NewsUCIPEM n. 773 – 29 settembre 2019

                NewsUCIPEM n. 773 – 29 settembre 2019

Unione Consultori Italiani Prematrimoniali E Matrimoniali

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News gratuite si propongono di riprendere dai media e inviare informazioni, di recente acquisizione, che siano d’interesse, di documentazione, di confronto e di stimolo per gli operatori dei consultori familiari e quanti seguono nella società civile e nelle comunità ecclesiali le problematiche familiari e consultoriali. Sono così strutturate:

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I testi, anche se il contenuto non è condiviso, vengono riprese nell’intento di offrire documenti ed opinioni di interesse consultoriale, che incidono sull’opinione pubblica. La responsabilità delle opinioni riportate è dei singoli autori, il cui nominativo è riportato in calce ad ogni testo.

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02 ABUSI                                                            Può la teologia allattare pedofili?

04 ADOZIONE                                                  Fratelli adottivi. Quando l’adozione si fa in… tre

05                                                                          Ricerca origini. Distinguere tra legittimo desiderio e presuntuoso diritto

06 AFFIDAMENTO DEI MINORI                 Dopo Bibbiano sos affido

09                                                                         Tolti 5 figli a famiglia in difficoltà: ma è sempre soluzione migliore?

10 AFFIDO CONDIVISO                                e mantenimento dei figli nella separazione: regole ed eccezioni

13 ASSEGNO MANTENIMENTO                Chi non versa l’assegno all’ex si salva se cambiano le condizioni

14 ASSEGNO MANTENIMENTO FIGLI     Omesso assegno: reato anche se figli nati fuori dal matrimonio.

19                                                                          I genitori non mantengono i figli? I nonni non sono obbligati a farlo

20 CENTRO INTERN. STUDI FAMIGLIA   Newsletter CISF – n. 35, 25 settembre 2019

22 CENTRO ITALIANO SESSUOLOGIA     Educazione sessuale e Oms. Quali regole?

23 CHIESA CATTOLICA                                  Lettera e spirito del Vaticano II di fronte al Vetus Ordo.

24                                                                          Amazzonia, luogo teologico

25                                                                          Viri probati: un’esigenza in terre ove i fedeli: una messa all’anno

26 CITAZIONI                                                    Il Consultorio Familiare: una storia proiettata nel futuro            

32 CONGRESSI–CONVEGNI–CORSI-       Molestie, abusi, violenze trattamento con esperienza immaginativa

32 CONSULTORI FAMILIARI CATTOLICI  Corso Formazione x5 Operatori di Consultori d’ispirazione cristiana

33 CONSULTORI UCIPEM                            Riconoscimento. Paola Bonzi, dalle periferie di Milano al Famedio

34                                                                          Collegno. 8° edizione di “Essere genitori, un’arte imperfetta”

34                                                                          Cremona. Percorso per mamme e figlie

34                                                                          Grosseto – L’appuntamento con “Volontari al centro”

35                                                                          Jesi. Laboratori e tavola rotonda per i 40 anni del Consultorio Cpf

35                                                                          Pescara. Percorsi di Consulenza di gruppo

36                                                                          Viadana. Auto mutuo aiuto, Laboratorio x mamme e figlie 9-13 anni

36 COUNSELING                                             Vi state chiedendo se la persona con cui uscite sia quella giusta

37 DALLA NAVATA                                         XXVI Domenica del Tempo ordinario- Anno C – 29 settembre 2019

37                                                                          Il peccato del ricco? Non vedere i bisognosi

38 DONNE NELLA CHIESA                           Riuscirà la Chiesa a valorizzarle e lasciarsi rigenerare anche da loro

39 MIGRANTI                                                   Invasione? Aumento criminalità? Bugie dovute all’ analfabetismo

40 PROSTITUZIONE                                        Un’immoralità lecita: resa lecita da chi?                             

42 UCIPEM                                                        Congresso nazionale a Termoli 1-3 novembre 2019

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ABUSI

Può la teologia allattare pedofili?

Nato da un dialogo autunnale tra amici, questo articolo aveva già conosciuto due riscritture con il titolo: «Anima e corpo, l’inscindibile coppia», quando, a inizio gennaio, è esploso, in tutto il suo clamore l’affaire pedofilia, che lo ha travolto e stravolto.

Ora tutti conosciamo le conseguenze della coraggiosa iniziativa del Vescovo di Roma, comprese le dispute, sempre più accese, sulla legittimità degli orientamenti pastorali e, implicitamente, dottrinali della sua Amoris lætitia. Il che ha reso un dovere interrogarsi sul ruolo giocato dalla sessualità nella maturazione e nello sviluppo dei singoli e della comunità ecclesiale.

Provo dunque ad abbozzare un’interpretazione sulle possibili origini teologiche e morali di tanto nefasta diffusione nel clero cattolico di una prassi erotica tipicamente adolescenziale e che, trascinata fino e oltre l’età matura, si trasforma inevitabilmente in delitto. È un compito difficile, a cui forse nessuno oggi è veramente adeguato, ma che ormai va affrontato, anche solo per tener vivo un dibattito, che, dopo l’intervento a gamba tesa, dell’autodimissionato Benedetto XVI, sembra orientato a negare ogni possibile relazione tra prassi pastorale e apparato dottrinale, destinandosi di fatto a un finale predicatorio e moralistico.

 «Da mihi animas et cetera tolle». «Ancora cinquant’anni fa – mi ha detto un amico professore, già allievo dei Salesiani – l’educatore cattolico doveva badare innanzitutto all’edificazione dell’anima. Non a caso il motto di don Bosco, maldestramente ripreso dal versetto 21 di Genesi 14, suona: «da mihi animas, cetera tolle; [Dammi le persone; i beni prendili per te] quasi il corpo fosse la parte ignobile, materiale e mortale dell’uomo-donna, a cui dare la minima attenzione possibile e l’anima la parte nobile e virtuosa, da edificare in vista della sua immortalità». «Oggi, però, – ha subito aggiunto dell’anima non parlano più neanche i preti e il corpo si è preso la rivincita. Tutto quel che era dovuto all’anima, con una sorta di rovesciamento ideologico, ora è dovuto al corpo. L’ascesi, come palestra di virtù, accomuna l’asceta all’atleta. L’uno impegnato a rafforzare l’anima a spese del corpo, l’altro a rinvigorire il corpo, dimentico dell’anima».

Non so dove l’amico volesse andare a parare. So che ho preso spunto dal suo cenno al dualismo corpo-anima, che sta alla base non solo del modello educativo salesiano e del platonismo classico, ma delle correnti maggioritarie della teologia e della morale cristiana, per fargli presente il disagio provato l’antivigilia delle vacanze di Pasqua del 1950.

Andavo per i nove anni. Da bravi e impuberi maschietti di IV e V elementare ci si preparava per il Giorno Santo e il “don” del mio nuovo paese, con le maestre delle ultime classi, ci ha riuniti per illustrarci le “virtù eroiche” di Domenico Savio (1842-1857, proclamato santo 1954); l’allievo di don Bosco beatificato da un mese (1950), che quattordicenne aveva chiesto e ottenuto dall’Immacolata, morta vergine e nata libera «d’ogni originaria lordura», il privilegio di volare al cielo prima di poter peccare.

A nove-dieci anni potevamo capire e far nostra la libertà e l’ostinazione con cui Domenico, ancora bambino, enunciava e prometteva di mantenere una scelta tanto impegnativa. Ci sfuggiva, però, il senso e la ragione di tale decisione. Quale peccato, peggiore della morte, correva il rischio di commettere uno come noi o una delle nostre coetanee? Ce lo chiedevamo anche perché, negli stessi giorni, la loro maestra le aveva invitate a riflettere sulla vita e sulla morte esemplare di Maria Goretti (1890-1902), proclamata a giugno del 1950 «Martire della verginità». Uccisa undicenne, per aver resistito a un ragazzo di poco più anziano, “che voleva spogliarla”. Questo pochi mesi dopo che essa aveva ricevuto la prima comunione, facendo proprio, ahimè, il motto: «La morte, ma non il peccato».

Corpo, sesso, peccato, morte eterna; anima, verginità, santità, vita eterna. Quasi senza parlarne tra noi e con altri, maschietti e femminucce, abbiamo capito che il peccato nascondeva il suo pungiglione nel nostro corpo e sarebbe diventato mortale quando fossimo diventati adulti. Vale a dire, quando, due o tre anni dopo, mestruazioni e polluzioni, sorprendendoci impreparati, ci avrebbero costretti a prendere atto della nostra identità sessuale e iniziare a farcene carico da soli, tra sbandamenti, patemi d’animo, curiosità insoddisfatte e qualche, irrimediabile, errore.

Corpo è sesso, sesso è peccato, peccato è morte eterna, morte eterna è inferno tra le braccia di Satana. Paradiso è vita eterna tra le braccia di Dio, vita eterna è santità, santità è verginità, verginità è anima resasi libera dalla corporeità. Questa, in forma schematica la mappa del percorso educativo che la catechesi cattolica ha offerto ai giovani, insieme a un’inedita e progressiva enfatizzazione del ruolo verginale della Madonna nell’ «economia della salvezza», a partire dalla fine del ’700. Vale a dire da quando l’Illuminismo aveva cominciato a proporre la secolarizzazione delle scuole e di ogni altra istituzione sociale, compresa l’abolizione dei privilegi padronali e finanziari che la Chiesa, complici gli stati confessionali, aveva cumulato nei secoli.

Ora possiamo riconoscere che, bene o male, da questa pesante eredità ci siamo in larga parte liberati. Ma non del tutto, visto che la Conferenza episcopale italiana, ancora sei mesi fa, tentava di bloccare l’introduzione dell’Educazione sessuale nella scuole e il Papa stesso doveva, allora, esortarla a riconoscerne, oltre l’utilità, la necessità e, oggi, a smettere di trattare il sesso come «un tabù», invece che come «un dono inestimabile di Dio».

L’ignoranza genera mostri. Non è mia intenzione entrare in gara con le più ardite costruzioni utopiche dello psicologismo spiritualista, capace di pontificare sul dover essere ideale della sessualità, senza mai prendere in considerazione la presenza concreta degli organi essenziali per la trasmissione della vita umana e animale, né la concreta situazione storica, sociale e culturale in cui gli esseri terreni vivono di fatto la dinamica relazionale della sessualità. Né mi sogno di fare mie le tesi dello scientismo ottocentesco, tuttora vivo come frutto di una divulgazione acritica, secondo cui basta dare ai giovani la corretta informazione sul funzionamento degli organi corporei per rendere facile e felice tutta la loro vita.

Seguo dunque un’altra strada e, nei limiti di una conoscenza e di un linguaggio non specialistici, propongo alcune considerazioni a partire dal dato di fatto che quasi l’80% dei nati nel secolo scorso e nei primi anni di questo, sbatte contro la comparsa dei segni dell’entrata in funzione dei propri organi sessuali, senza aver ricevuto, da chi è responsabile della loro educazione, nessun aiuto a capire cosa gli sta accadendo e quali inedite potenzialità relazionali e affettive tutto ciò gli sta mettendo a disposizione. Il che apre praterie alle scorribande predatorie di chi approfitta della debole coscienza di sé dei bambini (celebrata spesso come “innocenza”), degli adolescenti e dei minori in genere, per deviarne la sessualità a proprio uso e consumo.

Chi scrive e, con ogni probabilità, anche chi legge, verso la fine delle elementari era già in grado di controllare e sviluppare autonomamente le capacità fisiche e psichiche, connesse alla crescita del corpo, e attivate nell’infanzia sotto la guida di un adulto. Le conosceva e le usava con relativa abilità più o meno tutte. Non conosceva e non sapeva usare con altrettanta padronanza fisica e psichica quelle relative alla presenza e al funzionamento degli organi genitali, fisicamente contigui e in qualche caso connessi a quelli escretori, ma del tutto diversi per finalità fisiche e per relative implicazioni psichiche. Tanto diversi che, mentre le finalità e le implicazioni psichiche degli organi escretori, grazie alla quasi immediata evidenza fisica della loro funzione scatologica, risultano subito a tutti legate al benessere materiale del corpo, le finalità e le implicazioni psichiche degli organi genitali, vista la complessità, la gradualità e la profondità del loro sviluppo, vengono tradizionalmente ritenute appannaggio della natura escatologica dell’anima, vale a dire della sua supposta e misteriosa capacità di sussistere oltre la morte del corpo.

È così che il neoplatonismo cristiano, troppo spesso autoproclamatosi teologia dello Spirito, degenera in spiritualismo e, per sottrarre al corpo le sue naturali e intrinseche potenzialità relazionali, che proprio nell’esercizio della sessualità trovano la loro matrice, finisce col negare la realizzabilità di qualsivoglia autentica vita umana terrena, tanto materiale quanto spirituale, che persegue l’amore, e, con l’amore, la comunione di vita, la collaborazione, l’aiuto reciproco, la charitas nelle sue diverse forme. Fino almeno, se non oltre, la stessa morte ultima dei singoli e del cosmo.

Ogni tre banalità due terzi di verità. A chi mi obiettasse che non c’è nulla di nuovo in questa mia lamentazione sulla mancanza di attenzione all’educazione sessuale dei giovani, direi che ha ragione. E ribadirei che oggi l’insistenza sul fatto che è questa una delle principali concause della comune difficoltà a vivere in pienezza la ricchissima gamma di relazioni, resa possibile dalla sessualità stessa, è tanto comune da risultare banale. Ma aggiungerei anche che darebbe un giudizio affrettato se ritenesse così di poter liquidare la questione. Quasi il risaputo potesse essere dato per scontato e acquisito una volta per sempre.

Il nuovo quasi mai è frutto della scoperta di dati inattesi e inauditi. Per lo più è esito di lunghe e tortuose riflessione e confronti dialettici tra enunciati di sapere ritenuti assodati, ma non del tutto persuasivi. Sono spesso i tentativi di collegarli in modo inedito, la loro rilettura a partire da un’ottica diversa, a mettere in luce risvolti nascosti della discutibile veridicità del nostro sapere. Risvolti che ci guidano a nuovi orizzonti di conoscenza aperti a verità nuove, mai ultime, uniche e autosufficienti. Azzardo, allora, l’accostamento di questa prima “banalità” ad altre due e, se vorrete affrontare con me questa fatica, proveremo a capire qualcosa di più di quello che sta accadendo alle forme istituzionalizzate politiche e religiose del nostro mondo.

Innanzitutto si tratta di rimettere in gioco l’evidenza di un dato storico pressoché universale, di una prassi connaturata alle istituzioni gerarchiche d’ogni tipo e grado. In caso di pericolo, esse sentono il dovere di difendere se stessa e si appellano al diritto inalienabile all’autodifesa, che volentieri si traduce nella blindatura dei vertici, nell’assolutizzazione del loro ruolo di guida, anche a costo di falsificare la realtà e trasformare la ricerca del vero in puro esercizio d’autorità. Il che fa sì che non sia più il potere al servizio della verità, ma la verità al servizio del potere.

In ultimo è bene tener conto che ogni sistema concettuale e operativo, pubblicamente accettato e diventato base comune del sapere di una comunità molto estesa, nasce all’interno di un determinato contesto culturale e sociale. Qui si radica, prende forma solidamente strutturata e, di fronte a passaggi storici secolari, tende a perpetuarsi invariato nelle sue linee generali e nei suoi “luoghi” teorici essenziali. Al più accetta che alcune usanze marginali si trasformino in folklore, ma poco concede sul piano dei principi e delle relative dottrine fondamentali, destinandosi alla morte per auto-eutanasia.

Correvano gli anni ’60 del secolo scorso, quando si aprì, dopo 400 anni [Il concilio di Trento 1545- 1563,], un nuovo Concilio ecumenico [Alberto Melloni introdusse una distinzione tra Concili ecumenici e Concili generali], il Vaticano II, indetto per interpretare i «segni del tempo». Quei segni, che frutto dell’evoluzione culturale e sociale del mondo, indicavano la direzione in cui la Chiesa avrebbe dovuto muoversi per rilanciare la propria missione di «evangelizzatrice dei popoli» e vivificare, riformandosi, «il dialogo con gli uomini del proprio tempo». Dopo alcuni anni di ferventi dibattiti e poche iniziative operative, finito Concilio, tutto si è fermato, aprendo la strada a una sempre più aggressiva nostalgia del passato. A quasi sessant’anni dalla promulgazione delle sue direttive riformatrici, sarebbe il caso di cominciare davvero a riflettere sulle cause di questo ritardo, che indubbiamente non è estraneo a quanto oggi accade.

Aldo Bodrato                                     il foglio n. 462 Torino

 

www.ilfoglio.info/default.asp?ACT=5&content=780&id=5&mnu=5

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ADOZIONE

Fratelli adottivi. Quando l’adozione si fa in… tre

Quando il figlio adottivo arriva in una famiglia dove è presente un fratello, il rapporto con questo è fondamentale per accogliere il nuovo arrivato. L’adozione? A volte si fa in tre. Quando in casa è infatti già presente un figlio adottivo (e non), non spetta solo ai due genitori il compito di accogliere il nuovo arrivato, ma anche al suo nuovo fratellino (o sorellina). È stato il caso, che merita di essere raccontato per illustrare quanto significativo sia questo ruolo, del piccolo Liang, ormai 13enne, figlio adottivo di una coppia che, con Ai.Bi. – Amici dei Bambini, ha recentemente completato una seconda adozione, donandogli un fratello, Song, di otto anni (i nomi sono di fantasia).

Liang è arrivato in Italia ormai sei anni fa e, con il nuovo arrivo si è visto spazzare letteralmente via gli spazi conquistati da un tenero “invasore”, che si appropria di tutte le nuove cose di casa. Ma, se la novità è stata per certi aspetti sconvolgente, la maturità di Liang ha stupito i genitori per la determinazione con cui questo abbia voluto aiutare il nuovo arrivato a “trovare la sua dimensione”.

Song è un bimbo pieno di energia e voglia di fare, ma non è purtroppo mai stato scolarizzato, perché la struttura che lo ospitava non lo riteneva necessario per un bimbo destinato all’adozione. In casa si è creato un legame tra fratelli, anche collaborando. Il fratello grande fa, il piccolo osserva e impara.

Liang prepara la tavola e Song lo segue e vuole fare lo stesso anche lui. Liang si mette sulla sua scrivania a fare i compiti… e Song, che non sa neanche tenere la penna in mano, lo imita. Si siede accanto, lo guarda e riproduce, quello che può.

Tutto questo concede minuti preziosi a mamma e papà per procedere con lavoretti in casa, che prima erano impossibili, perché il nuovo arrivato richiedeva molta attenzione. Ma ora il fratellone, paziente, insegna. Il piccolo, una spugna che vuole assorbire ogni cosa, per sentirsi “a casa” invece impara, facendo passi da gigante. Questa situazione serve a rinsaldare un rapporto tra fratelli che, se non di sangue, lo sono ora e pienamente grazie al grande miracolo dell’adozione. Un miracolo d’amore.

Aibinews 26 settembre 2019

      www.aibi.it/ita/fratelli-adottivi-quando-ladozione-si-fa-in-tre

 

Ricerca delle origini. Griffini: “Distinguere tra ‘legittimo desiderio’ e ‘presuntuoso diritto’”

La ricerca delle origini da parte dei figli adottivi? Un tema complesso che, purtroppo, come tutti i temi complessi, si presta spesso a deleterie semplificazioni. Per questo Ai.Bi. – Amici dei Bambini, organizzazione nata da un movimento di famiglie adottive e affidatarie oltre trent’anni fa, ha deciso di farne l’argomento principe della XXVIII settimana di incontro e formazione dell’associazione, che si è tenuta a Casino di Terra, in provincia di Pisa, a fine agosto.

            “Molto spesso – ha spiegato il presidente di Ai.Bi. Marco Griffini durante un’intervista concessa al giornalista Marco Guerra di Interris.it – le argomentazioni su questo tema seguono facili scorciatoie verso l’interpretazione della cosiddetta ricerca delle origini come di un diritto. Questo in virtù di una tendenza della società contemporanea a rappresentare qualsiasi istanza degli individui come un imperativo cui dover aderire ‘a prescindere’, perché, per la realtà sociale in cui viviamo, non solo la libertà ma addirittura i capricci individuali non devono avere limiti, senza considerare eventuali diritti esercitabili da altri soggetti comunque coinvolti, trasformandosi automaticamente in un’istanza da sostenere e garantire, anche per legge, ad ogni costo. Ma non è così e serve una riflessione approfondita. Serve una distinzione tra un ‘legittimo desiderio’ e un ‘presuntuoso diritto’; occorre svelare e dire quanto le proprie ‘origini’, di sangue e di terra, non siano automaticamente da considerare come il proprio originario fondamento. C’è insomma un ‘mito del vincolo biologico’ che è da rivedere. E ciò vale anche per i genitori adottivi. Così la ricerca delle origini è diventato per molti un percorso al limite della schizofrenia”.

            Un ruolo, in tutto questo, lo hanno anche i social network. “Quella che è l’era della trasparenza – prosegue Griffini – è, in fondo, anche l’era della sorveglianza collettiva, dove, pur non approfondendo alcun rapporto e sentendosi estranei, tutti possono sapere tutto di tutti e non esiste più una dimensione privata, intima. Così un ragazzo che con il proprio genitore naturale condivide soltanto un legame di sangue, ma che non sa nulla del vissuto di quella persona, attraverso quell’utile ma per certi aspetti pericolosissimo strumento che sono i social può, in ipotesi, arrivare a scandagliarne l’esistenza e facendo, nella maggior parte dei casi, del male soprattutto a se stesso”.

“Oggi, se una persona adottata non si pone il problema della ricerca delle origini – ha aggiunto il presidente di Amici dei Bambini, a proposito degli interventi da parte di figli adottivi durante l’incontro di Casino di Terra – non è considerata ‘normale’, proprio in virtù delle considerazioni fatte in precedenza. Ecco, questi ragazzi hanno raccontato proprio questo: come siano a volte guardati come extraterrestri per il solo fatto di non manifestare questo desiderio e di sentirsi pienamente ‘figli’ dei propri genitori adottivi, quelli che, magari, hanno tenuto loro la mano quando da piccoli non riuscivano ad addormentarsi o che hanno gioito dei loro successi e pianto insieme a loro per le sconfitte. Riporto l’intervento di una ragazza che ha detto una frase bellissima, riguardo alla propria madre naturale, ossia che ‘non c’è bisogno di andare a cercarla’ perché la gratitudine per averla messa al mondo lei ‘di sicuro la sta sentendo nel suo cuore’. E, del resto, cosa potrebbe accadere piombando all’improvviso nella vita di qualcuno di cui non si conosce il vissuto? E se l’incontro desse origine a un rifiuto? Quali emozioni potrebbero scatenarsi? Davvero farebbe bene?”

            L’intervista con Guerra, tuttavia, è stata anche l’occasione per ribadire la necessità di un rilancio della adozione internazionale. “Oggi c’è sfiducia nell’adozione internazionale – ha concluso Griffini – per come è stata bistrattata dalla politica e dai Governi che si sono succeduti negli anni. Quando nel 2011 Carlo Giovanardi lasciò la Presidenza della CAI – Commissione Adozioni Internazionali i bambini adottati erano stati 4mila in un anno mentre nel 2018 sono stati circa 1300. Senza una spinta propulsiva a livello politico, se il governo non investe e non tiene rapporti con i Paesi esteri attraverso il primo motore diplomatico dell’adozione internazionale, ovvero proprio la CAI, non può esserci una svolta. La vicepresidente attuale, dottoressa Laura Laera, sta lavorando bene dopo la disastrosa gestione di chi la aveva preceduta, Silvia Della Monica, ma il presidente del Consiglio Conte, che ne detiene la presidenza, avrebbe dovuto delegare il proprio ruolo in tale consesso al ministro competente in materia di Famiglia. Invece, in virtù di divergenze ideologiche tra Cinque Stelle e Lega, non è accaduto. Ai tempi di Giovanardi la commissione si riuniva una volta al mese. Ora capita addirittura che le riunioni non abbiano il numero legale, pazzesco. Ma le associazioni e gli enti autorizzati non possono essere lasciati da soli”.

Aibinews 25 settembre 2019

www.aibi.it/ita/adozione-ricerca-delle-origini-griffini-distinguere-tra-legittimo-desiderio-e-presuntuoso-diritto

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AFFIDAMENTO DEI MINORI

Dopo Bibbiano sos affido

Dal 27 giugno 2019 scorso, da quando cioè è esplosa l’inchiesta di Bibbiano, in Italia si parla molto di affido familiare. E quando le parole sono troppe è molto facile che diventino tanto approssimative da risultare confuse. Parole a sproposito, idee confuse. Così che per tante persone, affido è diventato sinonimo di qualcosa di incerto, sfuggente, un po’ losco.

            Nei mesi scorsi qualcuno è arrivato a dire che l’affido è uno strumento in mano a giudici e servizi sociali corrotti per accontentare le ambizioni delle lobby gay. Ridicolo se non fosse tragico. Naturalmente non è quasi mai così.

Gli “affidi illeciti” di Reggio Emilia non c’entrano nulla con l’impegno silenzioso e positivo di migliaia di genitori che aprono generosamente la porta di casa per offrire una famiglia a un bambino in difficoltà. Inaccettabile il rischio di confondere il comportamento penalmente e umanamente agghiacciante – se i fatti verranno confermati – delle persone raccontate dall’inchiesta della Procura di Reggio Emilia, con quello di coloro che credono nell’affido come scelta buona e virtuosa.

            Lo dicono le associazioni del Forum delle famiglie che da decenni portano avanti la battaglia silenziosa per affermare la necessità di rilanciare un istituto prezioso ma troppo spesso negletto. E sul nostro mensile “Noi famiglia & vita” – in edicola domenica 29 settembre 2019 con “Avvenire” – raccontiamo le loro storie.

Quanti sono i minori in affido familiare? Prima di addentrarci nella verità dell’affido familiare e dei rilievi che sono stati fatti al sistema di protezione dei minori fuori famiglia nel nostro Paese, occorre capire quante persone siano coinvolte in questa emergenza. Premessa importante a cui va fatta – non è solo un gioco di parole – una premessa della premessa. Il problema è senz’altro preoccupante ma non quanto in altri Paesi europei. In Italia i minori costretti a vivere fuori dalla famiglia d’origine rappresentano una quota del 2,7‰. In Inghilterra arrivano al 6‰. In Francia e in Germania al 9‰.

Vuole dire che da noi, nonostante tutto, il tessuto familiare appare un po’ più consistente, un po’ più tenace. Ma in termini assoluti quanti sono questi ragazzi? Numeri precisi e “oggettivi” non ne esistono perché, in tutti questi anni e nonostante appelli molteplici, non siamo riusciti a costruire un osservatorio specifico a livello nazionale, in grado di raccogliere i dati, elaborarli e preparare statistiche credibili. Così le stime arrivano da più fonti: il Ministero del lavoro e della politiche sociali, le Procure minorili, l’Istituto degli innocenti di Firenze, l’Autorità garante per l’infanzia e dell’adolescenza. Secondo gli ultimi accertamenti, frutto di una “media” tra le diverse fonti, i minori che vivono fuori dalle famiglie d’origine sono circa 26mila di cui 14mila in affidamento familiare e 12.600 in strutture, comunità istituti.

Tutti gli affidi sono uguali?  È bene dire subito due cose. I numeri citati sono estremamente fluttuanti. Sia perché gli affidi familiari si concludono formalmente quando il ragazzo compie 18 anni – anche se esistono vari progetti per accompagnarli ancora con varie modalità fino a 21-22 – sia perché sono tanti i ragazzi che entrano ed escono dalle comunità e dagli istituti per decisione delle varie procure minorili (per esempio i minori allontanati dalle famiglie in base all’articolo 403 del codice civile).

[Dispositivo dell’art. 403 Codice civile. Quando il minore è moralmente o materialmente abbandonato (1) o è allevato in locali insalubri o pericolosi, oppure da persone per negligenza, immoralità, ignoranza o per altri motivi incapaci di provvedere all’educazione di lui, la pubblica autorità, a mezzo degli organi di protezione dell’infanzia, lo colloca in luogo sicuro, sino a quando si possa provvedere in modo definitivo alla sua protezione (2).

(1)      Si è affermato che “la presenza di significativi rapporti con il minore – accompagnati dalle relazioni psicologiche e affettive che normalmente caratterizzano un così stretto legame di parentela – da parte di una parente (nella specie la nonna), quale figura sostitutiva della madre, costituiscono il presupposto giuridico per escludere lo stato di abbandono, e, quindi, la dichiarazione di adottabilità” (così Cass. civile sez. I, sent. 10126 del 2005). L’accertamento dello stato di abbandono del minore dovrà peraltro basarsi su di una reale ed obiettiva situazione esistente in atto.

(2)      2) Si vedano gli articoli 2 e 4 della L. 184 del 4 maggio 1983: la Corte di cassazione ha precisato che non potrà ritenersi implicitamente abrogato l’articolo in esame dalle citate norme successivamente intervenute, poiché “esso attiene ad interventi urgenti da assumere nella fase anteriore all’affidamento familiare, ma andrà coordinato con l’art. 9 della citata legge che fa obbligo alla pubblica autorità – che venga a conoscenza della situazione di abbandono – di segnalarla al Tribunale per i minorenni]

 

Tenere un conto preciso di questi flussi è tutt’altro che agevole. Va anche detto che anche le forme di affido sono diverse. Esistono affidi che “funzionano” al meglio e che si prolungano per tanti anni, spesso fino alla maggiore età. Sono i cosiddetti affidi “sine die”. Per alcuni osservatori sono le situazioni più auspicabili perché significa che da una parte il ragazzo ha trovato le condizioni ideali di crescita e, dall’altra, che la famiglia accogliente dispone di risorse e capacità educative importanti. Va detto però che l’affido – a differenza dell’adozione – non dovrebbe essere una condizione permanente ma solo una forma di aiuto temporaneo alle famiglie d’origine che vivono, per tanti motivi, un periodo di difficoltà.

Gli affidi “sine die” sono purtroppo la prova che la situazione d’emergenza si protrae nel tempo e che quindi il minore non può tornare a casa. Ma spesso la situazione della famiglia d’origine è talmente ingarbugliata e conflittuale che i ragazzi in affido familiare sono ben contenti di rimanere dove sono.

Come mai mancano le famiglie accoglienti? Abbiamo detto circa 16mila ragazzi in affido familiare e circa 12.600 in istituti e comunità. Sembrerebbe logico pensare che il luogo più opportuno per far crescere un minore – anche considerando che si tratta quasi sempre di ragazzi che hanno alle spalle situazioni più o meno pesanti – sia una famiglia con una mamma, un papà e, magari, anche altri sorelle e fratelli. Perché allora non svuotare istituti, centri d’accoglienza e altre strutture e indirizzare quei 12mila nelle famiglie? La risposta più banale – vera solo in parte – è che non esiste un numero sufficiente di famiglie disposte ad aprire le porte di casa per accogliere un minore in difficoltà.

            Ma se è vero che non tutte le famiglie dispongono dell’attrezzatura umana, delle risorse educative e anche del coraggio necessario per permettere a un bambino in difficoltà di trovare nuove mura domestiche, è anche vero che tante coppie potrebbero essere facilmente essere messe nella condizione di tentare questa strada che parla di generosità, apertura, umanità. Spesso però le coppie non ricevono informazioni sufficienti, le campagne per l’affido familiare avviate dagli enti locali sono sempre più rare, talvolta le famiglie che aprono le porte di casa a un minore solo hanno la sensazione di essere lasciate sole.

            A pesare c’è anche la crescente disgregazione delle famiglie, la crisi economica, la solitudine, l’indebolirsi delle reti parentali. Eppure l’affido va non solo promosso, ma difeso da qualsiasi confusione con l’inchiesta sui bambini manipolati per darli in affido ad amici e conoscenti.

Qualche giorno dopo l’esplodere dell’inchiesta di Bibbiano i rappresentanti delle associazioni che si occupano di affido all’interno del Forum Associazioni Familiari  (Famiglie per l’accoglienza, Aibi, Azione per Famiglie nuove, Comunità Giovanni XXIII e Progetto famiglia) hanno sottoscritto un manifesto per l’affido: «Chiediamo esemplarità della pena, che non ci sia nessuno sconto per i responsabili di atti tanto gravi, perché con i bambini non si scherza e perché, per colpa di poche persone, non si metta in dubbio una legge e un’esperienza che ha fatto del bene a tanti bambini e a tante famiglie».

            Va anche detto che non per tutti i minori che vivono in comunità è possibile o opportuno l’affido familiare. Esistono ragazzi con disturbi o patologie psico-fisiche, situazioni a rischio (per esempio bambini abusati), minori a cui serve una tutela specifica che difficilmente potrebbero essere accolti in una famiglia normale. Quindi attenzioni alle facile generalizzazioni. Strutture e centri d’accoglienza servono. Quelle che non servono a nessuno sono le demonizzazioni a priori, senza conoscere le varie situazioni.

Comunità d’accoglienza il grande equivoco. Chi decide che un bambino dev’essere “aiutato” a superare un momento di difficoltà? Talvolta sono le stesse famiglie a chiedere aiuto ai servizi sociali. In altre occasioni i servizi si attivano perché arriva una segnalazione dalle insegnanti, da un educatore, dai vicini di casa, da un medico, dalle forze dell’ordine. Se i servizi sociali ritengono che si tratti di una situazione d’emergenza, possono disporre il cosiddetto “allontanamento coatto” del minore dalla famiglia secondo quanto previsto dall’articolo 403 del codice civile. Si tratta di uno strumento estremo – attivato con l’aiuto della polizia locale – che suscita spesso polemiche.

I responsabili dei servizi possono agire in tempi brevi, sulla base delle proprie valutazioni. Talvolta, in casi di abusi, gravi maltrattamenti e altre situazioni di violenza, l’intervento si rivela quanto mai opportuno. In altre situazioni la situazione può essere più problematica. In ogni caso, dopo l’applicazione del “403”, alle famiglie rimangono margini davvero esigui per contestare il provvedimento. Anche perché la segnalazione alle procure minorili arriva solo dopo alcuni giorni e spesso gli uffici giudiziari non dispongono di risorse per accertare in tempi brevi la fondatezza del provvedimento. Naturalmente non tutti i bambini che finiscono in affido familiare sono “vittime” o sono stati “salvati” dall’articolo 403. Secondo la procedura ordinaria è il giudice a stabilire qual è l’approdo più opportuno.

Quando manca una famiglia accogliente e non ci sono neppure parenti disponibili, si aprono così le porte delle comunità d’accoglienza, strutture, centri, case-famiglie che dir si voglia. In Italia sono circa tremila ma, anche in questo caso, nessuno lo sa con precisione perché manca un registro nazionale. Che siano troppe lo racconta la statistica stessa. Dodicimila minori per tremila “case” fanno più o meno quattro minori a testa, che costano comunque alle amministrazioni pubbliche una media di 120 euro al giorno.

            Ma anche in questo caso non ci sono tariffe stabilite su base nazionale. Ogni regione, addirittura ogni Comune fa da sé. E il rimborso varia sulla base della tipologia dell’istituto/struttura. Dai circa 50 euro al giorno per bambino si arriva ai 300 e anche 400 euro nelle strutture che assistono minori con patologie complesse e disabilità. Tantissimo, in ogni caso.

Tanti problemi da risolvere con urgenza. L’inchiesta di Bibbiano ha rilevato che sono tante le questioni da risolvere: “buchi” legislativi e situazioni ad alto rischio che da anni gli esperti – quelli davvero preoccupati di mettere al primo posto i bambini – non si stancavano di segnalare. Tante le incongruenze. Come è possibile che nei piccoli Comuni, quelli al di sotto dei 5mila abitanti – e sono quasi l’80% degli oltre 8mila Comuni italiani – l’operato dei servizi sociali venga affidato, attraverso convenzioni, a cooperative e associazioni, si svolga di fatto senza controlli? Come è possibile che basti la relazione di un assistente sociale per convincere un giudice minorile a dare il via libera all’allontanamento coatto di un bambino da casa? E come è possibile che contro quel provvedimento non esista di fatto possibilità di difesa, visto tra il trasferimento nella “struttura protetta” e la prima udienza passano in media 6-8 mesi? Periodo lunghissimo e straziante per un bambino che non comprende cosa stia succedendo, perché i genitori l’abbiano abbandonato, cosa debba rispondere a quegli improvvisamente diventati le sue figure adulte di riferimento.

            E ancora: perché non imporre un tempo massimo per la convocazione della prima udienza di verifica dopo l’allontanamento? Nel diritto penale un PM ha 48 ore di tempo, per i minori passano mesi. Non si tratta di una grave ingiustizia? Perché non imporre criteri più rigorosi per l’applicazione della modalità di condurre l’ascolto del minore? Perché non introdurre il diritto al contraddittorio paritetico per i genitori, già prima dell’avvio ufficiale del provvedimento (peraltro diritto costituzionale)? Perché non uniformare le tariffe che le amministrazioni locali versano alle “case”-strutture-istituti? E, allo stesso tempo, i rimborsi decisi – ma non obbligatori – che vengono corrisposti alle famiglie affidatarie? Tanti, tantissimi problemi che potrebbero essere affrontati soltanto da una legge quadro di riordino di tutta questa complessa materia. Ma questo governo avrà tempo e voglia per affrontare una materia così complessa e così scomoda?

La proposta di riforma dell’affido e, soprattutto delle norme del Codice civile che riguardano l’allontanamento di un minore dalla famiglia d’origine, di cui è stata avviata nei giorni scorsi la discussione in Commissione Giustizia della Camera, prima firmataria Stefania Ascari (M5S), non soddisfa pienamente. Appare segnata da un garantismo globale che per alcuni versi sembra un po’ utopico. Il testo verrà probabilmente integrato con le altre proposte presentate sull’argomento. Eventualità auspicabile perché questa bozza, tutta costruita sull’emotività dell’inchiesta di Bibbiano, rischia di presentare l’affido non come gesto solidale di una famiglia che ne aiuta un’altra, ma come scelta quasi unicamente giudiziaria, da temere se non da esecrare.

Proposta di legge: ASCARI ed altri: “Modifiche al codice civile e alla legge 4 maggio 1983, n. 184, in materia di affidamento dei minori” (2047),, presentata il 31 luglio 2019,

www.camera.it/leg18/995?sezione=documenti&tipoDoc=lavori_testo_pdl&idLegislatura=18&codice=leg.18.pdl.camera.2047.18PDL0073880&back_to=https://www.camera.it/leg18/126?tab=2-e-leg=18-e-idDocumento=2047-e-sede=-e-tipo=

esaminata in sede referente il 17 settembre 2019 nella II Commissione-Giustizia della Camera dei Deputati

www.camera.it/leg18/824?tipo=C&anno=2019&mese=09&giorno=17&view=&commissione=02&pagina=data.20190917.com02.bollettino.sede00020.tit00010#data.20190917.com02.bollettino.sede00020.tit00010ttps://www.camera.it/leg18/824?tipo=C&anno=2019&mese=09&giorno=17&view=&commissione=02&pagina=data.20190917.com02.bollettino.sede00020.tit00010#data.20190917.com02.bollettino.sede00020.tit00010

 

            Nel frattempo attendiamo gli esiti dell’inchiesta dove, al di là dei clamori e delle condanne mediatiche preventive, ancora tanto rimane da accertare. Entro novembre i giudici dovrebbero chiudere l’inchiesta e presentare le richieste di rinvio a giudizio. E il processo? Forse entro la fine dell’anno o all’inizio del 2020. Ne parleremo ancora a lungo.

Luciano Moia Avvenire          28 settembre 2019

www.avvenire.it/famiglia-e-vita/Pagine/dopo-bibbiano-sos-affido

 

Tolti cinque figli a una famiglia in difficoltà: ma è sempre la soluzione migliore?

Quanto costano allo Stato i bambini tolti alle famiglie e presi in carico dai Servizi sociali? Tanto, più di quanto si possa immaginare. E quanto costerebbe, alle casse pubbliche, il sostenere piuttosto quei nuclei famigliari per evitare che quei bambini debbano essere allontanati dalla loro famiglia? Infinitamente meno.

            Per fare un esempio concreto, secondo un calcolo del presidente dell’associazione La Caramella Buona Onlus, Roberto Mirabile, che preso carta e penna per scrivere una lettera al quotidiano LaPressa, cinque bambini recentemente tolti alla famiglia dai Servizi sociali (siamo in Emilia Romagna) non per questioni di maltrattamento ma per le difficoltà culturali e soprattutto economiche dei genitori, costerà alle casse pubbliche circa 30mila euro al mese.

            “Con tremila euro al mese – ha scritto Mirabile al direttore del quotidiano – invece, potremmo sostenere tutta la famiglia, riunendo i bambini ai loro genitori, non dico dando direttamente i soldi in mano a loro, ma facendoli gestire oculatamente da assistenti bravi e scrupolosi (e ce ne sono) fornendo buoni pasto e materiale utile alla famiglia. Ripeto: tremila euro al mese, contro trentamila euro, ovvero praticamente un decimo di quanto si spende oggi. Ricordo (…) che parliamo di genitori in difficoltà economica e culturale, bisognosi di aiuto avendo cinque figli da crescere”.

            “Dal punto di vista economico – aggiunge invece il presidente di Ai.Bi. – Amici dei Bambini, Marco Griffini – dunque, visto che oggi, leggendo i quotidiani, tutto sembra ridursi al mero calcolo, non sembrerebbero esserci dubbi su quale sia la strada migliore da seguire. Eppure, evidentemente, quando si parla di famiglia e figli così non è. E proprio le famiglie, soprattutto quelle numerose, continuano a faticare, senza sostegno adeguato da parte delle istituzioni. E, anche quando il supporto c’è, ci si imbatte in una burocrazia talmente complessa da scoraggiarne quasi l’accesso. Poi ci stupiamo se le famiglie non fanno più figli”.

Aibinews         24 settembre 2019

    www.aibi.it/ita/tolti-cinque-figli-a-una-famiglia-in-difficolta-ma-e-sempre-la-soluzione-migliore

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AFFIDO CONDIVISO

Perché resta indispensabile riscrivere l’affidamento condiviso

Tribunale di Torino, settima Sezione civile, ordinanza n. 12644, 9 agosto 2019

www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_35807_1.pdf

            Un’ordinanza del TO di Torino oscilla tra le ragionevoli e ortodosse richieste della prole e gli obsoleti ma radicati modelli della giurisprudenza

Le novità a livello di Governo hanno fatto esultare gli avversari dell’affidamento condiviso – ovvero dei suoi stessi principi, a ben leggere – a prescindere da come ne fosse proposta la riscrittura. Non può, tuttavia, essere dimenticato che i problemi che avevano ispirato i numerosi tentativi di incentivazione (dal 2007 a oggi), sono ancora tutti sul tavolo.

Ne dà prova una ordinanza del Tribunale di Torino che in parte detta disposizioni assolutamente condivisibili, ma solo per volontà dei soggetti più direttamente coinvolti (le figlie) e quasi a dispetto del giudicante. Il quale, non a caso, per tutto ciò che direttamente ed esclusivamente gli compete continua a muoversi nel solco dei vecchi modelli monogenitoriali. Si prevede, infatti, che “le figlie pur mantenendo la residenza anagrafica e la dimora abituale presso la madre siano collocate a settimane alterne presso ciascun genitore come richiesto dalle stesse minori nell’audizione”. Dove salta agli occhi che se i tempi presso i due genitori sono identici non ha alcun senso parlare di “dimora abituale”; salvo che questo rappresenti un estremo tentativo per creare comunque una gerarchia tra i genitori, anche se resta difficile comprendere come questa si concretizzerà. Se differenze continueranno ad esistere, queste deriveranno per intero dalla residenza anagrafica e non dal preteso mantenimento di una fantasiosa dimora abituale presso la madre; che non si è riusciti ad omettere.

Del resto la stessa descrizione del maturare della scelta dà conferma intuitiva dello sforzo che le interessate hanno dovuto compiere per “strappare” la formula desiderata: “le ragazze che sono parse consapevoli e determinate nelle loro richieste hanno dichiarato di stare bene con entrambi i genitori e di aver mantenuto un buon rapporto con il padre nonostante quest’ultimo abbia vissuto 4 anni in Australia rientrando in Italia circa un mese l’anno (è rimasto in Italia dal 24.12.2017 al 12.3.2018). Dove, tra l’altro, si nota che nel 2018 la permanenza in Italia è di oltre due mesi e mezzo e non “circa un mese”; una visione riduttiva che non appare priva di significato.

Più apprezzabile ancora appare la motivazione addotta dalle interessate, le quali “hanno giustificato la richiesta di rimanere a settimane alternate con ciascun genitore anche per una questione di comodità per evitare di spostare continuamente abbigliamento e libri”. E’ questo un passaggio di fondamentale importanza, perché va a smentire l’usurata ma permanente tesi dello “sballottamento” legato alla frequentazione paritetica. Una falsificazione abbastanza impudente, visto che contraddice il più elementare calcolo del numero di spostamenti associati ai due modelli, nella versione più praticata: ogni due settimane cinque viaggi nel falso condiviso (fine settimana alternati e tre pomeriggi), contro uno/due soli nel condiviso vero, paritetico. Vale la pena di osservare come sia nell’audizione in Senato di questa legislatura (2019) che in quella (2011) dell’l’associazione Figli con i figli (che rappresenta posizioni e desideri di quanti oggi adulti hanno vissuto la separazione dei propri genitori) sia stato sviluppato magistralmente il medesimo concetto in merito alle consuetudini giurisprudenziali: ” Una prassi che obbliga i figli ad una quotidianità defatigante, sballottati come pacchi postali da una casa all’altra per le spezzettate “visite” solo pomeridiane (martedì e giovedì presso il non collocatario se il week-end non è con lui, solo il mercoledì se lo è… e assurdità del genere), senza continuità, senza poter cenare e pernottare là dove ci si trova alle 7 (o alle 9) di sera, costretti a interrompere tassativamente lo svolgimento di un compito, una conversazione o un momento ricreativo per rivestirsi in fretta ed essere riportati e “scaricati” dal “genitore prevalente”… E tutto questo in nome e in difesa della “stabilità” e del presunto “superiore interesse” del minore…. Ma a nessuno viene in mente quanto sia faticoso e scolasticamente rischioso dover portare in cartella libri e quaderni per due giornate scolastiche, dovendosi ricordare di tutto ciò che può servire.”

Evidentemente non si intende ascoltare ciò che mette in crisi scelte puramente ideologiche. E che l’ideologia tradizionale domini abbondantemente l’ordinanza torinese è dimostrato dalla parte economica, in cui le figlie non hanno avuto possibilità di parola. Lo si vede nelle disposizioni che riguardano la casa familiare, allineate con l’indimostrato principio, aprioristicamente sostenuto, che ai figli giovi sempre e comunque continuare ad abitare là dove sono cresciuti (che purtroppo però è anche il luogo delle liti familiari e del fallimento di un progetto): “nella specie viene meno” a causa della frequentazione paritetica “l’interesse da tutelare consistente nel preservare ai figli la permanenza nell’ambiente domestico nel quale sono cresciuti (Cass. n.21334 del 2013)“. Stessa cosa per la forma del mantenimento, ancorata al fatidico assegno. Quindi niente capitoli di spesa e per quelle straordinarie rinvio al Protocollo locale, che lascia indeterminato chi ne prenderà l’iniziativa, prevede il farraginoso meccanismo della concertazione, documentazione e rimborso, e divide i costi al 50%, ignorando la proporzione con i redditi, secondo legge.

Concludendo, appare evidente – anche da un provvedimento che pure è apprezzabile per avere accolto richieste contro corrente – la profonda distanza culturale tra l’utenza e la magistratura. Si conferma, quindi, la necessità e l’urgenza di non abbandonare a seguito dei rivolgimenti politici quelle iniziative di legge che avevano fondatissime motivazioni sociali. Indubbiamente il modo dovrà essere ripensato, ma non mancano certo nel nostro stesso Parlamento precedenti virtuosi sulla materia, che avevano messo d’accordo componenti politiche diverse e avrebbero finalmente soddisfatto le istanze popolari. Tuttavia è evidente che una prassi funzionale agli interessi di categoria degli operatori del diritto e adottata da decenni per essere superata richiede notevoli sensibilità e impegno da parte del Parlamento. Certamente le premesse sono abbastanza preoccupanti, se oggi tra chi si dichiara “progressista” c’è chi afferma che “la bigenitorialità è contro le donne”, con ciò negando i principi base dell’affidamento condiviso. Chi condivide questa conclusione dovrebbe attivarsi per esprimere il proprio dissenso; prima che sia troppo tardi.

Marino Maglietta                   news studio Cataldi

www.studiocataldi.it/articoli/35807-perche-resta-indispensabile-riscrivere-l-affidamento-condiviso.asp

 

Affidamento e mantenimento dei figli nella separazione: regole ed eccezioni

L’affidamento condiviso prevede la ripartizione tra i genitori dei compiti di cura ed educazione dei minori, non essendo necessaria ovviamente la parità di permanenza dei figli con ciascun genitore né la dualità della residenza, mentre l’affidamento congiunto vede i genitori esercitare il loro ruolo assieme, a mani unite.

1) L’affidamento condiviso introdotto dalla legge n. 54 del 2006 è ispirato alla Convenzione sui diritti del fanciullo stipulata a New York il 20 novembre 1989 e ratificata in Italia con la l. 27 maggio 1991, n. 176

Sulla problematica inerente l’affidamento dei figli nella separazione e il conseguente aspetto del loro mantenimento, ha pubblicato un approfondimento Paolo Doria.

  1. 1.       L’affidamento dei figli: la regola della condivisione genitoriale. La legge n. 54, 8 febbraio 2006 ha innovato profondamente la materia sull’affidamento dei minori, invertendo sostanzialmente il rapporto di regola ed eccezione tra il previgente affidamento congiunto ed esclusivo.

www.camera.it/parlam/leggi/06054l.htm

 La predetta legge, vista la valorizzazione del diritto alla bigenitorialità del minore, inteso come diritto ad un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori anche in caso di crisi della coppia, aveva introdotto con il comma 2 dell’art. 155 c.c. il criterio prioritario della valutazione dell’affidamento a entrambi i genitori, ovverosia dell’affidamento condiviso.       

              www.altalex.com/documents/news/2014/11/10/dello-scioglimento-del-matrimonio-e-della-separazione-dei-coniugi#art155

L’affidamento condiviso si distingue nettamente dal precedente affidamento congiunto: infatti l’affidamento condiviso prevede la ripartizione tra i genitori dei compiti di cura ed educazione dei minori, non essendo necessaria ovviamente la parità di permanenza dei figli con ciascun genitore né la dualità della residenza, mentre l’affidamento congiunto vede i genitori esercitare il loro ruolo assieme, a mani unite.

L’impianto della legge n. 54 del 2006 è stato sostanzialmente mantenuto dal D. Lgs. n. 154, 28 dicembre 2013 che, in seguito alla riforma dell’istituto della filiazione, ha abrogato l’art. 155 c.c. sostituendolo con l’art. 337-ter c.c.                                                                 www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2014/01/08/14G00001/sg

www.altalex.com/documents/news/2014/11/10/della-potesta-dei-genitori#art337ter

La ripartizione dei compiti genitoriali si riflette nell’esercizio della responsabilità genitoriale che deve essere esercitata da entrambi (art. 337- ter, comma 3), anche se opportunamente la stessa norma prevede che il giudice possa stabilire che la responsabilità genitoriale venga esercitata separatamente per le questioni di ordinaria amministrazione; ovverosia, può essere concesso a ciascun genitore di adottare autonomamente le decisioni di natura routinaria.

Va sottolineato, inoltre, che l’art. 337-ter, comma 3, privilegia in materia di affidamento la soluzione concertata tra i genitori; infatti, il giudice deve prendere atto degli accordi dei genitori, purché non siano in contrasto con l’interesse superiore dei figli.

  1. L’affidamento esclusivo dei figli come ipotesi residuale. L’affidamento esclusivo, regolato dall’art. 337-quater c.c., è disposto solo quando l’affidamento all’altro coniuge è contrario all’interesse del minore. Si è posto il dubbio, visto il dettato testuale degli artt. 337, comma 3, c.c., e 337-quater, comma 3, c.c., che il legislatore abbia scisso la titolarità e l’esercizio della responsabilità genitoriale nell’àmbito dell’affidamento esclusivo.

www.altalex.com/documents/news/2014/11/10/della-potesta-dei-genitori

www.brocardi.it/codice-civile/libro-primo/titolo-ix/capo-ii/art337ter.html?utm_source=internal&utm_medium=link&utm_campaign=articolo&utm_content=nav_art_prec_top

www.brocardi.it/codice-civile/libro-primo/titolo-ix/capo-ii/art337quater.html?utm_source=internal&utm_medium=link&utm_campaign=articolo&utm_content=nav_art_succ_dispositivo

Tuttavia, è preferibile la tesi secondo cui anche in àmbito di affidamento esclusivo rimangono congiunti in capo ad entrambi i genitori sia la titolarità che l’esercizio della responsabilità genitoriale, anche se con modalità e caratteristiche diverse. Il Giudice nella determinazione dell’affidamento esclusivo deve avere riguardo, quindi, non tanto alle ragioni della separazione, visto che l’affidamento può essere riconosciuto anche al coniuge cui sia imputabile l’addebito, quanto all’esclusivo interesse dei minori. Sulle modalità per valutare quando sussistano i presupposti per la scelta per l’affidamento esclusivo le opinioni divergono: vi è chi  ritiene che l’istante debba provare la violazione dei doveri o l’abuso dei poteri inerenti la responsabilità da parte dell’altro genitore (art. 330, comma 1, c.c.), ovvero il fatto che quest’ultimo tenga una condotta pregiudizievole nei confronti della prole (art. 333, comma 1, c.c.), dovendo dare non la prova positiva della propria maggiore idoneità all’affidamento, ma quella negativa della inidoneità dell’altro genitore; altri, invece, escludendo espressamente che si debba fare ricorso alle situazioni estreme di cui agli artt. 330 e 333 c.c., sostengono che sia necessario semplicemente rinvenire nella fattispecie concreta, da valutarsi caso per caso, che l’affido condiviso sia contrario all’interesse dei figli, impedendo od ostacolando una condizione di vita equilibrata, serena e soddisfacente.

Di sicuro una situazione di mera conflittualità tra genitori da sola non è di per sé sufficiente per far optare per il regime dell’affidamento esclusivo, tranne nel caso in cui il grado di litigiosità sia talmente elevato da non consentire di trovare un accordo tra genitori anche sulle cose più banali. (Cass. 18 giugno 2008, n. 16593)

 L’analisi della fattispecie per rinvenire l’interesse o meno del minore ad una o piuttosto all’altra forma di affidamento sembra rimessa al giudice, che dispone dei poteri istruttori d’ufficio di cui all’art. 337-octies c.c., dovendo “valutare caso per caso ciò che è contrario agli interessi del minore”.

L’art. 337-quater c.c., al comma 2, pone una regola di sbarramento alla facile richiesta di affidamento esclusivo dei figli, che spesso vengono utilizzati dai genitori a scopo strumentale per ottenere vantaggi economici: se la domanda risulta manifestamente infondata, il giudice può trarre argomenti di prova ai fini della determinazione dei provvedimenti da adottare nell’interesse dei figli (e quindi anche in tema di affidamento), salva l’applicazione della responsabilità aggravata di cui all’art. 96 c.p.c.

3. L’affidamento condiviso comporta la uguale permanenza dei figli presso entrambi i genitori? Nell’eventualità che si ritenga opportuno optare per l’affidamento condiviso, bisogna determinare i tempi e le modalità di presenza dei figli presso ciascun genitore: l’affidamento condiviso non esclude affatto, infatti, che vi sia una prevalenza nel collocamento dei minori (Cass. 14 settembre 2016, n. 18087).

Anzi, al contrario, credo che lo spirito della legge n. 54 del 2006 e anche del successivo D. Lgs. n. 154 del 2013 non sia quello di trasformare i figli in pacchi postali, ponendoli in una condizione di perenne trasferimento tra le residenze dei genitori, ma che sia assolutamente prioritario, soprattutto nella prima infanzia, l’interesse ad individuare una prevalente permanenza presso uno dei genitori, se non altro per consentire ai figli di focalizzare il proprio ambiente domestico di riferimento.

Parimenti, credo che sia da escludere nella generalità dei casi l’alternanza dei genitori nella casa familiare mantenendovi con continuità solo i figli. In definitiva, l’affidamento dei figli investe un tema centrale della crisi familiare e implica l’assunzione di importanti responsabilità da parte dei genitori che, nella vigenza della regola generale dell’affidamento condiviso, di cui però il legislatore non ha specificato nel dettaglio i caratteri lasciando vari margini di discrezionalità e incertezza, sono chiamati a collaborare seriamente tra di loro nell’esclusivo interesse dei figli, anche dopo la frattura, temporanea o definitiva del loro legame affettivo.

4. Il mantenimento dei figli nella separazione: deve essere assicurato quanto necessario per mantenere il precedente tenore di vita.  Il comma 4 dell’art. 337-ter c.c. dispone che ciascuno dei genitori debba provvedere al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito, considerando i seguenti elementi:

  1. le attuali esigenze del figlio;
  2. il tenore di vita goduto in costanza di convivenza con entrambi i genitori;
  3. i tempi di permanenza presso ciascun genitore;
  4. le risorse economiche di entrambi i genitori;
  5. la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore.

Il minore deve vedersi assicurato tutto ciò che è necessario al soddisfacimento dei suoi bisogni secondo il tenore di vita mantenuto in precedenza (Cass. 21 giugno 2011, n. 13630)

La fonte dell’obbligo del contributo al mantenimento dei minori discende dagli artt. 147, 148 e 316-bis c.c. È già stato autorevolmente escluso che l’istituto dell’affidamento condiviso comporti in modo automatico che ciascuno dei genitori debba provvedere paritariamente, in modo diretto e autonomo, alle esigenze dei figli minori (Cass. 1° luglio 2015, n. 13504).

 Il principio del mantenimento deve essere applicato, dunque, tenendo conto dei parametri indicati. In relazione ai tempi di permanenza dei figli presso ciascun genitore bisogna valutare se sia disposta una collocazione prevalente. Ma anche ove fosse disposto il collocamento paritario, si potrebbe giustificare ugualmente la richiesta di un assegno di mantenimento, soprattutto in considerazione degli ultimi due parametri del comma 4 dell’art. 337-ter. Nel caso in cui le risorse economiche dei genitori fossero assolutamente sproporzionate, dovrebbe essere disposto un maggiore contributo al mantenimento dei figli a carico del coniuge più facoltoso.

Ma la parte innovativa dell’art. 337-ter c.c. è insita nell’ultimo elemento indicato dalla norma, ovverosia nella valorizzazione del lavoro di cura e casalingo svolto da ciascun coniuge, superando la tradizionale distinzione secondo cui solo il lavoro professionale è retribuito, mentre quello domestico non è retribuito e quindi non è adeguatamente riconosciuto (Trib. Novara 20 maggio 2011,).

 La valutazione economica della cura e dei compiti domestici deve riversarsi sull’assegno di mantenimento a carico del genitore che non vi adempie. Infatti, la corresponsione dell’assegno è improntata ad un principio di proporzionalità che deve intendersi non in termini meramente reddituali, ma come criterio di adeguatezza rispetto all’effettiva presenza (affettiva ed economica) del genitore nella vita quotidiana dei figli.

5. Il mantenimento dei figli maggiorenni. Un breve approfondimento merita il problema del mantenimento dei figli maggiorenni: l’obbligo del contributo a loro favore non cessa per i genitori automaticamente con il raggiungimento della maggiore età; infatti, l’art. 337- septies c.c. prevede che il giudice possa disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico. (Cass. 27 giugno 2011, n. 14123)

L’obbligo di contributo al mantenimento dei figli maggiorenni cessa solo quando abbiano raggiunto una propria autonomia e indipendenza economica (Cass. 5 marzo 2018, n. 5088).

Non può essere riconosciuto l’assegno a favore del figlio maggiorenne che si sottrae volontariamente allo svolgimento di un’attività lavorativa adeguata alla professionalità acquisita (Cass. 1° febbraio 2016, n. 1858).

Una volta raggiunta la piena autonomia economica, il diritto al mantenimento cessa e può più rivivere, potendo il figlio maggiorenne reclamare solo gli alimenti, qualora ne sussistano i presupposti di legge.

(Cass. 14 marzo 2017, n. 6509)

 L’art. 337- septies, già nella formulazione precedente di cui all’abrogato art. 155-quinquies c.c. introdotto dalla legge n. 54 del 2006, aveva posto dei dubbi sulla legittimazione ad agire per la richiesta dell’assegno, affermandosi in prevalenza la tesi che la legittimazione spetti in via autonoma e concorrente al figlio e al genitore con esso convivente.                                                                          (Cass. 10 gennaio 2014, n. 359)

6. Conclusioni: l’incertezza dei parametri per la quantificazione dell’assegno di mantenimento impone la prudenza e la ragionevolezza nel giudizio di separazione. La corresponsione dell’assegno è periodica. (Trib. Roma 10 marzo 2011, n. 5232) e il problema più ricorrente nella pratica forense è la sostanziale mancanza di parametri concretamente quantificabili per la determinazione della misura dell’importo dovuto: si pensi alla difficoltà di determinare i bisogni attuali del figlio, il tenore di vita, per non parlare della valenza economica dei compiti domestici dei genitori.

Non meno problematica è la ricostruzione dei patrimoni dei coniugi, soprattutto quando le dichiarazioni reddituali (Cass. 17 febbraio 2011, n. 3905,) siano incongruenti con il tenore di vita concretamente goduto, anche se in questo caso è possibile richiedere lo svolgimento delle indagini di polizia di tributaria previste dall’ultimo comma dell’art. 337-ter c.c. (Cass. 28 gennaio 2011, n. 2098). I tentativi di individuare dei modelli statistici di calcolo non paiono ancora soddisfacenti, per cui la determinazione va rimessa sostanzialmente al giudice e alle parti caso per caso.

L’estrema incertezza della materia e la delicatezza degli interessi coinvolti impongono agli avvocati difensori particolare prudenza e ragionevolezza. Se si è tutti d’accordo sul fatto che il processo costituisca una pena, mai come nel diritto di famiglia questa asserzione trova il riconoscimento di tutta la sua fondatezza. È con questa consapevolezza che ci si deve avvicinare alla contesa familiare: il patrocinato vive un dramma interiore che non ha nulla a che vedere con una questione condominiale o il pagamento di un debito, ma rappresenta il fallimento di un progetto di vita e di comunione di intenti che coinvolge inevitabilmente non solo il partner, ma anche gli innocenti figli minori, gli ascendenti (diritto degli ascendenti e dei parenti di ciascun ramo genitoriale di mantenere rapporti significativi con i minori, artt. 315-bis, comma 2, e 337-ter, comma 1, c.c. ; art. 317-bis c.c.).e tutta la cerchia di amici e parenti.

Le udienze, gli atti, le deposizioni testimoniali e le consulenze psico-pedagogiche si traducono spesso in momenti di grande sofferenza interiore che costituiscono la pena che la parte deve scontare indipendentemente dall’esito del giudizio. Questa situazione processuale e umana richiede all’avvocato un’etica della sobrietà, della pacatezza e della mediazione che lo porti ad essere un autentico promotore di legalità effettiva nei confronti delle parti, alimentando “tutte le possibilità per una soluzione stragiudiziale”. Proprio per questo motivo, pare sia opportuno raccomandare nel giudizio di separazione moderazione, equilibrio e sobrietà: a volte sacrificare cento euro cambia la qualità della vita di un’intera famiglia per gli anni che vengono risparmiati al giudizio.

Redazione Altalex      25 settembre 2019      39 note

www.altalex.com/documents/biblioteca/2019/09/25/affidamento-e-mantenimento-figli-separazione

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ASSEGNO DI MANTENIMENTO

Chi non versa l’assegno di mantenimento all’ex si salva se cambiano le condizioni

Corte di Cassazione, sesta sezione civile, ordinanza n. 23024, 16 settembre 2019

www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_35863_1.pdf

Chi versa l’assegno di mantenimento nell’importo fissato in via provvisoria del giudice non potrà chiedere, a chi l’abbia ricevuto, di restituire la parte eccedente qualora intervenga un provvedimento che modifica il predetto importo.

Qualora, invece, l’obbligato non abbia ancora corrisposto le somme dovute per tutti i periodi pregressi, si ritiene che tali prestazioni non siano più dovute in base al provvedimento di modificazione delle condizioni di separazione. Rileva in tal caso la retroattività della pronuncia che ha modificato l’obbligo a carico del coniuge tenuto a versare l’assegno.

Innanzi ai giudici di legittimità viene impugnata la sentenza con cui la Corte d’Appello ha confermato la misura dell’assegno di mantenimento disposto a suo favore e a carico del coniuge all’esito del giudizio di separazione in primo grado. In tale sede era stato ridotto l’importo stabilito in via provvisoria e ne era stata fissata la decorrenza a partire dal primo mese successivo al deposito della domanda introduttiva.

La ricorrente contesta, in Cassazione, il fatto che la decorrenza della riduzione dell’assegno fosse stata fatta retroagire dalla domanda sebbene le somme corrisposte a tale titolo fossero irripetibili. Ancora, ritiene che i giudici di merito non avessero tenuto conto del fatto che la donna fosse priva di redditi.

Gli Ermellini evidenziano come la Corte d’Appello, pur rilevando la condizione areddituale in capo alla ricorrente, non ha disposto la revoca dell’assegno, ma ne ha confermato la misura nei limiti che già il Tribunale, dando atto degli esiti delle investigazioni di polizia tributaria, confermati anche a seguito delle ulteriori indagini disposte a chiarimento in sede di appello, aveva giudicato congrui, tenendo presente anche la potenziale capacità di guadagno della donna, e che tali sono stimati anche dal decidente del grado.

Separazione: modifica delle condizioni e pagamenti pregressi. Quanto all’altra doglianza, la Corte sottolinea come la giurisprudenza di legittimità sia giunta a conciliare il principio della normale retroattività della statuizione giudiziale di riduzione al momento della domanda coni principi di irripetibilità, impignorabilità e compensabilità delle somme corrisposte a titolo di mantenimento, che hanno natura alimentare.

Ciò sul filo della considerazione “che la parte che abbia già ricevuto, per ogni singolo periodo, le prestazioni previste dalla sentenza di separazione, non può essere costretta a restituirle, né può vedersi opporre in compensazione, per qualsivoglia ragione di credito, quanto ricevuto a tale titolo, mentre ove il soggetto obbligato non abbia ancora corrisposto le somme dovute per tutti i periodi pregressi tali prestazioni non sono più dovute in base al provvedimento di modificazione delle condizioni di separazione” (cfr. Cass., n. 28987/2008).

Pertanto, non si ritiene censurabile l’adesione che a detto indirizzo ha mostrato di prestare la decisione in esame. Anzi, il Collegio ritiene non significativo il diverso orientamento che la Corte ha ritenuto di enunciare in altre occasioni (cfr. Cass. n. 15186/2015).

Lucia Izzo       Studio Cataldi             18 settembre 2019

www.studiocataldi.it/articoli/35863-chi-non-versa-l-assegno-di-mantenimento-all-ex-si-salva-se-cambiano-le-condizioni.asp

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ASSEGNO DI MANTENIMENTO PER I FIGLI

Omesso mantenimento: reato anche se figli nati fuori dal matrimonio

L’art. 570-bis cod. pen. si estende anche alle condotte tenute dal genitore nei confronti del figlio nato fuori dal matrimonio. Dispositivo dell’art. 570 bis Codice penale. Le pene previste dall’articolo 570 si applicano al coniuge che si sottrae all’obbligo di corresponsione di ogni tipologia di assegno dovuto in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio ovvero vìola gli obblighi di natura economica in materia di separazione dei coniugi e di affidamento condiviso dei figli.

 (1) Il presente articolo è stato inserito dall’art. 2 del D. Lgs. 01/03/2018, n. 21 concernente “Disposizioni di attuazione del principio di delega della riserva di codice nella materia penale a norma dell’articolo 1, comma 85, lettera q), della legge 23 giugno 2017, n. 103”, con decorrenza dal 06/04/2018.

Il nuovo art. 570-bis cod. pen. abbraccia, oltre il fatto compiuto dal «coniuge», anche quello compiuto dal genitore nei confronti del figlio nato fuori dal matrimonio. Anche dopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 21 del 2018, vige l’art. 4, comma 2, della legge n. 54 del 2006.

E’ quanto afferma la Corte Costituzionale con sentenza 18 luglio 2019, n. 189

www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2019&numero=189

Ordinanza di remissione. Nello specifico, il Tribunale ordinario di Nocera Inferiore, con ordinanza del 26 aprile 2018, ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dell’art. 570-bis del codice penale, «nella parte in cui esclude dall’ambito di operatività della disciplina penale ivi prevista i figli di genitori non coniugati», premettendo di essere chiamato a giudicare della responsabilità penale di una persona imputata del reato di omessa prestazione dei mezzi di assistenza ai figli previsto dall’art. 570, secondo comma, numero 2, cod. pen., per non aver versato l’assegno mensile stabilito in favore dei figli nati fuori dal matrimonio, facendo mancare a questi i mezzi di sussistenza.

            Il rimettente osservava che nel corso del giudizio era risultato provato che l’imputato, in seguito alla interruzione della convivenza, non aveva versato l’assegno mensile stabilito dal tribunale per i minorenni nei confronti dei figli, ma la ex convivente aveva sempre provveduto alle loro necessità, dovendosi pertanto escludere lo stato di bisogno dei medesimi, che costituisce implicito presupposto del delitto contestato all’imputato. Il giudice rimettente, all’esito dell’istruttoria dibattimentale, aveva pertanto invitato le parti a concludere anche in relazione alla possibile diversa qualificazione del fatto quale violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o di scioglimento del matrimonio, ai sensi dell’art. 570-bis cod. pen., applicabile ratione temporis ai fatti di causa, posti in essere a partire dal maggio 2013 con condotta tuttora perdurante.

            Rilevava infatti il giudice a quo che tale fattispecie di reato è stata introdotta dall’art. 2, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 1° marzo 2018, n. 21, recante «Disposizioni di attuazione del principio di delega della riserva di codice nella materia penale a norma dell’articolo 1, comma 85, lettera q), della legge 23 giugno 2017, n. 103». Peraltro, essa si limiterebbe a riprodurre le previgenti disposizioni penali di cui all’art. 12-sexies della legge 1° dicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio) e all’art. 3 della legge 8 febbraio 2006, n. 54 (Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli), abrogate dall’art. 7, lettere b) e o), del d.lgs. n. 21 del 2018, con conseguente continuità nel rapporto di successione nel tempo tra le predette disposizioni normative, trattandosi di un limitato diverso collocamento ordinamentale delle stesse.

            Tuttavia, il rimettente evidenziava come il nuovo art. 570-bis cod. pen. non contenga alcun riferimento, neppure implicito, alla disciplina dei rapporti dei figli con i genitori non coniugati. Tale lacuna determina, ad avviso del giudice a quo, l’incompatibilità della disposizione con l’art. 3 Cost. per violazione del principio di uguaglianza e disparità di trattamento tra la tutela penale prevista per i figli di genitori coniugati rispetto alla minore tutela apprestata in favore dei figli nati fuori dal matrimonio. Il rimettente sottolineava in proposito come, nel vigore della fattispecie di reato di cui all’art. 3 della legge n. 54 del 2006, una lettura sistematica e costituzionalmente orientata delle disposizioni della legge consentisse di equiparare, anche dal punto di vista penale, la tutela accordata in favore dei figli di genitori non coniugati a quella dei figli nati in costanza di matrimonio. Detta estensione non sarebbe oggi più possibile, in ragione del chiaro dato letterale della disposizione censurata.

            Una tale situazione normativa sarebbe, ad avviso del rimettente, distonica rispetto «alla totale equiparazione dello status di figlio avvenuta in sede civile» per effetto del decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154 (Revisione delle disposizioni vigenti in materia di filiazione, a norma dell’articolo 2 della legge 10 dicembre 2012, n. 219), con conseguente «irragionevole ed ingiustificata diversità di trattamento nell’ambito dei rapporti tra genitori e figli nati in costanza o al di fuori del matrimonio in palese contrasto con il principio di eguaglianza formale e sostanziale, consacrato nell’art. 3 Cost.».

            Nel giudizio di legittimità costituzionale è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni predette siano dichiarate inammissibili, in quanto il giudice rimettente non avrebbe esperito un tentativo di interpretazione costituzionalmente orientata della disposizione censurata. Il giudice a quo, infatti, non avrebbe attribuito il giusto rilievo alla circostanza che l’art. 4, comma 2, della legge n. 54 del 2006, in forza della quale le disposizioni della predetta legge si applicano anche ai procedimenti relativi a figli di genitori non coniugati, è ancora vigente. La norma censurata, ove letta in combinato disposto con l’art. 4 della legge n. 54 del 2006, non precluderebbe dunque una interpretazione costituzionalmente orientata, che consenta di ritenere sanzionabile con le pene previste dall’art. 570-bis cod. pen. anche la violazione dell’obbligo di corresponsione dell’assegno di mantenimento in favore dei figli nati fuori dal matrimonio.

            Nelle more, venivano sollevate identiche questioni di legittimità costituzionale anche dalla Corte d’appello di Milano, dalla Corte di appello di Trento e dal Tribunale ordinario di Civitavecchia.

            Preliminarmente, la Consulta ha disposto la riunione dei predetti giudizi, che pongono questioni analoghe, e si fondano su argomenti in larga misura comuni. In effetti, tutte le ordinanze censurano nella sostanza il nuovo art. 570-bis cod. pen., introdotto dall’art. 2, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 21 del 2018, nella parte in cui – sostituendo l’art. 12-sexies della legge 1° dicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio) e l’art. 3 della legge 8 febbraio 2006, n. 54 (Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli), contestualmente abrogati dall’art. 7, comma 1, lettere b) e o), del medesimo d.lgs. n. 21 del 2018 – avrebbe determinato la parziale abolitio criminis dell’omesso versamento dell’assegno periodico per il mantenimento, l’educazione e l’istruzione dei figli (minorenni, ovvero maggiorenni ma ancora non autosufficienti) nati fuori dal matrimonio; condotta che in precedenza era ricompresa – secondo l’interpretazione fatta propria dalla giurisprudenza prevalente della Corte di cassazione – nell’alveo applicativo dell’abrogato art. 3 della legge n. 54 del 2006.

            Tale parziale abolitio criminis avrebbe determinato, secondo i giudici a quibus, il contrasto delle disposizioni censurate con una pluralità di parametri costituzionali, di volta in volta identificati dalle singole ordinanze di rimessione negli artt. 3, 25, secondo comma, 30 e 76 Cost..

Il quadro normativo e giurisprudenziale, Nel decidere sulla questione prospettata, la Corte Costituzionale ricostruisce in via preliminare il quadro normativo e giurisprudenziale sotteso alle medesime.

            La materia era regolata prima del 1987 dal solo art. 570 cod. pen., che prevedeva, al secondo comma, numero 2), la pena della reclusione congiunta a quella della multa per chi «fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore, ovvero inabili al lavoro», ovvero agli ascendenti o al coniuge non legalmente separato «per sua colpa».

Tale previsione, originariamente circoscritta dalla giurisprudenza alla sola posizione dei figli riconosciuti, è stata poi ritenuta operante anche nei confronti dei figli nati fuori dal matrimonio, in seguito alla piena equiparazione della posizione giuridica di questi ultimi rispetto a quella dei figli legittimi.

            A questa originaria previsione si aggiunse, ad opera della legge 6 marzo 1987, n. 74 (Nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento di matrimonio), quella di cui all’art. 12-sexies della legge n. 898 del 1970, che stabiliva l’applicabilità delle «pene previste dall’art. 570 del codice penale» al coniuge che, a seguito della cessazione degli effetti civili del matrimonio, si sottraesse all’obbligo di corresponsione dell’assegno stabilito in sede giudiziale in favore dell’altro coniuge o dei figli.

            Tale disposizione fu introdotta principalmente per assicurare una tutela penale nei confronti del coniuge beneficiario dell’assegno, atteso che nei suoi confronti la cessazione degli effetti civili del matrimonio comporta l’inapplicabilità dell’art. 570, secondo comma, numero 2), cod. pen.

            Peraltro, il nuovo art. 12-sexies della legge n. 898 del 1970 fu largamente applicato dalla giurisprudenza anche nell’ipotesi di omesso versamento dell’assegno divorzile stabilito in favore dei figli minori, eventualmente in concorso con il delitto di cui all’art. 570, secondo comma, numero 2), cod. pen., quest’ultima disposizione presupponendo – secondo la giurisprudenza – uno stato di bisogno del beneficiario dell’assegno, non necessario invece a integrare l’ipotesi delittuosa di cui all’art. 12-sexies della legge n. 898 del 1970.

L’art. 3 della legge n. 54 del 2006 stabilì quindi l’applicabilità dell’art. 12-sexies della legge n. 898 del 1970 per il «caso di violazione degli obblighi di natura economica» discendenti dalla sentenza di separazione tra i coniugi, equiparando così integralmente sul piano penale il mancato versamento dell’assegno nei confronti del coniuge e dei figli, stabilito tanto in sede di separazione quanto di divorzio.

            Il successivo art. 4, comma 2, della legge n. 54 del 2006 – tutt’oggi in vigore – prevede che le disposizioni della legge medesima si applichino «anche in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio, nonché ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati». Tale ultimo inciso ha fatto sorgere il dubbio se il delitto previsto dall’art. 3 si applichi anche all’ipotesi di mancato versamento dell’assegno – o comunque di mancato adempimento delle prestazioni di natura economica – stabilite dal tribunale a carico del genitore in favore dei figli nati fuori dal matrimonio.

            A fronte di un’isolata pronuncia della Corte di cassazione, secondo la quale tale ultimo inciso dell’art. 4, comma 2, della legge n. 54 del 2006 si riferirebbe esclusivamente alla disciplina civilistica dei rapporti tra genitori non coniugati e figli (Corte di cassazione, sezione sesta penale, sentenza 7 dicembre 2016-19 gennaio 2017, n. 2666), varie sentenze successive del giudice di legittimità hanno invece ritenuto che l’inciso in parola si riferisca a tutte le disposizioni previste dalla legge citata, comprese quelle che attengono al diritto penale, e in particolare anche al delitto di cui all’art. 3.

            Tale esito ermeneutico è stato in particolare argomentato in chiave di interpretazione costituzionalmente conforme, posto che la soluzione opposta avrebbe determinato, in violazione dell’art. 30, primo e terzo comma Cost., una ingiustificabile disparità di trattamento tra figli legittimi e non, accordando una più ampia e severa tutela penale ai soli figli di genitori coniugati rispetto a quelli nati fuori dal matrimonio. Su questo ormai consolidato assetto interpretativo sono intervenute le disposizioni oggetto delle censure sollevate dal Tribunale di Nocera Inferiore (ed anche dalla Corte d’appello di Milano, dalla Corte di appello di Trento e dal Tribunale ordinario di Civitavecchia).

            L’art. 1, comma 85, lettera q), della legge n. 103 del 2017 aveva delegato il Governo all’attuazione, sia pure tendenziale, del principio della riserva di codice nella materia penale, al fine di una migliore conoscenza dei precetti e delle sanzioni e quindi dell’effettività della funzione rieducativa della pena, presupposto indispensabile perché l’intero ordinamento penitenziario sia pienamente conforme ai princìpi costituzionali, attraverso l’inserimento nel codice penale di tutte le fattispecie criminose previste da disposizioni di legge in vigore che abbiano a diretto oggetto di tutela beni di rilevanza costituzionale, in particolare i valori della persona umana, e tra questi il principio di uguaglianza, di non discriminazione e di divieto assoluto di ogni forma di sfruttamento a fini di profitto della persona medesima, e i beni della salute, individuale e collettiva, della sicurezza pubblica e dell’ordine pubblico, della salubrità e integrità ambientale, dell’integrità del territorio, della correttezza e trasparenza del sistema economico di mercato.

            In attuazione di tale criterio di delega, l’art. 2, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 21 del 2018 ha previsto l’inserimento nel codice penale di un nuovo art. 570-bis, rubricato «Violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o di scioglimento del matrimonio», che testualmente recita: «Le pene previste dall’articolo 570 si applicano al coniuge che si sottrae all’obbligo di corresponsione di ogni tipologia di assegno dovuto in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio ovvero viola gli obblighi di natura economica in materia di separazione dei coniugi o di affidamento condiviso dei figli».

            Correlativamente, l’art. 7, comma 1, lettera b), del d.lgs. n. 21 del 2018 ha previsto l’abrogazione dell’art. 12-sexies della legge n. 898 del 1970, mentre la successiva lettera o) del medesimo art. 7, comma 1, ha abrogato l’art. 3 della legge n. 54 del 2006.

Nell’intendimento del legislatore delegato, la nuova disposizione è volta semplicemente a trasferire all’interno del codice penale, in attuazione del principio della cosiddetta «riserva di codice», le due figure criminose previgenti disciplinate dagli artt. 12-sexies della legge n. 898 del 1970 e 3 della legge n. 54 del 2006, fuse nell’unica fattispecie di cui al nuovo art. 570-bis cod. pen., che si pone pertanto in rapporto di continuità normativa con quelle previgenti abrogate.

            Il nuovo art. 570-bis cod. pen., peraltro, indica espressamente come soggetto attivo del reato il solo «coniuge». Ciò ha indotto i giudici rimettenti a concludere che l’introduzione della nuova norma abbia determinato, in realtà, una parziale abolitio criminis con riferimento alla condotta del genitore nei confronti dei figli nati fuori dal matrimonio: condotta che la giurisprudenza dominante considerava abbracciata dalla fattispecie criminosa di cui all’art. 3 della legge n. 54 del 2006, grazie alla clausola di estensione di cui all’art. 4, comma 2, della medesima legge, ma che oggi non potrebbe più essere considerata compresa nella formulazione letterale del nuovo art. 570-bis cod. pen.

            Di qui le questioni di legittimità costituzionale della nuova disposizione, nonché della disposizione del d.lgs. n. 21 del 2018 che l’ha introdotta e di quelle che hanno abrogato le precedenti incriminazioni, in relazione ai parametri poc’anzi menzionati.

La decisione della Corte costituzionale. Nel merito, le questioni relative all’art. 570-bis cod. pen. nonché agli artt. 2, comma 2, lettera c), e 7, comma 1, lettera o), del d.lgs. n. 21 del 2018, sollevate in riferimento agli artt. 25, secondo comma, e 76 Cost. non sono tuttavia fondate, nei termini che seguono.

            Le questioni risulterebbero, invero, fondate ove si accogliesse la premessa interpretativa da cui muovono tutti i rimettenti, relativa all’allegata impossibilità di estendere l’incriminazione di cui al nuovo art. 570-bis cod. pen. all’ipotesi dell’inosservanza degli obblighi di natura economica nei confronti dei figli nati fuori dal matrimonio, in precedenza ricompresa nell’abrogata incriminazione di cui all’art. 3 della legge n. 54 del 2006.

            Il criterio di delega di cui all’art. 1, comma 85, lettera q), della legge n. 103 del 2017 che vincolava il legislatore delegato  era infatti funzionale all’attuazione, sia pure parziale, del cosiddetto principio della «riserva di codice», e cioè alla riconduzione nell’alveo del codice penale di incriminazioni in precedenza disperse in varie leggi speciali; principio a sua volta inteso a garantire «una migliore conoscenza dei precetti e delle sanzioni e quindi dell’effettività della funzione rieducativa della pena, presupposto indispensabile perché l’intero ordinamento penitenziario sia pienamente conforme ai princìpi costituzionali» (si veda la relazione governativa allo schema di decreto legislativo recante «Disposizioni di attuazione del principio di delega della riserva di codice nella materia penale a norma dell’articolo 1, comma 85, lettera q, della legge 23 giugno 2017, n. 103»). Nella medesima relazione governativa si precisava peraltro che – conformemente al chiaro intendimento del legislatore delegante, risultante dallo stesso criterio di delega in parola – il Governo aveva proceduto a una mera operazione di «riordino» della materia penale, «ferme restando le scelte incriminatrici già operate dal legislatore», senza alcuna variazione – dunque – dell’area applicativa delle incriminazioni già esistenti nelle varie leggi speciali interessate dall’intervento di riordino, e il cui contenuto si era inteso semplicemente trasferire nelle corrispondenti nuove disposizioni del codice penale.

            Il Governo non avrebbe d’altra parte potuto, senza violare le indicazioni vincolanti della legge delega, procedere a una modifica, in senso restrittivo o estensivo, dell’area applicativa delle disposizioni trasferite all’interno del codice penale; né avrebbe potuto, in particolare, determinare – in esito all’intrapreso riordino normativo – una parziale abolitio criminis con riferimento a una classe di fatti in precedenza qualificabili come reato, come quella lamentata da tutte le odierne ordinanze di rimessione.

            La recente giurisprudenza della Corte di cassazione, sopravvenuta alle ordinanze di rimessione, ha tuttavia ritenuto che tale supposta abolitio criminis non si sia, in realtà, verificata.

            La Corte di cassazione ha, infatti, sottolineato la perdurante vigenza – anche dopo l’entrata in vigore del d.lgs. n. 21 del 2018 – dell’art. 4, comma 2, della legge n. 54 del 2006. Il rinvio che tale disposizione («Le disposizioni della presente legge si applicano anche […] ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati») operava, secondo la giurisprudenza anteriore al d.lgs. n. 21 del 2018, all’art. 3 della legge n. 54 del 2006, dovrebbe oggi intendersi come riferito al nuovo art. 570-bis cod. pen., che abbraccerebbe così – oltre al fatto compiuto dal «coniuge» – anche quello compiuto dal genitore nei confronti del figlio nato fuori dal matrimonio (Cass., n. 56080 del 2018; nello stesso senso, Cass., n. 55744 del 2018 e Corte di cassazione, sezione sesta penale, sentenza 5 dicembre 2018-25 febbraio 2019, n. 8297).

            Una tale soluzione non solo sarebbe l’unica armonizzabile con il sistema normativo, univocamente orientato alla piena equiparazione tra la posizione dei figli legittimi e nati fuori dal matrimonio; ma troverebbe altresì conforto nell’art. 8 dello stesso d.lgs. n. 21 del 2018, a tenore del quale «[d]alla data di entrata in vigore del presente decreto, i richiami alle disposizioni abrogate dall’articolo 7, ovunque presenti, si intendono riferiti alle corrispondenti disposizioni del codice penale come indicato dalla tabella A allegata al presente decreto».

            Dal momento che tale Tabella stabilisce la correlazione dell’art. 570-bis cod. pen. ai delitti di omessa corresponsione dell’assegno divorzile (art. 12-sexies della legge n. 898 del 1970) e di omesso versamento del mantenimento dei figli in caso di separazione o di scioglimento del matrimonio (art. 3 della legge n. 54 del 2006), il richiamo a quest’ultima disposizione implicitamente operato dall’art. 4, comma 2, della legge n. 54 del 2006 – da interpretarsi quale rinvio “dinamico” al contenuto dell’intera legge n. 54 del 2006 – dovrebbe oggi intendersi come riferito, per l’appunto, all’art. 570-bis cod. pen., nel quale è stato integralmente trasfuso il contenuto del previgente art. 3.

            A giudizio della Corte Costituzionale adita, tale interpretazione – ormai stabilmente adottata dalla giurisprudenza di legittimità – trova fondamento nella legge, e in particolare nel combinato disposto di due norme (l’art. 4, comma 2, della legge n. 54 del 2006 e l’art. 8 del d.lgs. n. 21 del 2018) che a loro volta si integrano con la disposizione incriminatrice di cui all’art. 570-bis cod. pen., determinando l’estensione del relativo ambito applicativo.

Essa consente dunque di superare, senza alcuna indebita estensione analogica della norma incriminatrice, i dubbi di costituzionalità prospettati, incentrati sulla supposta depenalizzazione delle condotte di violazione degli obblighi di natura economica nei confronti dei figli nati fuori dal matrimonio.

Il monito della Corte al Legislatore. Non può, peraltro, questa Corte esimersi dal rimarcare come la necessità, per il destinatario del precetto di cui all’art. 570-bis cod. pen., di ricostruirne il contenuto alla luce del combinato disposto di due ulteriori disposizioni situate al di fuori del codice penale – attraverso un’operazione ermeneutica ineccepibile, ma certo non di solare evidenza, come dimostrano le ben sette ordinanze di rimessione che avevano ritenuto impossibile pervenire de lege lata al risultato cui è infine giunta la Corte di cassazione – risulti in definitiva distonica rispetto allo scopo, dichiarato dal legislatore delegante, di garantire ai consociati «una migliore conoscenza dei precetti e delle sanzioni» attraverso la sia pur parziale attuazione del principio di «riserva di codice».

            Tale considerazione dovrebbe auspicabilmente indurre il legislatore a intervenire direttamente sul testo dell’art. 570-bis cod. pen., per esplicitarne l’applicabilità – già oggi riconosciuta dal diritto vivente – anche alla condotta omissiva del genitore che non adempia i propri obblighi economici nei confronti dei figli nati fuori dal matrimonio, in omaggio all’obiettivo – rilevante ex art. 25, secondo comma, Cost. – di una più immediata riconoscibilità del precetto penale da parte dei suoi destinatari.

            L’interpretazione fornita dalla Corte di cassazione, di cui si è appena dato conto, comporta il superamento delle ulteriori ragioni di illegittimità costituzionale delle disposizioni censurate, prospettate dai rimettenti in riferimento agli artt. 3 e 30 Cost. e incentrate sulla disparità di trattamento tra figli legittimi e nati fuori dal matrimonio determinata dal nuovo art. 570-bis cod. pen.

Michela Anna Guerra   altalex  12 agosto 2019

www.altalex.com/documents/news/2019/08/12/omesso-mantenimento-reato-figli-nati-fuori-matrimonio

 

I genitori non mantengono i figli? I nonni non sono obbligati a farlo

Tribunale di Bari – Sezione I civile – Sentenza 9 aprile 2019 n. 1556

www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_35879_1.pdf

 L’obbligo di mantenimento dei figli minori spetta principalmente e integralmente ai loro genitori. Se uno dei due non adempie al proprio dovere, sarà l’altro a dover far fronte alle loro esigenze per intero con tutte le proprie sostanze patrimoniali, salvo convenire in giudizio l’inadempiente.

            L’obbligazione degli ascendenti, invece, è subordinata e quindi sussidiaria rispetto a quella dei genitori: a questi ci si potrà rivolgere solo qualora l’altro genitore non sia in grado di mantenerli.

Mantenimento: spetta primariamente e integralmente ai genitori. L’obbligazione sussidiaria degli ascendenti. Lo ha chiarito il Tribunale di Bari, prima sezione civile, nella sentenza n. 1556/2019 (sotto allegata) pronunciandosi nel giudizio tra una donna e il suo ex suocero. Al “nonno” era stato imposto l’obbligo di versare una somma alla nipote ex filio a titolo di concorso al mantenimento della stessa, stante l’inadempimento del di lui figlio che avrebbe dovuto contribuire al mantenimento della figlia.

Il ricorrente, tuttavia, ritiene insussistente i presupposti dell’obbligazione ed evidenzia come le sue sostanze reddituali siano già insufficienti al sostentamento del proprio nucleo familiare composto dalla coniuge inoccupata e da un figlio studente fuori sede. Invece, la nuora risulterebbe in grado di sostenere la minore in quanto lavoratrice dipendente e con la disponibilità gratuita di una casa di abitazione di proprietà dei genitori.

Mantenimento: spetta primariamente e integralmente ai genitori

Secondo il Tribunale l’opposizione è fondata e il decreto opposto deve essere revocato. A norma dell’art. 316-bis c.c., infatti, l’obbligazione degli ascendenti di fornire ai discendenti i mezzi necessari per adempiere ai doveri nei confronti dei figli è sussidiaria a quella dei genitori medesimi e pretende il riscontro dell’assenza di mezzi sufficienti da parte di questi ultimi.

Più precisamente deve ritenersi, in totale condivisione con quanto sostenuto dalla Suprema Corte, che “l’obbligo di mantenimento dei figli minori ex art. 148 c.c. spetta primariamente e integralmente ai loro genitori sicché, se uno dei due non possa o non voglia adempiere al proprio dovere, l’altro, nel preminente interesse dei figli, deve far fronte per intero alle loro esigenze con tutte le sue sostanze patrimoniali e sfruttando tutta la propria capacità di lavoro, salva la possibilità di convenire in giudizio l’inadempiente per ottenere un contributo proporzionale alle condizioni economiche globali di costui”.

Pertanto, l’obbligo degli ascendenti di fornire ai genitori i mezzi necessari affinché possano adempiere i loro doveri nei confronti dei figli va inteso non solo nel senso che l’obbligazione degli ascendenti è subordinata e, quindi, sussidiaria rispetto a quella, primaria, dei genitori, ma anche nel senso che agli ascendenti non ci si possa rivolgere per un aiuto economico per il solo fatto che uno dei due genitori non dia il proprio contributo al mantenimento dei figli, se l’altro genitore è in grado di mantenerli.

L’obbligazione sussidiaria degli ascendenti. Allo stesso modo del diritto agli alimenti ex art. 433 c.c., legato alla prova dello stato di bisogno e dell’impossibilità di reperire attività lavorativa, questo sorge solo qualora i genitori non siano in grado di adempiere al loro diretto e personale obbligo (Cass., ordinanza n. 10419/2018).

            Nel caso di specie, pur avendo provato l’inadempimento paterno, la madre della bambina non ha dimostrato l’insufficienza dei mezzi. Anzi, dagli elementi prodotti in giudizio risulta che la signora sia perfettamente in grado di produrre reddito in misura dignitosa e sufficiente al mantenimento proprio e della prole. L’assenza di prova in ordine all’insufficienza dei mezzi della madre è già di per sé idonea ad escludere il sorgere dell’obbligazione in capo agli ascendenti. Dall’accoglimento dell’opposizione deriva la revoca, con effetto retroattivo, del decreto opposto.

            Tuttavia il Tribunale non accoglie la domanda di ripetizione svolta dall’opponente, in quanto le somme già versate sono correlate a un’obbligazione a carattere sostanzialmente alimentare che, per tale natura, resta irripetibile (a meno di spontaneo adempimento della controparte) e non suscettibile di compensazione secondo il condivisibile insegnamento della Suprema Corte (cfr. Cass. n. 13609/2016).

Lucia Izzo                   Studio Cataldi 21 settembre 2019

WWW.studiocataldi.it/articoli/35879-i-genitori-non-mantengono-i-figli-i-nonni-non-sono-obbligati-a-farlo.asp

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CENTRO INTERNAZIONALE STUDI FAMIGLIA

Newsletter CISF – n. 35, 25 settembre 2019

“Non sta scritto da nessuna parte che i parenti debbano piacerci, è sufficiente amarli”. (Amy Meyerson, La libreria del tempo andato, Editrice Nord 2019, p. 345). In un libro da non perdere, una splendida frase, che toglie all’amore il narcisismo che “vuole bene” solo a ciò che è propria misura, e restituisce all’amore la dimensione del dono, della libertà gratuita. Ti amo non perché mi piaci, ma perché ci sei – e per come sei. Questa frase da sola “vale il prezzo del biglietto” (F. Belletti).

 “La libreria del tempo andato” (molto più bella la formulazione inglese “The Bookshop of Yesterdays”) è prima di tutto una dichiarazione d’amore per la lettura, e per una specifica lettura: quella dei libri e dei romanzi sulla carta stampata, con i loro profumi, peso, colori, copertine, le loro annotazioni a matita e penna, le “orecchie” per ritrovare citazioni o una scena speciale…. Oggetti concreti, che tenuti in mano, letti e meditati, possono cambiarti la vita, e comunque te la rendono sicuramente molto più interessante. Il volume è anche una storia di “ricerca delle origini”, insieme ad una non banale riflessione sulle relazioni familiari, sulle responsabilità genitoriali, sulla bellezza del lavorare insieme, su tanto altro ancora. Insomma, uno di quei libri che ti fanno saltare la fermata della metropolitana mentre li stai leggendo!

Roma 14-16 novembre 2019 – 65° Conferenza ICCFR CISF. Crediti formativi per la partecipazione “famiglie e minori rifugiati e migranti. Proteggere la vita familiare nelle difficoltà”.

  • A.IC.C.e.F. (Associazione Italiana Consulenti Coniugali e Familiari): “Il Consiglio Direttivo, in considerazione della particolare rilevanza culturale, scientifica e professionale della Conferenza Internazionale di Roma e del particolare apprezzamento dell’A.I.C.C.e F. per questo meeting internazionale aderente ai principi e ai valori dell’AICCEF e della Consulenza familiare, ha stabilito, per Soci che parteciperanno alla Conferenza, l’attribuzione di 60 crediti formativi Aiccef”.
  • Sono stati inoltre richiesti crediti formativi per:

      avvocati               (Ordine Avvocati Roma)

      assistenti sociali  (Ordine Assistenti Sociali – Consiglio Regionale Lazio)

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Tre sessioni in plenaria sugli aspetti demografici, giuridici, e di welfare, 12 workshop con esperienze dall’Italia e all’estero (tra gli altri esperienze da Stati Uniti, Cina, Sud Africa, Regno Unito, Australia), e tanti spazi di incontro e dialogo in piccoli gruppi, per condividere le possibili strategie positive di intervento.

A copertura dei costi organizzativi è previsto un costo di iscrizione di Euro 140 (per spazi, pasti, materiali, traduzione simultanea).

Programma

https://iccfr.org/iccfr-conference-2019-in-rome-italy-migrant-families-and-children/programma-roma-2019

Iscrizione

https://iccfr.org/iccfr-conference-2019-in-rome-italy-migrant-families-and-children/registrazione-roma-2019

v  Seconda edizione del Festival delle Migrazioni: Cinque giornate di spettacoli, concerti, incontri, workshop, convivialità intorno al tema delle migrazioni, promosso da Acti Teatri Indipendenti, Almateatro e Tedacà, Torino, 25-29 settembre 2019                     www.festivaldellemigrazioni.it

“R-esisto: Sogni di Economia Civile per la Restanza“: Terza Edizione del Festival “Porti di terra”, promosso dalla Caritas diocesana di Benevento, dal Consorzio Sale della Terra e dalla Rete dei Piccoli Comuni del Welcome con l’obiettivo di provare ad unire paradigmi diversi di due scienze sociali che sono sempre state complementari: l’antropologia e l’economia. Benevento, 27-29 settembre 2019.

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I paesi più ricchi del mondo sono family friendly? Le politiche nei Paesi OCSE e nell’Unione Europea. (Are the world’s richest countries family friendly? Policy in the OECD and EU). Questo breve ma documentato Rapporto Unicef confronta il modo in cui alcune politiche per la famiglia sono attuate in 41 Nazioni. Particolare attenzione viene riservata al tema generale della conciliazione famiglia-lavoro (condizione perché i genitori possano essere più presenti con i propri figli), monitorando: durata dei congedi genitoriali (per madri e padri), sostegno all’allattamento al seno, servizi economicamente accessibili per la primissima infanzia, servizi educativi prescolari per la prima infanzia Nel complesso emerge che “c’è sicuramente ampio spazio di miglioramento delle politiche familiari dei Paesi più ricchi, e della qualità dei dati raccolti”.

cd698d_e065f5b169ff4219b0d9fb9ba02397e8.pdf

I tempi della vita quotidiana. Lavoro, conciliazione, parità di genere e benessere soggettivo. Rapporto ISTAT 2019. Preziosa e documentata indagine ISTAT sui tempi della famiglia e del lavoro, con una particolare (e innovativa) attenzione al “lavoro familiare non retribuito”, quella cura delle persone, del cibo, della casa, dei compiti burocratici e gestionali della famiglia che è elemento decisivo nel migliorare la qualità di vita delle persone e nell’aiuto/assistenza delle persone fragili nella loro quotidianità. Un dato e un capitale sociale che troppo spesso sfugge a misurazioni economicistiche del benessere o della “ricchezza” del nostro Paese.                     ebook-I-tempi-della-vita-quotidiana.pdf

Puglia. Contributi economici alle imprese per sperimentare la certificazione Family Audit. “È attivo dal 2 agosto l’Avviso pubblico di manifestazione di interesse per la “Sperimentazione dello standard Family Audit” sul territorio regionale (Atto dirigenziale 692 del 29/7/2019 – Burp 87/2019). L’Avviso è destinato alle imprese private operanti nella regione Puglia interessate a promuovere al loro interno un modello organizzativo ispirato a un maggior equilibrio fra vita lavorativa e vita privata in un’ottica di benessere organizzativo, fidelizzazione all’impresa, minor assenteismo e maggiore produttività”. Le imprese interessate possono presentare domanda di contributo per abbattere del 70% il costo della certificazione entro e non oltre il 30 ottobre 2019.

www.sistema.puglia.it/portal/page/portal/SistemaPuglia/DettaglioNews?id=54482

Dalle case editrici                                                                          newscisf3519_allegatolibri.pdf

  • Astrolabio, Fratelli e sorelle. Psicoanalisi delle relazioni laterali, Mitchell J.
  • Guerini e Associati, Prima di aprire bocca. Il corpo nel disagio contemporaneo tra disturbi alimentari, autolesionismo, identità di genere e dipendenze, Mendolicchio L.
  • Punto Famiglia, In ascolto dell’Altro. Imparare l’arte del dialogo nella coppia alla luce della Parola di Dio, Longobardi S.

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  • Pellai Alberto, Da uomo a padre. Il percorso emotivo della paternità, Mondadori, Milano, 2019, pp. 245, € 16,90

Chi sono i padri del terzo millennio? Sono quelli che mettono al mondo un figlio desiderosi di essere presenti nella sua vita, quelli che vogliono diventare uomini migliori grazie alla paternità, quelli che sanno essere disponibili e coinvolti e così facendo sostengono la crescita dei loro figli in modo autorevole e affettuoso. Secondo l’autore, infatti, la paternità oggi è “contaminata” da bisogni emotivi nuovi per il mondo degli uomini. I “papà millennial” pensano ai propri figli e vivono loro accanto in modo completamente differente rispetto ai padri da cui sono nati: non più solo “padri della legge”, ma anche padri emotivi, affettivi, teneri, sensibili; non più solo padri preoccupati di dare sicurezza, norme e protezione ai figli, attraverso il proprio lavoro, ma anche profondamente convinti del loro ruolo affettivo e educativo.

Il volume presenta sia casi clinici, storie di uomini alle prese con la paternità, ma anche informazioni e competenze che ogni uomo deve saper mettere in gioco nel passaggio da uomo a padre. Un saggio che si legge come un romanzo, perché arricchito da una serie di narrazioni sviluppate attraverso il metodo della NPO (Narrativa Psicologicamente Orientata), di cui Alberto Pellai stesso ha teorizzato modello e metodo, e che ha sperimentato nei suoi precedenti libri per bambini e adulti.

Save the date –

  • Nord: Vs droga. Contro lo sballo occorre una proposta educativa, promosso da Regione Lombardia (in collaborazione con A.Ge Milano, A.Ge.Sc Lombardia, A.I.D.D., ANP Lombardia, Articolo 26, Nonni 2.0, Centro Studi Rosario Livatino, Comitato Difendiamo i nostri figli, Diesse Lombardia, APS, Provita e Famiglia Onlus, Sidef, Un Villaggio per educare APS), Milano, 5 ottobre 2019.

2019-09-18-Programma-droga.pdf

  • Nord: Genitori responsabili, figli felici. Crescere insieme nell’educazione affettiva, promosso da “Educazione Responsabile”; Milano, 27 ottobre 2019.

educazioneresponsabile.com/genitori-responsabili-figli-felici-conferenza

  • Centro: La cittadinanza globale della generazione Millennials. Rapporto 2019 sull’economia dell’immigrazione, presentato da Fondazione Leone Moressa, Roma, 8 ottobre 2019.

ABC-convegnoottobre-dimassima-11_09_19.pdf

  • Sud: Personalizzare, coprogettare, includere: la qualità dei servizi sociali e scolastici per le persone con disabilità in Italia, promosso da ABC Associazione Bambini Cerebrolesi, Cagliari, 12 ottobre 2019.                                                        abc-convegnoottobre-dimassima-11_09_19.pdf
  • Estero: Aging in [a] Place: Planning, Design & Spatial Justice in Aging Societies (Invecchiare in un posto: progettazione, design e giustizia degli spazi in una società che invecchia), simposio promosso dalla Harvard Joint Center for Housing Studies, Cambridge (USA), 18 ottobre 2019.

www.jchs.harvard.edu/calendar/aging-in-a-placeIscrizione                  

Iscrizione                    http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/newsletter-cisf.aspx

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newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/settembre2019/5140/index.html

 

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CENTRO ITALIANO di SESSUOLOGIA    (CIS)

Educazione sessuale e Oms. Quali regole?

Molti genitori sono portati a pensare che l’educazione sessuale all’interno della scuola riguardi banalmente il parlare di sesso ai propri figli o, spesso, si instaura in loro la paura che l’educatore “condizioni al gender”, affermazione che tra l’altro non ha alcun significato, ma che ultimamente è spesso sulla bocca dei genitori “social informati”.

L’educazione sessuale interessa l’intero arco della vita di una persona, dall’infanzia all’età adulta e ridurla alla sola genitalità le farebbe perdere il suo valore più ampio e profondo, dato da un concetto molto più vasto di sessualità, che comprende anche le relazioni, le emozioni e i sentimenti.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) definisce la sessualità come “qualcosa di più ampio e complesso, è espressione fondamentale della persona, è influenzata dall’interazione di fattori biologici, psicologici, sociali, economici, politici, etici, religiosi, spirituali, che arricchiscono e rafforzano la comunicazione e l’amore tra le persone”.

Alcuni anni fa l’OMS e il Centro di Educazione alla Salute di Colonia (BZgA) hanno emanato delle linee guida per gli standard sull’Educazione sessuale in Europa. Come viene specificato anche all’interno del documento, queste linee si basano su una concezione olistica dell’Educazione sessuale, ossia sulla capacità di apprendere relativamente gli aspetti cognitivi, emotivi, sociali, relazionali e fisici della sessualità.

Lo scopo dell’educazione sessuale è quello di fornire a bambini e ragazzi informazioni corrette, competenze e valori positivi allo scopo di comprendere la propria sessualità e goderne, intrattenere relazioni sicure e gratificanti, comportandosi responsabilmente rispetto a salute e benessere sessuale proprio e altrui” (*WHO Regional Office for Europe & BZgA, 2010, pag. 20.)

www.google.com/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=1&ved=2ahUKEwiYjPTw1KvlAhU9wAIHHccPByQQFjAAegQIAhAC&url=http%3A%2F%2Fwww.fissonline.it%2Fpdf%2FSTANDARDOMS.pdf&usg=AOvVaw3EHst7hA1uJoNcJLkNCesX

L’educazione sessuale, quella indiretta e informale che non viene impartita da un professionista all’interno di un’istituzione, inizia precocemente sin dall’infanzia e continua durante tutto il corso della vita, vecchiaia compresa. Quest’educazione viene appresa dall’individuo nel quotidiano e in maniera indiretta, attraverso i comportamenti, gli atteggiamenti, i giudizi e gli stereotipi che ci circondano.

Per bambini e ragazzi, essere educati alla sessualità all’interno di una struttura organizzata (questa è quella che viene chiamata Educazione sessuale formale), è di fondamentale importanza poiché permette loro di trovare uno spazio di legittimazione e socializzazione delle tematiche affettive e sessuali. Come sottolineava il Prof. Giorgio Rifelli, durante i suoi corsi di formazione sull’educazione sessuale, oggi viviamo in una società complessa che tratta con insistenza i temi sessuali e sottopone bambini e ragazzi, ma anche le persone in generale, ad un sovraccarico di informazioni spesso errate o tra loro contraddittorie dinanzi alle quali mancano riferimenti per una valutazione consapevole e critica. Quindi, tutti noi facciamo informazione e disinformazione sessuale.

Quando, ad esempio, ignoriamo una domanda che un bambino ci fa perché ci imbarazza, gli stiamo implicitamente dicendo che di quest’argomento non si può parlare e stiamo creando in lui dei tabù. Quando commentiamo con un pregiudizio una notizia o un atteggiamento, gli inviando messaggi sbagliati che influenzeranno il suo atteggiamento.

È proprio per questi motivi che è fondamentale trasmettere ai ragazzi le conoscenze fondamentali che gli permettano di prendere coscienza dei propri desideri e bisogni, per renderli liberi di fare scelte prive da ansie, paure e pregiudizi per vivere un vero benessere sessuale, ricercare relazioni sicure, nel rispetto di sé stessi e dell’altro.

Quali sono le regole per un’efficace Educazione Sessuale? Come specificato all’interno della guida, gli insegnanti risulteranno maggiormente efficaci nel trasmettere le informazioni che riguardano la sessualità se innanzitutto si saranno soffermati in prima persona sui propri atteggiamenti, sentimenti, credenze, esperienze e comportamenti rispetto la sessualità e su come questi aspetti influenzino la loro capacità comunicativa (**BZgA 2003).

Per educare alla sessualità è fondamentale avere una buona consapevolezza di sé, dobbiamo sempre ricordare che, nella comunicazione, il linguaggio non verbale e para verbale ricoprono una grande importanza. Qualora ci fossero aspetti d’inibizione o di pregiudizio rispetto ad un determinato argomento, questi aspetti potrebbero essere espressi implicitamente e attivando, ad esempio, l’evitamento dell’argomento. Infatti è fondamentale prestare attenzione ai bisogni e alle richieste di ogni gruppo e utilizzare un linguaggio appropriato per affrontarle.

L’educatore, inoltre, non dovrà assumere il ruolo di formatore ma di facilitatore, all’interno del gruppo dovrà essere creato un clima di interscambio e condivisione, in modo da permettere agli alunni di creare un proprio punto di vista.

Altro aspetto importante è la collaborazione tra insegnati e genitori, primi responsabili dell’educazione dei figli, anche sessuale, allo scopo di fornire loro le risposte appropriate.

Gli interventi degli adulti devono essere precisi e delicati, devono essere finalizzati alla rassicurazione delle loro ansie ed ampliare le conoscenze: qualora il bambino o il ragazzo, chieda qualcosa di cui non siamo a conoscenza o per cui vorremmo trovare una risposta adeguata, possiamo tranquillamente prendere tempo del tempo per informarci e comunicargli la risposta esatta. È un semplice gesto che racchiude un importante significato soprattutto per ciò che riguarda la sessualità: non siamo onnipotenti e onniscienti, possiamo riflettere, prendere il tempo necessario per parlare di qualcosa d’importante e per fare scelte consapevoli. Non per forza deve esistere un tutto e subito!

L’educazione sessuale non dovrebbe essere basata su un singolo intervento poiché essa è continuativa: la sessualità è un processo che interessa tutto il ciclo di vita.

L’educazione sessuale è basata sulla sensibilità al genere, ciò permetterà di garantire che bisogni e problemi diversi legati alle differenze di genere trovino risposte adeguate: le diversità di genere nell’affrontare le questioni legate alla sessualità, ad esempio, si rifletteranno nella scelta di metodi appropriati. (*, pg.29)

Fortunatamente, negli ultimi anni, sembrerebbe riservato meno silenzio rispetto agli argomenti di natura sessuale e persino il Papa, durante una conferenza stampa sull’aereo di ritorno da uno dei suoi viaggi, ha sottolineato l’importanza dell’educazione sessuale a scuola, descrivendolo come un luogo sicuro e autorevole che può supplire a ciò che la famiglia e l’ambiente esterno non riesce a dare.

 Una frase di Plutarco recita: “gli alunni non sono vasi da riempire, ma fiaccole da accendere”.

 In questo pensiero si individua il compito dell’educatore (educare, dal latino educere, tirar fuori), ossia la capacità di comprendere le reali inclinazioni di ogni studente, e fare da ponte tra quello che ognuno di loro ha dentro e quello che c’è fuori. È quello “strumento” che può aiutarli ad elaborare un punto di vista personale, un pensiero critico che li apra al confronto e faccia emergere i migliori aspetti del sé.

Alba Mirabile, Psicologa Sessuologa Psicoterapeuta. Padova   16 settembre 2019

         www.cisonline.net/news/educazione-sessuale-e-oms-quali-regole

 

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CHIESA CATTOLICA

Lettera e spirito del Vaticano II di fronte al Vetus Ordo. Due interviste e due “motu proprio”

Negli ultimi giorni, due interviste, rilasciate rispettivamente dal Superiore generale della FSSPX,

https://fsspx.news/fr/une-eglise-qui-marche-sur-la-tete-50628?fbclid=IwAR15r5uUAnahnIybChudtODbC11kgsenGGt77-j5krdyMF9c7h_DmJSGPtg

 sulla quale ho già scritto alcuni giorni fa

www.cittadellaeditrice.com/munera/don-davide-e-la-continuita-con-il-vaticano-ii-di-amoris-laetitia-e-del-sinodo-sulla-amazzonia

 e dal Prefetto della Congregazione del culto     http://blog.messainlatino.it/2019/09/il-cardinale-sarah-il-divieto-di.html

 hanno chiarito molto bene le progressive difficoltà con cui la Chiesa cattolica può sopportare il permanere di un accesso al Vetus Ordo tridentino [rito di papa Pio V del 1570] accanto e in parallelo a quel Novus Ordo, voluto dal Concilio Vaticano II e realizzato dalla Riforma liturgica ad esso successiva. Proprio il rapporto con il Concilio Vaticano II sta al centro delle opinioni espresse dai due esponenti ecclesiali:

  1. a.       Don Davide Pagliarani, nella sua lunga intervista, ha chiarito che, sulla base del rifiuto più completo della lettera e dello spirito del Concilio Vaticano II, solo il VO può garantire la identità cattolica. Per questo, ad avviso del capo dei lefebvriani, non ha alcun senso tentare una riconciliazione con la Chiesa di Roma, finché essa difende i documenti del Concilio Vaticano II. Pertanto celebrare con il VO implica, necessariamente, la condanna sia della lettera, sia dello spirito del Vaticano II.
  2. Con una posizione diversa, ma profondamente consonante con la prima, il card. R. Sarah ha censurato chi ritiene di ostacolare il VO e ha sostenuto che, se interpretato “nello spirito del Vaticano II”, il VO possa offrire ancora frutti di pastorale e di spiritualità ingenti. A suo avviso non vi sarebbe alcuna contraddizione tra lo “spirito del Vaticano II” e la celebrazione col VO.

Mi pare che entrambe queste posizioni, pur nella loro differenza, vivano un problema insormontabile con il Concilio Vaticano II: il primo ne contesta apertamente la lettera e lo spirito, mentre il secondo pretende di “onorarne lo spirito”, ma ne dimentica e ne rimuove la lettera. Infatti il Concilio Vaticano II ha chiesto, esplicitamente e autorevolmente, di superare il VO, perché inadeguato alla esperienza di Cristo e della Chiesa di cui vive la fede cristiana. Tutti coloro che, in modo poco riflettuto, pensano di poter “conciliare” NO e VO debbono fare i conti, esplicitamente, con questa espressa volontà del Concilio, che ha chiesto di “riformare il rito romano in vista della partecipazione attiva dei suoi membri”, superando la loro qualità di “muti spettatori”. E per questo ha preteso una riforma profonda degli Ordines rituali. Il VO è apertamente e dettagliatamente contestato dal Concilio Vaticano II, soprattutto da Sacrosanctum Concilium, §48 e seguenti.

www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/documents/vat-ii_const_19631204_sacrosanctum-concilium_it.html

[48. Perciò la Chiesa si preoccupa vivamente che i fedeli non assistano come estranei o muti spettatori a questo mistero di fede, ma che, comprendendolo bene nei suoi riti e nelle sue preghiere, partecipino all’azione sacra consapevolmente, piamente e attivamente; siano formati dalla parola di Dio; si nutrano alla mensa del corpo del Signore; rendano grazie a Dio; offrendo la vittima senza macchia, non soltanto per le mani del sacerdote, ma insieme con lui, imparino ad offrire se stessi, e di giorno in giorno, per la mediazione di Cristo, siano perfezionati nell’unità con Dio e tra di loro [38], di modo che Dio sia finalmente tutto in tutti.]

 

L’azzardo voluto, in modo contingente, dal Motu ProprioSummorum Pontificum” (Benedetto XVI -2007)

http://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/it/motu_proprio/documents/hf_ben-xvi_motu-proprio_20070707_summorum-pontificum.html

mirava ad una riconciliazione con il mondo del tradizionalismo. In realtà, come è evidente dopo 12 anni, questa generale liberalizzazione del VO ha solo fomentato ostilità verso il Concilio Vaticano II, ha aperto lotte piuttosto che portato pace. Ciò è dovuto ad un equivoco di fondo: non solo lo spirito, ma la lettera del Concilio non permette di essere aggirata per troppo tempo. Se si lascia ancora in piedi una forma rituale che è stata ufficialmente superata da una nuova, si illude una parte del corpo ecclesiale che sia aggirabile il Concilio e tutto ciò che questo significa. Fino ad incitare alla aperta ribellione contro un papa come Francesco, che fa del Concilio Vaticano II l’orizzonte ordinario del suo magistero. Vi è un legame molto più profondo di quanto non si creda tra resistenza a Francesco e frequentazione abituale del Vetus Ordo.

Pertanto è giunto il momento di trarre le conseguenze da questa imbarazzante situazione di equivoco. Il cammino della Chiesa esige, oggi in modo ancora più forte di ieri, che la liturgia cattolica si riconosca, in modo universale, solo in una forma, quella ordinaria. L’accesso a forme superate del rito cristiano deve essere subordinato, caso per caso, al giudizio dei vescovi locali, che possono valutare le singole circostanze eccezionali e concedere in forma limitata un accesso ad esse.

Questa verità, che negli ultimi 12 anni si è cercato in tutti i modi di negare, trova il suo fondamento non solo nella “contingenza” e nella “occasionalità” del Motu Proprio del 7 luglio 2007 (Summorum Pontificum, di papa Benedetto XVI), ma anche nelle solenni dichiarazioni del Motu Proprio del 1960 (Rubricarum Instructum, 25 luglio 1960 di papa Giovanni XXIII).

https://w2.vatican.va/content/john-xxiii/la/motu_proprio/documents/hf_j-xxiii_motu-proprio_19600725_rubricarum-instructum.html

tradotto    https://translate.google.com/translate?hl=it&sl=fr&u=https://www.introibo.fr/Rubricarum-instructum&prev=search

Infatti, la correzione che il MP del 1960 è oggi in grado di offrire al dibattito distorto dell’ultimo decennio consiste in una limpida logica di “senso comune”. Quando fu fatta l’ultima edizione del “messale di Pio V”, nel 1962, la si fece in modo interlocutorio, in attesa che il Concilio – che allora era già indetto anche se non era ancora iniziato – delineasse quegli “altiora principia” in base ai quali sarebbe stata fatta la vera riforma del messale. Pertanto non solo la lettera e lo spirito del Concilio Vaticano II non può concepire una “vigenza parallela” tra NO e VO, ma lo stesso documento che ha prodotto il Messale del 1962, che oggi si pretenderebbe vigente “per sempre”, lo intende come “provvisorio” a “ad tempus”.

Grazie alle due interviste pubblicate di recente, e grazie al preciso ricordo dei due “motu proprio”, da correlare l’uno all’altro, possiamo oggi scoprire che il cammino del Vaticano II non permette di concepire un normale accesso al VO, se non mettendo in questione il Vaticano II, non solo nel suo spirito, ma anche nella sua lettera. Se possiamo capire che il Superiore dei Lefebvriani possa essere tanto critico con il Vaticano II da negarne tanto la lettera quanto lo spirito, cercando un sollievo e una resistenza soltanto nel VO, più difficile è comprendere come un Prefetto di congregazione possa dire di difenderne lo spirito, ma ne contraddica in modo tanto sconcertante la lettera.

Il “magnum principium” della riforma liturgica affermato dal Vaticano II– ossia la “actuosa participatio” – impedisce un accesso indifferenziato e incontrollato al VO. A maggior ragione con i più giovani. Questa verità oggi deve essere ripristinata con urgenza e con fermezza. Essa è decisiva per quel disegno di “chiesa in uscita” che il magistero di Francesco ha tratto, con limpida consequenzialità, dalle parole del Concilio Vaticano II. Le stesse parole che, con altrettanta consequenzialità, prendono congedo dalle forme tridentine di Chiesa e di vita cristiana.

Andrea       Grillo       blog come se non         26 settembre 2019

www.cittadellaeditrice.com/munera/lettera-e-spirito-del-vaticano-ii-di-fronte-al-vetus-ordo-due-interviste-e-due-motu-proprio

Amazzonia, luogo teologico

«Luogo teologico»: sono passati più di vent’anni da quando il teologo brasiliano Leonardo Boff qualificava così la regione, nel suo primo testo di eco-teologia (Grido della terra, grido dei poveri, Cittadella, Assisi 1996), eppure tale intuizione non ha certo perso di validità. Sono molti infatti i segnali che invitano a guardare in questa direzione, per cogliervi alcuni elementi chiave per comprendere teologicamente questo nostro tempo.

A colpire di più l’immaginazione sono gli incendi in quello che spesso viene definito come il polmone verde del pianeta, area strategica per il contenimento del riscaldamento globale ed estremamente ricca di biodiversità. Questo 2019 ha però visto crescere in modo devastante le aree bruciate, anche a seguito di attive pratiche di deforestazione, tese a rendere possibile lo sfruttamento del territorio per altri usi. Si tratta di una vera e propria politica economica indicata e perseguita dal presidente Bolsonaro, che rivendica la sovranità brasiliana sul proprio territorio, rifiutando ogni riferimento a un «patrimonio comune dell’umanità» e rigettando ogni responsabilità per la stabilità climatica planetaria. Molti osservatori notano peraltro che le gravi responsabilità delle autorità locali non devono far dimenticare quanto profondo sia il legame dei loro comportamenti con l’azione di soggetti economici globali (incluse in alcuni casi imprese italiane).

Tali pratiche – ecologicamente devastanti – determinano pure la riduzione degli spazi per le popolazioni indigene, che nella foresta e della foresta vivono e che vedono quindi pesantemente intaccato il loro spazio vitale e messa a rischio la loro stessa esistenza.

Ma a rischio è pure la vita di chi cerca di opporsi a tali trend: numerose ormai le segnalazioni di militanti ambientalisti impegnati nella difesa del territorio e brutalmente assassinati, con indagini che spesso procedono a dir poco a rilento. Spesso, in effetti, si tratta di veri e propri «martiri della Terra», tra l’altro in più di un caso motivati in tale militanza proprio dalla fede cristiana.

A questa terra volgerà dunque lo sguardo il Sinodo che inizia la prossima settimana, il 6 ottobre 2019, e che ci chiamerà a considerare le sfide che l’Amazzonia pone: da quella ecologica, che esige di contrastare la deforestazione e l’estrattivismo, a quella del ruolo vitale dei popoli indigeni, fino a quella della forma che deve assumere la comunità ecclesiale in simili contesti.

Centrale in questo senso l’interrogativo circa la possibilità di nuove forme di ministerialità, per far fronte alle necessità di comunità che attualmente in molti casi vengono visitate da un prete per la celebrazione eucaristica solo alcune volte all’anno o magari anche meno. Davvero dunque un luogo teologico: luogo che costringe a interrogarsi sul messaggio testimoniato in tale contesto dalla comunità ecclesiale, così come sul popolo di Dio, che dell’annuncio è soggetto, e sulle istituzioni adeguate a supportarne la vitalità.

Non è certo casuale che sia proprio un pontefice chiamato a Roma «dalla fine del mondo» a invitare a ripensare questioni di tale spessore con un’attenzione ai contesti in cui esse si pongono. L’Instrumentum laboris Amazzonia: nuovi cammini per la Chiesa e per una ecologia integraledisegna in effetti una consapevole opera di discernimento, in cui il riferimento allo spessore teologico dei temi affrontati emerge da un accurato esame di una realtà locale in cui essi si pongono con un’acutezza tutta particolare.

Non stupisce quindi che dinanzi a tale testo giungano reazioni di fastidio da parte di chi coltiva un’immagine di Chiesa falsamente universalista, sotto la quale si cela spesso soltanto la difesa di una particolarità di cui neppure si è coscienti. Del resto, forse solo oggi stiamo finalmente comprendendo le implicazioni di una comprensione della Chiesa come realtà che vive la fedeltà alla realtà fondante dell’unico Evangelo in contesti diversi, con parole, pratiche e forme diverse.

Anche la riflessione morale guarderà dunque con particolare attenzione al Sinodo del mese prossimo, per gli importanti temi etici da esso affrontati, ma anche come occasione per cogliere indicazioni di stile e di metodo per una consapevole contestualità della propria ricerca.

Simone Morandini      blog moralia              Il Regno attualità                   24 settembre 2019

www.ilregno.it/moralia/blog/amazzonia-luogo-teologico-simone-morandini

 

Viri probati, il vescovo amazzonico Cob: un’esigenza in terre ove i fedeli celebrano una messa all’anno

Il vescovo del Vicariato di Puyo riflette sui temi del Sinodo del prossimo 6-27 ottobre 2019: «Dall’assise dei vescovi una Chiesa più ministeriale e meno clericale». Donne: «Non possiamo affidare solo compiti, dobbiamo dar loro sostegno istituzionale che meritano»

            Quito (Ecuador). I viri probati? «In Amazzonia sono una esigenza». Per monsignor Rafael Cob, vescovo del Vicariato di Puyo – uno degli otto Vicariati della provincia amazzonica dell’Ecuador -, le polemiche in Europa e Stati Uniti sul Sinodo del 6-27 ottobre 2019 sono solo chiacchiere. Di fronte agli occhi il pastore spagnolo, originario di Burgos, dal 1998 in Ecuador, ha le problematiche, molto più complesse, che vivono comunità rurali relegate in entroterra difficilmente raggiungibili. Zone del mondo dove, a causa della mancanza di sacerdoti, i fedeli celebrano una sola messa all’anno (Settimana Santa, Pasqua o Natale) con un prete o, peggio, devono affrontare viaggi di anche due ore e mezza, in barca, per ricevere la comunione.

«L’assenza di sacerdoti richiede un ripensamento del cammino di evangelizzazione in Amazzonia», spiega Cob a Vatican Insider e agli altri giornalisti invitati a Quito, in Ecuador, dalla Repam (Rete Ecclesiale Panamazzonica)in vista del Sinodo. Sinodo che ha come titolo “Nuovi cammini per la Chiesa”: «Chissà se queste nuove forme si rifletteranno in tutta la Chiesa – dice -. Quello che è chiaro è che da questo Sinodo arriverà una Chiesa più ministeriale e meno clericale. Dobbiamo partire dalla vocazione cristiana del battesimo. Laici, religiosi e sacerdoti formano un solo corpo e una sola famiglia».

In particolare sulla proposta dei “viri probati”, ovvero l’ordinazione di uomini sposati di una certa età e di provata fede che possano distribuire i sacramenti, il vescovo amazzonico ha un punto di vista chiaro: «Dobbiamo pensare nuovi modi per rispondere a nuove sfide». «In queste terre – spiega – manca il ricorso umano, mancano preti ed è diminuito anche il numero dei missionari disposti a stabilizzarsi in zone così sperdute. È difficile anche che nascano nuove vocazioni, è avvenuto in passato ma è molto raro. Peraltro non tutti i candidati al sacerdozio sono disposti ad aderire alla norma del celibato. Non è qualcosa che i popoli indigeni comprendono».

Perciò, sottolinea il vescovo, «bisogna contemplare delle possibilità valutando gli elementi presenti, dando risposte creative». Quella dei viri probati – proposta contenuta nell’Instrumentum laboris pubblicato a giugno (dove tale espressione, tuttavia, non compare mai) – non sarebbe, tra l’altro, neppure una novità: «Il celibato per i sacerdoti di rito latino non era obbligatorio prima del Concilio di Nicea del IV secolo, quando la Chiesa decise che il celibato “era conveniente” perché i preti potessero vivere meglio la loro vocazione. Non significa, però, che non ci fossero altre alternative», ricorda Cob.

            I possibili candidati a questo ruolo – spiega – sarebbero anziani, sposati, rispettati dalla comunità delle quali in qualche modo rappresentano «i genitori», presiedendo le celebrazioni della Parola, accompagnando le famiglie e i giovani, coordinando la pastorale. Svolgendo, in sostanza, il ruolo di parroci.

Si tratterebbe, perciò, di avallare una situazione già esistente. Non è in gioco l’abolizione del celibato sacerdotale: «Non si tratta di questo», afferma monsignor Cob. «È un discorso relativo ad una realtà concreta come quella dell’Amazzonia, che ha una situazione geografica complicata. Poi, certo, possono nascere risposte per la Chiesa di tutto il mondo».

Ma potrebbe essere questo un pretesto per dar luogo ad uno scisma? Il vescovo sorride: «Il Papa stesso ha detto che uno scisma potrebbe verificarsi e che non lo preoccupa. Quello che ci preoccupa, infatti, non è che ci sia un piccolo gruppo che non vuole quello che vuole il Papa, ma di riuscire a fare al meglio ciò di cui la Chiesa ha bisogno in questo momento. In particolare la Chiesa dell’Amazzonia».

E la Chiesa dell’Amazzonia oggi ha bisogno delle donne. È questo il tema che sta maggiormente a cuore al vicario di Puyo: «Non possiamo affidare solo compiti e mansioni alle donne, dobbiamo invece dar loro il sostegno istituzionale che meritano», rimarca. Ad esempio? «Una donna come amministratrice parrocchiale… In Cile è già avvenuto. Ministeri come l’Eucaristia o la parola sono stati visti come esclusivi. Canonicamente, solo i ministeri maschili potrebbero essere conferiti, ma ci sono donne che sono ministri straordinari dell’Eucaristia. Perché non renderlo ordinario?».

«Il ruolo della donna è molto importante – insiste il presule -, e sarà un tema fondamentale durante il Sinodo. Le donne sono state in prima linea nell’evangelizzazione. Quindi, poiché siamo una Chiesa sinodale, dobbiamo camminare insieme, dobbiamo saper ascoltare e costruire insieme».

In ultimo, monsignor Rafael Cob esprime la sua gratitudine per Papa Francesco per «lo spirito profetico» con il quale ha indetto questo Sinodo amazzonico che sarà «un appuntamento storico nella Chiesa». «Il Papa dà impulso alla Chiesa, non dice solo ciò che pensa ma chiede che lo si esegua». E ciò che sta a cuore al Pontefice è quella «ecologia integrale» che «è parte importante per la missione della Chiesa», afferma il vicario di Puyo. Che conclude con l’auspicio che, prima ma soprattutto dopo il Sinodo, «possiamo avere una tripla conversione: ecologica, personale, pastorale».

www.lastampa.it/vatican-insider/it/2019/09/16/news/viri-probati-il-vescovo-amazzonico-cob-una-esigenza-in-queste-terre-dove-i-fedeli-celebrano-una-messa-all-anno-1.37470892

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CITAZIONI

Il Consultorio Familiare: una storia proiettata nel futuro

Tavola rotonda. Professionalità in rete al servizio del territorio

La Rete e il Territorio: il ruolo delle scuole di formazione alla Consulenza familiare

Vorrei iniziare questo mio intervento con una immagine che ritengo possa aiutarci a comprendere il lavoro di rete a cui siamo chiamati come professionisti della relazione di aiuto: l’immagine che ho scelto è quella di un pescatore che prepara la rete per la pesca.

            La figura del Pescatore ci esorta ad essere pazienti, umili e, al tempo stesso, determinati così come ogni pescatore è nella realtà e del suo lavoro. Sono queste caratteristiche importanti e non è un caso che Gesù abbia scelto dei pescatori per realizzare il Regno dei cieli e portare al mondo la buona novella.

Il gesto di preparare la rete è metafora del riuscire a mettere insieme armonicamente le diversità e le specificità di ognuno per il conseguimento di un obiettivo comune così come le maglie di diversa grandezza che vengono utilizzate dal pescatore

La pesca, infine, è il risultato di tutto ciò e ci sprona a comprendere quanto sia importante realizzare opportunità e strumenti capaci di accogliere e contenere le richieste e i bisogni del Territorio così come la rete che viene gettata in mare aperto è pronta a contenere i diversi pesci.

Certamente è fondamentale e, direi, imprescindibile, il lavoro di rete per chi è un professionista della relazione di aiuto. Una rete che deve essere realizzata internamente , attraverso l’équipe interdisciplinare, ma anche all’esterno, con il territorio, i servizi territoriali e le diverse agenzie educative ed assistenziali che si possono coinvolgere nell’azione di aiuto alla persona e, in una terza dimensione, a livello teorico e metodologico, intesa come una unione armonica e preziosa tra i diversi contributi teorici e metodologici e le numerose scuole di pensiero e, più concretamente, tra  quelle di formazione che esistono nel campo specifico che ci riguarda. Mettersi in rete è certamente difficile perché richiede:

  • Investimento di tempo
  • Dispendio di energie e risorse
  • Mettersi in gioco in prima persona
  • Capacità di rivedere le proprie posizioni ed accettare quelle dell’altro

Ritengo che il Consultorio Familiare rappresenta un luogo privilegiato dove attuare e vivere la possibilità di lavorare in rete attraverso l’equipe interdisciplinare, l’apertura al territorio e l’attività di studio, approfondimento ed aggiornamento teorico-metodologico. Come professionisti della relazione di aiuto siamo chiamati innanzitutto a realizzare una rete tra i vari professionisti con cui condividiamo il servizio alla Persona all’interno dei nostri Consultori Familiari.

L’équipe è il luogo dove la Rete diventa tangibile, esperienza viva ed efficace. A Recoaro, nel corso del IV Congresso nazionale UCIPEM tenutosi ben 43 anni fa, nel 1975, il presidente professor Sergio Cammelli affermava che: “Gli strumenti che caratterizzano i nostri Consultori sono il consulente matrimoniale e l’équipe”.

Non può dunque sussistere nessun Consultorio Familiare senza la presenza di una équipe né tantomeno di un consulente di coppia e familiare, che originariamente, veniva chiamato matrimoniale.

Sempre a Recoaro, Padre Luciano Cupia sottolineava che: “Il lavoro di équipe non è solo esame di casi, ma è un lavoro interessante, interdisciplinare, è una comunicazione profonda fra i diversi membri dell’équipe”

Mons. Charles Vella, recentemente scomparso a Malta lo scorso 17 marzo 2018, nell’opera da lui pubblicata nel 1973 e ripubblicata dal CISPeF, nel 2016 intitolata “Il Consultorio e il consulente familiare: identità, formazione e tecniche operative”, dedica il capitolo 15 ad una attenta trattazione sul tema dell’équipe del Consultorio andandosi a collocare, così come nella Prefazione del testo lo definisce Mons. Angelo Spina, Arcivescovo di Ancona: “un vero precursore dei tempi che ha dato il via e la svolta perché si desse attenzione alla persona e alla famiglia con nuove modalità” .

Don Paolo Liggeri affermava che il consulente ha un ruolo centrale nelle équipe dei Consultori come figura indispensabile per la relazione d’aiuto e, pertanto, scriveva che “…nei Consultori, oltre agli esperti, occorre la presenza di quell’operatore specializzato, che noi abbiamo sempre denominato “Consulente”, e che riteniamo indispensabile per l’approfondimento delle singole situazioni, per la disponibilità e l’attitudine al colloquio, per la capacità d’individuare, sollecitare e coordinare i diversi apporti specifici del caso“.

            La figura del Consulente Coniugale e Familiare, dunque, nasce e cresce nel Consultorio Familiare e lo stesso Padre Liggeri scrive che “In realtà, il tema del consulente è particolarmente serio e appassionante, perché, tutto sommato, il suo compito costituisce una chiave di volta del Consultorio (…) Tanto per fare un paragone, possiamo rassomigliare il Consultorio ad un orologio; il direttore ne è la molla, gli specialisti le diverse rotelle dell’ingranaggio, ma il consulente è il bilanciere“.

Certamente al lavoro di rete, all’apertura al territorio e, soprattutto, al lavoro di équipe ci si deve preparare. In questo caso non ci si può improvvisare ma è necessario un percorso di formazione. Per tornare all’immagine iniziale del pescatore, facciamo tesoro del tempo che quest’uomo dedica alla preparazione della pesca attraverso la costruzione o la sistemazione della rete. Niente viene fatto di fretta ma tutto con molta calma e precisione impiegando tutto il tempo che occorre e ricordando ed attuando tutto ciò che hanno imparato a tal proposito dai genitori, dai nonni e dai pescatori più anziani e più esperti.

A tal proposito diventa indispensabile il ruolo della formazione e, nello specifico del nostro discorso, delle Scuole di formazione per i Consulenti coniugali e familiari. La nostra scuola, che prende vita all’interno del CISPeF, il Centro Italiano Studi e Professione che è un Ente di Formazione da me fondato dieci anni fa, è riconosciuta da 5 anni dall’AICCeF, ed ha finora attivato circa 30 corsi consegnando, ad oggi, il diploma a circa 130 consulenti di coppia e familiari in Piemonte, in Abbruzzo, in Molise, nel Lazio, in Campania, nelle Marche ed in Puglia

Proponiamo agli allievi, come del resto anche le altre Scuole in Italia che ci sembra opportuno ricordare per il servizio formativo reso a partire dalla SICOF di Roma fondata dal Padre Cupia alla Scuola di Padre Correra a Napoli, da quella di Raffaello Rossi a Bologna a quella di Padre Maglie a Taranto, un cammino che parte dalla riscoperta della persona come unica ed irripetibile per arrivare all’importanza del suo essere in relazione. Abilitiamo ad essere quel professionista che, come abbiamo detto finora, è centrale nei Consultori Familiari e nell’équipe. Professionista che personalmente mi piacerebbe si chiamasse consulente alla persona, di coppia e familiare. Trovo l’appellativo familiare troppo antico e della coppia fortemente limitante; infatti, a tal proposito, qualche tempo fa ho fatto, insieme ad un folto numero di Consulenti di coppia e familiari, una interpellanza all’AICCeF a tal proposito che, però, non è stata accolta.

Vorrei che si chiamasse alla persona perché le richieste di aiuto ed i percorsi sono effettuati anche con persone singole benché portino problemi relazionali così come recita anche lo Statuto dell’AICCeF quando leggiamo che “il consulente coniugale e familiare si avvale di metodologie specifiche che agevolano i singoli, la coppia e il nucleo familiare nelle dinamiche relazionali a mobilitare le risorse interne ed esterne per le soluzioni possibili”

Dovrebbe chiamarsi di coppia, e non della coppia come di tanto in tanto leggo in alcuni comunicati dell’AICCeF, perché, come professionisti della relazione di aiuto, ci troviamo di fronte a diverse tipologie di coppia e, ad esempio, interveniamo con percorsi richiesti da coppie che si preparano al matrimonio. Tale intervento , che è certamente da riscoprire e rimettere al centro dei nostri servizi e delle nostre proposte  rispetta pienamente la mission specifica dei Consultori UCIPEM di ispirazione cristiana che nascono, anche, come prematrimoniali o, altresì, vogliono accogliere in modo incondizionato andando, ad esempio, a lavorare con coppie ricostituite o conviventi e non necessariamente coniugate, ovviamente al di là del discorso dell’orientamento sessuale che rientra in una sfera intima della persona e non discrimina ovviamente una eventuale richiesta di aiuto.

Ma ci chiamiamo soprattutto “familiari”, e non della famiglia, per la grande valenza che questo appellativo possiede oltre al fatto che è un legame affettivo con coloro che sono stati i Padri di questa professione e che lo hanno così definito. Ci chiamiamo dunque familiari per diversi motivi; certamente perché abbiamo nei Consultori familiari il nostro ambiente privilegiato di servizio e di lavoro, perché consideriamo ogni uomo una famiglia, perché siamo interessati in particolare alle problematiche familiari, perché il Consultorio Familiare e la metodologia in esso attuato ha dimensioni che possiamo definire come familiari e mi piace, a tal proposito, paragonarlo ad una casa accogliente, ma, mi piace sottolineare ai nostri allievi, che ci chiamiamo familiari perché  siamo professionisti che non lavoriamo soli; nella nostra professione viviamo l’esperienza fondamentale dell’appartenenza all’Equipe dove viviamo la dimensione “familiare” capace di aiutare, sostenere e superare eventuali difficoltà professionali ed emotive.

Quindi viviamo in prima persona questa dimensione relazionale e, quindi, familiare. Possiamo dunque affermare che l’equipe è:

a)       Uno spazio comune di crescita permanente

b)      Un luogo accogliente dove elaborare le emozioni

c)       Un’opportunità di crescita e di confronto

d)      Una verifica costante delle proprie risorse

e)       Un valido supporto per rafforzare la propria identità

f)       Uno strumento di lavoro per pensare “oltre”

g)      Un sistema di orientamento, verifica e valutazione del servizio/intervento offerto.

Nello specifico le Scuole di formazione, che come accennavo in precedenza oggi in Italia sono cinque alle quali recentemente si è unita la Scuola Nina Moscati, sempre a Napoli, nata l’anno scorso e in fase di riconoscimento da parte dell’AICCeF, possono mettere in campo, e ne devono sentire la responsabilità, diversi strumenti capaci di formare ed allenare l’allievo al lavoro di équipe e a quello di rete.

Questa dimensione è importante perché non possiamo formare dei professionisti che non credono nell’equipe e nel lavoro di rete, ciò significherebbe snaturare la mission specifica dei nostri Consultori Familiari e, d’altra parte, non possiamo delegare tale funzione formativa ad altri, né, tantomeno, posticiparla al futuro. Saper lavorare in rete e sentirla come una dimensione fondante e caratterizzante della professione è indispensabile, costitutivo e caratterizzante dell’essere consulente di coppia e familiare o comunque un professionista della relazione di aiuto all’interno di un Consultorio familiare di ispirazione cristiana. A tal proposito mi piace affermare che è indiscutibilmente più facile lavorare da soli ma è certamente più efficace mettersi in rete

A tal proposito il CISPeF, la scuola che rappresento, prevede nel suo cammino di formazione triennale alla consulenza familiare diverse esperienze, sperimentate in questi dieci anni di attività che introducono e facilitano il lavoro in rete e quindi di Equipe. Esse sono cinque e le passeremo velocemente in rassegna, non perché siano le migliori, ma perché sono quelle che propongo e di cui ho fatto esperienza:

  1. L’offerta formativa del CISPeF prevede una serie di lezioni teoriche, afferenti all’area consulenza familiare che affiancano quelle relative agli orientamenti teorici e alle discipline fondamentali, che aiutano l’allievo ad approfondire l’importanza del lavoro di équipe a partire dal primo anno di corso. Esse sono:
  • La relazione di aiuto e le diverse professioni, approccio alla Consulenza Familiare
  • Presupposti storici del Consulente di Coppia e Familiare
  • L’identità del Consulente Familiare e il lavoro di Equipe
  • Il Consultorio Familiare e la normativa vigente: il Territorio e il servizio consultoriale
  1. Apprendistato.Nel terzo anno, invece, agli allievi in formazione viene proposta l’esperienza dell’apprendistato, così come richiesto dall’AICCeF, sotto la supervisione di un coordinatore dell’apprendistato. Questa esperienza prevede una parte teorica ed esperienziale vissuta in aula (9 ore); un’esperienza pratica all’interno della segreteria di un Consultorio familiare (16 ore); l’osservazione di tre colloqui di consulenza familiare tramite vetro unidirezionale o ausilio audiovisivo con relativa discussione con il coordinatore e con il professionista (6 ore); redazione di un vissuto dell’esperienza fatta.
  2. Proposta di Tesi.La nostra Scuola propone agli allievi, in procinto di diplomarsi, di approfondire argomenti e tematiche specifiche della professione tra cui, ad esempio, il lavoro di rete o di équipe. Questi lavori rappresentano un’occasione di fare un’attenta ricerca bibliografica e storica dei contributi esistenti sull’argomento oggetto di interesse.
  3. D.     Pubblicazioni e attenzione ai processi storici.

Sin dall’inizio della sua attività il CISPeF ha dato grande importanza alla pubblicazione creando una collana editoriale “Incontro alla vita” con Aracne Editore.

Ad oggi circa venti sono i lavori pubblicati soprattutto sui temi del Consultorio Familiare, dei professionisti della relazione di aiuto e del lavoro di équipe. A tal proposito, costituisce una vera e propria perla il testo “Sui passi della consulenza alla persona, di coppia e familiare ”   che è un compendio storico di articoli, contributi ed interviste sulla nostra professione.

Oppure il recentissimo lavoro intitolato “Emozioni e lavoro di équipe: premesse teoriche per un’analisi delle prassi” che ha approfondito il tema dell’équipe connesso alle emozioni, lavoro realizzato attraverso una vera e propria ricerca sul campo.

O, infine, la riedizione della brillante opera di Mons. VellaIl Consultorio e il consulente familiare: identità, formazione e tecniche operative”, già citata in questo contributo, che molti professionisti hanno avuto in mano nel tempo della formazione quando don Charles, già nel 1971/72, quale Direttore del CISF, proponeva in diverse città di italia i primi training di formazione per i consulenti familiari. Opera che è stata resa ancora più preziosa dalla prefazione dell’Arcivescovo di Ancona, Mons Spina, e dalla post fazione, brillante ed esaustiva, di Gabriella Lanatà che lo definisce: “un testo prezioso, molto ricco, impegnativo, che fa riflettere e al tempo stesso sa tradursi in un vero e proprio strumento di lavoro per tutti coloro che hanno a cuore la famiglia e sono consapevoli delle difficoltà che sta attraversando in questa fase storica di crisi e confusione di valori etici”.  Tale testo è stato reso ancor più attuale grazie al fatto che è stato citato nell’interessante contributo della Confederazione Italiana dei Consultori Familiari di ispirazione cristiana, edito da Ancora nel 2018 e intitolato “Il Consultorio che serve: Accogliere e accompagnare la famiglia”.

 E’ proprio in questo testo che leggiamo che: “i primi corsi furono organizzati in diverse regioni italiane e gestiti sotto la supervisione del Centro Internazionale Studi Famiglia di Milano (CISF), allora diretto dal sacerdote maltese don Charles Gerals Vella. Ispirati alla metodologia non direttiva di Carl Rogers, tali corsi proponevano aree di formazione legate alla dimensione del sapere, del saper fare e del saper essere (…).

Nel 1970 Vella arrivò in Italia grazie al Vescovo di Prato Pietro Fiordelli (1916-2004) aprì la rivista Famiglia Oggi con la collaborazione di don Antonio Sciortino. Don Vella affiancò Ines Boffardi e i vescovi italiani nella creazione della Confederazione nel 1978 e mentre in Italia non esisteva ancora una formazione specifica, si recò in Puglia, nelle Marche, in Campania, in Liguria, in Sicilia, in Sardegna e poi nelle altre regioni, per proporre e condurre dei training per consulenti coniugali e familiari”.

  1. Progetti e lavori di ricerca. Il CISPeF, inoltre, promuove diversi lavori di ricerca, realizzati con la collaborazione di professionisti nel campo statistico e psicometrico, che aiutano ad approfondire tematiche, a confermare tesi, determinare conclusioni e richiedono un intenso lavoro di squadra. A tal proposito vorrei citare le cinque ricerche presentate nel recentissimo testo “Io con Te, il consulente familiare nella relazione di aiuto: Progetti di ricerca” che, probabilmente per la prima volta nel nostro Paese offrono ricerche sul campo svolte da consulenti di coppia di coppia e familiari e riguardanti il loro campo specifico di intervento.

In questo nostro contributo, che ha come focus il lavoro di rete e quindi quello di Equipe, è bene citare il lavoro di ricerca effettuato dal CISPeF proprio sull’équipe. Con questo lavoro di ricerca si è voluto compiere un’indagine per conoscere meglio la figura del consulente di coppia e familiare nella specificità della sua professione e in relazione agli altri professionisti della relazione d’aiuto e dell’équipe. La ricerca ha riguardato un lavoro orientato a capire quanto è importante il lavoro in équipe e ancor meglio quanto influisce, non solo per il consulente di coppia e familiare, ma per tutti i professionisti che generalmente lavorano o dovrebbero lavorare in un gruppo di lavoro, analizzato e descritto attraverso la somministrazione di un questionario appositamente costruito sotto la supervisione dello scrivente. La ricerca è stata condotta su un campione di 146 professionisti: 39 consulenti di coppia e familiari, 32 insegnanti, 19 assistenti sociali, 17 psicologi, 12 educatori, 10 psicoterapeuti, 9 assistenti educativi, 4 volontari, 3 medici, 1 pedagogista.

Alla domanda “se e quando lavori in equipe” tutte le professioni intervistate hanno dichiarato che tendenzialmente lavorano in équipe tranne lo psicoterapeuta che, nel 40% dei casi, dichiara di lavorare in équipe solo eccezionalmente. Tutti i professionisti sono concordi nel dire che la collaborazione nasce dall’affiatamento ed, in secondo luogo, dalla condivisione profonda. Per la professione dello psicologo vale nel 72,7% dei casi, per il consulente di coppia e familiare la percentuale è 35,3%, per gli insegnanti 35,7%, e per gli assistenti sociali 33,3%. Infatti, in tutte le professioni sono dominanti le risposte “affiatamento” e “condivisione profonda.

In via ordinaria i meccanismi di difesa sono un indicatore di buona salute, ma quando diventano fissi e insistenti possono provocare asfissia e paralisi nel gruppo o nei suoi membri. Un dato molto interessante è venuto fuori dalla correlazione tra i meccanismi di difesa messi in atto in équipe e le professioni analizzate. I dati emersi dalla ricerca, evidenziano come quasi tutte le figure mettano in atto la normalizzazione, ovvero una convergenza di pensieri, sentimenti e comportamenti verso le norme del gruppo.

Gli unici ad adottare meccanismi di difesa differenti sono gli assistenti sociali che mettono in atto la deindividuazione, e cioè nell’attenuazione della propria identità personale, caratterizzata da sensazioni di anonimato, responsabilità diffusa, sottovalutazione e trasgressione delle norme istituzionali, l’obbedienza acritica all’autorità e la frustrazione-aggressività.

Un’altra correlazione significativa, emerge nel quesito “ritieni utile il lavoro di equipe?” Da questa correlazione si evince che la percentuale che non trova utile il lavoro di équipe è composta solamente da psicologi, nel 23,1% dei casi danno risposta negativa, e da assistenti sociali, nel 11,1% dei casi.

Lavorare in gruppo significa riuscire ad utilizzare le risorse di ogni singolo membro, valorizzando ogni opinione, ritenendola degna di ascolto anche se diversa dalla propria. Il lavoro di équipe, oltre ad essere un momento culturale e formativo, rappresenta un’importante occasione di confronto. Prassi del lavoro di gruppo sono le varie dinamiche, positive o negative, che siano.

In riferimento al quesito riguardante le dinamiche all’interno della propria équipe constatiamo che in tutte le professioni prevale di gran lunga lo spirito di collaborazione tranne che per gli psicoterapeuti i quali, 6 su 10, quindi nel 60% dei casi, riscontrano nella propria équipe dinamiche di micropotere-microprestigio.

Un altro aspetto interessante emerso da questo lavoro è quanto viene fuori dalla domanda sull’affinità e utilità di confronto. Abbiamo chiesto in particolare con quale altra figura trovassero utile confrontarsi e vediamo che gli psicoterapeuti preferiscono confrontarsi con i loro colleghi, nel 42,9% dei casi, o con gli psicologi, sempre per il 42,9%. Anche gli psicologi trovano utile confrontarsi in primo luogo con gli psicoterapeuti 44,4%, poi con gli assistenti sociali 33,3% e poi con i loro colleghi 11,1%. Gli insegnanti e gli educatori si confrontano prevalentemente con la figura dello psicologo per il 75%.

La figura del consulente di coppia e familiare sembra che sia poco considerata dagli altri professionisti perché solo gli stessi, nel 53,6% dei casi, dichiarano di trovare utile il confronto con i loro colleghi.

Passiamo ora ad analizzare le correlazioni che riguardano la dimensione emotiva del questionario ed in particolare ci soffermiamo sulle emozioni di base e su quelle complesse più frequentemente provate nel lavoro di équipe. Per quanto riguarda le emozioni di base, possiamo dedurre che in tutte le professioni prevale la gioia, l’accettazione e l’aspettativa infatti la colonna verde, grigia e azzurra sono quelle rappresentate maggiormente in tutte le professioni.

 Gli psicologi, gli assistenti sociali, i consulenti di coppia e familiari e gli educatori riferiscono anche la tristezza tra le emozioni provate, seppur in percentuali molto minori. Gli psicologi e gli assistenti sociali dichiarano anche la paura nelle percentuali rispettive del 9,1% e 11,1%.

Riguardo, invece, le emozioni complesse più frequentemente provate in equipe siano, per tutte le figure prese in esame sono, in larga parte, l’ottimismo, a seguire, l’amore. Ciononostante molti professionisti quali l’8,3% degli psicologi, il 21,1% degli assistenti sociali, il 22,9% dei consulenti di coppia e familiari, il 20% degli educatori e l’8% degli insegnanti segnalano anche la delusione.

Degni di nota, ai fini della nostra ricerca, sono infine anche i dati relativi alle emozioni più frequentemente provate durante il lavoro professionale. Tutti i professionisti dichiarano di provare prevalentemente amore e ottimismo. Solamente tra gli assistenti sociali troviamo una percentuale non trascurabile di emozioni quali la delusione nel 26,3% dei casi; lo spavento per il 10,5% e la sottomissione per il 5,3%.

In estrema sintesi il presente lavoro è stato capace di offrire una fotografia sul lavoro in équipe. In particolare, si è visto come la gran parte delle figure professionali risultate dal nostro questionario lavora in équipe, eccezione fatta per lo psicoterapeuta che dichiara di non confrontarsi quasi mai con un gruppo di altri specialisti, questo sottintende la sua predilezione, anche legata al suo stile di lavoro, a lavorare quasi sempre in autonomia. D’altra parte è risultato evidente come un buon lavoro di équipe nasce dalla condivisione profonda e dall’affiatamento.

Uno spirito di collaborazione è ciò che anima generalmente un gruppo di lavoro teso verso una finalità condivisa, eccezion fatta, anche qui, dalla figura dello psicoterapeuta che riferisce invece, nella maggior parte dei casi, delle dinamiche di micropotere e di microprestigio all’interno della propria équipe. 

Un’altra dinamica evidenziata da questa ricerca è quella del confronto fra i vari professionisti di una équipe: è stato riscontrato come gli psicologi e gli psicoterapeuti preferiscono confrontarsi esclusivamente fra loro, mentre gli altri professionisti trovano utile il confronto sia con i loro colleghi che con gli psicologi. Un dato molto significativo inoltre è il fatto che nessun professionista dichiara di confrontarsi con il consulente di coppia e familiare; ciò dimostra il fatto che questa figura non è ancora ben conosciuta ed integrata tra le professioni della relazione d’aiuto e molto ancora c’è da lavorare in tal senso.

Abbiamo visto anche come all’interno di una équipe, si mettano in atto, molto frequentemente, dei meccanismi di normalizzazione ovvero la tendenza a convergere i pensieri, sentimenti e comportamenti verso quelle che sono le norme del gruppo. Un’eccezione è costituita in questo caso dalla figura dell’assistente sociale che mette in atto altri meccanismi di difesa.

Infine, per quanto riguarda la parte emotiva, la nostra ricerca ha evidenziato che, da un lato i professionisti amano il proprio lavoro ed amano anche l’idea di collaborare con altre figure professionali, ma dall’altro, le emozioni che scaturiscono dallo stare in équipe non sono sempre positive: si alternano emozioni come l’amore e la gioia a una profonda tristezza legata ai rapporti con i colleghi e quindi alla difficoltà nel confrontarsi con gli altri. L’affiatamento, la collaborazione, la condivisione profonda sono aspetti importanti di una equipe e sono tutto ciò che ciascuno si augura di trovare in un gruppo di lavoro. Il risultato di questa ricerca però ci pone davanti ad una realtà che è fatta di persone che devono interagire tra loro con tutte le difficoltà che ogni relazione comporta.

In conclusione tutti sostengono che sia utile lavorare in équipe ma anche faticoso e spesso dispendioso a livello emotivo. Finora abbiamo parlato della rete come lavoro di equipe quindi all’interno del consultorio familiare, ma è importante sottolineare che, come accennavamo all’inizio di questo contributo, ci sono almeno altre due fondamentali dimensioni del fare rete:

  1. La rete con i servizi territoriali e con le agenzie educative coinvolte. Non si può, infatti, creare un dialogo solo all’interno dell’Equipe, ma è necessario dialogare con il territorio per cercare di valorizzare ed armonizzare risorse, competenze specifiche e possibili forme di aiuto.
  2. La rete tra le diverse proposte metodologiche e le diverse scuole di pensiero.

A tal proposito come CISPeF abbiamo realizzato un costrutto, la ruota metodologica, approfondita nel corso del nostro Convegno annuale del 2015 e pubblicata con la prefazione di Alice Calori in un testo al cui interno è anche possibile leggere nostre interviste a coloro che mi piace definire i Padri della Consulenza familiare come Padre Correra, Padre Cupia e Mons. Vella. Tale costrutto vuole attuare il tentativo di mettere in rete tutti i contributi alla consulenza familiare che storicamente sono stati offerti e che vanno a delineare una specifica ed originale identità teorica e metodologica.

Un cerchio colorato, dunque, con cui concludo questo mio intervento. Ho iniziato con l’immagine del pescatore e concludo con quella del cerchio, simbolo di perfezione che, probabilmente, è la migliore rappresentazione della rete che altro non è che mettersi in cerchio arricchendo l’altro con il proprio contributo.

 Così dovrebbe essere la rete interna ai nostri Consultori, quella con il Territorio e quella tra i diversi contributi teorici e metodologici e le diverse realtà esistenti. L’Augurio è che ognuno di noi possa far parte di questo cerchio colorato “lavorando insieme” e vivendo sempre di più l’appartenenza a realtà importanti come l’UCIPEM e la CFC che, in occasioni belle e stimolanti come quella del Congresso nazionale che stiamo vivendo, ci aiutano a non sentirci soli e a proseguire insieme lungo un cammino che deve portare queste due importanti aggregazioni ad essere sempre più unite e complementari.

Ermanno D’Onofrio               XXV Congresso nazionale UCIPEM  Bologna 4-5-6 maggio 2018

Ermanno D’Onofrio è sacerdote della Diocesi di Frosinone, è consulente coniugale e familiare, psicologo, psicoterapeuta, analista transazionale ed esperto in psicologia giuridica, psicoterapia breve ad approccio strategico e in psicodiagnostica. E’ Dottore di Ricerca in Scienze dell’Orientamento. Nasce a Napoli il 2 gennaio 1973. Molto impegnato nel sociale è stato promotore e fondatore di numerose realtà associative: è fondatore dell’Associazione Nazionale Il Giardino delle Rose Blu O.N.L.U.S. e dell’omonima Fondazione Internazionale di cui è attualmente Presidente; E’ Presidente del Consultorio Familiare Diocesano Anatolè dove svolge attività clinica e di supervisione oltre che prestare servizio come consulente coniugale e familiare e psicoterapeuta, è Presidente del CISPeF, Centro Italiano Studi Professionali e Formazione, all’interno del quale, accanto ad altre proposte formative, sorge una Scuola Triennale per Consulenti Familiari riconosciuta dall’AICCeF di cui è Direttore oltre che Docente e Formatore. È supervisore e consulente di diverse strutture: Consultorio Familiare di Fiuggi, Comunità Alloggio per anziani “Le Farfalle” di Terracina (LT), ed “Il Piccolo Rifugio” per disabili di Ferentino (FR).

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CONGRESSI – CONVEGNI – CORSI – SEMINARI

Molestie, Abusi e Violenze: trattamento con l’Esperienza Immaginativa

La SISPI (Scuola Internazionale di Specializzazione con la Procedura Immaginativa), con il patrocinio del CIS (Centro Italiano di Sessuologia) organizza un evento a Milano 19-20 Ottobre 2019, h 9-19, Via Lanzone 31.

La cronaca sottopone alla nostra attenzione quasi quotidianamente episodi di violazione, espressi nei modi più diversi, dalle molestie, ai maltrattamenti, fino ad arrivare agli abusi e alle violenze, fisiche e psicologiche. Quale è la percezione di questo stato di realtà? Chi ne è interessato? E’ un fenomeno sociale che interessa la donna e l’uomo, seppur in forme diverse.  Dalla coppia sconfina nei rapporti sociali, al luogo di lavoro e viceversa; dall’adulto al minore, in un circolo vizioso.  Nell’immaginario, spazio offerto all’inconscio, si incontra l’angoscia traumatica di un atto subìto e le risposte per poterlo affrontare e superare. 

26 Crediti ECM per medici e psicologi                   info e iscrizioni: t/f 02 7639 0359,  segreteria@sispi.eu

Si rivolge a: Medici, Psicologi, Psichiatri, Psicoterapeuti, Neuropsichiatri Infantili, Operatori del Sociale, Operatori Sanitari, Educatori, Religiosi, Cultori della materia, Studenti.

www.cisonline.net/eventi/molestie-abusi-e-violenze-trattamento-con-lesperienza-immaginativa

Programma e informazioni           www.sispi.eu/_docs/2019/190820_Molestie_abusi_191019.pdf

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CONSULTORI FAMILIARI CATTOLICI

Corso di Formazione per Operatori di Consultori Familiari di ispirazione cristiana

Confederazione Italiana Consultori Familiari di Ispirazione Cristiana-Onlus

Federazione Regionale Puglia CFC- Onlus

Ottobre 2019 – Novembre 2020 Sede: Seminario Arcivescovile – C.so A. De Gasperi, 274/A – BARI

Obiettivi.

      Fornire conoscenze, competenze e abilità necessarie a chi intende operare in un consultorio familiare di ispirazione cristiana;

      Fornire conoscenze e strumenti per l’analisi della richiesta d’aiuto;

      Consolidare le conoscenze di base proprie dell’antropologia cristiana.

Programma. Il Corso inizia il 25 Ottobre 2019 e termina il 27 Novembre 2020.

Si articola in lezioni frontali, lavoro di gruppo, attività on-line per un totale di 203 ore così suddivise:

    10 Moduli residenziali con frequenza mensile (venerdì ore 16.00 – 20.00 e sabato ore 9.00 – 18.00)

    Attività on-line (30 ore), Tirocinio (40 ore), Supervisione (10 ore), Verifica finale (3 ore)

  • La persona umana: Il consultorio familiare, servizio alla persona, alla coppia, alla famiglia: Il consulente familiare
  • Comunicazione e metacomunicazione
  • La relazione d’aiuto
  • Accoglienza, ascolto, accompagnamento
  • Il lavoro d’équipe
  • Il lavoro d’équipe
  • La supervisione
  • Le fasi del ciclo di vita umana: coppia e famiglia
  • L’azione sul territorio
  • Consultorio e pastorale familiare

Destinatari. Operatori dei Consultori familiari; Operatori nei Centri di ascolto Caritas e nei Centri di Aiuto alla Vita; Operatori della Pastorale Familiare; Operatori socio-educativi, psicologi, pedagogisti, assistenti sociali, giuristi.                                     E-mail: cfcpuglia@gmail.com

Il corso è a numero chiuso con un massimo di 35 partecipanti e un minimo di 25 partecipanti.

www.cfc-italia.it/cfc/index.php/74-federazioni-regionali/regione-puglia/articoli-puglia/448-corso-puglia-2019

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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM

Il riconoscimento. Paola Bonzi e Antonio Iosa, dalle «periferie» di Milano al Famedio

Iscritti al Pantheon del Cimitero monumentale i nome della fondatrice del Centro aiuto alla vita Mangiagalli [e del consultorio familiare aderente all’UCIPEM] e dello storico presidente del circolo Perini di Quarto Oggiaro

Dodici nomi. Dodici volti. Dodici milanesi, di nascita e d’adozione. Nei quali Milano ha scelto di riconoscersi. E di farsi incontro al futuro, coltivando memoria. La memoria che unisce e dà fondamento all’amicizia civica, anche quando è memoria di storie diverse e divergenti, anche quando è generata da talenti e da ispirazioni ideali differenti. Sono dodici i nomi di milanesi illustri, scelti dalla Commissione consultiva del Comune per le onoranze al Famedio, che il prossimo 2 novembre 2019 saranno iscritti nel Pantheon di Milano, al Cimitero Monumentale. Eccoli, in ordine alfabetico, come li ha resi noti ieri Palazzo Marino: Rachele Bianchi, artista, pittrice e scultrice; Mario Cervi, giornalista; Luigi Dadda, ricercatore e accademico, pioniere dell’informatica; Gillo Dorfles, critico d’arte; Inge Feltrinelli, editrice; Giancarlo Garbelli, campione di pugilato; Antonio Iosa, fondatore del Circolo culturale «Carlo Perini»; Paola Marozzi Bonzi, fondatrice del Centro di aiuto alla vita della Clinica Mangiagalli; Elisa Penna, giornalista e fumettista; Maria Grazia Perini, giornalista, scrittrice e sceneggiatrice; Antonio Virgilio Savona, cantautore, componente del Quartetto Cetra; Libero Traversa, partigiano.

Fra quei dodici ci sono persone note al grande pubblico. E persone che hanno vissuto, lavorato, lottato nell’ombra. Nel cuore delle periferie geografiche ed esistenziali di questa città, si potrebbe dire con papa Francesco. Periferie come Quarto Oggiaro, dove Antonio Iosa ha offerto la sua testimonianza culturale, civile, politica, fino a pagare con il sangue – lui, gambizzato dalle Brigate Rosse, il «suo» circolo Perini assaltato dai fascisti. Periferie come la vita nascente e fragile, la libertà e la dignità delle donne, alle quali si è dedicata Paola Bonzi. Periferie dove farsi prossimo. A partire dal Vangelo. Com’è stato per Iosa e Bonzi.

«L’iscrizione della nostra Paola nel Famedio – ha detto Francesco Migliarese, segretario del Cav Mangiagalli – ci riempie di orgoglio e di gioia e ci sprona a portare avanti con slancio ancora maggiore l’opera da lei iniziata. È inoltre un riconoscimento importante e trasversale, dopo tanti anni, che il sostegno alla maternità e l’aiuto alla vita nascente non sono valori solo di una parte, ma di tutti. Ci auguriamo che la politica colga l’occasione per applicare con maggiore coraggio la legge 194, rendendo disponibili adeguate risorse economiche per il sostegno della maternità difficile».

«Il fatto che le istituzioni e le forze politiche abbiano deciso, con un consenso trasversale, di iscrivere nostro padre nel Famedio – incalza Christian Iosa, figlio di Antonio – ci rende ancora più orgogliosi. È il riconoscimento di quello che ha fatto per Milano e soprattutto per le sue periferie, dove si è battuto per portare cultura e dignità, per dare risposte al disagio giovanile, con un impegno radicato nei valori del Vangelo, sempre dalla parte del popolo e dei più deboli. Un impegno vissuto sempre con umiltà incredibile. Che chiede di essere portato avanti».

Lorenzo Rosoli           Avvenire         25 settembre 2019

www.avvenire.it/attualita/pagine/paola-bonzi-famedio-milano

 

Collegno. Ottava edizione di “Essere genitori, un’arte imperfetta” 2019-2020

L’ottava edizione di “Essere genitori, un’arte imperfetta” affronta il tema della responsabilità’.

La strada che conduce a un’esistenza piena passa attraverso il senso di responsabilità verso se stessi e verso gli altri. Desideriamo che i nostri figli vivano in modo responsabile la propria vita, la scuola, le tecnologie, l’affettività, la sessualità, le frustrazioni.

Affinchè ciò accada è necessario che progressivamente, durante il percorso di crescita, siano capaci di intercettare i bisogni propri e altrui, diventino consapevoli delle conseguenze delle loro scelte, si sentano pronti ad assumersi degli impegni. Come genitori ed educatori cosa possiamo e cosa siamo disposti a fare per accompagnarli, incoraggiarli, sostenerli e accettare ciò che decideranno di essere?

Anche quest’anno sono previsti 7 incontri: relatore: Gianluca Baiardi, psicologo, psicoterapeuta.

Crescere è un lavoro complesso e raramente a “costo zero”. Se siamo capaci, come genitori, a riconoscere tale affermazione come vera per i nostri figli (e non è sempre così), molto spesso non riusciamo a riconoscerla come altrettanto vera per noi genitori. La crescita di un figlio avviene nelle “fitte maglie dell’amore” del sistema-famiglia, in equilibrio, e da esso è imprescindibile.

            Proveremo assieme a riflettere su tali tematiche, sul concetto di amore genitoriale, sulla quantità, sulla qualità e, soprattutto, sulle distanze/vicinanze utili affinchè tale amore possa essere un trampolino di lancio e non una gabbia dorata.

            Fascia di età: adolescenza (12+). Gli incontri sono indirizzati a genitori, nonni, insegnanti, educatori.

http://www.famigliacentro.it/incontri

 

Cremona. Percorso per mamme e figlie

Il consultorio Ucipem di Cremona propone “Piccole donne – Percorso per mamme e figlie che stanno affrontando i cambiamenti della pubertà”. Si tratta di 3 incontri a piccolo gruppo condotti da una psicologa e una ostetrica che intendono offrire un’occasione per parlare dell’arrivo prima mestruazione, che rappresenta sempre un profondo cambiamento sia fisico che emotivo per le ragazze. Parlarne insieme, infatti, può aiutare a rinsaldare il legame affettivo tra mamma e figlia tra il desiderio di crescere abbandonando il ruolo di bambine, e il timore di un futuro indefinito.

Sono condotti dal dott.ssa Linda Gabbi (ostetrica) e dalla dott.ssa Eliana Polonini (psicologa e psicoterapeuta).

    https://www.diocesidicremona.it/blog/al-consultorio-ucipem-un-percorso-per-mamme-e-figlie-che-stanno-affrontando-i-cambiamenti-della-puberta-07-10-2019.html

 

Grosseto – L’appuntamento con “Volontari al centro”

 organizzato da Cesvot Grosseto, è alla Galleria commerciale Aurelia Antica: la festa delle associazioni grossetane si svolgerà questo fine settimana, sabato 19 e domenica 20 ottobre dalle 10 alle 20, con un programma di animazioni e incontri per conoscere più da vicino il variegato e dinamico mondo del volontariato.

Sono 48 le associazioni (tra cui il Consultorio La Famiglia Ucipem) che aspettano i visitatori (nelle scorse edizioni l’appuntamento ha richiamato oltre 15 mila persone) nella piccola agorà allestita per l’occasione. I volontari della Croce rossa daranno il loro contributo con indicazioni sulla prevenzione dell’ictus insieme all’associazione Alice, con dimostrazioni sull’uso del defibrillatore e con animazione per bambini a tema educazione stradale.

            “Il luogo si presta bene a coinvolgere anche persone che non hanno mai pensato al volontariato ma che vengono in contatto con i progetti delle nostre associazioni grazie a questa due giorni – commenta Silvia Sordini, presidente della delegazione Cesvot di Grosseto – I nostri volontari sono pronti a rispondere alle domande dei cittadini, a parlare dei valori della solidarietà. Un’opportunità per i cittadini ma anche per le realtà dell’associazionismo alla ricerca di nuove energie. Volontari al centro è la festa delle associazioni che diventano protagoniste, un appuntamento che siamo felici di riproporre per valorizzare le tante attività che grazie al volontariato vengono svolte, al servizio del nostro territorio”.

“Un sentito ringraziamento va come al solito al Cesvot, che con il suo costante impegno riesce a portare avanti un evento come questo che riconosce il lavoro di tutti i volontari che dedicano tempo e forze per implementare servizi e attività di cui il nostro territorio non può fare a meno – spiegano il sindaco Antonfrancesco Vivarelli Colonna e l’assessore al sociale Mirella Milli –. Come amministrazione ci teniamo ad estendere l’invito a tutti cittadini, affinché possano avere un panoramica della ricchezza di progetti che le associazioni hanno da offrire nel sociale e nel settore culturale, nello sport e nell’ambito sanitario e per ringraziare tutti i volontari che con forza e gioia portano avanti queste iniziative di alto valore sociale”.

https://www.ilgiunco.net/2019/10/18/volontari-al-centro-alla-galleria-commerciale-aurelia-antica-torna-la-festa-delle-associazioni

 

Jesi. Laboratori e tavola rotonda per i 40 anni del Consultorio Cpf

Sabato 12 ottobre 2019 l’ultima delle iniziative in programma per i 40 anni del Centro Promozionale Famiglia di Jesi: dalle ore 10 nella sede del consultorio laboratori per genitori ed operatori, alle 17 al museo diocesano una tavola rotonda, con ospite il presidente nazionale dell’Unione Consultori Italiani Prematrimoniale e Matrimoniali.

Dopo il convegno di fine settembre al Circolo cittadino, il Consultorio di Jesi si appresta a chiudere la rassegna di iniziative organizzate per il suo quarantesimo anniversario, all’insegna dello slogan “Cresciuti nel presente”. Sabato 12 ottobre infatti è in programma l’ultima giornata di attività, sempre sui temi della famiglia, dall’ascolto alla cura alla formazione, a cui il Cpf ha dedicato la sua lunga storia di impegno.

Un’intera giornata di lavori, suddivisa in due momenti: il mattino, dalle 10, “Open day” nella sede del Consultorio, in piazza Federico II, con tre diversi laboratori tematici per operatori, educatori e genitori; il pomeriggio invece, alle 17, ci si sposterà al Museo Diocesano per la tavola rotonda “Lavori in corso per le famiglie: consultorio, volontariato e comunicazione” con la partecipazione di Francesco Lanatà, presidente nazionale Ucipem (Unione consultori italiani prematrimoniali e matrimoniali), di Cristina Parolisi presidente regionale Cfc (Confederazione consultori familiari di ispirazione cristiana), di Milena Trucchia, presidente provinciale CSV di Ancona (Centro servizi per il volontariato) e di Dino Mogianesi, direttore del periodico ‘Jesi e la sua Valle’. Un ragionamento sui diversi ruoli, l’impegno e le sinergie in favore delle famiglie, con interventi moderati dalla giornalista Beatrice Testadiferro, direttrice del settimanale ‘Voce della Vallesina’.

“I cambiamenti culturali, sociali ed antropologici in corso investono in particolare il sistema famiglia e le sue dinamiche – ha spiegato Elio Ranco, presidente del Cpf Jesi – e noi come operatori di un consultorio familiare siamo costantemente impegnati in percorsi di formazione e aggiornamento per rispondere ai bisogni che via via emergono”. “Ora questa ricorrenza ci dà l’opportunità di condividere con la cittadinanza momenti qualificati di studio e approfondimento sul tema. L’interesse finora ottenuto – conclude il presidente Ranco – e l’aumento delle prestazioni richieste ci conferma nella convinzione che il nostro lavoro è prezioso e va intensificato sia nella consulenza a singoli, coppie e famiglie, sia nella prevenzione rafforzando le competenze affettive, comunicative e relazionali”.

Il Centro promozionale FamigliaConsultorio “La Famiglia” di Jesi da 40 anni offre supporto psicopedagogico alla persona, alla coppia coniugale e genitoriale, alla famiglia, attraverso consulenza, attività formative e di prevenzione.

Gli eventi per il 40° anniversario sono stati promossi con il patrocinio del Comune, del Consiglio regionale Marche, della Diocesi, di Aiccef (Associazione italiana consulenti coniugali e familiari), Ucipem (Unione consultori italiani prematrimoniali e matrimoniali), Cfc Marche (Confederazione consultori familiari di ispirazione cristiana) e CSV Marche (Centro servizi per il volontariato).

www.viverejesi.it/2019/10/11/lavori-in-corso-per-le-famiglie-laboratori-e-tavola-rotonda-per-i-40-anni-del-consultorio-cpf/750202

 

Pescara. Percorsi di Consulenza di gruppo

Presso il Consultorio è possibile partecipare a Percorsi di consulenza di Gruppo. In uno spazio accogliente e protetto che ognuno contribuisce a mantenere, si sperimenta la forza e la ricchezza della condivisione. Viene sempre garantita la partecipazione, la protezione e il non giudizio di ogni membro del gruppo.

Attualmente è attivo un Percorso di Consulenza di Gruppo tutti i giovedì mattina condotto dalle dott.sse Stefania Berardo e Federica Di Pasquale.

www.ucipempescara.org/consulenza-di-gruppo

 

Viadana. Auto mutuo aiuto e Laboratorio per mamme e figlie 9-13 anni

Il Centro di consulenza familiare Ucipem di Viadana promuove due iniziative gratuite per dare una mano ai cittadini e alle famiglie in alcuni momenti delicati dell’esistenza, come la sofferenza psicologica e la pubertà.

  1. La prima iniziativa prende il nome di “Progetto Ama”. L’acronimo sta per “Auto mutuo aiuto”: l’idea è di mettere in relazione persone che, a seguito di particolari vicissitudini personali, si trovino nella necessità di aprirsi e confrontarsi per ritrovare sorriso e fiducia. In zona non esistono esperienze simili, tranne quella degli Alcolisti Anonimi. «Il gruppo – spiegano al consultorio – si rivolge a persone che vivono o hanno vissuto gravi prove, come lutti, separazioni, traumi e patologie invalidanti. Attraverso il dialogo tra i partecipanti, ognuno potrà comprendere meglio ciò che ha vissuto, ascoltare le esperienze altrui, liberare il pianto, trovare magari consigli utili e motivi di ispirazione». Obiettivo: cercare le risorse per superare le situazioni di difficoltà.

Ogni gruppo sarà dotato di un facilitatore: una persona che ha a sua volta sofferto, e che è stata debitamente formata a ricoprire il ruolo. Suo compito non sarà fornire soluzioni e imporre risposte, bensì moderare il confronto, dare parola a ognuno dei presenti, agevolare lo scambio di impressioni e riflessioni, aiutare i partecipanti a condividere le proprie risorse e a sostenersi reciprocamente.

            Le persone interessate terranno un colloquio preliminare con la consulente familiare: i gruppi saranno infatti costituiti in modo da mettere assieme cittadini con vissuti analoghi. Ogni gruppo sarà composto al massimo da dodici persone. Le riunioni, da un’ora e mezza circa, avranno cadenza settimanale.

  1. Il Centro di consulenza familiare promuove inoltre il percorso “Il mio corpo che cambia. Laboratorio per mamme e figlie 9-13 anni”: attività ludiche e interattive per affrontare il tema della corporeità, rafforzare i legami affettivi, fornire una visione positiva della femminilità. «L’obiettivo è di aiutare mamme e figlie ad affrontare tematiche delicate in un clima di confidenza e complicità, affinché le più giovani possano acquisire consapevolezza del significato di sessualità e femminilità, e imparino a non abusare del proprio corpo, bensì a valorizzarlo». In futuro si vorrebbe ampliare l’iniziativa alle ragazze 10-14 anni e al rapporto papà-figli maschi.

https://gazzettadimantova.gelocal.it/mantova/cronaca/2019/10/16/news/nasce-il-progetto-ama-aiuto-di-gruppo-in-sostegno-di-chi-soffre-1.37754540

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COUNSEL(L)ING-Cum-solere

Sapere come individuare questi segnali d’allarme può portarvi ad avere il rapporto che meritate

Vi state chiedendo se la persona con cui uscite sia quella giusta? Rispondere a questa domanda è difficile. È un po’ più semplice rispondere alla domanda opposta: questa persona ha qualità che potrebbero essere problematiche per un rapporto a lungo termine? In altre parole, è più facile capire quando una persona non è quella giusta.

            I segnali di allarme che ho elencato si applicano a entrambi i sessi, ma leggendo la lista ricordate che è molto difficile essere obiettivi riguardo a un rapporto. Non è semplice individuare i segnali di allarme o le tendenze problematiche quando si vuole davvero che un rapporto funzioni. E allora prendete in considerazione questi punti e cercate di capire se qualcuno vi risuona. Se uno o più di uno vi fa ricordare la vostra esperienza, è il momento di fare un passo indietro e di analizzare bene la relazione che state vivendo.

  1. X non vi mette al primo posto. Se l’altra persona non vi mette al primo posto nelle cose piccole e grandi, allora non è qualcuno a cui dovreste dedicare la vostra vita. Che si tratti dei progetti che fate, delle conversazioni che avete o di una passeggiata, se X non cerca di conoscervi e di migliorare la vostra vita non è la persona giusta. X vi ascolta? Vi sentiti apprezzati e compresi? Forse X fa cose belle per voi ma non cerca di conoscervi. Forse X vi ascolta bene ma poi non fa nulla con quello che ha appreso. In ogni caso, X non vi sta mettendo al primo posto.
  2. Non mettete X al primo posto. E se siete voi che non mettete al primo posto l’altra persona, allora non siete la persona giusta per lui o per lei. Cosa vuol dire mettere qualcuno al primo posto? Significa tener conto di ciò che gli piace quando si fanno dei progetti. Significa cercare di capire il suo umore e i suoi sentimenti, sacrificare ciò che volete se non è quello che è meglio per l’altro. Se per qualsiasi ragione non siete motivati a dedicare tempo ed energia alla persona con cui state uscendo, non continuate a farlo.
  3. Vi fa sentire male riguardo a voi stessi o vi fa dubitare del vostro valore. Se l’altra persona vi critica spesso anziché essere costruttiva, non è una persona che dovreste tenere accanto a voi per altro tempo. Sostenersi a vicenda e offrire incoraggiamento fa parte di un rapporto sano, e se lui o lei non vi riesce a supportarvi a livello verbale o emotivo mentre uscite insieme, non inizierà a farlo magicamente in seguito. È vero, ci sono persone che devono imparare come incoraggiare gli altri, ma se la critica è già una costante, X non fa per voi.
  4. Non piace a tutte le persone che amate. Date a familiari e amici la possibilità di conoscere la persona con cui uscite, e se non la gradiscono chiedete il motivo. Potrebbero dirvi cose interessanti, o forse altre questioni e dolori passati impediscono loro di vedere la situazione in modo chiaro. Se, però, la maggior parte delle persone che amate non apprezza X, prendete i loro commenti seriamente.
  5. Non vi sentite a vostro agio nel dire certe cose a X.Quando X fa qualcosa che vi ferisce riuscite a dirglielo? Riuscite ad essere onesti con X su quello che state provando? Riuscite a dirgli di no? Se non sentite di poter essere onesti con X, le cose non si semplificheranno in futuro.
  6. Fate molte cose divertenti insieme. E il problema è proprio questo. Un rapporto in cui ci si diverte insieme, cercandosi solo in alcuni momenti o in determinate situazioni, può impedirvi di rendervi conto che non state uscendo con qualcuno che tiene a voi, ma solo con una persona con cui trascorrete un po’ di tempo in modo piacevole. Se finora il vostro rapporto si è concentrato solamente su occasioni divertenti, cercate di metterlo alla prova anche in qualche situazione di vita reale per vedere come vanno le cose. Tenete insieme i bambini di qualcuno, preparate la cena o pulite la casa insieme. Più cose fate insieme (e più ampia è la varietà di attività o esperienze che fate), meglio capirete se il vostro rapporto può durare anche nei momenti non divertenti.

Cecilia Pigg     Aleteia 17 settembre 2019

 https://it.aleteia.org/2019/09/17/come-sapere-che-una-persona-non-e-quella-giusta

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DALLA NAVATA

XXVI Domenica del Tempo ordinario- Anno C – 29 settembre 2019

Amos              06, 01. Guai agli spensierati di Sion e a quelli che si considerano sicuri sulla montagna di Samaria

Salmo              145, 08. Il Signore rialza chi è caduto, il Signore ama i giusti

1Timòteo          06, 11. Tu, uomo di Dio, evita queste cose; tendi invece alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla carità, alla pazienza, alla mitezza.

Luca                 16, 31. Abramo rispose: “Se non ascoltano Mosè e i profeti, non saranno persuasi se uno risorgesse dai morti”.

 

Il peccato del ricco? Non vedere i bisognosi

Una parabola dura e dolce, con la morte a fare da spartiacque tra due scene: nella prima il ricco e il povero sono contrapposti in un confronto impietoso; nella seconda, si intreccia, sopra il grande abisso, un dialogo mirabile tra il ricco e il padre Abramo. Prima scena: un personaggio avvolto di porpora, uno vestito di piaghe; il ricco banchetta a sazietà e spreca, Lazzaro guarda con occhi tristi e affamati, a gara con i cani, se sotto la tavola è caduta una briciola. Morì il povero e fu portato nel seno di Abramo, morì il ricco e fu sepolto nell’inferno. Una domanda si impone con forza a questo punto: perché il ricco è condannato nell’abisso di fuoco? Di quale peccato si è macchiato?

Gesù non denuncia una mancanza specifica o qualche trasgressione di comandamenti o precetti. Mette in evidenza il nodo di fondo: un modo iniquo di abitare la terra, un modo profondamente ateo, anche se non trasgredisce nessuna legge. Un mondo così, dove uno vive da dio e uno da rifiuto, è quello sognato da Dio? È normale che una creatura sia ridotta in condizioni disumane per sopravvivere? Prima ancora che sui comandamenti, lo sguardo di Gesù si posa su di una realtà profondamente malata, da dove sale uno stridore, un conflitto, un orrore che avvolge tutta la scena. E che ci fa provare vergogna. Di quale peccato si tratta? «Se mi chiudo nel mio io, anche adorno di tutte le virtù, ma non partecipo all’esistenza degli altri, se non sono sensibile e non mi dischiudo agli altri, posso essere privo di peccati eppure vivo in una situazione di peccato» (Giovanni Vannucci).

Doveva scavalcarlo sulla soglia ogni volta che entrava o usciva dalla sua villa, e, impassibile, neppure lo vedeva! Non gli ha fatto del male, no. Semplicemente Lazzaro non c’era, non esisteva, lo ha ridotto a un rifiuto, a nulla. Ora Lazzaro è portato in alto, accolto nel grembo di un Abramo più materno che paterno, che proclama il diritto di tutti i poveri ad essere trattati come figli. Ma “figlio” è chiamato anche il ricco, nonostante l’inferno, anche lui figlio per sempre di un Abramo dalla dolcezza di madre. Padre, una goccia d’acqua sopra l’abisso! Una parola sola per i miei cinque fratelli! E invece no, perché non è la morte che converte, ma la vita.

            Hanno Mosè e i profeti, hanno il grido dei poveri, che sono la voce e la carne di un Dio che si identifica con loro (ciò che avete fatto a uno di questi piccoli, è a me che l’avete fatto). Si tratta allora di prendere, come Gesù, il punto di vista dei poveri, di «scegliere sempre l’umano contro il disumano» (David Turoldo), con quel suo sguardo amoroso e forte davanti al quale ogni legge diventa piccina, perfino quella di Mosè (Rosanna Virgili).

Padre Ermes Ronchi, OSM

www.cercoiltuovolto.it/vangelo-della-domenica/commento-al-vangelo-del-29-settembre-2019-p-ermes-ronchi

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DONNE NELLA CHIESA

Riuscirà la Chiesa a valorizzare le donne e a lasciarsi rigenerare anche da loro?

La condizione di minorità in cui le donne sono state tenute per gran parte della storia — e nella quasi totalità delle culture conosciute — è qualcosa che si fa fatica persino a pensare: come è stato possibile che questa parte così numerosa e importante dell’umano sia stata così pervicacemente svalutata?

            Si deve dunque considerare di primaria importanza il processo che, nella cultura occidentale, si è innestato a partire dal ‘900 mirante al pieno riconoscimento del ruolo della donna.

            Toccando un punto profondo della nostra vita sociale, un tale cambiamento non può che essere lento, incerto e contrastato. Non si dimentichi che persino un diritto così decisivo ma elementare come quello del voto si è diffuso nelle stesse democrazie occidentali solo nel corso del ‘900. Rimane dunque un lavoro molto grande da fare.

E, tuttavia, sarebbe un grave errore non riconoscere che proprio la trasformazione del ruolo della donna e la relazione tra i generi costituisce uno dei trend più importanti del tempo che viviamo. Qualcosa di cui probabilmente facciamo fatica a comprendere la portata e le implicazioni.

            I critici sostengono che tale processo genera confusione, arrivando a mettere in discussione l’idea del maschile e del femminile ereditata dalla tradizione. Aprendo varchi che sembrano precipitarci in un caos dove a prevalere è la volontà di potenza dell’Io che si pensa capace di autodeterminazione assoluta.

            Non che queste preoccupazioni non siano, almeno in parte, condivisibili. E tuttavia, esse non devono impedire di riconoscere l’enorme potenziale che si nasconde nella “questione femminile”.

            La società al maschile, infatti, ha molti meriti, ma anche tante ombre. Ce lo ha insegnato la psicanalisi: l’approccio maschile al mondo — pur capace di generosità straordinarie — tende a esprimersi nella forma del dominio, del possesso, del controllo.

            Così oggi ci è più facile capire che è proprio questo modo di rapportarsi col mondo ciò che sta alla base delle contraddizione e delle distorsioni del nostro modello di sociale: il ricorso alla guerra come metodo per la risoluzione dei conflitti; la distruzione sistematica dell’ambiente; le gravi disuguaglianze e lo sfruttamento diffuso.

            Una direzione che, per di più, rischia oggi di subire una ulteriore pericolosissima torsione, laddove l’ideale del controllo sul mondo si attua sempre più apertamente in dispositivi e sistemi più o meno intelligenti. Col rischio di finire nel vicolo cieco del dominio dell’algoritmo.

            Ci sono segnali che le stesse donne — nel momento in cui cominciano a liberarsi dalla loro soggezione secolare — tendono a conformarsi a questo modello dominante. Attirate dall’ideale di un neutro che nasconde l’ultimo tentativo del maschile di conservare il proprio predominio.

            Se così fosse, le speranze che l’emersione della metà femminile del mondo ancora solleva — associate alle possibilità di portare nel mondo quella novità di cui lo sguardo maschile manca — svanirebbero velocemente.

            Mi riferisco alla capacità dell’universo femminile di essere portatore del codice della “generazione” che è profondamente diverso da quello della “fabbricazione”. Che ha dominato gli ultimi due secoli.

            Al di là degli straordinari risultati ottenuti, l’insistenza unilaterale su tale codice rischia di distruggere il mondo e con esso la vita.

            Il codice della generazione — tipicamente femminile — nasce nell’esperienza originaria della maternità, dove tra l’io e l’altro c’è una relazione costitutiva che, invece di passare attraverso il controllo e il dominio, si fonda sulla cura che punta alla liberazione dell’altro. Un codice che il corpo della donna porta inscritto in sé.

            Non che la generazione non sia esposta al rischio della involuzione. Che emerge tutte le volte in cui la cura — facendosi prendere dal suo delirio di onnipotenza — finisce per soffocare — ancorché in modo dolce — l’altro. Trovando così una via più raffinata per l’affermazione di sé. Una involuzione ben individuata dagli psicoanalisti che definiscono “coccodrillo” le madri che, per eccesso di cura, finiscono per uccidere l’altro che pure amano.

            Ciò nonostante, il codice della generazione è oggi la risorsa più potente per vincere le sfide che abbiamo davanti. E superare così i problemi che la focalizzazione sulla fabbricazione ha col tempo causato.

            Ciò di cui abbiamo davvero bisogno è che la voce di donna — che faticosamente stiamo imparando ad ascoltare — si faccia sentire sempre più forte e chiara, in modo originale, salvando così il mondo dal dominio dello sguardo maschile. È questa la speranza che si intravvede dietro il lento e magmatico movimento messosi in moto un secolo fa. Riusciranno le donne a esprimere questa loro potenzialità? E riuscirà la Chiesa a scorgerne il significato più profondo e ad accompagnarne la lenta ma inarrestabile affermazione?

            Mauro Magatti, sociologo dell’Università cattolica, editorialista del «Corriere della Sera»

    L’Osservatore romano         

www.osservatoreromano.va/it/news/riuscira-la-chiesa-valorizzare-le-donne-e-lasciars

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MIGRANTI

Invasione di migranti? Aumento della criminalità? Bugie dovute al nostro analfabetismo funzionale

Gli immigrati sono il 7% della popolazione, ma per gli italiani sono oltre il 25. Inoltre pensiamo che i clandestini siano più dei regolari, mentre sono meno del 10%. E non c’è nessuna invasione. Davanti a uno specchio deformato, anche la più bella delle principesse si vede imbruttita. I bambini si spaventano se si specchiano alle giostre, nel baraccone degli specchi che ingigantiscono, rimpiccioliscono, deformano.

            L’Italia, nel riflesso che ne hanno gli italiani, è una principessa imbruttita, arrabbiata, timorosa del futuro, sterilmente orfana o nostalgica di passato, anche perché gli specchi non hanno memoria. Colpa degli italiani o degli specchi? Colpa dell’ignoranza diffusa o di un’informazione distorta? Colpa dei social che deformano ancora di più una realtà già approssimativa e deformata dai media? O colpa di entrambi, con il condimento di una classe politica che gli specchi sovente li deforma a proprio effimero vantaggio, anche perché due o tre specchi deformati non fanno uno specchio vero?

            In attesa di cambiare specchi o trovare responsabili, basta dare un’occhiata ad alcuni dati di realtà percepita e di realtà reale o realistica (si perdoni la reiterazione), per scoprire come gli specchi deformati siano diventati un riferimento quotidiano delle nostre emozioni/percezioni e quindi influenzino i nostri comportamenti e sempre più le nostre scelte, comprese quelle politiche. In fondo, anche il successo di Matteo Salvini si può spiegare così: lo specchio deformato diventa il riflesso delle parole in libertà, dei barriti xenofobi e sovranisti, della macchina del consenso.

Prendiamo ad esempio i temi più cari al Capitano spiaggiato: sicurezza e migrazioni. Per la stragrande maggioranza degli italiani (64%) gli omicidi sono aumentati negli ultimi vent’anni, mentre invece sono calati in modo vertiginoso. Dati ufficiali dimostrano inoltre che omicidi di natura mafiosa, rapine e atti di criminalità sono sostanzialmente diminuiti. In Italia nel 2016 si sono registrati la metà degli omicidi che nella sola città di Chicago. La percezione dell’insicurezza è un fenomeno diffuso in tutte le società occidentali e in particolare in Europa con punte di «deformazione» maggiore proprio in Italia, ma tutti i dati dimostrano una fortissima inversione di tendenza negli ultimi decenni, per non parlare rispetto all’ultimo secolo.

            Analoghe considerazioni valgono per i migranti. Gli immigrati sono il 7 % della popolazione, ma per gli italiani sono oltre il 25%. Inoltre gli italiani pensano che i clandestini siano più dei regolari, mentre sono meno del 10%. Lo stesso, tra parentesi, si può considerare per il tema dell’invasione che non c’è: gli sbarchi, anche prima della parentesi salviniana al governo, sono complessivamente diminuiti.

            Un attento studioso della realtà italiana, Nando Pagnoncelli, presidente dell’Ipsos, racconta che per gli italiani la disoccupazione raggiunge punte del 50%, mentre il tasso reale è del 12%. Gli italiani si vedono vecchi e impoveriti, quando il Paese resta comunque fra le prime dieci potenze industriali, oltre ad essere fra i più amati e ammirati al mondo per le sue bellezze, la sua arte, il suo stile di vita, la sua gastronomia, la sua umanità, nonostante i crescenti episodi di intolleranza e razzismo

                Secondo Pagnoncelli una delle cause della distorsione della realtà è il cosiddetto «analfabetismo funzionale». La metà della popolazione adulta ha un livello d’istruzione molto basso, i laureati sono solo il 14% (media di gran lunga inferiore al resto d’Europa), e secondo diversi indicatori un terzo della popolazione non è completamente in grado di valutare testi scritti e raggiungere un livello di conoscenza e informazione tale da potersi formare proprie opinioni.

In questo quadro deformato e deformante, i media e la politica sembrano sguazzare, anziché contribuire a invertire la tendenza. Non si tratta di fare pedagogia, ma almeno di informare in modo corretto, di mettere a confronto fatti e dati, di relazionare i nostri problemi a quelli degli altri. Finiremmo così per scoprire che in Italia in fin dei conti si vive meglio che altrove, nonostante innegabili problemi strutturali, economici, sociali. I media italiani, molto più che i media stranieri, tendono invece ad essere ansiogeni, a dare risalto a fatti di cronaca nera molto più che all’estero, a raccontare la politica quasi sempre con una terminologia che richiama scontri, vendette, sfide all’ultimo sangue e che si rispecchia nella realtà deformata e urlata dei talk show.

Nessuno spera che uno specchio magico ci dica chi è la più bella del reame, ma una più consapevole percezione di noi stessi aiuterebbe a vederci come siamo, ogni mattina, come quando passiamo al trucco o alla rasatura.

Massimo Nava             linkiesta          25 settembre 2015

www.linkiesta.it/it/article/2019/09/25/immigrati-salvini-clandestini-pagnoncelli-sicurezza-migrazioni/43685

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PROSTITUZIONE

Un’immoralità lecita: resa lecita da chi?

Paola Cavallari, redattrice di Esodo, evidenzia come ogni tentativo di “regolamentazione” della prostituzione celi la reale natura di questa pratica: la negazione dell’umanità dell’altro/a, l’abuso della persona fatta oggetto di potere. La prostituzione costituisce la peggiore forma di violenza, che va pertanto combattuta, non normata.

1)      So di affrontare un argomento scabroso. Ma mi sento chiamata a farlo. Elisa Salerno, cattolica trevisana, negli anni cinquanta del secolo scorso, iniziò, parallelamente a Lina Merlin, una dura battaglia sacrosanta in nome del riscatto delle donne prostituite

a)       Attualmente i partiti al governo si collocano – pur su posizioni diverse – su orientamenti distanti, o addirittura “contro” lo spirito di quella battaglia. E all’opposizione non va meglio. Sta sempre più acquistando consenso il totem della regolamentazione del/la sex-worker.

b)       Di prostituzione si preferisce non parlare e, se se ne parla, il pudore interviene a frenare. Simone de Beauvoir così scriveva sull’argomento, già molti anni orsono: «“Occorrono le fogne per garantire la salubrità del palazzo”, dicevano i padri della Chiesa. E Mandeville, in un’opera che faceva rumore: “È chiaro che vi è necessità di sacrificare una parte delle donne per salvare l’altra, e prevenire sconcezze di natura disgustosa”. Così l’esistenza di una casta di “donne perdute” permette di trattare le “donne oneste” con maggiori riguardi. La prostituita è un capro espiatorio; l’uomo si scarica su di lei della propria turpitudine, quindi la rinnega. La prostituta è considerata una paria, sia che uno statuto legale la ponga sotto la tutela della polizia, sia che ella lavori clandestinamente». E perché S. de Beauvoir mette in campo i Padri della Chiesa? Cosa scrissero? Tra di essi il capostipite in materia è Agostino: «Tuttavia, eliminate le prostitute dalle cose del mondo e contaminerete tutto con la lussuria; ponetele fra le matrone oneste e disonorerete tutto con la vergogna e la turpitudine»

c)       Tra i teologi medievali il più famoso a riguardo è Tommaso: «… La prostituzione nel mondo [è] come la melma o la cloaca in un palazzo. Togliete la cloaca e riempirete il palazzo di inquinamenti. Togliete le prostitute dal mondo e lo riempirete di sodomia… perciò Agostino dice che la città terrena ha fatto dell’uso di prostitute un’immoralità lecita»

d)      Un’immoralità lecita: resa lecita da chi? È strano come ci siamo assuefatti a questa polarità così netta tra le due categorie di donne. Secondo la logica dei due teologi, esse avrebbero tra loro un legame di interdipendenza: le une sussisterebbero a salvaguardia delle altre, come le fogne servono al mantenimento dell’igiene. Non esiste affatto un corrispettivo maschile. Esistono uomini onesti e uomini disonesti (con mille sfumature intermedie, naturalmente) ma le due categorie non si implicano: i disonesti non servono a far sì che gli onesti vengano preservati nella loro virtù, anzi semmai potrebbero contaminali per mimesi. In questa asimmetria si annida un punto cruciale. La prostituzione sarebbe quella zona franca – sul bordo tra ciò che è legittimo e ciò che è vietato, in cui si soddisfa quel bisogno maschile, sessuale ed emotivo insieme, di una padronanza indiscussa (si parla di erotizzazione del dominio) sull’altra/o; la disumanizzazione del/la partner, la sua umiliazione ne è costitutiva. Come nel quadro dipinto da Dorian Gray, sulle donne perdute si scarica la propria turpitudine – per usare il lessico di De Beauvoir – rinnegata nel mondo delle relazioni con le donne oneste. Ecco la torsione paradossale di un’immoralità cui è riconosciuta come lecita la sua ombra, da parte di chi poteva – e può – padroneggiare incontrastato l’economia dei beni simbolici, per usare la terminologia di Pierre Bourdieu nel suo Il dominio maschile. Nella Chiesa cattolica le dottrine a riguardo dei piaceri postribolari seguirono l’assunto dei due maestri citati. Ma ora, il Catechismo C. C. ha rimosso ancor di più; al n. 2355 recita: «La prostituzione offende la dignità della persona che si prostituisce, ridotta al piacere venereo che procura. Colui che paga pecca gravemente contro se stesso: viola la castità, alla quale lo impegna il Battesimo e macchia il suo corpo, tempio dello Spirito Santo». Nulla da eccepire sul fatto che “chi paga” (“cliente”? È alquanto significativo che nella lingua italiana non esista un lemma specifico), ovvero il compratore del corpo altrui – tempio dello Spirito anche questo – degradi se stesso e offenda il proprio. Ma è intollerabile come si sia incentrato tutto solo sul “chi paga”, senza una parola per “colei che è pagata”, che non esiste; ma serve – lo riconosceva Agostino – come capro espiatorio, come si è detto: una figura che Gesù di Nazaret aveva redento. Così come, nel nostro ordinamento giuridico, la violenza carnale era, fino al 1996, un reato pubblico contro la morale e non contro la persona, il compratore del corpo altrui peccherebbe, secondo la dottrina, contro la castità e non contro la donna che disumanizza, e di cui usa e abusa e sfrutta e violenta e umilia l‘anima e il corpo.

2. Quella esposta è la principale linea interpretativa, su cui si assestava sia la dottrina religiosa sia la morale, egemone fino a non molto tempo fa. Poi, dal firmamento del neoliberismo, è spuntata la figura del/della sex-worker, ap parsa alla fine degli anni settanta. Da allora, con l’apparire della parola stessa, circonfusa dall’aura magnetica della trasgressione, la falsificazione si   è raffinata. Come tutti i neologismi coniati per confondere ed edulcorare, il termine nasconde molto più che mostrare. Con il suo esordio, il mondo della prostituzione reclama, anzi rivendica, la propria legittimità sotto la luce del sole. Ma non è l’ultimo passaggio di questa dialettica storica. Altre voci alternative emergono dal silenzio, e la coscienza che smaschera la pantomima patriarcale si fa strada, anche tra gli uomini. «Nella stragrande maggioranza, a essere clienti della prostituzione siamo noi uomini». È l’incipit di una lettera pubblicata sul Journal du Dimanche nel gennaio di quest’anno. Eccone altri frammenti: «Forse i nostri impulsi apparentemente irrefrenabili o la nostra semplice natura umana ci possono autorizzare a fare di una persona – il più delle volte una donna – un oggetto di compravendita, senza tenere in alcuna considerazione lei e il suo desiderio? … è un arcaico privilegio quello che ci permette di costringere una donna a compiere un atto sessuale per denaro… L’acquisto, da parte di noi uomini, di un corpo, per lo più quello di donne in situazione di precarietà o di vulnerabilità, spesso vittime di sfruttatori o trafficanti, fa di noi dei predatori sessuali…». L’avvento delle crepe che percorrono il massiccio monolite culturale della mercificazione del sesso sta annunciandosi: il convincimento che il mestiere più antico del mondo sia un dato inscalfibile si sta incrinando. Di più. In alcuni stati, tra cui la stessa Francia, si approvano leggi dove il principio-guida è la penalizzazione del cliente. E le valutazioni sociologiche constatano una diminuzione del fenomeno, mentre è in aumento nei paesi dove sono state adottate legislazioni atte a “regolamentare”. Con perentorietà, da molte parti – sia alcune correnti del femminismo, che gruppi di autocoscienza maschili – si mette radicalmente in discussione il pensiero liberal-progressista che “normalizza” la crudeltà dell’abuso sessuale, mascherato da rapporto regolato da consenso. Per esso, il commercio (venale) delle prestazioni sessuali non sarebbe un’attività umana abietta, spregevole, offensiva. Lavorare nella prostituzione sarebbe un’occupazione come un’altra, una svolta nei costumi da salutare come emancipazione dal moralismo oscurantista – religioso o meno – nell’orizzonte della liberazione dai pregiudizi sessuofobi che hanno mortificato il godimento. Nella agguerrita retorica di questo mondo si fa uso anche della categoria dei diritti umani. Tutti avrebbero il diritto di accedere all’orgasmo (un tutti declinato al maschile – si badi bene – come hanno fatto notare disabili donne), per cui vietare la possibilità del commercio del sesso sarebbe un ingiustificato opporsi alla dignità umana. (Fra l’altro, da quando i diritti umani hanno a che fare con scambi in denaro?) Tra i sex-worker non rientrano solo le prostituite, ma anche tutto il mondo che ruota attorno a loro: tenutari/e di bordelli, di centri massaggi, locali streap-tease, agenzie escort, protettori, produttori di video porno, etc, che si rivestono così dell’aura di lavoratori di tutto rispetto. Lo sono diventati nei paesi dove la prostituzione è stata regolamentata: dove all’ufficio di collocamento una disoccupata può essere convocata per un posto resosi libero (è avvenuto in Germania). La nuova semantica pornografica che ruota attorno alla/al sex-worker consente di mascherare una realtà per nulla glamour e patinata come viene raffigurata, ingenerando un’ingannevole confusione tra sfruttate (e il fatto che accettino non le rende meno sfruttate) e sfruttatori: la mistificazione svantaggia le prime, come sempre. «Nel tentativo di restituire

dignità alle persone prostituite, si dà dignità alla prostituzione, chiamandola lavoro e cancellando la violenza»: Rachel Moran  compendia  lucidamente con questa sintetica espressione il cuore della mistificazione. Aggiungo che la sponsorizzazione di questa linea vede, tra le sue fila, associazioni economicamente molto potenti, come documenta il libro Pretty woman. Nel femminismo non c’è una posizione concorde. I toni sono spesso aspri. E le protagoniste? Divise anch’esse, ma i pronunciamenti di quella parte di donne irretite nella tratta/prostituzione che esprimono favore per la regolamentazione sono sospetti ai miei occhi. “Tanto più dura è l’oppressione, tanto più si vuole collaborare col potere”, scrive Primo Levi, nei Sommersi e salvati. Di tale “denegazione”, le donne uscite dalla prostituzione – o sopravvissute, come si autodefiniscono – danno conto in modo convincente.

3. «Qualche giorno dopo si ritrovò seminuda in strada ad adescare clienti. Quel lavoro le dava il vomito, la distruggeva emotivamente, ma tutto accadeva in modo così rapido che non aveva nemmeno il tempo di capire quanto fosse tremendo ciò che le stava capitando. Sentiva solo un profondo, violento, continuo disgusto per quello che la circondava. E anche per se stessa. A volte si illudeva che le bastasse non pensarci, tornare a casa e allattare Benedict. Ma il trucco funzionava solo per i pochi minuti di intimità tra lei e il bambino. Poi il disgusto tornava a sopraffarla. I mesi passavano veloci, e presto Carla imparò a vivere anche lei come un automa, come le ragazze che aveva osservato nella casa di Alicante. Lei non poteva saperlo, ma il suo sguardo era diventato identico al loro, distante, disinteressato, perennemente venato di disgusto… Si era scissa: la sua mente e il suo cuore vivevano costantemente nel passato e nel futuro, tra i ricordi e le speranze». È un frammento di testimonianza della storia di una donna vittima della tratta, trascritta da Pietro Bartolo. Mi preme mettere in luce un aspetto che emerge nella narrazione, quello della scissione, una drammatica spaccatura interiore, unica via di fuga – mentale – per resistere alle vessazioni. Nelle parole delle esperienze delle prostituite, il rifiuto del reale chiederà, con il passare del tempo, l’additivo ulteriore di sostanze tossiche, consegnandosi, sempre più inermi, a grandi passi verso l’abisso. Fino a un anno fa circa ero completamente ignara dell’inferno costituito dall’universo del commercio del sesso. Come tante/i avevo introiettato il convincimento che quella realtà non mi riguardava. Il mio e il loro erano due mondi in parallelo che non si incontravano mai. Gli uomini che andavano a “donne” mi disgustavano e basta. Ma un incontro è avvenuto, e il velo si è sollevato. Mi ha aperto gli occhi un libro. Platone dice che la Verità risplende nella sua evidenza. Nel racconto che Rachel Moran fa della sua vita nella prostituzione – da quando aveva 15 anni fino ai 22 – la verità atroce di quel risplende nella sua crudeltà, irriducibile a ogni costruzione ideologica che la smentisca. È un racconto il suo che, retrospettivamente, attraversa gli anni dell’infanzia – un’infanzia difficile – e si snoda in quei sette anni disperati, in un esercizio di memoria doloroso e insieme purificatore. Rompere con quel mondo sembrava impossibile, perché era un congedarsi contemporaneamente dalle sostanze da cui era divenuta dipendente, a cui era ricorsa per sopportare quell’abiezione. Per troncare con quel mondo occorreva riattraversare quei paesaggi, riviverli, ma in una luce più straziante di allora, perché il muro che la scissione aveva innalzato ora dissolveva: «“Perché non sono stata rispettata?”. Questa ovvietà va dritta al cuore della prostituzione: quando ti rendi disponibile a subire un abuso risulta allora più difficile riconoscere il tuo molestatore per quello che è, e l’abuso che stai subendo come abuso in quanto tale». Per troncare con quel mondo occorreva riannodare le ragioni antiche, altrettanto strazianti, per cui ella era entrata in quell’ambiente: la miseria di un’infanzia e adolescenza che aveva sopra di sé un soffocante cielo cupo. La testimonianza di Rachel Moran contiene la stoffa di chi ha saputo con grande coraggio sprofondare nel proprio abisso e ne è riemersa: e la pietra d’inciampo è di nuovo divenuta testata d’angolo.

Paola Cavallari           Esodo   28 settembre 2019         

 www.teologhe.org/wp-content/uploads/2019/09/Cavallari.pdf

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UNIONE CONSULTORI ITALIANI PREMATRIMONIALE E MATRIMONIALI
Comunicato stampa Congresso nazionale a Termoli 1-3 novembre 2019

L’Ucipem, unione consultori italiani prematrimoniali e matrimoniali, in collaborazione con il consultorio familiare “Anatolè” di Frosinone e il Centro di aiuto alla famiglia “Amoris Lætitia” di Termoli, presenta il suo XXVI Congresso Nazionale dal titolo “Child Abuse: prevenzione e cura delle relazioni familiari – ruolo e potenzialità del Consultorio familiare”. Quest’anno, l’UCIPEM, con il Patrocinio del Servizio Nazionale per la Tutela dei Minori della Conferenza Episcopale Italiana, della Diocesi di Termoli-Larino, della Diocesi di Frosinone-Veroli-Ferentino, il Centre for Child Protection della Pontificia Università Gregoriana, il Cismai (Coordinamento Italiano dei Servizi contro il maltrattamento e l’abuso all’infanzia), il Forum delle Associazioni Familiari e l’A.I.C.C.E.F (Associazione Italiana Consulenti coniugali e familiari), propone un tema di grande attualità quale l’abuso sessuale sui minori e come il consultorio familiare possa essere di sostegno in questi momenti. 

Il convegno, introdotto dal Presidente Ucipem, dott. Francesco Lanatà si articolerà in quattro sessioni che vedrà alternarsi come moderatori la dott.ssa Chiara Camber, il dott. Giancarlo Odini e l’avv. Luisa Solero, il Dott. Luca Proli i quali guideranno per ogni sessione anche il confronto previsto con la platea attraverso i Panel. 

            Oltre alle sessioni completeranno l’evento una serata con il cineforum a tema e la testimonianza di un giovane che racconterà la propria storia, aiutando i convegnisti a comprendere il dramma di una simile esperienza ma anche a conoscere le opportunità di superamento del problema che, ad esempio, un Consultorio Familiare può offrire a colui che è sopravvissuto ad un abuso sessuale subito quando era un bambino. La presenza di relatori di fama internazionale quali la Prof.ssa Christiane Sanderson ed altri di livello nazionale come la Prof.ssa Marinella Malacrea, Il Prof. Ermanno D’Onofrio, Il Prof. Franco Lolli, L’avv. Francesco Gatto, Il Dott. Luca Proli, La Dott.ssa Elisa Severi, e quella dei Vescovi Mons. Emidio Cipollone e Mons. Lorenzo Ghizzoni, Presidente del Servizio Nazionale CEI per la tutela dei minori e degli adulti vulnerabili nella Chiesa, darà ancora più prestigio all’evento e tante indicazioni utili non solo agli addetti ai lavori ma per tutti coloro che vorranno intervenire.

            L’appuntamento è dal 1 al 3 novembre 2019 a Termoli (CB) presso l’Hotel Meridiano.

Il programma e tutte le informazioni dettagliate possono essere reperite nei siti web: www.ucipem.com           www.consultorioanatole.it        www.centroaiutoallafamiglia.it

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Il responsabile è il dr Giancarlo Marcone, via Alessandro Favero 3-10015-Ivrea (TO)                       newsucipem@gmail.com

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