UCIPEM Unione Consultori Italiani Prematrimoniali e Matrimoniali
NewsUCIPEM n. 770 – 8 settembre 2019
Unione Consultori Italiani Prematrimoniali E Matrimoniali
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02 ADOZIONE La ricerca delle origini? Occhio all’influenza di tv e social network
02 ADOZIONE INTERNAZIONALE La piaga dei decreti vincolati: spesso inutilizzabili all’estero
04 Decreti vincolati: una piaga che si scontra con la fame di famiglia
04 La legge… a modo loro
05 AFFIDI L’Europa condanna l’Italia per la pratica del sine die
05 Conte 2. Griffini: Dal programma scomparsa la riforma dell’affido
06 AFFIDO CONDIVISO Trasferimento ex coniuge e affidamento figli: ultime sentenze
07 ASSEGNO MANTENIMENTO FIGLI Figli maggiorenni: i criteri per il permanere dell’obbligo
08 ASSOCIAZIONI-MOVIMENTI Convegno Genitorialità Multiculturale in contesti di protezione
08 Accompagnamento nel discernimento di una nuova unione
08 Retrouvaille: un aiuto alla coppia in crisi
09 CENTRO INTERN. STUDI FAMIGLIA Newsletter CISF – N. 32, 4 settembre 2019
11 CHIESA CATTOLICA Tre professori e l’integralismo “meschino” (AL 304)
12 CITAZIONI Giustizia e misericordia nelle parole di Gesù sul matrimonio
22 CONSULTORI FAMILIARI CATTOLICI Alberobello. Seminario consulenza familiare a indirizzo pastorale
23 CONSULTORI UCIPEM Mantova. Ciclo di incontri per genitori di adolescenti
24 DALLA NAVATA XXIII Domenica del tempo ordinario – Anno C – 8 settembre 2019
24 Rinunciare a ciò che ci impedisce di volare.
25 ENTI TERZO SETTORE Dati sensibili trattati da associazioni, terzo settore, scuole…
26 FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI Avanti con la famiglia, il governo pensi all’assegno unico per figlio
27 GENITORIALITÀ Genitori separati e religione figli
28 Pma coppia gay: no all’indicazione di genitore 1 e genitore 2
29 GOVERNO Caro ministro della Famiglia, cominci dall’assegno unico
30 Elena Bonetti, ministra per la Famiglia. Già sotto l’attacco di Pillon
30 OMOFILIA Andrea Ganna: omosessualità ben oltre la genetica
32 Pietro Pietrini: Omosessualità, i geni possono predisporre
33 Faggioni: Omosessualità, la morale non può ignorare la scienza
35 PASTORALE Discernimento per le coppie che vivono una nuova unione
35 Nota sulle nuove unioni, dopo l’Amoris Lætitia. Tornare in comunità
36 UCIPEM Congresso su prevenzione e cura dell’abuso sessuale su minori
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ADOZIONE
La ricerca delle origini? Occhio all’influenza di televisione e social network.
Il parere del direttore del Centro Internazionale Studi Famiglia, Francesco Belletti, intervenuto recentemente a un seminario sul tema organizzato da Ai.Bi.
I figli adottivi? Non vanno lasciati soli nel percorso di ricerca delle origini e molta attenzione va prestata ai social network e alla televisione, che diffondono modelli sbagliati. Lo sostiene, in un’intervista, il direttore del CISF – Centro Internazionale Studi Famiglia, Francesco Belletti. “L’esperienza e gli studi – ha spiegato Belletti – dimostrano che la ricerca delle origini rappresenta un tema centrale dell’esperienza adottiva. Andare alla ricerca delle origini è un bisogno generalizzato”. Tuttavia, “non ci sono regole uguali per tutti i casi: di certo essendo un percorso molto delicato genitori e figli adottivi non devono essere lasciati soli. Devono essere accompagnati per mano dai servizi sociali o dagli Enti ai quali si sono rivolti tempo prima per l’adozione”.
Un recente studio di Belletti, basato su interviste condotte su un campione di ragazzi adottati, è stato presentato in occasione del seminario organizzato il 28 agosto a Casino di Terra (Pisa) da Ai.Bi. – Amici dei Bambini, in corrispondenza della XXVIII settimana di incontro e formazione per le famiglie adottive e affidatarie.
“Il fatto che oggi se ne parli di più – ha spiegato ancora il direttore del CISF – e con maggiore tranquillità è indice dei tempi: non è più un tabù l’essere stato adottato e si è presa la consapevolezza che, qualora ciò si verificasse, è del tutto normale capire da dove si viene. È un passo che tutti gli adottati affrontano”. Ma, spiega ancora, “c’è anche chi non cerca mai, perché non vuol rivivere né incontrarsi con il proprio passato”
Un impulso alla ricerca delle origini è stato dato dai cambiamenti introdotti con la legge 149 del 28 marzo 2001, che ha introdotto l’obbligo, da parte dei genitori adottivi, di informare il figlio sulla sua condizione di adottato oltre alla possibilità, da parte del figlio stesso, di chiedere l’accesso al proprio fascicolo al compimento del 25esimo anno di età. www.camera.it/parlam/leggi/01149l.htm
Grande rilevanza la ricopre anche la sentenza della Corte Costituzionale 278/2013, sulla necessità di trovare un maggior equilibrio tra il diritto dei genitori biologici a veder garantito il proprio anonimato e quello dell’adottato a conoscere la loro identità.
www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2013&numero=278
Comunque, secondo l’Istituto degli Innocenti di Firenze, nel triennio 2014-2017 le richieste di accesso alle proprie origini presentate ai Tribunali per i Minorenni hanno subito un’impennata di quasi il 40% rispetto al periodo 2011-2014.
Tuttavia grande attenzione va prestata al mondo dei social, sempre più diffusi e utilizzati da praticamente tutti gli adolescenti e alla televisione. “Capita sempre più spesso – ha detto ancora Belletti – di vedere in televisione persone che cercano figli o genitori o fratelli biologici. Ma bisogna fare attenzione perché la ricerca non è un reality, è molto più difficile, e non sempre si trova quello per cui si è partiti. È una ricerca importante per ricomporre la ‘wholeness’[integrità], l’intero, che per una persona adottata è una questione vitale che richiede privacy, quindi niente TV, a meno che non se ne voglia fare spettacolo”.
AiBinews 4 settembre 2019
www.aibi.it/ita/adozione-internazionale-la-ricerca-delle-origini-occhio-allinfluenza-di-televisione-e-social-network-e-le-famiglie-non-devono-essere-lasciate-sole
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ADOZIONE INTERNAZIONALE
La piaga dei decreti vincolati: spesso inutilizzabili all’estero e un’ingiustizia verso i bambini
La Cassazione: i desideri degli adottandi non possono confliggere con l’interesse superiore del minore. Occorre prevenire opzioni di impronta discriminatoria
Quando arriva un decreto di idoneità all’adozione internazionale dovrebbe essere sempre un momento di gioia. Purtroppo, però, come riportano anche gli operatori delle varie sedi italiane di Ai.Bi. – Amici dei Bambini, accade che le coppie si presentino con decreti sui quali si pone un’età massima del minore adottabile o, addirittura, dei limiti per i problemi di salute. Si pensi, per esempio, a un decreto del Tribunale di Taranto del 2016, che riconosce l’idoneità della coppia all’adozione “di uno o due minori di nazionalità straniera, che presentino le caratteristiche risultanti dalla motivazione, rispetto al quale intercorra un differenza di età compresa entro i limiti di legge”, adducendo quale motivazione che “i richiedenti, consapevoli del percorso adottivo mediante l’esperienza di una parente, hanno dichiarato la loro disponibilità ad adottare uno o due minori, se fratelli o sorelle, di età non superiore ai sette anni, senza preferenze di sesso ed etnia, purché sani senza disabilità o patologia alcuna, neppure lieve; non sono disponibili ad un affido o a un’adozione a rischio giuridico, per timore di legarsi troppo“…
Chiaramente, quindi, quella dei decreti vincolati è una prassi ingiusta che toglie ulteriori possibilità ai bambini più grandicelli o con “special needs”, i quali hanno già per definizione difficoltà a incontrare una famiglia che li accolga.
Eppure si tratta di bambini che sotto il profilo dell’età, in base alla legge ordinaria, avrebbero diritto di potere essere accolti da famiglie con l’età dei richiedenti e che, sotto il profilo delle condizioni soggettive in ogni caso, manco a dirlo, costituiscono una percentuale veramente importante dei bimbi adottati dall’estero ogni anno.
Ma come funziona la pratica dei vincoli? Alcuni Tribunali per i minorenni italiani da anni emettono decreti nei quali viene introdotta a priori (cioè prima che vi sia un concreto abbinamento, che per l’adozione internazionale viene fatto all’estero, dalle autorità dei paesi di origine), una limitazione relativa, ad esempio, all’età del minore che la coppia può accogliere: si tratta di limiti più stretti rispetto a quelli previsti per legge. Oltre ai limiti sull’età ve ne sono, in alcuni casi, anche sulle condizioni di salute.
Si tratta, purtroppo e peraltro, di decreti che, come spiegato sotto, sono o possono essere in molti casi inutilizzabili all’estero e che comunque comportano difficoltà operative. Il quadro normativo, al proposito, fa riferimento alla legge 184 del 28 marzo 1983, che stabilisce i requisiti e il procedimento in base al quale le coppie aspiranti all’adozione devono procedere. www.camera.it/parlam/leggi/01149l.htm
Tra i requisiti stabiliti per tutti gli adottanti (anche attraverso Adozione nazionale) dall’articolo 6 è incluso quello secondo cui “l’età degli adottanti deve superare di almeno diciotto e di non più di quarantacinque anni l’età dell’adottando” (comma 3).
Inoltre “i limiti di cui al comma 3 possono essere derogati, qualora il tribunale per i minorenni accerti che dalla mancata adozione derivi un danno grave e non altrimenti evitabile per il minore” (comma 5) e “non è preclusa l’adozione quando il limite massimo di età degli adottanti sia superato da uno solo di essi in misura non superiore a dieci anni, ovvero quando essi siano genitori di figli naturali o adottivi dei quali almeno uno sia in età minore, ovvero quando l’adozione riguardi un fratello o una sorella del minore già dagli stessi adottato” (comma 6).
Si segnala infine che l’art. 1 comma 5 della medesima legge stabilisce: “Il diritto del minore a vivere, crescere ed essere educato nell’ambito di una famiglia è assicurato senza distinzione di sesso, di etnia, di età, di lingua, di religione e nel rispetto della identità culturale del minore e comunque non in contrasto con i principi fondamentali dell’ordinamento”.
Dove nascono allora i decreti vincolati? Essi sono probabilmente il frutto di una interpretazione errata dell’articolo 30 comma 2 della già citata legge 184 del 1983 secondo cui: “Il decreto di idoneità ad adottare (…) contiene anche indicazioni per favorire il migliore incontro tra gli aspiranti all’adozione ed il minore da adottare”.
La Cassazione, tuttavia, si è già espressa (sentenza a Sezioni Unite numero 13332 del 1 giugno 2010)
http://unipd-centrodirittiumani.it/public/docs/2010_13332.pdf
su quali siano i principi che debbano prevalere, spiegando che “l’adozione di minori stranieri ha luogo conformemente ai principi e secondo le direttive della Convenzione di L’Aja, ispirata ad alcuni canoni fondamentali, primo tra i quali quello (…) attinente alla realizzazione della cooperazione tra Stati affinchè le procedure per l’adozione internazionale siano attuate nell’interesse superiore del minore e nel rispetto dei diritti fondamentali che gli sono riconosciuti nel diritto internazionale”, con “sovraordinazione di tale interesse rispetto a tutti quelli astrattamente confliggenti con esso, ivi compresi quelli fondati sui desideri degli adottanti, recessivi rispetto al primo”.
A tal fine, spiega ancora la Cassazione, “esigenza di un percorso di formazione dei nuclei familiari che intraprendono una procedura di adozione internazionale, nel quale un ruolo fondamentale dovrebbe spettare ai servizi sociali ed agli enti (…) che, guidando la coppia verso una più profonda consapevolezza del carattere solidaristico, e non egoistico, della scelta dell’adozione, possa prevenire opzioni di impronta discriminatoria”.
Una formazione sempre più necessaria, per le coppie, per capire realmente quale sia la realtà dell’adozione dei minori stranieri. Una realtà ben diversa dal persistente avallo dei loro “desideri”.
AiBinews 3 settembre 2019
www.aibi.it/ita/adozione-internazionale-la-piaga-dei-decreti-vincolati-spesso-inutilizzabili-allestero-e-uningiustizia-verso-i-bambini/
Decreti vincolati: una piaga che si scontra con la fame di famiglia dei minori abbandonati
In base ai decreti vincolati all’età del minore da adottare rilasciati continuamente dai Tribunali per i minorenni italiani, almeno il 50% delle coppie si troverebbe in possesso di un’idoneità all’adozione internazionale che sarebbe, fondamentalmente, inutile.
Un’esagerazione? Non troppo in realtà, se si considerano gli ultimi dati in materia.
Secondo i più recenti dati rilasciati dalla CAI – Commissione Adozioni Internazionali, nel 2018, a fronte delle 1.130 coppie adottive e dei 1.394 i minori stranieri per i quali è stata rilasciata l’autorizzazione all’ingresso in Italia, al momento dello stesso, l’età media dei minori varia dai cinque ai nove anni.
Un grande cambiamento rispetto, per esempio, al 2000, anno in cui CAI ha iniziato la sua attività, quando l’età media dei minori variava da uno a quattro anni. Il medesimo trend è peraltro riscontrabile anche all’estero.
Per capire quanto dannosi siano questi decreti considerati i dati sopra esposti, e quanto ancora sia purtroppo diffusa questa pratica basterà prenderne ad esempio alcuni. “I coniugi sopra nominati sono idonei all’adozione di un minore di nazionalità straniera, di età compresa tra i tre e i cinque anni, rispetto al quale intercorra una differenza di età compresa nei limiti di legge”, dice infatti un decreto rilasciato dal Tribunale di Trieste nel novembre 2018.
“Il collegio osserva la disponibilità della coppia all’accoglienza fino a due minori di età compresa tra 0 e 6 anni, senza distinzioni di colore della pelle, etnia e religione”, è scritto invece nelle motivazioni a supporto di un decreto del Tribunale per i Minorenni di Catania del gennaio 2015.
“Uno o due minori purché fratelli di nazionalità straniera di età non superiore agli anni sei fermi restando comunque i limiti di età imposti dall’art. 6 L. 184/1983”, sentenzia invece un decreto del Tribunale per i Minorenni di Venezia del settembre 2017, dinanzi ad aspiranti genitori di 55 e 50 anni.
“Un minore di nazionalità straniera e comunque di età non superiore agli anni quattro, al momento dell’abbinamento, fermi restando comunque i limiti di età imposti dall’art. 6 L. 184/28 marzo 1983”, dice ancora un decreto del Tribunale veneziano, del dicembre 2017.
Questa volta gli aspiranti genitori sono entrambi di 38 anni. Di “uno o due minori, di nazionalità straniera, nato/i in data successiva al febbraio 2010”, parla invece un decreto del Tribunale di Roma di febbraio 2017.
“Appare evidente – spiega il presidente di Ai.Bi. – Amici dei Bambini, ente autorizzato all’adozione internazionale, Marco Griffini – come questi vincoli sull’età non rispecchino assolutamente le esigenze che provengono dalla ‘domanda’ di famiglia da parte dei minori in stato di adottabilità, che devono sempre essere prevalenti. Ecco perché sarebbe utile che questa pratica vergognosa, una vera e propria piaga, fosse abbandonata. Anche la Cassazione, del resto ha spiegato con sufficiente evidenza come le coppie debbano essere guidate e accompagnate verso la consapevolezza del carattere solidaristico, e non egoistico, della scelta dell’adozione, prevenendo così queste sgradevoli opzioni di carattere discriminatorio”.
AiBinews 4 settembre 2019
www.aibi.it/ita/adozione-internazionale-decreti-vincolati-una-piaga-che-si-scontra-con-la-fame-di-famiglia-dei-minori-abbandonati
La legge… a modo loro
Coppia invitata a rinunciare, poi riceve il decreto di idoneità. Ma varrà all’estero?
L’ingerenza dei servizi sociali? Non riguarda, evidentemente, solo l’istituto dell’affido familiare, come molti lamentano. Anche nel campo della adozione internazionale, infatti, vi sono a volte casi in cui i servizi sembrano interpretare le norme un po’… a modo loro.
Questo almeno è quanto accaduto a un’operatrice di Ai.Bi. – Amici dei Bambini, che ha segnalato un fatto accaduto recentemente all’incontro con una coppia di aspiranti genitori.
“Incontro la coppia – ha spiegato l’operatrice – la quale mi ha presentato la sua situazione un po’ particolare: durante l’ultimo colloquio i servizi sociali gli hanno fatto firmare un modulo per la rinuncia all’internazionale poiché, a loro avviso, non erano in grado di gestire i bambini multiproblematici provenienti dall’estero. La coppia ha firmato, a malincuore, e il modulo è stato inserito nel plico, con la relazione, e che è stato inviato in tribunale”.
Peccato che “dopo qualche tempo però hanno ricevuto il decreto d’idoneità per l’adozione internazionale… Il problema è che nelle conclusioni della relazione c’era scritto che la coppia rinunciava all’adozione internazionale… è da verificare se questa postilla possa creare dei problemi con le autorità straniere, invalidando di fatto il decreto”. È proprio il caso di dirlo: uno strano, stranissimo episodio
AiBinews 8 settembre 2019.
www.aibi.it/ita/adozione-internazionale-quando-i-servizi-interpretano-la-legge-a-modo-loro
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AFFIDI
L’Europa condanna l’Italia per la pratica del sine die
“Da anni sosteniamo che l’affido famigliare di minori in difficoltà debba essere una misura assolutamente temporanea, come prevedono le leggi, che indicano un periodo massimo di due anni, prorogabili solo di altri due. Oggi l’Europa ci ha dato ragione”. Il commento è del presidente di Ai.Bi. – Amici dei Bambini, Marco Griffini, a proposito della sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo del 18 luglio 2019 (causa R.V. e altri contro Repubblica Italiana) che condanna l’Italia per la pratica dell’affido sine die.
www.giustizia.it/giustizia/it/mg_1_20_1.page;jsessionid=8q79VlgguSVzslXWjvS0DLIw?contentId=SDU207466&previsiousPage=mg_1_20
Quello dell’affido, dopo i fatti di Bibbiano, è dunque un istituto che non trova pace nelle cronache. All’origine della sentenza il ricorso 37748 del 2013, proposto contro la Repubblica Italiana ai sensi dell’articolo 34 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali da una cittadina italo-francese e due cittadini italiani, i quali hanno sostenuto che i provvedimenti che avevano disposto l’affidamento di minori a un’Amministrazione comunale, nonché l’attuazione di tali provvedimenti avessero violato il loro diritto fondamentale al rispetto della vita privata e familiare (art. 8); nello specifico si trattava di due minorenni entrati nel sistema dell’affidamento familiare, prima consensuale e poi giudiziale, protrattosi per 10 anni.
La Corte ha evidenziato che “nelle cause concernenti il rapporto di un genitore con il figlio, vi è il dovere di agire rapidamente e di esercitare un’eccezionale diligenza, in considerazione del rischio che il decorso del tempo possa comportare una determinazione della causa de facto” e ha quindi ribadito che “l’affidamento di un minore deve essere considerato una misura temporanea che deve cessare appena le circostanze lo permettono, e qualsiasi misura di attuazione dell’affidamento provvisorio dovrebbe essere compatibile con il fine fondamentale del ricongiungimento del genitore naturale con il figlio“.
“La legge è molto precisa – prosegue Griffini – ma, come abbiamo visto a Bibbiano, ciascuno fa quello che vuole. Il problema è che nel nostro sistema manca il momento del controllo sia sull’operato dei servizi che della magistratura, per cui è facile cadere in situazioni di abuso di potere. Ecco perché riproponiamo con forza al nuovo Governo, la nostra proposta dell’avvocato del minore, una figura terza che fin dall’inizio dell’intervento istituzionale abbia pieni poteri per la tutela del minore. Deve prendere visione della relazione, può nominare anche suo perito se non è convinto delle conclusioni. E poi si confronta con il giudice per mettere a punto un progetto di affido, nel caso venga confermato l’allontanamento dalla famiglia”.
“In questo specifico caso – conclude il presidente di Amici dei Bambini – la CEDU esprime poi preoccupazione per un sistema che il Governo loda per la sua flessibilità ma che rende anche possibile l’affidamento allo Stato sulla base di una legislazione che prevede che i ‘provvedimenti temporanei’ che possono essere adottati in una situazione di ‘urgente necessità’ siano protratti a tempo indeterminato, senza fissare un termine di durata o di riesame giudiziario degli stessi, con ampie deleghe da parte dei Tribunali ai Servizi sociali, e in definitiva senza che siano determinati i diritti genitoriali
AiBinews 6 settembre 2019
www.aibi.it/ita/affido-la-cedu-condanna-litalia-per-la-pratica-del-sine-die
Conte 2. Griffini: “Dal programma scomparsa la riforma dell’affido. Bibbiano già dimenticato?”
Il presidente di Amici dei Bambini: “Nonostante fosse tra i 20 punti prioritari del Movimento Cinque Stelle il tema è scomparso. Incidente poco promettente, ma auguriamo buon lavoro al nuovo esecutivo. Tante le cose da fare”. “Apprendo con stupore e delusione che dal programma del nuovo Governo e nonostante le rassicurazioni del Movimento Cinque Stelle sia alla fine scomparsa la riforma dell’affido. Peccato. Si tratta di un’occasione persa”. Lo dichiara il presidente di Ai.Bi. – Amici dei Bambini, Marco Griffini, a proposito del programma in 29 punti del “Conte 2”.
“Una sparizione inquietante – spiega Griffini – perché solo pochi giorni fa, il 30 agosto 2019, in occasione del colloquio avuto dallo stesso Movimento con l’allora presidente incaricato Giuseppe Conte, era stato presentato un documento programmatico in 20 punti che erano stati definiti prioritari dallo stesso capo politico, l’onorevole Luigi Di Maio. Tra questi punti, al numero 12, compariva la ‘revisione del sistema degli affidi e delle adozioni’. Un punto ovviamente ancora più importante alla luce delle vicende di Bibbiano”.
Amici dei Bambini, organizzazione non governativa costituita da un movimento di famiglie adottive e affidatarie che da oltre trent’anni lavora ogni giorno al fianco dei bambini ospiti negli istituti di tutto il mondo per combattere l’emergenza abbandono, sottolinea da tempo le priorità per tutelare i minori fuori famiglia: tra queste l’introduzione della figura dell’avvocato del minore in ogni caso di intervento istituzionale e il rilancio dell’adozione internazionale attraverso la delega della presidenza della CAI – Commissione Adozioni Internazionali al Ministero della Famiglia, mai avvenuta neppure con l’ultimo avvicendamento al dicastero tra Lorenzo Fontana e Alessandra Locatelli.
“Speriamo – conclude Griffini – che il nuovo Governo, cui vanno i nostri auguri per un buon lavoro, si dimostri, nonostante questo poco promettente incidente, attento ai temi della famiglia e dell’infanzia in difficoltà. Noi, come consuetudine, non cesseremo la nostra funzione di pungolo in tal senso, perché tante sono le cose da fare e, soprattutto nel campo dell’adozione internazionale, tanto è stato il tempo sprecato”.
AiBinews 5 settembre 2019
www.aibi.it/ita/conte-bis-griffini-ai-bi-dal-programma-scomparsa-la-riforma-dellaffido-bibbiano-gia-dimenticato
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AFFIDO CONDIVISO
Trasferimento ex coniuge e affidamento figli: ultime sentenze
Se l’ex coniuge trasferisce la propria residenza, con chi vanno a stare i figli? A chi vengono affidati? In caso di coppia separata o divorziata e successivo trasferimento di residenza della madre, quali conseguenze questa scelta può sulle modalità di affidamento del figlio?
- Sì affidamento all’ex coniuge che si trasferisce. Il coniuge separato che intende trasferire la residenza lontano da quella dell’altro coniuge non perde l’idoneità ad avere in affidamento, o in prevalente collocazione presso di sé, i figli minori, sicché il giudice deve esclusivamente valutare se sia più funzionale all’interesse della prole il collocamento presso l’uno o l’altro dei genitori, per quanto ciò ineluttabilmente incida in negativo sulla quotidianità dei rapporti con il genitore non affidatario. Corte di cassazione, sezione I civile, ordinanza 18 luglio 2019 n. 119455
- Condizioni per il nulla osta al trasferimento del figlio minore in altra città di residenza. Il trasferimento del figlio minore in altra città può essere disposto a condizione che la madre, presso cui il figlio abbia residenza prevalente, stipuli un contratto di locazione di appartamento che il padre potrà e dovrà occupare nei periodi in cui starà con il figlio. Corte appello Venezia sez. III, 28/07/2018, n.147.
- 3. Preferenza affidamento madre anche se si allontana. In un affidamento congiunto i figli restano collocati presso la madre anche se questa, vinto il concorso in magistratura, sceglie una sede lontanissima. Per la Cassazione la decisione di trasferirsi non può essere condizionata e resta al giudice valutare l’interesse del minore. Nel caso esaminato il giudice respinge la tesi del padre sui danni dall’eccessivo pendolarismo e sulle ripercussioni negative nel rapporto con il genitore lontano.
Corte di cassazione, sezione I civile, sentenza 14 maggio 2016 n. 18087.
- Il trasferimento è un diritto. Posto che ciascun coniuge separato ha il diritto, di rango costituzionale, di trasferire liberamente la propria residenza e luogo lavorativo, anche lontano da quella dell’altro coniuge, senza che ciò ne comporti di per sé l’inidoneità all’affidamento e al collocamento dei figli minori, il giudice provvede su tale collocamento tenendo solo conto dell’interesse dei figli medesimi, prescindendo dall’incidenza negativa della decisione sulla quotidianità dei rapporti con il genitore non affidatario/collocatario (sulla base di tale principio la Suprema corte ha confermato la decisione di merito che aveva collocato in via prevalente due minori, ancora in tenera età, presso la madre, modificando le condizioni di separazione consensuale, che prevedevano una ripartizione paritaria dei tempi di permanenza presso i genitori, in ragione del trasferimento della donna, per ragioni di lavoro, in una città molto distante da quella originaria di residenza, e tenuto conto che il criterio ordinariamente seguito è appunto quello di collocare in via prevalente i bambini in età più tenera presso la madre, se idonea). Pertanto il trasferimento del coniuge separato non comporta di per sé l’inidoneità all’affidamento dei figli minori. Il coniuge separato che intenda trasferire la sua residenza lontano da quella dell’altro coniuge non perde l’idoneità ad avere in affidamento i figli minori o a esserne collocatario poiché stabilimento e trasferimento della propria residenza e sede lavorativa costituiscono oggetto di libera e non conculcabile opzione dell’individuo, espressione di diritti fondamentali di rango costituzionale. Sulla scorta di tali principi il giudice deve esclusivamente valutare se sia più funzionale all’interesse della prole il collocamento presso l’uno o l’altro dei genitori, per quanto ciò ineluttabilmente incida in negativo sulla quotidianità dei rapporti con il genitore non affidatario.
Corte di cassazione, sezione I civile, sentenza 14 maggio 2016 n. 18087.
- Di fronte alle scelte insindacabili sulla propria residenza compiute dai coniugi separati, i quali non perdono, per il solo fatto che intendono trasferire la propria residenza lontano da quella dell’altro coniuge, l’idoneità a essere collocatari dei figli minori, il giudice ha esclusivamente il dovere di valutare se sia più funzionale al preminente interesse della prole il collocamento presso l’uno o l’altro dei genitori, per quanto ciò incida negativamente sulla quotidianità dei rapporti con il genitore non collocatario: conseguenza, questa, comunque ineluttabile, sia nel caso di collocamento presso il genitore che si trasferisce, sia nel caso di collocamento presso il genitore che resta.
Corte di cassazione, sezione I civile, sentenza 12 maggio 2015 n. 9633.
- Conflitto genitoriale e residenza del minore. Allorché sussista conflitto genitoriale e il giudice sia chiamato a stabilire il luogo in cui i minori debbano fissare la propria residenza, deve in particolare tenersi conto del tempo trascorso dall’eventuale avvenuto trasferimento, dell’acquisito delle nuove abitudini di vita, di cui è sconsigliabile il repentino mutamento, a maggior ragione se questo debba comportare un distacco dall’uno dei genitori con cui sia pregressa la convivenza stabile.
Tribunale Milano sez. IX, 19/10/2016.
- Trasferimento di residenza della madre e affidamento del minore a settimane alterne. Nel caso in cui la madre si trasferisca in un comune diverso da quello in cui si trova la casa familiare — presso la quale il figlio minore ha sempre vissuto, nei cui pressi frequenta la scuola, le sue amicizie e si dedica allo sport — l’affidamento a settimane alterne a ciascun genitore potrebbe non rivelarsi la soluzione più conforme all’interesse del minore stesso, là dove detta modalità di affidamento dovesse avere come conseguenza tempi di spostamento troppo lunghi per frequentare la scuola e difficoltà nella pratica dello sport da parte di quest’ultimo, pratica che, se gradita, deve essere incentivata, per i suoi effetti positivi sulla stato di salute e sull’interazione sociale del minorenne che la conduce.
Tribunale Civitavecchia, 09/04/2018
- Collocazione dei figli e criterio della maternal preference. Il trasferimento della residenza costituisce oggetto di libera e non coercibile opzione dell’individuo, espressione di diritti fondamentali di rango costituzionale. Il coniuge separato che intenda trasferire la sua residenza lontano da quella dell’altro coniuge non perde perciò l’idoneità ad avere in affidamento i figli minori o ad esserne collocatario, sicchè il giudice, ove il primo aspetto non sia in discussione, deve esclusivamente valutare se sia più funzionale all’interesse della prole il collocamento presso l’uno o l’altro dei genitori, per quanto ciò ineluttabilmente incida in negativo sulla quotidianità dei rapporti con il genitore non affidatario. Ai fini della decisione il giudice può fare riferimento al criterio della c.d. maternal preference, specie in mancanza di contestazioni sulla valenza scientifica di esso.
Cassazione civile sez. I, 14/09/2016, n.18087
- Separazione tra coniugi di nazionalità diversa e affidamento del minore trasferito all’estero: riparto di giurisdizione. In caso di matrimonio celebrato in Italia tra un cittadino italiano e uno britannico con successivo trasferimento della moglie con il figlio in Inghilterra, per le questioni legate alla separazione personale è competente il giudice ordinario, mentre per le questioni che concernono l’affidamento e il mantenimento del figlio minorenne sussiste difetto di giurisdizione del giudice italiano. A dichiararlo sono le sezioni Unite che interpretano così il Regolamento Ce 2201/2003.
Cassazione civile sezioni unite, 07/09/2016, n.17676
La Legge per tutti 28 agosto 2019
www.laleggepertutti.it/298554_trasferimento-ex-coniuge-e-affidamento-figli-ultime-sentenze
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ASSEGNO DI MANTENIMENTO PER I FIGLI
Mantenimento dei figli maggiorenni: i criteri per il permanere dell’obbligo
Corte di cassazione, sesta Sezione civile, ordinanza n. 19696, 22 luglio 2019
http://images.go.wolterskluwer.com/Web/WoltersKluwer/%7B2a2e71fa-54e6-4aec-a7cd-d292ef652b21%7D_cassazione-civile-ordinanza-19696-2019.pdf
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza interviene ancora in materia di valutazione di autosufficienza dei figli maggiorenni. Nel giudizio per la separazione personale dei coniugi, il Tribunale di Avellino aveva revocato l’obbligo di mantenimento del padre in favore dei figli maggiorenni, che avevano iniziato a lavorare e avevano dimostrato la capacità di produrre reddito.
In seguito all’accertamento dell’acquisita indipendenza economica, veniva revocata anche l’assegnazione della casa familiare alla moglie.
La Corte d’appello di Napoli, ha ribaltato la sentenza di primo grado, rilevando che non risultava provata l’acquisizione di una condizione di autosufficienza né la responsabilità dei figli per la mancata ricerca di opportunità lavorative.
Il figlio maggiore (quasi quarantenne) non aveva ancora completato la sua formazione professionale (laurea triennale), e lo svolgimento di attività occasionale di tecnico del suono in occasione di concerti estivi, non poteva considerarsi circostanza idonea al raggiungimento di una situazione di autonomia economica.
Il secondo figlio (anch’egli ultratrentenne), aveva per due anni avuto un reddito adeguato ma successivamente i guadagni erano stati molto inferiori o inesistenti.
Con appello incidentale la moglie, in seguito alla revoca dell’assegnazione della casa familiare, aveva chiesto un assegno di mantenimento per sé.
Il marito ricorre in Cassazione lamentando l’omesso esame di un fatto decisivo e la violazione dell’art. 316 bis c.c.
Durante la causa di appello, era stata prodotta documentazione attestante la proprietà di un’autovettura e di un furgone in capo al figlio, che utilizzava i due mezzi per lo svolgimento della sua attività di tecnico del suono, e di un’attrezzatura per la strumentazione musicale e per l’illuminazione dei palchi. La Corte di appello non aveva valutato tali documenti come rilevanti ai fini di una raggiunta capacità lavorativa, idonea a rendere indipendente il figlio dai genitori.
Secondo la Cassazione, la conclusione da parte del figlio del percorso formativo di tecnico del suono, messo a frutto in un’attività a carattere professionale, quale quella di tecnico musicale e assistente all’illuminazione di concerti e spettacoli musicali, con l’impiego di mezzi, propri e in comodato, di non modesto valore, erano elementi presuntivi per la dichiarazione dell’autosufficienza economica.
Quanto all’altro figlio, lo svolgimento di attività part-time, che per alcuni anni gli aveva consentito di percepire un reddito di circa 500 euro mensili, avrebbe dovuto indurre la Corte territoriale a confermare la decisione del Tribunale di revoca dell’assegno. Infatti, la recente giurisprudenza di legittimità (Cass. Civ. n. 6509/2017) ritiene che una volta raggiunta un’adeguata capacità lavorativa, e quindi l’indipendenza economica, la successiva perdita dell’occupazione non comporta la reviviscenza dell’obbligo del genitore al mantenimento.
Infine, la Corte d’appello non avrebbe preso in considerazione, ulteriori rilevanti circostanze, come l’effettività o meno della convivenza dei figli con la madre, l’età degli stessi, e il tenore di vita. Fatti sui quali si sarebbe dovuto attivare l’onere probatorio gravante sulla madre richiedente il contributo al mantenimento.
La sentenza è stata pertanto cassata e rinviata alla Corte d’appello per una nuova decisione sul merito. Secondo l’orientamento attuale della giurisprudenza, infatti, il giudice di merito deve valutare con insindacabile apprezzamento, caso per caso e con criteri di rigore proporzionalmente crescenti in rapporto all’età dei beneficiari, le circostanze che giustificano il permanere dell’obbligo di mantenimento, poiché tale obbligo non può prolungarsi oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura (cfr. Cass. Civ. n. 12952/2016).
Altalex 06 settembre 2019
www.altalex.com/documents/news/2019/09/06/mantenimento-figli-maggiorenni-criteri
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ASSOCIAZIONI MOVIMENTI
Convegno Genitorialità Multiculturale in contesti di protezione
Il Consiglio regionale Piemonte degli Assistenti Sociali in collaborazione con la Garante per i diritti dell’infanzia e degli adolescenti della Regione Piemonte e l’Università di Torino ha organizzato un convegno dal titolo Genitorialità Multiculturale in contesti di protezione che si terrà a Torino il 26 settembre 2019 – Aula 3 Palazzina Einaudi – Ore 9.00-13.00
Accompagnamento nel discernimento di una nuova unione
L’ufficio diocesano pastorale della famiglia di Padova offre uno spazio di ascolto, accompagnamento e consulenza per la coppia e l’intera famiglia. Ad esso è possibile fare riferimento anche per chiedere l’accompagnamento nel discernimento di una nuova unione.
Incontri per chi appartiene a una famiglia ferita, vive la separazione e il divorzio o una nuova unione e desidera condividere un itinerario di accompagnamento e di ricarica spirituale.
Retrouvaille: un aiuto alla coppia in crisi
Retrouvaille aiuta i matrimoni in crisi. Il vostro matrimonio sta naufragando? State pensando alla separazione o al divorzio?
Avete smesso di discutere insieme i problemi? Vi sentite freddi, soli, distanti? …e non sapete come cambiare o dove rivolgervi? Retrouvaille vi può aiutare! I figli soffrono dei litigi tra i genitori e per la loro separazione
Retrouvaille è un servizio esperienziale offerto a coppie sposate o conviventi che soffrono gravi problemi di relazione, che sono in procinto di separarsi o già separate o divorziate, che intendono ricostruire la loro relazione d’amore lavorando per salvare il loro matrimonio in crisi, ferito e lacerato.
Retrouvaille è una parola francese che significa “ritrovarsi”. Vuole essere un segno di speranza per queste coppie, un raggio di luce in una società dove i mass-media propongono come unica alternativa ai problemi di coppia la separazione o il divorzio.
Retrouvaille è di orientazione cattolica, ma è aperta a tutte le coppie sposate, senza differenza di affiliazione religiosa, o sposate civilmente o conviventi con figli, vuole tendere una mano e offrire un cammino di speranza, per rimettere in moto il “sogno” che li ha accompagnati e fatti credere nel matrimonio e nella famiglia.
Retrouvaille offre un messaggio diverso dai temi attuali di autogratificazione e autonomia. Il programma Retrouvaille aiuta a scoprire come il processo di ascolto, perdono, comunicazione e dialogo sono strumenti potenti nella riconciliazione tra gli sposi e per recuperare un rapporto di coppia duraturo, anche dopo il tradimento e la separazione.
Retrouvaille è condivisione della propria esperienza di riconciliazione
Le coppie animatrici, col condividere le loro vite, danno speranza alle coppie partecipanti. Questo è il commento di una donna che ha partecipato al programma:
“Avevo bisogno di sentire qualcuno che aveva sperimentato ciò che noi abbiamo vissuto e che era sopravvissuto.”
Non conta tanto la gravità dei problemi che vengono condivisi, ciò che è importante per le coppie in crisi è il riconoscere nelle coppie animatrici la volontà di impegnarsi per salvare il loro matrimonio.
Retrouvaille è un’esperienza cristiana. Retrouvaille offre la possibilità di ritrovare una vita di fede proponendo e valorizzando il sacramento del matrimonio vissuto dentro una comunità cristiana dove conta essere parte di un gruppo di sostegno formato da coppie che credono al valore del matrimonio, e la preghiera.
Essere Chiesa significa anche credere che la debolezza è strumento di grazia ed in questa prospettiva, la storia delle delusioni e delle cadute delle coppie presentatrici, ed il loro superare le difficoltà insieme, diventano testimonianza per altre coppie in crisi, e le aiutano a superare il senso di solitudine che afferra chi vive la sofferenza nella relazione di coppia.
Retrouvaille vuol diventare un servizio della chiesa locale ampliando e consolidando la collaborazione le Diocesi. www.retrouvaille.it
Con la mancanza di tempo, le tante esigenze da conciliare, si finisce per dare come scontate le relazioni personali. Con tutte le distrazioni, ci si dimentica facilmente che una relazione solida richiede impegno e prima di rendersene conto, ci si ritrova allontanati con un divario che sembra insormontabile. Ci sono tanti motivi che portano una coppia verso la crisi:
- Mancanza di comunicazione efficace e di dialogo;
- Delusioni, aspettative infrante;
- Scelte di vita che non convergono più;
- Influenza della famiglia di origine nel rapporto di coppia;
- Infedeltà commessa o subita;
- Problemi di dipendenza da droghe, alcol, o dipendenza dal gioco;
- Mantenere interessi e abitudini che escludono il coniuge come si facesse una vita da scapoli, pur essendo sposati.
Queste sono alcune cause possibili della crisi di coppia, che sperimenta uno stato di «sofferenza permanente» ed è orientata ormai verso una vita rassegnata alla reciproca sopportazione, se non già verso la separazione e il divorzio.
Anche quando ci sono stati problemi molto gravi e ci pare che la situazione sia senza speranza, Retrouvaille offre un percorso per fare chiarezza, per rivalutare se stessi e il proprio coniuge, per ridare dignità alla relazione di coppia ed arrivare alla riconciliazione, nella speranza di ricostruire una felicità di coppia possibile e concreta anche nei casi considerati irrisolvibili.
Ufficiofamiglia.diocesipadova.it/wp-content/uploads/sites/8/2019/07/RETROUVAILLE-pieghevole-A4-2019.pdf
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CENTRO INTERNAZIONALE STUDI FAMIGLIA
Newsletter CISF – N. 32, 4 settembre 2019
v L’emergenza demografica in italia per immagini. Efficace video da Superquark. Il dibattito pubblico oggi in italia è “in tutt’altre faccende affaccendato”. Eppure basterebbe uno sguardo un po’ più attento alla sostanza delle cose per capire la drammaticità e l’urgenza della questione demografica nel nostro Paese. In questo senso, questo video da Superquark è esemplare: non ideologico, chiarissimo, documentato, senza toni gridati, ma con un fact checking [verifica dei fatti] che costringe a pensare: e magari anche a darsi una mossa!
www.facebook.com/1702101106/videos/10205663434700790/
Dovrebbe far pensare anche un libro di Piero Angela, del 2008, che fin dal titolo segnalava questo problema. E cosa è stato fatto dal 2008 ad oggi? Piero Angela; Perché dobbiamo fare più figli. Le impensabili conseguenze del crollo delle nascite (2008)
www.mondadoristore.it/Perche-dobbiamo-fare-piu-figli-Lorenzo-Pinna-Piero-Angela/eai978880458094
v Migrazioni – speciale. Sono stati selezionati temi e relatori dei 12 workshop italiani ed internazionali che verranno presentati nella 65.a Conferenza ICCFR – CISF, Roma, 14-17 novembre 2019.
Famiglie e minori rifugiati e migranti. Proteggere la vita familiare nelle difficoltà”
http://newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/attachments/newscisf3219_allegato1.pdf
La registrazione sul sito ICCFR è già possibile a questo link (in lingua inglese/English registration form].
https://iccfr.org/iccfr-conference-2019-in-rome-italy-migrant-families-and-children/registration-rome-2019
A giorni sarà disponibile on line anche la versione italiana del modulo di registrazione. A copertura dei costi organizzativi è previsto un costo di iscrizione di Euro 140 (per pasti, materiali, traduzione simultanea). Per le iscrizioni effettuate entro il 30 settembre è prevista una tariffa ridotta (100 Euro).
v Messaggio del santo padre Francesco (27 maggio 2019) per la 105ma giornata mondiale del migrante e del rifugiato 2019 [29 settembre 2019]. “Non si tratta solo di migranti”
http://w2.vatican.va/content/francesco/it/messages/migration/documents/papa-francesco_20190527_world-migrants-day-2019.ht
“…la presenza dei migranti e dei rifugiati – come, in generale, delle persone vulnerabili – rappresenta oggi un invito a recuperare alcune dimensioni essenziali della nostra esistenza cristiana e della nostra umanità, che rischiano di assopirsi in un tenore di vita ricco di comodità. Ecco perché ‘non si tratta solo di migranti’, vale a dire: interessandoci di loro ci interessiamo anche di noi, di tutti; prendendoci cura di loro, cresciamo tutti; ascoltando loro, diamo voce anche a quella parte di noi che forse teniamo nascosta perché oggi non è ben vista”.
v USA. Linee guida per il “coordinatore genitoriale” (parental coordinator). Di estremo interesse il documento dell’AFCC (Association of Family and Conciliation Courts)
www.afccnet.org/About/About-AFCC
Guidelines per parenting coordinator, approvato a fine 2018 dopo due anni di serio e puntuale lavoro di revisione (precedente edizione: 2005), dedicate ad una figura professionale che opera stabilmente da anni presso i tribunali per la famiglia statunitensi, ad accompagnare i figli e i genitori a seguito della separazione e del divorzio, anche nel lungo periodo. Profilo professionale e percorsi che sarebbero molto utili anche per il nostro Paese (pur nelle oggettive differenze tra i due sistemi giudiziari), dove questo accompagnamento è molto più complesso da progettare e realizzare, dopo le fasi di gestione immediata della separazione (cfr. gli interventi di mediazione familiare, che sono però ben distinti dalla parenting coordination)
www.afccnet.org/Portals/0/Guidelines%20for%20Parenting%20Coordination%202019.pdf?ver=2019-06-12-160124-780
v I volti dell’accoglienza: è aperta la sesta edizione del concorso fotografico indetto da Famiglie per l’Accoglienza. “Fotografi professionisti o amatoriali possono partecipare presentando una o più fotografie che documentino in modo immediato l’esperienza dell’accoglienza e della vita familiare in senso ampio. Sono da privilegiare foto di gruppo, che documentino la vita familiare e/o associativa. Ogni partecipante può inviare da 1 a 5 fotografie in formato digitale, risoluzione minima 300 dpi, a colori o in bianco/nero”. Le fotografie e la scheda di partecipazione – compilata e firmata in tutte le sue parti – devono essere inviate all’indirizzo: segreteria.nazionale@famiglieperaccoglienza.it.
Il termine ultimo per l’invio delle fotografie è il 27 ottobre 2019.
www.famiglieperaccoglienza.it/2019/07/22/al-via-il-concorso-fotografico-2019/
v Dalle case editrici
Lancini Matteo (a cura di), Il ritiro sociale negli adolescenti. La solitudine di una generazione iperconnessa, Raffaello Cortina, Milano, 2019, pp. 334, € 26,00.
Una generazione cresciuta “nella rete”: prendendo le mosse da uno dei fenomeni tipici del nostro tempo, gli autori si interrogano sui criteri per distinguere un uso adeguato dei social e dei videogiochi da un sintomo di malessere o dipendenza. Cyberbullismo [prepotenza virtuale effettuata tramite la rete elettronica], sexting [invio di immagini sessualmente esplicite tramite messaggi elettronici], gioco d’azzardo e, in modo particolare, ritiro sociale sono alcuni dei comportamenti analizzati in questo testo, denso di riflessioni sui motivi della loro diffusione e sulle possibili modalità di intervento. La rivoluzione digitale ha creato ambienti espressivi nei quali non solo gli adolescenti sperimentano nuove possibilità di realizzazione, ma trovano rifugio in occasione di profonde crisi evolutive, in una forma di “auto ricovero” che esprime sia il dolore sia un tentativo di alleviarlo o superarlo.
In particolare, alla luce dell’esperienza maturata negli ultimi quindici anni, gli autori inquadrano la psicodinamica del ritiro sociale (conosciuto anche con il termine giapponese hikikomori-isolarsi), oggi la più significativa manifestazione del disagio giovanile, e presentano gli orientamenti clinici che guidano la presa in carico dell’adolescente in una prospettiva evolutiva.
v Save the date
- Nord: Gli affidi sine die: progettazione, gestione e trasformazione in adozione, 7° corso di formazione per operatori dell’affido familiare, promosso dal CAM (Centro ausiliario per i problemi minorili), presso l’Ordine degli Assistenti Sociali/Regione Lombardia, Milano, 8-9 ottobre 2019.
http://www.cam-minori.org/new/prossimo_corso.php
- Centro: Eutanasia e suicidio assistito. Quale dignità della morte e del morire? evento promosso dal Tavolo “Famiglia e Vita” presso la CEI e da una rete di associazioni, Roma, 11 settembre 2019.
https://www.difendiamoinostrifigli.it/wp-content/uploads/sites/31/2019/08/11-settembre-2019.jpg
- Centro: Educare per il domani. Il punto su giovani, famiglia e scuola in Italia, V. convegno nazionale, promosso da Articolo 26 (Famiglia e scuola insieme per educare), Todi (PG), 8 settembre 2019.
http://comitatoarticolo26.it/wp-content/uploads/2019/08/Articolo26_EducarePerilDomani_programma.pdf
- Sud: Migranti adulti e minori. Metodologie di Accoglienza e Integrazione: Buone Prassi Operative, workshop promosso da IFREP-93 (Ass.ne “Istituto di Formazione e Ricerca per Educatori e Psicoterapeuti 1993”), con crediti formativi per assistenti sociali, Cagliari, 27 settembre 2019.
- http://www.cnoas.it/cgi-bin/cnoas/vfale.cgi?i=EELEIEYYTTXEGEFYALCIOS&t=brochure&e=.pdf
- Estero: Shaping a healthy environment fit for children (Costruire un ambiente sano, adatto per i bambini), evento promosso da COFACE (rete di associazioni familiari accreditata presso l’UE), Helsinki, 3-4 ottobre 2019.
www.coface-eu.org/wp-content/uploads/2019/05/Programme-final-1.pdf
Iscrizione http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/newsletter-cisf.aspx
Archivio http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/elenco-newsletter-cisf.aspx
http://newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/settembre2019/5137/index.html
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CHIESA CATTOLICA
Tre professori e l’integralismo “meschino” (AL 304)
Con una lettera del 27 agosto 2019 scorso, indirizzata al Gran Cancelliere Paglia e al Preside Sequeri dell’Istituto Giovanni Paolo II, 3 professori (Granados, Kampowski e Perez-Soba) propongono quella che chiamano “proposta di mediazione”, ma che, a dire il vero, appare soltanto come la prova di una radicale incomprensione della tradizione ecclesiale, e della sua capacità di camminare, di evolvere, di migliorare, nonostante le inevitabili resistenze. Il cuore della proposta è il seguente, che riporto integralmente: “Una soluzione più in sintonia con la natura della teologia cattolica implicherebbe – ed è la nostra proposta – che invece di eliminare la cattedra, ne venga creata una nuova, in modo che vi siano due cattedre di teologia morale generale, il cui dialogo esprime il rapporto tra vecchio e nuovo, proprio di ogni vera continuità della dottrina. Secondo la nostra proposta ci sarebbe una cattedra di morale fondamentale, che l’Istituto ha già avuto, e poi un’altra cattedra di “teologia morale dell’accompagnamento”, che potrebbe riflettere sulla proposta pastorale di Amoris Lætitia di poter condurre il soggetto di oggi a una vita secondo il Vangelo”.
Questa formulazione, nella sua sconcertante ingenuità, segnala tutti i problemi cui cerca di provvedere la necessaria ristrutturazione del IGP2. Li elenco qui sotto, facendo quasi la esegesi del testo:
- La “natura della teologia cattolica”, che i 3 professori pensano di custodire meglio della Chiesa, del papa, del Cancelliere e del Preside, impedirebbe ogni “cambiamento di paradigma”. Pertanto, a loro avviso, se pure può nascere qualcosa di nuovo, deve lasciare inalterato quello che c’era prima. Così, in modo astorico, assumono lo stesso vizio che troviamo, pari pari, in quei (pochi) teologi che ritengono che sia “cattolico” (veramente cattolico) che il Novus Ordo lasci inalterato il Vetus Ordo, e che anche agli studenti si dovrebbe insegnare l’uno insieme all’altro. Così in campo matrimoniale, ci dicono i 3 professori, insegniamo pure le cose pastorali di AL, ma lasciamo in piedi tutto quel sapere vecchio, che non riesce neppure a concepire che AL possa prendere la parola! E’ la soluzione che Giuseppe Siri avrebbe voluto nel 1951, sulla “nuova” Veglia Pasquale: introducete pure la veglia di notte, diceva, ma lasciateci celebrare ancora la veglia a mezzogiorno! Questa non è la tradizione, ma la morte della tradizione. Lo sapevano bene nel 1951 e noi dovremmo forse dimenticarcelo? I 3 professori vorrebbero spingerci ad un errore tanto madornale?
- Curiosa rappresentazione della continuità della dottrina. Si dice il nuovo, ma si continua a dire il vecchio, che impedisce al nuovo di avere una vera legittimità. Questo in AL è detto “apertis verbis” e il 3 professori dovrebbe saperlo. Se tu lasci in piedi la impalcatura della “legge oggettiva” come unico criterio di giudizio sui soggetti, sei “pusilli animi”, sei “meschino” (AL 304). Quella proposta dai 3 professori non è continuità dottrinale, ma è paralisi della tradizione. Essa garantisce forse la sopravvivenza di una cattedra, ma lo fa a discapito del cammino ecclesiale e della maturazione degli studenti. L’ideale di studenti schizofrenici, che non possono fare sintesi perché bersagliati da messaggi contraddittori, non può essere il destino pericoloso che discende dal mancato aggiornamento di 3 professori ostinati.
- Il “mostro” che i 3 docenti vorrebbero consigliare come soluzione conosce anche una formulazione assai curiosa. Affianca alla cattedra di “teologia morale fondamentale” una cattedra di “teologia morale dell’accompagnamento”. Qui la nomenclatura tradisce la grave incomprensione. Secondo Amoris Lætitia non puoi fare “morale da scrivania o da balcone” e in parallelo stare “nella strada”. L’unico accesso alla verità fondamentale della famiglia, del matrimonio, avviene mediante l’accompagnamento. Questo è il punto che, metodologicamente e epistemologicamente, resta del tutto cieco nella proposta avanzata con troppa ingenuità scientifica. Sembra dire: volete parlare d’altro, fatelo pure, ma lasciateci il nostro giocattolo esattamente come prima. Questo è contrario al servizio della teologia, che non può mai essere autoreferenziale. La teologia non è mai “per se”, ma “per altro”.
- Dietro a tutto ciò vi è, in fondo, la riproposizione di un modello di autorità ecclesiale, ridotto alla ripetizione del passato. E’ l’idea, che i 3 professori hanno espresso in mille variazioni dopo l’aprile del 2016: come un disco incantato hanno ripetuto che tutto è già contenuto in Familiaris Consortio, dopo la quale può esservi solo qualche postilla non scientifica. I nostri 3 professori guardano solo al passato, ma senza respiro storico e con bassissimo interesse culturale. Questo fa male al matrimonio e alla famiglia. Per questo possono concepire il “novum” solo come una appendice “pratica” ad una struttura teorica integralistica, fondamentalistica e rigida, acquisita e insegnata una volta per tutte. Questo è ciò che, fin dai suoi primi numeri, Amoris Lætitia chiede che venga rapidamente superato.
Credo che la proposta di mediazione, così come è stata formulata, permetta di capire bene le ragioni di quel “cambio di paradigma” che interviene nella Chiesa come una benedizione. Permettendo alla teologia cattolica del matrimonio di recuperare quel terreno originario in cui dialoga strutturalmente con la storia civile e con la cultura comune, senza che un “teologo fondamentalista” possa pretendere di stare fuori dall’una e dall’altra, in base a nozioni che in verità non vengono né dalla teologia né dalla morale, ma da una concezione decadente e idealizzata del diritto canonico, che era presente fin dalla radice dell’Istituto, nella pretesa apodittica del pensiero di Carlo Caffarra. Questa impostazione rigida e integralista va rapidamente superata. La mediazione è dunque una falsa mediazione e manifesta invece una vera incomprensione della svolta necessaria. Una incomprensione che, come tale, mi sembra del tutto incompatibile con il nuovo disegno a cui l’Istituto è stato giustamente aperto e indirizzato da coloro che oggi lo guidano con saggezza e lo orientano con rinnovata prudenza.
Andrea Grillo blog: Come se non 5 settembre 2019
www.cittadellaeditrice.com/munera/la-proposta-di-mediazione-e-una-confessione-di-incomprensione-tre-professori-e-lintegralismo-meschino-al-304
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CITAZIONI
Giustizia e misericordia nelle parole di Gesù sul matrimonio
Matrimonio in ascolto delle relazioni d’amore. Quaderno n. 28
Una premessa. L’ipotesi, ma anche la sfida, da cui parto in questo mio intervento, è che, essendo Dio, nella Tradizione ebraico-cristiana, simultaneamente giusto e misericordioso, non sia mai possibile, in questa Tradizione, vivere la propria fede senza che il comportamento del credente sia in armonia con la volontà di Dio coniugando a sua volta simultaneamente giustizia e misericordia.
E suppongo anche che campo per eccellenza per affrontare questa problematica altamente teologica, e quindi non semplicemente giuridica, sia quella che oggi attiene al rapporto di coppia tra coniugi legati sacramentalmente nel matrimonio. Tutti, in teologia, sono concordi che, trattandosi di un sacramento, c’è in questo legame coniugale una parte che appartiene a Dio e una parte che appartiene all’uomo. E tutti sono analogamente concordi nel comprendere questo legame alla luce del mistero dell’unione di Cristo con la Chiesa, così come concordano che, all’origine di questo particolarissimo legame, stanno i due misteri principali della fede cristiana ortodossa e cioè: Unità e Trinità di Dio; Incarnazione, passione, morte e risurrezione di Gesù Cristo Figlio di Dio e nostro Signore. Tutto questo dovrebbe significare che, quale che possa essere un problema teologico dibattuto all’interno della fede cristiana, esso non possa essere risolto se non tenendo conto di questi due Misteri principali, appunto, della nostra fede. Ma questo comporterebbe anche che in ogni manifestazione della fede cristiana si debba verificare, sempre e in che misura, vi sia meno armonia appunto con i Misteri principali della fede. In particolare, si dovrebbe aggiungere che, a proposito del sacramento del matrimonio, non si potrà mai risolvere alcun problema prescindendo dal fatto che la coppia cristiana debba essere sempre, in ogni sua manifestazione, una sorta di immagine (“icona” nel senso di “già” e “non ancora”) dei due Misteri principali della nostra fede proposti e approfonditi con lo studio della Triadologia [studio del mistero della Trinità] e della Cristologia. La problematica relativa al rapporto tra due coniugi legati dal sacramento del matrimonio, discussa con i due presupposti appena accennati, sarebbe enorme. E dunque in questo intervento non posso che indicarne appena qualche aspetto. Cosa che farò leggendo il tutto alla luce del riferimento alla visione di un Dio, simultaneamente giusto e misericordioso, che sta all’origine dell’intera problematica teologica ebraico-cristiana (Cfr Es 34, 6-7).
Prendo come punto di partenza di questo intervento il testo di Mt 19, 3-12 che riporto dividendolo in due parti (una prima, composta da Mt 19, 3-9, e una seconda, più breve, composta da Mt 19, 10-12)
- 1. Matteo 19, 3-9. “Allora gli si avvicinarono alcuni farisei per metterlo alla prova e gli chiesero: ‘È lecito a un uomo ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo?’ Egli rispose. ‘Non avete letto che il Creatore da principio li fece maschio e femmina e disse: Per questo l’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne? Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto’. Gli domandarono: ‘Perché allora Mosè ha ordinato di darle l’atto di ripudio e di ripudiarla?’. Rispose loro: ‘Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli; all’inizio però non fu così. Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di unione illegittima, e ne sposa un’altra, commette adulterio'”.
Gli Esseni Moderati e Gesù. A proposito di questa pericope [estratto da un testo], abbastanza complessa, richiamo appena due contesti che potrebbero aiutare non poco a partire da una prospettiva più adeguata nell’osservare l’insieme della problematica. Il primo è dato dall’ipotesi di una appartenenza di Gesù di Nazareth alla corrente degli Enochichi con particolare riferimento ai cosiddetti Esseni Moderati a proposito dei quali sappiamo adesso qualcosa di più grazie agli studi che, a partire da Paolo Sacchi e dai suoi discepoli, in particolare Gabriele Boccaccini, si stanno sviluppando a livello internazionale. Questa ipotesi imporrebbe una maggiore attenzione al contesto culturale e religioso in cui agiva Gesù di Nazareth e, soprattutto, al dibattito sull’autorità e autorevolezza delle due Leggi ritenute allora fondamentali in Israele: quella inscritta nelle stelle e quella inscritta nelle tavole mosaiche. A quale delle due bisognava dare il primato? E inoltre: la legge mosaica aboliva, confermava o interpretava quella inscritta nelle stelle? Le risposte eventualmente date non erano prive di conseguenze, soprattutto nel comportamento pratico. Infatti la Legge inscritta nelle stelle aveva la qualità di essere considerata eterna e solida per sempre, perché ritenuta stabile ed eterna come le stelle, e stava alle origini della divisione del tempo, delle prescrizioni della vita pratica scandita dalle stagioni, nell’alternanza del giorno e della notte, nel succedersi delle settimane, nella diposizione delle feste, nelle prescrizioni rituali di ogni tipo etc. La Legge inscritta nelle tavole di pietra di Mosè era considerata invece, nonostante il suo pieno inserimento nella prima, come caratterizzata dal legame con la storia sia del popolo che del singolo membro del popolo, comprese le situazioni di limite e di peccato delle quali doveva necessariamente tener conto e verso le quali si piegava con quella accondiscendenza che Mosè aveva imparato dal modo di agire di Dio che era insieme giusto e misericordioso, ma con un primato (vogliamo chiamarlo morale?) della misericordia rispetto alla giustizia. In realtà la Legge promulgata e applicata da Mosè non fu mai quella delle prime tavole, quelle celesti, ridotte in pezzi dallo stesso Mosè, ma fu quella delle seconde tavole incise sulle due pietre che tenevano realisticamente conto della storia dell’uomo. Non solo, ma quelle stesse seconde tavole avevano avuto bisogno, e ne hanno ancora bisogno oggi nella tradizione ebraica, della cosiddetta Legge orale ricevuta nella trasmissione interpretativa che passava da maestro a maestro, a partire appunto dall’interpretazione data dallo stesso Mosè.
Da qui il secondo punto di contestualizzazione: Gesù da che parte stava? E, soprattutto, che significato avevano le sue esplicite interpretazioni del testo della Torà mosaica e della tradizione orale ad essa corrispondenti, quando introduceva –almeno secondo l’evangelista Matteo –le sue interpretazioni con la formula stereotipata: “Avete inteso che fu detto” seguito da: “Ma io vi dico” (Mt 5, 21-44 passim), di cui abbiamo una eco anche nel testo da cui siamo partiti in Mt 19, 3-9? Punto che non può fare a meno di tener conto di parole molto nette di Gesù che dichiara in Mt 5, 17-19: “Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare compimento. In verità io vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un solo trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto. Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli”. Simili parole di Gesù potrebbero tradire la presenza di un’eco della polemica contemporanea che distingueva la posizione degli Esseni Moderati dalla posizione di altri movimenti di pensiero interni ad Israele. Inserendosi in questi dibattiti, come sembra ovvio, Gesù non prende una posizione alternativa netta, ma anzi cerca di collegarsi con pari rispetto a tutte e tre le tradizioni: la Legge inscritta nelle stelle, quella incisa da Mosè sulle pietre, e quella cosiddetta orale. Che Gesù non intendesse polemizzare in queste cose lo si può dedurre anche da ciò che lui stesso dichiara, come abbiamo visto, in Mt 5, 17: “Non sono venuto ad abolire, ma a dare compimento”, con l’aggiunta che precisa: “finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà un solo iota o un trattino della Legge, senza che tutto sia avvenuto” (Mt 5, 18). Dunque Gesù non abolisce nulla, ma conferma. E tuttavia si deve aggiungere inevitabilmente qualche precisazione in più. Infatti ci si può subito chiedere: a quale perennità o stabilità della Legge si riferisce Gesù? Si può essere sicuri che si riferisca alla Legge mosaica? Oppure si riferisce anche alla Legge inscritta nelle stelle? E, terzo, quale era la sua posizione a proposito della Legge orale? Dovremmo forse concludere che il maestro di Nazareth si riferisce a tutte e tre? E se Gesù privilegiasse soprattutto il confronto con la Legge orale, perché caratterizzata dalle interpretazioni e attualizzazioni costanti che sono presenti da sempre in Israele, cosa dedurne per una comprensione adeguata non soltanto della dichiarazione presente in Mt 5,17, ma anche del colore di fondo con cui leggere tutto il suo discorso della montagna? In tutte queste ipotesi restiamo comunque posti di fronte ad una serie di interrogativi che non si può fare a meno di tenere presenti se si vuole abbozzare una qualche risposta, comprensibile anche per noi oggi, nella nostra contemporaneità Intanto dobbiamo cercare di capire subito cosa significhi “dare compimento” (plerosai). Si tratta di ciò che noi identifichiamo appunto con il vocabolo “compimento” (secondo la traduzione della CEI)? Si tratta di “completamento”, vocabolo che potrebbe orientare anche verso una sorta di “complementarietà” delle due/tre Leggi, senza porle necessariamente in contrapposizione tra di loro? Oppure si tratta di un invito a considerare con realismo la situazione umana verso la quale si orienterebbe Gesù stesso nel legare sistematicamente la perennità della Legge inscritta nelle stelle con l’accondiscendenza della Legge scritta/orale di Mosè alla debolezza dell’uomo? La motivazione con cui Gesù richiama l’accondiscendenza di Mosè è molto significativa, a questo proposito. Infatti Gesù stesso spiega che Mosè ha piegato le esigenze della Legge inscritta nella natura delle cose fin dal principio “per la durezza del vostro cuore” (Mt 19,8), cioè per tener conto della capacità di comprensione dell’uomo. Infatti sembra che Gesù non abbia fatto altro che porre i suoi interlocutori di fronte alla constatazione che Mosè stesso, scolpendo le seconde tavole sulle pietre (cfr Es 32, 15-19 + Es 34, 1. 4-7) avrebbe, sia pure obtorto collo, preso atto della “durezza del cuore”, accondiscendendo ad essa, senza tuttavia rinunziare a regolare il tutto con realismo, attraverso la richiesta della sottoscrizione di un atto di ripudio.
Le due Tavole di Mosè. La differenza tra le prime e le seconde tavole ricevute da Mosè sul Sinai diviene a questo punto molto importante. Infatti delle prime tavole si dice che erano “tavole scritte sui due lati, da una parte e dall’altra” (Es 32, 15); e inoltre che “le tavole erano opera di Dio, la scrittura era scrittura di Dio, scolpita sulle tavole” (Es 15, 16). Delle seconde tavole invece si dice che “Il Signore disse a Mosè: ‘Taglia due tavole di pietra come le prime. Io scriverò su queste tavole le parole che erano sulle tavole di prima, che hai spezzato'” (Es 34, 1). Apparentemente sembra che si tratti delle stesse tavole, ma in realtà altro erano le tavole “opera di Dio” e altro erano le “due tavole di pietra” che Mosè si era dovuto costruire da sé, sia pure su comando di Dio. È ancora più importante tenere presente che è con queste seconde tavole che Mosè sale sul monte Sinai per stipulare l’alleanza. Dice il testo dell’Esodo: “Mosè tagliò due tavole di pietra come le prime; si alzò di buon mattino e salì sul monte Sinai, come il Signore gli aveva comandato, con le due tavole di pietra in mano” (Es 34, 4). E non si tratta soltanto di questo, perché occorre aggiungere che è proprio attraverso queste seconde tavole che si stabilisce l’alleanza sinaitica. Prosegue infatti il testo dell’Esodo: “Allora il Signore scese nella nube, si fermò là presso di lui (Mosè), proclamando: ‘Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà, che conserva il suo amore per mille generazioni, che perdona la colpa, la trasgressione e il peccato, ma non lascia senza punizione, che castiga la colpa dei padri nei figli e nei figli dei figli fino alla terza e alla quarta generazione’. Mosè si curvò in fretta fino a terra e si prostrò. Disse: ‘Se ho trovato grazia ai tuoi occhi, Signore, che il Signore cammini in mezzo a noi. Si, è un popolo di dura cervice, ma tu perdona la nostra colpa e il nostro peccato: fa di noi la tua eredità'” (Es 34, 5-9).
Le conseguenze di una scelta. Vorrei suggerire che prendere posizione per l’una o l’altra di queste alternative non è senza conseguenze. Infatti è dalla risposta che si dà all’una o all’altra di queste alternative che si avrà la possibilità di chiarire:
a) quale interpretazione dare all’espressione di Gesù in Mt 5, 17: “Non sono venuto ad abolire, ma a dare compimento”;
b) come valutare il riferimento alla durezza del cuore in Mt 19, 8a: “Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso”
c) quale forza dovrà avere l’osservazione di Gesù in Mt 19, 8c: “All’inizio non era così”.
Per tentare di compiere un passo avanti nella riflessione su questa serie di interrogativi richiamo anzitutto la possibilità o meno di stabilire una connessione tra ciò che si leggerà in Mt 19, 11 e ciò che Gesù stesso aveva dichiarato in Mt 5, 19: “Chi dunque trasgredirà uno solo di questi minimi precetti e insegnerà agli altri a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà, sarà considerato grande nel regno dei cieli”. La prima osservazione che si impone, a questo proposito, è che in Mt 5, 19 Gesù non parla di “esclusione” dal regno dei cieli, ma soltanto di situazione di “minimo” o di “grande” nel regno dei cieli. L’osservazione ha una sua importanza perché Gesù, immediatamente dopo, e cioè in Mt 5, 20, dichiarerà con una certa solennità: “Io vi dico infatti: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli”, escludendo in modo esplicito (“non entrerete”: o me eiselthete), in questo secondo caso, dal regno dei cieli coloro che si fermano semplicemente alla giustizia perseguita dai farisei e non riescono ad andare oltre fino a scoprire la misericordia, agendo di conseguenza.
Il fatto che Matteo distingua l’essere nel regno dei cieli dal non entrarci affatto, non può essere senza importanza. In realtà l’evangelista ci fa sapere, con questa sua distinzione, che ci sono dei precetti minimi la cui osservanza o meno non toglie del tutto la possibilità di entrare nel regno e ci sono invece degli atteggiamenti di fondo che possono escludere totalmente dall’entrare nel regno e che, tra questi atteggiamenti, ci sono proprio quelli dei farisei i quali, come ben sappiamo da tutto il dibattito tra loro e i discepoli di Gesù, intendevano difendere soprattutto, o forse unicamente, gli aspetti legati alla giustizia relativizzando, e perfino escludendo, quelli legati alla misericordia. Da qui la deduzione ovvia dell’esistenza di una sorta di gerarchia dei valori. Ci sono cioè, per Matteo, alcuni valori che permettono di entrare nel regno di Dio, pur venendo considerati piccoli o grandi, e ci sono altri valori che, se disattesi, escludono totalmente dal regno e, tra questi ultimi, ci sono proprio quei valori che pretendono di tenere conto della giustizia, intesa in modo farisaico, senza considerare con altrettanto impegno la misericordia. Adesso però dobbiamo anche chiederci di quali precetti stia parlando il maestro e capire se si tratta soltanto dell’osservanza della Torà scritta/orale con il contorno della siepe delle cosiddette “mitzvòt” [prescrizioni]; oppure se il maestro di Nazareth intenda comprendere anche certi precetti intesi piuttosto come concessioni, tipo quella di usufruire del permesso di ripudiare la propria moglie, a condizione che venga scritto l’atto di ripudio come prescrive il testo di Dt 24, 1.
All’inizio non era così. La sottoscrizione dell’atto prescritto da Mosè, ritenuta sufficiente per restare parte del popolo di Dio, potrebbe essere intesa come un’osservanza di quei “precetti minimi” che non escludono dal regno pur caratterizzando come “minimo” colui che vi entra per questa strada. E questo stabilirebbe la differenza rispetto a coloro che, cercando nella Torà scritta/orale unicamente la giustizia senza aprirla alla misericordia, ne resterebbero inevitabilmente fuori. Questi ultimi infatti si ritroverebbero in compagnia di coloro che, non interpretando come concessione misericordiosa la richiesta dell’atto di ripudio, ma riducendola a pura formalità, o peggio ancora cassandola, resterebbero fuori dal popolo, e quindi dal regno, come chi, limitandosi alla semplice osservanza formale del precetto, oppure eliminandone la caratteristica di accondiscendenza, non ne ha colto quella dimensione che va oltre la semplice giustizia degli scribi e dei farisei, secondo il detto di Gesù: “Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli” (Mt 5, 19b). Va da sé che ne resterebbero inevitabilmente fuori anche tutti coloro che non intendessero dare alcuno spazio, con la loro rigida applicazione della giustizia, a quella particolare accondiscendenza che Gesù richiede come scelta necessaria per entrare nel regno. Cosa che succede soprattutto quando si agisce senza tener conto delle conseguenze ovvie che ricadono, per esempio in un rapporto di coppia, sulle spalle della persona più debole, esponendola all’adulterio o, ancora peggio, imponendole un’unione adultera (Cfr Mt 5, 32) che escluda del tutto la tenerezza che accompagna necessariamente la misericordia.
Ritornando alla nostra intuizione iniziale potremmo così ritenere che l’insegnamento di Gesù metta in stretta connessione l’intenzione del Creatore, richiamata dalle parole: “all’inizio non era così” (Mt 19, 8c), con la corretta interpretazione dell’accondiscendenza voluta e decisa da Mosè: “Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso” (Mt 19, 8a). E questo non soltanto per non togliere nulla alla forza della dichiarazione di Gesù in Mt 5, 17: “Non sono venuto ad abolire, ma a dare compimento”, ma per aggiungere il richiamo ad un insegnamento, costante nella tradizione cristiana, che riguarda l’unità tra Dio Creatore e Dio Redentore, uniti nel contemporaneo rispetto della giustizia e della misericordia, accompagnato dal primato, appunto, della misericordia.
Il primato della misericordia. Là riflessione che abbiamo portato avanti finora non può fare a meno di svilupparsi aggiungendo che, in questi casi, si è costretti sempre a non restare soltanto all’esterno di una considerazione giuridica, ma a considerare con la massima delicatezza possibile il coinvolgimento della coscienza personale. Infatti siamo sempre e comunque di fronte ad una realtà che cade sotto il principio morale sintetizzato dalla massima comune: “De interni non iudicata Ecclesia”. [Delle cose interiori, la Chiesa non giudica»]. Da qui la necessità di entrare in queste cose in punta di piedi, con timore e tremore, come se si fosse di fronte a qualcosa di profondamente sacro e inviolabile, tenendo conto di un principio al quale la tradizione cattolica ha sempre richiamato gli operatori pastorali: “Pœnitenti credendo est” [è da credere al penitente]. La risposta di Gesù sembra in realtà autorizzare proprio simili conclusioni. Infatti a prima vista Gesù sembra escludere che, nel caso del divorzio, si possa parlare di ingresso nel regno, con il richiamo esplicito al testo di Gen 2, 24 che si rifà alla Legge inscritta nelle stelle: “Non divida l’uomo quello che Dio ha congiunto” (Mt 19, 6). Quando però, sollecitato dai suoi interlocutori che gli chiedono: “Perché allora Mosè ha ordinato l’atto di ripudio e di ripudiarla” (Mt 19, 7), Gesù, cercando la motivazione di fondo di quel primo principio, si accorge che di fatto quella prescrizione mosaica manifestava un’accondiscendenza che è propria di Dio.
Da qui: da una parte la constatazione che “per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli” (Mt 19, 8); dall’altra l’assenza di qualsiasi decisione di cassare una simile prescrizione mosaica, coerente con ciò che ha già dichiarato solennemente nel discorso della montagna: “Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento” (Mt 5, 17). Due atteggiamenti che escludono la possibilità di leggere la nostra pericope [citazione] da una prospettiva unicamente giuridica o, peggio ancora, tassativa, come si è stati inclini a considerarla nella tradizione cristiana occidentale, e in quella cattolica in particolare. In questo caso saremmo infatti di fronte ad una interpretazione del testo che esulerebbe totalmente dal contesto globale della vita e dell’insegnamento di Gesù, così come appare dal NT, e dal contesto culturale e religioso in cui agiva ed insegnava il maestro di Nazareth, come risulta dal linguaggio analogo a quello utilizzato da Matteo nel discorso della montagna –compresa la frase stereotipata: “ma io vi dico” (Mt 19, 9). Non si può negare inoltre che proprio l’accondiscendenza, e dunque il primato della misericordia, caratterizzassero l’insegnamento di Gesù distinguendolo da quello di tutti, o quasi, i maestri suoi contemporanei. È lo stesso evangelista Matteo a documentarci, del resto, sulla particolare gerarchia dei valori perseguita da Gesù nella risposta ai suoi interlocutori che, in altre occasioni, lo accusavano con parole precise e dirette: “I tuoi discepoli stanno facendo quello che non è lecito fare di sabato”, ai quali rispondeva con parole altrettanto decise e dirette: “Non avete letto quello che fece Davide, quando lui e i suoi compagni ebbero fame? Se aveste compreso che cosa significhi: ‘Misericordia io voglio e non sacrificio’, non avreste condannato persone senza colpa. Perché il Figlio dell’uomo è signore del sabato”” (Mt 12, 1-8 passim).
Premesso questo e chiedendoci se, secondo l’insegnamento e le scelte di vita di Gesù, si possano dare situazioni nelle quali sia possibile agire in modo difforme da ciò che prescrive la Legge inscritta nelle stelle, regolandosi invece secondo la Legge inscritta nelle pietre da Mosè e interpretata (Legge orale) dai Profeti, la risposta potrebbe essere: “Sì”. A una condizione: che venga privilegiata la dinamicità della misericordia sulla staticità della Legge. Infatti il costante insegnamento della Legge di Mosè e della Tradizione interpretativa dei Profeti, fatta propria da Gesù di Nazareth, è che si debba comunque privilegiare il valore della misericordia anche a scapito del riferimento ad una Legge scritta che non dovesse permettere di tener conto adeguatamente dei bisogni dell’uomo; bisogni che potrebbero richiamarsi alla scelta dei compagni di Davide, per esempio, che ebbero fame e mangiarono trasgredendo la materialità della Legge (cfr 1 Sam 21, 1-6, Mt 12, 1-8), o all’insegnamento di profeti come Osea che dichiarava a nome di Dio: “Misericordia io voglio e non sacrificio” (Os 6, 6; Mt 12, 7). Lo sganciamento dell’uomo dalla presa rigida della cosiddetta “littera” della Legge è in realtà un leit motiv [tema costante] di tutto l’insegnamento di Gesù di Nazareth. Ne fanno testo, e proprio nell’evangelista Matteo, non soltanto il discorso programmatico della montagna, ma anche, nel testo appena riportato, la dichiarazione solenne dello stesso Gesù: “Il Figlio dell’uomo è signore del sabato” (Mt12, 8).
Il passaggio dalla “littera” allo “spiritus“. Sappiamo che il Discorso della montagna è stato abitualmente letto come una sorta di inasprimento delle prescrizioni della Legge, ma io sono convinto che esso sia, in realtà, un generosissimo programma di liberazione dalle strettoie della “littera” della Legge scritta/orale trasmessa da alcuni in Israele. Esso permette infatti un allargamento straordinario degli orizzonti, sia interni che esterni, ai quali è invitato a volgere il suo sguardo l’uomo pio e osservante di tutti i tempi. Non si tratta assolutamente allora di inasprimento, ma piuttosto di richiesta a superare gli stretti confini del dovere per aprirli agli spazi amplissimi della gratuità dell’amore, confrontata con la disponibilità del Padre che si lascia dirigere dalla generosità a tal punto da non fare alcuna differenza tra coloro che noi chiameremmo buoni o cattivi, giusti o peccatori. L’affinamento del cuore e della mente richiesto da Gesù nel suo discorso della montagna non farebbe altro dunque che rifarsi, estendendola, a quella logica intrinseca alla fede che aveva permesso a Mosè di tener conto della “durezza del cuore” dei membri del suo popolo, piegando con condiscendenza la Legge alla loro situazione concreta, e così permettendo a tutti di restare uniti con l’insieme del popolo di Dio nonostante le cadute e il ritmo diverso del proprio cammino personale. I Padri della Chiesa si riferivano proprio a questa diversità di ritmo, che caratterizzava l’andatura del gregge del patriarca Giacobbe, quando interpretavano il cammino dei credenti in modo tale che né i giovani fossero impediti troppo nel dar sfogo alla propria voglia di correre, né gli anziani fossero distaccati troppo a causa della pesantezza dovuta alla malattia o alla vecchiaia. In un contesto di questo tipo riceve certamente un colore di fondo assai diverso la risposta di Gesù in Mt 19, 8 interpretata in occidente come un irrigidimento rispetto alla concessione fatta da Mosè, anziché come una dimostrazione di consenso espresso da colui che aveva già dichiarato in Mt 5, 17 di non essere venuto per abolire la Legge o i Profeti, ma piuttosto per dare a quelle indicazioni e prescrizioni pieno compimento. Infatti sia il comportamento di Mosè sia quello di Gesù tendevano all’unico scopo di non escludere nessuno dalla possibilità di restare all’interno del popolo di Dio nonostante la “durezza del cuore”, fino al punto, nel caso di Mosè, da concedere il “permesso di ripudiare le vostre mogli” (Mt 19, 8). Contestualizzare la pericope di Mt 19, 3-9, privilegiando l’accondiscendenza, significherebbe in realtà aprirsi ad un modo molto meno rigido di interpretare il seguito del detto di Gesù: “All’inizio non era così”, con ciò che segue: “Ma io vi dico: chiunque ripudia la propria moglie… e ne sposa un’altra, commette adulterio” (Mt 19, 9). Dovrebbe far testo infatti, in questo caso, lo stesso criterio utilizzato nell’interpretazione del Discorso della montagna, criterio che non cancella, anzi sottolinea, il dettato della Legge scritta/orale, considerandolo valido e determinante, e tuttavia proponendone un superamento, che certamente non è da tutti ma che tuttavia resta l’obiettivo inteso dal Legislatore e registrato nella Legge inscritta nelle stelle, cioè nella natura. Con una differenza però piuttosto significativa, dal momento che il richiamo alla Legge naturale, fondata sull’autorità di un’espressione gesuana come il “ma io vi dico“, viene proposto come un “oltre” rispetto a ciò che Mosè ha dovuto accettare per venire incontro alla durezza di cuore dei suoi destinatari. Differenza che è un’ulteriore conferma del dibattito in corso ai tempi di Gesù tra coloro che si ritenevano anzitutto discepoli di Henoc e coloro che insistevano nel riferirsi a Mosè.
Tra “skopòs” e “telos“. Le due Leggi, quella incisa nelle stelle e quella di Mosè, potevano essere proposte in modo complementare, così che potessero, in qualche modo, chiarirsi reciprocamente. E questo spiegherebbe forse meglio anche la presenza, al termine del Discorso della montagna, della cosiddetta Regola d’oro (Mt 7, 12) a sua volta accolta e superata con l’aggiunta del senso positivo impressole da Gesù. Gesù non nega dunque la gravità di chi è imprigionato nella “durezza di cuore“, e tuttavia non lo condanna esplicitamente. La sua decisione è un’altra: accettare la propria debolezza e tuttavia non dimenticare mai che l’obiettivo fissato (skopòs) è una cosa, ma l’obiettivo raggiunto (telos) è un’altra. Aggiungendo che ci sono alcuni, lo vedremo, i quali per strade diverse, che possono essere legate alla natura, legate alla violenza degli uomini, oppure legate ad una scelta libera, sono di fatto posti da Dio come profezia di una realtà nuova che va oltre i confini della natura e della storia umana, nonostante che siano pochi quelli che riescono ad intravederla: “Chi può capire capisca” (Mt 19, 12).
Dallo “skopòs” al “telos”. Ciò che ho appena detto potrebbe comportare anche la presenza di un colore di fondo più adeguato per leggere l’intero testo di Mt 19, 3-12, dato dal contesto del Discorso della montagna, con l’implicito invito a tenere conto simultaneamente:
a) sia di ciò che dichiara la “littera” della Legge mosaica, con tutto quello che si dovrebbe sistematicamente cercare in essa come “spiritus“;
b) sia di ciò che va riferito all’intenzione del Creatore, con tutto ciò che attiene alla cosiddetta legge naturale o “lex naturæ” incisa nelle stelle;
c) sia di ciò che attiene alla realistica situazione dell’uomo storico, con tutti i suoi limiti e le sue manchevolezze, compresa la “durezza del cuore”;
d) sia infine del completamento della giustizia con la misericordia.
Ma cosa leggiamo in realtà concretamente nel Discorso della montagna a proposito del tema trattato in Mt 19,3-12? Scrive Matteo (Mt 5,27-32):”Avete inteso che fu detto: ‘Non commetterai adulterio’. Ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore. Se il tuo occhio ti è motivo di scandalo, cavalo e gettalo via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il corpo venga gettato nella Geènna. E se la tua mano destra ti è motivo di scandalo, tagliala e gettala via da te: ti conviene infatti perdere una delle tue membra, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geènna. Fu pure detto: ‘Chi ripudia la propria moglie, eccetto il caso di unione illegittima, la espone all’adulterio, e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio'” Lasciando tra parentesi ciò che l’evangelista scrive tra una dichiarazione e l’altra, suggeriamo di considerare come colore di fondo di questi versetti la conclusione di Mt 5, 48: “Voi, dunque, siate perfetti (teleioi) come è perfetto (teleios) il Padre vostro celeste”.
La vita dei discepoli non potrà pretendere di muoversi in modo diverso da quello del Padre seguito fedelmente dal Figlio che essi ritengono loro unico maestro. Per cui anche il raggiungimento dell’obiettivo (telos) cui devono tendere (skopòs), secondo il progetto inteso dal Padre/Creatore all’inizio (ap’archès), comporterà un itinerario più o meno lungo e faticoso come quello percorso dal Figlio/Redentore Gesù. Non c’è dunque, neppure per loro, la possibilità di sovrapporre “skopòs” e “telos” senza considerare la distanza che dovrà essere superata durante il tempo della propria vita sulla terra.
In altre parole: il “telos”, cioè il conseguimento concreto dell’obiettivo pensato da Dio, deve inevitabilmente fare i conti con la lentezza propria di una realtà umana sottomessa al tempo e allo spazio. Una lentezza che, nel caso specifico dei discepoli di Gesù, non può fare a meno di tener conto anche della fragilità dovuta al peccato. Il conseguimento della volontà esplicitata all’inizio da Dio Creatore (ho ktisas ap’archès), richiamato da Gesù in Mt 19, 4, potrà comportare, a questo punto, tutta la fatica necessaria, compresa la possibilità di un fallimento, che viene richiesta dall’impegno a tendere l’arco tenendo l’occhio fisso sull’obiettivo (skopòs) prima di poterlo colpire al centro (telos) e così passare dal desiderio di cogliere l’obiettivo fissato alla realizzazione piena di esso. Infatti soltanto allora si potrà parlare di raggiungimento del progetto inteso da Gen 2, 24: “Per questo l’uomo lascerà il padre e la madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una sola carne”, con tutta la dinamicità progressiva che questo progetto comporta.
Si potrebbe allora concludere che la “durezza del cuore” (Mt 19, 8a) rivelatasi lungo il tragitto di questo passaggio dallo “skopòs” al “telos“, che aveva costretto Mosè a reinterpretare il desiderio di Dio Creatore in modo tale da non imporre a nessuno una incresciosa esclusione dal popolo di Dio, potrebbe interferire non poco nella realizzazione o meno dell’obiettivo fissato. Da qui la sua decisione di ammettere, nel caso specifico di una crisi di coppia, il ripudio, condizionandolo alla sottoscrizione di un atto formale. E si potrebbe mai pensare allora che Gesù, venuto “non per abolire la Legge o i Profeti… ma a dare pieno compimento (plerosai)” ad essi (Mt 5, 17), abbia potuto abolire la concessione di Mosè, proprio in un punto che qualificava chiaramente, e in modo determinante, la sua predicazione e cioè la misericordia? Il contesto dei gesti e delle parole di Gesù nei confronti di chi apparterrebbe a tutti gli effetti alla categoria dei peccatori pubblici, dovrebbe allora essere inteso in modo tale da confermare parole solenni e altamente provocatorie come le seguenti: “siate figli del Padre vostro che è nei cieli; egli fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti” (Mt 5, 45), accompagnandole con la giustificazione che Gesù stesso avrebbe dato al suo modo di comportarsi: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati “(Mt 9, 12).
Alcune possibili conseguenze. Le indicazioni pastorali, che potrebbero a prima vista apparire nuove e perfino rivoluzionarie, in realtà non sarebbero altro che la conferma esattissima dell’insegnamento del NT, ricevuto certamente con sensibilità diversa in Oriente e in Occidente, ma che conferma l’unità del respiro dei due polmoni della Chiesa, l’uno e l’altro preoccupati di agire in tutto e per tutto secondo lo spirito appunto dell’unico Vangelo. Infatti non cambia, in tutto questo, il giudizio di Gesù sulla negatività di una decisione che contrapporrebbe la volontà del Dio Creatore, che ha inciso la sua Legge nelle stelle, alla volontà del Dio Redentore, che accetta l’accondiscendenza di Mosè verso un popolo di “dura cervice“. I Padri delle Chiese Orientali lo avevano capito molto bene, dal momento che avevano sempre contrastato i perfezionisti e gli spiritualisti di tutti i tipi che facevano di tutto per separare il Dio Creatore dal Dio Redentore. La soluzione in realtà non sta nello sposare l’irrigidimento degli spiritualisti e dei fondamentalisti di tutti i tipi, ma nel fare la giusta e necessaria distinzione tra peccato e peccatore, che è una delle eredità più preziose del NT.
Un secondo aspetto del problema. Per affrontare brevemente un altro aspetto della nostra problematica leggiamo anzitutto ciò che dice lo stesso evangelista Matteo, presentando l’obiezione dei discepoli all’insegnamento di Gesù e la risposta del Maestro.
Mt 19,10-12 “Gli dissero i suoi discepoli: ‘Se questa è la situazione dell’uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi’. Egli rispose loro: ‘Non tutti capiscono questa parola, ma solo coloro ai quali è stato concesso. Infatti vi sono eunuchi che sono nati così dal grembo della madre e ve ne sono altri che sono stati resi tali dagli uomini, e ve ne sono altri ancora che si sono resi tali per il regno dei cieli. Chi può capire, capisca’” (Mt 19,10-12). La domanda cruciale che nasce da questo testo è: quale importanza dare alla dichiarazione di Gesù che “Non tutti capiscono questa parola, ma solo coloro ai quali è stato concesso” (Mt 19, 11)? Il seguito della risposta, costituito dal riferimento agli “eunuchi”, ha portato spesso gli esegeti a interpretare la dichiarazione di Gesù appiattendola unicamente alla condizione degli “eunuchi” (vergini e celibi) per evidenziare la libertà concessa da Gesù, con la sua vita e con il suo insegnamento, ad andare oltre il precetto stabilito nel libro della Genesi in due testi ben precisi e conosciutissimi: Gen 1, 28: “Dio li benedisse e disse loro: “Siate fecondi e moltiplicatevi”” e Gen 2, 24: “L’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e i due saranno un’unica carne”.
Gesù ha fatto certamente riferimento a queste prescrizioni presenti nel libro della Genesi, citando esplicitamente il secondo testo, ma lo ha fatto riferendosi alla situazione della coppia umana! Contesto che non si può ignorare per far cadere l’accento della sua risposta unicamente su una parte della problematica, come è successo in gran parte nella ermeneutica comune della tradizione cristiana. Conosciamo del resto gli eccessi che hanno prodotto certe interpretazioni massimaliste, in questa materia, come quella degli “encratiti” [cultori di un ascetismo estremo con particolare riferimento al divieto di cibarsi di carni e di fruire dei piaceri della carne anche nelle nozze] che la Chiesa ufficiale ha dovuto correggere con decisa autorità. La richiesta dei discepoli era stata sufficientemente precisa ed era il risultato dello shock provato dal riferimento alla Legge scolpita nelle stelle anziché alla Torà scritta/orale di Mosè.
Anche in questo caso però Gesù non abolisce affatto l’accondiscendenza di Mosè verso la durezza di cuore dei membri del popolo, ma ne approfitta per richiamare la costante del suo insegnamento che consiste nel non accontentarsi mai della semplice prescrizione letterale della Legge, ma di proseguire sempre nella ricerca fino a scoprirne il senso profondo di essa, già presente fin dall’inizio nell’intenzione di Dio Creatore (Cfr Mt 19, 8b), che non può in nessun modo trascurare la centralità della persona umana. Si tratta di un itinerario e non di una prescrizione tassativa, cosa che è perfettamente in linea con lo stile del Discorso della montagna. Il chiarimento di Gesù: “Non tutti capiscono questa parola, ma solo coloro ai quali è stato concesso” si riferisce dunque non soltanto alla situazione degli “eunuchi”, ma anche a quella di tutti i suoi discepoli perché si sentano liberi nei confronti di ogni tipo di Legge, sia quella incisa nelle stelle, così statica e inflessibile, sia quella scritta/orale di Mosè che permetteva invece di venire incontro con realismo a determinate situazioni umane. L’esemplificazione prodotta da Gesù, che distingue ben tre categorie di “eunuchi”, autorizza in realtà a dare una interpretazione molto più ampia di quella cosiddetta tradizionale. Infatti Gesù spiega che si può dare una vocazione all’”eunuchia” inscritta nella natura; una vocazione imposta purtroppo dagli uomini; una vocazione scelta per il regno dei cieli. Una simile triplice situazione, constata da Gesù, porta in modo chiarissimo ad una vera e propria decolpevolizzazione totale nei confronti di qualsiasi tentativo di “legiferare” in materia, se questo fosse fatto senza tener conto della persona umana interessata, in quanto tale.
Il superamento inteso da Gesù. Gesù va chiaramente verso un superamento della riduzione delle tre situazioni esemplificate alla sottomissione supina e fatalistica legata o alla natura fisica o alla violenza degli uomini o, infine, alla cosiddetta inclinazione individuale.
Infatti tutte e tre le situazioni possono essere valutate in modo tale che si trasformino in ciò che oggi chiameremmo “vocazione/elezione”. Cosa che però può risultare chiara solo a “coloro ai quali è stato concesso”. Ma cosa comporta questa particolare concessione? Si tratta di una concessione paternalista relativa a ciò che dovrebbe apparire come una promozione dall’alto? Oppure si tratta di una concessione che abilita non solo a prendere atto della propria condizione, ma anche a tentare di elevarla, nonostante tutto, con una scelta libera e personale? Infatti che cosa può essere stato concesso, in ciascuna di queste situazioni, all’essere umano, se non la libertà di essere semplicemente se stesso, nonostante tutto, rispondendo alla vocazione identitaria originaria voluta dal Dio Creatore?
Rispondere positivamente a tutto questo significa che né la Legge inscritta nelle stelle né la Legge scritta/orale di Mosè, né la propria cosiddetta inclinazione naturale, ma soltanto una scelta, libera e liberata, della propria condizione acquista valore “per il regno dei cieli“. Anche l’umiliazione di dover fare ricorso all’accondiscendenza di Mosè, sottomettendosi alla richiesta della sottoscrizione di un atto di ripudio? Sì, anche quella.
Infatti si entra nel regno di Dio proprio osservando queste cose minimali, perché verificano l’autenticità della propria scelta dignitosa e libera e, appunto per questo, capace di portare l’uomo a sopportare la propria condizione di minimo, senza alcuna tracotanza.
Dovrebbe valere infatti, anche in questo, il principio paolino della Lettera ai Romani: il Signore ha posto tutti sotto la constatazione della propria inadempienza, nei confronti della propria pretesa di giustificazione, per far prendere atto a tutti della necessità della Sua grazia e del Suo perdono. [Cfr soprattutto Rm 2, 1-6,14]. In realtà può scegliere liberamente soltanto chi accetta e fa sua serenamente la propria “kenosis”, cioè la propria umiliazione e il proprio sentirsi “minimo”.
Ma in tutto questo non c’è forse anche l’accettazione di sentirsi appunto peccatore? E si potrebbe trovare una situazione migliore di questa per essere completamente disponibile a lasciarsi salvare dall’unico che può essere riconosciuto, definito e accettato come proprio, necessario, Redentore? Ma il Redentore e il Creatore non perseguono forse, l’uno e l’altro, lo stesso obiettivo: quello di portare l’uomo alla pienezza della sua vocazione originaria?
La distinzione tra “de externis” e “de internis“, Finora è stata proposta, come verifica necessaria per provare l’autenticità e la sincerità del proprio sentirsi peccatore, la decisione-imposizione a se stesso e agli altri di non continuare a peccare e dunque di non vivere assolutamente più more uxorio con un’altra donna/uomo. Ma si è trattato sempre, né poteva essere altrimenti, di un giudizio legato alle realtà esterne (de externis).
E dunque ci si è riferiti sempre al rigore della Legge (dura lex sed lex), senza alcuna possibilità di accondiscendenza alla durezza del cuore regolata dall’atto di ripudio. Si è trattato davvero soltanto di una interpretazione voluta da Gesù?
L’approfondimento che ho appena proposto permette, mi sembra, di poter interpretare altrimenti il testo evangelico. Ma forse si deve prendere atto che, nell’interpretazione ritenuta tradizionale, si è trattato anche di un’applicazione del testo evangelico condizionata da altre fonti ritenute più giuridicamente esatte. E se ci fosse qualche dubbio a questo riguardo, non sarebbe forse legittimo applicare un adagio riconosciuto pastoralmente nella massima “in dubiis libertas”?
Del resto non si dovrebbe trascurare troppo superficialmente il fatto che la Tradizione interpretativa delle nostre Chiese Sorelle Orientali è sicuramente altra! Lo studio appena compiuto mi permette di richiedere una maggiore cautela in queste cose. Infatti chi, tra di noi che riteniamo di aver compiuto la scelta in modo “perfetto” senza alcuna costrizione dovuta alla natura, alla violenza, o ad una semplice inclinazione emotiva momentanea, potrebbe mai accampare il diritto di escludere l’uno o l’altro dal far parte del popolo di Dio? Sì, lo potrebbe fare la Chiesa nella sua più solenne ufficialità, ma anche in questo caso, preoccupandosi comunque scrupolosamente di obbedire anch’essa al principio sacrosanto che “de internis non judicat Ecclesia”.
Da qui la necessità di prendere atto che la trasgressione nei confronti o della Legge incisa nelle stelle o della Legge scritta/orale promulgata da Mosè, è una realtà che riguarda semplicemente l’umanità così come la conosciamo nella nostra storia, dove, nessun essere umano escluso, l’unica strada possibile è quella di accettarsi nella propria debolezza, aiutandoci tutti, fraternamente, ad imboccare l’unica strada, quella della fede ovviamente, che ci permetta di essere ricevuti tutti, sia pure come “minimi”, nel regno dei cieli.
Protestava San Paolo: “Mi sono fatto debole per i deboli, per guadagnare i deboli; mi sono fatto tutto per tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno” (1 Cor 9, 22), dimostrando così di essere autentico discepolo di chi aveva dichiarato solennemente: “Non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo” (Gv 12, 47).
Necessità di un approfondimento. In tutto ciò, che abbiamo appena cercato di dire, resta la constatazione di Gesù: “Non tutti capiscono questa parola, ma solo coloro ai quali è stato concesso”. Si noti però che Gesù sembra mettere sullo stesso livello sia coloro che accettano questa umiliazione data dalla natura, sia coloro che la subiscono per la violenza degli uomini, sia infine coloro che la scelgono per il regno dei cieli.
La contestualizzazione che risulterebbe da una simile interpretazione di questi versetti, sarebbe davvero sconvolgente, perché l’unico valore che verrebbe in questo modo rivendicato da Gesù, sarebbe quello di scegliere sempre, in qualunque situazione, con piena dignità e libertà, e con decisione personale, la strada solo apparentemente imposta dalla natura, dalla violenza degli uomini o dalle proprie inclinazioni, per entrare nel regno dei cieli.
A questo punto però dovrebbe subentrare tutto ciò che risulterebbe da un maggiore approfondimento dell’immagine di Dio perseguita dagli uomini e dal tentativo, fatto da questi ultimi, di collegare quella immagine al riflesso di essa nella struttura e nella vita quotidiana dell’essere umano (eikona).
A questo punto potremmo perfino evocare umilmente quella particolare esigenza profetica che auspicava e prevedeva, per il popolo di Dio, una Nuova Alleanza fondata non più su una Legge, scolpita nelle stelle o nelle pietre mosaiche, ma direttamente nel cuore. Si tratterebbe infatti di un’Alleanza strettamente connessa al cuore umano e dunque alla coscienza, con corrispondente responsabilità, la cui perfetta conoscenza appartiene unicamente a Dio.
La Chiesa infatti, pur consapevole della legittimità della propria autorità nelle cose esterne (de externis), non ha mai preteso, né poteva farlo, di sostituirsi nel giudizio sulle cose interne (de internis) che appartengono unicamente a Dio. La sua missione, ed essa ne è da sempre consapevole, è quella di informare e formare le coscienze, appunto, ma non di sostituirsi ad esse.
Una maggiore riflessione sul Dio Trinitario riflesso, come direbbe sant’Agostino, nella struttura stessa dell’uomo, permetterebbe probabilmente anche un’analoga maggiore consapevolezza di quel mistero ineffabile che avvolge lo spirito dell’uomo, impenetrabile a tutti e conosciuto soltanto dallo Spirito di Dio. Ne risulterebbe anche una altrettanto maggiore attenzione a restare in punta di piedi, delicati, rispettosi e silenziosi, di fronte al mistero che avvolge una relazione umana; non solo, ma sarebbe proprio questa confessione dell’inevitabilità di restare fuori, con timore e tremore, da quella relazione d’amore, la migliore testimonianza della nostra fede nell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo manifestata nella indicibilità misteriosa della comunione.
Accanto a questo bisognerebbe poi approfondire l’altro mistero principale della nostra fede con preciso riferimento alla conquista del Concilio di Calcedonia (451) che invitava a non finire mai nel cosiddetto monofisismo, né a cedere al cosiddetto nestorianesimo, inteso come uno sdoppiamento della persona, né a confondere la natura umana con la natura divina in una sorta di miscuglio, ma a confessare sempre la presenza, nell’unica Persona del Verbo Incarnato, della perfetta natura divina e della perfetta natura umana.
E questo senza dimenticare che si tratta, ancora una volta, appunto di mistero indicibile e incoercibile a qualunque tentativo di risolverlo imbrigliandolo dentro i confini ristretti di una Legge, ritenuta magari la più perfetta e logica possibile, e tuttavia sempre inadeguata, per definizione, a dare ragione di ciò che si nasconde in ogni essere umano e in ogni relazione che sta all’origine della comunione, di un singolo essere umano, con Dio e con il prossimo.
Sommario. L’Ipotesi da cui parte l’A. è che, anche a proposito del sacramento del matrimonio, possa essere importante riferirsi: da una parte all’immagine (eikona nel senso di “già” e “non ancora”), permanente nella Chiesa, dei due Misteri principali della fede, e quindi alla Triadologia e alla Cristologia; dall’altra all’ipotesi di una appartenenza di Gesù di Nazareth alla corrente degli Enochichi (Esseni Moderati) che si riferivano sia alla Legge incisa nelle stelle, sia alla Legge scritta/orale promulgata da Mosè.
Questa ipotesi imporrebbe una maggiore attenzione al dibattito sull’autorità e autorevolezza delle due Leggi, tenendo conto soprattutto della misericordia.
Un altro suggerimento dell’A. È quello di leggere il testo di Mt 19, 3-12 alla luce dell’insieme del Discorso della montagna e soprattutto del versetto di Mt 5, 17, da cui risulterebbe una concordia tra l’accondiscendenza di Mosè e la misericordia evidenziata dall’insegnamento di Gesù, venuto non per abolire la Legge, ma per darle pieno compimento.
A tutto questo l’A. aggiunge la constatazione che Matteo distingue l’essere nel regno dei cieli dal non entrarci affatto. Da cui la necessità di interpretare il “ma io vi dico” di Mt 19, 9 in linea con gli altri “ma io vi dico” presenti nel Discorso della montagna, evidenziando la natura dinamica del passaggio dalla “littera” allo “spiritus” intrinseco alle parole di Gesù, che non contrappone le due Leggi, ma orienta a superarle entrambe per passare dallo “skopòs” al “telos”, inteso fin dal principio da Dio Creatore, che è anche Dio Redentore, tenendo realisticamente conto dell’uomo, criterio ermeneutico per eccellenza dell’insegnamento di Gesù di Nazaret
p. Guido Innocenzo Gargano
Il saggio, con 12 note, è stato pubblicato in “Urbaniana University Journal” 3/2014, intitolato “Il mistero delle nozze cristiane: tentativo di approfondimento biblico-teologico”.
L’autore, monaco camaldolese, biblista e patrologo, insegna alla Pontificia Università Urbaniana e al Pontificio Istituto Biblico.
www.urbaniana.press/articolo/il-mistero-delle-nozze-cristiane-tentativo-di-approfondimento-biblico-teologico/428
E’ stato ripubblicato dalla Rivista “Matrimonio, in ascolto delle relazioni d’amore” quaderno n. 28 con il titolo “Giustizia e misericordia nelle parole di Gesù sul matrimonio” Anno XL –n. 1 –marzo 2015
https://rivista-matrimonio.org/images/filespdf/Quaderni/Quaderno_28%201-2015-Gargano.pdf
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CONSULTORI FAMILIARI CATTOLICI
CFC diocesano “Conversano-Monopoli Seminario sulla consulenza familiare a indirizzo pastorale
www.govserv.org/IT/Alberobello/249360938582494/OdV-ESAS-Consultorio-Familiare-Diocesano—Alberobello
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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM
Mantova. Ciclo di incontri per genitori di adolescenti
Presso il nostro Consultorio da tempo alcuni operatori avevano pensato all’utilità di uno spazio in cui i genitori, in particolare i genitori di adolescenti, potessero incontrarsi e confrontarsi sulle problematiche tipiche della fase evolutiva dei loro figli. Ciò in conseguenza ad un’osservazione ormai comune: negli ultimi decenni la struttura sociale e culturale è molto cambiata nella direzione di una maggiore complessità e diversificazione delle strade potenzialmente percorribili. Inoltre, oggi più di ieri i genitori, le famiglie, vivono spesso un senso di isolamento di fronte alle varie problematiche da affrontare. Sino a pochi decenni fa il figlio del fornaio avrebbe fatto il fornaio, il figlio dell’agricoltore avrebbe fatto l’agricoltore e la formazione reale della persona si sviluppava prevalentemente con l’osservazione e l’emulazione dei genitori nel tempo. Oggi questa situazione non è più la realtà. Nell’attuale contesto non è facile essere genitori ed affiancare i figli nel loro sviluppo.
Questo lo si osserva quotidianamente in Consultorio, nei nostri studi e nella vita. Queste osservazioni hanno stimolato in alcuni operatori del Consultorio l’idea di avviare un progetto di supporto ai genitori di adolescenti, svincolato dalla dimensione clinica. Uno spazio per dei genitori dove confrontarsi su tematiche tipiche della loro fase. Dopo una prima esperienza attivata a cavallo tra il 2018 ed il 2019, presso il nostro Consultorio c’è stato un contatto con l’attuale Amministrazione Comunale nella veste del Sindaco Mattia Palazzi e dell’Assessore alle politiche per la Famiglia e la Genitorialità Chiara Sortino.
Quest’Amministrazione, interessata a sviluppare un coordinamento delle politiche per la Famiglia, ha apprezzato il nostro operato e deciso di contribuire a svilupparlo. Con il sostegno datoci abbiamo intrapreso un altro progetto. Abbiamo scelto la formula degli incontri a cadenza quindicinale per un totale di 8 incontri. Gli incontri tematici, predefiniti in base a quanto emerso nell’esperienza precedente, sono stati coordinati da due operatori del consultorio, psicologi-psicoterapeuti, esperti nelle relative tematiche. Le tematiche individuate sono:
a) Incontro di conoscenza e presentazione
b) Nuove tecnologie e social
c) La sessualità
d) Gestione degli orari e regole, Il bisogno di autonomia
e) Le amicizie
f) Il bullismo
g) Sulle dipendenze
h) Conflitto tra modelli educativi.
Durante gli incontri dopo una breve introduzione sulla tematica veniva dato spazio al gruppo dei partecipanti e gli incontri che sono risultati sempre molto dinamici e partecipati. Ognuno si è sentito accolto e libero di esprimere il proprio pensiero, le proprie preoccupazioni e di confrontarsi con altri. Alla fine è emerso il desiderio di poter proseguire l’esperienza. Un ringraziamento, quindi all’Amministrazione Comunale di Mantova che ci ha sostenuto in questo progetto oltre che alle mamme ed ai papà che, in questa esperienza, si sono messi in gioco e, vistane, la positività esprimiamo l’intenzione di continuare a promuovere questo tipo di eventi presso il nostro Consultorio.
Chiara Cometa e Giuseppe Cesa psicologi, psicoterapeuti
Pag.19 www.consultorioucipemmantova.it/consultorio/index.php/pubblicazioni/etica-salute-famiglia/151-etica-salute-famiglia-anno-xxiii-n-05-ettembre-2019
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DALLA NAVATA
XXIII Domenica del tempo ordinario – Anno C – 8 settembre 2019
Sapienza 09, 17. Chi avrebbe conosciuto il tuo volere, se tu non gli avessi dato la sapienza
Salmo 89, 12. Insegnaci a contare i nostri giorni e acquisteremo un cuore saggio.
Filèmone 10, 14. Ma non ho voluto fare nulla senza il tuo parere, perché il bene che fai non sia forzato, ma volontario
Luca 14, 27 Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.
Rinunciare a ciò che ci impedisce di volare
Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, sua madre… e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Gesù non instaura una competizione di sentimenti per le sue creature, perché sa che da questa ipotetica gara di emozioni non uscirebbe vincitore, se non presso pochi eroi o santi, dalla fede di fiamma. Ci ricorda invece che per creare un mondo nuovo, quello che è il sogno del Padre, ci vuole una passione forte almeno quanto quella degli amori familiari.
È in gioco un nuovo modo di vivere le relazioni umane: mentre noi puntiamo a cambiare l’economia, Gesù vuole cambiare l’uomo. Lo fa puntando tutto sull’amore, e con parole che sembrano eccessive, sembrano cozzare contro la bellezza e la forza degli affetti, perché la felicità di questa vita non sappiamo dove pesarla se non sul dare e sul ricevere amore. Ma il verbo centrale su cui poggia la frase è: se uno non «ama di più». Allora non di una sottrazione si tratta, ma di una addizione. Gesù non sottrae amori, aggiunge un «di più». Il discepolo è colui che sulla bellezza dei suoi amori stende una più grande bellezza. E il risultato non è una sottrazione ma un potenziamento, non una esclusione ma una aggiunta: Tu sai quanto è bello dare e ricevere amore, quanto contano gli affetti della famiglia, ebbene io posso offrirti qualcosa di ancora più bello e vitale. Gesù è la garanzia che i tuoi amori saranno più vivi e più luminosi, perché Lui possiede la chiave dell’arte di amare.
Seconda condizione: Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me… La croce: e noi la pensiamo metafora delle inevitabili difficoltà di ogni giorno, dei problemi della famiglia, di una malattia da sopportare, o addirittura del perdere la vita. In realtà la vita si perde come si spende un tesoro: donandola goccia a goccia. Per cui il vero dramma non è morire, ma non avere niente, non avere nessuno per cui valga la pena spendere la vita. Nel Vangelo la croce è la sintesi dell’intera storia di Gesù: amore senza misura, disarmato amore, coraggioso amore, che non si arrende, non inganna e non tradisce. Prendi su di te una porzione grande di amore, altrimenti non vivi; prendi la porzione di dolore che ogni amore comporta, altrimenti non ami.
Terza condizione: chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo. Perché la tua vita non dipende dai tuoi beni, «un uomo non vale mai per quanto possiede, o per il colore della sua pelle, ma per la qualità dei suoi sentimenti. Un uomo vale quanto vale il suo cuore» (Gandhi). Gesù chiede sì una rinuncia, ma a ciò che impedisce il volo. Chi lo fa, scopre che «rinunciare per Te è uguale a fiorire» (Marina Marcolini).
Padre Ermes Ronchi, OSM 8 settembre 2019
www.qumran2.net/parolenuove/commenti.php?mostra_id=46565
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ENTI TERZ0 SETTORE
Dati sensibili trattati da associazioni, terzo settore, scuole…
Le prescrizioni del Garante della Privacy sul trattamento
Dopo il primo contributo dedicato ai trattamenti di dati sensibili nei rapporti di lavoro, affrontiamo le parti del provvedimento del Garante del 5 giugno 2019 (G.U. n. 176 del 29.07.2019) che disciplinano il trattamento di questa categoria di dati personali da parte di associazioni e investigatori privati.
www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/9124510
Nel primo caso, in realtà, il campo dei soggetti interessati è più vasto del mondo dell’associazionismo: ci sono le associazioni non riconosciute (tra cui in primis partiti, sindacati e associazioni di categoria, anch’essi evidentemente soggetti privati) ma vi figurano, per esempio, anche i patronati, i numerosi protagonisti del cosiddetto “terzo settore”, nonché chiese, associazioni e comunità religiose. E’ uno spaccato della società che si può in gran parte ricondurre sotto l’etichetta dei ‘corpi intermedi’, attorno ai quali talvolta si sono percepite come secondarie le problematiche correlate ai trattamenti di dati personali, come se esse dovessero riguardare soprattutto o soltanto imprese e pubblica amministrazione.
(…) investigatori.
Associazioni. Prescrizioni relative al trattamento di dati sensibili da parte degli organismi di tipo associativo, delle fondazioni, delle chiese e associazioni o comunità religiose
- Ambito di applicazione (tipologie di Titolari cui è diretto il provvedimento)
- Tipologie di interessati
- Finalità del trattamento
- Prescrizioni specifiche
Ambito di applicazione. Tipologie di Titolari cui è diretto il provvedimento:
- Associazioni anche non riconosciute, partiti e movimenti politici, associazioni/organizzazioni sindacali, patronati e associazioni di categoria, casse di previdenza, organizzazioni del terzo settore (tra cui quelle assistenziali e di volontariato) ed eventuali confederazioni di tali soggetti, fondazioni, comitati e i vari enti, consorzi, organismi senza scopo di lucro, dotati o meno di personalità giuridica, ivi comprese le Onlus;
- Cooperative sociali e società di mutuo soccorso;
- Istituti scolastici, limitatamente al trattamento dei dati che rivelino le convinzioni religiose e per le operazioni strettamente necessarie per l’applicazione degli articoli relativi al diritto di avvalersi o meno di insegnamenti religiosi;
- Chiese, associazioni o comunità religiose.
Tipologie di interessati. Gli interessati si distinguono nelle seguenti tipologie:
a) Associati, soci e, se strettamente indispensabile nell’ambito delle finalità perseguite, i relativi familiari e conviventi;
b) Aderenti, sostenitori o sottoscrittori, persone che presentano richiesta di ammissione/adesione o che hanno contatti regolari con enti e organizzazioni di tipo associativo, fondazioni, chiese e associazioni o comunità religiose;
c) Soggetti che ricoprono cariche sociali o onorifiche;
d) Beneficiari, assistiti e fruitori/utenti delle attività/servizi prestati dalle associazioni o da enti e organizzazioni di tipo associativo, fondazioni, chiese e associazioni o comunità religiose (limitatamente agli interessati individuabili in base allo statuto o all’atto costitutivo o in ogni caso alle persone per cui i Titolari di cui al punto Ambito di applicazione possono operare in base ad una previsione normativa);
e) Studenti iscritti o che hanno presentato domanda di iscrizione agli istituti scolastici ovvero, se minori, i loro genitori o chi ne esercita la potestà;
f) Lavoratori dipendenti degli associati e dei soci, limitatamente ai dati idonei a rivelare l’adesione ad associazioni/organizzazioni sindacali e alle operazioni necessarie per adempiere a specifici obblighi derivanti da contratti collettivi, anche aziendali.
Finalità del trattamento. I dati sensibili sono trattati per il perseguimento di scopi determinati e legittimi individuati dalla legge, dall’atto costitutivo, dallo statuto o dal contratto collettivo, ove esistenti; e in particolare per il perseguimento di finalità culturali, religiose, politiche, sindacali, sportive o agonistiche di tipo non professionistico, di istruzione anche con riguardo alla libertà di scelta dell’insegnamento religioso, di formazione, di patrocinio, di tutela dell’ambiente e delle opere d’interesse artistico e storico, di salvaguardia dei diritti civili, di beneficenza, assistenza sociale o socio-sanitaria.
Il trattamento dei predetti dati può anche eseguirsi:
- Per far valere o difendere un diritto anche da parte di un terzo in sede giudiziaria, nonché in sede amministrativa o nelle procedure di arbitrato e di conciliazione;
- Per l’esercizio del diritto di accesso ai dati e ai documenti amministrativi, nei limiti di quanto stabilito dalle leggi e dai regolamenti in materia, salvo quanto previsto dall’art. 60 del codice [D.Lgs. 196/2003, art. 60 (Dati relativi alla salute o alla vita sessuale o all’orientamento sessuale)];
- Per la tenuta di registri e scritture contabili, di elenchi, di indirizzari e di altri documenti necessari per la gestione amministrativa di enti e organizzazioni di tipo associativo, fondazioni, chiese e associazioni o comunità religiose nonché per l’adempimento di obblighi fiscali ovvero per la diffusione di riviste, bollettini e simili
Qualora i Titolari, di cui al punto Ambito di applicazione si avvalgano di persone giuridiche, organismi con scopo di lucro o liberi professionisti per perseguire le predette finalità, gli stessi possono effettuare il trattamento dei dati in questione. Detti Titolari possono comunicare alle persone giuridiche e agli organismi con scopo di lucro sopra indicati (qualora questi ultimi si configurino quali titolari di un autonomo trattamento) i soli dati particolari strettamente indispensabili per le attività di effettivo ausilio alle predette finalità, con particolare riferimento alle generalità degli interessati e a indirizzari, sulla base di un atto scritto che individui con precisione le informazioni comunicate, le modalità del successivo utilizzo e le particolari misure di sicurezza adottate. L’informativa da rendere agli interessati deve porre tale circostanza in particolare evidenza e deve recare la precisa menzione dei Titolari del trattamento e delle finalità da essi perseguite.
Le persone giuridiche e gli organismi con scopo di lucro possono trattare i dati così acquisiti solo per scopi di ausilio alle finalità predette, ovvero per scopi amministrativi e contabili.
Prescrizioni specifiche. I dati personali riferiti agli associati/aderenti possono essere comunicati agli altri associati/aderenti anche in assenza del consenso degli interessati, a condizione che la predetta comunicazione sia prevista – nell’ambito dell’autonomia privata rimessa a ciascun ente – dall’atto costitutivo o dallo statuto per il perseguimento di scopi determinati e legittimi e che le modalità di utilizzo dei dati siano rese note agli interessati in sede di rilascio dell’informativa ex art. 13.
Comunque, in ossequio ai principi di necessità, finalità e minimizzazione e in conformità alle eventuali disposizioni interne dell’ente, in presenza di profili esclusivamente personali riferiti agli associati/aderenti, debbono adottarsi tutte le misure per prevenire un’indebita comunicazione di dati personali a soggetti diversi dal destinatario. Le eventuali operazioni di comunicazione e/o diffusione dei dati relativi agli associati/aderenti debbono concernere dati strettamente pertinenti alle finalità perseguite ed essere precedute:
- Da una informativa che indichi, oltre al resto e in particolare, la tipologia di destinatari e le finalità di tali operazioni;
- Dall’acquisizione del consenso degli interessati.
I dati particolari possono essere comunicati alle autorità competenti per finalità di prevenzione, accertamento o repressione dei reati, con l’osservanza delle norme che regolano la materia.
È vietata la diffusione dei dati relativi alla vita sessuale o all’orientamento sessuale, fermo restando quanto previsto dall’art. 2-septies, comma 8 (cioè essendo vietata in ogni caso anche la diffusione di dati genetici, biometrici e relativi alla salute), nonché le prescrizioni relative al trattamento dei dati genetici.
www.altalex.com/documents/news/2019/09/13/dati-sensibili-scuole-chiese-terzo-settore-come-trattarli
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FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI
De Palo: «Avanti con la famiglia, il governo pensi all’assegno unico per figlio»
«Serve la volontà politica, perché le risorse per le famiglie con figli ci sono». Il punto sul da fare è chiaro, l’assegno unico per figlio, sintetizza il presidente del Forum della associazioni familiari Gianluigi De Palo. Che ricorda al nuovo esecutivo cifre e scadenze per arrivare a una misura, messa nero su bianco nel programma Pd-M5s, che può far ripartire natalità ed economia.
Conosce il nuovo ministro?
No. E questo da un certo punto di vista è un bene, perché ciò che si sa delle persone spesso impedisce di conoscerle, si parte con i preconcetti. Per me uno vale l’altro. In questo periodo abbiamo talmente lavorato con le forze di governo, Lega e M5s, ma anche con il Pd, Forza Italia e Fratelli d’Italia, che il tema è ormai molto chiaro, al di là dell’alternarsi dei governi: l’assegno per figlio. Non ci sono altre soluzioni. Serve solo la volontà politica. Noi saremo un pungolo su questo.
Tra i 29 punti del programma l’assegno unico è citato espressamente.
È una vittoria del Forum che ha inserito il tema all’ordine del giorno, superando il Fattore famiglia. Ed è il grande frutto dell’interlocuzione con tutti i partiti che ricordavo. Ne ho parlato con Zingaretti, Di Maio e diversi esponenti di Pd e M5s. Ho ricordato ai leader che non potevano non essere d’accordo, perché entrambi si erano espressi a favore. Il Pd l’aveva proposto con Lepri. Anche il discorso di Di Maio sul miliardo che c’era e non c’era andava in quella direzione. Era ed è un punto di contatto reale su cui fare squadra, piuttosto che su temi etici divisivi.
Quale il primo passo da fare nella manovra?
Una cosa semplice, concreta. Non si può perdere un altro anno. Se accadesse, sarebbe il primo fallimento di questo governo. Le risorse già ci sono. Bisogna solo avere la forza di unificare ciò che al momento è sparpagliato. Il primo step sono 150 euro al mese a figlio per il primo anno. Ci sono 6 miliardi degli assegni familiari, 2 dei vari bonus. La cosa un po’ più difficile è ricalibrare gli 80 euro di Renzi – in tutto 10 miliardi – tenendo conto dei carichi familiari. Sono 18 miliardi, da dividere tra 10 milioni di minori sotto i 18 anni.
E in prospettiva?
Si possono aggiungere i 12-15 miliardi di detrazioni, per arrivare a 30 miliardi. Così l’assegno può lievitare a 250 euro al mese per figlio fino a 18 anni. Fin qui sono misure a costo zero. Dopo il terzo anno, con un’adeguata programmazione, si possono mettere risorse aggiuntive per coprire anche i figli da 0 a 26, purché in regola con gli studi.
Cosa significano questi aiuti per il Paese?
Sono soldi che non saranno messi sotto il materasso, ma in circolo nell’economia. Non solo, si rimette in moto la natalità. La manovra dà risorse anche ai giovani precari o a partita Iva. Quelli che potrebbero fare figli e che oggi sono lasciati a loro stessi.
Un denso passaggio nel programma è dedicato alla disabilità.
Meno male. I disabili sono i veri discriminati. Lo dico da papà di un bimbo disabile. In questi casi abbiamo proposto di calibrare l’assegno con risorse in più.
Lei ha parlato di governi che vanno e vengono. Quale l’eredità dell’esecutivo giallo-verde?
Ha fatto passare un linguaggio, un’impostazione, una mentalità. Posto che non è stato fatto niente di più rispetto al governo ancora precedente, il tema della famiglia, a livello di “narrazione”, è passato. C’è stata attenzione sull’assegno per figlio e sulla natalità. Il vero problema è che i governi devono durare più di un anno.
Gianni Santamaria Avvenire…5 settembre 2019
www.avvenire.it/attualita/pagine/avanti-su-famiglia-appello-a-nuovo-governo
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GENITORIALITÀ
Genitori separati e religione figli
Corte di Cassazione, prima Sezione civile, ordinanza n. 21916, 30 agosto 2019
Figli di coppie separate: la battaglia dei genitori non si limita più solo ai soldi per il mantenimento. Tra le cause che la cronaca giudiziaria ci consegna, ci sono adesso anche le liti per la dieta vegana e la religione. Che succede se un genitore cerca di indottrinare il figlio verso un credo diverso da quello professato dall’altro? Si può, ad esempio, convincere il figlio a frequentare i testimoni di Geova, a divenire musulmano, mormone o protestante? Si può addirittura convincerlo all’ateismo o, viceversa, battezzarlo in barba a quanto vorrebbe l’altro genitore che, invece, non aderisce alla dottrina cattolica?
I rapporti tra genitori separati e religione dei figli sono stati al centro di una recente ordinanza della Cassazione. Nel caso di specie, il padre era cattolico e la madre testimone di Geova. Quest’ultima, affidataria del bambino, aveva provato ad avvicinarlo alle riunioni della congrega. È stato, però, necessario l’intervento del giudice per ascoltare il ragazzo e valutare qual è la soluzione migliore per evitargli ripercussioni psico-fisiche negative.
Ebbene, secondo la Corte Suprema, il giudice non può vietare al genitore di avviare il figlio a un’altra religione anche se non ha il consenso da parte dell’ex ed anche se il piccolo è stato già battezzato. Il solo fatto che l’appartenere a un diverso credo rispetto a quello “popolare” – orientato verso il cattolicesimo – potrebbe avere come conseguenza delle difficoltà di inserimento nel tessuto sociale in Italia, non basta a giustificare il divieto alla conversione.
Anche la scelta della religione per i minorenni deve seguire le inclinazioni dei figli ed il loro bene. Dunque, è solo osservando questi ultimi e ascoltandoli – cosa che può fare solo il giudice – è possibile comprendere se si pone effettivamente per lui un pregiudizio. Se così dovesse essere si potrebbe allora imporre il divieto di abbracciare la diversa fede.
Nelle importanti motivazioni della pronuncia della Cassazione, si legge, infatti ,che la possibilità di adottare simili provvedimenti restrittivi alla conversione, in presenza di una situazione di conflitto fra i due genitori che intendano entrambi trasmettere la propria educazione religiosa (e non siano in grado di rendere compatibile il diverso apporto educativo derivante dall’adesione a un diverso credo religioso), non può essere disposta dal giudice sulla base di un’astratta valutazione delle religioni cui aderiscono i genitori. Non si può, del resto, esprimere neanche un giudizio di valore sulle religioni, stabilendo se una è migliore o più importante dell’altra: giudizio che sarebbe precluso al giudice dalle libertà di espressione religiosa che ci è stata consegnata e trasmessa dai padri costituenti e che si trova formalizzata nella nostra stessa Costituzione.
Insomma, non esistono religioni di serie A e religioni di serie B. Né la possibilità di una comparazione tra le dottrine diverse dei genitori può basarsi sulla considerazione dell’adesione successiva di uno dei due a una religione diversa rispetto a quella che, precedentemente, era seguita e praticata da entrambi e che, originariamente, è stata trasmessa al figlio o ai figli come religione comune della famiglia perché tale criterio astratto lederebbe il mantenimento di un rapporto equilibrato e paritario con entrambi i genitori rimanendo insensibile alle scelte di vita in divenire dei genitori.
Risultato: se mamma e papà oramai separati litigano anche sull’educazione religiosa del figlio, allora è necessario che intervenga il giudice per fare chiarezza. Obiettivo principale, però, è evitare conseguenze pregiudizievoli per la salute psico-fisica del ragazzo e, per questo, è fondamentale un confronto diretto con lui.
Illegittime, invece, le valutazioni – che sono strettamente personali e private – sulle religioni dei due genitori, e privo di significato è anche il richiamo al fatto che moglie o marito abbiano aderito successivamente a una fede diversa da quella precedentemente seguita in coppia e trasmessa alla prole.
Ne deriva che la possibilità da parte del giudice di adottare provvedimenti contenitivi o restrittivi dei diritti individuali di libertà dei genitori in tema di libertà religiosa e di esercizio del ruolo educativo può dipendere solo dall’accertamento, caso per caso, di conseguenze pregiudizievoli per il figlio che ne compromettano la salute psico-fisica e lo sviluppo. Tale accertamento non può che basarsi sull’osservazione e sull’ascolto del minore, in quanto solo così tale accertamento può essere compiuto.
Allo stesso tempo, viene anche sottolineato che mancano le ‘prove provate’ che «le pratiche religiose» della madre «siano pregiudizievoli» per il figlio. E si tratta, evidentemente, di una lacuna non secondaria… Così come non è irrilevante il fatto che non ci sia stato «l’ascolto del minore» da parte del giudice.
La Legge per tutti 5 settembre 2019 ordinanza
www.laleggepertutti.it/300055_genitori-separati-e-religione-figli
Pma coppia gay: no all’indicazione di genitore 1 e genitore 2 nell’atto di nascita
Tribunale di Agrigento, Sezione civile, 15 maggio 2019
www.quotidianogiuridico.it/~/media/Giuridico/2019/06/13/genitore-1-e-genitore-2-il-tribunale-di-agrigento-dice-no-a-una-coppia-di-donne/agrigento%20pdf.pdf
Due donne, legate da stabile relazione affettiva, decidevano di ricorrere in Danimarca alla tecnica di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo. La fecondazione veniva portata a termine da una delle due donne, il bambino, nell’atto di nascita formato dall’Ufficiale di Stato civile del Comune agrigentino, veniva registrato come figlio della signora che lo aveva partorito, la quale era indicata come madre, e come figlio della compagna, menzionata come padre. Successivamente, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Agrigento presentava un ricorso chiedendo di procedere alla rettifica dell’atto di nascita ai sensi dell’art. 95 DPR n. 396/2000, sostituendo la dicitura di madre e di padre con quella di “genitore 1” e “genitore 2”, si costituivano in giudizio le due donne, aderendo alla richiesta di rettifica avanzata dal procuratore generale.
Nessun legame genetico e biologico con il minore. Il Tribunale di Agrigento ritiene che le richieste di modifica non possano essere accolte in quanto la domanda si scontra con il principio di tipicità degli atti dello Stato civile e con il loro contenuto vincolato, come sancito dall’art. 11, comma 3, d.P.R. n. 396/2000, che prevede l’impossibilità per l’Ufficiale di Stato civile di enunciare dichiarazioni e indicazioni diverse da quelle che sono stabilite o permesse per ciascun atto.
Il Tribunale osserva come la Suprema Corte si sia più volte pronunciata sulla bigenitorialità materna, ritenendo riconoscibile in Italia l’atto di nascita straniero, validamente formato, dal quale risulti che un bambino, nato da un progetto genitoriale di coppia, è figlio di due madri, di cui una ha fornito l’ovulo per la fecondazione e l’altra ne ha consentito l’impianto nel proprio utero.
Nel caso in esame, invece, una delle due donne non ha alcun legame né genetico, né biologico col minore, pertanto, il Tribunale rigetta il ricorso, ritenendo che al genitore non biologico ma d’intenzione può essere attribuita tutela soltanto tramite l’istituto dell’adozione in casi particolari, ai sensi dell’art. 44, comma 1, lett. d), l. n. 184/1983.
Redazione Scientifica Il familiarista 04 settembre 2019 |
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GOVERNO.
Caro ministro della Famiglia, cominci dall’assegno unico
Tra i molti volti nuovi e imprevisti del Governo appena insediato spicca sicuramente quello di Elena Bonetti al Ministero Pari Opportunità e Famiglia. Ben pochi nei giorni scorsi, anche tra gli addetti ai lavori, avrebbero potuto ipotizzare il suo nome, per un incarico che è da sempre tra i più ambivalenti nelle responsabilità ministeriali. La famiglia infatti a parole è per tutti decisiva, cruciale, importante, fondamentale… soprattutto in campagna elettorale. Peccato che il dicastero ad esso dedicato sia senza portafoglio, e il budget ad esso riservato sia stato spesso appena sufficiente per l‘ordinario funzionamento delle strutture. Il primo augurio che facciamo al nuovo ministro è quindi che la famiglia non arrivi più buona ultima, nelle priorità del Governo, con risorse e scelte operative da “saldi di fine stagione”, sostenuta solo se avanza qualcosa dalle scelte (e dai rinnovati appetiti) di tutti gli altri ministeri.
In questo senso una prima opportunità è già presente tra i 29 punti (prima erano 26) del pur generico “pre-programma strategico” posto alla base del nuovo accordo politico Pd – M5S, laddove viene ipotizzata qualche azione per l’introduzione dell’assegno unico (per la famiglia o per il figlio? ad oggi non è molto chiaro, ma il tempo per fare chiarezza c’è). Questa proposta in questi ultimi mesi aveva raccolto consenso trasversale in quasi tutti i partiti, ed è promossa con tenacia e convinzione anche dal Forum delle associazioni familiari. Sarebbe una risposta concreta ad una delle principali emergenze di sistema che oggi il nostro Paese deve affrontare: quella questione demografica che ormai sta diventando sempre più un vero e proprio suicidio demografico. Però proprio questo primo nodo svela la permanente fragilità degli impegni di politica familiare e la difficoltà di “fare il ministro della Famiglia” nel nostro Paese; introdurre l’assegno unico non tocca infatti al dicastero presieduto da Elena Bonetti, ma necessita di una decisione e del placet del ministero dell’Economia e del Tesoro, di quei ministri, cioè, che negli anni scorsi continuavano a dire: “Bell’idea, sostenere le famiglie, ma non veniteci a chiedere fondi”.
Di fatto, quindi, la sfida si gioca prima di tutto nella capacità di portare la vertenza famiglia al tavolo del Consiglio dei ministri come una priorità assoluta, e non come l’ultima delle necessità del Paese (come purtroppo è troppo spesso già successo): il primo compito del ministro Bonetti quindi non sarà chiedere più risorse per il proprio dicastero, quanto piuttosto riuscire a spostare le priorità del premier Conte, inserendo la famiglia tra le priorità dell’agenda per il Paese: insieme ad altre priorità certamente importanti, come Europa, deficit di bilancio, politiche migratorie, infrastrutture, scuola, sanità, interventi per i terremotati, revisione del reddito di cittadinanza… Insieme, e non “dopo”, perché la famiglia è un “punto di vista” irrinunciabile per capire e per intervenire sulla società italiana, non è uno dei tanti “interessi particolari” che un nuovo governo deve in qualche modo saper soddisfare.
Certamente esiste poi un agenda specifica per il Ministro della Famiglia, che la impegnerà non poco, e al cui interno sarà importante attribuire le giuste priorità:
ü Il sostegno ai caregiver (con recenti buone leggi approvate ma prive di finanziamento – ahimé, si torna ancora lì…), per affrontare il crescente dramma delle famiglie che devono assistere i propri cari fragili, disabili e non autosufficienti;
ü Un deciso rilancio del sistema delle adozioni internazionali, che deve tornare ad essere un fiore all’occhiello per il nostro Paese nel contesto internazionale, dopo anni davvero tristi;
ü E ancora: far ripartire gli organi di dialogo con la società civile, come l’Osservatorio per la famiglia e l’Osservatorio sull’infanzia, perché negli ultimi mesi questo prezioso dialogo tra istituzioni e società civile si è davvero rarefatto se non quasi totalmente interrotto;
ü I due Osservatori chiamano anche due priorità, ad essi connesse: da un lato l’urgenza di rilanciare un Piano nazionale per la famiglia, che potrebbe ripartire dal Piano 2012 e dall’ultima Conferenza nazionale (Roma 2017), perché senza un disegno organico di politiche familiari continueremo a mettere solo pezze, oppure provvedimenti una tantum, solo per situazioni circoscritte. Solo in un Piano organico, ad esempio, potrebbero trovare giusta cornice il rilancio degli asili nido e un vero supporto alla conciliazione famiglia lavoro (anche qui, bisognerà pur parlare con il Ministero del Lavoro);
ü Dall’altro, rispetto al tema dell’infanzia, ripartire dall’Osservatorio potrebbe anche servire per non dimenticare l’urgenza di rivedere l’intero sistema della tutela dell’infanzia ferita, perché i fatti di Bibbiano non si ripetano, ma anche perché su questi fatti non venga delegittimato un intero mondo di accoglienza e solidarietà, di tante famiglie, associazioni, comunità.
La lista è incompleta: però sono priorità sicure, bisogni concreti, condizioni di fatica che segnano la vita di centinaia di migliaia di famiglie (e di giovani che vorrebbero fare famiglia), che chiedono risposte concrete e rapide. Senza farsi affascinare da temi e dibattiti su “altri diritti”, apparentemente moderni e politicamente corretti, ma che alla prova dei fatti si sono rivelati “di nicchia”, come la legislazione sulle unioni civili, per anni al centro di un dibattito politico e sociale gigantesco, per poi essere utilizzata da poche migliaia di persone. Oppure come il falso “diritto ad avere un figlio”, che rende assoluto il desiderio degli adulti, anziché proteggere la crescita dei bambini, fino alla drammatica deriva dell’utero in affitto. Mentre milioni di giovani non riescono a sposarsi, e milioni di genitori combattono quotidianamente per arrivare a fine mese, impoveriti solo perché hanno deciso di accogliere un figlio in più nella loro vita.
Caro ministro Bonetti, auguri di buon lavoro
Francesco Belletti Famiglia cristiana 6 settembre 2019
www.famigliacristiana.it/articolo/famiglia-la-nostra-agenda-per-il-nuovo-ministro.aspx
Elena Bonetti, la nuova ministra per la Famiglia. Esordio da record, già sotto l’attacco di Pillon
La nomina della docente universitaria è fra quelle che segna una maggiore discontinuità con il precedente esecutivo. Elena Bonetti, quarantacinquenne, mantovana, matematica, docente universitaria di analisi, è la nuova ministra per le Pari opportunità e la Famiglia del governo giallorosso. La sua nomina è fra quelle che segnano un segnale più forte di discontinuità con il precedente esecutivo che vedeva Lorenzo Fontana titolare del medesimo dicastero. Nel 2014, infatti, Bonetti firmò un appello, insieme al sacerdote Don Andrea Gallo, per chiedere allo Stato di riconoscere le unioni fra le persone dello stesso sesso e alla Chiesa di rivedere le proprie posizioni perché, si legge nello stesso appello, «tutti abbiamo il diritto di amare e di essere amati».
Matteo Renzi, che ha un passato nell’Agesci come Bonetti, nel 2017 la volle nella segreteria nazionale del Pd. Una scelta che sorprese, visto che Bonetti, era una docente senza esperienza politica. Iscritta da poco nel Pd, ammise che non si aspettava di essere investita del ruolo: «Mi è sembrata una proposta sproporzionata – dichiarò – ma ha prevalso la voglia di provare». «Credo che stia a significare la volontà di aprire tutte le porte al mondo giovanile – aggiunse – alle associazioni che a questo mondo si rivolgono e ai valori di cui sono portatrici».
Nella sua biografia, consultabile sul sito del Partito Democratico, si legge: «Nella ricerca ho imparato che si cresce se si gioca in squadra. La passione educativa e il desiderio di accompagnare le giovani generazioni ad essere buoni cittadini, capaci di contribuire a scrivere una storia bella e generativa per la nostra comunità, trovano le radici nel mio cammino scout – aggiunge – Su questa strada ho imparato la bellezza del camminare insieme, la felicità e la pienezza che nascono dal servizio, il coraggio di dire sì, la chiamata a lasciare il mondo migliore di come l’abbiamo trovato».
Sulla sua pagina personale Facebook ha commentato così ieri la nomina a ministro: «Considero la politica come servizio. Sarà un onore domani giurare al Quirinale. Farò del mio meglio per garantire a tutte e tutti pari opportunità e fare delle famiglie il pilastro della comunità. Buona strada a tutti noi!»
Arriverà al ministero però già nel mirino degli avversari politici. Simone Pillon, infatti, senatore leghista e noto per le sue posizioni a difesa della “famiglia tradizionale” (oltre che promotore del decreto che porta il suo nome) è andato subito all’attacco del neo ministro Bonetti. Sempre attraverso Facebook ha scritto: «La lobby LGBT festeggia la nomina di Elena Bonetti al ministero della famiglia, rievocandola tra gli autori della “carta del coraggio” che nel 2014 consegnò una parte significativa dello scoutismo cattolico italiano alle posizioni LGBT friendly di Renzi e delle sue unioni civili. Gli attivisti già chiedono la legge sull’omofobia per chiudere definitivamente la bocca a chi vorrebbe fermare la dittatura gender. E questo, onestamente, mi pare un pessimo inizio»
Alessandro Parodi Open on line 5 settembre 2019
www.open.online/2019/09/05/elena-bonetti-la-nuova-ministra-per-la-famiglia-esordio-da-record-gia-sotto-lattacco-di-pillon
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OMOFILIA
Il ricercatore. Andrea Ganna: omosessualità ben oltre la genetica
«Non esiste ‘un solo gene dell’omosessualità’. Cioè un gene con un effetto elevato. Ma ce ne sono molti, con effetti molto ridotti. Anche messi tutti assieme questi geni non possono determinare l’orientamento sessuale. In totale spiegano il 25% della variabilità nell’orientamento sessuale. In linea con altri tratti comportamentali». Lo racconta Andrea Ganna, italiano, che ha coordinato il lavoro di un’equipe internazionale presso il Broad Institute di Mit e Harvard, negli Stati Uniti. Gli scienziati hanno lavorato per mesi con l’obiettivo di realizzare il più ampio studio genetico sul tema, grazie a un campione di oltre mezzo milione di persone presenti in due grandi banche genetiche, la britannica Uk Biobank e la statunitense 23andMe. «È stato realizzato così uno screening di tutto il genoma, esaminando milioni di marcatori genetici per vedere quali potessero essere associati al comportamento sessuale delle persone», spiega il ricercatore che nel frattempo è passato al Laboratorio europeo di biologia molecolare a Helsinki.
Qual era il vostro obiettivo?
Sappiamo che la genetica non è l’unico fattore che influenza il comportamento, l’identità o l’orientamento sessuale. La sessualità umana, come altri tratti umani, è il frutto di un complesso mix di fattori genetici, influenze ambientali ed esperienze di vita. Il nostro scopo era utilizzare le informazioni genetiche per comprendere meglio il comportamento omosessuale. Volevamo capire in che misura le differenze tra il comportamento sessuale delle persone si possono spiegare con i marcatori del Dna. Inoltre volevamo comprendere meglio la complessità dell’orientamento sessuale, esplorando le differenze genetiche tra femmine e maschi; tra comportamento, attrazione e identità; e tra diversi comportamenti sessuali.
Dallo studio emergono cinque variabili genetiche che, a vostro parere, risultano legate in modo statisticamente significativo all’omosessualità, ma di cui ancora non si conosce bene la funzione. Che significato attribuire a questi dati?
È importante ricordare che le varianti genetiche da sole non definiscono il comportamento sessuale di qualcuno. I tratti comportamentali, come il comportamento e l’orientamento sessuale, sono solo parzialmente determinati da fattori genetici in natura. Sono modellati da centinaia o migliaia di varianti genetiche, ognuna con un effetto molto piccolo, ma sono anche modellate in gran parte dall’ambiente e dalle esperienze di vita di una persona. Possiamo quindi affermare con sicurezza che non esiste un singolo determinante genetico né un singolo gene responsabile del comportamento o dell’orientamento sessuale dello stesso sesso. Nella misura in cui la sessualità è influenzata dalla genetica – e sappiamo che lo è – è più probabile che siano coinvolte centinaia o migliaia di varianti genetiche. Queste varianti, insieme all’ambiente e alle esperienze, determinano risultati come il comportamento sessuale tra persone dello stesso sesso.
Sulla base dei vostri risultati la convinzione secondo cui l’orientamento sessuale è una condizione costitutiva della persona si rafforza o si indebolisce?
L’orientamento sessuale non è completamente determinato dai geni, ma non è neanche una scelta autonoma della persona. Fattori esterni e fattori genetici contribuiscono entrambi in percentuali variabili.
25%. La variabilità dell’orientamento sessuale causata dalle interazioni genetiche. Ambiente ed esperienze peserebbero quindi molto di più
500mila. Le persone che attraverso il loro patrimonio genetico, custodito in due grandi biobanche, hanno fatto parte del campione della ricerca
3,1%. Omosessuali sul totale della popolazione secondo il più vasto studio Usa (1994) sul tema. Altri studi parlano del 5-7%
C’è anche però chi la letto il vostro studio come una conferma del fatto che l’omosessualità sia un’abitudine, frutto di una scelta personale. E le scelte personali si possono cambiare quando ci si accorge di aver sbagliato. È così?
No, è sbagliato semplificare in questo modo. L’orientamento sessuale è complesso e le sue cause sono da cercare in una combinazione di molti fattori, tra cui quelli genetici.
Anche alcune comunità Lgbtq hanno puntato il dito contro la vostra ricerca sostenendo che si tratti uno studio che intende esprimere una valutazione etica.
Ma no, le nostre scoperte non dovrebbero in alcun modo essere interpretate in modo da implicare il fatto che le esperienze delle persone Lgbtq siano ‘sbagliate’ o ‘disordinate’. In realtà, questo studio fornisce ulteriori prove del fatto che i diversi comportamenti sessuali sono una parte naturale della variazione umana complessiva. La nostra ricerca intende solo migliorare la comprensione delle basi genetiche del comportamento sessuale tra persone dello stesso sesso.
Giusto affermare che nel vostro studio emerge anche una discrasia tra orientamento sessuale determinato da fattori genetici e atti sessuali?
Utilizzando i dati genetici, abbiamo trovato prove del fatto che il comportamento sessuale è una caratteristica molto complessa e che non esiste un’unica dimensione della sessualità. Abbiamo scoperto che le influenze genetiche che contribuiscono alla possibilità di avere rapporti con una persona dello stesso sesso sono in gran parte distinte dalle influenze genetiche che contribuiscono al grado di comportamento sessuale tra persone di sesso opposto. Vale a dire, la genetica suggerisce che è una semplificazione eccessiva supporre che più qualcuno è attratto da persone dello stesso sesso, meno si è attratti dal sesso opposto.
Uno dei vostri coautori, Brendan Zietsch, ha spiegato che il contributo genetico alla determinazione della sessualità riguarda al massimo un terzo o un quarto delle varie componenti. E tra le altre varianti ha parlato dell’ambiente ormonale nel grembo materno. Come agirebbero questi ormoni capaci di influenzare l’orientamento sessuale?
Questa è solo una possibilità. Ma non sappiamo esattamente come funzionano. Ed è molto difficile studiare l’ambiente ormonale nel grembo materno.
Luciano Moia Avvenire 5 settembre 2019
www.avvenire.it/attualita/pagine/omosessualit-oltre-la-genetica
www.corriere.it/cronache/19_agosto_30/andrea-ganna-ricercatore-gene-gay-ne-esiste-piu-d-uno-6e4c1750-cafa-11e9-9881-63e9a7b3e050.shtml
Il neuroscienziato Pietrini: «Omosessualità, i geni possono predisporre»
Il ruolo dei fattori genetici di suscettibilità. «Per gli antichi greci le persone con i capelli rossi, una volta morte, diventavano vampiri. Nel Medioevo i ‘rossi‘ erano frutto di rapporti avvenuti quando la donna era mestruata. E i mancini? Solo fino a pochi decenni fa venivano ‘corretti’ a scuola, obbligati ad indossare un guantino per impedire loro di impugnare la penna. Oggi le moderne tecnologie di neuroimmagine ci dicono che destrimani e mancini hanno una diversa specializzazione degli emisferi cerebrali. Forzare un mancino a diventare destrimane è una vera e propria crudeltà. Un atto contro la sua natura. Le cose stanno sostanzialmente nello stesso modo per quanto riguarda l’omosessualità. Le persone omosessuali diventano tali attraverso lo stesso processo naturale per cui gli eterosessuali diventano eterosessuali. E questo processo, quindi, non è contro natura». Parte da lontano Pietro Pietrini, neuroscienziato, psichiatra, direttore della Scuola IMT Alti Studi Lucca, per approfondire il senso della ricerca sui ‘geni dell’omosessualità’. Certo, il collegamento ‘rossi-manciniomosessuali‘ fa riflettere. Identici meccanismi di rifiuto sociale nei confronti della diversità. Identica discriminazione. «Ma di fronte ad ogni fenomeno naturale lo scienziato è portato per sua natura a chiedersi il perché. Quindi inevitabile chiedersi perché in natura esistono omosessuali, quando sappiamo che la procreazione tra due individui di sesso diverso è conditio sine qua non per la perpetuazione della specie».
Appunto professore, la scienza cosa ci dice al riguardo?
Sappiamo che le teorie sulla genesi dell’omosessualità sono tante. Non dobbiamo dimenticare che i meccanismi di selezione naturale portano a vantaggi complessivi per l’evoluzione, non necessariamente per il singolo. Alcuni studi per esempio hanno mostrato che le mamme dei gay sono più fertili, hanno meno aborti spontanei. Creare diversità e lasciar fare ai meccanismi di selezione naturale è caratteristica fondamentale dei processi di evoluzione.
Nella ricerca coordinata da Ganna, si dice che i geni potrebbero determinare al massimo il 25% della variabilità nell’orientamento sessuale. Il resto sarebbe determinato da fattori culturali e ambientali. Un quadro credibile?
Sì, questa terminologia riflette la complessità nella genetica. In alcuni casi un certo fenotipo può essere determinato da un singolo gene, in altri invece una combinazione di geni diversi può solo condizionare la possibilità che quel fenotipo si manifesti in relazione ad altri fattori ambientali. Quindi la componente genetica da sola non è sufficiente perché compaia quel fenotipo. Non esiste dunque alcuna differenza genetica rilevante tra eterosessuali e omosessuali che possa essere predittiva dell’orientamento sessuale.
Perché allora siamo diversi?
Come essere umani abbiamo tutti lo stesso genoma con circa 22mila geni, ma su questi insistono decine di milioni di varianti genetiche. Basta una variante in una piccola sequenza del Dna e si manifestano le diversità. In alcuni casi, la variazione anche di una sola lettera del Dna può causare una patologia, quelle che chiamiamo appunto patologie genetiche.
La scienza ha escluso però da tempo l’omosessualità tra i disturbi del comportamento.
Infatti, per capire le genesi dell’omosessualità dobbiamo uscire dalla patologia ed entrare nelle varianti normali. Ecco perché parliamo di fattori genetici di suscettibilità. La ricerca di Ganna ribadisce, con un fondamento statistico importante, ciò che era noto da tempo. Non c’è un singolo gene che, trovandosi in una variante diversa, determina l’omosessualità. Esistono varianti genetiche che, tutte insieme, modulano la possibilità che una persona sia omosessuale oppure eterosessuale. Non determinano l’orientamento e non sono condizione né necessaria né sufficiente per diventare omosessuali. Ma, combinandosi con fattori ambientali, culturali ed esperienziali, pongono le premesse perché questa possibilità si verifichi.
22mila. I geni di cui ciascuno di noi dispone. Le diverse combinazioni possono dare luogo a decine di milioni di varianti
22%. Fratelli di omosessuali che manifestano orientamento omosessuale. Tra i fratelli di eterosessuali solo il 4% è omosessuale
25%. La variabilità dell’orientamento sessuale causata da interazioni genetiche. Ambiente ed esperienze peserebbero quindi molto di più
Capita la stessa cosa per altre cosiddette diversità?
Sì, questo è tipico dei comportamenti complessi. Guardiamo ad esempio al comportamento sociale e antisociale. Non esiste un gene della criminalità ma ci sono geni che, nell’individuo esposto a diversi fattori ambientali, possono aprire la strada a comportamenti criminali. Non c’è dicotomia tra genetica e fattori culturali e sociali. Esiste un dialogo continuo in entrambe le direzioni. Esistono determinati geni che rendono l’individuo più permeabile all’interazione con l’ambiente. Ad esempio, chi è cresciuto in un ambiente degradato e violento, e ha determinate varianti genetiche, ha una probabilità maggiore di diventare un adulto violento o impulsivo. Alcuni geni di suscettibilità rendono più vulnerabile l’individuo, poi il resto lo fanno l’interazione con l’ambiente, le esperienze, i traumi vissuti, le relazioni.
Nella ricerca si dice anche che l’assenza di segnali genetici forti, tali comunque da escludere la possibilità di determinare da soli in modo significativo l’orientamento sessuale, non significa che tutto sia affidato a una scelta individuale. Come si conciliano queste due sottolineature?
Lo studio ha stimato la ‘responsabilità’ dei geni per il 25%. Tutto il resto è affidato a questa grande complessità. Noi non possiamo scegliere il nostro orientamento. Al massimo possiamo scegliere di ‘reprimere’, come appunto in passato hanno fatto tanti omosessuali. L’orientamento sessuale – sia in senso etero sia in senso omosessuale – è frutto di una maturazione pulsionale che vede fattori genetici combinati, come detto, a esperienze, relazioni, situazioni. E alla pubertà, così come l’eterosessuale si accorge di provare attrazione per persone dell’altro sesso, l’omosessuale prova la medesima pulsione per persone dello stesso sesso. Certo, in questa scelta siamo sempre e comunque condizionati dal nostro assetto genetico, culturale e relazionale.
Quindi, per escludere ogni dubbio, nessuno ‘sceglie’ di diventare omosessuale?
Posso scegliere di ‘non essere’ quello che sono (omosessuale) ma non posso forzarmi di essere quello che non sono. Ma se scelgo quello che non sono – sia omosessuale che eterosessuale – questa scelta rischia di essere pagata a caro prezzo. Quando ci si sforza di tacitare pulsioni che sono radicate nella persona, è quasi inevitabile lo scatenarsi di sofferenze che diventano anche traumatizzanti. Proprio perché la nostra volontà va ‘contro natura’.
Luciano Moia Avvenire 6 settembre 2019
www.avvenire.it/attualita/pagine/omosessualit-i-geni-possono-predisporre
Il teologo. Faggioni: «Omosessualità, la morale non può ignorare la scienza»
«Si tratta di una ricerca i cui risultati sono in sintonia con quanto si stava evidenziando nelle ricerche sulla genesi dell’omosessualità negli ultimi anni, ma apportano dati nuovi e ben fondati sull’importanza del dato genetico. Da anni osservazioni sui gemelli monozigoti, soggetti in pratica geneticamente identici, e sulla familiarità del comportamento omosessuale avevano attirato l’attenzione dei ricercatori. Le conclusioni del gruppo di Ganna chiariscono due cose: la prima è che non si può correlare l’orientamento omosessuale sia maschile sia femminile ad un gene particolare, ma ad alcune associazioni di geni e, in secondo luogo, che il peso del fattore genetico è dell’ordine del 20-25%. Esistono molti fattori convergenti e interagenti, prenatali e postnatali precoci, di natura organica e psichica che intervengono nella complessa definizione della identità sessuale e nella genesi dell’orientamento sessuale». Così padre Maurizio Faggioni, medico endocrinologo, bioeticista e teologo morale – è sua tra l’altro la voce ‘omosessualità’ sul recente Dizionario di teologia morale della San Paolo – riflette sulla genesi dell’omosessualità a partire dalla ricerca di Ganna.
Se nella formazione dell’orientamento sessuale solo il 20-25% sembra determinato dalla componente genetica, significa che esiste un ampio margine in cui la persona può compiere scelte autonome?
Parlare di orientamento e di comportamento omosessuale in modo univoco probabilmente non è corretto. Più rispondente alla realtà sarebbe forse parlare di ‘omosessualità’ al plurale, ma, restando sulle generali, gli elementi che giocano nella genesi dell’omosessualità sono molteplici: gli influssi genetici e gli steroidi sessuali che agiscono sull’encefalo nella vita prenatale sono fra i più rilevanti, ma non possiamo certo trascurare l’influsso delle prime esperienze del neonato e del bambino e, soprattutto, il legame che si crea con la coppia genitoriale. Questi elementi agiscono come imprinting [apprendimento di base] neuropsichici sulla mente del bambino e segnano in essa tracce profonde e durature che sono la base su cui si svolge e si sviluppa, a poco poco, la sua singolarità personale. Ricordo, a questo proposito, che l’edizione ufficiale del Catechismo della Chiesa Cattolica, riguardo alle tendenze omosessuali, le definisce correttamente e prudentemente «profondamente radicate» (CCC 2358), mentre la versione provvisoria in italiano diceva erroneamente «tendenze innate». Tornando alla domanda, bisogna dire che esistono in tutti noi fattori molto ‘antichi’ e indipendenti dalla nostra volontà che ci dispongono a sviluppare un certo orientamento sessuale e, sotto questo punto di vista, l’orientamento appare come un dato che precede le scelte concrete e, in particolare, le scelte sessuali.
Sbagliato quindi pensare che in quella percentuale di componenti culturali ed esperienziali si possa intervenire per orientare la predisposizione della omosessualità?
Diciamo subito che tutto quanto è connesso con la realtà umana è mai completamente bianco o nero perché la persona umana è multidimensionale e anche la sessualità attraversa e caratterizza la persona a tutti i livelli, fisici, psichici e spirituali (cfr. Congregazione Dottrina della Fede, Persona humana, §1. 29 dicembre 1975. Papato di Paolo VI).
www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_19751229_persona-humana_it.html
Se, dunque, è vero che un a persona non ‘sceglie‘ di essere eterosessuale oppure omosessuale, con tutte le varianti – ovviamente – che queste etichette rigide sottendono, è anche vero che le esperienze del bambino e dell’adolescente, i modelli trasmessi dalla cultura, i progetti personali hanno un ruolo non secondario nel plasmare e attuare le disposizioni date. Non possiamo dire di più allo stato delle nostre conoscenze e dobbiamo evitare i due estremi di chi ritiene che il comportamento umano sia il semplice frutto di determinismi biopsichici e chi vorrebbe, al contrario, negare questa base di determinazione previa per spiegare tutto come frutto di scelta autonoma in un vuoto assoluto di presupposti. La capacità di decisione umana emerge proprio da questo intreccio misterioso di determinazione e di indeterminazione. Riguardo alla possibilità di intervenire per modificare l’orientamento sessuale, secondo i percorsi indicati per esempio dallo psicologo americano Joseph Nicolosi, l’esperienza clinica invita a grande prudenza distinguendo le situazioni in cui la spinta omosessuale deriva da difficoltà intervenute nello sviluppo della persona che, talora, possono essere sbloccate e superate, e situazioni in cui siamo di fronte a strutture personali consolidate nelle quali un intervento di riconversione potrebbe risultare devastante, anche se il soggetto lo desidera per una qualche sua ragione.
Ma se l’orientamento omosessuale è così profondamente strutturato da risultare per niente o difficilmente modificabile, la valutazione etica non dovrebbe riconoscere questo dato?
Il discorso etico non può non tenere conto degli apporti della scienza e questo, infatti, ha portato ad un atteggiamento della morale cattolica molto più articolato e duttile rispetto alla Tradizione. In sintesi, per l’insegnamento magisteriale, l’orientamento omosessuale, in quanto non è frutto di scelta personale, ma è una condizione data, non è colpevole in sé, anche se dispone ad atti disordinati. Gli atti omogenitali sono giudicati, infatti, disordinati perché non rispondono al senso intimo della sessualità umana che è quello di esprimere l’amore coniugale fra l’uomo e la donna. La responsabilità morale per questi atti espressivi della sessualità omosessuale andrà valutata tenendo conto delle situazioni concrete della persona e del fatto che la spinta omoerotica non è il risultato di una scelta ma una condizione antecedente la scelta. Non si può presumere, però, una specie di coazione all’atto sessuale e, forte di questa persuasione, la dottrina morale cattolica chiede agli omosessuali di astenersi da atti sessuali. Non è una proposta da poco perché chiede alle persone omosessuali, al di fuori di una scelta religiosa e celibataria, di rinunciare ad una esigenza inscritta in ogni essere umano. Ben consapevole delle difficoltà della sua proposta etica, la Chiesa invita le persone omosessuali a vivere le difficoltà connesse con la loro situazione in unione alla croce del Signore (cfr. Catechismo Chiesa Cattolica §2358). www.30giorni.it/articoli_id_9737_l1.htm
Quindi l’invito del Sinodo e di Amoris lætitia all’accoglienza, al rispetto e alla benevolenza nei confronti delle persone omosessuali deve rimanere limitato all’ambito della spiritualità?
Questo è il grande nodo. Nelle discussioni preliminari al Sinodo sulla famiglia è stato sottolineato che sarebbe ingiusto non apprezzare quanti doni di sensibilità, intelligenza e generosità un credente omosessuale può offrire alla sua comunità cristiana. Non possiamo nascondere la difficoltà di mettere a fuoco la qualità antropologica di una coppia omosessuale, né i problemi morali che la pratica omogenitale comporta, soprattutto se confrontati con il paradigma di antropologia ed etica sessuale cattolica che lega la verità del linguaggio sessuale all’amore coniugale, ma non possiamo neppure negare che alcune relazioni basate su un affetto omosessuale possono esprimere valori umanamente significativi come la lealtà, l’ascolto, l’aiuto, l’oblatività. È sufficiente questo per porre analogie con l’amore coniugale? La relazione fra gli/le uguali è paragonabile a qualche livello con la comunione che si può realizzare nella diversità sessuale? La infecondità originaria della coppia omosessuale è da leggersi in prospettiva antropologica come segno di una radicale incompiutezza di essa? Sono sfide e domande che chiedono alla comunità cristiana e ai suoi pastori grande saggezza e che – mi pare evidente – non possono trovare risposte soddisfacenti nella scienza, anche se con la scienza sarà doveroso sempre più confrontarsi.
Luciano Moia Avvenire 8 settembre 2019
www.avvenire.it/attualita/pagine/omosessualit-la-morale-non-pu-ignorare-la-scienza
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PASTORALE
Padova. Discernimento per le coppie che vivono una nuova unione
v Incontri di approfondimento e confronto sulla Nota pastorale inerente il discernimento delle coppie in nuova unione.
v La Famiglia ferita accompagna la Fede dei ragazzi. Incontro di approfondimento e confronto sull’accompagnamento della fede dei bambini e ragazzi coinvolti in situazioni di separazione, divorzio o nuova unione.
v La Diocesi di Padova, in una nota pubblicata nei giorni scorsi, fornisce indicazioni pratiche per dare concretezza all’esortazione apostolica Amoris Lætitia in cui papa Francesco parla delle coppie formatesi dopo la fine del matrimonio e l’eventuale riammissione ai sacramenti. Ogni coppia avrà tempi e cammini diversi e sarà accompagnata. Il vescovo ha creato un’equipe diocesana dedicata.
La coscienza e la comunità. Nota sulle nuove unioni, dopo l’Amoris Lætitia. Tornare in comunità ora si può
Il 18 giugno 2019, festa di san Gregorio Barbarigo, è stata consegnata ai preti padovani la Nota pastorale utile alla realizzazione dell’Esortazione apostolica Amoris Lætitia di papa Francesco, in particolare il capitolo ottavo, con riferimento alle coppie che si trovano a vivere una nuova unione dopo quella matrimoniale.
Giornali e televisioni di tutto il mondo hanno spesso banalizzato il documento riducendolo alla “possibilità per i divorziati e risposati di poter fare la comunione”. La realtà – come si può intuire leggendo sia l’Amoris laetitia che la nota diocesana che si impegna ad applicarla – è ben più complessa di così.
«Finalità del testo – spiega il direttore dell’Ufficio diocesano per la pastorale della famiglia don Silvano Trincanato – è quello di indicare il modo concreto nella nostra Diocesi per corrispondere alla richiesta di L’Amoris Lætitia di aiutare quanti sono in una seconda unione a iniziare un percorso di accompagnamento con la guida di preti e laici preparati, un itinerario di verità, da percorrere sotto la luce calda e amica della misericordia di Dio, sempre immeritata, incondizionata e gratuita».
La Nota, composta di dodici brevi capitoli introdotti da una lettera del vescovo Claudio, illustra finalità e modalità del percorso, rivolto a coppie in nuova unione, basato sul discernimento individuale sostenuto da accompagnatori, da un’equipe diocesana e dalla forza della comunità. Ed è proprio qui, nell’integrazione dei fedeli nella comunità cristiana, che l’itinerario individua la sua meta. Come? «Nelle forme e nei modi che la loro coscienza, formata, accompagnata, illuminata e verificata nel confronto e nella preghiera, individuerà».
Proprio per questo, il percorso che propone la Diocesi di Padova sulla scia di Amoris Lætitia non ha come scontato traguardo finale i sacramenti, ma «ha i tratti di un itinerario di conversione per verificare le motivazioni spirituali e morali della domanda di accompagnamento; per valutare l’eventuale nullità del matrimonio; per mettere a fuoco errori e responsabilità nella rottura del legame matrimoniale; per verificare la solidità del nuovo legame e le responsabilità a esso legate».
Il discernimento non sarà esterno all’individuo, ad esempio «nella persona del vescovo o del prete», ma, spiega don Silvano Trincanato, «la coscienza stessa delle persone in nuova unione a cui si affiancano una o più persone, sotto la supervisione di un’equipe e la guida del vescovo». Non un’autocertificazione dunque, ma «un percorso spirituale molto esigente, che si basa sull’ascolto della Parola di Dio e il rapporto con la propria coscienza. Un passaggio non indifferente – sottolinea il direttore dell’Ufficio diocesano per la famiglia – che chiede grande correttezza e formazione, affinché la coscienza delle persone possa scegliere in verità, alla luce della Grazia».
Ogni percorso farà storia a sé, con modalità, tempi e contenuti diversi, “cuciti addosso” alle coppie in nuova unione, alla loro storia e alle loro esigenze particolari. «La scelta di un accompagnamento in equipe, grazie a un gruppo di laici e preti individuato dal vescovo – precisa don Silvano Trincanato – può sembrare macchinosa e poco attenta alla sensibilità delle persone in nuova unione. Essa sottolinea il valore dell’equipe per accompagnare in modo sapiente e non soggettivo, nonché la necessità di persone che conoscano la materia e abbiano competenza nello svolgere il ruolo di accompagnamento. Ciò non toglie che un prete o un laico significativo già coinvolto nell’accompagnamento della coppia venga inserito nell’equipe per quanto riguardo l’accompagnamento della coppia conosciuta».
Una prima fase del discernimento potrà eventualmente sfociare in un processo canonico, anche breve, per verificare la nullità del sacramento del matrimonio di una o entrambe le parti della coppia. «In caso non venga riconosciuta la nullità, il percorso potrà continuare, verificando la possibilità che la coppia viva astenendosi dai rapporti sessuali (ovvero come si legge nei documenti ufficiali “da fratello e sorella”) e analizzando le forme di inserimento nella vita della comunità cristiana e, eventualmente, la possibilità di accedere ai sacramenti».
L’equipe è composta da due coppie di sposi, da una consulente familiare, un parroco, il vicario giudiziale del tribunale ecclesiastico diocesano don Tiziano Vanzetto, il docente di teologia morale don Giampolo Dianin, il direttore dell’Ufficio diocesano per la pastorale della famiglia don Silvano Trincanato.
«Tutte le situazioni di nuova unione che necessitano di discernimento – avverte don Silvano Trincanato – devono rivolgersi a questa equipe costituita dal vescovo. Ad accompagnare la coppia, poi, potranno, eventualmente, essere parroci o religiosi del posto, diaconi permanenti, altre coppie di sposi, ma sempre su accordo e mandato dell’equipe diocesana, nello spirito autentico dell’Amoris Lætitia di papa Francesco».
Niente fai da te, insomma. E nessuna volontà di annacquare le verità di fede: «Le chiamiamo coppie in nuova unione, senza dare per scontato di poterle chiamare coppie di sposi, in quanto il matrimonio è sempre unico: non vi è alcun matrimonio sacramentale se in contemporanea ve n’è già un altro. Non basta il divorzio per determinarne la chiusura».
Nella sua introduzione alla Nota, che reca la data di Pentecoste, 9 giugno 2019, il vescovo Claudio spiega così le linee guida per la Diocesi di Padova: «Come vedrete si propone di considerare con molta serietà la sofferenza e la domanda di queste famiglie per percorrere con loro un tratto di strada che le rimetta in cammino, presentando la comunità come un sostegno e un aiuto offerto loro dal Signore. Dove le chiama il Signore Gesù.
In particolare, sull’affettività, sentiamo urgente confrontarci su alcuni temi che ci coinvolgono da vicino come la sessualità, l’omosessualità, le separazioni, il divorzio, le convivenze». Per poi commentare nell’introduzione alla Nota: «Tanti chiedono aiuto e sostegno alla Chiesa. Tanti aspettano risposte a domande che hanno posto direttamente e vorrei con tutto il cuore che la mia riposta potesse arrivare. Lo vorrei fare in modo semplice, comprensibile e accessibile anche ai non specialisti». E dunque, la Nota sulle nuove unioni non è che un primo passo: «Ho pensato di confidarmi con voi a partire da quest’ultimo tema, in vista di spaziare su tanti altri aspetti della vita affettiva, dell’esperienza di coppia e di famiglia».
Nei prossimi mesi, su tutti questi temi, arriveranno delle riflessioni che il vescovo Claudio rivolgerà sia alle persone che vivono determinate condizioni affettive, sia alle comunità parrocchiali.
I referenti: sposi, una consulente, quattro presbiteri. All’equipe di nomina vescovile dovranno rispondere tutti i cammini di discernimento delle coppie in nuova unione. È composta da due coppie di sposi (Roberta Gallato e Paolo Arcolin, Maria Monica Nicoletti e Giancarlo Bertelli), dalla consulente familiare Gabriella Tognon {del locale consultorio UCIPEM}, quattro preti: il parroco don Sergio Turato, il vicario giudiziale del tribunale ecclesiastico don Tiziano Vanzetto, il docente di teologia morale don Giampolo Dianin e il direttore dell’ufficio famiglia don Silvano Trincanato.
Andrea Canton La difesa del popolo
www.ufficiofamiglia.diocesipadova.it/crescere-in-famiglia/discernimento-per-le-coppie-che-vivono-una-nuova-unione
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UNIONE CONSULTORI ITALIANI PREMATRIMONIALE E MATRIMONIALI
Congresso dei Consulenti familiari su prevenzione e cura dell’abuso sessuale su minori
XXVI Congresso nazionale, in collaborazione con
Consultorio Familiare Diocesano Anatolè di Frosinone, Centro di Aiuto alla Famiglia “Amoris Lætitia” di Termoli (CB)
Prevenzione e cura dell’abuso sessuale sui minori: ruolo e potenzialità del Consultorio Familiare
Termoli (CB), 1-3 novembre 2019 – Hotel Meridiano
Sin dalla sua nascita l’UCIPEM ha avuto una particolare cura nella proposta di eventi formativi che potessero interessare e coinvolgere i professionisti e gli operatori dei consultori aderenti su tematiche di attualità. Il primo Congresso è stato quello del 1969 tenutosi a Catania dal titolo “Problemi del matrimonio nel mondo contemporaneo” alternati, negli anni, da Convegni altamente qualificati. Quest’anno, in collaborazione con il Consultorio Familiare Anatolè di Frosinone e del Centro di Aiuto alla Famiglia “Amoris Lætitia” di Termoli (CB), l’UCIPEM è lieto di proporre un tema di grande attualità su cui la Chiesa sta ponendo grande attenzione.
Relatori di grande prestigio e competenza si alterneranno nel corso delle quattro sessioni al termine delle quali ci sarà sempre l’opportunità di un dibattito/confronto con i convegnisti. Due appuntamenti molto importanti saranno il cineforum e la testimonianza di un giovane che racconterà la propria storia, aiutando i convegnisti a comprendere il dramma di una simile esperienza ma anche a conoscere le opportunità di superamento del problema che, ad esempio, un Consultorio Familiare può offrire a colui che è sopravvissuto ad un abuso sessuale subito quando era un bambino.
La presenza di relatori di fama internazionale e quella di alcuni Vescovi, tra cui l’attuale Presidente della Commissione per il Servizio Nazionale per la tutela dei minori e degli adulti vulnerabili nella Chiesa, danno ancora più prestigio all’esperienza che ci auguriamo possa essere accolta con una numerosa partecipazione
Venerdì 1 novembre 2019 0re 14-18
- Presentazione del Congresso a cura dei direttori dei Consultori familiari ospitanti.
- Saluto del Presidente UCIPEM dr Francesco Lanatà e delle autorità presenti.
- 1° sessione. Modera la dott.ssa Valeria Renzi, avvocato del Centro di Aiuto alla Famiglia “Amoris Lætitia” di Termoli.
- Ermanno D’Onofrio, consulente familiare, psicologo, psicoterapeuta ed esperto in psicologia giuridica, psicoterapia breve ad approccio strategico e in psicodiagnostica, dottore di ricerca in scienze dell’orientamento; Consultorio di Frosinone. Dalla Sofferenza alla presa in carico dell’adulto sopravvissuto all’abuso
- Avvocato. Dal riconoscimento dell’abuso agli adempimenti burocratici.
- Dibattito
Sabato 2 novembre 2019 0re 9-18
- 2° sessione. Modera la dott.ssa Isabella Cordisco, pedagogista del Centro di Aiuto alla Famiglia “Amoris Lætitia” di Termoli.
- 3°sessione. Modera la dott.ssa Francesca Frangipane, consulente familiare, membro dell’equipe formativa del CISPeF Centro Italiano Studi Professione e Formazione di Frosinone.
- Mons. Lorenzo Ghizzoni, Arcivescovo metropolita di Ravenna-Cervia. Il Servizio nazionale per la Tutela dei Minori della CEI e possibili collaborazioni con i Consultori familiari di ispirazione cristiana.
- Mons. Emidio Cipollone, Arcivescovo di Lanciano – Ortona. L’attenzione di Papa Francesco
- Marinella Malacrea, neuropsichiatra infantile e psicoterapeuta della famiglia; responsabile diagnosi e terapia Centro TIAMA (Tutela Infanzia e Adolescenza Maltrattata), Milano. Curare i bambini abusati.
- Alfredo Feretti, OMI presidente del Centro “La Famiglia” di Roma. Prendersi cura della famiglia.
- Chiara Mascellani, assistente sociale, Ufficio di coordinamento adozioni Comune di Forlì. Dall’allontanamento alla cura: l’affidamento e l’adozione.
- Dibattito
Domenica 3 novembre 2019 0re 9-13
- 4° sessione. Modera Aurelio Cesaritti, consulente familiare del Consultorio Anatolè di Frosinone
- Christiane Sanderson, docente di Psicologia alla University of Roehampton London. L’abuso sessuale sui minori: prendersi cura delle vittime
- Testimonianza di un caso guidata da Ermanno D’Onofrio
- Dibattito e conclusioni.
Ulteriori informazioni ed iscrizioni
www.diocesitermolilarino.it/wp-content/uploads/sites/2/2019/09/NUOVO-PROGR.-XXVI-CONGRESSO-UCIPEM-10_09_19.pdf
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