NewsUCIPEM n. 763 – 21 luglio 2019

NewsUCIPEM n. 763 – 21 luglio 2019

Unione Consultori Italiani Prematrimoniali E Matrimoniali

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“Notiziario Ucipem” unica rivista ufficiale – registrata Tribunale Milano n. 116 del 25.2.1984

Supplemento on line. Direttore responsabile Maria Chiara Duranti. Direttore editoriale Giancarlo Marcone

News gratuite si propongono di riprendere dai media e inviare informazioni, di recente acquisizione, 2019che siano d’interesse per gli operatori dei consultori familiari e quanti seguono nella società civile e nelle comunità ecclesiali le problematiche familiari e consultoriali.

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ü  Link diretti e link per download a siti internet, per documentazione.

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02 ADDEBITO                                                    alla moglie per la separazione: ultime sentenze

04 ADOZIONE INTERNAZIONALE              CAI invita Enti autorizzati alla trasparenza sulle adozioni in corso

04 ADOZIONI INTERNAZIONALI                                Cambogia. Otto coppie: così ripartono le adozioni

05 AFFIDAMENTO PREADOTTIVO            Procedimento e formule utili

06 AFFIDI                                                           Minori fuori famiglia: la sfida della formazione degli operatori

08                                                                          Non si metta in dubbio l’utilità rete di aiuto e tutela bambini

09 AFFIDO CONDIVISO                                 Genitore assente responsabile danni figlio prescindendo da altro

09 ASSEGNO MANTENIMENTO FIGLI     Niente reato per il padre che riduce da sé l’assegno al figlio

11 ASSEGNO DIVORZILE                               Applicazione dei criteri di Cass.SU. 18287/2018

11                                                                          48 anni non escludono la possibilità di garantirsi l’autosufficienza

11 ASSOCIAZIONI-MOVIMENTI                               Il consulente familiare e l’adultescenza digitale

12                                                                          Alcune ONG straniere danneggiano il Terzo settore in Italia

12                                                                          “Perché strumentalizzare il Sad per fini politici?”

13 CENTRO INTERN. STUDI FAMIGLIA   Newsletter CISF – N. 28, 17 luglio 2019

14 CENTRO ITALIANO SESSUOLOGIA     Settimana del benessere sessuale

15 CHIESA CATTOLICA                                  Gender: la buona intenzione del dialogo                          

16                                                                          Parole sincere?

17 CITAZIONI                                       Ci sono persone difficili da amare, finché non si scorge in esse …

19 CITTÀ DEL VATICANO                              Approvati Statuti P.I. Giovanni Paolo II su matrimonio e famiglia

20 COMM.ADOZIONI INTERNAZ.             CAI invita gli Enti a pubblicare anche i dati sulle adozioni in corso

20                                                                          Cambogia: al via nuova fase pilota con otto instradamenti

21 COPPIA                                                         Vita di coppia obiettivo 80% giovani, figli essenziali solo per 30%

21 COUNSENLING                                          Psicoterapia per genitori separati con figli: regole

23 DALLA NAVATA                                         XVI Domenica del tempo ordinario- Anno C – 21 luglio 2019

23                                                                          Marta e Maria, il Signore cerca amici non servi                             

24 DONNE NELLA CHIESA                            La vocazione delle donne nella chiesa

25                                                                          Codrignani: dal Vaticano un nuovo/vecchio ordine

28                                                                          Maria Maddalena, la prima messaggera

29 EUROPA                                                       Solida riforma delle norme Ue per proteggere diritti dei bambini

30                                                                          Sui rapporti patrimoniali tra conviventi di fatto

30 FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI    Con 13 miliardi si risolvono per sempre i problemi delle famiglie”

30 FRANCESCO VESCOVO DI ROMA       Ma Francesco è solo, come dice Marco Politi?

32 MATERNITÀ                                                Discriminazione maternità: ultime sentenze                                  

34 MATRIMONIO                                           Quando posso essere infedele

35 PARLAMENTO                                           Senato. 2° Commissione Giustizia. Affido condiviso

37                                                                                                                                              Assegno Divorzile

37                                                       Violenza donne: Codice Rosso è legge

39 SEPARAZIONE                                            Coniuge superstite: niente diritto d’abitazione per il separato

40 TEOLOGIA                                                   Migrare da noi stessi crescere, cambiare, convertirsi

42 VIOLENZA                                                    Matrimoni forzati: fino a 7 anni di carcere

42                                                                          Reato di maltrattamenti e discontinuità nella condotta             

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ADDEBITO

Addebito separazione alla moglie: ultime sentenze

  1. Abbandono del tetto coniugale dipendente e intollerabilità della convivenza. L’abbandono del tetto coniugale non giustifica l’addebito ove sia motivato da una giusta causa costituita dal determinarsi di una situazione di intollerabilità della convivenza coniugale (nella specie, i giudici del merito avevano imputato a una situazione di estrema e prolungata tensione tra i coniugi, tale da determinare l’impossibilità di prosecuzione di una civile convivenza, la causa della separazione, rilevando altresì che siffatta situazione si era verificata antecedentemente alla violazione dei doveri coniugali – obbligo di fedeltà e di coabitazione – da parte della moglie).

Cassazione civile sez. VI, 28/05/2019, n.14591

  1. Moglie si rifiuta di avere rapporti intimi con il marito: c’è addebito? In tema di separazione, è da escludere l’addebito alla moglie che si rifiuta di avere rapporti intimi con il marito, quando ciò dipende da una malattia documentata nonché dall’opprimente atmosfera instaurata in casa dal marito, che non poteva certo agevolare una normale vita di coppia.

Cassazione civile sez. VI, 15/02/2019, n.4653

  1. Infedeltà della moglie. Va innanzitutto chiarito che non può attribuirsi alla condotta del marito – il quale ha dichiarato in sede di interrogatorio formale di aver saputo della relazione della moglie e di aver cercato di sistemare la cosa – efficacia di esimente oggettiva (consenso dell’avente diritto) vertendosi in materia di diritti indisponibili, e considerato che la tolleranza è irrilevante come stato soggettivo esprimente una impensabile accettazione consensuale della condotta infedele del coniuge.

Né si può considerare la condotta del marito come espressione di una sostanziale cessazione dell’affectio coniugalis e quindi della conversione del matrimonio in una protratta convivenza meramente formale. In accoglimento dell’appello del marito ed in riforma della sentenza impugnata, la separazione dei coniugi deve essere pronunciata con addebito alla moglie e, poiché il diritto all’assegno di mantenimento presuppone che la separazione non sia addebitabile al coniuge che ne fa richiesta (art. 156 c.c.), deve anche essere respinta la domanda proposta in tal senso da quest’ultima.                             

Corte appello Roma, 29/05/2018, n.3625

  1. Addebito della separazione per condotta contraria ai doveri coniugali. In materia di separazione personale tra coniugi, la pronuncia di addebito postula l’accertamento di due presupposti: la sussistenza di un comportamento consapevolmente contrario ai doveri nascenti dal matrimonio e il collegamento causale di tale condotta alla situazione di intollerabilità della prosecuzione della convivenza, la quale giustifica la separazione medesima. L’indagine sulla intollerabilità della convivenza e sull’addebitabilità della separazione, tuttavia, non può basarsi sull’esame di singoli episodi, ma deve risultare da una valutazione globale dei reciproci comportamenti che emergono dal processo, senza sfociare nell’accertamento di responsabilità di altro ordine che riguardano la sfera strettamente intima e familiare delle persone. Nel caso di specie, il Tribunale non ha accolto la domanda di addebito in quanto, anche se la relazione extraconiugale del marito era la ragione giustificativa della separazione, non c’è stata, da parte della moglie, una efficace dimostrazione del nesso di causalità tra tale relazione e la rottura dell’unione matrimoniale.

Tribunale Larino, 26/04/2017, n.256

  1. Addebito a carico di uno dei due coniugi. In tema di separazione dei coniugi, la dichiarazione di addebito della separazione implica la imputabilità al coniuge del comportamento, volontariamente e consapevolmente contrario ai doveri del matrimonio. Pertanto, non può esservi dichiarazione di addebito a carico di uno dei due coniugi quando manchi la imputabilità soggettiva di quei comportamenti che hanno reso intollerabile, in modo inequivocabile, la prosecuzione della convivenza ex art. 151, comma 1, c.c. (Nel caso di specie i devastanti comportamenti compulsivi, e le manifestazioni di ossessione religiosa hanno trovato sostanziale conferma nella istruttoria processuale, e tuttavia, ad una valutazione psichiatrica accurata, la moglie – destinataria della domanda di addebito – non è risultata affetta da alcuna conclamata patologia tale da poter spiegare i fenomeni riferiti, portando, così, detta circostanza a far ritenere al Tribunale che la medesima non abbia agito consapevolmente bensì sia stata “agìta”  – come riconosciuto dallo stesso coniuge istante  a detta del quale il malessere spirituale ha provocato atroci sofferenze alla signora, tormenti da lei non direttamente voluti come conseguenza diretta delle proprie scelta di vita).

Tribunale Milano sez. IX, 18/01/2017

  1. Scattate foto in pose allusive alla figlia. La separazione giudiziale va addebitata al coniuge che, con la sua condotta, abbia determinato il venir meno del rapporto fiduciario con l’altro coniuge, e quindi la crisi matrimoniale, oltretutto dando cattivo esempio ed incitamento alla figlia minore adolescente (nella specie, la separazione è stata addebitata alla moglie che: a) ha avuto, o almeno ha dato a intendere di avere, una relazione extraconiugale, alludendovi con post volgari sul suo profilo Facebook, leggibili anche dalla figlia; b) ha ivi pubblicato foto sia sue che della figlia in abbigliamento succinto e con atteggiamento inopportuno per l’una e per l’altra; c) ha consentito che alla figlia venissero scattate foto in pose allusive e discutibili, commentandone poi una positivamente allorché la figlia stessa l’ha pubblicata sul proprio profilo Facebook).

Tribunale Prato, 28/10/2016, n.1100

  1. Tradimento: basta per l’addebito della separazione? Ai fini della pronuncia di addebito, non è sufficiente la sola violazione dei doveri previsti a carico dei coniugi dall’art. 143 c.c., ma occorre verificare se tale violazione abbia assunto efficacia causale nella determinazione della crisi coniugale ovvero se essa sia intervenuta quando era già maturata una situazione di intollerabilità della convivenza (nella specie, il marito aveva chiesto che la separazione fosse addebitata alla moglie per aver la donna intrapreso una relazione, via Internet, con un altro uomo).

Cassazione civile sez. VI, 14/07/2016, n.14414

  1. Addebito della separazione: presupposti. Per l’addebito di responsabilità della separazione in capo ad uno dei due ex coniugi, è necessario verificare che la crisi del rapporto coniugale sia stata determinata dalla violazione dei doveri coniugali e non da altri fattori esterni (nella specie, la Corte ha sottolineato che la situazione d’intollerabilità della convivenza era maturata in una fase immediatamente vicina al deposito del ricorso di separazione personale e quindi per ragioni diverse dalla violazioni degli obblighi matrimoniali.

Infatti, le denunce presentate dalla moglie per maltrattamenti, anche se successivamente risultate infondate, erano per tutelare i figli dal deterioramento del clima familiare, dovuto alla prossimità del ricorso per la separazione).

Cassazione civile sez. I, 01/02/2016, n.1867

  1. Pronuncia di addebito. In tema di separazione personale, la pronuncia di addebito postula l’accertamento di due presupposti: la sussistenza di un comportamento consapevolmente contrario ai doveri nascenti dal matrimonio e che a questo sia causalmente ricollegabile la situazione di intollerabilità della prosecuzione della convivenza, giustificativa della separazione medesima.

In particolare, l’indagine sull’intollerabilità della convivenza e sull’addebitabilità della separazione non può basarsi sull’esame di singoli episodi di frattura, ma deve derivare da una valutazione globale dei reciproci comportamenti, quali emergono dal processo (nel caso di specie viene respinta la richiesta di addebito della moglie, condannata anche al pagamento di un’ulteriore somma ex art. 96 ult. co. c.p.c., per aver perseverato, pur essendo stato trovato un accordo su affidamento e frequentazione dei figli, nel non aderire alla proposta transattiva del marito riguardo all’assegno di mantenimento, di importo uguale a quanto statuito dalla medesima sentenza).

Tribunale Roma sez. I, 29/07/2015

La legge per tutti       11 luglio 2019

www.laleggepertutti.it/290545_addebito-separazione-alla-moglie-ultime-sentenze

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ADOZIONE INTERNAZIONALE

La CAI invita gli enti autorizzati alla trasparenza sulle adozioni in corso

Un’altra vittoria di Ai.Bi. – Amici dei Bambini sul fronte della trasparenza nel sistema della adozione internazionale. La CAI – Commissione Adozioni Internazionali, ha infatti invitato gli Enti autorizzati a pubblicare, oltre a quelli inerenti i procedimenti conclusi, anche i dati relativi alle adozioni in corso.

“Per venire incontro alle esigenze di maggiore trasparenza e facilitare una scelta più consapevole al momento del conferimento dell’incarico all’ente da parte delle coppie aspiranti adottive – ha spiegato in una nota la Commissione – la CAI, nel corso della seduta collegiale del 29 maggio 2019, ha stabilito di procedere alla revisione dell’art.17 della delibera n. 13/2008/SG del 28 ottobre 2008 riguardante la Diffusione dei dati rilevanti per una corretta informazione al pubblico”.

“Il nuovo testo dell’articolo 17 – spiegano ancora dalla CAI – integra le informazioni già messe a disposizione delle coppie adottive con il dato riguardante il numero dei conferimenti pendenti (adozioni in corso) suddiviso per ciascuno dei Paesi in cui l’ente opera. I dati saranno pubblicati sui siti web degli Enti autorizzati e aggiornati ogni tre mesi”.

Una vittoria per Ai.Bi., perché per anni è stato l’unico ente autorizzato a pubblicare i dati sulle adozioni e perché aveva chiesto a gran voce che la CAI – Commissione Adozioni Internazionali, applicasse le linee guida che prevedevano, appunto, la trasparenza.

“Lo scontro con la vicepresidente della CAI di allora, Silvia Della Monica – spiega il presidente di Ai.Bi., Marco Griffini – era sorto proprio sulla questione della trasparenza. La dottoressa Della Monica, che passerà alla storia come la ‘paladina della non trasparenza’, si è infatti rifiutata di imporre agli Enti la pubblicazione dei dati… e non li pubblicava neppure lei stessa, nonostante fosse tenuta a rendere pubblici i dati semestrali e annuali di tutti gli enti e nonostante i pressanti appelli da tutte le parti coinvolte: famiglie, enti, associazioni. Ai.Bi. quindi si vide costretta a calcolare, in base ai dati degli enti che, seguendo l’esempio proprio di Ai.Bi., nel frattempo avevano iniziato a pubblicare, delle stime, applicando idonei algoritmi relativi ai dati di tutto il sistema, quanto meno per dare alle famiglie un’idea dell’andamento delle adozioni, e ricevendo per tutta risposta dalla CAI a gestione Della Monica una diffida a continuare…”

”A quel punto – prosegue Griffini – è iniziato un duro braccio di ferro tra Ai.Bi. e la dottoressa Della Monica, durato quattro anni e sfociato nella non riconferma di colei che ha gettato l’adozione internazionale in Italia nel periodo più buio della sua storia. A proposito, aspettiamo ancora una risposta all’interpellanza presentata dal senatore Quagliariello sulle irregolarità commesse…

“Comunque – conclude il presidente di Ai.Bi. – è logico e ovvio che quanto deciso dalla CAI sia per noi una vittoria, e ne andiamo fieri. Ora però c’è una seconda battaglia da vincere. Quella contro la piaga dei pagamenti in contanti per le adozioni, che abbiamo già denunciato.”
Aibinews         18 luglio 2019

www.aibi.it/ita/adozione-internazionale-la-cai-invita-gli-enti-autorizzati-alla-trasparenza-sulle-adozioni-in-corso
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ADOZIONI INTERNAZIONALI.

                                 Cambogia. Otto coppie: così ripartono le adozioni

Riprendono le adozioni dalla Cambogia. Riprendono dopo anni di blocco (erano state sospese per tutti i Paesi nel 2011) e riprendono «cautamente», come precisa la Commissione Adozioni Internazionali. Ma riprendono.

A maggio la CAI aveva dato notizia del riavvio della cooperazione bilaterale in materia di adozioni internazionali a seguito di una missione a Phnom Penh che si era svolta il 6 e 7 maggio 2019. Recependo quanto emerso dagli incontri con le autorità omologhe cambogiane, la nuova procedura è stata definita dalla CAI a fine maggio delibera 64/2019/SG del 29 maggio 2019): in questa prima fase gli otto enti autorizzati che avranno ricevuto il riaccredito da parte dell’Autorità cambogiana potranno instradare una sola coppia ciascuna. La procedura sarà accuratamente monitorata e in base ai risultati, la Commissione potrà valutare positivamente la richiesta da parte dell’ente per l’autorizzazione ad ulteriori instradamenti. «L’Italia è il primo Paese ad adottare in Cambogia, si tratta di un Paese che riparte dopo una chiusura dovuta a problemi seri, con un nuovo sistema e nuove procedure… dovrà essere considerato come se fosse un Paese nuovo, la cautela è d’obbligo. Inizialmente ci saranno dei limiti in modo da poter seguire da vicino ogni pratica adottiva. Non possiamo pensare di partire con grandi numeri, l’inizio inevitabilmente sarà controllato», aveva d’altronde anticipato a Vita la vicepresidente della CAI, Laura Laera.

Essendo una “prima volta”, stante l’impossibilità di definire tempi di attesa e esito della procedura, «la Commissione ha chiesto agli enti di informare adeguatamente le coppie adottive ponendo l’obbligo di far sottoscrivere ai coniugi una dichiarazione esplicita nella quale vengono accettati i termini e le incertezze della fase pilota».

Secondo l’albo degli enti autorizzati sul sito della CAI, gli otto enti autorizzati operativi in Cambogia sono AiBi, Ariete, Aipa, Ciai, Cifa, Comunità di Sant’Egidio, Lo Scoiattolo, Naaa.

Sara De Carli          VITA.IT                     17 luglio 2019

www.vita.it/it/article/2019/07/17/otto-coppie-cosi-ripartono-le-adozioni-in-cambogia/152254         

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AFFIDAMENTO PREADOTTIVO NAZIONALE

Affidamento preadottivo: procedimento e formule utili

Con l’affidamento preadottivo gli adottanti ottengono l’affidamento sperimentale con il minore. Siffatto affidamento costituisce un presupposto necessario dell’adozione, in quanto l’affidamento definitivo del minore nella nuova realtà familiare pretende la prova concreta che detto affidamento si possa verificare nel beneficio del minore.

Domanda di affidamento preadottivo (art. 22, L. 4.5.1983 n. 184)

www.camera.it/_bicamerali/leg14/infanzia/leggi/legge184%20del%201983.htm

Il procedimento di affidamento preadottivo viene espletato con rito camerale e pertanto non richiede specifiche formalità. Nel corso del procedimento devono comunque essere uditi il pubblico ministero e gli ascendenti dei richiedenti, se presenti, e, qualora abbia capacità di discernimento o compiuto il dodicesimo anno di età, anche lo stesso minore. Qualora questi abbia compiuto il quattordicesimo anno di età, la legge richiede il suo consenso.

Il Tribunale per i minorenni dispone l’affidamento attraverso un decreto motivato, che ha la natura sostanziale dell’attribuzione di un ufficio familiare. Tale decreto deve essere comunicato al pubblico ministero, ai richiedenti e al tutore, oltre al fatto che deve essere trascritto entro dieci giorni, che decorrono dal momento in cui esso diventa definitivo. Infatti, il decreto di affidamento è soggetto a impugnazione. Tale impugnazione si propone con ricorso alla Sezione minorile della Corte d’appello. I legittimati a proporre l’impugnazione sono il pubblico ministero e il tutore. Al pari del provvedimento di affido preadottivo, anche l’impugnazione è decisa in camera di consiglio con decreto motivato. In questo caso devono essere ascoltati il PM, il tutore e “ove occorra” i destinatari del provvedimento impugnato ai sensi dell’art. 24 l. adoz.

Il Tribunale può stabilire modalità particolari nell’affidamento e sul suo controllo, soprattutto nelle modalità in cui esso viene svolto dalla nuova famiglia. Tale attività di vigilanza può essere effettuata tanto attraverso la nomina di un giudice tutelare quanto attraverso un incarico ai servizi locali. Nel caso in cui l’affidamento presenti difficoltà, il Tribunale deve indagarne le cause attraverso l’ascolto, anche separato, del minore e dei suoi affidatari, anche attraverso la consulenza di uno psicologo. È compito del Tribunale predisporre le misure appropriate di sostegno tanto psicologico quanto sociale ai sensi dell’art. 22 l. adoz.

Il procedimento camerale per l’adozione di un minore, in casi particolari, assume natura informale per espresso dettato normativo ex art. 313 c.c., richiamato dall’art. 56, comma 4, L. n. 184/1983. Il principio innanzi espresso determina l’assenza di particolari vincoli di rigida priorità temporale tra i vari atti della procedura, unicamente permanendo la esigenza di tutelare il superiore interesse del minore, la cui indiscutibile prevalenza porta a negare la sussistenza di qualsivoglia interruzione processuale, non giustificata da incompatibilità di disciplina, tra le due procedure camerali per la dichiarazione dello stato di adottabilità e per l’adozione in casi particolari. Ciò rilevato, non possono ritenersi sussistenti preclusioni normative alla prestazione dell’assenso del genitore non appena si prefiguri la possibilità di ricorrere all’adozione in casi particolari, come nella specie avvenuto per la constatata impossibilità dell’affidamento preadottivo, motivata dalla Corte territoriale con il forte legame affettivo oramai sussistente tra la minore ed i futuri genitori adottivi, la cui recisione avrebbe provocato profondi traumi nella psiche della medesima (Cass. civ., sez. I, 12 gennaio 2010, n. 260).

L’annullamento, da parte della Corte d’appello, del provvedimento, del Tribunale per i minorenni, di revoca di un affido preadottivo non comporta automaticamente il riaffido del minore a quello degli affidatari in preadozione che mostri di volersene prendere cura per procedere poi alla sua adozione, dal momento che l’adozione da parte di persona singola conserva, nel nostro ordinamento, carattere eccezionale, sicché spetta al Tribunale per i minorenni scegliere la soluzione più confacente all’interesse del minore procedendo ad una comparazione della disponibilità dell’affidatario e delle “chances” da lui offerte con la disponibilità e le “chances” di altra coppia aspirante all’adozione (Corte App. Napoli, 15 maggio 1996).

Giurisprudenza. La immediata declaratoria dello stato di adottabilità del minore è, in ragione dell’uso della locuzione “a meno che” insita nella disposizione di cui all’art. 11 della L. n. 184/1983, espressamente condizionata all’assenza di una richiesta di sospensione che provenga da chi, affermando di essere uno dei genitori, e dunque anche la madre biologica che abbia optato per l’anonimato, chieda termine per provvedere al riconoscimento del minore. La formulazione della richiesta di sospensione, dunque, la quale non è suscettibile di preventiva e definitiva rinuncia stragiudiziale, non è soggetta a termini processuali di decadenza, sicché ben può intervenire durante tutta la pendenza del procedimento abbreviato di primo grado, purché prima della sua definizione, posto anche che il comma sette della richiamata disposizione priva di efficacia il riconoscimento solo se attuato dopo l’intervenuta dichiarazione di adottabilità e l’affidamento preadottivo (Cass. civ., sez. I, 7 febbraio 2014, n. 2802).

L’adozione in casi particolari, di cui all’art. 44, comma 1, lett. d), L. n. 184/1983, c.d. “mite”, presuppone la constatata impossibilità di diritto, e non solo di fatto, di affidamento preadottivo, posto che, a differenza dell’adozione c.d. legittimante, non presuppone una situazione di abbandono dell’adottando, sicché non rappresenta una extrema ratio, né comporta la recisione dei rapporti del minore con la famiglia d’origine, in quanto risponde, piuttosto, all’esigenza di assicurare il rispetto del preminente interesse del minore, e va disposta al fine di salvaguardare, in concreto, la continuità affettiva ed educativa dei legami in atto dello stesso con i soggetti che se ne prendono cura (nella specie, la Suprema Corte ha confermato la decisione di merito che aveva disposto tale forma di adozione nei riguardi di un minore ormai preadolescente, in favore della coppia che ne era affidataria da circa due anni, atteso, da un lato, che i genitori erano stati dichiarati decaduti dalla responsabilità con provvedimento definitivo, e ne era stata comunque accertata la perdurante inidoneità, e, dall’altro, che il minore aveva instaurato un solido e positivo rapporto con gli adottanti) (Cass. civ., sez. I, 16 aprile 2018, n. 9373).

L’affidamento preadottivo rappresenta una fase necessaria del procedimento di adozione, non surrogabile dall’affidamento provvisorio o di mero fatto; tuttavia, laddove l’interesse del minore lo richieda, il periodo di affidamento preadottivo può essere inferiore a dodici mesi e sommarsi al periodo di affidamento provvisorio (nella specie, discutendosi dell’adozione di un minore di diciassette anni e due mesi – con conseguente preclusione dell’adozione legittimante nell’ipotesi in cui fosse stato disposto l’affidamento preadottivo per il periodo di un anno – è stata ammessa la possibilità di sommare il periodo di affidamento preadottivo all’affidamento provvisorio alla vigilia del compimento del diciottesimo anno di età da parte dell’adottando) (Trib. Minorenni, L’Aquila, 6 marzo 2002).

            Domanda di affidamento preadottivo. (…)

            Elena Falletti, ricercatore confermato di diritto privato comparato, News Altalex 15 luglio 2019

https://www.altalex.com/documents/biblioteca/2019/01/14/affidamento-preadottivo?utm_medium=email&utm_source=WKIT_NSL_Altalex-00005664&utm_campaign=WKIT_NSL_AltalexFree15.07.2019_LFM&utm_source=nl_altalex&utm_medium=referral&utm_content=altalex&utm_campaign=newsletter&&elqTrackId=118d9613e83348ee9384a69b0c675d4d&elq=52dea1cbe9d94b919b2e59265df6de77&elqaid=32839&elqat=1&elqCampaignId=16767

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AFFIDI

Minori fuori famiglia: la sfida della formazione degli operatori

Più formazione. Perché nessun’altra funzione dell’agire sociale più della child protection “carica” gli operatori di responsabilità e al tempo stesso di angoscia (spesso “bruciandoli”). Ma anche perché questo «è un settore in cui il gap tra ricerca e intervento è molto ampio, spesso gli operatori si basano sulla loro esperienza personale e hanno poche occasioni di sentire illustrare i risvolti pratici che le ricerche sui temi dell’affido e dell’adozione hanno. La ricerca scientifica che su questi temi è andata molto avanti, ma spesso i risultati restano patrimonio dei soli addetti ai lavori, sono poche le occasioni per travasare le conoscenze e condividerle con gli operatori».

 A voler continuare a riflettere su e oltre il “caso Val d’Enza”, al di là delle indagini della Magistratura, per ragionare sui buchi del sistema che hanno reso possibile – se le accuse saranno confermate – fatti del genere, quello della formazione degli operatori sociali che hanno il compito di entrare dentro le vite delle famiglie diventa un tema cruciale. Che affrontiamo con Rosa Rosnati, ordinario di Psicologia sociale presso la facoltà di Scienze politiche e sociali all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, specializzata in psicologia dell’adozione, dell’affido e della famiglia, insegna anche ai futuri psicologi, assistenti sociali ed è direttore del master biennale di secondo livello “Affido, adozione e nuove sfide dell’accoglienza familiare: aspetti clinici, sociali e giuridici” promosso dal Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia dell’Università Cattolica in collaborazione con l’Alta Scuola di Psicologia A. Gemelli e l’Istituto degli Innocenti di Firenze e con le facoltà di Psicologia, Scienze politiche e sociali e Giurisprudenza: a gennaio 2020 partirà la quinta edizione.

https://asag.unicatt.it/asag-master-affido-adozione-e-nuove-sfide-dell-accoglienza-familiare-aspetti-clinici-sociali

Casi come quello dell’inchiesta sulla Val d’Enza aprono molte domande. I professionisti che oggi lavorano nei servizi sociali o di child protection e quelli chiamati a valutare e decidere dell’allontanamento di un bambino dalla propria famiglia hanno la formazione giusta per far fronte a questa complessità?

Non voglio certamente entrare nel merito di una vicenda di cui non ho gli elementi e quanto riportano i giornali non è sicuramente sufficiente. Quelle di cui parliamo sono situazioni molto complesse e decidere è assai difficile anche perché trattandosi di legami familiari – che sono per ciascuno di noi primari e fondamento della nostra esistenza – inevitabilmente muovono emozioni e vissuti che rischiano di oscurare il processo decisionale o di renderlo molto tortuoso. Mi sembra di vedere nel tempo una costante oscillazione tra due estremi: da un lato la tendenza a mitizzare il legame di sangue e quindi a procrastinare le decisioni, tentando qualsiasi via per recuperare legami che magari fin dall’inizio appaiono insanabili e all’estremo opposto la propensione a recidere tali legami, a volte senza avere gli elementi sufficienti. Nel passato in particolare c’è stata la tendenza a valorizzare maggiormente l’adozione, a volte recidendo i legami un po’ bruscamente, adesso invece in questa oscillazione il piatto della bilancia pende più sul lato di salvaguardare – a volte ad oltranza – il legame di sangue, nelle prassi e nelle decisioni.

Certamente i legami con i genitori devono essere tutelati, ma al tempo stesso occorre tenere presente il bisogno di cura del figlio, il bisogno di un legame con un padre e una madre, che è qualcosa di non procrastinabile. Il mito del legame di sangue a volte impedisce di prendere decisioni che si basino sul bisogno del bambino, che è il bisogno di instaurare legame di attaccamento sicuro con una figura materna e una figura paterna. Questi bisogno non è procrastinabile, perché i bambini crescono: in questo lavoro c’è da tener presente sempre un ragionamento sul tempo del bambino, che non è il tempo dell’adulto. Il bisogno del bambino ha tempi che possono anche non essere i tempi di cui un adulto può avere bisogno per fruire di un percorso o di un programma, penso ad esempio a un programma di cura nel caso di una dipendenza… a volte questi tempi non corrispondono ai tempi del bambino, che restano però prioritari. Inoltre si investe troppo poco per la prevenzione, troppo poco per diffondere l’affido e per sostenere le famiglie affidatarie, troppo poco per sostenere le famiglie adottive. L’affido e l’adozione hanno una valenza sociale che merita di essere sostenuta, mentre la risonanza che episodi di cronaca come quello della Val d’Enza hanno sull’opinione pubblica purtroppo rischia di offuscare questa valenza sociale. Teniamo presente che ad oggi ci sono in Italia circa 15mila minori che vivono in comunità: molte sono ottime, ma anche in quel caso la comunità può andar bene per periodi brevi o in emergenza ma non può essere il luogo dove un bambino può crescere. Il bambino per crescere deve poter sperimentare un legame di attaccamento sicuro. L’appello allora è per valorizzare forme di affido anche più fluide, che ad esempio permettano a un bambino di trascorrere il pomeriggio o il weekend o le vacanze nella famiglia affidataria, sperimentando legami famigliari solidi e di lungo periodo. Lo chiamano “affido leggero” ma è leggero solo in termini di tempo perché la valenza psicologica per il bambino è tutt’altro che leggera.

È evidente che modificare un disegno di un bambino per documentare un abuso è qualcosa di inaudito. Ma senza arrivare a quello, il modo in cui si pongono le domande a un bambino – in particolare in tema di maltrattamenti e abusi – può influenzare le risposte: esistono linee guida e tecniche condivise dalla comunità scientifica e altre non approvate o ognuno può procedere in base alla sensibilità propria?

L’ascolto del minore – come si ascolta il minore e come si possono porre le domande in modo tale da avere risposte attendibili ma senza che le domanda vadano a influenzare le risposte – è “materia” assai delicata ma ci sono molti studi scientifici e linee guida: gli operatori che si occupano di questo hanno certamente il dovere di formarsi professionalmente e gli strumenti ci sono tutti.

            La “macchinetta dei ricordi” con gli impulsi elettromagnetici di cui abbiamo letto ad esempio è uno strumento che si può/viene usato?

Da quel che abbiamo potuto leggere, dopo iniziali cenni a presunti elettroshock fatti ai bambini, credo si trattasse dell’EMDR: questa è una tecnica valida e validata dal punto di vista scientifico, utile all’interno di un percorso di psicoterapia. Ha le sue basi nelle neuroscienze, secondo cui i traumi vissuti lasciano traccia a livello cerebrale e sedimentano dei circuiti che tendono a riattivarsi nel tempo, a partire da stimoli del presente (trigger). Con questa ripetizione di particolari stimoli sensoriali, tali circuiti automatici invece possono essere interrotti, così che la persona possa acquisire la consapevolezza che il passato è passato, cancella quell’automatismo per cui alcune circostanze del presente riattivano il passato e la persona può meglio utilizzare le risorse di oggi, ben diverse da quelle del bambino che era nel passato. Questo è il punto. L’EMDR è usata da moltissimi psicoterapeuti anche in Italia, con una formazione specifica e sempre all’interno di un percorso di psicoterapia. Occorre capire con chi e quando usare l’EMDR, non per tutti e non sempre e certamente non ha poteri magici e non sostituisce la psicoterapia. È un aiuto e una facilitazione.

            È stato messo in luce il “potere” degli assistenti sociali con le loro relazioni, cui i Giudici sostanzialmente si affidano. Come migliorare questo punto?

Di solito i giudici minorili incontrano, convocano, chiedono chiarimenti… c’è un approfondimento da parte del giudice. Sicuramente le relazioni sono un elemento fondamentale per la decisione del giudice e le relazioni devono essere chiare ed esaustive (compito non semplice), ma sono un elemento della decisione del giudice, non l’unico. Più che di “potere” parlerei di “responsabilità” e certamente chi fa questo lavoro deve avere una preparazione che lo metta nelle condizioni di affrontare e reggere questa responsabilità. Io insegno sia futuri assistenti sociali e psicologi, mi sento molto la responsabilità di trasmettere consapevolezza sulla responsabilità del loro agire. Significa formazione ma anche confronto e lavoro di équipe: le situazioni su cui devono prendere decisioni sono così complesse che più queste decisioni sono condivise con altri professionisti, meglio è. Spesso ad esempio lo psicologo e l’assistente sociale lavorano insieme. L’operatore non può essere da solo ad affrontare una situazione così complessa. Certo, lo so, c’è un problema di organizzazione dei servizi.

Una formazione migliore degli operatori, su questi temi, su cosa deve puntare?

Questo è un settore in cui il gap tra ricerca e intervento è molto ampio. Spesso gli operatori si basano sulla loro esperienza personale e hanno poche occasioni in cui ascoltare i risvolti pratici delle tante ricerche scientifiche sui temi dell’affido e dell’adozione. La ricerca scientifica su questi temi è andata molto avanti, ma spesso i risultati restano patrimonio dei soli addetti ai lavori, sono poche le occasioni per travasare le conoscenze e condividerle con gli operatori. È necessario al contrario diffondere una cultura scientificamente fondata, attraverso convegni e iniziative di alta formazione, sostenendo la formazione continua degli operatori che devono essere messi nelle condizioni di poterla fare, in termini di tempo e di sostegno economico. Oltre al master che ripartirà a gennaio 2020, a Milano nel luglio 2020 si terrà anche la settima edizione dell’International Conference on Adoption Research (ICAR), un evento internazionale davvero importante che ospiterà i maggiori esperti di adozione da tutto il mondo, in maniera interdisciplinare. Uno temi che sarà approfondito in un seminario aperto è proprio quello delle conseguenze delle esperienze traumatiche e sulle possibilità di intervento e recupero nei bambini adottati.               https://convegni.unicatt.it/icar-home

Sara De Carli             Vita.it  17 luglio 2019

www.vita.it/it/article/2019/07/17/minori-fuori-famiglia-la-sfida-della-formazione-degli-operatori/152257

 

«L’orrore di Reggio Emilia non metta in dubbio l’utilità della rete di aiuto e tutela dei bambini»

L’intervento della psicologa e psicoterapeuta Maria Elisa Antonioli. «Pare crollare tutto il mondo sociale adulto protettivo che da sempre ha il compito di riabilitare i suoi piccoli maltrattati da alcuni adulti in una collusione tra più livelli che lascia increduli e sconcertati. Quello che è successo è tra le nefandezze più efferate e meschine che l’umanità possa perpetrare»

A Reggio Emilia pare crollare tutto il mondo sociale adulto protettivo che da sempre ha il compito di riabilitare i suoi piccoli mal-trattati da alcuni adulti in una collusione tra più livelli che lascia increduli e sconcertati.

Il bambino che si trova in una situazione, personale e familiare, di disagio ha bisogno di rassicurazioni coerenti con la realtà per dare un senso a ciò che sta vivendo e di essere “accompagnato” a trovare una via di uscita per ri-costruire, con l’aiuto di adulti ‘fidati e protettivi’, il senso della trama della sua vita.

È necessario quindi che chi si approccia a tali bambini in una relazione di aiuto sia sostenuto da un’alta professionalità e da una forte integrazione interna tra le dimensioni professionale, etica, affettiva e normativa, oltre che deontologica. Il bambino, spesso deluso e maltrattato proprio dalla persone per lui più significative, ha bisogno di fidarsi per potersi affidare e riprendere speranza nel futuro. La strumentalizzazione di un bambino da parte dell’ambiente adulto, specie se significativo e rilevante sul piano affettivo, è spesso in agguato e non molto difficile da raggiungere. Ma che questa sia messa in atto, addirittura con manipolazioni e sperimentazioni pseudo scientifiche, da parte di chi dovrebbe aiutare il bambino ad esprimere le sue vere esigenze, i suoi desideri, i suoi affetti più profondi, le sue fragilità, le sue paure …, risulta al limite della perversione.

La rete di aiuto e tutela dei bambini è infatti molto ampia e dinamica ponendosi a più livelli dal sociale al sanitario, all’educativo, al giuridico, al volontariato. È una rete che si pone come risorsa e spesso risulta vitale, fruttuosa e protettiva in cui competenza, capacità di ascolto, impegno, solidarietà, accoglienza, empatia, rispetto delle persone, soprattutto delle più fragili, sono l’humus del progetto di aiuto per ciascun bambino. Il bambino, nella sua integrità, va riconosciuto come tale da chiunque lo avvicini ed è immediatamente intuibile quale danno ne deriverebbe dall’alternarsi di decisioni contrastanti sulla sua collocazione e, più in generale, sul suo futuro. È necessario quindi garantire un coordinamento tra tutti coloro che interagiscono col bambino per l’integrazione degli interventi al fine di fornire una risposta coordinata e coerente ai suoi specifici bisogni.

In questo iter la verifica, passo dopo passo, condizione necessaria che permette il confronto ed eventuale modifiche in itinere, pare a Reggio Emilia essere clamorosamente mancata o molto tardiva in una sconvolgente collusione tra operatori e servizi che rasenta un delirio di onnipotenza.

La strumentalizzazione delle fasce deboli in questi tempi è molto frequente ed è probabile che dovremo assistere ai soliti slogan con giudizi sommari che penalizzano, oltre chi svolge questo difficilissimo lavoro con impegno e professionalità, i bambini stessi usati ancora una volta per fini a loro estranei.

Ciò che è avvenuto a Reggio Emilia, se sarà confermato, non è un errore ma un orrore tra i più efferati e meschini che l’umanità possa perpetrare: maltrattare i propri figli, o i bambini di cui a livello istituzionale bisogna aver cura, tanto più per il proprio tornaconto, significa la perdita di ogni futuro per tutti.

Maria Elisa Antonioli, psicologa e psicoterapeuta  15 luglio 2019

www.vita.it/it/article/2019/07/15/lorrore-di-reggo-emilia-non-metta-in-dubbio-lutilita-della-rete-di-aiu/152235

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AFFIDO CONDIVISO

Il genitore assente è responsabile dei danni subiti dal figlio a prescindere dal comportamento dell’altro

Corte di Cassazione, terza Sezione civile, ordinanza 14382, 27 maggio 2019

www.inmediar.it/cassazione-condanna-padre-assente/

Ciascun genitore è tenuto al risarcimento dei danni causati ai figli per non aver adempiuto agli obblighi di mantenimento, istruzione ed educazione, senza poter invocare l’eventuale inadempimento dell’altro. [Ciò per 40 anni]. Secondo la sentenza della Cassazione, la responsabilità e gli obblighi derivanti dal rapporto di filiazione (tra cui quello di mantenere, istruire, educare e assistere moralmente i figli) gravano su entrambi i genitori, non certo solo su quello convivente e, tanto meno, addirittura, solo su quello più attivamente “presente”.

Dell’adempimento di tali obblighi ciascun genitore risponde, quindi, integralmente.

La Suprema Corte ha così rigettato il ricorso di un padre, condannato sia in primo grado che in grado di appello al risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, derivanti dalla assunta violazione dei suoi obblighi di genitore (in particolare, di quello di mantenere, istruire ed educare la figlia).

Il ricorrente aveva tentato di sostenere la singolare tesi secondo cui, in conseguenza della sua “assenza” come genitore (intesa come inadempimento ai propri doveri genitoriali), l’altro genitore sarebbe diventato l’unico a dover assumere, in concreto, l’obbligo di mantenere, istruire ed educare la figlia, e quindi di intervenire tempestivamente – di fronte alle difficoltà di quest’ultima – per porre in essere i rimedi adeguati, onde evitare i danni poi dalla stessa risentiti. Nella specie, oltre al “complessivo disagio materiale e morale”, la ragazza aveva subito ulteriori conseguenze pregiudizievoli, tra cui la scelta forzata di abbandonare gli studi, con riflessi sulle sue possibilità di realizzazione professionale ed economica.

La Cassazione ha precisato che la responsabilità del genitore per i danni subiti dal figlio, in conseguenza del suo inadempimento ai propri obblighi di mantenimento, istruzione, educazione ed assistenza, non può ritenersi esclusa o limitata dalla circostanza che anche l’altro genitore possa non avere correttamente adempiuto ai rispettivi doveri.

Inoltre, la pronuncia in esame ricorda il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui, anche nell’ipotesi di figlio riconosciuto, al momento della nascita, da un solo genitore, il quale è tenuto perciò a provvedere per intero al suo mantenimento, non viene meno l’obbligo dell’altro genitore per il periodo anteriore alla pronuncia della dichiarazione giudiziale di paternità o maternità naturale, essendo sorto sin dalla nascita il diritto del figlio naturale ad essere mantenuto, istruito ed educato nei confronti di entrambi i genitori.

                       Redazione giuridica Brocardi           18 luglio 2019

www.brocardi.it/notizie-giuridiche/genitore-assente-responsabile-danni-subiti-figlio-prescindere/1953.html

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ASSEGNO DI MANTENIMENTO PER I FIGLI

Niente reato per il padre che riduce da sé l’assegno al figlio

Per la Cassazione dall’inadempimento non deriva automaticamente il reato, dovendo il giudice valutare se la condotta ha inciso in maniera apprezzabile sui mezzi economici che l’onerato deve fornire.

Corte di Cassazione, sesta sezione penale, sentenza n. 29896,  8 luglio 2019

www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_35274_1.pdf

Non commette il reato di cui all’art. 570, secondo comma, codice penale, il genitore che versa solo in parte, dunque in misura ridotta, l’assegno di mantenimento nei confronti del figlio. La fattispecie delittuosa è integrata solo qualora tale condotta abbia inciso in maniera apprezzabile sui mezzi di sussistenza che l’onerato è tenuto a fornire al minore, tenuto conto della di tutte le altre circostanze (ovvero delle spese effettivamente sostenute e delle somme che sono state versate). Resta salva la possibilità per la persona offesa di agire in sede civile per il recupero delle somme non versate.

La Suprema Corte ha così respinto il ricorso della Procura di Bologna nella vicenda riguardante un uomo che aveva versato in misura ridotta l’importo fissato dal giudice per il mantenimento del figlio minore. Da qui la querela della ex e madre del bambino che aveva fatto scattare l’accusa di violazione degli obblighi di assistenza familiare. Tuttavia, il GIP aveva prosciolto l’indagato ritenendo insussistente il fatto poiché la condotta sanzionata: secondo il giudice, infatti, l’art. 570, comma 2, c.p., presuppone uno stato di bisogno, nel senso che l’omessa assistenza deve avere l’effetto di fare mancare i mezzi di sussistenza che comprendono quanto necessario per la sopravvivenza, situazione che non si identifica né con l’obbligo di mantenimento, né con quello alimentare, aventi una portata più ampia.

Atteso l’inadempimento solo parziale delle obbligazioni di pagamento incombente sull’indagato non poteva dirsi sufficientemente accertata la ricorrenza di uno stato di bisogno ai fini della configurazione della fattispecie penale. Invece, per i crediti nel frattempo maturati, la persona offesa avrebbe potuto esperire l’azione civile per il recupero.

Una decisione confermata anche in Cassazione nonostante il ricorso del Procuratore Generale presso la Corte di appello secondo cui lo stato di bisogno sarebbe insisto nei confronti del minore che non è in grado di procacciarsi un debito proprio; pertanto, secondo parte ricorrente, non rileverebbe in senso esimente la parzialità dell’inadempimento in quanto la giurisprudenza richiede che l’inadempimento sia serio e sufficientemente protratto.

La violazione degli obblighi di assistenza familiare. Doglianze che non convincono gli Ermellini. Indubbiamente la pacifica giurisprudenza in materia di violazione degli obblighi di assistenza familiare ha affermato il principio che la minore età dei discendenti, destinatari dei mezzi di sussistenza, rappresenta in re ipsa una condizione soggettiva dello stato di bisogno, che obbliga i genitori a contribuire al loro mantenimento, assicurando i predetti mezzi di sussistenza.

In particolare, il reato di cui all’art. 570, comma 2, c.p., si configura anche quando uno dei genitori ometta la prestazione dei mezzi di sussistenza in favore dei figli minori o inabili, ed al mantenimento della prole provveda in via sussidiaria l’altro genitore.

            Tanto premesso, nel caso di specie la questione che rileva è se il comportamento posto in essere dall’imputato abbia fatto venir meno, in concreto, la fruizione dei mezzi di sussistenza da parte dell’avente diritto, risultando l’assegno da lui mensilmente versato nel periodo in esame, ma in misura ridotta e contenuta (per una parte versata spontaneamente, per altro periodo sulla base del provvedimento del Tribunale per i minorenni).

            Ai fini della configurabilità del menzionato reato, tuttavia, la giurisprudenza ritiene che nell’ipotesi di “corresponsione parziale” dell’assegno stabilito in sede civile per il mantenimento, il giudice penale deve accertare se tale condotta abbia inciso apprezzabilmente sulla disponibilità dei mezzi economici che il soggetto obbligato è tenuto a fornire al beneficiario, tenendo conto, inoltre, di tutte le altre circostanze del caso concreto, ivi compresa la oggettiva rilevanza del mutamento di capacità economica intervenuta, in relazione alla persona del debitore, mentre deve escludersi ogni automatica equiparazione dell’inadempimento dell’obbligo stabilito dal giudice civile alla violazione della legge penale (cfr. Cass. n. 15898/2014).

Mantenimento versato solo in parte? Non scatta automaticamente il reato. Ne consegue che il reato non può ritenersi automaticamente integrato con l’inadempimento della corrispondente normativa civile e, ancorché la violazione possa conseguire anche al ritardo, il giudice penale deve valutarne in concreto la “gravità”, ossia l’attitudine oggettiva ad integrare la condizione che la norma tende, appunto, ad evitare.

            Dai dati accertati dal giudice di merito appare che il padre, nel periodo in contestazione, non aveva versato solo una parte delle somme (nel 2012 la somma di 600 euro, nel 2013 quella di 1.100 euro, nel 2014 quella di 378 euro), ma in generale aveva sempre costantemente contribuito al mantenimento del figlio, pagando anche le spese straordinarie della refezione scolastica e corrispondendo tutto l’occorrente nei periodi che il minore trascorreva in sua compagnia.

            Il Procuratore ricorrente, invece, ha trascurato di valutare se il ridotto adempimento avesse determinato il mancato soddisfacimento dell’effettivo stato di bisogno del minore: secondo i giudici, infatti, con il suo comportamento, l’imputato non ha fatto venir meno, in concreto, la fruizione del mezzi di sussistenza da parte dell’avente diritto, risultando l’assegno da lui mensilmente versato nel periodo in esame bensì inferiore, ma in misura alquanto ridotta e contenuta, rispetto a quella poi determinata dal Giudice.

Lucia Izzo                  Studio Cataldi            15 luglio 2019

www.studiocataldi.it/articoli/35274-mantenimento-niente-reato-per-il-padre-che-riduce-da-se-l-assegno-al-figlio.asp

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ASSEGNO DIVORZILE

Applicazione dei criteri di Cass. SU. 18287/2018

Tribunale Milano, nona Sezione civile, sentenza 6665, 05 luglio 2019

http://mobile.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/22099.pdf

Il tribunale di Milano rigetta la domanda di assegno divorzile dando applicazione ai criteri indicati dalle Sezioni Unite (sentenza n. 18287, 11 luglio 2018)

www.altalex.com/documents/altalex/massimario/cassazione-civile/2018/18287/matrimonio-e-divorzio-divorzio-assegno-di-divorzio

L’eventuale rilevante squilibrio tra le posizioni economico-patrimoniali dei coniugi non solo non è condizione necessaria e sufficiente al riconoscimento dell’assegno ma deve altresì essere riferibile a scelte fatte in conseguenza del matrimonio o all’interno di esso.

In difetto di prova di tali elementi, l’attività lavorativa e la percezione di redditi in via continuativa, l’età al momento del matrimonio, la non lunga durata dello stesso sono indici che rilevano ai fini dell’esclusione del diritto all’assegno divorzile anche in caso di divergenti condizioni economico-patrimoniali dei coniugi.

Laura Dalla Casa      Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 22099 -16 luglio 2019

http://mobile.ilcaso.it/sentenze/ultime/22099

 

48 anni non bastano a escludere la possibilità di garantirsi l’autosufficienza

A seguito di separazione consensuale, il coniuge, tenuto alla corresponsione dell’assegno di mantenimento, ricorre al Tribunale di Novara per la revoca dello stesso, atteso il peggioramento della propria situazione economica. In sede di divorzio l’ex moglie propone istanza per il riconoscimento dell’assegno divorzile nella stessa misura dell’assegno di separazione precedentemente concordato.

Il Tribunale, in linea con la giurisprudenza di merito formatasi dopo la pronuncia delle Sezioni Unite del 2018 (sent. n. 18287, 25 luglio 2018), reputa che l’assenza di un nesso causale tra lo stato di disoccupazione e le scelte assunte dai coniugi in costanza di matrimonio circa la conduzione della vita familiare, non comporti l’automatico venir meno della funzione assistenziale e solidaristica dell’assegno, purché in tali ipotesi l’impossibilità oggettiva del coniuge a procurarsi mezzi di sostentamento adeguati sia parametrata alla possibilità di reperire un’attività lavorativa idonea a garantire l’autosufficienza.

            Impossibilità oggettiva nel procurarsi mezzi adeguati? Nel caso di specie la ricorrente adduce come causa di difficoltà di inserimento lavorativo la sola età anagrafica, senza far riferimento ad altri elementi come ad esempio pregresse esperienze lavorative, l’indicazione del proprio titolo di studi o l’iscrizione ad agenzie interinali, che rappresentino la seria intenzione di ricercare un lavoro. Tale carenza di documentazione ha impedito al Tribunale di ritenere provata l’impossibilità della resistente a reperire mezzi di sostentamento adeguati, infatti l’età, nel caso di specie 48 anni, non precluderebbe alla donna lo svolgimento di un’attività lavorativa nel contesto economico e geografico in cui vive. In conclusione la domanda di riconoscimento dell’assegno divorzile non può trovare accoglimento.

Il familiarista redazione scientifica  15 luglio 2019

https://www.diritto.it/lassegno-divorzio-alla-luce-della-sentenza-ss-uu-n-18287-2018/http://ilfamiliarista.it/articoli/news/48-anni-non-bastano-escludere-la-possibilit-di-garantirsi-l-autosufficienza-negato-l-a

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ASSOCIAZIONI       MOVIMENTI

Il consulente familiare e l’adultescenza digitale

L’Associazione Italiana Consulenti Coniugali e Familiari per il ciclo Le relazioni al tempo dei social

organizza il 20 ottobre 2019 il convegno il consulente familiare e l’adultescenza digitale.

Il convegno si svolgerà presso lo Zanhotel Europa, Via Cesare Boldrini 11, Bologna

L’“adultescenza”, uno tra i problemi emergenti nel tempo dei social, è un neologismo che si applica a tutti coloro che, pur avendo raggiunto biologicamente l’età adulta, presentano un’identità con tratti adolescenziali. In questa Giornata si analizzeranno le implicazioni relazionali nella coppia, nella famiglia e nella società.

Il relatore della Giornata sarà il prof.  Francesco Belletti, sociologo e direttore del CISF.

Durante la Giornata sarà celebrata l’Assemblea ordinaria dei Soci, con le relazioni del Presidente, del Segretario/Redattore e dei Revisori dei Conti sui Bilanci dell’Associazione.

Anche in questa edizione la partecipazione ai Laboratori andrà programmata preventivamente in sede di iscrizione, con una prima ed una seconda scelta. I Laboratori saranno a numero chiuso, per motivi logistici.

www.aiccef.it/it/news/a-bologna-la-prossima-giornata-di-studio.html

 

Alcune ONG straniere danneggiano il Terzo settore in Italia

                                   Il presidente di Amici dei Bambini: “Gli italiani sfiduciati da alcune ONG non italiane, non dal volontariato in generale. Urge iniezione di credibilità con la definizione di regole chiare: no a stipendi eccessivi, ‘pornografia del dolore’, pubblicità a pagamento”

       “Gli italiani non nutrono una generale sfiducia verso il Terzo settore, ma verso un piccolo gruppo di ONG non italiane. Soggetti non italiani, programmaticamente non rispettosi delle leggi nazionali, poco trasparenti nel finanziamento e nei loro mandanti, chiarissimi solo in un obiettivo: agire con finalità palesemente politiche. È questo il ‘volontariato’ che non piace agli italiani, non quello italiano, impegnatissimo anche ad accogliere i migranti, resistendo a ogni tentazione di buttarla in politica”.

       Lo dichiara il presidente di Ai.Bi. – Amici dei Bambini, Marco Griffini, a proposito dei dati del sondaggio IPSOS emerso nei giorni scorsi, secondo cui solo il 39% degli italiani affermerebbe di avere fiducia nel Terzo settore, contro l’80% del 2010.  Occorre però considerare, visto il grande impatto mediatico dell’accaduto, che il sondaggio è stato condotto nei giorni successivi alla vicenda ‘Sea Watch 3’.

       “Si dimostra così – prosegue Griffini – che l’attività politicamente strumentale di alcune ONG straniere è deleteria e pericolosa per tutto il mondo del volontariato, danneggiando tutte le altre ONG, quelle che fanno solidarietà senza secondi fini. Per reagire urge un’iniezione di credibilità, non è più rinviabile la definizione di regole chiare per stabilire quali siano i requisiti per operare nel mondo della solidarietà. Quattro sopra tutto: l’assenza di un compenso al presidente e ai membri del Consiglio direttivo, tutti devono essere volontari; l’impossibilità per chi fa raccolta fondi a fini di solidarietà di retribuire i propri dirigenti e dipendenti con stipendi equivalenti a quelli del settore profit, con l’obbligo di pubblicare sui propri siti i vari livelli retributivi (come fa Ai.Bi. – Amici dei Bambini); il divieto assoluto di acquisire spazi pubblicitari a pagamento per la raccolta fondi; il divieto assoluto di fare ricorso alla ‘pornografia del dolore’ per attività di comunicazione”.

       Griffini, nei giorni scorsi, aveva preso posizione anche contro la campagna #ognicoppiapuò di un’altra grande ONG, volta a sensibilizzare sulle adozioni omosessuali. “Un altro esempio di strumentalizzazione – spiega il presidente di Ai.Bi. – Chi fa Sostegno a Distanza dovrebbe sapere che questa è una forma di accoglienza diversa dall’adozione, pertanto accostare questo mondo alle adozioni omosessuali è una forzatura politica”.

AiBinews 19 luglio 2019

www.aibi.it/ita/marco-griffini-ai-bi-alcune-ong-straniere-danneggiano-il-terzo-settore-in-italia

 

“Perché strumentalizzare il Sostegno A Distanza per fini politici?”

Il presidente di Amici dei Bambini: “Non riteniamo etico strumentalizzare una forma di accoglienza bellissima come il Sostegno a Distanza per portare avanti una battaglia politica per presunti diritti degli adulti”.

            “Chi ha come missione l’accoglienza dei bambini abbandonati del mondo sa benissimo che questi hanno bisogno di un padre e una madre. Il Sostegno a Distanza non c’entra assolutamente nulla con le battaglie politiche per presunti diritti degli adulti e men che meno con l’adozione per le coppie omosessuali. Non può essere strumentalizzato in questo modo”. Lo dichiara il presidente di Ai.Bi. – Amici dei Bambini, Marco Griffini, a proposito della campagna #ognicoppiapuò di ActionAid, che utilizza anche le immagini dei due vicepremier del Governo Conte, Luigi Di Maio e Matteo Salvini.

“Riteniamo che non sia etico – ha dichiarato il presidente di Ai.Bi. – strumentalizzare una forma di accoglienza pura e bellissima, come il Sostegno a Distanza, per altre finalità, come quella di rilanciare il tema della adozione alle coppie omosessuali. Il SAD non ha nulla a che fare con l’adozione, nazionale o internazionale. E comunque chi ha competenza nella materia delle misure di protezione dell’infanzia sa che il vero diritto di questi minori è di vivere non con una ‘coppia qualsiasi’, quello semmai è un capriccio degli adulti, ma con una mamma e papà, potendo così sviluppare relazioni positive tanto con la figura femminile quanto con quella maschile. Figure entrambe necessarie e complementari nello sviluppo armonico di un bambino che quasi sempre si porta dietro i traumi dell’abbandono materno e paterno”

            “Siamo francamente rammaricati – ha aggiunto Griffini – di come le multinazionali della solidarietà utilizzino il SAD: da quando sono intervenute in Italia, che, ricordiamolo, è il Paese che 50 anni fa ha inventato questa forma di solidarietà, hanno trasformato quello che era (e deve rimanere) una relazione di accoglienza fra un sostenitore e un ‘bambino lontano’ o una comunità in una mera raccolta fondi, ricorrendo, senza alcuna remora, all’acquisizione di spazi pubblicitari a pagamento. E anche questa iniziativa ne è una dimostrazione”.

            Ai.Bi. Associazione Amici dei Bambini, costituita da un movimento di famiglie adottive e affidatarie, dal 1986 lavora ogni giorno al fianco dei bambini ospiti negli istituti di tutto il mondo per combattere l’emergenza abbandono.

AiBinews 17 luglio 2019

www.aibi.it/ita/griffini-ai-bi-contro-la-campagna-ognicoppiapuo-perche-strumentalizzare-il-sad-per-fini-politici

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CENTRO INTERNAZIONALE STUDI FAMIGLIA

Newsletter CISF – n. 28, 17 luglio 2019      

Il fondo per la famiglia. L’analisi della Corte dei conti. Un commento del direttore Cisf (F.Belletti) sul sito di Famiglia Cristiana. “È passata sotto silenzio (tranne poche eccezioni) la relazione approvata dalla Corte dei Conti il 28 giugno 2019, concernente “La gestione del Fondo per le politiche della famiglia (2012-2018)”, che viene consegnata a Camera, Senato e Governo per le necessarie valutazioni e verifiche.              www.camera.it/temiap/2019/07/03/OCD177-4088.pdf

Si tratta di un documento estremamente dettagliato, che ricostruisce con rigore atti, flussi economici, decisioni del Governo, su un tema che rimane la Cenerentola del dibattito pubblico oggi: come sostenere la famiglia, e soprattutto come costruire serie politiche per la famiglia”

www.famigliacristiana.it/articolo/la-corte-dei-conti-sul-fondo-famiglia-2012–2018.aspx?utm_source=newsletter&utm_medium=newsletter_cisf&utm_campaign=newsletter_cisf_17_07_2019

Migrazioni – Speciale. Prosegue, nella Newsletter, la pubblicazione di notizie mirate sul tema delle migrazioni a livello nazionale e globale, ormai costantemente all’attenzione dell’opinione pubblica, per costruire un pensiero riflessivo. In preparazione della prossima 65.a Conferenza ICCFR – CISF, Roma, 14-16 novembre 2019 (e con costanti aggiornamenti su programma ed eventi collegati): “Famiglie e minori rifugiati e migranti. Proteggere la vita familiare nelle difficoltà”

http://newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/attachments/newscisf2819_iccfr1.pdf

Europa.  The european benchmark for refugee integration: a comparative analysis of the national integration evaluation mechanism in 14 EU countries

www.migpolgroup.com/wp-content/uploads/2019/06/The-European-benchmark-for-refugee-integration.pdf

(Quali livelli omogenei europei per l’integrazione dei rifugiati: un’analisi comparata dei meccanismi di valutazione dell’integrazione nazionale in 14 Paesi dell’Unione Europea). “Lo studio evidenzia quanto i Paesi europei siano lontani dal garantire una prospettiva di miglioramento delle condizioni di vita dei rifugiati, nonostante gli standard stabiliti dall’Unione Europea e dal diritto internazionale. Lo studio realizzato nell’ambito del “National Integration Evaluation Mechanism (NIEM)” mette a confronto l’integrazione dei rifugiati in 14 Paesi europei: Repubblica Ceca, Francia, Grecia, Ungheria, Italia, Lettonia, Lituania, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Romania, Slovenia, Spagna e Svezia, rivelando come le politiche degli Stati membri divergano e falliscano nel garantire un’armonizzazione nell’integrazione dei rifugiati”.

Europa. Who Cares? Securing support in old age (Chi cura? Come garantire assistenza durante la vecchiaia). Population & Policy Compact, Policy Brief No. 21, May 2019.

newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/attachments/newscisf2819_allegato1.pdf

Breve memo frutto di un expert meeting organizzato da Population Europe, rete di prestigiosi centri di ricerca socio-demografici. Emergono diversi punti interessanti: in primo luogo la perdurante centralità delle relazioni familiari nella cura per gli anziani (coniugi, fratelli, figli), ma anche un loro progressivo affievolirsi, a causa del cambiamento demografico e della crescente mobilità geografica. In secondo luogo emerge l’importanza di promuovere servizi/interventi domiciliari, per mantenere le persone anziane il più a lungo possibile nel proprio contesto sociale e di vita. I sistemi europei di welfare saranno comunque in difficoltà nel garantire a tutti una vecchiaia dignitosa.

Tutela infanzia. 2018. Relazione al Parlamento dell’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza.    www.garanteinfanzia.org/sites/default/files/agia-relazione-parlamento-2018-web.pdf

A giugno 2019 è stata presentata la Relazione al Parlamento, del Garante, Avv. Filomena Albano. Oltre 200 pagine sui diversi aspetti legati alla protezione e promozione dell’infanzia nel nostro Paese. La Relazione al Parlamento sull’attività dell’Agia nel 2018 pone le basi per individuare oggi, alla luce delle emergenze attuali, sette tra gli ambiti prioritari di intervento per le istituzioni e il mondo degli adulti in generale a tutela di bambini e ragazzi che vivono nel nostro Paese: “sette cantieri aperti”: rapporti familiari, violenza sull’infanzia, inclusione, rapporto dei minorenni con la giustizia, dipendenze e salute, educazione e Autorità garante. I sette cantieri in Italia per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in dettaglio.                     www.garanteinfanzia.org/sites/default/files/03-scheda-cantieri-dettaglio.pdf

Dalle case editrici

  • EDB, L’imperativo gentile. Un contributo al dibattito su Amoris lætitia, Sesta L.
  • Erickson, Figli imperfetti. Come riconoscere i punti di forza nei difetti dei nostri figli, Brosche H.
  • Erickson, Tutto quello che vorresti sapere sulla menopausa. Strategie psicologiche per affrontarne sintomi e difficoltà, Montano A., Vitali S.

http://newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/attachments/newscisf2819_allegatolibri.pdf

  • Grilli Simonetta, Antropologia delle famiglie contemporanee, Carocci, Roma, 2019, pp. 315, € 28,00. Oggetto del libro sono le forme fluide, mutevoli, inattese che la famiglia e la parentela hanno assunto nelle società attuali. Facendo riferimento a ricerche condotte per lo più nel contesto italiano, lo studio si concentra sui processi di moltiplicazione delle forme familiari, di pluralizzazione dei legami e delle soggettività parentali. Ne emerge il recedere di schemi e modelli normativi socialmente riconosciuti, incorporati fino a un passato recente in forme più o meno tacite nelle prassi degli attori sociali. I comportamenti familiari e parentali sono oggi riconducibili alle dinamiche demografiche e strutturali, alla revisione dei rapporti di genere e fra le generazioni, all’apparire di nuove concezioni etiche e del diritto, alle possibilità indotte dalle pratiche mediche. Pur essendo in parte imprevedibili, essi possono essere compresi alla luce di un principio, quello di “scelta consapevole”, che ne costituisce un fondamento ideologico forte, capace di orientare le pratiche concrete.

Save the date

  • Nord: Amore di fratelli e di sorelle, XII convegno della famiglia, promosso e sostenuto da Comune di Cremeno e di Barzio, Comunità Pastorale Regina dei Monti, C.O.E. (Centro Orientamento Educativo), Banca della Valsassina – il Credito Cooperativo, Barzio (LC), 3 agosto 2019.

www.valsassinanews.com/2019/08/01/amore-di-fratelli-e-di-sorelle-sabato-il-convegno-sulla-famiglia

  • Centro: La Tutela dei Soggetti Deboli: L’Amministratore di Sostegno, intervento formativo promosso da I.S.S.A.S. (Istituto Superiore di Studi e Ricerca per l’Assistenza Sociale e Sanitaria), con crediti formativi per assistenti sociali, Roma, 19 ottobre 2019

www.cnoas.it/cgi-bin/cnoas/vfale.cgi?i=QQMQNQANSRRQOQHAYNUSBR&t=brochure&e=.pdf

  • Sud: Ripensare l’umano? Neuroscienze, new-media, economia: sfide per la teologia, congresso nazionale ATI (Associazione Teologica Italiana), Enna, 2-6 settembre 2019.

http://disf.org/files/ati_-_congresso_2019_-_ridotto.pdf

  • Estero: Social Citizenship, Migration and Conflict – Equality and opportunity in European welfare states, conferenza internazionale promossa da ESPANET Europe (European Network for Social Policy Analysis), Stoccolma, 5-7 settembre 2019.                           https://espanet2019.se

Iscrizione                  http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/newsletter-cisf.aspx

Archivio        http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/elenco-newsletter-cisf.aspx

                                                      newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/luglio2019/5133/index.html

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CENTRO ITALIANO di SESSUOLOGIA

                                                      Settimana del benessere sessuale

     In occasione della Settimana del Benessere Sessuale indetta dalla FISS, il Centro Italiano di Sessuologia organizza un Seminario dal titolo: “Sessuologia e Chirurgia Andrologica sono un matrimonio possibile?” che si terrà il 28 settembre 2019, dalle 9.30 alle 13.00 presso l’Aula Magna del Villaggio del Fanciullo, in Bologna, Via Scipione dal Ferro, 4.

 La partecipazione è gratuita previa comunicazione alla mail cis@cisonline.net entroil 23/09/2019

 

Due nuovi eventi patrocinati dal Cis

  1. a.    Insieme per una fertilità migliore
    I° Congresso SIRU Emilia Romagna

    Sabato 14 settembre 2019 –  ore 09,00 – 18,00
    I Portici Hotel – Via dell’Indipendenza, 69, Bologna
  2. Molestie, abusi e violenze
    Trattamento con l’esperienza immaginativa

    Sabato 19 e Domenica 20 ottobre 2019 – ore 09,00 – 19,00
    Sede Sispi – Via Lanzone, 31, Milano

www.cisonline.net/eventi

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CHIESA CATTOLICA

Gender: la buona intenzione del dialogo

Con il documento “Maschio e femmina li creò” la Congregazione per l’educazione cattolica afferma il valore e l’importanza degli studi di genere, indicandoli come terreno di dialogo e collaborazione. Alcune tematiche affrontate nel testo avrebbero tuttavia richiesto argomentazioni più rigorose e adeguate allo stato attuale della riflessione e delle conoscenze.

www.ilregno.it/documenti/2019/13/maschio-e-femmina-li-creo-congregazione-per-leducazione-cattolica

Che sia la Congregazione per l’educazione cattolica a prendere la parola sull’essere uomini e donne e sulla questione di genere, con il documento Maschio e femmina li creò, può a un primo sguardo stupire, ma ha i suoi motivi e i suoi vantaggi. I motivi risiedono nel fatto che la bolla della querelle gender degli anni scorsi aveva un contesto prevalentemente, anche se non unicamente, scolastico. Quella educativa, inoltre, è effettivamente una “emergenza”, come dice anche il documento: a fronte di giovani mossi da ideali di giustizia e salvaguardia dell’ambiente, si registrano anche tanti episodi di bullismo, a volte a sfondo razzista e omofobico, ma spesso contro ragazzi diversamente abili o semplicemente presi a bersaglio dal branco. I vantaggi si possono riconoscere nel fatto che il testo si pone a un livello interlocutorio e operativo (non è la Congregazione per la dottrina della fede, per capirci) e si presenta chiaramente inquadrato in una cornice ben precisa, nella quale si trovano racchiuse affettività e sessualità quali ambiti propriamente educativi.

L’educazione di genere come forma di giustizia. Il sottotitolo del documento – Per una via di dialogo sulla questione del gender nell’educazione – interrompe decisamente le campagne di odio degli anni scorsi – già attenuate dopo Amoris lætitia, effettivamente – che fra il resto avevano il grave torto di confondere tutti i piani del discorso, dando della prospettiva di genere e del gender un quadro mostruoso, una orrenda caricatura. Questo testo apre invece varchi positivi, ad esempio riconoscendo che «non di rado» i progetti educativi di genere sono finalizzati a dissolvere le discriminazioni che hanno minato nella storia il genuino messaggio evangelico, «dando luogo ad accuse di un certo maschilismo più o meno mascherato da motivazioni religiose» (n. 15), e che la stessa chiave di genere mira a un’educazione al rispetto di ogni persona, in qualunque condizione essa si trovi (n. 16). Per la prima volta la prospettiva di genere viene intesa come una particolare forma di sensibilità e di giustizia verso i soggetti più marginali, che porta dunque a contrastare bullismi, violenze, insulti e discriminazioni.

A parte circonlocuzioni come «non di rado», o «un certo maschilismo», che tendono ad attenuarne le affermazioni, con questo documento la Congregazione riconosce che non è stato sensato contrastare gli studi di genere (n. 6), che hanno invece una loro pertinenza e utilità, sia in termini generali, sia rispetto alla sessualità e all’affettività, proprio per [quell’] «amore a cui ogni persona è chiamata» (n. 5). Perché se ne possano cogliere i frutti, però, è necessario creare le condizioni per un incontro costruttivo tra i vari soggetti in campo, «al fine di instaurare un clima di trasparenza», evitando «inutili tensioni che potrebbero sorgere a causa di incomprensioni per mancanza di chiarezza, informazione e competenza» (n. 46). I docenti dovranno inoltre ricevere una «preparazione adeguata sul contenuto dei diversi aspetti della questione del gender ed essere informati sulle leggi in vigore e le proposte in via di discussione nei propri paesi» da persone qualificate e «in una maniera equilibrata e all’insegna del dialogo» (n. 49).

Un dialogo da approfondire. Secondo autorevoli commentatori (ad esempio Luciano Moia su Avvenire) l’ascolto – prima condizione ritenuta necessaria – c’è stato, e ha avuto tra i suoi riferimenti a distanza anche le teologhe italiane, che insieme ad alcuni colleghi non si sono rassegnate alle distorsioni cui veniva sottoposto l’intero plesso “gender”. Anche per questo motivo non possiamo ora non esprimere soddisfazione.

Sentiamo pure, tuttavia, la responsabilità di proseguire nel compito critico che ci compete, perché un dialogo reale e autentico non si può mai fermare alle prime battute.

Nella presentazione del documento si legge che la stesura è stata preceduta dalla consultazione di «esperti nelle diverse discipline (pedagogia, scienze dell’educazione, filosofia, diritto, didattica…)» – giustamente come sempre anonimi –, ma questa comunità scientifica in realtà non si vede all’opera o forse ne sono stati utilizzati contributi disparati, perché ancora restano ambiguità e piani non risolti. In mancanza di quel rigore che sempre è richiesto agli studenti, i docenti destinatari del documento dovranno dunque saper leggere fra le righe.

Sottolineiamo tre aspetti problematici, non tanto perché diversi dalla nostra opinione (anche questo, certo), ma in quanto in contraddizione con altri enunciati del testo stesso: rispetto alle donne (nn. 17-18), rispetto a omosessualità e sessualità plurime (nn.11-13) e rispetto a differenza/natura.

  1. Donne: da genere al genio? I due paragrafi dedicati alle donne – più precisamente, alla femminilità – fanno parte dei guadagni derivati dal dibattito gender: uno dei contesti di avvio degli studi di genere è stato proprio l’interrogativo sulle cause e i processi della discriminazione in base al sesso e delle connesse forme di violenza. Tuttavia, inaspettatamente, il discorso si dipana in altro senso: quello, sia pure non esplicitamente nominato, del “genio femminile”. I cosiddetti «valori della femminilità» appresi dalle riflessioni di genere (n. 17) – verso cui la società ora sembra scoprirsi debitrice – sono purtroppo offuscati da un certo essenzialismo, cioè da un eccesso di sicurezza riguardo le qualità innate di ogni donna. Tra l’altro, è un essenzialismo tutto al femminile, perché il documento non si sofferma mai su che cosa provi, pensi, esprima un uomo a partire dalla sua maschilità. Non a caso i documenti citati a questo proposito sono ancora la Lettera ai vescovi sulla collaborazione dell’uomo e della donna (Congregazione per la dottrina della fede, 2004) e la Lettera alle donne (Giovanni Paolo II, 1995), che anche nel linguaggio presuppongono un’idea di maschile come universale e di femminile come specifico e particolare.
  2. Orientamento sessuale: una scelta colpevole? Molto problematico, e ben lontano dalle posizioni con cui si vuole aprire il dialogo, anche le più moderate, è lo sviluppo del n.11, che tradisce l’incomprensione della posta in gioco, perché intende il problema della separazione radicale tra sex e gender come una questione di orientamento sessuale, anziché di perdita dei corpi nel discorso.

www.gionata.org/il-documento-sul-gender-del-vaticano-cominciamo-ad-ascoltare-davvero-le-persone-lgbt

 Gli orientamenti omosessuali, seppure innominati, risultano interpretati come colpevole arbitrio dei singoli e sovrapposti alle condizioni transgender (cf n.25). Confusione e giudizi assai poco ponderati, completati al n.13 da un riferimento ai “poliamori”, altrettanto discutibile nel suo ritenere appannaggio unicamente delle coppie omosessuali le esperienze di legami provvisori o interrotti da infedeltà.

  1. Differenza sessuale: una metafisica biologica? Nella sezione finale, che mira a proporre una antropologia, si giunge a sostenere una «radice metafisica della differenza sessuale», a fondo della quale si intravede un non trattato concetto di “natura” e una comprensione malferma della “differenza”, che senza mediazioni adeguate ondeggia fra la dichiarata valorizzazione di una prospettiva ermeneutica e fenomenologica (n. 26) e una ingenua identificazione con la dimensione biologica. L’effetto è paradossale, perché ciò che resta dei corpi è solo una materia inerte che un discorso ben fatto dovrebbe plasmare, proprio come accade con il paradigma di separazione radicale sex/gender da cui ci si vuole allontanare.

Il carattere interlocutorio e circoscritto del documento, come si è detto, nonché il reiterato appello al dialogo, lasciano tuttavia ben sperare: uscendo dai registri polemici e censori e provando a dipanare le questioni si potranno pian piano aprire vie spaziose e rigorose, alla luce del Vangelo.

Coordinamento teologhe italiane (CTI), 19 giugno 2019 Il regno delle donne

www.ilregno.it/regno-delle-donne/blog/gender-la-buona-intenzione-del-dialogo-coordinamento-teologhe-italiane-cti?utm_source=newsletter-mensile&utm_medium=email&utm_campaign=201914

 

Parole sincere?

Quelle che seguono sono riflessioni dopo la lettura meditata del documento della Congregazione per l’Educazione cattolica “Maschio e femmina li creò”. Per una via di dialogo sulla questione del gender nell’educazione, uscito pochi giorni fa dal Vaticano. Procederò per nuclei.

www.vatican.va/roman_curia/congregations/ccatheduc/documents/rc_con_ccatheduc_doc_20190202_maschio-e-femmina_it.pdf

  1. Con un documento ufficiale si danno linee guida alle scuole cattoliche (e a tutti i cattolici e a tutte le cattoliche) sulle questioni inerenti all’identità sessuale e – sottotraccia – si chiede loro di mobilitarsi per impedire l’avanzare di un pensiero unico: l’ideologia del gender. Non entro nel merito di questa cosiddetta ideologia; mi limito a osservare che il testo in questione, sul piano del metodo, non offre affatto un esempio di cultura inclusiva e dialettica: le fonti prese in esame sono tutte e solo fonti di parte, la propria. Attingono solo all’universo del Magistero della Chiesa cattolica. Ci si sarebbe aspettati che i riferimenti testuali della cosiddetta Ideologia del gender fossero onestamente citati, senza i filtri.
  2. Ancora sul metodo. In un testo il cui fine è salvaguardare «la differenza e la reciprocità naturale di uomo e donna», mi sarei aspettata un’attenzione adeguata all’uso del lessico, e in particolare dei termini uomo e donna. Ma così non è: la parola uomo viene usata per designare entrambi i generi, sussumendo donne e uomini nel lemma uomo. E poiché la forma è sostanza, aggiungo che la citazione, al §31 («Dio creò l’uomo a sua immagine […] maschio e femmina li creò» contiene un’altra ombra. Non pochi esegeti maschi (e ovviamente molte donne) si sono congedati dalle traduzioni che usavano il termine uomo, e hanno assunto la forma lessicale Adàm, essere asessuato che si definirà sessualmente nelle forme – cogenerate – di maschio e femmina.
  3. Quasi tutti i temi presenti nel documento sono stati elaborati da decenni oramai dalla teologia femminista; per riprendere la questione delle fonti, il documento si appropria a man bassa di tale pensiero senza nominarlo. Si tratta di una vera costellazione tematica (che comprende per esempio la centralità della relazione), ma mi concentro qui esclusivamente su un caposaldo filosofico, quello delle dicotomie su cui la cultura patriarcale ha edificato il proprio ordine del mondo: ragione/volontà vs. sentimenti; spirito vs. materia; pensiero vs. corpo, sfera pubblica vs. sfera privata, ecc. Nell’ordine patriarcale, il maschile viene associato al primo elemento della coppia, il femminile al secondo. L’uomo è il genere che accede al sacro, rappresenta razionalità, volontà, dominio sui sentimenti, capacità di governo. Come l’esito di un sillogismo, il dominio maschile ne è la logica conseguenza, fondata sull’assunzione di una superiorità “innata”, contrabbandata come legge naturale. I femminismi, fin dagli anni ‘70, con la celebre formula “Il personale è politico” e con l’uscita del testo Noi e il nostro corpo – per fare solo due esempi – hanno colto la necessità di una saldatura delle polarità di cui s’è detto, nell’orizzonte di quella visione integrale della persona (su cui insiste il documento) che il pensiero maschile ha compiuto. È bene ribadire che si tratta di una responsabilità maschile, che esigerebbe una seria autocritica, come primo passo per una società più matura e responsabile. Il testo della Congregazione nasconde tutto ciò, nonché quanto libri importanti, come quello della teologa Elizabeth Moltmann Wendel (Il mio corpo sono io, Queriniana, 1996) non si stancano di affermare: il cristianesimo, religione dell’incarnazione, ha poi rinnegato il corpo.
  4. Denunciare la banalizzazione della sessualità e la riduzione del corpo a “materia inerte”, (a causa – come si dice nel testo – delle ideologie dell’identità liquida) quale esito può avere se l’istituzione che pronuncia tali frasi non solo non ha fatto i conti con il proprio passato misogino, ma tuttora è strutturata sul disconoscimento della pari dignità delle battezzate?
  5. Una parola conclusiva come commento? Insincerità. Le parole recenti di un articolo di Lilia Sebastiani mi appaiono azzeccate: «Dal clericalismo derivano l’abuso di potere e di coscienza e l’abitudine all’insincerità. Nella comunità dei/delle discepoli/ e di Gesù, l’unico primato è quello del servizio. Nessuno lo ha negato mai, a parole». 

Paola Cavallari, responsabile dell’Osservatorio interreligioso sulle violenze contro le donne; è socia del Coordinamento Teologhe Italiane e redattrice di Esodo. 

Paola Cavallari Adista Notizie n. 23, 22 giugno 2019

www.adista.it/articolo/61509

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CITAZIONI

Fulton Sheen: ci sono persone difficili da amare, finché non si scorge in esse l’amore di Dio

Il matrimonio può degenerare in depressione se è solo l’unione di due egoismi. Invece accade un’enorme sorpresa di bene se marito e moglie si accorgono di amarsi perché amano quell’Amore che fu l’autore del loro amore.

            Da un certo punto di vista, alcune persone sono proprio impossibili ad amarsi. Soltanto quando si comincia a scorgere in esse l’amore di Dio, si riesce prima a sopportarle, e poi ad amarle addirittura. Come, nell’ordine fisico, è il bambino ammalato quello che riceve da parte dei familiari il massimo di cure e di attenzioni, così, nell’ordine morale, è il membro indegno quello che diviene l’oggetto della più intensa sollecitudine cristiana e quello per cui si prega di più. Quei figli che ci chiedono preghiere per il babbo alcoolizzato o per la madre miscredente dimostrano di essere stati allevati nell’amore cristiano molto prima di conoscere il significato del sesso. Nessuna vita è felice senza un elemento di mistero, e il più grande di tutti i misteri è l’amore. Grandi sono le gioie del matrimonio quando vi sia un progressivo sollevare di veli finché si sia portati fino alle luci abbaglianti della Presenza Divina. Sia il matrimonio felice o infelice, sia la vita dolce o amara, ciò non influisce sul cuore che veramente aspiri a un amore sempre più purificato.

Può anche darsi che le acque della vita si chiarifichino se si uniscono a quelle correnti che hanno valicato le impervie cime montane della sofferenza. L’amore non invecchia se non per coloro che ne pongono l’essenza in ciò che è destinato a invecchiare, ossia nel corpo. Come un liquido prezioso, l’amore è influenzato da ciò che lo contiene. Messo in un recipiente d’argilla, verrà presto assorbito e prosciugato; ma se, come la conoscenza, è situato nella mente, crescerà con gli anni, facendosi più forte anche se il corpo si farà più debole. Più esso sarà unito allo spirito, più diverrà immortale. Come certi teologi non conoscono Dio se non per astrazioni, così c’è chi conosce l’amore soltanto da lontano; e come altri teologi conoscono invece Dio attraverso la dedizione alla sua Volontà, così altre persone conoscono l’amore perché lo hanno cercato nei modi che Dio vuole, e non a modo loro. Una volta che, come avviene ai piedi dell’altare, lo spirito dell’Amore Divino penetri i coniugi, subentra non già la magica persuasione che il compagno della vita sia un essere perfetto, ma subentra l’idea che questo compagno è stato assegnato da Dio fino alla morte e che dev’essere quindi amato per amore di Cristo, e per sempre.

La santità della vita coniugale non è qualcosa che si collochi a lato al matrimonio, ma qualcosa che s’inserisce mediante e attraverso il matrimonio stesso. La vocazione a sposarsi è una vocazione a una felicità che nasce dalla sublimazione e dalla santità. L’unità di due persone in una carne sola non è già qualcosa che Dio tolleri, ma qualcosa che Egli vuole. E perché Egli la vuole, Dio santifica la coppia umana attraverso la pratica di questa unità, la quale, anziché diminuire minimamente l’unione dei loro spiriti, contribuisce alla loro ascensione nell’amore. L’unione dei due sposi in una carne sola è il simbolo dell’unione delle loro anime, e alla loro volta sia l’unione della carne che quella dello spirito simboleggiano l’unione di Cristo con la sua Chiesa. Rifacendosi col pensiero alle tappe di una felice vita coniugale, gli sposi possono vedere le impronte successive dell’ascesa del loro amore. C’è nei primi tempi la gioia del possesso, che è una reazione naturale del desiderio che un corpo congiunto ad un’anima prova nei riguardi di un altro corpo-anima. Poi viene la gioia, più personale, del darsi l’uno all’altro, quando si ama donare unicamente per la gioia dell’altro.

Viene finalmente quella fase in cui, invece di darsi per la gioia dell’altro, i due insieme si danno a Dio e ai suoi sacri fini. È ora l’unità quella che viene offerta, e a qualcosa che è al di fuori di entrambi: ossia prima ai figli, e poi, attraverso i figli, a Dio, vincolo della loro unità.

E ho altre pecorelle, che non sono di questo ovile; anche queste bisogna che io raduni: e daranno ascolto alla mia voce, e si avrà un solo ovile ed un solo pastore. (Gv 10, 16)

Quell’amore che sostenne i coniugi passo per passo è quell’Amore che li creò e che fu testimonio della loro unione. Col passar degli anni, questa visione si fa sempre più chiara; la carne fa sentire meno acutamente le sue note, mentre lo spirito comincia a suonare in tono maggiore. Quando poi sopraggiunge l’autunno della vita, i coniugi si accorgono a un tratto di amarsi adesso molto più di prima perché amano quell’Amore che fu l’autore del loro amore. L’Amante, l’Amato e l’Amore emergono ora in una meravigliosa Trinità a cui i loro cuori aspirano.

            Questo elevarsi dell’amore dall’una all’altra fase è inseparabile dall’annientamento dell’egoismo, nemico dell’amore. Due giovani sposi entrano nella vita coniugale con personalità distinte, sognando ciascuno la propria felicità, come se si trovassero in due recipienti diversi. Ma questa preoccupazione di un avvenire personale si fonde ben presto in quella di un avvenire e di un destino comuni, e non c’è dubbio che l’unione della carne abbia influito notevolmente sull’unione delle loro anime, delle loro aspirazioni e delle loro volontà. Allora il tempo esteriore, col meccanismo della vita quotidiana, e il tempo interiore, col suo intensificare i comuni ideali, si fondono in una superiore unità.

Ecco perché, anche nei periodi di separazione fisica, i coniugi hanno meno acuto il senso di essere divisi. I figli nati da essi divengono successivamente, per loro, l’incarnazione dell’unicità della loro carne, del vincolo che fa dei loro due cuori un cuore solo. Man mano che le difficoltà economiche, e le malattie, e la forza dell’abitudine incidono su di loro, diventa necessario che ciascuno dei due sposi si rassegni all’incompletezza, alle imperfezioni dell’altro. Il che significa «sopportazione» di quelle manchevolezze che emergono inevitabilmente dal lungo vivere in comune. È a questo punto che, se non si produce un’ascensione in virtù di una fede più profonda, ogni unione coniugale può fallire. Ma se, nonostante ogni deficienza, l’altro coniuge viene considerato un deposito sacro, una responsabilità di fronte a Dio, allora Dio viene ad assumere, nel quadro della vita coniugale, una figurazione sempre più dominante, perché sani ogni ferita.

 Fulton Sheen  Tre per sposarsi                    Aleteia  18 luglio 2019

https://it.aleteia.org/2019/07/18/fulton-sheen-persone-difficili-amare-scorgere-dio-matrimonio/?utm_campaign=NL_it&utm_source=daily_newsletter&utm_medium=mail&utm_content=NL_it

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CITTÀ DEL VATICANO

Approvati Statuti Pontificio Istituto Giovanni Paolo II su matrimonio e famiglia

Approvati gli Statuti e dell’Ordinamento degli Studi del Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II per le scienze del matrimonio e della famiglia.

 Il commento del Preside Mons Pierangelo Sequeri

L’apporto della ricerca teologica alla cultura cristiana – e alla cultura umana nel suo complesso – non può rimanere il tema di un semplice riconoscimento di principio. La qualità del suo lavoro – di pensiero e di ricerca, di formazione e di orientamento – deve rendersi apprezzabile sul campo, in riferimento all’intelligenza della fede e della realtà che essa è capace di suscitare e di mettere in circolazione.

Il “principio di realtà” è da considerare oggi un tema cruciale per la serietà e il rigore del “pensiero della fede”. L’aureo adagio tomistico, che indirizza audacemente l’intima intelligenza della fede all’intenzionalità realistica del sapere (fides non terminatur ad enuntiabile sed ad rem, la fede non si risolve ultimamente nella formula ma nella cosa), non è mai stato così attuale. L’intelligenza della fede e l’intelligenza della realtà vivono in simbiosi stretta, o non vivono affatto. In questo senso, la teologia non si ritrae in alcun modo dall’attitudine della sua ricerca ad illuminare la realtà: quella aperta dalla rivelazione accolta nella fede, culminante nella realtà di Gesù Cristo, e quella dischiusa nel dinamismo creaturale del mondo abitato e della storia umana, che nell’evento di Gesù Cristo riconosce il suo radicamento nell’intimità dell’amore di Dio e la promessa del suo compiuto riscatto nel grembo di Dio. L’intima unione della fede e della realtà, che forma l’orizzonte del ministero teologico indirizzato a rinsaldare l’ammirata contemplazione dell’opera di Dio e la serena letizia dell’evangelizzazione della creatura umana, è anche l’asse fondamentale della disposizione al dialogo e del discernimento critico con il quale la teologia si muove all’interno delle varie forme del sapere umano circa la realtà e il senso delle cose e della vita.

Questo orientamento, perseguito in modo franco e trasparente, onora la qualità non ideologica e autoreferenziale della pratica teologica, mentre la rende libera di rimanere rigorosamente coerente con la testimonianza della verità che la impegna a motivo della fede. “Le scuole di teologia si rinnovano con la pratica del discernimento e con un modo di procedere dialogico capace di creare un corrispondente clima spirituale e di pratica intellettuale. […] Un dialogo capace di integrare il criterio vivo della pasqua di Gesù con il movimento dell’analogia, che legge nella realtà, nel creato e nella storia nessi, segni e rimandi teologali” (Francesco, Discorso alla Facoltà teologica di Napoli, 21 giugno 2019).

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2019/june/documents/papa-francesco_20190621_teologia-napoli.html

L’approvazione degli Statuti del Pontificio Istituto teologico Giovanni Paolo II per le scienze del matrimonio e della famiglia, inaugura e sostiene la nuova fase operativa del suo adeguamento a questi criteri ispiratori dell’intelligenza credente e della cultura cristiana che sono richieste dalla missione ecclesiale nell’epoca mutata. Le linee fondamentali di questo adeguamento, insieme con l’articolato disciplinare che delinea la fisionomia del suo esercizio istituzionale, nell’ambito della varietà delle forme accademiche che, nella Chiesa, sono dedicate alla ricerca e alla formazione del pensiero cristiano, sono state consegnate nel testo della Costituzione apostolica Veritatis Gaudium di papa Francesco. Le istanze di rinnovamento che sono specialmente affidate al nostro Istituto teologico, sono state affidate esplicitamente dal papa Francesco alle indicazioni essenziali del Motu proprio Summa familiæ cura, poi arricchite dai Discorsi rivolti, in diverse circostanze, alle autorità e all’intera comunità dell’Istituto.

Quali sono le direttrici del rinnovamento che, conseguentemente, andranno a definire il nuovo assetto? In primo luogo, l’ampliamento e l’irrobustimento (nuove cattedre, nuovi docenti) dei due “poli” di cui vive la specificità della missione originariamente affidata all’Istituto: ossia, quello teologico-pastorale e quello antropologico-culturale.

  1. Il primo polo verrà generosamente integrato mediante il conferimento di rilievo sistemico all’approfondimento della teologia della forma cristiana della fede, dell’ecclesiologia della comunità e della missione evangelica, dell’antropologia dell’amore umano e teologale, dell’etica teologica globale della vita, della spiritualità e della trasmissione della fede nella città secolare.
  2. Il secondo, in particolare, sarà corposamente rimodellato in corrispondenza con le urgenze di aggiornamento del confronto e del dialogo del pensiero e della cultura cristiana negli ambiti del diritto comparato (religioso e civile), della sociologia delle trasformazioni economiche, politiche, tecnologiche della comunità, del ruolo delle istituzioni famigliari nella formazione dell’umano e nella articolazione dei corpi intermedi destinati all’integrazione etica e affettiva del legame sociale.

I due poli saranno ridisegnati in modo concorrere alla loro piena armonizzazione nell’ambito di una ricerca e di una formazione cristiana unitaria e di altro profilo. Nello stesso tempo, la loro organizzazione consentirà di perseguire curricoli di specializzazione indirizzati ad uno titolo di competenza specialistica nelle due distinte aree, con adeguato riconoscimento accademico e possibilità di investimento mirato nell’ambito delle istituzioni ecclesiastiche e civili dei diversi paesi. In questo senso, sarà predisposta anche una ragionata offerta di corsi complementari, affidati a specialisti di riconosciuta competenza (offerti in sede o convenzionati con istituzioni universitarie idonee, in primis la Pontificia Università Lateranense, nostro referente di elezione).

Il nuovo Istituto Giovanni Paolo II intende dunque onorare le ragioni profonde, e sempre valide, della tradizione fondativa che lo precede, portandosi ancora più decisamente all’altezza della nuova portata globale assunta dall’oggetto che specifica la sua missione teologica e culturale. L’Istituto intende farlo, in questa fase, non solo confermando – e anzi incrementando, in quantità e qualità – gli strumenti della sua proiezione internazionale. Ma anche dotandosi di una capacità di interlocuzione – teologica, culturale, accademica – di portata globale: sia attraverso l’ulteriore potenziamento del corpo docente, che possa arricchire una comunità di ricerca alla quale è affidata la missione di interagire, in spirito di cooperazione e senza ombra di soggezione, con gli orizzonti più ampi e le forze intellettuali più vive; sia mediante l’allestimento di percorsi di formazione dedicati e differenziati, in vista della migliore valorizzazione delle attitudini e delle diverse destinazioni degli allievi, nell’ambito delle chiese locali e in vista della missione ecclesiale universale.

Il nostro auspicio, ovviamente, è quello di meritare, anche in questo modo, la fiducia dei Pastori della Chiesa, a sostegno del loro servizio per la comunità di fede, in un ambito così delicato e così strategico per la comunicazione della fede cattolica e l’interpretazione della realtà umana. Il nostro impegno, del resto, intende onorare nel modo migliore la nostra speciale prerogativa di Istituto teologico “pontificio”: ossia, strettamente vincolato al ministero supremo e universale del successore di Pietro. La fiducia che il papa Francesco ci ha accordato, e in molti modi rinnova, è un punto d’onore, certamente non secondario, per il nostro impegno di fedele servizio ad una Chiesa autorevolmente incoraggiata ad uscire da ogni pavida autoreferenzialità, per il compito di testimoniare una verità evangelica che si dona con gioia. Siamo convinti, in tutta umiltà e con ferma certezza, che ci vengono entrambe dalla fede, che lo Spirito ha in serbo tesori di sapienza per la missione dei discepoli destinata precisamente al nostro tempo.

Vatican news  18 luglio 2019

www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2019-07/approvati-statuti-pontificio-istituto-gpii-matrimonio-famiglia.html

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COMMISSIONE ADOZIONI INTERNAZIONALI

CAI invita gli enti autorizzati a pubblicare anche i dati relativi alle adozioni in corso

Per venire incontro alle esigenze di maggiore trasparenza e facilitare una scelta più consapevole al momento del conferimento dell’incarico all’Ente da parte delle coppie aspiranti adottive, la CAI, nel corso della seduta collegiale del 29 maggio 2019, ha stabilito di procedere alla revisione dell’art.17 della delibera n. 13/2008/SG del 28 ottobre 2008 riguardante la “Diffusione dei dati rilevanti per una corretta informazione al pubblico”. 

Il nuovo testo dell’art. 17 integra le informazione già messe a disposizione delle coppie adottive con il dato riguardante il numero dei conferimenti pendenti (adozioni in corso) suddiviso per ciascuno dei Paesi in cui l’ente opera. I dati saranno pubblicati sui siti web degli Enti autorizzati e aggiornati ogni tre mesi. 

            Comunicato stampa    16 luglio 2019

 

Cambogia: al via nuova fase pilota con otto instradamenti

Dopo anni di blocco delle adozioni internazionali, a seguito della recente visita del Commissario Bardini nel Regno di Cambogia e alla precedente missione del VP Laera, riprendono cautamente le attività della CAI con l’autorità centrale del Regno con una prima fase pilota.

Le particolarità della nuova procedura sono definite nella delibera n. 64/2019/SG del 29 maggio 2019, con la quale la CAI recependo quanto emerso dagli incontri con le autorità omologhe cambogiane, ha stabilito che, in questa prima fase, sarà consentito agli otto Enti autorizzati che avranno ricevuto il riaccredito da parte dell’Autorità cambogiana di instradare inizialmente una sola coppia per volta. La procedura sarà accuratamente monitorata e in base ai risultati conseguiti, la Commissione potrà valutare positivamente la richiesta da parte dell’ente per l’autorizzazione ad ulteriori instradamenti.

Infine, stante l’impossibilità di definire tempi di attesa e esito della procedura, la Commissione ha chiesto agli enti di informare adeguatamente le coppie adottive ponendo l’obbligo di far sottoscrivere ai coniugi una dichiarazione esplicita nella quale vengono accettati i termini e le incertezze della fase pilota.

 

Comunicato stampa   18 luglio 2019

www.commissioneadozioni.it/notizie/cambogia-al-via-nuova-fase-pilota-con-otto-instradamenti

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COPPIA

Vita di coppia obiettivo 80% giovani, figli essenziali solo per 30%

La vita di coppia è ancora tra i desideri dei giovani. Riuscire a costruire una relazione duratura è “un obiettivo importante” per quasi 8 su 10, ma solo 3 su 10 considerano i figli indispensabili per avere “una vita appagante”. Lo rivela la ricerca Soprattutto Io. Coppie millennials tra stereotipi, nuovi valori e libertà’, realizzata da Eurispes che ha indagato quanto gli stereotipi del passato siano tuttora presenti nell’educazione dei 18-30enni di oggi.

Temi etici e valori. Divorzio, aborto, unioni civili “sono conquiste sociali più per le donne che per gli uomini”, ha evidenziato l’indagine.

E le adozioni da parte degli omosessuali sono il tema che più di tutti divide le opinioni dei giovani italiani.

La presenza dei figli in una coppia – emerge dalla ricerca – non sembra essere particolarmente importante per i giovani che, posti di fronte alla domanda “secondo te la vita di coppia può essere pienamente appagante anche senza figli?”, rispondono nel 45,6% dei casi che può essere “abbastanza” appagante e nel 22% che può essere “molto” appagante.

Sono invece meno di un terzo, il 32,4%, i ragazzi che considerano la presenza dei figli indispensabile per una vita di coppia soddisfacente.

Più della metà dei ragazzi ritiene che sia opportuno che entrambi i partner lavorino (53,3%); quasi 3 su 10 (28,7%) affermano che, se la condizione economica lo consente, “uno qualsiasi dei due partner può anche non lavorare”, non facendo nessuna distinzione di genere; mentre solo il 18% pensa che, se la situazione economica lo consente, “debba essere la donna a rinunciare al lavoro”.

            Nella scelta del partner, la componente economica influisce “abbastanza” per un quarto degli intervistati (24,6%) e “molto” per il 7%.

            Ma per la netta maggioranza (68,4%) gli aspetti economici hanno “per niente” valore (39,7%) o “poco” (28,7%).

Per i ragazzi la componente economica è influente in misura maggiore rispetto a quanto avviene per le donne, con una differenza di 6,5 punti percentuali (35,2% contro il 28,7%%).

            Tra i più giovani l’aspetto economico ha un peso maggiore sulla scelta del partner: è così per il 33,6% di quanti hanno un’età compresa tra i 18 e i 24 anni, a fronte del 29,7% dei 25-30enni.

I ricercatori hanno chiesto al campione di ragazzi intervistato se “è accettabile che una donna abbia avuto più di venti partner?” Il campione si è diviso piuttosto equamente tra un 52,8% che lo ritiene accettabile e un altro 47,2% che la pensa in modo opposto.

            Le opinioni al riguardo sono molto differenti fra uomini e donne. Mentre una ragazza su 3 sostiene che sia “molto” accettabile (33,3%) e sono la minoranza coloro che lo ritengono “per niente accettabile” (15%), fra i ragazzi la situazione si ribalta: la minoranza lo considera “molto” accettabile (17,1%), il 29,7% “abbastanza” e il 28,7% “per niente”.

Secondo l’indagine, i giovani italiani sono ‘d’altri tempi’: la metà degli intervistati ritiene infatti che sia l’uomo a dover corteggiare. Sono i giovanissimi (18-24 anni), più dei 25-30enni, a ritenere che debba essere l’uomo a dichiararsi: il 36,5% è “abbastanza” d’accordo (contro il 32,7%), il 17,6% è molto d’accordo (contro il 15,2%).

Secondo la metà dei millennials può esistere l’amicizia tra uomo e donna senza che il sentimento si trasformi in qualcosa di diverso che implichi un coinvolgimento sentimentale o sessuale (50,6%). Ma uno su 10 (9,7%) lo ritiene “impossibile” e quasi 4 su 10 credono che sia “molto raro” (39,7%). Per quanto riguarda temi etici come divorzio, aborto, unioni civili e adozione da parte degli omosessuali, dalla ricerca è emerso che il divorzio è visto come una conquista sociale dal 93,9% degli intervistati (in particolare dal 95,8% delle ragazze e dal 91,6% dei ragazzi); la legalizzazione dell’aborto e l’approvazione di un decreto anti femminicidio dall’86% (rispettivamente 88,5% delle ragazze e 92,6% dei ragazzi; 92,3% delle donne e 77,4% degli uomini).

La possibilità di adozione per una persona singola raggiunge il 66,1% di favorevoli (69% donne, 62,3% uomini), mentre la possibilità di adottare per le coppie omosessuali sfiora il 64% (69% donne, 57,1% uomini).

In generale, tutte le leggi o le proposte indicate, rappresentano una conquista sociale più per le donne che per gli uomini.

Il tema delle adozioni è quello che più di tutti divide le opinioni dei giovani italiani: l’adozione da parte di una singola persona è vista come una conquista sociale dall’80% degli elettori di centro e dal 74,4% di quelli di sinistra, ma supera a stento la metà dei consensi tra i ragazzi di centro-destra e di M5S (circa 52,5% per entrambi) e non raggiunge la metà fra quelli di destra (46,9%).

Le differenze risultano ancora più marcate quando si parla di adozioni da parte degli omosessuali; quest’ultima è considerata una conquista sociale da più del 75% degli intervistati di sinistra e di centro-sinistra, dal 60% del campione di centro e dal 54% di quello del Movimento 5 Stelle; mentre fra i ragazzi di centro-destra e di destra le risposte negative superano nettamente quelle positive, con i “sì” che si fermano rispettivamente al 37,5% e al 30,6%.

AdnKronos Salute                 19 luglio 2019

www.lasaluteinpillole.it/salute.asp?id=52396

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COUNSENLING

Psicoterapia per genitori separati con figli: regole

Prima di una separazione, così come anche dopo, gli ex coniugi sono liberi di intraprendere una terapia di coppia al fine di ricomporre i contrasti o, quantomeno, attutire gli attriti per il bene dei figli. Questo percorso è volontario ed è, in gran parte dei casi, finalizzato proprio a garantire ai bambini un ambiente familiare quanto più sereno possibile anche dopo la disgregazione del nucleo familiare. Non poche volte, infatti, i minori subiscono il peso dei continui litigi dei genitori finendo per essere poi l’indiretto bersaglio di reciproche ritorsioni. Al fine di prevenire il verificarsi di vere e proprie “dissociazioni” da parte dei più piccini, alcuni giudici hanno iniziato a imporre ai genitori, o quantomeno a quello che chiede l’affidamento dei figli, un percorso dallo psicoterapeuta.

Ma è legittima questa prassi? Può il tribunale imporre al padre o alla madre una sorta di “cura” obbligatoria? La questione è stata più volte affrontata dalla Cassazione. Da ultimo, la Corte [Corte di Cassazione, prima Sezione civile, ordinanza n. 18222, 5 luglio 2019] ha formulato quelle che sono le regole per la psicoterapia per genitori separati con figli.

  1. Le cure obbligatorie. Come noto, la nostra Costituzione vieta l’imposizione di cure. A prescindere dal tipo di malattia – se fisica o mentale – ciascun cittadino è libero di scegliere se sottoporsi a trattamenti medici o meno. L’articolo 32 della Costituzione, difatti, stabilisce che «Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana». Tale regola vale sia per i trattamenti fisici che mentali o psicoterapeutici.
  2. 2.     Obbligo di psicoterapia per i genitori: è possibile? In linea con un precedente del 2015 [Corte di Cassazione, prima Sezione civile, sentenza n. 13506, 1 luglio 2015], la Cassazione ha detto che imporre ai genitori l’obbligo di un percorso psicoterapeutico individuale e di un altro percorso di sostegno alla genitorialità per entrambi non è consentito dal nostro ordinamento. Anche il semplice “consiglio” da parte del magistrato finisce per comportare comunque un condizionamento, anche se non vincolante. Innegabile è, dunque, il contrasto con il già citato articolo 32 della Costituzione e con l’ulteriore previsione contenuta nell’articolo 13 secondo cui «la libertà personale è inviolabile (…). È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà». Nell’ordinanza di quattro anni fa, la Corte aveva ritenuto corretta la misura con cui il padre era stato obbligato a «contattare preventivamente l’ex moglie per verificarne la disponibilità ad occuparsi del figlio, qualora egli sia impegnato nell’attività lavorativa senza poterlo tenere con sé, seppure coadiuvato dalla nonna o dalla baby-sitter». La Corte ha detto che, se da un lato il giudice può imporre ai genitori una collaborazione volta al superamento della persistente conflittualità che contraddistingue il loro rapporto» (onde «assicurare al minore la possibilità di crescere con un rapporto sereno e costante con entrambi i genitori»), è invece assolutamente da escludere la «prescrizione», per entrambi i genitori, di «sottoporsi ad un percorso psicoterapeutico individuale e ad un percorso di sostegno alla genitorialità, da seguire insieme». Tale misura, difatti, è «lesiva del diritto alla libertà personale» e non tiene conto della «disposizione che vieta l’imposizione, se non nei casi previsti dalla legge, di trattamenti sanitari»
  3. Intervento dei servizi sociali. Il giudice può, invece, imporre l’intervento dei servizi sociali. Difatti «mentre l’intervento per diminuire la conflittualità, richiesto dal giudice al servizio sociale, è collegato alla possibile modifica dei provvedimenti adottati nell’interesse del minore, la prescrizione della psicoterapia è connotata dalla finalità di realizzare la maturazione personale delle parti», cosa che però non può essere attuata dall’ordinamento o dalla forza pubblica ma è rimessa alla libertà del singolo. In base al diritto di «autodeterminazione» che vanta ogni cittadino, la conquista della maturità è un percorso personale che si può scegliere di intraprendere così come non, sopportandone però poi le conseguenze (specie in materia di affidamento dei figli). Dunque, nessun giudice può subordinare una terapia di coppia o un percorso individuale di psicoterapia come condizione per ottenere l’affidamento dei figli. Affidamento che, lo ricordiamo, per legge è sempre “condiviso” ossia spetta ad entrambi i genitori. Solo in casi di gravi condotte da parte di uno dei due, può diventare esclusivo.
  4. Il giudice non può invitare i genitori al percorso psicoterapeutico. Il merito della sentenza in commento è di spiegare non solo che nessun giudice può imporre lo psicologo ai genitori, ma non può neanche “suggerirlo”: quello che può essere qualificato come semplice invito giudiziale all’intraprendere un percorso psicoterapeutico è comunque idoneo a condizionare la libertà di autodeterminazione del genitore alla cura della propria salute. Risultato: deve essere annullato il decreto con cui il giudice, nell’ambito di una controversia tra due genitori per l’affidamento del figlio minore, abbia imposto alla madre di intraprendere un percorso psicologico di sostegno alla genitorialità.

La legge per tutti       9 luglio 2019

 2 sentenze                www.laleggepertutti.it/292072_psicoterapia-per-genitori-separati-con-figli-regole

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DALLA NAVATA

XVI Domenica del tempo ordinario- Anno C – 21 luglio 2019

Gènesi             18, 03. «Mio signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passare oltre senza fermarti dal tuo servo. Si vada a prendere un po’ d’acqua, lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l’albero. Andrò a prendere un boccone di pane e ristoratevi; dopo potrete proseguire, perché è ben per questo che voi siete passati dal vostro servo».

Salmo                          14, 02. Colui che cammina senza colpa, pratica la giustizia e dice la verità che ha nel cuore

Colossesi         01, 28. È lui infatti che noi annunciamo, ammonendo ogni uomo e istruendo ciascuno con ogni sapienza, per rendere ogni uomo perfetto in Cristo.

Luca               10, 38. In quel tempo, mentre erano in cammino, Gesù entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo ospitò.  


Marta e Maria, il Signore cerca amici non servi

Mentre erano in cammino… una donna di nome Marta lo ospitò nella sua casa. Ha la stanchezza del viaggio nei piedi, la fatica del dolore di tanti negli occhi. Allora riposare nella frescura amica di una casa, mangiare in compagnia sorridente è un dono, e Gesù lo accoglie con gioia. Immagino tutta la variopinta carovana raccolta nella stessa stanza: Maria, contro le regole tradizionali, si siede ai piedi dell’amico, e si beve a una a una tutte le sue parole; i discepoli tutt’intorno ascoltano; Marta, la generosa, è sola nella sua cucina, accoccolata al basso focolare addossato alla parete aperta sul cortiletto interno.

Alimenta il fuoco, controlla le pentole, si alza, passa e ripassa davanti al gruppo, a preparare pane e bevande e tavola, lei sola affaccendata per tutti.

Gli ospiti sono come gli angeli alle querce di Mambre e c’è da offrire loro il meglio. Marta teme di non farcela, e allora “si fa avanti”, con la libertà che le detta l’amicizia, e s’interpone tra Gesù e la sorella: «dille che mi aiuti!». Gesù ha osservato a lungo il suo lavoro, l’ha seguita con gli occhi, ha visto il riverbero della fiamma sul suo volto, ha ascoltato i rumori della stanza accanto, sentito l’odore del fuoco e del cibo quando Marta passava, era come se fosse stato con lei, in cucina. In quel luogo che ci ricorda il nostro corpo, il bisogno del cibo, la lotta per la sopravvivenza, il gusto di cose buone, i nostri piccoli piaceri, e poi la trasformazione dei doni della terra e del sole, anche lì abita il Signore (José Tolentino Calaça de Mendonça Tolentino). La realtà sa di pane, la preghiera sa di casa e di fuoco.

E Gesù, affettuosamente come si fa con gli amici, chiama Marta e la calma (Marta Marta, tu ti affanni e ti agiti per troppe cose); non contraddice il cuore generoso ma l’agitazione che la “distoglie” e le impedisce di vedere di che cosa Gesù abbia davvero bisogno. Gesù non sopporta che l’amica sia confinata in un ruolo subalterno di servizi domestici, vorrebbe condividere con lei molto di più: pensieri, sogni, emozioni, sapienza, bellezza, perfino fragilità e paure. «Maria ha scelto la parte buona»: Marta non si ferma un minuto, Maria all’opposto è seduta, completamente assorta, occhi liquidi di felicità; Marta si agita e non può ascoltare, Maria nel suo apparente “far niente” ha messo al centro della casa Gesù, l’amico e il profeta (Rosanna Virgili).

Doveva bruciarle il cuore quel giorno. Ed è diventata, come e prima dei discepoli, vera amica; e poi grembo dove si custodisce e da dove germina il seme della Parola. Perché Dio non cerca servi, ma amici (Gv 15,15); non cerca persone che facciano delle cose per lui, ma gente che gli lasci fare delle cose, che lo lasci essere Dio.

Padre Ermes Ronchi, OSM

www.qumran2.net/parolenuove/commenti.php?mostra_id=46290

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DONNE NELLA CHIESA

La vocazione delle donne nella chiesa

Il 5 luglio 2019 è incominciata la IX Conferenza teologica internazionale (Bicte) Together: re-imaginig, re-reading Her-story in the Church organizzata dal dipartimento Missione Evangelizzazione e Giustizia dell’Alleanza mondiale battista (Bwa). La conferenza ha introdotto l’incontro annuale della Bwa, che si è tenuto a Nassau, Bahamas, dal 7 al 12 luglio. Più di duecento donne e uomini da tutto il mondo hanno partecipato al programma, fatto da momenti di plenaria, sessioni tematiche e di gruppo, incontri per aree geografiche.

La prof. Molly Marshall, docente di teologia e presidente del Central Baptist Theological Center (Usa), ha aperto la plenaria con una lezione sulla trasformazione dell’identità e della pratica delle chiese grazie alla piena inclusione delle donne nel ministero pastorale.

Paul Fiddes, teologo britannico, conosciuto in Italia soprattutto per la sua riflessione sul battesimo, ha condotto una riflessione sul «Posto delle donne all’interno dell’ecclesiologia battista» a partire dalle confessioni di fede dei battisti nel XVII secolo. «Ciò che è chiaro, da un punto di vista battista – afferma – è che l’ordinazione di un ministro (ed è interessante, per le chiese battiste italiane sentire parlare di “ordinazione”!) necessita della chiamata da parte di Cristo e del riconoscimento di essa da parte delle discepole e dei discepoli. Si possono avere sensazioni diverse, ma non diverse definizioni. Non c’è alcun motivo per riservare alcune funzioni o ruoli solo agli uomini».

La teologa francese Valérie Duval-Poujol, docente di greco biblico, ha evidenziato come le traduzioni della Bibbia hanno condizionato e condizionano il riconoscimento del ruolo delle donne nelle chiese. Da un uso “neutro” del maschile, come fino a qualche tempo fa era considerato norma in italiano, ai titoletti dei vari paragrafi delle nostre Bibbie, le traduzioni rendono conto del contesto in cui sono fatte. «Incoraggiare donne qualificate a diventare teologhe e traduttrici della Bibbia» e «incoraggiare pastori, professori, traduttori della Bibbia a rendere le donne, che già ci sono, maggiormente presenti, nella predicazione e nelle traduzioni» è stato l’auspicio di Duval-Poujol, che ha altresì ricordato come la Bibbia sia Parola di Dio che vuole essere detta con parole umane, certo imperfette, e che devono e possono essere passate al vaglio della critica.

Sempre nelle plenarie abbiamo condiviso il ministero della pastora Regina Sudheer-Alexander e di suo marito, al servizio delle comunità Madiga, che si autodefiniscono Dalit (persona ferita e sfruttata), gli “intoccabili”, nel Sud-Est dell’India.

Ogni intervento aveva tre controrelazioni e abbiamo potuto conoscere e condividere riflessioni ed esperienze molto diverse tra loro. La plenaria finale ha visto un certo numero di partecipanti rispondere, a partire dal proprio punto di vista, alle domande emerse nei tre giorni di conferenza. Ha partecipato a questo final panel anche chi scrive, membro della delegazione italiana assieme alla pastora Silvia Rapisarda.

L’Unione battista (Ucebi) ha compiuto un investimento notevole per permettere una partecipazione italiana alla conferenza. È stato sicuramente incoraggiante poter ascoltare relazioni e commenti che con assertività hanno espresso il pieno riconoscimento al ministero delle donne, o se vogliamo, l’irrilevanza del genere per quanto riguarda il ministero pastorale. Non tutti erano d’accordo. Ci sono paesi in cui alle donne non è permesso predicare, in nome di una teoria «complementarista» che vede le donne «uguali nella diversità», umane, ma con ruoli subordinati a quelli maschili. È stato doloroso vedere la propria vocazione e la propria storia di donne e di pastore considerata «un’opinione».

Il presidente della Bwa, pastore Ngwedla Paul Mzisa, del Sud Africa, è intervenuto nel momento di condivisione finale ricordando come la questione del riconoscimento delle donne pastore è in relazione con la predicazione dell’Evangelo. «Non esiste un dio per gli uomini e un dio per le donne»: escludere le donne dal ministero, discriminarle in base al genere è compiere un atto di apartheid e segregazione che va rovesciato», ha affermato Mzisa.

Dalla conferenza è emerso un ordine del giorno sul «Riconoscere e sostenere la vocazione delle donne nella Chiesa». Questo ordine del giorno, approvato poi dal General Council nei giorni seguenti con due voti contrari, chiama la popolazione battista a «pentirsi dagli insegnamenti e dalle pratiche che hanno impedito alle donne di svilupparsi pienamente come esseri umani creati a immagine di Dio e membri a tutti gli effetti della Chiesa»; ad «aprirsi allo Spirito Santo», riconoscendo e sostenendo la chiamata rivolta dal Signore alle donne per il servizio nelle chiese, in modo che le storie delle donne possano avere «il giusto posto nella storia più ampia del corpo di Cristo nel mondo»; a «imparare e usare un linguaggio che riconosca e sostenga donne e uomini nella celebrazione del culto, nella comunicazione, nelle pubblicazioni, comprese le traduzioni»; «a operare e lavorare per creare intenzionalmente spazi di equità per le donne in tutti i ruoli di leadership delle chiese, convenzioni e unioni battiste, e nell’Alleanza mondiale battista».

Il Dipartimento di Teologia dell’Ucebi lavorerà nei prossimi mesi per tradurre le relazioni principali e renderle così accessibili a quante e quanti vorranno utilizzarle.

Filo rosso di questi giorni così intensi è stata la comunione con sorelle e fratelli da ogni parte del mondo, comunione attorno ai tavoli dei pasti, comunione nella preghiera, comunione nello scambio delle proprie storie, che diventavano storie condivise. Un dono, la comunione, che ha avuto il suo contesto in una terra di schiavitù e di emancipazione, di lotta e di celebrazione, di contraddizioni, tutte del mondo opulento, come è la terra dei Caraibi e in particolare delle Bahamas, dove l’80% della popolazione è battista.

Oltre ai momenti di plenaria, l’incontro annuale ha visto numerosi lavori di gruppo, coordinati dalle diverse commissioni: Pace e riconciliazione, Dottrina battista e unità dei cristiani, che ha ripreso lo stato del dialogo bilaterale tra battisti e cattolici, Giustizia razziale e di genere, Diritti umani, Evangelizzazione, Cura del creato, Giustizia sociale ed economica, culto e spiritualità, alcune di queste.

Una sessione particolare è stata dedicata a una tavola rotonda sulle migrazioni. Da parte dei Paesi Europei è stato chiesto all’Italia un approfondimento rispetto all’impegno delle chiese italiane nell’accoglienza delle persone rifugiate e migranti ed è stata offerta collaborazione dalle chiese stesse di questi paesi.

Durante i lavori dell’assemblea è stato eletto il nuovo presidente della Bwa che entrerà in carica il prossimo anno per il quinquennio 2020-2025: si tratta dell’argentino Tomás Mackey, attualmente responsabile della Commissione sull’educazione teologica della Bwa.

Tutti i lavori della Conferenza teologica, così come gli interventi principali dell’assemblea annuale sono stati caricati sul canale YouTube della Bwa, al quale si può accedere dalla pagina del Dipartimento di teologia dell’Ucebi:                                                                             www.ucebi.it/teologia/materiale.html

Cristina Arcidiacono, pastora battista                                             16 luglio 2019

https://riforma.it/it/articolo/2019/07/16/la-vocazione-delle-donne-nella-chiesa?utm_source=newsletter&utm_medium=email

 

Codrignani: dal Vaticano un nuovo/vecchio ordine

L’8 giugno 2018, la Congregazione vaticana per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, per rispondere alle richieste, sempre più numerose, a quanto sembra, di donne che desiderano vivere da laiche “consacrate” sotto la guida del vescovo diocesano, ha pubblicato un’apposita Istruzione, intitolata Ecclesiae sponsæ imago (115 §).

www.vatican.va/roman_curia/congregations/ccscrlife/documents/rc_con_ccscrlife_doc_20180608_istruzione-ecclesiaesponsaeimago_it.html

Tornerebbe d’attualità, insomma, la forma di consacrazione antica delle donne che, celebrate dai Padri della Chiesa, esprimevano «il sanctum propositum» di permanere per tutta la vita nella verginità «per amore di Cristo». Purché, certamente, non si parli di sacerdozio femminile, che continua a essere tabù.

 Su questo artificioso anacronismo riflette Giancarla Codrignani, giornalista e saggista, ex parlamentare della Sinistra Indipendente, socia fondatrice e membro del Consiglio direttivo di Viandanti, sottolineando come chi ha scritto il testo dell’Istruzione confermi «la fondatezza delle preoccupazioni di papa Francesco quando insiste sulla necessità di una nuova educazione della sessualità come segno del- l’umanità voluta da Dio. Tanto più che alle sponsæ Christi non corrisponde – sembra – alcuna reciprocità maschile». Insomma: anche nella Chiesa le donne sono ben più del 51%, e «per ora – scrive Codrignani – sembra che nessuno se ne renda conto, ma in nessuna parte del mondo se ne conquistano le capacità e le competenze regalando un Ordo Virginum», un istituto che nasce vecchio, legato a un orizzonte superato, la cui insistenza sulla verginità rivela le «evidenti origini patriarcali». Di seguito, il testo che Codrignani ha scritto per Adista. (Ludovica Eugenio)

Ecclesiae Sponsæ Imago

La Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, nell’aspettativa di una richiesta crescente da parte di donne che desiderano vivere da laiche “consacrate” sotto la guida del vescovo diocesano, ha pubblicato l’istruzione Ecclesiæ sponsæ imago. Sarebbe interessante conoscere se la Congregazione abbia svolto o intenda svolgere analoga ricerca per quantificare l’interesse di donne che desiderano – o che ritengono normale che altre desiderino – la consacrazione sacerdotale.

Infatti, come dice l’Istruzione, «fin dai tempi apostolici» donne ispirate dallo Spirito «con amore sponsale si sono dedicate al Signore Gesù nella verginità», forma di vita evangelica che si colloca «tra le altre forme della vita ascetica» nei primi secoli praticate sia da uomini che da donne. Appare un’ovvietà ritenere che, in società in cui i matrimoni non rispettavano la volontà delle donne, l’offerta cristiana apparisse liberante: nei secoli successivi la conventualità femminile non sempre divenne luogo di fuga dal mondo, bensì alternativa alla costrizione matrimoniale non voluta. Tuttavia, se nel terzo millennio la Chiesa impiega 115§ paragrafi per rifare un De Virginitate sullo stile di Ambrogio o di Gregorio di Nissa, al fine di soddisfare desideri legittimi che non sono di tutte le donne, mi chiedo se sarebbe troppo lontano dallo stile tridentino ancora in uso nella Congregazione ricorrere al termine nubilato, tra l’altro pendant [corrispondenza] del celibato.

 Forse c’è da rammaricarsi che, soprattutto quando si prendono decisioni “di genere”, in Vaticano non prevalga la competenza dell’autorità femminile, nella fattispecie almeno delle Superiore degli Ordini religiosi. Che, presumo, avranno recepito con qualche freddezza la codificazione di un ministero che, con ben poca malizia, sembra accontentare il cardinal Luis Ladaria Ferrer, autore di una ferma reiterazione del diniego di Giovanni Paolo II al sacerdozio femminile e che, nominato nel 2016 presidente della Commissione per il diaconato femminile, ha precisato che l’impegno della Commissione era stato ordinato allo «studio» del problema senza impegnare alcuna «decisione».

L’Istruzione, uscita nel 2018, cita ampiamente i Padri della Chiesa antica, che vedevano «l’immagine della Chiesa-sposa totalmente dedita al suo sposo» e celebravano il sanctum propositum di donne – immotivatamente privilegiate, se anche l’uomo di Dio si impegna con la stessa unione sponsale – che intendevano permanere per tutta la vita nella verginità «per amore di Cristo», comprese le vedove che, forse sollevate dalla presenza di uno sposo non amato, «sceglievano la continenza in onore della carne del Signore».

Mi permetto di osservare che, se la tradizione che limitava la libertà dei carismi quando si trattava di donne consacrate da un vescovo e «affidate alla sua cura pastorale» decadde nel corso dei secoli, recuperarla oggi come lascito del «rinnovamento ecclesiale che ispirò il Concilio Vaticano II», appare una forzatura; in particolare non tiene conto del rinnovamento ormai pluridecennale che ha indotto le donne a sentirsi parte della libertà dei figli di Dio, prive di “esigenze di genere” formali che auspichino la «rifioritura dell’Ordo virginum»; infatti «da san Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI hanno ricevuto preziosi insegnamenti per orientarsi nel loro cammino». Ma l’Istruzione lesina loro fiducia e prevede per l’apprendistato della postulante il ricorso a esperti con competenze psicologiche, sicura che «nel percorso formativo… acquisisce la libertà necessaria per lasciarsi educare e formare… in docilità all’azione dello Spirito», mentre si deve «soprattutto cercare di aiutarle a consolidare l’amore per la preghiera e sviluppare la capacità di gestire i ritmi della giornata, del mese, dell’anno nel dialogo con il Signore», «incoraggiandole» intanto che «si lasciano educare» e «provvedono al proprio sostentamento con i frutti del proprio lavoro o con le risorse personali».

 Spero che il papa abbia approvato il documento firmato dai cardinali Braz De Aviz e José Rodriguez Carballo, senza leggere espressioni che fanno della donna che sperimenta una vocazione una persona che non ha capacità di discernimento autonomo.

Ho letto e annotato l’intero documento. Mi sono chiesta quanto la società dei Christi fideles laici resti ancora vittima della divisione gerarchica che il Concilio Vaticano II aveva rovesciato (il popolo di Dio precede la gerarchia ecclesiastica) e che configura in modo così anacronistico la subalternità femminile. Sorvolo sulle evidenti origini patriarcali dell’insistenza sulla verginità (erano vergini anche la Pizia e la druida Norma), del tutto impropria in un tempo in cui solo in Paesi ancora maschilisti e discriminatori l’imene intatto resta un dato mercantile a fini matrimoniali. Alcune perifrasi francamente poco accettabili riguardano il vivere l’intimità sacrale, l’importanza del «velo» (?), il fatto che la candidata non sia mai stata sposata o non «abbia vissuto pubblicamente, cioè in modo manifesto in uno stato contrario alla castità».

Chi ha scritto il testo conferma la fondatezza delle preoccupazioni di papa Francesco quando insiste sulla necessità di una nuova educazione della sessualità come segno dell’umanità voluta da Dio. Tanto più che alle sponsæ Christi non corrisponde – sembra – alcuna reciprocità maschile. Se per la Chiesa cattolica la verginità è femminile e la castità celibataria maschile, sembra urgente qualche discernimento aggiuntivo, perché sono interpellate le ragioni fondanti, per esempio, dell’obbligo del diacono celibe (o vedovo) a non contrarre matrimonio e a condizionare il proprio sacramento matrimoniale (deve chiedere l’autorizzazione della moglie a recedere dalle sue prerogative). I cammini di santità non possono essere contaminati dalla sanzione sessista dell’autorità, almeno per non contraddire il monito che «nella Gerusalemme celeste tutti gli eletti sono chiamati vergini ad esprimere la loro fedeltà all’alleanza». Soprattutto, se Gesù, «il consacrato per eccellenza», visse non in termini di «separazione dal profano», ma di accoglienza della corporeità che «diventa parola, annuncio di appartenenza al Signore e di servizio gioioso ai fratelli e alle sorelle»: non avrebbe accettato che le sorelle fossero discriminate in un legame sponsale che è di tutti. Come di tutti, i battezzati almeno, sono regalità, sacerdozio e profezia.

Un commento critico di Moira Scimmi (Il Regno, 15 aprile 2019) – che è, per l’appunto, una consacrata e che da teologa ha approfondito la questione del diaconato – sottolinea la positività dell’Istruzione nell’aver raccomandato di non introdurre nuove norme gerarchiche e di non proporre percorsi uniformanti; ma intende rifare i conti con l’immagine sponsale originariamente attribuita alla Chiesa, che nella pratica ecclesiale «si esplicita nella comunione», e con il «concetto» di verginità cristiana «che invoca un adeguato approfondimento teologico».

www.ilregno.it/regno-delle-donne/blog/diaconato-delle-donne-fra-storia-e-teologia-moira-scimmi

Scimmi segnala la necessità di chiarire che cosa si intenda con «l’orizzonte di una verginità non teogamica… ma teologale, cioè battesimale» se nella formazione sembra riproposta «la virtù della verginità in relazione al futuro matrimonio trasponendola sulla relazione tra la singola vergine e Cristo». Mentre mi rendo conto che si tratta di approfondire il contesto teologico con rigore di competenza per non «riportare in vita una venerabile antichità», vorrei sottolineare laicamente i limiti di un linguaggio clericale ormai poco comprensibile sia nella lettera sia nel simbolo, fonte di equivoci e incomprensioni prima di decadere dall’uso. Perfino le litanie che, dette in italiano o latino, indifferentemente richiamano alla mente un indistinto non ragionato, hanno espressioni che solo la conoscenza della tradizione scritturale possono giustificare. Non è bello che nelle confessioni dei minori passi per modalità cristiana la terminologia delle “brutte cose” e del “ti tocchi”, ormai battute da film dozzinali, tanto più che l’imbarazzo sessuofobico acuito dall’emergenza “pedofilia” induce ad accantonare problemi che, nell’età evolutiva, hanno bisogno non di penitenze, ma di educazione. Né è pensabile che sia stato tollerato fino al Vaticano II di permettere che nella definizione del matrimonio (che è un sacramento) entrasse l’espressione remedium concupiscentiæ. Evidentemente, proprio partendo dal discernimento, teologico e morale, ma anche laicamente educativo, della sessualità e del suo valore e virtù, non è più rinviabile un discorso aperto e rigoroso sulla relazione tra la Chiesa e i credenti in una fase di sviluppo storico carico di trasformazioni che coinvolgono addirittura l’antropologia e che, se non si innalza il livello dei valori per traghettare la parola di Cristo rinnovandone i simboli, può distruggere il patrimonio della religione.

È tempo di chiarire a noi stessi e all’istituzione che cosa la Chiesa intenda con termini usurati da una ripetitività priva di qualunque suggestione teologicamente simbolica, come, per esempio, «verginità» e «sponsalità». Carlo Maria Martini, i cui «duecento anni di ritardo» denunciati a carico della sua Chiesa continuano a inquietare la memoria, proprio a proposito della «sponsalità» – cita Moira Scimmi – temeva che «se ne facesse quasi un privilegio e un obbligo», mentre auspicava che «si lasciassero emergere anche altre possibili metafore».

Tengo a precisare che non mi appassiona la parità nel sacerdozio e nemmeno l’accesso al diaconato. Se proprio dobbiamo scalare il percorso gerarchico, meglio partire dal “lettorato” che darebbe la facoltà di tenere omelie e leggere il Vangelo dall’altare; il diaconato, certamente testimoniato – anche se l’assenza di una matristica analoga alla patristica obbliga l’informazione alle sole fonti dei Padri –, si è esaurito nel tempo per la restrizione dei munera di quel ministerium che, secondo Ignazio di Antiochia, rende tutti i battezzati diàconoi, al servizio della Chiesa e dei fratelli. Come donne sappiamo benissimo che si finisce “sacrestane”: con o senza “imposizione delle mani”, difficile ottenere il riconoscimento autonomo dei munera docendi, sanctificandi et regendi. Il diaconato rappresenta infatti la soglia che precede il livello del sacerdozio, che per la donna significherebbe l’omologazione al modello unico di “questo” prete e l’impossibilità di aiutare la Chiesa con i carismi della cultura, anche teologica, femminile.

Tuttavia il Vaticano legge le statistiche e chiude i seminari: mentre distrae l’attenzione con una consacrazione minimale, allenterà per necessità i divieti wojtyliani. Tanto più che l’imminente Sinodo panamazzonico ha già in cantiere richieste scomode, tra cui, appunto, il sacerdozio femminile, caldeggiato dalla Chiesa memore della Teologia della liberazione che sente l’impoverimento di non essere più presente nelle periferie più decentrate nemmeno con preti itineranti che arrivino a consacrare una volta al mese. Le problematiche crescono, anche se per ora non potranno esserci cambiamenti di linea: ascolteremo qualche commento ex aereo di papa Francesco (accogliere il desiderio dei preti sposati?); ma la situazione impone prudenza. L’America Latina è in arretramento economico e politico, il Brasile in mano a Bolsonaro e i populismi disorientano anche le Chiese: la conservazione ha da sempre contato sul sostegno di molti episcopati e oggi non tutti sono in linea con l’attuale pontificato. Vista da Roma la situazione non rassicura: il papa emerito ha pubblicato un lungo articolo per ragionare sui mali dell’età presente per attribuirne l’origine al Sessantotto, anche se non è malizia pensare che intendesse piuttosto dire Vaticano II, tanto più che ha firmato “Benedetto XVI”, da papa e non da nonno. Anche nella Chiesa le donne sono ben più del 51%: per ora sembra che nessuno se ne renda conto, ma in nessuna parte del mondo se ne conquistano le capacità e le competenze regalando un Ordo Virginum.

Giancarla Codrignani           Adista 22 Giugno 2019    segnalato da CTI 19 luglio 2019

www.teologhe.org/2019/07/19/codrignani-dal-vaticano-ordine-vecchio-nuovo

 

Maria Maddalena, la prima messaggera

«Apostola degli apostoli» per san Tommaso, nella tradizione occidentale la sua figura ha assommato in sé vari episodi evangelici. «Giù le mani da Maria Maddalena»: così titolammo su queste pagine diversi anni fa un articolo di Gianfranco Ravasi. Era il tempo dell’uscita in libreria del Codice da Vinci di Dan Brown, con le sue fantasie sul personaggio femminile dei Vangeli e sulla sua relazione con Gesù. Ma oltre a smontare gli equivoci su Maria di Magdala, nonché le suggestioni gnostiche degli scritti apocrifi, il biblista ora cardinale delineava i contorni della sua figura, che erroneamente molti Padri della Chiesa hanno identificato con la prostituta pentita che unge i piedi di Cristo con olio profumato e li asciuga con i capelli. L’episodio è raccontato da Luca nel capitolo 7 e in quello immediatamente successivo fra le discepole del Messia viene citata Maria di Magdala «dalla quale erano usciti sette demoni». Di qui la confusione.

Vanno poi ricordati gli episodi narrati da Marco e Matteo sulla donna anonima che nella casa di Simone il lebbroso a Betania versa sul capo di Gesù un vaso d’alabastro contenente olio aromatico e, infine, quello analogo di Maria di Betania, la sorella di Marta e di Lazzaro che sempre in Luca si siede ai piedi del Salvatore compiendo anch’essa il gesto dell’unzione. Ecco, un’ampia tradizione teologica ha finito per riunire tutte queste figure femminili in una sola persona, Maria Maddalena, grande peccatrice redenta da Gesù.

Condizionando anche in maniera decisiva il mondo dell’arte e della letteratura, che l’ha ritratta con il corpo spesso denudato e i capelli sciolti in un atteggiamento di penitenza (si pensi al famoso quadro di Georges de la Tour conservato al Metropolitan Museum di New York) o alle opere di Pasternak e Achmatova, Jacob e Claudel, fino a Rebora e Saramago. A una revisione di questo modello consolidato anche nel pensiero di tanti fedeli invita un saggio della teologa francese Sylvaine Landrivon, docente all’Università Cattolica di Lione, che definisce sin dalle prime pagine Maria di Magdala, villaggio posto sulle rive occidentali del lago di Tiberiade, «un personaggio scomodo che non ha mancato di suscitare sospetto e interrogativi», spesso divenuto simbolo dell’immoralità capace uscire dal buio con una vita di penitenza e di sublimarsi nello slancio mistico. L’autrice bene mette in luce la differente valutazione espressa dalla tradizione occidentale, propensa a riconoscere una sola donna negli scritti degli evangelisti, rispetto a quella orientale, che ha accolto senza confonderli la presenza di personaggi femminili differenti.

I Padri greci non stabiliscono nessun rapporto fra Maria di Magdala e le donne protagoniste delle varie scene di unzione. Così ad esempio Severo di Antiochia: «Ci furono tre donne distinte per le qualità personali, per il modo di agire, per la diversità del tempo». Allo stesso modo, Tertulliano, Clemente Alessandrino, Giovanni Crisostomo e Romano il Melode evitano ogni sovrapposizione. Non così Agostino, secondo il quale abbiamo a che fare con «la stessa peccatrice». Ma in Occidente sarà soprattutto Gregorio Magno a fare di queste donne del Vangelo una sola e medesima persona, ormai chiamata Maria Maddalena, e a determinarne il culto di santa peccatrice, considerata patrona dei penitenti. «Forti di questo messaggio potente – scrive Landrivon – i secoli successivi non considereranno più questa discepola di Gesù secondo criteri diversi da quelli di una donna di malaffare, toccata dal rimorso, dalla desolazione e dal pentimento».

È noto che papa Francesco nel 2016 ha elevato a grado di festa la celebrazione di santa Maria Maddalena (che finora era stata solo “memoria”), mettendo in risalto la peculiare funzione di Maria di Magdala quale prima testimone che vide il Risorto e prima messaggera che annunciò agli apostoli la risurrezione del Signore. Ed è proprio questo ruolo essenziale che secondo l’autrice nel cristianesimo occidentale ha finito per essere posto in secondo piano. Tutti gli evangelisti concordano nel rimarcare in primo luogo la sua presenza al momento della crocifissione e della sepoltura di Cristo. Il tutto culmina poi nel famosissimo incontro tra Cristo e Maria di Magdala davanti alla tomba raccontato dal Vangelo di Giovanni, allorché la donna inizialmente lo scambia per il custode del giardino, sino al momento in cui Gesù si fa riconoscere e alla famosa scena del “Noli me tangere”, così tante volte illustrata dall’iconografia.

 Ma Gregorio e con lui molti altri privilegiano il mix di lussuria e lacrime nel presentarne la figura: «Cosa significano questi sette demoni – scrive nell’Omelia XXIII – se non la totalità dei vizi?». In realtà, come ha precisato Ravasi, «il demonio nel linguaggio evangelico non è solo radice di un male morale ma anche fisico che può pervadere una persona. Il “sette”, poi, è il numero simbolico della pienezza. Non possiamo, dunque, sapere molto sul male grave, morale o psichico o fisico che colpiva Maria e che Gesù le aveva eliminato». I demoni cacciati dal suo corpo non rappresentano per forza i vizi, e la lussuria in particolare.

Di Maria di Magdala bisogna piuttosto rilevare la specificità di prima testimone della Resurrezione: perché Gesù apparve a lei per prima e non agli Undici? Persino Tommaso d’Aquino ha sottolineato tre suoi privilegi: «Primo, il privilegio dei Profeti, perché essa meritò di vedere gli angeli. Secondo, la sublimità degli angeli, per il fatto che vide il Cristo, nel quale gli angeli desiderano fissare lo sguardo. Terzo, il compito degli apostoli; anzi, essa fu fatta apostola degli apostoli, perché le fu affidato l’incarico di annunziare ai discepoli la risurrezione del Signore». La denominazione di “apostola degli apostoli” risale a Ippolito di Roma ma raramente è stata ripresa e sviluppata. La si ritrova appunto nell’Aquinate e nelle espressioni recenti di alcuni pontefici, fra cui Benedetto XVI e Francesco. «Come sembra invitarci a fare papa Francesco – conclude l’autrice del saggio – mediante la nuova liturgia riservata a Maria Maddalena, forse è venuto il momento sia di riconoscere meglio il valore di questa testimonianza femminile, così vicina alla rivelazione, sia di concedere sulla base di questo fondamento alle donne altre funzioni nella Chiesa».

Senza proporre il sacerdozio femminile, Landrivon suggerisce apertamente nuove valorizzazioni per la donna, ma soprattutto un nuovo approccio. Un po’ come ha fatto il Papa stesso al vertice sulla pedofilia in Vaticano del febbraio scorso dopo aver ascoltato l’intervento di una relatrice: «Tutti noi abbiamo parlato sulla Chiesa, stavolta era la Chiesa stessa che parlava. È il genio femminile che si rispecchia nella Chiesa che è donna. Non si tratta di dare più funzioni alla donna nella Chiesa – sì, questo è buono, ma non risolve il problema –, si tratta di integrare la donna come figura della Chiesa nel nostro pensiero». Maria di Magdala, discepola e amica di Gesù, che per prima lo vide risorto, può aiutarci in questa riscoperta contro il clericalismo e il maschilismo che attanaglia il cattolicesimo.

Sylvaine Landrivon, Maria Maddalena La fine della notte, Queriniana.  (pagine 192)

Roberto Righetto “Avvenire” 19 luglio 2019

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EUROPA

Migranti: Save the Children, “solida riforma delle norme Ue per proteggere i diritti dei bambini”

            “Per proteggere i diritti dei bambini che hanno affrontato il pericoloso viaggio attraverso il mar Mediterraneo, sono necessari profondi cambiamenti delle regole dell’Ue in materia di migrazione”. Lo richiede Save the Children, in occasione dell’incontro dei ministri della giustizia e degli affari interni dell’Unione europea, che si riuniranno in settimana per discutere delle politiche migratorie all’interno dell’Ue.

“Il rinnovo di Parlamento e Commissione europea potrebbe essere l’occasione per interrompere l’attuale situazione di stallo e concordare regole volte a condividere le responsabilità legate all’arrivo di migranti e rifugiati alle frontiere dell’Europa”. Costatando che “sempre meno rifugiati e migranti attraversano il Mar Mediterraneo”, Save the Children segnala che “dai dati emerge che si alzano le probabilità di morte”. Nel 2018, una persona su 14 è morta affrontando il viaggio via mare, mentre nel 2017 era una su 38 persone.

 “I negoziati sul regolamento di Dublino, che disciplina l’accoglienza dei richiedenti asilo che arrivano nell’Ue, sono stati bloccati per troppo tempo – evidenzia Anita Bay Bundegaard, direttore e rappresentante dell’Ue per Save the Children -. Chiediamo al nuovo Parlamento, alla Commissione e al Consiglio di riavviare i negoziati e concordare una riforma che ponga i diritti dei bambini al primo posto”. L’ong chiede agli Stati membri dell’Ue di “trovare una modalità sostenibile per condividere la responsabilità dei richiedenti asilo in arrivo, garantendo un giusto equilibrio tra gli Stati in prima linea, come l’Italia e la Grecia, e stati chiave per l’accoglienza di richiedenti asilo come Germania e Svezia”. La strategia indicata per “proteggere la vita dei migranti e dei richiedenti asilo che attraversano il Mediterraneo” è quella di “cooperare per garantire gli sbarchi delle persone soccorse, in maniera rapida e sicura

Agenzia SIR   18 luglio 2019

https://agensir.it/quotidiano/2019/7/18/migranti-save-the-children-solida-riforma-delle-norme-ue-per-proteggere-i-diritti-dei-bambini

 

Sui rapporti patrimoniali tra conviventi di fatto: applicabilità del reg. 44/2001

Corte Giustizia UE, 06 giugno 2019.

1)      L’articolo 54 del regolamento (CE) n. 44/2001 del Consiglio, del 22 dicembre 2000, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, dev’essere interpretato nel senso che un giudice di uno Stato membro, al quale venga presentata una domanda di rilascio di un attestato che certifica l’esecutività di una decisione emessa dall’autorità giurisdizionale d’origine, deve verificare – in una situazione come quella di cui al procedimento principale, in cui il giudice che ha emesso la decisione da eseguire non si è pronunciato, al momento della sua adozione, sull’applicabilità di tale regolamento – se la controversia rientri nell’ambito di applicazione di detto regolamento.

2)      L’articolo 1, paragrafo 1 e paragrafo 2, lettera a), del regolamento n. 44/2001 dev’essere interpretato nel senso che un’azione, come quella di cui trattasi nel procedimento principale, avente ad oggetto una domanda di scioglimento dei rapporti patrimoniali derivanti da una convivenza di fatto ricade nella nozione di «materia civile e commerciale», ai sensi di tale paragrafo 1, e rientra pertanto nell’ambito di applicazione ratione materiae di tale regolamento.

Giuseppe Buffone      Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 22059 09 luglio 2019

http://divorzio.ilcaso.it/sentenze/ultime/22059/divorzio

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FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI

De Palo: “con 13 miliardi si risolvono per sempre i problemi delle famiglie”

“Attendiamo di conoscere in dettaglio la proposta ufficiale di flat tax anticipata ieri, ma ci sentiamo fin d’ora di chiedere: c’è o no la volontà di realizzare l’assegno unico? La flat tax, così com’è stata pensata, è davvero la soluzione migliore per mettere al centro i figli come risorsa? La priorità dovrebbe essere quella di mettere il numero dei figli quale criterio principale per far pagare meno tasse. Dopo viene il calcolo del reddito, non viceversa”. Così il presidente nazionale del Forum delle associazioni familiari, Gigi De Palo, commenta le anticipazioni sulla flat tax diffuse ieri dal responsabile economico della Lega nel corso dell’incontro del vicepremier Salvini con le parti sociali al Viminale.

“Con i 13 miliardi e una riorganizzazione seria delle risorse già esistenti, le famiglie risolverebbero per sempre i loro problemi. È ora di una riforma in grado d’invertire la rotta del declino demografico”, ammonisce De Palo, evidenziando che “ogni anno qualcuno trova 10 o più miliardi di euro per portare avanti qualcos’altro; poi, quando li ha spesi, promette di pensare all’assegno unico”. “A questo punto – aggiunge – chiediamo chiarezza e concretezza, perché ciò che leggiamo e sentiamo ci dice che a queste condizioni non conviene sposarsi, ma separarsi. E che senza detrazioni per figli a carico i dati sul numero delle nascite e sul tasso di fecondità nel nostro Paese continueranno a scendere”. “Crediamo che la proposta dell’assegno unico sia molto più semplice, efficace e rivoluzionaria per le famiglie. I soldi ci sarebbero, serve la volontà politica”, conclude il presidente del Forum.

Agenzia SIR                                                16 luglio 2019

https://agensir.it/quotidiano/2019/7/16/economia-de-palo-forum-famiglie-con-13-miliardi-si-risolvono-per-sempre-i-problemi-delle-famiglie

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FRANCESCO VESCOVO DI ROMA

Ma Francesco è solo, come dice Marco Politi?

Marco Politi ha scritto un libro prezioso con il suo recente “La solitudine di Francesco” (Laterza). Esso fa una descrizione della Chiesa cattolica di oggi, partendo dal punto di vista più importante, quello del ruolo del papa nella concretezza dell’azione di Francesco. Il libro contiene una documentazione ricchissima con interviste dirette, fatti e documenti. Non è privo di una tesi di fondo, quella delle grandi difficoltà del papa e della sua conseguente solitudine ma l’analisi non è forzata, descrive i chiaroscuri, la complessità delle situazioni, la geopolitica così come le realtà interne alla grande “macchina” spirituale, organizzativa e clericale dell’universo cattolico.

Forse quanto manca è la ricerca di quanti appoggiano Bergoglio all’interno della Chiesa perché sapevamo già dei molti non credenti o di cultura laica che lo apprezzano, anche molto. Sarà vero che non sempre il consenso che c’è alza la voce, ma esiste; sono i gruppi di base impegnati nel sociale, chi vive una spiritualità più libera, i cristiani in condizione di minoranza, soprattutto gli “ultimi”, il popolo di Dio fuori dal circuito clericale magari con le sue devozioni antiche e via di questo passo. Sono tanti. Il consenso a Bergoglio esiste, usa poco i social, non è abituato molto ad organizzarsi, non alza la voce, non ha interessi di ruoli o di potere di qualsiasi tipo da difendere. Bisognerebbe avere la capacità di avere informazioni diffuse ben al di là della situazione italiana.

Un nuovo volto di Dio. Il libro si apre con emozionanti dialoghi di Francesco con dei bambini in una parrocchia romana. È un “altro” Dio quello di cui parla Bergoglio, un Dio che ama tutti, credenti e non, cristiani ed islamici, che perdona e capisce, è un Dio che cerca le persone e non le lascia, che richiede un cuore capace di stupore, poco importa se si è peccatori con insuccessi nella vita. È il Dio della misericordia, non quello degli steccati, della prevalenza della casistica nelle norme morali, del relativismo, è un Dio universale superiore ai recinti confessionali, “fedele, premuroso, che non abbandona mai i suoi figli”. Politi ha fatto bene a introdurre con il leitmotiv del magistero di Francesco che è quello di presentare un altro volto di Dio.

Le cose vanno male. Poi dodici capitoli descrivono la situazione generale. Essa appare oggettivamente in evidente peggioramento, in questa seconda fase del pontificato. Politi mi sembra realista più che pessimista. In Italia la nuova recente fase politica è esplicitamente lontana da qualsiasi sensibilità bergogliana, idem per le linea prevalsa nel 2016 con l’avvento di Trump in diretto contrasto con i messaggi di dialogo del papa. Basti pensare, tra le tante situazioni in arretramento, alla rottura in Palestina e al rilancio del riarmo nucleare. In Europa assistiamo all’emergenza del sovranismo, dominante ad Est (con vasti consensi cattolici come in Polonia), ma in crescita ovunque e il prevalere in America Latina di regimi dalle pratiche anticristiane. E poi tutto il resto, le disuguaglianze che aumentano, le migrazioni, le offese all’ambiente, ecc.

2018: un undici settembre. Arriva poi il 2018 che Politi definisce l’11 settembre di Bergoglio. Al centro la gravissima questione della pedofilia del clero; sembrava che la questione, con ritardi e incertezze, fosse affrontata seriamente senza che fosse sempre al centro di tutto. Così non è stato. Prima la penosa vicenda del Cile, poi le informazioni dalla Pennsylvania e infine dalla Chiesa tedesca, nel frattempo l’attacco frontale di mons. Viganò con la richiesta di dimissioni. In effetti tutto è ancora in alto mare. La Commissione ad hoc istituita da Bergoglio con ampi poteri è stata boicottata alla grande dalla Curia e il papa non è riuscito a sorreggerla a sufficienza. Francesco, allora, da una parte invita alla mobilitazione il Popolo di Dio (fine agosto), dall’altra convoca l’incontro internazionale di febbraio al più alto livello possibile, poi dà direttive in maggio, ma intanto la consapevolezza che questa questione sia presente ovunque si è diffusa e che le pratiche di copertura del prete pedofilo siano state la norma per decenni.

Bergoglio sotto tiro. Gli interventi sulla struttura della Curia che potrebbero essere più efficaci sono quelli del decentramento, quando egli affida ai vescovi le dichiarazioni di nullità dei matrimoni, maggiori competenze in materia di traduzione delle Scritture, e ai confessori via libera controllata per i divorziati risposati di accostarsi all’Eucaristia, dopo due sinodi difficili sulla famiglia. Molte altre questioni vengono a galla, ultima quella delle donne nella Chiesa, che Bergoglio affronta con reticenza e congelando l’ipotesi del diaconato femminile. Dopo un avvio del pontificato dal grande impatto, alla base e anche tra molti non credenti, nel momento del consolidamenti tutto diventa difficile e si rallenta, il clero è spesso disorientato e soprattutto forze potenti dentro la Chiesa e fuori si stanno organizzando pensando a un Conclave che non potrà essere troppo lontano nel tempo. Non ci sono più remore, si intensificano i testi contrari, l’uso dei social, l’aggressività di interventi, inconcepibili in passato. Cardinali e altri sono usciti allo scoperto. Müller, dopo il licenziamento da prefetto dell’ex-S. Ufficio, è diventato il portavoce della linea contraria, tanti invece seguono passivamente, brontolando sottovoce. Mons. Luigi Bettazzi ha detto: “Francesco piace alla gente, meno al clero, meno ancora ai vescovi”. Troppi sono quelli che continuano come prima, il peso di 35 anni di rigorosa selezione nelle nomine episcopali, all’insegna della ortodossia e della soggezione alla struttura verticale, si sente. Poiché il libro era già in stampa Politi non parla dell’attacco più duro a Bergoglio. È stato quello degli “Appunti” di Ratzinger di metà aprile. Il papa emerito non copre esplicitamente l’offensiva contro Bergoglio, ma il suo testo è il momento di più autorevole contraddizione con il nuovo corso. Tutte le resistenze a Francesco guardano a lui. Ratzinger scrive quello che pensa da sempre, dopo la sua “conversione” nel ’68, ma proprio ciò testimonia la diversità radicale delle due linee.

Il nuovo corso di Bergoglio. La partita è aperta. Tutto ciò premesso, Politi trae delle conclusioni e dice: “Bergoglio è solo”. Questa osservazione sarebbe comune “nelle conversazioni private nel mondo ecclesiale romano e non romano”. Ma Politi non dice che è perdente. A mio giudizio la partita è aperta. Politi, che tende verso il pessimismo (per chi è bergogliano come lui) è anche ricco nel descrivere molto altro del pontificato. Vale la pena ricordare orizzonti più generali della sua azione perché servono a capire meglio a che punto siamo e come è più opportuno muoversi per chi crede di essere in una fase del tutto particolare della storia della Chiesa. Francesco è uomo determinato, gode di buona salute, ha un’attività instancabile, ma soprattutto regge bene psicologicamente e sulla base di una grande fede, alle aggressioni. Vuole continuare e dice: “Conservo sempre la pace interiore che mi è venuta al tempo del Conclave, è un dono dello Spirito che mi è arrivato dall’inizio del pontificato e che sento fino ad oggi”. “È un gesuita!”, dice Politi. Le sue scelte strategiche permangono e sono quelle che delineano il suo nuovo corso. Mi pare che si possa dire, senza sbagliare, che le azioni che dipendono direttamente da lui e che non devono fare i conti con nomine, ruoli, strutture, prudenze per l’unità della Chiesa, ecc., siano quelle che diano il segno. Gli interventi contro il “sistema” di dominio nel mondo del Potere, i discorsi ai movimenti popolari, la collocazione dalla parte degli ultimi e delle periferie, la mirabile “Laudato Si’“, la sua separazione dall’”Occidente”, la denuncia diretta dei vizi della curia e del clericalismo sono i punti fermi della sua testimonianza dell’Evangelo. Sono quelli che più creano contrasto anche se in modo meno diretto (nella Chiesa è più comodo sollevare questioni dottrinali che negare le realtà del piano inclinato della situazione del mondo che Francesco mette sotto gli occhi di tutti).

Le altre Chiese cristiane, l’Islam, la Cina. L’altro aspetto profetico della sua azione è quello che riguarda il rapporto con le altre Chiese cristiane, con l’islam e con la Cina. Da questo punto di vista i suoi interventi nei confronti delle chiese evangeliche hanno già segnato un punto di non ritorno. Nei confronti dell’Ortodossia i tentativi non possono andare oltre quel poco che la realtà permette. Con l’Islam la linea è stata la più aperta possibile, contribuendo a un riconoscimento esplicito dei suoi valori spirituali e contrastando le demonizzazioni sparse in tante aree fondamentaliste. In ogni modo il complesso della collocazione internazionale del papato rimane l’altro fatto nuovo; c’è una netta diversità rispetto al passato quando tutto passava sotto la lente dell’anticomunismo, del relativismo, della teologia della liberazione da contrastare. Aldilà dei problemi di gestione della Chiesa Francesco è un punto di riferimento mondiale, sopra le parti, “voce di chi non ha voce”, è una ricchezza per tutta l’umanità. Rimane da ragionare sui “processi da mettere in moto” che Francesco propone perché la Chiesa si rilanci ed affronti al meglio le tante difficoltà di ogni tipo e perché la via sinodale non sia una semplice “voce” della comunicazione del Vaticano. Il percorso è stato avviato con la riforma del sinodo dei vescovi dell’ottobre scorso, i sinodi fatti hanno dato risultati alterni, quasi sempre non sono serviti a niente, in Germania si sta avviando il percorso di un sinodo tedesco, in Italia se ne parla, per ora abbastanza a vuoto. Francesco scommette su questo percorso che potrebbe permettere alle Chiese locali di essere più “libere”. Il prossimo sinodo panamazzonico di ottobre è la grande scommessa. Il documento preparatorio, sull’ambiente, i ministeri e la violenza nei confronti delle popolazioni indigene ha indicato una via di grande prospettiva che non dovrà essere bloccata dalla curia e che il papa dovrebbe avere il coraggio di avvallare.

Un Vaticano III? Il libro si conclude con una conversazione con Hans Küng. Egli appoggia papa Francesco, non sa fino a dove egli potrà arrivare senza spaccare la Chiesa, ritiene che l’attuale episcopato cattolico non sarebbe in grado di celebrare un nuovo Concilio riformatore perché il corpo episcopale è ancora tutto emanazione di Wojtyla e di Ratzinger. Identica era la posizione del card. Martini, perché “si tornerebbe indietro invece che andare avanti”. Probabilmente per questa consapevolezza i movimenti riformatori come We Are Church-Noi Siamo Chiesa non hanno mai fatta propria la bandiera di un Vaticano III.

      Vittorio Bellavite, coordinatore nazionale Noi siamo chiesa      16 luglio 2019

                    https://mailchi.mp/d04b76d8d8b2/comunicato-nsc-333761?e=760c915e08

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MATERNITÀ

Discriminazione maternità: ultime sentenze

Le ultime sentenze su: discriminazione di genere; trasferimento dei lavoratori; congedi parentali e permessi per malattia dei figli; assenze per maternità; previdenza ed assistenza; assicurazione per le malattie; assegno di maternità.

  1. Principio di non discriminazione. Nel periodo di “effettivo servizio” previsto dagli accordi aziendali applicabili ai dipendenti di Unicredit s.p.a. per il riconoscimento del “premio fedeltà” va computato il congedo facoltativo per maternità, quale interpretazione delle clausole contrattuali che, non solo non viola i canoni ermeneutici di cui agli artt. 1362 e 1369 c.c. ma è l’unica compatibile con il principio di non discriminazione e, come tale, atta ad evitare la nullità delle predette clausole, secondo il disposto dell’art. 1367 c.c. Cassazione civile sez. lav., 22 ottobre 2018, n.26663.
  2. Trasferimento della lavoratrice. In presenza di un criterio di formazione di una graduatoria per trasferimenti di lavoratori stabilito sulla base di un’effettiva prestazione lavorativa, costituisce discriminazione di genere l’esclusione delle ore di assenza dal lavoro dovute a congedo di maternità e ad interdizione anticipata per gravidanza. Tribunale Siracusa, 10 maggio 2017, n.378.
  3. Lavoro subordinato e discriminazione. Costituisce una discriminazione di genere la mancata equiparazione delle assenze per congedo di maternità, per congedi parentali e per permessi per malattia dei figli alla presenza effettiva in servizio ai fini della quantificazione del premio di risultato. Tribunale Torino, 26 ottobre 2016, n.1858.
  4. Apprendistato: trattamento meno favorevole alla lavoratrice madre. Costituisce discriminazione riservare un trattamento meno favorevole a una lavoratrice madre rispetto agli altri apprendisti quando questo è connesso causalmente con la fruizione del congedo di maternità e la conseguente proroga del termine di scadenza del periodo di formazione. Tribunale Catanzaro prima sezione, 29 aprile 2015, n.444.
  5. Parità di trattamento fra lavoratori di sesso maschile e femminile. Sussiste una discriminazione indiretta fondata sul sesso quando l’applicazione di un provvedimento nazionale, pur formulato in modo neutro, di fatto sfavorisca un numero molto più alto di lavoratori di un sesso che dell’altro. Tale condizione non si verifica tuttavia per la discriminazione indiretta prevista all’articolo 2, paragrafo 1, lettera b), della direttiva 2006/54, in quanto nessun elemento di causa consente di accertare che il rifiuto di accordare il congedo di maternità a una madre committente, che abbia avuto un figlio mediante un contratto di maternità surrogata, sfavorisca in particolare i lavoratori di sesso femminile rispetto ai lavoratori di sesso maschile. Il rifiuto di riconoscere un congedo di maternità a una madre committente, che abbia avuto un figlio mediante un contratto di maternità surrogata, non costituisce una discriminazione diretta o indiretta fondata sul sesso, ai sensi dell’articolo 2, paragrafo 1, lettere a) e b), della direttiva 2006/54. La circostanza che la madre si occupi del bambino sin dalla sua nascita non inficia questa conclusione. In forza dell’articolo 2, paragrafo 2, lettera c), di tale direttiva, costituisce una discriminazione ai sensi della direttiva 2006/54 qualsiasi trattamento meno favorevole riservato ad una donna per ragioni collegate alla gravidanza o al congedo di maternità ai sensi della direttiva 92/85. Ebbene, una madre committente che abbia avuto un figlio mediante un contratto di maternità surrogata non può, per definizione, essere oggetto di un trattamento meno favorevole per ragioni collegate alla sua gravidanza, poiché la stessa non è mai stata incinta di questo figlio. In base alla direttiva 92/85, inoltre, gli Stati membri non sono tenuti a riconoscere un diritto al congedo di maternità ai sensi dell’articolo 8 di tale direttiva a una lavoratrice che abbia avuto un figlio mediante un contratto di maternità surrogata, in qualità di madre committente, nemmeno quando, dopo la nascita, essa effettivamente allatti, o comunque possa allattare, al seno il bambino. Negare un congedo retribuito equivalente al congedo di maternità a una donna che abbia avuto un figlio mediante un contratto di maternità surrogata non costituisce una discriminazione ai sensi della direttiva 2006/54, in particolare dei suoi articoli 4 e 14. La direttiva 2000/78 non determina una discriminazione fondata sull’handicap per il fatto di negare la concessione di un congedo retribuito equivalente a un congedo di maternità o a un congedo di adozione a una lavoratrice che sia incapace di sostenere una gravidanza e si sia avvalsa di un contratto di maternità surrogata. Corte giustizia UE grande sezione, 18 marzo 2014, n.363.
  6.  Assenza prolungata. Le disposizioni di attuazione del principio di parità di trattamento fra uomini e donne in materia di occupazione e impiego, contenute nell’art. 14, § 1, lett. c), della direttiva 2006/54 e nell’art. 15 della stessa direttiva sono sufficientemente chiare, precise e incondizionate da poter produrre un effetto diretto. Esse rilevano rispettivamente l’esclusione in via generale ed in termini inequivocabili di qualsiasi discriminazione basata sul sesso e prevedono che alla fine del periodo di congedo per maternità la donna abbia diritto di riprendere il proprio lavoro o un posto equivalente secondo termini e condizioni che non le siano meno favorevoli, e a beneficiare di eventuali miglioramenti delle condizioni di lavoro che le sarebbero spettati durante la sua assenza. Corte giustizia UE, prima sezione, 06 marzo 2014, n.595.
  7. Termine del periodo di congedo per maternità. Ai sensi dell’art. 56 D.lg. n. 151 del 2001, la lavoratrice madre, al termine del periodo di congedo per maternità, deve essere adibita alle mansioni da ultimo svolte o a mansioni equivalenti: l’ingiustificabile dimensionamento costituisce una forma di discriminazione indiretta che pone il lavoratore di un determinato sesso in una situazione di particolare svantaggio rispetto ai lavoratori dell’altro sesso. Corte appello Torino sezione lavoro, 02 agosto 2010, n. 666.
  8. Condizioni di lavoro: discriminazione diretta o indiretta fondata sul sesso. L’art. 2 della direttiva 76/2007, che vieta qualsiasi discriminazione diretta o indiretta fondata sul sesso per quanto concerne le condizioni di lavoro, nonché gli art. 8 e 11 della direttiva 92/1985, relativi al congedo di maternità, ostano a disposizioni nazionali disciplinanti il congedo di educazione che, nei limiti in cui non tengono conto dei cambiamenti causati dallo stato di gravidanza alla lavoratrice interessata per il limitato periodo di almeno quattordici settimane, precedente e successivo al parto, non permettono all’interessata di ottenere dietro sua domanda una modifica del periodo del suo congedo di educazione nel momento in cui essa fa valere i suoi diritti al congedo di maternità, privandola quindi di diritti connessi a quest’ultimo. Corte giustizia UE, quarta sezione, 20 settembre 2007, n.116.
  9. Licenziamento di una dirigente. Il licenziamento di una dirigente, che sia stato adottato per ragioni collegate alla gravidanza o alla maternità della stessa, costituisce una discriminazione diretta basata sul sesso, con le conseguenze previste dall’art. 18 st. lav., a prescindere dal numero dei dipendenti e anche in favore dei dirigenti. Tribunale Milano, 09 agosto 2007.
  10. Assegno per maternità: diniego discriminatorio della prestazione previdenziale. In tema di assegno per maternità ex art. 75 del D.lgs. n. 151 del 2001, costituisce atto di discriminazione in ragione della nazionalità il diniego della prestazione previdenziale ai cittadini di Paesi terzi per mancato possesso della carta di soggiorno, come emerge dalla lettura congiunta degli artt. 43 e 44 del D.lgs. n. 286 del 1998 e delle fonti sovranazionali in materia. Cassazione civile, sezione lavoro, 23 maggio 2019, n.14073.

La legge per tutti 16 luglio 2019

www.laleggepertutti.it/290584_discriminazione-maternita-ultime-sentenze

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MATRIMONIO

Quando posso essere infedele

Dal matrimonio derivano diritti e doveri reciproci in capo ad entrambi i coniugi: pensa ad esempio all’obbligo della coabitazione (cioè di vivere sotto lo stesso tetto), oppure a quello di assistenza morale e materiale. Tra i doveri principali c’è anche quello alla fedeltà, talmente importante che la legge lo cita addirittura per primo rispetto agli altri. Da tanto deriva che il coniuge infedele legittima l’altro a chiedere la separazione e perfino il divorzio, con addebito della fine del rapporto. Nonostante ciò, se ti stai chiedendo se esistono dei casi in cui si può essere infedeli senza pagarne le conseguenze (giuridiche), la risposta è positiva.

  1. Infedeltà: cos’è? Per rispondere alla domanda quando posso essere infedele bisogna prima capire cosa intende la legge per fedeltà. La fedeltà, secondo il codice civile, non consiste solo nell’astenersi da rapporti sessuali con persone diverse dal coniuge, ma anche in generale nell’evitare qualsiasi tipo di relazione sentimentale con altri individui che possa turbare l’equilibrio della vita matrimoniale. È chiaro, dunque, come la legge abbia accolto una nozione ampia di fedeltà, la quale non si riferisce solamente al classico tradimento con persona diversa dal coniuge, ma più in generale ad un dovere di lealtà nei confronti del proprio partner. Da tanto deriva che si può essere infedeli al coniuge anche tradendolo platonicamente, magari intrattenendo con altra persona una lunga relazione affettiva a distanza, costituita da lunghe chiacchierate al telefono oppure su WhatsApp. Anche i reiterati incontri possono costituire un’infedeltà, quando v’è “corrispondenza di amorosi sensi” seppur non sfociata in un rapporto sessuale.
  2. Cosa succede al coniuge infedele? Fatta questa necessaria premessa, vediamo quali sono le conseguenze tipiche dell’infedeltà. Ebbene, di solito il coniuge infedele si vede addebitare la separazione chiesta dalla controparte: ciò significa che il giudice riconosce al coniuge fedifrago la responsabilità del naufragio dell’unione. Dall’addebito derivano conseguenze giuridiche ben precise: ed infatti, il coniuge “colpevole” perde il diritto all’assegno di mantenimento (anche qualora versasse in precarie condizioni economiche) e i diritti successori nei confronti dell’coniuge. Inoltre, se l’infedeltà ha causato un danno (biologico o anche solo morale) al coniuge tradito, questi potrebbe anche chiedere il risarcimento dei danni, oltre che la separazione con addebito: secondo i giudici, infatti, quando l’infedeltà sia talmente grave da arrecare pregiudizio all’onore e alla dignità del coniuge, questi ha diritto anche al risarcimento. Pensa al marito che tradisce in maniera spudorata la moglie, portando in giro le proprie numerose amanti e presentandole anche ad amici e parenti.
  3. Quando si può essere infedeli nel matrimonio? Siamo pronti per vedere quando la legge tollera l’infedeltà; prima, però, una doverosa precisazione: quanto si dirà da qui in avanti riguarda gli aspetti legali dell’infedeltà, non quelli sociali o sentimentali. Innanzitutto, si può essere infedeli senza che la separazione venga addebitata: per costante orientamento giurisprudenziale, infatti, l’infedeltà è causa di addebito della separazione solamente quando è la causa della fine dell’unione, e non la semplice conseguenza. Esempio pratico. Tizio e Caia, dopo venti anni di matrimonio, sono stufi l’uno dell’altra; conducono vite separate e solo formalmente vivono ancora insieme. Dopo anni di separazione “di fatto”, Caia trova un nuovo compagno, con cui si incontra sistematicamente. Ebbene, se Tizio cita Caia in tribunale per ottenere la separazione, chiedendo altresì l’addebito, non è affatto detto che il giudice glielo conceda: ed infatti, ben prima che Caia intraprendesse una nuova relazione il matrimonio tra i coniugi era già finito. In questa ipotesi, dunque, l’infedeltà è solo formale ed è la conseguenza, non la causa, della crisi matrimoniale già in atto. Ancora, l’infedeltà potrebbe essere tollerata nel caso in cui sia la risposta ad un precedente tradimento: il marito tradisce la moglie; costei, per vendicarsi, fa lo stesso. Questo secondo tradimento, poiché giustificato dal primo, potrebbe essere “tollerato” dal giudice, poiché il matrimonio era già finito alla prima infedeltà del marito. Anche questa ipotesi, di fatto, rientra nel concetto sopra espresso: se l’infedeltà è solamente l’espressione di un male già radicato nella coppia, allora non per forza essa ha un peso giuridico.
  4. Posso essere infedele se convivo? Diverso è il discorso nel caso della convivenza. Si può essere infedeli tra conviventi? Innanzitutto, va detto che, a seguito dell’entrata in vigore, nel 2016, della Legge Cirinnà [n. 76, 20 maggio 2016], bisogna distinguere tra la convivenza di fatto regolarmente registrata all’anagrafe e la convivenza non formalizzata: solo alla prima, infatti, la legge riconosce precisi diritti e doveri, quali ad esempio quello di reciproca assistenza morale e materiale, quello di assistenza durante la malattia, ecc. Ebbene, nonostante il riconoscimento formale delle convivenze di fatto (quando registrate), ad oggi non sussiste uno specifico obbligo di fedeltà in capo ai conviventi: in altre parole, la fedeltà rimane una prerogativa del solo matrimonio. Di conseguenza, se ti stai chiedendo quando posso essere infedele, sappi che, se convivi e tradisci il tuo partner, la legge non prevede alcuna sanzione nei tuoi riguardi. Nessun addebito, dunque, visto che la separazione si applica solamente ai coniugi. In teoria, però, resta la possibilità che il giudice, nel caso in cui tu abbia leso l’onore e la dignità del tuo convivente, possa condannarti ad un risarcimento.
  5. Infedeltà nelle unioni civili: è ammessa? Stesso discorso vale per le unioni civili, cioè per quell’istituto giuridico che tutela la convivenza tra persone dello stesso sesso. Anche in questo caso, il tradimento del convivente non è disciplinato dalla legge, nel senso che non è previsto alcun obbligo giuridico di fedeltà.

Mariano Acquaviva        La legge per tutti       15 luglio 2019

www.laleggepertutti.it/292666_quando-posso-essere-infedele

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PARLAMENTO

Senato della Repubblica. 2° Commissione Giustizia. Affido condiviso

16 luglio 2019.  Seguito dell’esame congiunto dei disegni di legge nn. 45, 118, 735, 768 e 837, congiunzione con l’esame del disegno di legge n. 1224, sospeso il 10 aprile 2019.

     Il relatore Pillon illustra il disegno di legge n. 1224 Lucia Ronzulli. Modifiche al codice civile in materia di affido condiviso che reca, anche esso, modifiche alla disciplina civilistica dell’affido condiviso.

www.senato.it/japp/bgt/showdoc/18/DDLPRES/0/1107542/index.html?part=ddlpres_ddlpres1

Nel merito il provvedimento si compone di dodici articoli.

  1. L’articolo 1 definisce la nozione di responsabilità genitoriale e individua le modalità con cui i genitori possono rivolgersi al giudice per la definizione degli eventuali contrasti urgenti tra di loro insorti.
  2. L’articolo 2, modificando l’articolo 337-bis del codice civile, reca una puntuale elencazione dei diritti dei figli in caso di mancata o cessata convivenza dei genitori: il diritto alla vita affettiva, a ricevere cura educazione e istruzione da parte di entrambi i genitori in misura paritetica, il diritto di costruire (e non solo mantenere) rapporti significativi con tutti i parenti; il diritto di non essere coinvolti nei conflitti genitoriali, di essere mantenuti e non subire pregiudizi economici per effetto della separazione dei genitori; il diritto di non subire mai pressioni da parte dei genitori o dei parenti; il diritto di vivere serenamente la loro età.
  3. L’articolo 3 interviene sull’articolo 337-ter del codice civile, recante modalità di esercizio della responsabilità genitoriale. La disposizione fissa i modelli di esercizio della responsabilità genitoriale, per il caso di separazione, ribadendo che il regime di coaffido è quello preferenziale, ma dividendo l’area delle decisioni di ordinaria amministrazione da quelle di straordinaria amministrazione. L’articolo poi, disciplina anche i casi di esercizio esclusivo della responsabilità genitoriale e di affidamento del minore a soggetti terzi.
  4. L’articolo 4 modificando l’articolo 337-quater del codice civile – detta i criteri dei tempi di permanenza dei figli, stabilendo la necessità di una valutazione prioritaria della possibilità di tempi tendenzialmente paritetici del minore presso ciascuno dei genitori ma sempre tenendo conto delle peculiarità dei singoli casi. In proposito si prevede che i figli siano, di regola, domiciliati presso entrambi i genitori e che ogni comunicazione che li riguardi debba essere inviata a entrambi i domicili. Come si precisa nella relazione illustrativa tale intervento, collegato alle modifiche apportate dall’articolo 6, delle quali si dirà in seguito, è finalizzato alla eliminazione della figura di matrice giurisprudenziale del genitore prevalentemente collocatario.
  5. L’articolo 5 sostituisce l’articolo 337-quinquies del codice civile, dettando i criteri sulle modalità di contribuzione, in applicazione del diritto del figlio di mantenere contesti omogenei presso entrambi i genitori. La disposizione prevede espressamente che ciascuno dei genitori debba provvedere al mantenimento dei figli in misura proporzionale alle proprie sostanze, comprensive di reddito e patrimonio, e alle capacità, anche potenziali, di lavoro professionale o casalingo. In particolare ciascun genitore è tenuto a sostenere: non solo i costi connessi alle esigenze ordinarie di vita del figlio, indipendentemente dai tempi della sua permanenza presso ciascuno di essi; ma anche le spese che, per occasionalità, non prevedibilità, gravosità o voluttuarietà, non possano essere determinate in misura fissa. L’individuazione di questa ultima categoria di spese è demandata ad un decreto del Ministro della giustizia, da emanarsi con cadenza quadriennale. L’ipotesi dell’assegno perequativo è prevista solo qualora necessaria alla realizzazione dei diritti del figlio.
  6. L’articolo 6, che interviene sull’articolo 337-sexies del codice civile, disciplina le modalità di assegnazione della casa familiare, in modo da eliminare il criticato automatismo-assegnatario della casa familiare, subordinandola alla verifica che l’assegnazione sia finalizzata a garantire al figlio di godere di una sistemazione abitativa consona alle sue esigenze quando si trova con ciascun genitore. Il giudice deve inoltre tenere conto del valore dell’assegnazione della casa, pari al canone di locazione sulla base dei valori di mercato. La disposizione prevede, tra le altre misure, anche l’obbligo per i soggetti diversi dal genitore che dovessero essere ospitati presso la casa familiare di versare al proprietario un importo a titolo di indennità di occupazione, onde evitare ingiusti danni al proprietario e lo sviamento dell’assegnazione dalla funzione che le viene assegnata.
  7. L’articolo 7 disciplina le modalità di contribuzione per il figlio maggiorenne, sia tramite la previsione della cessazione dell’obbligo qualora il figlio sia stato messo nelle condizioni di essere autonomo, sia tramite una più analitica previsione degli strumenti processuali da utilizzare.
  8. L’articolo 8 reca una puntuale disciplina per il mantenimento dei figli maggiorenni con disabilità che, sino a oggi, non erano destinatari di alcuna specifica tutela per l’ipotesi di separazione dei genitori.
  9. L’articolo 9 introduce nel codice civile tre nuove disposizioni. Il nuovo articolo 337-novies del codice civile disciplina i poteri del giudice nell’assunzione dei provvedimenti provvisori e definitivi riguardanti i figli. Particolare attenzione è dedicata all’ascolto del minore, il quale è escluso nei procedimenti in cui il giudice prende atto degli accordi tra i genitori, salvo che non lo ritenga strettamente necessario per il rispetto dei diritti dei figli. Il nuovo articolo 337-decies del codice civile disciplina la revoca e la modifica dei provvedimenti definitivi; infine l’articolo 337-undecies del codice civile, rubricato “Consulenze tecniche e indagini del servizio sociale professionale territoriale” prevede che il ricorso alle consulenze tecniche d’ufficio sia riservato solo ai casi in cui il giudice non disponga effettivamente di elementi per poter decidere. Si prevede inoltre che nell’ambito delle indagini delegate dal giudice ai servizi sociali, sia sempre garantito il rispetto del diritto di difesa e del contraddittorio.
  10. L’articolo 10 disciplina le controversie in materia di esercizio della responsabilità genitoriale. Esso reca l’introduzione degli articoli 337-duodecies e 337-terdecies nel codice civile: il primo è diretto a prevenire e contrastare i comportamenti lesivi dei diritti dei figli; con il secondo, si introducono gli strumenti che il giudice deve utilizzare all’emergenza dei primissimi segnali di lesione dei diritti dei figli. Tali strumenti si sostanziano in linea generale nella condanna del genitore responsabile delle condotte lesive al pagamento di sanzioni pecuniarie.
  11. L’articolo 11stabilisce che le norme della legge si applichino anche ai procedimenti pendenti alla data di entrata in vigore della medesima.
  12. L’articolo 12 infine reca la clausola di invarianza finanziaria.

         Stante l’attinenza di materia, il Presidente propone che l’esame del disegno di legge n. 1224 proceda congiuntamente al seguito dell’esame dei disegni di legge nn. 45 e connessi.

  La Commissione conviene.

http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=SommComm&leg=18&id=1118758&part=doc_dc-sedetit_isr

 

        16 luglio 2019                                   Assegno Divorzile

(1293) Deputato Alessia Morani.  –  Modifiche alla legge 1° dicembre 1970, n. 898, in materia di assegno spettante a seguito di scioglimento del matrimonio o dell’unione civile, approvato dalla Camera dei deputati

–  Modifiche all’articolo 5 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, in materia di assegno spettante a seguito di scioglimento del matrimonio o dell’unione civile

            Prosegue l’esame congiunto, sospeso nella seconda seduta pomeridiana del 2 luglio. Il relatore Pillon (L-SP-PSd’Az) propone di procedere con un ciclo di audizioni sull’argomento. La Commissione conviene.

Il senatore Caliendo (FI-BP) auspica che gli approfondimenti abbiamo un profilo eminentemente tecnico.

La senatrice Unterberger (Aut (SVP-PATT, UV)) ritiene superfluo l’intervento legislativo in questione essendosi sull’argomento pronunciate in misura largamente chiarificatrice le sezioni unite della Corte di cassazione.

Il senatore Cucca (PD) evidenzia l’importanza della centralità del Parlamento e ritiene pertanto necessario un intervento legislativo.

            Il seguito dell’esame congiunto è quindi rinviato.

 

Violenza donne: Codice Rosso è legge

Legge 19 luglio 2019, n. 69. Ok definitivo da palazzo Madama al Ddl Codice Rosso che introduce misure per tutelare le vittime di violenza domestica e di genere.www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaDettaglioAtto/originario;jsessionid=l7CLdAll-3rhoV66TDUrzw__.ntc-as2-guri2a?atto.dataPubblicazioneGazzetta=2019-07-25&atto.codiceRedazionale=19G00076&elenco30giorni=false

Via libera definitivo al Ddl Codice Rosso. Il Senato, infatti, ha appena votato (con 197 voti a favore, 47 astensioni e nessun contrario) il sì al provvedimento già licenziato nei mesi scorsi alla Camera.

   Il Ddl, che introduce misure per tutelare le vittime di violenza domestica e di genere, tra cui il reato di revenge porn [pornovendetta] e di sfregio, diventa quindi legge dello Stato.

   Premier Conte: “orgoglio di legge, primo importante passo”. “Oggi il Codice Rosso, fortemente voluto da questo Governo, è legge dello Stato. Uno strumento pensato per aiutare le tante donne che quotidianamente sono minacciate, perseguitate, stalkerizzate, sottoposte a violenze fisiche o psicologiche da ex compagni o mariti, talvolta semplicemente da conoscenti” ha scritto il premier Conte su Facebook, a margine dell’approvazione del Ddl. “I dati parlano di una vittima ogni 72 ore e ci restituiscono l’immagine di un Paese nel quale, evidentemente, il problema della violenza contro le donne è prima di tutto culturale. Ed è lì che bisogna intervenire, a fondo e con convinzione, per cambiare davvero le cose. Grazie anche al supporto fondamentale delle associazioni che da anni si impegnano per combattere contro la violenza di genere, abbiamo studiato e messo a punto ogni strumento che consentirà di offrire a chi chiede aiuto una rete efficace di protezione che si attiverà da subito”, ha aggiunto Conte. “Il Codice Rosso, a cui hanno lavorato i ministri Giulia Bongiorno e Alfonso Bonafede, che ringrazio, è un modo per non far sentire queste donne sole e indifese. Non è la soluzione definitiva, e ne siamo consapevoli. Ma è un primo importante passo, che mi rende orgoglioso, nella direzione della rivoluzione culturale di cui il nostro Paese ha fortemente bisogno”, ha concluso il premier.

Vediamo più nel dettaglio tutte le novità del Codice Rosso:

  1. Il disegno di legge AC. 1455A introduce nel codice penali quattro nuove fattispecie di reato:
  • Art 583- quinques: Deformazione dell’aspetto della persona tramite lesioni permanenti al viso.

Questo delitto è punito con la pena della reclusione da 8 fino a 14 anni. Nel momento in cui dalla commissione di tale reato consegue la morte della vittima, è prevista la pena dell’ergastolo. Questo delitto viene incluso tra i reati violenti di tipo intenzionale che attribuiscono alla vittima il diritto a essere indennizzata dallo Stato.

  • Art 612 ter – cp: cosiddetto “Revenge porn“. Viene punita la diffusione illecita d’immagini o di video sessualmente espliciti senza il consenso delle persone in esse rappresentate. Le pene previste sono la reclusione da 1 a 6 anni e la multa da 5.000 a 15.000 euro. La punizione è prevista anche nei confronti di coloro che, avendo ricevuto o acquisito le immagini, le diffonde al fine di recare danno ai soggetti in esse ritratti. La fattispecie risulta aggravata se:
  • Si realizza all’interno di una relazione affettiva, anche se già conclusa
  • Se vengono utilizzati strumenti informatici.
  • Art 558-bis c.p.: Costrizione o induzione al matrimonio.
  • Delitto punito con la pena della reclusione da 1 a 5 anni. Il reato è aggravato nel momento in cui viene commesso in danno di minori. La norma prevede la procedibilità anche se il fatto viene commesso all’estero da o in danno di un cittadino italiano o di uno straniero residente in Italia.
  • Art 387-bis: Violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa. Viene punita con la reclusione da 6 mesi a 3 anni, la trasgressione ai provvedimenti disposti a tutela della persona offesa, con l’obiettivo di renderli ancora più incisivi.
  • Pene più severe per maltrattamenti e stalking. L’intervento sul codice penale non si limita all’introduzione di quattro nuove fattispecie. Esso va a modificare anche figure di reato già esistenti, come i maltrattamenti in famiglia e lo stalking.
  • Art 572 c.p. Maltrattamenti in famiglia. Inasprimento delle pene e fattispecie aggravata speciale se il reato viene commesso alla presenza o nei confronti di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di soggetto disabile. Il delitto di maltrattamento viene inserito tra i delitti che permettono, sulla base di soli indizi di reato l’applicazione di misure di prevenzione, come il divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona da proteggere.
  • Art 612 bis c.p. Atti persecutori. Previsto un inasprimento della pena. Artt. 609-bis e ss. c.p. Violenza sessuale. Pene più severe e più tempo (da 6 a 12 mesi) per la persona offesa per sporgere querela. Rimodulate ma anche inasprite le aggravanti nei casi in cui la violenza sessuale ha come vittima un minore.
  • Art 609-quater c.p. Atti sessuali con minorenne. Viene introdotta un’aggravante che prevede un aumento di pena fino a un terzo se gli atti sessuali vengono compiuti con minori di anni 14 in cambio di denaro o altre utilità, anche se solo promessi. Questo delitto infine diventa procedibile d’ufficio.
  • Art. 577 cp Aggravanti delitto di omicidio. Si vuole estendere il campo di applicazione delle aggravanti dell’omicidio aggravato alle relazioni affettive, anche se cessate. Art. 165 c.p. Obblighi del condannato. Si vuole introdurre, tra gli obblighi a cui subordinare la sospensione condizionale della pena per violenza domestica e di genere, quello di partecipare a specifici percorsi di recupero.
  • Codice Rosso: priorità per procedimenti penali. Le modifiche apportate al codice di procedura penale mirano a velocizzare l’avvio del procedimento penale che ha per oggetto i delitti di violenza domestica e di genere e l’adozione d’ idonei provvedimenti di protezione in danno delle vittime, nello specifico ” Codice rosso“. Pertanto, nel momento in cui pervengono agli organi incaricati notizie di reati relative a delitti di violenza domestica e di genere:
  • La polizia giudiziaria deve riferire, anche oralmente, ma immediatamente al PM. A tale comunicazione deve seguire senza ritardo quella in forma scritta;
  • Il PM, entro 3 giorni dall’iscrizione della notizia di reato, deve assumere informazioni dalla persona offesa o da chi ha presentato la denunciato. Questo termine può essere prorogato solo se sono presenti imprescindibili esigenze di tutelare dei minori o per la necessità di mantenere le indagini riservate, anche nell’interesse della vittima del reato;
  • La polizia giudiziaria deve, senza ritardo, compiere gli atti d’indagine delegati dal PM e porre senza ritardo a sua disposizione i documenti che rappresentano il risultato delle attività compiute.

Il provvedimento prevede inoltre che:

  • Se il giudice penale adotta provvedimenti relativi a delitti di violenza domestica o di genere ed è a conoscenza del fatto che è in corso un procedimento di separazione, di affidamento dei minori o di responsabilità genitoriale, deve trasmetterli senza ritardo al magistrato del civile;
  • Viene introdotto il braccialetto elettronico per permettere al giudicante di assicurare il rispetto della misura del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa;
  • la persona offesa e il suo difensore devono essere informati in relazione ai provvedimenti di scarcerazione, cessazione della misura di sicurezza detentiva, evasione, applicazione delle misure dell’allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, di revoca o sostituzione di misure coercitive o interdittive a carico del soggetto indagato.
  • Corsi sulla violenza di genere, recupero per i condannati e indennizzi. Le novità però non finiscono qui. Previste infatti altre misure per formare adeguatamente il personale alla violenza di genere, per introdurre percorsi di recupero per i condannati e per indennizzare le vittime.
  • Corsi di formazione per gli addetti ai lavori. Il provvedimento, nell’ottica di una maggiore consapevolezza e preparazione sulla violenza di genere, intende attivare corsi di formazione in materia per la Polizia di Stato, i Carabinieri e la Polizia penitenziaria.
  • Modifiche all’ordinamento penitenziario. Si vuole modificare l’ordinamento penitenziario (L. n. 354/1975) al fine di estendere i benefici penitenziari per i condannati per il delitto di deformazione dell’aspetto mediante lesioni permanenti al viso. Tali benefici potranno essere applicati dopo l’osservazione scientifica della personalità del condannato, per la durata di un anno da un organo collegiale. Prevista altresì la possibilità sottoporre chi si è macchiato di reati sessuali, maltrattamenti contro familiari o conviventi e atti persecutori a trattamento psicologico, con l’obiettivo di recuperarlo, sostenerlo e concedergli i benefici penitenziari previsti.
  • Indennizzo per i reati commessi nei territori UE. Spostamento presso le procure dei Tribunali, al posto delle attuali procure presso la Corte d’appello, dell’autorità addetta ad assistere le vittime di un reato che dà diritto all’indennizzo, quando l’illecito è commesso nel territorio di uno Stato UE e chi presenta l’istanza è residente in maniera stabile in Italia.

www.studiocataldi.it/articoli/34167-codice-rosso-ok-della-camera-ecco-cosa-prevede.asp

https://www.studiocataldi.it/articoli/35347-violenza-donne-codice-rosso-e-legge.asp

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SEPARAZIONE

Coniuge superstite: niente diritto d’abitazione per il separato

Corte di Cassazione, seconda sezione civile, ordinanza n. 15277, 5 giugno 2019

www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_35324_1.pdf

Per la Cassazione la separazione personale tra i coniugi e la cessazione della convivenza ostacolano il sorgere dei diritti di abitazione e uso. Il codice civile, all’art. 540, comma 2, sancisce che al coniuge del defunto sia riservato il diritto di abitazione “sulla casa adibita a residenza familiare”, nonché quello di uso sui mobili che la corredano, se di proprietà del defunto o comuni.

Ciononostante, tale diritto è ritenuto non spettante al coniuge superstite qualora sia precedentemente intervenuta una separazione legale dal de cuius: la norma in esame, infatti, è condizionata all’effettiva esistenza, al momento dell’apertura della successione, di una casa adibita ad abitazione familiare, evenienza che non ricorre allorché sia cessato lo stato di convivenza tra i coniugi dopo la separazione.

Lo ha sancito la Corte di Cassazione, seconda sezione civile, nell’ordinanza n. 15277/2019 (qui sotto allegata) respingendo il ricorso di una donna che aveva avanzato azione di riduzione, ritenuta inammissibile dai giudici di merito, con riferimento alla successione del coniuge separato.

Il de cuius aveva disposto con testamento in favore del coniuge un legato di usufrutto generale, qualificato dai giudici di merito legato in sostituzione di legittima. Tuttavia, secondo la Corte di merito, l’attrice non aveva rinunciato al legato sostitutivo preventivamente o quanto meno contestualmente alla proposizione della domanda di riduzione. In verità la rinuncia al legato era intervenuta, ma la corte di merito l’ha ritenuta tardiva, in quanto operata dopo che la legataria aveva compiuto atti di esercizio del diritto, ravvisati nel fatto che l’attrice aveva continuato ad abitare nella ex casa coniugale, compresa nell’usufrutto.

La ricorrente ritiene che il giudice a quo non abbia considerato che l’utilizzo dell’appartamento da parte sua non costituiva esercizio del diritto di usufrutto a lei lasciato con il testamento, ma rifletteva l’esercizio del diritto di abitazione spettante ex lege al coniuge ai sensi dell’art. 540 c.c., comma 2, in quanto l’immobile costituiva la casa coniugale e lei aveva continuato a utilizzarlo come propria abitazione in forza di clausola della separazione consensuale intervenuta con il de cuius.

Gli Ermellini ritengono che, erroneamente, la ricorrente dia per acquisito che i diritti di abitazione e di uso, riconosciuti in favore del coniuge dall’art. 540 c.c., comma 2, spettino anche al coniuge separato senza addebito. Da un lato, la prevalente dottrina ritiene che lo stato di separazione non costituisca ostacolo al riconoscimento dei diritti sulla casa familiare a favore del coniuge (a cui non sia stata addebitata la separazione con sentenza passata in giudicato), che dunque manterrebbe gli stessi diritti successori riconosciuti al coniuge non separato.

Di contrario avviso la giurisprudenza di legittimità, che ravvisa nella separazione personale intervenuta tra i coniugi e nella cessazione della convivenza un ostacolo insormontabile al sorgere dei diritti d’abitazione e d’uso: ciò in quanto l’impossibilità di individuare una casa adibita a residenza familiare, si legge nel provvedimento, farebbe venir meno il presupposto oggettivo richiesto ai fini dell’attribuzione dei diritti in parola.

            Se, dunque, il diritto di abitazione (e il correlato diritto d’uso sui mobili) in favore del coniuge superstite può avere ad oggetto esclusivamente l’immobile concretamente utilizzato prima della morte del de cuius come residenza familiare, la Corte ritiene che l’applicabilità della norma in esame sia evidentemente condizionata all’effettiva esistenza, al momento dell’apertura della successione, di una casa adibita ad abitazione familiare. Evenienza che non ricorre allorché, a seguito della separazione personale, sia cessato lo stato di convivenza tra i coniugi (cfr. Cass. n. 13407/2014).

Stabilizzando e dando seguito a tale principio, la seconda sezione civile ritiene che non giustifichi una diversa considerazione della vicenda la circostanza che la casa familiare fosse stata attribuita al coniuge in virtù di previsione della separazione consensuale omologata. Rimane infatti valida la considerazione della mancanza della convivenza fra i coniugi al tempo di apertura della successione.

La Corte d’appello, pertanto, incontroversa la mancanza di una convivenza fra coniuge separato e de cuius al tempo dell’aperta successione, non doveva porsi il problema se la permanenza nella casa potesse giustificarsi altrimenti rispetto al legato testamentario.

            Ciò posto, si ritiene corretto l’aver stabilito che, in considerazione del possesso e del godimento del bene ereditario, protrattosi per oltre nove anni, la signora avesse consumato la scelta prevista dall’art. 551 c.c., a favore del legittimario, rendendo così inefficace la rinuncia effettuata in precedenza. Il ricorso viene dunque rigettato.

            Lucia Izzo      Studio Cataldi                       16 luglio 2019

www.studiocataldi.it/articoli/35324-coniuge-superstite-niente-diritto-d-abitazione-per-il-separato.asp

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TEOLOGIA

Migrare da noi stessi crescere, cambiare, convertirsi

Homo viator è la   formula   nella   quale   Gabriel   Marcel   condensa   l’intero   contenuto   della   sua antropologia.   Ma   l’essere   costantemente   in   cammino   non   è   soltanto   un   modo   di   essere   che caratterizza   strutturalmente   la   condizione umana; è   più   radicalmente   un   imperativo   etico   al quale   l’uomo   deve   conformare   la   propria   condotta.   A   specificare l’identità umana (e a distinguerla da altre identità) è infatti la tensione in avanti e l’apertura al futuro. Migrare dunque un dato originario, costitutivo della natura dell’uomo, ma è insieme anche un’attitudine esistenziale e un compito da assolvere; è, ancor più profondamente, una categoria dello spirito. La tradizione ebraico-cristiana conferisce a questo modo di essere-al-mondo un grande significato religioso.   L’uomo   biblico   —   ce   lo   testimoniano   figure   come   quelle   di Abramo   e   di   Giuseppe — è per definizione un migrante, un nomade in costante esodo alla ricerca di una terra, la terra della promessa, che, raggiunta, diviene a sua volta il punto di partenza per camminare verso una meta ulteriore.

Non è questo del resto il senso profondo dell’escatologi cristiana, contrassegnata dalla tensione tra il “già” e il “non ancora” del regno; tensione che fa della vita del credente un permanente pellegrinaggio la migrazione come esperienza interiore La migrazione è tuttavia una realtà complessa e ambivalente.

Vi è anzitutto una migrazione negativa cui oggi assistiamo: è la migrazione geografica forzata di chi è costretto ad abbandonare la propria terra per uscire da una situazione di povertà estrema o per fuggire da una situazione di guerra o di violenza che rischia di comprometterne l’esistenza.   Come   tale   la   migrazione   è   un   fenomeno   grave   provocato   dalle   diseguaglianze   che dividono il mondo e le classi sociali, e che sono il frutto di uno stato di ingiustizia che reclama l’assunzione di precise responsabilità civili e politiche.

Ma vi è anche una migrazione positiva – quella a cui si fa qui riferimento – che consiste in un processo interiore, in un’esperienza che – come già si è accennato – coinvolge la persona nella sua globalità. Migrare è, in questo caso, uscire da se stessi, dal recinto della propria autoreferenzialítà per incontrare l’altro e il mondo. È abbandonare la condizione di stabilità e di sicurezza e mettere in discussione le garanzie acquisite per affrontare l’ignoto. Il che può avvenire soltanto laddove si coltivano alcune attitudini interiori: dal silenzio all’ascolto, dalla povertà alla ricettività. Crescere e cambiare la migrazione non è, anche in questo caso, senza sofferenza. In quanto condizione della crescita personale, essa   presuppone   la   conquista   di   una   autonomia, che   comporta   il   passaggio   attraverso distacchi e rotture. La libertà “per”, che è la vera libertà – quella che gli Scolastici chiamavano “libertà di perfezione” (Libertas perfectionis) opponendola alla “libertà di elezione” (libertas electionis), cioè al libero arbitrio – si attua soltanto nella scelta, la quale se costituisce, da un lato, la via obbligata per la propria realizzazione; riduce, dall’altro, lo spazio delle proprie possibilità di scelta – scegliere vuol dire sempre   autolimitarsi   rinunciando   a   qualcosa   di   altro   con   l’inevitabile   esperienza   di   uno   stato   dilacerazione interiore. Il superamento delle dipendenze, a partire da quelle familiari, ma anche da abitudini consolidate e rassicuranti alle quali consciamente (o più spesso inconsciamente) ci si aggrappa, è una condizione imprescindibile per ricuperare il proprio mondo interiore e consolidare il proprio io personale. Solo infatti rientrando in se stessi, assumendo piena coscienza di sé e capacità di autodecisione – solo giungendo, in altri termini, alla piena maturità della propria personalità – è possibile migrare da sé, costruendo un progetto di vita aperto e muovendo, con pazienza e con costanza, i propri passi verso di esso.

Il rifiuto del dubbio e la paura del nuovo spingono a rifugiarsi nell’adesione a sistemi totalizzanti, incorrendo in forme di fondamentalismo o di dogmatismo laico che nulla hanno da invidiare a quello religioso. Come ci ricorda con insistenza Emmanuel Levinas, la ragione della totalità, una ragione chiusa dalla quale sono scaturiti i totalitarismi politici del secolo breve, rischia di avere oggi il sopravvento sulla ragione dell’infinito, la quale, lungi dall’avere la pretesa di “spiegare” ogni aspetto e dettaglio della realtà, preferisce affidarsi a una “comprensione” di essa capace di evocare, con l’aiuto del linguaggio simbolico, il mistero che ci avvolge. Alle certezze assolute di carattere religioso, che tuttora sussistono, sia pure in cerchie sempre più ristrette di fedeli tradizionali, si affiancata ai nostri giorni una fede cieca nel progresso scientifico e tecnico che assume i connotati di una nuova forma di religione. Migrare da sé stessi significa avere invece il coraggio di cambiare; significa mettere in gioco il proprio destino, accogliendo la complessità della realtà e aprendosi al mutare delle situazioni, con la disponibilità a perdere anche quella parte di sé legata a un passato ormai desueto per ricostituire la propria identità. Non si tratta di rinnegare il valore della fedeltà, che rimane un’istanza irrinunciabile   dell’autentica esperienza umana; si tratta   di non concepirla come   fedeltà   ripetitiva, come   la   semplice   reiterazione   di   quanto   si   è   scelto, ma   come   fedeltà creativa; come un riscegliere in modo sempre nuovo senza rinunciare per questo ai valori di fondo sui quali si radica una visione positiva ed armonica del mondo.

Il cambiamento che viene dalla migrazione di sé esige dunque una forma di duttilità, che è capacità di leggere e di interpretare la mutevolezza delle situazioni, senza indulgere in nostalgie involutive; e,   nello   stesso   tempo,   esercizio   di   una   responsabilità   che   si   traduce nell’assunzione   di comportamenti   e   di   stili   di   vita   in   grado   di   rendere   efficacemente   testimonianza   al   tessuto valoriale di cui deve essere intessuta la vita personale e sociale di sempre. Essere responsabili non comporta infatti soltanto adesione incondizionata alla propria coscienza o a un sistema di principi   assoluti   “accada   quello   che   può”; implica   anche   —   come   ci   ha   opportunamente ricordato Max Weber — fare concretamente i conti con le conseguenze delle azioni, valutare cioè il risultato conseguito. Nel segno della conversione. Crescita   e   cambiamento   confluiscono, per   chi   fa   riferimento   alla   tradizione   biblica, nell’esperienza, insieme religiosa ed etica, della “conversione”. Uscire da se stessi vuol dire in questo caso uscire dal proprio egoismo, dall’essere proiettati esclusivamente sui propri bisogni e sui propri desideri, anche se si tratta di bisogni e desideri destinati a promuovere la vera crescita umana, per accogliere il dono che viene dall’alto e affidarsi a Colui che ne è il datore, disponendosi a fare la sua volontà.

Il termine usato dai testi del Primo Testamento per designare tale processo è il termine ebraico shub, che significa letteralmente “invertire la rotta”; con esso si indica il movimento fisico di chi si accorge di aver sbagliato direzione e volge di conseguenza le spalle alla meta cui era diretto per andare in direzione opposta. Si tratta di dare vita a una svolta radicale, di abbandonare gli idoli morti per “fare ritorno” al Dio della vita. È in particolare la letteratura profetica — quella del periodo dell’esilio — a sottolineare questa valenza: il tempo della “prova” è anche il tempo della “decisione”. A questa dimensione religiosa ha fatto seguito in un tempo successivo — come viene proposto   dalla   letteratura   sapienziale   postesilica   —   il   ricupero   della   dimensione   etica, la sollecitazione cioè ad aderire ai valori che sono alla base delle prescrizioni date da Jahvè per la conservazione   e   lo   sviluppo   della   “comunione”   interpersonale, che   costituisce   il   grande   dono dell’alleanza. Il Testamento cristiano conferma (e consolida) questa visione.

 L’ingresso del regno nella storia pone l’uomo di fronte a una scelta irrevocabile e non più procrastinabile. Il vocabolario riguardante la conversione si arricchisce di nuovi elementi: accanto al verbo greco epistréphein (l’equivalentedel termine ebraico shub), che pone l’accento — come già si è ricordato — sul movimento fisicodell’inversione di marcia — inversione che esprime bene la radicalità della scelta richiesta a chi intende accogliere la buona notizia del Regno — fa la sua comparsa il termine greco metanoia, che coinvolge più direttamente il mondo interiore dell’uomo — intelligenza e cuore — nell’atto di   adesione   a   una   persona   (non   dunque   a   una   dottrina   o   a   una   ideologia),   al   Dio   che   si   è manifestato   definitivamente   nell’evento-persona   di   Gesù   di   Nazaret.   Migrare   da   se   stessi significa, in questo caso, uscire dalla tentazione dell’autosufficienza per dare il proprio   salvezza come dono. Ma significa anche riconoscere che il dono è insieme appello rivoltoall’uomo — sta qui la dimensione etica — a fare propria nella vita quotidiana la logica del regno, ponendosi alla sequela del Maestro. Crescita e cambiamento, che sono l’espressione più immediata   della   migrazione   da   sé, trovano   qui   la   loro   sintesi   compiuta.

 L’esistenza   umana assume   il   carattere   di   un   pellegrinaggio   ininterrotto   verso   una   meta   ideale   mai   totalmente raggiungibile; si   trasforma   in   una   parola, in   una   esperienza   di   conversione   permanente.   La consapevolezza   della   distanza   che   separa   (e   separerà   sempre)   il   discepolo   dalla   proposta dell’ideale   di   perfezione   evangelica,   se   vissuta   nella   consapevolezza   di   essere   oggetto   del perdono   incondizionato   del   Padre,   lungi   dal   suscitare   uno   stato   di   frustrazione   paralizzante dovuto alla constatazione della propria impotenza, rende il migrare da sé un impegno che si può vivere con la gioia nel cuore, nella certezza che “ciò che all’uomo è impossibile è possibile a Dio”.

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201907/190720piana.pdf

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VIOLENZA

Matrimoni forzati: fino a 7 anni di carcere

E’ quanto prevede la nuova legge Codice Rosso approvata in via definitiva dal Senato. Pene aggravate se il matrimonio forzato riguarda minori. Una stretta al fenomeno delle spose-bambine e dei matrimoni forzati. E’ quanto si propone di ottenere la nuova fattispecie di reato contenuta nella legge Codice Rosso, approvata ieri in via definitiva dal Senato.

Una delle novità introdotte dal Codice Rosso è l’articolo che punisce, con la reclusione da uno a 5 anni, il reato di “costrizione o induzione al matrimonio”, ex nuovo articolo 558-bis c.p., chiunque “con violenza o minaccia costringe una persona a contrarre matrimonio o unione civile”. La stessa pena è prevista per chi “approfittando delle condizioni di vulnerabilità o di inferiorità psichica o di necessità di una persona, con abuso delle relazioni familiari, domestiche, lavorative o dell’autorità derivante dall’affidamento della persona per ragioni di cura, istruzione o educazione, vigilanza o custodia, la induce a contrarre matrimonio o unione civile”.

Il reato, data la dimensione ultranazionale del fenomeno, è punito anche quando il fatto è commesso all’estero da cittadino italiano o da straniero residente in Italia, ovvero in danno di cittadino italiano o straniero residente in Italia.

Il nuovo reato, inoltre, prevede precise aggravanti. La pena è aumentata, infatti, se “i fatti sono commessi ai danni di un minore di 18 anni”. Inoltre, se i fatti sono commessi in danno di minore di anni 14 è aumentata da 2 a 7 anni.

Marina Crisafi Studio Cataldi                            18 luglio 2019

www.studiocataldi.it/articoli/35347-violenza-donne-codice-rosso-e-legge.asp

 

Reato di maltrattamenti e discontinuità nella condotta

Corte di Cassazione, sesta Sezione penale, recente sentenza n. 19776, 8 maggio 2019

www.altalex.com/documents/news/2019/05/27/maltrattamenti-pause-fra-episodi-lesivi-non-escludono-l-abitualita

Le pause tra un episodio lesivo e l’altro, escludono l’abitualità e quindi il reato di maltrattamenti? Il reato di maltrattamenti contro familiari e conviventi, previsto e disciplinato dall’art. 572 c.p., viene configurato come un reato abituale. Tale particolare ipotesi di reato si configura nel caso di reiterazione nel tempo da parte dello stesso soggetto agente di più condotte identiche od omogenee.

Una difficoltà interpretativa può sorgere quando ci si trovi al cospetto di episodi di maltrattamento intervallati però da momenti di quiete e astensione dalle violenze. Ci si può chiedere, in particolare, se le pause tra un episodio e l’altro valgano a neutralizzare l’intera condotta lesiva, volta a ledere l’integrità psico fisica della vittima.

A tal riguardo, la Corte di Cassazione ha statuito che non è necessario che gli atti di natura vessatoria perpetrati nei confronti della vittima siano posti in essere per un tempo continuativo e mai interrotto. A patto che il periodo in cui si verificano le violenze sia prolungato, non rilevano gli eventuali periodi di normalità e di accordo con il soggetto passivo che si frappongano tra una condotta e l’altra.

Nel caso sottoposto all’attenzione dei giudici della Cassazione, l’imputato sosteneva che la verificazione di soli tre episodi aggressivi lungo un arco temporale di circa due anni, non valesse a configurare il reato di cui all’art. 572 codice penale [Maltrattamenti contro familiari o conviventi].

La Corte di Cassazione, di contrario avviso, ha invece ritenuto integrato il reato di maltrattamenti, perfezionato da condotte eterogenee che spaziano dalle vere e proprie violenze fisiche e morali, come percosse, lesioni, ingiurie e minacce, fino agli episodi di disprezzo, umiliazione e offesa alla dignità della vittima.

Tale reato, si legge nella motivazione della sentenza, è da ritenersi configurato non solo quando le condotte sistematiche siano continuative e ininterrotte, ma anche quando esse siano intervallate da condotte prive di tale connotazione sopraffattrice, o anzi pacifiche e concilianti nei confronti della vittima. Tali condotte “interruttive”, infatti, non appaiono sufficienti a rimuovere il carattere di abitualità del reato di maltrattamenti, poiché le precedenti condotte lesive della dignità altrui mantengono un disvalore che si protrae nel tempo, e non viene vanificato dalla semplice presenza di sporadici episodi di segno contrario.

Dal punto di vista dell’elemento soggettivo del reato, è sufficiente provare in capo all’imputato la consapevolezza di cagionare un perdurante e significativo stato di malessere in capo alla vittima, a lui sottoposta per ragioni di autorità o di affidamento.

Brocardi redazione giuridica                                          10 luglio 2019 –

www.brocardi.it/notizie-giuridiche/reato-maltrattamenti-discontinuita-nella-condotta/1970.html?utm_source=Brocardo+Giorno&utm_medium=email&utm_content=news_small_dirittopenale&utm_campaign=2019-07-11

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