UCIPEM Unione Consultori Italiani Prematrimoniali e Matrimoniali
NewsUCIPEM n. 774 – 6 ottobre 2019
Unione Consultori Italiani Prematrimoniali E Matrimoniali
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02 ADOLESCENTI Adolescenti, alcol e gioco d’azzardo.
03 A 15 anni, sballo alcolico 43%, 21% rapporti completi
04 AFFIDAMENTO FAMILIARE Dal Tavolo Nazionale Affido un corso con Formazione a Distanza
04 BIGAMIA E UNIONI CIVILI Bigamia: perché è reato?
05 CENTRO INTERN. STUDI FAMIGLIA Newsletter CISF – n. 36, 2 ottobre 2019
09 CENTRO ITAL. SESSUOLOGIA Scuola CIS: Sessuologia Clinica – Corso di Formazione
10 Idee e riflessioni su cultura, norme, diritti, valori e prevenzione
11 Come vivere una sessualità soddisfacente nell’età matura
11 CHIESA CATTOLICA Quale rapporto tra annuncio del Vangelo e sinodalità?
11 L’emergere della sinodalità e l’inadeguatezza del diritto canonico
13 Le nuove nomine dei cardinali
14 CHIESE EVANGELICHE Affido: la storia ultimi 50anni dice la verità su vita delle famiglie
15 CONGRESSI–CONVEGNI–CORSI Il valore della genitorialità sociale
16 Legami adottivi alla prova: accompagnare le famiglie per prevenire
16 CONSULTORI UCIPEM Cremona. «Coppie in gioco» e «Siamo padri» due nuovi percorsi.
16 Portogruaro. Serate a sostegno della genitorialità
17 DALLA NAVATA XXVII Domenica del Tempo ordinario- Anno C – 6 ottobre 2019
18 Servi “inutili” cioè senza secondi fini, che si donano
19 DONNE NELLA CHIESA Donne per la Chiesa
19 FIGLIO PREFERITO Un genitore può avere un figlio preferito?
21 FRANCESCO VESCOVO DI ROMA Peccati.Al vertice orgoglio e arroganza. Meno gravi gola e lussuria
22 No a “pastorale di mantenimento” e del “si è sempre fatto così”.
22 GENITORIALITÀ I bambini dimenticati e la distrazione indotta dai media
24 INDAGINI RICERCHE Famiglie in Provincia di Cuneo: bisogni, servizi, nuovi interventi
25 MATERNITÀ Indennità di maternità: ultime sentenze
27 MIGRANTI Tutti i numeri del XXVIII Rapporto Immigrazione Caritas-Migrantes
31 PASTORALE La trappola più grande della relazione di coppia
32 SINODO 184 padri sinodali “in cammino” su evangelizzazione e ambiente
33 A Roma. Un Sinodo di tutta la Chiesa. Insieme per l’Amazzonia
34 “Il magistero dell’Amazzonia può vincere lo scettiscismo”
35 STORIA L’immortale bufala dello Ius Primæ Noctis
36 TEOLOGIA Limiti di un’inculturazione necessaria
38 “Chi è quel Dio nel quale diciamo di credere o di non credere?”
31 UCIPEM XXVI Congresso nazionale – Termoli
ADOLESCENTI
Adolescenti, alcol e gioco d’azzardo.
È stato presentato, nei giorni scorsi a Roma, uno studio dell’istituto superiore di sanità che fotografa le abitudini dei ragazzi dagli 11 ai 15 anni in Italia. Tra i problemi più rilevanti emersi, i fenomeni estremi legati al consumo di alcolici e le esperienze di gioco d’azzardo. Eppure, dice il responsabile dell’Area dipendenze del Policlinico Gemelli, nei giovanissimi “non c’è assenza dei valori”. Di fronte al disagio, i genitori devono mostrare “pazienza, comprensione e tenerezza”
Aumentano i fenomeni estremi legati al consumo di alcolici tra i giovani. Nel 2018, il 43% dei 15enni (38% nel 2014) e il 37% delle 15enni (30% nel 2014) ha fatto ricorso al binge drinking [abbuffata alcoolica] (assunzione di 5 o più bicchieri di bevande alcoliche, in un’unica occasione) negli ultimi 12 mesi. [Secondo l’Osservatorio Nazionale Alcol dell’Istituto Superiore di Sanità esso corrisponde all’assunzione in un’unica occasione di consumo in breve tempo di oltre 6 Unità Alcoliche (UA = 12 grammi di alcol puro) di una qualsiasi bevanda alcolica].
Il 16% dei 15enni italiani (e il 12% delle 15enni) ha fatto uso di cannabis nel corso degli ultimi 30 giorni. Non solo: più di 4 studenti su 10 hanno avuto qualche esperienza di gioco d’azzardo nella vita, con i ragazzi 15enni che risultano esserne coinvolti maggiormente (62%) rispetto alle coetanee (23%). È la fotografia scattata dalla rilevazione 2018 del Sistema di sorveglianza Hbsc Italia (Health Behaviour in School-aged Children – Comportamenti collegati alla salute dei ragazzi in età scolare), promosso dal Ministero della Salute/Ccm, coordinato dall’Istituto superiore di sanità. Lo studio è stato presentato nei giorni scorsi a Roma. Di questi dati parliamo con Federico Tonioni, psichiatra responsabile dell’Area dipendenze della Fondazione Policlinico Gemelli.
Lo studio mostra le abitudini degli adolescenti rispetto ad alcol, droga, gioco d’azzardo: dobbiamo preoccuparci?
C’è una base comune a tutti questi fenomeni: una distanza generazionale oggi vissuta soprattutto dai genitori come un’assenza. I rapporti sono cambiati in virtù del digitale, che non è una dipendenza ma un fenomeno evolutivo fortissimo e rapidissimo come Internet e che ha colto impreparata quella generazione di genitori che conosceva un prima del computer. Dobbiamo entrare nell’ottica che il profilo cognitivo degli adolescenti è profondamente cambiato e in esso c’è una fortissima prevalenza del linguaggio per immagini. Questo non è un problema psicopatologico, ma è come se i genitori non si riconoscessero più nei figli.
Il concetto di distanza e vicinanza adesso è completamente stravolto. Si rischiano, da una parte, vicinanze basate sul controllo, che sono pericolosissime e non servono assolutamente a conoscere meglio i figli; dall’altra, distanze che diventano assenze.
Dove nascono i conflitti?
Di fronte all’adolescenza restiamo sempre sorpresi: genitori e i figli. Quando arriva nasce un bisogno di distanza di sicurezza dei ragazzi dagli adulti. La matrice dei problemi, però, è la confusione dei genitori, che prima hanno adultizzato i figli quando erano piccoli, ma quando sono adolescenti non riescono a capire cosa fanno con il telefonino. Così spostano i problemi su idee sbagliate: il gioco della balena blu [www.ilgiornale.it/news/cronache/blue-whale-ecco-tutte-50-regole-gioco-dellorrore-1397469.html] che induce al suicidio o certi livelli di cyberbullismo che sono esagerati.
Ci dobbiamo preoccupare per la dipendenza dei ragazzi dal cellulare?
L’iperconnessione, ovvero la tendenza dei ragazzi di stare attaccati al telefonino, dal mio punto di vista è quasi un diritto per un adolescente, se non giocano d’azzardo on line. Certo, questo li porta a distrarsi, ma ci distraevamo anche noi a guardare le nuvole fuori dalla finestra. I ragazzi di questa generazione sono meravigliosi: ho trovato commovente tutti quei ragazzi che hanno partecipato allo sciopero globale per il clima. Il mondo è di plastica: noi adulti non ce ne accorgiamo, ma loro sì.
E il problema dell’alcol?
Purtroppo, bevono tutti e non c’è nessun controllo da parte dei bar. D’altra parte, i ragazzi girano anche con documenti falsi ma non c’è nessun buttafuori delle discoteche che verifichi la loro veridicità. Lo stesso discorso vale per la vendita di sigarette a minorenni.
Tra i giovanissimi si sta diffondendo anche l’abitudine al gioco d’azzardo.
Tra tutte le forme di abuso tra gli adolescenti, quella più grave è proprio il gioco d’azzardo on line: conosco anche dei ragazzi che perdono 1.000-1.500 euro e che arrivano a rubare soldi ai familiari per coprire i debiti contratti. Dietro a questo c’è un bisogno di eccitazione provocato dall’azzardo che è fortissimo. È come un’anfetamina a rilascio lento che ti porta il pensiero sempre alla scommessa, come una zona di comfort che ti dissocia dalla realtà o da problemi più grandi che ti affliggono. Infatti, sotto ogni dipendenza patologica c’è sempre un’angoscia più profonda.
Il fenomeno delle slot machine è presente nelle borgate, mentre i ragazzi dell’alta e media borghesia scommettono on line su qualsiasi cosa. Ci sono piattaforme di gioco completamente fuori controllo. È una dipendenza soprattutto maschile, con conseguenze molto gravi. L’intenzione di questi ragazzi non è di stare male o rovinarsi, ma dietro ci sono storie affettive allucinanti, di gelo, di freddezza.
Oggi più che mai i genitori hanno bisogno di essere aiutati: sono in difficoltà e disorientati, alternando atteggiamenti, quasi persecutori, di rigidità e controllo a situazioni in cui non ci sono emotivamente. Questa fatica dei genitori a capire e ad accettare la propria impreparazione è l’unica forma di presenza genitoriale che i figli riconoscono.
Qual è l’atteggiamento giusto da tenere con gli adolescenti?
La distanza più sana dai figli è la fiducia, perché imporre delle regole può far nascere rabbia, che è un problema serio alla base di tutta la psicopatologia dei ragazzi. Certo, mantenere un atteggiamento di fiducia è faticoso. Le regole devono essere date per innescare trattative su tutto. I bambini non possono essere “passivizzati”. Quando si raggiunge un compromesso con un figlio, che poi è il punto del massimo sforzo reciproco, anche i genitori crescono.
Di fronte a un ragazzo che gioca d’azzardo, occorre armarsi di pazienza e manifestare comprensione e tenerezza verso di lui, che già soffre. Poi bisogna rivolgersi alle persone giuste: non si può rispondere chimicamente a un bisogno affettivo.
Noi al Gemelli assistiamo i ragazzi con tutte le forme di psicoterapia possibile e facciamo dei gruppi in cui non si parla mai del sintomo della dipendenza, ma delle emozioni, dell’affettività. Negli adolescenti non c’è assenza di valori, anzi. Dobbiamo, perciò, metterci in discussione noi adulti e provare a vedere il mondo con occhi diversi e a fare pensieri diversi, altrimenti cadiamo nei soliti pregiudizi verso i ragazzi. Insomma, dobbiamo provare a fidarci di loro.
Gigliola Alfaro Agenzia SIR 3 ottobre 2019
https://agensir.it/italia/2019/10/03/adolescenti-alcol-e-gioco-dazzardo-tonioni-psichiatra-sotto-ogni-dipendenza-patologica-ce-unangoscia-piu-profonda-dare-piu-fiducia
Salute: ‘sballo alcolico’ per 43% a 15 anni, per 21% rapporti completi
Aumentano i fenomeni estremi legati al consumo di alcolici tra i giovanissimi. E’ quanto risulta dalla rilevazione 2018 del Sistema di sorveglianza Hbsc Italia (Health Behaviour in School-aged Children), coordinato dall’Istituto superiore di sanità insieme alle Università di Torino, Padova e Siena.
Nel 2018 il 43% dei 15enni (contro il 38% nel 2014) e il 37% delle 15enni (30% nel 2014) ha provato lo ‘sballo alcolico’ o binge drinking – 5 o più bicchieri di bevande alcoliche in un’unica occasione – negli ultimi 12 mesi. Mentre il 21,8% dei 15enni (26,2% maschi contro 17,6% femmine) afferma di aver avuto rapporti sessuali completi.
Se il tipo di contraccettivo più utilizzato è il preservativo (70,9% dei maschi e il 66,3% delle femmine), è seguito dal coito interrotto (37% maschi vs 54,5% femmine) e dalla pillola (11,1% maschi vs 11,5% femmine), mentre poco meno del 6,5% riferisce l’uso di metodi naturali.
Più di quattro studenti su dieci, infine, hanno avuto qualche esperienza di gioco d’azzardo nella vita, con i ragazzi più coinvolti (62%) rispetto alle coetanee (23%).
La quota di studenti a rischio di sviluppare una condotta problematica o che possono già essere definiti problematici (presentano almeno due sintomi del disturbo da gioco d’azzardo come per esempio aver rubato soldi per scommettere) è pari al 16%, con un +10% rispetto al 2014, concludono gli esperti
AdnKronos Salute 1 ottobre 2019
www.lasaluteinpillole.it/salute.asp?id=53218
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ADOZIONE
“L’adozione tra i banchi di scuola”. Al via la sesta edizione del concorso nazionale
Con l’inizio del nuovo anno scolastico è al via anche la sesta edizione del concorso nazionale “L’adozione tra i banchi di scuola”. Un concorso aperto a tutti gli istituti scolastici statali e paritari e rivolto a tutte le classi di scuola dell’infanzia, primaria e secondaria di primo e secondo grado.
È una proposta che invita i docenti a mettersi in gioco per primi. Gli insegnanti infatti potranno conoscere o approfondire tutte le tematiche inerenti al mondo adottivo.
In seguito potranno trasmettere questi temi ai propri studenti, per realizzare insieme a loro un elaborato, frutto del lavoro di un’intera classe, che sarà oggetto dell’esame di concorso. I lavori che potranno accedere sono di diverso tipo: disegni, creazioni artistiche, racconti e progetti ma anche prodotti multimediali.
Il progetto è nato come un’occasione per dialogare con il mondo della scuola e avvicinare nel contempo un numero sempre maggiore di persone a una corretta informazione sul significato dell’essere famiglia adottiva.
Il termine ultimo di consegna degli elaborati è fissato al 31 marzo 2020.
Per iscriversi bisogna aderire attraverso il sito www.italiaadozioni.it.
www.italiaadozioni.it/ladozione-fra-i-banchi-di-scuola-sesta-edizione
Per info: concorso.italiaadozioni@gmail.com
AiBinews 1 ottobre 2019
www.aibi.it/ita/ladozione-tra-i-banchi-di-scuola-al-via-la-sesta-edizione-del-concorso-nazionale
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AFFIDAMENTO FAMILIARE
Dal Tavolo Nazionale Affido un corso con Formazione a Distanza
Un corso con sull’affidamento familiare dedicato agli assistenti sociali, agli operatori, alle famiglie affidatarie, ai volontari e agli studenti. A organizzarlo, in vista del decimo anno dalla sua costituzione, è il Tavolo Nazionale Affido, con il Patrocinio Morale del CNOAS – Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Assistenti Sociali.
Il corso sarà erogato con la formula FaD (Formazione a Distanza) e sarà ad accesso gratuito. Il programma prevede un totale di dodici lezioni, sul tema “Affidamento familiare. Perché e come. Principi, metodi, buone prassi e prospettive e prenotazioni nei documenti del Tavolo Nazionale Affido”.
www.tavolonazionaleaffido.it/fad
La fruizione del corso, e l’ottenimento dei sei crediti formativi per gli assistenti sociali, è attiva dal 15 settembre 2019. A tutti sarà rilasciato un attestato di partecipazione.
AiBinews 1 ottobre 2019
www.aibi.it/ita/affidamento-familiare-dal-tavolo-nazionale-affido-un-corso-con-formazione-a-distanza
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BIGAMIA E UNIONI CIVILI
Bigamia: perché è reato?
La bigamia, in Italia, è una condizione che non solo non è consentita ma che, se si verifica, integra un’ipotesi di reato. La bigamia è lo status nel quale si trova chi è sposato contemporaneamente con due diverse persone, ovverosia chi contrae matrimonio essendo già legato a un’altra persona da vincolo di coniugio.
Vietata da quasi tutti gli ordinamenti giuridici moderni, la bigamia è lecita e diffusa in alcuni paesi asiatici e africani e in quasi tutti i paesi islamici, che, addirittura, ammettono al poligamia, ovverosia l’essere sposato con più persone, anche in numero superiore a due.
In Italia, come accennato, la bigamia costituisce reato. A punirla, in particolare, è l’articolo 556 c.p. che prevede la pena della reclusione da uno a cinque anni per chi, nonostante sia già legato da un matrimonio con effettivi civili, ne contrae un altro (cd. bigamia propria) e anche per chi, pur non essendo sposato, si coniuga con una persona già vincolata da un matrimonio con effetti civili (cd. bigamia impropria).
Tale pena è aumentata se il colpevole ha agito inducendo in errore la persona con la quale ha contratto matrimonio, ovverosia se la ha indotta a sposarlo facendole credere di essere di stato civile libero.
In ogni caso, il reato di bigamia si estingue in due ipotesi:
- Se il primo matrimonio è dichiarato nullo (ad esempio, se sussisteva vincolo di adozione)
- Se il secondo matrimonio è annullato per una causa diversa dalla bigamia (ad esempio, se la nuova sposa era incapace di intendere e di volere).
La ragione che ha indotto il legislatore italiano a considerare la bigamia reato deriva dalla tutela della famiglia e della morale che la caratterizza, così come sono intese dal nostro ordinamento. Tale delitto, non a caso, si trova tra quelli contro la famiglia.
Bigamia e unioni civili. A tal proposito va detto che la bigamia riguarda anche le unioni civili e che, quindi, la tutela prevista dal legislatore italiano si è adeguata alla nuova concezione che lo Stato ha di famiglia.
L’articolo 574-ter c.p., infatti, equipara in tutto e per tutto, ai fini della legge penale, l’unione civile al matrimonio. Il che vuol dire che commette reato non solo chi si sposa pur essendo già sposato, ma anche chi contrae un’unione civile pur essendo già sposato e viceversa e chi contrae una nuova unione civile pur essendo ancora valida un’altra unione precedentemente contratta.
Allo stesso modo, con riferimento alle unioni civili è penalmente rilevante anche la bigamia impropria.
Bigamia di fatto. Diversa dalla bigamia vera e propria è la bigamia di fatto, condizione nella quale si trovano, anche nel nostro paese, diverse persone, perlopiù di fede islamica. Infatti il nostro ordinamento punisce penalmente solo la bigamia vera e propria, ovverosia la condizione di chi è parte di due matrimoni con effetti civili.
Se, invece, uno o entrambi i matrimoni non sono civilmente formalizzati, la legge penale non interviene a punire i coniugi interessati.
Attenzione però: anche la bigamia di fatto può comportare effetti pregiudizievoli. Si pensi a quanto statuito da una recente ordinanza della Corte di Cassazione, sesta sezione civile (numero 23010/16 settembre 2019), che ha decretato l’addio al diritto alla casa coniugale e all’assegno di mantenimento per una donna che, pur essendo sposata in Italia, aveva sposato un uomo egiziano.
www.heralditalia.it/moglie-italiana-aveva-unaltro-marito-segreto-in-egitto-la-cassazione-la-condanna
Valeria Zeppilli Newsletter giuridica 30 settembre 2019 – Studiocataldi.it
www.studiocataldi.it/articoli/35914-reato-di-bigamia.asp
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CENTRO INTERNAZIONALE STUDI FAMIGLIA
Newsletter CISF – n. 36, 2 ottobre 2019
Famiglie e minori rifugiati e migranti. Proteggere la vita familiare nelle difficoltà
giovedì 14 novembre 2019
16.00 – 19.30: Registrazione dei partecipanti
18.00 – 20.00: Brindisi di benvenuto (gratuito – per tutti i partecipanti registrati)
venerdì 15 novembre 2019
8.30 – 12.00: Registrazione dei partecipanti
09:30: Anne Berger (Presidente ICCFR) e Francesco Belletti (Direttore CISF)
North landing. Documentario di 17 minuti di Preethi Manuel, che racconta il pericoloso viaggio di un giovane migrante del Sudan alla ricerca di un luogo sicuro, accolto in una famiglia del Regno Unito. (Il film sarà proiettato senza interruzione in un locale apposito durante tutta la conferenza).
v Sessione di apertura in plenaria:
Relazione fondamentale: Aspetti descrittivi-demografici-sociologici
Prof. Tuomas Martikainen (Finlandia), direttore dell’Istituto per le Migrazioni
Discussant italiano: Antonello Scialdone (INAPP Roma)
Gruppi di discussione
v Sessione n. 2: (ore 14,30) Relazione fondamentale: Aspetti legali
Sir Mathew Thorpe (Regno Unito), vice-presidente della Sezione Famiglia dell’International Family Law
Discussant italiano: Paolo Morozzo Della Rocca (Università di Urbino)
Gruppi di discussione
Workshops 1 – 6 (ore 17,30)
- L’ educazione dei bambini nei contesti di migrazione e richiesta di asilo. (in inglese) Relatori: Dr. Eveline Reisenauer (Istituto tedesco per la gioventù); Alissa Maxman (Università di Hildesheim); Prof. Dr. Manuela Westphal e Yasemin Ucan (Università di Kassel, Germania).
Anche se vi è una crescente consapevolezza delle conseguenze dei processi migratori sui minori, vi sono poche ricerche accademiche sulle condizioni dei minori che crescono nei contesti di migrazione o di richiesta di asilo. Il workshop cerca di colmare questo vuoto nella ricerca esplorando se, e come, le idee e le pratiche relative all’educazione familiare sono influenzate dall’esperienza migratoria. Ci domandiamo quindi quale ruolo possono avere i modelli educativi culturalmente mediati e le convenzioni del Paese di origine, le circostanze in cui avviene la migrazione, la durata della permanenza e lo status legale nel Paese di immigrazione, così come lo stress psicologico che il processo migratorio crea alle relazioni e all’educazione familiare. Il workshop inviterà a presentare interventi che considerino ogni aspetto della relazione tra famiglia, educazione e migrazione. Questo comprende le pratiche e le idee educative specifiche per le migrazioni, l’educazione nelle famiglie migranti dalla prospettiva dell’esperienza professionale, e le sfide della crescita dei figli in contesti migrativi. Incoraggiamo particolarmente contributi che esplorino la diversità e le dinamiche delle famiglie migranti e rifugiate rispetto all’educazione.
- Servizi per la violenza domestica su donne e bambini rifugiati: come un’Agenzia americana affronta il problema in una città santuario (in inglese). Speakers: Claire Barnes, Dion Roberts, Beverly Upton (USA).
Il workshop esaminerà le difficoltà incontrate dagli operatori dei servizi per la violenza domestica nel sostenere le donne rifugiate che potrebbero essere entrate negli Stati Uniti senza permesso. L’incontro plenario presenterà le sfide e insieme le soluzioni, pratiche e politiche. Verrà illustrata anche la posizione di un esperto di diritto familiare europeo.
Il 20 gennaio 2017 si è insediata l’attuale Amministrazione americana. Da quel giorno la situazione delle donne rifugiate nel nostro Paese è drammaticamente peggiorata. Le città americane e i loro abitanti dovrebbero, secondo l’Amministrazione, cooperare attivamente con l’Immigration and Customs Enforcement (ICE) nel localizzare ed espellere le donne immigrate che si sospetta siano entrate nel Paese senza autorizzazione. Chiedere che gli operatori dei servizi contro la violenza domestica collaborino nel rintracciare donne rifugiate che sono fuggite da violenza, uccisioni, stupri ed altre atrocità nei loro paesi di origine rende nuovamente vittime coloro che stanno letteralmente scappando per salvare la loro vita. I Paesi europei hanno sperimentato simili difficoltà con i rifugiati che fuggono dalla violenza e dai conflitti.
Non è contro la legge cercare rifugio in America. Nonostante ciò, le donne rifugiate il cui status è in dubbio sono riluttanti nel cercare aiuto se sono state abusate dai propri partner, in famiglia, nella loro comunità o da membri di bande. Le Agenzie (ONG) che offrono aiuto a queste immigrate sono spesso in conflitto con le leggi che le regolamentano, i governi e i loro finanziatori.
Implicazioni pratiche per le organizzazioni che combattono la violenza domestica: gli operatori si trovano in diretto contrasto con il governo degli Stati Uniti, e incontrano crescenti difficoltà o l’impossibilità di svolgere il loro compito.
- Lo straniero alla porta: comprendere cosa crea e influenza le nostre reazioni personali e sociali a lo ‘straniero alla porta’ (in inglese). Relatore: Robin Purvis (Australia).
La crisi dei rifugiati è la sfida umanitaria del nostro tempo. Comprendere cosa crea e influenza le nostre reazioni personali e sociali a lo straniero alla porta è questione cruciale. Si propone un workshop interattivo ed esperienziale, per identificare i fattori intrapsichici quali negazione, paura delle differenze, perdita del territorio, dissociazione e proiezione che impediscono di accettare i rifugiati tra di noi. In Australia il governo ha assunto una rigida posizione di rifiuto dei rifugiati richiedenti asilo che arrivano via mare (conosciuti come “boat people”, popolo delle barche) che ha causato un’estrema polarizzazione nella nostra comunità. Verranno discussi i fattori che costituiscono il dilemma australiano, compresa le difficoltà di integrare i rifugiati che sono entrati nel nostro paese attraverso i canali ufficiali, e la conseguente frattura sociale.
Il focus esperienziale del workshop aiuterà ad identificare attitudini, valori, contesti che danno forma al nostro pensiero e alle nostre reazioni, ed influenzano la nostra capacità di agire. La discussione consentirà di enumerare le sfide – emozionali, psicologiche e pratiche – che comporta integrare e fornire supporto sociale ed economico ai rifugiati in fuga da guerra, fame e povertà. Nell’articolare questi fattori psicodinamici, il workshop chiederà ai partecipanti uno sguardo introspettivo nelle realtà inconsce che influenzano le nostre reazioni e determinano le nostre azioni, o la loro mancanza.
- Il ruolo delle organizzazioni religiose nel fornire sostegno alle famiglie migranti multigenerazionali: un intervento di coesione familiare in Sudafrica. (in inglese) Relatore: Imelda Diouf (Sud Africa).
Venticinque anni dopo l’avvento della democrazia, le famiglie migranti sperimentano la giovinezza come una particolare sfida alla coesione familiare. Ci sono crescenti pressioni, mentre i genitori si trovano ad essere genitori di figli giovanissimi a loro volta già genitori. Dei 20,3 milioni di persone in età 15-34, il 40,7% non lavorano né studiano. I servizi pubblici sono allo stremo, le famiglie si spezzano. Le organizzazioni religiose possono fornire soluzioni per rafforzare la vita familiare e prevenire ulteriori trasferimenti alle famiglie migranti?
Il Progetto di Coesione Familiare (PCF) è stato attuato come intervento pilota per aiutare le famiglie a migliorare le loro condizioni di vita. Dopo 14 mesi di attività, utilizzando i metodi della ricerca sociale, tra cui l’osservazione e le interviste a gruppi campione, sono stati raccolti dati relativi ai risultati. Il risultato principale del PCF è che per rafforzare la famiglia bisogna affrontare la sfida posta dal “dilemma giovani”!
La metodologia del workshop:
– introdurre il ruolo e la funzione dei Gruppi di Sostegno Familiare nell’affrontare questa sfida;
– condividere i meccanismi per integrare l’utilizzo dei servizi di sostegno familiare dei settori pubblico e privato;
– discutere il ruolo chiave delle organizzazioni religiose nel costruire le capacità delle famiglie migranti di fornire un contributo significativo alla coesione familiare.
- 5. I corridoi umanitari in Italia dal 2017 al 2019: una possibile soluzione al traffico di persone migranti. (in italiano)
Speakers: Relatori: Daniela Pompei, Paolo Morozzo della Rocca, Cecilia Pani (Comunità di Sant’Egidio)
Più di 3.000 persone sono arrivate in Italia attraverso i corridoi umanitari organizzati da varie ONG. Esse sono selezionate e certificate come rifugiati in campi all’estero (Libano, Africa Orientale), arrivano in Italia in aereo e sono accolte in varie regioni italiane, in piccoli centri comunitari, parrocchie e/o famiglie italiane.
- La linea d’ombra: la transizione all’età adulta dei minori di origine straniera (in italiano)
Relatori: Alessandra Cornice, Alfredo Rizzo, Simona Sperindé (INAPP, Italia)
La condizione di persona di minore età segna una linea di confine nel sistema di diritti individuali. È
noto che la Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1989, definisce il “quadro minimo di tutele” cui hanno diritto tutti gli individui fino al compimento della maggiore età. Analogamente, pressoché tutti i sistemi giuridici di diritto pubblico avanzato hanno fatto propri quegli standard fissati internazionalmente. Ma una volta consolidato lo scudo protettivo normativo cosa succede agli stessi giovani al compimento del 18° anno?
Chiaramente maggiori sono i fattori di fragilità – tra cui possiamo annoverare certamente la condizione migratoria, aggravata dalla lontananza dalla famiglia per i minori non accompagnati o separati dai genitori – maggiori sono i rischi individuali implicati dalla perdita di tutela da parte delle Istituzioni.
Il workshop (da tenersi in lingua italiana, eventualmente prevedendo slides di presentazione in inglese) intende analizzare in chiave comparativa con altri Paesi le maggiori criticità da tenere sotto osservazione e le strategie che possono aiutare un giovane che deve passare dal regime di protezione connesso alla condizione di minore età all’autonomia della vita adulta, senza che tale transizione si trasformi in una permanente linea d’ombra.
Sabato 16 novembre 2019
v Sessione n. 3. ore 9.00
Relazione fondamentale: Aspetti psicologico-relazionali e servizi di supporto e integrazione. Dr. Robert A. Simon (USA) (Keynote speech)
Discussant italiano: Daniela Pompei (Comunità di S.Egidio, Roma)
Gruppi di discussione
- Le condizioni di vita delle famiglie e dei bambini migranti nella Cina meridionale (in inglese). Relatori: Jiexiao Huang, Agnes Law (Cina).
Secondo il recente Censimento, la popolazione migrante nella Cina continentale è di circa 247 milioni, il che significa approssimativamente che nel Paese una persona su sei è in una situazione di mobilità, per la ricerca di lavoro o per trasferimento. A causa della sua economia avanzata e del suo sviluppo sociale, la provincia di Guangdong ha attirato un grande numero di migranti, principalmente dalle zone rurali. Insieme con lavoratori, si stima che ci siano più di tre milioni di bambini in età scolare arrivati nel Guangdong con i loro genitori. In passato i lavoratori migranti erano abituati a vivere in città da soli, lasciando le loro famiglie nel luogo di origine. Attualmente i lavoratori migranti tendono a portare con sé le loro famiglie, insieme con la speranza di sistemarsi in città. Questo fenomeno crea molti nuovi problemi alle politiche sociali. I più immediati sono come rendere loro disponibili un’abitazione, l’istruzione e le cure mediche. In Cina, la registrazione come residente è la base per l’imposizione fiscale locale e la pianificazione della distribuzione di risorse e di pubblici servizi, secondo le caratteristiche dei residenti stessi. L’aumento di famiglie e bambini migranti ha cambiato radicalmente la struttura sociale ed esercita una grande pressione sulle amministrazioni locali, perché formulino nuove strategie politiche per aiutare i nuovi venuti ad integrarsi nelle comunità, ottenendo alloggio e istruzione a prezzi accessibili. Oltre all’insufficienza di pubblici servizi, i differenti stili di vita e percezione dei valori tra gruppi di diversa origine etnica sono fonte di conflitti sociali ed esclusione. I minori sono particolarmente vulnerabili e a rischio di devianza, se le loro famiglie incontrano gravi difficoltà nell’inserimento sociale ed economico.
La presentazione descriverà brevemente le condizioni di vita delle famiglie migranti e dei loro figli nella Cina meridionale, e le sfide che essi incontrano nella loro ricerca di una vita migliore in città. Saranno inoltre discussi i tentativi del governo e delle ONG di soddisfare i loro bisogni attraverso servizi sociali innovativi.
- Il diritto all’educazione per i minori migranti e rifugiati in Europa (in inglese). Relatore: Irene Bertana (COFACE Families Europe–Unione Europea). (in inglese)
Il trauma, una ferita che non guarisce mai, riesce a trasformare il mondo circostante nella sua stessa immagine, confidando nella sua capacità di ri-creare l’esperienza per un tempo infinito. Riesce a trasmettere l’esperienza da una generazione all’altra. Il presente è vissuto come se fosse il passato. Il risultato è che la generazione successiva è privata della possibilità di situarsi socialmente, e della capacità di definirsi creativamente in modo autonomo da tale esperienza … quando il tempo viene distorso a causa di eventi ingovernabili, la naturale distanza tra le generazioni, segnata dal passaggio del tempo e delle diverse esperienze, resta oscurata.
Il nostro approccio per risolvere i traumi infantili inizia con la psicoanalisi, ma si è allargato mano a mano che veniva acquisita una maggiore consapevolezza scientifica dell’esperienza dell’infanzia e del ruolo della relazione genitore-bambino nel formare i circuiti neurologici del cervello. Con una maggiore comprensione del trauma e del ruolo dell’empatia genitoriale nel superamento del trauma stesso, il metodo alternativo dei workshop “a partire dal trauma” è stato sviluppato per costruire empatia e per recuperare un sano legame genitore-figlio. In questo workshop, percorreremo i passi necessari per costruire un percorso “a partire dal trauma” per genitori e figli che sono stati separati a causa di una migrazione
- Interventi di cura per bambini e genitori separati a causa della migrazione a partire dal trauma subito (in inglese) Relatore: Dorcy Pruter (Istituto per la genitorialità cosciente, USA)
Il trauma, una ferita che non guarisce mai, riesce a trasformare il mondo circostante nella sua stessa immagine, confidando nella sua capacità di ri-creare l’esperienza per un tempo infinito. Riesce a trasmettere l’esperienza da una generazione all’altra. Il presente è vissuto come se fosse il passato. Il risultato è che la generazione successiva è privata della possibilità di situarsi socialmente, e della capacità di definirsi creativamente in modo autonomo da tale esperienza … quando il tempo viene distorso a causa di eventi ingovernabili, la naturale distanza tra le generazioni, segnata dal passaggio del tempo e delle diverse esperienze, resta oscurata.
Il nostro approccio per risolvere i traumi infantili inizia con la psicoanalisi, ma si è allargato mano a mano che veniva acquisita una maggiore consapevolezza scientifica dell’esperienza dell’infanzia e del ruolo della relazione genitore-bambino nel formare i circuiti neurologici del cervello. Con una maggiore comprensione del trauma e del ruolo dell’empatia genitoriale nel superamento del trauma stesso, il metodo alternativo dei workshop “a partire dal trauma” è stato sviluppato per costruire empatia e per recuperare un sano legame genitore-figlio. In questo workshop, percorreremo i passi necessari per costruire un percorso “a partire dal trauma” per genitori e figli che sono stati separati a causa di una migrazione.
- Migrazioni forzate e religione: famiglie copte immigrate in Italia (in italiano). Relatori: Giovanni Giulio Valtolina, Laura Zanfrini, Cristina Giuliani, Camillo Regalia (Italia)
Nell’ultimo decennio, l’immigrazione internazionale in Italia ha avuto una crescita impressionante, con una crescente incidenza di famiglie con bambini. In questo fenomeno così sfaccettato, i fattori legati all’appartenenza religiosa giocano un ruolo maggiore di quanto non sia contemplato dalle statistiche ufficiali. Inoltre l’aspetto religioso e i suoi valori sono fattori chiave nel processo d integrazione, principalmente attraverso la mediazione della famiglia e di gruppi su base religiosa. Finora studi e ricerche dedicati a questo argomento sono estremamente limitati, e i loro risultati non sono stati sistematizzati in una prospettiva interdisciplinare, indispensabile per la comprensione di un fenomeno così complesso come la migrazione. A partire dai dati, raccolti durante uno studio multidisciplinare –sostenuto dalla Università Cattolica di Milano – finalizzato a colmare questo vuoto, questo workshop si concentrerà sui seguenti temi: la religione e le credenze religiose nelle traiettorie delle famiglie migranti (forzate); appartenenza religiosa e migrazione (forzata): uno studio sulle famiglie copte immigrate in Italia; appartenenza religiosa e migrazione (forzata): uno studio sui minori copti immigrati in Italia.
Le evidenze raccolte confermano il ruolo chiave della religione nel Paese ospitante, così come l’importanza di una “cassetta degli attrezzi” interculturale istituzionale per riuscire a mantenere forti radici e sviluppare nuovi germogli.
- Multietnicità, socializzazione, istruzione e interculturalità (in italiano) Relatori: Simone Varisco, Margherita Cestaro, Vinicio Ongini (Fondazione Migrantes, Italia) Storia e dettagli dell’Italia multietnica: rapporti tra l’immigrazione e l’assistenza ai migranti (Simone Varisco, Fondazione Migrantes). Dalle famiglie alle istituzioni sociali (Margherita Cestaro, Università di Padova) Scolarità e culture interconnesse: modelli educativi, costruzione di relazioni e considerazioni periferiche (Vinicio Ongini, Ministero della Istruzione, dell’Università e della Ricerca).
Siamo ascolto che accoglie ed accompagna: la consulenza familiare per salvaguardare i diritti dei minori e delle famiglie immigrate/rifugiate in ricongiungimento (in italiano)
Relatori: Stefania Sinigaglia, Rita Roberto, Sarah Hawker (AICCEF, Italia)
Molti uomini, donne e minori (anche non accompagnati) si trovano a vivere e sostenere le difficoltà della migrazione o dell’essere rifugiati. Difficile in queste situazioni preservare la vita familiare, i legami di coppia, ma anche vivere e sostenere una genitorialità a distanza. Quest’ultima esperienza spesso è il passaggio obbligato per l’attuazione del progetto di ricongiungimento con tutta la famiglia, o parte di essa, una volta raggiunta una certa stabilità economica e abitativa. Le relazioni di coppia, quelle genitori-figli a distanza e il successivo ricongiungimento sono eventi critici che fanno parte del ciclo familiare di molti migranti/rifugiati e come tali devono essere compresi per poter rispondere in modo adeguato ai bisogni che esprimono nel corso del loro processo di stabilizzazione insediativa. Il ricongiungimento è una fase particolare del ciclo di vita della famiglia immigrata/rifugiata poiché spesso mette in atto inedite pratiche sociali che riconfigurano ruoli e relazioni familiari differenziati nel tempo e nello spazio e contribuisce alle fratture/conflitti coniugali e intergenerazionali e per questo deve essere visto nelle sue criticità e risorse secondo principi di uguaglianza e valorizzazione delle differenze. È importante riconoscere il diritto all’unità familiare ma è anche importante riconoscere che non sempre il ricongiungimento è condizione “sine qua non” per il benessere del progetto migratorio del singolo, della coppia o della famiglia.
La famiglia migrante/rifugiata ha una storia dilatata nel tempo e nello spazio, propone modelli di convivenza e di relazioni intrafamiliari che spesso interrogano i nostri operatori sociali, a rischio di percepirla come “incompleta” e “più problematica” rispetto alla famiglia autoctona di tipo nucleare moderno. Troppe volte la cultura ospitante arriva facilmente all’equivalenza sbrigativa tra lontananza dei genitori o della madre e abbandono dei figli. In realtà in consulenza familiare emergono narrazioni che portano in luce il lavoro paziente “di tessitura di relazioni” dei membri che abitano al paese di origine e che continuano a mantenere legami fiduciari trascendendo le prossimità fisiche, almeno nei primi anni del ricongiungimento. Con questo non si vuole negare la problematicità dell’evento del ricongiungimento ma si vuole insistere sulla necessità di allargare lo sguardo nello spazio e nella storia delle famiglie e dei singoli per non adottare modelli di intervento standard che rischiano di porsi più in una prospettiva erogatrice che di “cura delle relazioni e delle risorse” del nucleo familiare. La consulenza familiare alla coppia e alla famiglia di migranti/rifugiati rappresenta un valido supporto per preservare la famiglia e i minori durante questa sfida in quanto si inserisce bene come percorso socio educativo tra le diverse tappe del ciclo di vita familiare e progetto migratorio attento alle dinamiche relazionali della famiglia in movimento. La consulenza familiare aiuta e supporta la famiglia che si riunisce, dopo una separazione più o meno lunga, a fronteggiare un confronto tra i suoi membri che comprende: le aspettative reciproche, le capacità di adattamento individuali e del nucleo familiare, la separazione da precedenti legami e l’investimento sul processo migratorio. Inoltre rappresenta un valido accompagnamento e sostegno per i tutori volontari o le famiglie affidatarie previsti dall’art. 7 ed 11 della legge italiana n. 47 del 7 aprile 2017 “Disposizioni in materia di misure di protezione dei minori stranieri non accompagnati.
Durante il workshop proietteremo un power point con le basi teoriche e metodologiche delle fasi della consulenza familiare rivolta a migranti/rifugiati, alla coppia genitoriale e ai Tutori e Affidatari (legge n. 47 del 2017). Attraverso l’analisi di alcuni casi e di schede operative affronteremo praticamente la varie fasi della consulenza precedentemente illustrate.
Stefania Sinigaglia: Presidente AICCeF, docente area umanistica, consulente della coppia e della famiglia, direttrice del Centro di Consultazione e Formazione SPAZIO FAMIGLIA “Nina Moscati” – Napoli.
Rita Roberto: Consigliere Direttivo AICCeF, pedagogista, consulente della coppia e della famiglia, formatrice nel volontariato sociale e centro educazione alla mondialità CEM
Sarah Hawker: Consigliere Direttivo AICCEF, esperta di marketing manager, consulente della coppia e della famiglia, incaricata per le relazioni internazionali dell’Aiccef.
v Sessione n. 4. Ore 14.30 – 17.
Tavola rotonda e conclusioni dell’ICCFR
Agnes Law, Board Iccfr (Cina)
Laura Zanfrini, Fondazione Ismu (Iniziative e Studi Sulla Multietnicità), Milano
Vincenzo Bassi, Fafce (Federazione delle Associazioni Familiari Cattoliche in Europa)
Lucilla Anastasio, Ordine degli Avvocati – Roma (Italia)
Sir Mathew Thorpe, Iccfr Trust (Regno Unito)
Conclusioni: Sven Iversen, Board Iccfr (Germania)
Termine delle iscrizioni: 8 novembre 2019
La quota di iscrizione comprende: la partecipazione ai lavori della Conferenza; i materiali in distribuzione; la traduzione simultanea (italiano-inglese e viceversa) durante le sessioni plenarie; i pranzi e i coffee breaks; i brindisi di benvenuto e di saluto finale; il Rapporto Cisf 2014 “Le famiglie di fronte alle sfide dell’immigrazione” (Edizioni Erickson).
Le spese di viaggio e di alloggio non sono comprese.
Iscrizioni https://iccfr.org/iccfr-conference-2019-in-rome-italy-migrant-families-and-children/registrazione-roma-2019
Credit formativi, informazioni https://iccfr.org/iccfr-conference-2019-in-rome-italy-migrant-families-and-children/programma-roma-2019/
Iscrizione http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/newsletter-cisf.aspx
Archivio http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/elenco-newsletter-cisf.aspx
http://newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/ottobre2019/5141/index.html
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CENTRO ITALIANO di SESSUOLOGIA
Scuola CIS: Sessuologia Clinica – Corso di Formazione
La formazione che offre la “Scuola CIS di Sessuologia per l’Educazione sessuale, la Consulenza e la Psicoterapia sessuale” si realizza attraverso la frequentazione di Corsi, Master, Seminari ed esperienze di Supervisione. Il percorso formativo oltre ai corsi prevede stage di aggiornamento/supervisione e seminari periodicamente organizzati per una formazione permanente e si sviluppa con una opportuna graduazione che, nel tempo medio-lungo, permette un adeguato processo di assimilazione e crescita professionale e personale. La Scuola di Sessuologia del CIS è riconosciuta dalla Federazione Italiana di Sessuologia Scientifica FISS.
Il corso quadriennale fornisce durante il I Biennio conoscenze di sessuologia generale, psicopatologia del comportamento sessuale e strumenti di relazione interpersonale, necessari alla conduzione del colloquio per la lettura della domanda sessuologica e l’intervento consulenziale.
Il corso viene attivato ogni anno. A.A. 2019/2020
15-16 novembre 2019 06-07 dicembre 2019 17-18 gennaio 2020
14-15 febbraio 2020 13-14 marzo 2020 03-04 aprile 2020
15-16 maggio 2020
Le iscrizioni sono aperte fino al 30 ottobre 2019
Possono iscriversi coloro che sono in possesso dei titoli di studio e professionali compatibili con gli obbiettivi educativi del percorso formativo e con le disposizioni legislative in materia di abilitazione all’esercizio professionale. (Art. 3 del Regolamento). In particolare quindi sono ammessi i laureati in Psicologia, in Medicina e Chirurgia, in Scienze della Formazione, Scienze Sociali o titoli equipollenti e altri operatori della salute (Assistenti sociali, Ostetriche, Assistenti sanitari, Infermieri, Consulenti, Mediatori Familiari, ecc…) Inoltre sono ammessi a partecipare come uditori, in un numero non superiore a 1/10 degli iscritti, anche cultori della materia previo colloquio di ammissione. I corsi verranno attivati con un numero minimo di 12 iscritti e massimo di 30.
Finalità. Assumere abilità relazionali e competenze diagnostiche necessarie alla Lettura della Domanda e alla conduzione del Primo Colloquio in ambito sessuologico e strumenti di intervento di sex-counseling che consentano di strutturare una relazione d’aiuto.
Obiettivi
- Aggiornare e arricchire le conoscenze di fisiologia, patologia e clinica sessuologica necessarie per la lettura della domanda e la scelta terapeutica;
- Assumere la conoscenza di una coerente teoria della tecnica per l’attuazione del primo colloquio della consulenza sessuale;
Contenuti
- Sessuologia Generale: Collocazione storica e scientifica della sessuologia, il normale e il patologico: per una definizione della salute sessuale, fisiologia della risposta sessuale, psicologia della coppia, aspetti deontologici e legali della pratica sessuologica.
- Sessuologia Clinica: la lettura della domanda sessuologica: primo colloquio, anamnesi sessuologica e scelta terapeutica. Nosografia e la sintomatologia delle impotenze sessuali maschili, femminili e di coppia: la patologia del desiderio, dell’eccitazione, dell’erezione, dell’eiaculazione, dell’orgasmo, la dispareunia e il vaginismo. L’apporto dello specialista (ginecologo, andrologo) alla clinica sessuologica. Le dipendenze sessuali. Le devianze sessuali e parafilie. Violenza sessuale e abuso all’infanzia. La consulenza in sessuologia in ambiti specifici (adolescenza, contraccezione, gravidanza, IVG, sterilità, fecondazione assistita, ginecologia, andrologia, MST, disabilità, climaterio, terza età, violenza sessuale)
- Aspetti applicativi: strategie e tattiche per la conduzione del primo colloquio e della consulenza sessuale con particolare attenzione ai meccanismi interpersonali e alla relazione d’aiuto.
- Migliorare la consapevolezza: delle equivalenze personali, professionali e istituzionali che interagiscono nello svolgersi della clinica sessuologica;
- Completare la comprensione del problema proposto dal paziente con le variabili di ordine sessuologico;
www.cisonline.net/scuola-di-sessuologia/corsi/formazione-in-sessuologia-clinica/?biennio=primo
www.cisonline.net/scuola-di-sessuologia/corsi/formazione-in-sessuologia-clinica
Idee e riflessioni su cultura, norme, diritti, valori e prevenzione in una società frammentata.
Da 31 ottobre 2019 a febbraio 2020
Studio di medicina internazionale integrata DIBIOMED, Via Tarsia, 64, Napoli
Per info contatti su locandina e allegato
www.cisonline.net/wp-content/uploads/2019/09/Gli-incontri-su-temi-collegati-alla-sessualit%C3%A02_page-0001-1.pdf
www.cisonline.net/eventi/sessualita-e-dintorni-da-ottobre-2019-a-febbraio-2020
Come vivere una sessualità soddisfacente nell’età matura
Sabato 7 dicembre 2019 Auditorium Casa di Cura Prof. Fogliani – ingresso da via Giardini 61, Modena
Ore 8.45 12,30
- La sessualità: questa conosciuta o sconosciuta. Dott.ssa Florini Maria Cristina, Psicologa e Presidente del Centro Italiano di Sessuologia
- La sessualità al femminile: come vivere bene i cambiamenti. Dott.ssa Businco Fabia, Medico chirurgo specialista in Ginecologia ed Ostetricia – specialista in psichiatria
- La sessualità al maschile: come vivere bene i cambiamenti Dott. Galizia Giorgio, Medico chirurgo specialista in Urologia.
www.cisonline.net/wp-content/uploads/2019/10/convegno-7-dicembre-2019.pdf
www.cisonline.net/eventi/come-vivere-una-sessualita-soddisfacente-nelleta-matura
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CHIESA CATTOLICA
Quale rapporto tra annuncio del Vangelo e sinodalità?
Il diritto di parola nella Chiesa non è riservato ai soli ministri ordinati. Il Papa invita al protagonismo di tutti. Esiste un rapporto tra annuncio del Vangelo e sinodalità? Non è una forzatura accostare due realtà così differenti, una funzione esercitata da singoli e una prassi che rimanda a un soggetto comunitario, la Chiesa popolo di Dio?
Anche quando si supera l’idea dell’annuncio come compito riservato a pochi, la differenza sembra insuperabile. In questa direzione vanno le considerazioni di Francesco sul battezzato come discepolo missionario: «Ciascun battezzato, qualunque sia la sua funzione nella Chiesa e il grado di istruzione della sua fede, è un soggetto attivo di evangelizzazione e sarebbe inadeguato pensare a uno schema di evangelizzazione portato avanti da attori qualificati in cui il resto del popolo fedele fosse solamente recettivo delle loro azioni. La nuova evangelizzazione deve implicare un nuovo protagonismo di ciascuno dei battezzati» (Evangelii Gaudium §120, 2013). Il testo supera il modello clericale di missione, che riservava il diritto di parola nella Chiesa ai soli ministri ordinati, asserendo una capacità di annuncio di ciascun battezzato, che motiva l’invito del papa a un nuovo protagonismo di tutti i membri della Chiesa nel campo dell’evangelizzazione. Ciò significa che ciascun battezzato può dedicarsi all’annuncio a prescindere? Sempre Francesco afferma che «l’evangelizzazione è compito della Chiesa» (EG §111). E se «questo soggetto dell’evangelizzazione è ben più di un’istituzione organica e gerarchica», questo popolo è una «comunità organicamente strutturata» (Lumen Gentium §11, 1964), con ministeri e carismi che manifestano l’azione dello Spirito che distribuisce i suoi doni come vuole. Il diritto all’annuncio non può essere affermato in contrasto con il principio neotestamentario che Cristo stesso «ha dato ad alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti, ad altri di essere pastori e maestri per preparare i fratelli a compiere il ministero allo scopo di edificare il corpo di Cristo» (Paolo a Efesini §4,11-12, 62). Si situa qui la dimensione sinodale dell’annuncio, come di ogni altra funzione ministeriale. Posto che il battesimo conferisce a ogni battezzato la capacità di agire nella Chiesa, sarà sempre la Chiesa a dover discernere chi inviare, e a fissare le condizioni dell’opera di evangelizzazione. Non si tratta di una regola restrittiva, che negherebbe nei fatti la possibilità di esercitare un diritto affermato per principio. È la regola della vita ecclesiale. In una Chiesa clericale il discernimento competeva ai soli pastori. La maturazione di un modello sinodale di Chiesa sta mostrando come il processo del discernimento, se impegna soprattutto i pastori, non esclude la totalità del popolo di Dio, «infallibile in credendo» (LG §12; EG §119). Di recente, la costituzione Episcopalis communio (2018), poggiandosi sul sensus fidei, ha chiarito come sia l’ascolto del popolo di Dio la condizione imprescindibile di un effettivo discernimento ecclesiale. Con questo la Chiesa non solo supera ogni concezione individualistica della missione, ma si costituisce come soggetto dell’annuncio.
Dario Vitali “Vita Pastorale” ottobre 2019
www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201909/190930vitali.pdf
L’emergere della sinodalità e l’inadeguatezza del diritto canonico
I vescovi cattolici nelle varie parti del mondo stanno rispondendo in modi diversi alla crisi che la Chiesa sta attualmente affrontando. Molti hanno cercato di mostrare che i vescovi negli Stati Uniti e in Germania reagiscono in una maniera simile. Ma si tratta di una equiparazione sbagliata. Da una parte dell’Atlantico, i vescovi USA, i cui predecessori accolsero con entusiasmo le riforme del Concilio Vaticano II (1962-65), hanno rifiutato perfino di immaginare come la sinodalità possa essere applicata oggi a livello locale e a livello nazionale. Divisioni interne hanno in effetti paralizzato la Conferenza episcopale statunitense.
Dall’altra parte dell’oceano Atlantico, i vescovi tedeschi stanno facendo proprio l’opposto. Stanno andando avanti autonomamente, come fecero con il loro sinodo nazionale 1971-75, per verificare che collegialità e sinodalità non restino solo vuoti slogan.
Lo sforzo tendenzioso di equiparare i due modi molto diversi con cui le due chiese stanno cercando di affrontare l’attuale crisi ecclesiale rivela un problema maggiore. È l’equivoco fondamentale, sostenuto specialmente da persone con mentalità legale e che si autodefiniscono “cattolici ortodossi”, sul sistema di governance della Chiesa e sui limiti di ciò che può o non può cambiare. Questi stessi cattolici continuano ad interpretare gli sforzi di papa Francesco di introdurre un modello sinodale nella loro Chiesa mantenendola entro i rigidi confini del diritto canonico esistente. Certo che la legge ecclesiastica è uno dei punti di riferimento per comprendere come realizzare la sinodalità. Ma non è l’unico. E certamente non è il più importante.
Due esempi tratti dalla storia chiariscono come elementi non monarchici sono diventati parte della vita della Chiesa con l’approvazione dell’istituzione e del papato.
- Il primo esempio è il cardinalato. Per secoli i cardinali impersonarono il potere dell’aristocrazia che circondava e sosteneva il potere primaziale del papa. Molti di loro erano italiani, di solito nominati su raccomandazione di imperatori, re e governi nazionali (cardinali della corona). Dal punto di vista istituzionale, erano a metà tra la corte romana rinascimentale e la Curia romana. Lentamente dopo la caduta dello Stato pontificio nel 1870, e più velocemente dopo la fine della Seconda Guerra mondiale, i cardinali cominciarono a rappresentare una “collegialità cardinalizia” complementare alla collegialità episcopale. Questo si è accelerato sotto l’attuale papa. L’internalizzazione del Collegio cardinalizio ha condotto ad un significativo cambiamento in questa istituzione esclusivamente artificiale, che è una singolare peculiarità della Chiesa romana. Paolo VI definì il cardinalato come “una sintesi dell’urbs (la città di Roma) e dell’orbis (il globo)”. Gli effetti legali ed istituzionali di questo cambiamento (sul ruolo dei cardinali nella Chiesa globale e nel modo in cui danno forma al primato papale con l’elezione del Vescovo di Roma) hanno seguito un’evoluzione dell’istituzione che non fu preceduta da un cambiamento della legge. Ad esempio, la tendenza ad eliminare i cardinali laici (che esistevano, anche se in piccoli numeri, fino al XIX secolo) ebbe a che fare con la scomparsa dello Stato pontificio. I papi stabilirono delle leggi che clericalizzavano il cardinalato solo più tardi, nel XX secolo. Il diritto canonico (specialmente il primo Codice del 1917) seguivano un’evoluzione istituzionale ed ecclesiologica che derivava ampiamente da eventi esterni, in massima parte dalla caduta dello Stato pontificio.
- Un secondo esempio di come elementi non-monarchici siano diventati parte della vita e della governance della Chiesa è la comparsa di conferenze episcopali nazionali. Le prime furono organizzate nel XIX secolo. All’inizio del XX secolo alcune di esse hanno assunto un ruolo importante come voce degli episcopati locali nei confronti del governo nazionale. A volte alcune di esse sfidarono anche il Vaticano. Questo non passò inosservato nella Curia romana. Tra il 1924 e il 1926, i precursori dell’attuale Congregazione per i vescovi (la Sacra Congregazione concistoriale) dibatterono accanitamente sul ruolo delle conferenze episcopali. Il cardinale Gaetano De Lai (1853 – 1928, che era a capo della congregazione a quell’epoca, le riteneva “totalmente pericolose”. Le accusava di parlamentarismo e di violazione del diritto canonico, avvertendo che tali conferenze usurpavano il ruolo di concili plenari. Inoltre, De Lai disse che le conferenze erano troppo “politiche” e non abbastanza rispettose delle prerogative del Vaticano. Di fronte alla pressione della Congregazione concistoriale, Pio XI (che non era esattamente un liberale) si mosse per regolamentare le conferenze episcopali, ma si rifiutò di proibirle o di sospenderle. Il suo immediato successore, Pio XII, fece un ulteriore passo nel 1955 approvando il concilio ideato in maniera nuova dell’episcopato Latinoamericano (conosciuto come CELAM). Poi, al Vaticano II, mentre i capi della Chiesa dibattevano a lungo sulla collegialità episcopale, fu presa la decisione di ordinare la creazione di conferenze episcopali nazionali. Nel periodo post-conciliare esse sono diventate fondamentali nella Chiesa cattolica. E papa Francesco (l’unico papa ad essere stato presidente di una conferenza episcopale nazionale) sta dando ad esse maggiore importanza (Guardate ad esempio le note nelle sue encicliche ed esortazioni).
Questi due esempi – la clericalizzazione del cardinalato e la comparsa delle conferenze episcopali – raccontano aspetti storici dell’evoluzione ecclesiologica e istituzionale della Chiesa. Tra il XIX e il XX secolo, la Chiesa cattolica romana ha circondato il papato monarchico con nuovi meccanismi di potere aristocratico – cardinalato ed episcopato – conosciuti anche come collegialità.
Dalla collegialità alla sinodalità. Il processo continua a svilupparsi ed oggi la Chiesa cattolica sta compiendo un ulteriore passo avanti verso la sinodalità. Come in precedenza con la collegialità, non c’è una cornice legale esistente abbastanza ampia per contenere la spinta verso una Chiesa sinodale – una spinta che papa Francesco ha approvato e inequivocabilmente avallato, vigorosamente come non mai nel suo discorso dell’ottobre 2015 che segnava il 50° anniversario del Sinodo dei vescovi.
http://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2015/october/documents/papa-francesco_20151024_sinodo-conclusione-lavori.html
La legge consolida un movimento sempre solo decenni o secoli più tardi. Nel caso della sinodalità, il dibattito cominciò negli anni 90 del secolo scorso. Ma Francesco è il primo papa ad accoglierlo pienamente e a svilupparlo. La concezione della sinodalità ecclesiale dell’ottantaduenne papa ha indubbiamente i suoi limiti e le sue ambivalenze. Una di esse è il suo concentrarsi essenzialmente sul Sinodo dei vescovi, che tecnicamente è uno strumento del primato papale e solo in modo limitato della collegialità episcopale, molto meno della sinodalità ecclesiale. Alcuni hanno suggerito che Francesco dovrebbe utilizzare meglio il Collegio cardinalizio e consultarsi con esso più spesso. Ma in ogni caso, sta chiaramente dando alla Chiesa cattolica spazio e tempo per sperimentare e cominciare a vivere con la sinodalità, proprio come Pio XI fece riguardo alle conferenze episcopali e Giovanni XXIII con la collegialità episcopale. Naturalmente, il diritto svolge un ruolo in questo processo, ma è un ruolo limitato. Il Vaticano II affermò principi fondamentali per il modo di intendere la Chiesa, ma non diede alla Chiesa una costituzione giuridica formale, Nel periodo immediatamente post-conciliare dei primi anni 70, il progetto di una legge costituzionale (Lex Ecclesiae Fundamentalis) per la Chiesa cattolica fu abbandonato.
Né il Codice di Diritto canonico (1983) né il Catechismo (1992), entrambi documenti successivi al Vaticano II, sono la costituzione della Chiesa cattolica. In particolare i cattolici conservatori devono capire che la codificazione delle leggi della Chiesa (in un libro) e i suoi insegnamenti catechetici (nella forma di un catechismo universale) sono invenzioni recenti nella storia della Chiesa. Se c’è una costituzione della Chiesa, quella è il Vangelo. E la Suprema Corte non è la Curia romana, ma la tradizione vivente della Chiesa, che negli ultimi due secoli ci ha fornito interessanti esempi di come cambiare i sistemi di governance ecclesiale. I limiti del diritto canonico e un nuovo cambiamento di paradigma Spesso sentiamo dire da cattolici conservatori che “la Chiesa non è una democrazia costituzionale”. Essi enfatizzano il rifiuto del parlamentarismo e del proceduralismo, tendendo a dimenticare che i membri della Chiesa hanno diritti e non sono alla mercé di una gerarchia assoluta. Infatti, è la democrazia che corrisponde meglio di qualunque altro sistema a ciò che il Vaticano II definisce “intrinseca dignità della persona umana”. Coloro che rifiutano qualsiasi parallelo tra ordinamento ecclesiastico e democrazia costituzionale, di solito si focalizzano quasi esclusivamente sul concetto di “democrazia”, trascurando l’elemento “costituzionale”. Certo, la Chiesa cattolica non ha una costituzione scritta. Quindi, l’assioma “la Chiesa non è una democrazia costituzionale” è un’arma a doppio taglio. La vita della Chiesa non può e non deve essere regolata esclusivamente dal diritto canonico. Storicamente, non è mai stato così. E sarebbe una concessione alla mentalità tecnocratica cominciare a fare così ora. La sinodalità segna un cambiamento di paradigma. Ha bisogno di trovare i modi per superare i limiti di una cornice legale bloccata nel vecchio paradigma, preservando al contempo l’unità e la cattolicità della Chiesa.
Massimo Faggioli “La Croix international” 2 ottobre 2019 (traduzione: www.finesettimana.org)
www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201910/191003faggioli.pdf
Le nuove nomine dei cardinali
Un uomo di chiesa è leale solo se ha la consapevolezza di avere ricevuto compassione: lo ha affermato ieri il papa – accennando in modo implicito a quei porporati che da mesi lo criticano per scelte pastorali da essi giudicate “pericolose”. Lo ha detto creando tredici nuovi cardinali, dei quali tre non votanti in un eventuale conclave, in quanto hanno compiuto gli ottant’anni.
Con le nuove nomine, il collegio cardinalizio è composto da 227 prelati, dei quali 128 “votanti”. Fu Paolo VI a stabilire che, compiuti gli ottant’anni, un porporato perde il diritto di entrare in conclave; e che il “plenum’‘ della ristretta cerchia di ecclesiastici che scelgono il vescovo di Roma fosse di 120. Bergoglio ha dunque superato quella soglia: ma presto il livello si abbasserà, perché quattro cardinali – provenienti da Italia (Ancona), Congo, India e Polonia – entro metà ottobre diverranno ottantenni. Altri cinque o sei “votanti”, assai malati, non potrebbero raggiungere Roma in caso di conclave. In pratica, se questo si tenesse ora, il quorum dei “votanti” effettivi non supererebbe quota 120.
La provenienza geografica dei cardinali votanti, al 15 ottobre, sarà così articolata: 52 europei (di cui 22 italiani), 23 latinoamericani, 17 africani, 15 asiatici (mancano cinesi), 13 nordamericani, 4 dall’Oceania. Per l’Italia, Bergoglio non ha elevato alla porpora, né ieri né nei suoi cinque precedenti concistori, i vescovi titolari di Torino, Venezia e Palermo, come invece da secoli facevano i papi.
Altra novità: con lui gli europei hanno perso definitivamente la maggioranza in conclave. È quasi un millennio (dal 1059) che i cardinali, tutti scelti dal papa, sono elettori esclusivi del vescovo di Roma. Il loro numero è variato – da una dozzina ad una quarantina – fino a che Sisto V, nel 1586, fissò il plenum a 70. Questa limite rimase intoccabile fino a Giovanni XXIII che lo superò leggermente. Poi arrivò la riforma di Paolo VI. Questi, nel 1973, prospettò un’idea che, attuata, avrebbe messo un seme di “democrazia” nella composizione di quello che allora si chiamava Sacro Collegio: ipotizzò che vi entrassero, a pieno titolo, dodici prelati eletti dal Sinodo dei vescovi; si disse disposto, anche, a inserire nella cerchia degli elettori del vescovo di Roma i patriarchi cattolici orientali, in quanto tali (questi ora entrano, ma solo se creati cardinali). Ma poi lo stesso pontefice non realizzò la riforma adombrata, né poi mai ne parlarono i suoi successori, Francesco compreso. Perciò, nella Chiesa cattolica romana continua ad essere il papa, come sovrano assoluto e senza nessunissima interferenza esterna, a decidere chi entra nel gruppo elitario che eleggerà il pontefice che verrà dopo di lui. Ieri, Bergoglio non ha accennato al pericolo di scisma, che lui stesso, poche settimane fa, ha ammesso esistere nella Chiesa romana. Ma, indirettamente, ha descritto i prelati (anche cardinali) che minacciano quel malaugurato esito: sono persone con un cuore duro, e prive di compassione.
Luigi Sandri L’Adige 6 ottobre 2019
www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201910/191006sandri.pdf
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CHIESE EVANGELICHE
Affido: la storia degli ultimi 50 anni ci dice la verità sulla vita delle famiglie
L’attuale legge ha arginato il ricorso agli istituti e tutelato il legame dei minori con la famiglia d’origine. Non c’è pace per le difficoltà in cui si dibattono le famiglie.
Durante il governo Conte-1 con il disegno di legge “Pillon” era emersa un’idea abbastanza chiara: rivalutare il ruolo del padre, eliminare il contributo fisso a carico del genitore non affidatario, togliere voce al minore e dividerlo coattivamente tra i due genitori in caso di separazione, allontanare il diritto e i tribunali dalla famiglia, rendere impervie le vie delle separazioni. Alla base di quelle proposte c’è la convinzione che esista un solo modello legittimo e naturale di vita famigliare – fondato sul matrimonio e garantito da una coppia eterosessuale – e che la crisi di quel modello dipenda da eccessi individualistici, dall’edonismo imperante, dall’uscita dal privato delle donne, dal calo demografico e da quella che è stata definita “puerofobia”.
La fine dell’esperienza giallo-verde decretata da Salvini ha fatto riporre nel cassetto il disegno di legge “Pillon”. Già prima della formazione del nuovo governo M5s – Pd – Leu è stata depositata in Parlamento una bozza di modifica delle norme in materia di affidamento dei minori (prima firmataria Stefania Ascari del M5s). Sullo sfondo di questa proposta si intravede l’inchiesta sui servizi sociali di Bibbiano e la volontà di tutelare le famiglie di origine, di rafforzare la protezione del minore con l’obbligo di nominare un curatore speciale, di limitare il potere dei giudici e di togliere ai servizi sociali il potere di collocare in luogo sicuro il minore che si trovi in una condizione di grave pericolo. In questo caso non c’è difesa a oltranza del modello tradizionale della famiglia, si prende atto del pluralismo delle esperienze famigliari ma si contesta l’impianto dei servizi socio-assistenziali al punto di escludere la possibilità per le strutture di accoglienza di ricevere contributi pubblici. Potranno ottenere solo rimborsi.
Se per Pillon il rimedio alla crisi della famiglia è il ripristino di quella ideale consacrata nel matrimonio, per Ascari il rimedio alle sofferenze per gli allontanamenti dei minori dalle loro famiglie di origine consiste nella forte limitazione dei contributi pubblici a persone e enti che accolgono minori e nel limitare la discrezionalità dei giudici.
A mio avviso né l’una né l’altra prospettiva traggono profitto dalla storia delle famiglie e dell’infanzia negli ultimi 50 anni.
Secondo l’Annuario statistico dell’assistenza e della previdenza sociale nel 1960 erano ricoverati negli orfanotrofi, brefotrofi, istituti per poveri e abbandonati, anomali o minorati e vecchi indigenti 435.518 persone di cui 311.751 minorenni. 21.113 erano i bambini non riconosciuti e gli illegittimi non avevano altra prospettiva che l’istituzionalizzazione. «Sono irregolari per difetto i figli illegittimi – tuonava il Codice di diritto canonico – sia che l’illegittimità sia occulta, oppure pubblica, a meno che non siano stati legittimati o abbiamo pronunciato voti solenni». A loro si negava comunque la carriera ecclesiastica ai livelli elevati. Eh sì, all’epoca non circolavano strane famiglie, non c’era l’affidamento famigliare e l’adozione la si faceva solo per garantire il patrimonio di chi figli non ne aveva avuti. Per conoscere la vita d’inferno dei bambini istituzionalizzati consiglio la lettura de Il paese dei celestini, scritto nel 1973 da Bianca Guidetti Serra e Francesco Santanera, quest’ultimo padre della legge sull’affidamento e sull’adozione del 1983.
Nella passata legislatura è stata depositata in Senato il 10.1.2018 una relazione ufficiale sullo stato di attuazione della disciplina dell’adozione e dell’affidamento famigliare. Se si escludono i minori stranieri non accompagnati, i dati degli ultimi anni sono ormai stabili: circa 14.000 minori tra 0 e 17 anni sono in affidamento a singoli, famiglie o parenti; circa 12.000 sono inseriti in strutture residenziali. Fate la differenza rispetto agli anni ‘60.
Questi dati sono la migliore dimostrazione che le leggi sull’adozione e sull’affidamento eterofamigliare:
1) Sono state le armi fondamentali contro l’istituzionalizzazione dilagante e il corteo di abusi e maltrattamenti;
2) Hanno permesso di valorizzare e non di svalutare il rapporto del minore con le famiglie in difficoltà
3) Hanno finora garantito l’interesse prevalente del minore rispetto a quello egoistico degli adulti.
Migliorare è giusto. Distruggere strumenti che hanno dato prova di civiltà è delittuoso
Marco Bouchard Riforma.it 03 ottobre 2019
https://riforma.it/it/articolo/2019/10/03/affido-la-storia-degli-ultimi-50-anni-ci-dice-la-verita-sulla-vita-delle
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CONGRESSI – CONVEGNI – CORSI – SEMINARI
Il valore della genitorialità sociale
Formare gli operatori che accompagnano le famiglie in situazioni difficili e i bambini nei percorsi dell’affido e dell’adozione richiede competenze professionali specifiche e raffinate offerte da un master della Cattolica, arrivato alla sua quinta edizione
La cronaca di questi giorni d’estate ha riportato alla ribalta il tema dell’affido e più in generale il collocamento dei minori fuori famiglia. È emersa in tutta la sua evidenza la complessità, oltre che la delicatezza, di queste situazioni che richiedono competenze professionali raffinatissime. Gli operatori si trovano infatti a decidere (nel senso etimologico del termine decædere «tagliare», «tagliar via») riguardo a quei legami che sono il fondamento dell’esistenza di tutti, i legami familiari.
È dunque necessaria una formazione specifica in questo ambito, mentre non di rado i professionisti che sono chiamati ad operare e accompagnare le famiglie nelle diverse fasi di questi tortuosi percorsi possono avvalersi della propria esperienza personale (preziosa, ma non sufficiente), spesso senza aver potuto acquisire quelle competenze scientifiche approfondite, indispensabili per poter intervenire in situazioni così complesse. La ricerca scientifica, che ha fatto molti passi in avanti, e l’intervento concreto sembrano viaggiare su binari paralleli senza mai incontrarsi e dialogare. Per esempio le ricerche mostrano in modo inequivocabile un ampio “vantaggio” anche nel lungo periodo dei bambini in affido rispetto ai minori che rimangono in struttura residenziale.
In altri termini, i ragazzi che hanno fatto esperienza dell’affido presentano meno problemi emotivi e comportamentali rispetto ai ragazzi cresciuti in comunità per minori. Certamente sono più in difficoltà rispetto a coloro che sono sempre vissuti nella propria famiglia, ma in misura decisamente più contenuta rispetto a coloro che restano in comunità.
E ciò vale a maggior ragione per l’adozione che consente un sorprendente recupero non solo dal punto di vista dello sviluppo cognitivo e del processo di attaccamento, ma anche da quello della crescita psico-fisica, come mostrano alcune ricerche condotte dal Centro di ateneo Studi e ricerche sulla famiglia.
In breve: nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di percorsi che hanno esiti positivi, nonostante gli ineliminabili fattori di rischio, riconducibili prevalentemente alla storia pregressa del minore che non può essere cancellata.
Dunque l’affido, così come l’adozione, costituiscono di fatto una valida alternativa quando l’allontanamento dal nucleo di origine risulta inevitabile (e ciò va ovviamente appurato con molta cura) in quanto garantiscono un contesto adeguato per lo sviluppo e la possibilità di sperimentare legami familiari saldi e continuativi. Parliamo in questi casi di genitorialità sociale ovvero di una genitorialità che si basa sulla capacità di allargare i confini familiari e accogliere in quanto figlio (“a tempo” nell’affido e “per sempre” nell’adozione) un figlio nato da altri.
Certo non si tratta di percorsi lineari e per questo è necessario il supporto efficace del contesto sociale e in particolare degli operatori dei servizi. E le competenze richieste devono necessariamente spaziare a 360°, dall’ambito giuridico a quello sociale, a quello psicologico e medico (dalla pediatria alle neuroscienze). Gli operatori in questi casi si trovano a doversi interfacciare con professionisti di ambiti diversi, con cui non sempre è immediato un dialogo, in quanto portatori di saperi assai differenti.
La nostra università da tempo si è attrezzata per cercare di fornire risposte concrete alla necessità di competenze professionali specifiche. Nel piano di studi sia dei futuri psicologi clinici sia degli assistenti sociali sono stati inseriti corsi che trattano nello specifico di queste temi, come è chiaro dal titolo stesso degli insegnamenti.
Ma si è pensato anche ad una formazione di secondo livello per quanti già operano o intendono operare in questo settore mediante la proposta di un master realizzato nell’ottica di implementare la costruzione di una competenza specifica propriamente interdisciplinare nel campo dell’affido, dell’adozione e dell’accoglienza familiare.
L’Università Cattolica, infatti, per iniziativa del Centro di Ateneo Studi e ricerche sulla famiglia, dell’Alta Scuola di Psicologia A. Gemelli, e dell’Istituto degli Innocenti di Firenze con le facoltà di Psicologia, Scienze Politiche e Sociali e Giurisprudenza promuove il Master biennale di II livello (Executive) “Affido, adozione e nuove sfide dell’accoglienza familiare: aspetti clinici, sociali e giuridici”, attualmente alla sua quinta edizione, le cui iscrizioni scadranno il 20 dicembre 2019.
Ai partecipanti viene proposta una metodologia didattica fondata sull’attivazione personale, volta a stimolare la riflessione e tesa a apprendere contenuti attraverso l’esperienza e di mettere pensiero e parola sull’esperienza.
Inoltre è prevista la partecipazione alla settima edizione dell’International Conference on Adoption Research che si svolgerà a Milano dal 7 all’11 luglio 2020 presso l’Università Cattolica.
Rosa Rosnati direttore del Master “Affido, adozione e nuove sfide dell’accoglienza familiare: aspetti clinici, sociali e giuridici” e membro del Centro di Ateneo Studi e ricerche sulla famiglia
www.cattolicanews.it/il-valore-della-genitorialita-sociale
Legami adottivi alla prova: accompagnare le famiglie per prevenire esiti fallimentari
Giovedì 7 novembre 2019 | Lezione aperta 14.00-17.30, Università Cattolica del Sacro Cuore
Aula Pio XI (G.127), Largo Gemelli, 1 Milano
Seminario aperto promosso dal Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia in collaborazione con il Master di II livello Affido, adozione e nuove sfide dell’accoglienza familiare: aspetti clinici, sociali e giuridici. La partecipazione è gratuita con iscrizione obbligatoria (fino ad esaurimento posti).
Per informazioni ed iscrizioni: centro.famiglia@unicatt.it
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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM
Cremona. «Coppie in gioco» e «Siamo padri» due nuovi percorsi.
Sono in partenza due iniziative promosse dal consultorio di Cremona:
v Coppie in gioco è un percorso rivolto alle coppie, pensato per confrontarsi e dialogare riguardo ad alcuni aspetti che entrano in gioco nella relazione tra partner: l’amore, il dialogo, il conflitto, i progetti, le soddisfazioni e le fatiche. Gli incontri si terranno a novembre e saranno condotti dalle dottoresse Polonini e Gentili (psicologhe e psicoterapeute). Le iscrizioni sono aperte fino al 28 di ottobre.
v Siamo padri si rivolge invece a papà di bambini nati nel 2018-2019, che vogliano confrontarsi sull’esperienza della recente paternità nella consapevolezza che un coinvolgimento emotivo e affettivo dei padri facilita lo sviluppo di un attaccamento sicuro nel neonato. Gli incontri si terranno a novembre e saranno condotti dal dr Toni Giorgi (psicologo) e dal dr Mattia Cabrini (educatore).
Per entrambe le iniziative: si tratta di 3 incontri a piccolo gruppo condotti da uno psicologo e un educatore, date e orari sono consultabili nelle locandine allegate. Tutti gli incontri sono gratuiti.
Per info ed iscrizioni scrivere a segreteria@ucipemcremona.it
www.diocesidicremona.it/blog/coppie-in-gioco-e-siamo-padri-due-nuovi-percorsi-al-consultorio-ucipem-di-cremona-21-10-2019.html
Portogruaro. Serate a sostegno della genitorialità
ottobre 2019 – marzo 2020
Il ciclo si aprirà a Cinto Caomaggiore sul tema dell’importanza delle figure materna e paterna per la crescita del bambino. Mamma e papà. Visioni diverse, obiettivo comune. Palazzo Municipio, ore 20.30
“Il compito educativo è molto complesso ma la diversità del ruolo genitoriale ci viene in soccorso; Parliamo di ruolo materno e ruolo paterno, non necessariamente incarnati rispettivamente da mamma e papà. Il ruolo materno è il nido che accoglie e protegge, il pavimento che sorregge; il ruolo paterno è la forza che rompe la circolarità materna, il muro che protegge e che limita. Il materno è tutto ciò che tiene vicino, che si prende cura, che comprende. Il paterno è ciò che spinge ad affrontare il pericolo, che insegna la libertà. Quindi materno e paterno come due strumenti che insieme danno vita alla sinfonia perfetta. Il legame familiare costituito da questi due poli permette di armonizzare la tendenza all’identificazione e all’appartenenza e la tendenza all’allontanamento e alla separazione. Se manca uno dei due poli siamo in presenza di un legame disfunzionale. Fondamentale diventa la stretta relazione tra la parola della madre e quella del padre, l’una deve rendere autorevole l’altra. Solo con la giusta modulazione di questo delicato equilibrio il bambino può accedere alla realtà sociale e quindi tessere nuovi legami, diventare un buon adulto, capace di trovare soddisfacimento da ciò che la vita gli offre. Anna Gaiarin
www.consultoriofamiliarefondaco.it
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DALLA NAVATA
XXVII Domenica del Tempo ordinario- Anno C – 6 ottobre 2019
Abacuc 02, 04. Ecco, soccombe colui che non ha l’animo retto, mentre il giusto vivrà per la sua fede.
Salmo 94, 02. Accostiamoci a lui per rendergli grazie, a lui acclamiamo con canti di gioia.
2 Timòteo 01, 14. Custodisci, mediante lo Spirito Santo che abita in noi, il bene prezioso che ti è stato affidato.
Luca 17, 05. In quel tempo, gli apostoli dissero al Signore: «Accresci in noi la fede!».
Servi “inutili” cioè senza secondi fini, che si donano
Per capire la domanda degli apostoli: “accresci in noi la fede”, dobbiamo riandare alla vertiginosa proposta di Gesù un versetto prima: se tuo fratello commetterà una colpa sette volte al giorno contro di te e sette volte al giorno ritornerà a te dicendo: “sono pentito”, tu gli perdonerai.
Sembra una missione impossibile, ma notiamo le parole esatte. Se tuo fratello torna e dice: sono pentito, non semplicemente: “scusa, mi dispiace” (troppo comodo!) ma: “mi converto, cambio modo di fare”, allora tu gli darai fiducia, gli darai credito, un credito immeritato come fa Dio con te; tu crederai nel suo futuro. Questo è il perdono, che non guarda a ieri ma al domani; che non libera il passato, libera il futuro della persona.
Gli apostoli tentennano, temono di non farcela, e allora: “Signore, aumenta la nostra fede”. Accresci, aggiungi fede. È così poca! Preghiera che Gesù non esaudisce, perché la fede non è un “dono” che arriva da fuori, è la mia risposta ai doni di Dio, al suo corteggiamento mite e disarmato.
«Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “sradicati e vai a piantarti nel mare” ed esso vi obbedirebbe». L’arte di Gesù, il perfetto comunicatore, la potenza e la bellezza della sua
Immaginazione: alberi che obbediscono, il più piccolo tra i semi accostato alla visione grandiosa di gelsi che volano sul mare!
Ne basta poca di fede, anzi pochissima, meno di un granello di senape. Efficace il poeta Jan Twardowski: «anche il più gran santo/ è trasportato come un fuscello/ dalla formica della fede».
Tutti abbiamo visto alberi volare e gelsi ubbidire, e questo non per miracoli spettacolari – neanche Gesù ha mai sradicato piante o fatto danzare i colli di Galilea – ma per il prodigio di persone capaci di un amore che non si arrende. Ed erano genitori feriti, missionari coraggiosi, giovani volontari felici e inermi.
La seconda parte del vangelo immagina una scena tra padrone e servi, chiusa da tre parole spiazzanti: quando avete fatto tutto dite “siamo servi inutili”.
Guardo nel vocabolario e vedo che inutile significa che non serve a niente, che non produce, inefficace. Ma non è questo il senso nella lingua di Gesù: non sono né incapaci né improduttivi quei servi che arano, pascolano, preparano da mangiare. E mai è dichiarato inutile il servizio. Significa: siamo servi senza pretese, senza rivendicazioni, senza secondi fini. E ci chiama ad osare la vita, a scegliere, in un mondo che parla il linguaggio del profitto, di parlare la lingua del dono; in un mondo che percorre la strada della guerra, di prendere la mulattiera della pace. Dove il servizio non è inutile, ma è ben più vero dei suoi risultati: è il nostro modo di sradicare alberi e farli volare.
Padre Ermes Ronchi, OSM
www.cercoiltuovolto.it/vangelo-della-domenica/commento-al-vangelo-del-6-ottobre-2019-p-ermes-ronchi
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DONNE NELLA CHIESA
Donne per la Chiesa
Lettera dalle donne della chiesa di tutto il mondo in occasione del sinodo per la regione pan-amazzonica
Ai Padri sinodali nostri fratelli in Cristo, agli esperti e agli uditori e uditrici
Come donne credenti guardiamo con attenzione e grande speranza al Sinodo per la Regione Pan-Amazzonica che si apre in questi giorni a Roma. Riconosciamo la portata storica e rivoluzionaria di questo sinodo che si lascia interrogare contemporaneamente dalle sfide pastorali e di salvaguardia del pianeta che si stanno ponendo oggi in Amazzonia, con la consapevolezza che, per rispondere a così grandi e gravi urgenze, è necessario partire dal riconoscimento della sapienza dei popoli che ancora oggi mantengono uno stretto e diretto contatto con la natura.
Accompagniamo i lavori dei padri sinodali e di tutti i partecipanti ed esperti con la nostra preghiera e l’offerta del nostro quotidiano impegno per una Chiesa sempre più evangelica e al servizio dei popoli, nella concretezza dei luoghi e dei tempi in cui questi popoli vivono.
L’autenticità della nostra vicinanza e preghiera non nasconde però l’amarezza per il perpetrarsi dell’ingiusto impedimento, alle donne che prenderanno parte ai lavori, di votare il documento finale che pure avranno collaborato a elaborare. Ancora una volta le decisioni che riguarderanno un’enorme regione composta da uomini e donne, verranno prese da soli uomini, e sentiamo ancora risuonare le parole del cardinale Léon-Joseph Suenens al Concilio Vaticano II quando disse “dov’è l’altra metà della Chiesa?”. Oggi è presente, ma minoritaria, aggiunta e senza diritto di voto.
Siamo comunque fiduciose nell’azione dello Spirito e interessate in particolare a quanto emergerà rispetto alla questione aperta nel documento preparatorio laddove si dice: “occorre individuare quale tipo di ministero ufficiale possa essere conferito alla donna, tenendo conto del ruolo centrale che le donne rivestono oggi nella Chiesa amazzonica”.
Pur consapevoli delle difformità dei contesti, siamo convinte che in tutto il mondo le donne rivestano un ruolo centrale nella Chiesa, pur non avendo un ministero ufficiale, e pertanto confidiamo nella creatività dello Spirito e nella docile e coraggiosa obbedienza a quanto suggerirà.
E che quanto si farà per l’Amazzonia possa, nei giusti tempi e modi, giungere fino a noi.
Attendiamo con cuore aperto, ma senza timore di guardare negli occhi e chiedere ragione delle scelte che verranno prese dai fratelli vescovi, in unione con il vescovo di Roma.
Buon lavoro, buon discernimento.
Le vostre sorelle in Cristo.
Catholic women speak Donne per la Chiesa Voices of Faith Women’s ordination conference
Pubblicato Paola Lazzarini 28 settembre 2019
Il prossimo 6 ottobre è convocato a Roma il Sinodo dei Vescovi sulla Regione Pan-Amazzonica, un momento di riflessione collegiale sulle sfide pastorali e ambientali di quella immensa regione. Pur avendo partecipato attivamente alla stesura del documento preparatorio e pur partecipando in un discreto numero ai lavori, nessuna donna potrà votare al Sinodo.
Un caro saluto!!! Staff Donne per la Chiesa
www.donneperlachiesa.it/2019/09/28/729/#respond
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FIGLIO PREFERITO
Un genitore può avere un figlio preferito?
“Ogni scarrafone è bello a mamma soja” cantava Pino Daniele per dire che alla mamma appare bello ogni suo figlio. Un punto questo che viene riprodotto in varie “salse”, in tanta produzione letteraria e cinematografica che ha più o meno a che fare con il mondo dell’infanzia. Si pensi al riguardo alla terribile scelta che si impone nel film “La scelta di Sophie”, ad una madre deportata ad Auschwitz, insieme ai suoi due figlioletti. Per chi non ne avesse ancora sentito parlare, il film tocca l’esperienza drammatica dei campi di concentramento che esporrà Sophie a scegliere chi salvare tra i suoi due figli, consegnando alla morte l’altro. Una riduzione filmica che affronta a muso duro la relazione diversa che può legare il genitore al figlio, e che da che mondo e mondo, non finisce mai d’interrogare.
Abbandonando le aberrazioni a cui si può giungere in epoche attraversate dalle atrocità della guerra, torniamo ai tempi nostri e cerchiamo di approfondire come questo rapporto privilegiato con i figli possa anche celare delle “insidie” tali da far naufragare la relazione dei genitori con l’altro figlio. Tra le situazioni a rischio, va sicuramente rammentata l’eventuale naturale inclinazione che il genitore dovesse nutrire per un figlio piuttosto che per un altro. Situazione che, come si vedrà nel prosieguo, può essere più frequente di quanto si sia disposti ad ammettere in prima battuta, ma che non va nemmeno più di tanto demonizzata.
Se, infatti, dal punto di vista naturale e giuridico si diventa genitori all’atto della nascita di un figlio, la genitorialità vera la si sperimenta giorno dopo giorno dinnanzi alle prove che la vita pone dinnanzi. Non a caso si dice che “genitori non si nasce, ma si diventa”.
Un genitore può avere un figlio preferito? Se anche tu sei genitore di più di un figlio e ti sei magari pure trovato dilaniato da latenti sensi di colpa per eventuali differenze nelle relazioni che senti di avere con ciascuno di loro, potrebbe tornare utile leggere questo approfondimento.
Che fare, dunque, se in cuor proprio si è già data risposta affermativa al quesito anzidetto? In primis, la presa di consapevolezza di questo stato di cose è già di per sé positiva, in quanto va sempre guardata in faccia la realtà per quella che è, senza troppi giudizi. Una volta presa coscienza della situazione, sarà poi utile fare un po’ di vuoto interiore per cercare di approfondire cosa possa aver determinato nel tempo questo stato di cose che vede da una parte il cocco dei genitori e dall’altro la cosiddetta “pecora nera”.
Il figlio preferito nel corso della storia. Andando indietro nel tempo, sarà capitato d’imbattersi nella parola “maggiorasco”; ebbene con l’espressione diritto di maggiorasco o maggiorascato, ci si intendeva riferire ad un ben specifico istituto esistente nell’antico sistema successorio. In forza di tale istituto, quindi, il figlio primogenito aveva titolo per diventare unico erede dell’intero patrimonio familiare. Una realtà, questa, come si vedrà nel prosieguo, neanche lontanamente pensabile ai nostri giorni e se messa in pratica, da considerarsi contro la legge.
Le ragioni che portano a preferire un figlio. Scandagliando le potenziali ragioni che possono dare origine a questa predilezione di un figlio rispetto agli altri, possono annoverarsi varie situazioni.
- Le affinità elettive. E’ questo il caso che può verificarsi quando uno dei figli presenta naturalmente maggiori somiglianze fisiche o caratteriali con uno dei genitori che, volenti o nolenti, possono mettere in atto una serie di reazioni a catena per cui un genitore o anche entrambi possono sentire un senso di maggiore comunanza di idee con un figlio. Se, ad esempio, un padre, grande storico e letterato, dovesse avere due figli, di cui uno amante dello studio e della cultura in genere e l’altro tutto sport e motori, sarebbe sin da ora intuibile la sua maggiore affinità con uno e non con l’altro.
Le affinità, infatti, non solo permettono di capirsi al volo, alle volte senza nemmeno proferire parola, ma anche di condividere maggiori esperienze che nel lungo periodo porteranno facilmente gli spiriti affini a cercarsi più spesso per un confronto, uno scambio di vedute o una conferma del proprio punti di vista.
- Le personalità più o meno problematiche. Altre volte, invece si potrebbe tendere semplicemente a preferire il figlio che dà meno problemi. Se infatti al rientro a casa dopo una giornata faticosa di lavoro e commissioni da sbrigare, ci si trova davanti un figlio amorevole e responsabile che ti salta al collo, e che nel suo essere diligente ha già sbrigato tutti i compiti e che non vede l’ora di condividere con i genitori i successi riportati a scuola è un balsamo che ripaga da tutte le fatiche.
Tutt’altra cosa se il figlio ti apre la porta d’ingresso e ti spiattella tutte le marachelle che ha combinato a scuola con annesse note disciplinari da leggere e controfirmare sul diario. Se, infatti, i successi scolastici e di vita del figlio possono dare al genitore la conferma che sta ricoprendo egregiamente il suo ruolo, una crescita problematica dei figli potrebbe mettere in atto una serie di sensi di colpa a nastro nei genitori. Non è, infatti, un caso se dinnanzi a realtà familiari problematiche e a comportamenti patologici dei figli, terapeuti e psicologi chiamino in causa anche i genitori per un cammino di crescita e maturazione per i figli e con i figli.
- Il complesso di Edipo– Dato per assodato che possono esistere delle sostanziali differenze nelle relazioni tra genitori e figli, è bene anche considerare quello che in psicanalisi viene definito come “complesso di Edipo”. Con questa espressione, che rimanda al protagonista di uno dei più celebri miti della letteratura greca (Edipo appunto), s’intende richiamare alla mente lo stato emotivo di amore e di ostilità che il bambino vive tra i tre e i cinque anni circa nei confronti del genitore di sesso opposto.
Per cui, il bambino è ostile al padre perché gli sottrae l’amore della madre, mentre la bambina tende a lottare per avere tutte le attenzioni del padre. Dal punto di vista genitoriale, questo potrebbe significare che la bambina, senza alcuno sforzo particolare, diventa la “principessina di papà”, mentre il figlio maschio diventa il cosiddetto “cocco di mamma”.
Come può ben intuirsi, anche in questo caso le relazioni tra genitori e figli saranno in qualche modo viziate da predilezioni che trovano le loro radici in motivazioni ancora più inconsce.
Qual è il primo passo da fare in caso di discriminazioni tra figli? Se quindi si è preso atto che i figli, per un motivo o l’altro, non sono proprio uguali per i genitori, vediamo cosa si può fare per ridurre al minimo le frustrazioni che potrebbe provare il figlio “messo da parte”. Perché se è vero che le bugie hanno le gambe corte, è pur vero che nemmeno si può essere estremamente espliciti e dichiarare apertamente la propria predilezione. Se quindi ti trovi anche tu a districarti in questo ginepraio di sentimenti contrastanti verso i tuoi figli, la prima cosa da fare, stando a chi ha studiato queste situazioni, è prenderne atto, senza troppi sensi di colpa. In fin dei conti, il genitore, prima di essere tale, è una persona con le sue naturali inclinazioni e se un figlio risponde più di un altro agli stimoli che riceve all’interno del contesto familiare, è immaginabile che il genitore trovi la strada più spianata con la personalità di un figlio rispetto ad un altro.
Per cui, gli esperti, quantomeno in prima battuta, tendono a tranquilizzare i genitori sostenendo che è piuttosto naturale che i figli attivino e risveglino nei grandi emozioni diverse. Per chi poi fosse interessato ad approfondire queste tematiche un libro di sicuro interesse potrebbe essere quello che in francese si intitola: “L’enfant préféré” [2013], ovvero “Il figlio preferito”. Secondo le autrici Catherine Sellenet, Claudine Paque, avere chiaro che ci si sente più vicini a un figlio, piuttosto che a un altro, può essere di estremo aiuto nel tenere sotto controllo i propri atteggiamenti. Quello che, infatti, viene consigliato vivamente di evitare è ferire i figli meno tenuti in considerazione. Perché un conto è ammettere con se stessi una certa inclinazione verso un figlio, ben altra cosa è insistere pesantemente nel trascurare gli altri figli, o peggio ancora nell’esprimere pesanti giudizi negativi, semplicemente perché gli altri figli hanno una personalità radicalmente diversa dalla propria. Nessuno, genitori inclusi, può considerarsi il centro del mondo.
Cosa può fare il genitore che si accorge di fare delle preferenze?Una volta fatto il primo passo di presa di consapevolezza, il genitore che si accorge di fare preferenze potrebbe coinvolgere il consorte e farsi aiutare, in modo che ognuno si dedichi separatamente ai figli. Se ad esempio la madre dovesse avere un debole per il figlio maschio con cui condivide lunghe passeggiate in giro per i boschi di cui entrambi sono appassionati, una cosa saggia potrebbe essere quella di spingere il papà a dedicare uno spazio privilegiato alla figlia.
Basterà, quindi, avere ben chiari quali sono i suoi interessi e proporre qualcosa da fare insieme; per cui se la ragazza dovesse essere un’appassionata di film polizieschi, sarebbe una buona idea che il papà le proponga un pomeriggio da trascorrere insieme in sala cinematografica. Questo doppio binario, se non servirà certo a diminuire agli occhi del figlio meno preferito la predilezione nutrita dal genitore verso il fratello/sorella, al contempo non minerà la sua autostima visto che anch’esso/a potrà sentirsi degno di considerazione di almeno un genitore.
Un altro escamotage potrebbe essere quello di affrontare il tutto con un senso di leggerezza, cioè si potrebbe dire apertamente che visto che non si è affatto tagliati per il parapendio, di cui magari un figlio è appassionatissimo, è meglio che si resti a casa con il fratello per evitare di fare danni.
Altro passo da vagliare potrebbe anche essere quello di cercare di compensare il maggiore spazio concesso ad un figlio, con un regalino da riportare a casa all’altro fratello/sorella, con l’accortezza però di fare doni che siano in linea con la personalità dei figli un po’ meno prediletti. Della serie: se ti concedo meno del mio tempo perché la relazione che ho con te mi risulta più complicata da gestire, sappi però che ti ho sempre nel cuore e che non dimentico che magari sei un appassionato di una certa collezione di fumetti, di cui ti regalo un abbonamento.
Vari, infatti, sono i sistemi con cui è possibile comunicare agli altri, figli inclusi, il proprio affetto e la propria attenzione. Ciò che importa è evitare che ad un figlio si conceda troppo e all’altro nulla; questo, infatti, potrebbe creare seri problemi a livello di crescita e di autostima. Infatti il figlio meno considerato potrebbe pensare: “Se nessuno mi dedica tempo e attenzioni, significa che non sono degno di essere amato e, quindi, non valgo nulla”. Ecco questa è la linea di confine da non varcare mai, se non si vuole poi correre il rischio che il figlio “meno amato” sviluppi patologie e comportamenti problematici tali da richiedere un sostegno terapeutico.
Trattamento parentale differenziale. Con l’acronimo Pdt ci si intende riferire al “Parental differential treatment” ovvero al trattamento parentale differenziale. Di cosa si tratta? Di una situazione di cui ultimamente si sta parlando molto, specie negli Usa, ma che in Italia è solo parzialmente affrontata, con riguardo a questioni legate per lo più all’eredità di famiglia. Così se un genitore, nel disporre del proprio patrimonio costituito da due immobili, dovesse fare delle vistose preferenze tra i figli, lasciando in eredità ad uno una villa e mobili di valore e all’altro una stamberga e poco più, la questione potrebbe, giuridicamente parlando, tradursi nella cosiddetta lesione di quota di legittima, di cui più volte ci si è occupati. Per passare in rassegna le ultime pronunce al riguardo, è sufficiente cliccare
www.laleggepertutti.it/299197_lesione-quota-di-legittima-ultime-sentenze.
La legge italiana distingue la cosiddetta quota disponibile dalla quota di legittima; con quest’ultima espressione, si fa riferimento a quella porzione di eredità di cui il testatore, (cioè chi fa testamento), non può liberamente disporre, perché spettante per legge agli eredi cosiddetti legittimari, quali sono appunto i figli.
Mentre per quota disponibile s’intende quella quota di eredità di cui il testatore può disporre a suo piacimento senza ledere i diritti dei legittimari. In caso di lesione della quota di legittima, il figlio discriminato e leso nella sua parte di eredità legittima, potrà agire con un’azione a tutela dei suoi diritti che la legge chiama “di riduzione”. [art. 553 e ss. Codice civile]
Maria Teresa Biscarini la legge per tutti 01 ottobre 2019
www.laleggepertutti.it/301581_un-genitore-puo-avere-un-figlio-preferito
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FRANCESCO VESCOVO DI ROMA
Peccati. Al vertice orgoglio e arroganza. Meno gravi gola e lussuria. E sul sesso…
Ci sono peccati più gravi e peccati meno gravi. Lo afferma Papa Francesco nel colloquio con i gesuiti del Mozambico che ha incontrato nel recente viaggio in Africa, riportato dal direttore de “La Civiltà Cattolica” Antonio Spadaro e anticipato da Repubblica (24 settembre 2019).
Prima di arrivare a distinguere i peccati, Francesco alza l’indice ancora una volta contro il clericalismo, uno dei peggiori mali, secondo il Papa, che attanagliano oggi la Chiesa. Il clericalismo «ha come diretta conseguenza la rigidità. Non avete mai visto giovani sacerdoti tutti rigidi in tonaca nera e cappello a forma del pianeta Saturno in testa? Dietro a tutto il rigido clericalismo ci sono seri problemi. Una delle dimensioni del clericalismo è la fissazione morale esclusiva sul sesto comandamento» (Non commettere atti impuri, ndr).
Una volta un gesuita «mi disse di stare attento nel dare l’assoluzione, perché i peccati più gravi sono quelli che hanno una maggiore ‘angelicità’: orgoglio, arroganza, dominio. E i meno gravi sono quelli che hanno minore angelicità, quali la gola e la lussuria. Ci si concentra sul sesso e poi non si dà peso all’ingiustizia sociale, alla calunnia, ai pettegolezzi, alle menzogne».
Non è la prima volta che Francesco affronta questo tema. Incontrando un gruppo di giovani francesi, il Papa affermò che «la sessualità, il sesso, è un dono di Dio. Niente tabù. È un dono di Dio, un dono che il Signore ci dà. Ha due scopi: amarsi e generare vita. È una passione, è l’amore appassionato. Il vero amore è appassionato». Parole che sono tornate nella conversazione con i gesuiti (Il Fatto Quotidiano, 25 settembre 2019).
Gelsomino Del Guercio Aleteia 26 settembre 2019
https://it.aleteia.org/2019/09/26/papa-francesco-ecco-quali-sono-i-peccati-piu-gravi-e-quelli-meno-gravi
Messa apertura Sinodo Amazzonia, no a “pastorale di mantenimento” e del “si è sempre fatto così”.
“In nessun modo la Chiesa può limitarsi a una pastorale di ‘mantenimento’, per coloro che già conoscono il Vangelo di Cristo. Lo slancio missionario è un segno chiaro della maturità di una comunità ecclesiale. Perché la Chiesa è sempre in cammino, sempre in movimento, mai deve stare ferma”. Nell’omelia della messa di apertura del Sinodo per l’Amazzonia, il Papa ha citato Benedetto XVI per ricordare che “Gesù non è venuto a portare la brezza della sera, ma il fuoco sulla terra”. “Il dono che abbiamo ricevuto è un fuoco, è amore bruciante a Dio e ai fratelli”, ha ricordato sulla scorta di San Paolo: “Il fuoco non si alimenta da solo, muore se non è tenuto in vita, si spegne se la cenere lo copre. Se tutto rimane com’è, se a scandire i nostri giorni è il ‘si è sempre fatto così’, il dono svanisce, soffocato dalle ceneri dei timori e dalla preoccupazione di difendere lo status quo”.
“Dio non ci ha dato uno spirito di timidezza, ma di forza, di carità e di prudenza”, scrive San Paolo, che “mette la prudenza all’opposto della timidezza”. “Qualcuno pensa che la prudenza è la virtù-dogana, che ferma tutto”, ha aggiunto il Papa a braccio: “No, la prudenza è virtù di vita, anzi è virtù di governo”. Come insegna il Catechismo della Chiesa cattolica, la prudenza “non si confonde con la timidezza o la paura”, ma “è la virtù che dispone a discernere in ogni circostanza il nostro vero bene e a scegliere i mezzi adeguati”. “La prudenza non è indecisione, non è un atteggiamento difensivo”, ha spiegato Francesco: “È la virtù del Pastore, che, per servire con saggezza, sa discernere, sensibile alla novità dello Spirito”.
In quest’ottica, “ravvivare il dono nel fuoco dello Spirito è il contrario di lasciar andare avanti le cose senza far nulla”, ha detto il Papa, che ha esortato i 184 padri sinodali a chiedere la grazia di “essere fedeli alla novità dello Spirito”: “Egli, che fa nuove tutte le cose, ci doni la sua prudenza audace; ispiri il nostro Sinodo a rinnovare i cammini per la Chiesa in Amazzonia, perché non si spenga il fuoco della missione”.
Agenzia Sir 6 ottobre 2019
https://agensir.it/quotidiano/2019/10/6/papa-francesco-messa-apertura-sinodo-amazzonia-no-a-pastorale-di-mantenimento-e-del-si-e-sempre-fatto-cosi-la-prudenza-e-virtu-di-governo
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GENITORIALITÀ
I bambini dimenticati e la distrazione indotta dai media. Sui casi tragici di amnesia paterna
“Si dimentica forse una donna del proprio figlio?” (Isaia 49,25). La sapienza biblica e popolare sa bene che il legame tra madre e figlio, in misura diversa anche tra padre e figlio, è una tale priorità che solo in casi estremi può sopportare “altre priorità”. La cronaca ci dice, tuttavia, che si ripetono casi, nei quali il figlio, per un padre e per una madre, diventa irrilevante, può essere dimenticato, può addirittura scomparire dall’orizzonte. E può morire per questa amnesia. Una dimenticanza di qualche ora può costare la sua vita.
Accade così. Hai sistemato tuo figlio sul seggiolino, dietro di te. Lo fai tutte le mattine. Lo appoggi delicatamente, stringi le cinghie che lo fissano al suo sedile, lo saluti con un sorriso, poi sali davanti e appena hai messo in moto, con un fenomeno assolutamente certo, già il bimbo inizia a socchiudere gli occhi. Dopo due curve, dorme. E’ sempre così. Purtroppo. Perché così il figlio scompare non solo dall’occhio, ma anche dall’orecchio. Diventa parte dell’automobile, impercettibile. Questo effetto di sparizione è accentuato dal fatto che la legge, per buone ragioni, ha vietato di collocare i seggiolini sul sedile davanti, accanto al guidatore. Bambini dietro: è più sicuro, in caso di incidente. Ma la maggiore sicurezza, nel caso limite e accidentale, diventa rischio maggiore, nel caso in cui alla normale “routine” subentri una variante. Può essere una strada chiusa che costringe ad un lungo giro supplementare, oppure una consegna insolita o una commissione imprevista: alterando la sequenza ordinaria, magari con la musica di sottofondo, può portarti a “sentire” di poter filare dritto al mercato, o in ospedale, o in fabbrica, o in ufficio. E corri via, convinto di aver compiuto la solita sequenza, a cui manca però la “consegna alla scuola materna” [dell’infanzia]. Pensi di averlo fatto, ma non lo hai fatto. Non solo la mente, ma il corpo, il tatto, il buon senso, ha immaginato, ma non ha compiuto il gesto. Solo quando te ne ricordi, all’improvviso, ti si gela il sangue nelle vene e provi a rimediare. Ma la macchina chiusa, preservata da ogni filo d’aria esterna, si surriscalda ed è spesso una trappola mortale, che non lascia scampo. E’ troppo tardi. La breve amnesia ha un prezzo insopportabile.
Rileggere sul piano “morale” la dimenticanza è sempre possibile, ed anche necessario, ma rischia di non cogliere il cuore della questione. Le “forme di vita complesse” alle quali siamo costretti nella “società aperta” introducono forme di comportamento in cui la amnesia diventa molto più facile di prima. La sequenza di “stimoli” a cui siamo sottoposti oggi è 100 volte maggiore di quella di 50 anni fa. E mette alla prova la nostra “agenda” in modo drammatico.
Alcune considerazioni, per recuperare la rilevanza di una questione morale, non ridotta al “dovere del soggetto”, ma che tenga conto delle nuove condizioni della esistenza, appare necessaria. Rispondere, come fanno alcuni psicologi, che la causa è “neurologica, non morale” appare giustificato, ma troppo semplicistico. Non nel senso di una “non colpevolizzazione del soggetto”, ma nel senso di una necessaria riflessione sulle condizioni “meta-soggettive” che conducono a questi eventi. Alla domanda “è possibile che un padre si dimentichi della figlia che dorme nel seggiolino e la condanni alla morte per asfissia?” la risposta è: essendo un dato reale, deve essere affrontato seriamente, non soltanto sul registro della colpa. Proviamo a indicare una strada.
I “media”: attenzione e distrazione. Oggi siamo circondati da “media”: con media si intendono non solo telefoni, televisioni, radio, ma anche automobili, seggiolini, semafori, corsie preferenziali, orari…tutto questo esige contemporaneamente un enorme potenziamento di due facoltà che sembrano contraddittorie. Abbiamo bisogno di molta maggiore “attenzione” e insieme di molta maggiore “disattenzione”. La attenzione – che ci rende affettivamente insensibili – pretende da noi una presenza a noi stessi per guidare l’auto, e insieme telefonare, e insieme programmare il navigatore, e insieme rispondere ad un messaggio di posta elettronica. Questa attenzione che i media “pretendono” inclina ad una progressiva distrazione da tutto il resto. Anche da tuo figlio.
Il soggetto paterno e materno si “arma” contro l’assalto di attenzioni che rende distratti. Ma è disarmato verso il “caso imprevisto”. La alterazione della sequenza, che l’accidentale diversione introduce, è travolgente e azzera le risorse, per quante ne possiamo avere. Qui occorre una riflessione diversa. Dobbiamo chiederci: che cosa può interrompere questa progressiva inclinazione alla indifferenza, che deriva precisamente dal bombardamento di attenzioni richieste dai media sempre più sofisticati?
Per resistere alla indifferenza potrebbe essere utile riattivare i canali elementari di rapporto: ossia vista e udito. Un figlio “visibile” e “udibile” non può scivolare nella amnesia. Di fatto la proposta di “seggiolini con allarme” risponde precisamente a questa esigenza. E lo stesso potrebbe essere la riconsiderazione della posizione “anteriore” del seggiolino, che risolverebbe in radice il problema della amnesia, con la visibilità del figlio sempre accanto al guidatore. La “virtualizzazione del rapporto”, che pure permette di curarlo e coltivarlo con finezza, diventa a rischio quando si è alla guida. Forse perché quell’effetto di “dimenticanza di sé” – che notiamo tanto nel bambino, che proprio in auto si addormenta così facilmente – minaccia anche il genitore. La condizione dell’uomo in automobile, non importa se piccolo o grande, è una condizione “di compiutezza cullata”. Una macchina iperaccessoriata, ossia ipermediata, pone le premesse per una maggiore attenzione, ma anche per nuove forme di distrazione. Ad es. i “sensori di parcheggio” sono una grande comodità, ma abbassano la attenzione del soggetto sul reale “esterno”. Se non senti il suono, pensi che non ci sia ostacolo. Inizi ad abituarti a parcheggiare non con gli occhi, ma con le orecchie. Questo diventa però anche una nuova fragilità, se torni a guidare un’auto priva di sensori. Ed alza molto il rischio di incidente in retromarcia: non senti nessun rumore finché non fracassi il paraurti posteriore contro il muro. Così, per comprendere le amnesie tragiche dei padri, anche la “chiusura a distanza” dell’auto rende possibile “imprigionare il figlio” senza neppure toccare l’automobile, senza guardarla, salutando gli amici o ascoltando musica: ossia nella più totale distrazione. Tutte le “comodità” che infiniti “media” ci rendono disponibili e che ci viziano, mettono alla prova la nostra sensibilità ordinaria. E le tendono anche agguati, di cui dobbiamo diventare consapevoli.
Amnesia del padre, amnesia del figlio. La tradizione conosce (e si preoccupa di evitare) la amnesia filiale, il figlio che si dimentica del padre e della madre, mentre quasi non riesce a concepire la amnesia materna/paterna. “Onora il padre e la madre” ha il suo fondamento sul fatto che il padre e la madre non si dimenticano mai di te. Mentre può sempre capitare che il figlio e la figlia si dimentichino della madre o del padre. Questo è un caso molto più frequente. E può assumere la forma di una “amnesia generale” oppure di una “amnesia particolare”. Vorrei raccontare qui il caso di una amnesia particolare, nella quale sono caduto molti anni fa, che ha tratti simili a quelli oggi balzati alla cronaca. Nulla di drammatico, in quel caso, se non una inspiegabile e totale perdita della memoria. Ecco i fatti: da anni la sequenza del giovedì sera, a settimane alterne, era questa: da casa mia, per andare all’incontro di catechesi di Casa Zaccheo, a Savona, passavo sotto casa da mia madre, che aspettava nel portone, ad ora certa, con i dolci preparati per il fine serata, e mi accompagnava all’incontro. Così era stato, da sempre. Ma quella sera, a causa della presenza di un ospite della serata, le cose andarono diversamente: avevo prelevato l’ospite alla stazione, avevo cenato con lui e con altri e poi lo avevo accompagnato direttamente alla sede della conferenza. Poi conferenza, discussione, saluti, ritorno a casa. Alle 23.30, squilla il telefono di casa: mia madre mi dice “sono stata un’ora ad aspettarti e non sei venuto. Non mi sentivo più le gambe. E sono tornata su”. Quella tappa consueta si era completamente volatilizzata, senza lasciare traccia. Ovviamente questo era possibile allora, nella età prima del telefono cellulare, che oggi è rimedio provvidenziale per queste eventualità. Ma ciò che voglio ricordare è la totale perdita di memoria circa la attesa di mia madre. E’ riemersa alla coscienza solo 3 ore dopo, all’improvviso e troppo tardi. Nulla di irreparabile, né di paragonabile, almeno come effetto, ai casi attuali. Ma credo che la dinamica mentale, psicologica e comportamentale sia stata la medesima. Una sequenza abituale, alterata da una presenza e da incombenze eccezionali, ha modificato la coscienza, cancellando alcuni anelli della catena.
La mente, il corpo, la azione rimuove una parte della sequenza, salvo recuperarla come mancante, all’improvviso, qualche tempo dopo. Amnesia paterna, amnesia filiale, forse anche amnesia fraterna sono possibilità di sempre, ma rese più facili da un mondo che, potendo mediare tutto, rende tutti strutturalmente molto più sensibili ma, nello stesso tempo, molto più indifferenti. Non si tratta della colpa di singoli, ma delle forme di vita comuni, che dobbiamo rendere umanamente vivibili, con alcune accortezze antiche e con alcune attenzioni nuove. In questo senso i casi tragici delle amnesie paterne sono “casi morali” di cui dobbiamo occuparci con nuovi strumenti di discernimento.
Andrea Grillo blog Come se non 23 settembre 2019
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INDAGINI RICERCHE
Famiglie in Provincia di Cuneo: bisogni, servizi, nuovi interventi
E’ on line il rapporto di ricerca dell’indagine 2018-2019 su “Famiglie in Provincia di Cuneo: bisogni, servizi, nuovi interventi”, realizzata dal Cisf per la Fondazione CRC. (Cassa di Risparmio di Cuneo)
Rapporto completo in PDF http://newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/attachments/Rapporto-Famiglie-Cuneo.pdf
Rapporto di ricerca Famiglie in provincia di Cuneo: bisogni, servizi, nuovi interventi. Questa analisi è stata promossa e finanziata dalla Fondazione CRC e condotta dal CISF Centro Internazionale Studi Famiglia (Francesco Belletti, Pietro Boffi), con il coordinamento del Centro Studi e Innovazione della Fondazione (Elena Bottasso, Stefania Avetta) in collaborazione con il settore Promozione e solidarietà sociale (Gianluca Olivero).
Si ringraziano tutti i responsabili e gli operatori dei servizi socio assistenziali ed educativi del territorio e tutte le persone che, attraverso la loro partecipazione a interviste e focus group, hanno contribuito allo sviluppo della ricerca. Si ringraziano inoltre i 500 nuclei familiari della provincia di Cuneo che sono stati intervistati nell’ambito dell’indagine diretta.
L’indagine è inserita in un percorso pluriennale di promozione della famiglia e delle politiche ad essa dedicate, che la Fondazione CRC ha voluto promuovere con tutti gli attori pubblici e privati attivi sul territorio.
In particolare è attivo in questi mesi il percorso FamigliARE- Azioni Relazioni Esperienze.
https://www.fondazionecrc.it/index.php/promozione-e-solidarieta-sociale/famigliare
Infografica con i dati di sintesi
https://infogram.com/fondazione-crc-famiglie-in-provincia-di-cuneo-bisogni-servizi-nuovi-interventi-rappordo-di-ricerca-2018-1h0n25jxgl9l6pe
Settembre 2019 newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/attachments/Rapporto-Famiglie-Cuneo.pdf
Il Piano Pluriennale 2018-2021 della Fondazione CRC identifica per la prima volta come ambito prioritario di intervento quello delle “Fragilità delle famiglie e dei nuclei famigliari” al fine di: “promuovere il sostegno alla “normalità fragile” dei nuclei famigliari, attraverso la promozione del benessere e della qualità della vita”. In virtù di questa indicazione, il Programma Operativo 20191 individua, tra i cinque programmi strategici della Fondazione per settore di intervento, il programma “GIOVANI E FAMIGLIE” all’interno del quale è previsto l’avvio dell’iniziativa dedicata al contrasto delle normali fragilità famigliari. Al fine di pervenire a una progettazione dell’iniziativa fondata sulla situazione della provincia di Cuneo, la Fondazione CRC ha condotto, con il coordinamento del Centro Studi e Innovazione e la collaborazione del CISF – Centro Internazionale di Studi sulla Famiglia di Milano, la ricerca “Famiglie in Granda: bisogni, servizi, nuovi interventi”2, realizzando un’indagine diretta su un campione di circa 500 famiglie residenti in provincia di Cuneo, oltre a un significativo approfondimento con testimoni privilegiati del territorio (istituzioni, scuole, terzo settore, associazionismo), coinvolti in focus group e interviste individuali. Alla luce dei risultati della ricerca, verificati con i principali stakeholder della Fondazione, è stato impostato il programma FamigliARE. Azioni, Relazioni, Esperienze [per creare una comunità]. Il programma prevede la realizzazione di un percorso di animazione territoriale e progettazione partecipata, per pervenire alla definizione di proposte progettuali da parte di reti della comunità locale, da presentare alla Fondazione CRC attraverso la partecipazione a un bando in due fasi (fase 1. Raccolta di idee progettuali e fase 2. Raccolta di proposte di dettaglio).
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MATERNITÀ
Indennità di maternità: ultime sentenze
Ecco le ultime sentenze su: indennità di maternità; esclusione del diritto all’indennità di maternità; lavoratrice dipendente e lavoratrice autonoma; previdenza dei liberi professionisti; tutela della maternità e tutela del disabile; cassa forense.
L’assegno di maternità. Deve dichiararsi rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 151 del 2001, art. 74, in relazione agli artt. 3 e 31 Cost. e art. 117 Cost., comma 1, quest’ultimo in relazione agli artt. 20,21,24,31 e 34 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (CDFUE), proclamata a Nizza il 7 dicembre 2000 e adattata a Strasburgo il 12 dicembre 2007, nella parte in cui richiede ai soli cittadini extracomunitari, ai fini dell’erogazione dell’indennità di maternità, anche la titolarità del permesso unico di soggiorno, anziché la titolarità del permesso di soggiorno e di lavoro per almeno un anno, in applicazione della disposizione generale contenuta nel D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 41.
Cassazione civile sez. lav., 17/06/2019, n.16163
Previdenza dei liberi professionisti. In tema di previdenza dei liberi professionisti, l’indennità di maternità prevista dall’art. 70 del d.lgs. n. 151 del 2001, che, in forza della sentenza auto-applicativa n. 385 del 2005 della Corte costituzionale, va estesa anche al lavoratore padre, non è suscettibile di moltiplicazione nell’ipotesi di parto o adozione plurimi, atteso che dal complessivo sistema delle tutele parentali si desume che il legislatore ha inteso garantire il sostegno alle famiglie con più figli nati dall’unico parto o adottati nello stesso momento attraverso il prolungamento dei periodi di riposo o congedo, avuto altresì riguardo alla natura dell’indennità, compensativa di eventuali flessioni del reddito professionale derivanti dalla nascita o adozione, restando irrilevante il numero dei figli. Cassazione civile sez. lav., 29/05/2019, n.14676
Madre lavoratrice autonoma: l’indennità di maternità. L’utilizzo da parte del padre lavoratore dipendente dei riposi giornalieri previsti dall’art. 40 del d.lgs. n. 151 del 2001 non è alternativo alla fruizione dell’indennità di maternità della madre lavoratrice autonoma la quale, a differenza della lavoratrice dipendente, può rientrare al lavoro in qualsiasi momento dopo il parto, e dunque anche mentre sta godendo della suddetta indennità, cosicché, potendo entrambi i genitori lavorare subito dopo l’evento della maternità, risulta maggiormente funzionale affidare agli stessi la facoltà di decidere le modalità di fruizione dei permessi al fine di garantire l’assistenza e protezione della prole, salvi i limiti temporali previsti dalla legge, senza che rilevi la sovrapposizione, in tutto o in parte, dei due benefici in capo ai distinti beneficiari.
Cassazione civile sez. lav., 12/09/2018, n.22177
Assistenza del coniuge o del figlio portatore di handicap: diniego dell’indennità di maternità. È costituzionalmente illegittimo l’art. 24, comma 3, d.lgs. 26 marzo 2001, n. 151, nella parte in cui non esclude dal computo di sessanta giorni immediatamente antecedenti all’inizio del periodo di astensione obbligatoria dal lavoro il periodo di congedo straordinario previsto dall’art. 42, comma 5, d.lgs. n. 151 del 2001, di cui la lavoratrice gestante abbia fruito per l’assistenza al coniuge convivente o a un figlio, portatori di handicap in situazione di gravità accertata ai sensi dell’art. 4, comma 1, l. 5 febbraio 1992, n. 104.
Nel negare l’indennità di maternità alla madre che, all’inizio del periodo di astensione obbligatoria, benefici da più di sessanta giorni di un congedo straordinario per l’assistenza al coniuge o al figlio in condizioni di grave disabilità, la disposizione censurata sacrifica in maniera arbitraria la speciale adeguata protezione che l’art. 37, comma 1, Cost. — e, in termini generali l’art. 31, comma 2, Cost. — accorda alla madre lavoratrice e al bambino.
L’assetto prefigurato dal legislatore, inoltre, attua un bilanciamento irragionevole nei confronti di due princìpi di primario rilievo costituzionale, la tutela della maternità e la tutela del disabile. Con l’imporre una scelta tra l’assistenza al disabile e la ripresa dell’attività lavorativa per godere delle provvidenze legate alla maternità, la disciplina censurata determina l’indebito sacrificio dell’una o dell’altra tutela. In tal modo essa entra in contrasto con il disegno costituzionale che tende a ravvicinare le due sfere di tutela e a farle convergere, nell’alveo della solidarietà familiare, oltre che nelle altre formazioni sociali.
La tutela della maternità e la tutela del disabile, difatti, pur con le peculiarità che le contraddistinguono, non sono antitetiche, proprio perché perseguono l’obiettivo comune di rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana (art. 3, comma 2, Cost.) (sentt. nn. 106 del 1980, 1 del 1987, 332 del 1988, 61, 132 del 1991, 423 del 1995, 361 del 2000, 405 del 2001, 233 del 2005, 158 del 2007, 19 del 2009, 203 del 2013, 205 del 2015). Corte Costituzionale, 13/07/2018, n.158
Padre adottivo o affidatario: può essere negato il diritto dell’indennità di maternità? L’esclusione del diritto all’indennità di maternità al padre adottivo o affidatario che esercita una libera professione rappresenta un vulnus sia del principio di parità di trattamento tra le figure genitoriali e fra lavoratori autonomi e dipendenti, sia del valore della protezione della famiglia e della tutela del minore, contraddicendo la ratio degli istituti a tutela della maternità, che non hanno più, come in passato, il fine precipuo ed esclusivo di protezione della donna, ma sono destinati alla difesa del preminente interesse del bambino.
Corte Costituzionale, 23/05/2018, n.105
Lavoratrice: trattamento economico. In tema di indennità di maternità, il trattamento economico spettante alla lavoratrice va determinato nel “quantum” con esclusivo riferimento alla “retribuzione-parametro” di cui all’art. 23 del d.lgs. n. 151 del 2001, mentre il rinvio dell’art. 22 dello stesso decreto ai criteri previsti per l’erogazione delle prestazioni dell’assicurazione obbligatoria contro le malattie va limitato ai soli istituti che disciplinano tale indennità, quali ad esempio quelli in tema di domanda amministrativa o regime prescrizionale. Cassazione civile sez. lav., 11/05/2018, n.11414
Padre libero professionista: spetta l’indennità di maternità? Stante la natura auto-applicativa della pronuncia Corte cost. n. 385/2005, il libero professionista che adotti un bambino (nella specie, nelle forme dell’adozione internazionale) ha diritto all’indennità di maternità ex art. 72 D.lg. n. 151/2001, in alternativa alla madre. Cassazione civile sez. lav., 27/04/2018, n.10282
L’indennità di maternità per avvocati. L’indennità di maternità dovuta alle libere professioniste esercenti la professione legale, in caso di gravidanza iniziata nel periodo antecedente al 29 ottobre 2003, data di entrata in vigore della l. n. 289 del 2003, che ha modificato – senza efficacia retroattiva – l’art. 70 del d.lgs. n. 151 del 2001, non soggiace in ogni caso al più favorevole regime reddituale previsto dall’originaria formulazione di tale norma, in quanto, al fine di individuare la disciplina applicabile, non essendovi prima alcun diritto ad ottenere la prestazione, si deve avere riguardo al compimento del sesto mese di gravidanza, che segna il passaggio agli ultimi due mesi, sicché la nuova disciplina troverà applicazione se già entrata in vigore in tale momento. Cassazione civile sez. lav., 12/12/2017, n.29757
Indennità di maternità e cassa forense. In base al combinato disposto degli art. 70 e 71 D.lg. n. 151 del 2001, all’avvocato che ha comunicato alla cassa forense di avere percepito l’indennità di maternità a carico di altro ente previdenziale (nella specie, Inpdap) in relazione ad un contemporaneo rapporto di lavoro part-time, è preclusa la percezione dell’indennità di maternità anche dalla cassa forense.
Cassazione civile sez. lav., 16/11/2017, n.27224
Retrodatazione dell’iscrizione delle lavoratrici autonome negli elenchi di categoria. In tema di indennità di maternità da corrispondere alle professioniste da parte degli enti che gestiscono forme obbligatorie di previdenza, ai fini del riconoscimento del diritto alla indennità di maternità è determinante l’iscrizione della lavoratrice negli elenchi di categoria. La retrodatazione della iscrizione, eventualmente effettuata dalla competente autorità amministrativa, comporta per la lavoratrice autonoma l’obbligo del versamento dei contributi, ma non il diritto alle prestazioni previdenziali, essendo tale diritto legato alla compresenza di molteplici requisiti, tra i quali l’assolvimento, da parte della lavoratrice medesima, del dovere-onere di tempestiva denuncia dell’insorgenza dei presupposti di legge prescritti per l’assicurazione.
Tribunale Ravenna sez. IV, 28/09/2017, n.298
Ecco i requisiti per aver diritto all’indennità di maternità per gli iscritti alla gestione separata:
- per le collaboratrici e le libere professioniste madri è obbligatoria l’iscrizione alla gestione separata in via esclusiva, col versamento dell’aliquota aggiuntiva dello 0,72% per almeno 3 mensilità nei 12 mesi precedenti i 2 mesi anteriori alla data del parto;
- in caso di adozione o affidamento, è obbligatoria l’iscrizione alla gestione separata in via esclusiva, col versamento dell’aliquota aggiuntiva dello 0,72% per almeno 3 mensilità nei 12 mesi precedenti i 2 mesi anteriori all’ingresso in famiglia del bambino, a prescindere dall’età al momento dell’adozione o dell’affidamento, fino al compimento della maggiore età dello stesso;
- per i collaboratori e i liberi professionisti padri, è obbligatoria l’iscrizione alla gestione separata in via esclusiva, col versamento dell’aliquota aggiuntiva dello 0,72% per almeno 3 mensilità nei 12 mesi precedenti i 2 mesi anteriori alla data del parto; è inoltre necessario che si sia verificata la morte o la grave infermità della madre o l’abbandono del bambino, oppure l’affidamento esclusivo al padre;
- in caso di adozione o affidamento, è obbligatoria l’iscrizione alla gestione separata in via esclusiva, col versamento dell’aliquota aggiuntiva dello 0,72% per almeno 3 mensilità nei 12 mesi precedenti i 2 mesi anteriori all’ingresso in famiglia del bambino, a prescindere dall’età al momento dell’adozione o dell’affidamento, fino al compimento della maggiore età dello stesso; è inoltre necessario che si sia verificata la morte o la grave infermità della madre o l’abbandono del bambino, oppure l’affidamento esclusivo al padre, oppure, in alternativa, che la madre non abbia richiesto l’indennità.
Per gli iscritti alla gestione separata, l’indennità di maternità ha la seguente durata:
- per le collaboratrici e le libere professioniste madri, spetta per i 2 mesi antecedenti la data del parto e per i 3 mesi successivi;
- per i collaboratori e i liberi professionisti padri che hanno diritto all’indennità sostitutiva, spetta per i 3 mesi successivi alla data effettiva del parto, o per il periodo residuo che sarebbe spettato alla madre;
- in caso di affidamento o adozione, l’indennità spetta per 5 mesi, che decorrono:
- dal giorno successivo all’effettivo ingresso del minore nella famiglia, in caso di adozione nazionale;
- dall’ingresso del minore in Italia, se l’adozione è internazionale; in questo caso, ferma restando la durata complessiva, il congedo può essere fruito (anche parzialmente) prima dell’ingresso in Italia, durante il periodo di permanenza all’estero richiesto per l’incontro con il minore e gli adempimenti relativi alla procedura adottiva;
- in caso di parto prematuro, cioè in anticipo rispetto alla data presunta, ai giorni di astensione obbligatoria successivi al parto si aggiungono quelli non goduti prima del parto stesso; se il parto si verifica prima dei 2 mesi antecedenti alla data presunta del parto, il congedo si calcola aggiungendo ai 3 mesi successivi al parto tutti i giorni compresi tra la data effettiva e quella presunta del parto, risultando così di durata complessivamente maggiore rispetto al periodo di 5 mesi previsto nella generalità delle ipotesi.
- Se il neonato è ricoverato, la madre (o il padre) può sospendere il congedo di maternità (o di paternità) dopo il parto, a prescindere dal motivo del ricovero del bambino e purché le condizioni di salute siano compatibili con la ripresa dell’attività lavorativa.
L’indennità di maternità viene corrisposta alla collaboratrice, o alla libera professionista, direttamente dall’Inps; per ottenerla, l’interessata (o l’interessato) deve presentare un’apposita domanda, esclusivamente in vi….a, attraverso i seguenti canali:
- sito web dell’Inps, tramite codice Pin dispositivo, Spid o carta nazionale dei servizi;
- call center dell’Inps, al numero 803.164 o 06.164.164 da telefono mobile; occorre comunque il codice pin dispositivo;
- patronato.
In caso di richiesta tramite web, la documentazione utile per ottenere l’indennità può essere allegata in un’apposita sezione dell’applicazione.
Il diritto all’indennità di maternità si prescrive entro un anno dalla fine del periodo indennizzabile.
Redazione La legge per tutti 01 ottobre 2019
www.laleggepertutti.it/302327_indennita-di-maternita-ultime-sentenze
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MIGRANTI
Tutti i numeri del XXVIII Rapporto Immigrazione Caritas-Migrantes
L’Italia, con 5.255.503 cittadini stranieri regolarmente residenti (8,7% della popolazione totale residente in Italia) si colloca al terzo posto nell’Unione Europea. Gli occupati stranieri sono cresciuti rispetto al primo semestre 2017 (+2,5%). Nell’anno scolastico 2017/2018 gli alunni stranieri nelle scuole italiane sono 841.719 (9,7% della popolazione scolastica). Nel corso della campagna elettorale 2018 si sono registrati 787 commenti e dichiarazioni di incitamento all’odio, il 91% delle quali ha avuto come oggetto i migranti.
Sono 5,255 milioni i cittadini stranieri regolarmente residenti in Italia, cioè l’8,7% della popolazione totale. È il dato sintetico contenuto nel XXVIII Rapporto Immigrazione presentato da Caritas e Migrantes all’Oratorio del Caravita di Roma, dove proprio in questi giorni si sta concludendo la mostra Exodus, 16 grandi tele del pittore bosniaco Safet Zec sul dramma dei profughi.
«Si tratta di oltre 5 milioni di persone che vivono e lavorano accanto a noi, non si tratta solo di migranti ma della società italiana», ha detto Simone Varisco di Migrantes, che ha curato il Rapporto. «Esiste il rischio di focalizzare l’attenzione sul problema dei profughi, che sono solo una parte del fenomeno. Un fenomeno che non è certo quel fiume in piena che si è cercato di descrivere: ad esempio l’incidenza degli alunni con cittadinanza straniera (841 mila nell’anno scolastico 2017-18 dei quali il 63,8% nati in Italia e il 9,7% dell’intera popolazione scolastica) è fermo fra il 9 e il 10% del totale da circa un decennio», ha aggiunto. Varisco ha anche spiegato che i 65.444 bambini nati in Italia nel 2018 da genitori stranieri rappresentano il 14,9% delle nascite e sono stati il 3,7% in meno rispetto al 2017. In regresso anche le acquisizioni di cittadinanza: 112.523 nel 2018, meno 23,2% rispetto al 2017, dati che rischiano di incidere negativamente sulla decrescita generale del Paese.
«Dobbiamo rammendare il tessuto sociale dell’Italia: non si tratta solo di immigrati, ma del perpetuarsi della divisione tra “noi” e “loro”, tra italiani e stranieri, tra i “nostri” problemi e i “loro” problemi, tra i “nostri” sogni e i “loro” sogni. Dobbiamo togliere spazi d’ombra e aprire spazi di luce nei quali possa affermarsi una cultura nuova», ha commentato il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Conferenza episcopale italiana. «I pericoli non si esauriscono nella tratta degli esseri umani o nella spesso tragica traversata del Mediterraneo, ma dobbiamo tornare a quello che ci ha detto il Papa Francesco lo scorso anno: accogliere, proteggere, promuovere, integrare», ha aggiunto il presidente della Cei.
A proposito del Papa, il Rapporto segnala una particolarità tutta italiana: nei social media un hater [coloro che esternano e diffondono odio nei confronti di altri individui per mezzo delle reti sociali]su tre si scatena contro lo “straniero”, ma c’è un particolare «rapporto critico – a tratti violento – di una parte degli utenti italiani di Twitter con il Pontefice, in una mescolanza di biasimo sociale, politico e religioso, soprattutto in tema di immigranti, tale da configurarsi come caso unico a livello mondiale».
La sintesi dei numeri del Rapporto
v Mondo. Nel 2017 (ultimi dati ONU disponibili) sono 257,7 milioni le persone che nel mondo vivono in un Paese diverso da quello di origine. Dal 2000 al 2017 il numero delle persone che hanno lasciato il proprio Paese di origine è aumentato del 49%. Nel 2017 i migranti rappresentano il 3,4% dell’intera popolazione mondiale, rispetto al 2,9% del 1990. Nel 2017 l’Asia ospita il 30,9% dei migranti mondiali, seguita da Europa (30,2%), America del Nord (22,4%), Africa (9,6%), America Latina (3,7%) e Oceania (3,3%). Fra i corridoi internazionali più consistenti, si segnalano quello Asia-Asia (circa 63 milioni di migranti internazionali nel 2017), quello Europa-Europa (circa 41 milioni), quello fra America Latina-Caraibi e Nord America (oltre 26 milioni), il corridoio Asia-Europa (oltre 20 milioni) e quello Africa-Africa (oltre 19 milioni).
v Europa. Nel 2018 nel continente europeo risiede il 30,2% del totale dei migranti a livello globale, mentre sono 39,9milioni i cittadini stranieri residenti entro i confini dell’Unione Europea a 28 Stati membri, in aumento del 3,5% rispetto al 2017. Il Paese dell’Unione Europea che nel 2018 ospita il maggior numero di migranti è la Germania (oltre 9 milioni), seguita da Regno Unito, Italia, Francia e Spagna. Per alcuni Paesi, caratterizzati in passato da aumenti consistenti di cittadini stranieri residenti, si sono riscontrate diminuzioni anche significative: è il caso di Austria, Svezia e Germania. A questa tendenza fanno da contraltare i consistenti aumenti registrati in Paesi dell’Europa orientale, area di forte attrazione migratoria negli ultimi anni. Si segnalano, ad esempio, i casi di Romania, Ungheria, Estonia e Lettonia. Secondo i dati Eurostat, nel 2017 gli stranieri residenti che hanno acquisito la cittadinanza nell’UE-28 sono 825.447, in diminuzione rispetto al 2016 (-17%).
Italia. L’Italia, con 5.255.503 cittadini stranieri regolarmente residenti (8,7% della popolazione totale residente in Italia) si colloca al terzo posto nell’Unione Europea. Diminuiscono gli ingressi per motivi di lavoro, mentre aumentano quelli per motivi di asilo e protezione umanitaria. Dal 2014 la perdita di cittadini italiani risulta l’equivalente di una grande città come Palermo (677 mila persone): una perdita compensata, nello stesso periodo, dai nuovi cittadini per acquisizione di cittadinanza (oltre 638 mila) e dal contemporaneo aumento di oltre 241 mila unità di cittadini stranieri residenti. Pur tenendo conto della diminuzione della natalità straniera (-3,7% nel 2018), sempre più simile a quella della popolazione autoctona, perdura il contributo degli immigrati alla riproduzione demografica dell’Italia. Al 1° gennaio 2019 le comunità straniere più consistenti sono quella romena (1.206.938 persone, pari al 23% degli immigrati totali), quella albanese (441.027, 8,4% del totale) e quella marocchina (422.980, 8%). La popolazione straniera sul territorio italiano risiede prevalentemente nelle regioni più sviluppate del Nord (57,5%) e in quelle del Centro (25,4%), mentre nel Mezzogiorno (12,2%) e nelle Isole (4,9%) appare decisamente più contenuta, sebbene in crescita. Le regioni nelle quali risiede il maggior numero di cittadini stranieri sono la Lombardia (1.181.772 cittadini stranieri residenti, pari all’11,7% della popolazione totale residente), il Lazio (683.409, 11,6%), l’Emilia-Romagna (547.537, 12,3 %), il Veneto (501.085, 10,2 %) e il Piemonte (427.911, 9,8%). Le province nelle quali risiede il maggior numero di cittadini stranieri sono Roma (556.826, 12,8%), Milano (470.273, 14,5%), Torino (221.842, 9,8%), Brescia (157.463, 12,4%) e Napoli (134.338, 4,4%)
v Lavoro. Dai microdati RCFL-ISTAT al primo semestre 2018 la popolazione immigrata in età da lavoro è di 4.102.645 persone con 15 anni di età ed oltre. Risulta occupato il 64,3% dei cittadini stranieri comunitari e il 58,7% dei cittadini extra-UE. Gli occupati stranieri sono cresciuti rispetto al primo semestre 2017 (+2,5%), dato superiore a quello degli occupati italiani (+1,6%). La distribuzione degli occupati stranieri nelle diverse attività economiche conferma la segregazione occupazionale degli immigrati. I lavoratori stranieri si concentrano, in particolare, nel settore dei servizi collettivi e personali (stranieri: 26,1%; italiani: 5,6%), nell’industria in senso stretto (stranieri: 18,1%; italiani: 20,2%), nel settore alberghiero e della ristorazione (stranieri: 10,6%; italiani: 5,9%) e nelle costruzioni (stranieri: 9,6%; italiani: 5,5%). Parallelamente, persiste negli stranieri il fenomeno dell’over-education, con lavoratori che svolgono attività non adeguate alla propria formazione. Gli infortuni sul lavoro in Italia registrano un lieve calo, ma aumentano per gli stranieri, a dimostrazione della loro maggiore vulnerabilità. Secondo i dati Unioncamere, le imprese di cittadini non comunitari al 31 dicembre 2017 sono 374.062, in aumento rispetto al 2016 (+2,1%). La regione con il maggior numero di questo tipo di imprese è la Lombardia (71.478, pari al 19,1% del totale nazionale), seguita da Lazio (43.264, 11,6%) e Toscana (36.578, 9,8%). È però la Campania la regione nella quale si registra l’aumento più cospicuo (+6,2%). Nel 2018 il volume delle rimesse monetarie inviate dall’Italia ammonta a 6,2 miliardi di euro. Nella classifica regionale degli invii delle rimesse dall’Italia, nel 2018 si colloca al primo posto la Lombardia, con 1,4 miliardi di euro (23,5% del totale nazionale delle rimesse inviate), seguita dal Lazio (953 milioni di euro, 15,4% del totale nazionale). Nel 2018, per la prima volta, il Bangladesh assume il primato tra i Paesi di destinazione (11,8% del totale delle rimesse inviate dall’Italia), seguito dalla Romania (11,6%).
v Famiglia e cittadinanza. Nel corso del 2017 sono stati celebrati 27.744 matrimoni con almeno uno dei coniugi straniero (+14,5% del totale dei matrimoni), in aumento rispetto al 2016 (+8,3%). Nel 55,7% dei casi si tratta dell’unione di uomini italiani con donne straniere. Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna raccolgono il 37,4% del totale nazionale dei matrimoni misti. Nel 2018 sono 65.444 i bambini nati da genitori entrambi stranieri (14,9% del totale delle nascite), in calo rispetto al 2017 (-3,7%), anche per effetto della diminuzione dei nuovi arrivi, e quindi dei flussi femminili in entrata, con il risultato che la popolazione straniera residente in Italia si presenta “invecchiata” rispetto al passato. I dati al 31 dicembre 2018 relativi alle acquisizioni di cittadinanza attestano una flessione rispetto all’anno precedente (-23,2%), con 112.523 acquisizioni di cittadinanza di cittadini stranieri residenti.
v Scuola. Nell’anno scolastico 2017/2018 gli alunni stranieri nelle scuole italiane sono 841.719 (9,7% della popolazione scolastica totale), in aumento di 16 mila unità rispetto all’anno scolastico 2017/2018. I dati attestano, inoltre, che ben il 63,1% degli alunni con cittadinanza non italiana è nato in Italia. Il settore della scuola primaria è ancora quello che registra il maggior numero di alunni con cittadinanza non italiana. L’incidenza degli alunni stranieri sul totale della popolazione scolastica varia in modo significativo in ragione della maggiore capacità attrattiva nei confronti delle famiglie straniere di alcune regioni e province. È ancora la Lombardia a registrare il maggior numero di alunni con cittadinanza non italiana (213.153). Seguono Emilia-Romagna, Veneto, Lazio, Piemonte e Toscana. Sebbene l’aumento degli alunni stranieri rimanga un trend costante, procede a ritmo rallentato da oltre sei anni, anche a causa della crisi economica, che ha portato molte famiglie immigrate in Italia a spostarsi verso i Paesi del Nord Europa o a fare ritorno al Paese d’origine, mentre la crescita, seppure limitata, è sostenuta da una nuova tipologia di allievi, i minori stranieri non accompagnati, di cui non si conoscono i dati esatti nelle iscrizioni scolastiche. Il loro aumento, con gli arrivi via mare, pone nuove questioni organizzative e didattiche alle scuole.
v Povertà. Nel corso del 2017 i “volti” incontrati dalla rete dei Centri di Ascolto Caritas in Italia sono stati 197.332. Rispetto al 2016 si evidenzia un calo del numero medio di persone incontrate dai Centri di Ascolto in 12 delle 16 regioni ecclesiastiche, tendenza che alcune diocesi attribuiscono al calo complessivo della componente immigrata che si rivolge alla Caritas. Va fatto notare, infatti, che solo il 57,8% delle persone ascoltate è di cittadinanza straniera, a fronte di un restante 42,2% di cittadini italiani. Stabili, a questo riguardo, le differenze tra Nord e Sud Italia: nelle regioni del Settentrione e del Centro si tratta per lo più di cittadini stranieri (rispettivamente il 64,5% e il 63,4%), mentre nel Mezzogiorno le storie intercettate sono per lo più di italiani (67,6%). In alcune regioni, come la Sicilia, l’incidenza degli autoctoni raggiunge addirittura l’80%. Tra le persone di cittadinanza straniera prevalgono quelle provenienti dal Marocco (18,1%) e dalla Romania (12,0%), anche se in calo rispetto al 2016.In dieci anni il panorama dell’utenza straniera si è notevolmente modificato. Diminuisce la componente straniera più stabile e di vecchio corso, a fronte di un aumento dell’immigrazione connessa alla guerra e alle emergenze politiche e ambientali. Significativo anche il sorpasso dell’utenza maschile rispetto a quella femminile, dopo quasi un ventennio di prevalenza di quest’ultima. Più in generale, si conferma una diminuzione degli stranieri provenienti dall’Europa dell’Est a fronte di un ulteriore incremento degli africani.
v Salute. Le schede di dimissione ospedaliera confermano una tendenza ormai consolidata: i traumatismi, in gran parte risultato di incidenti sul lavoro, si attestano come prima causa di ricoveri per gli uomini, mentre gravidanza e parto lo sono per le donne. La povertà alimenta ed è alimentata da inique disuguaglianze sociali che la politica dovrebbe contenere e ridurre, ma che spesso costruisce, mantiene e dilata. Si è portati a pensare che la correlazione povertà-malattia riguardi solo i Paesi del cosiddetto “Terzo Mondo”, dove questo nesso causa-effetto è evidente e innegabile, mentre invece la povertà risulta essere un fattore di rischio incisivo anche nei Paesi ricchi. Difendere e garantire il diritto alla salute degli immigrati è quindi oggi uno dei principali doveri di chi ha a cuore la salute di tutti. Se il mondo è la nostra famiglia, ogni luogo, ogni terra, ogni mare è una “casa comune”.
v Devianza. Al 31 dicembre 2018 i detenuti stranieri presenti negli istituti penitenziari italiani sono 20.255, su un totale di 59.655 persone ristrette (33,9%). L’incidenza della componente straniera sulla popolazione carceraria totale appare sostanzialmente stabile. Pressoché immutata è anche la presenza femminile, con 962 donne recluse, pari al 4,5% dei detenuti di origine straniera. La nazione più rappresentata è il Marocco (3.751 detenuti). Seguono, distanziate, Albania (2.568) e Romania (2.561). Nelle sezioni femminili spiccano, invece, le detenute provenienti da Romania (227) e Nigeria (204), le quali, da sole, rappresentano il 44% delle recluse straniere. La componente straniera si colloca nelle fasce più giovani della popolazione carceraria. I dati evidenziano la maggiore presenza di detenuti con un’età compresa tra i 30 e i 34 anni e confermano che le porte dei penitenziari si aprono prima per gli stranieri rispetto che per gli italiani: basti dire che in carcere due ragazzi su tre con un’età compresa tra i 18 e i 20 anni non sono cittadini italiani (66%). Nel complesso, le pene inflitte denotano una minore pericolosità sociale degli immigrati. Le statistiche relative alle tipologie di reato confermano quelli contro il patrimonio come la voce con il maggior numero di ristretti. Le più recenti emergenze investigative, però, evidenziano il carattere sempre più pervasivo delle organizzazioni criminali straniere che operano in Italia. Persiste il rischio di una sovra-rappresentazione della popolazione carceraria straniera, con gli immigrati che beneficiano in maniera più blanda delle misure alternative al carcere rispetto agli autoctoni, a cominciare dalla detenzione domiciliare. L’assistenza religiosa in carcere, infine, contribuisce a prevenire fondamentalismi di matrice confessionale. Sul fronte opposto, appaiono in sensibile aumento i reati di discriminazione e di odio etnico, nazionale, razziale e religioso dei quali sono vittime i cittadini stranieri
v Appartenenza religiosa. Gli studi e il buon senso evidenziano come la fede sia un’importante sostegno emotivo e psicologico nelle diverse fasi del processo migratorio, soprattutto laddove questo si svolge con grave rischio per l’incolumità personale dei migranti e delle loro famiglie. Secondo le più recenti stime, al 1° gennaio 2019 i cittadini stranieri musulmani residenti in Italia risultano 1 milione e 580 mila (+2% rispetto al 2018), mentre, nel loro complesso, i cittadini stranieri cristiani residenti in Italia si stimano in 2 milioni e 815 mila (-4% rispetto al 2018) e mantengono ancora il ruolo di principale appartenenza religiosa tra gli stranieri residenti in Italia. In fortissima crescita risultano gli stranieri atei o agnostici, stimati in più di mezzo milione. Fra i cristiani, si ipotizza risiedano in Italia 1 milione e 560 mila ortodossi, 977 mila cattolici, 183 mila evangelici, 16 mila copti e 80 mila fedeli di altre confessioni cristiane. Principali comunità straniere musulmane risultano quella marocchina e quella albanese, mentre fra i cattolici troviamo quella romena e quella filippina. Di particolare rilievo è la Chiesa copta in Italia, che presenta la vitalità di una minoranza cristiana che nel mondo sperimenta ancora persecuzione e discriminazione.
v Comunicazione e social media. Il tema dell’immigrazione è oggi uno degli ambiti in cui più si misurano i problemi della disinformazione, delle fake news e dei discorsi d’odio (hate speech). Basti pensare che, secondo una rilevazione di Amnesty International, durante la campagna elettorale delle elezioni politiche 2018 si sono registrati 787 commenti e dichiarazioni di incitamento all’odio, il 91% delle quali ha avuto come oggetto i migranti. Fra i più colpiti dall’odio online anche singoli individui o gruppi impegnati in attività solidaristica o di tipo umanitario, i musulmani, gli ebrei, le donne e i rom. Una situazione che si ripropone anche su Twitter, dove il 32% dei tweet (messaggi) negativi prende di mira i migranti: vale a dire che un hater su tre si scatena contro “lo straniero”.
Paolo Biondi Vita it 27 settembre 2019
www.vita.it/it/article/2019/09/27/tutti-i-numeri-del-xxviii-rapporto-immigrazione-caritas-migrantes/152780
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PASTORALE
La trappola più grande della relazione di coppia
In una relazione di coppia, desideriamo istintivamente rendere felice il nostro coniuge. Questa nobile inclinazione si gioca la ribalta con un altro istinto, quello di autoconservazione. Quando ciascuno si aspetta dall’altro la risposta alla propria sete di amore, accoglienza, comprensione, si rischia di divorarsi. Come evitare la trappola più grande della vita coniugale e vivere la pienezza di cui l’altro è il segno?
È il paradosso dell’amore tra l’uomo e la donna: due infiniti trovano due limiti. Due persone che hanno un immenso bisogno di essere amate trovano due capacità di amare fragili e limitate. È solo nell’orizzonte di un amore più grande che possono non divorarsi nella pretesa e non rassegnarsi, ma bensì camminare insieme verso la pienezza di cui l’altro è il segno.
Questa citazione è tratta da una lettera del poeta tedesco Rainer Maria Rilke (1875-1926) a un amico francese svela lucidamente una delle più grandi trappole della relazione di coppia.
Anche se è vero che nel cuore delle coppie troviamo il desiderio di rendere felice l’altro, è anche vero che questa nobile inclinazione si gioca la ribalta con un altro istinto, quello di autoconservazione. Quando è ora di mangiare un bambino non pensa anzitutto al fratellino, di per sé: lo considera anzi un concorrente, quasi una minaccia. Lo stesso nella vita di coppia. Il bisogno di essere amati, compresi e accolti è in noi più forte, per natura, di quello di darsi e di accogliere l’altro.
E siamo franchi fino in fondo: nella donna questa sete di essere amata, accolta e ascoltata è quasi infinita. Le corrisponde, nell’uomo, una capacità indubbiamente meno grande, sicuramente non infinita. Per contro, l’uomo è abitato da una sete quasi infinita di essere rispettato, ammirato e desiderato… Riconosciamo anche che la donna non è capace di estinguere tutta questa sete. E allora, se rinchiudiamo queste due seti in un piccolo appartamento della periferia di una grande città e chiudiamo la porta a chiave, se ciascuno si aspetta dall’altro una risposta alla propria sete… rischia di mettersi male.
È evidente che Rilke non è l’unico ad aver avuto questa intuizione. Troviamo la medesima tematica in più testi della teologia del corpo di Giovanni Paolo II. La ritroviamo anche in Benedetto XVI, in particolare nell’enciclica Deus Caritas est. La si trovava già nelle opere di Pierre Teilhard de Chardin, grande teologo francese del XX secolo. Contemporaneo di Rilke, nel suo piccolo saggio “L’eterno femminino” egli spiegava che quando un uomo si innamora di una donna, in quel giorno si desta in lui una forza sconosciuta. Si tratta di una specie di ebbrezza che l’oltrepassa. È quasi come se la donna fosse una promessa di pienezza di gioia per l’uomo.
Al contempo, però, Teilhard de Chardin aggiunge che la donna è incapace di mantenere questa promessa. Non è lei la fonte che corrisponde a tanta promessa, spiega quello. Ne è piuttosto il segno. Ciò vuol dire che la bellezza della donna risveglia nell’uomo una sete di pienezza che è, in ultima istanza, sete di Dio. Se l’uomo cerca di estinguere quella sete nella donna, sarà per forza di cose deluso. Se si aspetta dalla donna tutta quella felicità allora – sempre secondo Teilhard – l’uomo potrà anche diventare violento dalla frustrazione.
È importante che la donna e l’uomo sappiano che la bellezza della donna non è la fonte. Essa è il segno che indica l’esistenza di quella Sorgente. Quando la donna prende la mano dell’uomo per andare verso la fonte e per riposarvi insieme, se tutti e due si avvicinano a Dio nell’unità della loro coppia e attendono che la loro felicità venga anzitutto e in buona parte da Lui, allora troveranno pace per le loro anime. Dio non scherza, con noi: ci prende sul serio. Credo che si ritrovi questa medesima realtà nel desiderio della donna di trovare nell’uomo il rifugio, sicuro e stabile, la roccia sulla quale potrà sempre contare e riposarsi. È ugualmente importante per i due sapere che l’uomo non è la roccia, ma che è il segno dell’esistenza della Roccia… Per costruire la loro casa, l’uomo e la donna potranno dunque andare insieme verso quella roccia che è la Parola di Gesù (Mt 7, 24-27).
Richiamiamo sant’Agostino: è noto perché da principio cercò la felicità nelle creature. Si può dire che ci si sia in qualche modo scottato le dita. Nella sua carne, questo grande Padre della Chiesa aveva finito per comprendere che la vera felicità non è nelle creature ma nel Creatore. Le creature – a cominciare dal coniuge – possono aiutarci ad andare nella giusta direzione, ma non sono la fonte della nostra felicità:
Ho domandato alla terra se fosse il mio Dio, e mi ha risposto di no. L’ho chiesto al mare, ai suoi abissi, a tutti gli esseri che contengono, e tutto mi ha risposto di no: «Cerca sopra di noi!» Agostino, Confessioni X.
Per me è proprio una buona notizia! Perché la relazione col coniuge è un vero e reciproco dono, un luogo di grandi gioie! Ma al contempo essa contiene delle piccole imperfezioni. Quelle che, conseguentemente, ci causano talvolta inevitabili frustrazioni. Non dimentichiamo che siamo in questo luogo di passaggio che è la terra: non siamo ancora in paradiso. Invece di lasciare che queste imperfezioni diventino causa di amarezza, lasciamoci ricordare che il nostro coniuge non è la fonte della nostra gioia. Non sarebbe sensato che lo fosse: egli non è che il segno dell’esistenza di una tale sorgente.
I sacramenti sono il segno visibile di una invisibile presenza e azione di Dio. Un pezzetto di pane non può renderci felici, un segno di croce non può darci la pace del perdono… ma rendono visibile un Dio che nell’Eucaristia ci nutre col segno del pane; il medesimo che nella Confessione ci perdona col segno della croce. In tale senso, l’uomo è egli stesso un sacramento che rende visibile il suo invisibile Creatore. Così il vostro coniuge, in tutta la sua bellezza e nella sua imperfezione, potrà essere per voi un segno che ricorda semplicemente che la vera sorgente della pace esiste, ma che si trova in Dio. Come spiega Papa Francesco: «Dal coniuge non si esige che sia perfetto. Bisogna lasciare da parte le illusioni e accettarlo così com’è: incompleto, chiamato a crescere, in evoluzione» (Amoris lætitia 218).
Quante persone vanno via di casa con l’illusione di trovare in un’altra persona la felicità che il coniuge non ha potuto dare loro? Forse nessuno ha mai detto loro che la persona umana non funziona così! La felicità è il frutto dell’aver amato, dell’essersi donati con fedeltà, pur sapendo che la fonte della gioia non è nell’altro bensì in Dio.
Due grandi esperti nella vita di coppia, il pastore evangelico John Eldredge e sua moglie Stasi, offrono alle coppie nel loro agile saggio “Love and War” (da leggere assolutamente!):
Cari uomini, care donne, che la coppia non sia per voi il luogo in cui cercate la felicità ma piuttosto quello in cui imparate ad amare.
E se questo non bastasse, ricordiamoci la parola di Gesù stesso quando ci dice: Se qualcuno viene a me e non odia suo padre, sua madre, sua moglie, i suoi figli, i suoi fratelli e sorelle e perfino la propria vita, egli non può essere mio discepolo. (Lc 14, 25-33).
Chi cerca anzitutto Gesù potrà poi amare gli altri molto meglio: è una dottrina sicura, comprovata da venti secoli. Vi auguro con tutto il cuore di diventare testimoni di questa bella e grande verità.
Paul Habsburg 30 settembre 2019 [traduzione dal francese di Giovanni Marcotullio]
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SINODO
Sinodo per l’Amazzonia: 184 padri sinodali “in cammino” su evangelizzazione e ambiente
184 padri sinodali, 17 rappresentanti di popoli indigeni, 35 donne. Sono alcuni “numeri” dell’Assemblea speciale del Sinodo dei vescovi sul tema “Amazzonia: nuovi cammini per la Chiesa e per un’ecologia integrale”, in programma in Vaticano dal 6 al 27 ottobre. A renderli noti è stato il card. Lorenzo Baldisseri, segretario generale del Sinodo dei vescovi, durante la conferenza stampa di presentazione in sala stampa vaticana. Dei 184 padri sinodali, 113 provengono dalle diverse circoscrizioni ecclesiastiche panamazzoniche. I capi dei Dicasteri della Curia Romana sono 13. Nel numero complessivo rientrano anche i membri del Consiglio pre-sinodale, 15 religiosi eletti dall’Unione dei superiori generali e 33 membri di nomina pontificia, provenienti soprattutto da Paesi e zone geografiche – come ad esempio il bacino fluviale del Congo – che presentano le stesse problematiche ecologiche che costituiscono uno dei due grandi ambiti richiamati nel titolo del Sinodo. Partecipano ai lavori anche 6 delegati fraterni e 12 invitati speciali. Completano l’elenco 25 esperti e 55 tra uditori e uditrici – tra cui 10 religiose presentate dall’Unione internazionale delle superiore generali (Uisg) – e 17 rappresentanti di diversi popoli originari ed etnie indigene, tra i quali 9 donne. Il numero totale delle donne che partecipano ai lavori sinodali è di 35, il più alto registrato finora in un Sinodo: 2 sono invitate speciali, 4 esperte (di cui 2 suore) e 29 uditrici (18 suore).
Iniziative “green”. In vista del Sinodo per l’Amazzonia, la segreteria generale ha promosso “alcune iniziative con lo scopo di limitare l’inquinamento e di favorire la sostenibilità ambientale, in maniera da contribuire, per quanto possibile, a salvaguardare la casa comune”. Per l’iscrizione dei partecipanti, ha spiegato infatti Baldisseri, è stata adottata esclusivamente la procedura “on line”, con notevole risparmio di carta stampata e di spese postali. Per limitare inoltre il più possibile l’uso della plastica, i bicchieri sono stati scelti in materiale biodegradabile, la borsa con il materiale di lavoro che verrà consegnata ai partecipanti è in fibra naturale e la carta utilizzata per i documenti che verranno distribuiti ha il maggior numero di certificazioni di provenienza e di filiera di lavorazione. L’attenzione del Sinodo per l’Amazzonia, ha precisato il cardinale, “si incentra sulla missione evangelizzatrice della Chiesa in Amazzonia, con al centro l’annuncio della salvezza in Gesù Cristo, e sulla tematica ecologica, data l’importanza che il territorio amazzonico riveste per tutto il pianeta”.
Come si legge nella Laudato si’, “tutto è connesso” ed “ogni comportamento, in positivo o in negativo, che si adotta riguardo all’ambiente naturale ha delle inevitabili conseguenze anche nell’ambito socio-culturale e spirituale dei popoli e delle singole persone”. “Un vero approccio ecologico diventa sempre un approccio sociale, che deve integrare la giustizia nel discorso sull’ambiente per ascoltare sia il grido della terra che quello dei poveri”, gli ha fatto eco il card. Claudio Hummes, presidente della Repam e relatore generale del Sinodo per l’Amazzonia.
Libertà di espressione. “Nella Chiesa c’è libertà di espressione. Ciascuno poi risponde alla propria coscienza, all’opinione pubblica e naturalmente al Signore”. Così Baldisseri ha risposto alle domande dei giornalisti sulle critiche espresse riguardo all’Instrumentum laboris del Sinodo per l’Amazzonia, da alcuni tacciato perfino di eresia. “Non è un documento pontificio: è una raccolta alla base delle domande del popolo amazzonico”, ha aggiunto: “È la prima volta che i vescovi ascoltano il popolo amazzonico: è necessario ascoltare e non giudicare”.
“L’Instrumentum laboris non è del Sinodo, ma per il Sinodo”, ha precisato Hummes: “È la voce della Chiesa locale, della gente, della storia e della terra. La Chiesa li ha invitati a parlare e loro hanno parlato: se il Sinodo l’ha fatto, è perché vuole ascoltare sul serio. Questo è un cammino sinodale. Abbiamo ascoltato 80mila persone”.
Viri probati. “La mancanza di ministri ordinati”. È questa, per Hummes, una delle emergenze pastorali della regione a cui sarà dedicato l’appuntamento in Vaticano. “Il 70-80% delle comunità all’interno dell’Amazzonia brasiliana – ha detto il cardinale rispondendo alle domande dei giornalisti – ha poca vita sacramentale, a parte il battesimo e il matrimonio”. “Mancano ministri ordinati che celebrino l’Eucaristia”, l’appello del porporato, secondo il quale occorre “cercare nuovi cammini per portare l’Eucaristia nella vita delle nostre comunità”. Interpellato sulla questione del celibato ecclesiastico, Baldisseri ha ricordato che al n. 129 dell’Instrumentum laboris “c’è un accenno a questo tema”. Su questo come sugli altri punti dell’Instrumentum laboris, ha aggiunto, “i padri sinodali sono liberi di discutere e di fare proposte”.
Il ruolo delle donne. “Nella regione amazzonica il ruolo delle donne è grande, straordinario, ben fatto. In tantissime comunità le dirigenti sono donne e loro chiedono che sia riconosciuto e istituzionalizzato il lavoro che fanno”. È l’omaggio del card. Hummes alle 35 donne che parteciperanno al Sinodo per l’Amazzonia
M. Michela Nicolais Agenzia SIR 3 ottobre 2019
A Roma. Un Sinodo di tutta la Chiesa. Insieme per l’Amazzonia
«Anche se si focalizza l’attenzione su un territorio specifico, ogni Sinodo riguarda sempre e comunque la Chiesa universale. Per questo motivo la fase celebrativa viene tenuta a Roma, sede del successore di Pietro, e non in qualche luogo della Regione panamazzonica». Sono questi i battenti con i quali il segretario generale del Sinodo dei vescovi, il cardinale Lorenzo Baldisseri, ha aperto la presentazione dell’ormai prossima assemblea speciale del Sinodo dei vescovi sul tema “Amazzonia: nuovi cammini per la Chiesa e per un’ecologia integrale”, che si svolgerà in Vaticano dal 6 al 27 di questo mese. Il porporato ne ha spiegato in dettaglio anche composizione e svolgimento, accanto all’opera di un artista brasiliano intitolata The tree of life, che raffigura un albero fatto da una miriade di altri alberi e persone. «Del resto – ha detto Baldisseri citando il discorso di papa Francesco a Puerto Maldonato il 19 gennaio 2018 – la difesa della vita, della terra e delle culture sono inestricabilmente intrecciate. Perché le stesse modalità di annuncio del Vangelo non possono prescindere dal rapporto con la natura, le culture, le società in cui esso si attua».
Insieme a Baldisseri erano presenti anche il relatore generale del Sinodo, il cardinale Claudio Hummes, presidente della Rete ecclesiale panamazzonica e il vescovo Fabio Fabene, sottosegretario del Sinodo dei vescovi. Saranno 184 i padri sinodali, 55 gli uditori, 35 le donne chiamate come uditrici – in numero superiore rispetto agli altri Sinodi – 25 gli esperti, 12 gli invitati speciali, «il numero più alto finora fra i partecipanti a un’Assemblea speciale», è stato precisato. «Sono convocati tutti i presuli della Regione – è stato spiegato – vi partecipano inoltre vescovi provenienti da altre Chiese particolari. È tutta la Chiesa che mostra la sua sollecitudine per l’Amazzonia: per le difficoltà, i problemi, le preoccupazioni e le sfide che in essa si riscontrano, ma anche essendo pronta ad accogliere il contributo per un’esistenza migliore che da essa può giungere».
Rispondendo alle domande dei giornalisti Hummes ha sottolineato che il documento su cui lavoreranno nel Sinodo è il frutto dell’ascolto delle istanze che vengono dal basso: 170 assemblee hanno caratterizzato questi due anni di preparazione, 80mila le persone interpellate: «È la voce della Chiesa locale, della gente, della loro storia e della terra. La Chiesa li ha invitati a parlare e loro hanno parlato: se il Sinodo l’ha fatto, è perché vuole ascoltare sul serio. Questo è un cammino sinodale e dobbiamo ascoltare davvero, come dice il Papa. Speriamo che il Sinodo sarà “cum Petro” e “sub Petro” anche da parte di chi ha opinioni diverse». «Nella Chiesa c’è libertà di espressione.»
Ciascuno poi risponde alla propria coscienza, oltre che all’opinione pubblica e naturalmente al Signore» ha poi risposto ai giornalisti Baldisseri in merito alle critiche sull’Instrumentum laboris, da alcuni tacciato perfino di eresia. «Ma questo non è un documento pontificio – ha risposto il cardinale – è una raccolta delle domande che vengono dal popolo amazzonico e noi dobbiamo registrare questo». «È necessario ascoltare e non giudicare – ha puntualizzato – perché l’Instrumentum laboris non è un documento magisteriale, ma un documento di lavoro che sarà dato ai padri sinodali e sarà la base per cominciare i lavori e costruire da zero il documento finale». E «non credo sia opportuno dare giudizi su un documento che non è un documento pontificio», ha commentato infine, ricordando che «anche il documento finale del Sinodo è consultivo», per aiutare il Papa affinché «lui decida se fare un’istruzione, una lettera apostolica o un’esortazione apostolica post-sinodale».
Un’altra delle questioni sollevate è stata quella della scarsità di ministri ordinati, una delle emergenze pastorali della regione. Il 70-80% delle comunità all’interno dell’Amazzonia brasiliana – ha detto il cardinale Hummes – ha poca vita sacramentale, a parte il Battesimo e il matrimonio. Mancano i sacramenti. I sacramenti sono i mezzi per praticare la Parola: poche persone, nella regione amazzoniche, hanno la possibilità di accedere alla Comunione, ma la Chiesa vive di Eucaristia e l’Eucaristia edifica la vita della Chiesa».
Questa è la situazione. E prendendone atto, c’è in merito un accenno al n. 129 dell’Instrumentum laboris. «Per le zone più remote della regione – si legge infatti nel documento – si studi la possibilità di ordinazione sacerdotale di anziani, preferibilmente indigeni, rispettati e accettati dalla loro comunità, sebbene possano avere già una famiglia costituita e stabile, al fine di assicurare i Sacramenti che accompagnano e sostengono la vita cristiani». Su questo come sugli altri punti Instrumentum laboris, ha ricordato infine Baldisseri, «i padri sinodali sono liberi di discutere e di fare proposte». «Ma questo non è un Sinodo per ridiscutere i ministeri nella Chiesa» ha aggiunto Hummes parlando del ruolo delle donne, la cui presenza nella Chiesa amazzonica è di grande importanza: «Fanno un lavoro eccezionale nelle comunità e chiedono che questo sia riconosciuto, ed abbiano una forma più autorevole per lavorare. Tante sono state uccise. Noi vescovi tutti siamo loro riconoscenti».
Stefania Falasca Avvenire 3 ottobre 2019
www.avvenire.it/chiesa/pagine/sinodo-amazzonia-conferenza-stampa
“Il magistero dell’Amazzonia può vincere lo scettiscismo”
Si aprirà domani, in Vaticano, l’importante Sinodo dei Vescovi sull’Amazzonia. Un Sinodo, per alcuni versi, dall’intreccio “esplosivo”. Un Sinodo strategico per il Pontificato di Papa Francesco. Ne parliamo con il teologo Andrea Grillo.
Grillo è docente ordinario di Teologia al Pontificio Ateneo “Sant’Anselmo” di Roma.
Professore, domani, in Vaticano, si apre l’importantissimo Sinodo dei Vescovi sull’Amazzonia. Un Sinodo, definito “speciale”, strategico per il Pontificato di Jorge Mario Bergoglio. Perché è così importante per Francesco?
Direi che la rilevanza del Sinodo dedicato alla Amazzonia deriva da due fattori: il primo è il rapporto con una “periferia integrale”, a differenza dei Sinodi su Famiglia e sui giovani, che hanno affrontato un tema universale, di cui hanno poi scandagliato elementi periferici. Qui il centro è la “periferia amazzonica”, come pienezza di espressione ecclesiale con un “rostro” peculiare. Per questo, ed è il secondo elemento, questo Sinodo esige risposte immediatamente praticabili: non essendo rivolto ad una Chiesa universale, chiede concrete decisioni sulla liturgia, sul ministero, sull’annuncio, sui soggetti autorevoli e sulle forme ecclesiali davvero credibili.
Sappiamo che è un Sinodo, come già detto” speciale”, che ha un doppio livello uno geopolitico, la difesa del bioma Pan-Amazzonico, e l’altro la ricerca di un cammino per una Chiesa dal volto amazzonico. L’intreccio è esplosivo: solo una chiesa non coloniale può preservare il bioma amazzonico.
Bioma visto come “luogo teologico” fondamentale per la testimonianza evangelica. È così professore?
Direi che proprio questo intreccio, che lei ha bene rilevato, chiede al Sinodo un respiro profondo e una vista lunga. Difendere una “forma di vita”, senza nessuna concessione al tradizionalismo, e “giocare il gioco linguistico ecclesiale” con regole più semplici e insieme più articolate diventa una sfida per il pensiero e per la prassi ecclesiale. Si tratta, in fondo, di ripetere ciò che Dante diceva quando distingueva tra “ciò che non muore e ciò che può morire”. E questo deve essere fatto, in modo intrecciato, tra forme di vita locale e gioco linguistico ecclesiale. Sarà una esperienza di crescita e di maturazione, per la Amazzonia e per tutta la Chiesa.
Tralasciamo il lato “politico” del Sinodo, che però, occorre ricordare, inevitabilmente avrà. Affrontiamolo dal lato ecclesiale. Il Sinodo è stato fatto oggetto di attacchi, forti, dalla componente conservatrice. Quest’ultimi sono preoccupati per alcune affermazioni dell’Istrumentum laboris, tra cui la proposta di ordinare “viri probati” al sacerdozio e sul ruolo della donna. Insomma per loro il Sinodo è una specie di “Cavallo di Troia” per scardinare la Chiesa cattolica. A me sembra una esagerazione…. Per lei?
Questo Sinodo, come tutti i precedenti condotti da Francesco, non avendo conclusioni “predeterminate” – come spesso accadeva nei Sinodi precedenti – inquieta i burocrati e i pigri. Francesco ha sempre detto che il confronto sincero e sereno può far camminare la Chiesa, modificare la disciplina, approfondire la dottrina. Questo Sinodo, in particolare, è una preziosa occasione per una riflessione accurata e esigente sul ministero e sulla liturgia. Sono due temi su cui ogni trasformazione evoca facilmente disastri, tradimenti, perdite, apostasie, eresie…In realtà in gioco vi è la capacità della Chiesa di rispondere, autorevolmente, ai segni dei tempi. La Chiesa può farlo e quindi deve farlo. Ne ha la autorità e non può sottrarsi. Altrimenti sarebbe infedele al proprio compito. I tradizionalisti vogliono una Chiesa infedele per codardia. Cambiare non è cedere, ma crescere.
Intervista ad Andrea Grillo a cura di Pierluigi Mele “Confini” 5 ottobre 2019
www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201910/191005grillomele.pdf
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STORIA
L’immortale bufala dello Ius Primæ Noctis
Ringraziamo il professor Alessandro Barbero per aver detto parole chiare e definitive contro questa fake news. Alessandro Barbero, ordinario di Storia medievale presso il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università degli Studi del Piemonte Orientale Amedeo Avogadro è un volto noto della tv, uno storico di grande caratura e un divulgatore attento e mai banale. Un personaggio autorevole che ha il pregio – nella sua carriera di “storico pubblico” – di aver confutato sciocchezze o svelato aneddoti poco noti che permettono di rivedere le proprie posizioni su diversi temi. Ormai è una leggenda e a noi piace molto per il suo stile, ma ancora di più per aver “sbufalato” come si suol dire, la sciocchezza dello Ius Primæ Noctis, la più grande fake news sul medioevo mai scritta!
Vi mettiamo due video col professore, uno breve di una pillola di Rai Storia e il secondo il suo intervento al Festival della Mente del 2013.
https://youtu.be/2orFWN5Zyq0
www.facebook.com/raistoria/videos/10155611216102565
Ma come nasce questo falso così enorme? E come mai ci crediamo così tanto? Intanto se lo si analizza lucidamente si capisce che è una cosa che non può esistere in una società cristiana come quella medievale, dove il valore della castità è fortemente perseguito e dove ai signori feudali si richiede che siano pii e moderati, questo non vuol dire che il signore del villaggio non avesse opportunità di approfittare della sua condizione di superiorità con le giovinette del paese su cui aveva potere e influenza, né si deve pensare che non esistessero rapporti prematrimoniali, tanto in città quanto in campagna e la letteratura medievale ne è piena. L’idea assurda è che potesse essere un diritto da poter esigere senza che nessuno si potesse sottrarre. Il sito Documentazione.info riassume bene la genesi di questa leggenda, proprio riprendendo le parole di Barbero a Sarzana.
Secondo lo storico, un documento del 1247 attesterebbe il diritto di un signore francese di esigere una tassa sul matrimonio dal padre di una ragazza quando questa fosse andata in sposa a un ragazzo di un altro villaggio. La tassa fa parte di una serie di diritti che il signore elenca in uno scritto in latino, per dividerli da quelli spettanti invece ai monaci dell’abbazia. Un monaco fra questi si divertì a tradurre in rima e in francese questa serie di diritti del signore. Giunto alla tassa sul matrimonio, il monaco scrisse:
«Oggi si pagano 3 soldi, ma ai contadini va bene, perché nei tempi antichi la tassa era tanto costosa che, piuttosto che dare al signore un capo di bestiame, il padre gli offriva la verginità della figlia».
Come è facile intuire, in questo caso non è il signore a esigere un diritto, ma il contadino a offrire un compenso pur di non pagare la tassa. Alla fine del ‘400 un avvocato cuneese, il dottor Rebaccini, scrisse una storia della città, e parlò, al passato remoto, dei “Bui vecchi tempi”.
Per giustificare la fondazione della città, operata da un gruppo di contadini in fuga da un despotico signore vicino, fra le tantissime cause individua il “privilegio concesso” al signore del villaggio di deflorare le donne, e in particolar modo le giovani spose.
Come l’avvocato Rebaccini, in molte altre città italiane e francesi diversi edotti scrissero delle storia della città fondate da contadini, e lo Ius Primæ Noctis diventò una leggenda comune inserita nel contesto di molte altre cause, storicamente verificate, per spiegare l’impossibilità di continuare a servire il signore del villaggio precedente. Il fatto che ci crediamo è la vera cosa sbalorditiva, frutto sicuramente di un pregiudizio antistorico che viene dall’età moderna, ma anche della nostra ignoranza diffusa, e dallo scarso senso critico che – ahinoi – affligge questa fase del dibattito pubblico.
Lucandrea Massaro | Aleteia 2 ottobre 2019
https://it.aleteia.org/2019/10/02/bufala-ius-primae-noctis-spiegata-alessandro-barbero/?utm_campaign=NL_it&utm_source=daily_newsletter&utm_medium=mail&utm_content=NL_it
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TEOLOGIA
Limiti di un’inculturazione necessaria
La trasmissione del messaggio cristiano non è mai avvenuta (e non può avvenire) in modo del tutto neutrale; implica sempre e necessariamente la messa in atto di un processo interpretativo, che ne trasferisce il contenuto dal contesto in cui è nato a quello attuale. Anch’esso, infatti, come ogni prodotto culturale, trova espressione in un linguaggio che riflette le modalità di intendere il mondo e la vita proprie del contesto socioculturale nel quale si è formato; e dunque anche nei suoi confronti si impone la necessità di una costante inculturazione. È quanto è avvenuto nelle diverse tappe della storia grazie al dialogo che, di volta in volta, il cristianesimo ha intrattenuto con le diverse tradizioni culturali con cui è entrato in contatto. Non si può dimenticare, a tale proposito, l’importanza assunta, nei primi secoli, dal rapporto con il mondo ellenistico, in particolare con il pensiero filosofico di quell’area geografica, la cui influenza si è fatta a lungo sentire. Molte delle categorie tuttora presenti nell’ambito della riflessione teologica appartengono a quel mondo culturale.
La svolta tridentina Ma l’ellenizzazione non è l’unico fenomeno di inculturazione nella storia della cristianità. Una tappa particolarmente rilevante di questo processo ha avuto luogo agli inizi della modernità. Le trasformazioni intervenute in quel periodo, sia a livello economico-sociale sia culturale hanno avuto effetti dirompenti sulla evangelizzazione: si pensi soltanto agli scambi commerciali e al contatto con tradizioni culturali diverse legate alla scoperta di nuovi mondi (è l’epoca dei grandi viaggi) o agli sviluppi dell’umanesimo a seguito del ricupero dei classici greci e latini, dunque al formarsi di un pensiero laico. A farsi strada è un processo di secolarizzazione della vita in tutti i suoi ambiti; processo che non può che mettere in crisi i modelli religiosi medioevali, ancora largamente presenti, dominati da una visione sacrale della realtà, che risulta del tutto anacronistica. Lo ha ben intuito Lutero, il cui sforzo è stato dare vita a un’opera di purificazione e di essenzializzazione, risalendo alle sorgenti del messaggio evangelico e eliminando sovrastrutture e incrostazioni che lo hanno appesantito e talora deformato.
Purtroppo alle provocazioni della Riforma (anche a causa della radicalizzazione delle posizioni da essa assunte) la chiesa cattolica ha reagito arroccandosi in posizioni difensive. È nata così la Controriforma, che ha trovato la sua massima espressione nella celebrazione del Concilio di Trento (1545-1563), la cui maggiore preoccupazione è stata il respingimento dei modelli della cultura dominante e delle novità della Riforma, con l’assegnazione di un ruolo privilegiato alla chiesa e al suo assetto istituzionale – in questo quadro avviene il rafforzamento del potere gerarchico e della disciplina ecclesiastica -, con l’offerta di una rigida proposta dottrinale caratterizzata da una visione accentuatamente dogmatica – a questa visione si è ispirata la catechesi delle parrocchie – e con la coltivazione, infine, di una serie di pratiche devozionali, destinate ad avere il sopravvento sulla vita liturgico-sacramentale.
A subire i contraccolpi negativi di questo modello, che si è purtroppo perpetuato nel tempo fino alla celebrazione del concilio Vaticano II (1962-1965), è stata soprattutto la dimensione cristocentrica dell’esperienza cristiana, la presentazione della novità di vita che scaturisce dalla partecipazione al mistero di Cristo. Il che ha causato il distacco del credente dal cuore del messaggio evangelico, e ha finito per ridurre la vita cristiana a mera adesione a una precettistica morale (meglio moralistica) e a pratiche sacrificali, finalizzate a placare un Dio punitivo che suscita riverenza e paura, e che è radicalmente diverso dal Dio-amore proprio della rivelazione neotestamentaria, quel Dio che si è pienamente manifestato nell’evento-persona di Gesú di Nazaret.
Difficile sostituire un modello in crisi. Il Vaticano II ha segnato il superamento definitivo, a livello dottrinale, di questo modello, che tuttavia continua a persistere sia nella coscienza (o nell’inconscio) di molti fedeli sia nell’offerta pastorale – omiletica e catechesi – di diversi ecclesiastici (presbiteri e vescovi). D’altra parte, non è facile modificare modi di pensare e di vivere, che hanno a lungo costituito il terreno sul quale si sono radicate convinzioni e scelte personali, soprattutto in un campo – quello religioso – che implica, laddove l’adesione è autentica, un forte coinvolgimento affettivo. Il rispetto della coscienza va esercitato anche in questo ambito, sforzandosi di cogliere le dinamiche sottese a processi che hanno a che fare con la progettualità che si è data alla propria esistenza. A questo rispetto è, d’altronde, connessa la stessa possibilità che la proposta di una visione nuova del messaggio – quella conciliare – possa trovare accoglienza. La complessità delle esperienze e delle situazioni umane esige infatti attenzione alle reazioni che possono subentrare di fronte a un programma di vita la cui ricezione esige un mutamento di mentalità, una vera rimessa in discussione di certezze acquisite. La comunicazione non si risolve, anche in questo caso, nella semplice informazione; presuppone la creazione di un rapporto di fiducia che si costruisce nel tempo e con pazienza, tenendo in considerazione i ritmi di crescita di ciascuna persona.
Mistero inconoscibile Tutto questo diviene ancora più vero se si considera che ogni sforzo di interpretare e di attualizzare il messaggio cristiano è sempre segnato dal limite. Il mistero avvolge la realtà di Dio e la nostra conoscenza necessariamente sarà sempre parziale: Dio lo conosciamo, ci ricorda Paolo, “come attraverso uno specchio ed enigmaticamente”, solo nella vita futura lo conosceremo faccia a faccia, così come egli è. Ogni tentativo di parlare di lui servendoci delle categorie culturali e linguistiche di un’epoca storica non solo non può esaurirne la ricchezza, ma contiene sempre anche il pericolo di una lettura unilaterale, che sottovaluta o trascura altri aspetti importanti della sua identità. Nonostante il contributo della rivelazione – non dobbiamo dimenticarlo – di Dio è sempre più quello che ignoriamo di quello che sappiamo. La consapevolezza di questa verità ci impone il costante confronto con il dubbio – una fede non attraversata dal dubbio non è una fede vera – e ci spinge a vivere l’impegno evangelizzatore con un’attitudine di grande umiltà. La verità cristiana è una verità che sta sempre davanti e oltre; una verità che non si può possedere, ma dalla quale si è sempre parzialmente posseduti, e che va ricercata camminando insieme, religiosi e laici, verso un orizzonte mai circoscrivibile, aperto all’infinito.
Restituire credibilità all’annuncio. Il rispetto di queste condizioni non ci esime tuttavia dal dovere e dalla responsabilità di fare nostra la sollecitazione all’aggiornamento dei contenuti del messaggio evangelico formulata da papa Giovanni XXIII (1958-1963) nel discorso di apertura del Concilio Gaudet Mater Ecclesia
(11 ottobre 1962).
http://w2.vatican.va/content/john-xxiii/it/speeches/1962/documents/hf_j-xxiii_spe_19621011_opening-council.html
Lo sforzo di inculturazione, che in quella assise è stato avviato (e il cui seguito è stato affidato al nostro impegno), aveva come scopo la restituzione di credibilità all’annuncio, ricuperando la sostanza del messaggio, ma riscoprendone soprattutto l’autore e il testimone: il Gesú della storia, colui che assumendo pienamente la condizione umana è divenuto il rivelatore del volto del Padre. Il ritorno alla Parola di Dio dalla quale ci si era allontanati, la centralità assegnata alla vita liturgico-sacramentale, in particolare all’eucaristia, il ricupero della dimensione misterica della chiesa e della sua apertura al mondo e, infine, l’impegno nei confronti del dialogo ecumenico e interreligioso sono altrettanti motivi che riportano l’attenzione su ciò che nella fede ha il primato: l’incontro con la persona del Figlio di Dio (non dunque la semplice adesione a una dottrina o a un codice morale), per diventare suoi discepoli, cioè porsi alla sua sequela e aderire alla radicalità della sua proposta di vita. Quest’opera di rinnovamento, che costituisce un compito permanente delle comunità cristiane, implica la capacità di accostarsi, di volta in volta, al nucleo veritativo del messaggio – il vangelo nella sua integrità originaria -, e comporta l’impegno a ricercare nuove forme di linguaggio e nuovi simboli, in grado di riformularne il contenuto in modo aderente alle istanze proprie della cultura del tempo. Le difficoltà di dare vita a tale processo sono evidenti. La distinzione tra nucleo e linguaggio (e simboli) non è mai totale – si dà tra le due realtà una continuità insuperabile – e la riformulazione del messaggio esige, per la delicatezza dell’operazione, grande prudenza.
Nel segno della bellezza Nonostante le difficoltà ricordate, la distanza tra il contesto socioculturale, e la stessa visione antropologica, entro il quale sono stati elaborati i contenuti della rivelazione ebraico-cristiana e quello odierno è così ampia da rendere assolutamente necessaria la messa in atto di tale sforzo. Lo stretto legame che il messaggio intrattiene con i simboli propri di un mondo – quello agro-pastorale – assai lontano dall’attuale obbliga a dare vita a un lavoro ermeneutico che lo renda conoscibile ed esistenzialmente appetibile per l’uomo contemporaneo. Il che implica l’impresa (non facile) di ricostruire un linguaggio simbolico, in un’epoca nella quale il prevalere dei linguaggi logico-matematici propri della cultura scientifico-tecnologica rende meno immediata la percezione dei simboli e del loro significato. A questo linguaggio originario occorre in ogni caso riferirsi, se si vuole presentare con efficacia il messaggio cristiano, senza incorrere nella tentazione di una spiegazione puramente razionale con la pretesa di esaurirne i contenuti.
È come dire, per riprendere una distinzione cara a Gabriel Marcel (1889-1973, filosofo esistenzialista francese, ndr), che all’atteggiamento problematico, il quale suppone che tutto possa essere spiegato – il problema è sempre e comunque risolvibile – deve subentrare un atteggiamento misterico, che non implica certo rinuncia all’esercizio della ragione, che va pienamente salvaguardato, non presumendo tuttavia di ricondurre a essa l’intera realtà. O ancora esige che si reagisca, secondo la nota formula di Emmanuel Lévinas (1906-1995, fra i più accreditati filosofi morali del secolo scorso, ndr), alla logica della totalità, propria della razionalità ideologica e strumentale, per fare spazio alla logica dell’infinito, che è invece appannaggio del linguaggio simbolico; un linguaggio che non dimostra, ma mostra, evoca, allude; in una parola, rinvia costantemente oltre.
Ciò che, in definitiva, oggi si esige è una presentazione del messaggio evangelico che gli restituisca il carattere di vera eccedenza. Una presentazione che sappia integrare in sé immanenza e trascendenza, incarnazione ed escatologia, e che riassuma nel segno della bellezza verità e bene, evitando la caduta tanto nel dogmatismo quanto nel moralismo. Restituire spazio a questa bellezza è la via da percorrere per vincere le resistenze al cambiamento, rendendo trasparente il senso più profondo della novità evangelica.
Giannino Piana Il gallo settembre 2019, pag. 3
www.ilgallo46.it/wp-content/uploads/2014/02/settembre_OK.pdf
“Chi è quel Dio nel quale diciamo di credere o di non credere?”
Per chi si aspetti dalla teologia risposte in grado di risolvere il mistero della morte, oppure ricette per la felicità, il rischio di restare delusi è grande. Ma la sua “ricerca umile, assidua, appassionata dell’intelligenza di ciò che è testimoniato dalla Scrittura ed è vissuto e celebrato dal popolo dei credenti”, aiuta ad “abitare consapevolmente e responsabilmente il mistero, anche quello della morte, senza lasciarsi prendere da quel tipo di paura che blocca la capacità di fidarsi e di sperare”.
Intervista con il neo presidente dell’Ati che avverte: “La teologia non è estranea al dibattito pubblico”.
Etimologicamente è lo “studio di Dio”, ossia un interrogarsi sulle ragioni della fede.
Pilastro degli studi universitari nel Medio evo, nei secoli successivi la teologia è stata progressivamente estromessa e tenuta a distanza rispetto ai diversi ambiti scientifici, relegata sempre più a mera funzione di approfondimento ed elaborazione della fede.
Eppure non si tratta di una “disciplina da sacrestia”, bensì di una palestra di intelligenza e allenamento all’attività di pensiero che può aiutare ogni ambito della ricerca a non perdere di vista le grandi questioni di senso e di valore delle cose, e il loro imprescindibile riferimento alla centralità dell’uomo e alla sua ricerca di verità.
Dove sta andando oggi la teologia, e qual è la sua attualità? Lo abbiamo chiesto a don Riccardo Battocchio, vicepreside della Facoltà teologica del Triveneto, da un mese presidente dell’Associazione teologica italiana (Ati) per il quadriennio 2019 – 2023.
Nella teologia è in gioco la questione della verità, ma oggi qualcuno afferma che esistono “tante verità”. Ha ancora senso di parlare di teologia?
Dire che esistono “tante verità” può essere una formula suggestiva, qualora si voglia evitare l’identificazione immediata fra la realtà e i concetti o si voglia garantire alle persone la possibilità di esprimere il loro punto di vista. Resta però una formula vuota se non ci si pone, previamente, il problema della verità, al singolare. Rinunciare a porsi questo problema, in fin dei conti, significa rinunciare a pensare e rassegnarsi a risolvere con la forza le difficoltà con le quali ci imbattiamo vivendo in questo mondo.
La domanda sulla verità e la domanda su Dio – ponendo la quale si fa, inevitabilmente, “teologia” – si richiamano l’un l’altra: chi è veramente quel Dio nel quale diciamo di credere o di non credere?
Direi che ha senso “parlare di teologia” se ha senso lasciarsi provocare, almeno di tanto in tanto, da domande di questo tipo. Nell’orizzonte della fede cristiana, il discorso su Dio assume una tonalità particolare. Il suo punto di partenza è la domanda provocata da una parola che la precede, quella parola nella quale alcune persone hanno riconosciuto e riconoscono il donarsi di Dio stesso nella carne di un uomo, di un Vivente, e in una storia generata dall’incontro con quel Vivente.
Il mistero della morte, la domanda di senso, la ricerca di felicità abitano il cuore di ogni uomo, credente e non. Che risposta può dare la teologia?
Se dalla teologia si pretende una risposta capace di risolvere il mistero della morte o di fornire ricette per la felicità, il rischio di restare delusi è grande.
La ricerca umile, assidua, appassionata dell’intelligenza di ciò che è testimoniato dalla Scrittura ed è vissuto e celebrato dal popolo dei credenti (la Chiesa) – ecco cos’è la teologia – aiuta ad abitare consapevolmente e responsabilmente il mistero, anche quello della morte, senza lasciarsi prendere da quel tipo di paura che blocca la capacità di fidarsi e di sperare.
La teologia permette di dire le ragioni di questa fiducia e di questa speranza, articolando le parole della fede con quelle che nascono dall’esperienza comune agli esseri umani: l’esperienza del nascere, del vivere, del morire.
E che risposta al diffuso, anche se un po’ generico, interesse per il religioso, spesso su base emotiva e irrazionale?
La religiosità è una dimensione dell’umano. La si può spiegare in tanti modi, anche senza ricorrere a Dio o a una realtà altra da questo mondo, ma rimane un dato difficile da trascurare. In essa sono in gioco emozioni, ragioni, decisioni.
La teologia, praticata seriamente, aiuta a non ridurre la religiosità a sentimento superficiale e a non ridurre la fede a un complesso di idee o di dottrine. La teologia richiama i credenti all’eccedenza di Dio rispetto a qualsiasi nostra comprensione di Lui e, nello stesso tempo, aiuta a interpretare i segni della sua presenza e della sua azione nel mondo.
Che relazione può avere con la ricerca e il sapere filosofico/scientifico?
Sappiamo come nel corso della storia, almeno in Occidente, il rapporto fra i discorsi teologici, filosofici e scientifici si sia caricato e sia tuttora carico di tensioni. E tuttavia da questo rapporto non si può prescindere, se si vuole comprendere la realtà.
Non spetta al teologo, in quanto teologo, dire qual è il modo giusto di fare filosofia o di condurre la ricerca nell’ambito delle scienze della natura. Di certo, però, chi fa teologia non può non mettersi in ascolto di quanto emerge dall’indagine filosofica e scientifica.
Sguardi nuovi sulla realtà, educati dalle filosofie e dalle scienze, permettono di interpretare in modo nuovo elementi importanti della tradizione cristiane. Le domande poste dalle filosofie e dalle scienze della natura provocano il credente pensante a cercare risposte adeguate, per dar ragione a sé e agli altri, in questo tempo, della propria speranza.
Quale può essere il legame tra riflessione teologica e grandi questioni del presente? Penso a inizio e fine vita, temi economici, giustizia, migrazioni, neuroscienze.
Il XXVI Congresso dell’Ati, svoltosi ad Enna dal 2 al 6 settembre 2019 scorso, ha visto un’ottantina di teologi e teologhe impegnati nell’ascolto di persone particolarmente competenti nell’ambito delle neuroscienze, dei nuovi mezzi di comunicazione, dell’economia e della finanza.
È certamente necessario chiarire i punti di riferimento per un agire responsabile nei vari ambiti dell’esistenza, come è necessario formulare norme corrette e praticabili.
Noi però sentiamo l’esigenza di maturare, per quanto possibile, una visione dell’essere e dell’agire della persona umana (una “antropologia morale”) alla luce dalle quale credenti e non credenti possano impegnarsi ad affrontare le questioni del presente.
Non esiste un insegnamento monolitico: esistono diverse correnti e “scuole”. Dove sta andando oggi questa disciplina?
Se la fede è una, la teologia è necessariamente plurale. Ai teologi infatti è chiesto di pensare e dire la stessa fede ma in tempi e contesti diversi, in rapporto a diverse culture e sensibilità, a diversi interlocutori. Il pluralismo è fisiologico.
A volte i teologi litigano fra loro ma, fatti salvi il fair play e la buona educazione, la cosa non fa problema, purché non si comprometta l’unità nella fede e la comunione nella carità.
La difficoltà oggi, in Italia, sta nel fatto che la teologia è percepita – da molte persone di cultura ma anche da alcune persone che hanno responsabilità nella Chiesa – come un’impresa quasi esclusivamente intra-ecclesiale, estranea al dibattito pubblico. Su questo fronte c’è molto lavoro da fare.
Giovanna Pasqualin Traversa Agenzia SIR 5 ottobre 2019
https://agensir.it/chiesa/2019/10/05/teologia-battocchio-ati-chi-e-quel-dio-nel-quale-diciamo-di-credere-o-di-non-credere
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UNIONE CONSULTORI ITALIANI PREMATRIMONIALE E MATRIMONIALI
XXVI Congresso nazionale – Termoli
Programma
Venerdì 1 novembre 2019 ore 13,30 Arrivi (a pranzo già consumato)
v Presentazione del Congresso a cura dei direttori dei Consultori familiari ospitanti.
v Saluto del Presidente UCIPEM dr Francesco Lanatà e delle autorità presenti.
v 1° sessione. Modera la dr Chiara Camber, vicepresidente UCIPEM.
Dr Ermanno D’Onofrio, consulente familiare, psicologo, psicoterapeuta ed esperto in psicologia giuridica, psicoterapia breve ad approccio strategico e in psicodiagnostica, dottore di ricerca in scienze dell’orientamento; Consultorio di Frosinone. Dalla Sofferenza alla presa in carico dell’adulto sopravvissuto all’abuso.
Dr Luca Proli, psicologo, psicoterapeuta, membro del Consiglio direttivo UCIPEM. Presa in carico della vittima e della famiglia in un’ottica interdisciplinare il consultorio familiare di ispirazione cristiana come una possibile risposta.
Panel guidato dal moderatore Chiara Camber.
Sabato 2 novembre 2019 ore 9-19
v 2° sessione. Modera il dr Giancarlo Odini, membro del Consiglio direttivo UCIPEM.
Mons. Lorenzo Ghizzoni, Arcivescovo metropolita di Ravenna-Cervia. Il Servizio nazionale per la Tutela dei Minori della CEI e possibili collaborazioni con i Consultori familiari di ispirazione cristiana.
Mons. Emidio Cipollone, Arcivescovo di Lanciano – Ortona. L’attenzione di Papa Francesco e della Chiesa alla tematica dell’abuso: linee guida e Motu proprio “Vos estis lux mundi”.
Prof. Francesco Lolli, psicoterapeuta, psicoanalista. Effetti clinici e implicazioni soggettive nell’esperienza di abuso e nelle relazioni familiari.
Panel guidato dal moderatore Giancarlo Odini.
v 3°sessione. Modera l’avv. Luisa Solero, membro del Consiglio direttivo UCIPEM.
Dr Marinella Malacrea, neuropsichiatra infantile e psicoterapeuta della famiglia; responsabile diagnosi e terapia Centro TIAMA (Tutela Infanzia e Adolescenza Maltrattata), Milano. Curare i bambini abusati.
Avv. Francesco Gatto. Dal riconoscimento dell’abuso agli adempimenti burocratici.
Dr Elisa Severi, psicologa, psicoterapeuta, segretaria dell’UCIPEM. Prevenzione e interventi possibili nei casi di abuso.
Dr Angela Rinaldi, dottore e assistente di ricerca, scrittrice. Il supporto alle famiglie con bambini vittime di abusi: implicazioni etiche e pratiche.
CISMAI-Coordinamento Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l’Abuso all’Infanzia. Il fenomeno dell’abuso letto attraverso l’operato e la mission del CISMAI.
Panel guidato dal moderatore Luisa Solero.
Domenica 3 novembre 2019 ore 9-13
v 4° sessione. Modera la dr Francesca Frangipane, consulente familiare, membro dell’equipe formativa del CISPeF Centro Italiano Studi Professione e Formazione di Frosinone
Christiane Sanderson, docente di Psicologia alla University of Roehampton London. L’abuso sessuale sui minori: prendersi cura delle vittime
Testimonianza di un caso guidata da Ermanno D’Onofrio
Panel guidato dal moderatore Francesca Frangipane
Conclusioni e saluti del Presidente UCIPEM dr Francesco Lanatà
Questionario di verifica finale per i crediti ECM
XXVI Congresso UCIPEM slide.pdf
Ulteriori informazioni, note organizzative, soggiorno ed iscrizioni. www.ucipem.com/it
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