NewsUCIPEM n. 777 – 27 ottobre 2019

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01 ADOZIONI                                                    Figli e genitori adottivi e la ricerca delle origini

02 ADOZIONI INTERNAZIONALI                 L’inchiesta di Igor Traboni: i costi eccessivi dell’iter adottivo

03 AFFIDO ESCLUSIVO                                  Il “nuovo” affidamento esclusivo

05 AMMINISTRATORE DI SOSTEGNO     La guida completa

08 ASSEGNO DI MANTENIMENTO           Via il tenore di vita anche per la separazione

09 ASSEGNO DIVORZILE                               Quando spetta

10 CENTRO INTERN. STUDI FAMIGLIA   Newsletter CISF – n. 39, 23 ottobre 2019

12 CHIESA CATTOLICA                                  La Nuova Commissione sul Diaconato femminile

13 COMM. ADOZIONI INTERNAZION.    Al ministro Bonetti la delega in materia di adozioni.

14 CONFERENZA EPISCOPALE IT.             Rapporto Italiani nel Mondo 2019 della Fondazione Migrantes

16 CONVIVENZA                                             Come tutelarsi in caso di convivenza

18 CORTE COSTITUZIONALE                       La questione di un atto di nascita con due madri

19                                                                          La sentenza. Figli in provetta solo con mamma e papà

20 DALLA NAVATA                                         XXX Domenica del Tempo ordinario- Anno C – 27 ottobre 2019

20                                                                          Quando mettiamo «io» al posto di «Dio»

20 GRAVIDANZA                                             Donna in gravidanza: deve vaccinarsi

21 MEDICINA PREVENTIVA                        Gonorrea

22                                                                          Cosa mette a rischio la fertilità maschile?

23 SINODO PANAMAZZONICO                 Ordinare sacerdoti i diaconi permanenti, anche sposati

24                                                                          Amazzonia: nuovi cammini per Chiesa e per una ecologia integrale

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ADOZIONI

Figli e genitori adottivi e la ricerca delle origini

Si è svolto a Bolzano il 18 ottobre 2019 il convegno dal titolo “Noi e nostro figlio adottivo: il nostro presente il suo passato”. Il convegno è stato organizzato da Ai.Bi. – Amici dei Bambini in collaborazione con il Servizio Adozione Alto Adige dell’Azienda Servizi Sociali di Bolzano e l’associazione Amici Trentini. Il convegno è stato patrocinato con contributo oneroso del Comune di Bolzano e con contributo della Provincia Autonoma di Bolzano.

            Alla presenza di un pubblico di circa 180 persone, composto da genitori adottivi, rappresentanti di associazioni familiari, insegnanti, assistenti sociali, psicologi e una classe del terzo anno del liceo sociale si è discusso del delicato tema del rapporto tra i genitori adottivi, il proprio figlio e il suo passato.

Moderatrice del convegno è stata la direttrice generale dell’Azienda Servizi Sociali di Bolzano (ASSB), la dottoressa Liliana Di Fede. I saluti iniziali sono stati portati dall’assessore alle Politiche sociali del Comune di Bolzano, Yuri Andriollo e dalla dottoressa Sabina Krismer dell’Assessorato provinciale alle Politiche sociali.

            Il tema è poi stato introdotto spiegando come è importante, se i propri figli lo chiedono, essere pronti come genitori adottivi a connettersi tra la vita passata del proprio figlio e la vita attuale. Gli operatori rilevano a volte questa difficoltà da parte dei genitori ad affrontare le storie passate dei propri figli, storie spesso difficili e dolorose. Dunque è importante chiedersi come si possa aiutare le famiglie a conoscere i tempi e i modi per parlarne adeguatamente, se i propri figli vogliono affrontare la loro storia passata.

            La psicologa e psicoterapeuta del CTA Irene Ratti ha portato alcune riflessioni condivise all’interno del CTA, emerse dallo studio delle situazioni psicoterapeutiche di crisi adottive. Nella sua relazione ha cercato di approfondire il tema dell’identità e adozione e di come aiutare la famiglia a capire quando è il momento giusto per parlarne, rispettando e favorendo la doppia appartenenza (culturale, storica, sociale).

            Dalla sua esperienza ha potuto constatare che uno degli elementi che mettono in crisi gli adolescenti, è legato alla paura di avere dei segreti sulla loro identità. Secondo questa psicologa che sta lavorando sia con gruppi di adolescenti adottivi che con gruppi di genitori adottivi da alcuni anni, il binomio identità – adozione è un processo che dura tutta la vita e che ha una valenza sociale e psicologica. Il problema dell’identità potrebbe anche non emergere mai in famiglia, ma ha consigliato ai genitori adottivi di mantenere con i loro figli un’apertura comunicativa su questa tematica. Il passato per alcuni genitori adottivi mette ansia, a volte è il vuoto, quando non ci sono informazioni, è paura quando ci sono delle storie traumatiche, è incertezza quando ci sono dei precedenti sanitari, è timore dell’imitazione quando ci sono dei precedenti dei genitori biologici legati alle dipendenze. La maggior parte dei genitori tiene dentro queste emozioni, i figli percepiscono ma a volte non osano parlare. Dalla sua esperienza ha notato che la situazione che crea benessere in famiglia è di permettere ad entrambi di poter avere una narrazione emotiva su questo argomento. È seguito un dibattito emozionante tra genitori e ragazzi.

            La professoressa Laura Ferrari dell’Università Cattolica Sacro Cuore ha portato uno studio sulle ricerche italiane ma soprattutto internazionali sull’argomento adozione. Dai suoi studi è emerso che in particolare si è giunti alla conclusione che la qualità delle relazioni genitori-figli fa la differenza per il benessere psicologico del figlio adottato. In particolare gli adolescenti e giovani adulti mostrano maggiori livelli di benessere psicologico se; raggiungono bassi di livelli di conflitto con madre e padre adottivi; sentono di essere sostenuti da entrambi i genitori rispetto alla propria autonomia (promozione del funzionamento autonomo) che a sua volta influenza anche il senso di filiazione adottiva e il riconoscimento dell’appartenenza familiare; c’è apertura comunicativa sui temi dell’adozione con entrambi i genitori.

            L’ultima relazione è stata presentata dal mondo della scuola. L’intervento di alcuni insegnanti ha avuto come obiettivo quello di raccontare delle esperienze positive attivate sul tema dell’adozione. In provincia di Bolzano, a seguito dell’emanazione da parte del MIUR delle “Linee d’indirizzo per favorire il diritto allo studio degli alunni adottati”, le scuole in lingua italiana si sono attivate con la presenza di un insegnante referente per l’adozione. A distanza di alcuni anni di sperimentazione di questa figura all’interno della scuola, sono nate alcune esperienze interessanti.

            Per gli operatori lo studio delle ricerche è stata un’occasione per capire meglio come affrontare il tema e quali sono gli elementi che possono creare benessere nelle famiglie. Vi è inoltre stata una discussione positiva al termine del convegno sulla necessità di riconoscere il ruolo di genitore con la G maiuscola solo al genitore adottivo, ma con la necessità, se il figlio vuole affrontare il tema delle origini, di prepararsi a questa eventualità.

AiBinews                    25 ottobre 2019

www.aibi.it/ita/adozione-internazionale-a-bolzano-180-persone-al-convegno-di-ai-bi-su-figli-e-genitori-adottivi-e-ricerca-delle-origini

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ADOZIONI INTERNAZIONALI

L’inchiesta di Igor Traboni: i costi eccessivi dell’iter adottivo

Prosegue, sul magazine Orwell.it, l’inchiesta del giornalista Igor Traboni sulle cause del declino dell’adozione internazionale. Dopo aver indagato le motivazioni generali è passato a considerare il tema dei costi. Che sono elevatissimi. “Fermo restando – scrive Traboni – che non esiste una sorta di ‘listino prezzi’ – e questo, naturalmente, è un bene perché non vogliamo che si arrivi al ‘mercato dei bambini’, come succede purtroppo oltre Oceano – neppure possiamo dire che esistono dei parametri certi, tanto che i costi possono variare anche di parecchie migliaia di euro da una adozione all’altra. Diciamo genericamente che, una adozione internazionale, può costare dai 30 ai 40 mila euro, con un range molto più vicino all’ultima che alla prima cifra. In questa somma vanno compresi, innanzitutto i soldi per gli Enti autorizzati (solo attraverso i quali si può portare a termine una pratica adottiva) il cui elenco è facilmente reperibile sul sito internet della CAI, la Commissione per le adozioni internazionali”.

 “Anche qui – prosegue Traboni – le tariffe variano da Ente a Ente, non tanto in base ai servizi offerti – prima, durante e dopo l’adozione – quanto in rapporto al Paese dove si intende adottare (ogni Ente agisce ed opera solo in alcuni Stati). Questo anche perché ci si deve adeguare a quelli che sono i costi propri di quel determinato Paese. La normativa prevede, comunque, che gli Enti comunichino alla CAI che li rende ufficialmente noti, i dati di dove operano e che spese ci sono in quel determinato Paese. Da questo punto di vista, quindi, gli aspiranti genitori adottivi non vanno incontro a sorprese e possono pianificare il loro budget anche prima di avviare tutto l’iter”.

“In caso di adozione internazionale – conclude il giornalista – si può chiedere il rimborso di parte delle spese sostenute in base al reddito dichiarato. Nello specifico, funziona così: 50% delle spese di adozione sostenute (fino a un massimo di 5.000 euro) di rimborso per i genitori con reddito fino a 35.000 euro; 30% delle spese di adozione sostenute (fino a un massimo di 3.000 euro) per i genitori con reddito compreso tra i 35.000 e i 70.000 euro. Quello che resta della spesa sostenuta, potrà invece essere dedotto nella dichiarazione dei redditi. Il ritardo nei rimborsi, però, è ancora notevole, anche se si è ridotto negli ultimi anni sulla spinta anche di una certa pressione mediatica.

Il 27 settembre scorso, infatti, la Cai ha ufficialmente comunicato, attraverso la sua segreteria tecnica, che sono state completate le verifiche delle domande ricevute per gli anni 2015/16/17 e portata a termine la fase di liquidazione per l’anno 2015, mentre è stata avviata la predisposizione degli ordini di pagamento per il 2016. È ancora poco per cui l’adozione internazionale rimane una procedura limitata a poche famiglie che possono permetterselo”.

“Quello che scrive Traboni – è il commento del presidente di Ai.Bi. – Amici dei Bambini, organizzazione nata da un movimento di famiglie adottive e affidatarie che da oltre trent’anni lotta in Italia e nel mondo per contrastare l’abbandono minorile, Marco Griffini – è certamente veritiero. Anzi, sono situazioni che denunciamo da anni. Per questo abbiamo a più riprese chiesto che sia introdotto un bonus da 10mila euro per le famiglie che scelgono questa meravigliosa forma di accoglienza in sede di legge di bilancio”

AiBinews                    22 ottobre 2019

www.aibi.it/ita/adozione-internazionale-linchiesta-di-igor-traboni-i-costi-eccessivi-delliter-adottivo

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AFFIDO ESCLUSIVO

Il “nuovo” affidamento esclusivo

L’interesse perseguito dalla norma sull’affidamento condiviso è quello di garantire al minore un rapporto continuativo ed equilibrato con ciascun genitore. Ove però il suddetto interesse trovi attuazione con l’affidamento ad uno solo dei genitori, va disposto l’affido esclusivo, tenendo tuttavia presente che l’esercizio della responsabilità resta sempre ad entrambi.

Affidamento esclusivo. Alla regola dell’affidamento condiviso dei figli, il giudice può derogare, solamente quando la sua applicazione risulti pregiudizievole per l’interesse dei minori. Il provvedimento che dispone l’affidamento esclusivo dovrà essere motivato in positivo sull’idoneità del genitore affidatario e in senso negativo sia sulla inidoneità educativa dell’altro genitore. Certamente le suddette motivazioni non possono risiedere nella semplice conflittualità esistente tra i genitori.

La regola dell’affidamento condiviso dei figli ad entrambi i genitori, prevista con riferimento alla separazione personale dei coniugi, ed applicabile anche nei casi di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, è derogabile solo ove la sua applicazione risulti “pregiudizievole per l’interesse del minore”.

Ciò ad esempio accade quando il genitore non collocatario si sia reso totalmente inadempiente all’obbligo di corrispondere l’assegno di mantenimento in favore dei figli minori ed abbia esercitato in modo discontinuo il suo diritto di visita, in quanto tali comportamenti sono sintomatici e predittivi della sua inidoneità ad affrontare quelle maggiori responsabilità che l’affido condiviso comporta anche a carico del genitore con il quale il figlio non coabiti stabilmente.

Il principio della bigenitorialità e il correlato affidamento dei figli ad entrambi i genitori rappresentano la prima soluzione che il giudice deve valutare nel caso di separazione della coppia, potendo, invece, disporsi l’affidamento esclusivo solo qualora l’affidamento condiviso contrasti con l’interesse dei figli.

Quando può disporsi l’affidamento esclusivo dei figli. Il Giudice deve adottare i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa e deve valutare prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati ad entrambi i genitori. Questo significa che l’affido condiviso ad entrambi i genitori rappresenta la regola ordinaria. L’affido esclusivo, pertanto costituente l’eccezione, può essere, invero, disposto dall’organo giudicante nella sola ipotesi in cui questi ritenga, con provvedimento motivato, che l’affidamento all’altro genitore sia contrario all’interesse del minore.

In ogni caso, l’art. 337-quater c.c. prevede che, anche ove i minori siano affidati in via esclusiva a un genitore, le decisioni di maggiore interesse per i figli sono adottate da entrambi e il genitore cui i figli non sono affidati ha il diritto e il dovere di vigilare sulla loro istruzione ed educazione, ricorrendo eventualmente al giudice qualora ritenga che siano state assunte decisioni pregiudizievoli al loro interesse. In sostanza, l’affidamento esclusivo attribuisce al genitore affidatario il solo potere di prendere in autonomia le decisioni di ordinaria amministrazione.

Invece, l’esercizio della responsabilità genitoriale, per le questioni maggiormente rilevanti per la vita della prole, deve essere effettuato dai genitori in forma congiunta, al fine di favorire un processo di comune assunzione della responsabilità genitoriale.

In mancanza di tipizzazione delle circostanze ostative all’affidamento condiviso, la loro individuazione è rimessa alla decisione del Giudice, da adottarsi caso per caso con provvedimento motivato.

L’inidoneità del genitore che si decide di escludere dall’affidamento condiviso deve essere non solo accertata ma anche di notevole rilievo.

Le circostanze ostative all’affidamento condiviso. Ad adempio, la perdurante violazione da parte del marito, protrattasi senza soluzione di continuità, all’obbligo di corrispondere l’assegno di mantenimento in favore dei figli minori, evidenzia l’insussistenza di qualsivoglia volontà da parte di costui di fronteggiare i bisogni materiali dei minori. L’eventuale esiguità del reddito a disposizione non può comunque giustificare la totale inadempienza protratta per molti anni da parte di un genitore, la quale incide con riferimento ai figli non solo sul piano strettamente materiale impedendo loro la possibilità di sfruttare al meglio le proprie potenzialità formative, ma influisce ancora di più sotto il profilo morale essendo sintomatica della mancanza di qualsiasi impegno e quindi dell’assoluta inidoneità del genitore a fornire loro il contributo necessario a creare quel clima di serenità familiare indispensabile ad una crescita serena ed equilibrata della prole stessa.

Se l’inadempimento è soltanto occasionale o di minima rilevanza (pensiamo ai casi in cui l’assegno di mantenimento viene corrisposto in ritardo o con importi ridotti dovuti a cause di acclarata difficoltà economica momentanea) ciò, non può rilevare ai fini dell’esclusione del genitore inadempiente dell’affidamento condiviso.

Ovviamente, l’inadempimento rilevante che può comportare l’esclusione dall’affidamento condiviso può anche non essere esclusivamente di natura economica ma può riferirsi anche e soprattutto alle carenze sotto il profilo della capacità educativa o della scarsa presenza nella vita dei figli minori.

In particolare, discontinuo esercizio del diritto di visita da parte del padre, da accertare nel corso del giudizio, è altamente sintomatico della sua inidoneità ad affrontare quelle maggiori responsabilità che l’affido condiviso comporta, cui è tenuto in ugual misura anche il genitore con il quale il figlio non conviva stabilmente, tale da determinare una situazione di contrarietà all’interesse del minore, ostativa per legge all’applicazione della regola dell’affido congiunto (cfr. Cass. n. 26587/2009).

Anche una situazione di forte e perdurante conflitto tra i genitori, specialmente quando giunga sino alla strumentalizzazione della prole minore e all’impedimento dei rapporti del figlio con uno dei genitori, può giustificare, qualora, anche a seguito di un provvedimento dell’autorità giudiziaria, non intervengano comportamenti maggiormente responsabili, l’affidamento esclusivo o comunque provvedimenti limitativi della potestà genitoriale.

In tema di affidamento dei minori in caso di separazione, tra i requisiti di idoneità genitoriale rileva anche la capacità di preservare la continuità delle relazioni parentali con l’altro genitore, a tutela del diritto del figlio alla bigenitorialità e alla crescita equilibrata e serena. Pertanto, laddove un genitore non si attivi per preservare la relazione del minore con l’altro genitore, anzi adoperandosi per minarne le fondamenta, è ravvisabile in capo a questi inadeguatezza genitoriale, incompatibile con l’affidamento condiviso e legittimante, di conseguenza, l’affido esclusivo del minore all’altro genitore.

Una totale incomunicabilità tra le parti, è, a giudizio dello scrivente, ostativa all’affidamento condiviso, ma spesso anche all’affidamento esclusivo. Il fallito tentativo di attribuire ai genitori il loro ruolo con il sostegno e la mediazione del competente servizio socio assistenziale impone l’attuazione di interventi più incisivi. La mancata possibilità di attribuire all’uno o all’altro genitore la responsabilità della situazione di conflitto impedisce a volte di disporre affidamento esclusivo ad una delle parti. Le tensioni ed i conflitti in essere, i profili caratteriali e psicologici delle parti, la mancata accettazione del ruolo dell’altro genitore, impediscono un affidamento esclusivo, che potrebbe comportare il rischio di esclusione dalla vita del minore del genitore non affidatario. Inoltre, l’affidamento esclusivo impone una valutazione di inidoneità genitoriale in capo ad uno dei genitori a fronte di una positiva valutazione del ruolo dell’altro.

Non costituisce invece circostanza ostativa all’affidamento condiviso la distanza geografica tra i luoghi di residenza dei genitori, potendo derogarsi alla regola dell’affido condiviso nella sola ipotesi in cui la sua applicazione risulti pregiudizievole per l’interesse del minore.

L’affidamento super-esclusivo. L’esercizio concertato della responsabilità genitoriale, in ordine alle scelte più importanti (salute, educazione, istruzione, residenza abituale) può però trovare deroga giudiziale (“salvo che non sia diversamente stabilito”). Si tratta, in questi casi, di rimettere al genitore affidatario anche l’esercizio in via esclusiva della responsabilità genitoriale con riguardo alle questioni fondamentali. Questa concentrazione di genitorialità in capo a uno solo dei genitori non rappresenta, ovviamente, un provvedimento che incide sulla titolarità della responsabilità genitoriale, modificandone solo l’esercizio. Il genitore cui i figli non sono affidati ha, peraltro, sempre il diritto ed il dovere di vigilare sulla loro istruzione ed educazione e può ricorrere al giudice quando ritenga che siano state assunte decisioni pregiudizievoli al loro interesse (art. 337-quater ultimo comma c.c.). La suddetta forma di affidamento viene detta super-esclusiva dei figli ad uno dei genitori, il quale comporta che al genitore spetteranno anche tutte le decisioni di maggiore importanza afferenti l’educazione, l’istruzione, la salute e la scelta della residenza abituale.

            avv. Atteo Santini       studio Cataldi 24 ottobre 2019

www.studiocataldi.it/articoli/36209-il-nuovo-affidamento-esclusivo.asp

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AMMINISTRATORE DI SOSTEGNO

La guida completa

La procedura di nomina, le modalità di scelta, le competenze, gli obblighi ed il compenso

L’amministratore di sostegno è una figura istituita per tutelare quelle persone che, a causa di un’infermità o di una menomazione fisica o psichica, si trovano nell’impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi.

L’amministrazione di sostegno: la legge di riferimento. La misura di protezione dell’amministrazione di sostegno è stata introdotta nel nostro ordinamento dalla legge 9 gennaio 2004, n. 6 (legge Stanca), che ha attuato una vera e propria rivoluzione giuridica e culturale nella tutela delle persone fragili, affiancando ai più rigidi istituti tradizionali (interdizione e inabilitazione) un nuovo strumento, più flessibile e quindi maggiormente adattabile alla specificità delle singole situazioni.

www.camera.it/parlam/leggi/04004l.htm

L’art. 1 prevede, infatti, che “la presente legge ha la finalità di tutelare, con la minore limitazione possibile della capacità di agire, le persone prive in tutto o in parte di autonomia nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana mediante interventi di sostegno temporaneo o permanente”.

L’amministrazione di sostegno si pone, così, come uno strumento modulabile, in grado di fornire ai soggetti deboli un supporto (declinato in termini di rappresentanza o di assistenza), che miri a sostenere la capacità residua del soggetto, valorizzando la centralità della persona e il principio di autodeterminazione.

La disciplina normativa del nuovo istituto è contenuta negli articoli 404 e ss. del codice civile.

www.brocardi.it/codice-civile/libro-primo/titolo-xii/capo-i/art404.html

A chi spetta la tutela? Ai sensi dell’art. 404 c.c., la misura di protezione dell’amministrazione di sostegno può essere disposta nei confronti della persona “che, per effetto di una infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trova nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi”.

La norma individua, dunque, due requisiti, uno di tipo soggettivo (la menomazione fisica o psichica), l’altro di tipo oggettivo (l’impossibilità di provvedere ai propri interessi), che devono coesistere ed essere legati da un rapporto di causalità. I sostenitori di un’interpretazione estensiva della misura di protezione, richiamandosi al sopracitato art. 1 della legge n. 6/2004, ritengono inoltre che essa vada applicata, anche al di là della sussistenza di una specifica infermità o patologia, in tutti i casi in cui il soggetto sia privo di autonomia nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana.

            In concreto, la misura è stata disposta in favore di un’ampia categoria di beneficiari, tra i quali, a titolo esemplificativo e non esaustivo:

  • Persone affette da infermità mentali e menomazioni psichiche: patologie psichiatriche, ritardo mentale, sindrome di down, autismo, malattia di Alzheimer, demenze, abuso di sostanze stupefacenti e alcoldipendenza; ma, anche, prodigalità, shopping compulsivo, ludopatia (talvolta anche in assenza di una specifica patologia (Cass. Civ. 07/03/2018, n. 5492).
  • Persone affetta da infermità fisiche: ictus, malattie degenerative o in fase terminale, handicap fisici e motori, condizioni di coma e stato vegetativo, patologie tumorali.

Resta complesso il tema della demarcazione tra l’ambito di applicazione dell’amministrazione di sostegno e dell’interdizione: in linea generale, si può affermare che, pur con alcune differenze su base geografica, l’istituto interdittivo trova sempre minore spazio in favore della nuova misura.

Chi può avviare la procedura? Ai sensi degli artt. 406 e 417 c.c., la legittimazione attiva alla proposizione del ricorso spetta ai seguenti soggetti:

www.brocardi.it/codice-civile/libro-primo/titolo-xii/capo-i/art406.html

www.brocardi.it/codice-civile/libro-primo/titolo-xii/capo-ii/art417.html

  • Pubblico Ministero;
  • Beneficiario della misura (anche se minore, interdetto o inabilitato);
  • Coniuge;
  • Persona stabilmente convivente;
  • Parenti entro il quarto grado;
  • Affini entro il secondo grado; [parenti di un coniuge rispetto all’altro coniuge]
  • Tutore dell’interdetto;
  • Curatore dell’inabilitato;
  • Unito civilmente in favore del proprio compagno.

L’amministratore di Sostegno. Inoltre, ai sensi dell’art. 406 comma 3° c.c., sono destinatari di un vero e proprio obbligo giuridico “i responsabili dei servizi sanitari e sociali direttamente impegnati nella cura e assistenza della persona, ove a conoscenza di fatti tali da rendere opportuna l’apertura del procedimento di amministrazione di sostegno”. Essi dovranno proporre il ricorso ex art. 407 c.c. al Giudice Tutelare, o, in alternativa, dovranno fornire notizia delle circostanze a loro note al Pubblico Ministero tramite apposita segnalazione. In questo secondo caso, sarà poi la Procura della Repubblica a valutare l’eventuale proposizione del ricorso.

Nel procedimento, non è necessaria la difesa tecnica. Pertanto, il ricorso potrà essere presentato direttamente dal ricorrente, senza il ministero di un difensore (si veda, però, Cass. Civ., 29/11/2006, n. 25366).

Come viene nominato l’amministratore di sostegno? Il ricorso per la predisposizione della misura. Ai sensi degli artt. 404 e 407 c.c., il procedimento per la nomina dell’amministratore di sostegno si propone con ricorso da depositarsi presso il Tribunale (ufficio del Giudice Tutelare) del luogo di residenza o domicilio del potenziale destinatario della misura. Il ricorso deve contenere: l’indicazione del Giudice Tutelare territorialmente competente;

  • Le generalità del ricorrente e del beneficiario;
  • L’indicazione della residenza, del domicilio e della dimora abituale del beneficiario;
  • Il nominativo e il domicilio dei congiunti e dei conviventi, come individuati nell’art. 407 c.c.;
  • Le ragioni per cui si chiede la nomina dell’amministratore di sostegno, con specificazione degli atti di natura personale o patrimoniale che debbano essere compiuti con urgenza.

E’ inoltre utile, benché non necessario, fornire una descrizione delle condizioni di vita della persona ed effettuare una prima ricognizione della situazione reddituale e patrimoniale della stessa, onde delineare fin da subito il progetto di sostegno che dovrà essere poi messo a punto dal Giudice Tutelare.

            Se non sussistono particolari ragioni di urgenza, il Giudice Tutelare, letto il ricorso, fissa con decreto la data di udienza per l’audizione del beneficiario e per la convocazione del ricorrente e degli altri soggetti (congiunti, conviventi, ecc.) indicati nell’art. 406 c.c.

            Il ricorso e il decreto devono essere notificati, a cura del ricorrente, al beneficiario; entrambi gli atti devono essere comunicati agli altri soggetti indicati nel ricorso.

            La fase istruttoria può esaurirsi con l’audizione del beneficiario, del ricorrente e dei congiunti (se presenti) e con la sola acquisizione della documentazione allegata al ricorso; tuttavia, il Giudice Tutelare, in virtù degli ampi poteri istruttori che gli sono riconosciuti dall’art. 407 c.c., può disporre, anche d’ufficio, ogni ulteriore accertamento, anche disponendo apposita consulenza tecnica in ordine alla capacità e autonomia del beneficiario.

            Il Giudice Tutelare provvede, quindi, con decreto motivato e immediatamente esecutivo. Ai sensi dell’art. 405 c.c., qualora, invece, sussistano particolari ragioni d’urgenza, il Giudice Tutelare, subito dopo il deposito del ricorso, potrà adottare, anche d’ufficio, inaudita altera parte, i provvedimenti necessari per la cura della persona e per la conservazione e l’amministrazione del patrimonio, a tal fine anche nominando un amministratore di sostegno provvisorio. In tale eventualità, l’udienza per l’audizione del beneficiario verrà fissata in seguito e, espletato ogni opportuno approfondimento istruttorio, la misura di protezione potrà essere confermata o revocata con decreto definitivo.

L’amministratore di sostegno: scelta e sostituzione. La scelta dell’amministratore di sostegno viene effettuata dal Giudice Tutelare “con esclusivo riguardo alla cura e agli interessi della persona beneficiaria”. L’art. 408 c.c. individua un ordine preferenziale a cui il Giudice Tutelare dovrà attenersi in tale valutazione:        www.brocardi.it/codice-civile/libro-primo/titolo-xii/capo-i/art408.html

  • In primo luogo, deve essere valorizzata l’eventuale designazione dell’amministratore di sostegno già effettuata dal beneficiario, in previsione della propria futura incapacità, mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata; parimenti, dovrà tenersi conto dell’eventuale preferenza manifestata dal beneficiario nel corso del procedimento, sempre che egli conservi adeguata capacità di discernimento;
  • In mancanza di designazione o in presenza di gravi motivi (quando, ad esempio, il soggetto designato non è idoneo allo svolgimento dell’incarico), il Giudice Tutelare, con decreto motivato, potrà nominare un amministratore di sostegno diverso; nell’effettuare tale scelta, il Giudice Tutelare dovrà preferire, se possibile, uno dei seguenti soggetti:
  • Il coniuge che non sia separato legalmente;
  • La persona stabilmente convivente;
  • Il padre, la madre, il figlio, il fratello o la sorella;
  • Il parente entro il quarto grado;
  • Il soggetto designato dal genitore superstite con testamento, atto pubblico o scrittura privata autenticata;
  • Inoltre, in caso di opportunità, o – se sussista la designazione da parte del beneficiario – in presenza di gravi motivi, il Giudice Tutelare potrà nominare un soggetto terzo di propria fiducia. A tal fine, egli potrà attingere, ad esempio, ad appositi elenchi istituiti presso i singoli Uffici giudiziari che contengono i nominativi di professionisti in materie giuridiche ed economiche disponibili allo svolgimento dell’incarico.

Ai sensi dell’art. 413 c.c., laddove ne ricorrano i presupposti, il Giudice Tutelare, su istanza motivata del beneficiario, del Pubblico Ministero, dell’amministratore di sostegno o di uno dei soggetti di cui all’art. 406 c.c., potrà disporre la sostituzione dell’amministratore.

www.brocardi.it/codice-civile/libro-primo/titolo-xii/capo-i/art413.html

La norma non indica dei presupposti specifici per la sostituzione dell’amministratore, con la conseguenza che la valutazione è lasciata alla discrezionalità del Giudice: in concreto, la sostituzione potrà avvenire, anche al di fuori di un intento sanzionatorio, in caso di persistente dissenso con il beneficiario, in caso di decorso del termine decennale previsto dall’art. 410 ultimo comma c.c. o nell’ipotesi di trasferimento dell’amministratore di sostegno in luogo lontano dalla residenza abituale del beneficiario.

L’amministratore di sostegno: compiti e poteri. L’art. 505 comma 5° c.c. dispone che il decreto di nomina dell’amministratore di sostegno deve contenere l’indicazione:

  • Delle generalità della persona beneficiaria e dell’amministratore di sostegno;
  • Della durata dell’incarico, che può essere anche a tempo indeterminato;
  • Dell’oggetto dell’incarico e degli atti che l’amministratore di sostegno ha il potere di compiere in nome e per conto del beneficiario;
  • Degli atti che il beneficiario può compiere solo con l’assistenza dell’amministratore di sostegno;
  • Dei limiti, anche periodici, delle spese che l’amministratore di sostegno può sostenere con utilizzo delle somme di cui il beneficiario ha o può avere la disponibilità;
  • Della periodicità con cui l’amministratore di sostegno deve riferire al giudice circa l’attività svolta e le condizioni di vita personale e sociale del beneficiario

L’oggetto dell’incarico, determinato nel decreto di nomina, individua i compiti dell’amministratore di sostegno. Essi potranno riguardare i due seguenti ambiti (alternativamente o congiuntamente):

  1. La cura della persona, intesa sia come cura della salute (eventuali scelte sanitarie, rapporti con il personale medico, espressione del consenso informato, ecc.), sia come gestione degli aspetti relazionali e sociali (scelta del luogo dove vivere, avvio di un percorso di psicoterapia o sostegno nella ricerca di un’occupazione lavorativa, ecc.);
  2. La cura del patrimonio, riferita alla gestione reddituale e patrimoniale del beneficiario (amministrazione di beni mobili – stipendi, pensioni, portafoglio titoli, ecc. – o di beni immobili), volta alla conservazione delle risorse finanziarie dello stesso e al soddisfacimento delle necessità ordinarie e straordinarie del medesimo.

Sotto il profilo dei poteri dell’amministratore, egli, in relazione alle condizioni di salute e all’autonomia residua del beneficiario, potrà essere investito dal Giudice Tutelare di un ruolo di rappresentanza esclusiva (sostituendosi integralmente al soggetto) o di mera assistenza (affiancandosi al soggetto nell’assunzione delle decisioni).

L’amministratore di sostegno: il compenso. La materia è disciplinata dall’art. 379 c.c., dettata in materia di tutela, ma applicabile in virtù del richiamo contenuto nell’art. 411 comma 1° c.c. anche all’amministrazione di sostegno.

www.brocardi.it/codice-civile/libro-primo/titolo-x/capo-i/sezione-iii/art379.html

www.brocardi.it/codice-civile/libro-primo/titolo-xii/capo-i/art411.html

La norma afferma la tendenziale gratuità dell’incarico, disponendo tuttavia che il Giudice Tutelare, considerando l’entità del patrimonio del beneficiario e la difficoltà dell’amministrazione, possa liquidare in favore dell’amministratore un’equa indennità. Contestualmente al deposito del rendiconto annuale, l’amministratore di sostegno potrà formulare istanza al Giudice Tutelare per richiedere il riconoscimento di tale indennità. Peraltro, non esistono criteri univoci per la determinazione della stessa, che è riservata unicamente alla discrezionalità del Giudice Tutelare.

Il decreto che liquidità l’indennità può essere oggetto di impugnazione davanti al Tribunale in composizione collegiale, laddove appaia palesemente esorbitante o sproporzionato in relazione ai parametri indicati dall’art. 379 c.c.

Paola Loddo   Altalex 24 ottobre 2019

www.altalex.com/guide/amministratore-sostegno

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                                                     ASSEGNO DI MANTENIMENTO

Via il tenore di vita anche per la separazione

Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, ordinanza n. 26084, 15 ottobre 2019

www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_36137_1.pdf

Stop all’applicazione del tenore di vita anche per la separazione. A ribadirlo l’ordinanza della Cassazione che ha rigettato il ricorso di un marito pretenzioso che, non contento dell’assegno mensile di 1500,00 euro fissato dal giudice di secondo grado, ha chiesto l’aumento a 6000,00 euro e l’accertamento della situazione patrimoniale e reddituale della moglie.

Come chiarito dalla SU n. 18287/2018 infatti non rileva il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio per il riconoscimento e la quantificazione dell’assegno, il quale deve assolvere semmai a una funzione assistenziale e compensativa, che nel caso di specie risultano pienamente soddisfatte.

La vicenda processuale. Una donna chiede la separazione dal marito, che non si costituisce, e il Tribunale, valutata l’autosufficienza economica dei coniugi, non dispone alcun assegno di mantenimento.

Il marito appella la sentenza rilevando la nullità del procedimento perché non gli è stata notificata l’ordinanza con cui è stata fissata l’udienza presidenziale. Nel merito invece contesta che sia stata accertata l’intollerabilità della convivenza solo in base alle dichiarazioni unilaterali della moglie.

            La Corte d’Appello, accogliendo il ricorso dell’uomo, dichiara nullo il procedimento per mancata convocazione all’udienza presidenziale e decide, escludendo la necessità di rimettere la causa al primo giudice. Nel merito invece ritiene infondata la richiesta del marito di accertare la non irreversibilità delle crisi coniugale e dispone a carico della ex moglie un assegno mensile di 1.500 euro.

Il motivi del ricorso in Cassazione. Ricorre in Cassazione il marito lamentando come il giudice d’Appello, dopo la pronuncia di nullità del procedimento, non abbia rimesso la causa al primo giudicante e come sia stata dichiarata la separazione, nonostante l’assenza di prove sulla irreversibilità della crisi coniugale. Fa inoltre presente come la ex moglie, nonostante la causa di separazione, abbia continuato a comportarsi normalmente con lui e a elargire in suo favore diverse somme di denaro. Con il quarto motivo di ricorso chiede inoltre che l’assegno in suo favore venga portato a 6000 euro mensile e con il quinto, di essere rimesso nei termini per poter acquisire la documentazione relativa alla situazione patrimoniale e reddituale della ex moglie.

Addio tenore di vita anche per l’assegno di separazione. La Corte di Cassazione rigetta il ricorso dell’ex marito. Per quanto riguarda i primi due motivi la Suprema Corte precisa che, nel momento in cui il soggetto contumace impugna la sentenza, il giudice d’appello, tranne nei casi previsti dall’art 353 c.p.c, è tenuto a decidere la causa nel merito dopo la dichiarazione di nullità del procedimento di primo grado e l’espletamento delle attività precluse. Per quanto riguarda l’intollerabilità della convivenza, gli Ermellini precisano che non è necessaria la sussistenza di una situazione conflittuale imputabile a entrambe le parti, trattandosi di un sentire individuale dimostrabile anche dalla condotta processuale e dall’esito del tentativo di conciliazione.

            Per quanto riguarda infine la misura dell’assegno la Corte rileva la conformità della sentenza di secondo grado alla giurisprudenza di legittimità e in particolare alla SU n. 18287/2018 per la quale l’assegno divorzile ha prima di tutto una funzione riequilibratrice del reddito degli ex coniugi che deve tenere conto del contributo fornito dall’ex coniuge più debole alla vita familiare. Non occorre quindi, come richiesto dal ricorrente, chiedere prove sulla situazione patrimoniale e reddituale della ex moglie, considerato che il tenore di vita non è un parametro di riferimento per la determinazione dell’assegno di separazione e che l’entità dello stesso, disposta a favore dell’ex marito, soddisfa pienamente sia la funzione compensativa che quella assistenziale, richieste dalla giurisprudenza.

Annamaria Villafrate Studio Cataldi 22 ottobre 2019

www.studiocataldi.it/articoli/36137-via-il-tenore-di-vita-anche-per-la-separazione.asp

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ASSEGNO DIVORZILE

Assegno divorzile: quando spetta

Corte di Cassazione, prima Sezione civile, ordinanza n.24934, 7 ottobre 2019

sentenze.laleggepertutti.it/sentenza/cassazione-civile-n-24934-del-07-10-2019

La recente pronuncia di legittimità ha ribadito la funzione assistenziale dell’assegno divorzile così come descritta dal legislatore, che nel prevedere l’assegno a favore dell’altro coniuge privo di mezzi adeguati o che comunque non possa procurarseli per ragioni oggettive, , fissa i criteri di determinazione dell’assegno stesso: condizioni dei coniugi, ragioni della decisione, contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare ed alla formazione del patrimonio di ciascuno o di quello comune, reddito di entrambi (tutti elementi valutati anche in rapporto alla durata del matrimonio).

            La pronuncia in esame richiama la nota sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione (sentenza 11 luglio 2018, n. 18287) che ha chiarito come, accanto alla funzione assistenziale (a favore del coniuge più debole), può sussistere una funzione “compensativa”. In particolare, secondo le Sezioni Unite, il riconoscimento dell’assegno di divorzio richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi o comunque dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, attraverso l’applicazione dei criteri di cui alla prima parte della norma i quali costituiscono il parametro di cui si deve tenere conto per la relativa attribuzione e determinazione, ed in particolare, alla luce della valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio e all’età dell’avente diritto.

            In altri termini, la funzione compensativa acquista rilievo con riguardo al “sacrificio” che il coniuge economicamente più debole ha sofferto per dedicarsi alla famiglia, tralasciando magari la propria crescita professionale e le possibilità di guadagno, o comunque contribuendo al patrimonio comune familiare.

            In sostanza, l’assegno divorzile serve a garantire, non il medesimo tenore di vita avuto durante il matrimonio (tale funzione è già da tempo stata esclusa dalla giurisprudenza di legittimità), bensì una vita dignitosa, in considerazione delle condizioni economiche dei coniugi e della necessità (eventuale) di garantire una “compensazione” per il contributo che uno dei due coniugi ha dato alla famiglia.

            La nuova pronuncia della Cassazione si allinea, dunque, al consolidato orientamento interpretativo, precisando, in maniera ancora più rigida, che, ai fini del diritto all’assegno divorzile, non è sufficiente il mero squilibrio patrimoniale tra coniugi, ma occorre sempre l’inadeguatezza dei mezzi o l’impossibilità oggettiva di procurarseli per vivere autonomamente e dignitosamente. Non è quindi la possibilità o meno di mantenere il medesimo tenore di vita in costanza di matrimonio, ma la possibilità di vivere dignitosamente con le proprie risorse (anche qualora queste dovessero essere di gran lunga inferiori a quelle dell’altro coniuge).

            Nell’ordinanza in commento si legge infatti che “il parametro della (in)adeguatezza dei mezzi o della (im)possibilità di procurarseli per ragioni oggettive va quindi riferito sia alla possibilità di vivere autonomamente e dignitosamente (e, quindi, all’esigenza di garantire detta possibilità al coniuge richiedente), sia all’esigenza compensativa del coniuge più debole per le aspettative professionali sacrificate, per avere dato, in base ad accordo con l’altro coniuge, un dimostrato e decisivo contributo alla formazione del patrimonio comune e dell’altro coniuge”.

Dunque, il giudice non può attribuire e quantificare l’assegno divorzile in base all’esigenza di far conservare al coniuge beneficiario il tenore di vita matrimoniale, solo perché il confronto reddituale tra le parti evidenzia un grande divario. Non è determinante il tenore di vita matrimoniale né lo squilibrio patrimoniale tra i coniugi al momento dello scioglimento del matrimonio, ma esclusivamente, la posizione economica del coniuge richiedente l’assegno: deve trattarsi di persona che non può permettersi, in maniera autonoma, una vita dignitosa, sia perché non possiede le risorse utili, sia perché non può oggettivamente procurarsele. L’assegno è, infatti, escluso se l’assenza di risorse dipende dalla volontà della parte che si rifiuta di lavorare o perde occasioni di guadagno.

Avv. Maria Monteleone         La legge per tutti        26 ottobre 2019

www.laleggepertutti.it/327737_assegno-divorzile-quando-spetta

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CENTRO INTERNAZIONALE STUDI FAMIGLIA

Newsletter CISF – N. 39, 23 ottobre 2019

“No limitations” Un video della National Down Syndrome Society.              https://www.ndss.org

v  Realizzato per celebrare il 40° anniversario della fondazione NDSS (Stati Uniti), il video intende smantellare gli stereotipi negativi attribuiti alle persone con sindrome di Down, rispondendo ad un medico che enumera una serie di attività che non possono fare, e i limiti che impediranno loro di avere successo nella vita, Ad ogni obiezione rispondono varie persone con sindrome di Down, che mostrano con la propria vita che tali limiti possono essere superati. Anzi, si tratta dei «tuoi limiti. Non i miei!» (“Your limitations! Not mine!”) Come ricorda lo slogan finale di questa associazione, “Quarant’anni per cambiare il modo in cui Voi guardate Noi”

www.facebook.com/NDSS1979/videos/2141742979414348

Bologna. Giornata di studio AICCeF (20 ottobre 2019). Intensa e stimolante giornata di studio/incontro con 200 consulenti familiari, incentrata sull’adultescenza, in particolare rispetto alle relazioni familiari e alla “famiglia ibridata”, in cui le relazioni faccia a faccia e le relazioni digitali e le relazioni digitali sul web sono ormai inestricabilmente intrecciate.

https://www.aiccef.it/it/news/la-giornata-di-studio-a-bologna.html#cookieOk

 E’ su questo che si è concentrata la relazione del Direttore Cisf (Francesco Belletti), a partire dai dati del Rapporto Cisf 2017 (Le relazioni familiari nell’era delle reti digitali).

www.sanpaolostore.it/relazioni-familiari-nell-era-delle-reti-digitali-nuovo-rapporto-cisf-2017-9788892213289.aspx?Referral=newsletter_cisf_20191023

v  Tanti i suggerimenti e gli stimoli, davanti ad un nodo che rimanda alle radici dell’umano (la persona in-relazione), e alle imprevedibili prospettive e sfide (anche etiche) che le innovazioni tecnologiche e digitali pongono oggi alla persona (a ogni persona), ai suoi mondi vitali, al suo ruolo nella società. Basta ricordare, tra i tanti materiali ricordati, lo stimolante articolo di Mons. Gianfranco Ravasi, su Avvenire di qualche mese fa su “Scienza. «Transumano» o «postumano», purché resti umano. Oltre il sogno del Golem” [Avvenire, 28 maggio 2019]

www.avvenire.it/agora/pagine/trans-o-post-purch-resti-umano

OCSE. Lavorare meglio con l’età. Invecchiamento e politiche dell’occupazione. “Mai nella storia gli uomini hanno vissuto così a lungo come oggi, per la maggior parte in buona salute. Ma ciò che è bene per gli individui può essere un problema per la società. Se non si farà nulla per cambiare le attuali dinamiche di lavoro e delle pensioni, il numero di persone anziane inattive che dovranno essere sostenute da ciascun lavoratore crescerà nell’area OCSE mediamente del 40% entro il 2050. Questo porrà un freno al miglioramento delle nostre condizioni di vita, e un’enorme pressione sulle giovani generazioni.”

È a partire da queste considerazioni, particolarmente pertinenti per il nostro Paese – che vanta uno dei più bassi indici di fecondità e uno dei più alti tassi di disoccupazione, specie femminile e giovanile – che l’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo) ha elaborato il Rapporto Working Better with Age. Ageing and Employment Policies (Lavorare meglio con l’età. Invecchiamento e politiche dell’occupazione), in cui affronta con ricchezza di dati e di proposte le prospettive che ci attendono. L’obiettivo è quello di suonare la sveglia ai Paesi, come il nostro, che ancora non mettono al centro dell’agenda politica questa questione epocale.

https://read.oecd-ilibrary.org/employment/working-better-with-age_c4d4f66a-en#page5

I congedi parentali oggi: un confronto su 45 paesi. Dal 2005 la International Network on Leave Policies and Research (Rete internazionale sulle ricerche e sulle politiche dei congedi) realizza un rassegna delle ricerche e degli interventi normativi su congedi di maternità, paternità e genitoriali, per malattia dei figli, servizi educativi per la prima infanzia, ecc.

www.leavenetwork.org/annual-review-reports/archive-reviews

Il Rapporto 2019 contiene una ricca serie di tabelle comparative sintetiche, più le singole “scheda Paese” per le 45 nazioni analizzate.                                      2._2019_Compiled_Report_2019_0824-.pdf

v  Leggere Pinocchio nelle scuole italiane. Una petizione on line. L’opera “Le Avventure di Pinocchio: Storia di un burattino”, scritta dall’autore e giornalista italiano Carlo Lorenzini “Collodi”, conta ad oggi 136 anni e oltre 260 traduzioni in lingue, idiomi e dialetti diversi ed è universalmente considerata uno dei capisaldi della letteratura proprio per la sua valenza didattica e formativa e come espressione della giovinezza. […] Tuttavia, Pinocchio risulta sorprendentemente assente dalle letture adottate nelle Scuole italiane, a differenza di altri Paesi che ne prevedono l’obbligo di lettura in classe, nonostante la sua estrema valenza didattica e formativa come espressione della giovinezza e metafora della crescita. L’obiettivo di questa petizione è infatti quello di portare Pinocchio negli istituti italiani così da diffondere i suoi valori e principi nell’istruzione […]”

 Link per firmare la petizione

https://www.change.org/p/ministero-dell-istruzione-dell-universit%C3%A0-e-della-ricerca-leggere-pinocchio-nelle-scuole-italiane?recruiter=1002415946&utm_source=share_petition&utm_medium=copylink&utm_campaign=share_petition

 Un’iniziativa originale, per una di quelle opere immortali, che tutte le volte che rileggi ti fanno scoprire qualcosa di nuovo e di inatteso. E magari anche l’occasione per prendere conoscenza delle numerose iniziative della Fondazione Collodi, e perché no, per fare una visita al Parco di Pinocchio, splendido spazio verde ai piedi della suggestiva cittadina medioevale di Collodi (Pistoia). Fidatevi: ne vale la pena (e non solo per i bambini!).

            www.pinocchio.it/fondazionecollodi/national-carlo-collodi-foundation

Dalle case editrici

– Studium, La famiglia a cinquant’anni da Humanæ Vitæ, Palladino E., Yáñez H.M.

Il Mulino, Fare la differenza. Educazione di genere dalla prima infanzia all’età adulta, Rossella G.

San Paolo, La stanza del dialogo. Riflessioni sul ciclo della vita, Vegetti Finzi S.

_newscisf3919_allegatolibri.pdf

Pesce Francesco, Steccanella Assunta (a cura di), Verso il matrimonio cristiano, Edizioni Messaggero, Padova, 2018, pp. 258, € 19.00.

Il testo è frutto di una ricerca realizzata presso la Facoltà teologica del Triveneto sul tema dei cammini di preparazione al matrimonio cristiano. Intorno alle “provocazioni” di Amoris lætitia e dei due Sinodi che l’hanno preceduta si è sviluppata un’azione di discernimento pastorale che si è avvalsa sia dei contributi teorici di numerosi docenti – di discipline teologiche, sacra scrittura e scienze umane – che dell’attività di ricognizione e analisi di quanto è già operativo nelle Chiese locali del Triveneto, con attenzione ad alcune esperienze particolarmente significative. Esito del lavoro è l’elaborazione di una proposta finale che raccoglie le linee maggiori emerse durante l’analisi delle esperienze (in atto nelle diocesi di Gorizia, Padova, Venezia, Vicenza) raggruppate per tipologia, che può rivelarsi utile per la prassi pastorale corrente. Infatti, secondo i curatori «pensare e ri-pensare i cammini di accompagnamento dei fidanzati sembra rappresentare, nel processo di riforma ecclesiale in atto, un banco di prova importante per una pastorale rinnovata, in conversione missionaria».

Specializzarsi per la famiglia

  • Milano. Migranti e società: un mo(n)do diverso è possibile? percorso formativo e informativo rivolto a giovani tra i 20 e i 30 anni sull’immigrazione, promosso da Ambrosianeum, Fondazione Arché, Azione Cattolica Ambrosiana, Caritas Ambrosiana: sei incontri mensili, dal 24 ottobre 2019 al 18 aprile 2020, a Milano.      programma-migranti-e-societa–un-mondo-diverso-e–possibile-49.pdf
  • Milano, Università Cattolica. Master in Mediazione familiare e comunitaria (XII edizione, febbraio 2020 – dicembre 2021). “Il Master è finalizzato alla costruzione dell’identità professionale del mediatore con due competenze specifiche: la gestione del processo di mediazione familiare per la riorganizzazione delle relazioni familiari in vista o a seguito della separazione o divorzio della coppia (mediazione del divorzio) e con persone appartenenti a diverse generazioni familiari in conflitto (mediazione intergenerazionale); la progettazione e gestione del processo di mediazione comunitaria e  la realizzazione di interventi in presenza di conflitti nelle organizzazioni sanitarie, scolastiche e sul territorio” .                   https://asag.unicatt.it/asag-master-mediazione-familiare-e-comunitaria

 Il Master verrà presentato in occasione del convegno internazionale Conflitti, fiducia e mediazione: percorsi di ricerca e di formazione organizzato dal Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia, in collaborazione con l’Alta Scuola di Psicologia A. Gemelli – ASAG, Milano, 23 novembre 2019.

                                                   https://asag.unicatt.it/asag-master-mediazione-familiare-e-comunitaria

Save the date

  • Sud: La famiglia al centro dell’assistenza, congresso della SIN INF Campania (Società Italian di Neonatologia -Infermieristica (con crediti ECM per le professioni sanitarie), Napoli, 27 novembre 2019.                                                                                                         newscisf3919_allegato3.pdf

Iscrizione             http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/newsletter-cisf.aspx
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CHIESA CATTOLICA

La Nuova Commissione sul Diaconato femminile e l’avvenire di una tradizione

Nella comune esperienza ecclesiale viene spesso ripetuto un motto di spirito, di quelli che emergono dalle amarezze del senso comune, secondo il quale “Se vuoi fare, fai, ma se non vuoi fare, fai una commissione”. Va detto, però, che la memoria storica rimedia presto a questa disperazione. La storia ci dice, infatti, che Pio X fece una commissione, e anni dopo ne uscì il Codex Iuris Canonici; Pio XII fece un’altra commissione, e ne uscì la Riforma liturgica della Veglia Pasquale e della Settimana Santa. Ecco allora che anche la Commissione sul Diaconato femminile, già convocata, e giunta per ora ad uno stallo, ma ieri l’altro rilanciata dal Sinodo per l’Amazzonia, può essere premessa non di rinuncia e di disfattismo, ma di profezia e di riforma.

Queste iniziali considerazioni derivano, ovviamente, da due testi recentissimi, con cui l’Assemblea del Sinodo e papa Francesco si sono pronunciati proprio ieri l’altro, a proposito del tema. Leggiamo anzitutto il testo approvato dai padri sinodali, al n. 103:

“En las múltiples consultas realizadas en el espacio amazónico, se reconoció y se recalcó el papel fundamental de las mujeres religiosas y laicas en la Iglesia de la Amazonía y sus comunidades, dados los múltiples servicios que ellas brindan. En un alto número de dichas consultas, se solicitó el diaconado permanente para la mujer. Por esta razón el tema estuvo también muy presente en el Sínodo. Ya en 2016, el Papa Francisco había creado una “Comisión de Estudio sobre el Diaconado de las Mujeres” que, como Comisión, llegó a un resultado parcial sobre cómo era la realidad del diaconado de las mujeres en los primeros siglos de la Iglesia y sus implicaciones hoy. Por lo tanto, nos gustaría compartir nuestras experiencias y reflexiones con la Comisión y esperamos sus resultados”.

103. Nelle numerose consultazioni che si sono svolte in Amazzonia, è stato riconosciuto e sottolineato il ruolo fondamentale delle religiose e delle laiche nella Chiesa amazzonica e nelle sue comunità, visti i molteplici servizi che offrono. In molte di queste consultazioni è stato sollecitato il diaconato permanente per le donne. Per questo motivo il tema è stato anche molto presente durante il Sinodo. Già nel 2016, Papa Francesco aveva creato una «Commissione di studio sul diaconato delle donne» che, come Commissione, è arrivata a un risultato parziale su come era la realtà del diaconato delle donne nei primi secoli della Chiesa e sulle sue implicazioni attuali. Vorremmo pertanto condividere le nostre esperienze e riflessioni con la Commissione e attenderne i risultati.

Il testo presenta con precisione il “risultato parziale” di una ricerca, avviata dalla Commissione istituita nel 2016, della quale identifica bene il compito di studiare “come era la realtà del diaconato nei primi secoli e le sue implicazioni per l’oggi”. Questa relazione tra i primi secoli e le implicazioni attuali mi pare estremamente rilevante.

Essa mette a nudo, con molto equilibrio, una serie di questioni decisive, che voglio qui brevemente presentare in modo ordinato:

  1. La autorità della commissione. La nomina di una commissione di studio è un punto decisivo del rapporto tra magistero e teologia. Il magistero ha bisogno della esperienza dei teologi, che in una Commissione ufficiale esercitano un “magistero della cattedra magistrale” a vantaggio del “magistero della cattedra pastorale”. Tommaso d’Aquino distingueva, infatti, tra magisterium cathedræ pastoralis e magisterium cathedræ magistralis, riferendo il primo ai vescovi e il secondo ai teologi. Questo significa che i teologi e gli storici, chiamati a far parte della Commissione, devono essere, allo stesso tempo, pazienti e audaci. Hanno il vantaggio di non essere direttamente chiamati a deliberare. Ma debbono esercitare in toto questa loro limitata autorità. Non debbono semplicemente garantire lo status quo, ma immaginare l’avvenire e integrare la tradizione. E qui si apre la seconda questione.
  2. La competenza storica e sistematica. Della Commissione devono far parte sia gli storici sia i sistematici. Perché la storia è necessaria, ma non è sufficiente. Occorre, oltre alla storia, anche una “sistematica aperta”, che sappia pensare la tradizione non solo secondo il passato, ma anche secondo il presente e il futuro. Romano Guardini diceva, già 100 anni fa: “la storia ci dice sempre solo che cosa è stato. Ma che cosa debba essere, può dircelo solo la teologia sistematica”. Una riflessione sul diaconato femminile non può essere semplicemente storica. Deve assumere anche un punto di vista sistematico, domandandosi apertamente e con parrhesia che cosa richieda il presente e il futuro.
  3. La nomina e la composizione della commissione. Infine, un terzo punto deve essere chiarito. La nomina e la composizione della Commissione spettano al papa, come è ovvio. Sarà bene che, a differenza della Commissione precedente, non si lasci la iniziativa a soggetti poco interessati al buon andamento dei lavori. Se infatti, accanto agli storici, si dispongono sistematici privi di immaginazione e di passione per il futuro, intimoriti da ogni novità e preoccupati di garantire la immobilità del sistema, sarà facile che anche una seconda Commissione si trovi di fronte a quel muro invalicabile che lei stessa si sarà costruito intorno. Pretendere di far dire al passato ciò che il presente e il futuro attendono è una comoda scappatoia, che resta sempre priva di qualsiasi effetto.

Alle parole dei padri sinodali, che ho prima evocato, papa Francesco ha già indirettamente risposto, affermando, durante il discorso che ha chiuso la Assemblea sinodale: “E riconvocherò la Commissione di studio sul diaconato femminile, aprendola “con nuovi membri per continuare a studiare, per vedere come esisteva nella Chiesa primitiva il diaconato permanente”.

            Credo che ora tutto sia diventato più chiaro: credo che la Commissione non possa essere soltanto storica. La storia può parlarci della donna autorevole del V o del XI secolo. Ma la autorevolezza della donna è mutata da quando è diventato per la Chiesa un “segno dei tempi” il “ruolo pubblico della donna”. Dal 1962 le cose non sono più le stesse. Da quando, con la enciclica Pacem in terris, abbiamo formalmente accettato che il ruolo pubblico della donna sia per la Chiesa “segno dei tempi”, da cui la Chiesa può e deve imparare, tutto lo studio del passato non potrà mai sostituire la novità di questa nuova condizione, inaugurata nel XIX secolo e impostasi da decenni almeno in una parte considerevole del mondo. Ora, per la Commissione, si tratta di riconoscere questa novità, accettare la ricchezza della autorità pubblica femminile e ammettere la donna al ministero ordinato, nel grado del diaconato. Questa Commissione sarà allora non l’avvenire di una illusione, ma l’affermarsi della tradizione. Di una tradizione che sia capace di riconoscere non solo la autorità del passato, ma anche quella del presente e del futuro. Come è sempre stato, quando la prudenza dello Spirito ha avuto la meglio sulla cieca paura dell’inedito.

             Andrea Grillo blog: Come se non      27 ottobre 2019

www.cittadellaeditrice.com/munera/la-nuova-commissione-sul-diaconato-femminile-e-lavvenire-di-una-tradizione

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COMMISSIONE ADOZIONI INTERNAZIONALI

Al ministro Bonetti la delega in materia di Adozioni.

Il presidente di Amici dei Bambini Marco Griffini: “Finalmente dopo tanti anni torna una delega specifica al ministro della Famiglia. Speriamo di tornare al periodo fecondo del 2000-2010”

Una delega ministeriale per le Adozioni. È quella che ha ricevuto il ministro Elena Bonetti, con un decreto del presidente del Consiglio pubblicato in Gazzetta Ufficiale venerdì 18 ottobre 2019. Alla Bonetti, oltre alle Adozioni, sono state delegate infine le materie di Pari opportunità, Famiglia, Infanzia e Adolescenza. Il decreto contiene inoltre un esplicito passaggio sulla delega alla Bonetti della Presidenza della CAI – Commissione Adozioni Internazionali (art 3, comma 5), che era stata precedentemente annunciata.

Tra le materie delegate al ministro Bonetti trovano spazio anche le funzioni di indirizzo e di coordinamento per l’utilizzo delle risorse finanziarie relative alle politiche per il sostegno alla natalità e quelle per l’utilizzo delle risorse del Fondo per il sostegno del ruolo di cura e di assistenza del caregiver familiare.

            A esprimere soddisfazione per la notizia giunta da Palazzo Chigi è, tra gli altri, il presidente di Ai.Bi. – Amici dei Bambini, Marco Griffini, che per lungo tempo si è battuto affinché la presidenza della CAI fosse delegata al ministro della Famiglia. “Finalmente dopo tanti anni – commenta Griffini – si ritorna alla delega al ministro della Famiglia della competenza in materia di adozioni. Speriamo, così, di ritornare al periodo fecondo dell’adozione internazionale, quello dei primi dieci anni del nuovo millennio, quando abbiamo avuto presidenti della CAI operativi, presenti e competenti nella loro materia”.

“Lo dico – prosegue il presidente di Ai.Bi. – perché invece usciamo da un decennio, iniziato con il Governo tecnico di Mario Monti, caratterizzato da un sostanziale disinteresse per le sorti dell’adozione internazionale. Un disinteresse che ha raggiunto l’apice quando le funzioni di presidente sono state fuse con quelle di vicepresidente: il controllore e il controllato in un’unica persona. In quel periodo la CAI non è mai stata convocata per tre anni, con ripercussioni fortemente negative di cui il sistema sta ancora pagando le conseguenze. Ora e finalmente, con questa nomina, ci sono tutte le premesse per poter riprendere la strada interrotta”.

AiBinews                    22 ottobre 2019

www.aibi.it/ita/al-ministro-bonetti-la-delega-in-materia-di-adozioni-griffini-ai-bi-ci-sono-le-premesse-per-un-rilancio

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CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Rapporto Italiani nel Mondo 2019 della Fondazione Migrantes

Presentazione nazionale della quattordicesima annualità

S.E. Mons. Stefano Russo – Segretario generale Conferenza Episcopale Italiana

Se dovessi riassumere il Rapporto Italiani nel Mondo con una semplice frase direi che è un volume di domande per le quali troviamo anche le risposte. E non capita sempre, anzi succede raramente. È più semplice lanciare le situazioni problematiche e lasciarle prive della parte propositiva e costruttiva attraverso la quale si prova a superarle. Condivido con voi, perciò, alcuni degli interrogativi e relative risposte che ho rintracciato probabilmente spinto dal mio servizio quotidiano alla Conferenza Episcopale Italiana, ma sicuramente anche dal mio essere cittadino di questo Stato e di questo continente.

Perché la Chiesa si interessa della mobilità umana e italiana in particolare? La missione della Chiesa è vivere con la gente e tra la gente. Un posto particolare nel cuore della Chiesa lo hanno i migranti di ogni nazionalità, al di là dei paesi da cui partono e delle terre in cui arrivano, dei percorsi migratori che compiono. Siano essi migranti economici, richiedenti asilo o rifugiati, altamente qualificati o senza qualifica che vivono da protagonisti la transnazionalità, chi oggi è attore di mobilità dà alla Chiesa l’opportunità di vivere il segno più peculiare della sua natura e cioè la “cattolicità”, contribuendo efficacemente alla comunione tra i popoli e alla fraternità.

L’Italia è storicamente terra di partenze. Lo era ieri e continua ad esserlo oggi. Lo vediamo dai numeri del Rapporto Italiani nel Mondo. Numeri importanti certamente, ma soprattutto, e lo abbiamo sentito, profili diversi che spronano a far di più e meglio come studiosi e operatori. Chi parte oggi tra gli italiani ha motivazioni differenti rispetto a chi partiva nel passato e a chi parte oggi, nello stesso momento storico, da altre parti del mondo.

Siamo chiamati a volgere il nostro sguardo e il nostro impegno verso tutti in modo uguale ricercando nuovi strumenti per guardare al migrante come soggetto in movimento all’interno di uno spazio comune che è la Madre Terra, che è di tutti e non di alcuni solamente, madre quando accoglie e matrigna quando costringe ad andare via.

“A me non piace dire “migranti” – ha detto a braccio il Papa ai fedeli durante l’Udienza generale dello scorso aprile – a me piace più dire “persone migranti” […] Migranti è un aggettivo, le persone sono sostantivi. […] Noi siamo caduti nella cultura dell’aggettivo, usiamo tanti aggettivi e dimentichiamo tante volte i sostantivi, cioè la sostanza” L’aggettivo, ha continuato il Pontefice, va legato indissolubilmente al soggetto e quindi alla persona per cui papa Francesco esorta a dire “la persona migrante” per dare dignità al racconto di una vita in cammino alla ricerca di uno stare meglio.

            Parlando di migranti, quindi, a qualsiasi latitudine e a partire da qualsiasi motivazione, il pensiero deve andare alla persona e dalla persona alle comunità chiamate, come indicato dal Santo Padre, ad accogliere i migranti, a proteggerli, a promuoverli e a integrarli. Erroneamente si potrebbe pensare che i quattro verbi promossi da papa Francesco riguardino solo chi arriva dalle zone più arretrate o dai paesi in conflitto, quelli che fuggono da guerre e persecuzioni o da disastri ambientali, i richiedenti asilo e protezione, i perseguitati per cause politiche o religiose. L’appello del Papa – accogliere, proteggere, promuovere e integrare – si rivolge, invece, a tutti coloro che sono impegnati nella mobilità umana a favore di tutti i migranti di oggi, compresi gli italiani da tempo in emigrazione o partiti di recente.

Quanto detto è diventato più chiaro con il Messaggio per la 105ma Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato [dal 1914] (29 settembre 2019) scandito dal tema Non si tratta solo di migranti): qualsiasi sia il tipo di migrazione oggi, qualsiasi migrante si prenda in considerazione da qualsiasi angolo della Terra arrivi e in qualsiasi luogo lui voglia andare, va considerato persona migrante e, quindi, va accolto, protetto, promosso e integrato. Non si tratta di calare dall’alto programmi assistenziali, ma di costruire comunità che, pur conservando le rispettive identità culturali e religiose, siano aperte alle differenze e sappiano valorizzarle. Si tratta, nello specifico, di comunità radiali e circolari, dove il senso di appartenenza viene modificato e giammai cancellato, dove ogni persona possa sentirsi di appartenere non in modo esclusivo, ma possa poter dare un contributo e, allo stesso tempo, ricevere collaborazione. Uno scambio reciproco, dunque, nella logica del mettere a disposizione degli altri i propri carismi.

Che ruolo ha la Chiesa di fronte alla sfida europea? “A tutti gli uomini liberi e forti, che in questa grave ora sentono alto il dovere di cooperare ai fini superiori della Patria, senza pregiudizi né preconcetti, facciamo appello perché uniti insieme propugnano nella loro interezza gli ideali di giustizia e libertà”. È questo l’incipit dell’Appello ai Liberi e forti, la pietra miliare donataci da don Luigi Sturzo cento anni fa (1919) e che ritorna prepotentemente di attualità nel nostro tempo in cui il richiamo alla necessità di un nuovo patto sociale che impegni uomini e donne che hanno a cuore il destino dell’Italia (e dell’Europa) sembra una via di uscita auspicabile e praticabile.

All’interno delle pagine del volume trovate un saggio che inizia proprio citando questa ricorrenza e il Convegno internazionale tenutosi a Caltagirone a giugno u.s. dal titolo L’attualità di un impegno nuovo.

Certamente don Sturzo dava priorità agli insegnamenti della dottrina sociale della Chiesa, ma la sua attualità di fronte alla sfida della nuova questione sociale che ci troviamo ad affrontare è che il suo messaggio è profondamente, intrinsecamente laico ovvero rivolto alla difesa dell’umanità in quanto incalpestabile, sacra nella sua dignità e indiscutibile nei suoi diritti per cui oggi come ieri “essere liberi e forti significa andare controcorrente, farsi difensori coraggiosi della dignità umana in ogni momento dell’esistenza: dalla maternità al lavoro, dalla scuola alla cura dei migranti” (citazione dall’intervento al Convegno del Card. Gualtiero Bassetti).

Credere ancora nel progetto europeo, dunque, è vincente. Non è una questione solo sociale, ma anche economica, politica, demografica, di visione lungimirante del futuro. E poiché è del domani che si parla sono proprio i protagonisti, ovvero i giovani, a far capire quale sia, oggi, la questione.

L’idea iniziale dell’Unione Europea è oggi superata nella concretezza del vivere ma non nell’ideale primigenio: le nuove generazioni, infatti, non credono e non vogliono l’Europa legata prioritariamente al piano politico e a quello finanziario. Consapevoli e complici delle reali opportunità date dalla globalizzazione, essi spingono per la realizzazione di quelli che il demografo Alessandro Rosina definisce gli Stati Uniti d’Europa dove la parte da leone è giocata, contestualmente, dalla cultura, dalla libertà e dalla centralità della persona. I giovani chiedono un’Europa migliore, più lungimirante e orientata al futuro non del solo continente europeo, ma allargato all’intero pianeta coinvolto dalla globalizzazione dei problemi e delle relative soluzioni. Faccio riferimento non solo alla questione migratoria, ma anche a quella climatica, demografica, economica.

Perché un tale processo di mondializzazione sia realizzato occorre condividerlo e costruirlo insieme ai giovani e alle nuove generazioni forti dell’esperienza degli anziani sicuramente ma prestando attenzione ai guizzi di novità, alla spensieratezza e perché no? Anche alla buona e giusta dose di rischio che solo l’essere giovani sa prendersi e portarsi con sé.

Quanto contano cultura e ricerca nella vita quotidiana? Sia questa la giornata da cui emerge quanto sia importante dedicare tempo, risorse, creatività allo studio. Troppe volte ascoltiamo che l’Italia è, per la ricerca, una Cenerentola rispetto ad altre nazioni europee e rispetto all’intero panorama internazionale. Pochi fondi ma non poche idee né tantomeno poco impegno. Lo riscontriamo dai tanti talenti italiani impegnati nella ricerca su tutti i campi ma fuori dei confini nazionali. E lo vediamo dalle ricerche che vengono portate avanti nonostante i più diversi ostacoli dalle accademie italiane e dagli altri luoghi preposti a questo compito.

Sia questa giornata l’occasione per ribadire che un paese che cura la ricerca e lo studio, che una nazione che studia se stessa, la propria storia è destinata a progredire nella “corsa” alla comprensione di ciò che accade ma soprattutto a mettere a frutto le strategie migliori per superare le crisi vissute. In questa linea, proprio ieri il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ricordava che “la ricerca è un motore di solidarietà e della società, un motore sempre più importante in ogni ambito della vita civile” ed anche “un aiuto concreto alle persone e alle famiglie”.

Da troppi anni ormai anche dalle pagine del Rapporto Italiani nel Mondo viene posto l’accento sulle problematiche costanti e divenute più che strutturali per l’Italia: la pregnante disoccupazione; l’invecchiamento della popolazione; la grave denatalità; la mancanza di politiche d’integrazione e di sostegno alle famiglie e ai giovani che, sempre più demotivati e per troppo tempo tagliati fuori dal mondo del lavoro e dal welfare, si rivolgono all’estero; la regressione culturale che ha portato a rigurgiti xenofobi e all’individualismo più sfrenato.

Il Rapporto Italiani nel Mondo 2019 ci ricorda quanto lo “stare sul pezzo” sia la giusta strategia. Ogni anno si tratta di studi che non sono mai ripetitivi, perché il fenomeno migratorio come e più di ogni altro fenomeno sociale, è costretto dal mutamento, dal cambiamento, dalla trasformazione. Da sempre la Chiesa è, quindi, luogo di cultura ed è chiamata a stimolare a nuove conoscenze, chiare e corrette informazioni sui fenomeni sociali troppe volte preda di opinioni disturbate, distorte e strumentalizzate.

Viviamo un tempo paradossale: gli strumenti a nostra disposizione hanno reso il mondo a portata di un click. Abbiamo sicuramente tutti molta più possibilità di conoscere la realtà, ma finiamo col lasciarci influenzare, molto più che in passato, dal sentito dire, dalle fake news a volte strumentalmente costruite per distorcere quanto vediamo intorno a noi.

La Chiesa continua a studiare. Siano la multidisciplinarietà, l’apertura all’incontro con altri studiosi, il lavorare insieme i segreti del lavoro del domani su cui puntare, un metodo che non solo arricchisce il confronto teorico, ma la crescita umana al di là delle appartenenze e delle identità di ciascuno. Scopro da queste pagine cosa è il “laboratorio multiculturale professionale”, questa redazione transnazionale tra l’Italia e l’estero che si è impegnata a donarci questo lavoro.

Possiamo davvero lavorare insieme per un fine comune? Diventi questo l’impegno primario per il nostro futuro. Quando brutti, sporchi e cattivi erano gli italiani: dai pregiudizi all’amore per il made in Italy è il titolo dato allo speciale di quest’anno del Rapporto Italiani nel Mondo e non poteva essere trovato tema più attuale.

Interrogarsi con onestà e riflettere con rigore sulla percezione e la conseguente creazione di stereotipi e pregiudizi che hanno accompagnato il migrante italiano serve non solo a fare memoria di sé, ma diventa motivo di migliore comprensione di chi siamo oggi e, auspichiamo con la lettura e i ragionamenti a partire dalle pagine qui presentate, di chi vogliamo essere.

Sorprende, amareggia, incupisce leggere dei tanti episodi di denigrazione ai quali gli italiani sono stati sottoposti in passato come migranti, ma amareggia ancora di più trovare episodi e appellativi oggi, rendersi conto che ancora, a volte, persistono questi atteggiamenti di discriminazione o, addirittura, ne sono nati di nuovi come nel caso della cooperazione internazionale ad esempio.

A volte è la stessa Chiesa ad essere stata oggetto di tali accuse. Oggi, non lo nascondo, è al centro delle discussioni più animate proprio per il tema della mobilità. Intervenendo a un convegno a marzo scorso dal titolo “Una strategia per l’Italia” ho ringraziato Piero Schiavazzi per la sottolineatura che ha dato della Chiesa che per lo Stato italiano “più che un ‘vincolo’ è uno ‘svincolo’, un accesso preferenziale all’autostrada della mondialità, una risorsa disponibile in casa”. “Aggiungo che a tale risorsa si può attingere con fiducia, nella consapevolezza che come Chiesa non perseguiamo né privilegi di bottega, né ambizioni velleitarie con cui sostituirci alla responsabilità delle istituzioni politiche: se a volte ci troviamo a svolgere determinati compiti è piuttosto per spirito di supplenza e non per mancanza di rispetto per la laicità dello Stato, nei confronti del quale esprimiamo la nostra piena collaborazione a sostegno dei diritti fondamentali dell’uomo e della costruzione del bene comune” (citazione presa dal discorso tenuto al convegno Limes del marzo 2019).

The Church Palace, Bachelet Auditorium, 25 ottobre 2019

www.chiesacattolica.it/wp-content/uploads/sites/31/2019/10/25/20191025-Italiani-nel-mondo-Intervento-S.E.-mons.-Russo.doc

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CONVIVENZA

Come tutelarsi in caso di convivenza

    I diritti dei partner che decidono di convivere nella stessa casa: la tutela in caso di debiti, cessazione dell’unione, morte, rapporti patrimoniali, spese e prestiti.

Prima di iniziare una convivenza, bisogna considerare una serie di fattori e di rischi: sapersi cautelare in anticipo potrà evitare degli spiacevoli inconvenienti. Hai mai pensato, ad esempio, ai problemi che potrebbero sorgere nel caso in cui il tuo partner dovesse subire un pignoramento dei beni mobili? E cosa succederebbe se la relazione dovesse finire e il titolare dell’immobile dovesse mandare via di casa l’altro senza alcun preavviso? Eventuali figli a chi andrebbero? In caso di morte di uno dei conviventi, l’altro può vantare dei diritti di successione e magari restare dentro l’appartamento? Le spese sostenute per la casa, l’affitto, la ristrutturazione o anche solo per l’arredo devono essere rimborsate? Per risolvere questi e altri problemi, è necessario sapere con precisione come tutelarsi in caso di convivenza.

Qui di seguito, proveremo a fornirti qualche breve consiglio pratico, di modo che tu possa comportarti nel migliore dei modi e non restare vittima di qualche sopruso.

  1. Il contratto di convivenza. Prima di spiegare come tutelarsi in caso di convivenza, voglio ricordarti che ne esistono di due tipi: le “convivenze di fatto”, quelle cioè basate su un rapporto stabile, duraturo, ma non formalizzato con alcun accordo e quelle regolate, invece, con il cosiddetto contratto di convivenza. Non che le prime non siano tutelate dalla legge: anzi, la giurisprudenza le ha ormai equiparate in molti aspetti alle coppie sposate estendendone così le regole principali. La differenza sostanziale tra i due tipi di rapporti è che il contratto di convivenza consente di “personalizzare” gli accordi tra i partner in modo che questi possano regolare i reciproci interessi di natura economica e non.

In particolare, con un contratto di convivenza, i partner possono disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune. Il contratto di convivenza, le successive modifiche e il suo scioglimento sono redatti in forma scritta, a pena di nullità, con atto pubblico o scrittura privata con sottoscrizione autenticata da un notaio o da un avvocato che ne attestano la conformità alle norme imperative e all’ordine pubblico.

Con il contratto di convivenza si può stabilire:

  • L’indicazione della residenza;
  •  Le modalità di contribuzione alle necessità della vita in comune, in relazione alle sostanze di ciascuno e alla capacità di lavoro professionale o casalingo;
  •  Il regime patrimoniale della comunione dei beni.

In assenza di regolamentazione, i beni acquistati da ciascun partner durante la convivenza restano di proprietà di questi e ne può rivendicare in qualsiasi momento la restituzione.

  1. Come tutelare la casa in ipotesi di convivenza. Sicuramente, il miglior modo per tutelarsi da una convivenza è proprio mettere tutto nero su bianco e stipulare un contratto di convivenza. In questo modo, ad esempio, è possibile attribuire a un convivente il comodato, l’usufrutto o la proprietà della casa.

È possibile regolare il diritto di abitazione della casa. In particolare:

  • Se la casa è di proprietà di uno o di entrambi i conviventi, l’altro si può far riconoscere un diritto di abitazione o un comodato, con scioglimento in caso di rottura del rapporto di convivenza e concessione di un termine per trovare un nuovo alloggio (ad esempio, un mese). È possibile, pertanto, prevedere un periodo di tempo durante il quale l’ex convivente può continuare ad abitare nella casa comune, fino a che non abbia trovato un nuovo alloggio;
  •  Se la casa è in affitto a nome di uno dei conviventi, si può prevedere la cessione del contratto di locazione in caso di rottura del rapporto di convivenza.

     Salvo che il contratto di convivenza non disponga diversamente, tutte le migliorie apportate alla casa di uno dei due conviventi, con denaro dell’altro, restano acquisite all’immobile. Per cui, se non possono più essere separate senza danno all’appartamento, chi ha eseguito la spesa può chiedere il rimborso della somma investita in caso di rottura della relazione. Si deve, tuttavia, trattare di spese consistenti e di natura straordinaria: il rifacimento delle tubature, le mattonelle dei bagni, il parquet, gli infissi, la porta blindata, l’allarme. Sono, quindi, compresi tutti gli investimenti per ristrutturazione.

  1. Mobili, immobili e arredi: divisione o restituzione? Invece, mobili e arredi restano di proprietà di chi li acquista, salvo diversa regolamentazione nel contratto di convivenza. I conviventi, nel contratto, possono concordare il regime dei beni acquistati durante la convivenza (siano essi immobili, mobili, mobili registrati o titoli).

     Possono scegliere di applicare il regime della comunione legale tra coniugi, applicando la relativa disciplina.

  1. Prestiti e spese. Se le parti non hanno stabilito diversamente con apposito accordo, tutte le somme erogate al partner di modico importo, necessarie al ménage quotidiano, non devono essere restituite (si pensi ai soldi per le cene, per il parrucchiere, per un vestito, ecc.). Il convivente che ha contribuito in misura maggiore, a causa delle difficoltà lavorative dell’altro, non può chiedere la restituzione delle maggiori somme destinate alla vita comune in quanto rientrano nel dovere di solidarietà e contribuzione che, al pari delle coppie sposate, riguarda anche quelle di fatto.

       Vanno, invece, restituiti prestiti di importo eccedente la normalità, come ad esempio il denaro necessario al partner per aprire un’attività commerciale. Anche secondo la giurisprudenza, se un convivente effettua un sacrificio economico sproporzionato, senza voler arricchire la controparte e senza ricevere altrettanto in cambio, può esercitare l’azione di arricchimento senza causa.

     Tuttavia, proprio per evitare che si possano configurare equivoci e contestazioni, sarà bene formalizzare per iscritto ogni prestito e, parimenti, anche le donazioni.

      In caso di contratto di convivenza, invece, tutto è più semplice: i conviventi nel contratto possono stabilire in quale modo e misura ciascuno di essi partecipa alle spese derivanti dalla convivenza o dall’attività lavorativa domestica ed extradomestica. Generalmente, le spese vengono ripartite equamente tra i conviventi, in relazione alle proprie sostanze economiche e alla capacità di lavoro professionale e casalingo di ciascuno.  

  1. Fine della convivenza: è dovuto il mantenimento? Di norma, se cessa la convivenza non è dovuto il pagamento dell’assegno di mantenimento, anche se lo scioglimento del legame avviene per colpa di uno dei due. Tuttavia, se la coppia ha avuto figli, valgono le stesse regole previste per le coppie sposate: così il partner che non convive con i bambini dovrà versare a quello, invece, che se ne prende cura (di norma, la madre) un assegno di mantenimento mensile. Il contratto di convivenza può fissare delle regole diverse solo per i partner e non invece per i figli stabilendo, ad esempio, in favore della donna il dovere di mantenimento.

       Uno di essi può obbligarsi a versare una somma di denaro (in un’unica soluzione o periodica) o a trasferire beni (immobili, mobili o titoli) o diritti prevedendo che l’altro convivente si obblighi, da parte sua, a determinate attività o a determinati servizi (ad es. conservazione e pulizia dell’abitazione, assistenza medica).

Il contratto può stabilire l’ammontare di tale mantenimento.

  1. Come tutelarsi in caso di debiti. Se uno dei conviventi ha debiti – con il fisco, le banche o privati – farà bene a non avere alcun rapporto di comunione con il convivente, lasciando separati i relativi patrimoni. Anche un eventuale contratto di convivenza dovrà tenere distinti i beni acquistati dai due partner. Per evitare che un eventuale pignoramento mobiliare si estenda anche ai beni del convivente non debitore, sarà bene che i due firmino un apposito contratto di comodato e lo registrino all’Agenzia delle Entrate per munirlo di data certa: in esso, si dovrà dare atto che i beni presenti in casa sono di proprietà del partner privo di debiti che ne dà in prestito l’uso all’altro.
  2. Morte di uno dei conviventi ed eredità. Il convivente non ha alcun diritto ereditario se il partner muore senza fare testamento. Per evitare una situazione di questo tipo, sarà bene che questi scriva già il proprio testamento tenendo tuttavia conto che se ha genitori dovrà menzionare anche questi, in quanto legittimari. Per tutelare il partner in caso di propria morte, il convivente può anche intestare la casa ad entrambi (in tal modo, il convivente diventa comproprietario) o costituire in favore del convivente un usufrutto.

      In ogni caso, nel contratto di convivenza è possibile inserire delle clausole destinate a operare in caso di morte di uno di loro (cosiddette clausole post mortem). Se muore il proprietario della casa, il convivente di fatto superstite ha diritto di continuare ad abitare nella stessa per due anni o per un periodo pari alla convivenza se superiore a due anni e comunque non oltre i 5 anni. Se, però, nella stessa casa coabitano figli minori o figli disabili del convivente superstite, quest’ultimo ha diritto di continuare ad abitare nella casa di comune residenza per un periodo non inferiore a tre anni.

La legge per tutti                              27 ottobre 2019

www.laleggepertutti.it/329755_come-tutelarsi-in-caso-di-convivenza

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CORTE COSTITUZIONALE

Inammissibile per difetto di motivazione la questione di un atto di nascita con due madri

La Corte costituzionale si è riunita oggi in Camera di consiglio per esaminare la questione sollevata dal Tribunale di Pisa sulla formazione di un atto di nascita in cui siano riconosciute due madri come genitrici di un bambino nato in Italia ma di nazionalità statunitense, acquisita dalla madre gestazionale.  Le due donne risultano sposate in Wisconsin secondo la legge di quello Stato, che consente il matrimonio fra persone dello stesso sesso e le riconosce come genitrici in caso di figli.

 In attesa del deposito della sentenza, l’Ufficio stampa della Corte fa sapere che al termine della discussione la questione è stata giudicata inammissibile per difetti della motivazione dell’ordinanza di rimessione. Il Tribunale ha riferito il proprio dubbio di costituzionalità a una norma interna che avrebbe impedito l’applicazione della legge straniera – rilevante nel caso concreto in ragione della nazionalità del minore – ma non ha individuato con chiarezza la disposizione contestata, né ha dato adeguato conto della sua affermata natura di “norma di applicazione necessaria”. La sentenza sarà depositata nelle prossime settimane.

Ufficio Stampa della Corte costituzionale      Comunicato del 21 ottobre 2019

 

. Figli in provetta solo con mamma e papà

                                      Corte Costituzionale, sentenza n. 221, 23 ottobre 2019

www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2019&numero=221

      La Corte costituzionale boccia il ricorso di due donne per togliere dalla legge 40, 19 febbraio 2004 il vincolo della differenza di sesso in una coppia che vuole concepire in vitro. Il divieto di accedere alla procreazione medicalmente assistita, imposto dalla legge 40 nei confronti delle coppie formate da persone dello stesso sesso, è del tutto legittimo.                                     www.parlamento.it/parlam/leggi/04040l.htm

Lo ha stabilito la Corte costituzionale con la sentenza 221, depositata ieri, che ha sancito la non fondatezza della questione postagli sia dal Tribunale di Pordenone sia da quello di Bolzano. In entrambi i casi (riuniti dalla Consulta in un unico procedimento), protagoniste della vicenda giudiziaria sono due coppie di donne, civilmente unite, che avevano agito contro il diniego alla provetta loro imposto dalle rispettive Aziende sanitarie. Nel procedimento territoriale, le due magistrature avevano concluso che nessuna interpretazione della legge avrebbe potuto aprire alle ricorrenti le porte alla fecondazione eterologa, ma – ritenendo che la norma fosse in contrasto con la Costituzione – avevano sospeso il procedimento e posto il quesito alla Consulta.

            Nella sua sentenza la Corte premette che la procreazione assistita «solleva delicate questioni di ordine etico e morale» e ricorda che la Corte europea dei diritti dell’uomo ha riconosciuto sul tema «un ampio margine di apprezzamento» da parte dei singoli Stati: ogni Paese è libero di regolare la materia come meglio crede, senza il rischio di incorrere in sanzioni. È a questo punto che i giudici costituzionali scendono alle radici della legge 40, ricordando che si tratta della «prima legislazione organica relativa a un delicato settore» e che uno dei suoi obiettivi è valorizzare la «finalità (latu sensu) terapeutica» della procreazione medicalmente assistita. Qui la Corte disinnesca un altro equivoco: quello sull’infertilità delle coppie gay. È «fisiologica», spiegano i giudici, non patologica, quindi non può essere considerata come una malattia che apre le porte alla fecondazione assistita.

            D’altronde, chiarisce la Consulta, la provetta non può costituire «una modalità di realizzazione del “desiderio di genitorialità” alternativa ed equivalente al concepimento naturale, lasciata alla libera determinazione degli interessati». Se così fosse, argomentano i giudici, cadrebbero a catena anche tutte le altre preclusioni della legge. È vero: in passato, modificando questa norma, la Corte ha rimosso il divieto di fecondazione eterologa, e pure quello che teneva lontana la provetta dalle coppie portatrici di malattie genetiche, rendendo così possibile la selezione preimpianto degli embrioni da utilizzare per la gravidanza. Ma entrambe le pronunce, sottolinea la nuova sentenza, non solo hanno valorizzato il carattere terapeutico della fecondazione artificiale ma hanno confermato «nella sua globalità l’altra scelta legislativa di fondo: quella, cioè, di riprodurre il modello della famiglia caratterizzata dalla presenza di una figura materna e di una paterna».

            Non a caso, anche la sentenza 162/2014 che ha sdoganato l’eterologa si è premurata di «puntualizzare e sottolineare – si legge sempre nella pronuncia di ieri – che alla fecondazione eterologa restano, comunque sia, abilitate ad accedere solo le coppie che posseggano i requisiti indicati dall’art. 5, comma 1, della legge», vale a dire quelle formate da persone di sesso diverso, maggiorenni, in età potenzialmente fertile.

www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2014&numero=162

 «Di certo – si legge sempre in sentenza – non può considerarsi irrazionale e ingiustificata, in termini generali, la preoccupazione legislativa di garantire, a fronte delle nuove tecniche procreative, il rispetto delle condizioni ritenute migliori per lo sviluppo della personalità del nuovo nato». Conseguentemente, non può essere ritenuta «di per sé arbitraria e irrazionale» l’idea che «una famiglia ad instar naturæ [per istinto naturale] – due genitori, di sesso diverso, entrambi viventi e in età potenzialmente fertile – rappresenti, in linea di principio, il ‘luogo’ più idoneo» per crescere un figlio. Un principio che negli ultimi anni sembra essere stato messo in discussione da sentenze che hanno consentito l’adozione a coppie dello stesso sesso. Ma sul punto ricorda la Corte che «vi è una differenza essenziale» tra questo istituto e la fecondazione assistita. L’adozione, infatti, «presuppone l’esistenza in vita dell’adottando» e serve «non per dare un figlio a una coppia, ma precipuamente per dare una famiglia al minore che ne è privo».

 Al contrario, la provetta «serve a dare un figlio non ancora venuto a esistenza a una coppia», dunque non è «irragionevole che il legislatore si preoccupi» di garantire al piccolo «quelle che appaiono, in astratto, come le migliori condizioni di partenza’». Niente violazione dei diritti fondamentali garantiti dall’articolo 2 della Costituzione, dunque, ma neppure di quelli all’uguaglianza, alla salute, al rispetto della vita privata e familiare e a quello di non discriminazione, contenuti i primi tre direttamente in Costituzione, gli altri due nella Convenzione europea dei diritti dell’uomo, cui la nostra Legge fondamentale rimanda. E lo stesso vale per altre norme internazionali di rango costituzionale, che il Tribunale di Bolzano aveva ritenuto violate. Una forte legittimazione del nostro diritto di famiglia, così com’è. E un chiaro stop a certe visioni ‘creative’, precariamente appoggiate a presunti nuovi diritti.

Marcello Palmieri       Avvenire         24 ottobre 2019

www.avvenire.it/famiglia-e-vita/pagine/la-corte-fecondazione-eterologa-solo-per-coppie-di-sesso-diverso

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DALLA NAVATA

XXX Domenica del Tempo ordinario- Anno C – 27 ottobre 2019

GènesiSiràcide 35  14, 15.        Il Signore è giudice e per lui non c’è preferenza di persone.

18Salmo          33, 19. Il Signore è vicino a chi ha il cuore spezzato, egli salva gli spiriti affranti.

2 Timòteo       01, 14. Il Signore però mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché io potessi portare a compimento l’annuncio del Vangelo e tutte le genti lo ascoltassero: e così fui liberato dalla bocca del leone.

Luca               18, 09. In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri.

 

Quando mettiamo «io» al posto di «Dio»

Una parabola “di battaglia”, in cui Gesù ha l’audacia di denunciare che pregare può essere pericoloso, può perfino separarci da Dio, renderci “atei”, adoratori di un idolo. Il fariseo prega, ma come rivolto a se stesso, dice letteralmente il testo; conosce le regole, inizia con le parole giuste «o Dio ti ringrazio», ma poi sbaglia tutto, non benedice Dio per le sue opere, ma si vanta delle proprie: io prego, io digiuno, io pago, io sono un giusto.

Per l’anima bella del fariseo, Dio in fondo non fa niente se non un lavoro da burocrate, da notaio: registra, prende nota e approva. Un muto specchio su cui far rimbalzare la propria arroganza spirituale. Io non sono come gli altri, tutti ladri, corrotti, adulteri, e neppure come questo pubblicano, io sono molto meglio. Offende il mondo nel mentre stesso che crede di pregare. Non si può pregare e disprezzare, benedire il Padre e maledire, dire male dei suoi figli, lodare Dio e accusare i fratelli.

 Quella preghiera ci farebbe tornare a casa con un peccato in più, anzi confermati e legittimati nel nostro cuore e occhio malati. Invece il pubblicano, grumo di umanità curva in fondo al tempio, fermatosi a distanza, si batteva il petto dicendo: «O Dio, abbi pietà di me peccatore». Una piccola parola cambia tutto e rende vera la preghiera del pubblicano: «tu», «Signore, tu abbi pietà». La parabola ci mostra la grammatica della preghiera. Le regole sono semplici e valgono per tutti. Sono le regole della vita. La prima: se metti al centro l’io, nessuna relazione funziona. Non nella coppia, non con i figli o con gli amici, tantomeno con Dio.

Il nostro vivere e il nostro pregare avanzano sulla stessa strada profonda: la ricerca mai arresa di qualcuno (un amore, un sogno o un Dio) così importante che il tu viene prima dell’io. La seconda regola: si prega non per ricevere ma per essere trasformati. Il fariseo non vuole cambiare, non ne ha bisogno, lui è tutto a posto, sono gli altri sbagliati, e forse un po’ anche Dio. Il pubblicano invece non è contento della sua vita, e spera e vorrebbe riuscire a cambiarla, magari domani, magari solo un pochino alla volta. E diventa supplica con tutto se stesso, mettendo in campo corpo cuore mani e voce: batte le mani sul cuore e ne fa uscire parole di supplica verso il Dio del cielo (Rosanna Virgili).

Il pubblicano tornò a casa perdonato, non perché più onesto o più umile del fariseo (Dio non si merita, neppure con l’umiltà) ma perché si apre – come una porta che si socchiude al sole, come una vela che si inarca al vento – a Dio che entra in lui, con la sua misericordia, questa straordinaria debolezza di Dio che è la sua unica onnipotenza.

Padre Ermes Ronchi, OSM

www.cercoiltuovolto.it/vangelo-della-domenica/commento-al-vangelo-del-27-ottobre-2019-p-ermes-ronchi

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GRAVIDANZA

Donna in gravidanza: deve vaccinarsi

    L’immunizzazione è gratis: i consigli delle ostetriche per chi è incinta. Con la stagione invernale ormai alle porte, aumenta il rischio di essere colpiti dall’influenza e soprattutto, nei soggetti più deboli, di incorrere nelle complicanze. Anche quest’anno la Federazione nazionale degli Ordini della professione di ostetrica (Fnpo) ricorda “la necessità di vaccinarsi contro i virus influenzali, in particolare per le donne in gravidanza “, spiegano le componenti del Comitato centrale Fnopo.

   Il periodo raccomandato da ministero della Salute per vaccinarsi è intorno alla 28esima settimana. “Questo consente alla donna in gravidanza di produrre anticorpi sufficienti e pertanto il passaggio attraverso la placenta”, evidenziano.

   La Fnopi ricorda peraltro “che la vaccinazione anti-influenzale è offerta gratuitamente alle donne che, all’inizio della stagione epidemica dell’influenza, si trovino nel secondo o terzo trimestre di gravidanza”. Le vaccinazioni, inoltre, devono essere ripetute a ogni gravidanza poiché per il neonato la fonte di infezione è la madre.

   Inoltre, come indicato sempre dal ministero della Salute, la vaccinazione dopo il terzo mese, di gravidanza deve essere fatta anche contro la difterite, il tetano e la pertosse (dTpa). “Altrettanto importante è la vaccinazione per le donne che programmano una gravidanza – sottolineano le rappresentanti nazionali della ostetrica.

   La prevenzione, come sempre, rappresenta la miglior arma a disposizione per la promozione, la protezione e la tutela della salute. Si ricorda, peraltro che i vaccini sono sicuri e che vanno indicati e prescritti da personale qualificato”.

   Le ostetriche sono pronte a spiegare alle donne l’importanza della vaccinazione, non solo stagionale, ma anche specifica per la gravidanza. “Per le donne che desiderano una gravidanza, ad esempio, e per coloro che sono agli inizi della gravidanza, le ostetriche – rimarca la Fnopo – svolgono un ruolo importante per la prevenzione di alcune patologie quali la spina bifida”. Per scongiurare l’insorgenza di questa patologia, le ostetriche consigliano “le donne promuovendo l’uso dell’acido folico, una vitamina del gruppo B miglior alleato contro l’insorgenza della spina bifida. In tutti i casi, le ostetriche sanno raccomandare e indirizzare le donne allo specialista al quale rivolgersi”, aggiunge la Fnopi.

   La Fnopo, anche quest’anno, si associa al messaggio delle altre professioni sanitarie, medici di famiglia, ginecologi e pediatri, affinché “si comprenda che non sono i vaccini a dover far paura, ma al contrario si devono temere le malattie, e le loro possibili complicanze, dalle quali ci si protegge attraverso le vaccinazioni.

   Vaccinarsi è un atto di rispetto e di amore per sé e per gli altri”, concludono i vertici Fnopo.

www.laleggepertutti.it/330011_donna-in-gravidanza-deve-vaccinarsi

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MEDICINA PREVENTIVA

Gonorrea

La gonorrea (o blenorragia) è un’infezione sessualmente trasmessa (IST) causata dal batterio Neisseria gonorrhoeae. A livello mondiale, è la seconda più diffusa IST di tipo batterico dopo la clamidia.

La gonorrea si trasmette attraverso qualsiasi tipo di rapporto sessuale (vaginale, anale e orale). Una donna che contrae la gonorrea in gravidanza può, durante il parto, trasmettere al nascituro l’infezione provocando in questo una congiuntivite neonatale. Fortunatamente, la congiuntivite neonatale è praticamente scomparsa nei Paesi industrializzati grazie alla profilassi antibiotica che viene eseguita routinariamente alla nascita.

Si stima che più del 50% delle donne e circa il 20% degli uomini infetti siano asintomatici. Le manifestazioni cliniche, quando rilevabili, compaiono dopo 1-7 giorni dall’infezione.

Nelle donne, la manifestazione clinica principale è un’uretrite, con bruciori e difficoltà a urinare, oppure una cervicite con secrezione giallo-verdastra, dolore durante o dopo i rapporti sessuali, prurito vaginale e/o difficoltà a urinare.

            Negli uomini, la gonorrea si manifesta con un’uretrite con secrezioni abbondanti, dense e di colore giallo-verdastro, bruciori e difficoltà a urinare.

Se trasmessa attraverso un rapporto anale, la gonorrea è frequentemente asintomatica; in alcuni casi si può sviluppare una proctite sintomatica (dolore anale con secrezioni dense purulente e sanguinamento, prurito anale, movimenti intestinali dolorosi); questa forma è maggiormente diffusa tra i maschi che fanno sesso con maschi (Men who have sex with men – MSM).

Se trasmessa attraverso un rapporto orale, la gonorrea può infettare la gola e provocare una faringite, in entrambi i sessi. Negli adulti, si può avere una congiuntivite dovuta a contaminazione accidentale attraverso le mani infette. Un rara complicanza della gonorrea che può interessare entrambi i sessi è l’infezione gonococcica disseminata, caratterizzata da dolore articolare, eruzioni cutanee, dolore muscolare, infiammazione dei tendini, endocardite e meningite.

Decorso. Se non trattata, la gonorrea può progredire causando serie complicanze. Nelle donne, la gonorrea può diffondersi dalla cervice al tratto riproduttivo superiore (utero e tube di Falloppio) causando la Malattia infiammatoria pelvica (MIP), che comprende diversi quadri clinici quali, endometrite, salpingite, annessite, febbre, dolore pelvico cronico, dolore durante o dopo i rapporti sessuali, ascessi interni, sterilità. In gravidanza può causare rottura prematura delle membrane, ritardo di crescita intrauterina, corionamnionite, parto pretermine e può essere trasmessa al nascituro al momento del parto, provocando una congiuntivite nel neonato (condizione ormai scomparsa nei paesi industrializzati). L’epididimite, invece, è una delle complicanze tipiche dell’uomo. Si manifesta con infiammazione acuta dell’epididimo che generalmente comporta dolore scrotale monolaterale e gonfiore; se non trattata, l’infiammazione dell’epididimo e dei testicoli può portare all’infertilità. Inoltre, le persone affette da gonorrea hanno una probabilità maggiore, rispetto a chi non ha la gonorrea, di trasmettere e/o acquisire l’HIV.

La gonorrea può essere diagnosticata tramite l’esame microscopico con colorazione di Gram, attraverso la coltura o mediante test di laboratorio molecolari basati sull’amplificazione degli acidi nucleici (Naat). Gli esami possono essere eseguiti su tampone uretrale nell’uomo e cervicale o vaginale nella donna, oppure su sangue o liquido sinoviale se il soggetto presenta i sintomi di un’infezione disseminata. I Naat sono attualmente i test di diagnosi più sensibili e possono essere effettuati anche su campioni di urina e su tamponi orali e rettali. L’esame colturale con l’antibiogramma permette di valutare la sensibilità e la resistenza del batterio agli antibiotici.

In caso di positività al test per la gonorrea, è necessario che tutti i partner sessuali vengano testati per questa infezione. In caso di positività per gonococco, è raccomandato alla donna o all’uomo e al/ai partner/partners il test sierologico per HIV e la ricerca di altre IST.

Trattamento. La gonorrea è un’infezione batterica e pertanto può essere efficacemente trattata con degli antibiotici specifici prescritti dal medico. Tuttavia, la massiccia diffusione di nuovi ceppi farmaco-resistenti sta rendendo le cure sempre meno efficaci. Per questo motivo, la scelta del farmaco dovrebbe basarsi sul risultato dell’antibiogramma. Le linee guida attuali suggeriscono la doppia terapia con ceftriaxone o cefixima più azitromicina. In caso di donne in gravidanza alcuni farmaci non possono essere utilizzati. I pazienti devono astenersi dall’attività sessuale fino al completamento del trattamento, per evitare di infettare i partner sessuali, che a loro volta devono essere testati per gonorrea e altre IST.

La prevenzione si basa sull’utilizzo del preservativo in tutti i rapporti sessuali occasionali, con ogni nuovo partner, con ogni partner di cui non si conosce lo stato di salute. Inoltre, è importante ridurre il numero di partner sessuali e rivolgersi subito a un medico di fiducia se si ha il dubbio di essersi infettati. Infine, se è stata diagnosticata la gonorrea, è necessario evitare i rapporti sessuali fino alla fine della terapia. In Italia, attualmente, lo screening di routine per la gonorrea non è raccomandato nelle donne in gravidanza, ma deve essere offerto alle donne a rischio di infezione (età <25 anni e sessualmente attive, pluripartner, con pregressi episodi di gonorrea o IST, provenienti da aree con alta prevalenza della malattia).

Revisione a cura di: Maria Cristina Salfa e Barbara Suligoi

 Dipartimento malattie infettive, Istituto Superiore di Sanità 24 ottobre 2019

www.epicentro.iss.it/gonorrea/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=24ottobre2019

 

Cosa mette a rischio la fertilità maschile?

            Gli ultimi dati Istat certificano il declino demografico del Paese, con appena 439.747 nuovi nati nel 2018, il minimo storico dall’unità d’Italia. E se la colpa fosse anche del clima impazzito? A rispondere a questa ipotesi sono gli esperti riuniti per il secondo Congresso nazionale natura ambiente alimentazione uomo (Nau) della Società italiana di andrologia (Sia), che si è appena concluso a Frascati, durante il quale sono stati presentati i dati più aggiornati sul calo della fertilità maschile. “Il numero medio degli spermatozoi degli uomini oggi è dimezzato rispetto a quarant’anni fa – avvertono gli andrologi – e un italiano su dieci è ormai infertile, oltre che dall’inquinamento ambientale potrebbe dipendere anche dal cambiamento climatico “.

È infatti noto che l’aumento della temperatura danneggia l’apparato riproduttivo maschile, molto più di quello femminile: in alcune specie animali un incremento di pochi gradi delle temperature esterne può arrivare a dimezzare la fertilità e gli esperti temono che questo stia avvenendo anche per l’uomo.

“Gli studi sugli animali, per esempio su farfalle e coleotteri, mostrano che l’aumento delle temperature sta probabilmente contribuendo all’estinzione di alcune specie perché l’apparato riproduttivo maschile e gli spermatozoi in particolare sono molto sensibili al caldo – spiega Alessandro Palmieri, presidente Sia e professore di Urologia Università Federico II di Napoli – in alcuni casi la produzione di spermatozoi è stata vista calare di tre quarti e la capacità di fecondazione è crollata: solo un terzo degli spermatozoi resta vitale, la maggioranza muore prima di arrivare a fecondare il gamete femminile. Per di più gli effetti negativi si tramandano anche sulla prole eventualmente generata che risulta meno fertile, con un 25% di riduzione delle capacità riproduttive”.

            “Anche l’esposizione dei maschi al calore durante l’età dello sviluppo compromette la capacità riproduttiva una volta diventati adulti, in varie specie animali: il risultato è, di nuovo, un calo netto – evidenzia la Sia – delle possibilità riproduttive. L’uomo ha certamente più sistemi di protezione per il suo apparato riproduttivo, ma i sospetti di un effetto decisamente negativo da parte del cambiamento climatico sulla fertilità sono ormai quasi una certezza anche per la nostra specie. L’aumento di un grado della temperatura ambientale accresce di 0,1 gradi centigradi la temperatura scrotale che può compromettere la fertilità”.

            ” Nell’uomo per esempio stiamo assistendo a una progressiva riduzione del volume dei testicoli, al punto che i parametri di ‘normalità’ sono già stati rivisti al ribasso – riprende Palmieri – l’involuzione della fertilità maschile pare ormai un dato di fatto ma incolpare solo il fumo, i contaminanti chimici, o le infezioni sessuali sembra ormai riduttivo: l’ambiente incide non poco e non solamente per i lavoratori a rischio”.

“È infatti ormai accertato che un’esposizione professionale alle alte temperature come quella dei cuochi o dei saldatori può compromettere la fertilità, qualcosa di analogo accade pure se soltanto i testicoli sono esposti a un calore più elevato, come succede nei camionisti o negli autisti che passano molto tempo seduti oppure in chi tiene il portatile a lungo sulle ginocchia – precisa Fabrizio Palumbo, responsabile scientifico Sia – abbiamo motivo di credere perciò che un incremento delle temperature esterne generalizzato, benché relativamente contenuto, possa incidere sulla fertilità di uomini predisposti: il riscaldamento globale può contribuire a una riduzione degli spermatozoi e anche a un peggioramento della loro qualità”.

            “Le ondate di calore vanno perciò aggiunte a contaminanti chimici, radiazioni e smog fra i fattori ambientali che possono alterare la fertilità in maniera permanente. Un controllo dall’andrologo può servire a capire come proteggere la salute sessuale maschile anche dalle minacce esterne modificando il proprio stile di vita, ad esempio evitando l’utilizzo di indumenti poco traspiranti e la sedentarietà che non permette una corretta dissipazione del calore”, conclude Palmieri.

            E poi c’è la componente cibo: l’inquinamento finisce nel piatto e danneggia la fertilità maschile. “Ogni anno ingeriamo almeno 250 grammi fra pesticidi e microplastiche cioè frammenti di plastica dispersi nell’ambiente. Non manca un condimento di ftalati, sostanze chimiche che ammorbidiscono la plastica, che si possono trovare in alcuni contenitori per alimenti e migrare nel piatto. Purtroppo si tratta di sostanze che oltre ad avere conseguenze negative sulla salute in generale possono nuocere anche alla fertilità maschile. Si trovano nelle plastiche in policarbonato utilizzate per recipienti a uso alimentare o nel rivestimento delle lattine e proprio a causa degli effetti dannosi sulla salute sono state imposte restrizioni e divieti all’uso, per esempio in prodotti destinati alla prima infanzia”, ricorda la Sia.

            La legge per tutti        27 ottobre 2019

www.laleggepertutti.it/330366_sesso-cosa-mette-a-rischio-la-fertilita-maschile

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SINODO PANAMAZZONICO

Ordinare sacerdoti i diaconi permanenti, anche sposati

L’ordinazione sacerdotale per i diaconi permanenti, anche sposati, e l’accesso per le donne al ministero del lettorato e dell’accolitato. Sono alcune delle proposte del documento finale del Sinodo per l’Amazzonia, interamente approvato con la maggioranza qualificata dei due terzi. Per la regione panamazzonica, i padri sinodali suggeriscono di istituire il ministero delle “donne dirigenti di comunità“. “Creare un osservatorio pastorale socio-ambientale”, introdurre i “peccati ecologici” e istituire “ministeri speciali per la cura della casa comune”, le proposte sul versante dell’ecologia integrale proposta dalla Laudato si’

            Concedere l’ordinazione sacerdotale ai diaconi permanenti, anche sposati, purché siano “riconosciuti dalla comunità” e “ricevano una formazione adeguata per il presbiterato”. E’ la proposta più innovativa contenuta nel documento finale del Sinodo per l’Amazzonia, che è stato interamente approvato dai padri sinodali con la maggioranza qualificata dei due terzi. Sul ruolo delle donne nella Chiesa, altro tema molto dibattuto fin dall’inizio dei lavori, la proposta che emerge dall’aula sinodale è doppia: istituire in Amazzonia il ministero di “donna dirigente di comunità” e consentire alle donne di accedere al ministero del lettorato e dell’accolitato, finora appannaggio solo dei futuri sacerdoti.

“Non siamo un gruppo di cristiani di élite”. Al termine del suo discorso a braccio, in spagnolo, pronunciato a conclusione del Sinodo, il Papa ha esortato a leggere il documento finale a 360°, senza restare “prigionieri di un gruppo selettivo” che va a vedere solo cosa si è deciso nei singoli punti e non tiene conto del progetto globale. Come aveva fatto nel suo discorso di apertura, Francesco ha ribadito che per comprendere la portata del Sinodo per l’Amazzonia che si è appena concluso bisogna considerare quattro “diagnosi”: culturale, ecologica, sociale e pastorale. “L’esortazione post-sinodale non è obbligatoria”, ha fatto notare il Papa, rendendo noto che comunque ne preparerà una entro la fine dell’anno. Introdurre un anno di missione obbligatorio per i giovani e i futuri diplomatici – da inserire nel curriculum e da esercitare non in nunziatura, ma “al servizio di un vescovo in terra di missione” – e istituire una “sezione amazzonica” presso il Dicastero per il Servizio dello sviluppo umano integrale, le altre proposte del Santo Padre.

“Ordinare sacerdoti uomini idonei e riconosciuti della comunità, che abbiano un diaconato permanente fecondo e ricevano una formazione adeguata per il presbiterato, potendo avere una famiglia legittimamente costituita e stabile, per sostenere la vita della comunità cristiana attraverso la predicazione della parola e la celebrazione dei sacramenti nelle zone più remote della regione amazzonica”.

            È una delle proposte contenute nel documento finale del Sinodo per l’Amazzonia, che ha ricevuto dai padri sinodali 128 “placet” e 41 “non placet”. “Molte delle comunità ecclesiali del territorio amazzonico hanno enormi difficoltà di accesso all’Eucaristia”, si legge al n. 111: “A volte ci vogliono non solo mesi, ma anche diversi anni prima che un sacerdote possa tornare in una comunità per celebrare l’Eucaristia, offrire il sacramento della Riconciliazione o ungere i malati nella comunità”.Apprezziamo il celibato come dono di Dio”, si precisa poi nel testo, ma “sappiamo che questa disciplina non è richiesta dalla natura stessa del sacerdozio, anche se possiede molteplici ragioni di convenienza” con esso, la citazione della Presbyterorum Ordinis.

Chiediamo la revisione del Motu Proprio Ministeria quedam di San Paolo VI, affinché anche donne adeguatamente formate e preparate possano ricevere i ministeri del lettorato e dell’accolitato, tra gli altri che possono essere svolti”, stabilisce il n. 102. “Nei nuovi contesti di evangelizzazione e di pastorale in Amazzonia, dove la maggior parte della comunità cattoliche sono guidate da donne – si legge ancora nel numero citato – chiediamo che venga creato il ministero istituito di ‘donna dirigente di comunità’, dando ad esso un riconoscimento, nel servizio delle mutevoli esigenze di evangelizzazione e di attenzione alle comunità”.

 “Già nel 2016 – si ricorda inoltre nel testo – Papa Francesco aveva creato una Commissione di studio sul diaconato delle donne che, come Commissione, è arrivato a un risultato parziale su come era la realtà del diaconato delle donne nei primi secoli della Chiesa e sulle sue implicazioni attuali. Vorremmo pertanto condividere le nostre esperienze e riflessioni con la Commissione e attenderne i risultati”.

             “Definire il peccato ecologico come un’azione o un’omissione contro Dio, contro il prossimo, la comunità e l’ambiente”, la proposta sul versante della conversione integrale raccomandata dalla Laudato si’, insieme a quella di “creare un osservatorio pastorale socio-ambientale, rafforzando la lotta per la difesa della vita”. Nel numero 82, si propone inoltre di “creare ministeri speciali per la cura della ‘casa comune’ e la promozione dell’ecologia integrale a livello parrocchiale e in ogni giurisdizione ecclesiastica, che abbiano tra le loro funzioni la cura del territorio e delle acque, nonché la promozione dell’enciclica Laudato si’”.

“Come modo per riparare il debito ecologico che i paesi hanno con l’Amazzonia”, i padri sinodali propongono infine “la creazione di un fondo mondiale per coprire parte dei bilanci della comunità presenti in Amazzonia che promuovono il loro sviluppo integrale e autosostenibile e, quindi, anche per proteggerle dal desiderio predatorio di aziende nazionali e multinazionali di estrarre le loro risorse naturali”. Non mancano, nel testo, consigli dettagliati e concreti in materia di ecologia e sostenibilità ambientale, come adottare “ridurre la nostra dipendenza dai combustibili fossili e l’uso della plastica modificando le nostre abitudini alimentari con stili di vita più sobri”.

M. Michela Nicolais    AgenziaSIR               26 ottobre 2019

https://agensir.it/chiesa/2019/10/26/sinodo-per-lamazzonia-ordinare-sacerdoti-i-diaconi-permanenti-anche-sposati

«Amazzonia: nuovi cammini per la Chiesa e per una ecologia integrale»

Si allega l’introduzione e il link con una traduzione di lavoro non ufficiale dallo spagnolo, il testo del Documento finale dell’assemblea speciale del Sinodo dei vescovi per l’Amazzonia, svoltasi dal 6 al 27 ottobre in Vaticano sul tema «Amazzonia: nuovi cammini per la Chiesa e per una ecologia integrale»

http://ilsismografo.blogspot.com/2019/10/vaticano-sinodo-amazonico-documento.html

Introduzione

1. «E Colui che sedeva sul trono disse: “Ecco, io faccio nuove tutte le cose”. E soggiunse: “Scrivi, perché queste parole sono certe e vere”» (Ap 21, 5).

Dopo un lungo cammino sinodale di ascolto del Popolo di Dio nella Chiesa amazzonica, inaugurato da Papa Francesco durante la sua visita in Amazzonia il 19 gennaio 2018, il Sinodo si è tenuto a Roma con un incontro fraterno di 21 giorni nell’ottobre 2019. Il clima è stato quello di uno scambio aperto, libero e rispettoso dei vescovi pastori dell’Amazzonia, missionari e missionarie, laici, laiche e rappresentanti delle popolazioni indigene dell’Amazzonia. Siamo stati testimoni partecipi di un evento ecclesiale segnato dall’urgenza del tema che richiede l’apertura di nuovi percorsi per la Chiesa nel territorio. Si è condiviso un lavoro serio in un’atmosfera segnata dalla convinzione di ascoltare la voce dello Spirito presente.

Il Sinodo si è svolto in un clima fraterno e di preghiera. Più volte gli interventi sono stati accompagnati da applausi, canti e tutti con profondi silenzi contemplativi. Fuori dall’aula sinodale, si è registrata una notevole presenza di persone venute dal mondo amazzonico che hanno organizzato atti di sostegno in diverse attività, processioni, come l’apertura con canti e danze che ha accompagnato il Santo Padre dalla tomba di Pietro all’aula sinodale. Ha avuto un forte impatto la Via Crucis dei martiri dell’Amazzonia e si è registrata una massiccia presenza dei media internazionali.

2. Tutti i partecipanti hanno espresso una profonda consapevolezza della drammatica situazione di distruzione che colpisce l’Amazzonia. Ciò significa la scomparsa del territorio e dei suoi abitanti, in particolare delle popolazioni indigene. La foresta amazzonica è un «cuore biologico» per la terra sempre più minacciata. È in una corsa sfrenata verso la morte. Esige cambiamenti radicali con estrema urgenza, una nuova direzione che consenta di salvarla. È scientificamente provato che la scomparsa del bioma amazzonico avrà un impatto catastrofico sul pianeta nel suo complesso!

3. Il cammino sinodale del Popolo di Dio nella fase preparatoria ha coinvolto tutta la Chiesa del territorio, i Vescovi, i missionari e le missionarie, i membri delle Chiese di altre confessioni cristiane, i laici e le laiche, e molti rappresentanti dei popoli indigeni, attorno al documento preparatorio che ha ispirato l’Instrumentum laboris. È emersa l’importanza di ascoltare la voce dell’Amazzonia, mossa dal grande soffio dello Spirito Santo nel grido della terra ferita e dei suoi abitanti. È stata registrata la partecipazione attiva di oltre 87.000 persone, provenienti da città e culture diverse, nonché di numerosi gruppi di altri settori ecclesiali e il contributo di accademici e organizzazioni della società civile sui temi specifici principali.
4. La celebrazione del Sinodo è riuscita a mettere in evidenza l’integrazione della voce dell’Amazzonia con la voce e il sentimento dei pastori partecipanti. È stata una nuova esperienza di ascolto per discernere la voce dello Spirito che conduce la Chiesa verso nuovi cammini di presenza, evangelizzazione e dialogo interculturale in Amazzonia. La richiesta, emersa nel processo preparatorio, che la Chiesa sia alleata del mondo amazzonico, è stata affermata con forza. La celebrazione si conclude con grande gioia e la speranza di abbracciare e praticare il nuovo paradigma dell’ecologia integrale, la cura della «casa comune» e la difesa dell’Amazzonia.

 

Con l’approvazione del documento finale è terminato il Sinodo dell’Amazzonia, che era iniziato il 5 ottobre. I 120 paragrafi sono stati approvati tutti con la maggioranza qualificata dei due terzi: cioè con più di 123 sì su 184 votanti. Nei commenti riassumo i sei che hanno avuto più di 20 voti contrari, che riguardano – in ordine di contrasto decrescente – l’ordinazione sacerdotale di diaconi permanenti sposati (111), la sollecitazione del diaconato femminile (103), La donna dirigente di comunità (102), la proposta di un rito amazzonico (116, 117, 119) e di un organismo di sinodalità tra le Chiese della regione (115)

§111. Diaconi e preti sposati. «Molte delle comunità ecclesiali del territorio amazzonico hanno enormi difficoltà di accesso all’Eucaristia. A volte ci vogliono non solo mesi, ma anche diversi anni prima che un sacerdote possa tornare in una comunità per celebrare l’Eucaristia, offrire il sacramento della Riconciliazione o ungere i malati nella comunità. Apprezziamo il celibato come dono di Dio nella misura in cui questo dono permette al discepolo missionario, ordinato al presbiterato, di dedicarsi pienamente al servizio del Popolo santo di Dio. Esso stimola la carità pastorale e preghiamo che ci siano molte vocazioni che vivono il sacerdozio celibe. Sappiamo che questa disciplina “non è richiesta dalla natura stessa del sacerdozio, anche se possiede molteplici ragioni di convenienza” con esso (PO 16) […]. Considerando che la legittima diversità non nuoce alla comunione e all’unità della Chiesa, ma la manifesta e la serve (LG 13; OE 6), come testimonia la pluralità dei riti e delle discipline esistenti, proponiamo di stabilire criteri e disposizioni da parte dell’autorità competente […] per ordinare sacerdoti uomini idonei e riconosciuti della comunità, che abbiano un diaconato permanente fecondo e ricevano una formazione adeguata per il presbiterato, potendo avere una famiglia legittimamente costituita e stabile, per sostenere la vita della comunità cristiana attraverso la predicazione della Parola e la celebrazione dei sacramenti nelle zone più remote della regione amazzonica. A questo proposito alcuni si sono espressi a favore di un approccio universale all’argomento».

Questo paragrafo 111 ha avuto il numero più alto di voti contrari: 41 contro 128.

§103.  Per il diaconato delle donne. «Nelle numerose consultazioni che si sono svolte in Amazzonia, è stato riconosciuto e sottolineato il ruolo fondamentale delle religiose e delle laiche nella Chiesa amazzonica e nelle sue comunità, visti i molteplici servizi che offrono. In molte di queste consultazioni è stato sollecitato il diaconato permanente per le donne. Per questo motivo il tema è stato anche molto presente durante il Sinodo. Già nel 2016, Papa Francesco aveva creato una “Commissione di studio sul diaconato delle donne” che, come Commissione, è arrivata ad un risultato parziale su come era la realtà del diaconato delle donne nei primi secoli della Chiesa e sulle sue implicazioni attuali. Vorremmo pertanto condividere le nostre esperienze e riflessioni con la Commissione e attenderne i risultati».

Questo paragrafo 103 ha avuto 30 voti contrari e 137 a favore.

§102.   Donna dirigente di comunità. L’articolo chiede “la revisione del Motu Proprio Ministeria quædam di San Paolo VI, affinché anche donne adeguatamente formate e preparate possano ricevere i ministeri del lettorato e dell’accolitato, tra gli altri che possono essere svolti. Nei nuovi contesti di evangelizzazione e di pastorale in Amazzonia, dove la maggior parte delle comunità cattoliche sono guidate da donne, chiediamo che venga creato il ministero istituito di “donna dirigente di comunità”, dando ad esso un riconoscimento, nel servizio delle mutevoli esigenze di evangelizzazione e di attenzione alle comunità”.

Questo paragrafo ha avuto 160 “placet” e solo 11 “non placet”.

Rito amazzonico. Gli articoli dal 116 al 119 trattano della promozione di un «rito per le popolazioni indigene»:

§116. «Dobbiamo dare una risposta autenticamente cattolica alla richiesta delle comunità amazzoniche di adattare la liturgia valorizzando la visione del mondo, le tradizioni, i simboli e i riti originali che includono la dimensione trascendente, comunitaria ed ecologica».

§117.  «Nella Chiesa cattolica ci sono 23 diversi Riti, segno evidente di una tradizione che fin dai primi secoli ha cercato di inculturare i contenuti della fede e la sua celebrazione attraverso un linguaggio il più possibile coerente con il mistero da esprimere».

      §118. «E’ necessario che la Chiesa, nella sua instancabile opera evangelizzatrice, operi perché il processo di inculturazione della fede si esprima nelle forme più coerenti, perché sia celebrato e vissuto anche secondo le lingue proprie dei popoli amazzonici. È urgente formare comitati per la traduzione e la stesura di testi biblici e liturgici nelle lingue dei diversi luoghi, con le risorse necessarie, preservando la materia dei sacramenti e adattandoli alla forma, senza perdere di vista l’essenziale. In questo senso è necessario incoraggiare la musica e il canto, il tutto accettato e incoraggiato dalla liturgia»).

§119 «Il nuovo organismo della Chiesa in Amazzonia deve costituire una commissione competente per studiare e dialogare, secondo gli usi e i costumi dei popoli ancestrali, l’elaborazione di un rito amazzonico che esprima il patrimonio liturgico, teologico, disciplinare e spirituale dell’Amazzonia, con particolare riferimento a quanto afferma la Lumen gentium per le Chiese orientali. Questo si aggiungerebbe ai riti già presenti nella Chiesa, arricchendo l’opera di evangelizzazione, la capacità di esprimere la fede in una cultura propria, il senso di decentralizzazione e di collegialità che la cattolicità della Chiesa può esprimere; si potrebbe anche studiare e proporre come arricchire i riti ecclesiali con il modo in cui questi popoli si prendono cura del loro territorio e si relazionano con le sue acque».

Il paragrafo §116 ha avuto 147 placet e 22 non placet

Il paragrafo §117 ha avuto 140 placet e 27 non placet

Il paragrafo §118 ha avuto 156 placet e 12 non placet

Il paragrafo §119 ha avuto 140 placet e 29 non placet

§115. Sinodalità amazzonica. Il paragrafo 115 propone di «creare un organismo episcopale che promuova la sinodalità tra le Chiese della regione, che aiuti a delineare il volto amazzonico di questa Chiesa e che continui il compito di trovare nuovi cammini per la missione evangelizzatrice, incorporando soprattutto la proposta dell’ecologia integrale, rafforzando così la fisionomia della Chiesa amazzonica.

 Si tratterebbe di un organismo episcopale permanente e rappresentativo che promuove la sinodalità nella regione amazzonica, articolato con il Celam, con una propria struttura, in un’organizzazione semplice e articolato anche con il Repam. In questo modo può essere il canale efficace per assumere, a partire dal territorio della Chiesa latinoamericana e caraibica, molte delle proposte emerse in questo Sinodo.

 Sarebbe il nesso in grado di articolare reti e iniziative ecclesiali e socio-ambientali a livello continentale e internazionale».

Questo paragrafo ha avuto 22 “non placet” e 145 “placet”.

Luigi Accattoli            27 ottobre 2019

www.luigiaccattoli.it/blog/sei-decisioni-calde-del-sinodo-dellamazzonia

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