NewsUCIPEM n. 765 – 4 agosto 2019

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“Notiziario Ucipem” unica rivista ufficiale – registrata Tribunale Milano n. 116 del 25.2.1984

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02 AFFIDI                                                           26.000 i bambini fuori famiglia. L’affido spesso dura oltre i 4 anni

02                                                                          Ministro Locatelli dà ragione ad Ai.Bi: Serve l’avvocato dei minori

03                                                                          Affidi illeciti, verifiche e sospetti

06                                                                          Bibbiano diventi occasione di riforma del sistema minorile

07                                                                          Milano. Mancano famiglie affidatarie, i minori vanno5 in comunità

07 CENTRO INTERN. STUDI FAMIGLIA   Newsletter CISF – n. 30, 31 luglio 2019

09 CENTRO ITALIANO SESSUOLOGIA     Patrocinio. Insieme per una fertilità migliore.

10 CHIESA CATTOLICA                                  Nessuna epurazione al Pontificio Istituto “Giovanni Paolo II”

11                                                                          Avanzamento ecclesiale e turbamenti delle teologie di corte

12                                                                          In gioco c’è il rapporto tra la chiesa e le realtà terrene.

13                                                                          Dibattito. Nessuna epurazione all’Istituto “Giovanni Paolo II”

15 COMM.ADOZIONI INTERNAZ.             CAI pubblica i dati sulle adozioni in corso

15                                                                          Laera fa il punto su Etiopia

16 CONSULTORI FAMILIARI CATTOLICI  La CFC è in lutto. È morto don Edoardo Algeri, suo presidente

17 COUNSELING                                             Come uscire dalla dipendenza affettiva

20 DALLA NAVATA                                         XVIII Domenica del tempo ordinario – Anno C – 4 agosto 2019

20                                                                          Siamo ricchi solo di ciò che doniamo

21 FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI    La famiglia si difende testimoniando la sua bellezza

21 FRANCESCO VESCOVO DI ROMA       Le famiglie diventino sempre più laboratori di umanizzazione

22                                                                          Il paradosso di Papa Francesco

24 GARANTE PER L’INFANZIA                    Affidi, le raccomandazioni per la riforma del sistema di tutela

25                                                                          Sistema della tutela, gli interventi sollecitati dall’Autorità garante

27 PARLAMENTO                                            Senato. Commissione di inchiesta sulle comunità di tipo familiare

27 PASTORALE                                                 Pastorale della famiglia: continuità e novità. Da Wojtyla a Bergoglio

28 PROCREAZIONE ASSISTITA                    Fecondazione: metodo Cnr per identificare gli ovociti più sani

29 SEPARAZIONE CONIUGI                        Anche se consensuale, patrocinio a spese dello Stato senza cumulo

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AFFIDI

Sono 26mila i bambini fuori famiglia in Italia. E l’affido spesso dura oltre i quattro anni

Le vicende di Bibbiano hanno fatto sollevare nuovamente il sipario sul tema dell’affido. Un istituto che è un’importante forma di accoglienza, certo. Ma che, in Italia, dura spesso più del necessario (la legge prevedrebbe, salvo proroghe, un massimo di 24 mesi): oltre i quattro anni nel 36,4% dei casi di affidamento familiare, con il 60% dei casi di affidi complessivi comunque superiori ai due anni. La fotografia completa più recente sul settore è quella scattata dall’indagine dell’Istituto degli Innocenti di Firenze. Che spiega come, nel belpaese, il mondo dell’affido coinvolga circa 26mila bambini e ragazzi con genitori in difficoltà: 14mila di questi sono accolti da famiglie diverse da quella di origine e 12mila sono invece collocati nei servizi residenziali per minorenni. Un dato che rappresenta il 2,7‰ dei ragazzi e bambini sotto i 18 anni di età in Italia.

            La misura, in teoria, dovrebbe limitarsi a intervenire in casi estremi: in base alla legge 184 del 1983, modificata dalla legge 149 del 2001, l’affido può essere disposto nel caso che la vita e l’educazione dei minori siano seriamente a rischio nella famiglia originaria e certamente non bastano motivi minori, come quelli economici. Tuttavia, poiché la medesima legge non fornisce un elenco di situazioni preciso, ci si deve attenere all’articolo 403 del Codice civile. Il quale favorisce una netta discrezionalità da parte dei servizi sociali. Nella procedura urgente, per esempio, questi decidono autonomamente e senza il consenso della famiglia d’origine il trasferimento del minore e solo in un secondo momento avvisano il Tribunale per i minorenni. Cosa che a volte avviene addirittura a distanza di mesi.

E finito il periodo di affido? Cosa accade? Il rientro nella famiglia d’origine avviene solo nel 40% dei casi. Per oltre il 30% dei minori l’iter si conclude con un ulteriore affido in altra famiglia o struttura, mentre per poco più del 15% si realizza l’adozione. Così c’è chi ha sollevato, al fine di garantire la temporaneità dell’affido e l’elaborazione di un progetto di vita per i bambini interessati dal fenomeno, la necessità di un riconoscimento giuridico formale del minore fuori famiglia. Si tratta di Ai.Bi. – Amici dei Bambini, che da oltre un trentennio combatte l’abbandono minorile in Italia e nel mondo.

            L’organizzazione presieduta da Marco Griffini ha lanciato la necessità di una Carta dei Diritti degli OFC (Out of Family Children), che definisca otto diritti fondamentali:

  1. Diritto di essere accolto in una famiglia costituita da un padre e da una madre;
  2. Diritto alla partecipazione e all’ascolto;
  3. Diritto ad una chiara e universale definizione dello stato di abbandono;
  4. Diritto alla nomina di un avvocato fin dall’ingresso nella categoria degli OFC (si tratta dell’” avvocato del minore”);
  5. Diritto ad essere accompagnato da una equipe psico-socio-giuridica;
  6. Diritto ad essere sostenuto da un’associazione che abbia come precisa finalità la tutela dei diritti dell’infanzia;
  7. Diritto di rimanere nella condizione di OFC solo temporaneamente;
  8. Diritto al risarcimento del danno quando il diritto ad una famiglia viene violato

AiBinews 30 luglio 2019

www.aibi.it/ita/dopo-bibbiano-sono-26mila-i-bambini-fuori-famiglia-in-italia-e-laffido-spesso-dura-oltre-i-quattro-anni

 

Dopo Bibbiano. Il ministro Locatelli dà ragione ad Ai.Bi.: “Serve l’avvocato dei minori”

 “Troppo potere ai servizi sociali. Ora serve l’avvocato dei minori”. A spiegarlo, in una bella intervista concessa a Daniele Capezzone su La Verità e raccogliendo così di fatto l’appello lanciato a più riprese dal presidente di Ai.Bi. – Amici dei Bambini, Marco Griffini dopo l’esplosione dello scandalo sugli affidi di Bibbiano, è il neo ministro della Famiglia e Disabilità, Alessandra Locatelli. Che si è trovata ad assumere l’incarico praticamente negli stessi giorni in cui è esplosa l’inchiesta sui servizi sociali della Val d’Enza, in Emilia Romagna.

            “Bibbiano – ha spiegato infatti il ministro – ha dato la spinta per accelerare i tempi di verifiche, controlli e di eventuali proposte di modifiche normative che riguardano l’affidamento. Quanto è emerso anche dalle audizioni, che ho svolto con diverse realtà, sollecita azioni per preservare al massimo il minore e i suoi diritti”.

            Azioni il cui primo obiettivo è chiarito dallo stesso ministro: arginare l’eccessiva discrezionalità dei servizi sociali. “Gli stessi assistenti sociali – ha spiegato la Locatelli – ora ritengono che serva maggior controllo, anche a loro tutela. Una cosa di assoluto buon senso che si potrebbe fare: accanto alla figura del curatore, serve anche un avvocato che prenda le parti del minore, che lo consideri come portatore di diritti”.

            “Quello che è successo – ha detto ancora la Locatelli – ha chiarito che occorre prendere in mano la situazione. Bisogna assicurare che chiunque stia gestendo bimbi e minori lo stia facendo in modo da garantire i loro diritti e che questo serva anche per altri contesti”

AiBinews 31 luglio 2019

www.aibi.it/ita/dopo-bibbiano-il-ministro-locatelli-da-ragione-ad-ai-bi-serve-lavvocato-dei-minori

 

Affidi illeciti, verifiche e sospetti

Conclusi i controlli su 38 nuovi casi: una sola irregolarità. Fa discutere la scelta della Procura di Reggio Emilia: perché tacere che 4 dei 7 minori fossero già tornati a casa? I contrasti tra gli uffici giudiziari, che operavano l’uno all’insaputa dell’altro, avrebbero potuto danneggiare l’esito delle verifiche e ripercuotersi sui bambini allontanati dai servizi sociali della Val d’Enza per presunti abusi

Può capitare che una procura come quella di Reggio Emilia, seriamente preoccupata per la sorte di bambini che sarebbero stati ingiustamente sottratti alle famiglie da servizi sociali inadeguati, forse ‘ideologicamente deviati’, forse spinti da interessi economici illeciti, abbia ‘dimenticato’ per un anno di segnalare al competente Tribunale dei minori, quello di Bologna, l’avvio dell’inchiesta?

E può capitare che lo stesso Tribunale dei minori, la cui attenzione si era già posata sulla situazione di almeno quattro dei sette bambini vittime dei fatti terribili e assurdi raccontati nell’ordinanza, ignorando quello su cui stavano indagando i colleghi reggiani, abbia deciso provvedimenti che avrebbero potuto risultare conflittuali o forse anche danneggiare l’esito delle iniziative di tutela, con ulteriori conseguenze per quei bambini?

E ancora: può capitare che la procura di Reggio Emilia, annunciando all’inizio di luglio un’inchiesta dai contorni così devastanti e con accuse così gravi, abbia ‘dimenticato’ di spiegare che quattro dei sette bambini di cui si parla nell’ordinanza in termini così – giustamente e comprensibilmente – preoccupati, avevano nel frattempo già fatto ritorno a casa, e un quinto era in procinto di farlo, proprio grazie a quel Tribunale dei minorenni tenuto all’oscuro di tutto?

Sembra incredibile ma questo è davvero quanto successo per il caso Bibbiano. Una sorta di tutela dei minori a geometria variabile, secondo lo schema un po’ schizofrenico del nostro diritto minorile che lascia per esempio ai servizi sociali amplissime possibilità di valutazioni discrezionali per quanto riguarda l’allontanamento di bambino dalla famiglia (ex articolo 403), ma poi non prevede tempi certi né per fissare le udienze di convalida né per offrire ai genitori coinvolti in un provvedimento coatto la possibilità di un contraddittorio paritetico. È lo stesso schema zoppicante che si sta purtroppo ripetendo anche nel caso Bibbiano.

Da una parte i fatti gravissimi raccontati nell’ordinanza della procura di Reggio Emilia, con gli interrogatori suggestivi ed estenuanti subiti dai bambini, costretti alla fine a confessare abusi più immaginari che reali, allo scopo di confermare gli allontanamenti e pilotare gli affidi. Dall’altra una procura come quello di Reggio Emilia che non si preoccupa di accertare – o, se lo sa, tiene ben nascosta di notizia – la sorte toccata ai bambini oggetto dell’indagine, quando di fatto l’iter civile si già concluso con il ritorno dei piccoli nelle famiglie d’origine, almeno per quello che riguarda la destinazione di quattro minori.

Eppure il caso viene annunciato con tutta la rilevanza che merita, tranne questo ‘particolare’ che però non è di poco conto. Un paradossale inceppo degli ingranaggi giudiziari che non avrebbe dovuto assolutamente capitare perché a farne le spese, ancora una volta, sono stati proprio quei bambini a tutela dei quali è stata avviata l’inchiesta. Non che il fatto che quattro dei sette minori coinvolti nell’inchiesta fossero già stati riassegnati alle famiglie d’origine, proprio grazie alle verifiche del Tribunale per i minorenni, rende meno grave il comportamento dei servizi sociali della Val d’Enza, sempre che i reati contestati vengano confermati in sede processuale. Ma, al di là del fatto che la mancata sincronia avrebbe potuto rallentare o sviare gli interventi di tutela, forse un annuncio più rispondente alla realtà dei fatti avrebbe contribuito a rendere un po’ meno allarmante tutto il quadro, mostrando, una volta tanto, un lato positivo del nostro sistema giudiziario.

Se c’è – come racconta l’ordinanza – chi specula in modo criminale e vergognoso sulla pelle dei più sfortunati tra i bambini, quelli che hanno alle spalle famiglie e fragili e problematiche, c’è anche chi nelle stesse istituzioni, vigila per porre un freno a quegli abusi e, una volta tanto, prende atto delle irregolarità e vi pone rimedio. Perché questa comunicazione trasparente e serena non è avvenuta? Forse perché nell’ordinanza compaiono i nomi di due giudici del Tribunale dei minorenni che, secondo quanto si coglie da un’intercettazione, avrebbero potuto essere ‘pilotati’ grazie all’invito a un convegno? Ma anche se ci fossero stati questi sospetti – al di là del fatto che la pretesa di corrompere un giudice con l’invito a un convegno sembra progetto un po’ debole – perché non parlarne con il presidente del tribunale o con il procuratore per i minorenni? Si tratta di una serie di stranezze, o almeno di incongruenze, che ha certamente favorito la corsa alla speculazione politica, con accuse reciproche e raffiche di effetto-annuncio per inchieste e provvedimenti di riforma che attendono inutilmente da anni e che, spenti i riflettori sul caso, torneranno purtroppo nei cassetti da cui sono stati rispolverati in questi giorni.

Nei giorni scorsi era stato il tribunale di Reggio Emilia ad annunciare che, almeno in un caso, era stata data comunicazione dell’inchiesta in corso. Pronta la smentita del Tribunale dei minorenni che ha spiegato come, su quell’episodio c’era già stato un intervento mirato, sia per tutelare il piccolo che i suoi genitori. Il bambino è tornato alla famiglia, su disposizione del tribunale stesso, il 13 maggio, ben prima, cioè, delle ordinanze del gip sull’inchiesta ‘Angeli e demoni’. Pertanto non corrisponde a verità che il minore sarebbe stato allontanato dai genitori e rinchiuso in una struttura. Tutta da approfondire anche la notizia relativa alla decisione di allargare l’inchiesta a tutti i casi trattati dai Servizi sociali della Val d’Enza negli ultimi anni. La verifica, presa autonomamente dallo stesso presidente Giuseppe Spadaro, al fine di fornire eventuali contributi alle indagini condotte dalla procura reggiana, oltre che per accertare che non vi fossero altri casi di bambini ingiustamente allontanati, è già in fase avanzata per quanto riguarda l’ultimo triennio. Si tratterebbe di meno di quaranta procedimenti che sono stati riaperti e riesaminati. Un solo caso presenterebbe irregolarità. E sarebbe quello relativo al bambino promesso in affido sine die dalla responsabile dei servizi sociali della Val d’Enza, Federica Anghinolfi – tuttora ai domiciliari – a una coppia di conoscenti omosessuali. Un affido deciso senza l’autorizzazione – indispensabile – del Tribunale dei minorenni su cui è già stata presa una decisione diversa, sotto la tutela di servizi sociali che non sono più, naturalmente, quelli coinvolti dall’indagine.

Luciano Moia Avvenire 2 agosto 2019

www.avvenire.it/attualita/Pagine/affidi-illeciti-verifiche-e-sospetti

 

L’avvocato dei genitori. «Bibbiano diventi occasione di riforma del sistema minorile»

L’avvocato dei genitori dei bambini strappati alle famiglie: serve subito un disegno di legge, oggi chi viene accusato non ha diritto di difendersi. Riaperta anche l’inchiesta “Diavoli della Bassa”. Lei difendeva i genitori, quando i loro bambini venivano portati via la notte da casa, la mattina da scuola. Era la fine degli anni ’90 e l’avvocato Patrizia Micai era il legale di alcune delle famiglie entrate nell’inchiesta allora denominata ‘I Diavoli della Bassa Modenese’, l’antecedente (quasi a fotocopia) di ‘Angeli e Demoni’, l’inchiesta aperta un mese fa dalla procura di Reggio Emilia a Bibbiano e dintorni. Stesse modalità, stessi operatori, ma allora meno interesse politico e mediatico: «Di quella vicenda si occupò Avvenire e pochi altri, noi rimanemmo soli e tutto fu coperto dall’oblio», spiega Micai. «Anche i genitori che furono assolti dalle accuse di abusi e di riti satanici non rividero mai più i figli. Figli che durante le sedute con gli operatori della Asl di Mirandola pian piano si convinsero di essere stati davvero abusati e di aver partecipato a riti sanguinari, e alla fine odiarono madri e padri. Se a Bibbiano stava succedendo lo stesso – e sarà la magistratura ad appurarlo – forse questa volta siamo arrivati in tempo per salvare i bambini. Ma allora bisogna guardare a Bibbiano come a una grande occasione».

Bibbiano una occasione? Occasione epocale di riforma del sistema minorile. Se le accuse saranno confermate, sarà un momento storico sconvolgente ma anche di rifondazione, purché la politica se ne stia fuori e si resti sul piano strettamente tecnico scientifico. Occorre un disegno di legge che sia immediatamente esecutivo e approvato da tutti i partiti, in modo serio, puntando tutti solo alla tutela del bambino. Per fare ciò, ci vuole un tavolo tecnico non composto dalle solite rappresentanze autoreferenziali, ma da chi veramente sa cosa fare: dopo la Bassa Modenese e Bibbiano è chiaro a tutti che il sistema di tutela del minore ha delle falle. Dire ‘che non accada più’ non serve, se poi non si cambia.

Nel concreto, da dove partire? Quando arrivano le segnalazioni, i tempi delle indagini devono essere brevi e certi, in modo che il bambino venga subito messo sotto la protezione del suo curatore speciale, figura che l’ordinamento già prevede ma che in Italia pochi si possono permettere. Il bambino avrà così il suo avvocato che lo tutela e che nomina i propri consulenti su elenchi di professionisti specializzati, pagati dallo Stato. Altrimenti resteremo sempre ostaggio dell’articolo 403 del Codice civile, quello che oggi dà ai servizi sociali l’enorme potere di decidere autonomamente se allontanare un bambino dalla famiglia, senza che questa possa fare nulla.

Quando il minore si trova in una condizione di grave pericolo per la propria integrità fisica e psichica la pubblica autorità, a mezzo degli organi di protezione dell’infanzia, lo colloca in luogo sicuro sino a quando si possa provvedere in modo definitivo alla sua protezione (art.403 c.c.).

 Il 403 va soppresso: è così vago e passibile di interpretazioni che difficilmente i genitori e il bambino possono sostenere verità diverse da quanto affermano i servizi sociali. Manca proprio dal punto di vista procedurale questa possibilità.

Di questa prima fase, la più drammatica, resta traccia? Dei primi incontri tra operatori e famiglia non sono previsti video e nemmeno uno straccio di verbalizzazione. Se io non ho acceso il registratore in tasca (come il padre che avete intervistato giorni fa a Bibbiano e che per questo si è salvato), come dimostro se ho ragione io rispetto al racconto dell’assistente sociale? Non parlo necessariamente di dolo, anche l’operatore bravo si può sbagliare, aver preso appunti male, scambiare una pratica con un’altra, succede. Allora la cosa più civile è applicare ciò che già la Carta di Noto (7 luglio 2002) prevede, che ci siano video, audio e verbalizzazioni di tutti gli incontri: quando ci si lascia si firma il verbale, così nessuno può aver capito male, è a tutela di tutti, anche degli operatori. Accade nelle riunioni condominiali, e non in un contesto così delicato?

www.altalex.com/documents/news/2010/04/08/carta-di-noto-strumento-per-operatori-nel-campo-dell-abuso-sessuale-ai-minori

Altra falla: com’è possibile che i genitori siano assolti ma i figli vadano lo stesso in adozione, come nel caso noto di Angela Lucanto? Non può essere che ci siano tempi incoerenti tra il processo civile, che si occupa della parte dell’affidamento del minore, e il processo penale, che riguarda gli adulti e i presunti abusi intrafamiliari. Alla fine il bimbo resta fuori famiglia per anni, è devastante. Occorre trovare una modalità perché intanto continui ad avere un contatto con la famiglia, con nonni, zii, anche con i genitori sotto accusa, a meno che non sia il bambino a non volerlo. La domanda che dobbiamo farci è: è interesse del minore rimanere completamente lontano dalla sua famiglia? Se avrà il suo avvocato, sarà lui a stabilirlo. Badi bene che, nel caso il bambino non voglia vedere i genitori, è importante capire perché: perché è abusato? O perché è alienato? Plagiato? In stress post traumatico, proprio da allontanamento? Nella Bassa Modenese i piccoli subirono tali trattamenti da psicologi e assistenti sociali che si convinsero di aver ucciso decine di bambini e tuttora, da adulti, ne sono convinti.

Altra riforma urgente? Gli allontanamenti: nella Bassa successe che un presunto padre abusatore era stato arrestato, non c’era più, in casa restavano la mamma e i fratelli della bimba ‘abusata’ (Margherita). Perché allora portarla via? Desaparecida per sempre. Persino un adulto, se è colto in fragranza di reato, per sua tutela ha diritto a un processo per direttissima entro 48 ore, perché invece la bimba, che è la vittima, resta sequestrata a tempo indeterminato? Il piccolo, innocente, vede le forze dell’ordine entrare in classe e venire proprio da lui, per un bimbo è la discesa dei marziani, è condotto in una struttura sconosciuta, perde tutti i suoi riferimenti, i giocattoli, gli amici. Poi ci vengono a dire che ha sintomi di malessere?

L’Italia è continuamente condannata dagli organismi internazionali, è possibile che ciò accada in uno stato di diritto? Il padre di Margherita alla fine fu assolto, ma lei fu data in adozione e ancora oggi che è adulta rifiuta di rivedere la famiglia. Perché non accada più non ci si può affidare al buon senso dei singoli, va disciplinato.

Una volta soppresso l’articolo 403, risalente al 1941, cosa cambierebbe? La famiglia avrebbe la possibilità di difendersi: oggi se un operatore entra in casa e porta via un figlio, i genitori non sono nessuno, non hanno diritto di contraddittorio, devono solo subire. Ma nel nostro ordinamento non esistono i provvedimenti ‘inaudita altera parte’, cioè con una parte che non può parlare, in qualsiasi contenzioso penale o civile ci si può sempre difendere, lo dice l’articolo 111 della Costituzione.

Dopo 20 anni lei è sempre convinta dell’innocenza dei suoi assistiti, persino di quelli che furono condannati. Condannati sulla base delle relazioni di quei servizi sociali e psicologi, parte dei quali oggi sono indagati a Reggio Emilia. Quei genitori furono ‘presunti colpevoli’, anziché presunti innocenti come prevede il nostro ordinamento, dovevano loro trovare le prove di essere innocenti. Prove della colpevolezza non esistevano, erano condannati sulla base di perizie psicologiche fatte dalla onlus ‘Hansel e Gretel’ oggi indagata.

La grande notizia però è che il procuratore capo di Modena Paolo Giovagnoli ha appena annunciato la riapertura delle indagini sulla Bassa Modenese: riesaminerà le carte e i video di allora, verificherà tutti i legami tra i due casi, così come richiesto mesi fa dall’ex senatore Carlo Giovanardi in un esposto.

La prescrizione? Non inizia a decorrere fin tanto che il reato persiste, e molte situazioni sono ancora in corso, inoltre le famiglie porteranno molti nuovi elementi. Io intanto ho già ottenuto la revisione di uno dei processi, il 10 ottobre 2019 avremo la prima udienza, poi procederò con gli altri, e questa volta si parlerà anche di omicidi: tra infarti e suicidi, sei persone ci hanno rimesso la vita.

www.avvenire.it/attualita/pagine/bibbiano-diventi-unoccasione

 

«Bibbiano? Ora l’avvocato del minore e nuove norme sugli affidi»

L’appello dell’autorità: «bisogna garantire i principi del giusto processo» e ora valuta l’eventuale costituzione di parte civile sui fatti di Bibbiano

L’avvocato del minore, un sistema informativo nazionale sui minorenni privi di un ambiente familiare, garanzia del contraddittorio e norme più precise per i procedimenti relativi all’affido.

Il documento del Garante. Sono solo alcune delle segnalazioni fatte dalla Garante per l’Infanzia e l’adolescenza Filomena Albano, che in un documento di 10 pagine indirizzato a Parlamento, Governo, Regioni, Comuni, magistratura, avvocati, assistenti sociali, psicologi e giornalisti ha fissato alcuni paletti per la riorganizzazione del sistema infanzia, anche a seguito dei fatti di cronaca di Bibbiano, sui quali la Garante valuta un’eventuale costituzione di parte civile.

Un documento con il quale Albano cerca una strada per garantire al sistema di tutela più uomini e risorse e prevenire, così, nuovi casi. «Non posso dire che queste raccomandazioni si potranno impedire con certezza nuovi episodi – ha chiarito – ma ovviamente mi auguro di sì».

Insomma, il punto di partenza non può che essere mettere mano alla materia e approdare una riforma, così come nelle intenzioni del ministro della Disabilità e della famiglia, Alessandra Locatelli, e di quello della Giustizia, Alfonso Bonafede.

L’avvocato del minore. Il nocciolo centrale della proposta che Locatelli consegnerà a Bonafede – che domani inaugura la “task force” del ministero sui fatti di Bibbiano – riguarda la proposta avanzata dal presidente del Consiglio nazionale forense, Andrea Mascherin, di prevedere un rafforzamento dell’istituto dell’avvocato del minore, figura attualmente prevista dalla legge 149/2001, che modificava la norma precedente sul regime delle adozioni, ma la cui portata non è stata adeguatamente recepita.

E anche Albano, ora, suggerisce al Parlamento un intervento per normare, tra le altre cose, questa figura, ma anche per garantire più controlli sui minori fuori dalle loro famiglie.

Per la Garante è necessario intervenire nei vari aspetti del procedimento, disciplinando la fase di indagine del PM e assicurando il contraddittorio tra le parti, ma anche l’impugnabilità dei provvedimenti, chiedendo termini certi e celeri, la trasparenza nell’individuazione della famiglia affidataria o della struttura di accoglienza e l’introduzione di un regime di incompatibilità per i magistrati onorari.

Quello che manca, inoltre, è una banca dati nazionale dei ragazzi fuori famiglia, tale da consentire di monitorare il numero e le caratteristiche degli interessati, le tipologie, i tempi e le modalità di uscita del percorso di accoglienza.

Affrontare il problema nella sua complessità. «Il documento vuol rispondere all’esigenza di dare uno sguardo complessivo – ha spiegato Albano – Parlare di volta in volta solo di un aspetto della tutela, come ad esempio solo di comunità o di affidi oppure di allontanamento o, ancora, parlare solo di talune figure come psicologi, assistenti sociali o magistrati, rischia di dare una visione parziale che potrebbe rivelarsi controproducente. Questa considerazione è all’origine dell’attività, posta in essere dall’Autorità, di studio e approfondimento dell’intero sistema nell’ottica del suo miglioramento».

Punto di partenza della proposta sono i principi della Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. «Occorre garantire tutti i diritti previsti dalla Convenzione: quello a crescere nella famiglia di origine e quello a essere protetti da ogni forma di violenza – ha evidenziato – In tutti quei casi in cui tali diritti appaiono risultare in conflitto l’equilibrio deve essere dato da procedure chiare, trasparenti e uniformi».

Impegni precisi. La Garante ha chiesto impegni precisi al legislatore, a partire all’individuazione dei livelli essenziali delle prestazioni, ma anche un intervento sul rito del procedimento in materia di responsabilità genitoriale, per adeguarlo ai principi del giusto processo.

A partire dal rafforzamento della funzione di filtro della fase d’indagine del PM minorile, per evitare processi ingiustificati e il diritto alla difesa tecnica dei genitori, anche con la nomina obbligatoria di un difensore d’ufficio in caso in cui manchi quello di fiducia, tempistiche certe e adeguate, anche per il contraddittorio differito, nei casi di provvedimenti di allontanamento adottati d’urgenza.

Ma è necessario anche che la decisione sia adeguatamente motivata e circostanziata. I ragazzi, inoltre, devono essere informati delle decisioni che li riguardano, ascoltati e resi partecipi, salvaguardando la funzione pubblica della tutela minorile e garantendo una immediata “presa in carico” delle famiglie in difficoltà per promuovere la genitorialità e prevenire gli allontanamenti.

Ma tutto ciò passa anche attraverso un potenziamento delle piante organiche degli uffici giudiziari. L’Autorità ha chiesto infine «che venga attribuita una maggiore incisività alle sue azioni e ne sia potenziata la struttura, a oggi costituita da solo personale in comando da altre amministrazioni».

https://ildubbio.news/ildubbio/2019/07/31/bibbiano-ora-lavvocato-del-minore-e-nuove-norme-sugli-affidi

 

Milano. Mancano famiglie affidatarie e i minori finiscono in comunità.

Nel 2018 nel capoluogo lombardo risultano 311 minori e ragazzi in affidamento e 647 collocati in strutture. Solo 43 in adozione.

Mentre l’inchiesta di Bibbiano è ancora sulla bocca di tutti, un dato interessante emerge dai dati dell’assessorato alle Politiche sociali del Comune di Milano. In primis quello per cui le famiglie disposte ad accogliere bambini e adolescenti posti in affidamento in seguito a difficoltà famigliari sarebbero meno di quelle necessarie. E così 30 minorenni ogni anno rimangono senza una famiglia affidataria, venendo trasferiti in comunità.

Nel 2018 nel capoluogo lombardo risultano, tra i 1001 collocati fuori dalla famiglia naturale in base a disposizioni del Tribunale dei minorenni, 311 bambini e adolescenti (anche al di sopra dei 18 anni, nel 10,6% dei casi) in affido familiare. Di questi, 49 sono ospitati da parenti. La loro età? Detto dei maggiorenni, solo l’11,2% ha meno di cinque anni, mentre il 78,2% si colloca nella fascia tra i sei e i 18 anni.

Per contro, rispetto a questi dati, risultano 647 bambini e ragazzi collocati in comunità e solo 43 dati in adozione. Ma a cosa è dovuta questa “mancanza” di famiglie affidatarie?

“Nessuno mette in dubbio la veridicità di questo assunto – commenta Cristina Riccardi, vicepresidente di Ai.Bi. – Amici dei Bambini – ma riteniamo anche necessario porci una domanda, rispetto al lavoro svolto: perché non vengono contattate tutte le associazioni familiari presenti sul territorio? All’interno del tavolo cittadino affido è stato proposto un sistema di accreditamento delle associazioni con cui il Comune potrebbe allargare il numero di collaborazioni e quindi avere a disposizioni più famiglie affidatarie che, a loro volta, sarebbero rassicurate da tale accreditamento rispetto alla serietà delle associazioni stesse. Ai.Bi. ha appoggiato questa proposta. Estendendo gli orizzonti di collaborazione questi numeri potrebbero forse presentarsi in maniera differente

AiBinews        31 luglio 2019

www.aibi.it/ita/milano-mancano-famiglie-affidatarie-e-i-minori-finiscono-in-comunita-riccardi-ai-bi-si-contattino-le-associazioni-familiari

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CENTRO INTERNAZIONALE STUDI FAMIGLIA

Newsletter CISF – n. 30, 31 luglio 2019

Un consiglio per una lettura estiva interessante, da un mondo troppo spesso dimenticato. La luce della jnestra. Riflessi di umanità dal carcere (editore Ancora, 2019), intensa corrispondenza tra Carmelo Guidotto, detenuto a vita (“fine pena mai”) e Carmela Cosentino, assistente sociale ormai in pensione, ma tuttora impegnata in attività di accompagnamento, accoglienza e prossimità agli ultimi. Un libro che ti prende piano piano, pagina per pagina, mentre si approfondisce una relazione di fiducia e di amicizia tra due persone tanto diverse per storia, condizione di vita e opportunità, ma anche tanto simili nella radicale domanda di senso e di gusto della vita, e nella irriducibile voglia di “restare umani”, o, come dice spesso Carmelo Guidotto, di “riuscire a vedere sempre il bicchiere mezzo pieno”. Un libro sulla speranza, sulla resilienza (anche senza nominarla) e sulla possibilità dell’incontro vero tra persone. Ma soprattutto, sorprendentemente, un libro che ti fa innamorare dei libri. Vale la pena di leggerlo: magari gustandolo a piccoli sorsi, un paio di lettere per volta, anche sotto l’ombrellone Non ve ne pentirete. (F.Belletti).

www.sanpaolostore.it/luce-della-jnestra-riflessi-di-umanita-dal-carcere-carmela-cosentino-9788851420444.aspx?Referral=newsletter_cisf_20190731

Genitori e disabilità. Imparare ad essere genitori: mission impossible? Una riflessione del direttore Cisf (F.Belletti) sull’esperienza della genitoralità con figli disabili, pubblicato sul notiziario dell’istituto La Nostra Famiglia di Bosisio Parini – LC (LNF – Notiziario di informazione, n. 2, aprile-giugno 2019, pp. 46-47). “[…] due qualità vanno sostenute, nei genitori che sono sfidati dalla disabilità del proprio figlio: in primo luogo stabilità: serve esserci, esserci in modo affidabile, restare nella relazione ben oltre le proprie voglie e i propri sentimenti. Quindi serve una genitorialità (una struttura della personalità, si potrebbe anche dire) duratura, che mantiene quello che promette, servono padri e madri che riescono a “so-stare” con il proprio figlio. Il contrario del “sto con te finché durano i sentimenti”.

La seconda qualità è, paradossalmente, la consapevolezza di non essere onnipotenti, di poter sbagliare, di avere di fronte montagne che non puoi scalare da solo, ma anche la capacità di riconoscere questa “mancanza”, e quindi saper chiedere aiuto, senza scandali, ma anche senza scarico di responsabilità. Insomma, persone solide, affidabili, ma umili e capaci di chiedere aiuto. Però, se chiedono aiuto, qualcuno deve esserci, lì, a farsi prossimo, ad accogliere le loro richieste, senza giudicarli, ma soprattutto senza abbandonarli”

http://newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/attachments/newscisf3019_allegato1.pdf

Migrazioni – speciale. Prosegue, nella Newsletter, la pubblicazione di notizie sul tema delle migrazioni a livello nazionale e globale, ormai costantemente all’attenzione dell’opinione pubblica, per costruire un pensiero riflessivo. In preparazione della prossima 65.a Conferenza ICCFR – CISF, Roma, 14-17 novembre 2019 (e con costanti aggiornamenti su programma ed eventi collegati): “famiglie e minori rifugiati e migranti. Proteggere la vita familiare nelle difficoltà”.

http://newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/attachments/newscisf3019_iccfr1.pdf

Profuce: Promoting Foster Care for Unaccompanied Children in Europe (Promuovere l’affidamento familiare per minori non accompagnati in Europa). Per affrontare il fenomeno dei minori stranieri arrivati in Europa da soli serve potenziare lo strumento dell’affidamento familiare. È ciò che si prefigge di fare Profuce, il progetto che intende coinvolgere un numero sempre maggiore di famiglie affidatarie e dare nuovi strumenti a genitori e operatori sociali.

https://profuce.eu/wp-content/uploads/2018/10/ALFACA-Manual-Italian.pdf

Il progetto è finanziato dalla Commissione europea. L’Istituto degli Innocenti è ente capofila per l’Italia che partecipa all’azione anche con il Comune di Firenze e il Villaggio Sos di Vicenza Onlus, che affiancano altri enti in Grecia e in Bulgaria.                                      www.istitutodeglinnocenti.it

Profuce si articola su campagne di reclutamento di famiglie affidatarie (per un totale previsto di 280 genitori coinvolti) e percorsi di formazione di professionisti del sociale e delle famiglie. In particolare il percorso di formazione utilizza il metodo “Alternative Family Care” (ALFACA), sviluppato da Nidos, una ong olandese che richiede attenzione alle differenze culturali, che devono essere valorizzate, ai problemi psicologici, alla promozione degli interessi dei minori. Secondo questa tecnica acquistano importanza alcuni aspetti antropologici come ad esempio il legame forte con la propria famiglia di origine e con il proprio Paese.

https://profuce.eu/wp-content/uploads/2018/10/ALFACA-Manual-Italian.pdf

UE. Dati essenziali a livello europeo sui servizi di istruzione, cura e formazione per la prima infanzia (Key Data on Early Childhood Education and Care (ECEC) Education and Training in Europe). 2019 Edition Eurydice/EACEA (Education, Audiovisual and Culture Executive Agency) Report. Ricco rapporto sulla situazione dei sistemi di cura per la prima infanzia in 38 Paesi europei, articolato su cinque dimensioni di qualità: governance, accessibilità, personale, linee guida educative e sistemi di valutazione e monitoraggio. Dai dati emerge che c’è ancora molto da fare

https://eacea.ec.europa.eu/national-policies/eurydice/sites/eurydice/files/kd_ecec_2019_report_en_0.pdf

Le politiche per la famiglia a livello regionale. Rapporto di monitoraggio dell’Istituto degli Innocenti – 2019. “Il Dipartimento per le politiche della famiglia della Presidenza del Consiglio dei Ministri ha lavorato, nell’ultimo decennio, nella direzione di promuovere e attuare, in sinergia con le Regioni e le Province autonome, politiche a favore delle famiglie e dell’infanzia che, nel corso del tempo, sono state oggetto di attento monitoraggio”.  I dati contenuti in queste quasi cento pagine consentono di entrare nel merito delle diverse policies attuate, con un prezioso dettaglio a livello regionale.

http://www.lombardiasociale.it/wp-content/uploads/2019/05/Rapporto_monitoraggio_regioni.pdf

Nelle schede di indagine per il monitoraggio si citano nell’area “attività a favore delle famiglie e delle responsabilità genitoriali”:

  • Sportello di ascolto, consulenza e supporto psico-pedagogico per le famiglie;
  • Interventi e percorsi formativo/laboratoriali di empowerment e/o supporto alla genitorialità;
  • Servizi di counselling e di mediazione familiare;
  • Servizi in formativi e azioni specifiche a favore delle famiglie immigrate.
  • Centri per le famiglie

 I consultori familiari non vengono citati (sono considerate come servizi esclusivamente sanitari?) Ndr}

Facciamo festival. Da giovedì 5 a domenica 8 settembre a Carrara torna con-vivere, il Festival organizzato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Carrara sotto la direzione scientifica di Remo Bodei, che quest’anno si occuperà di Formazione. Quasi 90 appuntamenti fra lezioni magistrali, mostre, concerti, spettacoli, menu a tema, film e spazio bambini per mettere a fuoco questioni, modelli, parole chiave e capire cosa vuol dire oggi educare, istruire, formare.

Nuove GenerAzioni. Meeting del Volontariato 2019 si tiene dal 14 al 22 settembre a Bari. L’edizione di quest’anno “Nuove GenerAzioni” è incentrata sui giovani e sulla loro capacità di portare sguardi nuovi sul presente. Diamo la parola ai giovani, ascoltiamo aspirazioni e sogni, disveliamo attraverso i vostri racconti che è possibile tramutare questa smania in impegno quotidiano, in azioni di cittadinanza attiva, per migliorare le piccole e grandi realtà nelle quali viviamo”.

Specializzarsi per la famiglia. “Affido, adozione e nuove sfide dell’accoglienza familiare: aspetti clinici, sociali e giuridici”. Master biennale di II livello (Executive) presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore. “Il Master è promosso dal Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia in collaborazione con l’Alta Scuola di Psicologia A. Gemelli e l’Istituto degli Innocenti di Firenze con le facoltà di Psicologia, Scienze politiche e sociali e Giurisprudenza. E’ stata fatta richiesta al Coordinamento Nazionale Servizi Affido e alla Commissione Adozioni Internazionali per il patrocinio, già conferito in tutte le precedenti edizioni. Il Master ha già ottenuto riconoscimento dei crediti formativi per gli avvocati e dal CROAS dei crediti formativi per la formazione continua degli Assistenti Sociali; la frequenza al Master esonera gli psicologi dall’acquisizione di altri ECM negli anni di svolgimento dei corsi”. Iscrizioni entro il 20 dicembre 2019

https://asag.unicatt.it/asag-master-affido-adozione-e-nuove-sfide-dell-accoglienza-familiare-aspetti-clinici-sociali

Save The Date

  • Nord Il diritto di essere uccisi: verso la morte del diritto? organizzato da Centro Culturale Francescano Rosetum, ESSERCI, Associazione Nonni 2.0, Alleanza Cattolica e Centro Studi Livatino, Milano, 12 settembre 2019.

www.nonniduepuntozero.eu/wp-content/uploads/2019/07/12_settembre-LOCANDINA.jpg.pdf

  • Nord Bioetica, educazione e scuola. Conoscere per educare, organizzato da Scienza & Vita Bassa Reggiana, seminario di aggiornamento (riconosciuto) rivolto ai docenti di tutte le discipline delle scuole di ogni ordine e grado sul tema, Correggio (RE), 14 settembre 2019.

http://newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/attachments/newscisf3019_allegato2.jpg

  • Centro L’invecchiamento: sfide e opportunità per la società di domani, convegno nazionale promosso da UNEBA (Unione Nazionale Istituzioni E Iniziative Di Assistenza Sociale), SPI (Scuola di psicoterapia integrata), Fondazione don Gnocchi e Scuola superiore di Scienza dell’Educazione San Giovanni Bosco di Firenze, Rimini, 25-26 settembre 2019.

https://drive.google.com/file/d/1kMN2pMa_nSulOqgCros9eqx6bsJWhB2i/view

  • Sud Lo stato dei sentimenti e la risposta emozionale nel processo di distacco (accompagnare il fine vita), intervento formativo (crediti formativi per assistenti sociali), promosso dall’Associazione Aurora e patrocinato dall’Associazione Oltre l’Orizzonte Onlus, Salerno, 13 ottobre 2019.

www.cnoas.it/cgi-bin/cnoas/vfale.cgi?i=DDFDIDZZBCCDRDSZKRPIDV&t=brochure&e=.pdf

  • Estero Approaches to Migration, Language and Identity (AMLI2019): Practices, Ideologies and Policies now and then (Approcci alla migrazione, linguaggio, e identità: pratiche, ideologie e politiche, adesso e in futuro), convegno promosso da AMLI 2 and 3rd InZentIM (Interdisciplinary Center for Integration and Migration Research, University of Duisburg-Essen), Essen (Germania), 19-21 settembre 2019.                                                                                                   www.amli2019.de

Iscrizione                  http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/newsletter-cisf.aspx

Archivio        http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/elenco-newsletter-cisf.aspx

                                                      newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/luglio2019/5135/index.html

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CENTRO ITALIANO DI SESSUOLOGIA

Patrocinio. Insieme per una fertilità migliore.

1° congresso Siru Emilia Romagna – Bologna        14 settembre 2019     ore 08:30 – 18:00

Bologna, I portici Hotel, Via dell’Indipendenza, 69 – Ingresso Libero

Il primo Congresso della Società Italiana della Riproduzione Umana (SIRU) – Sezione Emilia Romagna coinvolge, in un contesto multidisciplinare, tutte le competenze che intervengono nel processo riproduttivo umano, con uno sguardo attento e partecipe alle dinamiche sociali, ambientali e antropologiche, dando rilevanza all’umanizzazione delle procedure diagnostiche e terapeutiche dell’infertilità. Il Congresso favorirà, dunque, il confronto tra le diverse professionalità della Medicina della Riproduzione, nella fattispecie tra andrologi, biologi, embriologi clinici, genetisti, ginecologi, oncologi, psicologi- focalizzando l’attenzione sulla realtà del territorio della regione Emilia Romagna con l’obiettivo di implementare un percorso virtuoso ed evolutivo della pratica della medicina e biologia della riproduzione.

Il dialogo tra i vari specialisti e le diverse varie competenze è cruciale per delineare un percorso univoco e condiviso e costantemente aggiornato sulla base dell’evidenza scientifica; punto nodale per favorire un’assistenza sanitaria qualificata a salvaguardia della fertilità ed una corretta gestione delle patologie che possono interferire sulla sfera riproduttiva. In linea con la missione societaria SIRU, volta alla realizzazione di un ponte tra la scienza e la persona, questo evento formativo pone l’accento sull’importanza della prevenzione in tema di infertilità e sviscera i punti nodali della procreazione medicalmente assistita con l’obiettivo di porre la persona al centro del sistema di prevenzione e cura della salute riproduttiva.

Programma                                                         www.pmaumanizzata.com

www.cisonline.net/wp-content/uploads/2019/08/Programma-SIRU-ER-14.9.19_compressed.pdf

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CHIESA CATTOLICA

Nessuna epurazione al Pontificio Istituto “Giovanni Paolo II”

Dopo le polemiche seguite al rinnovamento della realtà accademica deciso dal motu proprio di Francesco ‘Summa familiae cura’, ecco come stanno realmente le cose e quali gli obiettivi del percorso.

Nessuna epurazione, nessuna volontà di cancellare quanto costruito da papa Wojtyla, nessuna strategia per mettere all’angolo la teologia morale e rimpiazzarla con una confusa sociologia postmodernista. Le voci rimbalzate in questi giorni tra il ‘bar sport’ dei social e qualche media non si sa quanto capzioso o quanto disinformato, hanno tentato di dipingere l’operazione di rinnovamento del Pontificio istituto teologico ‘Giovanni Paolo II’, sollecitata da papa Francesco con il Motu proprio Summa familiæ cura (8 settembre 2017) come una strategia per annacquare gli studi di alta specializzazione sulla famiglia.

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/motu_proprio/documents/papa-francesco-motu-proprio_20170908_summa-familiae-cura.html

Quanto c’è di vero in questa vulgata? Proprio nulla. La gran parte dei docenti che già insegnavano al preesistente ‘Giovanni Paolo II’ saranno coinvolti nel nuovo. Come previsto dagli statuti, nei giorni scorsi sono state inviate le lettere con cui si annunciava – come esplicitato nel Motu proprio – la cessazione delle attività e quindi, a norma di diritto canonico, la decadenza dei ruoli. Ma in questi giorni stanno partendo altrettante missive per gli incarichi che riguarderanno quasi tutti i docenti. E altri se ne aggiungeranno.

            Gli unici due casi di mancata conferma di professori ordinari si riferiscono a situazioni oggettivamente non più sostenibili. La prima riguarda padre José Noriega Bastos che, in quanto superiore generale dell’Istituto Religioso “Discípulos de los Corazones de Jesús y María”, non può essere allo stesso tempo ordinario di una cattedra in un istituto pontificio. Le indicazioni di Veritatis gaudium (n. 29) e del canone 152 del Codice di diritto canonico parlano chiaro. Un vescovo, un superiore generale, ma neppure un parroco possono allo stesso tempo essere nominati ordinari. Ecco perché padre Noriega è automaticamente decaduto dall’incarico.

            Il secondo caso riguarda don Livio Melina, tra i fondatori di Cl nel Veneto, già preside dell’Istituto e docente di teologia morale fondamentale. Il mancato rinnovo dipende dal fatto che la cattedra è stata sdoppiata «nel duplice insegnamento di Morale del matrimonio e della famiglia e di Etica teologica della vita», come spiega in un comunicato il ‘Giovanni Paolo II’. Quindi teologia morale sì, ma ‘del matrimonio e della famiglia’. Come non si studierà più genericamente teologia sacramentaria, ma teologia sacramentaria del matrimonio e della famiglia. E con la stessa specializzazione familiare, coerente con il nuovo ordinamento di un istituto pontificio che, a differenza di prima, potrà concedere jure proprio, titoli accademici, saranno modellati gli altri insegnamenti teologici, finalizzati cioè a illuminare «gli avvenimenti della storia, attraverso i quali la Chiesa può essere guidata ad una intelligenza più profonda dell’inesauribile mistero del matrimonio e della famiglia», come scriveva Giovanni Paolo II in Familiaris consortio.

            E, a proposito di san Giovanni Paolo II e della cattedra a lui intitolata, non ci sarà alcun ‘licenziamento’ per il professor Stanislaw Grygiel, allievo del papa polacco e poi suo amico e consigliere. Nonostante i suoi 85 anni, proprio in virtù della memoria storica rappresentata, continuerà ad essere responsabile della cattedra intitolata a Karol Wojtyla. In realtà, d’ora in poi il criterio della scelta attraverso concorsi come previsto dagli Statuti – al di là delle urgenze per questo nuovo inizio – permetterà di puntare alla più alta qualità dei docenti.

            Del tutto fuorvianti anche le voci riguardanti i problemi per gli studenti che non potranno terminare gli studi. Basta leggere l’articolo 89 degli Statuti: tutti gli studenti «iscritti ai corsi di studio dell’Istituto, con l’approvazione degli statuti e dell’ordinamento degli studi, potranno scegliere di proseguire il percorso formativo in esso previsto, ovvero procedere con il passaggio al nuovo ordinamento». Quindi, anche in questo caso, tanto rumore per nulla.

            Ora, questo quadro ineccepibile dal punto di vista delle regole canoniche e del nuovo piano di studi, esaurisce i motivi che hanno sollecitato il rinnovamento del ‘Giovanni Paolo II’? Probabilmente no. Nessuno può dimenticare che nell’intensa stagione sinodale e poi anche nei mesi successivi alla pubblicazione di Amoris lætitia, alcuni rappresentanti di vertice dell’istituto insieme ad alcuni docenti si sono affannati con pubblicazioni, dichiarazioni, interventi a convegni e conferenze, a minimizzare la portata della svolta voluta da papa Francesco.

            Tante le sottolineature critiche sul lavoro del doppio Sinodo e anche sui contenuti dell’Esortazione postsinodale. Attacchi tanto più spiacevoli perché provenienti dal cuore di quell’istituto che avrebbe dovuto rappresentare, nell’ambito della formazione specialistica ai massimi livelli, uno dei motori del rinnovamento, non l’organizzatore di una sorta di fronda. Chi si fregia del titolo di ‘pontificio’, e si assume onori e onori relativi – con conseguente stipendio – non dovrebbe poi comportarsi coerentemente con le proprie scelte?

            Ma su questo punto sia l’arcivescovo Vincenzo Paglia, gran cancelliere del ‘Giovanni Paolo II’, sia il preside monsignor Pierangelo Sequeri preferiscono mettere da parte le polemiche personali e sottolineare invece la continuità dell’ispirazione che amplia l’orizzonte di ricerca per poter ridare forza alla famiglia nella sua missione e vocazione nel mondo di oggi.

Luciano Moia Avvenire 30 luglio 2019

www.avvenire.it/chiesa/pagine/giovanni-paolo-ii-nessuna-epurazione

 

Avanzamento ecclesiale e turbamenti delle teologie di corte: 10 idee sull’Istituto Giovanni Paolo II

Non vorrei entrare nei singoli aspetti che caratterizzano le polemiche sorte intorno all’Istituto accademico che negli ultimi 40 anni si è occupato, come nessun altro, dei temi del matrimonio e della famiglia. Ne ha fornito una ottima lettura Luciano Moia, sull’Avvenire di oggi, 2 agosto, rispondendo ad una lettera firmata da alcuni professori dell’Istituto. Mi sembra interessante osservare una serie di paradossi, che talvolta segnano la vita della Chiesa e la portano ad una evoluzione inaspettata ma provvidenziale. Tali paradossi riguardano la vita della chiesa in rapporto al ministero dei teologi. Li presento in successione, quasi come aforismi in sequenza.

  1. Lo sviluppo di una “teologia del matrimonio e della famiglia” ha subito, nel corso degli ultimi 40 anni, molte forme di pressione: prima fra tutte è stata l’idea, non nuova, di “difendere la famiglia dal nuovo mondo che la modernità stava edificando”. Un pensiero “antimodernistico” sulla famiglia e sul matrimonio riprendeva fiato, dopo essere stato un cavallo di battaglia dal 1880 al 1931, poi fino al Concilio Vaticano II, e poi di nuovo a partire da “Familiaris Consortio”, nel 1981, con la fondazione nello stesso anno dell’Istituto “Giovanni Paolo II”.
  2. Questo Istituto ha formato molte centinaia di pastori e di professori, sulla base di una lettura fondamentalistica e integralistica della tradizione matrimoniale e familiare. Salvo rarissime eccezioni, è sempre rimasto all’interno di una lettura “antimoderna” della tradizione, alimentata dai fantasmi della lotta frontale alla cultura liberale e alla “dissoluzione della famiglia” che essa vorrebbe realizzare, in ragione del suo individualismo.
  3. Si è sviluppata, così, una cultura accademica cattolica sulla famiglia e sul matrimonio che ha progressivamente assunto la figura di una “ideologia”, incapace di leggere lo sviluppo sociale, culturale, civile se non con i paradigmi ottocenteschi della “illegittimità”, della “incompetenza” e della “minaccia” per la tradizione.
  4. Questa cultura accademica ha rigenerato se stessa per due generazioni, arrivando fino al duplice Sinodo sulla famiglia, del 2014 e 2015, al cui interno non ha potuto più esercitare il suo “potere di veto” con cui aveva di fatto paralizzato la riflessione teologica all’interno della ufficialità cattolica, per quasi 40 anni. Ricorrendo spesso ai metodi più per far tacere tutti coloro che volevano continuare a ragionare e non accettavano di ripetere slogan ideologici.
  5. Era inevitabile, che dopo i due Sinodi e la pubblicazione di “Amoris Lætitia” i detrattori di questa nuova fase, che vedevano ogni sviluppo come “corruzione”, “perversione” o “errore” fossero costretti alla ritirata. Non avendo argomenti, hanno usato il potere finanziario o la intimidazione per cercare di far valere ancora le loro ideologie.
  6. Una intera “teologia di corte” si era creata intorno al matrimonio e alla famiglia. Una teologia che non serviva la Chiesa, ma solo se stessa. Una teologia immobile, bloccata, impaurita dalle nuove forme di vita, preoccupata soltanto di scomunicare ogni espressione di intelligenza della fede che non procedesse in modo rigido, aprioristico e definitorio. E che non creasse sulla “materia familiare” (dalla sessualità alla convivenza) una serie di barriere, di divieti, di blocchi, di ostacoli.
  7. Ma la esperienza ecclesiale di matrimonio e di famiglia ha camminato lo stesso, nonostante questi tentativi, spesso goffi e poco intelligenti, di bloccare, di scomunicare, di escludere. La ricca esperienza naturale e civile di relazione, di convivenza, di generazione ha saputo convincere la tradizione ecclesiale migliore che era giunto il momento di uscire dagli stili e dalle modalità con cui il secolo XIX aveva affrontato e risolto le nuove questioni sulla unione e sulla generazione.
  8. La ricostruzione della svolta sinodale e papale, presentata avventatamente come un “colpo di mano”, tradisce la natura “cortigiana” della teologia elaborata dall’Istituto lungo la sua storia. Non riesce a riconoscere che si tratta piuttosto della “legittima difesa” con cui la sana tradizione reagisce al colpo di mano imposto a partire dagli anni 80 e che ha reso il pensiero ufficiale della Chiesa su matrimonio e famiglia largamente autoreferenziale e altamente infecondo.
  9. La Chiesa non ha bisogno di teologie di corte. Né della corte di Giovanni Paolo II, né di quella di Benedetto XVI, né di quella di Francesco. Al teologo non si addice mai la logica della corte. Anzi, non c’è teologia alcuna finché la forma di vita è quella della corte. La teologia deve essere molto più rispettosa e molto più critica di una corte. Non deve né mormorare di nascosto, né compiacere ostentatamente. Per questo la teologia dell’Istituto è irrimediabilmente tramontata. Non ha onorato la realtà, ma ha idealizzato le cose e le persone, le opere e i giorni. Per questo è diventata non una risorsa ma un problema.
  10. Quando una teologia di corte è lasciata libera di imperversare per 40 anni, non è facile ritrovare credibilità. Va detto che l’Istituto non agiva in regime di monopolio: altre istituzioni hanno potuto elaborare un sapere credibile e argomentato sui temi della famiglia. Ma la rilevanza dell’Istituto è stata comunque grande e forte, anche come influsso sul magistero ecclesiale, centrale e locale. Ora si deve correre ai ripari. Creando una nuova generazione di teologi davvero autorevoli, che non cadano in quelle forme di idealizzazione non equilibrata, che sempre genera mostri.

Andrea Grillo blog: Come se non 2 agosto 2019

www.cittadellaeditrice.com/munera/avanzamento-ecclesiale-e-turbamenti-delle-teologie-di-corte-10-idee-sullistituto-giovanni-paolo-ii

 

In gioco c’è il rapporto tra la chiesa e le realtà terrene.

Le recenti vicende del Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II per le Scienze del matrimonio e della famiglia, con l’approvazione dei nuovi statuti e del nuovo Ordinamento degli studi a seguito della quale alcuni valenti e stimati docenti sono stati rimossi dai rispettivi incarichi, toccano in realtà una questione che va ben oltre le dinamiche di una riorganizzazione che, come tutte le riorganizzazioni, lascia sempre dietro di sé contenti e scontenti.

Qui il punto riguarda primariamente la questione del rapporto tra la chiesa e le realtà terrene: è evidente infatti che da come la chiesa percepisce se stessa e la sua missione nel mondo, discende anche una ben precisa scelta formativa e di indirizzo culturale di seminari, istituti e facoltà teologiche. In tale contesto, può non essere inutile rileggere alcuni passaggi del discorso rivolto da san Giovanni Paolo II ai giovani durante il viaggio in Olanda nel maggio del 1985. L’importanza, oltreché la straordinaria bellezza delle parole pronunciate da Wojtyla in quell’occasione, risiede non tanto e non solo in ciò che il Papa disse, quanto piuttosto nella scelta di una modalità di dialogo con i giovani (e non solo) distante anni luce da un certo modo di intendere oggi il dialogo e più in generale la questione da cui siamo partiti. Tra l’altro, vale la pena ricordare che quello fu un anno molto particolare nel pontificato di Wojtyla, perché risale al 1985 il lancio di quello che sarà il suo vero (e unico, per certi aspetti) programma di governo, ossia la nuova evangelizzazione; ma risale al 1985 anche l’istituzione – e come non scorgere un legame tra i due fatti? – della Giornata mondiale della gioventù, a riprova di quanto il tema giovani fosse centrale nella sua agenda pastorale. Il viaggio in Olanda non fu affatto facile, con contestazioni e polemiche molto dure anche da parte degli stessi giovani, aventi per oggetto in particolare la morale sessuale. Ma proprio perché li amava profondamente, Giovanni Paolo II scelse di instaurare con essi un dialogo, appunto, serio, senza sconti, e anzi rifuggendo la “tentazione di Aronne”, la tentazione cioè di giocare al ribasso dando al popolo ciò che il popolo chiede (che invece è quanto sembra accadere oggi in ampi settori ecclesiali, in primis a causa di una discutibile teologia dell’incarnazione e di una altrettanto discutibile lettura della realtà come di un qualcosa di oltremodo complesso, di problematico, di sempre cangiante e mutevole che in quanto tale sempre necessita di porre le questioni nel loro contesto. Che è un po’ come dire, volendo estremizzare, che quello che ha detto Gesù forse andava bene allora, in e per quel contesto, oggi meno. Il che è ovviamente un’assurdità. Al contrario, e con buona pace di certa narrativa, alla luce della fede tutto è chiaro, limpido, cristallino, essendo sempre lo stesso il cuore dell’uomo da cui – parola di Gesù – nasce ogni male). Non solo dunque san Giovanni Paolo II non si sottrasse, ma se possibile rilanciò.

Con un discorso che resterà una pietra miliare nel suo lunghissimo pontificato, e che riletto ora dà la misura di come, a distanza di pochi decenni, il modo di parlare della chiesa sia profondamente cambiato nella misura in cui oggi anziché elevare le persone alla statura del Vangelo si tende ad abbassare l’asticella del Vangelo alla statura della fede delle persone. Con tutto ciò che ne consegue. Ma sentiamo cosa (e come) disse Wojtyla ai giovani olandesi: “Mi avete fatto sapere che voi considerate spesso la chiesa come un’istituzione che non fa che promulgare regolamenti e leggi. Voi pensate che essa mette molti parapetti nei diversi campi: la sessualità, la struttura ecclesiastica, il posto della donna in seno alla chiesa. E la conclusione a cui giungete è che esiste un profondo iato tra la gioia che promana dalla parola di Cristo e il senso di oppressione che suscita in voi la rigidità della chiesa. Cari amici e amiche, consentitemi di essere molto franco con voi. Io so che parlate in perfetta buona fede. Ma siete proprio sicuri che l’idea che vi fate di Cristo corrisponda pienamente alla realtà della sua persona? Il Vangelo, in verità, ci presenta un Cristo molto esigente, che invita alla radicale conversione del cuore (cf. Mc 1, 5), al distacco dai beni della terra (cf. Mt 6, 1921), al perdono delle offese (cf. Mt 6, 1415), all’amore per i nemici (cf. Mt 5, 44), alla sopportazione paziente dei soprusi (cf. Mt 5, 39-40), e perfino al sacrificio della propria vita per amore del prossimo (cf. Gv 15, 13). In particolare, per quanto concerne la sfera sessuale, è nota la ferma posizione da lui presa in difesa dell’indissolubilità del matrimonio (cf. Mt 19, 3-9) e la condanna pronunciata anche nei confronti del semplice adulterio del cuore (cf. Mt 5, 27- 28). E come non restare impressionati di fronte al precetto di “cavarsi l’occhio” o di “tagliarsi la mano” nel caso che tali membra siano occasione di “scandalo” (cf. Mt 5, 29-30)? Avendo questi precisi riferimenti evangelici, è realistico immaginare un Cristo “permissivo” nel campo della vita matrimoniale, in fatto di aborto, di rapporti sessuali prematrimoniali, extra matrimoniali o omosessuali? Certo, permissiva non è stata la comunità cristiana primitiva, ammaestrata da coloro che avevano conosciuto personalmente il Cristo. Basti qui rimandare ai numerosi passi delle lettere paoline che toccano questa materia (cf. Rm 1, 26 ss; 1 Cor 6, 9; Gal 5, 19). Le parole dell’apostolo non mancano certo di chiarezza e di rigore. E sono parole ispirate dall’alto. Esse restano normative per la chiesa di ogni tempo. Alla luce del Vangelo essa insegna che ciascun uomo ha diritto al rispetto e all’amore. L’uomo conta! Nel suo insegnamento la chiesa non pronuncia mai un giudizio sulle persone concrete. Ma a livello dei principi, essa deve distinguere il bene dal male. Il permissivismo non rende gli uomini felici. Ugualmente la società dei consumi non porta la gioia del cuore. L’essere umano realizza se stesso solo nella misura in cui sa accettare le esigenze che gli provengono dalla sua dignità di essere creato a “immagine e somiglianza di Dio” (Gen 1, 27). Pertanto, se oggi la chiesa dice delle cose che non piacciono, è perché essa sente l’obbligo di farlo. Essa lo fa per dovere di lealtà. Sarebbe in realtà molto più facile tenersi sulle generalità. Ma talvolta essa sente di dovere, in armonia con il Vangelo di Gesù Cristo, mantenere gli ideali nella loro massima apertura, anche a rischio di dover sfidare le opinioni correnti”.

Non credo servano ulteriori commenti. Così parlano i pastori che profumano di Cristo.

Luca Del Pozzo                      “il foglio” 1 agosto 2019

www.ilfoglio.it/chiesa/2019/08/01/news/andare-oltre-il-repulisti-allistituto-giovanni-paolo-ii-267897

 

Dibattito. Nessuna epurazione al Pontificio Istituto «Giovanni Paolo II»

Fa ancora discutere l’annuncio dei vertici del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II secondo cui non saranno rinnovati gli incarichi a due degli ordinari. Le ragioni della decisione al di là degli aspetti imposti dal diritto canonico e dalla prassi accademica.Una lettera a cui Avvenire ha risposto.

Signor direttore, in data 30 luglio 2019, il suo quotidiano pubblicava un articolo di Luciano Moia, relativo ai fatti recentemente accaduti al Pontificio Istituto Teologico “Giovanni Paolo II”, in cui si imputavano ai professori licenziati «attacchi» sleali a papa Francesco, in contraddizione agli onori e agli oneri di un incarico in un istituto pontificio, nonché allo stipendio ivi percepito. In merito rendo noto che a nessuno dei professori licenziati il Gran Cancelliere, monsignor Vincenzo Paglia, ha potuto addurre come motivazione del provvedimento presunti attacchi a papa Francesco. Gli studenti possono confermare il rispetto e la fedeltà dei professori al Magistero della Chiesa e a quello del Pontefice regnante, al quale rinnoviamo filiale rispetto e obbedienza cordiale, come Successore di Pietro. La colpa di cui ci accusa Moia è quella di «minimizzare la portata della svolta voluta da papa Francesco». Soppesata la vaghezza di tale espressione, ci preme sottolineare come l’argomento già appartiene al naturale dibattito in ambito teologico e pastorale, nel quale l’ermeneutica del rinnovamento nella continuità con la Tradizione è criterio, fino ad oggi, mai condannato e mai ritrattato dal Magistero. Questo a doverosa tutela del “buon nome” dei professori vittime del provvedimento e ora anche di calunnia, ma soprattutto a tutela della “libertà dei figli di Dio”. Tra questi rientrano anche i teologi, che non sono solo dottori o scribacchini di corte, banderuole che inseguono i capricci del vento, né tantomeno maître à penser [guida morale o intellettuale] stipendiati per esprimere opinioni di altri; stipendio di cui peraltro ora alcuni sono privati con motivazioni che giudichiamo infondate e gravemente lesive della nostra dignità. Mi permetta infine di far presente che la diffamazione è non solo un grave peccato, contro cui papa Francesco si è più volte scagliato, ma anche un reato penalmente perseguibile. Distinti saluti

Livio Melina firmano anche: José Noriega, Stanislaw Grygiel, Monika Grygiel, Vittorina Marini, Przemyslaw Kwiatkowski, Jaroslaw Kupczak.

La risposta di Avvenire. Sono grato per questa lettera di Livio Melina che alcuni altri professori firmano con lui. Il nostro Direttore me l’ha girata chiedendomi di rispondere e io sono lieto di farlo, perché mi offre la preziosa opportunità di entrare nel merito di quell’operazione finalizzata a «minimizzare la portata della svolta voluta da papa Francesco» sul tema della famiglia di cui ho dato succintamente conto lo scorso 30 luglio e che nella lettera viene negato con qualche veemenza. Ricordo, a beneficio dei lettori, che quella «svolta» non fu la scelta stravagante di un momento o una decisione solitaria, ma il frutto di una lunga stagione sinodale che, tra il 2014 e il 2016, ha coinvolto il popolo di Dio in due consultazioni universali e poi ha visto due Assemblee generali dei vescovi del mondo a cui hanno preso i rappresentanti di tutte le Conferenze episcopali. Due Sinodi sullo stesso argomento a distanza di un anno uno dall’altro, ricordate? Non era mai capitato prima. Forse il segno che papa Francesco ci teneva, almeno un po’.

            La Chiesa universale ha partecipato, sostenuto e approvato quella «svolta» maturata sub Petro e cum Petro e che è sfociata in due Relazioni finali (Sinodo straordinario 2014, Sinodo ordinario 2015) il cui testo per l’87% si ritrova in Amoris lætitia. Anche questo porta a concludere che nell’Esortazione postsinodale del Papa ci sia anche la speranza, la saggezza e l’attesa della Chiesa intera, di quanti – da cattolici – sono in comunione con lui. Ebbene, di fronte a questa gigantesca operazione, indispensabile secondo il Papa per curare le ferite aperte e ridare slancio a famiglia e matrimonio, quale è stata la risposta di alcuni rappresentanti dell’Istituto “Giovanni Paolo II”?

Leggiamo – tra i tanti testi a cui potremmo attingere – “Costruire sulla roccia. Chiavi di lettura dell’esortazione postsinodale Amoris lætitia, in Quale pastorale familiare dopo Amoris lætitia (Cantagalli, 2016). Curatore (ed), Livio Melina. Il testo raccoglie gli atti del seminario di formazione organizzato dallo stesso Istituto il 23 maggio 2016, poco più di un mese dopo la pubblicazione dell’Esortazione che vide la luce il 9 aprile. Quindi un appuntamento per spiegare agli studenti cosa mai fosse questo nuovo testo del magistero pontificio. Ebbene, i saggi presenti sono organizzati per demolire i tanti spunti di originalità presenti in Al. Partiamo dal principio di gradualità che, secondo quanto scrive Melina a pagina 17 dev’essere interpretato «secondo quanto insegnato da Familiaris consortio (n.32) e da Veritatis splendor, che è un’enciclica con intento esplicitamente dottrinale e che quindi ha un rango magisteriale superiore rispetto a una semplice esortazione di natura pastorale». Non si bene da dove nasca la convinzione che la dottrina (la legge) venga prima della pastorale (l’uomo). Non certo dal Vangelo dove si dice che «il sabato è stato fatto per l’uomo, non l’uomo per il sabato» (Mc, 2, 23-28). Ma andiamo avanti. A pagina 19 si affronta il tema della comunione ai divorziati risposati. Secondo Melina da nessuna parte in Amoris lætitia si apre la strada a questa possibilità. Per evitare di cadere in contraddizione ignora di prendere in esame le note 336 e 351 – parte integrante del testo – e conclude: «Pertanto va detto con chiarezza che anche dopo Amoris lætitia, ammettere alla comunione i divorziati “risposati”, al di fuori delle situazioni previste da Familiaris consortio 84 e da Sacramentum caritatis 29, va contro la disciplina della Chiesa e insegnare che è possibile ammettere alla comunione i divorziati “risposati”, al di là di questi criteri, va contro il Magistero della Chiesa».

Ma come? Due Sinodi hanno tracciato una via caritatis per verificare la possibilità di integrare nella vita cristiana anche situazioni “irregolari” attraverso il discernimento ecclesiale. Il Papa ha ribadito nella nota 351 di Al quanto già detto in Evangeli gaudium 47, e che cioè «l’Eucaristia non è premio per i perfetti, ma generoso rimedio e un alimento per i deboli», e si ha il coraggio di definire queste affermazioni come contrarie al Magistero della Chiesa? Un teologo corregge due Sinodi e il Papa?

Prendiamone atto e, tralasciando per ragioni di spazio, altre decine di “revisioni” e di ridimensionamenti della dottrina di Al, passiamo a un altro testo scritto da docenti del “Giovanni Paolo II”. Si tratta di Amoris lætitia, accompagnare, discernere, integrare” (Cantagalli, 2016) scritto da J. Granados, S.Kampowskj, J.J.Perez-Soba. La tesi di fondo è che un testo magisteriale è valido solo se si pone in continuità con il magistero precedente: «Quando in Amoris lætitia, appare un testo ambiguo o discusso, l’unica interpretazione valida è quella che consiste nel leggerlo in continuità con il magistero precedente». Quindi, in Al ci sarebbero passaggi «ambigui e discussi», valutazione non propriamente benevola nei confronti del Papa. E se un testo viene giudicato «ambiguo e discusso» (ma chi sarebbero i giudici di questa operazione?) può essere messo a confronto con il magistero precedente per ridimensionarlo. Bocciato anche il contenuto della nota 351 che è «molto generale». Secondo gli autori «non può essere riferita al caso dei divorziati risposati civilmente, per cui esiste un magistero molto chiaro, che serve da guida per chiarire ogni dubbio» (pagg. 114-115). Quindi, per capirci, il Papa avrebbe inserito una nota al posto sbagliato. Peccato che al paragrafo 305 (in cui la nota è appunto inserita) si parli proprio delle situazioni matrimoniali «irregolari». E, a proposito del magistero precedente che escluderebbe questa possibilità, non si prende neppure in considerazione che quella prospettata da Francesco, piuttosto che una novità nella dottrina, sia un coerente sviluppo della sua comprensione. D’altra parte, come si evince in tutto il testo, ci sarebbe un magistero di serie A (quello precedente) e uno di serie B (quello di Amoris lætitia).

Altro esempio. Questa volta attingo dalla vasta produzione di Stanislaw Grygiel che il 26 maggio 2016 tenta di spiegare a sua volta il significato di Amoris lætitia. Lo fa in un articolo pubblicato sul Foglio, dove attraverso una lunga serie di metafore bibliche vorrebbe far passare l’idea che l’Esortazione postsinodale sia un esperimento fallito vista l’impossibilità di coniugare il discernimento dei casi concreti con il compito della Chiesa di predicare la Verità. Due soli passaggi del ponderoso testo: «Amoris lætitia ci costringe a una profonda riflessione sulla fede, sulla speranza e sull’amore, cioè dono della libertà ricevuto da Dio, poiché essa stessa non porta un chiaro messaggio riguardo al “dono di Dio” che sono la verità, il bene, la libertà e la misericordia». Traduzione: su verità, bene, libertà e misericordia il messaggio di Al non è chiaro e apre la strada ad alcuni «nostri pastori e arcipastori» che, prosegue Grygiel, «propongono una casistica “sì, ma” che prende in considerazione non tanto la coscienza dell’uomo, quando la sua inclinazione al male. Se si dovesse andare avanti così, c’è da aspettarsi che a breve seguirà il caos, in cui le persone soggette all’inclinazione al male andranno in giro per le parrocchie e perfino per le diocesi in cerca dei casuisti più furbi». Ecco, secondo l’anziano docente, dove porterebbe Amoris lætitia. Ce ne sarebbe abbastanza per sostenere le ragioni del riferimento al tentativo di «minimizzare la portata della svolta voluta da papa Francesco». Ma, visto che si parla addirittura di «calunnia» e «diffamazione» per aver scritto di «spiacevoli attacchi», sembra giusto ricordare un altro episodio. Il 3 dicembre 2018, Livio Melina interviene alla presentazione del volume postumo del cardinale Carlo Caffara (“Etica, famiglia e vita 2009-2017”) di cui è il curatore, e tra l’altro osserva: «…il cardinale Carlo Caffarra, che per uno strano destino è morto il 6 settembre 2017, solo un giorno prima dell’uscita del motu proprio con cui il Papa avrebbe fatto cessare l’Istituto “Giovanni Paolo II” che lui aveva visto nascere, quasi a significare che il Signore gli abbia voluto risparmiare di vedere “questa cosa”». Si dovrebbero considerare queste espressioni come una manifestazione di «filiale rispetto e obbedienza cordiale» al successore di Pietro, come scrive monsignor Melina nella sua lettera? La decisione di papa Francesco diventa, con sottolineatura tra il sarcastico e lo spregevole, «questa cosa». E si rende quasi grazie per il fatto che una persona sia morta prima di vedere realizzato l’indirizzo impresso da un Papa? Mi spiace davvero di essere costretto a darne amaramente conto ai lettori di Avvenire.

Luciano Moia “Avvenire”    2 agosto 2019

www.avvenire.it/chiesa/pagine/amoris-laetitia-scelta-matura

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COMMISSIONE ADOZIONI INTERNAZIONALI

CAI pubblica i dati sulle adozioni in corso

Per facilitare una maggiore diffusione dei dati sulle adozioni internazionali e per una sempre più corretta informazione al pubblico, la CAI oltre ad aver richiesto agli Enti autorizzati di pubblicare sui loro siti web i dati riguardanti il numero dei conferimenti pendenti (adozioni in corso) suddiviso per ciascuno dei Paesi in cui l’ente opera, fornisce queste stesse informazioni – in forma aggregata – anche sul proprio sito istituzionale.

  • Procedure pendenti & adozioni per paese

www.commissioneadozioni.it/media/1639/ado_paese_2019_jul.pdf

  • Procedure pendenti e adozioni 2019-2018 divise per Ente

www.commissioneadozioni.it/media/1643/ente-_16_luglio_2019_2.pdf

Notizie                                    26 luglio 2019

www.commissioneadozioni.it/media/1639/ado_paese_2019_jul.pdf

 

Laera fa il punto su Etiopia

A fronte delle reiterate richieste da parte di aspiranti genitori adottivi le cui procedure, da anni, sono state instradate in Etiopia, questa Commissione ritiene doveroso specificare quanto segue. Come è ormai noto in data 09/01/2018, la Repubblica Federale Democratica di Etiopia la approvato una riforma normativa che ha sancito il blocco delle adozioni internazionali. La Commissione, sin da subito ha agito, anche in collaborazione con l’Ambasciata d’Italia ad Addis Abeba, perché potessero essere definite almeno le procedure delle famiglie italiane instradate da anni in Etiopia. Tale priorità fu ribadita anche in occasione dell’incontro ufficiale con le omologhe Autorità etiopi, svoltosi a Roma nelle giornate del 17 e 18 aprile 2018. A seguito di una pressante azione, eseguita anche per via diplomatica, nel 2018 venivano portate a termine in Etiopia 48 procedure di adozione, che avevano già un abbinamento in corso. Le procedure delle altre famiglie risultano solamente “instradate” in Etiopia. Pertanto il loro dossier è stato inviato per la legalizzazione all’Ambasciata di Etiopia in Italia e quindi trasmesso, a cura degli Enti autorizzati, ai propri referenti locali in Etiopia, senza però che le competenti Autorità Etiopi abbiano mai formulato, nei loro confronti, alcuna concreta proposta di abbinamento. D’altra parte, quand’anche l’Etiopia non avesse deciso di interrompere le adozioni internazionali, non è possibile allo stato prevedere se tali famiglie avrebbero comunque ricevuto una proposta di abbinamento da parte delle Autorità etiopi.

            Nonostante questo, la Commissione, per queste famiglie, ha più volte cercato un contatto con le Autorità etiopi, tramite numerose lettere ufficiali ed attraverso l’intermediazione dell’Ambasciata d’Italia ad Addis Abeba, non ricevendo mai alcun cenno di riscontro. Inoltre, in occasione del Convegno Internazionale “L’accoglienza dei bambini in stato di abbandono nel mondo”, la Commissione ha invitato il Direttore del Ministero delle Donne e dell’Infanzia etiope (MOWA), il quale, pochi giorni prima della partenza, con biglietti aerei già emessi a spese della Commissione, comunicava che non sarebbe potuto intervenire, a causa di sopraggiunti problemi di salute.

L’ultimo contatto diretto con le Autorità etiopi risale allo scorso 20 giugno 2019, in occasione, della missione in Etiopia svolta dalla Vice Ministra degli Affari Esteri, on. Emanuela Del Re. I colloqui, definiti dalla nostra Ambasciata come cordiali e prettamente operativi, hanno affrontato anche la questione delle adozioni internazionali e delle procedure pendenti delle famiglie italiane. Sul tema il Primo Ministro etiope, Dr Abiy Ahmed Ali, ha categoricamente “escluso che tali procedure possano essere definite” e che comunque, essendo quella delle adozioni una materia su cui il Parlamento etiope ha già deliberato, “non ritiene di doversi spendere per orientare l’azione dei Ministeri competenti”. Non si deve dimenticare che l’adozione non si configura come un diritto, ma come una disponibilità e che compete esclusivamente all’Autorità straniera del paese di provenienza del minore, la facoltà di individuare una famiglia a cui abbinare un bambino in stato di adottabilità.

Notizie            31 luglio 2019

www.commissioneadozioni.it/notizie/vp-laera-fa-il-punto-su-etiopia

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CONSULTORI FAMILIARI CATTOLICI

La Confederazione Italiana dei Consultori Familiari di Ispirazione Cristiana è in lutto

È morto don Edoardo Algeri, suo presidente

 

 

Nato a Bergamo nel 1963; presbitero della Diocesi di Bergamo dal 1988. Maturità classica e formazione universitaria presso la Pontificia Università Gregoriana in Roma con conseguimento della Licenza di Docenza in Teologia Morale e in Psicologia presso l’Istituto di Psicologia della Pontificia Università Gregoriana in Roma. Esame di Stato sostenuto presso l’Università La Sapienza in Roma, iscritto all’Albo dell’Ordine degli Psicologi della Lombardia

È Stato direttore dell’Ufficio per la pastorale della famiglia della Diocesi di Bergamo e presidente della Federazione Lombarda dei Centri di Assistenza alla Famiglia (FeLCeAF), che associa cinquanta consultori familiari di ispirazione cristiana, e la Fondazione Lombarda Servire la Famiglia che offre consulenza ad enti del terzo settore, specialmente a Consultori familiari e a strutture socio-sanitarie.

            Era presidente dal 2017 della Confederazione italiana dei Consultori familiari di ispirazione cristiana.

L’avvocato Raffaele Cananzi, membro del Consiglio Direttivo e Presidente della Commissione giuridica della Confederazione, lo ricorda.

L’improvvisa scomparsa di Don Edoardo Algeri ha suscitato unanime cordoglio. Dinanzi a tale impensabile evento c’era da rimanere raggelati. Per me è stato così. Mi si è subito rinverdito quel botta e risposta che ho avuto tempo fa, molto tempo fa, con quel mite curato al quale mi ero rivolto per chetare un rovello tra quelli che mi sono più ricorrenti. Gli domandai: “Perché il Signore talvolta chiama a sé prematuramente i più buoni e ci lascia quelli che lo sono di meno?”, “Per metterci alla prova – mi rispose -. non sai che noi qui siamo di passaggio per dar prova d’essere degni della Sua luce eterna?”. Io, di rimando: “Ma così è per noi è una sorta di corsa ad ostacoli?”, “Sono ostacoli che preludono a un premio assai ambizioso che arriverà con la chiamata che giungerà quando meno te lo aspetti. Non hai letto nel Vangelo l’avvertimento ‘estote parati’? Fanne tesoro!”.

Dobbiamo essere grati al Signore per averci fatto dono di una figura eccelsa di uomo e di sacerdote il quale sino al limite delle sue forze si è votato nell’assolvimento della sua missione irta di gravose incombenze. Grati a Lui per averci fatto fruire della sua amicizia, del suo sapere, del suo saggio dinamismo. Ci resta da preservare, nel suo ricordo, il suo insegnamento fatto non solo della parola ma soprattutto dal suo esempio.

Io me lo prefiguravo rivestito di mitria perché aveva piena la caratura per essere un buon Pastore. L’arcano disegno della Provvidenza Divina l’ha rivestito di aureola. 

La Confederazione perde un Presidente che rimane fra i più illuminati che si sono succeduti nel tempo, ma guadagna un angelo che continuerà a intercedere perché la nostra opera in favore della famiglia sia sempre più incisiva nel contesto della società d’oggi che tende a svilirla.

Ora più che mai dobbiamo sentirci affratellati, uniti nel comune intento di perseguire le finalità verso cui Don Edoardo ha proteso l’intera sua esistenza

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COUNSELING

Come uscire dalla dipendenza affettiva

Cos’è la dipendenza affettiva? Come si può guarire? E’ possibile uscirne da soli? In quali casi ricorre la responsabilità penale dello psicologo?

Quante volte ti è capitato di innamorarti e sentirti un po’ “dipendente” dalla tua dolce metà. Magari il tuo umore potrebbe essere legato alle piccole attenzioni ed ai momenti felici che trascorri con il tuo partner. Probabilmente, nonostante i mille impegni quotidiani, cerchi di farti in quattro per trovare un attimo di tempo da trascorrere con il tuo lui o con la tua lei, perché non riesci ad affrontare bene la giornata senza vederlo/a anche solo per un bacio fugace o senza sentirlo/a per una telefonata al volo o per un messaggio su WhatsApp. Altrimenti, è come se ti sentissi soffocare. Fin quando la vostra è una relazione sana, in cui tutto fila liscio e va per il verso giusto, nonostante qualche piccola discussione, allora si tratta di una “dipendenza sana”. Parliamoci chiaro: l’amore crea sempre un po’ di dipendenza. L’importante è che nella coppia ci siano reciprocità, arricchimento, crescita e si viaggi sulla stessa lunghezza d’onda.

I problemi iniziano a presentarsi quando si innesca una relazione tossica o quando dall’altra parte c’è una persona narcisista che sottomette, umilia, ferisce il partner dipendente. In casi “normali”, la persona che non si sente amata e/o desiderata, potrebbe alzare i tacchi e lasciare il partner. Che senso avrebbe condividere la vita con una persona che non ti apprezza e non ti lascia libertà di scelta. Eppure, c’è chi non riesce proprio ad andare via e non riesce a rinunciare ad una relazione nonostante non sia completamente felice. Le ragioni? La paura dell’abbandono e la dipendenza affettiva.

Cos’è la dipendenza affettiva? Si tratta di una sindrome da astinenza per l’assenza della persona amata, senza la quale si perderebbe il senso della propria vita. Come puoi capire se soffri di questa dipendenza comportamentale o se hai accanto a te una persona che ne soffre? Per cominciare, potresti valutare la quantità di tempo investita nella relazione (anche solo nel pensiero); la riduzione di importanti attività professionali, sociali o di svago; gli sforzi impiegati per controllare il vostro rapporto, nonostante la presenza di gravi problemi causati dalla relazione stessa; la difficoltà di attaccamento.

Q         Perché chi soffre di dipendenza affettiva non riesce a lasciare il partner? Come uscire dalla dipendenza affettiva? A chi bisogna rivolgersi?

Per approfondire questo argomento, a seguire potrai leggere l’intervista al dr. Maurizio Cottone, specialista in psicoterapia psicoanalitica.

  1. Dipendenza affettiva: cos’è? La dipendenza affettiva è ormai considerata una vera e propria patologia, infatti è inserita nel catalogo delle varie dipendenze. In realtà, è la prima in assoluto (in quanto originaria) da cui poi, a cascata, seguono le altre, ben più note: dipendenza alimentare, dipendenza da sostanze stupefacenti, dipendenza dall’alcol, dipendenza dal gioco d’azzardo, ecc. A livello di definizione nosografica, la dipendenza affettiva è una malattia in cui l’oggetto d’amore diventa l’oggetto di un’ossessione.
  2. Come riconoscere la dipendenza affettiva? Quali sono i comportamenti tipici di chi ne soffre? Le modalità in cui si può manifestare il disturbo da dipendenza affettiva possono essere molteplici: da una ossessivo controllo dell’altro attraverso telefonate e messaggi telefonici ad una patologica gelosia immotivata che porta il partner a non potere più frequentare nessuno, neppure con la propria compagna; ad una ricerca continua di attenzioni attraverso la trasmissione di angosce persecutorie e disturbi fisici di varia natura (somatizzazioni).
  3. Perché si sviluppa la dipendenza affettiva? Quali sono le cause? La dipendenza affettiva è una problematica molto profonda che nasce nei primi mesi di vita dell’individuo. Solitamente, è dovuta a carenze affettive importanti a causa di una madre depressa, anaffettiva o fisicamente assente per vari motivi. Quindi, è come se il soggetto conservasse in sé una parte infantile neonatale, bisognosa di nutrimento, bisognosa di avere un legame fusionale con un altro immaginario che è sempre un sostituto della madre, a prescindere che sia donna o uomo. Si crea così un rapporto, come dicono anche i pazienti che ho in terapia, in cui un cordone ombelicale “immaginario” unisce un “doppio gemellare speculare”.
  4. Quali sensazioni prova il paziente affetto da dipendenza affettiva? Il paziente affetto da dipendenza affettiva, fondamentalmente, si sente mancante, carente, incompleto per via di certi traumi infantili legati all’assenza di una madre, Detto in senso winnicottiano: “sufficientemente buona”. Queste persone fanno anche fatica a legarsi a qualcun altro, perché nel momento in cui si legano sentono che si apre una ferita, una voragine interiore in cui emerge questo bambino neonato che ha bisogno di attenzioni continue. È ovvio che è un rapporto segnato da questa dipendenza da parte di uno dei due partner è un rapporto destinato a fallire, perché per quanto l’altro sia presente, per quanto dia tutto quello che può dare, non saranno mai sufficienti la sua presenza e il suo affetto, non riusciranno mai a riempire questo vuoto affettivo che vive nel partner. In queste situazioni particolari, appare quindi fondamentale un’analisi con un terapeuta qualificato. Ovviamente, occorre più di una seduta settimanale, perché è fondamentale intervenire con una cura, un accudimento, un “maternage” di questa parte bambina per un po’ di tempo.
  5. C’è un caso che vuole condividere con i nostri lettori? In passato, ho seguito i casi di alcune ragazze che facevano con me tre sedute settimanali proprio perché avevano questa carenza di fondo e richiedevano più di una seduta settimanale, in quanto non riuscivano a tollerare il distacco tra una seduta e l’altra per più di qualche giorno. Ovviamente, la dipendenza affettiva non è amore, ma una malattia che, inizialmente, nasce come “illusorio amore puro totalizzante” e, di colpo, si trasforma nel suo opposto, vale a dire “dolore e sofferenza infinita”. Chi è affetto da dipendenza affettiva, solitamente, trova partner narcisisti cosiddetti “maligni”.
  6. Dipendenza affettiva dal narcisista: perché nasce e come uscirne? Il narcisista maligno è anche egli una persona profondamente ferita che capisce benissimo di cosa ha bisogno il dipendente affettivo, poiché rappresenta la sua immagine speculare dipendente da cui è riuscito a sfuggire con tecniche perverse particolari. Il narcisista maligno riesce così a creare, in breve tempo, un ambiente ideale con l’unico scopo di sedurre e catturare la preda. Questo tipo di rapporto si trasforma velocemente in un rapporto sadomasochistico. Infatti, chi è affetto da dipendenza affettiva, inconsciamente, cerca proprio la persona adatta a confermargli che lui non potrà mai avere quello che vuole, semplicemente perché quello che vuole non l’ha avuto nei primi mesi di vita e nessuno potrà più darglielo. Ecco, allora, che un’analisi personale di stampo freudiano può integrare questi aspetti regressivi così infantili e permettere a queste persone, lentamente, di sentire di potercela fare anche da soli, attraverso la lenta costruzione di fondamenta interiori soggettive, non di altri.
  7. Dipendenza affettiva e amore: che relazione c’è? Come distinguerli? Un’altra questione fondamentale in casi di questo tipo è la concretezza del pensiero, cioè la difficoltà di simbolizzazione e, di conseguenza, il bisogno di percepire a livello visivo, uditivo, olfattivo, l’altro oggetto del desiderio, inteso non in senso lacaniano ma come “bisogno”, cioè desiderio di sopravvivenza. Questo perché la persona affetta da dipendenza affettiva non sa cos’è l’amore, infatti il bisogno di accudimento non è amore. Come diceva Lacan: «l’amore è dare qualcosa che non si ha a qualcuno che non la vuole». Quindi, tradotto: l’amore maturo è la capacità di entrambi i partner della coppia di vivere l’assenza, la mancanza, che è in realtà una mancanza atavica, senza andare in persecuzione, in angoscia e riuscendo a non fare del male all’altro.
  8. Dipendenza affettiva: come lasciare il partner che ne soffre? Lasciare il partner che soffre di questa dipendenza affettiva non è facile se l’altra persona è minimamente sensibile e se il rapporto non è occasionale, perché si percepisce la sofferenza dell’altro. Quindi, quando non si riesce a chiudere il rapporto da parte di entrambi, questi vira velocemente sul versante sadomasochista dove quello che si assume il ruolo, e anche la fatica, di essere il persecutore, umilia la vittima in continuazione, perché in realtà vorrebbe essere lasciato dal partner per “consunzione”.
  9. Qual è la soluzione migliore in questi casi? La cosa migliore in questi casi sarebbe quella di invitare il proprio partner a iniziare una terapia psicologica, anche molto approfondita. Io lavoro sempre sulla dipendenza affettiva attraverso quello che noi psicoanalisti chiamiamo “transfert”. Nel momento in cui il grado di dipendenza è tollerato dal paziente, il lavoro che si può fare è ottimo. Con altri pazienti, invece, è molto difficile riuscire a mantenere un setting stabile ed è consigliabile, come detto in precedenza, un setting a più sedute settimanali. Nello stesso tempo, è anche facile che il paziente crei dei trabocchetti all’analista perché il suo unico scopo è quello di averlo con sé per sempre, non come oggetto d’amore, ma come oggetto “feticcio”.
  10. Cosa cerca il dipendente affettivo nello psicanalista? Le persone affette da dipendenza patologica, solitamente, pongono un sacco di domande a livello razionale all’analista. Hanno bisogno di qualcuno che gli risolva insicurezze pratiche, cosa che non è il compito dell’analista perché, invece, il suo compito è quello di riuscire, anche se con molta fatica, ad infondere loro sicurezza. Queste persone che chiedono sicurezza solo con risposte concrete e pratiche, stanno in realtà chiedendo all’analista un riferimento vitale: “ci sei?”, “mi vuoi bene?”, “sei sempre con me?”.
  11. Dipendenza affettiva dal terapeuta: è possibile? Si! Una maniera per concretizzare, e quindi sabotare la terapia e rimanere nella dipendenza affettiva, col cordone ombelicale attaccato, non reciso, è innamorarsi del terapeuta. Ovviamente, il terapeuta che ha una formazione accurata si accorge subito di questa potenzialità negativa e distruttiva che mette in atto la parte bambina del paziente, il quale non vuole crescere, ma vuole solo stare tranquilla nel proprio stato regressivo, perché crescere significa soffrire e apprendere dall’esperienza.
  12. Come può gestire la situazione uno psicanalista esperto? Lo psicoanalista preparato, che ha svolto un’analisi personale importante, dovrebbe accorgersi subito, prima che il transfert erotizzato si manifesti nella sua violenza, di situazioni che possono risultare problematiche e, quindi, portare sempre il paziente a livello di realtà: “noi siamo qua, ci vediamo nel tempo e nello spazio dedicato al lavoro analitico, nella garanzia professionale del setting terapeutico”. Quindi, è anche importante trovare analisti qualificati per pazienti con questo tipo di problematica, perché solitamente sono molto seduttivi e l’unico loro scopo è non far crescere questa parte bambina bisognosa di un amore totalizzante, fusionale ed esclusivo. Sedurre l’analista equivale a sabotare la loro possibilità di cambiamento. Per sempre.
  13. Responsabilità penale dello psicologo. Dopo aver analizzato la dipendenza affettiva nell’intervista al dr. Maurizio Cottone, ti parlerò delle circostanze in cui ricorre la responsabilità penale dello psicologo.

Poniamo il caso che tu soffra di dipendenza affettiva e, dopo esser stato/a lasciato/a dal/dalla tuo/a amato/a, decidi di fargliela pagare e commetti un reato procedibile d’ufficio. Morso/a dai sensi di colpa, non riesci a tenere il segreto per te e ti rivolgi al tuo psicologo confessandogli il misfatto. Oppure, ipotizziamo che tu sia stato/a vittima di un reato commesso dal/dalla tuo/a partner (narcisista o dipendente affettivo) e decidi di confidarlo al tuo psicologo. Sei convinto/a che sia tenuto al segreto professionale e mai potrà tradire la tua fiducia. Ma è davvero così? Cercherò di spiegartelo in poche parole. In deroga alla norma deontologica secondo cui lo psicologo è tenuto a mantenere il segreto professionale, su di lui può incombere l’obbligo di denuncia ovvero quello di referto, qualora rivesta o meno la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio.

Pertanto, se lo psicologo: È un dipendente di una struttura ospedaliera pubblica o in convenzione con il Servizio sanitario nazionale sarà obbligato a denunciare il reato di cui è venuto a conoscenza nell’esercizio delle sue funzioni [Artt. 361 e 362 cod. pen.]. Pena: il rischio di andare incontro al reato di omessa denuncia;

  1. Esercita la professione nel suo studio privato, non è considerato un pubblico ufficiale, ma ha l’obbligo di segnalare all’autorità giudiziaria qualsiasi reato procedibile d’ufficio che ha appreso dai casi a cui ha prestato assistenza.

Analizziamo un’altra ipotesi: In tal caso, lo psicologo è responsabile penalmente? Avrebbe potuto evitare la morte del paziente? Si è discusso tanto sull’argomento e si è giunti alla seguente conclusione: a meno che non ricorrano gli estremi del reato di istigazione o aiuto al suicidio (vale a dire quei casi in cui il professionista riesca a determinare o rafforzare l’intento suicidario del paziente), siamo in presenza della responsabilità civile dello psicologo, in quanto l’esperto non ha svolto adeguatamente il proprio lavoro [Art. 580 cod. pen.].

Denise Ubbriaco         La legge per tutti       31 luglio 2019

www.laleggepertutti.it/291115_come-uscire-dalla-dipendenza-affettiva

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DALLA NAVATA

XVIII Domenica del tempo ordinario – Anno C – 4 agosto 2019

Qoèlet              01, 22. Infatti, quale profitto viene all’uomo da tutta la sua fatica e dalle preoccupazioni del suo cuore, con cui si affanna sotto il sole.

Salmo               89, 17. Sia su di noi la dolcezza del Signore, nostro Dio: rendi salda per noi l’opera delle nostre mani, l’opera delle nostre mani rendi salda.

Colossesi         03, 11.  Qui non vi è Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro, Scita, schiavo, libero, ma Cristo è tutto e in tutti.

Luca                 15, E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede».  

 

Siamo ricchi solo di ciò che doniamo

In quel tempo, uno della folla disse a Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?». E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede».

La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. Una benedizione del cielo, secondo la visione biblica; un richiamo a vivere con molta attenzione, secondo la parabola di Gesù.

Nel Vangelo le regole che riguardano la ricchezza si possono ridurre essenzialmente a due soltanto:

1. non accumulare;

2. quello che hai ce l’hai per condividerlo.

Sono le stesse che incontriamo nel seguito della parabola: l’uomo ricco ragionava tra sé: come faccio con questa fortuna? Ecco, demolirò i miei magazzini e ne ricostruirò di più grandi. In questo modo potrò accumulare, controllare, contare e ricontare le mie ricchezze. Scrive san Basilio Magno: «E se poi riempirai anche i nuovi granai con un nuovo raccolto, che cosa farai? Demolirai ancora e ancora ricostruirai? Con cura costruire, con cura demolire: cosa c’è di più insensato? Se vuoi, hai dei granai: sono nelle case dei poveri».

I granai dei poveri rappresentano la seconda regola evangelica: i beni personali possono e devono servire al bene comune. Invece l’uomo ricco è solo al centro del suo deserto di relazioni, avvolto dall’aggettivo «mio» (i miei beni, i miei raccolti, i miei magazzini, me stesso, anima mia), avviluppato da due vocali magiche e stregate «io» (demolirò, costruirò, raccoglierò…).

Esattamente l’opposto della visione che Gesù propone nel Padre Nostro, dove mai si dice «io», mai si usa il possessivo «mio», ma sempre «tu e tuo; noi e nostro», radice del mondo nuovo. L’uomo ricco della parabola non ha un nome proprio, perché il denaro ha mangiato la sua anima, si è impossessato di lui, è diventato la sua stessa identità: è un ricco. Nessuno entra nel suo orizzonte, nessun «tu» a cui rivolgersi. Uomo senza aperture, senza brecce e senza abbracci.

            Nessuno in casa, nessun povero Lazzaro alla porta. Ma questa non è vita. Infatti: stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta indietro la tua vita. Quell’uomo ha già allevato e nutrito la morte dentro di sé con le sue scelte. È già morto agli altri, e gli altri per lui. La morte ha già fatto il nido nella sua casa. Perché, sottolinea la parabola, la tua vita non dipende dai tuoi beni, non dipende da ciò che uno ha, ma da ciò che uno dà. La vita vive di vita donata. Noi siamo ricchi solo di ciò che abbiamo dato via. Alla fine dei giorni, sulla colonna dell’avere troveremo soltanto ciò che abbiamo avuto il coraggio di mettere nella colonna del dare.

Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio. Chi accumula «per sé», lentamente muore. Invece Dio regala gioia a chi produce amore; e chi si prede cura della felicità di qualcuno, aiuterà Dio a prendersi cura della sua felicità

Padre Ermes Ronchi, OSM

www.qumran2.net/parolenuove/commenti.php?mostra_id=46361

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FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI

Vincenzo Bassi: “La famiglia si difende testimoniando la sua bellezza”

Vincenzo Bassi, vice-presidente della Federazione delle Associazioni Familiari Cattoliche in Europa, commenta l’intenzione di preghiera del Papa per il mese di agosto dedicata alla famiglia: il laicismo sta tentando di escludere Dio dalla società distruggendo la famiglia. Ma una società senza famiglia non può esistere, si autodistruggerebbe “La famiglia è il luogo dove si crea umanità e va difesa testimoniando la sua bellezza, la sua efficacia e la sua utilità per tutta la società”. La famiglia ha bisogno di testimoni credibili.

“Oggi il laicismo – denuncia Vincenzo Bassi – ha trovato la via per la realizzazione di una società senza Dio: la distruzione della famiglia. Infatti, una società senza Dio si ottiene annientando la famiglia. E noi dobbiamo opporci ad una sciagura del genere testimoniando la bellezza della famiglia, raccontandola, senza urlare, senza forti contrapposizioni che non servirebbero”. E’ in famiglia, e solo in famiglia, che si costruisce la società del domani. “Paradossalmente – aggiunge Vincenzo Bassi – una società può esistere senza scuola, senza istituzioni, ma non senza famiglia. E questo dobbiamo farlo capire in ogni modo”.

Più volte il Santo Padre, nel suo magistero, ha ricordato come sia la famiglia il luogo naturale della trasmissione della fede. Nel videomessaggio per le intenzioni di preghiera del mese di agosto, Papa Francesco torna su questo concetto: “Riserviamo in esse – afferma il Papa – uno spazio di preghiera personale e comunitaria”. Vincenzo Bassi si dice completamente d’accordo, le famiglie non possono delegare l’insegnamento della fede: “Le parrocchie sono importanti, certamente, ma non c’è dubbio che è nella famiglia che si impara a pregare, si imparano le cose vere: le virtù, l’amore verso gli altri. Senza la famiglia è impossibile cristianizzare una società”. Poi avverte: “Oggi il nemico più pericoloso della famiglia è la solitudine. Bisogna aiutare i nuclei familiari a combatterla per restituire loro la forza di riscoprire la propria vera vocazione: la generatività e la solidarietà. Elementi, questi, che potrebbero salvare la nostra società”.

Federico Piana                                             Vatican news                              2 agosto 2019

www.vaticannews.va/it/papa/news/2019-08/bassi-federazione-associazioni-familiari-cattoliche-europa-papa.html

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FRANCESCO VESCOVO DI ROMA

Papa Francesco: le famiglie diventino sempre più laboratori di umanizzazione

Nel videomessaggio per il mese di agosto, il Pontefice esorta a prendersi cura delle famiglie che sono “vere scuole del domani, spazi di libertà, centri di umanità”

            Francesco rivolge lo sguardo alle famiglie e chiede di orientare le intenzioni di preghiera di questo mese estivo, verso quella che il Pontefice considera “la migliore eredità possibile” che possiamo lasciare al mondo e al futuro.

In questo contesto, l’intenzione di preghiera del Papa mira a prendersi cura delle famiglie, “vere scuole del domani”. Il suo messaggio è un appello affinché le famiglie si dedichino al dialogo, alla condivisione e a vivere esperienze comuni, a imparare ad accogliersi e a perdonarsi. Come ha ricordato nel 2013, è “il primo luogo dove si impara ad amare”. Allo stesso tempo, Papa Francesco mette in guardia da un crescente pericolo:

            L’individualismo esasperato che snatura i legami familiari e finisce per considerare ogni componente della famiglia come un’isola, col rischio di creare dinamiche di insofferenza e di aggressività. (Amoris Lætitia, cap. II Realtà e sfide delle famiglie)

Durante il suo Pontificato, Francesco si è più volte soffermato sull’importanza delle famiglie, oggi minacciate da molteplici insidie. Lo scenario, complesso, si riflette anche nei numeri. Secondo alcuni dati ufficiali, come riferito dalla Rete Mondiale di Preghiera del Papa, nell’Unione Europea il 16% delle famiglie è monoparentale (formate da un genitore e dai suoi figli).

www.vaticannews.va/it/papa/news/2019-06/papa-francesco-rete-mondiale-preghiera.html

Negli Stati Uniti le statistiche, riferite al 2016, rivelano che il 44% delle coppie sono sposate. Si registra inoltre un aumento delle persone che vivono da sole (20%). In America Latina, spicca il caso della Colombia, dove si raggiunge il più alto numero di coppie che vivono al di fuori del matrimonio con una percentuale pari al 35%. Questa tendenza sembra comune al resto dei Paesi dell’area, in cui Il 27% dei figli vive in famiglie monoparentali.

“Ci sono mamme e papà che potrebbero vincere il Nobel, per questo. Di 24 ore ne fanno 48: non so come fanno ma si muovono e lo fanno! C’è tanto lavoro in famiglia! Una cosa che ho molto a cuore e che ho visto nelle città: ci sono bambini che non hanno imparato a fare il segno della croce! Ma tu mamma, papà, insegna al bambino a pregare, a fare il segno della croce: questo è un compito bello delle mamme e dei papà! (Papa Francesco, 26 agosto 2015)”

Emanuela Campanile, Città del Vaticano    Vatican news  1 agosto 2019

www.vaticannews.va/it/chiesa/news/2019-08/papa-francesco-agosto-invito-pregare-per-famiglia.html

 

Il paradosso di Papa Francesco

Il successo personale di Bergoglio è indiscutibile, come lo è l’insuccesso della “sua” chiesa. Per salvarla non basta denunciare le storture della società contemporanea. Che cosa sta succedendo alla religione in generale e al cattolicesimo in particolare? Che cosa significa l’evidente diminuzione della rilevanza sociale della religione e l’altrettanto evidente revival di una religione più “personale”, più individuale, di cui tanto si parla in occidente? Siamo davvero oltre la secolarizzazione o siamo invece di fronte a una radicalizzazione della stessa? E come si colloca l’azione di Papa Francesco e della chiesa cattolica in questo scenario socio-culturale? Queste e tante altre domande vengono sollevate nel bel libro di Luca Diotallevi, pubblicato da Rubbettino, con il titolo Il paradosso di Papa Francesco. La secolarizzazione tra boom religioso e crisi del cristianesimo.

Siamo davvero oltre la secolarizzazione o siamo invece di fronte a una radicalizzazione della stessa? Dico subito che non si tratta di un libro semplice, ma per i temi che affronta e per la decisione con la quale l’autore prende volta a volta posizione è un libro assolutamente da leggere. Checché ne dica il titolo, non siamo di fronte a uno dei tanti saggi sul magistero del nuovo Papa venuto “dalla fine del mondo”, caratterizzati il più delle volte da una stucchevole autoreferenzialità clericale, sia quando sono apologetici che quando sono critici. Siamo piuttosto di fronte un saggio incentrato su uno dei temi più impegnativi, non soltanto per la sociologia religiosa, ma per l’intera cultura contemporanea – la secolarizzazione, appunto –, nella convinzione che soltanto il chiarimento di questo concetto possa rendere, diciamo così, meno arbitrario, più comprensivo, più riflessivo anche il giudizio sul magistero e sull’azione pastorale di Papa Francesco. Proviamo dunque a seguire la trama del discorso di Diotallevi, cercando di individuarne i fili fondamentali.

Il primo di questi fili è rappresentato dalla crisi della “teoria classica della secolarizzazione”. Detto in estrema sintesi, la diminuzione della rilevanza sociale della religione nella società contemporanea non si lascia comprendere guardando esclusivamente alla moderna individualizzazione e differenziazione, con la conseguente progressiva ritirata della religione in uno spazio sociale sempre più ristretto e confessionalizzato nei suoi dogmi e nelle sue gerarchie. La secolarizzazione, secondo Diotallevi, è certamente anche questo, ma questo non riesce a spiegare il ritorno e addirittura il boom di un tipo di religione più personale, più individuale, se si vuole, più intimistica, quale è quella assai diffusa nell’occidente contemporaneo. Se poi guardiamo al tradizionale rapporto tra religione e politica, il disfacimento della “teoria classica della secolarizzazione” è ancora più evidente. Secondo tale modello, infatti, almeno sul piano pubblico, la religione sarebbe stata pian piano sostituita dalla politica. La “laicità” francese ne è forse l’incarnazione più emblematica. Ma oggi è abbastanza evidente come in questo processo politica e religione abbiano perduto entrambe. La politica rischia infatti di diventare religione, e la religione oscilla tra il diventare un fatto puramente “privato” o la stampella confessionale del potere dello stato.

L’intera sociologia fino a ieri dominante, infatti, dipende da assunti che risentono non poco di una certa idea di religione, di una certa idea di politica, del privilegio di una certa idea di ordine sociale, nonché di una certa idea di Cristianesimo”. Ci vuole dunque un nuovo paradigma, “un mutamento che riguarda l’intera sociologia e non solo una sua subdisciplina” (la sociologia della religione n.d.r.). Secondo Diotallevi, questo nuovo paradigma esiste ed è il paradigma della teoria sistemica di Niklas Luhmann [ha applicato alla società la teoria generale dei sistemi].

La ricostruzione e l’utilizzazione che Diotallevi ne fa, ecco il secondo filo della sua trama, è certamente sui generis; filologicamente presenta forse qualche elemento discutibile, ma comunque è troppo ardua per poter essere analizzata nel dettaglio in questa sede. Sta di fatto che la teoria luhmanniana della differenziazione sociale, seppure criticamente rielaborata, costituisce a suo avviso la migliore chiave d’accesso ai problemi lasciati aperti dalla teoria classica della secolarizzazione. “Vista con lenti luhmanniane, la secolarizzazione è un processo assai più antico e multiforme di quello descritto (e prescritto) dalla ‘teoria classica’. Questa intronizza la variante che dal XVI alla metà del XX secolo prevale nell’Europa continentale centro-occidentale. Per Luhmann la secolarizzazione è differenziazione (tra religione e politica e non solo), per la ‘teoria classica’ la secolarizzazione è sostituzione della religione da parte della politica, e conseguente – almeno tendenziale – sacralizzazione della politica in forma di stato… Con gli strumenti che Luhmann mette a disposizione è possibile comprendere che la modernizzazione comincia assai prima del XVI-XX secolo, che durante questo periodo mantiene anche altre forme rispetto a quello delle state centred societies [teoria centrata sullo stato], e infine che prosegue anche oltre la crisi di queste ultime”.

Il quadro è complesso, ma ci si può districare. In primo luogo il paradigma luhmanniano consente di porre il problema della secolarizzazione, guardando ben oltre l’orizzonte della modernità; in secondo luogo, l’idea di differenziazione sociale consente di guardare la religione, non soltanto nelle sue configurazioni moderne dominanti, ma in quanto sistema sociale che opera secondo un codice specifico che è quello, molto banalmente, di tenere aperto l’orizzonte su Dio. La religione in termini luhmanniani rappresenta l’irrappresentabile: in questo consiste la sua funzione specifica. Naturale che non possa essere determinato a priori il modo di assolverla. Naturale altresì che siamo di fronte a una teoria aperta, la quale, da un lato, non si accontenta di limitare il discorso sulla religione e la secolarizzazione a quello della “teoria classica”; dall’altro, non accetta nemmeno che si parli di “de-secolarizzazione” o di post-modernità solo perché oggi, in occidente, si assiste a un vero e proprio boom della religione in versione “personale”. Come Diotallevi sottolinea a più riprese, la nostra non è l’epoca della post secolarizzazione, bensì della crescente secolarizzazione. E l’interessante di tutto questo è che, se lo sappiamo vedere, può essere una grande opportunità anche per la religione.

Detto in altre parole, è soltanto sulla base della consapevolezza di che cosa significhi vivere in una società differenziata, dove i diversi sistemi si specializzano ciascuno per assolvere una specifica funzione, che la religione può sperare di guadagnare o di riguadagnare influenza sociale. Ma non potrà mai più farlo direttamente, pretendendo ad esempio di dire alla politica o all’economia come dovrebbero agire, bensì occupandosi soprattutto della propria funzione, diciamo pure di Dio, nella speranza che, come direbbe Luhmann, tale discorso produca sufficiente “rumore ambientale” da non poter essere trascurato dagli altri sistemi sociali.

Nel contesto di una sempre più marcata differenziazione è questa l’opportunità (grande) che si presenta oggi alla chiesa, sollecitandola a diventare più “ecclesiale” e meno clericale, più aperta al senso della sua missione, più fiduciosa nella possibilità che questo le dia anche influenza sociale, e meno burocratizzata nei suoi programmi pastorali. Una chiesa insomma più conforme a quanto avrebbero voluto il Concilio Vaticano II e quel grande Papa che fu Paolo VI. Ma bisogna esserne consapevoli. D’altra parte, dopo le dimissioni di Benedetto XVI, almeno una cosa, secondo Diotallevi, dovrebbe essere chiara a tutti: è finita un’epoca, il capitolo confessionale della storia del cattolicesimo si è chiuso. “Del gesto di Ratzinger, annunciato in latino, forse l’ultima delle azioni non liturgiche davvero importanti in questa chiesa comunicate in quella lingua, furono anima una ricognizione attenta, una coscienza vigile, il coraggio di una preghiera umile. In breve, verrebbe da dire che con la sua rinuncia Benedetto XVI ha completato il downloading [scaricamento] e l’installazione di quel software ‘a qualità ecclesiale implementata’ elaborato dal Vaticano II per la chiesa cattolica”.

Il compito è immane: occorre impedire che la chiesa slitti verso i due estremi del confessionalismo clericale o della frammentazione. Ne è consapevole il nuovo papa? Le sue parole, i suoi gesti seguono davvero la svolta “ecclesiale” implicita nelle dimissioni di Benedetto XVI? A tal proposito, terzo e ultimo filo della trama di questo libro, ci sono segnali contrastanti. Il successo personale di Papa Francesco è indiscutibile; altrettanto indiscutibile è però il persistente insuccesso della “sua” chiesa. Siamo dunque di fronte a un “paradosso”? La risposta di Diotallevi sembra essere sì e no contemporaneamente. E’ un paradosso se guardiamo la cosa nella prospettiva dello stretto legame che inevitabilmente sussiste tra il Papa e la sua chiesa; forse lo è di meno se teniamo conto delle difficoltà che una società differenziata, quale è la nostra, pone a tutte le organizzazioni che pretendono di regolare i processi di identificazione personale. Riemerge dunque l’importanza della teoria con la quale si osservano i fenomeni.

Riguardo al successo di papa Francesco, Diotallevi non sembra avere troppi dubbi: è il successo di una religious celebrity, simile a quello che nella nostra società hanno i calciatori o i divi del cinema; un successo che nel caso di Francesco si realizza principalmente attraverso “l’attenuazione del rigore dottrinale” e una “personalizzazione dell’identificazione religiosa”. Riguardo invece all’insuccesso della chiesa, alla sua “bassa intensità” e al suo “neo-clericalismo debole”, Diotallevi ne vede i tratti più salienti nella sua perdita di autonomia “per l’evidente disgregarsi della sua catena di autorità”, nel declino della sua capacità di “reperire risorse umane”; nel fatto che il suo clero, anziché seguire le indicazioni del Vaticano II, segue le richieste dei “consumatori”, rinunciando a incidere sulle varie istituzioni sociali (scuole, ospedali, università, ecc.).

Da questo punto di vista, sociologicamente parlando, la confessionalizzazione del cattolicesimo, prima, e la trasformazione del suo Pontefice in una celebrità religiosa, oggi, sono facce di una stessa medaglia, due opposte “derive di de-ecclesializzazione” che, secondo Diotallevi, il Vaticano II e Paolo VI avevano intuito, ma che forse Papa Francesco fatica a fronteggiare. Il suo compito è sicuramente immane: occorre impedire che la chiesa slitti verso i due estremi del confessionalismo clericale o della frammentazione. Ma per far questo non basta denunciare le disfunzioni e i misfatti della curia vaticana, allentare o fingere di allentare i lacci della dottrina, oppure denunciare le storture della società contemporanea imputandole al mercato e al liberismo. Come dice Diotallevi, “il successo di Papa Francesco non è il successo di un riformista di successo”. Ma per fortuna tutto è aperto. E domani, chissà, proprio Francesco potrebbe riservare qualche sorpresa. D’altra parte, come insegna Niklas Luhmann, il tratto fondamentale della nostra società è la sua “contingenza”, il fatto che le cose stanno in un modo, ma potrebbero stare anche diversamente. Nessuno insomma può ipotecare il futuro. Domani è un altro giorno

Sergio Belardinelli     il foglio 4 agosto 2019

www.ilfoglio.it/chiesa/2019/08/04/news/il-paradosso-di-papa-francesco-267560

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GARANTE PER L’INFANZIA

Affidi, le raccomandazioni dell’Autorità garante per la riforma del sistema di tutela

L’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza ha inviato una nota in tema di diritti dei minorenni fuori famiglia a Parlamento, Governo, Regioni, Comuni, magistratura, avvocati, assistenti sociali, psicologi e giornalisti. L’intero sistema di tutela è stato esaminato nel dettaglio. Messe a fuoco criticità e potenzialità sulle quali i destinatari delle raccomandazioni sono stati chiamati a intervenire senza ritardo. La nota contiene, in particolare, una serie di indicazioni in materia di riforma del procedimento in materia di responsabilità genitoriale, che viene dettagliato in tutti i passaggi procedurali secondo i principi del giusto processo. Tra di essi la necessità di disciplinare la fase di indagine del Pm, quella di assicurare il contraddittorio tra le parti, l’introduzione del curatore e dell’avvocato del minorenne, la convalida degli allontanamenti d’urgenza, l’impugnabilità dei provvedimenti anche se provvisori, termini certi e celeri, la trasparenza nell’individuazione della famiglia affidataria o della struttura di accoglienza.

E ancora: controlli capillari sulle condizioni dei minorenni fuori famiglia, l’introduzione di un regime di incompatibilità per i magistrati onorarie la differenziazione tra soggetti che svolgono compiti valutativi, esecutivi e di controllo. Si sollecita l’istituzione, con urgenza, di un sistema informativo sui minorenni privi di un ambiente familiare –comune a tutto il territorio nazionale –per monitorare il numero e le caratteristiche dei fuori famiglia, le tipologie, i tempi e le modalità di uscita del percorso di accoglienza.

La nota interviene sulla necessità di salvaguardare la funzione pubblica della tutela dei minorenni e di garantire la continuità degli interventi sul coordinamento tra i diversi livelli di amministrazione coinvolti. Evidenziata anche la necessità che le Regioni recepiscano e attuino le linee di indirizzo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali per l’affidamento familiare (2012), per l’accoglienza nei servizi residenziali per minorenni (2017) e per l’intervento con bambini e famiglie in situazione di vulnerabilità (2017).

Richiamato il rispetto delle prescrizioni deontologiche della Carta di Treviso per i giornalisti a proposito dell’anonimato dei minorenni coinvolti in procedimenti di affido. Per tutti gli interventi richiesti si sollecitano adeguate risorse finanziarie, umane e strumentali.

“Il documento vuol rispondere all’esigenza di dare uno sguardo complessivo” evidenzia la Garante Filomena Albano. “Parlare di volta in volta solo di un aspetto della tutela–come ad esempio solo di comunità o di affidi oppure di allontanamento, ancora, parlare solo di talune figure come psicologi, assistenti sociali o magistrati –rischia di dare una visione parziale che potrebbe rivelarsi controproducente”. “Questa considerazione è all’origine dell’attività, posta in essere dall’Autorità, di studio e approfondimento dell’intero sistema nell’ottica del suo miglioramento”.

A guidare l’attività di analisi e di proposta dell’Autorità i principi della Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. “Occorre garantire tutti diritti previsti dalla Convenzione di New York: quello a crescere nella famiglia di origine e quello a essere protettiva ogni forma di violenza. In tutti quei casi in cui tali diritti appaiono risultare in conflitto l’equilibrio deve essere dato da procedure chiare, trasparenti e uniformi”.

La nota arriva all’esito di un lavoro di approfondimento dell’autorità garante sul sistema della tutela minorile e sui procedimenti in materia di responsabilità genitoriale in Italia, condotto anche attraverso consultazioni con istituzioni, Csm, magistrati, ordini professionali, Anci, associazioni e ragazzi neomaggiorenni che hanno vissuto l’esperienza fuori famiglia.

Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza Roma, 30 luglio 2019

www.garanteinfanzia.org/sites/default/files/30-07-2019-comunicato-stampa-sistema-tutela.pdf

 

Sistema della tutela, gli interventi sollecitati dall’Autorità garante

L’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza ha indirizzato una serie di raccomandazioni a Parlamento, Governo, Regioni, Comuni, magistratura, avvocati, assistenti sociali, psicologi e giornalisti in merito al sistema di tutela minorile e ai procedimenti in tema di responsabilità genitoriale. Affinché le raccomandazioni possano trovare attuazione ha chiesto al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministero dell’economia, a Regioni e Comuni risorse umane e finanziarie adeguate all’attuazione di quanto sollecitato. Chiesto anche l’avvio di tavoli permanenti di confronto sull’affidamento familiare a livello nazionale, regionale e locale con tutti gli attori del sistema, incluse le associazioni. L’invito rivolto ai destinatari delle raccomandazioni è di attivarsi per assicurare piena protezione a bambini e ragazzi che si trovano in situazioni di forte vulnerabilità.

Parlamento. Al legislatore l’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza ha chiesto in primo luogo di determinare i livelli essenziali delle prestazioni, previsti dall’articolo 117 della Costituzione, degli interventi relativi ai minorenni, alle famiglie di origine, agli affidatari e alle strutture di accoglienza. Chiesta anche l’istituzione di un sistema informativo unitario costituito da tre banche dati: una per monitorare il numero e le caratteristiche dei minorenni fuori famiglia, le tipologie del percorso di accoglienza, i tempi e le modalità di uscita, un’altra il numero e le tipologie delle strutture di accoglienza e, un’ultima, relativa agli affidatari.

La parte più cospicua delle raccomandazioni al legislatore riguarda i procedimenti in materia di responsabilità genitoriale disciplinati, a oggi, da poche norme e che registrano un’applicazione fortemente differenziata nei diversi tribunali. Secondo l’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza è indispensabile intervenire sul rito per procedimento per adeguarlo ai principi del giusto processo.

In particolare:

  • Va disciplinata la fase di indagini del pubblico ministero minorile rafforzando la sua funzione di filtro per evitare che arrivino in tribunale procedimenti che si rivelino poi ingiustificati.
  • Va garantito il diritto all’informazione delle parti.
  • Va garantito il diritto alla difesa tecnica dei genitori, anche con la nomina obbligatoria di un difensore d’ufficio in caso in cui manchi quello di fiducia.
  • Va garantita la nomina di un curatore speciale e di un avvocato del minorenne.
  • Vanno stabilite, attraverso la previsione di termini perentori, tempistiche certe e adeguate nel contemperamento tra l’esigenza di rapidità e l’esigenza di assicurare un’istruttoria adeguata.
  • Nei casi di provvedimenti di allontanamento adottati d’urgenza vanno previsti tempi celeri per assicurare il contraddittorio differito e va riformato l’articolo 403 introducendo una procedura di convalida del provvedimento.
  • Va specificatoli ruolo processuale del servizio sociale territoriale nell’ambito del procedimento.
  • Va regolamentata la fase istruttoria in modo da garantire il rispetto del principio del contraddittorio.
  • Va assicurato che la decisione sia adeguatamente motivata e circostanziata e indichi chiaramente chi deve eseguirla e le modalità e i tempi di attuazione.
  • Va assicurata l’impugnabilità dei provvedimenti, anche se temporanei e la decisione sull’impugnativa in tempi certi e brevi.
  • Va definita la fase esecutiva dei provvedimenti, delineando soggetti e competenze.
  • Va assicurata la trasparenza nell’individuazione degli affidatari o della struttura residenziale di accoglienza, stabilendo criteri di selezione e di scelta.
  • Vanno definiti i criteri e gli obiettivi dei controlli e delle ispezioni da parte delle procure.
  • Va disciplinato il regime delle incompatibilità dei giudici onorari e dei loro stretti congiunti rispetto a incarichi che potrebbero pregiudicarne i profili di necessaria imparzialità e indipendenza.
  • Vanno differenziati i soggetti a cui sono demandati compiti valutativi, esecutivi e di controllo dei provvedimenti da quelli chiamati a prendere in carico minorenni e famiglie.

Autorità giudiziaria e Comuni. Vanno garantiti a bambini e ragazzi:

  1. L’ascolto, sia in fase istruttoria che dopo l’adozione di provvedimenti a loro tutela,
  2. Un’adeguata informazione sulle decisioni che li riguardano,
  3. La partecipazione alla definizione del progetto educativo.

Regioni e Comuni.

  • Va salvaguardata la funzione pubblica della tutela minorile e garantita la continuità degli interventi.
  • Vanno recepite le linee di indirizzo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali approvate in Conferenza unificata per l’affidamento familiare (2012), per l’accoglienza nei servizi residenziali per minorenni (2017) e per l’intervento con bambini e famiglie in situazione di vulnerabilità (2017).

E in ogni modo:

  • Va assicurata una tempestiva un’adeguata “presa in carico” delle famiglie in difficoltà al fine di promuovere la genitorialità e prevenire gli allontanamenti, se l’allontanamento si rende necessario, un adeguato monitoraggio del percorso per il recupero delle competenze genitoriali.
  • Va assicurato un costante monitoraggio del progetto educativo del minorenne fuori famiglia, della durata dell’affidamento familiare e dell’inserimento nelle strutture di accoglienza.
  • Va assicurata almeno in ogni ambito territoriale la presenza costante di un servizio dedicato all’affidamento familiare.
  • Va assicurata la trasparenza nell’individuazione degli affidatari e della struttura di accoglienza, stabilendo in via normativa criteri di selezione e scelta.
  • Va assicurata l’effettività dei controlli di Regioni e Comuni sulle strutture di accoglienza, anche in coordinamento con altri soggetti competenti come le procure minorili.
  • Vanno distinti i soggetti che hanno compito di effettuare valutazioni, eseguire e controllare i provvedimenti giudiziali dai soggetti chiamati a prendere in carico i minorenni e le famiglie per il sostegno genitoriale e la cura.
  • Va data piena attuazione ai LEA (livelli essenziali dell’assistenza) in tema di sostegno alla genitorialità aumentato il numero degli assistenti sociali sul territorio, assicurando una adeguata proporzione rispetto al numero degli abitanti.

Ministero del lavoro e delle politiche sociali.

  • Va implementato–a legislazione vigente –il SIUSS, il sistema informativo unitario dei servizi sociali, con tre banche dati su fuori famiglia, strutture di accoglienza e affidatari.
  • Va promosso in tutto il territorio nazionale il recepimento delle Linee di indirizzo del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
  • Vanno elaborate linee di indirizzo per la definizione di un tariffario nazionale relativo ai costi dai servizi offerti dalle strutture e di un tariffario nazionale relativo ai costi dei rimborsi agli affidatari.
  • Va promosso l’istituto dell’affidamento familiare attraverso campagne di sensibilizzazione, privilegiandolo rispetto all’inserimento in strutture di accoglienza.

Ministero della giustizia.

  • Vanno potenziatele piante organiche degli uffici giudiziari che si occupano di procedimenti in materia di responsabilità genitoriale e di quelli in cui sono comunque coinvolti i minorenni.
  • •Va assicurata l’attivazione del processo civile telematico negli uffici giudiziari minorili la sua interconnessione con gli altri uffici giudiziari competenti in materia minorile.
  • Va assicurato un sistema informatizzato che consenta alle procure minorili controlli con modalità uniformi e interconnesse con quelli effettuati dagli altri soggetti competenti, ad esempio Regioni e Comuni.
  • Gli uffici giudiziari vanno dotati delle necessarie risorse umane, tecniche e finanziarie. In particolare le procure presso i tribunali per i minorenni vanno dotate di risorse adeguate operazioni di controllo e monitoraggio dei minorenni accolti nelle strutture di accoglienza.

Ministero per le disabilità e la famiglia.

  • Va costituito e convocato l’Osservatorio nazionale per l’infanzia e l’adolescenza per rendere noti gli esiti del monitoraggio del “Piano nazionale infanzia “e per predisporne uno nuovo.
  • Va costituito e convocato l’Osservatorio nazionale sulla famiglia anche per favorire la predisposizione di un nuovo piano nazionale per la famiglia.

Consiglio superiore della magistratura.

  • Va verificata l’attuazione delle delibere del Consiglio superiore della magistratura relative ai criteri per la nomina e conferma dei giudici onorari minorili per il triennio 2020 – 2022 e sull’organizzazione delle procure per i minorenni, con particolare attenzione all’attività di controllo sulle comunità di accoglienza per minorenni.
  • Va promossoli coordinamento tra gli uffici giudiziari davanti ai quali pendono procedimenti che riguardano minorenni (civili, penali, minorili).

Consiglio nazionale dell’ordine dei giornalisti

  • Va verificato dall’Ordine il rigoroso rispetto dell’anonimato dei minorenni coinvolti nei casi di affidamento adozione, evitando sensazionalismi e qualsiasi forma di speculazione.
  • Va promossa un’attività di sensibilizzazione affinché sia utilizzato a proposito dei minorenni un linguaggio che non sia lesivo della dignità della persona di minore età, che non lo riconduca a stereotipi stigmatizzanti o che ne turbi lo sviluppo della personalità.

Scuola superiore della magistratura, Consiglio nazionale forense, Consiglio nazionale dell’ordine degli assistenti sociali, Consiglio nazionale dell’ordine degli psicologi, Consiglio nazionale dell’ordine dei giornalisti.

  • Va curata una formazione ad hoc per i magistrati che si occupano di procedimenti in materia di responsabilità genitoriale (togati e onorari), per gli avvocati, per gli assistenti sociali, per gli psicologi e per i giornalisti.

L’Autorità ha chiesto infine al legislatore che venga attribuita una maggiore incisività alle sue azioni e ne sia potenziata la struttura, a oggi costituita da solo personale in comando da altre amministrazioni. Ha chiesto poi che sia previsto, per legge, un coordinamento con le figure di garanzia territoriali, perle quali vanno previste da Regioni e Comuni risorse, assicurandone indipendenza e autonomia.

Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza       Roma, 30 luglio 2019

www.garanteinfanzia.org/sites/default/files/30-07-2019-scheda-stampa-tutela.pdf

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PARLAMENTO

Senato. Commissione di inchiesta sulle comunità di tipo familiare

      1 agosto 2019 Le Commissioni riunite Affari Costituzionali e Giustizia hanno approvato all’unanimità, in sede deliberante, il Ddl n. 1187, Istituzione di una Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività connesse alle comunità di tipo familiare che accolgono minori. Disposizioni in materia di diritto del minore ad una famiglia.

La Commissione approva all’unanimità il testo del disegno di legge, con autorizzazione al coordinamento formale del testo.

www.senato.it/japp/bgt/showdoc/18/DDLMESS/0/1123220/index.html?part=ddlmess_ddlmess1-articolato_articolato1

   L’esame passa alla Camera nel testo come modificato.

http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=SommComm&leg=18&id=1121852&part=doc_dc-sedetit_isd

Il Presidente informa che è stato assegnato alle Commissioni riunite in sede redigente il disegno di legge n. 1389 (Disposizioni in materia di diritto di bambini e adolescenti ad una famiglia e di tutela dei minori in affidamento), presentato il 4 luglio 2019 per iniziativa della senatrice Licia Ronzulli.

www.senato.it/japp/bgt/showdoc/18/DDLPRES/0/1118697/index.html?part=ddlpres_ddlpres1

Tale provvedimento sarà inserito all’ordine del giorno delle Commissioni riunite.

Le Commissioni riunite prendono atto.

www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=SommComm&leg=18&id=1121852&part=doc_dc-sedetit_sldcr

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PASTORALE

Pastorale della famiglia: continuità e novità. Da Wojtyla a Bergoglio

Intervento del vescovo di Reggio Emilia – Guastalla. Il lascito di Giovanni Paolo II e l’ascolto dell’insegnamento di papa Francesco.

            Caro direttore, ho seguito con preoccupazione, per quanto mi è stato possibile, i resoconti forniti dalla stampa sulle recenti vicende relative al Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II per le scienze del matrimonio e della famiglia. Presso l’Istituto ho seguito i corsi di Licenza nei lontani anni Ottanta. Ho così avuto modo di conoscere molto da vicino e di apprezzare l’insegnamento che lì veniva svolto.

            Negli anni dei miei studi mi sono incontrato con una nascente comunità di insegnanti che viveva una singolare e preziosa comunione di ricerca e di didattica. Dal 1990 al 1996 ho partecipato alla vita dell’Istituto insegnando, su invito del preside Caffarra, un piccolo corso di Metafisica e Gnoseologia per gli allievi del Master. Dal 1993 al 1996 inoltre sono stato eletto vicepreside della Sezione Romana: erano quelli gli ultimi due anni di presidenza di monsignor Caffarra e il primo di monsignor Scola.

            Ho potuto così approfondire le impressioni che mi avevano segnato fin dall’inizio, partecipando a un’esperienza di lavoro accademico che godeva dell’attenzione di tanti vescovi nel mondo, i quali mandavano a studiare a Roma laici e preti, così da arricchire la Pastorale Famigliare delle loro Diocesi. Tutto è sempre avvenuto nel solco delle indicazioni date da san Giovanni Paolo II, che aveva voluto e fondato l’Istituto. Nell’omelia per la sua canonizzazione, Karol Wojtyla è stato giustamente definito da Francesco «il Papa della famiglia».

            Penso che in quell’espressione così sintetica il pontefice volesse racchiudere uno dei centri focali del magistero e della preoccupazione pastorale del suo predecessore. La mente va alle catechesi svolte dal pontefice polacco sull’amore umano nel piano divino, all’Esortazione apostolica post-sinodale Familiaris consortio del 1981, all’istituzione del Pontificio Consiglio per la Famiglia voluto da papa Wojtyla lo stesso giorno in cui egli inaugurò l’Istituto per studi su matrimonio e famiglia, il 13 maggio 1981, giorno dedicato alla Madonna di Fatima e segnato dell’attentato alla vita del Papa.

            Francesco ha raccolto e proseguito quella sollecitudine attraverso ben due Sinodi dei Vescovi dedicati al tema famiglia e infine l’Esortazione apostolica post-sinodale Amoris lætitia, indicando, con accenti nuovi, la cura della Chiesa per la realtà delle famiglie, il cui bene è «decisivo per il futuro della Chiesa e del mondo» (AL 31). Come vescovo della Chiesa, preoccupato dell’ascolto e dell’attuazione del magistero del Papa, ho sempre cercato di leggere il pontificato di papa Francesco e i suoi documenti in continuità con i pontificati precedenti.

            La continuità del magistero è la chiave ermeneutica fondamentale della vita della Chiesa. Perché allora rappresentare oggi un’interruzione così profonda e traumatica nei confronti del lavoro svolto dall’Istituto Giovanni Paolo II? Perché offrire agli studenti l’impressione di una novità radicale che preoccupa e confonde, come alcuni di essi hanno manifestato?

Ogni Papa si radica, nella successione apostolica, sul depositum fidei e sull’insegnamento dei suoi predecessori. Non certamente per ripeterlo, ma per aprirlo, sotto la guida dello Spirito Santo, alle nuove necessità che i tempi e la vita della Chiesa urgono. Sono certo che questa è l’intenzione profonda di papa Francesco.

            Il popolo cristiano deve essere aiutato a riconoscere questa continuità nella grande tradizione della Chiesa. Solo essa rende possibile ogni nuova apertura missionaria. L’evangelizzazione sempre avviene attraverso la testimonianza del bene per la vita dei fedeli, illuminandoli con la verità sull’uomo e sulla famiglia, che tutti abbiamo ricevuto da Cristo e che a noi, umili servitori del Regno, spetta di trasmettere con la gioia e la sicurezza che nascono da tale servizio.

Massimo Camisasca, vescovo di Reggio Emilia – Guastalla Avvenire 3 agosto 2019

www.avvenire.it/opinioni/pagine/pastorale-della-famiglia-continuit-e-novit

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PROCREAZIONE ASSISTITA

Fecondazione assistita: metodo Cnr per identificare gli ovociti più sani

Una collaborazione tra un gruppo di ricerca dell’Istituto officina dei materiali del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Iom) di Trieste e il reparto di Clinica ostetrica e ginecologica dell’Irccs materno infantile Burlo Garofolo di Trieste ha prodotto, negli ultimi anni, diversi risultati orientati ad aumentare la probabilità di successo della fecondazione assistita per le coppie sterili. Gli esiti delle ultime ricerche sono stati pubblicati su European Biophysics Journal e su Acta BioMaterialia.

“Uno dei momenti più importanti per determinare la fortuna di un processo di fecondazione è la selezione degli ovociti, oggi condotta in base a caratteristiche esclusivamente morfologiche: il medico sceglie la cellula da fecondare rispetto alla forma considerata indice del suo migliore stato di salute. Il criterio è però soggettivo e si basa fondamentalmente sull’esperienza dell’embriologo”, dice Laura Andolfi, ricercatrice del Cnr-Iom. “L’obiettivo di queste ricerche è invece identificare un metodo più generalizzabile, non invasivo e capace di velocizzare il processo”.

Il problema è che gli ovociti non possano essere trattati, al fine di preservarli, e non c’è quindi modo di capirne lo stato di salute. “Noi ci siamo chiesti se potessero essere usati come indicatori dello stato di salute degli ovociti le loro caratteristiche meccaniche, cioè la deformabilità, l’elasticità e la rigidità. La risposta è risultata affermativa”, spiega Laura Andolfi, ricercatrice del Cnr-Iom. “Già in una prima ricerca effettuata nel 2016 con microscopi atomici commerciali, abbiamo trovato una prima traccia di correlazione tra la deformabilità e lo stato fisiologico o patologico degli ovociti. Ma questi microscopi operano attraverso sonde troppo piccole per comprimere uniformemente l’intero ovocita, che è una delle cellule più grandi del corpo umano, e quindi riescono a misurare solo la deformabilità della loro membrana esterna”.

La seconda parte della ricerca ha riguardato pertanto la costruzione di sonde specifiche, più grandi, capaci di imprimere omogeneamente la forza su tutta la cellula. “Con tali sonde abbiamo osservato e verificato la deformabilità dell’intero l’ovocita, e non solo della membrana esterna, ottenendo un’ulteriore conferma dell’efficacia di questo parametro. Le caratteristiche meccaniche sono effettivamente utili per stabilire lo stato di salute delle cellule da fecondare”, prosegue Andolfi.

I ricercatori del Cnr hanno dimostrato l’efficacia di questa tecnica di indagine lavorando inizialmente su ovociti umani forniti dall’Irccs Burlo. “A questo punto abbiamo voluto capire se l’analisi delle proprietà meccaniche fosse efficace nonostante i processi di crioconservazione cui gli ovociti possono essere sottoposti dopo l’estrazione”, aggiunge Marco Lazzarino del Cnr-Iom. “Abbiamo dunque preso ovociti umani freschi, ne abbiamo misurato le proprietà elastiche, li abbiamo congelati e dopo qualche tempo ne abbiamo rimisurato le proprietà, confermando che la crioconservazione lascia l’ovocita inalterato. Inoltre, attraverso una serie di controlli incrociati condotti con gli embriologi del Burlo abbiamo verificato che anche le tecniche di misurazione delle proprietà meccaniche delle cellule rimangono efficaci dopo il congelamento”.

Il lavoro di ricerca, finanziato dal programma regionale BioMec, apre ora la strada alla sperimentazione diretta su ovociti animali per verificare l’efficacia del processo fino alla sua fase conclusiva, verificando così la correlazione tra la corretta selezione di ovociti e il raggiungimento di una gravidanza di successo.

CNR    comunicato stampa n. 89/2019         Roma, 31 luglio 2019

www.cnr.it/it/comunicato-stampa/8880/fecondazione-assistita-metodo-cnr-per-identificare-gli-ovociti-piu-sani

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SEPARAZIONE CONIUGI

Anche se consensuale: sì al patrocinio a spese dello Stato senza cumulo dei redditi

Corte di Cassazione, seconda Sezione civile, sentenza n. 20385, 26 luglio 2019

www.italgiure.giustizia.it/xway/application/nif/clean/hc.dll?verbo=attach&db=snciv&id=./20190726/snciv@s20@a2019@n20385@tS.clean.pdf

In tema di patrocinio a spese dello Stato e nell’ambito del procedimento di separazione coniugi anche consensuale, ai fini della considerazione dei limiti reddituali di accesso al beneficio il coniuge contropartereddito, non deve essere considerato. Il principio è stato affermato dalla Corte di Cassazione che ha accolto il ricorso e cassato, senza rinvio, il provvedimento di revoca della concessione del beneficio del patrocinio a spese dello Stato pronunciato dal Tribunale di Forlì.

La pronuncia in esame ha avuto origine dal fatto che l’Ordine degli avvocati di Forlì-Cesena, con delibera del 2010 ammetteva (in via provvisoria) M.V al patrocinio a spese dello Stato in relazione al procedimento di separazione personale dei coniugi, poi introdotto innanzi al Tribunale di Forlì e concluso con decreto di omologazione delle condizioni di separazione del 21 ottobre 2011.

Su istanza dell’Agenzia territoriale delle entrate, il Tribunale di Forlì, revocava – con decreto del 2014 – l’ammissione al patrocinio, sulla base della stima del reddito percepito nel 2009 dal nucleo familiare della ricorrente, pari a euro 26.449, ottenuta cumulando il reddito personale dell’istante con quello del coniuge (euro 16.331).

Avverso il decreto di revoca M. V. ha proposto ricorso per cassazione nei confronti del Ministero della giustizia e dell’Agenzia delle entrate. La ricorrente con l’unico motivo ha lamentato che il Tribunale di Forlì, cumulando, ai fini dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, il suo reddito con quello del coniuge, ha violato l’art. 76 del DPR n. 115/2002: l’articolo, al comma 4, impone di considerare il solo reddito dell’istante nei “processi in cui gli interessi del richiedente sono in conflitto con quelli degli altri componenti il nucleo familiare con lui conviventi” e tra tali processi rientrano anche quelli di separazione consensuale dei coniugi in quanto anche se i coniugi riescono a trovare un accordo circa le condizioni di separazione – afferma la ricorrente – ciò non comporta il venir meno della contrapposizione dei loro interessi.

            Il ricorso pone quindi la questione della cumulabilità o meno dei redditi dei coniugi, ai fini della concessione del patrocinio a spese dello Stato in relazione ad una causa di separazione c.d. consensuale dei coniugi.

La Corte di Cassazione ha ritenuto il motivo fondato e ha accolto il ricorso. Sul punto la Suprema Corte ha rilevato di essersi già pronunciata in un caso di separazione giudiziale, ove era stata chiamata a stabilire se il reddito del coniuge istante va cumulato con quello dei figli conviventi. La Corte ha affermato che “nelle cause di separazione vi è conflitto di interessi solo con il coniuge che ha promosso l’azione o che è convenuto, mentre tale conflitto non è predicabile relativamente al figlio convivente, ancorché in posizione di adesione ad una delle parti in contesa” (Corte di Cassazione, n. 30068/2017).

            D’altro canto – come ha osservato la Procura Generale – che il coniuge controparte non debba essere considerato nell’ambito del procedimento di separazione, ai fini della considerazione dei limiti reddituali di accesso al beneficio, si ricava già dal tenore testuale del citato art. 76, che, con il riferimento alla convivenza in unico nucleo familiare, “sterilizza” l’eventuale obiezione della persistente convivenza dei coniugi separandi quale ragione di revoca del beneficio, essendo il focus della norma, invece, la declinazione delle possibili variabili del conflitto di interessi, siano i coniugi conviventi oppure no.

            L’esclusione del cumulo, ad avviso del Collegio, non va limitata al solo procedimento contenzioso di separazione giudiziale, ma vale anche per il procedimento di separazione su base concordata.

Il fatto che i coniugi accedano al giudizio di omologazione sulla base di un accordo consensuale, accesso che, di regola comune, può avvenire anche unilateralmente (art. 711, secondo comma, c.p.c.), non comporta l’assenza di interessi configgenti tra i coniugi.

La Corte ha, infine, fatto rilevare che “in tema di separazione consensuale il regolamento concordato fra i coniugi ed avente ad oggetto la definizione dei loro rapporti patrimoniali, pur trovando la sua fonte nell’accordo delle parti, acquista efficacia giuridica solo in seguito al provvedimento di omologazione, al quale compete l’essenziale funzione di controllare che i patti intervenuti siano conformi ai superiori interessi della famiglia.

            Ne consegue che, potendo le predette pattuizioni divenire parte costitutiva della separazione solo se questa è omologata, secondo la fattispecie complessa cui dà vita il procedimento di cui all’art. 711 c.p.c. in relazione all’art. 158, primo comma c.c., in difetto di tale omologazione le pattuizioni convenute antecedentemente sono prive di efficacia giuridica” (così Corte di Cassazione, n. 9174/2008).

            In conclusione, la Suprema Corte ha accolto il ricorso e cassato senza rinvio il provvedimento di revoca, ai sensi dell’art. 382, comma 3 c.p.c., in quanto reso in assenza dei presupposti per la sua pronuncia.

Punto di diritto           30 luglio 2019

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