NewsUCIPEM n. 782 – 8 dicembre 2019

                                NewsUCIPEM n. 782 – 8 dicembre 2019

Unione Consultori Italiani Prematrimoniali E Matrimoniali

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“Notiziario Ucipem” unica rivista ufficiale – registrata Tribunale Milano n. 116 del 25.2.1984

Supplemento online. Direttore responsabile Maria Chiara Duranti. Direttore editoriale Giancarlo Marcone

News gratuite si propongono di riprendere dai media e inviare informazioni, di recente acquisizione, che siano d’interesse, di documentazione, di confronto e di stimolo per gli operatori dei consultori familiari e quanti seguono nella società civile e nelle comunità ecclesiali le problematiche familiari e consultoriali. Sono così strutturate:

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02 ABUSI SUI MINORI                                   Le diocesi stanno formando (finalmente) le commissioni

03 ACCOGLIENZA FAM. TEMPORANEA L’affidamento è solidarietà ai bambini

04                                                                          Quanti sono i minori fuori famiglia? Neanche in Italia è dato saperlo

04 ADOZIONI INTERNAZIONALI                 E della crisi si accorge anche la grande stampa

05                                                                          Una grande novità dalla Cina

05 ADOZIONI NAZIONALI                            Ogni anno più di 300 minori adottabili restano senza famiglia.

06 ASSEGNO MANTENIMENTO FIGLI     Il mantenimento ordinario: determinazione e quantificazione

08 ASSEGNO DIVORZILE                               Assegno più alto alla ex che rinuncia a studiare per i figli

08 A. I. C. C. e F.                                              Giornata di studio. Bologna 20 ottobre 2019

09 CAMMINO SINODALE                             Germania: avviato il “cammino sinodale

12 CENTRO INTERN. STUDI FAMIGLIA   Newsletter CISF – n. 44, 27 novembre 2019

13 CONFERENZA EPISCOPALE ITAL.        «Sulla protezione dei minori la Chiesa italiana è determinata»

16                                                                          Tribunali ecclesiastici italiani in materia di nullità matrimoniale

16                                                                          La vita è una promessa di bene

16 CONSULTORI FAMILIARI                        “Il cortile delle mamme” con Fondazione COF – Monza

17 COORDINAZIONE GENITORIALE         Istruzioni per l’uso

19 DALLA NAVATA                                         Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria

19                                                                          Il sì di Maria l’eccomi che cambia la storia

19DONNE NELLA CHIESA                           La teologia incarnata delle donne                                                        

21 FRANCESCO VESCOVO DI ROMA        Applica5 idee di Benedetto XVI venendo tacciato di comunismo

22 MATRIMONIO                                           La fine del matrimonio delle persone fragili prive di capacità   

23 METAPOLITICA                                          Le sardine e l’ascolto: una questione seria.

25 PASTORALE                                                 Matrimonio civile e benedizione degli anelli

26                                                                          Vi abbiamo ignorato, scusateci!

27 PSICHIATRIA                                               Disturbi da ansia

28                                                                          Ansiosi? No, estremamente intelligenti

28 TEOLOGIA                                                    Dio? È laico come me. Un libro del teologo Castillo

30                                                                          Ecoteologia di liberazione. L’etica della cura

32                                                                          Teologia morale: un nuovo Dizionario

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ABUSI SUI MINORI

Abusi sessuali nella chiesa: le diocesi stanno formando (finalmente) le commissioni

www.chiesacattolica.it/wp-content/uploads/sites/31/2019/08/15/Linee-guida-per-la-tutela-dei-minori-e-delle-persone-vulnerabili.pdf

In attuazione delle Linee Guida per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili emanate nel giugno scorso dalla Conferenza Episcopale Italiana e dalla Conferenza Italiana Superiori Maggiori, il vescovo di Reggio Emilia-Guastalla Massimo Camisasca ha istituito la Commissione diocesana per la tutela dei minori.

            Lo scopo è favorire la diffusione di una cultura della prevenzione, attraverso strumenti di formazione e informazione, portando il contributo di competenze educative, mediche, psicologiche, canonistiche, giuridiche, pastorali e comunicative. Fra i compiti, anche la gestione di segnalazioni di vittime di abusi (Gazzetta di Reggio, 2 dicembre 2019).

Il progetto anti abusi a Verona, Nei giorni scorsi è stata la diocesi di Verona ad avviare una iniziativa analoga. La commissione diocesana è formata da Giuseppe Comotti, docente universitario e avvocato; Francesca Negrini, neuropsichiatra infantile; Sara Pasetto, psicologa e psicoterapeuta; Valentina Giraldi, assistente sociale; e presieduta dal referente diocesano don Matteo Malosto, direttore del Centro pastorale ragazzi diocesano. Tutte persone nominate ad quinquennium in ragione della loro fede e di comprovata competenza in ambito pastorale, pedagogico, sociale e legale. La commissione raccoglie le segnalazioni mediante una casella di posta elettronica quindi procede con la verifica delle informazioni e l’ascolto delle persone interessate (daily.veronanetwork.it, 21 novembre 2019).

La diocesi di Milano ha avviato dal mese di settembre del 2018 la “Commissione diocesana per la tutela dei minori”, presieduta dal Vicario generale e ha tra i componenti donne e uomini con competenze teologiche, psicologiche, pedagogiche, giuridiche e pastorali. Compito principale è di suggerire o introdurre quanto è necessario od opportuno – mediante iniziative formative e di sensibilizzazione, protocolli di comportamento e tutto quanto risulterà utile ai fini preventivi – per una più efficace prevenzione di abusi sui minori o sugli adulti che hanno un uso imperfetto della ragione, e che possono essere compiuti da adulti – ministri ordinati, consacrati, consacrate, laici e laiche – che svolgono compiti educativi nelle realtà diocesane: parrocchie, oratori, associazioni cattoliche e scuole cattoliche o di ispirazione cristiana (www.chiesadimilano.it, settembre 2018).

Consulenza ad personam a Bergamo. Da qualche mese anche nella diocesi di Bergamo è nato un Servizio diocesano tutela minori, che ha tra i suoi compiti anche quello di studiare e approfondire gli aspetti attinenti alla sicurezza del minore e di svolgere consulenza in singoli casi (Agensir, 26 febbraio2019).

I casi di Perugia e Bolzano. Tra le prime diocesi ad avviare questo servizio è stata la diocesi di Perugia, nel 2011, in seguito allo scandalo di un sacerdote indagato. La Commissione nacque con questa motivazione: «Nel costituire la Commissione diocesana di indagine, la Curia si è voluta dotare di uno strumento ulteriore per approfondire la vicenda e conoscerne al più presto la verità. E’ desiderio di tutti che si stabilisca un clima sereno nella nostra comunità diocesana, necessario al proficuo prosieguo del lavoro della stessa Commissione di indagine, lavoro che riteniamo estremamente importante» (Perugia Today, 2011).

            Nel 2010 la diocesi di Bolzano avviò lo stesso servizio, per «promuovere una cultura di attenzione nelle relazioni interpersonali, nel rispetto reciproco e nell’assunzione della responsabilità nei confronti delle persone vittime di abuso» (www.bz-bx.net).

            La diocesi di Noto. In Sicilia, la diocesi di Noto (Siracusa) ha costituito un Ufficio Pastorale per le fragilità che si occupa di accogliere le persone in situazioni di sofferenza, in particolare modo chi ha subito abusi sessuali e fisici, che viene subito affiancato da un team di esperti. Lo Statuto di questo Ufficio è stato firmato nel giorno di Natale dello scorso anno. «Le diocesi – commenta ad Aleteia Don Fortunato Di Noto, fondatore dell’associazione Meter e, da sempre in prima linea contro gli abusi sui minori – si stanno attivando in tutta Italia per costituire, in ogni regione, il Servizio Regionale Tutela Minori. Ne fanno parte i referenti delle diocesi, che dovrebbero essere esponenti delle Commissioni diocesani. Quindi, dopo le indicazioni del Papa e della Cei, qualcosa di concreto inizia a muoversi un po’ ovunque, per dare un taglio di approfondimento serio a questa problematica». Però, aggiunge Don Fortunato, il vero nodo resta la formazione. «Bisogna individuare persone serie, equilibrate, realmente impegnate e qualificate. Nessun arrembaggio! Formiamo i formatori nel modo adeguato: la sfida è tutti qui. Ben vengano le commissioni, ma a monte non bisogna mai trascurare l’aspetto della formazione, e poi della trasparenza: gli uffici devono visibili, pubblici, identificabili. Una persona che vuol denunciare l’abuso deve poterlo fare con minor disagio possibile».

            Gelsomino Del Guercio          4 dicembre 2019

https://it.aleteia.org/2019/12/04/lotta-abusi-sessuali-chiesa-commissioni-diocesi/?utm_campaign=NL_it&utm_source=daily_newsletter&utm_medium=mail&utm_content=NL_it

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ACCOGLIENZA FAMILIARE TEMPORANEA

L’affidamento è solidarietà ai bambini

Sarebbe bello che tutti i bambini trovassero nella propria famiglia adulti in grado di sostenerli nel processo di crescita, di offrire loro sicurezza mentre imparano a diventare autonomi, affetto senza soffocarli, guida autorevole senza violenza (psicologica o fisica).

Che tutti i bambini avessero non tanto “genitori perfetti”, che non esistono da nessuna parte, ma genitori responsabili e consapevoli, anche dei propri limiti, quindi anche capaci e disponibili a farsi aiutare, a condividere con altri, dentro, ma anche fuori dalla rete familiare, la responsabilità di far crescere bene un bambino.

Non sono disposizioni e capacità che si sviluppano automaticamente dal dato biologico della procreazione. Richiedono maturità, processi di apprendimento, disponibilità emotiva e cognitiva. Crescere un bambino, inoltre, non può essere una avventura solitaria. Va condivisa, innanzitutto tra genitori (se ci sono entrambi), ma anche con altri – nonni, zii, insegnanti, anche amici – che possano costituire persone di riferimento aggiuntive per i piccoli e anche sostenere i genitori in momenti di difficoltà, o stanchezza.

La normale consapevolezza dei propri limiti, la disponibilità alla condivisione delle responsabilità e la capacità di chiedere aiuto, e la possibilità di farlo, tuttavia, purtroppo non sempre ci sono, o sono sufficienti. Uno o entrambi i genitori possono essere seriamente inadeguati rispetto alla responsabilità di crescere un figlio, mettendone a rischio lo sviluppo e talvolta la vita stessa.

Possono non avere nel loro intorno famigliare e amicale una rete di sostegno sufficiente, o adeguata al bisogno, o rifiutarla per un malinteso senso di autonomia e autosufficienza. In questi casi è assolutamente necessario che si attivino reti di relazione e protezione anche istituzionali, innanzitutto a difesa del bambino, al suo diritto a ricevere cure adeguate, a crescere in un ambiente sicuro anche dal punto di vista relazionale e affettivo.

Salvo che nei casi in cui vi è il fondato sospetto, o l’acquisita certezza, di violenze e di rischi gravi per la bambina, in cui interviene il Tribunale dei minori, il primo intervento non comporta l’allontanamento provvisorio dalla famiglia, quindi il collocamento in una comunità o in una famiglia affidataria.

Comporta invece un lavoro con la famiglia, i genitori e possibilmente il loro intorno sociale, per aiutarli a far fronte alle loro responsabilità e per individuare le criticità. Queste possono essere di ordine economico, ma più spesso sono di ordine culturale, cognitivo, psicologico. Mentre le difficoltà economiche possono essere, almeno in linea di principio, di agevole soluzione, le altre lo sono meno, richiedono tempi lunghi e non sempre si risolvono.         

Per compensarle, mettendo in sicurezza la bambina pur mantenendo la relazione genitoriale, può bastare un rafforzamento della rete di sostegno formale e informale e una maggiore presenza dei servizi educativi e sociali. Altre volte, tuttavia, questo non è sufficiente. Per la sicurezza del bambino ed anche per dare la possibilità ai, o al genitore di riprendersi, o di maturare un equilibrio soddisfacente, è necessario ricorrere all’allontanamento temporaneo, vuoi in modo consensuale, vuoi ricorrendo al tribunale.

Si tratta sempre di decisioni drammatiche, veri e propri atti di riduzione del danno. Per questo non sono prese a cuor leggero. Contrariamente a ciò che sostengono coloro che hanno fatto del caso Bibbiano una bandiera a favore della “famiglia naturale” a prescindere e contro i servizi sociali percepiti come prepotenti intrusi, i servizi sociali e le famiglie affidatarie non “rubano i bambini” senza motivo a genitori con cui stanno bene. Ci possono essere casi specifici in cui si è agito, anche in buona fede, troppo frettolosamente, senza adeguate verifiche.

            Occorre sicuramente rafforzare i servizi di sostegno alla genitorialità e investire nella formazione e supervisione di chi opera nel campo delle fragilità famigliari, evitando decisioni troppo solitarie o basate su stereotipi del “buon genitore” (soprattutto della “buona madre”). Ma è anche necessario non adagiarsi nell’idea che la famiglia “naturale” sia sempre e comunque il luogo più sicuro e migliore in cui crescere. Non sempre, purtroppo, è così. E l’affido famigliare è uno straordinario strumento di solidarietà a favore di bambini, e genitori, in più o meno temporanea difficoltà.

Chiara Saraceno                    La Repubblica, 5 dicembre 2019

www.ristretti.org/index.php?option=com_content&view=article&id=85226:non-sparate-sullaffido-e-solidarieta-ai-bambini&catid=220:le-notizie-di-ristretti&Itemid=1    

 

Ma quanti sono poi questi minori fuori famiglia? Neppure in Italia è dato saperlo…

Quanti sono i bambini che, in Italia, vivono fuori dalla propria famiglie per le motivazioni più disparate? Il numero preciso, purtroppo, è un’incognita. In Italia come nel resto del mondo. Esistono solo fotografie frammentarie. C’è chi parla di 30mila, chi di 40mila, a seconda dei dati che vengono incrociati.

            Secondo i report dell’Autorità Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza sono passati dai 22.975 del 2014 ai 32.185 del 2017 i minori che vivono in comunità (passando per i 29.692 del 31 dicembre 2016). Nello specifico, fra il 2016 e il 2017 l’aumento è stato dell’8,4%. Il dato corrisponde allo 0,30% dei minorenni residenti in Italia: era lo 0,28% nel 2016 e lo 0,2% della popolazione minorile nel 2015.

Si tratta prevalentemente di maschi, di età compresa tra i 14 e i 17 anni (purtroppo il dato relativo all’età non è stato comunicato da tutte le procure minorili). Sono 4.027 le comunità presenti sul territorio italiano (erano 3.686 nel 2016), con un numero medio di ospiti per struttura che tra il 2016 e il 2017 passa da 8,1, a 7,9.

            “In assenza di una banca dati nazionale che possa restituire una fotografia completa e aggiornata, questa rilevazione, svolta in via suppletiva per colmare una lacuna, può rappresentare un valido strumento per avere contezza della situazione dei minorenni ospiti delle strutture e comprendere quale sia il modo migliore per garantire loro diritti e tutele”, ha spiegato la stessa garante, Filomena Albano. I dati sono stati forniti dalle 29 procure della Repubblica presso i tribunali per i minorenni.

            E, stando alla relazione della squadra speciale voluta dal ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, in seguito allo scandalo di Bibbiano, esploso poco prima dell’estate, 12.338 solo negli ultimi 18 mesi sono i minori collocati fuori dalle loro famiglie. L’1,37‰, di fatto 23 minori al giorno. Che, aggiunti ai 26.615 complessivi dell’anno 2016 danno, per l’appunto, la cifra di 40mila.

I pareri degli addetti ai lavori, nel frattempo, concordano su un unico punto: serve una riforma dell’affido.

Ai.Bi. – Amici dei Bambini, ha proposto una soluzione. È quella dell’avvocato del minore. “Gli out of family children – ha recentemente dichiarato il presidente di Ai. Bi., Marco Griffini dovrebbero avere diritto a un avvocato. Secondo noi nel momento in cui lo Stato lascia un minore fuori famiglia, quello ha diritto a un avvocato. Si è combattuto per il diritto all’ascolto, ma manca quello alla difesa per il minore fuori famiglia. Un avvocato che faccia anche valere il diritto al risarcimento del danno subito”.

AiBinews        3 dicembre 2019

www.aibi.it/ita/ma-quanti-sono-poi-questi-minori-fuori-famiglia-neppure-in-italia-e-dato-saperlo

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ADOZIONI INTERNAZIONALI

Sotto quota mille all’anno. E della crisi si accorge anche la grande stampa

Il crollo delle adozioni internazionali è talmente vertiginoso da catturare, ormai, anche l’interesse delle pagine principali della grande stampa. Che, finalmente, inizia ad accorgersi di una situazione sempre più drammatica. Così, nella giornata di ieri, il quotidiano La Stampa è uscito con un articolo sulla tragica flessione che, nel 2019, porterà l’Italia al di sotto della soglia di un migliaio di pratiche concluse.

Meno di mille nuove famiglie adottive, quando, solo nove anni fa, erano ben oltre le tremila l’anno. In questo scenario si è inserita la contestatissima decisione, da parte del Governo, di operare, in sede di legge di bilancio, un taglio sul Fondo adozioni per il prossimo triennio. Taglio pari a circa due milioni di euro.

            Una riduzione che ha generato le proteste della cabina di regia Adozioni 3.0, che riunisce i 49 Enti autorizzati in Italia. “Una scelta assurda – avevano protestato gli Enti autorizzati – nel momento in cui le famiglie hanno un bisogno disperato di supporto alla genitorialità, di qualsiasi tipo”. E, soprattutto, dopo che lo stesso ministro della Famiglia, Elena Bonetti, aveva dichiarato che bisognava rilanciare le adozioni.

“Il crollo delle adozioni internazionali – spiega l’articolo de La Stampa, firmato da Filippo Femia e Nicola Pinna – è un fenomeno progressivo. Le cause sono aumentate negli anni. La crisi economica ha provocato il primo rallentamento. Perché adottare fuori dai confini italiani costa molto: dai 15 mila ai 25 mila euro, a seconda dei Paesi e del numero di viaggi richiesti. Per questo gli enti chiedono un sostegno da parte del Governo”.

“Ora gli enti – prosegue l’articolo – sperano negli emendamenti alla manovra presentati dal senatore Stefano Collina (PD). Uno di questi finanzia con 75 milioni in tre anni il Fondo per le adozioni. Una boccata d’ossigeno che nel 2020 potrebbe riportare le adozioni sopra quota mille   

AiBinews   4 dicembre 2019

www.aibi.it/ita/adozioni-internazionali-sotto-quota-mille-allanno-e-della-crisi-si-accorge-anche-la-grande-stampa

 

Una grande novità dalla Cina per le adozioni internazionali

Il presidente di Amici dei Bambini, Marco Griffini: “Questa è la dimostrazione pratica che la crisi delle adozioni internazionali non è dovuta alle politiche degli Stati esteri, ma all’atteggiamento del nostro Governo”

            La Cina rende più trasparenti le adozioni internazionali. Il China Center for Children’s Welfare and Adoption (CCCWA), autorità centrale dedicata, ha infatti comunicato di aver variato la procedura di abbinamento per i bambini nonspecial focus”. Mentre, in precedenza, i bambini non special focus e i bambini special focus venivano pubblicati sul portale del CCCWA una volta al mese in un giorno e in un’ora prefissati, lasciando alla velocità di blocco del singolo Ente la possibilità per lo stesso di “conquistarsi” il bambino, ora tale procedimento sarà lasciato per i soli bambini special focus. Per i bambini non-special focus invece l’Autorità Centrale invierà a tutti gli Enti un elenco di bambini con le corrispondenti schede e saranno gli Enti a proporre per ogni bambino una famiglia; a prevalere, sarà la famiglia da più tempo registrata presso il CCCWA. Una procedura più trasparente, quindi, che elimina quelle “competizioni” tra Enti autorizzati di tutto il mondo che si verificavano in precedenza.

“Questa importante novità che viene oggi dalla Cina – spiega il presidente di Ai.Bi. – Amici dei Bambini, Ente autorizzato all’adozione internazionale nato oltre trent’anni fa da un movimento di famiglie adottive e affidatarie, Marco Griffini – è una ulteriore conferma, qualora ce ne fosse stato bisogno, che la crisi che ha colpito l’adozione internazionale in Italia non è determinata, come erroneamente da molte parti viene sostenuto, dalla posizione di molto Stati esteri contrari alla adozione internazionale o che hanno introdotto politiche restrittive. Tutt’altro: oggi la Cina, ieri l’Ucraina, che si è vista purtroppo rinviare l’appuntamento per sottoscrivere un accordo bilaterale a causa della momentanea mancanza di un interlocutore politico… Pensiamo poi alla Colombia, che da due anni attende risposte alla proposta di collaborazione sulle vacanze pre-adottive”.

“La responsabilità – prosegue Griffini – sta quindi nell’ atteggiamento del nostro Governo, che non solo deve credere nella potenzialità della adozione internazionale, dando pronte risposte, ma deve inserirla finalmente nella propria politica estera. Solo così, cioè rispondendo e collaborando con le istanze dei Paesi di origine, si potrà rilanciare realmente l’adozione internazionale”

AiBinews          4 dicembre 2019

www.aibi.it/ita/buone-notizie-una-grande-novita-dalla-cina-per-le-adozioni-internazionali

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ADOZIONI NAZIONALI

Ogni anno in Italia più di 300 minori adottabili restano senza famiglia. Perché? Un mistero!

Ai.Bi. chiede l’autorizzazione alle adozioni internazionali da parte di coppie residenti all’estero. La risposta? “Differita a tempo indeterminato per approfondimenti tecnici”.

Recentemente ha destato scalpore la vicenda di “Giovannino”, il bimbo affetto da una rara patologia abbandonato dai genitori naturali nel nosocomio in cui era stato partorito. Per lui si è subito scatenata una gara di solidarietà per garantirgli una famiglia adottiva. Già, ma quanti sono i “Giovannino” intrappolati nel limbo delle comunità educative? Sì, quanti sono i bimbi dichiarati adottabili ma che non hanno ancora trovato qualcuno disposto ad accoglierli? In base agli ultimi numeri disponibili, riferiti all’anno 2017, sarebbero infatti 424 i minorenni dichiarati adottabili ma non ancora adottati. Il dato non è tuttavia certo in quanto in passato il Dipartimento della Giustizia minorile aveva reso noto il numero di oltre 1.491 minorenni non adottati (2013) e, dal confronto tra i minorenni dichiarati adottabili ogni anno e quelli adottati, sarebbero circa 300 i bambini che annualmente non trovano una famiglia.

            Numeri drammatici. Ai.Bi. – Amici dei Bambini, organizzazione nata da un gruppo di famiglie adottive e affidatarie oltre trent’anni fa e la cui mission è la lotta, in Italia e nel mondo, all’abbandono di minori, ha così chiesto quest’anno al Dipartimento della Giustizia Minorile di poter conoscere il numero ufficiale e aggiornato dei bambini e ragazzi dichiarati adottabili ma non ancora adottati ma purtroppo nella risposta avuta questo dato viene omesso con la sola precisazione che “i dati relativi agli anni 2001-2018 pubblicati sul sito telematico del Ministero della Giustizia pongono in evidenza come il numero di bambini, fanciulli e ragazzi, dichiarati adottabili stabilmente accolti in comunità di tipo familiare, considerato in termini relativi, sia piuttosto esiguo e si riferisca a situazioni particolari problematiche, in quanto la maggioranza dei minori viene collocata in affidamento preadottivo nazionale presso nuclei familiari”.

            Secondo i dettagli forniti dal Ministero stesso si tratterebbe per lo più di “adolescenti in procinto di raggiungere la maggiore età, intensamente legati alle famiglie di origine, protagonisti di precedenti fallimenti adottivi o minori che versano in condizioni particolarmente critiche perché vittime di violenza, affetti da gravi disabilità, patologie fisiopsichiche, disturbi comportamentali e ritardi cognitivi”. Nelle ultime dichiarazioni del Ministero, inoltre, viene sostanzialmente dato atto che la banca dati delle adozioni, formalmente creata con legge del 2001 e provvedimenti del 2015, non avrebbe in realtà ancora una piena operatività.

            Per questo motivo il Gruppo CRC, formato da 100 associazioni italiane attive per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, nell’ultimo rapporto annuale pubblicato il 20 novembre scorso, in occasione dei 30 anni della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia, e presentato ufficialmente a Roma in Senato lo scorso mercoledì 4 dicembre ha raccomandato al Ministero della Giustizia “di attuare pienamente gli articoli 39 e 40 della Legge 149/2001 realizzando una raccolta dati che consenta, per l’adozione nazionale e internazionale, il monitoraggio dei singoli casi nel tempo, sia per i minorenni che per il profilo degli adottanti, tra cui la differenza di età tra genitori e minorenni adottati” e di “rendere noto, con aggiornamento trimestrale, il numero delle persone di età minore adottabili e non ancora adottate e il tempo di attesa sia dei bambini che delle coppie”.                  http://gruppocrc.net/wp-content/uploads/2019/11/RAPPORTO-CRC-2019-x-web.pdf

Vale la piena ricordare che la piena operatività della banca dati era stata già raccomandata al Governo italiano dal Comitato delle Nazioni Unite per i diritti dell’infanzia e adolescenza, nelle ultime raccomandazioni del febbraio 2019.

            “È evidente – precisa il presidente di Ai.Bi. – Amici dei Bambini, Marco Griffini – che, a prescindere dall’età e dalle condizioni personali, tutti i bambini e ragazzi dichiarati adottabili abbiano il diritto di trovare accoglienza in una famiglia stabile, non essendo accettabile un diritto fondamentale condizionato da situazioni soggettive, a meno di voler avallare posizioni discriminatorie”.

            Nella volontà di agire concretamente, Ai.Bi. ha presentato inoltre alla Commissione per le Adozioni Internazionali una formale richiesta per essere autorizzata alle adozioni internazionali di coppie residenti all’estero verso l’Italia. La richiesta, purtroppo, è stata “differita a tempo indeterminato per la necessità di approfondire alcuni aspetti tecnici e giuridici”. Pazienza, si potrebbe dire. Quella che, giustamente, i bambini abbandonati non possono avere

AiBinews          6 dicembre 2019

www.aibi.it/ita/ogni-anno-in-italia-piu-di-300-minori-adottabili-restano-senza-famiglia-perche-un-mistero

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ASSEGNO MANTENIMENTO FIGLI

Il mantenimento ordinario dei figli: determinazione e quantificazione

L’articolo 337 ter, comma 4°, del codice civile stabilisce come criterio prioritario in materia di mantenimento dei figli quello del mantenimento diretto. Il versamento di un assegno è quindi considerato come ipotesi residuale derivante dalla necessità eventuale di dover ricondurre ad un canone di proporzionalità il rapporto tra i contributi a carico dei genitori; e, in quest’ultimo ambito, trova collocazione una specifica disciplina per la determinazione del quantum, nella parte in cui la norma elenca i criteri ai quali deve attenersi il giudice.

Mantenimento figli: i criteri per la determinazione e quantificazione. Accertato l’an [se dovuto], il criterio valutativo della quantificazione andrà individuato:

  1. nelle esigenze della prole;
  2. nel tenore di vita precedentemente goduto da questa;
  3. nei tempi di permanenza presso ciascun genitore;
  4. nelle risorse economiche di entrambi i genitori;
  5. nella valenza economica dei compiti domestici e di cura in capo ad ognuno di essi.

I suddetti elementi sono da considerarsi come strumenti limitativi alla discrezionalità del giudice ed anche all’autonomia negoziale dei genitori, in quanto anche in base ad essi sarà valutato il rispetto del canone proporzionale. È’ doveroso sottolineare, la mancata previsione dell’assegnazione della casa familiare tra i criteri in analisi, in quanto di questa teneva debito conto l’art. 155 quater, comma 2°, c.c. che impone al giudice di considerare la suddetta assegnazione e l’eventuale titolo di proprietà nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, non essendo contestabile che il godimento della casa familiare costituisca un valore economico che debba esser considerato ai fini della determinazione dell’assegno dovuto all’altro coniuge per il mantenimento dei figli.

Il parametro relativo all’esigenza della prole. Introduce un concetto più ampio rispetto a quello di mantenimento; nelle esigenze, è compreso tutto ciò che serve all’istruzione, allo sport, all’educazione, all’esercizio della vita di relazione ed alle attività di svago: aspetti, questi, che sono da commisurarsi al vivere quotidiano. Queste esigenze e le relative voci di spesa, devono dedursi dalle precedenti esperienze di vita del figlio, dall’ambiente in cui lo stesso ha vissuto, dalla fascia socioeconomica di appartenenza dei genitori, dalle aspirazioni ed inclinazioni della prole.

Il tenore di vita goduto dai figli. Altro criterio essenziale da tenere in considerazione ai fini della quantificazione dell’assegno di mantenimento è quello del tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori.

In realtà, seppure l’art. 337 ter c.c. intenda assicurare al figlio un tenore di vita tendenzialmente analogo a quello goduto precedentemente e non già meramente dignitoso, il tenore di vita goduto nella fase fisiologica del rapporto genitoriale non è parametro di riferimento assoluto, ma mero criterio orientativo. Infatti, le medesime sostanze che erano destinate a mantenere un nucleo familiare unico, dovranno essere sufficienti al sostentamento di due nuclei distinti; e, per l’effetto, qualora la separazione comporti la riduzione del reddito di entrambi, il precedente tenore non potrà essere mantenuto da nessuno dei due e, quindi, neppure dai figli.
Parte della dottrina ha evidenziato come il criterio del tenore di vita possa non riferirsi alle effettive ricchezze dalla famiglia, ponendo in evidenza la possibile incidenza negativa del lusso sull’educazione del minore.

Risorse economiche dei genitori. Strettamente connesso al criterio del tenore di vita è evidentemente quello relativo alle risorse economiche dei genitori intese come l’insieme delle sostanze comprensive dei cespiti appartenenti ad entrambi, nonché di ogni altra utilità concorrente alla loro capacità contributiva. Il riferimento alle risorse economiche operato dalla norma, non è, però, limitato a quelle attuali, venendo in considerazione, così come affermato in giurisprudenza , anche quelle potenziali; e ciò in quanto grava sui genitori l’obbligo di prodigarsi per ottenere le sostanze necessarie a fornire un contributo di mantenimento adeguato.
Peraltro, in dottrina non si omette di osservare come, sebbene i criteri siano riferibili alle potenzialità economiche delle parti e non di soggetti terzi, le risorse economiche delle famiglie di origine dei genitori possono comunque costituire un elemento ulteriore, esterno, che contribuisca alla valutazione complessiva delle situazioni patrimoniali specie quando nel corso della fase fisiologica del rapporto familiare gli aiuti e gli interventi economici delle famiglie di origine abbiamo avuto un carattere costante, abituale o assiduo.

Tempi di permanenza presso ciascun genitore. Altro criterio essenziale ai fini della quantificazione dell’assegno di mantenimento per i figli e’ quello relativo ai tempi di permanenza presso ciascun genitore, imponendo di tener conto di questo fattore in ragione delle spese maggiori o minori che comporta una maggiore o minore permanenza dei figli presso ciascun genitore.

La valenza dei compiti domestici e di cura. Il criterio anzidetto, è strettamente correlato a quello che impone, di considerare la valenza dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore, con chiaro riferimento all’equiparazione del lavoro domestico a quello professionale, in armonia con il precetto di cui all’art. 148, comma 1°, c.c. , nonché al sistema del mantenimento diretto.

Si vuole così dare rilievo anche ai sacrifici, in termini di energia e tempo, che il genitore deve affrontare quotidianamente. Vanno quindi considerate, ai fini della determinazione degli impegni economici di ciascun genitore, non solamente le spese vive da questi affrontate nei periodi di permanenza dei figli presso di loro (ciò che potrebbe essere espresso in termini di “perdite” subite, come ad esempio le spese per il vitto, il trasporto, le cure ordinarie, la baby sitter, ecc.), bensì anche l’eventuale sacrificio che sul piano lavorativo si affronta dedicandosi in prima persona alla cura della prole, come ad esempio la compressione, la riduzione dei tempi da dedicare al lavoro: ciò che ha una immediata evidenza sul piano economico e che potrebbe esprimersi come mancato guadagno.

Le spese di carattere straordinario. Da ultimo, occorre considerare come le esigenze della prole comportino, accanto alle spese ordinarie, impegni di spesa di natura e carattere straordinario che, per la loro rilevanza, imprevedibilità e imponderabilità esulano dall’ordinario regime di vita dei figli. Al riguardo, la Giurisprudenza di Legittimità esclude che possano computarsi aprioristicamente nell’ammontare dei contributi a carico di un genitore, asserendo che la loro inclusione in via forfettaria può rivelarsi in contrasto con il principio di proporzionalità e con quello di adeguatezza del mantenimento, potendo tradursi in un pregiudizio per la prole.

In materia di spese straordinarie esiste una copiosa elaborazione giurisprudenziale oltre a numerosi protocolli di intesa sottoscritti tra i tribunali e i vari consigli dell’ordine degli avvocati che prevedono una suddivisione tra spese straordinarie cosiddette necessarie e spese straordinarie non necessarie intendendosi come necessarie quelle spese che ai fini della sostenibilità non richiedono il previo consenso delle parti e che obbligano entrambi genitori a partecipare alla spesa secondo la quota stabilita dal tribunale. Al contrario, le spese straordinarie non necessarie, ai fini della loro sostenibilità e soprattutto ai fini della loro rimborsabilità necessitano del previo consenso alla spesa da parte di entrambi genitori. Appartengono a quest’ultima categoria le spese connesse ai viaggi, alle spese ludiche e allo sport.

avv. Matteo Santini    Studio Cataldi            4 dicembre 2019

https://www.studiocataldi.it/articoli/36636-il-mantenimento-ordinario-dei-figli-determinazione-e-quantificazione.asp

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ASSEGNO DIVORZILE

Assegno più alto alla ex che rinuncia a studiare per i figli

Corte Cassazione, sesta Sezione civile, ordinanza n. 31359, 2 dicembre 2019

www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_36625_1.pdf

Nel quantificare l’assegno divorzile con funzione assistenziale e perequativa occorre valutare anche l’apporto alla formazione del patrimonio comune[GM1] .

            La Cassazione con l’ordinanza accoglie i motivi del ricorso di una ex moglie in cui evidenzia il mancato esame e valutazione da parte della Corte di merito della diversa situazione economica delle parti e del fatto che la stessa abbia rinunciato agli studi universitari per occuparsi della figlia minore. Gli Ermellini, rilevando la violazione di un importante principio sancito dalla SU n. 18287/2018, che nel quantificare l’assegno di divorzio, avente funzione perequativa e assistenziale, il giudice deve tenere conto anche del contributo apportato dal richiedente alla conduzione familiare e al patrimonio comune.

Assegno di divorzio di 1.000 euro. La Corte d’Appello, in accoglimento dell’impugnazione dell’appellante fissa a carico dell’ex marito l’obbligo di corrispondere alla ex moglie l’assegno divorzile di 1.000 euro, oltre rivalutazione Istat.

Il ricorso dell’ex moglie: violazione art. 5 legge divorzio. Ricorre in Cassazione la ex moglie affidandosi a cinque motivi di ricorso con cui lamenta:

  1. La violazione dell’art 5 della legge sul divorzio n. 898/1970 perché la corte non ha tenuto conto della disparità economica esistente tra le parti e del fatto che ha rinunciato all’università per occuparsi della figlia;
  2. Il mancato esame delle situazioni economiche delle parte;
  3. La violazione degli artt. 2909 c.c., 112 e 329 c.p.c visto che il diritto all’assegno divorzile, mai contestato dal marito, è stato oggetto di accertamento passato in giudicato;
  4. La mancata valutazione del criterio del tenore di vita;
  5. La violazione degli artt. 2909 cc, 112 e 329 c.p.c, per aver fissato la decorrenza dell’assegno dallo scioglimento del matrimonio, quando nulla era stato dedotto con l’atto di appello.

Assegno di divorzio: occorre valutare l’apporto al patrimonio comune. La Corte di Cassazione accoglie il primo e il secondo motivo del ricorso, assorbiti invece gli altri tre, rinviando la causa alla Corte di Appello, affinché provveda all’accertamento omesso, comparando i redditi dei due coniugi.

            Per quanto riguarda l’omessa considerazione della disparità economica esistente tra i coniugi e il mancato esame delle rispettive situazioni economiche delle parti, gli Ermellini li ritengono fondati e li esaminano congiuntamente. In effetti la Corte d’Appello non ha comparato i redditi dei coniugi, violando così un importante principio sancito dalle Sezioni Unite n. 18287/2018 che riconosce all’assegno di divorzio una funzione assistenziale e perequativa, disponendo a tale fine che “il giudizio deve essere “espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e d all’età dell’avente diritto.”

Annamaria Villafrate Studio Cataldi 4 dicembre 2019

www.studiocataldi.it/articoli/36625-divorzio-assegno-piu-alto-alla-ex-che-rinuncia-a-studiare-per-i-figli.asp

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ASSOCIAZIONE ITALIANA CONSULENTI CONIUGALI E FAMILIARI

Giornata di studio. Bologna 20 ottobre 2019

Nel quarto numero 2019 della Rivista Il Consulente familiare abbiamo pubblicato il resoconto principale della Giornata di studio di Bologna, con le relazioni dell’Assemblea dei Soci e quella di Francesco Belletti, che ci ha parlato dell’influenza dell’era digitale sulle relazioni umane e familiari. 

Invece i resoconti dei 5 Laboratori, per questioni di spazio, sono stati pubblicati in modo sintetico, rimandando al sito Aiccef una più completa panoramica degli atti e degli audiovisivi che sono stati proiettati durante i lavori.  Sul sito web, infatti, abbiamo la possibilità di pubblicare i video e le slide che sono stati proiettati in aula e nei Laboratori, e in più le foto digitali a colori dell’evento.

www.youtube.com/watch?v=VVWHoOPl0fU&feature=youtu.be

prof. Francesco Belletti. Le nuove relazioni familiari nell’era del digitale

https://ilconsulente42.blogspot.com/2019/11/belletti.html

Laboratorio 1 Sinigaglia e Siccardi                                                       Io e te sull’isola che non c’è # adulti fuori!

https://ilconsulente42.blogspot.com/2019/11/1.html

Laboratorio 2 Margiotta e Rossi                                          Amò, filiamo dalla discoteca, ho visto mà e pà

https://ilconsulente42.blogspot.com/2019/11/2.html

Laboratorio 3 Feretti e Monti                           Adultescenti alla carica. Quale futuro ci aspetta

          https://ilconsulente42.blogspot.com/2019/11/3.html

Laboratorio 4 Ragazzini, Cacco, Bandini e Lelli                                  Ehi Consulente, come usi il digitale?

https://ilconsulente42.blogspot.com/2019/11/4.html

Laboratorio 5 Hawker e Qualiano                   Liberi & professionisti come ti gestisco l’azzeccagarbugli.

https://ilconsulente42.blogspot.com/2019/11/5.html

Tutto sulla giornata di Bologna            5 dicembre 2019

www.aiccef.it/it/news/un-anteprima-dell-giornata-di-bologna.html

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CAMMINO SINODALE

Germania: avviato il “cammino sinodale”

 La prima domenica di Avvento, 1° dicembre 2019, la Chiesa tedesca ha inaugurato ufficialmente il «cammino sinodale» (Synodaler Weg). Lo ha fatto in maniera molto discreta, senza grandi festeggiamenti, solo accendendo in ogni Chiesa cattedrale di diverse diocesi un cero su cui è disegnato il logo prescelto. In questo articolo, pubblicato sul sito katholisch.de, il 3 dicembre, Christoph Paul Hartmann traccia una sintesi del lavoro svolto in questi ultimi sei mesi, da quando la Conferenza episcopale operò questa scelta, nel marzo scorso, a Lingen, nell’assemblea plenaria, per arrivare a questo traguardo, ripercorrendo le tappe che l’hanno caratterizzato e descrivendo le difficoltà incontrate e non ancora del tutto superate.

 

Tutto è cominciato in seguito ai drammatici numeri: dopo che al Canisius-Kolleg di Berlino, nel 2010, e poi anche in altri luoghi furono scoperti casi di abusi, i vescovi tedeschi furono indotti a compiere un’indagine su larga scala. Gli autori della ricerca compulsarono gli atti diocesani dal 1946 fino al 2014, alla ricerca di sospetti casi di abuso. Il risultato fu pubblicato nel settembre 2018: si contarono almeno 3.677 vittime e 1.670 colpevoli.

Secondo i ricercatori, le cause erano da attribuite, tra l’altro, al celibato, al clericalismo e alla morale sessuale della Chiesa. La pubblicazione del cosiddetto studio MHG, (dalle iniziali delle università che avevano partecipato), Mannheim, Heidelberg e Giessen, suscitò nell’ambiente cattolico una «vergogna da chiudere gli occhi» (card. Reinhard Marx) e spavento (l’incaricato per gli abusi Stephan Ackermann) fino ad aspettarsi che si arrivasse a varie dimissioni di vescovi. Questo non avvenne. Era tuttavia chiaro, fin dalla presentazione dello studio, che ci sarebbero state delle conseguenze.

Una di queste fu che i vescovi tedeschi nella loro assemblea plenaria di primavera a Lingen, lo scorso mese di marzo 2019, decisero di scegliere il «cammino sinodale» (Synodaler Weg). Furono coinvolti fin dall’inizio anche i laici, rappresentanti del Comitato centrale dei cattolici tedeschi (ZdK). La Conferenza congiunta in cui già dal sinodo di Würzburg (1971- 1975) si incontrano regolarmente 10 membri della Conferenza episcopale e altrettanti dello ZdK, fu allargata ad altri membri per preparare il processo di riforma.

            I temi del cammino si orientarono decisamente in direzione dei risultati dei ricercatori: il potere clericale, il celibato e la morale della Chiesa. Nello stesso tempo, si disse che, al termine di questo processo, ci dovevano essere dei «risultati vincolanti».    Un punto importante – come aveva sottolineato allora il presidente dello ZdK, Thomas Sternberg – fu che, «se si fosse trattato solo di un dialogo a tempo indeterminato, sarebbe stata una frustrazione. La gente vuole vedere adesso delle riforme». Il tema dell’obbligatorietà esercitò ancora un ruolo importante nei mesi successivi.

            Ciò che, per molte donne, mancava ancora nella strutturazione del processo era che si parlasse anche del loro ruolo nella Chiesa. Esse ebbero il sostegno anzitutto del vescovo di Osnabrück, Franz Joseph Bode, in quale lo scorso maggio dichiarò in vista della preparazione del «cammino sinodale»: «Non possiamo ignorare il problema delle donne».

Critica iniziale. Tuttavia, già nella fase di progettazione fu chiaro che, all’interno della Conferenza episcopale gli animi erano divisi. Infatti, ben presto, presero la parola i vescovi che si erano astenuti nel mese di marzo dal voto sul «cammino sinodale». L’ormai vescovo emerito di Augsburg, Konrad Zdarsa, prese le distanze dal processo di riforma e disse che, per quanto riguardava il numero degli abbandoni della Chiesa, il cammino sinodale non avrebbe cambiato nulla. Il rinnovamento della Chiesa infatti può avvenire solo mediante la conversione personale, l’orientamento a Dio e una vita basata sulla fede e i sacramenti. Il vescovo di Regensburg, Rudolf Voderholzer, mise in guardia dal pericolo di una divisione della Chiesa: chi vuole inventare nuovamente la Chiesa «percorre un camino di distruzione». Anche il cardinale di Colonia, Rainer Maria Woelki, usò simili toni.

            I contrari al progettato cammino di riforma rimasero tuttavia una minoranza tra i vescovi. I rappresentanti della maggioranza intervennero subito per lamentare che il «cammino sinodale» sarebbe stato screditato prima ancora di iniziare – così l’arcivescovo di Berlino, Heiner Koch. Altri vescovi accentuarono ancora più esplicitamente le accuse specifiche: disgregatrici non sono le discussioni, ma il pensiero di poterle “impedire”, ha affermato il vescovo di Magonza, Peter Kohlgraf.

            In questo clima di disunione i cattolici tedeschi furono raggiunti da una lettera del papa. Questa, anziché portare la sperata chiarezza dal Vaticano, alimentò le diverse speculazioni. Nella lettera «al popolo pellegrino in Germania» dello scorso mese di giugno 2019, Francesco sottolineava, da una parte, il significato della sinodalità, ma, dall’altra, esortava anche a conservare l’unità della Chiesa universale. Bisognava cioè parlare non solo di strutture, ma anche di evangelizzazione. Lo scritto era formulato in modo tale che sia gli oppositori del «cammino sinodale» sia i favorevoli si sentirono incoraggiati.

            Nonostante il dibattito pubblico, il processo continuò a prendere forma. All’inizio di luglio la Conferenza congiunta adottò la bozza del primo statuto e decise anche la creazione di un quarto Forum sul ruolo della donne. Fu così accolta la pressione esercitata da numerose donne cattoliche. Anche nel lavoro preparatorio dei Forum esse avrebbero potuto parlare da una posizione di livello.

La Conferenza episcopale e lo ZdK furono d’accordo sui doppi vertici di guida dei gruppi, a cui dovevano presiedere rispettivamente un vescovo e un rappresentante laico. Era importante raggiungere il «consenso generale, non l’unanimità», affermò già allora il card. Marx in vista delle possibili decisioni al termine del processo di riforma. Ma nessun vescovo era tenuto ad attuare i risultati del dialogo di riforma nella propria diocesi. Era chiaro perciò che, invece di un obbligo in senso canonico, si preferiva piuttosto un impegno morale dei singoli vescovi.

Due lettere da Roma. Nel frattempo proseguì la discussione sui contenuti del processo di dialogo. Il gruppo «Maria 1.0» – nato come reazione al movimento delle donne «Maria 2.0 – chiese un altro Forum che si occupasse della nuova evangelizzazione. Il vescovo di Hildesheim, Heiner Wilmer, riuscì a suscitare molto consenso, ma il forum non fu istituito.

All’inizio si settembre proseguirono le programmazioni più in dettaglio. Tra l’altro fu stabilito che le assemblee plenarie del 2020 e 2021 si tenessero a Francoforte – volutamente in una città nel centro della Germania. Inoltre, un’altra deliberazione riguardava la metropoli dell’Assia quale sede nel 2021 della Giornata ecumenica (Kirchentag).

            Suscitò poi scalpore una nuova lettera del Vaticano – questa volta in tono molto aspro. Il responsabile della Congregazione vaticana per i vescovi, Marc Ouellet, trovò da ridire sul progetto non ancora del tutto definito del nuovo statuto del «cammino sinodale». Lo statuto determinava le commissioni, i funzionamenti, gli argomenti in discussione, le procedure decisionali e i quorum delle votazioni. A Roma si temeva per i pari diritti tra vescovi e laici nei procedimenti decisionali che non possono avere «alcuna consistenza canonica».

            Un ulteriore punto riguardava la scelta dei temi dei forum. Alla lettera era allegato un rapporto del Pontificio consiglio per testi legislativi in cui si affermava che i temi non dovevano riguardare solo problemi specificamente tedeschi, ma soprattutto problemi ecclesiali del mondo intero. «Salve poche eccezioni, non potevano essere oggetto di risoluzioni e decisioni di una Chiesa particolare senza violare la valutazione del santo padre».

            La lettera di Ouellet servì a due vescovi (arcivescovi), Woelki e Voderholzer, per presentare ancora una volta una bozza alternativa di statuto da loro preparata. Tra le altre cose si chiedeva di escludere dalle discussioni argomenti chiariti dal magistero come le ordinazioni delle donne. A questo riguardo il potere decisionale doveva essere esclusivamente riservato ai vescovi. Tuttavia questa bozza era già stata respinta a stragrande maggioranza in una sessione del Consiglio permanente dello scorso agosto.

Rimane il “cammino sinodale”. La reazione della Conferenza episcopale alla nuova lettera di Roma non si fece attendere: il giudizio del Vaticano – fu risposto – si basava su una bozza vecchia. Così le risoluzioni potevano essere approvate, da un lato, solo con una maggioranza di due terzi di tutti i membri presenti, e dai vescovi, dall’altro. Marx difese personalmente il «cammino sinodale» nel Frankfurter Allgemeine Zeitung: sarebbe stato opportuno se il Vaticano prima di «inviare dei documenti» avesse cercato il dialogo.

Nello stesso modo avevano risposto la Conferenza episcopale e lo ZdK alla lettera del papa del giugno precedente, cercando evidentemente di calmare le acque. Si diceva che si era decisi a configurare il «cammino sinodale» come un «processo spirituale». E rivolti al papa: «Noi siamo uniti a lei in “senso ecclesiale”, perché abbiamo di mira sia l’unità di tutta la Chiesa come anche la situazione locale e perché la partecipazione di tutto il popolo di Dio è una nostra grande preoccupazione».

            I pro e i contro del «cammino sinodale» si intrecciarono tra loro nell’assemblea plenaria di autunno dei vescovi tedeschi di settembre a Fulda, mezzo anno dopo che era stato deciso il cammino. I fronti erano rimasti rigidi: mentre la maggioranza dei vescovi ribadì la sua volontà di impegno nel processo sinodale, altri rimasero fermi nelle loro riserve – compresa la dichiarazione di non seguire all’occorrenza il «cammino sinodale». Tuttavia, la maggioranza dei vescovi tedeschi votò a favore del presente progetto di statuto.

            L’assemblea plenaria del ZdK ha tenuto la sua riunione alla fine di novembre. La grande riunione plenaria si terrà solo due volte nel prossimo anno; il lavoro, nel frattempo, sarà svolto dai Forum sinodali. Complessivamente il processo sinodale è programmato per due anni, ma non è pianificato rigidamente. Probabilmente, lungo il tragitto, potrebbero esserci ancora delle sorprese.

Lettera ai fedeli tedeschi.                               Care sorelle e cari fratelli,

il compito del popolo di Dio è quello di comunicare la gioia del Vangelo con la parola e con i fatti, di testimoniare Cristo e di lodare e ringraziare Dio. Si trasmette a tutti i battezzati: insieme siamo Chiesa.

Papa Francesco ci invita a diventare una Chiesa sinodale, a camminare insieme. Questo è lo scopo del «cammino sinodale» della Chiesa in Germania, che noi, come vescovi della Conferenza episcopale tedesca e come rappresentanti dei laici che lavorano nel Comitato centrale dei cattolici tedeschi, vogliamo seguire con molti cattolici, con religiosi appartenenti a un ordine, sacerdoti, e soprattutto con giovani, nei prossimi due anni.

            Dovrebbe essere anche un cammino di cambiamento e di rinnovamento in grado di affrontare un nuovo inizio alla luce del Vangelo, parlando del significato della fede e della Chiesa nel nostro tempo e di trovare risposta alle domande pressanti della Chiesa. Perché dobbiamo fare autocritica: il messaggio del Vangelo è stato oscurato, anche danneggiato nel modo più terribile. Pensiamo specialmente agli abusi sessuali su bambini e ragazzi. Dobbiamo trarne le conseguenze e far sì che la Chiesa sia un luogo sicuro.

            Insieme vogliamo cercare il modo in cui noi oggi, come Chiesa, possiamo servire gli uomini, il mondo e Dio, come possiamo condividere «le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce del mondo contemporaneo, specialmente dei poveri e degli afflitti di ogni genere», come ha scritto il concilio Vaticano II più di 50 anni fa (Gaudium et spes 1).

            Se vogliamo proclamare di nuovo la fede, dobbiamo parlare di temi che, se non venissero affrontati, costituirebbero un ostacolo al messaggio evangelico.

Oggi, primo giorno di Avvento, vi invitiamo a contribuire alla riuscita di questo cammino sinodale. Siamo consapevoli del grande impegno con cui molti di voi vivono la fede in Dio e portano il messaggio di Gesù Cristo nel mondo in parrocchie, associazioni, iniziative e opere, in famiglia, nella professione e nel volontariato.

Invitiamo anche quelli di voi che hanno difficoltà con la fede e la Chiesa, che hanno perso la fiducia o che sono alla ricerca.

            Vi invitiamo a seguire questo cammino sinodale libero e multiforme. Contiamo sull’impegno di tutti coloro che lavorano per una fede viva nella nostra Chiesa. Come uomini e donne battezzati siamo chiamati ad annunciare con la parola e con i fatti la «bontà e l’amore di Dio per gli uomini» (Tt 3,4). Sulla via sinodale vogliamo migliorare le condizioni per poter svolgere questo compito in modo credibile. È un percorso aperto di cui dovrebbero usufruire i rispettivi responsabili ecclesiastici.

            Il 29 giugno 2019 papa Francesco ha scritto una lettera “al popolo di Dio pellegrino in Germania”. Egli condivide con noi la «preoccupazione per il futuro della Chiesa in Germania»; ci ha incoraggiati a cercare «una risposta sincera alla situazione attuale». Egli ci ha chiamati a preservare l’unità di tutta la Chiesa e a realizzare il processo sinodale dal basso verso l’alto. Ci ha inoltre incoraggiati ad «abbracciare il primato dell’evangelizzazione» e a coniugare la dimensione spirituale del «cammino sinodale» con le sfide strutturali.

            Vi chiediamo di sostenere il «cammino sinodale» con la vostra testimonianza e la vostra preghiera. Seguite le vostre parrocchie in questo percorso e accompagnate il lavoro dell’Assemblea sinodale e dei Forum sinodali. Tutte le informazioni sono disponibili all’indirizzo                           www.synodalerweg.de/italiano

Qui vengono illustrati i quattro Forum sinodali, nei quali si discuteranno concretamente il potere e la separazione dei poteri nella Chiesa, la cooperazione e la sessualità, la vita sacerdotale e il ruolo delle donne nella nostra Chiesa.

Vi preghiamo di partecipare alle discussioni e di rispondere alle domande pubblicate su internet. Solo con la solidarietà di quanti, in modi diversi, desiderano promuovere la missione della Chiesa, nel rispetto reciproco e nell’ascolto della Parola di Dio, sarà possibile rinnovare la vita della Chiesa e superare gli ostacoli. Solo insieme siamo Chiesa, anche insieme alla Chiesa universale! Solo insieme possiamo testimoniare il Vangelo! Percorriamo insieme questo cammino di conversione e rinnovamento! In questo modo possiamo riuscire, per il bene di tutti, a parlare in modo convincente di che cosa e di chi guida la nostra vita.

            Oggi, inizio dell’Avvento, ci uniamo al «cammino sinodale» con la preghiera del salmista: «Fammi conoscere le tue vie, Signore, insegnami il cammino da seguire; sei tu il Dio che mi salva; ogni giorno sei la mia speranza (Sal 25,4-5).

            Con cordiali saluti e i migliori auguri per un Avvento benedetto!           1° dicembre 2019

I presidenti del cammino sinodale,

Card. Reinhard Marx, presidente della Conferenza episcopale tedesca,

Prof. Dr. Thomas Sternberg, del Comitato centrale dei cattolici tedeschi

 

Christoph Paul Hartmann     6 dicembre 2019

www.settimananews.it/chiesa/germania-avviato-cammino-sinodale

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 CENTRO INTERNAZIONALE STUDI FAMIGLIA

Newsletter CISF – n. 45, 4 dicembre 2019

Zombie digitali. Capita spesso di incontrare persone a testa bassa, che camminano senza guardare dove stanno andando, tutte immerse nello smartphone, anche nelle vie e nei corridoi più affollati. A volte (poche!) stanno cercando la strada su GoogleMap; ma in genere stanno chattando, oppure guardano un video, o peggio ancora, giocano compulsivamente a Angry Birds. Come se non si potesse aspettare nemmeno quei 30 secondi di tempo necessari per camminare da una linea della metropolitana all’altra… Ecco quindi la quarta scimmietta: quella che non vede, non sente e non parla: totalmente ripiegata e assorbita da quel piccolo video illuminato di blu. Evoluzione della specie o retrocessione dell’umano? Per rispondere alla domanda si può dare un’occhiata al Rapporto Cisf 2017, Le relazioni familiari nell’era delle reti digitali”, che coglie le sfide della società digitale e prova a dare indicazioni per una gestione intelligente delle opportunità e dei rischi che i nuovi media portano con sé.

https://www.sanpaolostore.it/relazioni-familiari-nell-era-delle-reti-digitali-nuovo-rapporto-cisf-2017-9788892213289.aspx?Referral=newsletter_cisf_20191204

Infine, sempre sul tema dello smartphone, rivediamo questo breve filmato (meno di un minuto, per mostrare, con il sorriso, una possibile strategia di contrasto all’iperconnessione. Perché sorridere fa bene, e anche riflettere (e un po’ di dieta dal digitale può fare apprezzare meglio il sapore delle cose).

Vita familiare, reti digitali e smartphone dai nonni.                                           http://vimeo.com/189345333

Lavorare con e per le famiglie. Un’indagine e un progetto in provincia di Cuneo. L’articolo su “NOI. Famiglia e Vita” (mensile allegato ad Avvenire) scritto da Pietro Boffi illustra sinteticamente risultati e prospettive dell’indagine svolta dal Cisf su 500 famiglie della provincia di Cuneo all’interno di un progetto promosso dalla locale Fondazione CRC. “[…] Dallo studio emerge come la famiglia in triplice relazione generazionale sia la spina dorsale relazionale a cui si innestano tutte le interazioni” […]. Emerge poi con forza l’importanza del fare rete, per le famiglie e tra i soggetti del territorio, e questo “potrà costituire certamente un punto di forza per gli interventi e i progetti che, a seguito dell’emissione del bando FamigliARE, in pieno svolgimento, lasceranno sul territorio, ma anche una preziosa indicazione per ogni altra realtà che volesse porre a tema in modo adeguato il tema famiglia e il suo futuro all’interno della nostra società”.

                   http://newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/attachments/newscisf4519_allegato1.pdf

 (Per ogni bambino, ogni diritto. La Convenzione per i Diritti dell’Infanzia, ad un crocevia). Un Rapporto Unicef importante, in occasione del trentesimo anniversario dell’approvazione della Convenzione per l’infanzia da parte dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite (20 novembre 1989). Ecco le questioni tuttora rilevanti per promuovere e tutelare i diritti dei bambini a livello globale, secondo questo Rapporto:

 a) la sopravvivenza (in condizioni difficili);

 b) immunizzazione/ vaccinazione;

 c) le conseguenze del cambiamento climatico;

 d) istruzione;

 e) i matrimoni precoci;

 f) le conseguenze dell’urbanizzazione.

www.unicef.org/media/62371/file/Convention-rights-child-at-crossroads-2019.pdf

Family first. In Italia insieme alla tua famiglia. Report di ricerca sul ricongiungimento familiare in Italia, a cura di Caritas Italiana/Consorzio Communitas e UNHCR-Italia. “Il report si basa sull’elaborazione dei dati raccolti attraverso la somministrazione di questionari on line rivolti a operatori del terzo settore coinvolti nell’accoglienza/tutela di titolari di protezione internazionale e a funzionari degli Sportelli Unici delle Prefetture. […]  l’interesse del materiale di ricerca raccolto e delle analisi qui presentate riguarda la capacità del questionario di cogliere – attraverso le variegate risposte di individui con professionalità, funzioni, collocazioni geografiche molto differenti – un quadro di insieme complessivo, un affresco che pur non potendo vantare un’assoluta attendibilità, restituisce i vissuti e le esperienze territoriali di tanti soggetti che operano nel campo dell’asilo, nel tentativo di mappare e descrivere una materia sinora scarsamente esplorata attraverso ricerche di rilevanza nazionale”

http://ricongiungimento.it/wp-content/uploads/2019/11/FamilyFirst_report-di-ricerca.pdf

Dalle case editrici

Falco Giuseppe, Sei buone ragioni per non separarsi. La famiglia in bilico tra libertà e responsabilità, San Paolo, Cinisello B. (MI), 2019, pp. 128, € 14,50.

La decisione di separarsi riguarda ormai oltre un terzo delle famiglie italiane. Le conseguenze di questa scelta ricadono non solo su tutti i membri della famiglia, ma anche sulla società. Secondo l’autore, vista la proporzione del fenomeno e il suo impatto, che va ben oltre le mura domestiche, è non solo lecito ma anche opportuno interrogarsi sullo status morale della separazione: è giusto separarsi? se sì, in quali circostanze? esistono dei criteri per valutare se la decisione di sciogliere un matrimonio sia corretta? Con un’analisi serrata, il volume porta alla luce un tema scottante: la concezione individualista che ispira il nostro tempo ha svuotato di significato la promessa matrimoniale e reso la separazione una prassi, più che un’eventualità. In mezzo a tanto dolore, rimane però agli uomini e alle donne la possibilità di ritrovare, in loro stessi, i motivi per cui tenere fede a una promessa è più importante che inseguire una (spesso effimera) libertà.

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  • Nord: Lavorare in ottica sistemica con le famiglie in cui c’è stato un problema di violenza: attaccamento, rischio e sicurezza, incontro formativo/training con Arlene Vetere e Jan Cooper, promosso dalla Scuola di Psicoterapia IRIS, in collaborazione con C.T.A., Milano, 11-12 gennaio 2020.                                                                          www.centrocta.it/newsletter/Vetere&Cooper2020.jpg
  • Centro: Affettività e sessualità nella disabilità intellettiva, incontro formativo promosso da Centro Studi Erickson (ente accreditato MIUR per formazione docenti), Roma, 17-18 gennaio 2020

www.erickson.it/it/affettivita-e-sessualita-nella-disabilita-intellettiva?default-group=corsi-in-presenza

  • Sud: Special Needs, Special Resources Lo stato di salute del bambino adottato, incontro di formazione promosso dal CIAI,Bari, 25 gennaio 2020.

www.ciai.it/wp-content/uploads/2019/12/Special-Need-sem.Bari-2020.pdf

Iscrizione               http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/newsletter-cisf.aspx

Archivio     http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/elenco-newsletter-cisf.aspx

http://newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/dicembre2019/5150/index.htm

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CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Ghizzoni: «Sulla protezione dei minori la Chiesa italiana è determinata»

Una pagina nuova nell’affrontare la ferita degli abusi sui minori: il presidente del Servizio nazionale attivato dalla Cei spiega cosa si sta facendo, al centro e nelle diocesi

«Su abusi e minori la Chiesa italiana, in modo compatto e convinto, ha voltato pagina. E ora stiamo facendo davvero tutto il possibile per contrastare un fenomeno odioso e intollerabile. Ci sono già alcuni episodi concreti di collaborazione tra diocesi e autorità giudiziaria». Non ci sta l’arcivescovo di Ravenna-Cervia, Lorenzo Ghizzoni, presidente del Servizio nazionale tutela minori della Cei, ad accettare semplificazioni e approssimazioni come quelle pubblicate nei giorni scorsi nell’inchiesta dal Fatto Quotidiano dove, al di là di episodi pur reali ma presentati in modo scandalistico e suggestivo, vengono riportati dati senza fondamento.

Anche perché derivanti da un’unica fonte che non può disporre di statistiche di cui né la stessa Chiesa né l’autorità giudiziaria sono in possesso.

            Ma l’aspetto più sgradevole è il silenzio assoluto su quello che la Chiesa italiana ha messo in campo per affrontare e, per quanto possibile, sradicare il problema da comunità, parrocchie, seminari, oratori. «Quando nell’assemblea generale dei vescovi in maggio abbiamo votato la nuove linee guida per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili, abbiamo ottenuto un risultato a larghissima maggioranza, come non avviene frequentemente. Segno che la volontà di opporsi agli abusi è davvero condivisa e che l’episcopato italiano vuole andare avanti, insieme, senza incertezze, con tutti gli strumenti a disposizione».

I fondamenti dell’impegno della Chiesa italiana. Come funziona e come è strutturata quindi la macchina anti-abusi avviata dalla Chiesa italiana? Innanzi tutto cambia completamente, anzi è rovesciato, il principio di fondo.

Mentre le linee guida del 2014 avevano soprattutto carattere giuridico, con l’obiettivo di individuare le strategie più opportune per perseguire i responsabili di abusi, quelle votate a maggio assumono in modo esplicito e convinto lo sguardo del minore. «Ci schieriamo a tutela dei piccoli e delle persone vulnerabili e non in difesa dei nostri preti e delle nostre istituzioni. Non è un cambio di prospettiva da poco», osserva ancora Ghizzoni.

 Non c’è solo la volontà di accogliere, ascoltare e accompagnare chi decide di fare una segnalazione, una denuncia o soltanto chiedere informazioni, ma c’è soprattutto l’impegno morale di denunciare. «Quando i fatti di cui i vescovi o i loro incaricati vengono a conoscenza appaiono credibili e circostanziati – riprende l’arcivescovo di Ravenna-Cervia – c’è l’obbligo morale dell’esposto all’autorità giudiziaria oppure di dare sostegno alla persona danneggiata che intende fare denuncia. E anche questo è un fatto notevolissimo». Non si tratta solo di un caso ipotetico. Dopo la pubblicazione delle Linee guida ci sono già stati alcuni episodi di positiva collaborazione tra vescovi e autorità giudiziaria con il rinvio a giudizio dei presunti colpevoli.

            Una rete diffusa a livello regionale e diocesano. Si sta completando la rete delle strutture e dei servizi operativi previsti dalle Linee guida del 2019. La struttura regionale, con un vescovo responsabile per ogni conferenza episcopale regionale e uno o più collaboratori regionali, è ormai completata. Ci sono già stati alcuni incontri in cui è stato varato un programma di interventi e un piano di formazione. Al vescovo responsabile a livello regionale fanno capo i referenti diocesani per il “Servizio tutela”. A tutt’oggi sono 100 – su un totale di 226 – le diocesi che hanno scelto e nominato questi responsabili.

            Le regioni ecclesiastiche più virtuose sono l’Emilia Romagna, il Triveneto, la Toscana, la Campania e la Sicilia. Il loro ruolo è importantissimo perché, nella propria diocesi o nei gruppi di diocesi che hanno deciso di consorziarsi – per esempio in Umbria e Basilicata –, devono organizzare i progetti di prevenzione, formazione e informazione coinvolgendo genitori, operatori pastorali, educatori, insegnanti, allenatori sportivi delle realtà diocesane e chiunque altro sia interessato al problema.

Le indicazioni di papa Francesco sono chiare: «L’unico modo che abbiamo per rispondere a questo male che si è preso tante vite è viverlo come un compito che coinvolge e che ci riguarda tutti come popolo di Dio». Chi sono i referenti diocesani? «Laici e laiche, ma anche sacerdoti, religiosi o religiose, in larga parte – riprende il presidente del Servizio tutela minori della Cei – abbiamo attinto alla rete dei Consultori familiari di ispirazione cristiana perché queste persone devono avere competenze educative, oppure teologiche o giuridiche. L’obiettivo è quello di arrivare a costituire in ogni diocesi una struttura agile e competente, con uno sportello per accogliere le segnalazioni e accompagnare le persone che chiedono aiuto». In alcune diocesi il servizio è già attivo.

            Ripensare le attività con e per i ragazzi. Tra le buone prassi di prevenzione in parrocchia, cioè su tutto quello che si deve e non si deve fare, è considerata importantissima l’assunzione di una nuova e più documentata consapevolezza. «Dobbiamo ripensare le nostre attività pastorali – sottolinea ancora l’arcivescovo di Ravenna-Cervia – mettendo al primo posto la tutela dei minori. Le nostre proposte hanno, giustamente, tanti obiettivi (catechistici, liturgici, formativi) ma dobbiamo arrivare a pensare per i minori a noi affidati che custodia e vigilanza devono diventare una priorità». Da qui l’esigenza di calibrare su questi obiettivi i comportamenti degli educatori e dei catechisti, ma anche di preti, religiosi e religiose che devono creare le condizioni per un clima tutelante che scoraggi azioni di abuso sia all’interno sia dall’esterno.

Lo snodo dei dati. Perché tanta incertezza? Gli unici dati credibili sono quelli riportati nelle note del discorso rivolto da papa Francesco, il 2 febbraio 209, a conclusione dell’incontro sulla «Protezione dei minori nella Chiesa». Citando fonti dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) – che rimangono comunque stime – si ricorda che sarebbero fino a un miliardo i minori tra i 2 e i 17 anni che hanno subito qualche forma di violenze o negligenze fisiche, emotive o sessuali. Gli abusi sessuali – stime Unicef – riguarderebbero 120 milioni di bambine. In Europa l’Oms ha stimato che nel 2013 oltre 18 milioni di bambini risulterebbero essere stati vittime di abusi.

            Le stime italiane arrivano dal Cesvi [Cooperazione E SVIluppo] (6 milioni di bambini vittime di maltrattamenti) e di Telefono Azzurro, che nel 2017 ha calcolato 98 casi, pari al 7,5% dei casi gestiti dal servizio. Per quanto riguarda il clero sappiamo che le vittime risulterebbero al 40% bambine e per il 60% bambini, ma anche qui non esistono studi davvero credibili.

 In Australia è stato stimato che il 7% dei preti ha commesso abusi. In Italia la stima varia dal 2 al 4%, ma siamo ancora – è il caso di ripeterlo – nel campo delle ipotesi.

Ecco perché i grafici pubblicati nei giorni scorsi dal Fatto, con un’improbabile stima delle diocesi “sicure e non sicure”, è del tutto inaccettabile.

            Ma perché non disponiamo di statistiche più accurate? «Le diocesi – osserva l’arcivescovo Ghizzoni – comunicano i risultati dei casi aperti e di quelli che si concludono con una condanna alla Congregazione per la dottrina della fede. Queste sono le indicazioni del Codice di diritto canonico. È stato osservato che questi dati dovrebbero essere noti anche a noi, come Servizio nazionale per la tutela dei minori della Conferenza episcopale italiana. È quanto auspichiamo. E infatti ne faremo richiesta, pur consapevoli della difficoltà di addentrarci nella valutazione di situazioni che rimangono delicate e complesse».

            Non si tratta di stendere veli pietosi per nascondere la realtà ma anche di esigere che non si proceda per semplificazioni banali. Un conto sono i titoli di giornali – da cui per esempio attingono i siti che si occupano di questi problemi –, un altro la realtà. Ci sono le indagini previe, poi eventualmente i processi, poi assoluzioni o condanne. E poi i casi destituiti di ogni fondamento per cui non si avviano neppure le indagini.

            «Dalla segnalazione alla condanna, o all’assoluzione, spesso cambiano le cifre. E quasi sempre passano anni. Quanti sono andati a processo, quanti sono stati condannati? Sono conteggi difficili, anche perché – conclude Ghizzoni – i reati sono diversi. Stiamo parlando di un fenomeno, quello sugli abusi nei confronti di adolescenti e preadolescenti, che la stessa scienza psicologica guarda giustamente in modo differenziato. Tutti comunque gravissimi e su cui riflettere senza sconti».

 Ecco perché è vietato banalizzare e sparare cifre che non possono trovare riscontro. La macchina del fango, soprattutto in questi casi, nuoce gravemente – e allo stesso modo – sia alle vittime sia ai colpevoli.

Dall’incontro con le vittime all’insediamento del Servizio nazionale. «Nell’ascoltare il dolore di queste persone mi sono confermato sul percorso di plagio e, quindi, di abuso di potere che soggiace e prepara quello a carattere sessuale. Siamo chiamati a essere rigorosi nella selezione dei candidati al ministero, avvalendoci dell’apporto delle scienze umane: meglio avere meno preti e religiosi che rischiare la vita di un minore».

            Era il 14 febbraio 2019 quando il presidente Cei cardinale Bassetti incontrava due vittime di abusi. L’assemblea dei vescovi di maggio ha poi approvato le «Linee guida» ispirate a tre interventi del Papa: la «Lettera al Popolo di Dio» (20 agosto 2018), il discorso al summit delle Conferenze episcopali (24 febbraio 2019) e il motu proprio «Vos estis lux mundi» (7 maggio2019).

 La Cei ha anche nominato i membri del Consiglio di presidenza del Servizio nazionale, guidato da monsignor Ghizzoni e coordinato da Emanuela Vinai. Vi siedono anche Carlo Acquaviva, Amedeo Cencini, Anna Deodato, Gianluca Marchetti, Luigi Sabbarese, Gottfried Ugolini, Laura Tesognero, Maria Bianca Giunta, Stefano Lassi, Giacomo Incitti e Chiara Palazzini.

            Linee guida e sito Cei, strumenti per agire. «Tutta la comunità è coinvolta nel rispondere alla piaga degli abusi non perché tutta la comunità sia colpevole, ma perché di tutta la comunità è il prendersi cura dei più piccoli. Ogni qualvolta uno di loro viene ferito, tutta la comunità ne soffre perché non è riuscita a fermare l’aggressore o a mettere in pratica tutto ciò che si poteva fare per evitare l’abuso».

 È un passo delle «Linee guida per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili» approvate dall’assemblea dei vescovi italiani in maggio, pubblicate a fine giugno e consultabili sul sito del Servizio nazionale per la tutela dei minori                                              https://tutelaminori.chiesacattolica.it

 insieme ad altri documenti della Chiesa, agli interventi del Papa, a notizie e segnalazioni media. «È richiesto un rinnovamento comunitario – si legge nel documento Cei –, che sappia mettere al centro la cura e la protezione dei più piccoli e vulnerabili come valori supremi da tutelare. Solo questa conversione potrà permettere a tutta la comunità di vincere ogni silenzio, indifferenza, pregiudizio o inattività».

Luciano Moia Avvenire         7 dicembre 2019

www.avvenire.it/attualita/pagine/protezione-minori-cei-determinata

 

 

 

 

Determinazioni riguardanti i Tribunali ecclesiastici italiani in materia di nullità matrimoniale

Il Consiglio Episcopale Permanente, nella sessione del 23-25 settembre 2019, ha approvato le determinazioni, in vigore dal 1° gennaio 2020, riguardanti i compensi in favore degli avvocati e procuratori, i patroni stabili laici, i giudici laici, i difensori del vincolo laici e/o promotori di giustizia laici, gli uditori laici e assessori laici operanti nei tribunali ecclesiastici italiani in materia di nullità matrimoniale, i criteri di remunerazione per i sacerdoti operanti nei tribunali ecclesiastici italiani in materia di nullità matrimoniale.  Le determinazioni, promulgate dal Presidente della CEI in data 3 dicembre 2019, prot. n. 768/2019, entrano in vigore dal 1° gennaio 2020.

https://giuridico.chiesacattolica.it/wp-content/uploads/sites/37/Determinazioni-Tribunali-03.12.2019-3.pdf

https://giuridico.chiesacattolica.it/tribunali

 

La vita è una promessa di bene

2 febbraio 2020 – XLII giornata per la vita    Aprite le porte alla Vita

Si intitola “Aprite le porte alla Vita” il Messaggio che il Consiglio Permanente della CEI ci affida per la 42ma Giornata per la vita, per il prossimo 2 febbraio 2020.

https://famiglia.chiesacattolica.it/wp-content/uploads/sites/23/2019/11/29/Messaggio-Giornata-Vita-2020.docx

È l’occasione per dar luce al desiderio di vita buona e sensata che si genera negli uomini e nelle donne di questo tempo. Infatti, “la vita non è un oggetto da possedere o un manufatto da produrre, è piuttosto una promessa di bene, a cui possiamo partecipare, decidendo di aprirle le porte”. Spesso sono proprio le situazioni di prova, le relazioni da ricostruire, le crisi da superare a nascondere l’opportunità di dare un senso nuovo all’esistenza, schiudendo i chiavistelli del proprio cuore allo Spirito che risana gli animi. Questa Grazia “purificherà i figli di Levi, li affinerà come oro e argento, perché possano offrire al Signore un’offerta secondo giustizia” (Ml 3,3).

Accompagniamo allora Maria e Giuseppe che offrono il Figlio nella Festa della Presentazione al Tempio, unendo idealmente ogni piccolo concepito che chiede un abbraccio.

La custodia della vita fragile. “È vero. Non tutti fanno l’esperienza di essere accolti da coloro che li hanno generati: numerose sono le forme di aborto, di abbandono, di maltrattamento e di abuso”. Questa catena di rifiuto con l’apporto di tutti noi e con la forza della Grazia può essere interrotta e trasformata in un’azione di cura, capace di custodire ogni vita dal concepimento al suo naturale termine.

“Infatti, proprio per essere stato messo alla prova e avere sofferto personalmente, Gesù è in grado di venire in aiuto a quelli che subiscono la prova” (cfr. Eb 2,18). Lui, che è stato in agonia sulla croce e che è Risorto, può darci il coraggio di non cedere a scorciatoie dinanzi all’umanità fragile e agli stati di malattia terminale. Ci guida la saggezza di Simeone, per dire come lui ogni giorno, fino agli ultimi istanti: “I miei occhi hanno visto la tua salvezza: luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele” (cfr. Lc 2, 30-32).

Nelle prove della vita non siamo soli. Così, attraverso le belle famiglie che colorano di gioia i nostri Paesi e le nostre città, “lo stile della fraternità si irradia come una promessa sull’intera società” (AL 194). Infatti, “non è possibile vivere se non riconoscendoci affidati gli uni agli altri. Il frutto del Vangelo è la fraternità”. È su questi esempi generativi di bene che si concentrerà l’inserto di “Noi famiglia & vita” in uscita la domenica precedente alla Giornata, il 26 gennaio 2020, raccontando storie concrete.

Vi invitiamo quindi a cogliere questa occasione per diffondere semi di speranza e di nuova operosità, stringendo valide alleanze educative fra le istituzioni e anche tra le stesse famiglie.

Osiamo sperare che la Giornata per la vita divenga sempre più un’occasione per spalancare le porte a nuove forme di fraternità solidale. Un abbraccio di pace e bene.

Fra Marco Vianelli, Direttore dell’Ufficio Nazionale per la pastorale della famiglia della CEI

https://famiglia.chiesacattolica.it/aprite-le-porte-alla-vi

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CONSULTORI FAMILIARI

“Il cortile delle mamme” con Fondazione Centro Orientamento Famiglia – Monza

 “Il cortile delle mamme” è gruppo di incontro prima e dopo il parto, per mamme in gravidanza e con bimbi 0-1 anno e 1- 3 anni. Incontri per vivere un momento di confronto e condividere pensieri, emozioni, gioie, dubbi e saperi differenti di questa importante esperienza.

Si tratta di due gruppi differenti: uno per le mamme con bambini da 0 a 1 anno e il secondo per mamme con bambini da 1 a 3 anni.

  1. Gruppo 0-1. Gruppi per mamme in gravidanza e con bimbi da 0 a 12 mesi, con la presenza di una psicologa, di un’ostetrica e di un’operatrice sociale
  2. Gruppo 1-3. Gruppi per mamme e bimbi da 1 a 3 anni, con la presenza di un psicopedagogista, di una psicomotricista dell’età evolutiva e di un’ostetrica.

https://www.monzaperibambini.it/famiglia/corsi-mamma-bambino/267-il-cortile-delle-mamme-con-fondazione-centro-orientamento-famiglia-monza.html

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COORDINAZIONE GENITORIALE

 Istruzioni per l’uso

Vedi newsUCIPEM n. 782, 1 dicembre 2019, pag. 22

Un vero e proprio vademecum per la coordinazione genitoriale, strumento ADR [Metodi alternativi di risoluzione delle controversie] sempre più larga applicazione, al fine di suggerire modalità applicative che tendono a mettere ordine nell’attuale variegato sistema

La coordinazione genitoriale (CG) è strumento di promettente e sempre più ampia applicazione anche in Italia. Si possono ricordare, a tale proposito, non solo i tribunali di Milano, Brescia, Pavia e Mantova, Como, tutti lombardi, ma anche altri sparsi per l’Italia, come quelli di Civitavecchia, Reggio Emilia, Messina e Trieste, a testimonianza di un interesse non localizzato.                     [a gennaio 2018]

A dispetto della sua recente introduzione e dell’ancor limitato impiego, su una quantità di sostanziali aspetti si è già osservata una differenziazione così vistosa da far ritenere utile la proposizione di un plausibile modello che, sulla base di considerazioni ispirate alla logica e alla funzionalità – oltre che alle linee guida americane (AFCC), del resto tuttora non univoche – possa rappresentare un contributo alla unificazione delle prassi.

            In discussione, infatti, con divergenze anche abissali, sono la volontarietà o meno del processo, il ruolo del coordinatore entro di esso, i suoi poteri, la sua partecipazione alla redazione del piano genitoriale, i requisiti di ammissione alla professione, la gratuità o meno della CG, il grado di segretezza o riservatezza alla quale si è tenuti e via dicendo.

Sono state fatte necessariamente, pertanto, delle scelte, ognuna delle quali ha delle precise motivazioni, delle quali viene fornita la giustificazione qui di seguito.

 

Coordinazione genitoriale: il vademecum

Fase preliminare: piano genitoriale

 1. Presso il tribunale viene istituito un sportello informativo, collegato con servizi di mediazione familiare e coordinazione gestita da una struttura pubblica o convenzionata

             2. Il giudice valuta i ricorsi prima dell’udienza presidenziale e in sede di udienza applica l’art. 337-octies c.c. se il disaccordo appare non risolvibile in quella sede, suggerendo la mediazione familiare

             3A. La coppia accetta di andare in mediazione: a) la mediazione ha successo: si omologa l’accordo ed il procedimento si conclude; b) la mediazione fallisce

            3B. La coppia non accetta di andare in mediazione, oppure siamo nel caso 3A b): il giudice chiede loro di elaborare un piano genitoriale (di seguito PG), da soli o congiuntamente, con l’ausilio del personale dello sportello

             4. La coppia va allo sportello dove riceve ogni informazione e spiegazione relative al PG

             5A. La coppia incontra difficoltà tali a costruire congiuntamente il PG che ognuno elabora il suo

             5B. La coppia chiede aiuto a operatore, con il suo intervento di tipo mediativo completa il PG

             5C. Un solo genitore elabora il PG

             5D. Nessuno dei due lo costruisce

             6. Al giudice arriva: a) un PG congiunto; b) un solo PG; c) nessun PG; d) un PG congiunto ed inaccettabile perché, ad es., non rispetta i diritti dei figli

 7. Il giudice: a), b) approva il PG com’è o lo modifica; c) e d) con o senza l’aiuto dell’operatore costruisce un valido PG, ex novo o con parziale modifica

Fase introduttiva alla coordinazione genitoriale: investitura del CG (coordinatore genitoriale)

 8. Il giudice segnala alle parti la necessità di giovarsi di un CG

 9A. La coppia accetta e concorda a chi rivolgersi, attingendo al servizio pubblico oppure firmando un contratto con il CG e in questo caso sopportandone i relativi costi

 9B. La coppia subisce, senza condividerla, la decisione del giudice oppure, comunque, non riesce ad accordarsi sulla scelta del CG

10. Il giudice nomina come CG, senza oneri per la coppia: a) l’operatore, del servizio pubblico o no, indicato dalla coppia; b) se questi accetta, lo stesso esperto che ha assistito la coppia nella costruzione del PG; c) se non accetta, un soggetto individuato in una lista preesistente

            11. Il PG viene trasfuso nel provvedimento del giudice ovvero questi rimanda al PG nella sua ordinanza quale allegato, conferendo i relativi poteri di controllo al CG

Fase applicativa

12. Modalità dell’intervento. La provenienza dell’incarico (dal giudice o dalle parti) può modificare alcuni aspetti secondari ed essenzialmente formali dell’attività del CG – nel senso che in sede contrattuale possono essere convenute, ad integrazione del PG, regole specifiche, ad es., modalità dei contatti tra le parti e il CG e tra questi e i soggetti terzi ovvero limiti di flessibilità rispetto a questioni di secondaria importanza o anche condizioni particolari rispetto alla riservatezza e/o rispetto alla frequentazione di altri soggetti. In altre parole, se la coppia non ha aderito spontaneamente alla CG (magari suggerita al giudice dal CTU) e si trova a dover attuare un PG che non ha personalmente elaborato, ma che ha ricevuto ex novo all’interno della decisione del giudice, i contenuti dello stesso non saranno, probabilmente, adeguati alle aspirazioni di ognuno e, pertanto, avranno una maggiore propensione a confrontarsi nella stesura del contratto

            13. Collocazione temporale e durata dell’intervento. Il CG può essere chiamato a intervenire sia in fase istruttoria (dopo i provvedimenti provvisori ex art. 337 ter c.c.) sia al termine del procedimento giudiziale. La durata dell’intervento, che ha il senso di accompagnare e sostenere la coppia fino al raggiungimento della capacità di autogestione, non è predeterminata ma, a partire da un minimo di sei mesi può aversi il rinnovo del mandato entro limiti indicati nella nomina del giudice o, se CG volontaria, previsti nel contratto

            14. Poteri del Coordinatore. Assicura il rispetto del PG, dandone alle parti l’interpretazione autentica. Può, inoltre, decidere su aspetti secondari, soprattutto se non considerati nel PG, mentre su aspetti principali che risultino disciplinati in modo inidoneo può segnalare gli inconvenienti al giudice e chiederne la modifica. Gli accordi stabiliti con le parti nel contratto non possono porre limiti alle possibilità di intervento del CG che confliggano con i suoi doveri istituzionali, quali gli derivano dal provvedimento di incarico

            15. Interazione del Coordinatore con soggetti terzi. Oltre ad avere accesso integrale alla documentazione completa (diritto/dovere) relativa al caso, il CG ha titolo per interagire con tutti i soggetti coinvolti a vario titolo nel caso, coordinandosi con essi. Quindi, oltre ai Servizi e all’eventuale CTU, ai figli e ai parenti, con i nuovi partner, gli insegnanti, i terapeuti di genitori e figli

            16. Riservatezza. La coordinazione genitoriale non è un processo riservato sia per le comunicazioni tra le parti e i loro figli verso il CG, che per le comunicazioni tra il CG e altre parti rilevanti per il processo di CG o per le comunicazioni con il tribunale. Sia il CG che le parti potranno testimoniare riguardo a circostanze emerse nell’ambito della CG nel caso in cui la testimonianza o la prova siano necessarie ai sensi di legge oppure siano richieste dal giudice

            17. Contestabilità delle decisioni. Allorché il CG sia stato nominato dalle parti anche una sola di esse ha facoltà di congedarlo ove non sia soddisfatta della sua gestione dell’incarico, fermo restando che ciò non mette fine alla coordinazione stessa, in quanto recepita dal giudice. Si procede a quel punto alla nomina di un altro CG, secondo le modalità sopra descritte. La contestazione deve, in ogni caso, essere dalle parti interessate segnalata al giudice, il quale valuta le relative motivazioni.

            18. Violazioni del Piano Genitoriale o delle decisioni del Coordinatore Genitoriale. A seconda del tipo di violazione, il CG segnala l’accaduto al giudice del procedimento, al giudice tutelare, alla Procura presso il Tribunale per i minorenni, alla questura o ai Servizi sociali. A seguito di ciò, ha facoltà di rimettere il mandato al giudice o di ritenere risolto il contratto.

19. Incompatibilità. Un Coordinatore Genitoriale non può operare all’interno di ruoli multipli che possano creare conflitti anche solo di tipo deontologico

Marino Maglietta e Ilaria Fuccaro, avvocato (Camera Minorile-Firenze) e mediatrice familiare

9 febbraio 2018

www.studiocataldi.it/articoli/29140-coordinazione-genitoriale-istruzioni-per-l-uso.asp

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DALLA NAVATA

Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria

Genesi             03, 20 L’uomo chiamò sua moglie Eva, perché ella fu la madre di tutti i viventi.

Salmo              97, 02 Il Signore ha fatto conoscere la sua salvezza, agli occhi delle genti ha rivelato la sua giustizia.

Efesìni             01, 04 In lui ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità,

Luca               01, 37 «Nulla è impossibile a Dio».

 

Il sì di Maria l’eccomi che cambia la storia

L’angelo Gabriele, lo stesso che «stava ritto alla destra dell’altare del profumo» (Lc 1,11), è volato via dall’incredulità di Zaccaria, via dall’immensa spianata del tempio, verso una casetta qualunque, un monolocale di povera gente.

Straordinario e sorprendente viaggio: dal sacerdote anziano a una ragazza, dalla Città di Dio a un paesino senza storia della meticcia Galilea, dal sacro al profano. Il cristianesimo non inizia al tempio, ma in una casa. La prima parola dell’angelo, il primo “Vangelo” che apre il vangelo, è: rallegrati, gioisci, sii felice. Apriti alla gioia, come una porta si apre al sole: Dio è qui, ti stringe in un abbraccio, in una promessa di felicità. Le parole che seguono svelano il perché della gioia: sei piena di grazia.

Maria non è piena di grazia perché ha risposto “sì” a Dio, ma perché Dio per primo ha detto “sì” a lei, senza condizioni. E dice “sì” a ciascuno di noi, prima di qualsiasi nostra risposta. Che io sia amato dipende da Dio, non dipende da me. Quel suo nome, “Amata-per-sempre” è anche il nostro nome: buoni e meno buoni, ognuno amato per sempre. Piccoli o grandi, tutti continuamente riempiti di cielo. Il Signore è con te. Quando nella Bibbia Dio dice a qualcuno “io sono con te” gli sta consegnando un futuro bellissimo e arduo (Rosanna Virgili).

Lo convoca a diventare partner della storia più grande. Darai alla luce un bimbo, che sarà figlio della terra e figlio del cielo, figlio tuo e figlio dell’Altissimo, e siederà sul trono di David per sempre. La prima parola di Maria non è il “sì” che ci saremmo aspettati, ma la sospensione di una domanda: come avverrà questo? Matura e intelligente, vuole capire per quali vie si colmerà la distanza tra lei e l’affresco che l’angelo dipinge, con parole mai udite… Porre domande a Dio non è mancare di fede, anzi è voler crescere nella consapevolezza.

La risposta dell’angelo ha i toni del libro dell’Esodo, di una nube oscura e luminosa insieme, che copre la tenda, la riempie di presenza. Ma vi risuona anche la voce cara del libro della vita e degli affetti: è il sesto mese della cugina Elisabetta. Maria è afferrata da quel turbinio di vita, ne è coinvolta: ecco la serva del Signore. Nella Bibbia la serva non è “la domestica, la donna di servizio”. Serva del re è la regina, la seconda dopo il re: il tuo progetto sarà il mio, la tua storia la mia storia, Tu sei il Dio dell’alleanza, e io tua alleata.

Sono la serva, e dice: sono l’alleata del Signore delle alleanze. Come quello di Maria, anche il nostro “eccomi!” può cambiare la storia. Con il loro “sì” o il loro “no” al progetto di Dio, tutti possono incidere nascite e alleanze sul calendario della vita

Padre Ermes Ronchi, OSM

www.cercoiltuovolto.it/vangelo-della-domenica/commento-al-vangelo-del-8-dicembre-2019-p-ermes-ronchi

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DONNE NELLA CHIESA

La teologia incarnata delle donne

Nel discorso di Francesco per i 50 anni della Commissione teologica internazionale (CTI) si ritrovano alcune caratteristiche della pratica teologica delle donne: essa è un “corpo a corpo” con la Scrittura e con il discorso su Dio, senza riduzioni autobiografiche e senza derive ideologiche. Uno studio che non paga, ma appassiona. E che, come le altre teologie, può aiutare “il popolo” a non perdere la fede.

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2019/november/documents/papa-francesco_20191129_commissione-teologica.html

Dopo che al concilio Vaticano II era divenuta ormai evidente la necessità di un dialogo, anche pubblico, tra magistero e teologi, Paolo VI dotò la Chiesa di un importante gruppo di lavoro, la Commissione teologica internazionale (CTI). A cinquant’anni dalla sua costituzione, Joseph Ratzinger – che in quanto Prefetto della Congregazione per la dottrina delle fede l’aveva presieduta per tanti anni – ha rivolto ai membri della Commissione una lunga lettera nella quale ricorda alcune tappe importanti della sua storia.

www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/cti_documents/rc_cti_20191022_saluto-bxvi-50ann-cti_it.html

            Ne lascia però da parte una che per noi ha invece un certo rilievo, e cioè il fatto che dal settimo quinquennio (2004-2009) hanno cominciato a farne parte, sia pure in percentuale molto ridotta, anche alcune teologhe. A riprova che la presenza delle donne nell’ambito della teologia cattolica viene ormai riconosciuta come strutturale. C’è voluto un po’ di tempo, se si pensa che diverse di noi hanno cominciato a studiare teologia alla fine degli anni ’60 e la catena, fino ad oggi, non si è mai interrotta. Ma le donne sanno molto bene che, soprattutto a loro, nella Chiesa non vengono risparmiati lunghi tempi di “sala d’attesa”.

Far venire alla luce il Vangelo: un’indicazione che apre il cuore. Da parte sua, per la celebrazione dei suoi «cinquant’anni di servizio alla Chiesa», papa Francesco ha rivolto alla Commissione un discorso che merita attenzione perché supera i confini dell’occasionalità. In fondo, è a tutti i teologi e le teologhe che il papa si rivolge quando ricorda che la teologia svolge, nei confronti del Vangelo, una funzione generatrice: «Siete chiamati a far venire alla luce il Vangelo». Dopo secoli in cui lo statuto della teologia cattolica è stato monopolizzato dal problema del rapporto con il magistero, questo richiamo alla priorità del Vangelo e alla forza propulsiva che viene alla teologia proprio dal suo legame genetico con il Vangelo allarga il cuore.

Una teologia che nasce dalla vita ed è per la vita. Francesco, poi, pensa a una riflessione teologica che nasce dalla vita, è espressione del vivere e torna alla vita: «A questo è chiamata la teologia: non è disquisizione cattedratica sulla vita, ma incarnazione della fede nella vita».

            Non sapremo mai se o fino a che punto egli stesso sia consapevole del fatto che proprio questo è uno dei più grandi contributi che le donne credenti hanno dato alla vita spirituale e alla vita ecclesiale, cioè a quelle che Francesco considera le due dimensioni costitutive di «una teologia bella, che abbia il respiro del Vangelo» e sia in grado di attirare «laici e clero, uomini e donne».

Per le donne, infatti, il rapporto con la Bibbia e con la teologia comporta di ingaggiare un vero “corpo a corpo”. Passa infatti attraverso l’affermazione della propria soggettualità individuale e di genere e, al contempo, per sfuggire all’autoreferenzialità, passa attraverso un’autentica disciplina delle relazioni. Comporta però anche una pressante ricerca dei nessi, molteplici e complessi, tra il vivere e il pensare e, al contempo, una sapiente presa di distanza da ogni tentazione totalitaria dell’io come dell’idea, della riduzione biografica come della deriva ideologica.

Né proselitismo né paternalismo. La pratica della teologia, d’altra parte, è grande scuola di libertà. Per questo forse nel caso delle donne, quando cioè non si studia unicamente per accedere agli ordini sacri, ma per desiderio, la riflessione teologica esercita un fascino tutto particolare. Diventa vera e propria passione. Una passione che, benché in Italia gli sbocchi professionali siano pressoché nulli, si va trasmettendo di generazione in generazione. Una passione strettamente personale e insieme espansiva perché, come dice efficacemente papa Francesco, si fa teologia «per diffondere il gusto buono del Vangelo ai fratelli e alle sorelle del proprio tempo». Non per proselitismo, ma neppure per paternalismo.

Il popolo di Dio rischia il disorientamento o piuttosto l’analfabetismo? È proprio a questo riguardo, però, che il discorso di papa Francesco lascia trasparire un’inattesa criticità. Alla fine infatti, con sbrigativa determinazione, il pontefice afferma che il teologo deve, sì, saper «andare oltre» e «rischiare nella discussione», ma solo a porte chiuse, perché «al popolo di Dio bisogna dare il “pasto” solido della fede». Poi, fuor di metafora, chiede ai teologi che «la dimensione di relativismo … rimanga tra i teologi, ma mai portare questo al popolo, perché allora il popolo perde l’orientamento e perde la fede».

            Una simile affermazione meriterebbe una lunga e ampia discussione perché chiama in causa la secolare resistenza, da parte della Chiesa cattolica, a entrare nella modernità e a liberarsi dal fantasma del modernismo. Ma, soprattutto, chiede di domandarsi se, oggi, il popolo non perda la fede proprio perché gli viene somministrata pappa devozionale e non il «cibo solido», che, per essere tale, deve essere impastato di buona divulgazione e condito da un serrato confronto di idee.

            Ogni giorno verifichiamo che l’analfabetismo è la piaga che sta infettando la vita pubblica e la convivenza civile. Lungo i secoli, in analoghi momenti di crisi, la Chiesa è stata capace di “armare la resistenza”, perché ha fatto quello che auspicava Marguerite Yourcenar: «Fondare biblioteche è come costruire ancora granai pubblici, ammassare riserve contro un inverno dello spirito che, da molti indizi, mio malgrado, vedo venire».

            Come tutti i ricercatori, anche i teologi sanno certamente distinguere tra il momento strettamente investigativo e quello apertamente divulgativo. Ma in un tempo come il nostro, in cui in tutti gli ambiti del sapere e del vivere l’ignoranza è un attentato alla qualità della vita, se il popolo perde la fede è perché da troppo tempo è stato condannato, anche dalla Chiesa stessa, a una sorta di analfabetismo biblico e teologico. Ed è stato così reso inabile ad affrontare le domande che nascono, non per induzione dei teologi, ma a partire dalla vita e dalla storia.

Marinella Perroni       Il Regno delle donne   5 dicembre 2019

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FRANCESCO VESCOVO DI ROMA

5 idee di Benedetto XVI che Francesco applica venendo tacciato di “comunismo”

A dieci anni dalla sua pubblicazione, l’enciclica “Caritas in veritate(29 giugno 2009) di Benedetto XVI è più attuale che mai, ed è fondamentale per il pensiero sociale di Papa Francesco, che cita il suo predecessore in ogni occasione e tuttavia viene criticato da acerrimi nemici e definito “Papa comunista”.

www.vatican.va/content/benedict-xvi/it/encyclicals/documents/hf_ben-xvi_enc_20090629_caritas-in-veritate.html

Benedetto XVI ha esortato allo sviluppo umano integrale nella carità e nella verità, anche denunciando l’immoralità della speculazione finanziaria dopo la crisi del 2008, e ha invitato a una globalizzazione aperta alla trascendenza, al rispetto dei migranti e all’uso delle energie rinnovabili, fondamentali anche nel discorso di Papa Francesco.

Ad esempio, ascoltiamo l’angosciata denuncia di un’“economia che uccide” e che contraddice il vero sviluppo, come Benedetto XVI ha esortato a far sì che la carità sia “la via maestra della dottrina sociale della Chiesa”. Sorprenderà, ma è stato il Papa a proporre una riforma agraria, indicando anche che la sussidiarietà “è l’antidoto più efficace contro ogni forma di assistenzialismo paternalista” e può umanizzare la globalizzazione.

Il Pontefice tedesco esplorava l’azione morale che segue i criteri del bene comune e della giustizia, dicendo che “ogni cristiano è chiamato a questa carità, nel modo della sua vocazione e secondo le sue possibilità d’incidenza nella pólis”. Dal canto suo, Francesco riceve critiche perché con i suoi messaggi tocca i nervi scoperti della cattiva politica o dell’attività amorale dei Governi europei che vendono armi, perché un pastore, secondo i suoi oppositori, dovrebbe vivere marginalmente alla polis citata da Benedetto XVI e predicare le realtà celesti, senza incidenza concreta.

            La “Populorum progressio” (26 marzo 1967) di Paolo VI influenzava Ratzinger come influenza Bergoglio, e viene ribadita nella “Caritas in veritate”, che torna sulla “imprescindibile importanza del Vangelo per la costruzione della società secondo libertà e giustizia”.

http://w2.vatican.va/content/paul-vi/it/encyclicals/documents/hf_p-vi_enc_26031967_populorum.html

Per questo, quando Benedetto XVI esortava gli Stati ricchi a “destinare maggiori quote del loro prodotto interno lordo per gli aiuti allo sviluppo” e ad abbandonare il relativismo che condanna il povero ad essere più povero, non si trattava di socialismo, ma di Dottrina Sociale della Chiesa. È la stessa fonte a cui attinge anche Papa Francesco, e fa sì che le sue parole siano in sintonia con il suo predecessore quando denuncia ad esempio lo sviluppo umano disuguale e che promuove anche il fenomeno perverso del turismo sessuale. “È doloroso constatare – diceva Benedetto XVI – che ciò si svolge spesso con l’avallo dei governi locali”.

Energie rinnovabili e sviluppo pensato in funzione della persona. “La fede cristiana si occupa dello sviluppo non contando su privilegi o su posizioni di potere (…), ma solo su Cristo”, spiegava il Papa emerito, osservando che “le cause del sottosviluppo non sono primariamente di ordine materiale”, ma vanno ritrovate nella “mancanza di fraternità tra gli uomini e tra i popoli”. Francesco, dal canto suo, prosegue denunciando la “globalizzazione dell’indifferenza”. Benedetto XVI rifletteva anche sulle problematiche energetiche: “L’accaparramento delle risorse energetiche non rinnovabili da parte di alcuni Stati, gruppi di potere e imprese costituisce, infatti, un grave impedimento per lo sviluppo dei Paesi poveri”; “le società tecnologicamente avanzate possono e devono diminuire il proprio fabbisogno energetico”, e “finanziare la ricerca di fonti nuove e alternative”.

L’omologazione culturale e la riforma agraria. Papa Francesco denuncia l’omologazione culturale di una globalizzazione che anziché essere un poliedro è una sfera, in cui la ricchezza della diversità dei popoli e delle persone non trova spazio. In questo senso, Papa Benedetto XVI denunciava il rischio di “un eclettismo culturale assunto spesso acriticamente”, in cui “le culture vengono semplicemente accostate e considerate come sostanzialmente equivalenti e tra loro interscambiabili”. In questo contesto esiste il pericolo costituito “dall’appiattimento culturale e dall’omologazione dei comportamenti e degli stili di vita”. Il Papa rimarcava poi lo scandalo della fame, esortando a realizzare “un’equa riforma agraria nei Paesi in via di sviluppo”.

Circa la globalizzazione, Benedetto XVI diceva che non dev’essere intesa solo come “un processo socio-economico”, ma bisogna “favorire un orientamento culturale personalista e comunitario, aperto alla trascendenza”, e “correggerne le disfunzioni”.

Civiltà dell’economia. Benedetto XVI chiede anche il rispetto della vita, che non può essere separata dalle questioni collegate allo sviluppo dei popoli. “L’economia ha bisogno dell’etica per il suo corretto funzionamento; non di un’etica qualsiasi, bensì di un’etica amica della persona”. Il Papa emerito insisteva sulla fraternità, come il suo successore parla della necessità di riscoprire la gratuità. Il terzo capitolo della Caritas in veritate inizia del resto con un elogio dell’esperienza del dono, non riconosciuta nel mondo materialista ed egoista “a causa di una visione solo produttivistica e utilitaristica dell’esistenza”. “Lo sviluppo economico, sociale e politico ha bisogno, se vuole essere autenticamente umano, di fare spazio al principio di gratuità come espressione di fraternità”.

La logica mercantilista dev’essere ordinata al conseguimento del bene comune, che è responsabilità soprattutto della comunità politica. Benedetto XVI citava Giovanni Paolo II nella sua enciclica “Centesimus annus” (1 maggio 1991), che segnalava “la necessità di un sistema a tre soggetti: il mercato, lo Stato e la società civile”.

            I Papi abbracciano la Dottrina Sociale della Chiesa ispirata al Vangelo, perché la “bandiera dei poveri”, come ha detto una volta il Papa latinoamericano, non può essere rubata da un’ideologia. Benedetto XVI sottolineava la necessità di forme di economia solidale e che sia al mercato che alla politica servono persone aperte al dono reciproco. Per questo, Francesco ritiene che la politica sia la forma più alta di carità e non debba piegarsi alla logica del “dio denaro”.

Ary Waldir Ramos Díaz                     aleteia             5 dicembre 2019

https://it.aleteia.org/2019/12/06/5-idee-di-benedetto-xvi-che-francesco-applica-venendo-tacciato-di-comunismo/?utm_campaign=NL_it&utm_source=daily_newsletter&utm_medium=mail&utm_content=NL_it

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La fine del matrimonio delle persone fragili prive di capacità

Abstract

Secondo la giurisprudenza, sia il beneficiario di amministrazione di sostegno che il giudice tutelare abbia privato della capacità di agire, sia l’interdetto giudiziale possono separarsi e divorziare. Ciò avviene attraverso la sostituzione dell’incapace, da parte del suo rappresentante legale, amministratore di sostegno o tutore che sia. Ciò può avvenire, inoltre, non soltanto quando l’iniziativa per la separazione o per il divorzio sia presa dal coniuge della persona fragile, ma anche in conseguenza dell’iniziativa presa direttamente del rappresentante legale di questi.

1. Separazione e divorzio del rappresentato, su iniziativa del rappresentante legale di questi

Secondo la giurisprudenza (non abbondantissima, ma ormai costante: C. 2018/14669; C. 2000/9582; T. Catania, 15.1.2015; T. Milano, 19.2.2014; T. Cagliari, 15.6.2010; T. Roma, 10.3.2009; T. Modena, 25.10.2007; T. Modena, 26.10.2007), gli atti personalissimi destinati alla gestione della crisi coniugale della persona legalmente incapace, sia essa interdetta, o beneficiaria di amministrazione di sostegno (e privata della capacità, con riferimento alla separazione e al divorzio), possono essere compiuti, in nome e per conto di tale soggetto, dal rappresentante legale.

Tanto l’azione per la separazione giudiziale, quanto l’azione per il divorzio, insomma, parrebbero poter essere intentate direttamente dal tutore, in nome e per conto dell’interdetto, o dall’amministratore di sostegno, in nome e per conto del beneficiario, qualora costui non abbia sul punto autonomia e capacità.

            Con specifico riferimento al divorzio dell’interdetto, un argomento testuale viene ricavato dall’articolo 4, 5° comma, Legge 898/1 dicembre 1970, che, in una prospettiva meramente difensiva, espressamente consente al rappresentante dell’infermo di mente di resistere in nome e per conto del rappresentato, alla domanda di divorzio proposta dall’altro coniuge (in verità, la previsione testuale della norma contempla la nomina di un curatore speciale, ma, ormai, la giurisprudenza ritiene che la legittimazione in parola possa stare anche direttamente in capo al rappresentante generale, salvo che nelle ipotesi in cui vi sia conflitto di interessi).

www.google.com/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=3&ved=2ahUKEwiJprvlndTmAhULDewKHcjvCJ0QFjACegQIARAC&url=http%3A%2F%2Fwww.esteri.it%2Fmae%2Fnormative%2Fnormativa_consolare%2Fserviziconsolari%2Fstato_civile%2F1970_legge_1.12.n%2520898-disciplina_dei_casi_di_scioglimento_di_matrim-divorzio.pdf&usg=AOvVaw0tGFGVvtRSLZX9GB3kOlGC

    Se il rappresentante legale può resistere alla domanda di divorzio in nome e per conto del rappresentato, si afferma, allora egli deve poter anche agire a tale fine, e lo stesso deve poter fare per la separazione (C. 2018/14669; C. 2000/9582). Del resto, si aggiunge più in generale, negare una tale legittimazione al rappresentante legale dell’incapace significherebbe negare protezione a diritti fondamentali della persona, come sono considerati quelli a separarsi e a divorziare, in quanto espressione della libertà matrimoniale negativa, fondata, come la positiva, sugli articoli 2 e 29 Cost. (C. 2018/14669).

Solo ove vi sia un espresso divieto normativo, come accade con l’articolo 85 Codice Civile per il matrimonio, si precisa in giurisprudenza (così, nuovamente, C. 2018/14669), si deve negare al rappresentante legale il potere di compiere l’atto in nome e per conto del rappresentato, mentre con riguardo a quegli atti per i quali un tale espresso divieto manchi, tale potere va riconosciuto, al fine di non limitare la concreta titolarità di diritti fondamentali in capo all’incapace.

2. La volontà “conforme” al volere del rappresentato incapace. Una parte della giurisprudenza di merito (T. Catania, 15.1.2015; T. Milano, 19.2.2014; T. Cagliari, 15.6.2010), poi, aggiunge che, all’atto di compiere codeste scelte di gestione della crisi coniugale in nome e per conto del rappresentato, il rappresentante dovrà esprimere una volontà conforme al volere del rappresentato, il che, in molti casi, varrà a dire, conforme alla volontà che questi avrebbe avuto, se ancora fosse stato in grado di formare in sé una volontà compiuta e consapevole.

A tale scopo, inoltre, occorrerebbe ricavare questa volontà ipotetica, mediante un procedimento di ricostruzione della vita della persona incapace; un procedimento, che, dipingendo il quadro degli orientamenti esistenziali, che il soggetto aveva coltivato quando ancora era in condizione di capacità, consenta di accertarne la presumibile permanente volontà, al momento del compimento dell’atto, da parte del legale rappresentante.

            In questo modo, verrebbe da notare, la giurisprudenza di merito ha indicato, per atti “personalissimi” non concernenti la salute e i trattamenti sanitari, una soluzione assai simile a quella formalizzata nella legge, con riguardo alle decisioni sui trattamenti sanitari, laddove, con i commi 3° e 4° dell’articolo 4, Legge 219/ 22 dicembre 2017, ha posto esplicitamente la legittimazione ad esprimere il consenso al trattamento in capo al rappresentante legale dell’incapace, e questo, per l’interdizione, sentendo “l’interdetto ove possibile”, e, per l’amministrazione di sostegno, “tenendo conto della volontà del beneficiario, in relazione al suo grado di capacità di intendere e di volere”.                www.trovanorme.salute.gov.it/norme/dettaglioAtto?id=62663

3. Un dubbio di legittimità costituzionale sull’orientamento della giurisprudenza. Resta da chiedersi come si giustifichino oggi, alla luce della unanime posizione della giurisprudenza, che si è appena richiamata, l’impedimento matrimoniale previsto all’articolo 85 Codice Civile per l’interdetto, nonché l’estensibilità di esso anche al beneficiario di amministrazione di sostegno, che in giurisprudenza viene reputata ammissibile, benché solo eccezionalmente, sulla base dell’articolo 411, 4° comma, Codice Civile.

www.brocardi.it/codice-civile/libro-primo/titolo-vi/capo-iii/sezione-i/art85.html

    Il risultato di non consentire all’incapace, attraverso l’intervento del rappresentante che ne ricostruisca la volontà, il matrimonio, e di consentirgli, viceversa, gli atti per l’attenuazione o lo scioglimento del matrimonio stesso, difatti, significa dare alla persona molta maggior tutela in punto di libertà matrimoniale negativa, che non in punto di libertà matrimoniale positiva.

Una tale differenza tra l’espansione della libertà matrimoniale positiva e l’espansione di quella negativa, allora, fa sorgere più di un dubbio di legittimità, dal momento che la libertà matrimoniale sembra essere garantita e tutelata dall’articolo 29 Costituzione, complessivamente ed uniformemente, senza che, al riguardo, possa darsi rilievo all’esistenza di divieti normativi, che sono, sì, espressi, ma soltanto da fonti di rango ordinario, come, appunto, quello recato dall’articolo 85 Codice Civile.

Letture consigliate: (…)

Filo diritto                   02 dicembre 2019

www.filodiritto.com/la-fine-del-matrimonio-delle-persone-fragili-prive-di-capacita

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METAPOLITICA

Le sardine e l’ascolto: una questione seria. Luoghi politici, prepolitici e metapolitici della città

La domanda è forte. Potremmo formularla così: è forse indice di “non democrazia”, o addirittura di “dispotismo”, affermare che qualcuno “non ha il diritto di essere ascoltato”? In effetti, nelle discussioni intorno al “movimento delle sardine”, di recente, e con una certa insistenza, si è sottolineato un aspetto che emerge da un testo abbastanza forte, nel quale è stata espressa una posizione molto chiara da parte del Movimento. Ecco testualmente che cosa dice: “Perché grazie ai nostri padri e madri, nonni e nonne, avete il diritto di parola, ma non avete il diritto di avere qualcuno che vi stia ad ascoltare“.

            Questo è un passo del “manifesto” diffuso nei giorni scorsi e rivolto contro i “sovranisti”. Un equivoco mi sembra sia nato sulla giusta interpretazione di questa frase. La quale può suonare in modo ostile, può sorprendere e può anche preoccupare. Riflettere su di essa può essere una buona occasione per capire meglio che cosa è in gioco in queste manifestazioni “silenziose”, prive di bandiere, senza slogan, ma nello stesso tempo forti ed esigenti. Proviamo a riflettere un poco su questo tema, in modo libero e sincero.

a) La differenza tra “diritto di parola” e “diritto di essere ascoltati”. In effetti, se guardiamo in faccia la condizione di una società democratica, in essa esiste un diritto universale di parola, garantito ad ogni cittadino, ma non esiste e non può esistere un diritto universale ad essere ascoltati. Anzi, proprio l’esercizio del “diritto di parola”, che nessuno può conculcare, determina la possibilità di “scegliere chi merita di essere ascoltato”. Proviamo a dirlo “a contrario”: al diritto di parola di ognuno corrisponde il divieto di impedire la sua espressione. Invece all’eventuale “diritto di essere ascoltati” corrisponderebbe un “dovere di ascolto” che, appunto, non può essere previsto in modo universale, ma solo in casi specifici.

            Così nessuno può permettersi di negare il diritto di parola a chiunque, anche ai peggiori populisti e sovranisti. Ma non arrendersi alla parola populista e sovranista, e in generale alle parole vuote e doppie, non concedere loro alcuno spazio nell’ambito dei nostri ascolti e della nostra cultura, è proprio la possibilità che nel breve testo sopra citato mi pare di trovare rappresentata in modo tanto corretto quanto lucido. Se ci fosse un dovere di ascolto, stabilito come regola generale della comunicazione politica, non potremmo sfuggire né ai comizi di Salvini, né agli editoriali di Sallusti, né ai programmi di Vespa. A loro, come è ovvio, resta il diritto di parlare. Ma rispetto a noi, per nostra fortuna, non possono vantare alcun diritto di essere ascoltati. Il non ascolto non è gesto di intolleranza, ma di scelta su chi merita di essere ascoltato: questo non è affatto un gesto antidemocratico. Anzi, è la giusta resistenza allo svuotamento della democrazia. Possiamo dirlo in altri termini: sul piano politico, le parole vuote e false comunicazioni non hanno il diritto di essere ascoltate. Questo è il principio di ogni cultura politica degna di questo nome.

b) I luoghi prepolitici e istituzionali: il “dovere di ascoltare”. Come abbiamo visto, sul piano politico al diritto di parola corrisponde il dovere di lasciar parlare. Ma non vi è alcun dovere di ascolto che corrisponda ad un presunto “diritto di essere ascoltati”. A ciò fa eccezione quanto accade in condizioni “pedagogicamente o istituzionalmente determinate”. Ad esempio a scuola, o in caserma, o in ospedale o in una stazione ferroviaria o in un aeroporto o in un Ministero degli interni. Questi luoghi sono caratterizzati da relazioni particolari, in cui il diritto di parola può essere limitato, e il dovere di ascolto può essere massimizzato. E’ un rapporto di “ufficio” che modifica la relazione tra “parola” e “ascolto”. Tuttavia nel caso del sovranismo e del populismo politico, non si può certo parlare di un tale rapporto “pedagogicamente o istituzionalmente determinato”. Se il diritto di essere ascoltati imponesse all’altro cittadino un dovere di ascolto – come per il figlio o per lo scolaro o per il medico o per il pilota –sul piano politico saremmo già fuori dall’ambito democratico e cadremmo nell’ambito di un arbitrio paternalistico assai rischioso. Occorre pertanto recisamente negare a qualunque politico populista – a Di Maio, a Salvini, a Meloni o a chicchessia – qualsiasi titolo “istituzionale” o “pedagogico” per poter imporre l’ascolto a chiunque altro. Ma vi è di più. Anche il ruolo pedagogico o istituzionale, che inevitabilmente limita il diritto di parola e impone le logiche del dovere di ascolto, è a sua volta sottoposto a limiti. Se un Ministro degli Interni imponesse ad un militare di lasciar morire in mare dei naufraghi, il militare, per quanto tenuto per ufficio al dovere di ascoltare, non dovrebbe riconoscere il diritto di essere ascoltata ad una parola che viola la salvaguardia della vita degli uomini. In questi casi un diritto universale alla vita è più forte di un dovere di ascolto. O, meglio, il diritto del naufrago alla vita ha più diritto di essere ascoltato della parola del Ministro.

c) I luoghi metapolitici: il “dono di ascoltare”. Vi sono però anche i luoghi della “marginalità e della ulteriorità escatologica”, che scoprono il “dono dell’ascolto” e pongono in essere una relazione non legale, ma morale e religiosa con l’ascolto: il dono dell’ascolto si manifesta verso quel maestro sommo, che parla dalla grazia dei cieli e dall’abisso del bisogno: lo Spirito, la Scrittura, il Signore, il Padre, l’affamato, l’assetato, il senza patria, il senza speranza, il senza vestiti, il perduto, il dimenticato. Questi sono i soggetti inaggirabili di un ascolto radicale, di una obbligazione originaria, di un “volto” che pone il soggetto nella sua prima identità. Qui sarebbe davvero paradossale che il sovranismo populista pretendesse per sé – senza alcun motivo e dall’alto della sua indifferenza più cinica – ciò che non riconosce all’altro bisognoso. Tu mi dici di trascurare il povero e di ignorare lo straniero e pretendi che io ti ascolti. Ma io resto libero di non ascoltarti e di ascoltare, al posto tuo, proprio lui, l’ultimo; rimango libero di trascurare le tue parole per non trascurare la sua vita ferita. Resto libero di ascoltare la voce dell’altro bisognoso e di non dare ascolto alla tua pretesa di ostilità. Nessun diritto ad essere ascoltato deve essere riconosciuto a chi ostenta indifferenza verso le vite ferite, a chi usa la menzogna per ottenere applausi, a chi semina odio tra le case e tra le persone per assicurarsi un piatto di lenticchie.

            Il “diritto di non ascoltare” è perciò espressione insieme preziosa e complessa. Essa può essere del tutto adeguata, per definire i rapporti politici non vincolanti e in questo senso mi pare che sia stata utilizzata correttamente da parte delle “sardine”; la stessa espressione, tuttavia, costituisce un “caso limite” nei rapporti istituzionalmente e pedagogicamente vincolati, che vivono di un “ascolto dovuto”; infine la “negazione del diritto di essere ascoltati” indica una inclinazione pericolosa verso quei luoghi-limite – di sovrana trascendenza e di radicale immanenza – in cui il “sacramento di Dio” e/o il “sacramento del fratello” esigono anzitutto il mio ascolto della loro parola, come inizio della mia storia con loro e della loro storia con me. Che l’ascolto possa essere allo stesso tempo un diritto (anche da negare con decisione), un dovere (sia pur limitato e condizionato) o un dono (originario ed essenziale) costituisce forse il punto su cui si intrecciano quelle questioni brucianti, su cui sta o cade non solo la nostra città, ma anche la nostra cultura comune. L’affollarsi silenzioso di uomini e donne nelle piazze, muti come pesci, ma determinati a resistere, dice forse proprio un cambiamento nei rapporti tra queste forme dell’ ascolto: una obiezione di coscienza risoluta contro l’ascolto forzato di parole vuote; un recupero di spessore nell’ascolto dovuto e istituzionalmente prezioso; forse anche una nuova irruzione dell’ascolto donato, in cui la santità del Dio fatto uomo e il bisogno del prossimo abbandonato ritrovano eloquenza, inventano uno stile e così aprono varchi inattesi e accendono speranze nuove.

Andrea Grillo             blog: Come se non      6 dicembre 2019

www.cittadellaeditrice.com/munera/le-sardine-e-lascolto-una-questione-seria-luoghi-politici-prepolitici-e-metapolitici-della-citta

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PASTORALE

Matrimonio civile e benedizione degli anelli. Una lettera reale e una risposta possibile

Ricevo questa lettera, che pone una questione importante. La riproduco con alcuni omissis per ragioni di riservatezza. E poi provo a rispondere, secondo scienza e coscienza.

 Salve, riprendendo da un suo scritto (Andrea Grillo, Tempo graziato. La liturgia come festa, Messaggero, Padova 2018, pp. 104-106) circa la benedizione delle fedi, le chiediamo un parere. Con il parroco (dopo una formazione diocesana sulle coppie ferite) in parrocchia seguiamo in particolare una coppia (lei nubile, lui divorziato perché la moglie lo ha tradito con l’attuale compagno). Tra poco si sposeranno civilmente, hanno chiesto la benedizione degli anelli. Il parroco dopo il dovuto discernimento, dove ha valutato la possibilità di un eventuale annullamento ha palesato il dubbio sulla possibilità. Ci è sembrato chiarificatore il suo scritto: non un sacramento, ma atto liturgico. Da parte dei parroci c’è condivisione sulla sua interpretazione, ma c’è preoccupazione per la confusione che si potrebbe creare e dunque evitano con intento pedagogico. Ci illumini per scardinare questo timore, eventualmente con altri rimandi bibliografici. Cordiali saluti

           

Mi sembra che qui ci troviamo di fronte a un caso classico di contrasto tra il bene civile e il bene ecclesiale. Per ragionare con serenità su questo punto, e aiutare ad assumere la decisione più saggia e più giusta, mi sembra che si debba considerare un elemento della questione che normalmente sfugge alla considerazione pastorale. E non è un caso che chi scrive abbia trovato qualche aiuto in un libro dedicato al “tempo”. Perché la variabile temporale deve essere assunta in modo nuovo dalla Chiesa, senza fissarsi in modo ostinato sui “tempi giuridici”, che, come è noto, possono essere sterminati.

Mi spiego meglio. E’ evidente che il discernimento dei pastori deve riguardare la situazione concreta. E, come si è soliti fare, si inizia dal considerare la “solidità” del vincolo, e quindi la possibilità di procedere ad una causa per chiedere il riconoscimento della sua nullità. Salvo i rari casi di “processo breve” – che non sembrano riguardare la fattispecie considerata – si tratta comunque di procedimenti lunghi e con una imprevedibilità di tempi che confligge profondamente con le scelte esistenziali dei soggetti. Questo vale sia per il caso in cui si giudichi che sussista qualche motivo di nullità, sia per il caso in cui si constati la inesistenza di un fondato motivo. Anche in questo caso il pastore non ha esaurito le proprie possibilità di discernimento. Perché si apre, proprio in tal caso, lo spazio di una valutazione che, senza intaccare la validità del vincolo preesistente, riconosca le circostanze soggettive particolari e rilevi una effettiva esperienza di fallimento del vincolo.

 Questo, evidentemente, non può essere il caso soltanto per situazioni acquisite – ossia per coppie che già si trovino nella condizione di aver contratto vincolo civile, e che possano essere riammesse alla comunione ecclesiale. Ciò vale anche per chi si trova in una condizione di “passaggio” e abbia optato per dare alla nuova unione l’unica forma giuridica possibile, ossia quella civile. In alcuni casi, come sembra essere quello qui descritto, il pastore può giudicare che la unione matrimoniale di diritto civile è “il bene possibile” per la nuova coppia. In tal caso, e solo in questo caso, non vi sarebbe grande difficoltà ad ammettere che, se si tratta di un “bene”, tale bene possa essere “benedetto” anche ecclesialmente, nonostante il fatto che non si tratta del sacramento del matrimonio, ma soltanto del matrimonio civile. Non è impossibile, infatti, che la Chiesa, in determinate circostanze, possa riconoscere che il matrimonio civile, quando è l’unica via possibile, rappresenti di per sé un bene per la coppia.

Per uscire da questo dissidio, a me pare, occorre valorizzare la chiara affermazione con cui Amoris Lætitia supera il principio ottocentesco per cui, in materia matrimoniale, la forma oggettiva legale tende ad identificare il bene del soggetto e così pure la volontà di Dio. In quella mentalità, della quale spesso risentiamo ancor oggi, del tutto in buona fede, porre un qualsiasi gesto di “assenso” al matrimonio civile – da parte di un ministro della Chiesa – appare come motivo di scandalo e di disorientamento per il popolo di Dio. A ciò si deve aggiungere un altro fattore, che incide con forza sulle nostre reazioni. Ed è la perdita del “senso della misura”: una coppia che chiede la “benedizione degli anelli”, se lo fa con senso del limite, con modestia e con pacatezza, non chiede un “sacramento clandestino”, non vuole “farla franca”, non vuole “aggirare la legge”, ma desidera veder riconosciuto e partecipato quel bene – quel poco o tanto di bene – che si accinge a vivere.

 A benedire gli anelli non è chiamato il “pubblico ufficiale ecclesiastico”, ma quel presbitero che resta sempre, oltre che sacerdote e re, anche un profeta. Ci vuole un profeta per riconoscere il bene, lì dove si presenta, anche quando non ha tutti profili “regolari” e i timbri di garanzia. Lì dove un uomo e una donna, con alle spalle una storia complessa, giungono alla decisione di sposarsi civilmente, questo è un evento che, a determinate condizioni, la Chiesa può riconoscere, con il quale può gioire e del quale può rallegrarsi. Nel momento in cui sia chiaro che il sacramento del matrimonio e la benedizione degli anelli sono due “forme liturgiche” diverse, nessun parroco può essere costretto alla benedizione, ma nessun parroco deve sentirsi impedito ad ammetterla, nel momento in cui si sia convinto che il bene in gioco è superiore a quella parte di fragilità e di male che ha segnato la storia di uno dei due sposi o anche di entrambi.

            Il principio dello scandalo non è detto che stia solo nella disinvolta “benedizione” di ogni realtà, ma forse ancor più si rivela nella nostra incapacità di dar voce, parola e forma a quelle piccole o grandi “porzioni di bene” che riscattano e rilanciano le esistenze di donne e uomini. Nuovi inizi sono reali. Che la Chiesa non li subordini semplicemente ad un astruso regime giuridico, ma li incontri direttamente e schiettamente, come realtà inaggirabili, non è un limite dei nostri tempi. Rispettare i tempi della vita degli uomini e delle donne spesso implica accettare che la Chiesa parli anzitutto con i linguaggi semplici del lodare, del rendere grazie e del benedire. La Chiesa sa che può parlare il linguaggio eucaristico quando vive nel cuore della sua intimità con il Signore. Ma può parlare tutte le lingue della benedizione, della lode e della grazia, quando incontra i soggetti che si collocano non al centro, ma lungo il cammino, o anche ai margini o alla periferia. La benedizione è un classico linguaggio della periferia ecclesiale. La Chiesa non solo può, ma deve utilizzarlo proprio per riconoscere che, anche in assenza del bene massimo, un piccolo bene possibile, quando è riconosciuto con benevolenza, può aprire varchi e riconciliare corpi. Così potrebbero fare i non rari profeti di vita futura, incompresi dai non pochi profeti di certa sventura.

Andrea Grillo             blog: Come se non      4 dicembre 2019

www.cittadellaeditrice.com/munera/matrimonio-civile-e-benedizione-degli-anelli-una-lettera-reale-e-una-risposta-possibile

Vi abbiamo ignorato, scusateci!

    Il vescovo di Belluno Feltre, mons. Renato Marangoni, ha invitato, il pomeriggio della domenica 1° dicembre 2019, presso il Centro Papa Luciani a Col Cumano di Santa Giustina, coloro che hanno visto fallire il loro matrimonio. All’incontro erano presenti altre persone, tra cui alcune coppie di sposi che, all’interno della diocesi, si dedicano alla pastorale della famiglia. L’invito è stato fatto con la lettera che di seguito riportiamo.

 

A voi che avete scelto di essere famiglia e avete attraversato situazioni che vi hanno portato alla separazione o anche al divorzio e, oltre questo, a iniziare nuove esperienze di unione per cui alcuni hanno scelto di risposarsi civilmente o di non sposarsi… a voi tutti giunge questa lettera!

Mi rivolgo a voi con un saluto che intende aprire un rapporto di conoscenza, di stima e di dialogo. Non solo, desidera anche farvi conoscere il desiderio di potervi incontrare. Vi parlo a nome della diocesi di Belluno Feltre, di cui sono vescovo.

            C’è una parola iniziale da confidarvi: Scusate! C’è in questa parola la nostra consapevolezza di avervi spesso ignorato nelle nostre comunità parrocchiali. Forse avete anche sofferto per atteggiamenti tra noi di giudizio e di critica nei vostri confronti. Abbiamo anche per un lungo tempo dichiarato che non potevate essere pienamente ammessi ai sacramenti della penitenza e dell’eucaristia, mentre in molti di voi c’era il desiderio di essere sostenuti dal dono dei sacramenti e dall’affetto di una comunità.

            In questo ci siamo irrigiditi su una visione molto formale delle situazioni familiari a cui eravate pervenuti. Abbiamo sbagliato a non considerare altrettanto la situazione personale, i sogni che avevate alimentato, la vostra vocazione alla vita coniugale con i progetti di vita che comportava, seppure incorsi in vicende familiari travagliate, dove tanti fattori possono essere stati decisivi ad ostacolare tutto questo. È proprio in queste situazioni complesse che la responsabilità personale ha bisogno di essere sostenuta e aiutata proprio nelle sue fragilità.

            A chi tra voi si è scoraggiato e ha lasciato le nostre comunità parrocchiali, siamo qui per confidarvi che ci mancate e che sentiamo di aver bisogno di voi e della vostra testimonianza di vita. Siamo consapevoli che le vicende travagliate, che avete attraversato e che hanno disturbato e ferito i vostri affetti familiari, possono aiutarci tutti a considerare la vita come un dono mai scontato, come una responsabilità mai conclusa, come un poter ricominciare il percorso dell’esistenza per la promessa che esso rappresenta.

            Ci risuona una parola di Gesù: «Coraggio, alzati, ti chiama!». Parola che egli pronuncia su ogni vita, anche quando essa sembra compromessa nelle sue radici.

            È per questa sua parola che vorremmo incontrarci tra persone che sentono delle ferite aperte nei loro affetti familiari o che hanno ricominciato una vita insieme e desiderano porla accanto a questa parola di vita di Gesù.

            Credici… Credeteci…: sarà un incontro amichevole e familiare, dove anche ascolteremo la Parola di Gesù e riscopriremo anche le parole incoraggianti di papa Francesco, che ha scritto in una sua esortazione: Amoris lætitia.                                                       Vi attendiamo!

Renato Marangoni, vescovo di Belluno Feltre            7 dicembre 2019

www.settimananews.it/pastorale/vi-abbiamo-ignorato-scusateci

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PSICHIATRIA

Disturbi da ansia

Per l’essere umano trovarsi nel corso della vita, prima o poi, in una condizione di disagio emotivo definito ansia è perfettamente normale, qualora ciò avvenga solo in determinate circostanze non deve destare preoccupazione. Il problema sorge quando la manifestazione del disturbo diventa ricorrente e incontrollabile.

Per definizione l’ansia è quel disturbo emotivo che si attiva quando sentiamo un pericolo, o ci troviamo in situazioni che non riusciamo a controllare interamente, è una reazione normale che spinge a cercare soluzioni a problemi apparentemente irrisolvibili.

            Il fenomeno, fisicamente si traduce in una serie di alterazioni neurovegetative, quali: aumento dei battiti cardiaci, senso di vertigine e sudorazione eccessiva, accompagnati da pensieri cupi e stato di tensione muscolare continua. Il fenomeno è atavico, nasce con l’uomo ed è presente fin dalle prime testimonianze della vita umana, ne hanno sofferto gli uomini delle caverne ed è sempre stato presente nel corso dell’evoluzione, spesso ha salvato la vita a interi popoli, poiché è quella molla che fa scattare lo stato di allerta e mette in moto l’ingegno al fine di trovare soluzioni anche in condizioni di estremo pericolo.

Purtroppo quello che inizialmente poteva essere considerato un “pregio” con il progredire della civiltà si è tramutato in malattia.

            Anche questo ha una spiegazione, nell’era del benessere in cui difficilmente bisogna lottare per guadagnarsi qualcosa, nel momento in cui non si riesce ad ottenere ciò che si vuole si diventa ansiosi, succede ai bambini, agli adolescenti e agli adulti fino a diventare una vera malattia psicosomatica, ormai riconosciuta dalla scienza, studiata e classificata come appartenente ai disturbi del sistema nervoso, la quale a sua volta da origine ad una classificazione precisa di altri disturbi:

Disturbo di ansia generale. Colpisce tutte le fasce di età provocando senso di inadeguatezza e insoddisfazione per le proprie capacità, genera insonnia, tensione muscolare, vuoti di memoria e difficoltà di espressione.

Disturbo da stress. Si presenta dopo un evento particolarmente stressante sia esso dovuto a cause di lavoro o personali, un licenziamento improvviso o anche un duro rimprovero da un superiore può scatenare l’ansia da stress. Nell’ambito personale solitamente, una malattia vissuta personalmente o di un parente, amico, persona cara, provoca lo stesso disturbo.

Disturbo da panico. A volte quando l’ansia è continua per molte ore al giorno e ripetuta nell’arco di un breve periodo di tempo (una settimana) può diventare panico, causando seri problemi anche alla quotidianità.

Fobia specifica. Le fobie specifiche scatenate dall’ansia sono le più facili da individuare in quanto sono delle vere e proprie paure settoriali di cui il soggetto si rende conto ma che non riesce a combattere pur sapendo che esse sono irragionevoli e fittizie, per cui sorge la paura verso un solo tipo di insetto, il terrore di volare, paura di guidare o degli spazi chiusi.

            Generalmente i sintomi sono sempre gli stessi descritti nel disturbo di ansia generale, in alcuni casi si associano vertigini, senso di nausea e svenimenti.

            Dal punto di vista medico l’ansia si affronta principalmente con la psicoterapia, colloqui individuali con personale specializzato, sarà proprio lo psicologo dopo attenta valutazione a indirizzare il paziente presso uno psichiatra qualora ritenesse necessario un sostegno farmacologico.

            Tale sostegno solitamente si traduce nella prescrizione di ansiolitici da assumere al bisogno se il caso non è grave, allo stadio avanzato invece serve una cura coordinata fra antidepressivi e ansiolitici. Fra molecole più usate come antidepressivi, la fluoxetina e la paroxetina hanno l’unanime consenso dei medici, in quanto presentano pochi effetti collaterali, non creano dipendenza e agiscono piuttosto in fretta, stimolano la naturale produzione di serotonina e associati a blandi ansiolitici come le benzodiazepine costituiscono una terapia completa.

            Chi non ama farmaci chimici può tranquillamente optare per le cure dolci, i composti Omeopatici sortiscono ottimi effetti, l’unico neo è che richiedono almeno 3 settimane prima di sviluppare gli effetti positivi.

Nicolina Leone            La salute in pillole

www.lasaluteinpillole.it/psichiatria/ansia.asp

 

Ansiosi? No, estremamente intelligenti

Uno studio, pubblicato sul Journal Frontiers in Evolutionary Neuroscience ha messo in evidenza una relazione sinora assolutamente esclusa, e cioè che gli individui con alti livelli di ansia hanno un quoziente intellettivo molto più alto di chi è calmo e sereno. Ad oggi si è sempre creduto che la capacità di razionalizzare fosse più efficace se unita ad uno stato completamente privo di stress. Una rivelazione per chi ha sempre considerato l’ansia fine a se stessa ed estremamente invalidante.

             Gli scienziati credono che questa relazione sia da relazionarsi alla capacità evolutiva dell’uomo, in grado di adattarsi e migliorarsi in base alle situazioni che si trova ad affrontare. Gli individui ansiosi di fronte a situazioni pericolose o incerte svilupperebbero un maggior potere cognitivo-intellettivo, legato ad una maggiore attività cerebrale che favorisce la comunicazione tra le sue diverse parti. Naturalmente si dovrà ampliare il range dei casi analizzati, sinora si è infatti concentrato solo su 26 pazienti con disturbo ansioso generale e 18 individui sani. Sorprendentemente i risultati hanno mostrato che tra i 26 ansiosi, maggiore era il livello di ansia maggiore era il QI, mentre tra i 18 sani, minore il livello di ansia maggiore il QI (dati che confermano le ricerche fatte in passato, appunto).

Altra novità in campo scientifico è l’aver finalmente individuato un gene in grado di incidere sull’intelligenza, in positivo o negativo. Si tratta della scoperta di un team di 207 ricercatori capitanato dal dr Paul Thomson dell’UCLA, che mostra concretamente un nesso tra QI e DNA, finora ipotizzato ma mai dimostrato. Uno studio su ben 20.000 persone ha portato ad individuare nel gene HMGA2, gene legato solitamente all’altezza, la mutazione di un componente, la citosina, in timina, mutazione in grado di ridurre, o viceversa aumentare, il volume del cervello. Di molto poco in realtà (0,58% del volume totale in un cervello di medie dimensioni) e con una perdita (o guadagno) di 1,29 punti nel QI. Hanno anche notato come un gene, detto TESC, possa influenzare il volume dell’ippocampo fino al 1,2%. L’ippocampo di un adulto tende naturalmente a ridursi di volume del 0,5 % ogni anno e che la eccedenza di questo gene (due o più) potrebbe essere la causa alla base di malattie come la demenza senile, l’Alzheimer e la depressione. Thomson ha sottolineato che gli effetti negativi del gene si possono contrastare semplicemente allenando regolarmente la memoria.

Barbara LG Sordi                             La salute in pillole

www.lasaluteinpillole.it/news_salute/ansiosi-no-estremamente-intelligenti.asp

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TEOLOGIA

Dio? È laico come me. Un libro del teologo Castillo

Cominciamo dall’autore, che è una delle personalità più rilevanti della teologia progressista contemporanea. Si tratta di José Maria Castillo [*1929], gesuita, teologo profondamente radicato nel Concilio e per questo spesso eccentrico rispetto alla visione teologica ed ecclesiologica di Giovanni Paolo II e di Ratzinger. Per questo, fu allontanato dall’insegnamento proprio da Joseph Ratzinger, all’epoca prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, nel 1988. Su Adista abbiamo nel corso degli anni parlato e pubblicato di Castillo decine di volte. E la vita di Castillo si è spesso intrecciata con quella del cristianesimo di base italiano. Sin da quando, correva l’anno 1969, fu tra i presbiteri che si alternarono nella celebrazione dell’eucarestia domenicale nella piazza dell’Isolotto, dopo la cacciata di Enzo Mazzi dalla parrocchia.

            Passiamo ora al libro: L’umanizzazione di Dio. Saggio di cristologia (pp. 458, euro 35), appena pubblicato in Italia, dalla casa editrice EdB, dei dehoniani di Bologna. Si tratta di un testo che in Spagna era comparso nel 2010, ma che in italiano non era mai stato tradotto. Grazie all’accurata traduzione di Lorenzo Tommaselli e Dario Culot è ora disponibile anche per i lettori italiani.

Quello di Castillo è un lavoro complesso, cui il teologo spagnolo ha dedicato quasi tre anni. L’intento è quello di comprendere un uomo, Gesù, la sua mentalità, il suo progetto. Il paradosso è però che quel progetto indagato da Castillo, che è stato presentato per secoli come interno al sistema religioso, è stato rifiutato dalla religione, addirittura condannato ed assassinato dal potere religioso, che in seguito hanno poi assunto, interpretato, proposto in maniera univoca la figura di Gesù, controllando, addomesticando e integrando nel sistema il suo dirompente messaggio, narcotizzato dai dogmi cristologici, spesso formulati sotto l’influenza del potere politico.

Questa contraddizione si unisce al fatto che anche i Vangeli vengono tuttora spiegati ed interpretati quasi esclusivamente dall’interno della istituzione religiosa. Un processo di svelamento di Gesù e del suo messaggio non può quindi che avvenire fuori dall’istituzione religiosa. Rimuovendo le costruzioni ideologiche da essa imposte.

Domande sull’inconoscibile. Per farlo, Castillo parte da tre fondamentali presupposti (individuati nel secondo capitolo del libro): la domanda su Dio; la domanda sul Dio escludente; la domanda sul Dio violento. Se non si riflette su tali questioni, per Castillo è difficile capire veramente Gesù.

  1. Anzitutto, la domanda su Dio. In cristologia ci si chiede sempre se Gesù è Dio. Il che presuppone che si conosca chi sia Dio, Ma se, come spiega Castillo nel suo lavoro, per definizione Dio è il trascendente, egli trascende tutto quello che noi possiamo comprendere. Perché il trascendente per definizione è quello che si trova al di là del limite ultimo della nostra capacità di pensare. Dio non è un campo immanente della nostra capacità di pensare. Per cui, più che mettere in dubbio l’esistenza di Dio, si tratta di mettere in dubbio le rappresentazioni che noi facciamo di Dio. E di prendere coscienza della contraddizione per cui si pretende di spiegare Gesù, un personaggio storico abbastanza conosciuto, con una realtà assolutamente sconosciuta. La domanda “Gesù è Dio?”, così formulata, non ha quindi alcun senso.
  2. Seconda questione, il Dio escludente. La nostra religione, spiega Castillo, è monoteista, quindi noi pensiamo che il nostro Dio sia l’unico vero Dio. Ma se il nostro Dio è l’unico vero, e l’unica via di salvezza è quella che si realizza attraverso la fede in questo Dio, e di Gesù Cristo diciamo che è l’unico salvatore, l’unico mediatore tra Dio e l’uomo, ci troviamo di fronte a un principio che genera inevitabilmente una violenza incredibile. Perché esclude e combatte ogni altra visione.
  3. Terza questione, il Dio violento. L’atto centrale delle grandi religioni monoteiste è il sacrificio. Per quanto riguarda la nostra religione cattolica Gesù è morto perché Dio ha deciso che aveva bisogno della morte di Gesù, che ha sofferto ed è morto per i nostri peccati. Dio, per salvare il mondo, ha avuto bisogno del sangue di suo figlio. Un Dio vampiro bisognoso di sangue, seguendo questa logica perversa. Quindi, una cristologia che non prenda seriamente come punto di partenza l’esame di queste tre questioni preliminari può condurre a tutta una costruzione artificiale ed ideologica. Senza contare che la cristologia ha il suo centro nel Concilio di Nicea, convocato da un imperatore, Costantino, che non era neanche cristiano. Per finalità tutte politiche.

Gesù, ma chi è? Ma allora, chi è questo Gesù? Dopo aver spiegato cosa di Gesù si dice nelle Scritture, Castillo afferma che quando si parla del mistero dell’incarnazione, non si tratta di dire che l’uomo è divinizzato, ma un Dio che ha rinunciato alla sua condizione divina e si è identificato con l’umanità. E l’ha fatto in modo tale che solo trovando l’umanità di ciascuno, di ognuno, e secondo il rapporto che abbiamo con l’umanità, con ciò che è umano, possiamo trovare Dio. Perché soltanto la laicità è comune a tutti gli esseri umani.

            Detto tutto questo, allora bisognerebbe pensare a ciò che è specificamente umano. Cioè a ciò che è comune a tutti gli esseri umani, a prescindere da sesso, etnia, convinzioni, credo. Ed è anzitutto la condizione carnale, ossia la necessità di mantenerci in vita e di vivere in salute. Ma anche l’alterità, la ricerca di relazione con ciò che è altro da noi; poiché in quanto esseri umani, siamo sin dall’inizio della nostra vita bisognosi e in ricerca dell’altro. Proprio per questo Castillo mostra come nei Vangeli appare che Gesù abbia avuto tre grandi preoccupazioni: la salute delle persone, il cibo per le persone; i rapporti umani. A questi temi sono dedicate decine di episodi evangelici.

E allora il Dio di Gesù non è il Dio del sacrificio e dell’espiazione; della vendetta e della vittima immolata; è il Dio che indica come l’umanizzazione possa vincere la disumanizzazione, che è parte anch’essa della nostra realtà umana. E nella misura in cui le persone, i rapporti umani, quelli tra le classi sociali, quelli economici diventano più umani, qui, in tutto questo, si trova Dio.

Ultima conseguenza del discorso di Castillo è la necessità di umanizzare la Chiesa. Se Dio si è umanizzato per portare la salvezza a questo mondo, altrettanto dovrebbe fare la Chiesa per essere testimone credibile di questo Dio, spogliandosi delle sue ricchezze, dei suoi privilegi, delle sue dignità

Valerio Gigante          Adista Notizie n. 42 del 07 dicembre 2019

www.adista.it/articolo/62466

 

Ecoteologia di liberazione. L’etica della cura

Fin dalla sua fondazione come scienza da parte di Ernst Haeckel [*1834 †1919] nel 1866, l’ecologia ha registrato un grande sviluppo, attraverso il passaggio dall’ecologia ambientale a quella sociale, politica, mentale e infine all’ecologia spirituale. Due documenti sono fondamentali: la Carta della Terra, adottata dall’Unesco nel 2003, e l’enciclica di papa Francesco Laudato si’: sulla cura della Casa Comune (2015) con la sua ecologia integrale.                                     www.cartadellaterra.it/index.php?c=testo-carta-della-terra

www.vatican.va/content/francesco/it/encyclicals/documents/papa-francesco_20150524_enciclica-laudato-si.html

            La Carta della Terra, nella Conclusione, avvisa: «Come mai prima nella storia, la realtà del nostro comune destino ci invita a cercare un nuovo inizio. Ciò richiede un cambiamento nella mente e nel cuore».

            Non si tratta di riforme ma di un nuovo inizio, di una nuova civiltà. Per questo è necessario:

  • Cambiare la mente, che significa non considerare più la Terra come qualcosa di inerte (semplice res extensa), ma come Gaia [o Gea], un superorganismo vivente che si autoregola attraverso al connessione tra la sfera fisica, quella chimica e quella ecologica per preservare la vita sul pianeta;
  • Cambiare il cuore, che significa riscattare l’intelligenza sensibile o “cordiale”, ovvero l’intelligenza del cuore rimossa nei tempi moderni. Si tratta di un’intelligenza più ancestrale (risalendo a 220 milioni di anni fa, quando sono emersi i mammiferi) di quella razionale e analitica (di 8-10 milioni di anni fa) che predomina nella nostra cultura e con la quale organizziamo e sovra-sfruttiamo la natura. Tale intelligenza deve essere Completata con l’intelligenza cordiale. È questa a costituirne il contrappunto, è in essa che risiede la sensibilità, l’amore, la compassione, l’etica e la spiritualità.

Ed è ancora questa che ci consente – come scrive papa Francesco nella sua enciclica ecologica – «di fare nostra la sofferenza del mondo», unendo «il grido dei poveri con il grido della Terra» (n. 49). Se non soffriamo con la Madre Terra, come potremo prendercene cura nello stesso modo in cui lo facciamo con le nostre madri?

Dalla ragione “cordiale” nascono atteggiamenti di rispetto, di compassione con la natura che soffre e di amore per tutti gli esseri. Senza la sensibilità del cuore e solo con la fredda ragione strumentale-analitica, continueremo a depredare la Terra vivente e i suoi beni naturali, mettendo in pericolo il futuro della vita e della nostra civiltà. Senza il cuore la ragione impazzisce.

Per il nostro tema, grande importanza assume l’ecologia integrale-spirituale, l’ultima parte dell’enciclica ecologica di papa Francesco (nn. 216-221), chiamata anche “ecologia profonda” in quanto ci fa comprendere la nostra appartenenza a questo pianeta e anche all’intero universo. Siamo fatti degli stessi elementi fisico-chimici che si sono formati milioni e milioni di anni fa nel cuore delle grandi stelle rosse, le quali, quando sono esplose, hanno lanciato tali elementi in tutto lo spazio, dando origine alle galassie, alle stelle, al sole, alla nostra Terra, a ognuno di noi.

            Il pianeta Terra fa parte dell’immenso universo che esiste da 13,7 miliardi di anni. È sorto 4,45 miliardi di anni fa e dista 28.000 anni luce dal centro della nostra Via Lattea, all’interno di un braccio della spirale di Orione. È un pallido punto blu, perso tra miliardi e miliardi di galassie, stelle e pianeti. Ma è la nostra Casa Comune, qui viviamo, da qui pensiamo e contempliamo la grandiosità dell’universo nella sua splendente armonia.

Il grande fisico e cosmologo inglese Stephen Hawking afferma nel suo Dal big bang ai buchi neri che, se una delle quattro energie fondamentali, la gravità, che attira tutti gli esseri, fosse stata appena un pochino più forte, ci sarebbe stato un susseguirsi di esplosioni e nessun essere si sarebbe potuto formare. Allo stesso modo, se fosse stata un pochino più debole, non ci sarebbe stata abbastanza densità per formare le stelle e di conseguenza la Terra, e noi non saremmo qui a scrivere tutto questo.

 Le quattro misteriose energie, quella gravitazionale, quella elettromagnetica, quella nucleare debole e quella nucleare forte, che agiscono sempre in connessione, sarebbero, secondo il grande cosmologo Brian Swimme [*1950], il modo in cui opera lo spirito ordinatore e intelligente dell’universo (The Universe Story, 1992). Terra e Umanità costituiscono una grande e complessa unità. Lo testimoniano gli astronauti che hanno potuto vedere la Terra della Luna o dalle loro astronavi. Tutti lo confermano: «Da quassù, non c’è separazione tra Terra e Umanità; formano un’unica entità» [F. White *1911- 2006], The Overview Effect, 1987).

            Pertanto, possiamo affermare che l’essere umano è la porzione della Terra che sente, pensa, ama e venera. Per questo la parola “umano” proviene da humus, terra fertile e buona, e Adamo in ebraico viene da adamah, terra arabile. L’ecologia integrale e la teologia della liberazione hanno qualcosa in comune: entrambe iniziano da un grido. L’ecologia dal grido della Terra, degli esseri viventi, delle foreste, delle acque, dei suoli e dell’aria, aggrediti dal tipo di crescita materiale illimitata che non rispetta i limiti della Terra. La teologia della liberazione dal grido dei poveri economici, delle classi sfruttate, delle culture umiliate, dei neri discriminati, delle donne oppresse dalla cultura patriarcale, delle persone lgbt e dei disabili.

            Tutti soffrono l’oppressione e gridano per ciò che viene loro negato: la liberazione. Da questa tribolazione sono nate le varie tendenze della teologia della liberazione, allo stesso modo di quelle dell’ecologia di cui sopra: una teologia della liberazione dei lavoratori sfruttati, una teologia femminista, una indigena, una nera, una culturale, una pastorale, tra le altre. In tutte esse è sempre il relativo soggetto oppresso il protagonista principale della corrispondente liberazione.

            Già negli anni ’80 era chiaro ai teologi e teologhe della liberazione che la logica di sfruttamento della classe operaia e delle classi impoverite è la stessa alla base della devastazione della natura e della Terra. È noto, ma è necessario ripeterlo, che il segno distintivo della teologia della liberazione è l’opzione per i poveri, contro la povertà e in favore della loro liberazione.

            Nella categoria “poveri” deve essere incluso il Grande Povero che è la Terra, come afferma papa Francesco nella sua enciclica, perché «non abbiamo mai maltrattato e ferito la Madre Terra come negli ultimi due secoli» (n. 53). Pertanto, non è stato per fattori estrinseci che la teologia della liberazione ha incorporato il discorso ecologico, ma in linea con la propria logica interna che conferisce centralità ai poveri e agli oppressi.

È anche evidente che è lo stesso sistema industriale con il suo modello di produzione capitalista nella sua espressione politica, il neoliberismo, che produce il grido della Terra e il grido del povero. Se vogliamo la liberazione di entrambi, dobbiamo superare storicamente tale sistema, contrapponendo ad esso un altro paradigma amico della Terra e liberatore degli oppressi.

            Il paradigma strutturante del mondo moderno, il potere come dominio su tutto e tutti ha acquistato la sua massima espressione nel sistema e nella cultura del capitale, produttore di disuguaglianze (dell’ingiustizia sociale e di quella ecologica), individualista, accumulatore, competitivo ed escludente. Ad esso dobbiamo allora contrapporre un altro paradigma, quello della cura.

            La cura più che una virtù è un nuovo paradigma di relazione con la natura e la Terra, non aggressivo, amico della vita e sempre in relazione con tutti gli esseri. Se il paradigma dominante è, figurativamente, il pugno chiuso per sottomettere e dominare, il paradigma della cura è la mano aperta pronta a intrecciarsi con altre mani e proteggere la natura e la Terra. Oggi più che mai abbiamo bisogno di coltivare il paradigma e l’etica della cura, perché tutto è in qualche modo trascurato. Ci prendiamo cura di tutto ciò che amiamo. Amiamo tutto ciò che curiamo. È la cura che genera una cultura di solidarietà contro la competizione, di condivisione contro l’individualismo, di moderazione contro la violazione di limiti insormontabili, del consumo sobrio e condiviso contro il consumismo e lo spreco. È la cura che ci porta ad accompagnare gli oppressi nelle loro lotte e a preservare la vitalità degli ecosistemi concedendo riposo e pace alla Madre Terra.

            Gran parte della biodiversità e dei fattori chimico-fisici che sostengono la vita stanno vivendo un processo di erosione (acqua, suoli, climi, microrganismi, fibre, sementi, foreste, ecc.). I livelli di povertà stanno pericolosamente aumentando in tutto il mondo così come gli eventi naturali estremi. Corriamo il rischio di una guerra nucleare mondiale, specialmente attraverso l’intelligenza artificiale autonoma che può scatenare una guerra senza che l’essere umano venga consultato. Ciò implicherebbe la fine della specie umana e della vita sulla Terra. La Terra andrebbe avanti, coperta di cadaveri, senza di noi.

            Solo l’inclusione della cura come paradigma in grado di trasformarsi in cultura, etica e spiritualità può – nelle parole dell’enciclica papale Laudato si’ – «alimentare una passione per la cura del mondo», una mistica che «dà impulso, motiva, incoraggia e dà senso all’azione personale e comunitaria» (n. 216).

L’eco-teologia della liberazione è chiamata a contribuire con i valori del rispetto, della venerazione e della cura che sono caratteristici della fede gesuanica e cristiana, valori fondamentali per un’ecologia integrale salvifica e liberatrice.

            Infine, un’eco-teologia della liberazione testimonia, tra le sinistre minacce che incombono sul futuro della vita e della Madre Terra, la speranza e la certezza che Dio è «amante della vita» (Sap 11,26; Laudato si’, Nn. 77 e 89) e non permetterà che questa sacra eredità, la vita umana, assunta dal Figlio di Dio e permeata dallo Spiritus Creator, sia completamente distrutta e scompaia dalla faccia della Terra.

Leonardo Boff, ecoteologo, filosofo e scrittore brasiliano. Adista Notizie n. 42             07 dicembre 2019

www.adista.it/articolo/62453

 

Teologia morale: un nuovo Dizionario

Di fronte a circa un centinaio di persone, il 22 novembre 2019 scorso si è tenuta a Milano, presso la Facoltà teologica, la presentazione milanese della nuova edizione del Dizionario di teologia morale. I 4 curatori (Paolo Benanti, Francesco Compagnoni, Aristide Fumagalli, Giannino Piana) e molti autori sono membri dell’ATISM [Associazione Teologica Italiana per lo Studio della Morale]

La presentazione, aperta da Maurizio Chiodi e moderata da Luciano Moia, si è articolata su tre interventi: Piana ha presentato una storia chiara e sintetica della riflessione teologico-morale, e Fumagalli ha illustrato il piano dell’opera e le sue novità. Ho chiuso io la presentazione: mi è stato chiesto di soffermarmi sul contributo femminile al Dizionario.

Contributi femminili o contributo femminile? Per comprendere l’attuale peso delle voci scritte da donne, dobbiamo considerare alcuni numeri. La prima edizione, del 1973, vide coinvolti 63 autori per un totale di 151 voci (compreso il supplemento alla IV edizione). Un’unica donna fu coinvolta, Adriana Zarri [*1919-†2010], che produsse due voci: «donna» e «paternalismo». [Fu, con Vilma Gozzini, la prima donna laureata teologa accolta nelle associazioni teologiche fino allora solo maschili e riservate al clero].


Stupisce, invece, il dato dell’edizione seguente, quella del 1990, quando il clima ecclesiale, sociale e culturale era differente: furono coinvolti 77 autori, per un totale di 137 voci. Una sola donna appare tra gli autori, Adriana Valerio, che scrisse la voce «femminismo». Una regressione in qualche modo, quantomeno numerica.

Nell’attuale edizione sono stati coinvolti 80 autori (in realtà, considerando le voci riviste, sono 106): tra questi 9 sono donne. E il loro contributo ha coperto tutto lo stile editoriale delle voci di questa edizione: alcune hanno affrontato voci di nuovo inserimento, altre hanno completamente riscritto voci già presenti nell’edizione precedente, altre hanno rivisto e aggiornato voci di altri autori. In totale sono 14 le voci del Dizionario a cura di donne.

In sintesi, i contributi sono questi: Helen Alford (Impresa), Carla Corbella (Educazione morale, Educazione sessuale), Maria Cruciani (Piacere), Gaia De Vecchi (Etica femminile, Scuola), Laura Palazzani (Procreazione medica assistita), Raffaella Petrini (Invecchiamento – morte), Teodora Rossi (Pornografia, Prudenza, Virtù, Virtù teologali), Alessandra Smerilli (Benessere – sicurezza sociale), Roberta Vinerba (Vocazione – stati di vita). Il dato numerico (femminile) dell’edizione attuale può sembrare ancora scarno ma, se confrontato con la propria storia, dice qualcosa di importante.

Dice sì, che abbiamo dato dei contributi (al plurale), molto differenti per il lavoro che ci è stato chiesto (un conto è scrivere ex novo una voce, altro rivederne una, magari di qualcuno che ci fu maestro) e molto differenti per le competenze che abbiamo. Ma dice anche che abbiamo dato un contributo. Perché se guadiamo alla varietà delle nostre vocazioni ecclesiali (5 sono consacrate e in 5 ordini religiosi differenti, 4 laiche – alcune sposate con figli, altre nubili) e delle nostre voci scritte e soprattutto delle nostre formazioni (sicuramente possediamo tutte un bagaglio teologico consistente, seppur sviluppatosi in attenzioni diverse, ma presentiamo competenze anche in altri ambiti, dalla filosofia alla economia), ritengo che abbiamo dato un contributo su un duplice livello:

  1. A un’autocomprensione della Chiesa (sulle indicazioni di Lumen gentium e Gaudium et spes) come «popolo di Dio» (contrapposta a una Chiesa solo gerarchica e clericale) e dei suoi carismi vitali;
  2. A un rinnovamento della riflessione teologico-morale (in linea anche con Optatam totius, n. 16), capace sempre più di confrontarsi con altri settori del vivere umano e di altre scienze, protesa a mostrare «la vocazione dei fedeli in Cristo».

Un contributo di contributi, quindi, che non è solo al Dizionario in sé, ma che il Dizionario offre a chi vuole vivere la Chiesa e la riflessione in modo dinamico e aperto, in atteggiamento di discernimento, in sintonia con il concilio Vaticano II e le sue istanze, ma anche le recenti indicazioni dell’Evangelii gaudium.

Un contributo (reale) al dialogo e alla «rete». Posso, in conclusione, riportare un altro contributo che il Dizionario sta già offrendo: occasioni di dialogo e di rete. Per prepararmi alla presentazione, ho scritto alle 8 colleghe per chiedere un confronto: ne è nato un interessante scambio di prospettive e accenti.

Il Dizionario è stato presentato anche presso la Pontificia università San Tommaso, più nota come Angelicum, il 19 novembre scorso, in una forma davvero interessante: un seminario per i licenziandi e i dottorandi in Teologia morale a cui erano presenti tutti gli autori del Dizionario appartenenti a quella istituzione.

La stessa presentazione milanese ha prodotto ulteriori reti. Sicuramente anche la presentazione romana avrà la sua eco: si terrà presso la Pontificia università gregoriana il 4 dicembre, e saranno presenti due curatori (Francesco Compagnoni e Paolo Benanti) oltre al card. Matteo Zuppi e ai proff. Diego Alonso Lasheras (direttore del dipartimento di Teologia morale alla Gregoriana) e Leonardo Becchetti.

                         Gaia De Vecchi, 29 novembre 2019

Gaia De Vecchi è docente di religione cattolica presso l’Istituto Leone XIII di Milano. È membro dell’ATISM e fa parte del gruppo di redazione di Moralia. Ha scritto Il peccato è originale? Cittadella, Assisi 2018.

http://www.ilregno.it/moralia/blog/teologia-morale-un-nuovo-dizionario-gaia-de-vecchi?utm_source=newsletter-mensile&utm_medium=email&utm_campaign=201921

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