente tagliato la testa di un altro generale [inoltre Rahab a Gerico]
La storia delle donne che portano avanti la storia della salvezza sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento è una storia di sregolatezza, non di sottomissione. Il modello che Maria di Nazareth ci presenta è quello di un’audace autonomia, una donna che rivendica una linea diretta con Dio, invece di rinviare a un uomo come rappresentante di Dio. Capisco quanto debba essere stato snervante per gli uomini in quel momento, anche per quelli che seguivano Gesù. Sembra che i suoi discepoli maschi siano rimasti perplessi dalla presenza delle donne nel seguito, cercando di scacciarle e tenere il loro insegnante tutto per sé. Ma Gesù non lo permise.
I successori di questi discepoli maschi sembrano aver svolto la missione di allontanare le donne, piuttosto che quella di seguire l’esempio di Gesù che ha cancellato le distinzioni tra uomo e donna, ricco e povero, ebreo e gentile. E oggi le ossessioni per un falso ideale della femminilità cristiana ci portano ancora più lontano dagli esempi di Gesù e di Maria. Chi sta servendo una donna, quando decide di essere sottomessa agli uomini, di accettare i desideri maschili, di essere passiva nei confronti dell’autorità patriarcale? Sta servendo gli uomini, i loro desideri, il loro orgoglio.
Non sta servendo Dio.
Rebecca Bratten Weiss Donne per la Chiesa 9 dicembre 2019
www.donneperlachiesa.it/2019/12/09/lossessione-per-la-sottomissione-femminile-serve-agli-uomini-non-a-dio
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FRANCESCO VESCOVO DI ROMA
Francesco è l’uomo del Vangelo intervista a Raffaele Nogaro
Incontrare Raffaele Nogaro [*1933] è cancellare il tempo. https://it.wikipedia.org/wiki/Raffaele_Nogaro
È vivere accanto al Cristo del Vangelo nelle strade di Galilea. Per ventisei anni vescovo di Caserta, sempre in prima linea a chiedere giustizia e rispetto verso le persone, nelle battaglie contro la corruzione, le infiltrazioni della camorra nella politica, le discariche che hanno partorito “la terra dei fuochi”, oggi, nella sua vita, condivisa con la fragilità della salute, più che mai “un prete povero tra i poveri”, come l’ha definito don Luigi Ciotti.
È parola che ha raggiunto la totale libertà dei figli di Dio. E accoglienza del Dio, madre e padre. È estensione, senza confini e limiti, di una calda umanità: fratello e compagno di strada, che non giudica, ama. Così, anche in questo incontro nella sua abitazione, semplice e spoglia, aperta a tutti, nel centro storico di Caserta. Più che un’intervista, un colloquio familiare, nella comune condivisione di una Chiesa che Francesco, tra resistenze e ostilità sta cercando di restituire a Cristo.
Padre Raffaele, più volte lei ha detto di essere in profonda sintonia con Francesco, qual è l’aspetto di questo pontificato che ritiene più innovativo?
«Prima della sua venuta valeva il principio “extra ecclesiam nulla salus”, senza i sacramenti non c’è salvezza. Francesco ha compiuto una rivoluzione copernicana, anche nei confronti del Vaticano II, ripetendo continuamente che non è la Chiesa che salva, ma Cristo. I sacramenti sono mediazioni, ma chi ti salva, chi dà una direzione alla nostra vita, è il Vangelo. La Chiesa continua a seguire più la legge di Mosè che il Vangelo. Pietro, pur essendo un ebreo puro sangue, avverte tutta la novità di Cristo e sceglie di lasciare da parte Mosè coi suoi rituali, la circoncisione, la celebrazione del sabato, per seguire soltanto il Messia».
Francesco ha detto che il peccato originale della Chiesa, oggi, è il “clericalismo gerarchico”.
«Il sacerdozio è stato creato dalla Chiesa nel II secolo. Prima erano il padrone e la padrona di casa che celebravano l’eucaristia nella Domus ecclesiæ, nelle case private. Il clericalismo è la palla ai piedi della Chiesa. Francesco è l’uomo del Vangelo, che per lui è al di sopra del Papa, dei concili, della teologia e del diritto canonico. Proprio per questo sarebbe importante che riuscisse a fare due riforme che lascerebbero un segno indelebile».
Quali sono?
«I seminari, come sono strutturati, non hanno più senso di esistere. Preparano preti destinati a diventare “amministratori del sacro”, parte di un “ceto sacerdotale”, di una “casta privilegiata”. Il prete deve trasmettere con la sua esistenza, ogni giorno, lo Spirito santo, essere pronto anche a dare la vita per aiutare le persone. Nella sua formazione deve imparare a vincere le tentazioni del potere, della ricchezza, del prestigio sociale. Non è il dotto, il potente, ma un uomo che vive e sta in mezzo agli altri, alla gente, per servirli, non per essere servito. Come Gesù: “Io sono in mezzo a voi, come colui che serve”. Quale testimone di Cristo, non c’è alcuna differenza tra di lui e una persona semplice, che dice: faccio tutto quello che Dio mi chiede, voglio bene a tutti. Sarebbe una grande rivoluzione celebrare tutti insieme la messa, in quanto fratelli e sorelle in Cristo, spezzare insieme il pane dell’eucaristia. I giovani nell’era dell’intelligenza artificiale non capiscono più una messa “recitata” in una scenografia di cui sono solo spettatori».
E la seconda riforma?
«Quando sono stato da papa Francesco gli ho parlato della disparità di trattamento nei confronti delle donne da parte della Chiesa e del Vangelo. Gesù, per fare conoscere il suo messaggio, ha valorizzato più la donna che gli uomini. Ha affidato a Maria di Magdala l’annuncio della sua risurrezione e della fondazione della redenzione pasquale. La Chiesa non dà alla donna nessun compito importante di responsabilità. Perché non si può affidare a una donna, nominata cardinale — niente lo vieta, non c’è nessun sacramento — di presiedere a tutte le istituzioni femminili? Oggi, per fortuna, sta maturando una consapevolezza drammatica della violenza contro le donne, ma dobbiamo avere il coraggio di dire che anche nella Chiesa si esercita una continua violenza nei confronti del mondo femminile, al quale non si lascia lo spazio dovuto e il ruolo voluto da Cristo. Le si relega in forme di subordinazione e dipendenza, che umiliano le donne, eterne gregarie e portatrici d’acqua, spesso sfruttate ed emarginate».
Se dovesse, in futuro, incontrarsi con Francesco c’è qualcosa che gli vorrebbe chiedere?
«Nei primi anni del suo pontificato, parlava sempre della tenerezza di Cristo, della misericordia del Padre, discorsi che mi commuovevano. Negli ultimi tempi, lo fa di meno. Gli chiederei di riprenderli con forza. Le persone, oggi, hanno bisogno di avvertire la tenerezza di Gesù, è compito del Buon Pastore, che dà la vita per le sue pecore, esercitare il ministero della consolazione. Siamo tutti peccatori, nelle nostre fragilità e rabbie, abbiamo bisogno di sentirci accolti tra le sue braccia. Gesù non ha portato nella storia dell’uomo il padrone, il giudice, ha portato l’Abbà, il papà, la mamma, le viscere materne».
Mariapia Bonanate in “Vita pastorale” dicembre 2019
www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201912/191214nogarobonanate.pdf
Cardinale Stella: il Papa insegna a essere persone di contemplazione e di azione
Nel giorno del 50.mo anniversario dell’ordinazione sacerdotale di Papa Francesco, intervista con il cardinale Beniamino Stella, prefetto della Congregazione del Clero
Dal primo giorno del suo Pontificato, Papa Francesco non smette di esortare i fedeli a pregare per lui.
R. – L’ha sempre fatto: io credo che non ci sia un’occasione nella quale il Papa si sia dimenticato. È come un’idea profonda del suo cuore. Io penso che sia questo senso di responsabilità davanti a Dio, davanti alla Chiesa; questo sentirsi parte di una grande famiglia. È un po’ come il padre che dice: “tenetemi nel cuore, portatemi davanti al Signore”. È questa relazione profonda che il Papa sente verso la Chiesa.
Nello scorso mese di settembre, rivolgendosi ai gesuiti del Mozambico e del Madagascar, il Papa ha detto che solo la preghiera del suo popolo può aiutare il Pontefice. Cosa vuol dire questa frase?
R. – Io penso che spesso il Papa senta un po’ il peso di questa croce – chiamiamola così – perché l’esercizio dell’autorità petrina è anche una croce. Credo che il Papa senta questo grande peso. E, qualche volta, si ha proprio la sensazione che non sia solo una croce, ma ci siano dietro, nell’occulto, le forze del male che possono anche tentare il Papa, assediarlo, portarlo nell’oscurità, fargli sentire talvolta la solitudine, la stanchezza … Penso che il Papa senta anche la debolezza di fronte a questo peso grande e a questa estrema pressione di queste forze del male.
Cosa può dare la nostra preghiera al Papa?
R. – Penso che, innanzitutto, porti la grazia di Dio. Sono tante le persone che pregano per lui. Dio è vicino al Papa, Dio lo aiuta, Dio lo sostiene; il cuore di Gesù è vicino al cuore del Papa.
È un dovere per ogni cattolico pregare per il Papa?
R. – Sì, è un dovere. Ma un dovere che dobbiamo veramente prendere sul serio. Noi sacerdoti lo ricordiamo tutti i giorni nella Messa. È un momento in cui io, personalmente, me lo vedo davanti, con il suo volto, con il suo abito e con il suo nome. È un dovere non solo dei vescovi, ma anche di tutti i sacerdoti. Io non posso pensare che ci sia un sacerdote che non prega, soprattutto che non menzioni il Papa.
Cosa si deve chiedere al Signore per il Papa?
R. – Innanzitutto, io chiederei al Signore che dia al Papa serenità soprattutto nella notte, perché possa riposarsi bene. Abbiamo bisogno di sentire vivo lo sguardo del Papa, di vederlo sorridente nonostante il peso, nonostante la fatica.
Il Papa festeggia, a pochi giorni di intervallo, il compleanno e l’anniversario del sacerdozio. Quali sono i pilastri della sua vita sacerdotale e cosa Francesco vorrebbe lasciare in eredità ai preti del mondo intero?
R.- È un Papa che prega, che vive in mezzo al suo popolo. È un Papa con disciplina personale. Questo io lo ricordo spesso anche ai sacerdoti, perché oggi le esigenze del ministero ci devono portare in mezzo alla gente. Ma dobbiamo sapere veramente mettere insieme preghiera, contemplazione e presenza in mezzo al popolo. Direi che il Papa ci insegna queste dimensioni della vita sacerdotale. Ci insegna ad essere uomini di contemplazione e uomini di azione.
Amedeo Lomonaco e Manuella Affejee – Vatican news 13 dicembre 2019
https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2019-12/cardinale-stella-intervista-50-sacerdozio-papa-francesco.html?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=NewsletterVN-IT
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GOVERNO
Adozione internazionale: gli Enti autorizzati incontrano ministro Bonetti
Riunione con la cabina di regia “Adozione 3.0”: “Governo e istituzioni diano valore e peso a quello che è un bene per tutti: ridare una famiglia a un bambino abbandonato”. Si è svolto nella giornata del 10 dicembre 2019 l’atteso incontro tra la cabina di regia “Adozione 3.0”, che riunisce 49 Enti italiani autorizzati all’adozione internazionale e il ministro della Famiglia e Pari opportunità e presidente della CAI – Commissione Adozioni Internazionali, Elena Bonetti. Un incontro che si è svolto in un clima positivo e di cordiale confronto su un tema delicato, quello dell’adozione internazionale, che sta vivendo una forte crisi da ormai diversi anni.
“L’incontro è stato senza dubbio positivo – fanno sapere da “Adozione 3.0” – e il Ministro ha ascoltato con attenzione le istanze degli Enti autorizzati su diverse tematiche. In primis il rilancio delle adozioni, poi il sostegno alle famiglie, investimenti adeguati affinché il sistema funzioni sempre meglio, l’incremento delle relazioni con i Paesi esteri, l’aggiornamento dei Protocolli Regionali, e infine, un impegno per la realizzazione di futuri programmi di formazione per tutti i soggetti del sistema”.
“Possiamo dire – proseguono gli Enti – di essere soddisfatti. C’è davvero molto lavoro da fare per rilanciare l’adozione internazionale. Siamo serenamente convinti sia giusto chiedere un maggiore sforzo da parte del Governo e delle istituzioni tutte per dare nuovamente il giusto valore e peso all’adozione internazionale, perché ridare una famiglia ai bambini abbandonati è una bene per tutti. Auspichiamo pertanto che questo primo incontro possa essere un punto di partenza perché tutti insieme si collabori al rilancio delle adozioni internazionali”.
A rappresentare tutti gli Enti Autorizzati Pietro Ardizzi, Cinzia Bernicchi, Anna Torre, Maria Virgillito, Gianfranco Arnoletti.
Gli Enti aderenti ad “Adozione 3.0”:
A.I.A.U. Associazione in Aiuti Umanitari Onlus; A.S.A. – Associazione Solidarietà Adozioni Onlus; AAA Associazione Adozioni Alfabeto; Ai.Bi. – Associazione Amici dei Bambini; Amici di Don Bosco Onlus; Amici Missioni Indiane (AMI) – Onlus; Amici Trentini Onlus; Arcobaleno – Onlus; Ariete Onlus; Associazione Agapè – Onlus; Associazione di Volontariato “Cuore” Onlus; Associazione di Volontariato Ernesto; Associazione Famiglie Adottive Pro I.C.Y.C. Onlus; Associazione Figli della Luce – Onlus; Associazione i Cinque Pani; Associazione il Conventino – Onlus; Associazione Italiana pro Adozioni – A.I.P.A. – Onlus Erga Pueros; Associazione Mehala – Sostegno Infanzia e Famiglia – Onlus; Associazione Nazionale Pubbliche Assistenze (A.N.P.A.S.); Associazione per L’adozione Internazionale “Brutia” – Onlus; Azione per Famiglie Nuove – Onlus; C.I.A.I. – Centro Italiano Aiuti all’infanzia Organizzazione non lucrativa di utilità sociale; Centro Adozioni La Maloca ODV; Centro Aiuti Per l’Etiopia; CIFA Onlus – Centro Internazionale per l’infanzia e la famiglia; Comunità di S. Egidio – ACAP; Famiglia Insieme Società Cooperativa Sociale; Fondazione AVSI; Fondazione Patrizia Nidoli Onlus; Gruppo Di Volontariato Solidarietà Onlus; Onlus; I FIORI SEMPLICI – Onlus; Il Mantello (Associazione Di I Bambini dell’arcobaleno – Bambarco Volontariato per la Famiglia e l’adozione); International Adoption; Istituto La Casa; La Cicogna – Onlus; La Primogenita International Adoption; Lo Scoiattolo – Onlus; Movimento Shalom; N.A.A.A. Network Aiuto Assistenza Accoglienza – Onlus; Nuova Associazione Di Genitori Insieme per l’adozione – N.A.D.I.A. Onlus; Nuovi Orizzonti per Vivere l’Adozione (N.O.V.A.); Progetto Sao Josè; Rete Speranza Onlus; S.O.S. Bambino International Adoption – Onlus; Senza Frontiere – Onlus; Servizio Polifunzionale per l’Adozione Internazionale – (S.P.A.I.); Sjamo (Sao Jose’ Amici nel Mondo).
www.aibi.it/ita/adozione-internazionale-gli-enti-autorizzati-incontrano-ministro-bonetti
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LUDOPATIE
Gioco d’azzardo: nominati i membri dell’Osservatorio per il contrasto.
Il 2 dicembre 2019 sono stati nominati i membri dell‘Osservatorio per il contrasto della diffusione del gioco d’azzardo e il fenomeno della dipendenza grave, dopo la sua ricostituzione con decreto interministeriale del 12 agosto 2019. Tra i nuovi componenti, ci sono anche rappresentanti delle associazioni, come Simona Neri (Anci), Laura Marmai (Agesc), Daniela Capitanucci (And), Maurizio Fiasco (Alea), Armando Zappolini (Cnca)
Proprio con Daniela Capitanucci, psicologa e psicoterapeuta, presidente onorario di And-Azzardo e Nuove Dipendenze, parliamo del rilancio dell’Osservatorio e del fenomeno che colpisce sempre più persone in Italia.
Queste nomine sono un segnale importante?
È importante certamente, perché le funzioni ad esso assegnate dalla legge n. 190/23 dicembre 2014 sono la base per valutare l’impatto sociale ed economico dell’industria del gioco d’azzardo legale nel nostro Paese e decidere in quale direzione procedere: quali sono i benefici che questa industria produce? Ma, anche, quali sono i costi? E, soprattutto, qual è, in ultimo, il bilancio complessivo (che è la differenza tra incasso e spesa)? www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2014/12/29/14G00203/sg
Solo monitorando l’andamento della dipendenza da gioco d’azzardo, l’efficacia delle azioni di cura e di prevenzione intraprese, predisponendo linee di azione a garanzia della prevenzione, cura e riabilitazione sulla base delle evidenze scientifiche, valutando le misure più efficaci per contrastare la diffusione del gioco d’azzardo e il fenomeno della dipendenza (che è sempre grave), anche esprimendo pareri sui piani di attività di contrasto ai disturbi del gioco d’azzardo presentati dalle Regioni e dalle Province autonome di Trento e Bolzano sarà possibile fornire supporto alla politica affinché finalmente torni ad orientarsi al bene comune del Paese.
Quali sono gli obiettivi prioritari che vi ponete?
In estrema sintesi, le azioni dell’Osservatorio dovrebbero orientare tutte le azioni politiche e socio-sanitarie atte a garantire la riduzione della prevalenza (numero di casi riscontrati in un certo lasso di tempo) e dell’incidenza (andamento del numero di nuovi casi, rilevati da un anno con l’altro) dei giocatori patologici. Un primo importante segnale arriva proprio dal decreto di ricostituzione del 2 dicembre, che presidia l’assenza di conflitto di interessi. All’Osservatorio insediato presso il Ministero della Salute, infatti, non potranno più partecipare enti, associazioni e persone fisiche che abbiano avuto rapporti contrattuali, sovvenzioni, sponsorizzazioni, incarichi professionali da Società o imprese esercitanti attività industriale-commerciale in qualsiasi comparto dei giochi pubblici con vincite in denaro. In pratica, ci si attende finalmente di poter lavorare esclusivamente alla luce di dettami scientifici.
In questi anni il fenomeno della diffusione del gioco d’azzardo e della dipendenza grave si è aggravato?
Sebbene vi sia stato un consistente colpevole ritardo nel monitoraggio ufficiale del fenomeno, perché l’Indagine nazionale dell’Istituto superiore di sanità in collaborazione con l’Amministrazione Dogane e Monopoli è stata realizzata solo nel 2018, ben 15 anni dopo la rivoluzione dell’offerta avvenuta a partire dal 2003 con il sistema concessorio, è comunque possibile rispondere affermativamente a questa domanda. Il Cnr-Ifc di Pisa, nell’ambito di ricerche di stampo europeo condotte dal 2007 al 2017, infatti ha rilevato che in dieci anni nel nostro Paese i giocatori patologici sono quadruplicati (dallo 0,6% al 2,4% sulla popolazione 15-64 anni).
E il dato riscontrato dall’Iss offre uno scenario ancor più preoccupante: tra i maggiorenni, risultano giocatori patologici il 3% della popolazione, ai quali vanno aggiunti 2,8% di giocatori a rischio moderato e 4,1% a rischio basso. Rispetto agli altri paesi europei di tratta di una prevalenza di ben tre volte superiore (Germania, Gran Bretagna, Francia, Svizzera e Austria hanno una prevalenza di gioco problematico inferiore all’ 1%). Questo dato però ci dice anche che il 27% dei soggetti maggiorenni che hanno giocato nell’ultimo anno (almeno uno su quattro) presenta una qualche forma di problema correlato.
Il fenomeno riguarda anche giovanissimi?
Un altro dato preoccupante desunto dalla ricerca dell’Iss è la certificazione ufficiale del fatto che anche i minorenni giocano d’azzardo e lo fanno senza barriere, ovunque: dal tabaccaio (46,7%), al bar (28,8%) e nelle sale scommesse (41,1%) dove neppure dovrebbero poter entrare. È evidente, quindi, che il sistema distributivo attuale fa acqua da tutte le parti e non garantisce la protezione alle fasce più vulnerabili prevista dalla legge. Non dobbiamo poi dimenticare le vittime del gioco d’azzardo passivo.
Ci spieghi…
La dipendenza da gioco d’azzardo genera danni consistenti che si propagano dall’individuo che ne è affetto a tutti coloro che sono in relazione con lui attraverso le connessioni sociali. Familiari stretti e allargati, amici, colleghi di lavoro, ma anche perfetti sconosciuti che potrebbero avere rapporti con queste persone: potrebbe essere il vostro amministratore di condominio oppure il barelliere che vi soccorre durante un incidente stradale… Se ha questo problema, vedrebbe nell’occasione dell’incontro con voi solo soldi, soldi, soldi…. E troppo tardi ve ne accorgereste. A vostre spese.
Quali misure andrebbero adottate?
Senza ombra di dubbio, questi dati suggeriscono che con urgenza andrebbe attuata revisione radicale del sistema dell’offerta del gioco d’azzardo legale, che non è estraneo nella aver contribuito a produrre quanto riscontrato. Andrebbero almeno previste limitazioni sullo zoning (cioè evitando di collocare il gioco d’azzardo in prossimità dei luoghi sensibili nella loro più ampia accezione) e sul timing (cioè, andando a limitare l’ampiezza oraria di apertura, funzionamento e offerta di occasioni di gioco d’azzardo. Queste misure dove già sono state applicate, ad esempio in Piemonte, hanno dato esiti promettenti quali riduzione della raccolta e minori rischi per i giocatori patologici in trattamento. E forse non è un caso che proprio in questi giorni questa norma stia subendo pesanti attacchi, sostenuti da esponenti della nuova Giunta regionale che si è appena insediata, volti a far tornare gli apparecchi (slot e Vlt) in quei luoghi di vita delle persone dai quali ormai erano scomparsi, con i risultati sopra citati.
Gigliola Alfaro Agenzia SIR 10 dicembre 2019
www.agensir.it/italia/2019/12/10/gioco-dazzardo-nominati-i-membri-dellosservatorio-per-il-contrasto-capitanucci-un-supporto-alla-politica-per-orientarsi-al-bene-comune
Il gioco d’azzardo patologico tra prospettive e realtà
Il gioco d’azzardo e le slot machine (dette anche macchinette) ormai sono diventate una dipendenza per un gran numero di persone, in questo periodo storico. Un fenomeno alquanto allarmante secondo i dati diffusi dai Monopoli di Stato solo per quanto riguarda la provincia di Barletta-Andria-Trani.
Soltanto nella BAT [Provincia di Barletta-Andria-Trani] si è registrato che nel primo semestre del 2017 sono stati giocati all’incirca 250 milioni di euro, ad Andria oltre 60 milioni. Il picco è stato raggiunto in Puglia dove è stato calcolato che la media del gioco è pari a 1.500 euro pro capite, per una spesa complessiva di 82,61 milioni di euro, cifre davvero paurose che fotografano una situazione di dipendenza da non sottovalutare.
La dipendenza. Tale dipendenza è stata considerata una vera e propria malattia, riconosciuta anche come patologia chenecessita, pertanto, di un percorso psicologico guidato. Non vi sono limitazioni alle conseguenze e ai pericoli derivanti dalla dipendenza dal gioco. La smania di vincere porta il soggetto a giocare sempre più soldi per poi passare alla macchina, alle proprietà e al lavoro con il conseguente allontanamento dagli affetti familiari e alla perdita della dignità, dell’amore proprio e della propria vita.
Il sogno di una grande vincita che cambi radicalmente la propria vita, la convinzione di conoscere tutte le tecniche migliori per sfidare la macchinetta, questi sono i presupposti che portano ad una vera e propria dipendenza e quindi al fallimento personale ed economico del giocatore che diventa la vittima del sistema. Sebbene il gioco delle slot consista semplicemente nell’automatico e ripetitivo “premere il pulsante o abbassare la leva”, scaturisce, nella mente del giocatore, l’idillio o l’utopia che, esistano dei “trucchetti” per superare il cervello automatico e riuscire a vincere. In realtà, il sistema è generato secondo metodi matematici, attraverso l’utilizzo di generatori automatici di numeri casuali che producono un risultato altrettanto casuale dopo ogni giro della leva o del pulsante ivi presente. Non importa se si tira la leva o se si premono i tasti tutti allo stesso tempo, i numeri generati sono casuali. Le probabilità di vincita su una macchina sono le stesse che si trovano su tutte le altre, l’unica cosa che si ottiene giocando su due o più macchine è solo perdere i soldi!!!
Uscire mentre si sta vincendo è la cosa più difficile che un giocatore di slot possa fare, uscire quando tutte le probabilità sembrano essere a suo favore. Poiché i risultati sono generati in modo casuale, si potrebbe, in realtà, vincere una o due partite di fila, e perderne poi tre o quattro di fila, con la conseguente perdita di tutto il guadagno raggiunto fino a quel momento. Trovare una sequenza vincente non significa averne un’altra successivamente!!!
Il funzionamento del gioco d’azzardo. In un recente decreto dei Monopoli di Stato, infatti, viene descritto come deve funzionare il sistema delle VLT. Il RNG (Random Number Generator – Generatore di numeri casuali) può essere realizzato con programmi software e/o dispositivi hardware e deve risiedere nel sistema centrale. I numeri casuali devono essere generati, ai fini della determinazione degli esiti di ciascuna puntata, rispettando i criteri di casualità, indipendenza statistica, imprevedibilità. Il chip [microprocessore] misterioso, il cuore di una VLT, è programmato per dare un particolare punteggio di gioco su una percentuale predeterminata, il cosiddetto “vantaggio della casa”. Tutto si svolge in nanosecondi, il giocatore preme un tasto e la macchinetta fa tutto il resto, parliamo di numeri che vanno da 1 a 4 miliardi di combinazioni possibili in frazioni di decimo di secondo. Il gioco delle slot, pertanto, è un vero e proprio gioco d’azzardo, basato sulle probabilità di vincita che porta inesorabilmente alla distruzione personale ed economica del giocatore patologico.
La legge di Stabilità. A fronte di questa grave situazione, nel 2016 la legge di Stabilità ha previsto una sostanziale riduzione del numero di slot, mentre con il decreto di aprile 2017 sono state stabilite le modalità di attuazione fissando alcuni punti fermi: l’entità del taglio doveva essere calcolata rispetto ad una cifra e a una data. La cifra era di 407 mila apparecchi, la data era il 31 dicembre 2016, con tale operazione, tutti i concessionari avrebbero dato il loro contributo e nessuno di loro avrebbe deciso di opporsi al taglio. Durante il 2017 tutti questi concessionari si sono adeguati a questa tacita intesa ma c’è stato qualcuno che si è sottratto all’impegno ampliando addirittura il suo parco di slot.
Ma davvero la riduzione delle slot può portare ad arginare il fenomeno del gioco d’azzardo? Non dimentichiamo che il gioco online è sempre più diffuso, sono tantissimi i siti internet dove è possibile giocare in modo legale e sicuro, sotto il controllo dei Monopoli di Stato e lontano da occhi indiscreti e da giudizi critici.
Il decreto dignità. Con la Legge 9 agosto 2018, n. 96 il Parlamento ha convertito il Decreto-Legge 12 luglio 2018, n. 87, più noto con l’impegnativo appellativo di “Decreto Dignità”.
www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2018/08/11/18A05455/sg
In linea complessiva, tra le finalità perseguite dalla novella vi è quella di introdurre strumenti volti a consentire un efficace contrasto alla ludopatia al fine di incidere profondamente sul mercato pubblicitario concernente il gioco d’azzardo. In estrema sintesi, eccettuando per un momento il diverso problema delle scommesse, va detto che, secondo quanto dispone l’art. 110 del TULPS (Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza – R.D. 773/1931), si distingue tra giochi d’azzardo vietati e giochi leciti. Di questi ultimi sono specificate le caratteristiche indefettibili, che comprendono, tra l’altro, un attestato di conformità rilasciato dall’AAMS ed il collegamento ad una rete telematica nazionale, oltre al fatto che l’elemento dell’alea non può mai essere unico ed esclusivo, dovendo comunque combinarsi anche con quello dell’abilità del giocatore, il quale deve avere la possibilità di scegliere, all’avvio o nel corso della partita, la propria strategia, selezionando appositamente le opzioni di gara ritenute più favorevoli tra quelle proposte.
Inoltre, particolari restrizioni riguardano il costo della singola partita, la durata della partita, i premi erogati e il rapporto tra vincite e somme introdotte (co. 6 – 7).
Per i giochi che non risultino vietati dalla legge vige poi un meccanismo di autorizzazioni amministrative (impropriamente definito, anche dal TULPS, “concessioni”): in particolare, ai sensi degli artt. 86-88 TULPS, è necessaria una licenza del Questore per esercitare attività commerciali in cui vi siano «bigliardi o altri giochi leciti». Detta licenza, nel caso particolare delle scommesse (ovverosia quelle attività basate sulla pura alea, diversamente dai giochi), può però essere rilasciata solo a favore dei soggetti «concessionari o autorizzati da parte di Ministeri o di altri enti ai quali la legge riserva la facoltà di organizzazione o gestione delle scommesse, nonché ai soggetti incaricati dal concessionario o dal titolare di autorizzazione».
La giurisprudenza italiana ed europea. Il sistema delle concessioni relativo alle scommesse, peraltro, è stato al centro di una aspra querelle tra alcuni bookmaker [allibratori] stranieri e le istituzioni italiane, con riflessi sia in sede amministrativa che penale. Questo perché, come ha poi accertato a più riprese la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGCE, 6 novembre 2003, Gambelli et al., C-243/01; CGCE, Grande Sezione, 6 marzo 2007, Placanica et al., cause riunite C-338/04, C-359/04 e C-360/04; CGUE, IV Sez., sent. Costa e Cifone, 16 febbraio 2012, cause riunite C-72/10 e C-77/10) la disciplina italiana – per le particolari modalità di assegnazione delle autorizzazioni occorrenti per esercitare la raccolta e l’intermediazione di scommesse, che avvantaggiavano i precedenti concessionari rispetto ai competitor e rendevano praticamente impossibile l’accesso ai bandi di assegnazione per alcuni soggetti stranieri in ragione del proprio assetto societario – risultava in contrasto con gli articoli 49 e 56 TFUE e cioè incompatibile con le libertà di stabilimento e di prestazione di servizi riconosciuti dai Trattati Europei.
Pur partendo dalla necessità di non violare le libertà riconosciute dai Trattati, per contro, la Cassazione prima (Sez. III, 16 maggio 2012 – ud. 8 febbraio 2012 -, n. 18767) e la stessa Corte di Giustizia poi (CGUE, Sez. III, 22 gennaio 2015, Causa C-463/13) hanno chiarito che per ragioni di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica, espressamente previste dagli articoli 51 TFUE e 52 TFUE (applicabili anche in materia di libera prestazione di servizi ai sensi dell’articolo 62 TFUE), o per motivi imperativi di interesse generale (sentenza Digibet e Albers, C-156/13, EU:C:2014:1756) è possibile procedere alla restrizione delle attività connesse al gioco d’azzardo e ciò al fine di tutelare i consumatori, prevenire le frodi e contrastare la tendenza dei cittadini a realizzare spese eccessive legate al gioco.
Dunque, in questo specifico settore, le autorità nazionali dispongono di un ampio potere discrezionale per stabilire quali siano le misure che la tutela del consumatore e dell’ordine sociale richiedono di adottare, potendosi giungere a vietare parzialmente o totalmente oppure a imporre più o meno stringenti misure di controllo (v. sentenza Digibet e Albers, EU:C:2014:1756).
Resta, pertanto, da attuare le direttive e le limitazioni sotto tutti gli aspetti e soprattutto nell’ambito della tecnologia web, il fenomeno andrebbe frenato, occorrerebbe dare più informazione ai cittadini per contenere il gioco d’azzardo ed evitare che un gran numero di famiglie finisca sul lastrico.
Avvocato Adriana Scamarcio Studio Cataldi 14 dicembre 2019
www.studiocataldi.it/articoli/36627-il-gioco-d-azzardo-patologico-tra-prospettive-e-realta.asp
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MATERNITÀ
Congedo di maternità, astensione dal lavoro dopo il parto: istruzioni INPS
www.inps.it/bussola/VisualizzaDoc.aspx?sVirtualURL=/Circolari/Circolare%20numero%20148%20del%2012-12-2019.htm&iIDDalPortale=&iIDLink=-1
Congedo di maternità, la circolare INPS numero 148 del 12 dicembre 2019 ha spiegato le modalità per usufruirne dal parto in poi: alla lavoratrice è data la possibilità di astenersi dal lavoro dopo aver partorito, nei successivi 5 mesi. La circolare spiega i dettagli del periodo indennizzabile, le regole e la presentazione della domanda.
Congedo di maternità, astensione dal lavoro dopo il parto: istruzioni INPS. Congedo di maternità dopo il parto, con la circolare numero 148 del 12 dicembre 2019 l’INPS fornisce le istruzioni per le modalità di fruizione del periodo indennizzabile. Il documento spiega che alla lavoratrice è data la possibilità di scegliere di astenersi dal lavoro dopo il parto, nei successivi 5 mesi. Lo prevede l’articolo 1, comma 485, della legge 30 dicembre 2018, n. 145 (legge di bilancio 2019), che ha aggiunto il comma 1.1 all’articolo 16 del Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, di cui al Decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151. www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2018/12/31/18G00172/sg
www.parlamento.it/parlam/leggi/deleghe/01151dl.htm
I dettagli delle istruzioni INPS. Periodo indennizzabile di maternità. Facoltà di astenersi dal lavoro esclusivamente dopo l’evento del parto ed entro i cinque mesi successivi allo stesso. Istruzioni operative.
In particolare viene richiamato l’articolo 16 del Decreto legislativo n. 151/2001 che prevede che il congedo di maternità può essere fruito secondo i seguenti criteri:
- Durante i due mesi precedenti la data presunta del parto, salvo quanto previsto all’articolo 20;
- Ove il parto avvenga oltre tale data, per il periodo intercorrente tra la data presunta e la data effettiva del parto;
- Durante i tre mesi dopo il parto, salvo quanto previsto all’articolo 20;
- Durante i giorni non goduti prima del parto, qualora il parto avvenga in data anticipata rispetto a quella presunta. Tali giorni si aggiungono al periodo di congedo di maternità dopo il parto, anche qualora la somma dei periodi di cui alle lettere a) e c) superi il limite complessivo di cinque mesi.
Nel caso di interruzione di gravidanza successiva al 180° giorno dall’inizio della gestazione le lavoratrici possono riprendere l’attività con un preavviso di dieci giorni al datore di lavoro purché un medico attesti che non c’è pregiudizio alla loro salute. Negli altri casi la ripresa può avvenire entro 5 mesi dal parto.
Congedo di maternità dopo il parto: la documentazione sanitaria richiesta. L’attestazione del medico specialista del Servizio sanitario nazionale deve confermare che l’opzione non arrechi pregiudizio alla salute della futura madre e del figlio che nascerà. La documentazione deve essere acquisita nel corso del settimo mese di gestazione e deve confermare che non ci sono rischi fino alla data del parto. Ottenendo questa documentazione è possibile lavorare fino al giorno precedente alla data presunta del parto e far partire il congedo dal giorno successivo e per i successivi 5 mesi.
Può verificarsi il caso di parto fortemente prematuro, quando cioè l’evento avviene prima dell’inizio dell’ottavo mese di gestazione. In tal caso vengono ricompresi nel congedo anche i giorni che intercorrono tra la data effettiva del parto e l’inizio dei due mesi ante partum. L’opzione della lavoratrice di fruire di tutto il congedo di maternità dopo il parto ai sensi del comma 1.1 dell’articolo 16 sarà considerata come non effettuata.
Per quanto riguarda il rinvio e la sospensione del congedo di maternità è preclusa la possibilità di sospendere e rinviare il congedo di maternità per il ricovero del minore in una struttura pubblica o privata ai sensi dell’articolo 16-bis del D.lgs n. 151/2001. Ciò infatti non consentirebbe di rispettare il limite temporale dei cinque mesi entro cui fruire del congedo di maternità.
La lavoratrice ha inoltre la possibilità di gestire il periodo lavorativo con flessibilità, e lavorare anche dopo l’ottavo mese purché la necessaria certificazione medica attesti l’assenza di rischi. La documentazione sanitaria deve essere redatta da un medico specialista del Servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato e dal medico competente [specialista che effettua la sorveglianza sanitaria dei lavoratori]
www.agendadigitale.eu/sanita/gpdr-e-lavoro-il-medico-competente-responsabilita-e-ruolo/
Congedo di maternità dopo il parto, i casi in cui c’è rischio per la salute. La circolare 148 del 2019 spiega anche che ci sono alcune situazioni in cui è necessario seguire regole specifiche rispetto al quadro generale. Quando c’è il rischio per la salute della futura mamma o del figlio viene disposto quanto segue:
- Interdizione anticipata e prorogata: nei casi di interdizione dal lavoro per condizioni di lavoro o ambientali pregiudizievoli alla salute della donna e del bambino e quando la lavoratrice non possa essere spostata ad altre mansioni non è possibile riprendere l’attività lavorativa fino alla conclusione dell’interdizione prorogata.
- Prolungamento del diritto alla corresponsione dell’indennità di maternità: le lavoratrici che all’inizio del periodo di congedo di maternità non prestino attività lavorativa, ma che hanno il diritto all’indennità di maternità secondo quanto disposto dall’articolo 24 del D.lgs n. 151/2001, non possono avvalersi della facoltà di astenersi dal lavoro esclusivamente dopo l’evento del parto;
- Malattia: l’insorgere di un periodo di malattia prima dell’evento del parto impedisce di avvalersi dell’opzione di continuare a lavorare fino al giorno precedente al parto presunto in quanto ogni processo morboso in tale periodo comporta un “rischio per la salute della lavoratrice e/o del nascituro” che supera il giudizio precedente del medico. In questo caso dal giorno di insorgenza della malattia, la lavoratrice inizia il proprio periodo di congedo di maternità e le giornate di astensione obbligatoria non godute prima si aggiungono al periodo di congedo di maternità dopo il parto.
Congedo di maternità dopo il parto, l’opzione e la scelta di continuare a lavorare. Poiché la scelta del congedo di maternità è un’opzione che deve essere richiesta prima del parto, è possibile rinunciarvi. In questo caso i periodi ante partum lavorati prima della rinuncia saranno comunque computati come periodo di maternità, ma non saranno indennizzati, poiché la lavoratrice ha effettivamente lavorato. Saranno dunque indennizzati solo i giorni di congedo precedente al parto e successivi alla rinuncia e i tre mesi di quello dopo il parto, mentre per quelli lavorati, antecedenti alla rinuncia, la stessa sarà regolarmente retribuita dal datore di lavoro e coperta sul piano degli obblighi contributivi.
Nel caso di lavoro parziale l’indennità di maternità è riproporzionata, vista la riduzione dell’entità della prestazione lavorativa. Ciò vale per ogni tipo di part-time, sia orizzontale sia verticale. Qualora siano presenti due differenti lavori la scelta dell’opzione deve essere coerentemente la stessa.
In alcuni casi è previsto che in vece della madre sia il padre a fruire del congedo. In particolare quando ricorrono le seguenti situazioni:
- In caso di morte o di grave infermità della madre ovvero di abbandono;
- In caso di affidamento esclusivo del bambino al padre.
In questi casi il padre si può avvalere di tutta la durata dell’opzione anche se la lavoratrice aveva richiesto diversamente.
Congedo di maternità, la presentazione della domanda. La scelta della lavoratrice deve essere presentata attraverso domanda telematica di indennità di maternità e selezionando la specifica opzione. La domanda deve essere presentata prima dei due mesi che precedono la data prevista del parto e comunque mai oltre un anno dalla fine del periodo indennizzabile, per non mandare in prescrizione il diritto all’indennità.
Le modalità di presentazione della domanda sono le seguenti:
- Invio telematico, direttamente sul sito web istituzionale INPS e con PIN dispositivo;
- Tramite Patronato;
- Attraverso il Contact center.
La documentazione medico-sanitaria deve essere presentata in originale direttamente allo sportello presso la struttura INPS territoriale oppure spedita come raccomandata in un plico chiuso e con la seguente dicitura: “contiene dati sensibili”.
Tommaso Gavi
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MEDIAZIONE
La mediazione al centro dell’attenzione
In una società in cui famiglie e società vivono frequentemente situazioni conflittuali, con il diffondersi di comportamenti altamente litigiosi, diventano sempre più necessari gli interventi di mediazione in grado di aiutare le persone, i gruppi e le organizzazioni a realizzare accordi in favore della diffusione del benessere relazionale.
L’approfondimento della riflessione in un convegno internazionale, l’avvio del Master e il progetto di ricerca con gli operatori in formazione.
I comportamenti altamente litigiosi sempre più diffusi – nelle coppie separate, nella scuola, nei quartieri e nelle realtà sociali – rendono sempre più urgenti gli interventi di mediazione in grado di aiutare le persone, i gruppi e le organizzazioni a realizzare accordi in favore della diffusione del benessere relazionale. L’intervento di un terzo imparziale, infatti, diventa prezioso in una società in cui famiglie e società vivono frequentemente situazioni conflittuali e transizioni difficili che possono essere relative sia alle diverse fasi della vita, come la separazione e il divorzio, che a relazioni sociali più complesse.
Diventa dunque sempre più decisivo l’approfondimento della riflessione su questo intervento e la formazione di operatori adeguati a realizzarlo, oggetto da decenni di un importante attività teorica e di ricerca da parte del Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia, da cui è scaturito un modello e uno stile di intervento, che ha raccolto un rinnovato interesse nel corso del recente convegno internazionale Conflitti, fiducia e mediazione: percorsi di ricerca e formazione tenutosi in Università Cattolica del Sacro Cuore il 23 novembre 2019 scorso, in collaborazione con ASAG, l’Alta scuola di psicologia Agostino Gemelli.
La grande varietà degli ambiti in cui la mediazione si rivela preziosa è stata messa in luce dagli interventi dei docenti italiani, tra cui Giancarlo Tamanza e Donatella Bramanti, co-direttori del Master in Mediazione familiare e comunitaria, e anche dai contributi dei relatori europei come Janet Smithson, Senior Lecturer della Scuola di Psicologia dell’Università di Exeter, e Javier Wilhelm Wainsztein, dell’Università Pompeu Fabra di Barcellona.
https://asag.unicatt.it/asag-master-mediazione-familiare-e-comunitaria
In Inghilterra, dove il processo di mediazione è a pagamento (fino al 2012 era gratuito, anche se ancora oggi tutti devono avere un colloquio informativo prima di comparire davanti al giudice), la ricerca, svoltasi tra il 2011 e il 2014 (coinvolgendo un ampio campione di 6647 mediandi, 40 avvocati e 96 genitori), ha rilevato un elevato grado di soddisfazione negli attori coinvolti, ma anche una fatica dello stare nella stanza, fornendo, come ha spiegato la Smithson, elementi utili per la formazione dei mediatori.
Da parte sua Wilhelm Wainsztein ha sottolineato la funzione sociale del mediatore di produrre una convivenza diversa nelle città, nelle organizzazioni del lavoro e nel mondo dello sport, offrendo strumenti e risorse affinché il cittadino sviluppi le proprie capacità nella gestione dei conflitti. A questo scopo, però, è indispensabile creare un quadro legislativo europeo che garantisca l’accesso alla mediazione, come un diritto per tutti i cittadini, ma anche un obbligo per i poteri politici.
Nel corso del convegno è emersa con chiarezza la sottolineatura dell’importanza della riflessione sulla realizzazione degli interventi, sulle buone pratiche in materia e sulla formazione congruente con i bisogni emergenti, un fine a cui si dedicherà per la dodicesima volta il Master di secondo livello in Mediazione familiare e comunitaria realizzato con la partecipazione di due Facoltà, Psicologia e Scienze della formazione, avvalendosi dell’esperienza del Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia, in collaborazione con il Laboratorio di Ricerca sui Processi di Mediazione e del Servizio di Psicologia Clinica per la coppia e la famiglia.
In questa edizione, che prenderà le mosse a febbraio del 2020, sono da segnalare alcune importanti innovazioni, frutto di un approfondito lavoro di riflessione sull’esperienza realizzata sinora alla luce dell’evoluzione del quadro sociale e culturale. In particolare la stretta collaborazione con enti e associazioni, che partecipano attivamente alla realizzazione del progetto formativo, permetterà la realizzazione di stage e tirocini, di fondamentale importanza per una preparazione più approfondita.
https://asag.unicatt.it/asag-mediazione-familiare-e-comunitaria-programma-e-calendario
A ribadire lo standard altamente professionalizzante del Master, inoltre, è previsto l’affiancamento all’intero percorso di un progetto di ricerca realizzato con i mediatori in formazione, i quali hanno la possibilità di focalizzare l’attenzione sia sulla trasmissione dei contenuti che sul modo in cui vivono emotivamente le attività proposte e intessono relazioni con il gruppo dei colleghi. Una ricerca, proposta come parte integrante dell’esperienza formativa, che ha una ricaduta positiva sull’intero staff e sulla riprogettazione: l’introduzione di uno “sguardo terzo” consente infatti di rimettere in moto processi che arricchiscono il percorso in termini di senso e significato, come insegna il Modello Relazionale Simbolico.
Renata Maderna Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia newsletter 11 dicembre 2019
https://centridiateneo.unicatt.it/famiglia-ricerca-la-mediazione-al-centro-dell-attenzione
Ascoltare lasciando traccia
Che cosa può legare le voci di persone differenti in luoghi tanto diversi come un carcere o un ospedale in Italia, un contesto familiare in Colombia o sull’isola di Lampedusa, realtà tutte che è possibile “ascoltare” nel trentunesimo Quaderno del Centro Famiglia?
www.vitaepensiero.it/scheda-libro/autori-vari/ascoltare-lasciando-traccia-9788834339312-369354.html
Proprio l’ascolto, il filo conduttore, come segnala il titolo, di Ascoltare lasciando traccia. Buone prassi di mediazione relazionale simbolica a cura di Donatella Bramanti e Costanza Marzotto.
L’attenzione sull’ascolto, un momento del processo di mediazione che spesso è poco considerato, a vantaggio delle fase di negoziazione, è infatti al centro di alcuni dei più significativi contributi di un Convegno internazionale svoltosi in Università Cattolica del Sacro Cuore nell’ottobre del 2017 promosso dallo staff del Master in Mediazione familiare e comunitaria e dall’Associazione MEDeS, che raggruppa mediatori di varie aree di provenienza (psicologi, avvocati, assistenti sociali, educatori) che hanno in comune la passione per la mediazione e che fanno riferimento al modello relazionale simbolico (Scabini e Cigoli, 2000; 2012).
https://centridiateneo.unicatt.it/famiglia-Ascoltare_loc_(1).pdf
Tecniche, metodologia di lavoro e finalità dell’azione mediativa, infatti, sono un insieme articolato ed accuratamente definito dalla pratica pluriennale di centinaia di operatori formatisi al Centro che intervengono in situazioni conflittuali interne alla famiglia, alla coppia e alle comunità, come scuole, ospedali e quartieri “che non solo hanno udito, hanno ascoltato, lasciando tracce”.
I lettori stessi si trovano dunque a prestare ascolto ai figli di genitori separati all’interno di un Gruppo di parola o agli allievi aiutati a gestire i conflitti nelle classi oppure agli ex sequestrati o ex guerriglieri e i loro famigliari al termine della guerra civile a Bogotá sostenuti dai mediatori e diventano consapevoli di come un certo modo di ascoltare lasci una traccia sia in chi prende parola sia in chi la riceve.
Il tema del miglioramento della qualità delle relazioni interesserà anche chi non fa mediazione professionalmente ma abbia a cuore i legami familiari e comunitari, consapevole che il conflitto avvenga e sia importante proprio tra coloro che sono legati da vincoli significativi.
Renata Maderna Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia newsletter 11 dicembre 2019
https://centridiateneo.unicatt.it/famiglia-formazione-ascoltare-lasciando-traccia
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MINORI
Ascolto del minore nelle azioni di status: chiarimenti dalla Cassazione
Corte di Cassazione, prima Sezione civile, ordinanza n. 28521, 6 novembre 2019
https://sentenze.laleggepertutti.it/sentenza/cassazione-civile-n-28521-del-06-11-2019
Nelle azioni di status, l’ascolto del minore, anche in base alla Convenzione Onu sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, ratificata dall’Italia con legge 27 maggio 1991 n. 176, è un elemento necessario per raggiungere il giusto equilibrio tra favor veritas e favor minoris.
www.camera.it/_bicamerali/infanzia/leggi/l176.htm
Pertanto, una pronuncia del giudice di merito, che salta la fase dell’ascolto sulla base di una non fondata e accertata incapacità di discernimento del minore, deve essere annullata. E’ la Corte di Cassazione a stabilirlo con l’ordinanza che ha portato all’annullamento della pronuncia della Corte di appello di Torino e al rinvio ai giudici di appello, in diversa composizione. A rivolgersi alla Cassazione era stato un uomo il quale contestava la decisione dei giudici di Torino che, nell’ambito di un procedimento di disconoscimento di paternità del figlio, non avevano ritenuto di procedere all’ascolto del minore sostenendo che quest’ultimo aveva una “dubbia capacità di discernimento” a causa di problemi di linguaggio.
La Cassazione ha accolto il ricorso sostenendo che la legge n. 219 del 10 dicembre 2012 prevede l’ascolto del minore anche nel procedimento di disconoscimento di paternità.
www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2012/12/17/012G0242/sg
https://leg16.camera.it/561?appro=542
Inoltre – osserva la Suprema Corte – in base all’articolo 12 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo www.camera.it/_bicamerali/leg14/infanzia/leggi/Legge%20176%20del%201991.htm
e, ancor prima, secondo gli articoli 3 e 6 della Convenzione di Strasburgo del 25 gennaio 1996, ratificata dall’Italia con legge n. 77 del 20 marzo 2003, l’audizione doveva essere disposta.
www.minori.gov.it/sites/default/files/legge_2003_n_77.pdf
“Il diritto di essere ascoltato è un diritto assoluto del minore, ultradodicenne o infradodicenne capace di discernimento e costituisce una modalità tra le più rilevanti del riconoscimento del suo diritto fondamentale ad essere informato e ad esprimere le proprie opinioni nei procedimenti giudiziari che lo riguardano”.
In questo senso, quindi, l’obbligo di audizione può essere derogato solo in mancanza della capacità di discernimento per i minori infradodicenni e in presenza di particolari situazioni. A tal proposito, la Suprema Corte ha anche precisato che un eventuale ritardo nello sviluppo del linguaggio non può portare all’esclusione dell’ascolto perché è evidente che ciò non è prova di una minore capacità di discernimento. L’ascolto del minore, inoltre, ha un particolare valore nelle azioni di status, incluse quelle sul disconoscimento della paternità tenendo conto delle ricadute sui rapporti affettivi e personali sottostanti al rapporto di filiazione. Certo, la Cassazione non dubita circa la possibilità di ripercussioni sul minore, ma è il giudice a dover predisporre le condizioni per garantire l’audizione del bambino con il minor impatto su quest’ultimo, senza omettere una fase necessaria per l’adozione di una corretta decisione.
Marina Castellaneta 13 dicembre 2019
www.marinacastellaneta.it/blog/ascolto-del-minore-nelle-azioni-di-status-chiarimenti-dalla-cassazione-children-and-right-to-be-heard-the-court-of-cassation-on-the-status.html
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NULLITÀ DEL MATRIMONIO
Lui/lei non vuole figli: come annullare il matrimonio
Corte di Cassazione, prima Sezione civile, ordinanza n. 32027, 9 dicembre 2019
Dopo un anno di matrimonio in cui non avete usato contraccettivi, non avete avuto ancora un bambino. Ora, però, che gli hai fatto presente la tua speranza di restare incinta e di rivolgerti a uno specialista che vi assista in questo importante percorso, lui ti ha confessato di non avere alcuna intenzione di farlo. La sorpresa per la decisione del tuo coniuge è tanto maggiore quanto più pensi al fatto che il suo disinteresse verso i bambini non ti era mai stato manifestato durante gli anni di fidanzamento. All’esito di ciò, seppur con tanto dolore, anche tu hai fatto la tua scelta: intendi lasciarlo per sempre visto che non hai alcuna intenzione di rinunciare al tuo sogno di diventare mamma. Ti chiedi allora come annullare il matrimonio se lui/lei non vuole figli.
Come ricordato più volte dalla giurisprudenza, è possibile far dichiarare la nullità del matrimonio nel caso in cui venga accertata la volontà del coniuge di non avere figli. Il vizio deve però essere accertato dal tribunale ecclesiastico e poi “convalidato” dal tribunale civile. Si tratta, quindi, di un doppio procedimento, all’esito del quale, tuttavia, è possibile cancellare completamente gli effetti del precedente matrimonio, con alcune importanti conseguenze. La prima di queste è l’impossibilità di richiedere l’assegno di mantenimento (poiché non v’è stata alcuna unione, cessano anche gli obblighi conseguenti al divorzio). La seconda è che il coniuge che intende risposarsi potrà farlo in chiesa.
Chiaramente, il procedimento è attivabile sia dalla moglie che dal marito, sebbene sia statisticamente più improbabile che la donna non voglia gravidanze e che di ciò non ne faccia partecipe prima il marito.
- Nullità o annullamento del matrimonio. Il matrimonio può essere nullo o annullabile sia per violazione delle regole del nostro Codice civile che in base a quelle del diritto canonico. Iniziamo dalla prima delle due ipotesi.
- Rivolgendosi al tribunale civile ordinario è possibile chiedere la cancellazione del matrimonio (ossia la nullità o l’annullamento) per una serie di vizi elencati dalla legge. Questi sono:
- La violenza morale o fisica (ad esempio: «Se non mi sposi ti lascio per sempre» oppure «Se mi sposi, non ti sfratterò di casa»);
- Il timore di eccezionale gravità derivato da cause esterne;
- Errore sull’identità dell’altro coniuge;
- Errore sulle qualità personali dell’altro coniuge (ad esempio, una malattia fisica o psichica, una sentenza di condanna per delitto non colposo alla reclusione non inferiore a 5 anni; condanna per delitti concernenti la prostituzione a pena non inferiore a 2 anni; stato di gravidanza, ecc.);
- Simulazione (ciascuno dei coniugi può impugnare il matrimonio se prima della sua celebrazione gli sposi hanno concluso un accordo per non adempiere agli obblighi e non esercitare i diritti matrimoniali);
- Mancanza assoluta del consenso degli sposi (come, ad esempio, nel matrimonio celebrato all’estero per gioco o divertimento);
- Mancanza delle condizioni per contrarre matrimonio (ad es. mancanza della diversità di sesso, mancanza della libertà di stato, interdizione per infermità di mente, minore età, vincoli di parentela, ecc.).
Il termine per impugnare il matrimonio è generalmente molto breve. Nei casi in cui è possibile chiedere l’annullamento del matrimonio la relativa azione, anche se soggetta al termine di prescrizione decennale, non può essere proposta se gli sposi hanno coabitato per un anno dopo la cessazione della violenza o delle cause che hanno determinato il timore di eccezionale gravità oppure dalla scoperta dell’errore.
Come si vede, nell’elenco delle cause per far dichiarare nullo o annullabile il matrimonio dal giudice civile non è presente il caso della volontà di non avere figli. È prevista solo, tra le malattie fisiche, l’impotenza permanente e inguaribile. È invece esclusa, da alcuni tribunali, l’esistenza di problemi ad avere rapporti sessuali.
Nullità del matrimonio concordatario. Il matrimonio – solo quello concordatario, ossia celebrato in chiesa – può essere nullo anche per violazione delle regole del diritto ecclesiastico. Se il matrimonio concordatario è viziato secondo le regole del diritto canonico, ciascuno dei coniugi può agire davanti alle autorità ecclesiastiche per ottenere una sentenza di nullità. Tale procedura è, quindi, preclusa a chi si sposa [solo] in Comune.
Provenendo da un altro ordinamento giuridico, tale sentenza può produrre effetti civili in Italia solo se dopo viene convalidata dal tribunale civile. Ciò avviene con il procedimento di delibazione richiesto da uno dei coniugi.
Tra le numerose cause di invalidità del matrimonio concordatario disciplinate dal diritto canonico, vi è la simulazione del consenso. Questa ricorre quando uno o entrambi i coniugi escludono, con un atto di volontà, il matrimonio (simulazione totale) negando qualsiasi valore a tale istituzione oppure negando un suo elemento o proprietà essenziale (cosiddetta bona matrimonii per cui si ha simulazione parziale) come ad esempio:
- La volontà di avere figli (bonum prolis), con l’astensione da rapporti sessuali o l’uso di anticoncezionali o tramite l’aborto;
- L’indissolubilità del vincolo;
- L’obbligo di fedeltà;
- L’obbligo di perseguire il bene comune della coppia (bonum coniugum), non costituendo una relazione interpersonale;
- La sacralità del matrimonio (bonum sacramenti), sposandosi solo per ragioni di opportunità sociale.
Nullità matrimonio se lui/lei non vuole figli. Per ottenere l’annullamento del matrimonio in caso di riserva mentale (come il fatto di non credere nell’indissolubilità del matrimonio o nel non volere avere figli) è necessario che tale riserva sia stata manifestata all’altro coniuge e da questi sia stata ignorata. Se, invece, non è stata mai manifestata, ed è rimasta solo “a livello interiore”, non si può chiedere l’annullamento.
L’escamotage è spesso utilizzato da alcuni mariti che, chiedendo – grazie alle “maniche larghe” di alcuni tribunali ecclesiastici – la nullità del matrimonio, cercano di ottenere anche l’annullamento di ogni obbligo relativo al versamento dell’assegno di mantenimento.
Secondo la Cassazione, è ammessa la delibazione della nullità ecclesiastica del matrimonio se il coniuge aveva sentore che l’altro non voleva figli. Un elemento rilevatore di un atteggiamento psichico contrario potrebbe essere il fatto che prima del matrimonio il partner voleva solo rapporti protetti.
La Suprema Corte ha ricordato che la sentenza ecclesiastica dichiarativa della nullità del matrimonio religioso per esclusione da parte di un coniuge di uno dei “bona” matrimoniali, quale quello relativo alla prole, e cioè per una ragione diversa da quelle di nullità previste per il matrimonio civile dal nostro ordinamento, non impedisce il riconoscimento dell’esecutività della sentenza ecclesiastica, quando quella esclusione, ancorché unilaterale, sia stata portata a conoscenza dell‘altro coniuge prima della celebrazione del matrimonio, o, comunque, questi ne abbia preso atto, ovvero quando vi siano stati concreti elementi rivelatori di tale atteggiamento psichico non percepiti dall’altro coniuge solo per sua colpa grave.
La delibazione trova, infatti, ostacolo nella contrarietà al principio di ordine pubblico italiano di tutela della buona fede e dell’affidamento incolpevole solo qualora la divergenza unilaterale tra volontà e dichiarazione non sia stata manifestata all’altro coniuge. Nel caso in esame, ha concluso la Cassazione, il tribunale ha accertato che la donna conosceva, o in ogni caso avrebbe potuto conoscere con ordinaria diligenza, la volontà dell’altro coniuge, manifestata con indici rivelatori prima del matrimonio, di esclusione della prole proprio per via dell’uso di tecniche contraccettive.
Riflettori puntati, quindi, sulla circostanza dei presunti «rapporti cautelati» tra i futuri coniugi, circostanza ritenuta sufficiente dai giudici per consentire al coniuge di prendere contezza della «riserva mentale dell’ex» sull’ipotesi di avere figli. Ebbene, per i giudici della Cassazione correttamente si è osservato in secondo grado che «la donna conosceva, o, in ogni caso, avrebbe potuto conoscere con ordinaria diligenza, la volontà del marito», cioè il rifiuto di avere figli, alla luce di precisi «indici rivelatori» manifestatisi prima del matrimonio. E il riferimento è ovviamente all’elemento richiamato in ambito ecclesiastico, cioè i «rapporti cautelati» avuti dalla coppia quando ancora non erano sposati.
Come chiedere la nullità del matrimonio se lui/lei non vuole figli. Dall’8 dicembre 2015, è in vigore una nuova disciplina che ha riformato il processo canonico per le cause di nullità del matrimonio concordatario (essa è stata introdotta da due provvedimenti “Motu proprio” di Papa Francesco del 15 agosto 2015 che hanno modificato il Codex iuris canonici – Codice di diritto canonico). La riforma ha semplificato la procedura e reso più rapido e accessibile tale processo.
Il processo canonico per ottenere la nullità del matrimonio concordatario può essere avviato solo dai coniugi e non da terzi.
Il tribunale ecclesiastico può essere individuato indifferentemente in base al luogo in cui:
- È stato celebrato il matrimonio;
- Uno o entrambi i coniugi hanno il proprio domicilio;
- Di fatto si devono raccogliere la maggior parte delle prove.
Giudice di prima istanza è il Vescovo che può esercitare tale funzione personalmente o per mezzo di soggetti delegati. Le cause sono decise da un collegio di 3 giudici, presiedute da un chierico, mentre gli altri 2 giudici possono essere laici.
I coniugi introducono il giudizio con un ricorso (denominato “libello “) che deve riassumere per sommi capi il motivo o i motivi in fatto e diritto per cui si intende annullare il matrimonio.
Nei casi in cui la nullità del matrimonio non è sostenuta da argomenti particolarmente evidenti, il vescovo dispone che la causa sia trattata secondo un processo ordinario. Esso si compone delle seguenti fasi:
- Udienza preliminare, denominata contestazione della lite, nella quale è definito l’oggetto della controversia ossia è determinato il capo di nullità su cui il giudice è chiamato a pronunciarsi;
- Istruzione della causa in cui sono raccolti tutti gli elementi di prova. Essa prevede l’audizione dei coniugi e dei testimoni indicati dalle parti e, per le cause particolarmente complesse, l’intervento di un perito specialista (psicologo, psichiatra, ginecologo o andrologo, a seconda del caso specifico da sottoporre a indagine), nominato dal giudice;
- Fase decisoria in cui il collegio si riunisce a porte chiuse nel giorno e all’ora prefissati per valutare tutto il materiale probatorio raccolto ed emettere il parere conclusivo sulla causa. Il dispositivo circa la nullità o meno del matrimonio viene votato dai giudici a maggioranza assoluta;
- Stesura della sentenza in cui vengono pubblicate le motivazioni alla base della decisione.
Il vescovo può giudicare le cause di nullità matrimoniale secondo una procedura più breve quando ricorrono le seguenti condizioni:
- La domanda è proposta da entrambi i coniugi, o da uno di essi, col consenso dell’altro;
- Ricorrono circostanze di fatti e persone, sostenute da testimonianze o documenti, che non richiedono un’inchiesta o un’istruzione accurata e rendono manifesta la nullità.
È prevista un’unica sessione istruttoria in cui le parti assistono alle deposizioni e il tribunale assume le prove. Terminata tale fase si passa direttamente alla fase decisoria. Se dalle prove risulta certa la nullità del matrimonio, il vescovo decide con sentenza in cui deve esporre in maniera breve e ordinata i motivi che la sorreggono. Le circostanze che rendono manifesta la nullità del matrimonio sono ad esempio:
- Mancanza di fede che porta a simulare il consenso;
- Brevità della convivenza coniugale;
- Aborto procurato per impedire la procreazione;
- Ostinata permanenza in una relazione extraconiugale al tempo delle nozze o in un tempo immediatamente successivo;
- Occultamento doloso della sterilità o di una grave malattia contagiosa o di figli nati da una precedente relazione;
- Occultamento doloso di una precedente carcerazione;
- Causa del matrimonio del tutto estranea alla vita coniugale o consistente nella gravidanza imprevista della donna;
- Violenza fisica inferta per estorcere il consenso;
- Mancanza di uso di ragione comprovata da documenti medici.
Affinché la sentenza del tribunale ecclesiastico possa produrre effetti anche in ambito civile è necessario il cosiddetto exequatur, ossia un decreto di esecutività, emesso dal Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica presso la Santa Sede.
Per riconoscere effetti civili in Italia a una sentenza di nullità pronunciata da un tribunale ecclesiastico munita di exequatur, uno o entrambi i coniugi devono presentare alla Corte d’Appello una domanda di delibazione. Si tratta di una declaratoria di validità che consente di annotare la sentenza nei registri dello stato civile e permette ai coniugi di riacquistare la libertà di stato. Solo in questo modo la sentenza avrà valore anche per la legge italiana.
La legge per tutti 10 dicembre 2019
Ordinanza www.laleggepertutti.it/345957_lui-lei-non-vuole-figli-come-annullare-il-matrimonio
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PEDIATRIA
Malattie rare: con goccia sangue screening metabolico salva 700 neonati l’anno
Lo screening neonatale rende possibile identificare numerose malattie, anche gravissime, entro i primi giorni di vita dei neonati, anche quando questi non abbiano ancora mostrato alcun segno o sintomo. Il percorso che si articola in un test minimamente invasivo – che avviene sul prelievo di una sola goccia di sangue – consente la conferma diagnostica in caso di positività e la tempestiva presa in carico dei bimbi che si rivelino affetti da una delle patologie oggetto dell’indagine. Si calcola che, con l’attuale panel, ogni anno si arrivi a circa 700 diagnosi in più l’anno per neonati affetti da malattie gravi o potenzialmente mortali.
Il punto è stato fatto oggi al convegno ‘Screening neonatale: dai progetti pilota all’adeguamento del panel’ organizzato da Osservatorio Malattie Rare – con il patrocinio dell’Osservatorio Screening, della Fondazione Telethon e di Aismme (Associazione italiana sostegno malattie metaboliche ereditarie) onlus – al ministero della Salute. “L’Italia è stata ‘bravissima’ – sottolinea Ilaria Ciancaleoni Bartoli, direttore Osservatorio Screening Neonatale – perché si è guadagnato un record di copertura con lo screening metabolico tale da aver ‘salvato’ circa 700 bimbi l’anno, in cui sono state individuate e trattate precocemente condizioni potenzialmente mortali. Ora possiamo fare di più estendendo il panel di patologie per le quali offrire i test: i criteri sono che il test sia facilmente accessibile e attendibile e che per quella determinata malattia esistano opzioni terapeutiche valide”. Il prelievo viene eseguito presso il centro nascita prima che il bambino lasci l’ospedale: in Italia, per legge, fra le 48 e le 72 ore di vita.
Oggi, per effetto della legge 167/19 agosto 2016 www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2016/08/31/16G00180/sg
e del relativo Decreto attuativo del ministero della Salute del 13 ottobre 2016 in Italia viene effettuato lo ‘screening neonatale metabolico esteso’: viene cioè ricercata la presenza di 49 diverse malattie (incluse le 3 precedentemente obbligatorie). www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2016/11/15/16A08059/sg
Tra queste la fibrosi cistica, l’ipotiroidismo congenito, la fenil-chetonuria (obbligatorie già dal 1992) e altri difetti congeniti del metabolismo intermedio (inserite grazie alla legge del 2016).
Queste condizioni costituiscono circa il 10% delle malattie rare, e possono causare seri problemi di salute a partire dall’età neonatale o infantile oltre ad essere in certi casi potenzialmente letali. La diagnosi e il trattamento precoce possono invece prevenire la comparsa di disabilità fisiche e intellettive, nonché evitare la morte.
L’elenco delle patologie che vengono ricercate obbligatoriamente in tutti i neonati, e in modo uniforme in tutte le Regioni, viene detto ‘Panel nazionale‘. Oggi, a tre anni dall’entrata in vigore della legge 167, quasi tutte le Regioni – è stato evidenziato all’incontro – si sono adeguate e offrono ai propri neonati il percorso di screening, in alcuni casi applicando anche un ‘panel’ più ampio attraverso leggi regionali o progetti pilota.
Il processo di adeguamento è stato piuttosto veloce, basti pensare che – stando ai dati dei rapporti annuali Simmesn, Società italiana per lo studio delle malattie metaboliche ereditarie e lo screening neonatale – nel 2017 su 458.000 neonati il 78.3% era stato sottoposto a screening, un solo anno dopo, nel 2018, la copertura era salita all’85% e, infine, nel 2019 si è arrivati al 96.5%: rimangono fuori soltanto i bimbi della Calabria, l’unica Regione a non essersi messa in regola.
www.lasaluteinpillole.it/salute.asp?id=54063
Malattie rare: per 96% neonati screening metabolico, nel 2012 era il 25%
Italia leader in Europa in tema di politiche sullo screening neonatale. “Prima della legge 167/2016 nel nostro Paese venivano ricercate solo 3 patologie, pochissime Regioni avevano un panel più ampio, nel 2012 poteva beneficiarne solo 1 neonato su 4 (il 25%). Oggi, a soli 3 anni dall’entrata in vigore della legge, la copertura è arrivata al 96,5% dei neonati, un progresso enorme che consente di diagnosticare e aiutare circa 700 bimbi ogni anno”.
Lo ha evidenziato Giancarlo la Marca, presidente della Società italiana malattie metaboliche e screening neonatale (Simmesn), in occasione del convegno ‘Screening neonatale: dai progetti pilota all’adeguamento del panel’ organizzato da Osservatorio Malattie Rare – con il patrocinio dell’Osservatorio Screening, della Fondazione Telethon e di Aismme onlus – all’Auditorium del ministero della Salute.
Per effetto della legge 167/2016, detta anche ‘Legge Taverna’, in Italia vengono ricercate obbligatoriamente, su tutti i neonati, oltre 40 malattie metaboliche rare potenzialmente invalidanti o mortali sulle quali è possibile intervenire efficacemente prima che facciano danni irreversibili: è lo screening metabolico allargato, che è in attesa però di includere anche le patologie neuromuscolari genetiche, le immunodeficienze combinate severe e le malattie da accumulo lisosomiale, come previsto dell’Emendamento Volpi approvato nella passata Legge di Bilancio. “L’Italia, grazie a questa normativa – ha evidenziato Fabio Massimo Castaldo, vice presidente del Parlamento Europeo – è leader in Europa in tema di politiche sullo screening neonatale.
È proprio questa la direzione verso la quale deve muoversi la nostra sanità: la prevenzione. Tuttavia, penso sia nostro dovere guardare oltre e pretendere di più, per il bene del futuro dei nostri figli e nipoti.
Ce lo chiedono soprattutto i nostri neonati, e salvare la loro vita deve essere una nostra priorità”. “Mentre nel nostro Paese vengono cercate oltre 40 malattie – ha confermato Carlo Dionisi Vici, responsabile Uoc di Patologia Metabolica, Dipartimento di medicina pediatrica, Irccs Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma – e offriamo un percorso efficace di presa in carico a tutela della loro salute, Francia, Regno Unito e Spagna non arrivano a testarne 10″.
I dati del rapporto annuale della Simmesn mostrano la velocità di adeguamento dell’Italia: nel 2017 la copertura era già arrivata al 78,3%, nel 2018 la percentuale era salita all’85% per poi progredire fino all’attuale 96,5%. “La 167/2016 conferma come una buona legge possa avere una sua efficacia terapeutica, proprio come un buon farmaco – ha evidenziato Paola Binetti, membro della commissione Igiene e sanità del Senato e presidente dell’Intergruppo parlamentare malattie rare – ed è certamente un incentivo perché il Parlamento metta mano velocemente a quei Ddl che aspettano da anni di essere approvati. A cominciare dalle leggi quadro sulle malattie rare, che con taglio diverso sono in discussione al Senato e alla Camera. I malati rari attendono con impazienza che si affrontino con coraggio una serie di nodi rimasti finora insoluti, per ottenere più fondi per la ricerca. Abbiamo bisogno di dare un nome a tante malattie che paradossalmente sono ancora orfane di nome per poterle inserire nei nuovi modelli di screening neonatale allargati.
E’ il primo passo per immaginare di poterle curare”. “Stiamo lavorando per costruire, attraverso un percorso condiviso, una nuova cornice normativa per le malattie rare – ha detto Fabiola Bologna, componente della Commissione Affari Sociali della Camera – e dopo una serie di audizione con tutti gli stakeholder [soggetti coinvolti di una posta in gioco]siamo pronti a lavorare al testo condiviso, il tema dello screening neonatale senza dubbio rientra quelli che inseriremo. Sono fiduciosa che per il prossimo anno avremo una legge capace di rendere migliore il percorso di diagnosi e presa in carico delle persone con malattia rara”.
Adnkronos Salute 10 dicembre 2019
www.lasaluteinpillole.it/salute.asp?id=54061
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PSICOLOGIA
Intelligenza emotiva
Dalla collaborazione tra Interago Academy e CRSLaghi – Centro Ricerche e Studi dei Laghi, è nato uno strumento gratuito per misurare online, attraverso un semplice link [collegamento, accesso], il proprio livello di Intelligenza Emotiva. L’Intelligenza Emotiva è una delle soft skill [caratteristiche personali, abilità e competenze] più importanti e ricercate nell’attuale mercato del lavoro: chi la possiede infatti sa riconoscere le proprie e altrui Emozioni e sa come gestirle in base al contesto in cui si trova, creando un clima collaborativo e riducendo sensibilmente i conflitti attorno a sé. Il tool [strumento, mezzo], destinato al grande pubblico, è un questionario – caratterizzato da domande chiare e accessibili – realizzato da ricercatori scientifici specializzati nell’ambito delle Scienze Umane e permette all’utente di ottenere un report completo sul proprio livello di Intelligenza Emotiva, senza fornire i propri dati sensibili.
Il tool è raggiungibile all’indirizzo https://emotionalitest. Il questionario, parte di una ricerca scientifica di più ampio raggio condotta da Interago Academy e CRSLaghi, ha l’obiettivo di fornire una fotografia del livello medio di Intelligenza Emotiva degli Italiani.
Le risposte ottenute dalla compilazione dei questionari saranno quindi aggregate in forma anonima e inserite all’interno della ricerca scientifica, che si completerà nel 2020. Lo studio, avviato nei mesi scorsi, ha già coinvolto migliaia di aziende sul territorio nazionale, che hanno deciso di condividere con il gruppo di ricerca i propri dati riguardo la spesa e la tipologia di investimenti in formazione per sviluppare le competenze di Intelligenza Emotiva del proprio personale. Il questionario è aperto a chiunque.
Tutti coloro che decideranno di compilarlo al linkhttps://emotionalitest.it potranno subito scaricare un report individuale e anonimo in formato PDF [Portable Document Format] che indica il proprio livello di Intelligenza Emotiva, misurando:
• l’abilità di valutare le proprie Emozioni • l’abilità di valutare le Emozioni degli altri
• l’abilità di regolare le proprie Emozioni • l’abilità di regolare le Emozioni degli altri
• l’abilità di utilizzare tali Emozioni per guidare il proprio pensiero e le proprie azioni
Inoltre sarà possibile richiedere, sempre gratuitamente, copia della ricerca scientifica che ha coinvolto le aziende e prenotare la ricerca completa che sarà presentata al mondo scientifico nel 2020, inviando una email a teamricerca@interagoacademy.it
Info e Dettagli: Interago Academy – Progetta e realizza in tutta Italia percorsi formativi individuali, di gruppo, per scuole e aziende nell’ambito della Psicologia Relazionale, ed è inoltre partner di progetto di diverse Ricerche Scientifiche.
Il comitato scientifico, dall’esperienza pluridecennale, si compone di psicologi, psicoterapeuti, terapisti EMDR, Trainer, Coach, emotusologi [analisti del comportamento emozionale] e consulenti in comunicazione relazionale. www.interagoacademy.it
www.crslaghi.net
Adnkronos Salute 13 dicembre 2019
www.lasaluteinpillole.it/salute.asp?id=54107
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SALUTE
Benessere: rischi burnout in ufficio per 9 adulti su 10, meditazione ‘scudo’
La meditazione scudo abbassa i livelli di stress, riduce l’assenteismo, incrementa la concentrazione e migliora la produttività lavativa. Sono solo alcuni dei benefici della meditazione che, secondo alcuni esperti, rappresenta un antidoto al ‘burnout’ [sindrome patologico di un processo stressogeno che interessa, in varia misura, diversi operatori e professionisti che sono impegnati quotidianamente e ripetutamente in attività che implicano le relazioni interpersonali ] sul posto di lavoro, un esaurimento psicologico che incombe su 9 adulti su 10, come stima un’indagine di Caba pubblicata sul portale web ‘The Sun’.
“Cercare ogni giorno uno spazio di silenzio e immobilità è fondamentale per uscire dal tritacarne delle cose da fare che finisce per paralizzarci. Dalla meditazione proviene la calma che rende lucida la mente e porta equilibro nelle emozioni”, spiega Andrea Di Terlizzi, fondatore della casa editrice Inner Innovation Project nonché coautore del libro ‘7 Punti per vivere meglio’ assieme ad Antonella Spotti. “Lo stress continuativo uccide, nel vero senso della parola, ed è per questo che per essere performanti mentalmente occorre avere una mente sempre lucida e concentrata, calma e ricettiva, acuta e osservatrice. Così come il corpo ha bisogno di riposo, anche la mente trae giovamento da una pausa, ma per farlo bisogna attivare una funzione della coscienza ovvero la consapevolezza.
Bastano 15 minuti al giorno di meditazione – assicura – per calmare il flusso di pensieri e sentirsi più rilassati. Ovviamente si tratta di un approccio elementare alla disciplina, ma iniziare in questo modo può dare risultati importanti sotto il profilo psicologico e psicofisico.
Facendolo, ognuno potrà stabilire se cercare un insegnante per approfondire”.
Adnkronos Salute 10 dicembre 2019
www.lasaluteinpillole.it/salute.asp?id=54059
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SOCIOLOGIA
Sta cambiando il vento
Ogni anno, puntualissimo, agli inizi di dicembre arriva il Rapporto del Censis (il Centro studi investimenti sociali) sullo stato di salute dell’Italia. Di questo 53º rapporto hanno parlato in molti in questi giorni, mettendo in evidenza soprattutto gli aspetti critici della società italiana (colpa – ahimè! – anche di una certa titolazione “sensazionalistica” che caratterizza il Rapporto). Leggendolo con attenzione, però, al di là degli innegabili ed oggettivi problemi – la sfiducia nei confronti del prossimo, il senso di incertezza sul futuro, il forte calo demografico, la disoccupazione che è percepita dagli italiani come il problema numero uno, la stentata crescita economica dello “zero virgola”… –, c’è anche molto altro.
Uno dei primi dati che emerge è la percezione che nel nostro Paese sia in atto un mutamento: la gente sembra essersi stancata (o iniziare a stancarsi) del rancore e del livore che hanno segnato pesantemente gli anni appena trascorsi. Un rancore trasversale, che ha toccato diversi ambiti del vivere civile, a cominciare dalla politica, che – stando a quanto emerge dal Rapporto – è colpita da una disaffezione crescente: i politici sono in testa alle figure che gli italiani non vorrebbero vedere in una trasmissione televisiva (in terza posizione di questa “classifica a rovescio” si trovano, purtroppo, i religiosi!). Non si tratta certo ancora di un cambio di rotta, tuttavia è un indizio di una trasformazione che potrebbe avviarsi. Il fenomeno delle “sardine” può essere ricondotto a questo incipiente desiderio di svolta? Lo si vedrà col tempo. Sembrano confermare questa tendenza al cambiamento gli sforzi per una comunicazione più corretta e rispettosa: penso alla vasta eco che ha ottenuto il manifesto “Parole-o-stili” che traduce nel mondo dei social questa volontà di una comunicazione più umana. Anche il dato, certo ambiguo e preoccupante, che quasi il 50% degli italiani desideri un “uomo forte al comando” può essere interpretato come un appello alla politica perché la smetta di accapigliarsi in beghe da conventicola e finalmente prenda decisioni e governi – aggiungiamo noi – per il bene dell’intera nazione.
Il Rapporto mette in luce altri indizi interessanti. Con linguaggio un po’ roboante il Censis parla del “furore di vivere” degli italiani. Il furore, che può sembrare qualcosa di negativo, in questo caso assume una valenza positiva: è il desiderio di vivere che spinge a trovare delle soluzioni ai problemi endemici della società italiana. Finché gli Italiani sapranno trasformare la loro ansia in furore, il Paese – nonostante tutti i suoi problemi – continuerà ad andare avanti. Questo furore, che – per usare un termine di moda – è capacità di resilienza, stando al Rapporto persiste e questo è decisamente un buon segnale.
Altro dato sorprendente è la percezione di una rinnovata – seppur timida – fiducia nell’Europa: più del 60% degli Italiani è a favore dell’Euro e vuole rimanere nella Comunità Europea, vedendo in questa appartenenza maggiori benefici rispetto ad un’eventuale Italexit (l’uscita dell’Italia dall’Europa). Sta tornando a crescere anche la fiducia in alcune categorie professionali, come i medici e i giornalisti, che in questi anni sono state screditate da alcuni settori dell’opinione pubblica.
Un ulteriore elemento interessante è che complessivamente il sistema produttivo del Nord ha saputo reggere alla crisi del 2008 e può dire di esserne uscito. Mentre dal Sud la gente continua ad andarsene, il Milanese e l’Emilia (e il Veneto a poca distanza) riescono a trattenere meglio la popolazione e sono anche centro di attrazione ed aggregazione. Il Rapporto riconosce poi ai borghi e ai comuni italiani una salutare vivacità che continua ad animare il territorio e a tenere unite le comunità con mille iniziative: dai festival, agli eventi culturali, sino alle sagre paesane (più volte esplicitamente citate dal Censis!).
Tanti indizi, quindi, di una società che cerca di reagire, un po’ inventando strategie di sopravvivenza e un po’ adattandosi, con quella creatività che tutti ci riconoscono ma anche con una certa dose di “italico” opportunismo. Il vento allora sta cambiando? Troppo presto per dirlo. Quello che può fare la differenza ora è una visione di futuro: avere un’idea sul domani, riconoscere una meta comune per tutto il Paese. Al momento sembra che questo manchi e sembra difficile che possa venire (solo) dalla politica. Forse verrà da altri settori, quelli più sani e più validi della nostra società: nonostante i tanti problemi, l’Italia è pur sempre la nazione dalle risorse sorprendenti.
Alessio Magoga,direttore “L’Azione” (Vittorio Veneto) 13 dicembre 2019
https://agensir.it/italia/2019/12/13/sta-cambiando-il-vento/
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SINODO
La difficile via dei ministeri femminili
Quando ho scritto l’ultimo articolo per Rocca, proprio a ridosso della chiusura del Sinodo dei vescovi sull’Amazzonia, il fatto di dover gettare uno sguardo globale al documento conclusivo, così ampio e ricco di contenuti diversi, non consentiva di approfondire in particolare nessuno dei temi affrontati e delle questioni rimaste aperte. In particolare la questione del ruolo delle donne e dei ministeri, problema chiave nella chiesa cattolica – in quella amazzonica a causa delle ben note emergenze pastorali, ma anche in quella universale –, richiede un supplemento di riflessione da parte di tutti.
L’insidia dei ministeri ‘solo’ femminili: l’apartheid di genere. Il 28 ottobre 2019, il giorno dopo la chiusura del Sinodo, la biblista Marinella Perroni (docente emerita di Nuovo testamento al Pontificio Ateneo Sant’Anselmo, fondatrice del Coordinamento delle Teologhe italiane) in un’intervista rilasciata al sito quotidiano.net esprimeva in modo lucido e pacato le sue impressioni, sia positive sia perplesse, su alcune scelte del Sinodo panamazzonico a questo riguardo. Il suo pensiero è ben sintetizzato fin dall’inizio: «Il Sinodo sull’Amazzonia dimostra che non si possono più chiudere le porte alle donne, le pressioni per assegnare loro finalmente dei veri e propri ministeri ecclesiali hanno fatto presa sui vescovi. La tendenza, però, è, almeno in parte, quella di un’apartheid di genere, con la creazione di incarichi specifici solo per le fedeli e senza esercizio di autorità». Infatti la proposta uscita dal Sinodo di istituire nuovi ministeri ‘solo’ per le donne, e in particolare quello della «donna dirigente di comunità» (a nessuno può sfuggire la disperante goffaggine della denominazione, ma forse sarà un bene: proprio la goffaggine denuncia l’anomalia con un’efficacia che un discorso ‘liscio’ non avrebbe) non può essere in nessun modo soddisfacente per una coscienza femminile evoluta: quando un ministero viene dichiarato in partenza ‘femminile’, risulta ghettizzante. E nemmeno giova a risolvere i problemi più urgenti sul piano pastorale: visto il modo in cui funzionano le cose e la necessità dell’Ordine sacro per qualunque esercizio di autorità nelle strutture ecclesiali, la «donna dirigente di comunità» può fare moltissimo, e lo fa, di solito anche molto bene, e tuttavia può decidere ben poco da sola; è necessaria quantomeno la presenza di un diacono per avallare il suo operato. Notiamo pure che si parla di ‘dirigente’ e non di responsabile, anche se le donne che ‘già’ svolgono questo complesso e molteplice ministero sono di fatto, se non di diritto, le responsabili della pastorale in una certa zona. Non sarebbe meglio parlare semplicemente di coordinatore o coordinatrice di comunità, secondo i casi? O ‘dirigente’ e basta, se proprio si vuole, visto che è parola di genere comune? Chi mai direbbe «uomo dirigente»? È noto che nella regione amazzonica nel 70% dei casi, qualcuno dice l’80%, sono le donne a rendersi disponibili per lo svolgimento di un ministero ecclesiale, tanto più se con carattere di stabilità: crediamo che in Italia le percentuali non siano molto diverse.
Il Sinodo avanza un’altra richiesta a papa Francesco, cioè quella di ammettere le donne ai ministeri istituiti: lettorato e accolitato. Frutto del Concilio, furono istituiti da papa Paolo VI nel 1972 con il motu proprio Ministeria quædam, nel quale è chiaramente specificato che, «secondo la veneranda tradizione della Chiesa latina», sono riservati agli uomini. Riservati, beninteso, nel senso della stabilità e del mandato ecclesiale. Perché, come ministri di fatto, le donne già proclamano le letture nell’azione liturgica, a eccezione del vangelo; e lo fanno più degli uomini, semplicemente perché nell’assemblea liturgica il numero delle presenze femminili supera di molto quello delle presenze maschili; ma il ministero esercitato ‘di fatto’ è realtà ben diversa rispetto a quella di chi agisce in base a un mandato ecclesiale riconosciuto dall’assemblea. Il ministero di fatto in teoria richiederebbe un’autorizzazione caso per caso, il che è abbastanza folle oltreché scomodo. Nel concreto delle assemblee l’autorizzazione è ‘presunta’. Le donne possono pure esercitare funzioni abbastanza corrispondenti a quelle dell’accolito, attraverso l’istituzione del ministero straordinario dell’Eucaristia (1980). Ministero straordinario, però. Il che equivale a dire che normalmente una donna in quel ruolo non dovrebbe esserci.
Diciamo così, in modo un po’ compunto e burocratico, visto che per molti il termine «preti sposati» sembra avere ancora qualcosa di intimamente sconveniente. Il documento preparatorio del Sinodo chiedeva che si riflettesse sulla possibilità di ordinare al ministero uomini anziani di buona fama con una normale vita familiare: i cosiddetti viri probati, dunque (ma nel documento preparatorio si evitava di adoperare questo termine, e così pure nel documento finale), di cui si è cominciato a parlare fin dai tempi del Concilio Vaticano II e si è parlato ancora negli ultimi anni, sotto la spinta di vere e proprie emergenze pastorali. Quella della regione amazzonica è un’emergenza assoluta: in certe zone capita un prete a celebrare la Messa e ad amministrare i sacramenti non più di una volta l’anno, altrove gli anni possono essere anche due o tre. Devo dire che, pur essendo personalmente molto favorevole all’ammissione (o, in certi casi, ri-ammissione) al ministero di persone sposate, purché abbiano le qualità necessarie – e, certo, non solo in Amazzonia –, nutrivo qualche perplessità sull’opportunità ecclesiale di ordinare al ministero questi anziani, anche di fede generosa e di buona fama, avvertendo il rischio che venisse a formarsi, benché per necessità, un clero di serie B: i preti che sono celibi, e che hanno studiato teologia per alcuni anni prima di essere ordinati, potrebbero considerarsi o venir considerati di categoria superiore rispetto a loro. Si sa anche che a questa età (età della pensione, più o meno) le persone tendono ad avere una forma mentis ormai consolidata, e talvolta poco aperta al nuovo. E poi essere anziani dovrebbe conferire sì maggiore stabilità di vita e di carattere, e più saggezza – il che peraltro non è automatico –; ma anche una speranza di vita necessariamente meno lunga, una salute meno robusta, maggiore facilità a stancarsi, in qualche caso difficoltà di concentrazione o di memoria, e via dicendo: tutte cose che certo non giovano all’attività pastorale in zone difficili.
Ma i circa quaranta «no» registrati su questo punto (il più controverso) durante la votazione del documento scaturivano piuttosto dal pensiero che l’innovazione non poteva rimanere circoscritta dai confini pur vasti della regione amazzonica e dalla sua pur effettiva emergenza pastorale; ma avrebbe avuto una ricaduta (perlomeno di mentalità, anche se non subito di prassi) nella chiesa cattolica di tutto il mondo, introducendo cambiamenti profondi nella stessa autocoscienza del clero e, facendo passare a poco a poco l’idea dell’opzionalità del celibato: timore più volte espresso nell’Aula sinodale e in diversi circuli minores. In realtà il cambiamento è già avvenuto, anche se la chiesa se ne accorge con l’abituale ritardo.
La teologa Cristina Simonelli, presidente del Coordinamento delle teologhe italiane, ha parlato di una sorta di «estrattivismo ecclesiale e teologico» (si sa che l’estrattivismo, in senso stretto, è la tendenza a depredare l’Amazzonia delle sue risorse naturali, senza riguardi per gli abitanti e dell’ambiente), cioè di «uno sfruttamento del coraggio e delle difficoltà di quelle chiese per poter discutere quello che la vecchia Europa sembra voler lasciare al disagio comune ma inespresso o a piccoli gruppi che possono essere considerati velleitari». Il timore di certi padri sinodali che la concessione si estendesse al di fuori dei confini amazzonici non ha indotto ad affossare la proposta, bensì a correggerla: nelle zone più remote e più difficili da raggiungere, si chiede che il papa autorizzi l’ordinazione di uomini sposati a patto che siano già diaconi permanenti. Questo sembra un fatto positivo, in quanto assicura almeno un minimo di regolare preparazione al ministero. Inoltre non si esclude in partenza che la stessa soluzione possa venire adottata anche oltre le frontiere della regione amazzonica, a livello mondiale. Il Sinodo dei vescovi sull’Amazzonia apre alla possibilità, per quella regione pastorale, di «ordinare sacerdoti uomini idonei e riconosciuti della comunità, che abbiano un diaconato permanente fecondo e ricevano una formazione adeguata per il presbiterato, potendo avere una famiglia legittimamente costituita e stabile». Notiamo con piacere che la clausola dell’età matura o avanzata è caduta, e quindi si ammette che il prete possa avere non solo una famiglia «legittimamente costituita e stabile», ma anche un’amorosa e intera vita coniugale: eventualità ancora temuta che, nella mentalità corrente (soprattutto dei vecchi celibi), la vecchiaia consentirebbe di scongiurare. Nel documento è previsto anche che «il vescovo possa affidare, con un mandato a tempo determinato, in assenza di sacerdoti, l’esercizio della cura pastorale delle comunità ad una persona non investita del carattere sacerdotale, che sia membro della comunità stessa», eventualmente a rotazione. Ma resta sempre «il sacerdote, con la potestà e la facoltà di parroco, ad essere il responsabile della comunità». Quindi, aggiungiamo noi, le comunità in zone scomode sono destinate a non avere un responsabile: infatti non può essere tale il prete che fa la sua comparsa una volta l’anno oppure ogni due o tre anni, deve visitare moltissime parrocchie e non può veramente conoscere caratteristiche e problemi di nessuna.
L’autorità delle donne è ancora temuta. Non è ancora passata, e questa rimane una delle più gravi insufficienze del Sinodo, la proposta di ammettere le donne al diaconato. Papa Francesco però si è impegnato a riconvocare, integrandola, la Commissione ad hoc che aveva costituito nel 2016, e che si era sciolta nell’impossibilità di raggiungere risultati certi. Il documento finale del Sinodo avanza pure la giusta richiesta (n.103) di avere accesso ai documenti di quella Commissione, visto che ripartire da zero sarebbe un inutile spreco di tempo e di energie. A qualcuno sembra che la Commissione del 2016 non abbia concluso nulla; ma ciò dipende in parte dalla poca libertà e poca trasparenza imposte dall’esterno al suo lavoro, in parte dal fatto che i dati storici non si possono inventare quando non ci sono. Sappiamo che nella chiesa antica le diacone c’erano, e venivano ordinate con l’imposizione delle mani; su quelle che erano esattamente le loro prerogative e i loro ruoli, nessuno a quanto pare ha pensato a ragguagliarci; d’altra parte nell’antichità potevano esserci notevoli differenze disciplinari e liturgiche tra le diverse chiese e ciò non costituiva un problema. Ma soprattutto, perché in duemila anni le situazioni dovrebbero rimanere immutate? La Chiesa ha cambiato tante volte la sua prassi, in moltissimi ambiti, ogni volta che esigenze pastorali sembrassero renderlo necessario.
Un vescovo ‘in pensione’ e un soffio di giovane speranza. Sul numero di dicembre della rivista «Vita Pastorale» è apparsa un’interessante intervista della giornalista Maria Pia Bonanate a mons. Raffaele Nogaro, vescovo emerito di Caserta, il quale – sono parole dell’intervistatrice – nei 26 anni in cui ha guidato la diocesi si è mostrato sempre in prima linea a chiedere giustizia e rispetto verso le persone, nelle battaglie contro la corruzione, le infiltrazioni della camorra nella politica, le discariche che hanno partorito «la terra dei fuochi». Oggi fa semplicemente il prete povero tra i poveri, e questa definizione è di don Luigi Ciotti. Tra il vescovo emerito e la sua intervistatrice si è stabilito un colloquio di tono familiare parlando della Chiesa che papa Francesco «tra resistenze e ostilità, sta cercando di restituire a Cristo». A questo riguardo il vescovo emerito parla di una «rivoluzione copernicana» operata dall’attuale papa, il quale non perde occasione di sottolineare che non è la Chiesa a salvare, bensì Cristo. «I sacramenti sono mediazioni, ma chi ti salva, chi dà una direzione alla nostra vita è il Vangelo». Invece, dice mons. Nogaro, Oggi la Chiesa segue più volentieri la legge di Mosè che il Vangelo, e appare imbrigliata in un clericalismo che «è la palla ai piedi della Chiesa. Francesco è l’uomo del Vangelo, che per lui è al di sopra del Papa, dei concili, della teologia e del diritto canonico».
A partire da questa novità fondamentale ma tuttora incompiuta, Nogaro con la libertà dei suoi 85 anni invita papa Francesco a portare a termine due riforme che, a suo parere, lascerebbero nella Chiesa un segno indelebile.
- La prima: i preti non devono più essere una casta privilegiata di amministratori del sacro, ma veri testimoni dello Spirito santo, capaci di vincere le tentazioni del potere, della ricchezza, del prestigio sociale.
- La seconda riguarda la disparità di genere, ovvero le donne e la discriminazione di cui sono ancora oggetto in quanto donne. Gesù «ha valorizzato più la donna che gli uomini (…). La Chiesa non dà alla donna nessun compito importante di responsabilità. Perché non si può affidare a una donna, nominata cardinale (niente lo vieta, non c’è nessun sacramento) di presiedere a tutte le istituzioni femminili?».
Ammettiamo pure che questa proposta, non nuova, non è entusiasmante: i cardinali forse non dovrebbero nemmeno esistere, essendo entrati nel sistema solo a un certo punto come alti funzionari e ‘prìncipi della Chiesa’, per i quali il riferimento al ministero vero è secondario. Ma si intuisce che il pensiero del vescovo Nogaro va ben oltre l’esemplificazione. Egli sottolinea che la società civile sta diventando più consapevole della violenza di genere, e prosegue: «Dobbiamo avere il coraggio di dire che anche nella Chiesa si esercita una continua violenza nei confronti del mondo femminile, al quale non si lascia lo spazio dovuto e il ruolo voluto da Cristo. Le si relega in forme di subordinazione e dipendenza, che umiliano le donne, eterne gregarie e portatrici d’acqua, spesso sfruttate ed emarginate».
Lilia Sebastiani Rocca n. 24 – 15 dicembre 2019, pag. 40
www.rocca.cittadella.org/rocca/s2magazine/moduli/NEWSPAPER/getFile.jsp?filename=moduli%2FNEWSPAPER%2FPDF%2Fabbonati%2F01012020%2FRocca01del2020.pdf
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