NewsUCIPEM n. 759 – 23 giugno 2019

NewsUCIPEM n. 759 – 23 giugno 2019

Unione Consultori Italiani Prematrimoniali E Matrimoniali

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“Notiziario Ucipem” unica rivista ufficiale – registrata Tribunale Milano n. 116 del 25.2.1984

Supplemento on line. Direttore responsabile Maria Chiara Duranti. Direttore editoriale Giancarlo Marcone

News gratuite si propongono di riprendere dai media e inviare informazioni, di recente acquisizione, 2019che siano d’interesse per gli operatori dei consultori familiari e quanti seguono nella società civile e nelle comunità ecclesiali le problematiche familiari e consultoriali.

Sono così strutturate:

ü  Notizie in breve per consulenti familiari, assistenti sociali, medici, legali, consulenti etici ed altri operatori, responsabili dell’Associazione o dell’Ente gestore con note della redazione {…ndr}.

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I testi, anche se il contenuto non è condiviso, vengono riprese nell’intento di offrire documenti ed opinioni di interesse consultoriale, che incidono sull’opinione pubblica.

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01 ADOZIONE INTERNAZIONALE              Denatalità, sterilità, sempre meno figli: la soluzione è l’adozione

02 ASSEGNO DI SEPARAZIONE                  Separazioni: cambia l’assegno di mantenimento                          

03 ASSEGNO DIVORZILE                              Addio assegno divorzile anche alla moglie povera

04 AUTORITÀ GARANTE PER I MINORI  Relazione al Parlamento: “Gli adulti si prendano le responsabilità”

05 CENTRO INTERN. STUDI FAMIGLIA   Newsletter CISF – n. 24, 19 giugno 2019.

08 CHIESE EVANGELICHE                            Elementi per un dibattito su “genere e sessualità”

09 CITTÀ DEL VATICANO                              Sinodo amazzonico

12                                                                          Mons. Fabene: valorizzare ruolo dei laici                                         

13                                                                          L’Amazzonia non è una selva oscura

16 CORTE COSTITUZIONALE                       Coppie gay: non è illegittimo il divieto di procreazione assistita

16                                                                          Coppie omosessuali: legittimo vietare la procreazione assistita

17 COUNSELING                                             Zeffirelli: la mia storia vera.

18 DALLA NAVATA                                         SS. Corpo e Sangue di Cristo – Anno C – 23 giugno 2019

18                                                                          Condividere gioco divino cui il Signore invita tutti       

19 DIRITTI                                                          Cassazione: il feto durante il travaglio è una persona

19 FECONDAZIONE ETEROLOGA              Consiglio di Stato: ok donazioni eterologa ma con limiti

19 FRANCESCO VESCOVO DI ROMA       Un colloquio rivelatore, l’ultimo di Francesco con i gesuiti.

21                                                                          Per una teologia pratica.  Mediterraneo laboratorio di dialogo

22                                                                          I teologi si dichiarano colpevoli

24                                                                          Il cattolicesimo non ha sempre ragione

25 OMOFILIA                                                    Il counseling, un supporto per le famiglie con una persona LGBT

 

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ADOZIONE INTERNAZIONALE

Denatalità, sterilità, sempre meno figli: la soluzione è la adozione internazionale

Lo sostiene il presidente di Ai.Bi. – Amici dei Bambini, Marco Griffini: “Il rilancio di questo settore si può ottenere in tre passi. Si deleghi la presidenza CAI al ministro Lorenzo Fontana

Il quadro demografico in Italia è sempre più cupo e la soluzione è solo una: il rilancio della adozione internazionale. Lo sostiene con forza il presidente di Ai.Bi. (Organizzazione Non Governativa costituita da un movimento di famiglie adottive e affidatarie che dal 1986 lavora ogni giorno al fianco dei bambini ospiti negli istituti di tutto il mondo per combattere l’emergenza abbandono), Marco Griffini.

Che gli indicatori demografici in Italia non se la passino bene lo certificano i dati ISTAT: il numero dei bambini nati in Italia nell’anno 2018, 449mila, è di un terzo inferiore a quello del 2008, mentre è in costante contrazione il tasso di fecondità: 1,32 figli per donna, fra i più bassi nell’UE, mentre gli ultrasessantacinquenni sono aumentati di 30 volte dagli Anni ’60.

“Stiamo morendo – commenta Griffini – e, purtroppo, bisogna dire che gli incentivi economici, pure insufficienti, comunque non bastano. Cosa se ne fa una coppia sterile di soldi? Si stima che rispetto alle cinque milioni e 430mila coppie sposate e senza figli censite nel 2011, almeno tre milioni fossero quelle sterili. Quale può essere la soluzione a questo vero e proprio dramma? La risposta sta nel rilancio della adozione internazionale, che si può ottenere in tre semplici manovre:

  1. Sul lato economico con l’istituzione di un bonus da 10mila euro per ogni adozione internazionale conclusa. Stimando 1000 adozioni nel 2020 sarebbero solo 10 milioni di euro, che però darebbero finalmente quel segnale di fiducia che manca oggi alle decine di migliaia di coppie potenzialmente disponibili.
  2. In secondo luogo con la revisione dei decreti attualmente in vigore. In parlamento giace, al riguardo, una mozione presentata dall’on. Maria Teresa Bellucci.
  3.  Infine, ora che la vicepresidente della CAI – Commissione Adozioni Internazionali, Laura Laera, è stata riconfermata fino al 2020, il presidente Conte potrebbe dare delega piena come presidente della stessa Commissione al Ministro della Famiglia, Lorenzo Fontana, di modo che la stessa CAI possa proseguire con ancora maggior vigore nel solco delle relazioni internazionali recentemente riavviate”.

News Ai. Bi.    19 giugno 2019

www.aibi.it/ita/denatalita-sterilita-sempre-meno-figli-la-soluzione-e-la-adozione-internazionale

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ASSEGNO DI SEPARAZIONE

Separazioni: cambia l’assegno di mantenimento

Corte di Cassazione, sesta sezione civile, ordinanza n. 16405, 19 giugno 2019

              La Cassazione, dopo quasi 40 anni, elimina il criterio del tenore di vita anche per l’assegno di mantenimento dopo la separazione, così come già fatto nel 2017 per il divorzio.

            Grosse novità in vista per chi vuole separarsi e non ha molti soldi da versare all’ex per il mantenimento: la Cassazione ha appena firmato un’ordinanza con cui dice addio – così come già aveva fatto per l’assegno divorzile nel 2017 – al criterio del “tenore di vita”. In buona sostanza, da oggi in poi gli alimenti dovranno seguire un metodo di quantificazione diverso rispetto a quello storicamente adottato. Metodo che, in conformità con la proposta di legge pendente in questo momento in Parlamento, dovrà tenere conto innanzitutto della durata del matrimonio. Dopo un matrimonio lampo potrebbero spettare non più di 170 euro, così come è stato nel caso deciso dalla Corte.

Per comprendere l’ordinanza della Corte è necessario un breve passo indietro. Fino alla famosa sentenza Grilli della prima Sezione civile, n. 11504, 10 maggio 2017,

http://momentolegislativo.it/app/uploads/2017/05/11504_05_2017.pdf

scopo dell’assegno di mantenimento e di quello di divorzio era di garantire all’ex coniuge con una ridotta disponibilità economica lo stesso tenore di vita che aveva durante il matrimonio. In buona sostanza, una parte del reddito del coniuge più benestante doveva finire all’altro affinché tra i due fosse eliminato ogni divario e vi fosse una sostanziale identità, con medesimo “potere di acquisto”.

            Senonché la Corte ha poi detto che il divorzio recide ogni legame tra marito e moglie, per cui viene meno ogni funzione assistenziale. Ragion per cui, fermo restando il criterio del “tenore di vita” per l’assegno di mantenimento, l’assegno di divorzio, invece, deve essere calcolato sulla base di differenti criteri. Primo tra tutti la possibilità di garantire al coniuge che, non per colpa sua, non può lavorare la sopravvivenza. Il richiamo a un concetto del genere lascia fuori ogni forma di rendita parassitaria. Il tutto però – hanno poi precisato le Sezioni Unite nell’agosto 2018 – tenendo conto del sacrificio prestato dalla donna alla sua carriera per dedicarsi alla famiglia: tanto più ciò ha compromesso le sue capacità lavorative, arricchendo il reddito del marito, tanto maggiore deve essere per lei il mantenimento. Ragion per cui, oggi, è ben possibile che il giudice neghi l’assegno divorzile al coniuge senza reddito.

Ebbene, con l’ordinanza di stamattina, per la prima volta nella lunga storia delle diatribe matrimoniali, la Cassazione, in una causa di separazione non menziona più il parametro del tenore di vita. Il parametro del tenore di vita viene meno anche per l’assegno di mantenimento

«Va ribadita – si legge nel provvedimento – la funzione dell’assegno che non è più, neanche dopo la sentenza delle Sezioni Unite n. 18287, 11 luglio 2018,

www.remidafamiglia.com/media/media/pdf/2018/sezioni-unite-sentenza-11-luglio-2018-n18287-assegno%20divorzio.pdf

quella di realizzare un tendenziale ripristino del tenore di vita goduto da entrambi i coniugi nel corso del matrimonio ma invece quello di assicurare un contributo volto a consentire al coniuge richiedente il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare». Il che significa che, salvo errori di stampa da parte della Corte o un’infelice espressione, ora per i giudici supremi anche l’assegno di mantenimento dovrà tenere conto delle stesse regole applicabili oggi all’assegno divorzile.

Risultato: solo le “casalinghe di lunga data” potranno sperare di ottenere gli alimenti. Chi è ancora giovane o ha avuto un matrimonio molto breve – non avendo perciò contribuito alla ricchezza della famiglia – non potrà campare alle spalle dell’ex.

Ordinanza   www.laleggepertutti.it/289520_separazioni-cambia-lassegno-di-mantenimento

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ASSEGNO DIVORZILE

Addio assegno divorzile anche alla moglie povera

Anche senza reddito il coniuge non ha diritto automatico all’assegno di divorzio.

È ufficiale: sono finiti i tempi in cui, nel momento in cui marito e moglie si separavano, a quest’ultima bastava presentare al giudice la busta paga per ottenere subito l’assegno di mantenimento. Oggi, il divario economico tra gli ex coniugi non basta più per ricevere gli alimenti.

Non c’è, insomma, alcun automatismo tra assenza di reddito e alimenti. La donna deve dimostrare di essersi sacrificata per la famiglia, di aver cioè rinunciato alla carriera per badare al marito e ai figli: solo così può sperare di essere mantenuta.

A chiarirlo non è più solo la Cassazione che, con le due sentenze, ha stravolto completamente la materia [citate nella precedente new]

Di recente, sul tema è intervenuto il tribunale di Treviso [Trib. Treviso, sent. 8.01.2019] che ha ammonito: addio assegno divorzile alla moglie povera.

Addio mantenimento alla moglie senza reddito. Come abbiamo già spiegato, non perché la donna è senza lavoro può sperare di ottenere il contributo mensile dall’ex. Oggi, la giurisprudenza le addossa l’onere di dimostrare che l’assenza di un reddito sufficiente a mantenersi dipende non da lei, ma da fattori esterni quali l’età, la salute, la crisi del mercato occupazionale o, come detto, l’aver fatto la casalinga durante il matrimonio, perdendo così ogni contatto con il mondo del lavoro.

La principale novità, tuttavia, sta sotto il profilo processuale, quello che gli avvocati chiamano «onere della prova»: se la moglie non fornisce alcuno di questi elementi sul banco del giudice – non dimostra cioè perché dovrebbe meritarsi gli alimenti – non potrà ottenere un euro dall’ex marito.

            A spiegare le ragioni di questa apparente ingiustizia è il giudice trevigiano: anche se è pacifico un rilevante divario nella situazione economica tra marito e moglie, «questo dato non è di per sé sufficiente per riconoscere il diritto ad un assegno ma è necessario indagare sulla causa del divario stesso».

Causa che, come detto, deve essere collegata a un fatto esterno alla volontà della donna. Così, anche la decisione della moglie di dedicarsi al ménage domestico deve essere condivisa con il marito.

Quando non spetta più il mantenimento. Dopo oggi, sarà più facile pensare che anche un coniuge senza reddito potrebbe non avere più diritto all’assegno di divorzio. Ciò potrà succedere, ad esempio, quando questi:

  • È ancora giovane e può comunque trovare un posto grazie anche a una precedente formazione: si pensi alla donna di circa 30 anni, con una formazione scolastica e post scolastica o con altre esperienze lavorative alle spalle;
  • Il matrimonio è stato troppo breve per tarpare le ali alla carriera della moglie: un’unione di solo due o tre anni non può aver decretato il definitivo allontanamento della donna dal mondo del lavoro;
  • Ha sì svolto l’attività domestica, ma la sua scelta non è stata condivisa con il coniuge essendo piuttosto solo il frutto della propria volontà di non voler lavorare;
  • Ha uno stipendio minimo per un part-time, ma le sue condizioni gli consentono di chiedere un’estensione del contratto a full time;
  • Non ha dato prova che l’assenza di reddito e di occupazione sono dovute a circostanze esterne come la salute o l’impossibilità di trovare un posto.

Assegno separazione e divorzio: c’è differenza?                         video

I chiarimenti per non confondere il trattamento economico prima e dopo lo scioglimento del matrimonio.

https://www.laleggepertutti.it/289396_addio-assegno-divorzile-anche-alla-moglie-povera

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AUTORITÀ GARANTE PER I MINORI

Relazione al Parlamento: “Gli adulti si prendano le responsabilità”

In Italia ci sono nove milioni e 800 mila minorenni. “Non lasciamoli soli”.  È con questo appello alla responsabilità degli adulti – genitori, comunità e istituzioni – che l’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza Filomena Albano ha introdotto la Relazione annuale al Parlamento, presentata il 19 giugno 2019 a Montecitorio alla presenza del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. La presentazione, svolta nella Sala della Regina, è stata introdotta dai saluti del Presidente della Camera Roberto Fico.

“La Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza – ha affermato la Garante Filomena Albano – ha trasformato bambini e ragazzi da oggetto di protezione a soggetti titolari di diritti, ponendo le basi per un cambiamento nella relazione tra generazioni. Ciò però non può significare – come talora accade – che i genitori, la comunità e le istituzioni, senza assumersi le loro responsabilità, rinuncino al ruolo di guida nei confronti dei più piccoli. Quasi che l’aver assegnato loro dei diritti li abbia automaticamente resi capaci di orientarsi da soli nel mondo”.

Relazione al Parlamento 2018                      trasmessa alle Camere ad aprile 2019

 www.garanteinfanzia.org/sites/default/files/agia-relazione-parlamento-2018-web.pdf

Il discorso di Filomena Albano

www.garanteinfanzia.org/sites/default/files/discorso-relazione-parlamento-agia.pdf

 

Le responsabilità degli adulti e delle istituzioni. La responsabilità è la parola chiave sulla quale ha insistito Filomena Albano, richiamandola in ogni passaggio del suo discorso. Responsabilità che sorgono, ad esempio, quando la coppia va in crisi. Per questi casi l’Autorità garante ha elaborato la “Carta dei diritti dei figli nella separazione dei genitori”, che invita a tener conto del punto di vista dei più piccoli. Oppure responsabilità che entrano in gioco, sempre per gli adulti, quando lasciano i ragazzi avventurarsi da soli nella rete senza un’adeguata consapevolezza.

Povertà e diseguaglianze. Ricordate pure le responsabilità delle istituzioni di fronte alle emergenze dell’infanzia. Quasi un minorenne su otto secondo l’Istat vive oggi in condizioni di povertà assoluta, mentre di contro l’offerta di servizi per l’infanzia tra regione e regione è disomogenea e ha bisogno di standard minimi uguali in tutto il territorio. “Servono più asili nido e più mense scolastiche di qualità e spazi gioco accessibili a tutti i bambini e una banca dati sulla disabilità“. È quanto ha chiesto Filomena Albano a Parlamento e istituzioni competenti attraverso la definizione di livelli essenziali delle prestazioni previsti dalla Costituzione.

Maltrattamenti e violenze. Sempre alle istituzioni l’Autorità garante ha domandato di rendere effettiva l’applicazione della legge sugli orfani di crimini domestici e di intervenire prima che le tragedie si consumino. “La violenza nei confronti dei bambini è prova che il sistema di protezione non ha funzionato. Sono troppi i casi, registrati anche negli ultimi giorni, di bambini maltrattati e uccisi da chi li avrebbe dovuti proteggere”. È indispensabile intercettare situazioni di fragilità, dare supporto alla genitorialità e far emergere il sommerso: il che significa, per i più piccoli, sapere di potersi sempre rivolgere a una persona di cui si fidano e, per gli adulti, farsi “sentinelle” del loro benessere. Ma significa anche rispondere all’esigenza di una raccolta dati costante e aggiornata sul fenomeno dei maltrattamenti e delle violenze, sollevata dall’Autorità garante e ribadita a febbraio nelle raccomandazioni all’Italia del Comitato Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza.

Figli di detenuti. Ci sono poi, sempre secondo l’Autorità garante, bambini e ragazzi per i quali la condanna di un genitore rischia di divenire la propria: a loro va garantito il diritto a mantenere relazioni affettive ed educative. Ma anche bimbi che non dovrebbero crescere in carcere: ad aprile ce n’erano ancora 55 negli istituti detentivi.

Minorenni e legalità. C’è poi la richiesta di un impegno alle istituzioni per recuperare i ragazzi alla legalità e al rispetto delle regole: la mediazione penale può essere una risposta per accompagnare i minorenni autori di reato verso la consapevolezza delle azioni compiute e il riconoscimento della sofferenza delle vittime. “Ciò vale anche per i ragazzi più piccoli, che non hanno ancora compiuto 14 anni”.

Minori stranieri non accompagnati. Per i minorenni stranieri che arrivano soli nel nostro Paese, infine, l’Autorità ha ricordato il principio di non respingimento, il divieto di espulsione e il diritto a un’adeguata accoglienza. In questo i tutori volontari rappresentano una possibilità di integrazione e di argine verso rischi di marginalità sociale.

Gli ultimi dati sui minori stranieri non accompagnati

            www.garanteinfanzia.org/sites/default/files/e_-_msna.pdf

L’evento nella Sala della Regina. L’evento è stato aperto e chiuso dall’esecuzione dell’inno nazionale e di quello europeo da parte del coro della Schola Cantorum dell’Accademia di Santa Cecilia, composto da 40 ragazzi di età compresa tra 10 e 15 anni e diretto dal maestro Vincenzo Di Carlo. L’attore Massimo Poggio ha letto due brani di Gianni Rodari in tema di responsabilità genitoriale, mentre il giovane interprete Andrea Amato ha dato voce ai pensieri e alle richieste dei ragazzi autori di reato che seguono un percorso di recupero fuori dagli istituti detentivi.

            La Galleria fotografica del Quirinale                                                 www.quirinale.it/elementi/30418

Infine è stata la volta di Marco, cestista 17enne con disabilità, che ha portato la propria testimonianza sul tema dello sport inclusivo per i minorenni. Ha moderato i lavori la giornalista del Tg1 Elisa Anzaldo. L’evento è stato trasmesso in diretta su Rai 3 a cura della redazione del Tg3.

I sette cantieri aperti per i diritti in Italia. Sono sette almeno i “cantieri aperti” per l’attuazione dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in Italia sui quali richiamare l’attenzione. Riguardano: i rapporti familiari, la violenza sull’infanzia, l’inclusione, il rapporto dei minorenni con la giustizia, le dipendenze e la salute, l’educazione e l’Autorità garante. La Relazione al Parlamento sull’attività dell’Agia nel 2018 pone le basi per individuare oggi, alla luce delle emergenze attuali, sette tra gli ambiti prioritari di intervento per le istituzioni e il mondo degli adulti in generale a tutela di bambini e ragazzi che vivono nel nostro Paese.

    I sette cantieri in Italia per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza in dettaglio

www.garanteinfanzia.org/sites/default/files/03-scheda-cantieri-dettaglio.pdf

Rapporti familiari

  • Genitorialità: conciliare i tempi di vita e quelli di lavoro.
  • Affrontare le separazioni tenendo conto del punto di vista dei figli.
  • Mai più bambini in carcere. Colloqui con i genitori detenuti.
  • Conoscere quanti sono e chi sono i minorenni fuori famiglia.

Violenza sull’infanzia

  • Prevenire e contrastare le violenze: una responsabilità di tutti.
  • Misure urgenti per gli orfani di crimini domestici.

Inclusione

  • Più mense scolastiche, più asili nido, più parchi inclusivi e una banca dati per la disabilità.
  • Rendere effettivo il diritto al gioco e allo sport per tutti.
  • Minorenni di nuova generazione: “Garantire inclusione e partecipazione”.
  • Minori stranieri non accompagnati e tutela volontaria.

Minorenni e giustizia

  • Baby gang, le risposte nelle reti educative e nella lotta all’abbandono scolastico.
  • Dopo l’ordinamento penitenziario per i minorenni, ora introdurre la giustizia riparativa.
  • I ragazzi dell’area penale esterna: la responsabilità di recuperarli alla legalità.

Dipendenze e salute

  • Droga e alcol: più educazione, prevenzione e controlli sanitari.
  • Salute mentale: servizi a misura di bambini e adolescenti.

Educazione

  • Investire nella consapevolezza digitale di adulti e ragazzi.
  • Scuola: le priorità da attuare per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza.
  • Cyberbullismo, adottare il piano integrato di prevenzione e contrasto.

L’Autorità garante

  • Rafforzare l’Autorità. Il Comitato Onu sui diritti dell’infanzia: maggiore autonomia e indipendenza all’Agia.

Infografica sui sette cantieri

www.garanteinfanzia.org/sites/default/files/infografica-cantieri-per-i-diritti-infanzia-e-adolescenza.pdf

L’attività 2018 dell’Autorità garante in cifre     www.garanteinfanzia.org/sites/default/files/04-numeri-agia.pdf

AGIA 19 giugno 2019

www.garanteinfanzia.org/news/relazione-parlamento-agia-2018

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CENTRO INTERNAZIONALE STUDI FAMIGLIA

Newsletter CISF – n. 24, 19 giugno 2019

L’attualità di un impegno nuovo. Convegno internazionale in occasione del Centenario dell’Appello a tutti gli uomini Liberi e Forti di don Luigi Sturzo (1919-2019).                      www.centenariosturzo.or Oltre 500 persone hanno partecipato al convegno tenutosi a Caltagirone dal 14 al 16 giugno 2019, per discutere sull’eredità del pensiero sturziano – e soprattutto sulla sua attualità, non solo per l’impegno politico del mondo cattolico, ma anche per il bene del Paese nella sua interezza. Il Cisf ha partecipato direttamente ai lavori sul tema “famiglia e vita”, in uno dei dodici workshop

http://newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/attachments/newscisf2419_allegato1.pdf

In effetti alla famiglia don Sturzo aveva dedicato proprio il primo dei dodici punti programmatici dell’Appello: “che differenza di priorità, rispetto all’oggi!”.

Il convegno è stato aperto da una preziosa e densa lettera di papa Francesco

www.centenariosturzo.org/docs/Messaggio%20Papa%20Francesco%20-%20Convegno%20Caltagirone%2014%206%2019.pdf

che sottolinea l’importanza e l’attualità di una figura troppo a lungo trascurata nella Chiesa italiana (e spesso anche maltrattata, soprattutto in vita), nonché l’interesse del metodo utilizzato nella due giorni di Caltagirone (“uniti e insieme”, per riprendere parole di don Sturzo). Al termine del convegno è stata approvata una breve Dichiarazione finale, con alcuni impegni e prospettive

www.centenariosturzo.org/docs/Dichiarazione%20finale%2015%20giugno2019.pdf

La speranza dei poveri non sarà mai delusa. Messaggio di Papa Francesco per la III giornata mondiale dei poveri (17 novembre 2019)

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/messages/poveri/documents/papa-francesco_20190613_messaggio-iii-giornatamondiale-poveri-2019.html

Il 13 giugno 2019 è stato pubblicato il Messaggio per la Giornata dei poveri, un appuntamento di crescente importanza nell’agenda ecclesiale, un grido di dolore sempre drammatico. “Incontriamo ogni giorno famiglie costrette a lasciare la loro terra per cercare forme di sussistenza altrove; orfani che hanno perso i genitori o che sono stati violentemente separati da loro per un brutale sfruttamento; giovani alla ricerca di una realizzazione professionale ai quali viene impedito l’accesso al lavoro per politiche economiche miopi; vittime di tante forme di violenza, dalla prostituzione alla droga, e umiliate nel loro intimo. Come dimenticare, inoltre, i milioni di immigrati vittime di tanti interessi nascosti, spesso strumentalizzati per uso politico, a cui sono negate la solidarietà e l’uguaglianza? E tante persone senzatetto ed emarginate che si aggirano per le strade delle nostre città?”

            Il messaggio e la Giornata di novembre 2019 costituiranno naturalmente appuntamenti e strumenti preziosi, nel lavoro che l’Osservatorio Internazionale sulla Famiglia ha avviato quest’anno, proprio sul tema “famiglia e povertà”.                                                                        www.familymonitor.net/ricerca-sociologica

Guidelines for the Use of Social Science Research in Family Law (Linee Guida per l’utilizzo della ricerca delle scienze sociali nel diritto di famiglia), redatte da AFCC (Association of Family and Conciliation Courts – 8 novembre 2018). Di estremo interesse questo documento, frutto del rigoroso lavoro di un gruppo di esperti che per oltre due anni hanno discusso il modo in cui le conoscenze delle scienze sociali possono e devono essere utilizzate dagli operatori della giustizia minorile e del diritto di famiglia per decidere su separazioni, divorzi, alimenti, genitorialità, tutela dei minori, ecc.. Emergono sedici specifici punti di attenzione, che meritano qui di essere elencati

www.familymonitor.net/ricerca-sociologica

1)      Usare fonti di alta qualità;

2)      Comprendere gli elementi fondamentali dei metodi di ricerca;

3)      Verificare la trasparenza dei dati e delle ricerche;

4)      Accuratezza dei rapporti di ricerca;

5)      Essere aggiornati e attenti alle varie tematiche;

6)      Verificare la generalizzabili dei risultati di ricerca;

7)      Conoscere i limiti dei vari studi;

8)      Tenere in considerazione ipotesi/interpretazioni alternative;

9)      Identificare il grado di consenso o di controversia su ricerche qualitative e quantitative;

10)  Verificare i conflitti di interesse;

11)  Individuare il fondamento delle conclusioni;

12)  Riconoscere e gestire gli squilibri di potere tra le parti;

13)  Definire la rilevanza delle indicazioni della ricerca in ambito giuridico;

14)  Ottemperare alle regole dei tribunali e della esposizione delle prove;

15)  Non utilizzare la ricerca per tattiche fuorvianti o ingannevoli;

16)  Promuovere formazione permanente su ricerca e diritto.

L’urgenza di avviare finalmente serie politiche per le persone disabili. L’appello di Anffas (Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale) L’ultima assemblea generale di Anffas (31 maggio 2019) ha approvato una Mozione indirizzata al Ministro Fontana, titolare della deleghe per le politiche sulla disabilità (oltre che sulla famiglia), che è un accorato appello al Governo e al Parlamento, con una mappa estremamente specifica delle urgenze delle famiglie, e anche delle numerose disposizioni normative tuttora inevase. “I nostri diritti vengono ancor oggi, e sempre più negati e la vita dei nostri congiunti con disabilità, unitamente a quella di noi genitori e familiari, è oggetto di discriminazioni, emarginazione e mancanza di pari opportunità. L’accesso ai pochi servizi è reso sempre più difficoltoso ed oneroso e l’enorme carico della disabilità pesa principalmente sulle spalle di noi familiari.”

www.anffas.net/dld/files/MOZIONE%20GENERALE%20ANFFAS_Ministro%20Fontana.pdf

«Maschio e femmina li creò». Per una via di dialogo sulla questione del gender nell’educazione (10 giugno 2019), documento vaticano della Congregazione per l’Educazione Cattolica (degli Istituti di Studi). Di particolare interesse questo documento, che con toni pacati e documentati affronta in modo sistematico il dibattito sul “gender”, e le sue implicazioni in ambito educativo. Solo due nodi si segnalano qui (rimandando ad una lettura diretta dell’intero testo): l’attenzione alle diverse agenzie che hanno responsabilità educative sui ragazzi e sui giovani (in primis la famiglia) e alle loro interazioni: una precisa riflessione sulla sfida antropologica epocale che si gioca oggi sul tema del gender, quando l’attenzione ad esso diventa “ideologia” e “pensiero unico” (vedi punto 6 del documento).

www.educatio.va/content/dam/cec/Documenti/19_0996_ITA.pdf

www.educatio.va/content/cec/it/congregazione-per-l-educazione-cattolica/attivita/il-testo-del-nuovo-documento-del-dicastero-in-cinque-lingue.html

Dalle case editrici

 Cantaluppi Bruna, Frasconi Erika, Lacrimini Giuliana (a cura di), Il verbo delle emozioni. Percorsi ed esperienze di volontariato domiciliare, Cesvot, Arezzo, 2019, pp. 96.

Il libro – pubblicato nella collana “Briciole”, dedicata alle migliori pratiche delle associazioni toscane – racconta l’esperienza del volontariato domiciliare, le sue implicazioni e criticità, i percorsi formativi, le metodologie di intervento, i bisogni a cui risponde. Come spiegano le curatrici del volume, i volontari domiciliari sono quei volontari che si prendono cura dei “malati inguaribili ma non incurabili”. Sono volontari di cui si parla poco, ma che giocano un ruolo fondamentale nel nostro sistema socio-assistenziale, perché svolgono un’importante attività di ascolto, supporto e conforto nei confronti dei malati terminali e delle loro famiglie. Svolgono anche un’attività di collegamento con le istituzioni socio-sanitarie, si occupano di segnalare particolari criticità e bisogni, ma è soprattutto nella relazione umana, empatica e solidale con i malati e le famiglie che il volontario trova la sua forza e ragione d’essere. Il libro è un racconto a più voci: agli interventi di psicologhe, formatrici ed esperte si alternano le testimonianze dei volontari, con le loro esperienze di cura, ascolto e solidarietà, la loro relazione con i malati e le famiglie.

v  Specializzarsi per la famiglia

“L’inclusione scolastica per gli alunni e studenti con disabilità”. Anffas Nazionale, in collaborazione con il Consorzio “La rosa blu”, organizza un corso di formazione distanza (FAD), “che consentirà a tutto il personale del comparto scuola ed ai familiari di sapere “cosa fare, quando farlo e come farlo” per garantire il pieno diritto all’inclusione scolastica, a partire dal primo giorno di scuola.

www.anffas.net/it/news/7466/linclusione-scolastica-per-gli-alunni-e-studenti-con-disabilita

Il tutto assume particolare rilevo anche alla luce delle novità introdotte dal decreto legislativo n. 66/2017 e dal suo correttivo. Il corso riporterà uno specifico approfondimento anche sulle ulteriori modifiche in via di approvazione proprio in questi giorni” Iniziativa accreditata al MIUR sulla piattaforma Sofia (id iniziativa 31716 – id edizione 45894) e prevede un contributo economico a carico dei partecipanti (è possibile utilizzare anche la “carta del docente”).

www.formazioneanffas.net/home/46-2a-edizione-iniziativa-formativa-l-inclusione-scolastica-per-gli-alunni-con-disabilita.html

v  Per favorire una più ampia partecipazione alla Conferenza Internazionale ICCFR-CISF “Famiglie e minori rifugiati e migranti. Proteggere la vita familiare nelle difficoltà” (Roma, 15-16 novembre 2019) il termine di presentazione delle proposte di workshop [vedi il sito ICCFR] è stato prorogato (in via definitiva) a lunedì 15 luglio 2019. Le proposte possono essere inviate via email (anche in italiano) a: opencall@iccfr.org

Il Board ICCFR esaminerà tutte le proposte ricevute entro il 29 luglio 2019. Tutti i proponenti verranno informati dell’esito della loro proposta.

http://newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/attachments/newscisf2519_allegato1.pdf

             

Cause matrimoniali, corso residenziale di diritto canonico applicato, promosso da “Quaderni di Diritto ecclesiale”, Perugia, 25-29 agosto 2019.

Destinatari. L’iniziativa è rivolta in particolare a coloro che intendono acquisire o completare una preparazione di base per meglio operare nelle strutture ecclesiastiche come i tribunali, le curie, i consultori. Inoltre è aperta a coloro che, licenziati in diritto canonico o laureati in giurisprudenza oppure in possesso del baccellierato in teologia o del magistero in scienze religiose, hanno un interesse pratico alle questioni matrimoniali. In questo corso anche coloro che hanno partecipato negli anni scorsi potranno trovare la possibilità di approfondire in modo più ampio e completo le tematiche inerenti la propria formazione professionale.                         www.quadernididirittoecclesiale.org/corsi/corso-cause/160-cause2019-1.html

Save the date 

  • Nord: Affrontare la violenza sulle donne. Prevenzione, riconoscimento e percorsi di uscita, convegno internazionale promosso da Edizioni Centro Studi Erickson, Trento, 18-19 ottobre 2019.

https://eventi.erickson.it/convegno-affrontare-la-violenza-sulle-donne-2019/Home

Nord:  Uscire dalla solitudine, costruire relazioni, congresso triennale IFOTES (International Federation of Telephonic Emergency Services), Udine, 3-7 luglio 2019.

  • https://udine-2019.ifotes.org/it#
  • Estero:  “Children of the World: The Touch of Change. Theories, Policies, Practices” 7. Conferenza dell’ISCI (International Society for Child Indicators) con l’Università di Tartu, Tartu (Estonia), 27-29 agosto 2019.                                                                            www.isci2019.org

 

 

Iscrizione                  http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/newsletter-cisf.aspx

Archivio        http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/elenco-newsletter-cisf.aspx

http://newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/giugno2019/5129/index.html

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CHIESE EVANGELICHE

Elementi per un dibattito su “genere e sessualità”

            Il tema interroga e fa riflettere sia in ambito protestante che in quello cattolico. Il dibattito su “genere e sessualità” nelle chiese di tutto il mondo non si conclude mai e continua con una riflessione approfondita a diversi livelli e a diverse latitudini. Tutto questo è da accogliere nella fiducia che il dialogo e la speranza possano prevalere sui pregiudizi, sulla discriminazione e sull’incomprensione ma il cammino è lungo e accidentato e i modi della conoscenza reciproca talvolta impervi.

Il tema è tanto delicato quanto complesso per la vita e la fede delle persone e delle coppie e dunque gli sforzi in questa direzione ricominciano sempre e ancora di nuovo: l’accoglienza delle persone lgbtqi, [Lesbiche, Gay, Bisessuali, Transgender, Queer (transitività dei generi), Intersessuale] pur sempre in bilico, viene riaffermata pienamente da più parti anche sulla base di considerazioni storiche che hanno portato i protestanti negli ultimi due secoli a impegnarsi in importanti battaglie contro la discriminazione verso le diversità e il riconoscimento dei diritti civili. Il fronte tuttavia non è compatto e il dibattito continua.

Nella Facoltà valdese di teologia a Roma da alcuni anni è attivo il corso di “Studi femministi e di genere” in cui Letizia Tomassone affronta diverse sfaccettature del dibattito sul gender, sia dal punto di vista ecumenico intra-evangelico sia nel dialogo con il mondo cattolico. Si legge nel programma che sono in gioco la teologia naturale e l’essenzialismo di genere, così come il conflitto delle interpretazioni dei testi biblici e il corso intende offrire le basi per una discussione aperta e inclusiva, presentando anche le teologie queer, le teologie femministe e riflettendo su una nuova comprensione della fluidità di genere.

È di questi giorni la notizia che la Comunione delle chiese protestanti in Europa (Geke-Cpce) ha istituito una commissione di studio con un gruppo di lavoro preliminare al fine di offrire alle chiese un documento di riflessione in campo etico che è in preparazione nei prossimi anni. Per la Chiesa valdese chi scrive è stata incaricata di parteciparvi, portando l’esperienza del documento Famiglie, matrimonio, coppie, genitorialità approvato in Sinodo valdese nel 2017, dopo due anni di dibattito nelle chiese locali che prosegue adesso alla luce del documento sinodale. Ricordo anche di averlo presentato nel luglio scorso a Madonna di Campiglio al Corso di Alta Formazione organizzato dalla Pontificia Università Lateranense insieme all’Ufficio nazionale per la pastorale della famiglia, inaugurato con un dialogo tra cattolici, protestanti e ortodossi proprio su queste tematiche.

In ambito cattolico, il nuovo documento della Congregazione per l’educazione cattolica, con esperti di diverse discipline (filosofia, pedagogia, scienze dell’educazione, diritto ecc.), individua in un approccio dialogico la via del confronto con altre posizioni che fino a poco tempo fa erano sbrigativamente liquidate come “ideologia del gender”. Si riconosce cioè l’alto rischio, in una materia tanto delicata, di fraintendimenti e conflitti ideologici per sciogliere i quali risultano opportuni – si legge – tre atteggiamenti: ascoltare, ragionare e proporre. Il documento infatti riconosce che gli studi di genere in campo multidisciplinare sono da prendere sul serio e avvia un’apertura e un ascolto che non possono che essere accolti positivamente. Il documento offre soprattutto un metodo di intervento in campo educativo, che chiarisce, mantenendola ferma, la proposta cattolica, calata però in un contesto plurale. Certo, il documento è l’occasione per ribadire la distinzione netta tra maschile e femminile, in base a differenza biologica che poggia su un dato di natura, e si esprime scetticismo verso un approccio storico-culturale che invece contrasta l’essenzialismo, valorizzando i tanti modi di fare famiglia, di amare e di vivere in coppia che l’umanità ha saputo esprimere nel passato e nel presente, vivendo da credenti come anche i racconti biblici testimoniano. Insomma, ci viene ricordato che la famiglia voluta da Dio è una sola, le altre sono da ascoltare e accogliere ma rimangono sotto il segno della irregolarità.

Nulla di nuovo? No, a me pare un’apertura al confronto e al dialogo che è importante anche sul piano ecumenico, considerate le esperienze locali di incontro in vista dei matrimoni interconfessionali o delle veglie di preghiera contro la omo-transfobia.  È significativo che su queste tematiche si possa ragionare insieme, nella consapevolezza che molto ci unisce pur con alcune differenze antropologiche che trovano però adesso lo spazio per essere accolte, rispettate e ascoltate, nel segno del pluralismo.

Paola Schellenbaum   Riforma          19 giugno 2019

https://riforma.it/it/articolo/2019/06/19/elementi-un-dibattito-su-genere-e-sessualita?utm_source=newsletter&utm_medium=email

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CITTÀ DEL VATICANO

Sinodo amazzonico

Instrumentum laboris per il Sinodo sull’Amazzonia

Assemblea speciale del sinodo dei vescovi per la regione Pan-Amazzonia

Amazzonia: nuovi cammini per la chiesa e per una ecologia integrale

Introduzione

“Il Sinodo dei Vescovi deve sempre più diventare uno strumento privilegiato di ascolto del Popolo di Dio: «Dallo Spirito Santo per i Padri sinodali chiediamo, innanzitutto, il dono dell’ascolto: ascolto di Dio, fino a sentire con Lui il grido del Popolo; ascolto del Popolo, fino a respirarvi la volontà a cui Dio ci chiama»” (EC,6)

1.     Il 15 ottobre 2017, Papa Francesco ha annunciato la convocazione di un Sinodo Speciale per l’Amazzonia, avviando un processo di ascolto sinodale che è iniziato nella stessa Regione Amazzonica con la sua visita a Puerto Maldonado (19/01/2018). L’Instrumentum Laboris è il frutto di questo lungo processo che comprende la stesura del Documento preparatorio per il Sinodo del giugno 2018 e un ampio sondaggio tra le comunità amazzoniche.

2.      La Chiesa ha di nuovo oggi l’opportunità di stare in ascolto in questa zona in cui tanto è in gioco. Ascoltare implica riconoscere l’irruzione dell’Amazzonia come nuovo soggetto. Questo nuovo soggetto, che non è stato sufficientemente considerato nel contesto nazionale o mondiale né nella vita della Chiesa, è ora un interlocutore privilegiato.

3.      Ma ascoltare non è facile. Da un lato, la sintesi delle risposte al questionario da parte delle Conferenze Episcopali e delle comunità risulterà sempre incompleta e insufficiente. Dall’altro, la tendenza ad omologare i contenuti e le proposte richiede un processo di conversione ecologica e pastorale per lasciarsi interrogare seriamente dalle periferie geografiche ed esistenziali (cf. EG 20). Questo processo deve continuare durante e dopo il Sinodo come elemento centrale della vita futura della Chiesa. L’Amazzonia chiede a gran voce una risposta concreta e riconciliatrice.

4.    L’Instrumentum laboris si compone di tre parti:

  1. Vedere-ascoltare, è intitolata La voce dell’Amazzonia e ha lo scopo di presentare la realtà del territorio e dei suoi popoli.
  2. Ecologia integrale: il grido della terra e dei poveri, si raccoglie la problematica ecologica e pastorale. Chiesa profetica in Amazzonia: sfide e speranze, la problematica ecclesiologica e pastorale.

5.      In questo modo, l’ascolto dei popoli e della terra da parte di una Chiesa chiamata ad essere sempre più sinodale, inizia entrando in contatto con la realtà contrastante di un’Amazzonia piena di vita e di saggezza. Continua con il grido provocato dalla deforestazione e dalla distruzione estrattivista che esige una conversione ecologica integrale. E si conclude con l’incontro con le culture che ispirano nuovi cammini, sfide e speranze di una Chiesa che vuole essere samaritana e profetica attraverso la conversione pastorale. Seguendo la proposta della Rete Ecclesiale Panamazzonica (REPAM), il documento è strutturato sulla base delle tre conversioni a cui Papa Francesco ci invita:

  1. La conversione pastorale a cui ci chiama attraverso l’Esortazione Apostolica Evangelii gaudium (vedere-ascoltare);
  2. La conversione ecologica attraverso l’Enciclica Laudato si’ che orienta il cammino (giudicare-agire);
  3. La conversione alla sinodalità ecclesiale attraverso la Costituzione Apostolica Episcopalis Communio che struttura il camminare insieme (giudicare-agire). Tutto questo in un processo dinamico di ascolto e discernimento dei nuovi cammini attraverso i quali la Chiesa in Amazzonia annuncerà il Vangelo di Gesù Cristo nei prossimi anni.

Parte I: la voce dell’Amazzonia.

Capitolo I: Vita.

Amazzonia, fonte di vita.

Vita in abbondanza.

Il “buon vivere”.

Vita minacciata.

Difendere la vita, combattere lo sfruttamento.

Grido per la vita.

Capitolo II: Territorio.

Territorio, vita e rivelazione di Dio.

Un territorio dove tutto è connesso.

La bellezza e la minaccia del territorio.

Territorio di speranza e del “buon vivere”.

Capitolo III: Tempo (Kairos).

Tempo di grazia.

Tempo di inculturazione e interculturalità.

Tempo di sfide serie e urgenti

Tempo di speranza.

Capitolo IV: Dialogo.

Nuovi cammini di dialogo.

Dialogo e missione.

Dialogo con i popoli amazzonici

Dialogo e apprendimento.

Dialogo e resistenza.

Conclusione.

Parte II: ecologia integrale: il grido della terra e dei poveri.

Capitolo I: Distruzione estrattivista.

Il grido amazzonico.

Ecologia integrale.

Ecologia integrale in Amazzonia.

No alla distruzione dell’Amazzonia.

Suggerimenti

Capitolo II: Popoli Indigeni in isolamento Volontario (PIAV): minacce e protezione. 

Popoli nelle periferie.

Popoli vulnerabili

Suggerimenti

Capitolo III: Migrazione.

Popoli amazzonici in uscita.

Cause della migrazione.

Conseguenze della migrazione.

Suggerimenti

Capitolo IV: Urbanizzazione.

Urbanizzazione dell’Amazzonia.

Cultura urbana.

Sfide urbane.

Suggerimenti

Capitolo V: Famiglia e comunità.

Le famiglie amazzoniche.

Cambiamenti sociali e vulnerabilità familiare.

Suggerimenti

Capitolo VI: Corruzione.

Corruzione in Amazzonia.

Piaga morale strutturale.

Suggerimenti

Capitolo VII: La questione della salute integrale.

Salute in Amazzonia.

Valorizzazione e approfondimento delle medicine tradizionali

Suggerimenti

Capitolo VIII: Educazione integrale.

Una Chiesa sinodale: discepola e maestra.

Educazione come incontro.

Educazione ad una ecologia integrale.

Suggerimenti

Capitolo IX: La conversione ecologica.

Cristo ci chiama alla conversione (cf. Mc 1,15)

Conversione integrale.

Conversione ecclesiale in Amazzonia.

Suggerimenti

Parte III: chiesa profetica in amazzonia: sfide e speranze.

Capitolo I: Chiesa dal volto amazzonico e missionario.

Un volto ricco di espressioni.

Un volto locale di dimensione universale.

Un volto di sfida dinanzi alle ingiustizie.

Un volto inculturato e missionario.

Capitolo II: Sfide dell’inculturazione e dell’interculturalità.

In cammino verso una Chiesa dal volto amazzonico e indigeno.

Suggerimenti

L’evangelizzazione nelle culture

Suggerimenti

Capitolo III: La celebrazione della fede: una liturgia inculturata.

Suggerimenti

Capitolo IV: L’organizzazione delle comunità.

La cosmovisione degli indigeni

Distanze geografiche e pastorali

Suggerimenti

Capitolo V: l’evangelizzazione nelle città.

Missione urbana.

Sfide urbane.

Suggerimenti

Capitolo VI: Dialogo ecumenico e interreligioso.

Suggerimenti

Capitolo VII: Missione dei mezzi di comunicazione.

Media, ideologie e culture.

I media della Chiesa.

Suggerimenti

Capitolo VIII:  Il ruolo profetico della Chiesa e la promozione umana integrale.

Chiesa in uscita.

Chiesa in ascolto.

Chiesa e potere.

Suggerimenti
                        Conclusione

Vaticano 17 giugno 2019

www.sinodoamazonico.va/content/sinodoamazonico/it/documenti/l-instrumentum-laboris-per-il-sinodo-sull-amazzonia1.html

 

Sinodo Amazzonia. Mons. Fabene: valorizzare ruolo dei laici

Il Sottosegretario del Sinodo dei vescovi, il vescovo Fabene, spiega come l’Assemblea dedicata all’Amazzonia affronterà le sfide ecclesiali che nascono dalla sofferenza per la mancanza dell’Eucaristia in molte chiese locali della regione.

La terza e ultima parte del Documento di Lavoro del Sinodo dedicato alla regione panamazzonica invita i Padri Sinodali ad affrontare nuovi cammini e nuove sfide affinché la Chiesa nella regione sia davvero profetica e missionaria. Si parla di una Chiesa “partecipativa”, accogliente verso la diversità, ma anche “creativa”, per dare “nuove risposte ai bisogni urgenti” e “armoniosa”, che promuova i valori della pace, della misericordia e della comunione. Si affrontano, fra le altre, le sfide dell’inculturazione e dell’interculturalità, quelle liturgiche, organizzative, dell’evangelizzazione, del dialogo e della promozione umana integrale. Per una riflessione su questa parte dell’Instrumentum laboris, Radio Vaticana Italia ha intervistato il vescovo Fabio Fabene, Sottosegretario del Sinodo dei vescovi.

R. – Innanzi tutto credo che bisogna dire che questi nuovi cammini della Chiesa si situano nel grande lavoro della prima evangelizzazione, nell’opera pastorale che è stata svolta fin qui da tanti missionari, missionarie, vescovi, sacerdoti e fedeli laici che curano pastoralmente quella parte della Chiesa. I nuovi cammini si inseriscono in questa grande tradizione attraverso un processo di inculturazione, cioè di incarnazione del Vangelo nella ricchezza e nella pluralità delle culture umane. Il Sinodo vuole promuovere un dialogo tra tutte queste culture in vista di un mutuo arricchimento e in questo modo l’inculturazione si apre all’interculturalità, cioè all’incontro tra le diverse culture. Questo cammino di inculturazione che viene proposto dall’Instrumentum laboris, riguarda tutti gli aspetti della vita ecclesiale, come la Liturgia, l’organizzazione ecclesiale, l’educazione e il rispetto dei diritti dell’umanità. Quindi si chiede anche di valorizzare il ruolo dei laici che devono essere sempre più protagonisti nella vita di una Chiesa in uscita, come ci propone continuamente il Papa; una Chiesa che va incontro all’uomo e diventa una casa accogliente per tutti.

Tra i suggerimenti contenuti nel testo c’è quello, a proposito dell’organizzazione comunitaria, di “passare da una Chiesa che visita ad una Chiesa che rimane”. Cosa significa?

R. – Certamente, perché quello che si propone nell’Instrumentum laboris è che ci siano pastori nella Chiesa che siano nelle loro comunità, quindi non solo che visitino per celebrare l’Eucarestia e gli altri sacramenti qualche volta all’anno, ma che siano parte integrante delle comunità cristiane, dove possano vivere insieme a queste popolazioni per annunciare il Vangelo e celebrare i sacramenti. Pe questo nell’Instrumentum laboris si propone di incrementare la pastorale vocazionale in modo che dalle stesse comunità cristiane che sono in Amazzonia nascano nuove vocazioni. Questo è molto importante, perché – appunto – la Chiesa in Amazzonia deve essere la Chiesa feconda anche di pastori che nascono da quelle comunità.

Il territorio dell’Amazzonia è molto vasto. Quindi c’è anche il problema delle distanze geografiche e pastorali. Tra i temi trattati nel testo, senza mettere in discussione il celibato sacerdotale, c’è l’ordinazione di anziani con famiglia, l’invito ad indentificare il tipo di ministero ufficiale che può essere conferito alle donne. Sono temi che fanno discutere.

R. – Sono temi certamente molto vivi, ma che nascono dalla sofferenza che la consultazione pre-sinodale ha rilevato, ovvero la mancanza dell’Eucarestia. In modo molto ampio, tra le risposte pervenute a questo questionario allegato al documento preparatorio emerge proprio questa grande sofferenza della popolazione per la mancanza dell’Eucarestia. Ci sono comunità dove si celebra la Santa Messa una volta o al massimo due volte all’anno. E, per venite incontro a questa sofferenza si propone una rinnovata pastorale vocazionale, ma anche si pone la questione della possibilità di studiare se si possono ordinare persone anziane, accettate dalle comunità anche se hanno una famiglia stabile. Questo sempre nel contesto del celibato sacerdotale, come ha ribadito il Papa nel viaggio di ritorno da Panama. Proprio quella proposta che si presenta nell’Instrumentum laboris richiama quasi testualmente quelle parole del Papa, cioè studiare la possibilità che si possano ordinare sacerdoti persone anziane, rette, di moralità assoluta.

Sarebbero i cosiddetti “viri probati”?

R. – Sì. Questa espressione non è presente nell’Instrumentum laboris, ma sono persone anche con famiglia costituita che possono essere ordinati sacerdoti. E in questo caso si pone la questione allo studio dei padri sinodali; saranno loro a vedere se andare avanti nello studio, se proporre poi questa questione all’attenzione del Papa.

Fabio Colagrande – Città del Vaticano        18 giugno 2019

www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2019-06/sinodo-amazzonia-mons-fabene-valorizzare-ruolo-laici.html

 

L’Amazzonia non è una selva oscura

“Al presente bisogna invece che in questi nostri tempi l’intero insegnamento cristiano

sia sottoposto da tutti a nuovo esame, con animo sereno e pacato”.

Giovanni XXIII, Gaudet Mater Ecclesia, 1962

 

            La pubblicazione dell’Instrumentum Laboris in vista del Sinodo speciale dedicato alle Chiese della Amazzonia, offre alla Chiesa cattolica una occasione particolare: riflettere sulla tradizione a partire da una contingenza sorprendentemente “differente”. Questo mette alla prova le categorie di universalità e di continuità, che dovranno essere verificate “in loco”, in relazione ad uno sguardo “romano”.

Ad una prima lettura il testo appare molto promettente: elabora una serie di questioni in modo aperto, chiaro, senza troppe esitazioni o circonlocuzioni. Molti sono i temi di cui sarebbe giusto occuparsi e altri potranno farlo in modo adeguato. Mi limito qui ad esaminare soltanto quei passi che appaiono legati a due questioni fondamentali, circa l’esercizio del ministero e circa la celebrazione liturgica.

Una premessa di “rispetto”. Un errore che rischia di compromettere la lettura del testo, e poi dell’evento, è quello di non tener conto che si tratta di una “Sinodo speciale”: che coinvolge una “porzione di Chiesa”, identificata geograficamente e storicamente come Amazzonia. Regione vasta, articolata, non univoca. Ciò che si elabora nel Sinodo riguarda quella tradizione complessa, da essa trae spunto e ad essa cerca di provvedere. Ogni elaborazione “universale” non può essere immediata. Rispettare questa logica “locale” è uno dei requisiti perché il percorso complessivo risulti positivo, tanto per le Chiese che sono in Amazzonia, quanto per tutte le altre Chiesa e per la Chiesa universale tutta.

            Una serie di affermazioni-chiave, con commento. Vorrei ora presentare e commentare una serie di affermazioni, che attraversano la prima parte del documento, e che costituiscono il supporto necessario per intendere quelle successive:

  • Il processo di conversione a cui è chiamata la Chiesa implica disimparare, imparare e rimparare” (102). La Chiesa deve disimparare. Per poter imparare qualcosa di diverso e reimparare l’unica tradizione comune, ma con altre parole, con altri gesti, con altri canti, con altre autorità, con altre forme. Potremmo trovare il precedente illustre di questo testo in L’Amazzonia non è una selva oscura Sacrosanctum Concilium §23, che mette in relazione “sana tradizione” e “legittimo progresso”: non tutta la tradizione è sana.

www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/documents/vat-ii_const_19631204_sacrosanctum-concilium_it.html

Alla tradizione malata si reagisce con la riforma. Questo non vale solo per la liturgia. Il cammino sinodale della Amazzonia deve “disimparare” la tradizione malata.

  • Tale processo di conversione “esige dalla Chiesa in Amazzonia proposte «coraggiose», il che presuppone audacia e passione, come ci chiede Papa Francesco” (106). Trovo curioso che il testo riferisca “audacia e passione” ad una richiesta del papa. In realtà è la “vita della Chiesa” a chiedere audacia e passione. Il papa la interpreta anche dal centro, non solo dalla periferia. Ed è qui un primo punto delicato. Chi vive e crede in Amazzonia sa che cosa chieda audacia e passione. E’ possibile che Roma lo capisca? Questo è il punto. Ci sono i vescovi della Amazzonia, c’è il papa: e in mezzo? Il Sinodo dovrebbe restituire alla Chiesa una “mediazione autorevole” della audacia e della passione che conserva la tradizione viva.
  •  “Una Chiesa dal volto amazzonico nelle sue molteplici sfumature cerca di essere una Chiesa “in uscita” (cf. EG 20-23), che si lascia alle spalle una tradizione coloniale monoculturale, clericale e impositiva e sa discernere e assumere senza timori le diverse espressioni culturali dei popoli.” (110)

Il “rostro amazonico” della Chiesa è implicato in un complesso superamento di una “tradizione malata” che viene identificata con 4 aggettivi: coloniale, monoculturale, clericale e impositiva. Assumere le espressioni culturali dei popoli della Amazzonia, con discernimento e senza timore. Questo è il compito, che riguarda un lavoro di inculturazione e di interculturazione.

Liturgia e ministeri, altrimenti. Vengo ora alle principali affermazione che riguardano liturgia e ministero

  • “Certamente la diversità culturale non minaccia l’unità della Chiesa, ma esprime la sua autentica cattolicità mostrando “la bellezza di questo volto pluriforme” (Evangelii Gaudium 116). Per questo “bisogna avere il coraggio di trovare i nuovi segni, i nuovi simboli, una nuova carne per la trasmissione della Parola, le diverse forme di bellezza che si manifestano in vari ambiti culturali…” (EG 167). Senza questa inculturazione la liturgia può ridursi in un “pezzo da museo” o in “un possesso di pochi” (EG 95).” (124).

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/apost_exhortations/documents/papa-francesco_esortazione-ap_20131124_evangelii-gaudium.html

  • La diversità cultura non minaccia l’unità. Questa è una affermazione-chiave. Un volto pluriforme della tradizione non viene pensato più come sconfitta della uniformazione, ma come ricchezza di differenziazione. Questo vale anzitutto per la liturgia, che non può essere compresa nella categoria del “pezzo da museo”. Questo passaggio sarà molto delicato. Perché si scontra con una mentalità e una sensibilità che negli ultimi 20 anni ha cercato di avvalorare proprio questa idea “statica” e “malata” di liturgia. La Amazzonia non può sopportare quello che un europeo può addirittura desiderare. La specificità di un luogo e di una tradizione ci consente di rivedere le categorie distorte con cui pretendiamo di fare i conti con la nostra storia. E di leggerle in modo nuovo.
  • “I sacramenti devono essere fonte di vita e rimedio accessibile a tutti (cf. EG 47), specialmente ai poveri (cf. EG 200). Occorre superare la rigidità di una disciplina che esclude e aliena, attraverso una sensibilità pastorale che accompagna e integra (cf. Amoris Lætitia 297, 312).” (126b)

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/apost_exhortations/documents/papa-francesco_esortazione-ap_20160319_amoris-laetitia.html

La ri-elaborazione universale delle categorie di evangelizzazione (EG) e di integrazione (AL) permettono al testo di rileggere diversamente la stessa tradizione sacramentale, contrapponendo con decisione una lettura “disciplinare” che esclude ed aliena, rispetto ad una sensibilità pastorale che diventi capace di accompagnare e di integrare.

  • “Le comunità hanno difficoltà a celebrare frequentemente l’Eucaristia per la mancanza di sacerdoti. “La Chiesa vive dell’Eucaristia” e l’Eucaristia edifica la Chiesa. [60] Per questo, invece di lasciare le comunità senza l’Eucaristia, si cambino i criteri di selezione e preparazione dei ministri autorizzati a celebrarla” (126c)

 

Qui troviamo una delle affermazione più forti e decisive del documento. La centralità della celebrazione eucaristica deve indurre ad una conversione pastorale di estremo rilievo, che ha come esito il cambiamento dei criteri di selezione e di preparazione dei ministri autorizzati a celebrare la eucaristia: qui è evidente che il tema “liturgico” e il tema “ministeriale” si intrecciano in profondità. Da un lato la liturgia non è rigida, ma aperta alla integrazione delle culture; ma dall’altro è talmente centrale che ad essa devono piegarsi anche i criteri di “selezione e preparazione”: ossia le forme ministeriali possono e debbono trovare una nuova elasticità, che, come vedremo subito sotto, esige una rilettura dei “soggetti autorevoli” all’interno della comunità.

  • “La Chiesa deve incarnarsi nelle culture amazzoniche che possiedono un alto senso di comunità, uguaglianza e solidarietà, per cui il clericalismo non è accettato nelle sue varie forme di manifestarsi.” (127) e poi: “Le distanze geografiche manifestano anche distanze culturali e pastorali che, quindi, richiedono il passaggio da una “pastorale della visita” a una “pastorale della presenza”, per riconfigurare la Chiesa locale in tutte le sue espressioni: ministeri, liturgia, sacramenti, teologia e servizi sociali.” (128)

Una riconfigurazione della Chiesa esige un passaggio delicatissimo che, superando il clericalismo, sappia trasformare la “pastorale della visita” in “pastorale della presenza”. Ciò ha un impatto fortissimo a tutti i livelli di esperienza e di espressione. Lo vediamo subito nelle richieste che vengono dalla Amazzonia.

Le richieste fondamentali. Infine vengono indicate, in modo estremamente chiaro, le principali richieste. Qui leggiamo orizzonti di ripensamento locale, i cui effetti sulla tradizione comune potranno essere valorizzati nel tempo, a partire da questo possibile precedente. Il lungo testo è giustificato dalla sua importanza.

  • “I seguenti suggerimenti delle comunità recuperano aspetti della Chiesa primitiva quando rispondeva alle sue necessità creando ministeri appropriati (cf. Atti 6,1-7; 1 Tim 3,1-13):

Nuovi ministeri per rispondere in maniera efficace ai bisogni dei popoli amazzonici:

  1. Promuovere vocazioni autoctone di uomini e donne in risposta ai bisogni di un’attenzione pastorale sacramentale; il loro contributo decisivo sta nell’impulso ad un’autentica evangelizzazione dal punto di vista indigeno, secondo i loro usi e costumi. Si tratta di indigeni che predicano agli indigeni con una profonda conoscenza della loro cultura e della loro lingua, capaci di comunicare il messaggio del Vangelo con la forza e l’efficacia di chi ha il loro bagaglio culturale. È necessario passare da una “Chiesa che visita” ad una “Chiesa che rimane”, accompagna ed è presente attraverso ministri che emergono dai suoi stessi abitanti.
  2. Affermando che il celibato è un dono per la Chiesa, si chiede che, per le zone più remote della regione, si studi la possibilità di ordinazione sacerdotale di anziani, preferibilmente indigeni, rispettati e accettati dalla loro comunità, sebbene possano avere già una famiglia costituita e stabile, al fine di assicurare i Sacramenti che accompagnano e sostengono la vita cristiana.
  3. Identificare il tipo di ministero ufficiale che può essere conferito alle donne, tenendo conto del ruolo centrale che esse svolgono oggi nella Chiesa amazzonica.” (128a)

I tre livelli, nell’orizzonte dischiuso dalla Chiesa primitiva, vengono identificati e corrispondono a tre dimensioni diverse della domanda: una ministerialità autoctona di predicazione, la ordinazione di “anziani sposati” alla presidenza eucaristica, una configurazione ministeriale ufficiale da conferire alle donne. Il testo respira a pieni polmoni dentro la tradizione amazzonica. Sarebbe un grave errore pensarlo semplicemente a partire dalle nostre categorie tridentine, quasi come un “giochetto” per dare “riconoscimento burocratico” ad un organigramma di chiesa locale. Qui si tratta, invece, di assumere pienamente la originalità amazzonica – di cultura, di esercizio di autorità maschile e femminile – come caso serio per produrre un legittimo progresso e superare una tradizione malata in nome della sana tradizione.

  • Una ulteriore specificazione viene, allo stesso numero 128, dal punto c, che merita di essere citato integralmente:

“c) Ruolo della donna:

1. In campo ecclesiale, la presenza delle donne nelle comunità non è sempre valorizzata. Viene chiesto il riconoscimento delle donne a partire dai loro carismi e talenti. Esse chiedono di recuperare lo spazio dato da Gesù alle donne, “dove tutti/tutte possiamo ritrovarci”. [61]

2. Si propone inoltre di garantire alle donne la loro leadership, nonché spazi sempre più ampi e rilevanti nel campo della formazione: teologia, catechesi, liturgia e scuole di fede e di politica.

3. Si chiede anche che la voce delle donne sia ascoltata, che siano consultate e partecipino ai processi decisionali, e che possano così contribuire con la loro sensibilità alla sinodalità ecclesiale.

4. Che la Chiesa accolga sempre più lo stile femminile di agire e di comprendere gli avvenimenti.” (128c)

            La integrazione della donna, oltre che sul piano ufficiale e ministeriale, esige forme culturali ed istituzionali di integrazione ecclesiale. La partecipazione ai processi decisionali costituisce una esigenza che non deve essere pensata a partire dal nostro concetto europeo di “parità di diritti”, ma a partire da tradizioni di cultura “matrilineare”, in cui di fatto è la donna a gestire la autorità familiare e del gruppo. La provocazione antropologica e cultura diventa stimolo ad una Chiesa che voglia essere, davvero, propter homines.

D’altra parte, bisogna ricordare che rimane importante

  • “Promuovere la dignità e l’uguaglianza della donna nella sfera pubblica, privata ed ecclesiale, assicurando canali di partecipazione, combattendo la violenza fisica, domestica e psicologica, il femminicidio, l’aborto, lo sfruttamento sessuale e la tratta, impegnandosi a lottare per garantire i suoi diritti e per superare ogni tipo di stereotipo” (146e)

Il superamento di ogni tipo di stereotipo è un passaggio assai delicato, non solo per la società, ma per la Chiesa. Reagire alle richieste che vengono dalle terre attraversate dal Rio delle Amazzoni mette alla prova la Chiesa, nel saper riconoscere la comunione e il Vangelo vissuto senza lasciarsi dominare dagli stereotipi che non permettono di “vedere le vite”.

Un’ultima annotazione importante. Amazzonia non è solo foresta o fiume o relazione primaria, è anche città e società complessa. Il testo dice qualcosa di importante anche su questa differenza: – “L’indigeno in città è un migrante, un essere umano senza terra e un sopravvissuto a una storica battaglia per la delimitazione della sua terra, con la sua identità culturale in crisi. Nei centri urbani, le agenzie governative spesso si sottraggono alla responsabilità di garantire i loro diritti, negando la loro identità e condannandoli all’invisibilità.” (132)

            Il problema delle forme di vita può rende una metropoli come Manaus molto simile a Roma. La distanza geografica si confonde con la distanza culturale e tecnologica. La indifferenza verso la diversità diventa un problema non solo “esterno”, ma “interno” alla Amazzonia. Questa è una sfida davvero grande e decisiva: onorare e integrare la diversità culturale, civile ed ecclesiale. Per affrontarla positivamente a Roma sarà necessaria una grande misura di audacia e di passione. Senza paura e con molta speranza. Ma anche con una disponibilità a pensare altrimenti, ad elaborare categorie nuove, a rivedere le nozioni classiche, a ripensare gli sviluppi storici, senza cadere in quegli stereotipi da museo, che avrebbero subito un effetto paralizzante e immunizzante. L’Amazzonia non è una “selva oscura”, ma una occasione preziosa per onorare la realtà e per riscoprire la vivacità della nostra tradizione comune.

Andrea Grillo            blog Come se non      

www.cittadellaeditrice.com/munera/lamazzonia-non-e-una-selva-oscura-l-instrumentum-laboris-su-ministero-e-liturgia

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CORTE COSTITUZIONALE

Coppie gay: non è illegittimo il divieto di procreazione assistita

La Corte costituzionale si è riunita oggi in camera di consiglio per discutere le questioni sollevate dai Tribunali di Pordenone e di Bolzano sulla legittimità costituzionale della legge n. 40 del 2004 là dove vieta alle coppie omosessuali di accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita. In attesa del deposito della sentenza, l’Ufficio stampa della Corte fa sapere che al termine della discussione le questioni sono state dichiarate non fondate. La Corte ha ritenuto che le disposizioni censurate non siano in contrasto con i principi costituzionali invocati dai due Tribunali.

Roma, 18 giugno 2019 Palazzo della Consulta

Ufficio Stampa della Corte costituzionale.

www.cortecostituzionale.it/documenti/comunicatistampa/CC_CS_20190618200704.pdf

 

Coppie omosessuali: legittimo vietare la procreazione assistita

La Consulta si pronuncia nuovamente sulla Legge n. 40/2004. Con un comunicato del 18 giugno 2019 l’Ufficio stampa della Corte Costituzionale ha annunciato che la Consulta, in pari data, ha statuito che non è illegittimo il divieto di procreazione assistita, posto a carico delle coppie omosessuali, dalla Legge sulla procreazione medicalmente assistita.

La Consulta, in camera di consiglio, ha infatti discusso le questioni sollevate dai Tribunali di Pordenone e di Bolzano in ordine alla legittimità costituzionale della Legge n. 40 del 19 febbraio 2004 (recante “Norme in materia di procreazione medicalmente assistita”), nella parte in cui vieta alle coppie omosessuali di accedere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita.

www.parlamento.it/parlam/leggi/04040l.htm

In attesa del deposito della sentenza, completa di motivazione, l’Ufficio stampa della Corte ha quindi anticipato che al termine della discussione le questioni sono state dichiarate infondate. In altre parole, i giudici delle leggi hanno ritenuto che le disposizioni censurate non siano in contrasto coi principi costituzionali invocati dai due Tribunali.

Si ricorderà che lo stesso articolato è stato più volte sottoposto alla lente di legittimità:

  1. Nel 2009, i commi II e III dell’articolo 14 venivano dichiarati parzialmente illegittimi (sentenza n. 151): più in dettaglio il comma II veniva giudicato illegittimo laddove prevedeva un limite di produzione di embrioni “comunque non superiore a tre” e finanche nella parte ove prevedeva l’obbligo di “un unico e contemporaneo impianto”. Il comma III, che statuiva di poter crioconservare gli embrioni “qualora il trasferimento nell’utero degli embrioni non risulti possibile per grave e documentata causa di forza maggiore relativa allo stato di salute della donna non prevedibile al momento della fecondazione”, veniva dichiarato illegittimo nella parte ove non prevedeva che il trasferimento di siffatti embrioni, “da realizzare non appena possibile”, dovesse essere effettuato anche senza pregiudizio per la salute della donna;
  2. Nel 2014 la stessa Corte Costituzionale sanciva l’illegittimità della Legge n. 40 rispetto agli articoli 2, 3, 29, 31, 32, e 117 della Costituzione e agli articoli 8 e 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, nella parte ove vietava il ricorso a un donatore esterno di ovuli o spermatozoi in ipotesi di infertilità assoluta;
  3. Nel 2015, infine, gli stessi giudici dichiaravano illegittimo l’articolo 13, commi III, lettera b, e IV, che sanzionava penalmente la condotta dell’operatore medico preordinata a consentire il trasferimento nell’utero della donna dei soli embrioni sani, o portatori sani di malattie genetiche, per contrasto rispetto agli articoli 3 e 32 della Costituzione, facendo in tal modo salva quella parte della norma che vieta la soppressione degli embrioni malati e non inutilizzabili, non potendo essere ridotti alla stregua di mero materiale biologico.

Avv. Laura Barella   19 giugno 2019

www.altalex.com/documents/news/2019/06/20/coppie-omosessuali-divieto-procreazione-assistita?

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COUNSELING

Zeffirelli: la mia storia vera.

La mia vita è un premio; una madre che genera una vita è una donna premiata qualunque sia la sua situazione, qualunque siano i conti da pagare, qualunque siano i suoi problemi emozionali: ha il marito, non ha il marito, ha quello che la ricatta, quello che l’ha abbandonata.

Il privilegio di portare la vita è un privilegio che gli uomini non hanno: noi siamo inferiori alle donne per questo. Il miracolo di sentir germogliare nel proprio ventre una nuova vita, il vederla sbocciare e vederla venir su rende voi donne più forti. Anche se alla fine i figli vi deludono, gli anni della creazione della vita nessuno ve li toglierà mai e in qualunque momento della vostra esistenza, quando la pena del mondo, l’abbandono degli affetti vi cadrà sulle spalle, ripercorrerete certamente col pensiero, col cuore quei meravigliosi mesi in cui avete creato una vita. Che poi quello sia divenuto un assassino, un papà, non importa. Ed è strano che sia io a dire queste cose, io che non sono né padre né madre né niente? sono solo figlio.

Di più, sono un aborto mancato. Avrei dovuto essere abortito perché nascevo da due persone che erano entrambe sposate: lui aveva una famiglia bella e pronta, lei aveva tre figli ed erano tutti e due al tramonto dell’età delle frizzole. E invece si innamorarono pazzamente e mia madre rimase incinta. Tutti naturalmente le consigliarono di abortire. Il marito era moribondo, quindi non c’era neppure la possibilità di nascondere la gravidanza illegittima. Mio padre da buon galletto andava dicendo in giro che questo figlio era suo, però non faceva niente. Ma la gravidanza andò ugualmente avanti. La mia nonna stessa me lo confessò e mi chiese scusa; disse «Io ero la prima feroce nemica di questa gravidanza». E io invece nacqui contro il parere di tutti, perché mia madre ripugnava il pensiero di uccidermi: «Morirei di rimorso, nel pensiero di aver avuto tre figli e di aver distrutto un’altra vita».

Molti dei miei avversari invece dicono: «Magari ti avesse fatto fuori». È l’odio delle persone, mentre io vorrei conoscere solo l’amore, perché sono stato amato nel ventre di mia madre, ho assorbito tanto di quell’amore, l’ho sentito, mi è entrato addosso. Mia madre l’ho persa che avevo sette anni, però sono rimasto impregnato del suo amore. Quando qualcuno ti ha amato veramente tanto e tu l’hai amato, questo amore, questa fiammella, questa fiaccola non si spegne mai, ti è sempre accanto. Siamo fatti di spirito, chi ci crede; io ci credo profondamente perché la vita mi ha dato continue verifiche di non essere un ammasso di cellule ma di essere un corpo che alloggia temporaneamente uno spirito che è la frazione del grande Creatore, di Dio a cui torneremo.

Questa è la mia concezione: non me la sgangherate perché sto benissimo così, dormo sonni tranquilli, sono arrivato a settant’anni e voglio arrivare tranquillo al mio ultimo passo. Forse interessa un piccolo episodietto della mia vita. Calza a pennello proprio in seguito alla mia storia. Quella di un bastardino. Infatti, io non avevo il nome né di mia madre né di mio padre. Mia madre inventò questo nome Zeffirelli perché, secondo un’antica tradizione dell’ospedale degli Innocenti di Firenze che si tramanda dai tempi di Lorenzo il Magnifico, ogni giorno della settimana corrispondeva ad una lettera. Il giorno che nacqui io toccava alla Z e mia madre, che oltre ad essere una grande sarta era musicista, pianista, un’appassionata di Mozart, con tanto di farfalle e zeffiretti, quando le proposero la Z come iniziale, all’impiegato comunale disse, appunto Franco Zeffiretti. {Idomemeo K366 di Mozart}

Quello non capì bene e, invece delle doppie “t”, mise le doppie “l”: Franco Zeffirelli. Sono sicuro di essere l’unico con questo nome al mondo, però più tardi, divenuto grandicello, ero soltanto figlio di NN. A scuola tutti sapevano che il mio babbo si chiamava NN e mia mamma si chiamava NN. Quindi era tutto uno sfottò, anche se innocente perché veniva da bambini che non sanno.

Un giorno ci fu una rissa nel convento di San Marco dove io frequentavo l’Azione Cattolica e dove viveva una persona molto importante, molto curiosa, che ogni tanto arrivava con i suoi libri e i suoi occhialoni. Era Giorgio La Pira. Lui insegnava storia del diritto romano e viveva lì come un frate laico, ma stava molto con noi, ci guardava e ogni tanto interveniva dicendo: «La Madonna. Quando avete un problema c’è sempre la Madonna, la Madonna! Salva tutto la Madonna». Quel giorno ci vide picchiarci e chiese che stava succedendo: «Ha detto che mia mamma è una puttana», gli risposi. Lui disse al ragazzo con cui mi stavo picchiando: «Tu vai a casa, che se comincio a parlare io della tua mamma ne vengono fuori delle belle!

 Poi mi prese, tutto scosso e incavolato, mi tirò su per quel bellissimo scalone che certamente conoscete, che va dal chiostro al primo ordine del convento, e in cima al quale c’è L’annunciata di frate Angelico. Mi portò su di corsa proprio davanti a questo dipinto. «Lo sai cosa è questo?» mi chiese. «L’Annunciazione» risposi. «E sai cos’è l’Annunciazione?» «E beh, è venuto un angelo davanti alla Madonna e le ha detto che sarà madre di Gesù?» «Sì va ben’ ma come?» «E la madre di Gesù?» feci io sempre più confuso. «Come sarebbe diventata la madre di Gesù?» A quel punto io mi impappinai definitivamente, perché sapevo come nascevano i figlioli, ma non volevo attribuirlo a Dio.

 Allora mi aiutò lui: «Perché lo Spirito divino è disceso nella carne, nel ventre di questa donna e si è incarnato. Hai capito? Quindi non vergognarti mai. La maternità è sempre santità. Qualunque cosa dicano di tua madre, tu la devi pensare sempre come una santa perché è come la Madonna, e quando avrai bisogno di qualcosa nella vita prega la Madonna e pregherai tua madre».

E questa cosa da allora mi è rimasta addosso. È lo splendor veritatis, per riprendere le parole di Giovanni Paolo II. Da quel giorno il problema di mia madre, della sua moralità, del suo atteggiamento e amore verso di me non l’ho più avuto.

Franco Zeffirelli                    09 agosto 2002

www.vita.it/it/article/2002/08/09/zeffirelli-la-mia-storia-vera-eccomi-son-figlio-di-nn-e-dovevo-chiamar/15583

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DALLA NAVATA

SS. Corpo e Sangue di Cristo – Anno C – 23 giugno 2019

Gènesi               14, 18. In quei giorni, Melchìsedek, re di Salem, offrì pane e vino: era sacerdote del Dio altissimo

Salmo              109, 04. Il Signore ha giurato e non si pente: “Tu sei sacerdote per sempre al modo di Melchìsedek”.

1 Corinzi         11, 23.  Fratelli, io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane

Luca                  09, 14. C’erano infatti circa cinquemila uomini. Egli disse ai suoi discepoli: “Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa”. Fecero così e li fecero sedere tutti quanti.

 

Condividere gioco divino cui il Signore invita tutti

Né a noi né a Dio è bastato darci la sua Parola. Troppa fame ha l’uomo, e Dio ha dovuto dare la sua Carne e il suo Sangue (Divo Barsotti). Neppure il suo corpo ha tenuto per sé: prendete, mangiate, neppure il suo sangue ha tenuto per sé: prendete, bevete. Neppure il suo futuro: sarò con voi tutti i giorni fino al consumarsi del tempo. La festa del Corpo e Sangue del Signore è raccontata dal vangelo attraverso il segno del pane che non finisce. I Dodici sono appena tornati dalla missione, erano partiti armati d’amore, e tornano carichi di racconti. Gesù li accoglie e li porta in disparte. Ma la gente di Betsaida li vede, accorre, li stringe in un assedio che Gesù non può e non vuole spezzare.

Allora è lui a riprendere la missione dei Dodici: cominciò a parlare loro di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure.

C’è tutto l’uomo in queste parole, il suo nome è: creatura che ha bisogno, di pane e di assoluto, di cure e di Dio. C’è tutta la missione di Cristo, e della Chiesa: insegnare, nutrire, guarire. E c’è il nome di Dio: Colui che si prende cura.

La prima riga di questo Vangelo la sento come la prima riga della mia vita. Sono uno di quei cinquemila, in quella sera sospesa: il giorno cominciava a declinare; è il tempo di Emmaus, tempo della casa e del pane spezzato. Mandali via, tra poco è buio e qui non c’è niente… Gli apostoli hanno a cuore la situazione, si preoccupano della gente e di Gesù, ma non hanno soluzioni da offrire: che ognuno si risolva i suoi problemi da solo. Hanno un vecchio mondo in cuore, in quel loro cuore che pure è buono, ed è il mondo dell’ognuno per sé, della solitudine. Ma Gesù non li ascolta, lui non ha mai mandato via nessuno. Vuole generare, come si genera un figlio, un nuovo mondo. Vuole fare di quel luogo deserto, di ogni deserto, una casa, dove si condividono pane e sogni. Per questo risponde: date loro voi stessi da mangiare. Gli apostoli non possono, non sono in grado, hanno soltanto cinque pani e due pesciolini. Ma a Gesù non interessa la quantità, e passa subito a un’altra logica, sposta l’attenzione da che cosa mangiare a come mangiare: fateli sedere a gruppi, a tavolate, create mense comuni, comunità dove ognuno possa ascoltare la fame dell’altro e faccia circolare il pane che avrà fra le mani.

Infatti non sarà lui a distribuire, ma i discepoli, anzi l’intera comunità. Il gioco divino, al quale in quella sera tutti partecipano, non è la moltiplicazione, ma la condivisione (Rossana Virgili). Allora il pane diventa una benedizione (alzò gli occhi al cielo, recitò la benedizione, e lo spezzò) e non una guerra.

E tutti furono saziati. C’è tanto pane nel mondo che a condividerlo davvero basterebbe per tutti.

Padre Ermes Ronchi, OSM

www.qumran2.net/parolenuove/commenti.php?mostra_id=46098

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DIRITTI

Cassazione penale: il feto durante il travaglio è una persona

Corte di Cassazione, quarta Sezione penale, sentenza n. 27539, 20 giugno 2019

www.quotidianosanita.it/allegati/allegato148239.pdf

Il feto inizia a essere considerato persona dall'”inizio del travaglio”, e non già dal successivo momento del “distacco dall’utero materno”. [Il feto che nasce, dopo la rottura del sacco amniotico è una persona e come tale se l’ostetrica ne procura la morte per asfissia perinatale non è “aborto colposo”, ma omicidio colposo.]

Lo ha stabilito la Cassazione penale, sostanzialmente confermando l’orientamento inaugurato nel 2008. Conseguenza di ciò, il fatto che la morte colposa del bimbo nelle fasi immediatamente precedenti la nascita integra il reato di omicidio, e non quello d’interruzione della gravidanza.

Per gli Ermellini, l’attuale formulazione della norma che punisce l’uccisione di un uomo e l’interpretazione da essi fornita non presentano nessun dubbio di costituzionalità: “tale disciplina”, si legge in sentenza, rispecchia “un quadro normativo giurisprudenziale italiano e internazionale di totale ampliamento della tutela della persona e della nozione di soggetto meritevole di tutela, che dal nascituro e al concepito si è poi estesa fino all’embrione”.

A provocare questa pronuncia era stato il ricorso di un’ostetrica di Salerno, che aveva fatto ricorso contro la condanna in primo e in secondo grado per aver colposamente provocato la morte di un feto durante il travaglio.

Marcello Palmieri                              Avvenire 21 giugno 2019

www.avvenire.it/famiglia-e-vita/pagine/feto-durante-il-travaglio-e-una-persona

www.laleggepertutti.it/289690_bambino-nato-morto-e-omicidio-e-non-aborto

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FECONDAZIONE ETEROLOGA

Consiglio di Stato: ok donazioni eterologa ma con limiti

Parere favorevole del Consiglio di Stato al regolamento sulla donazione di cellule riproduttive per la fecondazione eterologa, ma con alcuni limiti sull’età dei donatori e sul numero degli ovociti e dei gameti maschili che si possono donare.

            Il parere, reso dalla Sezione consultiva per gli atti normativi del Consiglio di Stato sul regolamento con cui sono state recepite appunto in Italia alcune direttive europee sui tessuti e cellule umani donati per scopi medici, è stato pubblicato oggi. I giudici amministrativi – spiega una nota – hanno dettato alcune prescrizioni ulteriori a tutela della salute dei donatori, donatari e del nascituro.

            In particolare, è stato ritenuto necessario che siano indicati direttamente nel regolamento stesso limiti di età per la donazione, differenziati per la donna e per l’uomo, non solo per prevenire patologie del nascituro legate all’età del genitore genetico, ma anche sul presupposto che l’età del donatore, o della donatrice, possa influire sull’esito positivo della tecnica utilizzata nel caso concreto e conseguentemente esporre, per l’ipotesi di esito non favorevole, la coppia alla necessità di altri tentativi con i relativi pregiudizi per la salute psico-fisica.

            Il Consiglio di Stato ha poi ritenuto “indispensabile che venga inserito nel regolamento un limite quantitativo alla donazione degli ovociti e dei gameti maschili per limitare le nascite di bambini portatori (anche solo in parte) del medesimo patrimonio genetico.

            Ciò per scongiurare il rischio di consanguineità tra i nati con il medesimo patrimonio genetico della donatrice, o del donatore, e per ridurre il numero di stimolazioni ormonali cui può sottoporsi la donna per donare gli ovociti con conseguente pregiudizio per la sua salute”.

            Infine, per il Consiglio tali limiti (di età e quantitativi) vanno verificati con cadenza periodica.

AdnKronos Salute     17 giugno 2019

https://www.lasaluteinpillole.it/salute.asp?id=52019FORUM

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FRANCESCO VESCOVO DI ROMA

Un colloquio rivelatore, l’ultimo di Francesco con i gesuiti. Anche nelle sue contraddizioni

Quando papa Francesco è in viaggio fuori d’Italia, non ci sono soltanto le conferenze stampa in aereo, per interrogarlo e ascoltare dal vivo le sue risposte. Ci sono anche i suoi incontri con i gesuiti del luogo, che si svolgono a porte chiuse, ma di cui puntualmente, pochi giorni dopo, padre Antonio Spadaro pubblica su “La Civiltà Cattolica” la trascrizione integrale.

Il resoconto del colloquio tra Francesco e i gesuiti di Romania, avvenuto la sera del 31 maggio 2019 nella nunziatura di Bucarest, contiene tre passaggi su tre argomenti particolarmente rivelatori del pensiero del papa.

  1. Il primo ha a che fare con le accuse pubbliche a Francesco di aver protetto e promosso personaggi di cui pur conosceva le malefatte sessuali, in particolare l’ex cardinale statunitense Theodore McCarrick e il vescovo argentino Gustavo Óscar Zanchetta. Ai gesuiti di Romania il papa non è tornato a ripetere di non aver mai saputo nulla dei misfatti dell’uno e dell’altro. Ha confermato però di non voler rispondere a tali accuse, invocando a sostegno del proprio silenzio due esempi tratti dalla storia della Compagnia di Gesù.
  1. Il primo esempio è la mitezza del gesuita san Pietro Favre (1506-1547), contrapposta da Francesco alla tempra battagliera dell’altro gesuita suo contemporaneo san Pier Canisio (1521-1597): “Occorre portare sulle proprie spalle il peso della vita e delle sue tensioni. […] Bisogna avere pazienza e dolcezza. Così faceva Pietro Favre, l’uomo del dialogo, dell’ascolto, della vicinanza, del cammino. Oggi è tempo più di Favre che di Canisio, che invece era l’uomo della disputa. In un tempo di critiche e tensioni bisogna fare come Favre, il quale lavorava con l’aiuto degli angeli: pregava il suo angelo di parlare agli angeli degli altri perché facessero con loro quello che noi non possiamo fare. […] Questo non è il momento di convincere, di fare discussioni. Se uno ha un dubbio sincero, sì, si può dialogare, chiarire. Ma non rispondere agli attacchi”.
  2. Il secondo esempio è dato dalle lettere – raccolte in un volume curato dai gesuiti de “La Civiltà Cattolica” – dei prepositi generali della Compagnia di Gesù nel periodo della soppressione dell’ordine, nella seconda metà del Settecento: “Se leggete quel libro, vedrete che lì si dice che cosa si deve fare nei momenti di tribolazione alla luce della tradizione della Compagnia. Che cosa ha fatto Gesù nel momento della tribolazione e dell’accanimento? Non si metteva a litigare con i farisei e i sadducei, come aveva fatto prima quando loro tentavano di tendere tranelli. Gesù è rimasto in silenzio. Nel momento di accanimento non si può parlare. Quando è in atto la persecuzione, […] si abbraccia la croce”.
  1. Il secondo passaggio rivelatore riguarda l’idea cara a Francesco della sapienza e dell’innocenza innate del “popolo”. Un’idea che sostanzia sia la sua visione teologica della Chiesa come “santo pueblo fiel de Dios” [il santo popolo fedele di Dio], sia la sua visione politica tipicamente “populista”: “Dove io trovo le più grandi consolazioni? […] Le trovo con il popolo di Dio. […] Il popolo di Dio capisce meglio di noi le cose. Il popolo di Dio ha un senso, il ‘sensus fidei’, che ti corregge la linea e ti mette sulla strada giusta”.

A sostegno di questa sua visione Francesco ha portato due aneddoti.

  1. Nel primo ha raccontato di aver incontrato un giorno una vecchia “dagli occhi preziosi, brillanti”, che dopo un paio di battute gli aveva detto di pregare tutti i giorni per lui. E lui di rimando: “Mi dica la verità: prega per me o contro di me?”. E la vecchia: “Ma si capisce! Io prego per lei! Ben altri dentro la Chiesa pregano contro di lei!”. Morale della favola: “La vera resistenza [contro il papa] non è nel popolo di Dio che si sente davvero popolo”.
  2. L’altro aneddoto rimanda invece a quando Jorge Mario Bergoglio era semplice sacerdote e si recava ogni anno nel santuario di Nuestra Señora del Milagro nel nord dell’Argentina: “C’è sempre tanta gente lì. Un giorno, dopo la messa, mentre uscivo con un altro sacerdote, si avvicina una signora semplice, del popolo, non ‘ilustrada’. Aveva con sé santini e crocifissi. E lei chiede all’altro sacerdote: ‘Padre, mi benedice?’. E lui – era un bravo teologo – risponde: ‘Ma lei è stata alla messa?’ E lei risponde: ‘Sì, padrecito’. E poi il padre chiede: ‘Lei sa che la benedizione finale benedice tutto?’. E la signora: ‘Sì, padrecito’. […] In quel momento usciva un altro prete e il ‘padrecito’ si è girato per salutarlo. A quel punto la signora di scatto si rivolse a me e mi disse: ‘Padre, mi benedice?’. Ecco, vedete? La signora aveva accettato tutta la teologia, certo, ma lei voleva quella benedizione! La saggezza del popolo di Dio! Il concreto! Voi direte: ma potrebbe essere superstizione. Sì, qualche volta qualcuno può essere superstizioso. Ma quel che importa è che il popolo di Dio è concreto. Nel popolo di Dio noi troviamo la concretezza della vita, delle vere questioni, dell’apostolato, delle cose che dobbiamo fare. Il popolo ama e odia come si deve amare e odiare”.
  1. Il terzo passaggio rivelatore, nel colloquio con i gesuiti di Romania, riguarda la questione della comunione ai divorziati risposati, questione tuttora irrisolta finché i “dubia” esposti da quattro cardinali rimarranno senza risposta: “Il pericolo in cui rischiamo sempre di cadere è la casistica. Quando è incominciato il sinodo sulla famiglia, alcuni hanno detto: ecco, il papa convoca un sinodo per dare la comunione ai divorziati. E continuano ancora oggi! In realtà, il sinodo ha fatto un cammino nella morale matrimoniale, passando dalla casistica della scolastica decadente alla vera morale di san Tommaso. Quel punto in cui nell’’Amoris lætitia’ si parla di integrazione dei divorziati, aprendo eventualmente alla possibilità dei sacramenti, è stato elaborato secondo la morale più classica di san Tommaso, quella più ortodossa, non secondo la casistica decadente del ‘si può o non si può’”.

L’argomento qui portato da Francesco a giustificazione di “Amoris lætitia” è lo stesso che lui aveva già esposto, quasi con le stesse parole, ai gesuiti di Cile e Perù, incontrati il 16 gennaio 2018 a Santiago del Cile durante il suo viaggio in quei paesi. Così come il rimando a san Pietro Favre contrapposto a san Pier Canisio, con tanto di invocazione agli angeli, si ritrova identico nel colloquio tra Francesco e i gesuiti di Lituania e Lettonia, incontrati a Vilnius il 23 settembre 2018. Avviene molto spesso che Francesco si ripeta, specie quando parla a braccio. Ma talvolta capita che porti allo scoperto aspetti anche intimi della sua personalità.

Ad esempio, ai gesuiti di Cile e Perù arrivò a dire che è “per igiene mentale” che rifiuta di leggere gli scritti dei suoi oppositori: “Per salute mentale io non leggo i siti internet di questa cosiddetta ‘resistenza’. So chi sono, conosco i gruppi, ma non li leggo, semplicemente per mia salute mentale. […] Alcune resistenze vengono da persone che credono di possedere la vera dottrina e ti accusano di essere eretico. Quando in queste persone, per quel che dicono o scrivono, non trovo bontà spirituale, io semplicemente prego per loro. Provo dispiacere, ma non mi soffermo su questo sentimento per igiene mentale”.

In altre occasioni Bergoglio ha aperto altri squarci sulle sue inquietudini interiori e sui momenti “di desolazione” della sua vita. Ma qui basti segnalare una sua recentissima caduta in contraddizione col dichiarato rifiuto di leggere “i siti internet” dei suoi oppositori. Giovedì 13 giugno, nel discorso rivolto ai nunzi apostolici convocati a Roma, Francesco a un certo punto ha ingiunto anche a loro di troncare qualsiasi contatto con i siti internet e i blog dei “gruppi ostili al papa, alla curia e alla Chiesa di Roma”.

Ebbene, come ha concluso Francesco questo suo discorso? Con le “Litanie dell’umiltà” del servo di Dio cardinale Rafael Merry del Val (1865-1930), segretario di Stato di san Pio X. Una nota a piè di pagina, nel testo ufficiale del discorso, rimanda alla fonte da cui è stata ricavata questa preghiera. E tale fonte è un post del sito internet “Corrispondenza Romana”, a firma del suo fondatore e direttore Roberto de Mattei, storico della Chiesa, uno dei critici più radicali dell’attuale pontificato. Segno che Francesco non solo legge ma anche si abbevera, quando serve, a questi siti internet che per “igiene mentale” dichiara di mettere al bando

Blog Sandro Magister           17 giugno 2019

http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/?refresh_ce

 

Per una teologia “pratica”. Il Papa a Napoli: Mediterraneo laboratorio di dialogo

Da Napoli il Papa lancia un forte appello per una teologia di accoglienza basata sul dialogo e sull’annuncio e che contribuisca a costruire una società fraterna fra i popoli del Mediterraneo

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2019/june/documents/papa-francesco_20190621_teologia-napoli.html

«Come alimentare una convivenza tollerante e pacifica che si traduca in fraternità autentica? Come far prevalere nelle nostre comunità l’accoglienza dell’altro e di chi è diverso da noi perché appartiene a una tradizione religiosa e culturale diversa dalla nostra? Come le religioni possono essere vie di fratellanza anziché muri di separazione?». Dalla collina di Posillipo che s’affaccia sul mare, sono queste domande dirette a fare da incipit nell’intervento che papa Francesco rivolge agli ascoltatori nascosti sotto ombrellini bianchi per ripararsi dalla canicola del sole di Napoli.

            Il grande palco bianco nel piazzale di un ateneo, quello della sede della Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, pensato come una scatola senza fondo che incornicia in lontananza lo spazio del Mare Nostrum, il «mare del meticciato», rende l’idea di quello che vuole significare oggi questo incontro del Papa in questo contesto: una porta spalancata per favorire nuove prospettive di fratellanza tra culture e religioni e orizzonti per una «pentecoste teologica», un rinnovamento di studi ecclesiastici che conduca a una teologia legata alla realtà, pratica, di accoglienza, perché anche «fare teologia è un atto di misericordia». Un laboratorio per l’incontro.

            Dopo aver ascoltato gli interventi di diversi docenti e testimonianze, nel suo discorso il Papa parla subito di “teologia dell’accoglienza”: «Direi che la teologia – commenta Francesco – particolarmente in tale contesto, è chiamata ad essere una teologia dell’accoglienza e a sviluppare un dialogo autentico e sincero con le istituzioni sociali e civili, con i centri universitari e di ricerca, con i leader religiosi e con tutte le donne e gli uomini di buona volontà, per la costruzione nella pace di una società inclusiva e fraterna e per la custodia del creato».

Francesco racconta a braccio un incontro avuto ieri pomeriggio con l’Arcivescovo dello Sri Lanka colpito da attacchi terroristici il giorno di Pasqua: «Ieri il cardinale mi ha detto questo: un gruppo di cristiani voleva andare dai mussulmani per ammazzarli, ma noi siamo andati lì a convincerli che noi siamo amici, questo è un atteggiamento di vicinanza e dialogo».

«Il modo di procedere dialogico è la via per giungere là dove si formano i paradigmi, i modi di sentire, i simboli, le rappresentazioni delle persone e dei popoli – continua il Papa – Giungere là come etnografi spirituali dell’anima dei popoli per poter dialogare in profondità e, se possibile, contribuire al loro sviluppo con l’annuncio del Vangelo del Regno di Dio, il cui frutto è la maturazione di una fraternità sempre più dilatata ed inclusiva».

            «Dialogo non è una formula magica – chiarisce il Pontefice – ma certamente la teologia viene aiutata nel suo rinnovarsi quando lo assume seriamente, quando esso è incoraggiato e favorito tra docenti e studenti, come pure con le altre forme del sapere e con le altre religioni, soprattutto l’Ebraismo e l’Islam. Gli studenti di teologia dovrebbero essere educati al dialogo con l’Ebraismo e con l’Islam per comprendere le radici comuni e le differenze delle nostre identità religiose, e contribuire così più efficacemente all’edificazione di una società che apprezza la diversità e favorisce il rispetto, la fratellanza e la convivenza pacifica».

            Ed elenca esempi di dialogo “pratici” per un rinnovamento dopo la Veritatis gaudium: «Nelle facoltà teologiche e nelle università ecclesiastiche sono da incoraggiare i corsi di lingua e cultura araba ed ebraica, e la conoscenza reciproca tra studenti cristiani, ebrei e musulmani. Il dialogo può essere un metodo di studio, oltre che di insegnamento. Quando leggiamo un testo, dialoghiamo con esso e con il mondo di cui è espressione; e questo vale anche per i testi sacri, come la Bibbia, il Talmud e il Corano. Il secondo esempio è che il dialogo si può compiere come ermeneutica teologica in un tempo e un luogo specifico. Nel nostro caso: il Mediterraneo all’inizio del terzo millennio».

https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2018/01/29/0083/00155.html

Una teologia dell’accoglienza è anche «una teologia dell’ascolto»: «Ciò significa anche ascoltare la storia e il vissuto dei popoli che si affacciano sullo spazio mediterraneo per poterne decifrare le vicende che collegano il passato all’oggi e per poterne cogliere le ferite insieme con le potenzialità».

            Per il Papa occorre anche una teologia interdisciplinare: «Una teologia dell’accoglienza che, come metodo interpretativo della realtà, adotta il discernimento e il dialogo sincero necessita di teologi che sappiano lavorare insieme e in forma interdisciplinare, superando l’individualismo nel lavoro intellettuale». Ma anche una «teologia in rete» in «solidarietà con tutti i naufraghi della storia». È tempo di lasciare dunque alle spalle una teologia difensiva e apologetica, ma anche avere attenzione che le dispute teologiche non feriscano e relativizzino la fede del popolo di Dio.

            Qual è dunque il compito della teologia dopo Veritatis gaudium nel contesto del Mediterraneo? «Innanzitutto, occorre partire dal Vangelo della misericordia, dall’annuncio fatto da Gesù stesso e dai contesti originari dell’evangelizzazione. La teologia nasce in mezzo agli esseri umani concreti, incontrati con lo sguardo e il cuore di Dio, che va in cerca di loro con amore misericordioso. Anche fare teologia è un atto di misericordia».

Stefania Falasca Avvenire 21 giugno 2019

www.avvenire.it/papa/pagine/papa-al-convegno-di-napoli

 

I teologi si dichiarano colpevoli

In una lettera al Presidente della Repubblica dopo la visita di papa Francesco alla Facoltà teologica di Napoli i docenti di quella università (sezione San Luigi) si accusano di voler compiere ogni reato di umana solidarietà, e si associano alle scelte della Comandante della Sea Watch.

Signor Presidente,                Le scriviamo per manifestarle la nostra totale condivisione con le scelte compiute da Carola Rackete – comandante della piccola nave Sea Watch – sia per aver salvato la vita a dei naufraghi nel Mediterraneo sia per aver deciso, dopo 17 giorni di vana attesa, di farli sbarcare in Italia dopo le lunghissime sofferenze patite nei loro viaggi precedenti e in una nazione in guerra come la Libia.

Signor Presidente, se la solidarietà sta divenendo in Italia un reato allora noi le comunichiamo che vogliamo compiere ogni reato di umana solidarietà e che ci associamo a quanto ha fatto la comandante Rackete e desideriamo essere indagati e processati anche noi per apologia di reato e ci offriamo di ricevere la pena prevista per questo reato. Troviamo inaccettabili le parole dell’attuale ministro dell’Interno il quale, mentre agita a scopo elettorale il Vangelo e il Rosario, parla di atto di guerra compiuto dalla comandante Rackete. È inverosimile e anche ridicolo, infatti, sostenere che una minuscola unità navale, totalmente disarmata e con a bordo dei poveri naufraghi voglia e possa far guerra all’Italia. Non vi è nessuna minaccia e nessuna guerra in atto se non quella scatenata da mesi nei confronti di esseri umani bisognosi di soccorso e desiderosi di vivere. Non si fa guerra ai poveri e il nostro posto di insegnanti di una Facoltà Teologica è lì dove la vita viene offesa e negata.

Appena il 21 giugno 2019 papa Francesco ha partecipato ad un convegno nella Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale nella quale lavoriamo e ci ha incoraggiato dicendoci: «La teologia – tenendo la mente e il cuore fissi sul “Dio misericordioso e pietoso” (cfr Gn 4,2) – può aiutare la Chiesa e la società civile a riprendere la strada in compagnia di tanti naufraghi, incoraggiando le popolazioni del Mediterraneo a rifiutare ogni tentazione di riconquista e di chiusura identitaria. Ambedue nascono, si alimentano e crescono dalla paura. La teologia non si può fare in un ambiente di paura».

Per questo motivo noi non possiamo insegnare teologia rimanendo indifferenti alla progressiva crescita di paura, di terrore, di sospetti, di accuse, di minacce, di incitamento alla violenza e all’odio. E proprio perché rifiutiamo la paura vogliamo fino in fondo svolgere il nostro ruolo di insegnanti e ci associamo a quanto ha scelto di fare la comandante Rackete, perché il primato della coscienza e dell’umanità resterà sempre superiore a tutte le leggi umane, soprattutto quelle leggi che fomentano paure e aprono la strada alle persecuzioni. Facciamo questo proprio ispirandoci a quanto ancora ci ha detto papa Francesco il 21 giugno: «è importante che i teologi siano uomini e donne di compassione – sottolineo questo: che siano uomini e donne di compassione –, toccati dalla vita oppressa di molti, dalle schiavitù di oggi, dalle piaghe sociali, dalle violenze, dalle guerre e dalle enormi ingiustizie subite da tanti poveri che vivono sulle sponde di questo “mare comune”».

Le scriviamo motivati anche da quell’imperativo morale che ci richiama il Concilio Vaticano II nella Costituzione Pastorale Gaudium et spes: «I capi di Stato, infatti, i quali sono mallevadori del bene comune delle proprie nazioni e fautori insieme del bene della umanità intera, dipendono in massima parte dalle opinioni e dai sentimenti delle moltitudini. È inutile infatti che essi si adoperino con tenacia a costruire la pace, finché sentimenti di ostilità, di disprezzo e di diffidenza, odi razziali e ostinate ideologie dividono gli uomini, ponendoli gli uni contro gli altri. Di qui la estrema, urgente necessità di una rinnovata educazione degli animi e di un nuovo orientamento nell’opinione pubblica. Coloro che si dedicano a un’opera di educazione, specie della gioventù, e coloro che contribuiscono alla formazione della pubblica opinione, considerino loro dovere gravissimo inculcare negli animi di tutti sentimenti nuovi, ispiratori di pace. E ciascuno di noi deve adoperarsi per mutare il suo cuore, aprendo gli occhi sul mondo intero e su tutte quelle cose che gli uomini possono compiere insieme per condurre l’umanità verso un migliore destino» (§ n. 82).

E noi sollecitati da queste istanze conciliari, prendiamo posizione chiara in spirito di collaborazione al Suo servizio di Capo di Stato poiché come insegnanti della Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale inseriti nei corsi formativi della Sezione San Luigi, retta dai padri Gesuiti, ormai da anni abbiamo promosso un percorso di approfondimento epistemologico e di revisione dei corsi accademici, teso a contestualizzare l’insegnamento teologico nel solco della Tradizione di fede e all’interno delle coordinate socio territoriali del Meridione d’Italia nel quale viviamo e per il quale formiamo i nostri studenti. In tempi recenti il raggio d’interesse e di approfondimento si è esteso all’orizzonte del Mediterraneo, quale bacino culturale che raccoglie le sfide di civiltà e d’integrazione storicamente raggiunte come traguardi di vera umanità e oggi, purtroppo, compromesse da preoccupanti tentativi di chiusure e irrigidimenti sistemici verso le altre civiltà che si affacciano sullo stesso mare.

Come insegnanti, signor Presidente, siamo molto allarmati da questo crescente clima di odio e di aggressione continua soprattutto nei confronti di impoveriti, indeboliti e sfruttati. Questo clima non potrà non avere conseguenze gravissime nella formazione di un comune sentire degli italiani, soprattutto dei più giovani nei cui confronti abbiamo il dovere di dire la verità, di promuovere il dialogo e l’accoglienza, di mostrare il bene della nonviolenza e non favorire e sostenere la mistificazione e l’intolleranza che sfociano inevitabilmente nell’odio.

Per questi motivi, signor Presidente, non lasceremo sola la comandante Rackete che con la sua disobbedienza civile ha dimostrato una passione per l’umanità esemplare e associandoci alla comandante attendiamo di essere anche noi processati.

Voglia accogliere, signor Presidente, la nostra più viva partecipazione all’impegnativo compito che Lei assolve a servizio dell’Italia anche in questi mesi sempre più difficili per coloro che hanno come faro la nostra Costituzione e la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo sempre più spesso calpestate dalle esigenze della propaganda e del consenso elettorale.

Tutti i firmatari sono insegnanti della Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale

www.chiesadituttichiesadeipoveri.it/i-teologi-si-dichiarano-colpevoli

Il cattolicesimo non ha sempre ragione

Mentre il cardinale tedesco Brandmüller, uno dei quattro estensori dei “dubia” sull’ortodossia della “Amoris lætitia”, accusa di eresia perfino il Sinodo dell’Amazzonia, che non si è ancora tenuto, e mentre papa Francesco racconta – e la Civiltà Cattolica pubblica – di aver chiesto scherzando a una donna che gli aveva detto di pregare ogni giorno per lui: “mi dica la verità, prega per me o contro di me?”, segno del clima di assedio in cui vive oggi il Vangelo nella Chiesa, è assolutamente necessario leggere il discorso di papa Francesco a Posillipo sulla teologia e il Mediterraneo “tenda di pace”. E’ stato un blitz che ha fatto il papa il 21 giugno, partendo alle 7,50 in elicottero dal Vaticano, parlando alla Facoltà teologica, e ripartendo da Napoli alle 13,12. I giornali quasi non se ne sono accorti, ma è stato un evento capitale per la storia di questo pontificato e della Chiesa stessa nell’attuale nodo storico. Formalmente era un discorso sulla teologia, non in astratto ma nel contesto del Mediterraneo e a partire dalle novità introdotte dalla Costituzione apostolica “Veritatis Gaudium” sugli studi ecclesiastici del 2017, ma di fatto è stata una risposta all’assillante domanda formulata da papa Paolo VI durante il Concilio: “Chiesa di Cristo, che cosa dici di te stessa?”. Bisogna leggere questa risposta, che è anche una risposta a quanti vorrebbero imbalsamare la fede nei manuali, il kerigma [κήρυγμα-annuncio del messaggio cristiano] nella scolastica decadente e l’evangelizzazione nel proselitismo; ed è anche una risposta ai prelati e ai portavoce che accusano il papa di eresia, e altresì a chi, musulmano o cristiano, è ancora in odore di crociata. Bisogna leggere questo discorso, fluente familiare e fondativo, segno del tempo, capace di presagire il futuro; ne indichiamo qui solo alcuni punti cruciali.

  1. Francesco chiude l’incidente di Ratisbona, quando Benedetto XVI citò Manuele Paleologo che attribuiva a Maometto “cose solo malvagie e inumane”, e lo fa rovesciando il discorso col ricordare le persecuzioni compiute in nome di una religione “che anche noi abbiamo fatto”. E ha citato la Chanson de Roland, dove si dice che “dopo aver vinto la battaglia i musulmani erano messi in fila, tutti davanti alla vasca del battesimo; c’era uno con la spada, e li facevano scegliere: o ti battezzi o ciao!”. E contro questa scelta, “o battesimo o morte”, papa Francesco ha fatto appello alla nonviolenza “come orizzonte e sapere sul mondo”, elemento costitutivo di ogni teologia, di ogni religione.
  2. Francesco non rivendica il Mediterraneo come un “mare nostrum” ebreo-cristiano, ma lo celebra come il mare del meticciato, multiculturale e pluri-religioso, e proprio perciò mare per il dialogo e “grande tenda di pace”.
  3. Francesco nega che il patrimonio di fede possa giacere immobile nei manuali, come accadeva “nel tempo della teologia decadente, della scolastica decadente”, quando lui aveva studiato e si diceva scherzando, ma non tanto, che tutte le tesi teologiche si provavano con un sillogismo il cui termine medio era che “il cattolicesimo ha sempre ragione”. La fede al contrario, cresce con il dialogo. Un dialogo con le persone, con la Tradizione, e anche con i testi sacri, leggendo nella realtà, nel creato e nella storia i segni e i rimandi teologali al mistero del cammino di Gesù che lo porta alla croce, alla resurrezione e al dono dello Spirito. Non dunque un’apologetica controversista, ma un’ermeneutica dell’amore di Dio per tutti gli uomini, per tutta la fraternità umana.
  4. Francesco include nel dialogo l’evangelizzazione, che è testimonianza non solo di parole, (e cita san Francesco che diceva ai frati: “predicate il Vangelo, se fosse necessario anche con le parole”) ed è accoglienza; non è, invece, proselitismo: quello “è la peste”, come, “peste” è la sindrome di Babele che consiste non nella differenza delle lingue, ma nel non ascoltarsi l’un l’altro.
  5. Francesco dice che la teologia deve essere interdisciplinare, compassionevole, capace di discernere nel patrimonio ricevuto quanto è stato veicolo dell’intenzione misericordiosa di Dio e quanto invece è stato infedele; la teologia deve essere in solidarietà con tutti i naufraghi della storia, a cominciare da Giona fino a quelli di oggi con cui si deve riprendere la strada senza paura. Una tale teologia propizierà una nuova Pentecoste teologica nella libertà del pensiero – per sperimentare strade nuove – nell’assunzione della storia, nella convivialità delle differenze, nel lavoro comune di uomini e donne e nell’accoglienza kerigmatica di persone e popoli, nel Mediterraneo e non solo.

http://ranierolavalle.blogspot.com

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OMOFILIA

Il counseling, un supporto per le famiglie con una persona LGBT

Trattando il tema dell’empowerment della famiglia, si riserva un posto preferenziale al counseling come via per sostenere ed incrementare le potenzialità della persona. Il counseling rientra nell’area della relazione d’aiuto e si presenta come un rapporto in cui il professionista scorta, accompagna, sostiene la persona in difficoltà a prendere contatto con le proprie dinamiche interne, a comprendere la situazione che vive e a gestire il problema operando autonomamente le proprie scelte assumendone le relative conseguenze. [R.R. Carkhuff]

Non consiste quindi nel dare consigli, nel dare informazioni, nell’insegnare facendo acquisire conoscenze. Non si pone come aiuto intuitivo ma come relazione professionale in cui, se la persona non è per il momento capace di trovare le soluzioni, l’aiuto si indirizzerà sostanzialmente nel ricostituire le capacità compromesse attingendo alle risorse che risiedono nella persona stessa. [R.R. Carkhuff ].           Il counseling, infatti, si basa sul presupposto che nella persona vi siano tutte le risorse, emozionali, affettive, cognitive, necessarie a produrre un cambiamento interno: l’aiuto consiste nel sostenere la riattivazione e riorganizzazione di tali risorse bloccate da situazioni di sofferenza o difficoltà. [R.R. Carkhuff ]

Tutto questo rientra nella visione di Carl Rogers, padre della psicologia umanistica, il quale parlava della “tendenza attualizzante” della persona come capacità di autodirigersi, autorealizzarsi e autopromuoversi risolvendo le proprie difficoltà in modo autonomo e responsabile. Un’incrollabile fiducia nella persona e nelle sue capacità di realizzazione in una relazione d’aiuto non direttiva ma “centrata sul cliente”, l’unico che conosce la portata dei suoi problemi, le difficoltà e il desiderio di trovare una soluzione. Rogers, infatti, usa deliberatamente il termine “cliente” invece di paziente, malato o allievo, per sottolineare l’originalità di una relazione nella quale è la persona stessa che sceglie di farsi aiutare svincolandosi da un rapporto di dipendenza e attivando la propria libertà è responsabilità. [R. Mucchielli]

            Il counseling di stampo umanistico, si basa sulla relazione dinamica che si instaura tra counselor e cliente rispettando tre parametri fondamentali: l’empatia, l’accettazione incondizionata e la congruenza. L’empatia, come già visto, consiste nella capacità di percepire il vissuto dell’altro, le sfumature che vive, i significati che attribuisce alle situazioni, non perdendo il proprio confine emotivo.

L’accettazione incondizionata è la capacità di accogliere la persona per quella che è e per ciò che esprime al di là di qualsiasi classificazione, catalogazione e pregiudizio.

La congruenza è la coerenza interna del counselor tra ciò che pensa, sente e prova e ciò che effettivamente esprime, evitando discrepanze tra l’esperienza reale vissuta e quella comunicata. [C.R. Rogers]

            Una relazione di aiuto basata su questi presupposti rappresenta una strategia di empowerment molto efficace per i genitori in difficoltà, rispettando il loro vissuto e attivando le risorse che, sebbene bloccate dalla sofferenza, sono comunque vive e presenti all’interno della relazione con i figli. Nel caso dell’omosessualità in famiglia, risulta quanto mai importante il ricorrere ai tre pilastri della teoria rogersiana.

            L’empatia permette al counselor di entrare in sintonia con lo stato di sofferenza dei genitori, con le loro inadeguatezze, paure, emozioni mantenendo il focus sulla loro esperienza vitale. Il tessuto emotivo diventa il terreno in cui il genitore può esprimere liberamente ciò che lo blocca sentendosi accompagnato ad elaborare nuove strategie relazionali.

L’accettazione incondizionata è presupposto necessario per accogliere in sé ed accompagnare persone che vivono una situazione di diversità e si sentono spesso estranee a se stesse e bloccate in dinamiche relazionali nuove e al di fuori delle proprie attese. La congruenza dell’operatore agisce da specchio a quella del genitore che, trovandosi di fronte ad una persona che fa della trasparenza lo strumento della relazione, è spinto e motivato a fare chiarezza in se stesso comunicando ciò che profondamente vive e che, spesso, ha paura di esprimere.

Il miglior strumento della relazione d’aiuto sono le persone stesse coinvolte in tale processo: una fa da specchio all’altra e, traendo forza dal rapporto interpersonale di autenticità, ognuna trova la forza di scendere in se stessa, accogliersi per ciò che è e lavorare sui propri atteggiamenti di pregiudizio e di rifiuto.

            Attivare l’accoglienza nel genitore che vive l’omosessualità è l’obiettivo principale: su questo verrà poi ricostruito il rapporto con il figlio che chiede alla famiglia chiarezza, verità e autenticità nel sentire, pensare e provare emozioni.

            Senz’altro un clima di accettazione incondizionata è l’arma vincente di una relazione d’aiuto che si collochi nell’ambito dell’omosessualità laddove invece i pregiudizi, i rifiuti, le critiche vissute socialmente, spesso costringono al nascondimento, all’isolamento emotivo ed affettivo, alla fuga dalle relazioni. Tutta la famiglia rischierebbe così di chiudersi in un proprio mondo per trovare quel calore e quella coesione che non sperimenta all’esterno, con il rischio di andare incontro ad un forte impoverimento relazionale e alla perdita di legami significativi.

            Il genitore necessita di uno spazio relazionale in cui poter esplorare il proprio mondo interiore, prendersi il tempo di scendere in se stesso, valutare il cammino percorso con il figlio, illuminare i punti di forza ridimensionando le negatività e riattivare le proprie risorse accettando il proprio nuovo sé e il sé “inedito” del figlio.

Il counselor, assumendo un ruolo di agevolatore, dovrebbe fornire un clima relazionale rispettoso dei valori e dell’esperienza esistenziale di difficoltà portata dal genitore mettendo da parte valutazioni e giudizi personali che inquinerebbero un ascolto autentico e libero. [A. Di Luoffo]

            Accogliere ed accettare incondizionatamente non vuol dire, da parte del counselor, dover essere d’accordo necessariamente con quanto viene espresso. I confini e riferimenti valoriali vengono sempre rispettati ma si estendono a “com-prendere” (prendere con sé) il vissuto dell’altro perché lui stesso possa arrivare ad accogliersi nel profondo. Tutto ciò che il genitore sperimenterà nel rapporto consulenziale, potrà costituire una nuova base relazionale con il figlio; sentirsi accolto genera accoglienza, sentirsi ascoltato genera ascolto, sentirsi rispettato nelle proprie difficoltà genera rispetto per la diversità fino a farne una ricchezza.

            In Italia il cammino consulenziale in ambito omosessuale si sta lentamente ma decisamente affermando. Specificamente a Milano è attivo un servizio di gay counseling in cui sia il soggetto che l’intero nucleo familiare viene supportato nel cammino di ricostruzione di un’identità completa. Si tenta di ridefinire modelli tradizionali e liberare vissuti emotivi bloccati e sofferenti con lo scopo di creare una nuova “piattaforma relazionale” sui cui innestare il cammino di crescita e ridefinizione della famiglia. [A. Di Luoffo]

            Il gay counseling cerca di offrire uno spazio in cui rielaborare, come singolo e come famiglia, i propri “fantasmi”, esplorando e valorizzando la propria diversità e cercando di sanare la ferita del rifiuto di sé. [A. Di Luoffo]

            La relazione d’aiuto risulta funzionale ed efficace se si pone come strumento di libertà, priva di indicazioni ed atteggiamenti direttivi che soffochino l’iniziativa ed autonomia personale. Un cammino di empowerment deve avere il suo fulcro non nella persona dell’operatore ma nella capacità della persona di esplorare se stessa e le proprie capacità mettendo in gioco tutte le risorse di cui dispone. [D. Simeone]

Il sostegno educativo deve, quindi basarsi sul presupposto fondamentale per cui la famiglia che chiede aiuto è soggetto attivo della relazione e portatrice non solo di un bisogno e di una difficoltà, ma anche delle strategie per uscire dalla crisi intesa in chiave di opportunità di cambiamento e crescita. [D. Simeone]

Il processo di counseling diventa luogo educativo in cui l’operatore “aiuta ad aiutarsi” ponendo le basi per l’apprendimento del problem solving e, a lungo termine, della capacità di resilienza. La relazione d’aiuto si trasforma da semplice atto sociale in relazione educante, in quanto spazio in cui riformulare e rielaborare la propria esperienza aprendosi alla crescita in tutte le fasi della vita comprese quelle caratterizzate dagli eventi critici che la famiglia si trova a fronteggiare. [D. Simeone]

            Nel caso dell’omosessualità, in consulenza occorre lavorare sull’attribuzione di significato alla crisi che la famiglia vive e che non fa parte della sua normale evoluzione. Esistono infatti crisi evolutive o di sviluppo connesse a normali tappe di maturazione e facilmente prevedibili nel corso della vita (nascita, morte), e crisi accidentali determinate da eventi imprevisti che comunque modificano in modo sostanziale la vita dei soggetti coinvolti. [D. Simeone]

            Allo stato attuale, l’omosessualità, è ancora riconducibile ad un evento inaspettato. I genitori si trovano impreparati davanti ad una realtà destabilizzante e inattesa e verso la quale non sono mai stati sostanzialmente formati: inizialmente l’omeostasi familiare entra in crisi. Il compito dell’operatore è stare accanto a questo momento di squilibrio, sostenere un cammino irto di difficoltà e supportare i genitori ad acquisire un grado di flessibilità e adattabilità tale da rendere la crisi occasione di rimodellamento di relazioni che includano e valorizzino l’inedita identità del figlio.

            Il counselor è chiamato a fornire supporti emozionali e strumenti per affrontare il dolore di entrambe le parti, facendole dialogare e favorendo il superamento dei rispettivi sensi di colpa. [A. Montano] Sarà impegnato su tre fronti dovendo ascoltare sia il vissuto del figlio, sia del genitore, sia la relazione ferita che intercorre tra le due parti aprendo ad uno stile educativo improntato all’autorevolezza e profondamente rispettoso dell’identità e “diversità” del figlio.

            E’ chiaro che, per innescare e sostenere tale processo di cambiamento, l’operatore dovrà per primo elaborare le proprie emozioni e lavorare su eventuali pregiudizi personali che potrebbero ergersi come barriere nel cammino di accettazione incondizionata.

            Da quanto esposto si auspica che, in ambito educativo e pedagogico, la famiglia possa sempre più contare su percorsi di sostegno ed empowerment, al fine di trovare dimora in uno spazio dove rielaborare il proprio vissuto e collocare in un orizzonte di senso il cammino del figlio o del familiare che vive la ricerca o la rielaborazione della propria identità. [D. Simeone]

Alessandria Bialetti   Progetto Gionata       18 giugno 2019                      14 note bibliografiche

www.gionata.org/il-counseling-un-supporto-per-le-famiglie-con-una-persona-lgbt

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