NewsUCIPEM n. 766 – 11 agosto 2019

NewsUCIPEM n. 766 – 11 agosto 2019

Unione Consultori Italiani Prematrimoniali E Matrimoniali

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“Notiziario Ucipem” unica rivista ufficiale – registrata Tribunale Milano n. 116 del 25.2.1984

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02 ADDEBITO                                                    Separazione violenza: ultime sentenze

03 ADOZIONE                                                   La“ricerca delle origini”è proprio necessaria? Un seminario di studi

04 ADOZIONI                                                    Tribunale Minori riconosce 44enne single come padre di 2 bambini

04 ADOZIONE INTERNAZIONALE              La legge che dovrebbe accelerare i processi adottivi in Bolivia

05 AFFIDI                                                           Affido sine die. Un fenomeno da superare.

06                                                       “Gli ascolti su bimbi e abusi? Non hanno valore scientifico”

07                                                                          Perché l’avvocato del minore e non solo un curatore o un tutore?

07 AFFIDO CONDIVISO                                A 16 anni si può decidere con quale genitore stare

09 CENTRO INTERN. STUDI FAMIGLIA   Newsletter CISF – N. 31, 7 agosto 2019

10 CHIESA CATTOLICA                                  Paolo VI e l’Enciclica del dialogo

11                                                                          Il caso Goethe e il celibato

12                                                                          Continuità e meschinità nella tradizione ecclesiale su matrimonio

13                                                                          Altro paradigma la vera questione dietro la querelle su IstitutoGP2

15 CONSULTORI FAMILIARI CATTOLICI  Don Algeri “Ispiratore della bellezza dei legami”

16                                                                          Paola Bonzi e don Edoardo Algeri tra le braccia del Padre: ricordo

16 CONSULTORI UCIPEM                            Milano 2. Consultorio familiare Genitori oggi

17                                                                          Scomparsa Paola Bonzi, fondatrice del CAV Mangiagalli

19                                                                          L’addio. Paola Bonzi, quell’abbraccio che ti conquistava alla vita

20                                                                          Il suo generoso impegno a favore della vita nascente

20                                                                          Papa e le donne: dignità, rispetto ed equilibrio nelle relazioni

21 COUNSELING                                             Che la nuova stagione abbia inizio!

21 DALLA NAVATA                                         XIX Domenica del tempo ordinario – Anno C – 11 agosto 2019

22                                                                          E il padrone si mette a servire noi poveri servi

22 ECUMENISMO                                           Nuova dichiarazione della Consulta cattolica-ortodossa

23 FRANCESCO VESCOVO DI ROMA       “Il sovranismo mi spaventa, porta alle guerre”

25                                                                          Udienza generale: tutte le catechesi di Papa Francesco

28 GENITORI                                                     Figli nati fuori dal matrimonio: ultime sentenze

30 MATRIMONIO                                           Promessa di matrimonio: ultime sentenze

32                                                       Obbligare una persona a sposarsi: è reato?

33                                                       La riconciliazione dei coniugi

34 SEPARAZIONE                                            di fatto

35 WELFARE                                                     Dieci giorni di congedo di paternità: in vigore la direttiva Ue

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ADDEBITO

Addebito separazione violenza: ultime sentenze

Separazione personale dei coniugi e addebito; intollerabilità della convivenza; conflittualità tra i coniugi; azioni violente e lesive dell’incolumità fisica dell’altro coniuge; unico episodio di violenza fisica; condotte del coniuge che ha subito violenza; violazione dei doveri coniugali; dignità personale e coniugale del partner.

Quali tutele in caso di violenza consumata all’interno delle mura domestiche? Anche un solo episodio di violenza costituisce affermazione della supremazia di una persona su di un’altra. Può esserci l’addebito della separazione per violenza di un coniuge verso l’altro anche quando è provato un solo episodio di percosse. Per maggiori informazioni, leggi le ultime sentenze.

  1. Violenza al coniuge: giustifica l’addebito della separazione? Comportamenti reattivi del coniuge che sfociavano in azioni violente e lesive dell’incolumità fisica dell’altro coniuge, rappresentano, in un giudizio di comparazione al fine di determinare l’addebito della separazione, causa determinante dell’intollerabilità della convivenza, nonostante la conflittualità fosse risalente nel tempo ed il fatto che l’altro coniuge contribuisse ad esasperare la relazione.

Cassazione civile sez. VI, 21/03/2018, n.6997

  1. Violenze fisiche: violazioni gravi e inaccettabili dei doveri matrimoniali. Le violenze fisiche costituiscono violazioni talmente gravi ed inaccettabili dei doveri nascenti dal matrimonio da fondare, di per sé sole – quand’anche concretantisi in un unico episodio di percosse –, non solo la pronuncia di separazione personale, in quanto cause determinanti l’intollerabilità della convivenza, ma anche la dichiarazione della sua addebitabilità all’autore, e da esonerare il giudice del merito dal dovere di comparare con esse, ai fini dell’adozione delle relative pronunce, il comportamento del coniuge che sia vittima delle violenze, restando altresì irrilevante la posteriorità temporale delle violenze rispetto al manifestarsi della crisi coniugale.                              Cassazione civile sez. VI, 22/03/2017, n.7388
  2. Pronuncia di addebito della separazione. Ai fini della pronuncia di addebito deve essere fornita la prova non solo della sussistenza di comportamenti contrari agli obblighi derivanti dal matrimonio, ma anche del nesso causale tra tali comportamenti e la fine dell’unione matrimoniale. Se è vero che talvolta, specialmente laddove vi siano comportamenti eclatanti quali la violenza domestica o l’infedeltà, il nesso causale può essere dimostrato anche attraverso il ricorso a presunzioni o a massime di comune esperienza, è altrettanto vero che quando sia accertata una crisi sentimentale tra i coniugi protrattasi per lungo tempo prima dei comportamenti illegittimi, i comportamenti stessi non possono essere visti in termini di antecedente causale rispetto alla separazione.

Tribunale Pavia, 10/08/2016, n.1191

  1. Abbandono della casa coniugale. In tema di addebito della separazione, non è ingiustificato il comportamento della moglie che abbia scelto di non fare ritorno a casa dopo l’ennesimo litigio del marito, anche qualora questo non abbia usato violenza fisica, essendo indubitabile una situazione di confitto permanente che ben può essere indicativa della definitiva rottura della comunione spirituale tra i coniugi.                                                             Cassazione civile sez. VI, 12/04/2016, n.7163
  2. Convivenza coniugale intollerabile. L’allontanamento della moglie dalla casa familiare, dalle stesse deduzioni di ambo le parti si desume che avvenne in situazione in cui la convivenza coniugale era ormai già divenuta intollerabile, di tal che detto allontanamento non può reputarsi comportamento contrario ai doveri derivanti dal matrimonio, e la domanda di addebito del resistente dev’essere respinta. L’episodio di violenza in danno della moglie, pur abbastanza grave, risale ormai ad anno remoto, e non risultando affatto che sia stato seguito da altri episodi analoghi e più recenti (mentre è certo che proseguì per lunghi anni la convivenza dei coniugi), è da escludere che lo stesso abbia provocato l’intollerabilità della loro convivenza, per anche tale domanda deve respingersi.

Tribunale Bari sez. I, 10/03/2016, n.1344

  1. Prova di un unico episodio di percosse In tema di separazione personale dei coniugi, la pronuncia di addebito richiesta da un coniuge per le violenze perpetrate dall’altro non è esclusa qualora risulti provato un unico episodio di percosse, trattandosi di comportamento idoneo comunque a sconvolgere definitivamente l’equilibrio relazionale della coppia, poiché lesivo della pari dignità di ogni persona.

Cassazione civile sez. VI, 14/01/2016, n.433

  1. Episodi di violenza e separazione giudiziale. In tema di separazione giudiziale, la stessa va addebitata al coniuge che abbia determinato episodi di violenza in danno dell’altro coniuge e dei figli.

Tribunale Velletri sez. I, 21/04/2015, n.1490

  1. Aggressione ai diritti fondamentali della persona. In tema di separazione personale dei coniugi, qualora i fatti accertati a carico di un coniuge costituiscano violazione di norme di condotta imperative ed inderogabili, traducendosi in aggressione ai diritti fondamentali della persona, quali l’incolumità e l’integrità fisica, oltrepassando la soglia minima di solidarietà e rispetto reciproco, si ravvisano elementi sufficienti per l’accoglimento della domanda di addebito non potendosi giustificare neppure un solo episodio che assuma caratteristiche di violenza fisica.

Tribunale Roma sez. I, 27/01/2015, n.1821

  1. Violenza nelle mura domestiche. In materia di separazione tra coniugi, la violenza consumata all’interno delle mura domestiche, assume rilevanza determinante anche quando si estrinsechi in un solo episodio di violenza fisica e a essa possa riconnettersi efficacia risolutiva del rapporto coniugale. Invero, il fatto che risulti provato per testi, un solo episodio di percosse, non può far ritenere che l’episodicità del fatto presupponga in re ipsa che vi sia un contesto di normalità fisiologica del quadro relazionale interno alla coppia. Anche un solo episodio di violenza costituisce affermazione della supremazia di una persona su di un’altra, nonché disconoscimento della parità della dignità di ogni persona, quale principio posto alla base dei diritti fondamentali riconosciuti dalla costituzione ed è quindi comportamento idoneo a sconvolgere definitivamente l’equilibrio relazionale della coppia.

Corte appello Palermo sez. I, 12/06/2013, n.991

  1. Chiedere la separazione personale dal coniuge con addebito. Anche un solo episodio di non lieve violenza, con percosse, consumato dal marito ai danni della moglie, per di più per un banale, futilissimo motivo (avere gettato nella spazzatura un tozzo di pane raffermo), legittima la moglie a chiedere la separazione personale dal coniuge con addebito a quest’ultimo, rendendo verosimile l’affermazione della moglie che il marito fosse solito “alzare le mani”, pur non potendo essere data la prova di ciò, trattandosi di condotte verificatesi all’interno delle mura domestiche ed in assenza di persone estranee.                                                    Cassazione civile sez. I, 14/01/2011, n.817

La legge per tutti       2 agosto 2019

www.laleggepertutti.it/290553_addebito-separazione-violenza-ultime-sentenze

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ADOZIONE

La “ricerca delle origini” è proprio necessaria? Un seminario di studi di Amici dei Bambini

Un seminario per le famiglie interamente dedicato al delicato tema della ricerca delle origini da parte dei minori adottati. Si terrà mercoledì 28 agosto 2019, nell’ambito della XXVIII settimana di incontro e formazione per le famiglie adottive e affidatarie. La settimana, organizzata proprio attorno al titolo “Ricerca delle origini: quale necessità?”, è promossa da Ai.Bi. – Amici dei Bambini e dall’Associazione “La Pietra Scartata”, e si svolgerà a Casino di Terra (Pisa) dal 24 al 30 agosto 2019.

Il seminario si svolgerà come una specifica giornata di studio, approfondimento e confronto dedicata alla “ricerca delle origini” confrontandosi con un tema che in questi ultimi anni ha preso sempre più spazio nel dibattito, cercato vie e nuovi strumenti in una prassi ancora incerta e dagli esiti spesso contrari a quelli desiderati e attesi. Si tratta di un argomento e di una discussione che meritano di essere ulteriormente esplorati e complessivamente meglio conosciuti: cosa nasconde o rivela la ricerca delle proprie origini? Qual è la sfida da raccogliere e quali sono i percorsi da compiere?

Una terra, un volto o un DNA potrebbero non offrire alcuna risposta, quando non addirittura minarne l’accessibilità: una terra e un volto hanno un loro ruolo e un significato che non dovrebbero essere esasperati e neppure minimizzati. La questione riguarda certo i figli adottivi, ma non di meno i genitori adottivi.

I lavori coordinati da Gianmario Fogliazza (centro studi ‘La pietra Scartata’) inizieranno con Francesco Belletti, direttore del CISF – Centro Internazionale Studi Famiglia, il quale proporrà una restituzione e una recensione critica delle esperienze e delle testimonianze familiari raccolte in questi mesi, esplicitando e documentando come l’incontro con l’istanza della ricerca delle origini costituisca una sfida per tutta la famiglia.

Un prezioso contributo al percorso di esplorazione ed analisi del fenomeno è pervenuto dalla Comunità Shalom di Palazzolo sull’Oglio (Bs): la psicoterapeuta Giovanna Rota, nonché la stessa fondatrice della Comunità, suor Rosa Ravasio, nel considerare le distorsioni della volontà e dell’amore nello smarrimento esistenziale dei figli adottati, illustreranno caratteristiche, prospettive e contesti di alcuni percorsi riabilitativi.

                                           Programma completo, informazioni e iscrizioni

www.lapietrascartata.it/spiritualita/wp-content/uploads/2019/08/seminario-estivo-pietra-scartata.pdf

www.aibi.it/ita/adozione-internazionale-la-ricerca-delle-origini-e-proprio-necessaria-un-seminario-di-studi-di-amici-dei-bambini

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ADOZIONI

Il tribunale dei Minori riconosce un 44enne single come padre di due bambini

Un professore di origini pisane che vive a Cape Town ha adottato i 2 orfani in Sud Africa: il primo nel 2012 e il secondo nel 2015. Ora il tribunale romano ha detto sì alla trascrizione delle due sentenze dei giudici sudafricani, in nome del “superiore interesse” dei due minori. Il legale Romina Sestini: “La prima volta in Italia, ma è un caso particolare”.

C’è il “superiore interesse” dei due minori. Ecco che cosa ha spinto il tribunale dei Minori di Roma a riconoscere l’adozione di due bimbi da parte di un genitore single. Si tratta di Giona Tuccini, professore di italianistica 44enne di origini pisane, che da anni vive e insegna a Città del Capo. Tuccini ha la doppia cittadinanza e in Sud Africa, dove la legge permette l’adozione monoparentale, aveva adottato legalmente i due orfani. Il tribunale romano, dopo un ricorso unico, curato dall’avvocato Romina Sestini, ha riconosciuto la doppia adozione, ammettendo la trascrizione di due sentenze dei giudici sudafricani.

In Italia l’adozione monoparentale non è consentita. A renderne possibile il riconoscimento per Tuccini è stata una circostanza: il possesso della doppia cittadinanza e di conseguenza il fatto che la possibilità di adottare gli sia già stata riconosciuta da un tribunale straniero. “È un caso particolare”, spiega a www.ilfattoquotidiano.it l’avvocato Sestini. Si è trattato infatti di una convalida di sentenze di tribunali di un paese dove l’adozione da parte dei single è concessa. “Anche se c’era stato un precedente di riconoscimento da parte di adozione di single – aggiunge l’avvocato – è la prima volta in Italia che viene emesso un simile provvedimento”.

Dopo un periodo in cui ha vissuto a Roma, insegnando alla Sapienza, Tuccini si era trasferito a Città del Capo e nel 2012 aveva adottato un primo figlio, abbandonato dalla madre subito dopo il parto, quando questo aveva ancora 4 mesi. Nel 2015 poi aveva pensato di dare al bimbo un fratellino e aveva ottenuto l’adozione di un altro neonato partorito dalla madre e abbandonato dopo un mese. Anche se in Sud Africa le adozioni da parte di genitori single sono riconosciute legalmente, il professore aveva voluto fare il tentativo di renderle legali anche in Italia. Aveva già portato i figli nel Paese d’origine, ma senza la trascrizione delle sentenze da parte del tribunale dei Minori di Roma i due bambini non avrebbero avuto la doppia cittadinanza come il padre, cosa che avrebbe impedito a Tuccini di considerare l’idea di tornare a vivere in Italia. Ma soprattutto la legge italiana equipara in tutto e per tutto il genitore adottivo a quello naturale, conferendo a Tuccini la piena potestà genitoriale. Il ricorso ha riunito i due casi in un unico fascicolo ed è stato presentato nel dicembre 2018. Il tribunale si era poi espresso già lo scorso marzo e ora è stato infine pubblicato il provvedimento.

A rendere inusuale la sentenza emessa dai giudici romani è che “sono state riconosciute in un unico appello due adozioni che vengono da sentenze emesse a tre anni di distanza da tribunali di due distretti diversi e anche al fatto che si tratti di adozione da parte di un uomo “, spiega l’avvocato Sestini. Che cosa ha portato dunque il giudice a menzionare un “superiore interesse”? “Ci sono alcuni elementi che hanno portato a un esito positivo “, risponde il legale. “Innanzitutto – spiega – sono stati riconosciuti aspetti come l’ambiente culturalmente e umanamente stimolante in cui sono stati inseriti i bambini, che garantiscono il benessere dei minori in accordo con la Convenzione per i loro diritti. Poi il fatto che Sud Africa stiano vivendo in modo stabile “. “A fare la differenza – ha detto infine Sestini – è stata anche una scelta coraggiosa che abbiamo deciso di fare e che è ci ha fatto molto piacere vedere menzionata nella sentenza. Tuccini ha scritto una pagina in cui spiega quali fossero le motivazioni che lo avevano spinto alla scelta e abbiamo optato per inserirla nel fascicolo di documenti ufficiali per la presentazione del ricorso”.

Letizia Bonvini           il fatto quotidiano      11 agosto 2019

www.ilfattoquotidiano.it/2019/08/11/adozioni-il-tribunale-dei-minori-riconosce-un-44enne-single-come-padre-di-due-bambini/5383136

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ADOZIONE INTERNAZIONALE

Finalmente in vigore la legge che dovrebbe accelerare i processi adottivi in Bolivia

Ridotta a un mese la convivenza preadottiva delle coppie, taglio ai tempi burocratici, istituito Registro unico nazionale dei minori adottabili. A partire dal 5 agosto 2019 è entrato in vigore in Bolivia il Decreto Supremo 3960 del 26 giugno 2019 che regolamenta, tra le altre cose, le procedure di adozione internazionale. Il dispositivo segue l’approvazione nell’aprile 2019 della specifica legge volta a riformare il Codice della Bambina, del Bambino e dell’Adolescente del Paese andino, con l’obiettivo primario di accelerare i processi di adozione, di renderli meno burocratici e più funzionali.

Tra le principali novità entrate ufficialmente in vigore ve ne sono di interessanti: il periodo massimo di convivenza pre-adottiva che la coppia deve effettuare in Bolivia è stato ridotto da due mesi a un mese; il tempo che intercorre dal deposito della domanda di adozione al giudice fino alla sentenza non potrà essere superiore a tre mesi. Precedentemente il termine era di quattro mesi; l’omologazione dei certificati medici delle coppie non sarà più effettuata dai SeDeGeS (Servicios Departamental De Gestione Social) bensì dall’equipe dell’Autorità Centrale. Anche questo dovrebbe portare ad una riduzione dei tempi; viene istituito un registro unico per l’adozione nazionale e internazionale (presso il Tribunale Supremo di Giustizia) con l’elenco dei minori in stato di adottabilità; come accadeva in passato (prima della ripresa delle adozioni nel 2015), responsabili degli abbinamenti torneranno ad essere i giudici in materia di infanzia e adolescenza. L’abbinamento tornerà ad essere “giudiziario” e non più “amministrativo”; si riducono i termini per definire lo stato giuridico di un minore istituzionalizzato.

L’augurio ovviamente è che le disposizioni siano effettivamente rispettate dalle autorità locali, per avere finalmente un nuovo slancio delle adozioni internazionali in Bolivia. Secondo stime dell’UNICEF, infatti, sono più di 8mila i bambini fuori famiglia con una situazione legale non definita. Bambini che, peraltro, rischiano di rimanere vittime dello sfruttamento minorile.

Dopo la riapertura alle adozioni internazionali della Bolivia, dal 2016 sono state depositate le prime pratiche e, nonostante la lentezza delle procedure, già ad oggi diverse coppie sono riuscite a portare in Italia i loro bambini. Ai.Bi. – Amici dei Bambini è ente accreditato ad operare nel Paese sudamericano. Chi fosse interessato a saperne di più sulla adozione internazionale in Bolivia, potrà trovare tutte le informazioni sul sito dell’organizzazione.

AiBinews        8 agosto 2019

www.aibi.it/ita/adozione-internazionale-finalmente-in-vigore-la-legge-che-dovrebbe-accelerare-i-processi-adottivi-in-bolivia

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AFFIDI

Affido sine die. Un fenomeno da superare.

L’affido sine die? Un fenomeno assolutamente da superare. A rilanciare questa necessità è stato un articolo di Francesco Borgonovo su La Verità che, sulla scia dei fatti di Bibbiano, afferma che quella dell’affido a tempo indeterminato è “tutt’altro che una rarità nel nostro Paese. Anzi, si può dire che siano quasi la regola”. Secondo una relazione della Commissione parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza pubblicata il 17 gennaio 2018, oggi 28.449 bambini o ragazzi di età compresa tra 0 e 17 anni sono collocati fuori dalla famiglia d’origine accolti nelle famiglie affidatarie. Però la legge 149 del 2001 individua il periodo massimo di affidamento in 24 mesi, prorogabili da parte del Tribunale per i minorenni, qualora fosse ritenuto necessario. Ma in realtà, i bambini in affido da oltre due anni sono ben il 60%.

            Ai.Bi. – Amici dei Bambini, realtà che da oltre trent’anni si batte in Italia e nel mondo contro l’abbandono minorile, aveva già lanciato da tempo l’allarme: “L’affido sine die, inteso come abbandono istituzionale, va superato, perché non permette al minore di essere inserito definitivamente in una famiglia, sia essa di origine o adottiva”, spiegano dall’associazione.

            Ci sono dei casi in cui gli affidi di durata prevedibilmente lunga sono la scelta migliore, si legge in una relazione del Tavolo Nazionale Affido pubblicata su Vita: “Sono gli affidamenti realizzati in quelle situazioni nelle quali, a volte fin da subito, si arriva a ipotizzare che vi sia la realistica impossibilità di prevedere un rientro del minore a casa, pur permanendo e valorizzando la relazione con la famiglia di origine”.

            Sempre nel 2014, una realizzata dalla Fondazione Emanuela Zancan di Padova e presentata all’EUSARF a Copenhagen, affermava che, in caso di affido: “favorire il mantenimento del legame affettivo-relazionale permette al minore di sentirsi parte integrante della propria famiglia d’origine nonostante l’affidamento familiare. Il minore, infatti, pensa di essere un rifiutato dalla propria famiglia e gli incontri guidati con i genitori vanno nella direzione di cambiare questa sensazione. La conoscenza delle proprie origini è, infatti, determinante per uno sviluppo di crescita”.

            Marco Chistolini, psicologo e psicoterapeuta che ha pubblicato per Franco AngeliAffido sine die e tutela dei minori”, spiega invece che l’affido sine die “permette sì al ragazzo di investire su nuove relazioni stabili ma deve rimanere sempre per così dire ‘disponibile’ al rientro in famiglia secondo i tempi dei genitori.

È una precarietà cronicizzata”.

AiBinews 7 agosto 2019

www.aibi.it/ita/affido-sine-die-un-fenomeno-da-superare-in-italia-il-60-dei-minori-in-affidamento-da-oltre-due-anni

 

L’esperto: «Gli ascolti su bimbi e abusi? Non hanno valore scientifico»

Il valore scientifico del metodo d’ascolto messo in atto a Bibbiano dagli psicologi che hanno raccolto le testimonianze dei bambini sui presunti abusi è del tutto inesistente. Quei racconti terribili, le confessioni estorte ai minori con ripetizioni estenuanti e insinuanti della stessa domanda per ore e ore – così come emergono dall’ordinanza della procura di Reggio Emilia – sono prive di fondamento perché condotte dalle assistenti sociali e dagli altri specialisti con criteri lontanissimi da qualsiasi presupposto di ascolto corretto. E, solo per questo motivo, dovrebbero essere respinti in blocco da qualsiasi tribunale.

Lo spiega Giuseppe Sartori, ordinario di Neuropsicologia forense all’Università di Padova, direttore del Master sullo stesso tema e autore di numerosissimi articoli sul rapporto diritto-neuroscienze di cui in Italia è uno dei pionieri. Prima di entrare nel merito delle questioni, ci tiene a sottolineare che anche in tribunale la credibilità scientifica si misura con indicatori specifici usati in tutto il mondo. «Occorre poi inquadrare l’attività di cui si parla nel contesto delle indagini o di un processo penale. Penso infatti che gran parte del problema derivi dalla confusione tra piano di indagini e piano della terapia».

Come valutare allora il metodo di ascolto ‘empatico e suggestivo’ scelto dagli psicologi e dagli altri terapeuti che hanno operato a Bibbiano?

Non esiste supporto scientifico circa l’utilizzo di questo metodo all’interno di un percorso giudiziario. Per essere chiari non esiste dimostrazione alcuna supportata da articoli scientifici validati che dimostri che questo metodo non alteri il ricordo del piccolo testimone. Esistono invece ricerche scientifiche consolidate che dimostrano come questa tecnica alteri il ricordo e crei dei falsi ricordi. Se l’approccio empatico può avere un suo valore nella psicoterapia certamente non può averlo nelle attività a supporto della autorità giudiziaria.

Quale dovrebbe essere invece un approccio corretto per ascoltare un minore in situazione di fragilità?

Esistono dei protocolli di esame del minore ‘ad impatto minimo‘ che da una parte tutelano il bambino e dall’altra parte garantiscono che il suo racconto non sia distorto dalla tecnica d’esame stessa con conseguenze negative per il processo penale. (Carta di Noto, Consensus Conference sull’ascolto del minore; in Inghilterra il Memorandum of good practice).

È vero che un bambino abusato cerca comunque di non raccontare quello di cui è stato vittima?

Ci possono essere dei casi in cui questo è vero, così come ci sono dei casi in cui il bambino, soprattutto se piccolo, confabula cioè introduce nel racconto cose non percepite o che l’adulto interpreta come tali. Non mi risulta che ci siano ricerche che ci dicono quale è la tipologia di racconto o non racconto che risulta essere più frequente.

Si può arrivare a una valutazione del metodo di ascolto che sia anche scientificamente accertabile?

È già stato fatto. Da tempo le società scientifiche internazionali hanno più volte richiamato l’attenzione della comunità scientifica e giudiziaria sulla necessità di procedure basate sull’evidenza. Nessuno si sognerebbe di operare al cuore un paziente con una procedura non validata ma invece a qualcuno sembra accettabile poter esaminare il testimone minore nel contesto di un procedimento penale, con procedure non considerate valide dalla comunità scientifica.

È vero che i protocolli dell’ordine degli psicologi sono soltanto ‘suggeriti’ in sede di procedimento giudiziario ma poi ciascuno fa come ritiene?

Si. Esiste la tendenza ad operare nel settore senza preparazione specifica. Volendo essere precisi ci sarebbero gli strumenti del codice deontologico che impongono al professionista di utilizzare solo tecniche che conosce e per le quali è preparato e che siano scientificamente valide.

Esistono criteri riconosciuti a livello internazionale per l’ascolto del minore allontanato dalla famiglia in seguito all’intervento del Tribunale?

Si, esistono. Se la testimonianza viene raccolta dopo l’allontanamento del minore dalla famiglia questa però è una anomalia che dovrebbe essere superata. Se si tratta di allontanamenti a seguito di sospetti di abuso sessuale un esame del testimone effettuato in tempi rapidi potrebbe essere certamente di aiuto.

Quale secondo lei è il singolo provvedimento che andrebbe a garantire da una parte la tutela della vittima e dall’altra di evitare la condanna di innocenti?

Imporre, nel caso di testimoni minori, l’incidente probatorio in tempi brevissimi dopo la notizia di reato impedirebbe che il racconto del minore sia inquinato da maldestri interventi di manipolazione della narrazione. Ricordo che esiste un articolo del codice penale che impedisce l’utilizzo di metodiche atte ad alterare il ricordo del testimone. Stranamente non l’ho mai visto chiamato in causa nella valutazione di questi metodi ‘empaticosuggestivi’. Essi sono metodi che alterano il ricordo del testimone e quindi, in teoria, non dovrebbero entrare in un iter giudiziario. L’arte 188 del c.p.p. infatti impedisce l’utilizzo di metodi idonei ad «alterare la capacità di ricordare o di valutare i fatti».

Ma come si fa a scoprire se vengono seguiti i metodi non scientifici?

Basterebbe che magistrati o avvocati chiedessero all’esperto di segnalare le ricerche empiriche che dimostrano l’efficacia del metodo che usa. La domanda cruciale è: «Mi dica, in quale ricerca scientifica è stata dimostrata l’efficacia del metodo che lei ha usato?».

Luciano Moia Avvenire                   9 agosto 2019

www.avvenire.it/attualita/pagine/gli-ascolti-su-bimbi-e-abusi-non-hanno-valore-scientifico

 

Perché l’avvocato del minore e non solo un curatore o un tutore?

Dopo lo scandalo di Bibbiano ha preso piede in ambito istituzionale, fino ai massimi livelli, la proposta suggerita da Ai.Bi. – Amici dei Bambini di introdurre, in ogni caso di intervento istituzionale su minorenni, la figura dell’avvocato del minore. Sino ad oggi, è stata ritenuta sufficiente e legittima la rappresentanza legale del minore da parte del tutore e, per il caso di conflitto di interessi, la nomina di un curatore speciale.

            Ma perché allora proprio l’avvocato del minore e non un semplice curatore o tutore? Perché, in realtà, le tre figure del tutore, del curatore e dell’avvocato del minore sono profondamente diverse tra loro.

            Il tutore, in base alle stesse previsioni del codice civile ha la cura della persona del minore, lo rappresenta in tutti gli atti civili e, quando possibile, ne amministra i beni. Egli tuttavia, a differenza dell’avvocato del minore, non ha un ruolo dotato di autonomia perché le sue funzioni sono sottoposte al controllo del Giudice Tutelare presso il Tribunale ordinario. Il tutore poi ha specifici obblighi in tema di istruzione ed educazione del minore, ruolo che esula da quello dell’avvocato che ha un ruolo decisamente più tecnico e specifiche competenze per la difesa giudiziale e che, nel caso di nomina di tutori non avvocati, non sono comunque colmabili.

            Quanto al curatore speciale, ne è prevista la nomina da parte del Giudice per il compimento di atti specifici di straordinaria amministrazione che i genitori responsabili non vogliano o non possano compiere. Non si tratta, anche in questo caso di un legale abilitato all’esercizio della professione forense (circostanza solo eventuale in funzione dell’atto o degli atti da compiere) né di una figura dotata della autonomia e del ruolo compatibile con la necessità che il minore sia difeso nei procedimenti giurisdizionali in cui siano coinvolti propri interessi relativi alle specifiche materie indicate, cioè responsabilità genitoriale e applicazione delle misure di protezione del minore alternative alla famiglia.

            L’avvocato del minore, invece, è una figura con competenze specifiche, terza rispetto a ogni parte coinvolta (Tribunale, servizi sociali, famiglia d’origine) e dedicata esclusivamente al minore inteso come soggetto depositario di pieni diritti. Una figura che deve avere una visione d’insieme monitorando tutto quanto avviene dal momento in cui il minore viene allontanato dalla propria famiglia, con un preciso diritto di accesso agli atti per verificare il rispetto delle leggi, anche e soprattutto ad opera delle realtà istituzionali.

AiBinews        10 agosto 2019

www.aibi.it/ita/dopo-bibbiano-perche-lavvocato-del-minore-e-non-solo-un-curatore-o-un-tutore-la-spiegazione

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AFFIDO CONDIVISO

A 16 anni si può decidere con quale genitore stare?

Stai per separarti da tua moglie. Avete una figlia di 16 anni, alla quale sei molto legato. Non siete riusciti a trovare un accordo che vi consentisse di ricorrere alla procedura consensuale: tua moglie, infatti, pretende da parte tua un assegno di mantenimento che ti sembra eccessivo. Saranno quindi i giudici a decidere sui vari aspetti della vostra separazione, tra i quali va considerato anche l’affidamento di vostra figlia. Questo ti preoccupa più delle questioni economiche: infatti, anche se ti dispiace constatarlo, tua moglie si è rivelata una pessima madre, distratta e poco attenta alle esigenze della ragazza. Quest’ultima ti ha detto chiaramente che desidera vivere con te. Ma tu ti chiedi se a 16 anni si può decidere con quale genitore stare. In questo articolo ti spiegherò quando ciò può avvenire e con quali limiti.

Quando due persone si separano, si pone la delicata questione dell’affidamento degli eventuali figli minori della coppia. Se la separazione avviene consensualmente, in linea di massima non vi sono problemi: saranno gli stessi coniugi a concordare con chi dei due i figli debbano abitare, e le modalità di incontro con l’altro genitore. Il tribunale farà comunque un controllo su tali accordi, per accertare che essi non contrastino con gli interessi dei minori. Se, invece, marito e moglie non sono d’accordo sui contenuti della separazione, saranno i giudici a decidere riguardo ad essi, anche per quello che riguarda la scelta del genitore con i quale vivranno i figli.

Come funziona l’affidamento dei figli nella separazione? Quando due persone si separano, il tribunale decide sull’affidamento dei figli soltanto se questi ultimi sono minorenni, quindi se non hanno ancora compiuto i 18 anni. Superata questa età, infatti, i ragazzi, anche se probabilmente immaturi e non autosufficienti, sono maggiorenni e possono liberamente scegliere il genitore con il quale abitare: al limite, se sono in grado di farlo possono anche decidere di vivere per conto proprio.

Per decidere i giudici tengono conto principalmente dell’interesse del minore, che prevale su tutto. Pensa a come deve sentirsi un bambino o un ragazzo i cui genitori si separano: certamente si tratta di un trauma, perché il desiderio di ogni figlio è di vivere in una famiglia unita e serena. Purtroppo questo non sempre è possibile, ed assistere a continui litigi o addirittura a scene di violenza è certamente peggio che avere i genitori separati. La legge vuole quindi che i giudici, ai fini della loro decisione, tengano conto dell’esclusivo interesse morale e materiale del figlio, per consentirgli di superare, per quanto possibile, il trauma della disgregazione della famiglia.

Per raggiungere questo scopo, la regola generale è quella dell’affidamento condiviso [Art. 337-ter cod. civ.]: il minore viene affidato ad entrambi i genitori, che devono occuparsene mantenendo con lui un rapporto sereno ed equilibrato. In particolare, padre e madre devono continuare a garantirgli cura, educazione ed istruzione, ed agevolare i rapporti con i componenti delle rispettive famiglie di origine: nonni, zii e cugini.

Quindi, se ti stai separando e dal tuo matrimonio sono nati dei figli ancora minorenni, devi sapere che con ogni probabilità i giudici decideranno che sia tu che il tuo coniuge dovrete continuare ad occuparvene esattamente come avveniva prima della separazione.

Questo tuttavia non avviene sempre. Infatti, se il giudice ritiene che l’affidamento condiviso sia contrario agli interessi del minore, può decidere di affidare quest’ultimo ad uno soltanto dei genitori. Pensa al caso di un padre o una madre che hanno compiuto, prima della separazione, atti di violenza familiare, che hanno coinvolto anche il figlio; oppure al caso di un genitore che abbia delle cattive frequentazioni, che potrebbero turbare la serenità del bambino o del ragazzo e dargli un cattivo esempio; oppure, ancora, a casi di malattia psichica che rendono impossibile a uno dei genitori di occuparsi del figlio. In ipotesi come queste, il tribunale dispone l’affidamento esclusivo del minore al genitore che viene ritenuto idoneo [Art. 337-quater cod. civ.], spiegando le ragioni della propria decisione.

Diverso dall’affidamento è il collocamento dei figli: occorre, infatti, decidere presso quale dei due genitori essi dovranno vivere.

Come funziona il collocamento dei figli nella separazione? Se i figli sono stati affidati esclusivamente a uno dei genitori, non vi sono dubbi: dovranno vivere presso quest’ultimo. In caso di affido condiviso, invece, occorre decidere presso quale dei genitori i figli dovranno abitare.

            Il collocamento può essere di tre tipi:

  1. Collocamento prevalente. In questo caso il minore ha la residenza prevalente presso uno dei genitori, che viene considerato più idoneo a garantirgli una vita domestica serena.  Questo genitore viene detto “collocatario”, e spesso (sia pure con delle eccezioni) si tratta della madre.  Questa è la soluzione che viene adottata più frequentemente dai giudici, perché garantisce al bambino o al ragazzo una certa stabilità. Infatti si ritiene, giustamente, che il minore si troverebbe disorientato se dovesse continuamente spostarsi tra le abitazioni dei genitori. Naturalmente, l’altro genitore ha il diritto di incontrare il figlio e di trascorrere del tempo con lui: riguardo a questo saranno i giudici a stabilire i tempi e le modalità di incontro. Se durante la causa i coniugi hanno mostrato una certa ragionevolezza, il tribunale si limiterà a dare delle indicazioni di massima, e poi essi potranno regolare i loro rapporti con il figlio concordandone i dettagli. Se, viceversa, durante la causa i coniugi hanno mostrato conflittualità, per evitare problemi i giudici stabiliranno nel dettaglio i giorni e gli orari in cui il coniuge non collocatario potrà incontrare i figli, la durata degli incontri, i giorni in cui egli potrà tenere il minore con sé, quanto tempo il bambino o ragazzo possa restare con lui. Inoltre, il tribunale deciderà anche con chi il minore debba trascorrere le vacanze natalizie, pasquali ed estive e i fine settimana;
  2. Collocamento alternato. In questo caso il minore vive alternativamente con ciascuno dei genitori: ad esempio un mese con il padre e un mese con la madre. Come ti dicevo, questo sistema non è molto adoperato, perché si ritiene che il bambino o ragazzo possa disorientarsi trasferendosi spesso da un’abitazione all’altra. Egli deve avere infatti un ambiente domestico stabile e degli spazi propri nei quali studiare, riposare, giocare, ricevere gli amici;
  3. Collocamento invariato. In questo caso il figlio abita stabilmente quella che era la residenza familiare, e i genitori si alternano a vivere con lui: ad esempio, una settimana la madre e una il padre. Questa soluzione è praticabile soltanto se i coniugi sono d’accordo, ed ha il vantaggio di evitare al minore spostamenti, consentendogli di vivere sempre nello stesso ambiente e di conservare le sue abitudini. Il genitore che per un certo periodo coabita con il minore deve naturalmente consentire all’altro di incontrare il figlio, e terminato il periodo di coabitazione deve lasciare subito l’abitazione all’altro genitore perché subentri.

Il figlio minore può decidere con quale dei genitori abitare? Se la separazione è giudiziale, è il tribunale a decidere sia sull’affidamento che sul collocamento dei figli minori della coppia. La decisione si basa su diversi elementi di valutazione, raccolti durante la causa: il comportamento dei coniugi, le ragioni che hanno portato alla separazione, l’attività svolta da ciascuno di essi, e così via.

Ma la volontà del minore, che è il diretto interessato, non conta? In particolare un sedicenne, che non è più un bambino e che quindi dovrebbe essere in grado di scegliere con un certo giudizio, può decidere con quale genitore stare? La legge prevede che il giudice, ai fini della decisione, ascolti il figlio minore della coppia che abbia compiuto i 12 anni di età [Art. 337-octies cod. civ.]. Non solo: egli può ascoltare anche il bambino che abbia un’età inferiore, se lo ritiene capace di discernimento. Con questa espressione si intende la capacità del minore di capire le situazioni e gli eventi, di ragionare in modo autonomo e di formarsi una propria opinione. Come fa il giudice a capire se il minore ha capacità di discernimento? Se lo ritiene opportuno egli può disporre un primo colloquio del bambino con un esperto, ma non è tenuto a farlo. La Corte di Cassazione [Cass. Sent. n. 752/2015] ha infatti affermato che l’accertamento tecnico non è indispensabile, e che può essere lo stesso giudice, sentito il minore, a valutare la sua capacità di discernimento.

            Come vedi, sia la legge che la giurisprudenza tengono in grande considerazione l’opinione dei figli nelle cause di separazione che riguardano i genitori. Se i giudici devono tener conto delle preferenze di un ragazzino di 12 anni, e possono sentire anche bambini di età inferiore, a maggior ragione sarà importante il parere di un sedicenne che dichiara di preferire di vivere con l’uno o con l’altro genitore.

Naturalmente, come ti ho detto all’inizio, il tribunale deve avere come obiettivo la realizzazione dell’interesse morale e materiale del minore, e non è detto che quest’ultimo coincida con le preferenze del ragazzo. Ad esempio, un sedicenne potrebbe dichiarare di voler vivere con il padre, perché quest’ultimo gli consente di non studiare e di fare tardi la sera. Oppure una ragazzina potrebbe preferire di abitare con la madre, che è spesso assente da casa, sapendo che potrebbe avere maggiore libertà senza essere controllata. In casi come questi i giudici, se le situazioni descritte sono emerse nel corso della causa, prenderanno decisioni diverse rispetto alla volontà dei ragazzi.

Quindi sia chiaro: l’opinione dei figli è importante, ma non è vincolante per i giudici. Questi ultimi, tuttavia, se decidono di affidare il ragazzo a un genitore diverso rispetto a quello che avrebbe preferito, devono motivare la loro decisione. La Cassazione, inoltre, ha stabilito che la motivazione deve essere proporzionale alla capacità di discernimento del minore [Cass. Sent. n. 16658/2014]. Quindi, più quest’ultimo si mostra ragionevole e maturo, più i giudici sono tenuti a dare conto, in maniera dettagliata, delle ragioni della propria decisione.

Come vedi, a 16 anni si può decidere con quale genitore stare. Molto spesso la preferenza manifestata dal ragazzo verrà accontentata; questa però non è una regola assoluta, perché quello che veramente conta è realizzare il suo vero interesse. Egli potrebbe non gradire una decisione del tribunale contraria ai suoi desideri, per poi comprenderne le ragioni da adulto.

Adele Margherita Falcetta   La legge per tutti        6 agosto 2019

www.laleggepertutti.it/291107_a-16-anni-si-puo-decidere-con-quale-genitore-stare

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CENTRO INTERNAZIONALE STUDI FAMIGLIA

Newsletter CISF – N. 31, 7 agosto 2019

People are like garbage trucks. Certe persone sono come un camion della spazzatura. Un vero e proprio calmante, questo breve video, che aiuta a reagire positivamente anche ad offese, insulti e arroganza. Un buon consiglio, al rientro dalle vacanze, per ricominciare con il piede giusto un anno intenso, e per provare a bonificare il linguaggio del dibattito pubblico

www.facebook.com/SimoneMauroShine/videos/1642679309197010

Europa. Capable – Enhancing Capabilities? Rethinking Work-life Policies and their Impact from a New Perspective (Rafforzare le capacità/capabilities? Una nuova prospettiva per ripensare le politiche lavorative nell’arco della vita e il loro impatto). Si tratta di un vasto progetto internazionale, avviato nel dicembre 2018 fino a novembre 2023. Esso produrrà una migliore conoscenza sull’impatto delle politiche di conciliazione vita-lavoro rispetto alle capacità e potenzialità (capabilities) di uomini e donne, con specifica attenzione alla dimensione comunitaria

https://worklifecapabilities.com/about

Tratta e prostituzione a Bergamo e Provincia, Rapporto 2019, a cura della Fondazione GEDAMA. “Offriamo ad amici, volontari, Istituzioni del territorio di Bergamo, Associazioni in rete un semplice Report 2019 sulla tratta e prostituzione a Bergamo e Provincia. Non abbiamo alcuna pretesa di completezza nella descrizione di quanto avviene; semplicemente raccontiamo quello che vediamo e incontriamo in strada”

www.fondazionegedamaonlus.org/principale.htm

Save the date

  • Nord: Ribaltare la scuola. Generare alleanze educative e di cittadinanza, convegno nazionale promosso da Edizioni Meridiana, Mestre (VE), 13 settembre 2019.

www.edizionilameridiana.it/wp-content/uploads/2019/06/13-settembre_programma.pdf

  • Nord: La missione della famiglia, chiesa domestica nella Scrittura e nel Magistero, Giornata diocesana della Famiglia, promossa dall’Ufficio diocesano per la pastorale della famiglia, Ferrara, 8 settembre 2019.                                   https://arcidiocesiferraracomacchio.org/pag_evento.php?leggi_tutto=214
  • Centro: Più anziani e più sani: una sfida da realizzare attraverso un SSN moderno e sostenibile, XII Congresso Nazionale della SIMM (Società Italiana Medici Manager), Ancona, 12-13 settembre 2019.                                                          www.medici-manager.it/brochures/brochure-20190912.pdf
  • Sud: 12° Pellegrinaggio nazionale delle famiglie per la famiglia, promosso da Rinnovamento nello Spirito Santo in collaborazione con altre realtà ecclesiali, Scafati-Pompei, 14 settembre 2019.

www.rns-italia.it/NuovoSito/page/standard/mop_all.php?p_id=426

  • Estero: Integrating Research into Practice and Policy: The Impact on Families and Children (Integrare la ricerca nella pratica e nelle politiche: l’impatto sulle famiglie e sui bambini), convegno autunnale promosso da AFCC (Association of Family and Conciliation Courts), Pittsburg (USA), 31 ottobre-2 novembre 2019.

www.afccnet.org/Portals/0/Conferences/Conference%20Brochure.pdf?ver=2019-07-11-142432-793

Iscrizione                  http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/newsletter-cisf.aspx

Archivio        http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/elenco-newsletter-cisf.aspx

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CHIESA CATTOLICA

Paolo VI e l’Enciclica del dialogo

Il 6 agosto 1964, 55 anni fa, Papa Paolo VI pubblica Ecclesiam Suam, la prima enciclica in cui compare il termine “dialogo”

http://w2.vatican.va/content/paul-vi/it/encyclicals/documents/hf_p-vi_enc_06081964_ecclesiam.html

Nell’esistenza di San Paolo VI, il 6 agosto non coincide solo con il suo dies natalis – era il 1978 – ma rappresenta anche una data fondamentale nel Magistero di questo Papa, successore di Giovanni XXIII e dal quale aveva ereditato la gravosa sfida del Concilio Vaticano II. Il riferimento è alla pubblicazione della prima Enciclica di Montini, Ecclesiam Suam, conosciuta come l’Enciclica del Dialogo, anche se “il dialogo” non è l’unica linea programmatica delineata dal nuovo Pontefice. Era il 6 agosto, ma di 55 anni fa. Ne abbiamo parlato con don Angelo Maffeis, presidente del Centro Studi dell’Istituto Paolo VI di Concesio (Brescia), città natale di Giovanni Battista Montini.

      Don Maffeis, Ecclesiam Suam oltre ad essere la prima enciclica di Papa Paolo VI, è il primo documento ufficiale del Magistero in cui compare la parola “dialogo”.

R. –Ecclesiam Suam, è stata l’enciclica inaugurale del Pontificato di Paolo VI, la prima. Quindi, come accade sempre per ogni nuovo pontificato, si è guardato ai temi che il Papa da poco eletto avrebbe affrontato nel suo magistero e nella sua azione pastorale. Nel caso di Paolo VI, questo si intreccia con il fatto che dal suo predecessore, Giovanni XXIII, aveva ereditato il Concilio Vaticano II che era stato aperto nell’ottobre del 1962 e che aveva mosso i suoi primi passi. In qualche modo Paolo VI vuole riflettere sulla Chiesa, proporre la sua riflessione e lo fa in un contesto in cui il Concilio Ecumenico si sta interrogando sugli stessi temi. C’è quasi un gioco di specchi tra il discorso del 29 settembre del 1963, quando Paolo VI inaugura il secondo periodo del Concilio – il primo da lui presieduto – e l’enciclica apparsa l’anno successivo che sviluppa, appunto, i temi che già aveva abbozzato. Effettivamente, il dialogo ha un ruolo centrale, anche se non è l’unico tema che viene sviluppato nel documento. Che fosse centrale, lo confermano anche una serie di appunti di Paolo VI dal titolo “Note per un’enciclica sul dialogo”. Montini, fin dagli anni giovanili, avvertiva la necessità che la Chiesa, l’annuncio cristiano, trovassero di nuovo le vie per comunicare con la cultura contemporanea e le declina, arrivato appunto alla Sedia di Pietro, con questo concetto importante non solo per la Chiesa ma, anche, per la cultura del dialogo.

Papa Paolo VI cosa intendeva per “dialogo” e, soprattutto, a chi era rivolto?

R. – Per capire la natura del dialogo – per come lo intendeva appunto Paolo VI – bisogna partire da quella che potremmo definire la sua dimensione verticale: per Paolo VI il dialogo è anzitutto colloquium salutis, il colloquio della salvezza, che Dio stesso inizia attraverso la Parola che rivolge all’umanità, la Parola della sua rivelazione, la Parola con cui dirige e salva il suo popolo. E proprio perché Dio ha iniziato questo dialogo, allora Paolo VI afferma che la missione della Chiesa è quella di introdurre nella conversazione umana questa Parola che Dio le ha affidato, che prima di tutto i credenti devono ascoltare e che devono immettere nel circuito della conversazione e del dialogo tra gli esseri umani. Montini declina poi anche una visione di cerchi concentrici con cui questo dialogo deve svilupparsi. È un dialogo che si sviluppa anzitutto con i cristiani, quindi l’impronta e l’importanza della tematica ecumenica per il Vaticano II, che tutto il suo pontificato esprime. Dialogo che si manifesta poi con tutte le altre religioni ed infine con tutta l’umanità. Possiamo dire che Paolo VI ha invitato a condividere questo confronto e questo sforzo da un lato per rispondere alla Verità che Dio ha manifestato, e dell’altro per cooperare al bene dell’umanità.

A 55 anni di distanza, possiamo dire che Ecclesiam Suam, proprio in quanto “Enciclica del Dialogo”, ha degli aspetti attuali?

R. – Ovviamente i contesti sono cambiati, ma la dimostrazione più evidente di quanto importante sia il dialogo, la troviamo nell’alternativa al dialogo. Oggi si tende ad escludere il punto di vista altrui, alternativa che compromette alla radice la possibilità per gli esseri umani di vivere insieme. Quindi, nulla come questo atteggiamento ci fa capire che, per quanto sia difficile la via del dialogo, essa esige pazienza e da un lato fedeltà alle proprie convinzioni – perché, certamente, nulla è più lontano dall’idea di Paolo VI di venire meno alle condizioni della fede cristiana -. Allo stesso tempo, è convinto che il messaggio cristiano deve arrivare all’umanità e l’umanità è quella che ci è data in un determinato momento storico. C’è un altro grande ricordo di Paolo VI quando, alla conclusione del Concilio, alla vigilia dell’ultima sessione pubblica del 7 dicembre 1965, paragona il lavoro conciliare all’atto con cui la Chiesa, come il buon samaritano, si è chinata sull’umanità contemporanea. Egli dice di voler semplicemente “servire l’umanità” e mi pare che questa consapevolezza, da un lato della Parola di cui la Chiesa è portatrice e custode, e dell’altra dell’umanità a cui è inviata, siano i grandi temi universali, ma che riflettono la situazione particolare in cui il pontificato di Paolo VI si è sviluppato.

Emanuela Campanile – Città del Vaticano 06 agosto 2019

www.vaticannews.va/it/papa/news/2019-08/paolo-vi-enciclica-dialogo.html

 

Il caso Goethe e il celibato

L’ autunno caldo della chiesa cattolica è a un passo: e toccherà il problema dei problemi. Il riconoscimento (riuscito) dei divorziati risposati nella chiesa era facile; il tentativo (fallito) di risuscitare la responsabilità dei vescovi sui divorziati risposati era difficile; il cambio di passo davanti agli abusi commessi da preti e vescovi sulla carne o sulla coscienza dei piccoli uno sforzo (coronato da successo) preparato da anni di tormento. Ma adesso si arriverà al problema dei problemi che non è il celibato, ma il ministero del prete.

L’altro tema, il celibato viene agitato a sproposito in relazione alla pedofilia (che è una piccola frazione di quella platea criminale) ed è la linea Maginot di quell’integrismo cattolicheggiante che mal sopporta il cristianesimo di Francesco.

Quella linea non può reggere a lungo: non perché i preti siano scostumati o scarsi, ma perché alla chiesa latina serve un ministero abbastanza selezionato e abbastanza vasto da consentire una vita liturgica senza la quale la trasmissione della fede si riduce a collezionismo di presunti “valori” etici o estetici da custodire in una teca ideologica a-cristiana. Nel cristianesimo il celibato nasce come un segno messianico della prossimità del regno di Dio, che esaurisce il flusso delle generazioni e non ha scopi pratici. Nella chiesa latina verso l’VIII secolo si decise di scegliere di dare gli ordini sacri fra chi dichiarava una vocazione celibataria: non dunque la castità monastica, ma la rinuncia a una famiglia. Con un fine pratico legato ai beni ecclesiastici e con la costruzione, lunga un millennio, di una “spiritualità” e di una teologia che costruì una similitudine fra il corpo celibe maschile (ma circonciso) di Gesù al corpo celibe maschile (ma incirconciso) del celebrante.

Una riserva che sul piano concettuale cadde al Vaticano II quando si decise che il diaconato – cioè uno dei tre ministeri dell’ordine sacro – venisse conferito sia ai celibi sia agli sposati: da lì in poi iniziava il conto alla rovescia in attesa del momento in cui questa opzione (non “lasciar sposare” i preti, ma far preti gli sposati) sarebbe stata estesa. Attesa ormai vicina alla fine: perché da più parti si dice che una norma generale sarà chiesta a ottobre dal sinodo dell’Amazzonia.

Quando il Papa accoglierà questa richiesta che – come piace a lui – apre un “processo” nel tempo anziché perimetrare uno “spazio” nella norma, i fabbricanti di patenti false di eresia, quelli che chiamano le loro paure “dottrina” e i loro gusti “tradizione” si stracceranno le vesti. Potrebbe servire una vicenda più antica: ed è quella delle dispense dal celibato date data da Pio XII negli anni Cinquanta. La vicenda appartiene ad una fase particolarmente drammatica della storia del cattolicesimo: sono gli anni nei quali le conversioni individuali vengono esibite in una logica trionfalistica, incapace di percepire la tragedia di una chiesa che mira a una annessione possessiva, militaresca, ostentata con violenza.

Lo fa, ad un passo dalla Shoah, con la “conversione” dell’ex rabbino capo di Roma Israel/Eugenio Zolli. Lo fa rubando anime alle altre chiese d’oriente e d’Occidente, quasi per sfidare paternalisticamente la ricerca di unità fra le chiese del movimento ecumenico. In questa operazione hanno un peso particolare una serie di conversioni di pastori tedeschi appartenenti alla chiesa evangelica. Il primo fu il pastore Goethe, pro-pronipote del poeta e membro di quella parte della chiesa luterana “confessante” che non si era piegata al nazismo. Ordinato a Mainz nel dicembre 1951 a Goethe (che aveva allora 73 anni ed era sposato) Pio XII dà la dispensa dal celibato. Adesso il caso Goethe torna buono: per ricordare preventivamente alla piccola ma rumorosa corrente antibergogliana che quando si stabilirà di ordinare battezzati anche sposati non si farà nulla che Pio XII non avesse già fatto. Allora un atto d’imperio che sfidava e sfregiava la speranza ecumenica dei cristiani. Oggi, nei giorni della spoliazione del prestigio del clero cattolico, un atto necessario per ridare fiducia ai tantissimi preti che hanno vissuto il loro ministero con purezza e dedizione; per riaffermare che la chiesa ha bisogno di comunità eucaristiche per poter essere se stessa.

Alberto Melloni          “la Repubblica” 9 agosto 2019

https://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2019/08/09/il-caso-goethe-e-il-celibato34.html?ref=search

 

Pusilli animi est (AL 304): continuità e meschinità nella tradizione ecclesiale su matrimonio e famiglia

In un intervento sull’Avvenire del 3 agosto 2019 scorso, Mons. Massimo Camisasca [vescovo di Reggio Emilia-Guastalla] si sorprendeva per il fatto che venga offerta una immagine della evoluzione della pastorale familiare che sottolinea la discontinuità del papato di Francesco rispetto ai predecessori. E affermava che il popolo cristiano deve essere aiutato a comprendere la continuità, non la discontinuità della tradizione.

www.avvenire.it/opinioni/pagine/pastorale-della-famiglia-continuit-e-novit

Trovo che questo intervento abbia il merito di mettere il dito in una piaga, che non riguarda soltanto la pastorale e la dottrina su matrimonio e famiglia, ma l’intero “depositum fidei”. Su questo mi pare importante non cadere in una serie di trappole, che facilmente impediscono di comprendere ciò che sta accadendo. Ma procediamo per ordine.

  1. In primo luogo non debbo certo ricordare a Mons. Camisasca che il Concilio Vaticano II è sicuramente il punto di riferimento primario per comprendere che la continuità con la grande tradizione può essere assicurata solo assumendo su di sé il compito della riforma della Chiesa. Dalle parole di Camisasca, e di molti altri critici verso il rinnovamento dell’Istituto GPII, non trapela mai che la “condizione della continuità” è la riforma. Ora, ogni riforma comporta inevitabilmente una serie di discontinuità. Pertanto il Vaticano II impone di assicurare una più profonda continuità mediante alcune decisive discontinuità. Se si gioca sulla opposizione netta tra continuità e discontinuità, si resta fermi, immobili, bloccati. E’ quello che è capitato alla teologia del matrimonio e della famiglia. Che ha ritenuto di essere “fedele alla tradizione” restando bloccata su soluzioni e linguaggi tipici della seconda metà de XIX secolo.
  2. In particolare, un testo di Amoris Lætitia (AL) segnala in modo assai chiaro dove stia il “punto di svolta” che diversi professori dell’Istituto GPII [Giovanni Paolo II] hanno duramente e reiteratamente osteggiato. E’ uno dei testi chiave, nei quali viene attestato il superamento del modello ottocentesco di teologia del matrimonio. Esso dice così: “È meschino soffermarsi a considerare solo se l’agire di una persona risponda o meno a una legge o a una norma generale, perché questo non basta a discernere e ad assicurare una piena fedeltà a Dio nell’esistenza concreta di un essere umano.” Il testo latino inizia la frase con la espressione: “pusilli animi est”: “è proprio di un animo piccolo, debole, meschino”. Ma si deve dire, con tutta la chiarezza del caso, che proprio questa è stata la strategia ecclesiale prevalente sul matrimonio, che è iniziata con Pio IX, passando per Leone XIII, il Codice [di diritto canonico] del 1917 e Pio XI, per arrivare fino al Vaticano II. Tale scelta è stata quella del “primato dell’oggettivo”, con una considerazione minima e marginale del soggetto implicato. Questa strategia, che è stata la “forza” del XIX, è diventata la debolezza del secolo XXI.
  3. Bisogna aggiungere, però, che proprio la teoria centrale dell’Istituto GPII, elaborata in origine da mons. Carlo Caffarra [primo preside], portava alle estreme conseguenze questa impostazione ottocentesca: ossia operava una duplice e pericolosissima riduzione: riduceva la teologia del matrimonio alla morale, e la morale ad una serie di “assunti canonici” che diventavano il vero centro della dottrina sul matrimonio. Un diritto canonico elevato a criterio fondamentale per bloccare ogni asserto dogmatico, morale e pastorale. E chi non seguiva questa impostazione angusta veniva accusato di “magistero parallelo”: mons. Camisasca non farà fatica a ricordarlo.
  4. Questa operazione, compiuta agli inizi degli anni 80, e blindata con la Esortazione apostolica “Familiaris consortio” [22 novembre 1981], opera così un blocco totale della tradizione. Facendo passare per rivelato ciò che è una legittima ma contingente scelta storica, ha preteso di dire la “parola definitiva” sul matrimonio e sulla famiglia. Come è evidente per essere in continuità con la grande tradizione antica, medievale e tridentina, occorreva uscire da questo imbuto, nel quale ci eravamo rinchiusi dal 1981. I due Sinodi del 2014 e del 2015 hanno operato questa svolta.
  5. La riforma della pastorale matrimoniale e familiare aveva bisogno di riscoprire, dopo quasi 40 anni, che la scelta operata allora, risultava, alla luce della realtà della Parola di Dio e della esperienza dei cristiani, una soluzione “meschina”: una astrazione pericolosa, e anche assai violenta, che risentiva in modo troppo accentuato di una comprensione astratta e inadeguata della antropologia, della ecclesiologia e anche della funzione “dinamica” dello stesso diritto canonico.
  6. Per questo io mi sorprendo della sorpresa di Mons. Camisasca. Avrebbe già dovuto preoccuparsi negli anni 90, quando era coinvolto in un insegnamento, che operava pericolose astrazioni sulla pelle delle coppie sposate. Che ricostruiva in contumacia le loro vicende. Che non ammetteva la storia del vincolo e che idealizzava in modo esasperata le storie di vita, di comunione e di generazione.
  7. Non mi sorprende invece che oggi egli chieda “continuità”. In realtà quella continuità, a cui lui accenna, non è più possibile. Perché è in gioco una continuità superiore, quella del depositum fidei sul matrimonio e sulla famiglia, che deve trovare un rivestimento e una formulazione migliore, adeguata, non rigida. Per questa via si è avviato con coraggio il Sinodo dei Vescovi e il magistero di Francesco. Che oggi può riconoscere come “debole” quello che sembrava “forte” e come “meschino” quello che sembrava “necessario”.
  8. D’altra parte qui è in gioco molto più delle sensibilità episcopali e curiali. Che sono molto brave a ricostruire le cose a loro piacere. E possono auspicare che tutto cambi perché tutto resti come prima; che si possano dire, contemporaneamente, le frasi di 40 anni fa e quelle di oggi; che si possa addirittura fare di papa Francesco un “discepolo di Luigi Giussani”. La confusione che si deve evitare è quella tra la domanda di continuità, che è una cosa seria, e la pretesa di ridurre la continuità alla strategia meschina di una “societas perfecta” incapace di considerare le storie concrete dei soggetti.

Ma forse, dietro a tutto questo, la confusione peggiore non è quella tra “continuità” e “meschinità”, ma quella tra “comunione” e “comunione e liberazione”.

Andrea Grillo blog: Come se non 5 agosto 2019

www.cittadellaeditrice.com/munera/pusilli-animi-est-al-304-continuita-e-meschinita-nella-tradizione-ecclesiale-su-matrimonio-e-famiglia

 

Un altro paradigma: la vera questione dietro la querelle sull’Istituto GP2

Al di sotto e al di qua delle polemiche che hanno investito nelle ultime settimane l’Istituto Giovanni Paolo II (= IGP2), credo si possa riconoscere distintamente in esse la traccia di una evoluzione del rapporto tra Chiesa e mondo che trova nel Vaticano II e nella ripresa di esso da parte di Papa Francesco la sua origine.

Matrimonio e famiglia rappresentano, in modo esemplare, quello spicchio di mondo su cui già GS aveva cominciato a elaborare un paradigma diverso di mediazione tra fede e cultura. Cerco ora di comprendere in sintesi che cosa sta capitando in questo passaggio delicato.

  1. La mediazione tridentina e quella antiliberale. Con un fenomeno storico non prevedibile, il sacramento del matrimonio è diventato a partire dalla seconda metà del 500, il terreno di una relazione positiva con la cultura, che ha assunto progressivamente un profilo accentuatamente istituzionale. Il decreto “Tametsi” [Quantunque-Concilio di Trento 11 novembre 1563], stabilendo la “forma canonica” come criterio di validità del matrimonio, di fatto inaugurava, per tutta la cultura europea, una legislazione matrimoniale, che assumeva profilo strutturale. Nello sviluppo dei secoli successivi, questo orientamento si è largamente accentuato nello scontro aperto tra cultura civile e cultura ecclesiale. E il matrimonio e la famiglia sono diventati i simboli di una “resistenza”, che è stata gestita a diversi livelli, ma che soprattutto sul piano istituzionale, a partire dalla metà del XIX secolo, si è strutturata guridicamente, fino a diventare nel 1917 “codificazione canonica”. Questo ha segnato la storia della Chiesa cattolica fino al Concilio Vaticano II, che ha iniziato a modificare l’approccio, recuperando il terreno previo e ulteriore rispetto alla dottrina e alla disciplina.
  2. IGP2: come se il Concilio non ci fosse stato. In questo quadro, a quasi vent’anni dal Concilio Vaticano II, la fondazione del IGP2 ha rappresentato un movimento di “resistenza istituzionale”, in cui ogni approfondimento antropologico, teologico, ecclesiologico, era subordinato ad una conferma della tradizione recente: si è cercato di onorare tale tradizione mediante una operazione di moralizzazione e di giuridicizzazione della stessa. In modo particolare il lavoro di mons. Carlo Caffarra ha portato alle estreme conseguenze questo tentativo di “rigorizzazione concettuale” del modello ottocentesco, con una forte tendenza alla astrazione e alla concentrazione in pochi principi, nei quali sapere dogmatico e sapere canonico si sovrappongono fino quasi ad identificarsi. Vale la pena soffermarsi un poco su questo passaggio.
  3. Due principi-chiave. Mi sembra che si possa concentrare tutto il lavoro di strutturazione della “dottrina sul matrimonio” operato dal IGP2 in due principi generali ed astratti, che suonano così:

a) L’esercizio della sessualità è legittimo soltanto all’interno del matrimonio

b) Il matrimonio tra due battezzati è ipso facto sacramento

            Questi due principi, che provengono dalla tradizione degli ultimi secoli, sono formulazioni che risentono di un rapporto conflittuale con l’ambiente moderno, nel quale nasce un rapporto nuovo con il “sesso” (che prende il nome di sessualità) e una possibilità di “legge civile” sul matrimonio, diversa da quella ecclesiale. Questo duplice fenomeno viene di fatto bloccato mediante un duplice principio generale, che mira a “bloccare il sistema”. Se la sessualità può essere esercitata solo all’interno del matrimonio e ogni matrimonio tra battezzati è sacramento, allora chi ha competenza sul sacramento ha autorità e competenza a discernere sulla materia, e nessun altro.

4. Il procedimento della società chiusa e la sua differenza dal vangelo. Non è difficile notare come questo modello di pensiero scaturisca da una visione estremamente angusta della tradizione. La quale ha sempre saputo che la realtà matrimoniale e familiare non si lascia ridurre a idee chiare e distinte. E che le logiche della natura, della città e della Chiesa non sono in armonia a priori. La strategia della “società chiusa” era chiara: la società controllava la natura, e la Chiesa guidava la società. Era molto facile, nella società chiusa, che la Chiesa condividesse in modo assai largo l’immaginario sociale: che la Chiesa calvinista avesse nell’aula del culto delle panche “riservate alle meretrici” (ragazze madri) e che la Chiesa cattolica approvasse la maledizione delle ragazze madri dal contesto sociale. D’altra parte il principio della legittimità dell’esercizio della sessualità solo nel matrimonio è valso, per secoli, solo per le donne, ma non per gli uomini. L’uomo era iniziato “prematrimonialmente” alla sessualità. La possibilità di dire con verità il principio ecclesiale dipende dunque oggi dalla emancipazione femminile, che pure era combattuta frontalmente. Resta il fatto che l’approfondimento promosso dall’IGP2 è avvenuto all’interno di un quadro di “rapporto tra Chiesa e mondo” profondamente condizionato da scelte datate, contingenti e che apparivano, già negli anni 80, profondamente clericali. Anche il modello di operatori di pastorale familiare che l’IGP2 progettava in quegli anni manifestava i limiti di una profonda clericalizzazione del laicato.

5. La differenza di paradigma di Amoris Lætitia. Fino a Familiaris Consortio – che costituì di fatto la “magna carta” del IGP2 – questa impostazione resta indiscussa: è come se non si potesse uscire dal “modello ottocentesco”, apologetico e canonico, di comprensione del matrimonio e della famiglia. Il duplice Sinodo e la Esortazione Apostolica AL hanno cambiato il quadro soprattutto per 3 motivi:

  a) Hanno introdotto una nozione di magistero non anzitutto universale e astratto, ma concreto, nel quale sono coinvolti soggetti diversi da papa, dal Sinodo e dai Vescovi;

  b) Ha aperto il matrimonio e la famiglia a una lettura “escatologica” e “processuale”

  c) Ha ridimensionato le attese sulla “immediatezza” di unione e generazione dal punto di vista giuridico, lavorando piuttosto sulla evidenza storica e di compimento del sacramento cristiano.

            Questo cambia l’approccio alla materia, impedisce di “dedurre da una antropologia cristiana” tutti i contenuti dottrinali, ma partecipa del travaglio antropologico, attestato dalla stessa Scrittura, con cui emerge gradualmente una evidenza nuova e potente. Alla cui luce i principi enunciati non sono affatto falsi, ma non sono tutta la verità.  E dicono la verità in modo distorto, senza considerare i processi che la rendono evidente.

6. Concretezza anziché astrazione, processualità anziché immediatezza. La domanda è: come Dio guida e illumina la storia di amore e di generazione delle coppie di battezzati? La scelta tridentina, moderatamente, e ottocentesca, duramente, è stata quella istituzionale ed oggettiva. Il suo culmine è stato il progetto del Codice [di diritto canonico]. Ancora Familiaris Consortio resta in quel progetto, pur manifestandone tutte le crepe. La autorità di Dio si identifica con una Chiesa avente la competenza esclusiva su unione e generazione. La erosione di questo modello è accaduta lungo tutto il 900. La predisposizione di un modello nuovo non avviene con il Concilio Vaticano II, né con FC: solo AL ci dà le linee fondamentali di un modello diverso in cui la concretezza del discernimento soppianta in larga parte l’dea della legge generale e astratta; la processualità graduale supera l’idea della immediatezza contrattuale; la considerazione della libertà dei soggetti soppianta la loro riduzione impietosa alla logica della comunità. Tutto questo ha bisogno di un modello diverso di legge canonica e di pensiero teologico. AL ce ne dà un esempio non completo, ma convincente.

7. Il lavoro che ci aspetta. In questo spazio di novità lo studio della tradizione non può restare vincolato ai modelli superati di mediazione. La pretesa, espressa in più casi da diversi professori del IGP2 di avere in FC il modello insuperabile, che pretenderebbe di essere criterio di lettura (falsa) anche per AL, rappresenta la resistenza di una retroguardia rispetto al cammino ecclesiale. Il quale cammino sperimenta nella teologia del matrimonio ciò che riguarda, in realtà, l’intero sapere ecclesiale. La teologia cattolica deve diventare veramente cattolica. Non deve fermarsi alle versioni del cattolicesimo che Trento o il Vaticano I o il Codex del 1917 hanno saputo esprimere. Che il sesso sia diventato sessualità, che non possa essere semplicemente esercitato, ma che diventi parte integrante della identità dei soggetti in relazione. Che le forme della unione tra uomo e donna possano essere riconosciute e benedette anche al variare delle forme istituzionali che le riconoscono, sono tutti fenomeni che esigono categorie nuove, procedimenti di pensiero più elastici, disponibilità a vedere cose vecchie in modo nuovo e cose nuove in modo inatteso.

La “crisi” del IGP2 è crisi di crescita. E’ possibile che qualcuno ci resti male. Che qualcuno pensi che i figli sono belli finché sono piccoli e controllabili. Ma l’IGP2 è cresciuto e non sopporta padri padroni. E’ la logica di ogni famiglia. E i padri delusi possono sempre trovare un nonno che li consoli. Ma la storia non si ferma. E le famiglie più sante devono ancora nascere.

Andrea Grillo blog: Come se non     7 agosto 2019

www.cittadellaeditrice.com/munera/un-altro-paradigma-la-vera-questione-dietro-la-querelle-sullistituto-gp2

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CONSULTORI FAMILIARI CATTOLICI

Don Algeri «Ispiratore della bellezza dei legami»

Emozione e una folla commossa per l’ultimo abbraccio a don Edoardo Algeri che ha lasciato un sorriso nell’anima di molti. Al funerale presente il vescovo Francesco Beschi che ha celebrato la messa. Decine i preti che lo hanno conosciuto e che hanno voluto essere presenti alla cerimonia.

            Il vescovo, visibilmente emozionato, ha espresso dolore per l’improvvisa lacerazione e vicinanza affettuosa alla famiglia. Nell’omelia ha detto: «La morte rivendica il suo spazio anche con i giovani, tanti muoiono così, sono legami che si spezzano improvvisamente. Cosa resta? Ricordi, rimpianti a volte rabbia. Restano anche gli insegnamenti. Se è vero che si muore da soli, i legami danno battaglia alla morte, i legami nel cuore si rinnovano e don Edoardo era maestro di legami, ispiratore della bellezza del legame d’amore in tutte le declinazioni buone possibili. È stato guida in molti modi e con responsabilità sempre più grandi e pesanti, sulla famiglia soprattutto, intesa come esperienza d’amore e di dolore, di fatica di salita. Mai familista. Aveva fede, competenza, intelligenza e gentilezza».

 

Perché tutte queste parole? Perché don Edoardo è stato il “maestro dei legami”. Lui, che in questi ultimi anni è stato investito di responsabilità sempre più ampie, esponendosi al rischio di una paradossale solitudine, per tutta la sua vita è stato l’ispiratore della bellezza del legame. La bellezza del legame è essenzialmente l’amore e le sue infinite declinazioni; altri connotati possono contrassegnare i legami, alcuni decisamente disumani. Ma, nonostante questo, il nostro destino è il legame e, se non ci rassegniamo al destino, ma crediamo ad un piccolo spazio di libertà, allora la nostra vocazione è l’amore.

Le competenze di don Edoardo sono conosciute e sono state riconosciute: guida spirituale nel seminario, nella comunità diaconale, nei percorsi di discernimento giovanili; responsabile della pastorale familiare nella nostra Diocesi per un ampio arco di tempo, assurto ad una speciale competenza e responsabilità nell’ambito dei Consultori familiari, interlocutore autorevole presso i mondi istituzionali; in questi ultimi anni chiamato alla guida di importanti organismi a livello regionale e nazionale.

E soprattutto, la famiglia. La famiglia, dal suo nucleo misterioso e irradiante che è l’intimità di un uomo e una donna, alla meraviglia inesauribile e interpellante dei figli; la famiglia esperienza incomparabile di amore e anche di dolore; la famiglia esperienza originale di chiesa domestica e sorgente di socialità impegnativa e responsabile; la famiglia nei suoi lati oscuri e in quelli più luminosi; la famiglia rappresentazione di una storia che ha del divino e frutto della sorprendente Grazia che fa del suo nucleo pulsante, il matrimonio, un sacramento. La famiglia come narrazione vivente dei legami d’amore. Mai familista, don Edoardo ha fatto del suo servizio sacerdotale, connotato totalmente dal mandato della Chiesa, un dono alla famiglia.

Testo integrale                Il_ricordo_di_don_Edoardo_Algeri_da_parte_di_don_Gianni_Carzaniga.html

 

Paola Bonzi e don Edoardo Algeri tra le braccia del Padre: ricordo di due angeli della vita

In meno di dieci giorni la Chiesa lombarda ha perso due grandi protagonisti del bene. Ecco chi erano in questa testimonianza di Francesco Belletti.

            In meno di dieci giorni la Chiesa lombarda ha subito due improvvisi lutti: venerdì 2 agosto è mancato don Edoardo Algeri, presbitero nella diocesi di Bergamo e responsabile del servizio dei consultori familiari a livello diocesano, lombardo e nazionale; il venerdì successivo, 9 agosto, è mancata Paola Bonzi, fondatrice e animatrice del Centro di Aiuto alla Vita presso la clinica Mangiagalli di Milano.

            Ho avuto la fortuna di conoscere entrambi, in varie occasioni e con modalità diverse: con Paola Bonzi ricordo in particolare una trasmissione televisiva a TV2000, negli studi romani, dove intervenivano su tutela della famiglia e tutela della vita. Mi aveva colpito la grande passione, la concretezza della sua testimonianza, la semplicità delle sue parole (merce troppo rara, nella nostra Chiesa…), e la naturalezza con cui affrontava la sua disabilità: da non vedente, comunque i suoi occhi “lasciavano il segno”.  Una vita spesa a tutela della vita e delle giovani madri, in uno dei luoghi più difficili della città, dove si andava per abortire, e magari si usciva invece convinte che quella nuova vita si poteva comunque accogliere, grazie alla presenza e all’incontro con gli operatori del CAV – che poi sarebbero diventati compagnia e aiuto concreto, fino alla nascita del bimbo e anche dopo.

            Con don Edoardo Algeri ho avuto invece più occasioni di incontro, di scambio, anche di riunioni insieme, sia per il Forum delle associazioni familiari, sia per i consultori familiari, che erano la sua grande passione, anzi, potremmo dire “il suo carisma”.

Don Edoardo, da prete e da psicologo, incarnava quotidianamente la consapevolezza che il servizio dei consultori era “la carezza della Chiesa alla famiglia in difficoltà”, e questo si traduceva in una responsabilità forte, puntuale, precisa, professionale e insieme umana. Un prete anche tecnologico – come non dimenticare il suo tablet, sempre aperto a prendere appunti, durante le riunioni… – e anche per questo capace di mandare ogni anno, a me e mia moglie, gli auguri per il nostro anniversario di nozze. Una delicata attenzione che ci sorprendeva ogni volta.

Ora Don Edoardo e Paola ci guardano da lassù, nel confortevole abbraccio del Padre, e capiscono finalmente il senso di tutto questo darsi da fare, di tante preoccupazioni, di tante discussioni. A noi, che restiamo qui, rimane il dolore della perdita, la richiesta di un senso, e la gratitudine per il tempo che abbiamo condiviso. Si semina e ci si affanna, ma i frutti del nostro lavoro sono nelle mani di un Altro. Tutto sta a saper dire il nostro “fiat”.

Cara Paola, caro don Edoardo, arrivederci tra le braccia del Padre.

www.famigliacristiana.it/articolo/tra-le-braccia-del-padre-paola-bonzi-e-don-edoardo-algeri-una-compagnia-ancora-presente-anche-se-diversa.aspx

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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM

                                           Milano 2. Consultorio familiare Genitori oggi

Il Centro di Aiuto alla Vita Mangiagalli – CAV – è un’associazione di Volontariato Onlus federata al Movimento per la Vita Italiano e che fa parte del MoVi/CIESSEVI.

La Missione del CAV Mangiagalli è dare sostegno alla Maternità ed alla Genitorialità difficili con progetti di aiuto personalizzati, immediati e concreti. È stato fondato nel 1980 da Paola Bonzi, anima del CAV Mangiagalli, ed è il primo Centro di Aiuto alla Vita che, a seguito della “Legge 22 maggio 1978, n.194 – Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”, ha potuto trovare sede nel 1984 in un ospedale, la Clinica Mangiagalli di Milano, Unità Operativa di Neonatologia e Terapia Intensiva Neonatale – Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico.

La Legge 194, infatti, prevede un Colloquio preventivo e di riflessione con la donna che vorrebbe interrompere la gravidanza, a tutela della gravidanza stessa e al fine di verificare i ‘Seri e gravi motivi per la salute fisica e psichica della donna’, previsti come condizione della normativa, e che tale colloquio possa essere svolto da associazioni di volontariato.

In particolare, l’Art. 5 chiede di mettere in campo Aiuti ordinari e straordinari perché la donna rinunci a interrompere la gravidanza.

Di fatto, in 34 anni di attività, il CAV Mangiagalli ha aiutato a nascere 22.633 bambini ma molti altri sono venuti alla luce a seguito del semplice colloquio. I dati si riferiscono, infatti, ai neonati che hanno effettuato da noi visite perinatali e ricevuto pannolini.

Gli Operatori del CAV Mangiagalli sono professionisti regolarmente iscritti ad Albi professionali di riferimento. I consulenti familiari fanno parte dell’Associazione AICCEF che struttura corsi di formazione permanente, attribuendo i relativi crediti formativi.

L’Associazione è guidata da un’Assemblea di Soci che eleggono un Consiglio Direttivo, il quale a sua volta nomina il Presidente e il Direttore. Il presidente in carica è l’avvocato Nicolò Mardegan e il direttore la consulente famigliare Paola Chiara Marozzi Bonzi.

Per dare un sostegno non solo economico, ma anche psico-socio-pedagogico e relazionale alla donna e/o al nucleo familiare, nel 2000 il Centro di Aiuto alla Vita Mangiagalli si è costituito come Consultorio Familiare ‘Genitori Oggi’, accreditandosi nel 2002 ad ATS Città Metropolitana di Milano.

Attualmente i primi colloqui avvengono presso la sede nella clinica Mangiagalli mentre le ulteriori attività previste dai progetti per l’accompagnamento della gravidanza si svolgono negli ampi spazi di via della Commenda 37.

La fondatrice del CAV Mangiagalli Paola Marozzi Bonzi aveva iniziato l’attività professionale con un diploma magistrale e l’abilitazione all’insegnamento ad allievi oligofrenici ottenuta all’Istituto Giuseppe Toniolo-Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

Dal 1983, è Consulente familiare (studi all’’Istituto La Casa’ di Milano), accreditata alla Regione Lombardia. Diverse le specializzazioni conseguite negli anni, tra le quali Tecniche del colloquio, Diagnosi e trattamento casi, Gestione dello stress nelle situazioni conflittuali, Supervisione per la diagnosi e il trattamento del caso, Approcci della psicologia clinica, Psicoterapia psicoanalitica della famiglia e della coppia. Impegnata in un’ autoformazione continua, ha seguito numerosi corsi nei migliori Istituti formativi: dalla ‘Gestione dell’emozione attraverso la fiaba’, a ‘Paternità, maternità e crescita dei figli’, ‘Teoria e pratica negli interventi Consultoriali’, ‘Trama e ordito: L’operatore di consultorio: una storia in divenire’ ed altri, sempre con l’intento di perfezionare la sua capacità di ascolto, di instaurare una relazione di aiuto efficace con la persona/coppia in difficoltà e di stimolarne le migliori risorse personali.

Paola Bonzi struttura il colloquio previsto dalla Legge 194\1978 con un suo originale ‘Metodo di counseling umanistico esistenziale basato sull’ascolto attivo finalizzato a stabilire una relazione di aiuto’, che fa scuola nel mondo.

Nel gennaio 2017 è stata chiamata a Mosca dalla Chiesa ortodossa e cristiana per organizzare e presiedere un convegno sull’approccio con le donne in difficoltà a causa della gravidanza, nell’ambito del progetto di avviamento e diffusione di Centri di Aiuto alla Vita nel Paese (è disponibile la relativa documentazione).

Socio onorario di AICCEF – Associazione Italiana Consulenti Coniugali e Familiari- Paola Bonzi ha una intensa attività convegnistica.

È anche autrice di 4 libri, di cui tre ‘manualistici’, ma sempre connotati dal suo personale stile narrativo che su Facebook le ha fatto ottenere un seguito di oltre 4.675 amici. Il suo primo volume è stato ‘Oggi è nata una mamma’, al quale sono seguiti ‘Un giorno dopo l’altro, un bambino dopo l’altro’ e ‘Per un bambino’.

Paola Bonzi è Vicepresidente del Comitato Etico della Facoltà di Antropologia alla Università degli Studi di Milano.

Vedi    newsucipem n.761- 7 luglio 2019, pag. 14

www.cavmangiagalli.it/chi-siamo

www.genitorioggi.it/Portals/0/Contattaci2.png

 

Scomparsa Paola Bonzi, fondatrice del Centro aiuto alla vita Mangiagalli

Amava ripetere che la sua luce era «ridare il sorriso alle mamme». E non era un modo di dire: per lei, che perse la vista a poco più di vent’anni, fresca madre della primogenita, la felicità delle donne, soprattutto di quelle che all’inizio della gravidanza erano troppo spaventate per dire “sì” alla loro creatura, e la vita dei bambini era davvero tutto. A loro ha dedicato la sua intera esistenza.

 

 

 

            Paola Marozzi Bonzi è scomparsa nel tardo pomeriggio di venerdì in ospedale a Brindisi, dove si trovava in vacanza con il marito Luigi, dopo una breve malattia che l’ha portata rapidamente e inaspettatamente in coma. Aveva 76 anni, era madre di due figli e nonna di quattro nipoti. A Milano nel 1984 aveva fondato il primo Centro di aiuto alla vita che abbia mai potuto trovare sede in un ospedale, in quella clinica Mangiagalli in cui passano migliaia di donne ogni anno, tante con un carico di difficoltà e di dolore.

            Ne era ancora oggi la direttrice; pochi giorni fa aveva firmato la newsletter di luglio del Cav. «Fiocchi azzurri, fiocchi rosa. Sono la nostra gioia e il motivo per cui ci impegniamo». E poi lo strabiliante numero di bambini salvati dall’aborto dal 1984 ad oggi, nati grazie a un incontro con la stessa Paola o con uno degli altri operatori del Centro di aiuto alla vita: 22.633 che oggi crescono e vivono grazie a un “sì” coraggioso e alla vicinanza dei volontari.

            Paola Bonzi, nata nel Mantovano nel 1943 ma da sempre vissuta a Milano con la famiglia, era una educatrice. Al diploma magistrale sono seguiti specializzazioni per insegnare ai bambini con ritardo mentale, poi corsi per consulente familiare e quattro anni d’Istituto superiore di scienze religiose. Ma l’insegnamento non era abbastanza, per questa indomita donna che ha convissuto con la cecità senza troppi fardelli.

            Negli anni successivi all’entrata in vigore della legge sull’interruzione volontaria della gravidanza (1978) come altri operatori del Movimento per la vita in Italia, Paola si attivò per stare accanto alle donne: erano anni difficili, in cui la presenza dei volontari era mal tollerata. Ma lei non si fermava davanti a nessuna difficoltà. Mancavano i fondi per aiutare concretamente le donne? E lei lo gridava ai quattro venti, pubblicava appelli sui giornali, minacciava (senza mai crederci davvero) di chiudere il centro, richiamava le istituzioni alle loro responsabilità. E alla fine i soldi spuntavano. Per la sua abnegazione le era stato assegnato l’Ambrogino d’oro, la più prestigiosa benemerenza civica milanese.

«Un’intera esistenza, la sua, dedicata solo ed esclusivamente ai piccoli, spesso indesiderati; una vita intera – la ricorda Marina Casini Bandini, presidente nazionale del Movimento per la vita – nell’ascolto quotidiano di donne e future mamme in difficoltà; un servizio portato avanti in prima persona, con grande determinazione e infinito amore”.

“Paola ha vissuto ascoltando e abbracciando prima le mamme e poi i loro bambini – aggiunge una nota del Cav di Milano -. Ha vissuto spendendo tutte le sue energie per il Cav Mangiagalli. Ha scritto libri e ha amato raccontare con passione le tante storie di bimbi e mamme incontrate in oltre 34 anni di impegno. Paola ha vissuto senza mai abbattersi di fronte agli ostacoli, spesso enormi, che la vita le ha posto di fronte. E ha fatto tutto questo avendo sempre chiaro l’obiettivo: accogliere e custodire la Vita nascente come il più bello e prezioso dei doni».

Paola Bonzi era presente anche sui social: dalla sua pagina Facebook fino a pochissimi giorni fa raccontava le storie di bambini salvati e si preparava a festeggiare il 35esimo compleanno del Cav Mangiagalli, il prossimo autunno. «Non siamo solo invecchiati in questi anni – scriveva il 29 luglio –, siamo diventati anche persone diverse che non possono più vivere solo per sé stesse e per la propria famiglia, ma che hanno acquisito la sensibilità di chi avvicina il dolore degli altri. L’avventura è stata meravigliosa e non può finire. La Vita è Amore. Restiamo insieme, continuando a pensare alla nostra missione, costruendo così il Futuro». Sembra davvero una profezia.

Antonella Mariani Avvenire 9 agosto 2019

www.avvenire.it/mondo/pagine/morta-paola-bonzi-cav-mangiagalli-milano

                                                                               

L’addio. Paola Bonzi, quell’abbraccio che ti conquistava alla vita

Funerali ristretti lunedì 12 agosto a Milano per la fondatrice del Centro di aiuto alla vita di Milano, scomparsa venerdì scorso per una improvvisa malattia. Paola Marozzi Bonzi, fondatrice e direttrice dello storico Cav Mangiagalli di Milano, è morta venerdì pomeriggio a Brindisi, per una inaspettata e fulminea malattia che l’ha colta durante una vacanza con il marito.

Aveva 76 anni, due figli e quattro nipoti; i suoi funerali saranno celebrati lunedì a Milano, nella cappella della clinica Mangiagalli, in forma ristretta. Sarà poi ricordata con una Messa il prossimo 9 settembre.

Ci sono a Milano e altrove 22.702 bambini e ragazzi e ormai uomini e donne, che non sanno di dovere la vita anche a una signora che si chiamava Paola, e che è morta venerdì, a 76 anni. Difficilmente le madri di questi figli avranno raccontato loro la verità: sai, io non ti volevo, ero sola, o ero povera, ma in un ufficio della Clinica Mangiagalli ho incontrato una signora, che mi ha dato il coraggio di tenerti. Non sono cose che una madre dice a un figlio. Su quelle drammatiche esitazioni si tace. Però una donna ricorda. E non dimentica.

La prima volta che ho incontrato Paola Marozzi Bonzi è stato diversi anni fa nello storico ufficio del Cav della Mangiagalli. Antico tempio, allora, dai muri ingialliti, e interminabili corridoi. Echi lontani di grida dalle sale parto, e di trionfanti vagiti di nuovi nati. Ma a quella piccola stanza del Cav dal 1984 bussavano quasi furtivamente, come temendo di entrare, giovani donne spesso sole, ai primissimi mesi di attesa. Magari già con il certificato per l’IVG in borsa. Con un’ombra però di dubbio addosso, un dubbio che più cercavano di zittire e più gridava: «E se… ?».

Paola Bonzi era allora una bella signora bruna, sorridente, le palpebre e le lunghe ciglia nere calate sugli occhi ciechi. Aveva avuto la prima figlia e aveva cominciato a perdere la vista; con il secondo la cecità si era aggravata, fino a lasciarla pochi anni dopo nel buio. Ha scritto nel suo ultimo libro, ‘Per un bambino’: «Quando sono nati i miei figli, Cristiana e Stefano, continuando a tenere lo sguardo su di loro, neonati, mi perdevo nel chiedermi: come è stato possibile tutto ciò?». Lo raccontò anche a me quel giorno, come i suoi ultimi sguardi si fossero fissati sui suoi nati – su quel miracolo che una donna non può non vedere, quando riconosce che da lei è nato un uomo. Perdere la vista dopo il parto, che disgrazia, mi dissi. Eppure tutto nel volto di quella signora diceva altro: non di una condanna, ma, incredibilmente, di una sofferenza che aveva generato un bene più grande. Stavo ad ascoltarla zitta.

Erano anni ancora di durissima battaglia sulla L.194/1978. Molti, fuori e dentro la Mangiagalli, avversavano la Bonzi. Non sentii in lei traccia di quel moralismo duro che purtroppo scorre anche in certi sinceri pro life: il giudizio, la condanna, la parola non benigna che lascia sole.

 Paola Bonzi non giudicava. Ascoltava, e diceva: se vuoi ti aiutiamo. Una faccia amica, e pannolini, viveri, a volte anche un tetto. Con fondi raccattati con iniziative di ogni tipo, con frequenti rischi di chiusura, con contributi pubblici faticosamente conquistati. (Nel 2007, anno di grave difficoltà, il Governatore Formigoni destinò al Cav Mangiagalli 500mila euro della Regione).

22.708 donne dal 1984 si sono attaccate a quella mano tesa. Pensavo a cosa fa pendere la volontà di una donna sull’invisibile, vertiginoso crinale di un ‘sì’ o di un ‘no’.

Mi raccontò Paola Bonzi: «Lei si immagini di avere davanti a sé una ragazza che le dice di essere incinta. Fa la badante o magari la precaria, e la prima cosa che perderà con la maternità è il posto. È straniera, spesso sola. Ti azzarda esitante quel pensiero: ma voi, se io tengo il bambino, mi aiutereste? E tu sai che non stai negando un impiego, ma sei davanti a un aut-aut, stai decidendo della vita di un bambino. Sarebbe terribile, dover trovarsi a dire: no».

Tornai da Paola anni dopo. Uscivano dal suo ufficio in quel momento due ragazzi giovanissimi. Lei parrucchiera, lui precario a 400 euro al mese. Eppure lei, 18 anni, quel bambino lo voleva. Mi immaginai la Bonzi ancora una volta in sala d’attesa, trepidante nell’attesa di un vagito, di una madre bambina da abbracciare.

È stata una grandissima donna. Nel buio della sua cecità si è aperta una porta di misericordia. Una sola volta vidi i suoi occhi. Erano verdi, bellissimi. Pensai istintivamente agli occhi delle gatte che covano la cucciolata, materne ma pronte a difendere i piccoli, devote alla vita. Una madre, grande, questo Paola è stata. Di 22.702 figli, che non sanno.

www.avvenire.it/attualita/pagine/paola-bonzi-quellabbraccio-che-ti-conquistava-alla-vita

 

            E’ morta Paola Marozzi Bonzi: il suo generoso impegno a favore della vita nascente

Ha dedicato l’intera vita ad ascoltare mamme in difficoltà offrendo loro tutto l’aiuto possibile perché potessero scegliere la vita per il bimbo di cui erano in attesa. Grazie al suo impegno nel Centro aiuto alla vita della clinica Mangiagalli, a Milano, sono nate decine di migliaia di bimbi

Ha vissuto l’intera esistenza per mamme e bambini. Non vedente dall’età di 23 anni, la Marozzi Bonzi è stata la fondatrice del primo Centro di Aiuto alla Vita d’Italia che abbia potuto trovare sede in un ospedale e con il suo impegno cominciato nel 1984, ha contribuito alla nascita di oltre 22 mila bambini. “Un’intera esistenza, la sua, dedicata solo ed esclusivamente ai piccoli, spesso indesiderati – si legge in una nota del Cav Mangiagalli -; una vita intera nell’ascolto quotidiano di donne e future mamme in difficoltà; un servizio portato avanti in prima persona, con grande determinazione e infinito amore.

La vita: il più prezioso dei doni. Paola ha vissuto ascoltando e abbracciando prima le mamme e poi i loro bambini. Ha vissuto – si legge ancora – spendendo tutte le sue energie per il CAV Mangiagalli. Ha scritto libri e ha amato raccontare con passione le tante storie di bimbi e mamme incontrate in oltre 34 anni di impegno. Paola ha vissuto senza mai abbattersi di fronte agli ostacoli, spesso enormi, che la vita le ha posto di fronte. E ha fatto tutto questo – conclude la nota – avendo sempre chiaro l’obiettivo: accogliere e custodire la Vita nascente come il più bello e prezioso dei doni.

Lo scorso gennaio Paola Marozzi Bonzi era stata intervistata da Vatican News. Al microfono di Benedetta Capelli, raccontava il suo impegno accanto alle donne in difficoltà, spesso lasciate sole da mariti e compagni di fronte alla gravidanza. E suggeriva la necessità di ripensare la relazione uomo-donna per riscoprire il valore del rispetto e della famiglia. Al nostro Centro “non abbiamo mai detto no a nessuno”, diceva, esprimendo la soddisfazione per aver aiutato migliaia di bambini a venire alla luce. E concludeva raccontando le origini profonde alla base della sua attività a favore della vita e esprimendo gratitudine per i doni ricevuti e per la Provvidenza che sempre l’ha accompagnata.

Adriana Masotti – Città del Vaticano           Vatican news  10 agosto 2019

www.vaticannews.va/it/mondo/news/2019-08/paola-marozzi-bonzi-clinica-mangiagalli-milano-centro-aiuto-vita.html

 

                               Papa e le donne: dignità, rispetto ed equilibrio nelle relazioni

Dignità è la parola che Papa Francesco evoca da sempre quando affronta il doloroso tema della violenza sulle donne. Un richiamo che trova la sua Magna Carta nella Lettera Apostolica Mulieris dignitatem, emanata trent’anni fa da san Giovanni Paolo II. Ieri nel discorso al Corpo Diplomatico presso la Santa Sede, Papa Francesco ha richiamato il documento che già allora metteva in risalto il ruolo della donna per “aiutare l’umanità a non decadere”.

I contesti famigliari difficili. “Duole constatare – ha detto il Pontefice – che nelle nostre società, tante volte caratterizzate da contesti familiari fragili, si sviluppano comportamenti violenti anche nei confronti delle donne”. Francesco ha sottolineato “l’urgenza di riscoprire forme di relazioni giuste ed equilibrate, basate sul rispetto e sul riconoscimento reciproci, nelle quali ciascuno possa esprimere in modo autentico la propria identità, mentre la promozione di talune forme di indifferenziazione rischia di snaturare lo stesso essere uomo o donna”.

La strada tortuosa della speranza. Paola Bonzi fonda 34 anni fa il Centro di aiuto alla vita (Cav), presso la clinica milanese “Mangiagalli”, la sua è un’esperienza di accompagnamento delle donne che scelgono di abortire per povertà, solitudine, abbandono del coniuge. Paola e i suoi collaboratori indicano una strada che all’inizio può sembrare tortuosa ma, in chi ha deciso la via dolorosa dell’interruzione di gravidanza, fanno nascere il seme della speranza. La speranza di farcela, di dire sì a chi non ha scelto di venire al mondo. Ad oggi sono 2.600 le donne seguite per 18 mesi; a loro è assicurata vicinanza, assistenza psicologica, un sussidio economico mensile e, in casi particolari, anche un’accoglienza temporanea. Attualmente il Cav Mangiagalli conta su 2 grandi appartamenti e su 5 mono e bilocali per accogliere mamme singole e coppie di genitori.

Ripensare la relazione della coppia. Rimettere in gioco il rapporto uomo-donna: è uno dei suggerimenti di Paola Bonzi, alla luce della lunga esperienza al Cav Mangiagalli. Offrire nuova linfa e nuova energia alle coppie per riscoprire i valori del rispetto e della famiglia: intervista a Paola Bonzi.

R. – Mentre le donne che incontro sono sempre molto coraggiose, gli uomini sono abbastanza assenti. Spesso dicono che il problema è solo della donna; spesso se ne vanno. Tutto questo naturalmente non è proprio sempre così. Alla Mangiagalli c’è un servizio per la violenza domestica. Noi lavoriamo sulle relazioni familiari perché spesso la donna è sopraffatta dalla relazione con il padre del bambino che magari non vuole il bambino. Si tratta di far lavorare i due componenti – la coppia – sui propri vissuti, dicendo però che ciò che noi riceviamo a livello di nozioni personali non rimangono un segreto perché i segreti fanno molto male. Tutto verrà rimesso in gioco nella relazione.

            Si parla di dignità della donna, dignità di un bambino che non sceglie di venire al mondo

R. – No, che non chiede di venire al mondo: viene messo in viaggio, a volte, con poco senso di responsabilità, e poi, siccome lui è piccolo, non era previsto, non era desiderato, viene anche fatto fuori. Quel bambino sta nel posto dove dovrebbe essere più al sicuro che in qualunque altro posto. E invece lì rischia la vita.

              Tanti anni, tante storie, tanti incontri: quante sconfitte, quante vittorie nella sua vita?

R. – Su dieci donne che arrivano, almeno otto, ma anche nove, accettano di essere aiutate e quindi cambiano idea, tanto è vero che sono nati 22.150 bambini. Spesso queste donne sono “obbligate” dalla condizione di povertà, se non di miseria, per cui noi tentiamo di capire quali sono le ragioni profonde per tentare di dare delle risposte, e devo dire che non abbiamo mai detto di no a nessuno. Quest’anno a Natale sono venuti tanti bambini a salutarmi, e io tutte le volte che li guardo mi dico che non ci dovevano essere. Se non ci fossimo incontrati chissà dove sarebbero.

Da dove le viene la sua energia? Dov’è il cuore di Paola?

R. – Nasco insegnante di ragazzini con ritardo mentale e questa cosa mi è sempre piaciuta tantissimo. Questo quando ci vedevo. Mi sono ammalata agli occhi e ho perso la vista molto giovane – avevo 23 anni – mi avevano chiesto di non avere più figli. Naturalmente, io dopo qualche mese mi sono ritrovata incinta e questo bambino lo voleva solo la sua mamma. Direi che ho vissuto una gravidanza da persona sola e preoccupata. Sola ma non perché non ci fosse mio marito o la mia famiglia: sola perché una donna quando è incinta vive una relazione molto unica con il proprio figlio. Quando poi è nato, ed era perfetto, io ho detto: “Vorrò aiutare le donne in difficoltà”. Mi sembrava di dover ringraziare la vita e anche la Provvidenza che mi aveva accompagnato.

Benedetta Capelli – Città del Vaticano         Vatican news              8 gennaio 2019

www.vaticannews.va/it/papa/news/2019-01/papa-francesco-corpo-diplomatico-violenza-donne-dignita-rispetto.html

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COUNSELING

Che la nuova stagione abbia inizio!

È disponibile il calendario OEFFE della prossima stagione, che inizia a settembre 2019 e termina a maggio 2020.

Per quanto riguarda la parte strettamente logistica, gli ultimi due corsi vanno ancora definiti negli ultimi dettagli.

  1. Adolescenza, seconda parte. Rivolto a coppie di genitori con figli tra i 14 e i 18 anni, ricomincia con il nuovo anno la seconda metà di Adolescenza dopo i primi incontri svolti durante la stagione 2018/2019. Non è obbligatorio aver frequentato la prima per iscriversi.
  2. Primi passi. Per coppie di genitori con dei bambini di età variabile tra 0 e 3 anni.
  3. Amore e matrimonio. Aperto a tutte le coppie sposate, senza alcun limite di tempo.
  4. Preadolescenza. Pensato per coppie di genitori con figli tra gli 11 e i 14 anni.5. Prime decisioni. Per tutte le coppie di genitori con figli dagli 8 agli 11 anni, prima parte (consistente in tre moduli).
  5. Progetto personale. Diretto ai giovani non sposati.

Gli incontri in via di definizione, si terranno di sicuro tra gennaio 2020 e maggio 2020.

Associazione OEFFE via Fratelli Ruffini 5, 20123 Milano info@oeffe.it

Milano 2 agosto 2019                                    www.oeffe.it/consulenza-familiare

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DALLA NAVATA

XIX Domenica del tempo ordinario – Anno C – 11 agosto 2019

Sapienza         18, 09. I figli santi dei giusti offrivano sacrifici in segreto e si imposero, concordi, questa legge divina: di condividere allo stesso modo successi e pericoli, intonando subito le sacre lodi dei padri.

Salmo              32, 20. L’anima nostra attende il Signore: egli è nostro aiuto e nostro scudo. Su di noi sia il tuo amore, Signore, come da te noi speriamo.

Ebrei               11, 01. Fratelli, la fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede. Per questa fede i nostri antenati sono stati approvati da Dio.

Luca               12, 48. A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più»

 

E il padrone si mette a servire noi poveri servi

Siate pronti, tenetevi pronti: un invito che sale dal profondo della vita, perché vivere è attendere. La vita è attesa: di una persona da amare, di un dolore da superare, di un figlio da abbracciare, di un mondo migliore, della luce infinita che possa illuminare le tue paure e le tue ombre. Attesa di Dio. «E verrà, se insisto\ a sperare, non visto…\Verrà,\ già viene\ il suo bisbiglio» (Clemente Rebora). Le cose più importanti non vanno cercate, ma attese (Simone Weil).

Lo stesso Dio «sitit sitiri» [«Dio ha sete che si abbia sete di lui» S. Gregorio di Nazianzo], dicevano i Padri, Dio ha sete che abbiamo sete di lui, desidera essere desiderato, ha desiderio del nostro desiderio. Ed è quello che mostrano i servi della parabola, che fanno molto di più di ciò che era loro richiesto. Restare svegli fino all’alba, con le vesti già strette ai fianchi, con le lampade sempre accese, è un di più che ha il potere di incantare il padrone al suo arrivo.

            Quello dei servi è un atteggiamento non dettato né da dovere né da paura, essi attendono così intensamente qualcuno che è desiderato, come fa l’amata nel Cantico dei Cantici: «dormo, ma il mio cuore veglia» (5,2). E se tornando il padrone li troverà svegli, beati quei servi. In verità vi dico – quando Gesù usa questi termini intende risvegliare la nostra attenzione su qualcosa di importante – li farà mettere a tavola e passerà a servirli.

            È il capovolgimento dell’idea di padrone: il punto commovente, sublime di questo racconto, il momento straordinario, quando accade l’impensabile: il Signore si mette a fare il servo! Dio viene e si pone a servizio della felicità dei suoi, della loro pienezza di vita! Gesù ribadisce, perché si imprima bene, l’atteggiamento sorprendente del Signore: si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. È l’immagine clamorosa, che solo Gesù ha osato, di Dio nostro servitore; quel volto che solo lui ha rivelato e incarnato nell’ultima sera, cingendo un asciugamano, prendendo fra le sue mani i piedi dei discepoli, facendo suo il ruolo proprio dello schiavo o della donna. La fortuna dei servi della parabola, la loro beatitudine – ribadita due volte – non deriva dall’aver resistito tutta la notte, non è frutto della loro fedeltà o bravura.

            La fortuna nostra, di noi servi inaffidabili, consiste nel fatto di avere un padrone così, pieno di fiducia verso di noi, che non nutre sospetti, cuore luminoso, che ci affida la casa, le chiavi, le persone. La fiducia del mio Signore mi conquista, mi commuove, ad essa rispondo. La nostra grazia sta nel miracolo di un Dio che ha fede nell’uomo. Io crederò in lui, perché lui crede in me. Sarà il solo Signore che io servirò perché è l’unico che si è fatto mio servitore.

Padre Ermes Ronchi, OSM

www.qumran2.net/parolenuove/commenti.php?mostra_id=46415

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ECUMENISMO

Nuova dichiarazione della Consulta cattolica-ortodossa

L’importante novità sul fronte del dialogo ecumenico è arrivata ieri dalla Consulta cattolica-ortodossa nordamericana, presieduta in modo congiunto dal cardinale Joseph W. Tobin, arcivescovo metropolita di Newark, e dal metropolita greco-ortodosso Methodios di Boston. Si tratta di una dichiarazione concordata dal titolo: “La vocazione e la missione del popolo di Dio. Una razza eletta, un sacerdozio reale, una nazione santa” con la quale si vuole puntare ancora di più l’attenzione sulla “missione dei laici e sulle implicazioni di questa ecclesiologia per la pratica della sinodalità a tutti i livelli”.

Nuovo approccio al dialogo ecumenico. La dichiarazione cattolica-ortodossa, frutto dei lavori della Consulta che si è conclusa nel maggio scorso, vuole testimoniare anche un diverso e nuovo approccio al dialogo ecumenico. La stessa Consulta spiega che “invece di affrontare insieme un problema che ha impedito la piena comunione tra le chiese, qui i teologi cattolici e ortodossi esaminano insieme le sfide che riguardano entrambe le chiese, in questo caso il ruolo dei laici nelle due tradizioni e il problema del clericalismo”. Il tutto, continuando ad approfondire l’ecclesiologia che “vede il sacramento del Battesimo come il fondamento della vocazione e del ministero di ogni cristiano, clero e laici, allo stesso modo.”

Dare ascolto ai laici- “Il documento comincia a rifiutare la distonia, la contrapposizione, fra laici e clero” spiega mons. Marco Gnavi, consultore del Pontificio Consiglio per la promozione dell’Unità dei Cristiani e direttore dell’Ufficio per l’ecumenismo ed il dialogo interreligioso della Diocesi di Roma. “In sostanza – aggiunge – raccomanda che ai laici vada dato ascolto, pur ribadendo che nella sinodalità a livello locale spetta ai vescovi il discernimento e le decisioni ultime. Però, la dichiarazione parla dei laici come ‘Popolo di Dio’ che riceve dei carismi che sono a disposizione di tutti per il bene comune”.

La novità nel dialogo ortodosso-cattolico

La grande novità della dichiarazione cattolica e ortodossa nordamericana sta anche nel riconoscere che nel passato, in tutto il dibattito teologico precedente tra le due chiese, la questione dei laici è rimasta in ombra. “Si sono affrontati – specifica mons. Gnavi – molti temi fondanti il rapporto tra cattolici e ortodossi ma la tematica dei laici è rimasta sempre nascosta. Peraltro, questa dichiarazione congiunta credo che vada incontro a quanto Papa Francesco dice spesso sull’intuizione di fede del Popolo di Dio, il suo sensus fidei. Nella sinodalità, bisogna rispettare questa intuizione di fede che appartiene ai laici”.

Mostrare ai giovani l’unità del Popolo di Dio. Nella parte finale del testo, il documento riserva un’attenzione particolare anche ai giovani, affermando che “a coloro i quali cercano un’identità di fede nella religione ultra-tradizionalista o in un universo pseudo-religioso individualista, noi dobbiamo mostrare la vera comunione con i laici per offrire un’alternativa credibile”. “Se ciò non si farà – commenta ancora mons. Gnavi – i giovani li perderemo. I giovani hanno bisogno di vedere l’unità del Popolo di Dio, con i laici protagonisti e non relegati in secondo piano”.

Federico Piana           Vatican news  08 agosto 2019

www.vaticannews.va/it/chiesa/news/2019-08/usa-nuova-dichiarazione-consulta-cattolica-ortodossa.html

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FRANCESCO VESCOVO DI ROMA

Papa Francesco: “Il sovranismo mi spaventa, porta alle guerre”

Il Papa apre la porta puntuale alle 10,30, con il suo sorriso gentile. Entra in una delle stanze che usa per ricevere la gente, arredata con l’essenziale, senza distrazioni o lussi, solo un crocifisso appeso alla parete. Siamo arrivati dall’ingresso del Perugino, il più vicino a Casa Santa Marta. Scenario abituale: qualche tonaca, gendarmi e guardie svizzere. Sullo sfondo, il Cupolone di San Pietro. In Vaticano il solito tran tran è rallentato dall’afa e dal clima vacanziero. Per Papa Francesco non è un giorno qualunque: è il 6 agosto, 41° anniversario della morte di san Paolo VI, pontefice a cui è particolarmente affezionato: «In questa giornata cerco sempre un momento per scendere nelle Grotte sotto la Basilica – rivelerà – e sostare, da solo, in preghiera e silenzio davanti alla sua tomba. Mi fa bene al cuore». I convenevoli durano poco, in un attimo siamo nel pieno della conversazione.

            Francesco è allegro e rilassato. E concentrato. Impressiona la sua capacità di ascolto. Guarda sempre negli occhi. Mai l’orologio. Si prende le pause necessarie prima di esprimere un pensiero delicato. Parla di Europa, Amazzonia e ambiente. Il colloquio è intenso e senza interruzioni. Il Papa non beve neanche un sorso d’acqua. Glielo facciamo notare, lui scuote le spalle e risponde, sorridendo: «Non sono l’unico che non ha bevuto».

            Santità, Lei ha auspicato che «l’Europa torni a essere il sogno dei Padri Fondatori». Che cosa si aspetta?

«L’Europa non può e non deve sciogliersi. È un’unità storica e culturale oltre che geografica. Il sogno dei Padri Fondatori ha avuto consistenza perché è stata un’attuazione di questa unità. Ora non si deve perdere questo patrimonio».

Come la vede oggi?

«Si è indebolita con gli anni, anche a causa di alcuni problemi di amministrazione, di dissidi interni. Ma bisogna salvarla. Dopo le elezioni, spero che inizi un processo di rilancio e che vada avanti senza interruzioni».

È contento della designazione di una donna alla carica di presidente della Commissione europea?

«Sì. Anche perché una donna può essere adatta a ravvivare la forza dei Padri Fondatori. Le donne hanno la capacità di accomunare, di unire».

            Quali sono le sfide principali?

«Una su tutte: il dialogo. Fra le parti, fra gli uomini. Il meccanismo mentale deve essere “prima l’Europa, poi ciascuno di noi”. Il “ciascuno di noi” non è secondario, è importante, ma conta più l’Europa. Nell’Unione europea ci si deve parlare, confrontare, conoscere. Invece a volte si vedono solo monologhi di compromesso. No: occorre anche l’ascolto».

Che cosa serve per il dialogo?

«Bisogna partire dalla propria identità».

            Ecco, le identità: quanto contano? Se si esagera con la difesa delle identità non si rischia l’isolamento? Come si risponde alle identità che generano estremismi?

«Le faccio l’esempio del dialogo ecumenico: io non posso fare ecumenismo se non partendo dal mio essere cattolico, e l’altro che fa ecumenismo con me deve farlo da protestante, ortodosso. La propria identità non si negozia, si integra. Il problema delle esagerazioni è che si chiude la propria identità, non ci si apre. L’identità è una ricchezza – culturale, nazionale, storica, artistica – e ogni paese ha la propria, ma va integrata col dialogo. Questo è decisivo: dalla propria identità occorre aprirsi al dialogo per ricevere dalle identità degli altri qualcosa di più grande. Mai dimenticare che il tutto è superiore alla parte. La globalizzazione, l’unità non va concepita come una sfera, ma come un poliedro: ogni popolo conserva la propria identità nell’unità con gli altri».

Quali i pericoli dai sovranismi?

«Il sovranismo è un atteggiamento di isolamento. Sono preoccupato perché si sentono discorsi che assomigliano a quelli di Hitler nel 1934. “Prima noi. Noi… noi…”: sono pensieri che fanno paura. Il sovranismo è chiusura. Un paese deve essere sovrano, ma non chiuso. La sovranità va difesa, ma vanno protetti e promossi anche i rapporti con gli altri paesi, con la Comunità europea. Il sovranismo è un’esagerazione che finisce male sempre: porta alle guerre».

E i populismi?

«Stesso discorso. All’inizio faticavo a comprenderlo perché studiando Teologia ho approfondito il popolarismo, cioè la cultura del popolo: ma una cosa è che il popolo si esprima, un’altra è imporre al popolo l’atteggiamento populista. Il popolo è sovrano (ha un modo di pensare, di esprimersi e di sentire, di valutare), invece i populismi ci portano a sovranismi: quel suffisso, “ismi”, non fa mai bene».

Qual è la via da percorrere sul tema migranti?

«Innanzitutto, mai tralasciare il diritto più importante di tutti: quello alla vita. Gli immigrati arrivano soprattutto per fuggire dalla guerra o dalla fame, dal Medio Oriente e dall’Africa. Sulla guerra, dobbiamo impegnarci e lottare per la pace. La fame riguarda principalmente l’Africa. Il continente africano è vittima di una maledizione crudele: nell’immaginario collettivo sembra che vada sfruttato. Invece una parte della soluzione è investire lì per aiutare a risolvere i loro problemi e fermare così i flussi migratori».

Ma dal momento che arrivano da noi come bisogna comportarsi?

«Vanno seguiti dei criteri. Primo: ricevere, che è anche un compito cristiano, evangelico. Le porte vanno aperte, non chiuse. Secondo: accompagnare. Terzo: promuovere. Quarto integrare. Allo stesso tempo, i governi devono pensare e agire con prudenza, che è una virtù di governo. Chi amministra è chiamato a ragionare su quanti migranti si possono accogliere».

            E se il numero è superiore alle possibilità di accoglienza?

«La situazione può essere risolta attraverso il dialogo con gli altri Paesi. Ci sono Stati che hanno bisogno di gente, penso all’agricoltura. Ho visto che recentemente di fronte a un’emergenza qualcosa del genere è successo: questo mi dà speranza. E poi, sa che cosa servirebbe anche?».

            Che cosa?

«Creatività. Per esempio, mi hanno raccontato che in un paese europeo ci sono cittadine semivuote a causa del calo demografico: si potrebbero trasferire lì alcune comunità di migranti, che tra l’altro sarebbero in grado di ravvivare l’economia della zona».

            Su quali valori comuni occorre basare il rilancio dell’Ue? L’Europa ha ancora bisogno del cristianesimo? E in questo contesto gli ortodossi che ruolo hanno?

«Il punto di partenza e di ripartenza sono i valori umani, della persona umana. Insieme ai valori cristiani: l’Europa ha radici umane e cristiane, è la storia che lo racconta. E quando dico questo, non separo cattolici, ortodossi e protestanti. Gli ortodossi hanno un ruolo preziosissimo per l’Europa. Abbiamo tutti gli stessi valori fondanti».

            Attraversiamo idealmente l’Oceano e pensiamo al Sudamerica. Perché ha convocato in Vaticano, a ottobre, un Sinodo sull’Amazzonia?

«È “figlio” della “Laudato si’”. Chi non l’ha letta non capirà mai il Sinodo sull’Amazzonia. La Laudato si’ non è un’enciclica verde, è un’enciclica sociale, che si basa su una realtà “verde”, la custodia del Creato».

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/encyclicals/documents/papa-francesco_20150524_enciclica-laudato-si.html

            C’è qualche episodio per Lei significativo?

«Alcuni mesi fa sette pescatori mi hanno detto: “Negli ultimi mesi abbiamo raccolto 6 tonnellate di plastica”. L’altro giorno ho letto di un ghiacciaio enorme in Islanda che si è sciolto quasi del tutto: gli hanno costruito un monumento funebre. Con l’incendio della Siberia alcuni ghiacciai della Groenlandia si sono sciolti, a tonnellate. La gente di un paese del Pacifico si sta spostando perché fra vent’anni l’isola su cui vive non ci sarà più. Ma il dato che mi ha sconvolto di più è ancora un altro».

Quale?

«L’Overshoot Day: [giorno nel quale l’umanità ha consumato le risorse messe a disposizione dalla biocapacità terrestre.] il 29 luglio abbiamo esaurito tutte le risorse rigenerabili del 2019. Dal 30 luglio abbiamo iniziato a consumare più risorse di quelle che il Pianeta riesce a rigenerare in un anno. È gravissimo. È una situazione di emergenza mondiale. E il nostro sarà un Sinodo di urgenza. Attenzione però: un Sinodo non è una riunione di scienziati o di politici. Non è un Parlamento: è un’altra cosa. Nasce dalla Chiesa e avrà missione e dimensione evangelizzatrici. Sarà un lavoro di comunione guidato dallo Spirito Santo».

https://it.wikipedia.org/wiki/Earth_Overshoot_Day

Ma perché concentrarsi sull’Amazzonia?

«È un luogo rappresentativo e decisivo. Insieme agli oceani contribuisce in maniera determinante alla sopravvivenza del pianeta. Gran parte dell’ossigeno che respiriamo arriva da lì. Ecco perché la deforestazione significa uccidere l’umanità. E poi l’Amazzonia coinvolge nove Stati, dunque non riguarda una sola nazione. E penso alla ricchezza della biodiversità amazzonica, vegetale e animale: è meravigliosa».

            Al Sinodo si discuterà anche la possibilità di ordinare dei «viri probati», uomini anziani e sposati che possano rimediare alla carenza di clero. Sarà uno dei temi principali?

«Assolutamente no: è semplicemente un numero dell’Instrumentum Laboris (il documento di lavoro, ndr). L’importante saranno i ministeri dell’evangelizzazione e i diversi modi di evangelizzare».

            Quali sono gli ostacoli alla salvaguardia dell’Amazzonia?

«La minaccia della vita delle popolazioni e del territorio deriva da interessi economici e politici dei settori dominanti della società».

Dunque come deve comportarsi la politica?

«Eliminare le proprie connivenze e corruzioni. Deve assumersi responsabilità concrete, per esempio sul tema delle miniere a cielo aperto, che avvelenano l’acqua provocando tante malattie. Poi c’è la questione dei fertilizzanti».

Santità, che cosa teme più di tutto per il nostro Pianeta?

«La scomparsa delle biodiversità. Nuove malattie letali. Una deriva e una devastazione della natura che potranno portare alla morte dell’umanità».

Intravede una qualche presa di coscienza sul tema ambiente e cambiamento climatico?

«Sì, in particolare nei movimenti di giovani ecologisti, come quello guidato da Greta Thunberg,Fridays for future”. Ho visto un loro cartello che mi ha colpito: “Il futuro siamo noi!”».

La nostra condotta quotidiana – raccolta differenziata, l’attenzione a non sprecare l’acqua in casa – può incidere o è insufficiente per contrastare il fenomeno?

«Incide eccome, perché si tratta di azioni concrete. E poi, soprattutto, crea e diffonde la cultura di non sporcare il creato».

Domenico Agasso jr vatican news   09 agosto 2019

www.lastampa.it/vatican-insider/it/2019/08/09/news/papa-francesco-il-sovranismo-mi-spaventa-porta-alle-guerre-1.37325868

 

Udienza generale: tutte le catechesi di Papa Francesco

Il Papa ha tenuto fino ad oggi 279 udienze generali: il 7 agosto, con la ripresa di questi incontri, toccherà quota 280. Si tratta di un appuntamento importante con persone provenienti da ogni parte del mondo che permette a Francesco di proporre in modo semplice gli insegnamenti fondamentali della Chiesa cattolica

Riflessioni ricche di spiritualità. L’udienza generale è un importante appuntamento settimanale che, insieme agli Angelus e alle omelie di Santa Marta, oltre ovviamente alle celebrazioni dell’anno liturgico, rappresentano il cuore spirituale del suo magistero petrino. Sono incontri con persone provenienti da tutto il mondo, anche non cattoliche, che danno occasione al Papa di svolgere una semplice ma profonda catechesi sulla fede cristiana. Si tratta di riflessioni ricche di spiritualità che vale la pena leggere o riascoltare in modo integrale, attingendo alle fonti vaticane,                                                              www.youtube.com/user/vatican

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/audiences/2019.index.html#audiences

per rendersi conto di ciò che Francesco dice, al di là di certe riduzioni mediatiche che amplificano solo certi temi. In questi appuntamenti non manca mai l’abbraccio prolungato ai malati.

Tredici cicli di catechesi. Finora, dunque, Francesco ha tenuto 279 udienze generali: sul sito della Santa Sede se ne contano 30 nel 2013, 43 nel 2014, 42 nel 2015, 54 nel 2016, 43 nel 2017, 43 nel 2018 e 24 fino al giugno del 2019. I temi scelti danno un’indicazione del cammino della Chiesa in questi anni. Dal 2013 ha svolto 12 cicli di catechesi, oltre a udienze dedicate ad argomenti specifici come l’Avvento, il Natale, la Quaresima e la Pasqua: lo scorso giugno ha iniziato il tredicesimo.

Francesco è partito riprendendo le catechesi dell’Anno della Fede proposte da Benedetto XVI, soffermandosi sul Credo, cui ha dedicato ben 25 appuntamenti. Questi gli altri 12 cicli di catechesi: i Sacramenti (9), I Doni dello Spirito Santo (7), la Chiesa (15), La famiglia (36), la Misericordia, in occasione del Giubileo (49), la Speranza cristiana (38), la Santa Messa (15), il Battesimo (6), la Confermazione (3), i Comandamenti (17), la preghiera del Padre nostro (16), gli Atti degli Apostoli (finora 4).

La prima catechesi: vivere da risorti. Il 27 marzo 2013, Francesco dedica la prima catechesi del Pontificato alla Settimana Santa spiegando che vivere da risorti significa seguire Gesù nel suo cammino dalla Croce alla Risurrezione: significa “entrare sempre più nella logica di Dio, nella logica della Croce, che non è prima di tutto quella del dolore e della morte, ma quella dell’amore e del dono di sé che porta vita. E’ entrare nella logica del Vangelo”. Seguire Cristo esige un “uscire da sé stessi, da un modo di vivere la fede stanco e abitudinario, dalla tentazione di chiudersi nei propri schemi che finiscono per chiudere l’orizzonte dell’azione creativa di Dio. Dio è uscito da se stesso per venire in mezzo a noi … per portarci la sua misericordia che salva e dona speranza. Anche noi, se vogliamo seguirlo e rimanere con Lui, non dobbiamo accontentarci di restare nel recinto delle novantanove pecore, dobbiamo ‘uscire’, cercare con Lui la pecorella smarrita, quella più lontana … non dimenticate questo. Dio pensa sempre con misericordia: è il Padre misericordioso!”.

L’Anno della Fede: la Risurrezione di Gesù è la nostra forza. “La Morte e la Risurrezione di Gesù sono proprio il cuore della nostra speranza”, afferma Francesco nelle catechesi per l’Anno della Fede: “Senza questa fede nella morte e nella risurrezione di Gesù la nostra speranza sarà debole, ma non sarà neppure speranza… Purtroppo, spesso si è cercato di oscurare la fede nella Risurrezione di Gesù, e anche fra gli stessi credenti si sono insinuati dubbi” anche “per una visione solo orizzontale della vita. Ma è proprio la Risurrezione che ci apre alla speranza più grande, perché apre la nostra vita e la vita del mondo al futuro eterno di Dio, alla felicità piena, alla certezza che il male, il peccato, la morte possono essere vinti. E questo porta a vivere con più fiducia le realtà quotidiane, affrontarle con coraggio e con impegno. La Risurrezione di Cristo illumina con una luce nuova queste realtà quotidiane. La Risurrezione di Cristo è la nostra forza … è il tesoro più prezioso! Come non condividere con gli altri questo tesoro?”.

I Sacramenti trasformano la vita- I Sacramenti non sono riti formali – ricorda il Papa in queste catechesi – ma atti che cambiano la nostra vita. A partire dal Battesimo, che libera dal peccato originale ed è il “sacramento su cui si fonda la nostra stessa fede e che ci innesta come membra vive in Cristo e nella sua Chiesa. Insieme all’Eucaristia e alla Confermazione forma la cosiddetta «Iniziazione cristiana», la quale costituisce come un unico, grande evento sacramentale che ci configura al Signore e fa di noi un segno vivo della sua presenza e del suo amore”. Spiega Francesco: “Il Battesimo … non è una formalità! E’ un atto che tocca in profondità la nostra esistenza. Un bambino battezzato o un bambino non battezzato non è lo stesso. Non è lo stesso una persona battezzata o una persona non battezzata. Noi, con il Battesimo, veniamo immersi in quella sorgente inesauribile di vita che è la morte di Gesù, il più grande atto d’amore di tutta la storia; e grazie a questo amore possiamo vivere una vita nuova, non più in balìa del male, del peccato e della morte, ma nella comunione con Dio e con i fratelli”.

I Doni dello Spirito Santo: vivere tutto con il cuore di Dio. “Lo Spirito Santo – sottolinea Francesco – costituisce l’anima, la linfa vitale della Chiesa e di ogni singolo cristiano: è l’Amore di Dio che fa del nostro cuore la sua dimora ed entra in comunione con noi. Lo Spirito Santo sta sempre con noi, sempre è in noi … è ‘il dono di Dio’ per eccellenza … e a sua volta comunica a chi lo accoglie diversi doni spirituali. La Chiesa ne individua sette, numero che simbolicamente dice pienezza, completezza … (sapienza, intelletto, consiglio, fortezza, scienza, pietà e timore di Dio)”. Il primo dono dello Spirito Santo, secondo questo elenco, è la sapienza: “Non si tratta semplicemente della saggezza umana, che è frutto della conoscenza e dell’esperienza”, ma “è vedere il mondo, vedere le situazioni, le congiunture, i problemi, tutto, con gli occhi di Dio”. 

La Chiesa: il cristiano appartiene a un popolo. “Parlare della Chiesa è parlare della nostra madre, della nostra famiglia – spiega Francesco – La Chiesa infatti non è un’istituzione finalizzata a se stessa o un’associazione privata, una Ong, né tanto meno si deve restringere lo sguardo al clero o al Vaticano”. “Essere Chiesa è sentirsi nelle mani di Dio, che è padre e ci ama” e ha voluto “formare un popolo benedetto dal suo amore … che porti la sua benedizione a tutti i popoli della terra”. Far parte della Chiesa significa appartenere a questo popolo: “Non siamo isolati e non siamo cristiani a titolo individuale, ognuno per conto proprio … Nella Chiesa non esiste il ‘fai da te’, non esistono battitori liberi”. Quindi ricorda quando Benedetto XVI ha descritto la Chiesa come un “noi” ecclesiale: “Talvolta capita di sentire qualcuno dire: ‘Io credo in Dio, credo in Gesù, ma la Chiesa non m’interessa’ …. e questo non va. C’è chi ritiene di poter avere un rapporto personale, diretto, immediato con Gesù Cristo al di fuori della comunione e della mediazione della Chiesa. Sono tentazioni pericolose e dannose”.

Catechesi sulla Famiglia. Il Papa inizia queste catechesi (il terzo ciclo più lungo) a cavallo tra i due Sinodi sulla famiglia. E’ un percorso molto articolato e profondo sui più diversi aspetti della vita familiare. Si tratta di catechesi molto belle. Francesco ribadisce le verità fondamentali del Matrimonio: l’indissolubilità, l’unità, la fedeltà e l’apertura alla vita. Nello stesso tempo guarda con misericordia alle famiglie ferite. Sottolinea la libertà che deve caratterizzare i lavori sinodali, da compiersi “cum Petro et sub Petro”, cioè con la presenza del Papa, che è “garanzia dell’ortodossia”.

La Misericordia: ciò che a Dio piace di più. Il ciclo più lungo di catechesi è dedicato all’Anno Santo della Misericordia. Il Papa afferma che “volgere lo sguardo a Dio, Padre misericordioso, e ai fratelli bisognosi di misericordia, significa puntare l’attenzione sul contenuto essenziale del Vangelo: Gesù, la Misericordia fatta carne, che rende visibile ai nostri occhi il grande mistero dell’Amore trinitario di Dio”. Ecco l’invito di Francesco: “La Chiesa impari a scegliere unicamente ciò che a Dio piace di più. E, che cosa è che a Dio piace di più? Perdonare i suoi figli, aver misericordia di loro, affinché anch’essi possano a loro volta perdonare i fratelli, risplendendo come fiaccole della misericordia di Dio nel mondo. Questo è quello che a Dio piace di più”.

La Speranza cristiana non delude. “L’ottimismo delude, la speranza no!” – spiega il Papa in questo ciclo di catechesi, il secondo più lungo – “Ne abbiamo tanto bisogno, in questi tempi che appaiono oscuri, in cui a volte ci sentiamo smarriti davanti al male e alla violenza che ci circondano, davanti al dolore di tanti nostri fratelli. Ci vuole la speranza! Ci sentiamo smarriti e anche un po’ scoraggiati, perché ci troviamo impotenti e ci sembra che questo buio non debba mai finire. Ma non bisogna lasciare che la speranza ci abbandoni, perché Dio con il suo amore cammina con noi. ‘Io spero, perché Dio è accanto a me’: questo possiamo dirlo tutti noi … Cammina e mi porta per mano. Dio non ci lascia soli. Il Signore Gesù ha vinto il male e ci ha aperto la strada della vita … Attendiamo fiduciosi la venuta del Signore, e qualunque sia il deserto delle nostre vite … diventerà un giardino fiorito. La speranza non delude!”.

La Messa: senza l’Eucaristia non possiamo vivere. “È fondamentale per noi cristiani – dice Francesco – comprendere bene il valore e il significato della Santa Messa, per vivere sempre più pienamente il nostro rapporto con Dio. Non possiamo dimenticare il gran numero di cristiani che, nel mondo intero, in duemila anni di storia, hanno resistito fino alla morte per difendere l’Eucaristia; e quanti, ancora oggi, rischiano la vita per partecipare alla Messa domenicale … se non possiamo celebrare l’Eucaristia, non possiamo vivere, la nostra vita cristiana morirebbe”. E spiega: “La celebrazione eucaristica è ben più di un semplice banchetto: è proprio il memoriale della Pasqua di Gesù, il mistero centrale della salvezza. «Memoriale» non significa solo un ricordo … ma vuol dire che ogni volta che celebriamo questo Sacramento partecipiamo al mistero della passione, morte e risurrezione di Cristo. L’Eucaristia costituisce il vertice dell’azione di salvezza di Dio: il Signore Gesù, facendosi pane spezzato per noi, riversa infatti su di noi tutta la sua misericordia e il suo amore, così da rinnovare il nostro cuore, la nostra esistenza e il nostro modo di relazionarci con Lui e con i fratelli. È per questo che … si dice di «ricevere la Comunione», di «fare la Comunione»: questo significa che nella potenza dello Spirito Santo, la partecipazione alla mensa eucaristica ci conforma in modo unico e profondo a Cristo, facendoci pregustare già ora la piena comunione col Padre che caratterizzerà il banchetto celeste, dove con tutti i Santi avremo la gioia di contemplare Dio faccia a faccia”.

Catechesi sul Battesimo e la Confermazione. Il Papa, nelle sue catechesi, torna a riflettere per la seconda volta su questi due Sacramenti. “Se nel Battesimo è lo Spirito Santo a immergerci in Cristo, nella Confermazione è il Cristo a colmarci del suo Spirito, consacrandoci suoi testimoni, partecipi del medesimo principio di vita e di missione, secondo il disegno del Padre celeste … Io mi domando: come si vede che abbiamo ricevuto il Dono dello Spirito? Se compiamo le opere dello Spirito, se pronunciamo parole insegnate dallo Spirito”.

I Comandamenti: vivere nell’amore di Dio. Parlando dei Comandamenti, il Papa ricorda quanto dice Gesù: «Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento» (Mt 5,17). Il compimento è proprio nell’accogliere senza riserve l’amore che Dio dona. Ma per vivere così “abbiamo bisogno di un cuore nuovo, inabitato dallo Spirito Santo” che mette in noi i desideri di Cristo: “La vita nuova infatti non è il titanico sforzo per essere coerenti con una norma, ma la vita nuova è lo Spirito stesso di Dio che inizia a guidarci fino ai suoi frutti, in una felice sinergia fra la nostra gioia di essere amati e la sua gioia di amarci. Si incontrano le due gioie: la gioia di Dio di amarci e la nostra gioia di essere amati”.

La preghiera del Padre nostro. Nel ciclo su Padre nostro, il Papa invita a ripetere a Gesù: “Signore, insegnami a pregare”. Perché “dobbiamo sempre imparare”. “Non sappiamo nemmeno se le preghiere che indirizziamo a Dio siano effettivamente quelle che Lui vuole sentirsi rivolgere … Il primo passo per pregare è essere umile, andare dal Padre e dire: ‘Guardami, sono peccatore, sono debole, sono cattivo’   sempre si incomincia con l’umiltà, e il Signore ascolta”. Inoltre, Gesù, nella preghiera, non vuole spegnere l’umano, “non vuole che smorziamo le domande e le richieste imparando a sopportare tutto. Vuole invece che ogni sofferenza, ogni inquietudine, si slanci verso il cielo e diventi dialogo. Avere fede … è un’abitudine al grido”. I credenti sentono il bisogno di lodare Dio – afferma il Papa – “ma nessuno di noi è tenuto ad abbracciare la teoria che qualcuno in passato ha avanzato, che cioè la preghiera di domanda sia una forma debole della fede, mentre la preghiera più autentica sarebbe la lode pura, quella che cerca Dio senza il peso di alcuna richiesta. No, questo non è vero. La preghiera di domanda è autentica, è spontanea, è un atto di fede in Dio che è il Padre, che è buono … Lui ci capisce e ci ama tanto”. Il Papa invita a non dimenticare che il protagonista di ogni preghiera cristiana è lo Spirito Santo: “Noi non potremmo mai pregare senza la forza dello Spirito Santo” che “ci rende capaci di pregare come figli di Dio”. Il Rosario è la preghiera che Francesco chiede a tutti di recitare ogni giorno: per chiedere anche di respingere gli attacchi del diavolo alla Chiesa.

Gli Atti degli Apostoli: il viaggio del Vangelo nel mondo- L’ultimo ciclo di catechesi che il Papa ha appena iniziato riguarda gli Atti degli Apostoli: un libro che parla “del viaggio del Vangelo nel mondo e ci mostra il meraviglioso connubio tra la Parola di Dio e lo Spirito Santo che inaugura il tempo dell’evangelizzazione. I protagonisti degli Atti sono … una ‘coppia’ vivace ed efficace: la Parola e lo Spirito”. “La Parola di Dio corre, è dinamica, irriga ogni terreno su cui cade … la parola umana diventa efficace non grazie alla retorica … ma grazie allo Spirito Santo, che è la dýnamis di Dio … la sua forza, che ha il potere di purificare la parola, di renderla apportatrice di vita … di accendere i cuori e di far saltare schemi, resistenze e muri di divisione, aprendo vie nuove e dilatando i confini del popolo di Dio”.

Gli appelli: pace nel mondo e cristiani perseguitati. L’udienza generale è per il Papa anche un’occasione per lanciare appelli. In questi sei anni di pontificato se ne contano circa 120. Il primo sguardo di Francesco è rivolto a tutta l’umanità, con oltre quaranta appelli per la pace nelle varie regioni del mondo colpite da guerre e violenze; oltre 20 appelli sono rivolti ai cristiani nel mondo, in particolare per quelli colpiti da persecuzioni, discriminazioni o particolari difficoltà. Un’altra quindicina di appelli li ha lanciati per le persone colpite da calamità naturali, epidemie e incidenti. Una decina di appelli li ha rivolti rispettivamente ai migranti, in particolare in occasione delle tragedie del mare, ai lavoratori in difficoltà e ai poveri del mondo, anche quelli causati dal degrado ambientale.

Appelli per la vita. Francesco numerose volte parla della vita. Due segnalazioni. Un appello particolare è stato dedicato l’anno scorso alle drammatiche vicende di Vincent Lambert e Alfie Evans, dei quali ha citato esplicitamente i nomi: fatto del tutto eccezionale nella storia degli interventi papali su questi temi. Come fatto eccezionale è quanto accaduto con suor Maria Concetta Esu, 85 anni, missionaria e ostetrica in Africa. Il Papa l’ha voluta presentare personalmente all’udienza generale del 27 marzo scorso: “Io l’ho conosciuta a Bangui … Là lei mi ha raccontato che nella sua vita ha aiutato a nascere migliaia di bambini. Che meraviglia! … Cara Sorella, a nome mio e della Chiesa, ti offro un’onorificenza. È un segno del nostro affetto e del nostro ‘grazie’ per tutto il lavoro che hai fatto … al servizio della vita, dei bambini, delle mamme e delle famiglie. Con questo gesto dedicato a te, intendo anche esprimere la mia riconoscenza anche a tutti i missionari e le missionarie, sacerdoti, religiosi e laici, che spargono il seme del Regno di Dio in ogni parte del mondo. Il vostro lavoro, cari missionari e missionarie, è grande. Voi ‘bruciate’ la vita seminando la parola di Dio con la vostra testimonianza… E in questo mondo voi non fate notizia. Voi non siete notizia sui giornali”. Il loro esempio – conclude il Papa – “ci aiuti tutti a vivere il Vangelo là dove siamo”.

Sergio Centofanti – Città del Vaticano         Vatican news  05 agosto 2019

www.vaticannews.va/it/papa/news/2019-08/papa-francesco-riprende-catechesi-udienze-generali.html

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GENITORI

Figli nati fuori dal matrimonio: ultime sentenze

Minore nato fuori dal matrimonio; tutela e mantenimento dei figli nati fuori dal matrimonio; ricorso per Cassazione; posizione dei figli di genitori non coniugati e dei figli nati nel matrimonio; affidamento del minore ai servizi sociali; condanna di un convivente al rimborso delle spese di mantenimento. Si prescrive l’accertamento giudiziale della paternità dei figli nati fuori dal matrimonio? Il reato di violazione degli obblighi di mantenimento si configura anche per i figli nati fuori dal matrimonio?

  1. Affidamento del minore nato fuori dal matrimonio ai servizi sociali. Il decreto emesso dalla Corte d’appello in sede di reclamo avverso un provvedimento del tribunale, che, nell’ambito del conflitto genitoriale, dispone l’affidamento del minore nato fuori dal matrimonio ai servizi sociali, è ricorribile per Cassazione ai sensi dell’art. 111 Costituzione, poiché, già nel vigore della L. n. 54 del 2006, ed a maggior ragione dopo l’entrata in vigore del D. lgs. n. 154 del 2013,che ha abolito ogni distinzione tra figli nati da genitori non coniugati e figli nati dal matrimonio, al predetto decreto vanno riconosciuti i requisiti della decisorietà, poiché risolve contrapposte pretese di diritto soggettivo, e di definitività, perché ha un’efficacia assimilabile, “rebus sic stantibus” a quella del giudicato, non rilevando, a sostegno della tesi contraria, che si tratti di un provvedimento di affidamento ai servizi sociali, atteso che ciò non determina alcuna modificazione della qualificazione giuridica del provvedimento. Cassazione civile sez. I, 12/11/2018, n.28998.
  2. Violazione degli obblighi di assistenza familiare. A prescindere dal dato letterale del nuovo art. 570-bis c.p., introdotto dal D.lg. 1° marzo 2018 n. 21 (di attuazione del principio di delega della riserva di codice nella materia penale contenuto nell’art. 1, comma 85, lett. q), L. 23 giugno 2017 n. 103), che sembrerebbe limitare l’ambito di operatività della norma alle sole violazioni degli obblighi di “assistenza commessi dal “coniuge”, l’unica interpretazione sistematicamente coerente e costituzionalmente compatibile e orientata è quella dell’applicazione della norma – che si limita a spostare la previsione della sanzione penale (prima prevista dagli abrogati articoli 12-sexies L. 1° dicembre 1970 n. 898 e 3 L. 8 febbraio 2006 n. 54) all’interno del codice penale – anche alla violazione degli obblighi di natura economica che riguardano i figli nati fuori del matrimonio. Del resto, la stessa legge delega all’origine del decreto n. 21 del 2018 ha legittimato un intervento di natura solo compilativa, con il passaggio di reati già esistenti all’interno del codice penale, senza però prevedere cambiamenti sostanziali, e la stessa giurisprudenza della Corte costituzionale ha sempre precisato che quando la delega, come nel caso della disciplina sulla riserva di codice, ha per oggetto il riordino di norme già esistenti, allora non si giustificherebbe alcuna introduzione di soluzioni innovative rispetto al sistema legislativo precedente. Cassazione penale sez. VI, 24/10/2018, n.55744.
  3. Tutela dei figli nati fuori dal matrimonio. In materia di mantenimento dei figli nati fuori dal matrimonio, il versamento diretto da parte del debitore del genitore inadempiente ai sensi dell’art. 3, comma 2, L. n. 219/2012 può essere ottenuto all’esito di un procedimento stragiudiziale analogo a quello previsto dall’art. 8, comma 3, l. n. 898/1970. Tribunale Genova sez. IV, 11/10/2018.
  4. Ricorso per Cassazione. In tema di affidamento dei figli nati fuori dal matrimonio, la legge n. 54 del 2006 ha equiparato la posizione dei figli nati “more uxorio” a quella dei figli nati da genitori coniugati, estendendo la disciplina in materia di separazione e divorzio anche ai procedimenti ex art. 317 bis c.c., che hanno assunto autonomia procedimentale rispetto ai procedimenti di cui agli artt. 330,333 e 336 c.c., senza che abbia alcun rilievo il rito camerale. Ne consegue che i decreti emessi dalla Corte d’appello avverso i provvedimenti adottati ai sensi dell’art. 317 bis c.c. relativi ai figli nati fuori dal matrimonio ed alle conseguenti statuizioni economiche, ivi compresa l’assegnazione della casa familiare, sono impugnabili con ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost., ora equiparato sostanzialmente al ricorso ordinario in forza del richiamo operato dall’ultimo comma dell’art. 360 c.p.c. ai commi 1 e 3 (nel testo novellato dal D.lgs. n. 40 del 2006). Cassazione civile sez. VI, 31/07/2018, n.20204.
  5. Omissione versamento dell’assegno di mantenimento al figlio nato fuori dal matrimonio. L’art. 570 bis c.p. non sanziona penalmente l’omissione dell’obbligo di corresponsione dell’assegno di mantenimento a favore dei figli nati da genitori non coniugati. Tuttavia si deve ritenere che la condotta del genitore non coniugato che non corrisponde l’assegno di mantenimento a favore del figlio minore nato fuori dal matrimonio sia sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 570, comma 1, c.p. Tribunale Treviso, 08/05/2018, n.554.
  6. Tutela penale. E’ rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 570 bis c.p. per violazione del principio di eguaglianza e disparità di trattamento ex art. 3 della Costituzione nella parte in cui non estende la medesima tutela penale prevista in favore dei figli di genitori coniugati ai figli nati fuori dal matrimonio. Tribunale Nocera Inferiore, 26/04/2018.
  7. Decreto di affidamento dei figli nati fuori dal matrimonio. Il decreto della Corte di appello, contenente i provvedimenti in tema di affidamento dei figli nati fuori dal matrimonio e le disposizioni relative al loro mantenimento, è ricorribile per cassazione ai sensi dell’articolo 111 della Costituzione poiché già nel vigore della legge n. 54 del 2006 – che tendeva ad assimilare la posizione dei figli di genitori non coniugati a quella dei figli nati nel matrimonio – e a maggior ragione dopo l’entrata in vigore del decreto legislativo n. 154 del 2013 – che ha abolito ogni distinzione – al predetto decreto vanno riconosciuti i requisiti della decisorietà, in quanto risolve contrapposte pretese di diritto soggettivo, e di definitività, perché ha un’efficacia assimilabile rebus sic stantibus a quella del giudicato. Cassazione civile sez. unite, 30/03/2018, n.8042.
  8. Tribunale per i minorenni. Alla luce della normativa attualmente vigente in materia, anche nei casi di pendenza innanzi al giudice ordinario di procedimenti di separazione, divorzio, annullamento, nullità matrimoniale ovvero di quelli relativi ai figli nati fuori dal matrimonio, la competenza a decidere sulle domande de potestate proposte ai sensi degli artt. 330 e 333 c.c. dal Pubblico ministero minorile, o da un parente nei confronti di uno o entrambi i genitori di un minore, spetta al Tribunale per i minorenni. Tribunale minorenni Catania, 21/03/2018.
  9. Violazione degli obblighi di natura economica del genitore separato. In tema di reati contro la famiglia, è configurabile il reato di cui all’art. 3, legge 8 febbraio 2006, n. 54, anche in caso di omesso versamento, da parte di un genitore, dell’assegno periodico disposto dall’autorità giudiziaria in favore dei figli nati fuori dal matrimonio. Cassazione penale sez. VI, 22/02/2018, n.14731.
  10. Figli di genitori non coniugati: equiparazione ai figli nati nel matrimonio. In tema di affidamento dei figli nati fuori dal matrimonio, la legge n. 54 del 2006, dichiarando applicabili ai relativi procedimenti le regole da essa introdotte per quelli in materia di separazione e divorzio, esprime, per tale aspetto, un’evidente assimilazione della posizione dei figli di genitori non coniugati a quella dei figli nati nel matrimonio, in tal modo conferendo una definitiva autonomia al procedimento di cui all’articolo 317-bis del Cc rispetto a quelli di cui agli articoli 330, 333 e 336 del Cc, e avvicinandolo a quelli in materia di separazione e divorzio con figli minori, senza che assuma alcun rilievo la forma del rito camerale, previsto, anche in relazione a controversie oggettivamente contenziose, per ragioni di celerità e snellezza. Deriva da quanto precede, pertanto, che nel regime di cui alla legge n. 54 citata, sono impugnabili con il ricorso per cassazione, ai sensi dell’articolo 111 della Costituzione, i provvedimenti emessi dalla Corte d’appello, sezione per i minorenni, in sede di reclamo avverso i provvedimenti adottati ai sensi dell’articolo 317-bis relativamente all’affidamento dei figli nati fuori dal matrimonio e alle conseguenti statuizioni economiche, ivi compresa l’assegnazione della casa familiare. Cassazione civile sez. I, 22/06/2017, n.15482.
  11. Provvedimenti in favore dei figli minori nati fuori dal matrimonio. Le domande, soggette a riti diversi, di adozione di provvedimenti in favore dei figli minori nati fuori dal matrimonio e di condanna di un convivente al rimborso delle spese anticipate dall’altro per il mantenimento della prole, non sono cumulabili. Tribunale Roma, 06/06/2017.
  12. Violazione degli obblighi di mantenimento. L’omesso versamento della somma fissata dal giudice per il mantenimento dei figli, anche nell’ipotesi che essi siano nati fuori dal matrimonio, integra il reato previsto dall’art. 3, L. n. 54 del 2006, in quanto ragioni sistematiche non consentono la sussistenza nell’ordinamento di tutele differenziate a seconda del fatto che la prole sia nata in costanza di matrimonio o al di fuori di esso. Cassazione penale sez. VI, 06/04/2017, n.25267.
  13. Accertamento giudiziale della paternità dei figli nati fuori dal matrimonio. L’accertamento giudiziale di paternità non si prescrive. L’esigenza di certezza dei rapporti non rende quest’ultima un valore costituzionale prevalente su quello perseguito dal legislatore della riforma del 1975 – e degli anni successivi per altri profili – di assicurare un’ampia tutela ai figli nati fuori dal matrimonio. Cassazione civile sez. I, 28/03/2017, n.7960.
  14. Domanda della madre per accertare la responsabilità del padre. In tema di figli nati al di fuori dal matrimonio, non può essere accolta la domanda della madre volta ad accertare la responsabilità del padre per aver privato il figlio del rapporto genitoriale e aver leso il suo diritto ad avere un padre quando è dimostrabile la disponibilità del padre a frequentare il figlio nei modi e tempi stabiliti dal tribunale e dagli accordi con la madre. Tribunale Roma sez. XIII, 01/03/2017, n.4181

La legge per tutti       7 agosto 2019

www.laleggepertutti.it/293381_figli-nati-fuori-dal-matrimonio-ultime-sentenze

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MATRIMONIO

Promessa di matrimonio: ultime sentenze

Quali sono le conseguenze dell’ingiustificata rottura della promessa di matrimonio? Chi senza un giustificato motivo, dopo le pubblicazioni, rifiuta di contrarre matrimonio è tenuto a rimborsare al partner le spese sostenute in vista delle nozze.

  1. Recesso dalla promessa di matrimonio. La scelta di non contrarre matrimonio è un atto di libertà incoercibile, con la conseguenza che colui il quale receda ingiustificatamente dalla promessa di matrimonio può andare incontro alla speciale responsabilità di cui all’art. 81 c.c., consistente nell’obbligazione di rimborsare l’importo delle spese affrontate e delle obbligazioni contratte in vista del matrimonio, ma non alla generale responsabilità aquiliana di cui all’art. 2043 c.c. e, ancor meno, all’obbligo di risarcire il danno non patrimoniale. Tribunale Benevento, 10/05/2019, n.821.
  2. Risarcimento del danno. Il/la promesso/a sposo/a che senza un giustificato (e da lui provato) motivo e dopo che siano intervenute le pubblicazioni rifiuta di contrarre matrimonio è tenuto/a al rimborso delle spese sostenute dal compagno/a in vista delle nozze. Possono essere considerate risarcibili, ai sensi dell’art. 81 c.c., non soltanto le spese strettamente connesse alla celebrazione del matrimonio, ma anche tutte quelle che si sostengono in vista dello stesso e che sono legate ad esso da un nesso eziologico. Cassazione civile sez. III, 15/10/2015, n.20889.
  3. Seduzione con promessa di matrimonio. Non è atto contra jus la rottura di una relazione sentimentale, neppure se i partner hanno avuto rapporti sessuali ed hanno procreato, e ancora meno il rifiuto delle “nozze riparatrici”. Il nostro ordinamento tutela e protegge al massimo livello la libertà matrimoniale dell’individuo e non accorda tutela alcuna alla donna “sedotta” neppure nel caso in cui vi sia stata formale promessa di matrimonio. Corte appello Catania, 21/09/2015
  4. Promessa di matrimonio non formalizzata. In tema di promessa di matrimonio non formalizzata – ma solo estrinsecatasi come mero fatto conosciuto dalla cerchia di amici e parenti – l’ingiustificato rifiuto a contrarre matrimonio giustifica il risarcimento del danno, esclusivamente nel caso in cui la suddetta promessa sia stata formalizzata in scrittura privata o atto pubblico. Tribunale Roma sez. I, 12/01/2015.
  5. Rottura della promessa di matrimonio. In tema di risarcimento danni per rottura della promessa di matrimonio, è inammissibile la proposizione della domanda di indebito arricchimento ex art. 2041 c.c. per difetto del requisito della sussidiarietà, potendo il danneggiato esercitare altra azione per farsi indennizzare del pregiudizio subìto, quali le azioni di cui agli artt. 80 e 81 c.c. Tribunale Messina sez. I, 30/06/2014, n.1489.
  6. Promessa di matrimonio: recesso senza giustificato motivo. L’illecito consistente nel recesso senza giustificato motivo dalla promessa di matrimonio non è assoggettato ai principi generali in tema di responsabilità civile, contrattuale od extracontrattuale, né alla piena responsabilità risarcitoria che da tali principi consegue, poiché un tale regime potrebbe tradursi in una forma di indiretta pressione sul promittente nel senso dell’accettazione di un legame non voluto; sicché il risarcimento dei danni conseguenti all’ingiustificata rottura della promessa di matrimonio va circoscritto alle spese fatte ed alle obbligazioni contratte dal promissario, escludendo, pertanto, il risarcimento dei danni non patrimoniali. Cassazione civile sez. VI, 02/01/2012, n.9.
  7. Promessa solenne di matrimonio. In tema di matrimonio, l’avvenuta richiesta di pubblicazioni integra promessa solenne di matrimonio la cui rottura legittima l’altro promittente all’azione di restituzione dei doni fatti e ad ottenere il risarcimento dei danni relativi alle obbligazioni assunte ed alle spese contratte “a causa” della semplice promessa, e cioè nella presupposizione della celebrazione del futuro patrimonio ed a prescindere dalle cause della rottura che rimangono prive di rilevanza. Tribunale Monza, 31/03/2011.
  8. Promessa di matrimonio, recesso e onere a carico del recedente. In tema di promessa di matrimonio, l’obbligazione che consegue “ex lege” all’esercizio del diritto di recesso non può configurarsi come illecito extra-contrattuale, costituendo il recesso espressione di una libertà fondamentale, né come responsabilità contrattuale o precontrattuale, posto che la promessa di matrimonio non è un contratto e neppure costituisce un vincolo giuridico tra le parti; si tratta, infatti, di una particolare forma di riparazione collegata direttamente dalla legge alla rottura del fidanzamento “senza giusto motivo”, con la conseguenza che incombe al recedente, qualora voglia sottrarsi a siffatta obbligazione riparatoria, l’onere di provare la sussistenza del giustificato motivo, quale fatto costitutivo negativo della pretesa dell’altra parte. Cassazione civile sez. III, 15/04/2010, n.9052.
  9. Rottura della promessa di matrimonio e restituzione dei doni. La rottura della promessa di matrimonio legittima il donante all’azione di restituzione dei doni fatti “a causa” della promessa e ciò a prescindere dalle cause della rottura, che rimangono prive di rilevanza. Tribunale Bari, 28/09/2006.
  10. Promessa di matrimonio: ha natura negoziale? Posto che la promessa di matrimonio è destituita di qualsiasi effetto vincolante, essendo inconcepibile, prima ancora che nel diritto, nella coscienza sociale, un vincolo a contrarre matrimonio ed essendo la libertà matrimoniale diritto fondamentale della persona, ne consegue l’impossibilità di attribuire ad essa natura negoziale e, quindi, di ritenere che il risarcimento ex art. 81 c.c. sia conseguenza di un inadempimento contrattuale; dunque, il comportamento del nubendo promittente che si scioglie dalla promessa, essendo espressione di quel diritto personale fondamentale che è la libertà matrimoniale, non può mai essere qualificato in termini di illiceità ex art. 2043 c.c., vale a dire che di per sé la rottura della promessa di matrimonio, anche se fatta senza “giusto motivo”, non è mai antigiuridica, perché non è non iure, e quindi non è mai produttiva di danni ingiusti. Tribunale Reggio Calabria sez. II, 12/08/2003

La legge per tutti         4 agosto 2019

www.laleggepertutti.it/293385_promessa-di-matrimonio-ultime-sentenze

 

Obbligare una persona a sposarsi: è reato?

Il matrimonio dovrebbe essere un evento lieto, il coronamento del proprio idillio d’amore. Purtroppo, però, ci sono casi in cui il vincolo matrimoniale viene contratto per mera convenienza (ad esempio, per acquistare la cittadinanza) oppure addirittura perché, in un modo o nell’altro, si è costretti. Cosa prevede la legge italiana a proposito dei matrimoni imposti con la forza o con la minaccia? Obbligare una persona a sposarsi è reato? Cosa succede se si induce una persona dello stesso sesso a contrarre un’unione civile?

  1. Persona obbligata a sposarsi: matrimonio può annullarsi? Prima di vedere se è reato obbligare una persona a sposarsi è opportuno spendere qualche parola sulla disciplina civile del matrimonio per costrizione. Secondo il codice civile, il matrimonio può essere impugnato dal coniuge il cui consenso è stato estorto con violenza o determinato da timore di eccezionale gravità derivante da cause esterne allo sposo [Art. 122 cod. civ.]. In buona sostanza, il matrimonio può essere annullato nelle seguenti ipotesi:
  • per violenza morale, che si ha quando il futuro coniuge minacci l’altro prospettandogli un male ingiusto e notevole nel caso in cui non voglia sposarsi;
  • per timore di subire una male ingiusto da persona diversa dal coniuge (ad esempio, da un membro della sua famiglia).
  1. Annullamento matrimonio: termine. L’annullamento del matrimonio nel caso di violenza morale o di timore subito da uno dei coniugi non può essere chiesto se vi è stata coabitazione per un anno dopo che siano cessate la violenza o le cause che hanno determinato il timore. In altre parole, se la persona costretta a sposarsi convive con il coniuge per oltre un anno ed è cessata ogni forma di violenza o di timore, non potrà più essere chiesto l’annullamento del matrimonio, il quale risulterà sanato dalla volontà della persona indotta a sposarsi di vivere insieme.

Al contrario, l’azione di annullamento del matrimonio per costrizione può sempre essere esercitata se la minaccia, la violenza o il timore non siano cessati, oppure siano cessati da meno di un anno, oppure siano cessati ma non ci sia stata coabitazione. Tizio costringe Caia a sposarlo dietro la minaccia di fare del male alla sua famiglia. Dopo le nozze, i coniugi vanno a vivere insieme e delle minacce di Tizio non v’è più traccia. Dopo circa due anni di coabitazione, Caia chiede l’annullamento del matrimonio perché fu contratto senza il suo libero consenso.

Sempronio e Mevia si sposano; Mevia presta il consenso solamente perché teme di subire del male dalla famiglia di Sempronio, la quale le ha fatto capire chiaramente che, se non si sposerà, subirà una ritorsione. Dopo anni di coabitazione, Mevia subisce ancora le minacce velate dei parenti; si decide pertanto a chiedere l’annullamento.

  • Nel primo esempio proposto, il coniuge costretto a sposarsi non può più chiedere l’annullamento del matrimonio, poiché è ha coabitato per oltre un anno e la violenza morale è cessata.
  • Nella seconda ipotesi, invece, l’azione di annullamento può ancora essere proposta perché, pur essendo passati diversi anni dal matrimonio ed essendovi stata convivenza, il timore non è cessato.
  1. Persona obbligata a sposarsi: è reato? Per tanti anni il rimedio ad un matrimonio forzoso è stato solo di tipo civile: il coniuge costretto a sposarsi poteva, nei modi e nei termini indicati nei paragrafi superiori, invocare l’azione di annullamento per sciogliersi dal vincolo matrimoniale.

Grazie ad una legge entrata in vigore a partire dal 9 agosto 2019 [L. n. 69 del 19 luglio 2019], ora anche il codice penale punisce la persona che obbliga un’altra a sposarsi oppure a contrarre un’unione civile. Secondo il nostro ordinamento giuridico, chi, con violenza o minaccia, costringe una persona a contrarre matrimonio o unione civile, è punito con la reclusione da uno a cinque anni.

La stessa pena si applica a chiunque, approfittando delle condizioni di vulnerabilità o di inferiorità psichica o di necessità di una persona, con abuso delle relazioni familiari, domestiche, lavorative o dell’autorità derivante dall’affidamento della persona per ragioni di cura, istruzione o educazione, vigilanza o custodia, la induce a contrarre matrimonio o unione civile.

In buona sostanza, la legge penale punisce non solo chi costringe un’altra persona a sposarsi (o a contrarre unione civile) utilizzando violenza o minaccia, ma anche colui che raggiunga questo scopo abusando del potere o dell’ascendente che ha sulla vittima: si pensi al datore di lavoro che induce il proprio dipendente a sposare la figlia dietro la minaccia di un licenziamento, oppure al curatore dell’inabilitato che induca quest’ultimo di sposarsi con una determinata persona.

Il codice penale, tra l’altro, specifica che costituisce reato anche se la costrizione è commessa all’estero da cittadino italiano, o da straniero residente in Italia ovvero in danno di cittadino italiano o di straniero residente in Italia.

  1. Costrizione matrimonio: ipotesi aggravate. La costrizione o induzione al matrimonio è punita più severamente quando le vittime siano minorenni: la pena, infatti, è aumentata se i fatti sono commessi in danno di un minore di anni diciotto. Se, poi, la vittima è minore di quattordici anni, la pena è quella della reclusione da due a sette anni. [Art. 558-bis cod. pen].

Mariano Acquaviva    La legge per tutti         9 agosto 2019

www.laleggepertutti.it/296143_obbligare-una-persona-a-sposarsi-e-reato

 

La riconciliazione dei coniugi

  1. La riconciliazione dei coniugi è una vicenda che viene in rilievo, giuridicamente, in caso di separazione degli stessi e alla quale il nostro codice civile dedica due articoli: il 154 e il 157.

In particolare, la riconciliazione dei coniugi è la scelta di moglie e marito, già separati, di tornare a vivere insieme e ad essere una coppia. In altre parole, è l’effetto del loro essersi ritrovati e il primo passo per ricomporre il legame che avevano iniziato a sciogliere.

  1. Effetti della riconciliazione dei coniugi. Come disposto dall’articolo 154 del codice civile, “La riconciliazione tra i coniugi comporta l’abbandono della domanda di separazione personale già proposta”.

La principale conseguenza della riconciliazione attiene, ovviamente, all’abbandono della domanda di separazione, qualora sia stata già proposta (potrà darsene atto nel verbale di udienza), ma non implica (più) la estinzione del diritto di richiederla, lasciando pertanto liberi i coniugi di far valere, anche successivamente alla riconciliazione, fatti e atti anteriori alla stessa.

Qualora sia già stata pronunciata sentenza di separazione giudiziale, o omologata quella consensuale, vengono a cessarne gli effetti: in tal caso, la separazione può essere pronunziata nuovamente soltanto in relazione a fatti e comportamenti intervenuti dopo la riconciliazione.

La riconciliazione comporta poi il ripristino dei doveri coniugali, sia di natura personale (art. 143, comma II, c.c.), tra cui la presunzione di concepimento in costanza di matrimonio, che patrimoniali (art. 143, comma III, c.c.).

Rivive, seppure ex nunc, la comunione legale dei beni, senza necessità di una specifica convenzione matrimoniale (seppure non manchino voci che escludano la automatica ricostituzione della comunione legale).

  1. Riconciliazione dei coniugi: la prova. Per provare la riconciliazione dei coniugi è necessario fare leva su tutti gli elementi esteriori che sono in grado di dimostrare in maniera oggettiva e inequivoca la ripresa dei rapporti materiali e spirituali tra moglie e merito, caratteristici del vincolo del matrimonio.

L’ipotesi di riconciliazione più frequente si verifica con l’effettivo ripristino della vita coniugale mediante la ripresa dei rapporti materiali e spirituali che caratterizzano il consorzio familiare. Ciò si verifica quando sia stato ricostruito l’intero complesso dei rapporti che caratterizzano il vincolo coniugale, e quindi sia intervenuto il ripristino non solo di quelli che concernono l’aspetto materiale del matrimonio, ma anche di quelli che sono alla base della intesa spirituale dei coniugi.

L’accertamento della intervenuta riconciliazione dovrà ancorarsi ad elementi esteriori oggettivi diretti a dimostrare la seria e comune volontà di ripristinare la comunione di vita, a prescindere da irrilevanti riserve mentali: l’elemento oggettivo, da cui è possibile desumere la ricostituzione del nucleo familiare, prevale sul mero elemento psicologico.

  1. Quando non si ha riconciliazione. Consegue che non costituisce riconciliazione la ripresa della convivenza, in via sperimentale e per un breve periodo, senza una chiara ed effettiva volontà di ripristinare la vita coniugale. La stessa convivenza, anche se non soltanto sperimentale, pur possedendo un innegabile valore presuntivo, se non è accompagnata da concreti atteggiamenti concludenti (come, ad esempio, la redazione di un testamento olografo a favore dei figli, unito alla revoca delle disposizioni testamentarie a favore della precedente convivente), non è sufficiente a concretare l’ipotesi di una riconciliazione.

Non interrompono la separazione le manifestazioni di buona volontà da parte di un coniuge con doni, elargizioni di denaro ed esecuzione di opere nella casa coniugale, né il fatto che il marito, pur vivendo in un’altra città e con un’altra donna, torni in famiglia per i fine settimana provvedendo, in tali occasioni, con la moglie, al menàge domestico ed all’educazione dei figli.

            Non ha ugualmente effetto riconciliativo la riunione dei coniugi durante i fine settimana ed in occasione delle vacanze, così come che la convivenza – seppur connotata dei caratteri materiali e spirituali caratteristici del matrimonio – per un breve periodo di tempo in conseguenza dello stato di detenzione domiciliare di uno dei coniugi. Allo stesso modo, l’assistenza prestata attraverso visite giornaliere al coniuge separato bisognoso di cure non comporta la ricostituzione della comunione spirituale e materiale tra i coniugi, intesa – per l’aspetto spirituale – come animus di riservare al coniuge la posizione di esclusivo compagno di vita e di adempiere ai doveri coniugali.

Non rappresenta ripristino della vita coniugale nemmeno una sporadica ripresa dei rapporti sessuali, anche con conseguente nascita di un figlio, né la convivenza dei coniugi nella stessa casa, di proprietà del marito, in camere da letto diverse, e la corresponsione da parte di quest’ultimo alla moglie di somme di denaro, dopo la sentenza di separazione, trattandosi di circostanze che non dimostrano di per sé il ripristino del consortium vitae.

  1. Riconciliazione: il giudice non serve. Per la riconciliazione dei coniugi, in ogni caso, non serve l’intervento del giudice ma sono sufficienti una dichiarazione espressa dei coniugi o un loro comportamento, non equivoco, incompatibile con lo stato di separazione, da valutare tenendo conto di quanto rilevato nei precedenti paragrafi.

Con riferimento alla dichiarazione, può rilevarsi che essa, pur non sorretta da formule sacramentali, deve possedere requisiti formali atti a renderla in equivoca e verificabile in qualunque momento.

Una pubblicità che può ritenersi idonea a raggiungere lo scopo è senz’altro la sua iscrizione e conservazione tra gli atti dello stato civile, ai sensi dell’art. 63, lett. g) (e 69, lett. f)), D.P.R. 03/11/00, n. 396, secondo cui debbono essere iscritte “le dichiarazioni con le quali i coniugi separati manifestano la loro riconciliazione, ai sensi dell’art. 157, c.c.”.

  1. La giurisprudenza sulla riconciliazione dei coniugi. Con riferimento alla riconciliazione dei coniugi, la giurisprudenza ha avuto modo di chiarire che “l’avvenuta riconciliazione dei coniugi, quale causa estintiva degli effetti della separazione, concreta un’eccezione in senso proprio, che deve essere perciò formulata mediante una specifica deduzione, non essendo all’uopo sufficiente la generica istanza di rigetto della domanda o delle eccezioni proposte dall’altra parte” (Cass. n. 1630/2018).

Possiamo poi segnalare la sentenza numero 369/2014 della Corte di cassazione, ove si legge che “la coabitazione dei coniugi non costituisce, di per sé, un dato sufficiente per far ritenere intervenuta fra gli stessi una riconciliazione, essendo viceversa necessario, a tal fine, che sia concretamente ricostituito il preesistente nucleo familiare nell’insieme dei suoi rapporti materiali e spirituali, e che sia quindi data dimostrazione dell’avvenuto raggiungimento di una stabile e consapevole ripresa della vita in comune, con una compartecipazione responsabile rispetto agli eventi incidenti sulla gestione familiare”.

Walter Giacardi –studio Cataldi                  2 agosto 2019

www.studiocataldi.it/articoli/4830-la-riconciliazione-dei-coniugi.asp

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SEPARAZIONE

La separazione di fatto

a)      La separazione di fatto è l’interruzione effettiva, da parte di uno o di entrambi i coniugi, della vita matrimoniale senza che sia intervenuto un provvedimento giudiziale che autorizzi la coppia a vivere separatamente.

b)      Separazione legale e di fatto: le differenze. La principale distinzione che può essere operata all’interno dell’istituto della separazione è quella che contrappone la separazione “legale”, a sua volta di due tipi (la separazione giudiziale e la separazione consensuale), alla separazione “di fatto”. Per la separazione legale è previsto comunque un vaglio dell’autorità giudiziaria, che interviene stabilendo le condizioni da imporre ai coniugi con sentenza (separazione giudiziale) oppure con l’emanazione di un decreto di omologazione degli accordi raggiunti dai coniugi (separazione consensuale). La separazione “di fatto”, di converso, rappresenta sicuramente il modo più agevole e rapido per manifestare l’esistenza di una crisi e consiste nell’effettiva interruzione, da parte di uno o di entrambi i coniugi, del proprio apporto “psicologico” e/o patrimoniale alla famiglia.

c)      Separazione di fatto: come attuarla. Il modo più “eclatante” con il quale si attua una separazione di fatto è rappresentato dal dichiarato abbandono del tetto coniugale da parte di almeno uno dei due coniugi, con l’eventuale accordo circa un sostegno economico a carico della parte più agiata e a vantaggio dell’altra. E’ da precisare, tuttavia, che il comportamento di chi abbandona la casa coniugale può provocare delle conseguenze rilevanti sul piano giuridico. Innanzitutto, pur non essendo vietata dall’ordinamento, una simile condotta potrebbe essere posta a fondamento dell’addebito della successiva eventuale separazione laddove si riscontri che il coniuge che la ha posta in essere ha con ciò palesemente violato gli obblighi di assistenza morale e materiale e/o di fedeltà.

A tal proposito, si noti che il Tribunale di Milano, con sentenza del 12/04/2013 n. 5114, ha però stabilito che “la violazione dell’obbligo di fedeltà che risulti successiva alla separazione di fatto dei coniugi non può costituire da sola il presupposto di una dichiarazione di addebito della separazione”.

Il rischio, in caso di abbandono del tetto coniugale, è poi anche quello che venga ritenuto integrato il reato previsto e sanzionato dall’articolo 570 del codice penale, che punisce penalmente la “violazione degli obblighi di assistenza familiare”, ovverosia la condotta di chi, “abbandonando il domicilio domestico …, si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti … alla qualità di coniuge”.

L’abbandono del tetto coniugale, tuttavia, è solo una delle molteplici modalità con le quali può attuarsi una separazione di fatto.

Molto più frequentemente, quest’ultima si consuma all’interno delle mura domestiche, dove i coniugi decidono di convivere più o meno pacificamente per i figli o per ragioni di convenienza economica o di facciata, di fatto comportandosi, però, come due estranei o, comunque, non certo come una coppia.

In ogni caso, in qualsiasi modo di estrinsechi, questa forma di separazione non solo non costituisce valido presupposto per far iniziare a decorrere il termine per ottenere il divorzio, ma non produce alcun diverso effetto giuridico sul matrimonio, dato che il nostro codice civile, di per sé, non la disciplina affatto.

d)      Gli effetti transitori della separazione di fatto. E’ da precisare che, proprio per il carattere ontologicamente transitorio della separazione, gli effetti della stessa possono essere fatti cessare tramite l’istituto della riconciliazione (ex art. 154 c.c.).

Al fine di favorire al massimo il recupero della sintonia all’interno della famiglia, il legislatore ha previsto che per garantire piena efficacia alla riconciliazione non sia necessaria alcuna formalità particolare, risultando sufficiente, all’uopo, un comportamento di entrambe le parti incompatibile con lo status di “separati”.

Quanto detto vale, è bene precisare, non solo in caso di separazione di fatto, bensì anche in caso di separazione legale. In quest’ultima ipotesi, tuttavia, l’ordinamento prevede due modalità alternative per rendere formale la riconciliazione medesima: l’accertamento giudiziario ovvero, più semplicemente, il rilascio di una dichiarazione congiunta da parte dei coniugi presso il comune di appartenenza.

E’ bene anche sapere che secondo la Cassazione (sentenza 7369/2012) la cessazione della convivenza anche a seguito di una semplice separazione di fatto “non influisce sulla sussistenza del reato di maltrattamenti in famiglia di cui all’articolo 572 del codice penale dato che rimangono integri i doveri di rispetto, di assistenza morale e materiale e di solidarietà che nascono dal rapporto coniugale”.

Studio Cataldi      2 agosto 2019

www.studiocataldi.it/guide_legali/separazione/separazione-di-fatto.asp

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WELFARE

Dieci giorni di congedo di paternità: in vigore la direttiva Ue

È stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea del 12 luglio la direttiva (UE) 2019/1158, relativa all’equilibrio tra attività professionale e vita familiare per i genitori e i prestatori di assistenza, che abroga la precedente direttiva 2010/18/UE del Consiglio.

In vigore dal 1° agosto 2019 la direttiva (UE) 2019/1158 con un pacchetto di misure a sostegno dei genitori e della parità di genere. Gli Stati membri dovranno adeguarsi entro il 2022

www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_35523_1.pdf

ü  Come si legge nel comunicato del Parlamento Europeo: “La legge stabilisce i requisiti minimi che tutti gli Stati membri dovranno attuare nel tentativo di aumentare le opportunità delle donne nel mercato del lavoro e rafforzare il ruolo del padre, o di un secondo genitore equivalente, nella famiglia. Beneficeranno di tali norme i bambini e la vita familiare, rispecchiando al contempo più accuratamente i cambiamenti sociali e promuovendo la parità di genere». Il provvedimento, in vigore dal 1° agosto, appronta un nuovo impianto in materia di equilibrio tra attività professionale e vita familiare al fine di contribuire al raggiungimento della parità di genere, promuovendo la partecipazione delle donne al mercato del lavoro e all’equa ripartizione delle responsabilità di assistenza familiare tra uomini e donne. Gli Stati membri dovranno conformarsi alle norme entro tre anni (dunque entro agosto 2022).

Tali obiettivi vengono perseguiti attraverso un pacchetto di misure particolarmente dettagliate che, in primis, offrono più tutele ai padri in occasione della nascita dei figli (congedo di paternità), ma anche la possibilità che i lavoratori che siano genitori o prestatori di assistenza possano fruire di modalità flessibili di lavoro. Non manca, inoltre, una particolare attenzione riservata ai prestatori di assistenza, che potranno fruire di un apposito congedo di cinque giorni l’anno.

ü  Congedo di paternità. La direttiva prevede che il padre o il secondo genitore equivalente, laddove e nella misura in cui il diritto nazionale lo riconosca, debba avere diritto a un congedo di paternità di 10 giorni lavorativi da fruire nel periodo intorno alla nascita di un figlio e chiaramente collegato a tale evento ai fini di fornire assistenza. Gli Stati membri potranno altresì concedere il congedo di paternità in caso di parto di un feto morto.

   Il congedo dovrà essere retribuito e non trasferibile. Gli Stati membri si occuperanno di stabilire se tale periodo possa essere o meno fruito parzialmente prima della nascita del figlio o solo dopo la nascita del figlio e se possa essere fruito secondo modalità flessibili.

…Il diritto al congedo di paternità non sarà subordinato a una determinata anzianità lavorativa o di servizio e dovrà essere concesso a prescindere dallo stato civile o di famiglia del lavoratore, come definiti dal diritto nazionale.

   La retribuzione o indennità spettante al dipendente in relazione al periodo minimo di congedo di paternità dovrà garantire un reddito almeno pari al livello della prestazione di malattia nazionale. Poiché il riconoscimento dei diritti al congedo di paternità e maternità persegue obiettivi simili, ossia creare un legame tra genitore e figlio, gli Stati membri sono incoraggiati a prevedere una retribuzione o un’indennità per il congedo di paternità che sia pari alla retribuzione o all’indennità versate per il congedo di maternità a livello nazionale.

ü  Due mesi di congedo parentale retribuito e non trasferibile. La direttiva estende da uno a due mesi il periodo minimo di congedo parentale, non trasferibile da un genitore all’altro al fine di incoraggiare i padri a fruire di tale congedo e per agevolare il reinserimento delle madri nel mondo del lavoro dopo il congedo di maternità e parentale. Ciò pur mantenendo il diritto di ciascun genitore ad almeno quattro mesi di congedo parentale.

   Gli Stati membri dovranno adottare le misure necessarie affinché ciascun lavoratore disponga di un diritto individuale al congedo parentale di quattro mesi da sfruttare prima che il bambino raggiunga una determinata età, non superiore agli otto anni.

   Ancora, gli Stati membri fisseranno un ragionevole periodo di preavviso che il lavoratore deve dare al datore di lavoro quando esercita il diritto al congedo parentale e adotteranno le misure necessarie per garantire che i lavoratori abbiano diritto di chiedere la fruizione del congedo in modo flessibile.

   Infine, gli Stati membri dovranno stabilire un livello adeguato di retribuzione o di indennità per il periodo minimo di congedo parentale non trasferibile, in modo da facilitare il ricorso al congedo parentale da parte di entrambi i genitori e il mantenimento di un tenore di vita dignitoso.

ü  Cinque giorni di congedo annuale per gli operatori dell’assistenza. Per offrire a uomini e donne maggiori possibilità di rimanere nella forza lavoro, dovrà essere garantito il diritto a un congedo di cinque giorni lavorativi all’anno ai lavoratori che prestano assistenza personale a un parente o a una persona che vive nella stessa famiglia a causa di un grave motivo medico o infermità connesse all’età.

   Si prevede, infatti, che l’invecchiamento della popolazione porterà a un costante aumento della necessità di assistenza e, di conseguenza, a un aumento concomitante della prevalenza di infermità connesse all’età. Per questo, si incoraggiano gli Stati membri anche a fare in modo che anche altri parenti, tra cui nonni e fratelli e sorelle, possano usufruire del diritto al congedo per i prestatori di assistenza.

   Gli Stati membri potranno assegnare il congedo dei prestatori di assistenza sulla base di un periodo di riferimento diverso da un anno, per singola persona che necessita di assistenza o sostegno o per singolo caso.

ü  Assenza dal lavoro per cause di forza maggiore. Oltre al diritto al congedo per i prestatori di assistenza, tutti i lavoratori dovranno mantenere il diritto di assentarsi dal lavoro, senza perdere i diritti in materia di lavoro che hanno acquisito o che stanno acquisendo, per cause di forza maggiore derivanti da ragioni familiari urgenti e inattese, in caso di malattie o infortuni che ne rendano indispensabile l’immediata presenza, come previsto dalla direttiva 2010/18/UE, conformemente alle condizioni stabilite dagli Stati membri.

   Gli Stati membri potranno limitare il diritto di ciascun lavoratore di assentarsi dal lavoro per cause di forza maggiore a un periodo determinato per anno o per evento, o entrambi.

ü  Lavoro flessibile. La direttiva stabilisce altresì che gli Stati membri debbano adottare le misure necessarie per garantire che i lavoratori con figli fino a una determinata età (non inferiore a 8 anni) e i prestatori di assistenza abbiano il diritto di chiedere orari di lavoro flessibili per motivi di assistenza. La durata di tali modalità di lavoro flessibili può essere soggetta a una limitazione ragionevole.

   Nell’esaminare le richieste di lavoro flessibile, i datori di lavoro dovranno tenere conto, tra l’altro, della durata delle modalità di lavoro flessibili richieste, nonché delle loro risorse e della loro capacità operativa di offrire tali modalità. I datori potranno decidere di approvare o respingere la richiesta, ma l’eventuale rifiuto o rinvio dovrà essere motivato.

            Qualora le modalità di lavoro flessibili abbiano durata limitata, alla fine del periodo convenuto il lavoratore avrà diritto di ritornare all’organizzazione originaria della vita professionale. Un diritto che gli spetta anche prima che sia terminato il periodo convenuto qualora sia intervenuto un qualunque cambiamento di circostanze lo giustifichi.

Lucia Izzo      Newsletter giuridica Studiocataldi.it            05 Agosto 2019

www.studiocataldi.it/articoli/35523-dieci-giorni-di-congedo-di-paternita-in-vigore-la-direttiva-ue.asp

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