NewsUCIPEM n. 753 – 12 maggio 2019

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02 ABUSI                                                            Motu proprio. Abusi, la nuova «stretta» di Francesco

03                                                                          Vos estis lux mundi” contiene diverse novità

03                                                                          Lotta contro gli abusi sessuali: la svolta del papa

03                                                                          Perché le norme della Chiesa riguardano solo la giustizia interna?

04                                                                          Pedofilia, al governo dovrebbero leggere con attenzione il decreto

05                                                                          Sportello anti-abusi e obbligo di denuncia, le regole del Papa

06 ADOZIONE INTERNAZIONALE              Sentenza utero in affitto una vittoria per i bambini. Ora rilanciarla

06 ADOZIONI INTERNAZIONALI                               Una buona notizia: la Bolivia semplifica le pratiche burocratiche

07 ASSEGNO MANTENIMENTO FIGLI     No condanna a padre che non dà assegno ma paga scuole e vacanze

08 ASSOCIAZIONI-MOVIMENTI                               Per Ai.Bi. un nuovo Consiglio direttivo e una strategia in tre punti

09 CASA CONIUGALE                                    Se figlio torna solo x weekend assegnazione può essere revocata.

09 CENTRO INTERN. STUDI FAMIGLIA   Newsletter CISF – n. 18, 8 maggio 2019

11 CHIESA CATTOLICA                                  Papa Francesco e le presunte eresie, riflessioni e note storiche

13                                                                          Mirabile eresia

14                                                                          Sul diaconato femminile: alcuni punti fermi

15                                                                          Il clericalismo malattia della chiesa

18                                                                          La chiesa sta per rompersi

20 CITAZIONI                                                    Fulton Sheen: chiacchieri solo o fai davvero l’amore?

21 CITTÀ DEL VATICANO                              Prendersi cura della famiglia è prendersi cura di uomo e società

21 COMM.ADOZIONI INTERNAZ.             Incontro Vicepresidente Laera con l’Autorità Centrale Vietnamita

22 CONGRESSI–CONVEGNI–SEMINARI                Brescia. Mamme sole: un convegno per capire come aiutarle

22                                                                          Milano. Centro Giovani Coppie. Un progetto che si chiama desiderio

22 CONSULTORI CATTOLICI                        Corso di formazione per operatori

23 CONSULTORI UCIPEM                            Bologna. Festeggiamenti per i 40 anni del servizio di consulenza

23                                                                          Milano2. “Genitori Oggi”, Presentazione del libro Per un bambino

24 DALLA NAVATA                                         4° Domenica di Pasqua – Anno C – 12 maggio 2019

24                                                                          I seduttori e i maestri: due voci ben diverse

25 DIRITTI                                                          L’Autorità garante presenta a Torino “I bambini parlano di diritti”

25 ENTI TERZO SETTORE                               L’attacco al Terzo settore devasta l’Italia civile

26 FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI    L’#assegnoXfiglio. De Palo: Venga inserito nella Legge di stabilità

26 FRANCESCO VESCOVO DI ROMA       Cercare nuove strade nella Chiesa non è peccato, ci vuole coraggio

27                                                                          Il Papa sulle donne diacono: non si può andare oltre la Rivelazione

29                                                                          L’escalation dell’assedio al papa

29                                                                          Chi chiama eretico il papa

31 MATERNITÀ SURROGATA                     Sentenza in materia di procreazione medicalmente assistita

31                                                                          Valore della norma (e di una battaglia): il senso della dignità

32                                                                          Valutare l’interesse del minore? Il tribunale è meglio dell’anagrafe

33                                                                          Così la Corte dei diritti umani indicò la strada dell’adozione

33                                                                          Figli di due padri all’estero: no alla trascrizione in Italia

33                                                                          Cassazione. No alla trascrizione in Italia per bambini con due papà

35                                                                          Non può il Comune con la trascrizione può il giudice con l’adozione

35                                                                          Cassazione. Una sentenza buona a metà

35                                                                          Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e maternità surrogata

36 MEDIAZIONE                                              Percorso terapeutico ordinato se conflitti danneggiano i figli

37 PARLAMENTO                                            Camera Deputati. Commissione Giustizia. Assegno divorzile

38 PROCREAZIONE ASSISTITA                    Crioconservazione: si può attribuire il cognome del padre morto?

40 SESSUOLOGIA                                            Virgili: l’amore è l’essere l’uno per l’altra

41 SINODALITÀ                                                Il futuro della chiesa è nella sinodalità

42 UCIPEM                                             Soggetti disabili – sentimenti e sessualità

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ABUSI

Motu proprio. Abusi, la nuova «stretta» di Francesco

Nuove procedure per segnalare casi di abuso su minori e adulti vulnerabili ma anche molestie e violenze dovute ad abuso di autorità, compresi i casi di stupro sulle suore da parte di chierici come pure quelli riguardanti molestie sui seminaristi.

È questa la nuova legge universale, che si applica all’intera Chiesa cattolica, pubblicata da papa Francesco con il Motu proprio: «Vos estis lux mundi, Voi siete la luce del mondo». 7 maggio 2019

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/motu_proprio/documents/papa-francesco-motu-proprio-20190507_vos-estis-lux-mundi.html

I «crimini di abuso sessuale offendono Nostro Signore, causano danni fisici, psicologici e spirituali alle vittime e ledono la comunità dei fedeli» mette per iscritto il Papa ribadendo la particolare responsabilità che hanno i successori degli apostoli nel prevenire questi reati.

            Un sistema per la prima volta codificato per far sì che cardinali, vescovi e superiori religiosi rendano conto del loro operato nel caso abbiano coperto abusatori. «Il documento – scrive il direttore editoriale dei media vaticani Andrea Tornielli in un articolo di commento – rappresenta un ulteriore frutto dell’incontro sulla protezione dei minori tenutosi in Vaticano nel febbraio 2019».

www.vaticannews.va/it/papa/news/2019-05/papa-francesco-motu-proprio-nuove-norme-chiesa-contro-abusi.html

Tra le principali novità introdotte dalla nuova normativa quella dell’obbligo per ogni diocesi del mondo di dotarsi di uno sportello per ricevere le segnalazioni e l’obbligo per chierici e religiosi di segnalare all’autorità ecclesiastica casi di abuso di cui vengono a conoscenza.

Entro un anno tutte le diocesi del mondo dovranno pertanto dotarsi di «uno o più sistemi stabili e facilmente accessibili al pubblico per presentare segnalazioni» riguardanti gli abusi sessuali commessi da chierici e religiosi, l’uso di materiale pedopornografico e la copertura degli stessi abusi. La normativa non specifica di più in merito per lasciare alle diocesi la scelta operativa.

            Tutti i chierici, i religiosi e le religiose sono però ora obbligati a «segnalare tempestivamente» all’autorità ecclesiastica ogni notizia di abuso di cui vengano a conoscenza come pure le eventuali omissioni e coperture nella gestione dei casi di abusi.

L’obbligo è sancito solo per i chierici e i religiosi, ma certamente anche i laici possono e sono anzi incoraggiati a segnalare abusi e molestie all’autorità ecclesiastica

Stefania Falasca giovedì 9 maggio 2019

www.avvenire.it/papa/pagine/motu-proprio-abusi-la-nuova-stretta-di-francesco

 

“Vos estis lux mundi” contiene diverse novità

1. Tutte le diocesi debbono stabilire entro un anno sistemi stabili e accessibili al pubblico per segnalare i casi di abuso sessuale e la copertura degli stessi.

2. Tutti i chierici, i religiosi e le religiose sono tenuti a segnalare alle competenti Autorità ecclesiastiche gli abusi di cui vengano a conoscenza.

3. Alla stregua degli abusi sui minori e sugli adulti vulnerabili vengono trattate le molestie o violenze per abuso di autorità: vengono cioè inclusi nella normativa i casi di abuso sulle religiose da parte dei chierici, o di abuso su seminaristi o novizi da parte dei superiori.

4. La verifica delle segnalazioni contro i Vescovi vengono affidate al Metropolita della Provincia ecclesiastica.

5. Per la prima volta vengono stabiliti dei limiti temporali entro i quali l’indagine deve essere svolta, nonché le modalità che devono essere seguite dal Metropolita, il quale può avvalersi del contributo professionale specifico dei laici.

www.luigiaccattoli.it/blog/abusi-cinque-novita-dazione-introdotte-da-francesco

 

Lotta contro gli abusi sessuali: la svolta del papa

Ha tergiversato, ha dato l’impressione di prendere coscienza dell’ampiezza dello scandalo della pedofilia che scuote la Chiesa cattolica, ha fatto due passi avanti e tre indietro. Finalmente, giovedì 9 maggio 2019 papa Francesco ha operato sull’argomento una svolta forte e importante. In un motu proprio (decreto) intitolato Vos estis lux mundi, “Voi siete la luce del mondo”, con riferimento al vangelo dell’apostolo Matteo, che “chiama ogni fedele ad essere un esempio luminoso di virtù, integrità e santità” – il sovrano pontefice mette fine alla tolleranza che fino ad ora era troppo spesso prevalsa. Ha introdotto nel diritto canonico un obbligo di denuncia dei casi di violenza sessuale su minori o su persone vulnerabili e di ogni comportamento mirante a insabbiare tali fatti. Queste regole entreranno in vigore a partire dal 1° giugno, in tutte le diocesi, che dovranno dotarsi, entro il giugno2020, di “sistemi stabili e facilmente accessibili al pubblico”.

In febbraio il papa aveva già preso un’iniziativa positiva convocando a Roma 190 responsabili per un esercizio inedito di introspezione sulle ragioni del silenzio o del diniego di diversi prelati sulle aggressioni sessuali perpetrate da preti. Ma il risultato di quel convegno non era stato affatto all’altezza ed era stato accolto con costernazione dalle vittime. Francesco aveva certamente riconosciuto che la Chiesa si trovava ad affrontare un problema universale che, “purtroppo esiste dappertutto”, Si era impegnato a fare “tutto ciò che è necessario al fine di consegnare alla giustizia chiunque avrà commesso tali reati”, assicurando che “la Chiesa non cercherà mai di soffocare o sottovalutare alcun caso”. Ma era sembrato eludere le sue responsabilità, incriminando Satana, in quanto vedeva negli abusi sessuali “una manifestazione del male flagrante, aggressiva, distruttrice”.

Le regole previste dal motu proprio sono severe. Hanno come obiettivo le violenze sessuali su minori o persone vulnerabili e tutti gli atti commessi “con minaccia o abuso di autorità”, come gli stupri di religiose da parte di preti o i casi di seminaristi abusati da loro formatori. Obbligano soprattutto il clero, a tutti i livelli, a segnalare ogni sospetto di aggressione sessuale o di molestie ed ogni copertura da parte della gerarchia. Così, ad esempio, l’autorità che riceve una segnalazione contro un vescovo o un superiore dovrà rivolgersi sia alla Santa Sede sia all’arcivescovo della propria provincia ecclesiastica. Questo colpo inferto all’omertà si accompagna alla fine del segreto pontificio, che manteneva le vittime nell’ignoranza di ciò che era stato deciso per il loro aggressore. L’arcivescovo potrà ora informarli sull’esito delle procedure avviate con le accuse.

Le associazioni di vittime sono però deluse. Non solo non vi è la creazione di un tribunale speciale per giudicare i vescovi colpevoli, come loro chiedevano, ma il motu proprio non obbliga la Chiesa a rivolgersi alle autorità giudiziarie. Caso per caso, gli ecclesiastici si rivolgeranno o meno a tali autorità, dato che il Vaticano ha escluso una regola generale per, sostiene, non mettere in pericolo i cattolici i paesi dove sono perseguitati. Le associazioni di vittime hanno anche deplorato l’assenza di sanzioni in caso di mancato rispetto del motu proprio. Ma almeno il papa ha compiuto u atto che dovrebbe permettere di lottare più efficacemente contro queste piaghe che distruggono la sua Chiesa.

Editoriale di Le Monde in “Le Monde” dell’11 maggio 2019 (traduzione: www.finesettimana.org)

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201905/190511editorialelemonde.pdf

 

Perché le nuove norme della Chiesa riguardano solo la giustizia interna?

La lotta alle aggressioni sessuali commesse dal clero e la loro copertura ha compiuto, giovedì 9 maggio, un ulteriore passo con la pubblicazione del motu proprio Voi siete la luce del mondo. Questo testo afferma l’obbligo di denunciare quei crimini alle autorità ecclesiastiche e colma una grave lacuna mettendo in atto una procedura di indagine interna alla Chiesa per giudicare i vescovi e i superiori religiosi e le superiore religiose accusati di crimini o di averli coperti. Il testo organizza anche la protezione delle vittime e di coloro che denunciano gli abusi. Sceglie una definizione molto ampia di “persone vulnerabili” che va al di là dei minorenni e che riguarda “ogni persona che si trova in uno stato (…) che di fatto limita, anche occasionalmente, la sua capacità di comprensione o della volontà, o in ogni caso di resistenza all’offesa”. Il testo risponde ad alcune, ma non a tutte le richieste che erano state fatte da alcune vittime francesi a Mons. Georges Pontier, arcivescovo di Marsiglia e presidente della Conferenza episcopale francese, prima del vertice sugli abusi a Roma (21-24 febbraio 2019). Il loro appello ad “aprire dei processi canonici in termini ragionevoli” e a una “maggiore trasparenza” sembra essere stato ascoltato.

Invece, il motu proprio non dice niente dell’indennizzo delle vittime – prevede la creazione di un fondo unicamente per finanziare le indagini – né una riparazione liturgica per le vittime “il cui corpo è stato profanato”. Mentre le vittime francesi si auguravano di veder “rafforzare i tribunali ecclesiastici”, “formati a trattare di nullità di matrimonio, ma poco a sanzionare gli abusi”, qui non se ne parla, e neppure delle sanzioni che potranno essere prese. La rete delle vittime americane Snap accoglie favorevolmente gli sforzi del papa per “riconoscere specificamente la sorte degli adulti vulnerabili” e “procedere rapidamente a indagini interne”. “Ma saremmo stati molto più favorevolmente impressionati se questa nuova legge obbligasse i rappresentanti della Chiesa e far riferimento alla polizia e ai pubblici ministeri”, dichiara l’associazione in un comunicato. “Le autorità laiche esterne proteggerebbero meglio i bambini e dissuaderebbero ogni dissimulazione”.

Le norme del motu proprio “si applicano senza pregiudizio dei diritti e obblighi stabiliti on ogni luogo dalle leggi degli stati, in particolare per quanto riguarda gli eventuali obblighi di segnalazione alle autorità civili competenti”. In altre parole, l’obbligo di segnalazione alla giustizia statale continua ad imporsi nei paesi dove la legge civile lo prevede. In Francia, ad esempio, questo obbligo esiste, si impone a tutti, e quindi evidentemente ai preti, ai religiosi e alle religiose. Di fatto, il nuovo testo romano non crea un obbligo universale di segnalazione degli abusi alla giustizia dello Stato. Questo non pone problemi negli Stati di diritto, ma esiste un rischio negli altri.

“Ad esempio, l’opinione pubblica ha ragione ad essere scioccata per il fatto che la conferenza episcopale italiana abbia decretato solo un obbligo morale e non legale di segnalare le aggressioni sessuali alla giustizia italiana, dato che la Chiesa non ha nulla da temere in un paese democratico come l’Italia”, afferma fratel Hervé Legrand, domenicano ed ecclesiologo. Comunque, questo teologo non ritiene auspicabile “universalizzare” questo obbligo. “Non è opportuno fidarsi immediatamente della giustizia di un paese non democratico, ad esempio in Venezuela, sarebbe molto facile destabilizzare l’episcopato, che è in prima linea contro il presidente Maduro”. Nella storia recente, la Germania nazista è un esempio ben conosciuto di strumentalizzazione della giustizia contro la Chiesa: in seguito ad una campagna lanciata da Goebbels nel maggio 1937, centinaia di preti e religiosi furono accusati di omosessualità.

Anne-Bénédicte Hoffnerwww.la-croix.com10 maggio 2019 (traduzione: www.finesettimana.org)

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201905/190510hoffner.pdf

 

Pedofilia, al governo dovrebbero leggere con attenzione il decreto di Papa Francesco

Matteo Salvini e Luigi Di Maio farebbero bene a leggere attentamente l’ultimo decreto di papa Francesco sugli abusi. E sarebbe utilissimo che lo leggesse anche il premier Conte, che ha un legame particolare con padre Pio e dunque dovrebbe interessarsi alla sorte degli umili.

Il documento papale mette finalmente la Chiesa sui binari giusti. L’Avvenire, il giornale dei vescovi, ha titolato efficacemente: “Uno sportello in ogni diocesi”. E’ quello che per quasi dieci anni la Conferenza episcopale italiana (come il 90% delle diocesi del mondo) si è rifiutata di fare. Soltanto l’anno scorso, sotto la guida del cardinale Gualtieri Bassetti, la Cei ha istituito un Servizio nazionale di prevenzione e in questi mesi sta organizzando la rete dei servizi regionali. Vedremo se saranno messi in piedi questi sportelli perché senza strutture permanenti e visibili di ascolto le vittime non saranno incoraggiate a denunciare i criminali, che hanno abusato di loro.

Il decreto di Francesco è fondamentale perché obbliga le conferenze episcopali di tutto il mondo a mettersi in regola entro dodici mesi. I cardini della svolta sono molteplici. L’obbligo di denuncia al vescovo di qualsiasi abuso attuato ai danni di minori e “persone vulnerabili”. Vale anche per ogni costrizione che tramite violenza, minaccia o abuso di autorità, porti qualsiasi individuo a “compiere o subire atti sessuali”. Quindi per essere precisi: è delitto anche spingere adulti ad atti sessuali servendosi del potere clericale sulle coscienze. E’ quello, per intenderci che hanno fatto alcuni cardinali come Mc Carrick in America oppure O’Brien in Scozia (entrambi espulsi dal collegio cardinalizio da Francesco), quando si sono portati a letto seminaristi o preti maggiorenni. Ed è quello che hanno fatto centinaia, se non migliaia, di preti e vescovi ai danni di suore in varie parti del mondo.

            E’ un colpo preciso all’atteggiamento di omertà largamente diffuso nel mondo ecclesiastico. Il decreto – ed è altrettanto importante – sottolinea che al denunciante “non può essere imposto alcun vincolo di silenzio riguardo al contenuto” della denuncia. Una rivoluzione copernicana rispetto all’obbligo del silenzio imposto solennemente in passato.

            Altro elemento cruciale è quello di avere stabilito procedure precise anche nei confronti di qualsiasi vescovo e patriarca (i cardinali sono tutti vescovi) colpevole di abusi o di insabbiamenti. E’ stato anche stabilito che il denunciante ha diritto di essere informato dell’esito del processo.

            Ci sarà da tornare su tutta la materia perché molto resta ancora da fare per rendere organica la repressione degli abusi e la loro individuazione all’interno della Chiesa. Ma per Conte, Di Maio e Salvini è di diretta rilevanza l’articolo finale del decreto: l’articolo 19. E’ intitolato “Osservanza delle leggi statali”. E recita: “Le presenti norme si applicano senza pregiudizio dei diritti e degli obblighi stabiliti in ogni luogo dalle leggi statali, particolarmente quelli riguardanti eventuali obblighi di segnalazione alle autorità civili competenti”.

            Le associazioni internazionali delle vittime hanno fatto notare che il Vaticano dovrebbe imporre in tutto il mondo cattolico la regola che i crimini si denunciano alla polizia e alla magistratura. In Vaticano, ufficiosamente, fanno notare che ci sono paesi corrotti e non democratici in cui denunce anche false potrebbero portare ad eliminare dalla scena preti o vescovi scomodi. E’ un’osservazione su cui riflettere. Ma non può essere in nessun caso un alibi per non applicare negli Stati democratici la regola ferrea che i vescovi informati debbano denunciare alle autorità civili gli abusi compiuti dal clero. Esistono norme in tal senso negli Stati Uniti e in Francia.

            Non c’è nessun motivo perché governo e Parlamento italiano non si dotino di una identica legge, che menzioni esplicitamente la responsabilità dell’autorità ecclesiastica. Salvini, che ci tiene tanto alla sovranità italiana, batta un colpo. Di Maio, che tanto parla di trasparenza, proponga questa norma di elementare civiltà. E il premier Conte, così legato a padre Pio anche per ragioni familiari, porti in Consiglio dei ministri un decreto a protezione degli umili abusati.

            Certo, sarebbe un segno di risveglio se il Partito radicale, ispirandosi al coraggio di Pannella, e le comunità di base cristiane, che tante volte hanno preso la parola per denunciare il prepotere clericale, portassero in Parlamento una legge di iniziativa popolare per attuare in Italia la regola dell’obbligo di denuncia sui crimini dei preti predatori.

            Gli uomini di governo e i parlamentari distratti possono andare a leggersi il Fatto Quotidiano di domenica scorsa. Parla del prete Giovanni Trotta, che fu processato e condannato dal Sant’Uffizio per abusi e spretato. Ma il Vaticano suggerì al vescovo locale di non dire nulla per non turbare i fedeli. Con il risultato che Trotta ha continuato a portare la tonaca e ad allenare una squadra di calcio di ragazzi. Risultato: altri dieci bambini abusati (e una condanna in appello a Bari a 20 anni di carcere).

Ci fosse stata una norma, che obblighi i vescovi alla denuncia, non sarebbe successo. Perciò non ci sono più alibi. Tocca all’Italia darsi le giuste leggi

Blog di Marco Politi  Il fatto quotidiano      12 maggio 2019

www.ilfattoquotidiano.it/2019/05/13/pedofilia-al-governo-dovrebbero-leggere-con-attenzione-il-decreto-di-papa-francesco/5175664/#disqus_thread

 

Sportello anti-abusi e obbligo di denuncia, le regole del Papa

Nuove norme e procedure vincolanti per la Chiesa in tutto il mondo. Segna una svolta importante, il Motu proprio Vos estis lux mundi, «Voi siete la luce del mondo», firmato da Papa Francesco contro la pedofilia e gli abusi sessuali. Tra l’altro, prevede l’obbligo di aprire entro un anno sportelli pubblici in ogni diocesi del pianeta, per raccogliere le denunce di abusi sessuali, e l’obbligo per preti, religiosi e religiose di «segnalare tempestivamente» ogni crimine alle autorità ecclesiastiche. Il testo, oltre ai delitti contro i minori e le «persone vulnerabili», e la pedopornografia, riguarda anche altri crimini sessuali che derivano dall’abuso di autorità: i casi di violenza di preti e vescovi sulle suore, ad esempio, oppure le molestie ai seminaristi, anche se maggiorenni.

Coperture e insabbiamenti vengono definiti come categoria specifica di crimine. Ma non si tratta solo di questo. Il testo segue l’incontro planetario sulla protezione dei minori di febbraio. E la prima conseguenza è che vescovi e superiori religiosi debbano rendere conto del loro operato più di quanto non sia accaduto finora. Viene rafforzato il ruolo dell’arcivescovo metropolita, ovvero delle grandi arcidiocesi: sarà il metropolita a ricevere dalla Santa Sede il mandato per investigare nel caso la denuncia riguardi un vescovo della sua provincia. Il Papa non può controllare tutti i vescovi, ci vuole più collegialità e decentramento.

Francesco scrive che la responsabilità di affrontare gli abusi «ricade anzitutto sui successori degli apostoli». Resta un punto controverso: il testo non obbliga a denunciare i crimini alle autorità civili, si rimanda alle legislazioni degli Stati, se lo impongono lo si deve fare. Ma cosa impedisce di imporre la denuncia anche nei Paesi, come l’Italia, dove per i preti non è obbligatoria?

«La Santa Sede, facendo una legge universale, deve ricordarsi della diversità delle culture e delle scelte che fanno le autorità civili. Dare un tipo di normativa universale che impone un obbligo non previsto dalle leggi dello Stato, sarebbe un’ingerenza», dice al Corriere l’arcivescovo di Malta Charles Scicluna, segretario aggiunto della Congregazione per la dottrina della fede. Quindi ci dovrebbe pensare lo Stato? «Sì. Io non oserei mai dire a uno Stato cosa deve fare, lo Stato lo sa. Il mio dovere è dire ai cattolici che devono obbedire alle leggi civili».

Gian Guido Vecchi    “Corriere della sera” 10 maggio 2019

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201905/190510vecchi.pdf

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ADOZIONE INTERNAZIONALE

“Sentenza su utero in affitto una vittoria per i bambini. Ora rilanciare la adozione internazionale”

Crisi e rilancio nelle parole di Marco Griffini, presidente di Ai.Bi. “Accogliamo ovviamente con favore la notizia della sentenza della Corte di Cassazione, che nega la possibilità di riconoscere i genitori senza legame biologico di figli nati con l’orrenda pratica dell’utero in affitto, una pratica che di fatto permette la compravendita di bambini nonostante i milioni di minori abbandonati che, in tutto il mondo, attendono di essere adottati da una mamma e da un papà”. Lo dice il presidente di Ai.Bi. – Amici dei Bambini, Marco Griffini a proposito del pronunciamento della Cassazione sul divieto di trascrivere gli atti di filiazione dei bambini nati all’estero attraverso un procedimento di maternità surrogata nel caso di genitori privi di un legame biologico con il minore.

 “Dato che, come sembra – ha aggiunto Griffini – i sindaci che hanno precorso i tempi dovranno rispondere, ritengo che dovrebbero essere chiamati a risarcire quei conduttori televisivi che hanno invitato con gran squilli di tromba quei politici che si sono vantati di aver fatto uso di utero in affitto”.

            “Ora – ha concluso il presidente di Ai.Bi. – a completamento di questa importante vittoria di civiltà, bisogna assolutamente rilanciare il concetto di adozione, in modo particolare quello di adozione internazionale, che dopo gli anni tremendi della presidenza della Commissione Adozioni Internazionali di Silvia Della Monica sta vivendo il momento peggiore della sua storia, un momento che non sembra vedere una conclusione. Occorre una urgente riforma imperniata in particolare sul passaggio dalla cultura della selezione delle coppie, che culmina nel mantenimento della idoneità in capo ai tribunali dei minori, a quella dell’accompagnamento nel percorso dell’adozione”.

News Ai. Bi.    9 maggio 2019

www.aibi.it/ita/griffini-ai-bi-sentenza-su-utero-in-affitto-una-vittoria-per-i-bambini-ora-rilanciare-la-adozione-internazionale

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ADOZIONI INTERNAZIONALI

Una buona notizia: la Bolivia semplifica le pratiche burocratiche

Buone notizie per la adozione internazionale arrivano dalla Bolivia. A metà aprile il presidente Evo Morales ha infatti apposto la firma sulla legge 229 per la “Abreviación Procesal para Garantizar la Restitución del Derecho Humano a la Familia de las Niñas, Niños y Adolescentes”. Si tratta di una importante riforma del Codice per la bambina, il bambino e l’adolescente che ha lo scopo primario di accelerare i processi di adozione nel Paese sudamericano. “Si tratta di risolvere e dare i diritti umani e la famiglia a tanti bambini che sono abbandonati e che si trovano nei centri di accoglienza, con una soluzione temporanea o permanente“, ha affermato.

Le principali novità introdotte dalla riforma con riferimento all’adozione (e, in particolare, con riferimento alla adozione internazionale) possono essere così riassunte:

  • Il periodo di convivenza pre-adottiva che la coppia deve effettuare in Bolivia non deve essere superiore a un mese (il termine è stato dunque ridotto da due mesi a un mese);
  • Il tempo che intercorre dal deposito della domanda di adozione al giudice fino alla sentenza non potrà essere superiore a due mesi (precedentemente il termine era di quattro mesi);
  • L’omologazione dei certificati medici delle coppie non sarà più effettuata dai SeDeGeS (Servicios Departamental De Gestione Social) bensì dall’equipe dell’Autorità Centrale. Anche questo dovrebbe portare ad una riduzione dei tempi;
  • Viene istituito un registro unico per l’adozione nazionale e internazionale (presso il Tribunale Supremo di Giustizia) con l’elenco dei minori in stato di adottabilità;
  • Come accadeva in passato (prima della ripresa delle adozioni nel 2015), responsabili degli abbinamenti torneranno ad essere i giudici in materia di infanzia e adolescenza. L’abbinamento tornerà ad essere “giudiziario” e non più “amministrativo”;
  • Si riducono i termini per definire lo stato giuridico di un minore istituzionalizzato.

Una riforma, quella boliviana, sicuramente necessaria: secondo stime dell’UNICEF sono più di 8mila i bambini fuori famiglia con una situazione legale non definita. Bambini che, peraltro, rischiano di rimanere vittime dello sfruttamento minorile. Dopo la riapertura alle adozioni internazionali della Bolivia, dal 2016 sono state depositate le prime pratiche e, nonostante la lentezza delle procedure burocratiche, già ad oggi diverse coppie sono riuscite a portare in Italia i loro bambini.

News Ai. Bi.    10 maggio 2019

www.aibi.it/ita/adozione-internazionale-una-buona-notizia-la-bolivia-semplifica-le-pratiche-burocratiche

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ASSEGNO DI MANTENIMENTO PER I FIGLI

Mantenimento figli: niente condanna al padre che non versa l’assegno ma paga scuole e vacanze

Corte di Cassazione, sesta sezione penale, sentenza n. 18572, 3 maggio 2019

https://www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_34496_1.pdf

Per la Cassazione il reato di cui all’art. 570, comma secondo, n.2, c.p. non discende dalla mera inosservanza degli obblighi di mantenimento, ma dall’aver fatto mancare i mezzi di sussistenza

Nel giudizio per violazione degli obblighi di assistenza familiare (ex art. 570, comma secondo, n. 2, del codice penale), il giudice dovrà verificare se la condotta del genitore abbia in concreto comportato in capo ai beneficiari la mancanza dei mezzi di sussistenza e lo stato di bisogno. A tal fine, l’inadempimento parziale agli obblighi fissati dal giudice con la sentenza di separazione con affidamento condiviso dei figli andrà confrontato con l’erogazione di altre somme asseritamente rilevanti (ad esempio quelle per spese scolastiche, vacanze o altro) nonché con la messa a disposizione della casa familiare in comunione fra i coniugi.

            Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso di un padre condannato in sede di appello per violazione degli obblighi di assistenza familiare in danno dei figli minori. Il ricorrente, tuttavia, ritiene che il giudice a quo abbia errato nel ritenere integrato il reato in mancanza di prova dello stato di bisogno dei minori, evidenziando di aver comunque provveduto a sostenere le spese per scuola, attività sportive, prestazioni medico-sanitarie e altro.

            Con un provvedimento articolato e puntualmente motivato, i giudici si occupano di dettagliare la disciplina attualmente vigente e le differenze tra le incriminazioni in materia di assistenza familiare e mancata corresponsione degli assegni di mantenimento e divorzio.

In primis, i giudici rammentano che, con il D. lgs. n. 21, 01 marzo 2018, le incriminazione di cui agli artt. 12-sexies della L. n. 898/1970 e 3 della L. n. 54/2006 sono state abrogate e le relative condotte, in termini sostanzialmente inalterati, sono state trasferite nel novellato art. 570-bis del codice penale. Stante la sovrapponibilità delle condotte, dunque, si ritengono tuttora validi i principi elaborati al riguardo dalla giurisprudenza di legittimità e ormai stabilizzati.

            Nel caso in esame, il fatto di cui è colpevole il ricorrente è stato riqualificato nel reato previsto dall’art. 570, comma secondo, n. 2, del codice penale e si tratta di un reato diverso da quello previsto dal citato art. 12-sexies. Nel primo caso, la condotta consiste nella mera inosservanza dell’obbligazione civile, ovvero nella mancata corresponsione dell’assegno di mantenimento stabilito dal giudice in sede di divorzio, a prescindere dalla prova della mancata messa a disposizione dei mezzi di sussistenza e dello stato di bisogno dell’avente diritto. Proprio perché i reati si fondano su presupposti diversi, la prevalente giurisprudenza di legittimità è ormai orientata nel ritenere che sussista concorso formale eterogeneo, e non un rapporto di consunzione, fra i due delitti.

            Nel caso di specie, si ritiene che il giudice del gravame non abbia tenuto conto dei tratti strutturali delle incriminazioni e del discrimen tra le fattispecie: nel riqualificare il fatto originariamente contestato in quello previsto dall’art. 570, comma secondo, n. 2, c.p., i decidenti di merito hanno dato conto dell’inadempimento agli obblighi economici da parte del genitore, e, tuttavia, hanno omesso di compiere un’indagine circa l’effettivo riflesso dell’inadempimento all’obbligo di versamento dell’assegno di mantenimento sulle condizioni dei minori e, in particolare, se tale inadempimento avesse determinato il venir meno dei mezzi di sussistenza e lo stato di bisogno.

            Non è revocabile in dubbio (come confermato da consolidata giurisprudenza) che lo stato di bisogno dei figli minori sia presunto, salvo prova contraria, e nondimeno, trattandosi di una presunzione di natura relativa, la sussistenza di tale situazione avrebbe dovuto essere verificata alla luce delle specifiche circostanze dedotte dalla difesa a sostegno del contrario.

In particolare, i giudici della cognizione avrebbero dovuto considerare tutti i parametri indicati dalla difesa, ovvero:

  1. L’entità dell’assegno versato dal padre per circa un anno (pari a 5.500 euro mensili, di cui 1.500 a favore della moglie e i restanti 4.000 a favore dei figli), obiettivamente suscettibile di capitalizzazione o accantonamento;
  2. La circostanza che l’imputato, pur omettendo il versamento dell’assegno, avesse continuato a pagare per intero le rette delle scuole private frequentate dai tre figli, a sostenere i costi delle loro vacanze estive e invernali e dell’attività sportiva;
  3. La circostanza che avesse “lasciato” che moglie e figli continuassero ad abitare nel lussuoso alloggio (dal valore stimato di circa 4 milioni di euro), in quanto la ex coniuge si era rifiutata di venderlo per acquistare tre appartamenti più piccoli da intestare ai figli.

La Corte ribadisce che di stato di bisogno può parlarsi solo allorquando il soggetto obbligato faccia mancare i “mezzi di sussistenza”, nozione non riconducibile a quella di mantenimento e che non si identifica con il concetto civilistico di alimenti. I mezzi di sussistenza includono quanto necessario per la sopravvivenza vitale (vitto e alloggio), ma anche gli strumenti che consentano, in rapporto alle reali capacità economiche e al regime di vita personale del soggetto obbligato, un sia pur contenuto soddisfacimento di altre complementari esigenze della vita quotidiana (quali, ad es., abbigliamento, libri di istruzione, mezzi di trasporto, mezzi di comunicazione).

            Il giudice a quo, dunque, avrebbe dovuto confrontarsi con tali parametri e valutare se dalla condotta inadempiente dell’imputato fosse davvero derivata quella situazione integrante la materialità del reato di incolpazione. La Corte territoriale, invece, ha ritenuto provato lo stato di bisogno dei minori con motivazione manifestamente incongrua e, nella sostanza, apodittica essendosi limitata a rilevare l’inadempimento dell’assegno di mantenimento, ma senza aver attentamente verificato se da esso fossero discesi anche gli ulteriori elementi costitutivi del reato di cui all’art. 570 cit.

            La ratio dell’incriminazione di cui all’art. 570, comma secondo, n. 2, rammenta la Corte, non è quella di sanzionare l’inosservanza agli ordini impartiti dal giudice in sede di separazione o di divorzio allorché l’agente sia tenuto al mantenimento dei figli minori o maggiorenni inabilitati al lavoro o del coniuge non economicamente autonomo (situazione posta appunto a base delle incriminazioni di cui ai citati artt. 3 e 12-sexies), ma quella di colpire quella condotta di inosservanza agli obblighi di assistenza economica che appunto si traduca anche nella deprivazione dei bisogni familiari della vita quotidiana.

            La fattispecie ha dunque una cornice più circoscritta, non discende dalla mera inosservanza agli obblighi di “mantenimento” e “alimentari”, è indipendente dalla condizione sociale del destinatario e si riferisce alle sole cose necessarie per assicurargli una vita dignitosa, secondo parametri di carattere universale che non tengono conto della provenienza sociale dell’obbligato, né dell’avente diritto.

            Nel giudizio di rinvio, il Collegio di merito, in applicazione dei principi di diritto sopra delineati, dovrà dunque verificare se l’inadempimento parziale agli obblighi fissati con la sentenza di separazione con affidamento condiviso dei figli, con erogazione di somme asseritamente rilevanti (sotto forma di contributo alle spese scolastiche, vacanze o altro) nonché con la messa a disposizione della casa familiare in comunione fra i coniugi, abbia o meno comportato, in concreto, in capo ai beneficiari la mancanza di mezzi di sussistenza e lo stato di bisogno, nei termini delineati dalla giurisprudenza di legittimità.

Lucia Izzo      Studio Cataldi            7 maggio 2019

www.studiocataldi.it/articoli/34496-mantenimento-figli-niente-condanna-al-padre-che-non-versa-l-assegno-ma-paga-scuole-e-vacanze.asp

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ASSOCIAZIONI       MOVIMENTI

Per Ai.Bi. un nuovo Consiglio direttivo e una strategia in tre punti

Riparte con nuovo slancio, con un piano strategico in tre punti e dopo il triennio più difficile della sua storia, l’attività di Ai.Bi. – Amici dei Bambini. Scaduto il precedente mandato triennale, è infatti stato rinnovato il Consiglio direttivo dell’organizzazione, che ha la sua sede istituzionale principale a San Giuliano Milanese. L’Assemblea dei soci ne ha deliberato la composizione nei giorni scorsi, eleggendone i cinque membri.

Nel ruolo di presidente è stato riconfermato Marco Griffini, come vicepresidente è stata eletta Cristina Riccardi, già presidente della Fondazione AiBi, come segretario generale Ermes Carretta, già presidente della Cooperativa Sociale AIBC, e come ulteriori componenti sono stati indicati Giuseppe Salomoni e don Massimiliano Sabbadini, rispettivamente prossimo presidente e consigliere spirituale de “La Pietra Scartata”, l’Associazione di fedeli costituita da famiglie adottive e affidatarie di minori abbandonati.

Inoltre è stata approvata la costituzione, in vista della prossima revisione dello statuto, che dovrà essere approvata entro i termini previsti dalla riforma del Codice del terzo settore, di un “Consiglio Nazionale di Ai.Bi.” composto da tutti i coordinatori regionali della associazione.

“L’assemblea – spiega il presidente Marco Griffini – ha voluto esprimere sentiti ringraziamenti al Consiglio Direttivo uscente, che ha dovuto affrontare uno dei periodi più difficili, forse il più difficile, della vita più che trentennale della associazione, culminati nel folle attacco della ex vicepresidente CAI Silvia Della Monica sostenuta dal governo Renzi e dal settimanale L’Espresso contro l’idea stessa di adozione internazionale. L’infaticabile lavoro e la tenace resistenza dei membri del Consiglio direttivo, dei coordinatori regionali e di tutti i collaboratori della associazione, nonché la incrollabile fiducia e il sostegno delle centinaia di famiglie hanno permesso ad Ai.Bi. non solo di poter superare i numerosi ostacoli, ma soprattutto di poter tracciare le linee direttrici di una strategia, che i nuovi vertici dovranno attuare, nel corso del loro mandato, per rilanciare tutto il settore della accoglienza di chi si trova in difficoltà familiare”.

I tre punti indicati nella strategia sono:

1) Il rilancio della adozione internazionale soprattutto nei paesi africani e con la presentazione di una riforma legislativa.

2) Il lancio della campagna di sostegno a distanza #AfricainFamiglia, una concreta risposta al dramma della emigrazione dai paesi africani con l’avvio di progetti di cooperazione internazionale a favore della famiglia

3) La ripresa delle attività connesse alla promozione della cultura e della spiritualità della accoglienza.

www.aibi.it/ita/per-ai-bi-un-nuovo-consiglio-direttivo-e-una-strategia-in-tre-punti

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CASA CONIUGALE

Se il figlio torna a casa solo per il weekend l’assegnazione della casa coniugale può essere revocata. Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, ordinanza n. 11844, 6 maggio 2019

www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_34504_1.pdf

(Sintesi)              Qual’è la ratio dell’assegnazione della casa coniugale in presenza di figli maggiorenni?

A tale quesito risponde la presente sentenza dalla Suprema Corte. La figlia maggiorenne si era trasferita all’estero, ma tornava spesso a “casa”, ovvero nell’abitazione assegnata alla madre e ove era vissuta: si chiarisce come il mero trasferimento all’estero non sia di per sé significativo, ma ove risulti agli atti che l’effettivo centro degli interessi sia allocato altrove e che il ritorno a casa, pur frequente, sia da considerarsi come mera ospitalità, i presupposti per l’assegnazione della casa coniugale vengono meno.

www.studiocataldi.it/articoli/34504-l-ex-perde-l-assegnazione-della-casa-familiare-se-la-figlia-torna-solo-nel-weekend.asp

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CENTRO INTERNAZIONALE STUDI FAMIGLIA

Newsletter CISF – N. 18, 8 maggio 2019

Manager e dirigenti a servizio volontario del terzo settore. Un’esperienza di gratuità dal profit al non profit. In pensione e non. “A marzo 2019 si è svolta a Milano la Festa per i 20 anni del Gruppo Volontariato di Manageritalia Lombardia. Vent’anni di servizio, in cui decine di manager hanno messo a disposizione del Terzo Settore le proprie competenze professionali”. Nel video numerose testimonianze dei manager e delle piccole e grandi realtà del terzo settore che hanno beneficiato della loro collaborazione.                       www.youtube.com/watch?v=ZGtDMaRUqYs&feature=youtu.be

Lo scippo degli assegni familiari. Circa il 20% dei soldi versati per questo tipo di prestazioni (oltre un miliardo di euro l’anno, dal 2016) finisce in altre casse dell’INPS. “Per le famiglie forse è tempo di una vera e propria class action, presso gli organi che devono garantire giustizia ed equità attraverso la legge, per rivendicare i propri diritti calpestati”

www.famigliacristiana.it/articolo/lo-scippo-degli-assegni-familiari.aspx?utm_source=newsletter&utm_medium=newsletter_cisf&utm_campaign=newsletter_cisf_08_05_2019

“Nel pieno possesso delle mie facoltà…” l’eredità tra lascito patrimoniale e trasmissione psichica. Il Cisf (con il suo direttore, Francesco Belletti) interverrà alla “Terza Giornata di studi in ricordo di Deborah Libardi“, che si terrà a Verona sabato 11 maggio 2019. L’evento, promosso dall’Associazione Famiglie per la famiglia in sinergia con numerosi enti ed associazioni locali, mette al centro un nodo spesso trascurato, ma certamente decisivo nel qualificare le storie familiari: l’intreccio tra dimensione relazionale (matrimoniale) e dimensione economica (patrimoniale), che proprio in occasione dell’eredità emerge in modi spesso imprevedibilmente tumultuosi. Per questo al convegno interverranno economisti, giuristi, ma anche psicologi, sociologi, terapeuti: perché non si tratta solo di trasmettere soldi o patrimoni (pur importanti), ma soprattutto di verificare ciò che rimarrà, nelle relazioni e nelle memorie, di una storia familiare.

http://newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/attachments/newscisf1819_allegato1.pdf

Guida digitale per genitori di figli da 0 a 8 anni. (Smart parenting in the digital age: a how-to guide for parents). “Aiutiamo i nostri figli ad allacciarsi le scarpe… ad attraversare una strada trafficata… ad entrare in un parco senza farsi male…. I nostri figli hanno bisogno del nostro aiuto anche nel mondo digitale”. Ecco perché questa guida, semplice, sintetica, comprensibile

http://digilitey.eu/wp-content/uploads/2019/03/DigilitEY-Smart-Parenting-English.pdf

Randstad employer brand research 2019. La conciliazione famiglia lavoro è tra gli elementi decisivi per qualificare un marchio aziendale. Anche in Italia. “È la ricerca più grande e rappresentativa al mondo sull’Employer Branding […] Un’indagine che comprende 32 Paesi con oltre 200.000 persone intervistate e 6.162 aziende analizzate […] Riporta quali sono i principali fattori che un potenziale dipendente cerca in un datore di lavoro. Ci indica quali siano le aziende più attrattive del panorama italiano. Si basa sulla percezione degli intervistati rispetto alle principali 150 aziende presenti nel nostro Paese”. In Italia 7.709 interviste, tra dicembre 2018 e gennaio 2019.

www.randstad.it/employer-branding-center/rebr-2019_country-report-italia.pdf

Manuale dei servizi educativi per l’infanzia. Programmare, progettare e gestire per la qualità del sistema integrato e dello 0 6 anni. Il Manuale dei servizi educativi per l’infanzia costituisce da alcuni anni un indispensabile strumento per accompagnare e sostenere il lavoro di tutti i professionisti coinvolti nello sviluppo dei servizi educativi per la prima infanzia. Il manuale contiene oltre 200 schede navigabili che riguardano le banche dati appositamente allestite, sia sui dati aggiornati relativi alla domanda e all’offerta di servizi 0-6 anni, sia relativamente agli aspetti normativi e regolamentari attualmente vigenti nelle diverse regioni. Il Manuale è promosso dal Dipartimento per le politiche della famiglia e realizzato con la collaborazione scientifica dell’Istituto degli Innocenti di Firenze.

www.politichefamiglia.it/media/1442/manuale-servizi-educativi-infanzia.pdf

Il Corso di Alta Formazione in Consulenza Familiare con specializzazione pastorale, si svolgerà, per le due settimane estive, a La Thuile (AO) In Valle D’Aosta dal 7 al 21 luglio 2109. E’ possibile scaricare il dépliant dettagliato del biennio e quello sintetico che mostra tutto il percorso del triennio. Il Corso è promosso dall’Istituto Superiore di Scienze Religiose Ecclesia Mater della Pontificia Università Lateranense, dall’Ufficio Nazionale per la Pastorale della Famiglia della Conferenza Episcopale Italiana, in collaborazione con la Confederazione Italiana Consultori Familiari di Ispirazione Cristiana.

https://famiglia.chiesacattolica.it/wp-content/uploads/sites/23/2018/11/12/ALTA-

FORMAZIONE2019.pdf

https://famiglia.chiesacattolica.it/wp-content/uploads/sites/23/2018/11/12/DEPL-SINTETICO-2018-2020.pdf

Dalle case editrici

  • Rigoli Mariateresa, Muscarà Giuseppe, Sempre nel cuore. Rinascere dopo la perdita di un figlio, IPL, Milano, 2018, pp. 162, € 14,00.

Un figlio che ha lasciato volontariamente questa vita quando aveva solo 20 anni. Due genitori che quel giorno hanno iniziato un lungo cammino, che continua ancora oggi, alla ricerca di un senso e di nuove ragioni per sperare e per amare. È opportuno entrare “in punta di piedi” nelle pagine di questo libro, in cui raccontano il loro viaggio, perché – come scrive padre Ermes Ronchi, religioso servita noto per aver predicato gli esercizi a papa Francesco, nella prefazione che è in realtà un vero e proprio saggio introduttivo- «sono loro i veri maestri, i testimoni che ci mettono alle strette davanti al “caso serio” della vita».

Le parole di questo struggente “diario” ce li riconsegnano infatti come dei guaritori feriti, che proprio dalla ferita subita sanno trarre una terapia, un balsamo per il vivere d’altri. Le ferite diventano allora feritoie di luce per quanti devono affrontare lo stesso dolore: il dolore più atroce e che mette tutto a repentaglio, per il quale non sembra possa esistere rimedio o spiegazione, ma a cui gli autori intendono “offrire col cuore” queste parole, per ritrovare una speranza di vita.

Save the date.

  • Nord: Convention Comuni family friendly, evento promosso dall’Agenzia provinciale per la famiglia della Provincia autonoma di Trento con il Distretto famiglia e la Comunità della Paganella, Andalo (TN), 16 maggio 2019.

http://newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/attachments/newscisf1819_allegato2.pdf

  • Nord: Oltre l’Eutanasia. La proposta e l’esperienza della condivisione, convegno organizzato da AVCL (Associazione Vita Consacrata in Lombardia). Milano, 16 maggio 2019.

https://metenoprofit.org/wp-content/uploads/2019/04/Programma-16.05.2019.pdf

  • Centro: La famiglia nel tempo dell’individualismo. Interazioni e complicazioni: istruzioni per l’uso, incontro promosso da UCIPEM Toscana e altri enti (con crediti formativi Aiccef), Firenze, 11 maggio 2019.                  www.cisonline.net/wp-content/uploads/2019/04/Depliant-11mag19.pdf
  • Centro: NaturalMente. Natura Umana e Psicologia, secondo congresso nazionale di Laboratorio di Psicologia Cristiana, Assisi (PG), 17-19 maggio 2019.

www.psicologiacristiana.it/wp-content/uploads/2019/01/Volantino.pdf

  • Sud: Gli adolescenti senza tempo, promosso da Istituto Di Gestalt HCC Italy (con crediti formativi ECM per professioni sanitarie e assistenti sociali), Siracusa, 7-8 giugno 2019.

www.gestalt.it/events/eventi-siracusa-rappresentazioni-classiche-adolescenti-senza-tempo-convegno-studi-massimo-ammaniti-siracusa/

  • Estero: Ethics in Dementia Care 5Th Edition (Etica nelle cure per la demenza – Quinta Edizione), Summer Course/Scuola Estiva, promossa dall’Interfaculty Centre for Biomedical Ethcis and Law, Lovanio/Leuven (Belgio), 2-5 luglio 2019.

http://newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/attachments/newscisf1819_allegato3.pdf

Iscrizione                http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/newsletter-cisf.aspx

Archivio        http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/elenco-newsletter-cisf.aspx

http://newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/maggio2019/5122/index.html

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CHIESA CATTOLICA

Papa Francesco e le presunte eresie, riflessioni e note storiche

Alcune considerazioni sulla recente “Lettera aperta” in cui si accusano posizioni del Pontefice che si vorrebbero indicare come fuorvianti dalla verità cattolica nel magistero.

www.lastampa.it/2019/05/03/vaticaninsider/papa-francesco-nuova-mossa-dei-tradizionalisti-una-lettera-aperta-lo-accusa-di-eresia-359rqsRIrLBYKwPr37mafM/pagina.html

            Alcuni studiosi, ecclesiastici e laici per lo più dell’area dei cattolici tradizionalisti, in data 30 aprile 2019 hanno inviato una “lettera aperta” ai vescovi e alla Chiesa per accusare Papa Bergoglio di eresia.

www.aldomariavalli.it/2019/05/01/lettera-aperta-ai-vescovi-della-chiesa-cattolica

Che nella Chiesa vi debba essere un dialogo sulle questioni che riguardano la fedeltà e la legittima interpretazione del dato rivelato è un diritto-dovere auspicato e riconosciuto già da Paolo VI nell’enciclica Ecclesiam suam [6 agosto 1964] e oggi dallo stesso Codice di Diritto canonico in vigore dal 27 novembre 1983 (can. 212 §3) [§2. I fedeli sono liberi di manifestare ai Pastori della Chiesa le proprie necessità, soprattutto spirituali, e i propri desideri. §3. In modo proporzionato alla scienza, alla competenza e al prestigio di cui godono, essi hanno il diritto, e anzi talvolta anche il dovere, di manifestare ai sacri Pastori il loro pensiero su ciò che riguarda il bene della Chiesa; e di renderlo noto agli altri fedeli, salva restando l’integrità della fede e dei costumi e il rispetto verso i Pastori, tenendo inoltre presente l’utilità comune e la dignità delle persone].

http://w2.vatican.va/content/paul-vi/it/encyclicals/documents/hf_p-vi_enc_06081964_ecclesiam.html

www.vatican.va/archive/cod-iuris-canonici/cic_index_it.html

Fatta questa doverosa premessa, veniamo a considerare i due obiettivi che si prefigge questa lettera aperta: primo, accusare Papa Francesco del delitto di eresia; secondo sollecitare i vescovi della Chiesa cattolica ad assumere le misure necessarie per affrontare la grave situazione che implica la presenza di un Papa eretico.

Nel testo della lettera, i firmatari di essa, dopo aver esposto le loro tesi circa la presunta eresia di Papa Francesco, ammettono però che «non spetta a noi dichiarare il Papa colpevole del delitto di eresia, in modo tale che la dichiarazione abbia conseguenze canonicamente rilevanti per i cattolici. Facciamo pertanto appello a Voi (cioè ai vescovi, nda) affinché ammoniate pubblicamente Papa Francesco ingiungendogli di abiurare le eresie che ha professato».

Le prove degli errori che potrebbero essere stigmatizzati come eretici vanno dalla concezione della persona giustificata e il suo agire; dalla valutazione della coscienza nei rapporti dei suoi atti (anche sessuali) e la loro giustizia morale; dalla considerazione che i rapporti sessuali sono buoni e nel loro genere moralmente leciti non solo quelli tra marito e moglie; dalla consapevolezza che i principi morali contenuti nella Rivelazione e nella legge naturale non includono proibizioni di carattere negativo in modo assoluto per certi tipi di atti intrinsecamente negativi; dal fatto che Dio non nega il pluralismo e la diversità delle religioni, cristiane e non cristiane, ma lo permette e lo vuole positivamente.

Queste accuse e perplessità estrapolate da un contesto di rispetto delle verità rivelate, dallo sviluppo della Tradizione e dalle affermazioni del Magistero pontificio per una evangelizzazione non certo imbevuta di modernismo, ma doverosamente attenta alla adeguata lettura dei segni dei tempi, perdono della loro pregnanza valoriale. Non basta citare i documenti del Magistero dei vari secoli, che rimangono validi nella loro oggettività, ma vanno letti nel contesto scritturistico e secondo le istanze emerse dal Concilio Vaticano II, dal Magistero contemporaneo, anche quello di Papa Francesco, e dal tenere presente la situazione reale, psicologica, morale, culturale e spirituale dei destinatari. Gesù già disse: «Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato» (Mc 2, 27).

Vediamo singolarmente le sette quaestio, presentate dai firmatari della lettera come affermazioni ereticali da parte di Papa Francesco e diamone un’interpretazione “altra”.

  1. La prima quæstio tratta della giustificazione: «Una persona giustificata non ha la forza di osservare – con l’aiuto della grazia di Dio – i comandamenti oggettivi della legge divina». Tale affermazione darebbe adito al fatto che alcuni comandamenti di Dio sarebbero impossibili da osservarsi da parte della persona giustificata. Ma ciò è da intendersi nel senso che la persona può liberamente sciupare il dono della grazia e non corrispondere ad esso e quindi sentirsi incapace – per sua colpa – a corrispondere, in quel frangente, al piano di Dio. Questo non significa che una persona giustificata, in quanto giustificata, non abbia la forza di osservare i comandamenti oggettivi della legge divina, ma le circostanze e la volontà del soggetto che mediante il libero arbitrio dice il suo “no” provano la sua incapacità.
  2. La seconda quæstio riguarda il fatto che: «Un fedele cristiano può possedere la piena conoscenza di una legge divina e decidere di sua spontanea volontà di trasgredirla in materia grave e ciononostante non trovarsi in stato di peccato mortale come conseguenza della sua azione». Le citazioni portate dagli autori della lettera aperta sono in sé pertinenti. Bisogna però tener conto se la persona ha una reale consapevolezza oggettiva degli effetti della trasgressione in materia grave, sulla sua anima, sull’offesa a Dio e sulla perdita della vita di grazia. Se tutto ciò in toto non è di piena consapevolezza del soggetto, l’azione rimane grave, ma non è imputazione gravemente, ergo… Questo è ciò che viene offerto dall’Amoris lætitia, ma prima ancora dallo stessa Catechismo della Chiesa cattolica.
  3. Terza quæstio: «Una persona che osserva una divina proibizione può peccare contro Dio per via di quello stesso atto di obbedienza». Giovanni Paolo II nella Veritatis splendor afferma che: «La libertà dell’uomo e la legge di Dio si incontrano e sono chiamate a compenetrarsi tra loro, nel senso della libera obbedienza dell’uomo a Dio e della gratuita benevolenza di Dio all’uomo» (n. 41). Il Levita del Vangelo, che di fronte all’homo quidam che, lasciando Gerusalemme, va verso Gerico e viene derubato e picchiato ed è sul ciglio della strada, e non si ferma ad aiutarlo per non contaminarsi e poter svolgere il suo servizio come richiede la Legge, ha certo peccato contro il comando di Dio che chiede amore e attenzione per chi è impoverito pur avendo osservato una prescrizione (Lc 10, 31-37). Prima è il soccorrere l’uomo, che è la gloria di Dio e poi le cose pur buone che riguardano il culto. Sant’Ambrogio non esitò a vendere i tesori della Chiesa per aiutare il popolo.
  4. Quarta quæstio: tratta dei rapporti sessuali tra persone che hanno contratto matrimonio civile dopo un divorzio e che vengono considerati moralmente giusti o persino comandati da Dio. Siamo d’accordo che la valutazione morale in tal caso non può essere giudicata secondo l’etica della situazione, ma non può prescindere dalla valutazione della situazione stessa in cui si trovano i soggetti. È doveroso formare la coscienza delle persone ad essere educata ad un giudizio morale illuminato (CCC 1783). Per giudizio morale illuminato si deve intendere la conoscenza reale della situazione venutasi a creare con la separazione, quale effetto di diverse cause, anche gravi, per i coniugi. Il coniuge non colpevole, che rimane solo, può accedere ai sacramenti, compresa l’Eucarestia. Già lo affermò la Cei nel 1979. Se dopo un abbandono coniugale, per dare la figura paterna o materna ai figli, il coniuge si unisce ad un’altra persona in modo stabile, in tale situazione è doveroso e necessario che questa coppia faccia un percorso di discernimento nella Comunità cristiana, affinchè questa la aiuti a dare un giudizio retto, in accordo sia con la realtà venutasi a creare, sia con la ragione e la legge divina. In tal modo, dopo un illuminato e reale discernimento, le persone dovranno prendere una decisione che le porti a chiarire in verità e retta coscienza la realtà del loro rapporto (cfr CCC 1786-1787) e decidere, nella loro retta coscienza, la bontà degli atti da vivere come coppia ferita ma stabile. Questo credo sia la mens di Papa Francesco.

5-6. Poi ci sono la quinta e la sesta quæstio che riguardano una presunta legittimazione della bontà di ogni rapporto sessuale, compresa l’omosessualità. Papa Francesco nel suo operato ha stigmatizzato sia l’azione omosessuale che gli abusi contro i minori e lo stupro. L’Amoris lætitia non confuta né l’Humanæ vitæ, né l’Evangelium vitæ. La pulizia che Papa Francesco sta operando nella Chiesa è davanti al mondo, quindi su questo argomento penso non vi siano dubbi sul suo Magistero e operato.

7. La settima quæstio riguarda il dialogo interreligioso e ovviamente l’ecumenismo. Qui sia il Concilio Vaticano II che i Pontefici Giovanni XXIII, Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno indicato nell’ecumenismo la via della Chiesa e nel dialogo interreligioso la via della concordia e della pace per l’intera famiglia umana. Nessuno di noi abdica alla verità offerteci dal Concilio Vaticano II: «Cristo colui che rivela all’uomo tutto l’uomo e ad ogni uomo» (GS 22).

           Mi sono sentito interpellato dagli studiosi firmatari della lettera aperta ad offrire alcune mie considerazioni sulle posizioni che si vorrebbero indicare come fuorvianti dalla verità cattolica nel magistero di Papa Francesco. Capisco che per un certo mondo lo stile essenziale di Papa Bergoglio può non soddisfare, ma la sua attenzione per le periferie esistenziali che emerge dalla sua profonda spiritualità del mistero di Dio misericordia e Padre di amore per gli ultimi, è evangelico e suggerito dallo Spirito per una Chiesa capace di stupire l’uomo d’oggi secondo i criteri di Cristo: «Come puoi dire di amare Dio che non vedi, se non ami il prossimo che vedi?» (cfr 1 Gv 4, 20).

Ettore Malnati, Vicario episcopale per il laicato e la cultura per la Diocesi di Trieste

www.lastampa.it/2019/05/08/vaticaninsider/papa-francesco-e-le-presunte-eresie-riflessioni-e-note-storiche-kiWhDjpqA7MT3kbJVM0aNL/pagina.html

 

Mirabile eresia

L’accusa di eresia mossa a papa Francesco da un gruppo di scribi che ha ora ripreso e aggravato la denuncia, sfrontatamente denominata “Correctio filialis”, già presentata contro di lui il 16 luglio 2017, è una cosa meravigliosa. Per sostenere infatti l’anatema e le conseguenti dimissioni o deposizione del papa, il pamphlet riunisce in un’unica sezione alcuni passaggi dell’Esortazione “Amoris lætitia” e la citazione di “atti, parole e omissioni” di papa Francesco che, letti tutti insieme, sono una straordinaria affermazione di libertà, verità e misericordia evangeliche; moniti che anzi dovrebbero essere affissi nelle sacrestie di tutte le chiese perché predicatori celebranti e confessori vi si ispirino per trasmettere ai fedeli in omelie e parole finalmente persuasive l’anelito a seguire le vie di Dio e ad assaporarne l’amore.

Del resto non si potrebbe fare una lode più grande a un cristiano e in modo più ficcante definirne l’identità che imputarlo di eresia. È il peccato rimproverato a Gesù, fin da quando nella sinagoga di Nazaret annunziò misericordia e non vendetta di Dio e perciò già allora volevano gettarlo dalla rupe, e per questo fu poi arrestato nel Sinedrio, per aver rivelato l’universale paternità di Dio: la sua religione ne era messa a rischio, Anna e Caifa avevano tutte le ragioni per metterlo a tacere. E dopo la resurrezione, quando ancora non c’era né Chiesa né religione cristiana, di certo erano eretici per la religione del tempio Pietro e Giovanni che proprio lì annunciavano Gesù e la resurrezione dei morti, meritandosi la prigione. Ed eretico è lo Spirito Santo, che pure invochiamo come guida e maestro, ma non si sa da dove viene e dove va, e la ragione di questo andare e venire è di condurci a tutta la verità, che appunto tutta ancora non conosciamo, sicché proprio lui è il latore nel mondo dell’eresia divina; e c’è un non capire oggi, che dovrà capire domani, che perfino Pietro ha ricevuto come compito.

Invece i lillipuziani che vogliono correggere il papa, e stanno tentando di sollevargli contro la Chiesa (perché quella lettera del 30 aprile 2019 altro non è che un appello alla sedizione) credono di sapere tutto, credono di avere in mano tutto, credono di avere in pugno Dio stesso che fin lì deve andare e non oltre, deve stare nei limiti che loro stessi gli hanno assegnato, che corrispondono al loro “deposito” di cui come fondamentalisti e integristi hanno la chiave (la naftalina è già dentro); e di tutte le ricchezze del cielo e della terra e di tutte le teologie delle Chiese e dei santi sanno solo il Concilio di Trento, che nelle pezze d’appoggio per l’accusa di eresia è citato a ogni piè sospinto, 13 volte (e il Concilio Vaticano Primo, 10 volte).  A leggere il corredo dei testi canonici che essi hanno allegato per definire la vera fede, che sarebbe negata nella Chiesa di oggi, ci è tornata alla mente una facezia che si raccontavano i Padri al Concilio Vaticano II, quando negli intervalli si recavano ai due bar installati dietro alle tribune, scherzosamente chiamati l’uno “Bar Jona” e l’altro “Bar Abba”. Si diceva che una mattina il cardinale Ottaviani, il gran carabiniere dell’ortodossia, prefetto del Sant’Uffizio e come tale predecessore dei cardinali Ratzinger e Müller, svegliatosi tardi saltò su un tassì chiedendo di essere portato subito al Concilio. Nel tragitto si addormentò, e quando si svegliò si accorse che il tassì viaggiava fuori Roma, in aperta campagna; allarmatissimo disse all’autista: “ma dove andiamo, le ho detto di portarmi al Concilio”. E quello rispose: “Certo, Eminenza, la sto portando al Concilio di Trento”.

Il Concilio di Trento ha segnato tutta una stagione della vita della Chiesa, controriforma, divisione dei cristiani, lotta alla modernità. Bisogna leggere “Il paradigma tridentino” dello storico Paolo Prodi per sapere quanto l’aver ristretto il sacro nei bastioni di Trento sia costato alla Chiesa e alla stessa umanità contristata nella sua gioiosa fruizione di Dio; ad ogni modo, come nella sua autobiografia ha scritto quel grande storico del Tridentino che fu Hubert Jedin, “l’epoca tridentina della storia della Chiesa è tramontata” e proprio il Vaticano II ha fatto di ciò un “patrimonio comune” e ha elaborato il “commiato da Trento”, avvertito “come il maggior ostacolo alla riunificazione dei cristiani”.

Non a caso il papa è accusato dai restauratori di oggi di indulgere alle idee di Lutero, di essere andato a celebrarlo a Lund, di aver fatto dare la comunione in san Pietro a un gruppo di luterani e di aver perfino presieduto alla sala Nervi un incontro di cattolici e protestanti usando loro la cortesia di metterci una statua del riformatore tedesco.

Ma questo svela anche qual è la vera posta in gioco, che non è il caso specifico della disciplina del matrimonio indissolubile e della comunione ai divorziati risposati, materia delle sette eresie contestate al pontefice, ma è la questione della dignità umana, la “Dignitatis Humanae” dell’ultimo Concilio, cioè la questione suprema della libertà delle persone, del primato della coscienza, dei ritmi e dei modi propri di ciascuno di obbedire ai richiami morali e alla guida di Dio, di una Chiesa che non è la padrona dei comportamenti deputata a prescrivere il dover fare dei singoli e di ogni potere, ma è l’ospedale che fascia le ferite e il pastore che guida danzando i popoli ai pascoli lussureggianti di vita, non centrale mondana dell’etica ma veicolo universale di salvezza.

Ed è veramente consolante, dopo secoli di cultura finiti nell’ateismo globale, vedere che le accuse alla Chiesa di papa Francesco sono ora quelle di non condannare eternamente nessuno, di ritenere tutti raggiungibili dalla grazia santificante, di non rinchiudere nessuno nel peccato mortale per lo stato in cui è invece che per quello che fa, di riconoscere la gradualità con cui ciascuno progredisce nella risposta all’amore di Dio e al dettato morale, di far conto del giudizio della coscienza sulla bontà degli atti sessuali, di non usare il corpo del Signore nella comunione come scettro di divisione invece che di unità, di non voler trasformare i confessionali in sale di tortura, di proclamare, insieme ai musulmani (è l’ottava, suprema  eresia del papa!) che Dio stesso ama e ha pensato nella sua Sapienza i molti modi e le diverse forme in cui gli uomini si rivolgono a lui, mentre è sempre Dio a prendere l’iniziativa di venirci incontro e di giustificarci.

Ed è proprio questo ciò di cui l’umanità ha bisogno: sentirsi amata, non selezionata tra giustificati e “dannati al fuoco eterno”, ha bisogno di Chiese che capiscano il faticoso viaggiare umano tra le stazioni della libertà, che sappiano che la libertà di coscienza è stata data agli esseri umani da Dio prima ancora della libertà della grazia (Bernardo da Chiaravalle).

Noi comprendiamo che a molti uomini di potere non piaccia la libertà traboccante dalla fede al posto di una libertà centellinata e vigilata dalla legge, e non piace nemmeno ai siti web della campagna anti-Bergoglio, agli ex vaticanisti “embedded” [incastrati] e svezzati in un Vaticano che non c’è più e, perduto quello, persuasi a retrocedere al Sinedrio. Ma questo inno alla gioia, alla libertà, alla misericordia e al perdono che rompe la tristezza dei tempi è così prezioso che nessuna “correctio” potrà soffocare.

Raniero La Valle       11 maggio 2019

http://ranierolavalle.blogspot.com/2019/05/mirabile-eresia.html

 

Sul diaconato femminile: alcuni punti fermi

            La apertura di una fase di riflessione e di studio sulla possibilità di riconoscere anche alle donne un ruolo all’interno del ministero ecclesiale ordinato, sollecitata dalle superiore delle religiose e profeticamente assunta da papa Francesco, esige il chiarimento di una serie di “evidenze dimenticate” che può essere utile richiamare in questa fase di apparente “stallo”:

  1. Da quando Giovanni XXIII ha riconosciuto tra i “segni dei tempi” anche il “ruolo pubblico della donna”, la tradizione ha conosciuto una svolta che non è esagerato chiamare, con le parole utilizzate da papa Francesco all’inizio di “Veritatis gaudium”, come un “cambio di paradigma”.
  2. Tale cambio di paradigma, o “rivoluzione culturale” non è la volontà ostinata di cambiare ciò che da sempre ha funzionato diversamente, ma piuttosto è la esigenza di onorare un cambiamento di cultura e di esperienza da cui la Chiesa può imparare qualcosa di decisivo.
  3. Per questo la esigenza di “fondare storicamente” la nuova apertura, per le caratteristiche del nuovo “segno dei tempi” – appunto la emancipazione femminile – deve essere inteso in modo corretto. Se si ritiene di poter fondare nella storia la novità che viviamo da un secolo, questa sarà inevitabilmente una impresa destinata al fallimento.
  4. Va aggiunto, però, che il modo di valutare la “storia” è subordinato al modello teologico-sistematico che si alimenta nella struttura del pensiero teologico. Ad es., alcuni membri della Commissione teologica istituita per studiare la storia del diaconato femminile, hanno una impostazione sistematica che “esclude a priori la donna dal ministero ecclesiale”. Questa è una petizione di principio che impedisce di leggere la storia in modo profetico. Il “dato” che dovrebbe autorizzare una possibile apertura è escluso per principio dall’orizzonte.
  5. Per questo occorre pensare diversamente il “fondamento teologico-dogmatico” del ministero femminile ordinato. Per farlo, occorre liberarsi dei pregiudizi che la storia di secoli hanno depositato nel pensiero dei teologi e dei pastori.
  6. D’altra parte è curioso che oggi la Chiesa viva una condizione del tutto paradossale: il papa parla di “cambio di paradigma”, di “rivoluzione culturale”, di “squilibrio della profezia”, mentre una parte dei teologi e dei funzionari di curia si occupa solo di negare le novità, di impedire ogni cambiamento, di garantire un equilibrio inossidabile, di confermare le esclusioni e di alzare muri.
  7. I due principi più importanti di Evangelii Gaudium – il primato del tempo sullo spazio e il primato della realtà sulla idea – esigono che di fronte al segno dei tempi delle “donne autorevoli nella Chiesa” non si resti senza aprire processi e senza onorare la realtà. Questo sarebbe un peccato di omissione.
  8. Uno dei membri della Commissione Teologica, Phyllis Zagano, ha detto: ora è il tempo della argomentazione e della diffusione, nella Chiesa, di una nuova possibilità. Per poterlo fare occorre riequilibrare i ruoli. Negli ultimi anni la teologia più avanzata è spesso venuta dal vertice della Chiesa. I teologi si sono spesso nascosti all’ombra di questo “presa di iniziativa”, teorizzata apertamente in Evangelii Gaudium. Oggi occorre che i teologi si assumano la responsabilità dello squilibrio e della profezia. Altrimenti tutto resterà fermo e vecchio.
  9. La prudenza, infine. Tanto il magistero, quanto la teologia debbono comporre, in modo diverso, audacia e pazienza. Ma una cosa, sulla prudenza, deve sempre essere ricordata. Essere prudenti non significa sempre la stessa cosa: quando si guida la prudenza vuole che talora si usi il freno, talora l’acceleratore. Una prudenza identificato soltanto con il “primato del freno” è un luogo comune della Chiesa in difesa, che non esce, che si chiude nei suoi muri tranquillizzanti.
  10. Quando alla fine del Concilio Vaticano II, papa Paolo VI riservò a se stesso tre questioni brucianti – contraccezione, ministero femminile e celibato obbligatorio – forse non poteva immaginare che, 55 anni dopo, saremmo ancora rimasti sostanzialmente in mezzo al guado, come allora. Avviare un processo di vero discernimento sul ministero femminile è oggi non più una possibilità, ma una necessità. Nessun silenzio del passato potrebbe giustificare una inerzia teologica e pastorale del presente, che suonerebbe come indifferenza e irresponsabilità verso il futuro.

Andrea Grillo blog: Come se non     2 maggio 2019

www.cittadellaeditrice.com/munera/sul-diaconato-femminile-alcuni-punti-fermi

 

Il clericalismo malattia della chiesa

Il summit vaticano sugli abusi da parte del clero che si è svolto all’inizio del 2019 ha suscitato reazioni discordanti: vivo apprezzamento da parte di alcuni, critiche da parte di altri, in vario modo riconducibili a una percezione di insufficienza. Ma è ben difficile che in questo campo un singolo evento possa risultare ‘sufficiente’: si tratta sempre e comunque di tappe, in un cammino complesso e lungo. E in questo caso si è trattato senza dubbio di una tappa molto positiva, soprattutto grazie a quanto lo ha preceduto e a quanto si spera che lo seguirà. Non è la prima volta che la Chiesa istituzionale ammette il peccato al suo interno e chiede perdono per questo. Lo fece anche Giovanni Paolo II, al volgere del millennio; e per questo allora parecchi lo disapprovarono, come se ammettere colpe significasse sminuire l’autorità della chiesa (reazione tipicamente ‘clericale’, ma non esclusiva del clero). Allora si trattava di fatti e problemi di innegabile ampiezza e gravità, di solito però lontani nel tempo e ben noti e studiati e privi ormai di gran parte della loro forza d’urto, su cui la storia aveva già espresso da molto tempo il suo giudizio. Diversi sono i crimini di cui si parla ora, in cui accusati e colpevoli e fiancheggiatori sono nostri contemporanei e hanno un nome e un volto. Ma la differenza principale è un’altra. Allora l’opinione pubblica cattolica più sensibile, pur apprezzando la coraggiosa iniziativa papale, osservava che si trattava di una richiesta di perdono relativamente indolore e ‘depurata’ dalla distanza di tempo; soprattutto che la richiesta di perdono si riferiva a peccati commessi da uomini della chiesa, a colpe di singoli insomma, senza che venissero messe in discussione le responsabilità collettive dell’istituzione, della chiesa in quanto tale.

In questo caso papa Francesco innegabilmente è andato oltre. Ha colto in se stesso e si è aperto fuori di sé alla percezione sempre più convinta e argomentata che le «piaghe» della Chiesa di oggi sono strutturali e di atteggiamento, più e prima di essere singoli crimini di singoli peccatori, che comunque mantengono tutta la loro gravità. La novità più rilevante è che questo sia oggi riconosciuto e affermato, non in modo generico ma chiarissimo e diretto, dalla stessa autorità ecclesiastica. Ed è stato riconosciuto, non solo a parole, che esprimere rincrescimento e chiedere perdono è giusto, ha una forte carica di esempio, ma non basta: occorrono azioni concrete di riparazione nei confronti del passato e di stabile risanamento in vista del futuro.

Il clericalismo che cos’è? Il clericalismo come idea e come termine è cambiato nel tempo. Le origini risalgono al secolo XIX, al momento in cui il potere politico della chiesa entrò in una crisi mai conosciuta in passato. Verso la metà dell’Ottocento nei paesi di tradizione cattolica si cominciò a definire «clericali», ovviamente da parte di chi li avversava (dapprima in Francia e in Belgio, più tardi anche in Italia e in Spagna), i cattolici impegnati in politica e organizzati in movimenti o partiti che si richiamavano esplicitamente alla loro confessione religiosa. In Italia la storia del clericalismo è un caso a parte, poiché per vari decenni com’è noto il condizionamento del non expedit fu molto forte. Quello che ora ci interessa è comunque che allora il clericalismo era fondamentalmente un’etichetta politica. Oggi le cose sono cambiate e il clericalismo viene percepito come un fatto più interiore, anche se storicamente determinato e anche se all’origine di atteggiamenti e scelte dalla forte ricaduta all’esterno. Da notare che l’aggettivo ‘clericale’ all’origine del sostantivo, all’inizio – e all’interno della chiesa cattolica, almeno fino ai primi del Novecento – non aveva alcuna coloritura ideologica negativa; semmai tendenzialmente positiva, in quanto significava semplicemente «proprio del clero».

Ma la storia delle parole è illuminante. Pensiamo alla persistente ambivalenza, talvolta fino all’ambiguità, di un aggettivo- sostantivo come ‘laico’, quando è usato all’interno o all’esterno della chiesa.

La questione del clericalismo, che quasi sembrava tramontata, ha acquistato una nuova impensata attualità in riferimento a fatti molto tristi – e squallidi, e criminali – che nessuno più ignora; il merito di aver evidenziato e riportato al centro dell’attenzione il clericalismo in chiave molto critica, non come qualcosa che ‘sostiene’ o ‘fiancheggia’ la chiesa, ma come qualcosa che la limita e può distruggerne la fisionomia storica, va ascritto soprattutto a papa Francesco.

Due lettere di papa Francesco. Questa convinzione-riflessione espressa da papa Francesco si estende nell’arco degli ultimi tre anni almeno, e affiora in diversi testi e allocuzioni informali; ora vorremmo ricordare in modo particolare due lettere.

1. La «devozione del nostro popolo» come antidoto al clericalismo? – La prima, datata 19 marzo 2016 e di carattere più privato- mirato, è rivolta al card. Marc Ouellet, presidente della Pontificia Commissione per l’America latina. Non ha direttamente a che fare con il problema degli abusi. Parlando del laicato, mette subito a fuoco la piaga del clericalismo. «… Non solo annulla la personalità dei cristiani, ma tende anche a sminuire e a sottovalutare la grazia battesimale […]. Il clericalismo porta a una omologazione del laicato […]. Va spegnendo poco a poco il fuoco profetico di cui l’intera Chiesa è chiamata a rendere testimonianza nel cuore dei suoi popoli». Qui si trova anche un riferimento alla religiosità popolare, che ci lascia perplessi perché la nostra esperienza al riguardo è ormai assai meno viva e in ogni caso meno ‘alternativa’ di quella a cui si riferisce papa Francesco. Egli dice infatti: «… Credo che sia uno dei pochi spazi in cui il Popolo di Dio è stato libero dall’influenza del clericalismo […]. È stato uno dei pochi spazi in cui il popolo (includendo i suoi pastori) e lo Spirito Santo si sono potuti incontrare senza il clericalismo che cerca di controllare e di frenare». Ricorda un’osservazione di Paolo VI nell’esortazione apostolica Evangelii nuntiandi (n. 48), secondo cui la religiosità popolare «ha certamente i suoi limiti. È frequentemente aperta alla penetrazione di molte deformazioni della religione», e tuttavia «se è ben orientata, soprattutto mediante una pedagogia di evangelizzazione, è ricca di valori. Essa manifesta una sete di Dio che solo i semplici e i poveri possono conoscere…». Papa Francesco rileva ancora, seguendo Paolo VI, che questa fede del popolo «i suoi orientamenti, ricerche, desideri, aneliti, quando si riescono ad ascoltare e a orientare, finiscono col manifestarci una genuina presenza dello Spirito. […] Confidiamo che lo Spirito Santo agisce in e con esso, e che questo Spirito non è solo «proprietà» della gerarchia ecclesiale». Non si può non concordare. Tuttavia, dall’epoca storica in cui si muoveva Paolo VI quando nel 1975 fu pubblicata l’Evangelii nuntiandi (uno scritto che conserva comunque tutta la sua validità, giustamente prediletto da papa Francesco a cui fornisce un’importante sorgente di ispirazione per l’esortazione apostolica Evangelii gaudium del 2015) sono passati oltre quarant’anni, quindi almeno un paio di generazioni – o molto di più forse, se si considera quanto appare oggi accelerato in senso culturale il mutamento, lo ‘stacco’ tra le generazioni. Alcune rispettose perplessità sulla pietà popolare e sulle sue possibili derive erano comunque già avvertibili allora in Paolo VI, e oggi quello che dice papa Francesco ci appare poco verificabile e forse un po’ ‘alieno’ nella nostra situazione d’Occidente. E tuttavia si capisce: il papa scrivendo al card. Ouellet ha in mente la situazione dell’America Latina, in cui la religiosità popolare è forse molto più sentita e più ricca che da noi (ma certo da noi non riproducibile), e ancora può costituire un’alternativa alla religiosità ufficiale, in quanto in America Latina il ‘popolo’ in molte zone risente ancora, anche in modo irriflesso, dei propri caratteri indigeni e precristiani e della silenziosa opposizione alla religione ‘ufficiale’ dei dominatori venuti dall’Europa.

2. Contro il clericalismo: discernimento e responsabilità. – Il secondo testo che vorremmo ricordare è la Lettera al popolo di Dio, che papa Francesco ha reso pubblica il 20 agosto 2018, poco prima dell’apertura del summit vaticano sugli abusi da parte di membri del clero e sulle loro cause e i possibili rimedi. Un testo toccante perché insieme doloroso e semplice, e anche molto diretto com’è nello stile del papa. Ci piace che non parli solo di pedofilia nel senso ovvio e materiale, ma di «abusi sessuali, di potere e di coscienza commessi da un numero notevole di chierici e persone consacrate»: ovviamente nei confronti di chi, per varie ragioni (le accenniamo alla rinfusa: età, immaturità e insicurezza, condizione di dipendenza materiale, intellettuale o spirituale, handicap fisico o psichico), si trovi in una posizione debole nei confronti dell’abusatore. E anche ammettendo che la maggior parte dei casi venuti alla ribalta dell’opinione pubblica riguarda il passato, afferma che ferite di questo tipo «non vanno mai prescritte». «Il dolore di queste vittime è un lamento che sale al cielo, che tocca l’anima e che per molto tempo è stato ignorato, nascosto o messo a tacere. Ma il suo grido è stato più forte di tutte le misure che hanno cercato di farlo tacere o, anche, hanno preteso di risolverlo con decisioni che ne hanno accresciuto la gravità cadendo nella complicità. Grido che il Signore ha ascoltato facendoci vedere, ancora una volta, da che parte vuole stare». Non è comunque una lettera sugli abusi – fatto ormai accertato e indiscutibile, da approfondire in altre sedi –, semmai sul modo di affrontarli e di prevenirli. Va ben oltre la denuncia e cerca di delineare i connotati di una chiesa sana, risanabile e capace di ascolto. Soprattutto è un testo sul clericalismo; presentato come la causa prima di molti mali della chiesa. Perciò «dire no all’abuso significa dire con forza no a qualsiasi forma di clericalismo». Non è una affermazione occasionale o ad effetto: fa intimamente parte del pensiero teologico e pastorale di papa Francesco. «È impossibile immaginare una conversione dell’agire ecclesiale senza la partecipazione attiva di tutte le componenti del Popolo di Dio. Di più: ogni volta che abbiamo cercato di soppiantare, mettere a tacere, ignorare, ridurre a piccole élites il Popolo di Dio abbiamo costruito comunità, programmi, scelte teologiche, spiritualità e strutture senza radici, senza memoria, senza volto, senza corpo, in definitiva senza vita». Il clericalismo è essenzialmente un modo anomalo di intendere l’autorità nella chiesa, ed è molto presente nelle comunità in cui più spesso si sono verificati comportamenti di abuso sessuale, di potere e di coscienza. Le dimensioni di questo fatto, secondo Francesco, rendono necessario farsene carico in maniera globale e comunitaria. Prendere coscienza dell’accaduto è importante, ma certo non basta. «È necessario che ciascun battezzato si senta coinvolto nella trasformazione ecclesiale e sociale di cui tanto abbiamo bisogno». È questo l’antidoto al clericalismo: diventare consapevoli delle proprie responsabilità di credenti, rafforzare la coscienza, attuare un vero discernimento comunitario senza appaltare a nessuno le proprie responsabilità. C’è la percezione sempre più convinta che le «piaghe» della Chiesa di oggi sono strutturali, cosa che beninteso non esclude la responsabilità personale nei casi singoli; non sono patologie isolate che possano venire guarite da medicine specifiche somministrate caso per caso. L’istanza forse non è nuova, ma la novità più rilevante consiste nel fatto che viene posta, per la prima volta in modo chiarissimo e diretto, dalla stessa autorità ecclesiastica.

Attese, speranze, riserve. Non si può più dire che in questo campo non si stia facendo nulla. Molte cose sono state fatte, in modo speciale nell’ultimo anno, e sono state poste almeno le premesse perché altre se ne facciano e l’omertà intraecclesiale, anche se non è scomparsa, sia almeno delegittimata per sempre. Il prossimo Sinodo su questi temi sarà certo un momento importante. Forse non proprio risolutivo, semplicemente perché non può esserlo. Anche il migliore dei sinodi ha comunque una durata limitata; può affrontare problemi, offrire spunti di analisi e mettere in campo iniziative, non però esaurire una questione che, tra l’intrico delle cause e il muro di gomma degli ostruzionismi, può angosciare o scoraggiare chi si proponga di farvi chiarezza; in cui molti colpevoli sono nello stesso tempo vittime, o lo sono stati; in cui il principale colpevole additato da papa Francesco – il clericalismo appunto – pervade tutte le strutture ecclesiali, e in certi casi vi si è impastato in un modo ormai indistinguibile, lasciando il segno non solo su individui corrotti, opportunisti e carrieristi, ma anche su persone che sotto altri aspetti sono buone e meritevoli. La durata di un Sinodo non consente nemmeno di mettere sul tavolo tutte le questioni in un modo che non sia puramente teorico. Tuttavia sarà difficile richiudere le porte che si aprono, sarà difficile d’ora in poi far finta di niente. La chiesa cattolica, se saprà essere all’altezza della crisi più grave attraversata finora nel corso della sua lunga storia, ne uscirà più provata e forse meno orgogliosamente autoreferenziale, ma più attenta alle persone e alle loro fragilità, più capace di ascolto, più evangelica.

Lilia Sebastiani                      “Rocca” n. 10\2019

www.rocca.cittadella.org/rocca/s2magazine/index1.jsp?attiva_pre_zoom=1&idPagina=63&id_newspaper=1&data=15052019

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201905/190510sebastiani.pdf

 

La chiesa sta per rompersi

Il portale ufficiale della Conferenza episcopale tedesca qualche giorno fa dava grande risalto alle parole del vescovo di Essen, mons. Franz-Josef Overbeck: dopo il Sinodo dei vescovi sull’Amazzonia (appuntamento in Vaticano il prossimo ottobre, dal 6 al 27) “niente sarà più come prima”. Il Sinodo “porterà a una rottura nella chiesa cattolica”. E pazienza se in teoria i padri convocati dal Papa a Roma dovrebbero discutere su come portare la parola di Dio e l’eucaristia ai cattolici che abitano la foresta, con i pochi preti costretti a percorrere – quando lo fanno – migliaia di chilometri spostandosi continuamente da un villaggio all’altro. Ma si sa, ormai i sinodi diventano una sorta di grande assemblea dove dibattere tutto quel che si può dibattere, con le conferenze episcopali (alcune, almeno) che non vedono l’ora di illustrare davanti al Papa, alla grancassa mediatica convenuta nell’Urbe per l’occasione, e agli altri confratelli vescovi i propri programmi che spesso si discostano dal tema centrale per cui quel sinodo è convocato.

Lo chiarisce bene mons. Overbeck, secondo il quale più che la situazione dei cattolici che abitano le rive del Rio delle Amazzoni bisognerà focalizzarsi sulla “struttura gerarchica della chiesa”, “la sua moralità sessuale” e “l’immagine del sacerdozio”. Naturalmente non può mancare un’indagine attenta del “ruolo delle donne” che “deve essere riconsiderato”. Puntuale come un orologio rotto che comunque batte due volte l’ora giusta, anche stavolta è la chiesa tedesca ad alzare la voce, puntando i piedi e annunciando con tanto di fanfare episcopali un’agenda da presentare all’attenzione del Sinodo. Nel 2015 fu il cardinale Reinhard Marx a fare sapere che “non siamo una filiale di Roma e non sarà un Sinodo a dirci cosa fare in Germania”, stavolta è un presule meno noto ma altrettanto combattivo e molto aperto allo Spirito del tempo. Niente di nuovo, è sempre stato così. Benedetto XVI l’ha ripetuto per l’ennesima volta tra le righe del suo documento pre-pasquale sulle derive assunte anche all’interno della chiesa a cavallo del 1968. Le stesse cose, benché edulcorate dalla necessaria diplomazia dovuta all’essere Pontefice, le aveva dette nel 2011 a Friburgo, arrivando a invocare una sorta di “demondanizzazione”. L’allora presidente della Conferenza episcopale, mons. Robert Zollitsch, si precipitò in conferenza stampa a spiegare che “il Papa, parlando di entweltlichung [demondificazione] (questo il termine usato per tre volte dal Pontefice, ndr) non voleva riferirsi all’abolizione della tassa statale”. Una excusatio non petita che non convinse nessuno. Chiese vuote ma casse piene, anche se non più come un tempo. Colpa dell’abbandono di fedeli, che preferiscono lasciare ufficialmente le confessioni cattolica e protestante pur di non pagare più l’esosa Kirchensteuer, la tassa (sulle religioni) che ogni battezzato è tenuto a versare.

 I numeri, di cui il Foglio ha dato conto la scorsa settimana, sono drammatici: tra quarant’anni i cattolici saranno 12 milioni (ora sono 23), la maggior parte dei quali “non praticante”. Qualche avvisaglia c’è già stata: enormi accorpamenti parrocchiali, dismissione di chiese e cappelle. E, soprattutto, una campagna di reclutamento che ammicca a chi in una chiesa non ha mai messo piede e che, incuriosito dalle novità o magari scambiando la chiesa stessa per una sorta d’una potente Ong, potrebbe pensare di aderire, “iscrivendosi”. Lo stesso mons. Overbeck lo fa capire quando gli si chiede conto dei numeri a precipizio: la chiesa deve rispondere anche “all’immenso sfruttamento ambientale e alla violazione dei diritti umani”, e “al Sinodo sull’Amazzonia si parlerà di tutto”, probabilmente anche di viri probati, cioè di uomini sposati che potrebbero essere ordinati per supplire alla mancanza di clero, ha confermato il vescovo di Passau, mons. Oster, che pure è di orientamento opposto a quello di Overbeck. Per fortuna, ha aggiunto il vescovo di Essen, “Papa Francesco con la sua prospettiva sudamericana ha fatto sì che ci fosse consapevolezza di queste sfide”. Il primo punto del programma è smontare “la struttura eurocentrica della chiesa” e il modello è proprio l’America latina, dove “le chiese locali e il clero sono diventati via via sempre più indipendenti”.

I cattolici calano non solo in Germania ma anche in Brasile, dove dal novanta percento che erano sono scesi al settanta, ecco perché “la chiesa deve reagire a tutto questo e trovare risposte. La questione del celibato, insomma, potrebbe essere la prima di queste risposte. La chiesa potrebbe essere chiamata a “cercare uomini sposati adatti”, ha spiegato il vescovo di Aquisgrana, mons. Helmut Dieser. Intanto, in patria, la situazione è disastrosa. “La fiducia di molti cattolici nella loro chiesa è scossa in modo profondo, si stanno domandando come poter vivere la propria fede nella situazione attuale e condividerla con gli altri”, ha detto Thomas Sternberg, presidente del Comitato centrale dei cattolici tedeschi, l’organismo di coordinamento delle organizzazioni laiche ufficiali cattoliche locali. “Vivono nella sensazione di passare attraverso una valle oscura”, ha aggiunto interpellato al Catholic News Service. In Germania è cattolico il 30% della popolazione, i praticanti sono molti di meno. Sì, quelli che in chiesa ci vanno credono in modo profondo, ha aggiunto Sternberg, aggiungendo però che gli “scandali” recenti, finanziario e relativo agli abusi su minori, hanno messo in crisi anche questa categoria di fedeli convinti. Da qui il pullulare di ricette, proposte, idee per uscire dalla crisi ed evitare – aspetto tutt’altro che secondario – che i forzieri riempiti dalla generosa Kirchensteuer si svuotino mandando in rovina intere diocesi.

Il risultato è un trionfo di parresia: ogni vescovo è convinto d’avere la soluzione giusta e quindi parla, la espone. Spesso causando ancora più problemi di quelli che c’erano già. “Le affermazioni del vescovo Franz Overbeck non devono sorprendere. Egli, nato nel 1964 da una famiglia di contadini, appartiene a quella generazione di sacerdoti che hanno messo il proprio ministero al servizio di una nuova religione civile”, dice al Foglio Wolfgang Spindler, teologo domenicano cinquantenne che oltre a occuparsi di una parrocchia scrive sulle riviste Die Neue Ordnung e Tumult e per diletto anche libri per bambini, visto che loro “hanno un rapporto diretto con la trascendenza”. Una nuova religione civile “che non si basa più, come in Rousseau, sulla separazione tra stato e chiesa, tra politica e religione, ma mira piuttosto alla loro fusione e compenetrazione. Non è più la chiesa a essere l’unico veicolo della salvezza, bensì lo è lo ‘stare insieme’ di tutti nella società composta da individui e gruppi, indipendentemente da confessione e religione, ovvero il progetto postmoderno di una coesistenza pacifica, per la cui realizzazione (processo infinito!) si è costituita l’attuale alleanza di Trono (Merkel, Unione europea, organizzazioni non governative) e altare (la ‘chiesa sinodale delle Amazzoni’ […], le conferenze episcopali)”.

La prima preoccupazione, nota Spindler, “ormai non è più rivolta ai fedeli cattolici. Il loro numero si è tanto ridotto nel corso di una generazione da farne un gruppo marginale, e i vescovi si sono votati a un compito più grande: dare vita al ‘vero’ universalismo, che si lascia alle spalle il ‘vecchio’ universalismo della chiesa cattolica e del diritto naturale. I presupposti di questa svolta, in Overbecke nei suoi colleghi, sono evidenti: una fede del ‘come se’ (als-ob) e una teologia che ha sostituito la metafisica con un’etica del discorso alla Habermas. Le loro prediche sono esercizi di paleomodernismo, i seguaci del quale per definizione – come direbbe Péguy – ‘non credono in ciò che credono’. Hanno rinunciato a giustificarsi di fronte al passato, al depositum fidei. Non fanno più riferimento ormai nemmeno al Concilio Vaticano II, perché questo concilio, con le sue plumbee montagne di documenti, nel frattempo è diventato ‘poco flessibile’, ‘restaurativo’, se non addirittura ‘reazionario’. Il loro feticcio è l’incommensurabile Domani. Solo quando la chiesa cattolica si sarà liberata dalle pesanti catene del passato (la gerarchia, il sacerdozio, gli studi teologici, il celibato e così via), Satana sarà legato per mille anni e potrà avere inizio il regno della pace, della riconciliazione universale, della cosmopoli di Kant. Nella lotta verso questo fine – dice ancora il teologo domenicano – non si risparmiano alcuna fatica”. Se il vescovo di Essen, come s’è visto, vaticina una rivoluzione totale, il collega di Magdeburgo, mons. Gerhard Feige, vuole l’ordinazione delle donne al sacerdozio. In mezzo, il cardinale Marx, che lo scorso marzo concludendo i lavori della plenaria dell’episcopato tedesco ha annunciato l’apertura di un “percorso sinodale vincolante per la chiesa in Germania” per discutere di morale sessuale, celibato sacerdotale e abuso di potere clericale. Ancora una volta si sente l’eco di quel non-sarà-Roma-a-dire-cosa-dobbiamo-fare qui.

Un’agenda, quella del presidente della conferenza episcopale tedesca, definita “certamente più sociologica che teologica” da padre Frank Unterhalt, portavoce di Communio veritatis, un gruppo di sacerdoti della diocesi di Paderborn che si è costituito in associazione il 22 febbraio del 2018, festa della cattedra di San Pietro. Preti che si ritrovano ogni mese per “pregare e preparare pubblicazioni teologiche in risposta alle questioni d’attualità. A giudizio di Unterhalt, il cardinale Marx “parla e si comporta come un politico di sinistra e non come un pastore della santa chiesa di Dio. Chiunque metta da parte la croce e desideri servire la dittatura del relativismo dovrebbe accettarne le conseguenze”. La diocesi di Paderborn ha da tempo fatto sapere che Communio veritatis è un gruppo privato non legato alla diocesi. Proprio l’arcivescovo di Monaco e Frisinga, tra una conferenza stampa e l’altra, ha partecipato al congresso annuale delle Caritas diocesane tedesche che come slogan aveva “Il sociale ha bisogno del digitale”. Una persona su cinque non ha accesso al digitale, osservava incredulo Marx, domandandosi “cosa si può fare per queste persone, come possano essere rese partecipi della vita sociale”, anche per raggiungere chi potrebbe essere tentato “dal suicidio”. Evidentemente il portavoce del cenacolo di sacerdoti di Paderborn aveva letto le dichiarazioni del porporato prima di parlare di deriva sociale della chiesa tedesca.

Joseph Ratzinger disse nel 2001, durante un’omelia pronunciata a Fontgombault, in Francia – pubblicata sul Foglio dello scorso 4 maggio 2019– che “dopo il Concilio si è diffusa l’idea che il contenuto del Vangelo sarebbe lo sviluppo sociale, che bisognerebbe fare soprattutto le cose esteriori, materiali, e che solo dopo forse si può avere ancora tempo per Dio. Ne vediamo le conseguenze: anche i missionari non avevano più il coraggio di annunziare il Vangelo. Pensavano che il loro compito ora fosse quello di contribuire allo sviluppo dei paesi sottosviluppati. Ci si è dimenticati di Dio, e la conseguenza è terribile: la distruzione dei fondamenti morali di queste società”. Ecco.

Matteo Matzuzzi        “Il Foglio” 10 maggio 2019

www.ilfoglio.it/chiesa/2019/05/10/news/la-chiesa-sta-per-rompersi-253884

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CITAZIONI

Fulton Sheen: chiacchieri solo o fai davvero l’amore?

Una donna non può amare un uomo se non lo conosce almeno un poco. Il “presentatemelo” è appunto l’esigenza preliminare di quella conoscenza che precede l’amore. Anche la “fanciulla dei suoi sogni” idoleggiati dal giovincello ha bisogno d’essere costruita in base ad alcuni frammenti di conoscenza. Ciò che è ignorato non è amato.

Perfino negli animali l’amore ha inizio da quella conoscenza che procede dai sensi, ma la conoscenza dell’uomo viene dai sensi e dall’intelletto insieme. È come l’amore proviene dalla conoscenza, così l’odio proviene dalla mancanza di conoscenza. Il bigottismo è frutto dell’ignoranza. Sebbene all’inizio la conoscenza sia la condizione dell’amore nelle sue ultime fasi l’amore può accrescere la conoscenza.

            Un marito e una moglie che abbiano vissuto molti anni insieme hanno un nuovo genere di conoscenza reciproca che supera in profondità qualsiasi parola detta, o qualsiasi indagine scientifica: è la conoscenza che nasce dall’amore, una specie di percezione intuitiva di ciò che è nella mente e nel cuore dell’altro. Può darsi che noi amiamo più che non conosciamo. Una persona semplice in buona fede può amare Dio più di quanto non lo ami un teologo e avere, quindi, una comprensione più affinata che non quella degli psicologi riguardo ai modi in cui Dio agisce sui cuori degli uomini. La sola bontà, isolata dalla conoscenza, non solleciterebbe l’amore; bisogna prima che sia proposta alla mente e compresa come bene.

            La conoscenza può essere tanto astratta che motiva. La geometria è una conoscenza astratta, ma la conoscenza del sesso è una conoscenza emotiva. Un triangolo isoscele non suscita passioni, ma la conoscenza sessuale può suscitarli. Coloro che invocano un’educazione sessuale indiscriminata per prevenire le promiscuità dei sessi dimenticano che, a causa delle incidenze di carattere emotivo, la conoscenza del sesso può indurre disordini sessuali.

Si obietta che se nessun uomo sapesse che in una casa c’è la febbre tifoidea, gli passerebbe la voglia di andarci. Giusto; ma la conoscenza del sesso non è la conoscenza della febbre tifoidea. Nessuno prova una passione” tifoidea” che lo induca ad abbattere le porte della quarantena, mentre l’essere umano sperimenta una passione sessuale che ha bisogno di controllo. Una delle ragioni psicologiche per cui le persone per bene rifuggono dalle volgari discussioni sul sesso e che questa forma di conoscenza è per sua natura incomunicabile. Tanto personale è il suo metodo di comunicazione che i due interessati sono riluttanti a generalizzarlo. Esso è troppo sacro per venir profanato.

È una realtà psicologica che coloro la cui conoscenza della vita sessuale sia incanalata nel matrimonio e in un unico amore sono i meno proclivi a ritirarla dal chiuso del loro intimo mistero per trasportarla nel campo della pubblica discussione. E non perché il sesso li abbia delusi, ma perché esso si è trasformato nell’amore, e due creature soltanto possono condividerne i segreti. D’altra parte, coloro la cui conoscenza del sesso non è stata sublimata nel mistero dell’amore, e che sono quindi i più frustrati, sono proprio quelli che incessantemente sentono il bisogno di parlare di questi argomenti. I mariti e mogli le cui unioni sono caratterizzate dall’infedeltà sono i più loquaci in materia sessuale, mentre i padri e le madri che hanno avuto un matrimonio felice non ne parlano mai. La loro conoscenza, infatti, si è mutata in amore, per cui non sentono il bisogno di chiacchierarne. Coloro invece che presumono di intendersi profondamente di sesso, in realtà non sanno nulla del suo mistero, perché altrimenti non sarebbero così loquaci in materia.

Da Fulton Sheen,        Tre per sposarsi

https://it.aleteia.org/2018/08/17/fulton-sheen-chiacchiere-sesso-fare-amore

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CITTÀ DEL VATICANO

Prendersi cura della famiglia è prendersi cura dell’uomo e della società

La famiglia, nella sua originaria costituzione di comunità affettiva, generativa e parentale dell’uomo e della donna, istituisce il grembo sociale dell’ordine degli affetti. Le dinamiche sorgive della singolarità individuale, della reciprocità sociale, della cooperazione comunitaria, vengono apprese e ulteriormente elaborate a partire dalla grammatica personale-relazionale iscritta nella costituzione famigliare. L’essere umano apprende, nella convivenza e nella rete dei legami famigliari, i fondamentali del legame umano, indisgiungibilmente personale e comunitario, nel quale è generato e al quale è destinato.

L’immaginazione della qualità umana delle affezioni –della loro dignità e della loro verità, della loro profondità e della loro giustizia –si iscrive nell’esperienza famigliare legame tra il “far essere” e il “voler bene”. Nell’esperienza famigliare, l’intrinseca unità della dimensione biologica del legame umano e di quella spirituale della vita personale, plasma l’edificazione del corpo insieme con l’empatia dell’interiorità altrui. La dimensione famigliare appare così il grembo originario della dimensione etico-affettiva in cui l’esistere umano si attende di sperimentare la giustificazione del proprio essere al mondo e la giustizia della propria partecipazione al suo divenire. L’ordine famigliare instaura al proprio interno anche la giusta articolazione di eros e philia, provvedendo alla istruzione della giusta differenziazione dell’intimità sessuale e della reciprocità parentale (paterna e materna, filiale e fraterna). In tal modo, insegna la loro armonizzazione insieme con la loro diversa perfezione.

Il metabolismo di questa grammatica fondamentale è alla radice delle analogie e delle trasformazioni extra-familiari dell’ordine degli affetti, nelle varie forme del legame personale e sociale. Nello stesso modo, forte della originaria autorevolezza generativa e della competenza affettiva in cui è radicato, e alla cui responsabilità si consegna personalmente e stabilmente, il sistema famigliare introduce alle ragioni etico-affettive –non dispotiche, non arbitrarie, non opportunistiche –del rispetto della legge (nomos) e della condivisione del desiderio (koinonia). La speciale condizione famigliare di questa iniziazione, che si avvale dell’archetipo del possente legame tra amore e generazione che istituisce la vita e il senso della vita (il credo cristiano è radicato nel riconoscimento della generazione come sorgente dell’amore, in Dio stesso) è indeducibile da ogni altro rapporto. Possiamo –e dobbiamo–compensarne le molteplici vulnerabilità e curarne le ferite, anche gravi. Non sostituirlo. Di nuovo, le nostre possibilità migliori di cura, nella congiuntura drammatica dei suoi passaggi attraverso le ombre, vengono pur sempre dalla disposizione sociale e comunitaria del sistema famigliare medesimo, quando mette a disposizione della comunità la ricchezza delle sue originali risorse etico-affettive. Questa disposizione, a ben vedere, non è altro che l’espressione –la più bella e la più emozionante, forse –dell’originale vocazione umana e comunitaria del sistema famigliare medesimo.

Naturalmente, sarebbe contraddittorio –e pertanto controproducente –pensare ad una funzione di prossimità-sussidiarietà dell’ordine famigliare che venga forzato a svolgere il proprio compito umanizzante e socializzante a prezzo della giustizia degli affetti dalla quale esso trae la sua legittimazione e la sua forza. La vocazione “antropologica” e “politica” del sistema famigliare appartiene dunque alla sua originale costituzione storica. Una simile considerazione impone pertanto un duplice e simmetrico tema di osservazione e di riflessione. Da un lato, si tratta di comprendere in quale modo, oggi, la consapevolezza di questa destinazione e di questo protagonismo umanistico e comunitario faccia parte della coscienza diffusa: della cultura famigliare, dei processi educativi, delle politiche istituzionali. Dall’altro, è necessario anche valutare i modi nei quali la comunità civile (e anche religiosa) offrono, a riscontro di questa vocazione umanistica e comunitaria della famiglia, cultura e risorse idonee ad esprimere il fattivo apprezzamento e lo specifico sostegno della collettività. Nell’ambito di questo processo di reciproco riconoscimento e di responsabile restituzione, a che punto sono il diritto, la politica, l’economia, la governance della cittadinanza e la cultura della sussidiarietà?

Family International Monitor           11 maggio 2019        Mons. Pierangelo Sequeri,

Preside del Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per le Scienze del Matrimonio e della Famiglia

www.gliscritti.it/blog/entry/4900

https://static.wixstatic.com/ugd/e2c551_09a7357471334c418f284ac6e11ae2d1.pdf

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COMMISSIONE ADOZIONI INTERNAZIONALI

Incontro del Vicepresidente Laera con l’Autorità Centrale Vietnamita

            La Vicepresidente Laera ha ricevuto il 9 maggio 2019 a Roma una delegazione dell’Autorità Centrale Vietnamita guidata dalla Direttrice Generale del Dipartimento Adozioni del Ministero della Giustizia del Vietnam, Madam Nguyen Thi Hao e dall’Ambasciatrice del Vietnam in Italia, Nguyen Thi Bich Hue. La riunione, a cui hanno partecipato in una seconda parte anche gli Enti Autorizzati in Vietnam, ha consentito un articolato scambio di informazioni sulle nuove disposizioni in materia di adozioni internazionali introdotte dal decreto governativo vietnamita N. 24/2019 del 5 marzo 2019.

www.commissioneadozioni.it/media/1610/decreto-n-24-2019-it.pdf

L’obiettivo generale del nuovo decreto è quello di migliorare la procedure esistenti a livello nazionale per assicurare ad un maggior numero di minori la possibilità di crescere in una famiglia adottiva. A questo fine, è stato disposto che i circa duecento centri per l’infanzia presenti sul territorio nazionale possano partecipare alle procedure per le adozioni internazionali. Ciò richiederà un particolare sforzo, da parte del Governo, circa la formazione degli operatori che saranno chiamati a rendere operative le nuove disposizioni. Sebbene l’intenzione dei nuovi provvedimenti sia quella di facilitare le adozioni, nazionali e internazionali, è prevedibile che l’adeguamento alle nuove procedure comporterà, almeno nei primi tempi, un’ulteriore contrazione del già esiguo numero di minori che saranno dichiarati adottabili nel corso del 2019.

            Il capo delegazione ha sottolineato che l’Italia con Francia e Spagna, è uno dei paesi che ha ricevuto il più alto numero di minori per l’adozione internazionale. Da quando ha ratificato la convenzione dell’Aja nel 2012, il Vietnam ha aperto le adozioni a tredici paesi e accreditato trentuno enti autorizzati.

Comunicato stampa   9 maggio 2019

www.commissioneadozioni.it/notizie/incontro-del-vicepresidente-laera-con-lautorit%C3%A0-centrale-vietnamita

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CONGRESSI – CONVEGNI – SEMINARI

Mamme sole: un convegno per capire come aiutarle. E prevenire l’abbandono di bambini

Un convegno per condividere prassi e modelli di lavoro sull’accompagnamento delle mamme sole e fragili. Si terrà all’Università Cattolica del Sacro Cuore, sede di Brescia, in via Trieste 17, il prossimo 21 maggio, dalle ore 9 alle 13 in Sala della Gloria. A organizzare l’evento, che si inserisce in un progetto finanziato dalla Fondazione della Comunità Bresciana, con il patrocinio del CESPEF – Centro Studi Pedagogici sulla Vita Matrimoniale e Familiare dell’Università Cattolica, del Comune di Brescia, sono Ai.Bi. – Amici dei Bambini, un movimento di famiglie adottive e affidatarie che, dal 1986, lavora ogni giorno al fianco dei bambini ospiti negli istituti di tutto il mondo per combattere l’emergenza abbandono ed è presente in tutta Italia con 25 sedi locali e in 33 Paesi all’estero, e la Cooperativa Sociale AIBC.

            Il titolo del convegno è: “Mamme in Crescita. Condivisione di prassi e modelli di lavoro sul sostegno e l’accompagnamento dei nuclei mono-genitoriali fragili”.

            Dopo i saluti introduttivi di Marco Fenaroli, Assessore alle politiche per la Famiglia, la Persona e la Sanità e all’Associazionismo del Comune di Brescia e di Ermes Carlo Carretta, Presidente della Cooperativa Sociale AIBC, con la moderazione della dott.ssa Monica Amadini, docente di Pedagogia presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, seguiranno gli interventi degli esperti, che si concentreranno sui temi dell’analisi del contesto cittadino, della prospettiva preventiva e della tutela dei minori attraverso la tutela del loro legame con le mamme, della valutazione delle competenze genitoriali, della presa in carico e della co-costruzione del progetto verso l’autonomia, dell’inserimento lavorativo delle mamme sole e di buone pratiche realizzate.

            “Quello delle mamme sole – spiega il presidente di Ai.Bi. – Amici dei Bambini, Marco Griffini – è un problema drammatico, come ci hanno purtroppo illustrato anche i recenti avvenimenti di Rovigo. Tutelarle significa, anche e soprattutto, prevenire la piaga dell’abbandono minorile, la più grande e grave ingiustizia di tutte”

News Ai. Bi.    8 maggio 2019

www.aibi.it/ita/mamme-sole-un-convegno-per-capire-come-aiutarle-e-prevenire-labbandono-di-bambini

 

Milano. Centro Giovani Coppie. Un progetto che si chiama desiderio

Sono disponibili le registrazione della conferenze

  • Generatività della coppia – Tra desiderio e limite 10 maggio 2019
  • Educare al futuro nell’epoca di internet e del narcisismo 12 aprile 2019
  • Coppia e denaro. Le sfide dell’oggi 24 marzo 2019
  • Ti amo, ma non ti desidero. Sesso e passione nella coppia 23 febbraio 2019
  • People. Prima le persone 31 gennaio 2019

www.centrogiovanicoppiesanfedele.it/ Incontri 2018-2019

www.centrogiovanicoppiesanfedele.it/news

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CONSULTORI FAMILIARI CATTOLICI

Corso di formazione per operatori

La Confederazione Italiana e la Federazione Toscana dei Consultori familiari di ispirazione cristiana promuovono un Corso di formazione per operatori di consultori familiari di ispirazione cristiana.

Obiettivi principali del corso

  • Fornire conoscenze, competenze e abilità necessarie a chi intende operare come consulente familiare in un consultorio di ispirazione cristiana;
  • Potenziare le capacità di lavorare in equipe secondo prospettive multi e interdisciplinari;
  • Fornire conoscenze e strumenti per l’analisi della richiesta d’aiuto;
  • Consolidare le conoscenze di base proprie dell’antropologia cristiana.

A chi si rivolge

  • Operatori dei Consultori familiari;
  • Operatori nei Centri di ascolto Caritas e nei Centri di Aiuto alla Vita;
  • Operatori della Pastorale familiare;
  • Operatori socio-educativi, psicologi, pedagogisti, assistenti sociali, giuristi.

Programma e contenuti del Corso

Il corso prende avvio nel mese di ottobre 2019 e termina nel mese di aprile 2021 (date da definire).

Si articola in lezioni frontali, lavoro di gruppo, attività online per un totale di 203 ore così suddivise:

  1. 10 moduli residenziali di 12 ore ciascuno (un fine settimana ogni 2 mesi da tenersi nel seguente orario: venerdì 16.00-20.00, sabato 9.00-13.00 e 14.00-18.00);
  2. Attività online (30 ore);
  3. Tirocinio (40 ore);
  4. Supervisione (10 ore);
  5. Verifica finale (3 ore).

I contenuti del corso sono articolati in 10 moduli:

  1. La persona umana; il consultorio familiare; servizio alla persona, alla coppia, alla famiglia; il consulente familiare;
  2. Comunicazione e meta comunicazione;
  3. La relazione d’aiuto;
  4. Accoglienza, ascolto, accompagnamento.
  5. Il lavoro d’équipe 1° modulo
  6. Il lavoro d’équipe 2° modulo;
  7. La supervisione.
  8. Le fasi del ciclo di vita umana; coppia e famiglia;
  9. L’azione sul territorio;
  10. Consultorio e Pastorale familiare.

Sede del corso e costi di partecipazione

Il corso si terrà a Firenze, presso il Monastero di S. Marta, Via di S. Marta n.7

Il corso è a numero chiuso (da un minimo di 15 ad un massimo di 30 di partecipanti, con priorità per gli operatori dei consultori).

La quota individuale di partecipazione per l’intero corso è di € 150,00.

La quota comprende: iscrizione, frequenza e materiale didattico per l’intero corso.

La quota non comprende: il pranzo del sabato (possibilità comunque di consumarlo presso il Monastero al costo di €.10,00) ed eventuali pernottamenti la notte del venerdì (chi è interessato al pernottamento presso il Monastero dovrà comunicarlo al momento dell’iscrizione).

                        Iscrizione

Per iscriversi al corso occorre compilare il modulo online, accessibile dal seguente link:

https://forms.gle/fco7nqywLdptFkWE9

L’iscrizione si ritiene perfezionata con il versamento della quota di partecipazione, da effettuare mediante bonifico bancario sul c/c della Federazione Toscana dei Consultori Familiari di ispirazione cristiana:

IBAN – IT95X0103014216000000556441 (presso banca MPS).

Brochure                           www.cfc-italia.it/cfc/materiale/CorsoFormazione_Toscana.pdf

                        Informazioni

Per richiedere informazioni, inviare una mail all’indirizzo:   consultori.fedtoscana@gmail.com

oppure chiamare al n. 328.1575989 (in orario: martedì 9.00-12.00 e 16.00-19.00, giovedì 10.00-13.00).

www.cfc-italia.it/cfc/index.php/2-non-categorizzato/444-corso-di-formazione-per-operatori-di-consultori-familiari-di-ispirazione-cristiana

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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM

Bologna. Festeggiamenti per i 40 anni del servizio di consulenza per la vita familiare

Il Consultorio di via G.  Tacconi, 65 prosegue con i festeggiamenti: domenica 19 maggio con la Messa celebrata dall’Arcivescovo Mons. Matteo Maria Zuppi.

http://www.consultoriobologna.it/wp-content/uploads/2019/05/depliant-messa-ed-evento-19-maggio-2019-A3.pdf

Milano 2. Consultorio Familiare ‘Genitori Oggi’, Presentazione del libro Per un bambino

Quasi 35 anni di Centro di Aiuto la Vita Mangiagalli; impossibile ricordare tutte le emozioni provate! La direttrice Paola Marozzi Bonziha tentato di raccogliere le vicende storiche, sociali e di cronaca nella prima parte del suo ultimo libro “Per un bambino”. Da tutto ciò scaturisce naturalmente l’impegno del Centro di Aiuto alla Vita, del consultorio familiare “Genitori Oggi” e tante storie di donne incontrate. Naturalmente l’incontro è sempre stato cercato dalle donne stesse che ne avevano sentito parlare da amiche già aiutate e da operatore sanitario che stima la vita nascente come un grande valore da difendere. Per loro è stato studiato un metodo particolare fatto di “ascolto attivo” che porta alla “relazione d’aiuto”.

A questo siamo arrivati aiutati anche da autori eccellenti come Silvia Vegetti Finzi (Il bambino della notte), Oriana Fallaci (Lettera a un bambino mai nato), Alba Marcoli (Il bambino nascosto).

Il libro viene presentato a Villa Litta a Milano e alla Fiera Internazionale del Libro di Torino.

www.cavmangiagalli.it/news

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DALLA NAVATA

4° Domenica di Pasqua – Anno C – 12 maggio 2019

Atti Apostoli   13, 46. Allora Paolo e Bàrnaba con franchezza dichiararono: «Era necessario che fosse proclamata prima di tutto a voi la parola di Dio, ma poiché la respingete e non vi giudicate degni della vita eterna, ecco: noi ci rivolgiamo ai pagani. Così infatti ci ha ordinato il Signore: “Io ti ho posto per essere luce delle genti, perché tu porti la salvezza sino all’estremità della terra”».

Salmo              99, 05. Perché buono è il Signore, il suo amore è per sempre, la sua fedeltà di generazione in generazione.

Apòcalisse      07, 09. Io, Giovanni, vidi: ecco, una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e tenevano rami di palma nelle loro mani.

Giovanni         06, 30. «Io e il Padre siamo una cosa sola».

 

I seduttori e i maestri: due voci ben diverse

Le mie pecore ascoltano la mia voce. Non i comandi, la voce. Quella che attraversa le distanze, inconfondibile; che racconta una relazione, rivela una intimità, fa emergere una presenza in te. La voce giunge all’orecchio del cuore prima delle cose che dice.

            È l’esperienza con cui il bambino piccolo, quando sente la voce della madre, la riconosce, si emoziona, tende le braccia e il cuore verso di lei, ed è già felice ben prima di arrivare a comprendere il significato delle parole. La voce è il canto amoroso dell’essere: «Una voce! L’amato mio! Eccolo, viene saltando per i monti, balzando per le colline» (Ct 2,8). E prima ancora di giungere, l’amato chiede a sua volta il canto della voce dell’amata: «La tua voce fammi sentire» (Ct 2,14)

            Quando Maria, entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta, la sua voce fa danzare il grembo: «Ecco appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo» (Lc 1,44). Tra la voce del pastore buono e i suoi agnelli corre questa relazione fidente, amorevole, feconda. Infatti perché le pecore dovrebbero ascoltare la sua voce?

            Due generi di persone si disputano il nostro ascolto: i seduttori, quelli che promettono piaceri, e i maestri veri, quelli che danno ali e fecondità alla vita. Gesù risponde offrendo la più grande delle motivazioni: perché io do loro la vita eterna. Ascolterò la sua voce non per ossequio od obbedienza, non per seduzione o paura, ma perché come una madre, lui mi fa vivere. Io do loro la vita. Il pastore buono mette al centro della religione non quello che io faccio per lui, ma quello che lui fa per me.

            Al cuore del cristianesimo non è posto il mio comportamento o la mia etica, ma l’azione di Dio. La vita cristiana non si fonda sul dovere, ma sul dono: vita autentica, vita per sempre, vita di Dio riversata dentro di me, prima ancora che io faccia niente.

Prima ancora che io dica sì, lui ha seminato germi vitali, semi di luce che possono guidare me, disorientato nella vita, al paese della vita. La mia fede cristiana è incremento, accrescimento, intensificazione d’umano e di cose che meritano di non morire. Gesù lo dice con una immagine di lotta, di combattiva tenerezza: Nessuno le strapperà dalla mia mano.

            Una parola assoluta: nessuno. Subito raddoppiata, come se avessimo dei dubbi: nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io sono vita indissolubile dalle mani di Dio. Legame che non si strappa, nodo che non si scioglie. L’eternità è un posto fra le mani di Dio. Siamo passeri che hanno il nido nelle sue mani. E nella sua voce, che scalda il freddo della solitudine.

Padre Ermes Ronchi, OSM

www.qumran2.net/parolenuove/commenti.php?mostra_id=45803

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DIRITTI

            Salone del libro di Torino, l’Autorità garante presenta “I bambini parlano diritti(o)”

                Diecimila bambini di tutta Italia. Ottanta scuole e 600 docenti. Quindicimila copie del libro “Geronimo Stilton. Viaggio alla scoperta dei diritti dei bambini” distribuite. Sono i numeri del progetto “I bambini parlano diritti(o)” di cui l’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, Filomena Albano, parlerà il 10 maggio al “Salone internazionale del Libro” di Torino. Nel corso dell’evento, in programma alle 13,30 nella Book Arena, la Garante incontrerà gli alunni della scuola primaria. Sarà illustrato lo scopo del progetto: far riscrivere ai bambini la Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, per cercare collegamenti e affinità con il mondo contemporaneo e con i nuovi bisogni dei più piccoli a trent’anni dalla sua approvazione. Centocinquanta bambini provenienti da Puglia, Piemonte e Sicilia intervisteranno la Garante, rivolgendole domande sui diritti che loro stessi hanno riscritto, attualizzando la Carta di New York.

Nell’occasione sarà presentato il volume di Geronimo Stilton “Viaggio alla scoperta dei diritti dei bambini” realizzato da Piemme per l’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, un’avventura lungo la Penisola alla ricerca della Convenzione di New York andata perduta. Il libro è uno degli strumenti utilizzati nell’ambito del progetto “I bambini parlano diritti(o)” per stimolare la riflessione e la creatività dei più piccoli attraverso un percorso partecipato che mira a far emergere i bisogni dei più piccoli per trasformarli in richiesta di diritti. L’evento è realizzato in collaborazione con l’associazione “Così per gioco” ed Edizioni Piemme.

Focus su quattro dei diritti riscritti. “L’esperienza entusiasmante di far ‘riscrivere’ ai bambini la Convenzione Onu, già vissuta lo scorso anno, ci ha insegnato che ascoltare i più piccoli porta non solo a risultati sorprendenti, ma anche ad adeguare al mondo di oggi la lettura di un documento vivo e attuale” dice la Garante Filomena Albano. “Quest’anno, a Torino, abbiamo scelto di sottolineare quattro diritti tra quelli che ci hanno proposto i bambini:

  1. Diritto a vivere in un ambiente sano;
  2. Diritto alla creatività, al gioco e al sogno;
  3. Diritto all’unicità e all’ascolto;
  4. Diritto alla riservatezza e alla sicurezza su internet”.

Nel pomeriggio, alle 17.30, la Garante Albano incontrerà gli insegnanti alla Sala El Dorado, in occasione dell’appuntamento “A 30 anni dalla Convenzione Onu: il diritto di leggere e giocare” che vuole essere momento di condivisione di idee e strumenti per favorire la partecipazione dei bambini alla convivenza civile.

Agli incontri parteciperà anche la Garante per l’infanzia e l’adolescenza della Regione Piemonte Rita Turino. Ai due eventi prenderanno parte gli “allenatori di cervelli” Carlo Carzan, Sonia Scalco e Andrea Vico.

News AGIA   7 maggio 2019

www.garanteinfanzia.org/news/salone-libro-torino-autorita-garante-presenta-i-bambini-parlano-diritti

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ENTI TERZ0 SETTORE

L’attacco al Terzo settore devasta l’Italia civile

Gentile direttore,         è vero: oggi chiunque, di formazione cattolica o laica, operi nel Terzo settore deve fare i conti con un clima culturale decisamente peggiorato. La discussione, avviata in queste settimane dalle colonne di questo quotidiano, ha il grande merito di aver fatto riemergere il tema della condizione e del ruolo di questa fondamentale ‘infrastruttura’ sociale del nostro Paese. L’Arci, nel suo ultimo Consiglio nazionale di pochi giorni fa, ha dibattuto molto dell’argomento. Abbiamo assunto alcuni impegni di lavoro, come associazione e nelle reti di rappresentanza di cui siamo parte.

            Da tempo denunciamo i pericoli per la nostra democrazia derivanti da un certo lavoro di delegittimazione del ruolo dei corpi intermedi, dalle ‘apologie’ di varia provenienza della disintermediazione. E oggi abbiamo di fronte un ‘salto di qualità’ nell’attacco al Terzo settore: si mina con il sospetto e la diffamazione la fiducia dei cittadini nei confronti di organizzazioni che fino a ieri sempre avevano raccolto fiducia e sostegno, alimentando la conflittualità tra gli ultimi. L’effetto è devastante: si diffondono comportamenti e atteggiamenti che accrescono le tensioni, distruggono la coesione, producono separazione e divisione. Tutto si individualizza, si brutalizza, scatenando istinti di aggressione verso chi è più debole. È necessario battersi per arginare questa deriva e ribaltare questa egemonia valoriale. E l’occasione può essere offerta, paradossalmente, proprio dall’attuazione della tanto discussa riforma del Terzo settore.

            La riforma sembra avanzare coi suoi dispositivi, ma, purtroppo, con molta fatica. Va sottolineato, infatti, che i recenti provvedimenti approvati sono solo quelli risalenti alla precedente legislatura e rimasti chiusi per mesi nel cassetto. Inoltre, l’opera di ingegneria legislativa alla base della riforma ha riconosciuto finalmente una legittimità piena al Terzo settore, ma il suo dipanarsi applicativo ha destato preoccupazione, smarrimento, ansia nelle migliaia di organizzazioni e nei milioni di cittadini, lavoratori e volontari impegnati. Detto questo, andrebbe colta l’opportunità di ribadire che la sussidiarietà, su cui si poggia gran parte del welfare e delle opportunità culturali, ha efficacia solo se è organizzata, solo se non consiste in attività frutto di una semplice somma di individui, ma si riconosce in un progetto che li accomuna. Riaffermare il diritto alla libera autorganizzazione, difendere il valore della partecipazione, della democrazia rappresentativa, dell’intermediazione sono altresì punti cruciali per lavorare a un ‘capovolgimento’ della prospettiva.

            La nostra esperienza, quella di un Terzo settore con attitudine ricreativa, ci dice che queste pratiche e valori – coltivando pensiero critico, e definendo una ‘cultura’ – hanno efficacia nel contrasto alle solitudini. Fare il giusto assieme al bene è una risorsa preziosa, perché promuove emancipazione dei singoli e della collettività, dentro un progetto collettivo e di condivisione di passioni. Le risorse economiche di conseguenza non sono un dato secondario, ma sono centrali per lo sviluppo di quella Italia civile che oggi rappresenta l’ossatura della coesione sociale sempre più sottoposta a erosione e delegittimazione. L’economia civile o solidale è un presupposto cardine perché la sussidiarietà circolare trovi modo di concretizzarsi.

            Ma al tempo stesso il principio e la pratica dell’autofinanziamento attraverso le attività di volontariato e promozione sociale rappresentano un elemento fondamentale da salvaguardare, perché si garantisce terzietà, autonomia e soggettività delle associazioni. Per contrastare una deriva pericolosa, dal nostro punto di vista, è necessario far sentire la voce di un mondo complesso che lavora quotidianamente in tante forme e chiedere al Governo di riconoscere il ruolo fondamentale svolto da tutte le organizzazioni del Terzo settore, spesso unico baluardo a sostegno della coesione sociale e della lotta alle diseguaglianze.

Francesca Chiavacci, Presidente nazionale dell’Arci [Associazione Ricreativa Culturale Italiana]

Avvenire         10 maggio 2019

www.avvenire.it/opinioni/pagine/l-attacco-al-terzo-settore-devasta-l-italia-civil-8b8fd7dccdba498d94f486e60f34e4fc

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FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI

             Ecco l’#assegnoXfiglio. De Palo: “Venga inserito nella prossima Legge di stabilità”

            “In attesa di vedere realizzarsi l’assegno universale di cui si parla, chiediamo alla politica di prendere in carico la nostra proposta di #assegnoXfiglio, che oggi presentiamo. Una misura che auspichiamo possa essere inserita nella prossima Legge di stabilità: 150 euro per ogni figlio, crescenti al crescere del numero dei figli, indipendente da reddito o ISEE e soprattutto dalla condizione lavorativa dei genitori. Esattamente come accade nel resto d’Europa. Perché i figli non sono un interesse privato, ma un bene comune, se è vero che, ad esempio, saranno loro a pagare le pensioni di chi magari oggi critica la scelta di chi li ha messi al mondo”: così il presidente nazionale del Forum delle Associazioni Familiari, Gigi De Palo, l’11 maggio 2019 in occasione della presentazione ai leader politici di maggioranza e opposizione dell’#assegnoXfiglio, misura che punta a cambiare ‘culturalmente’ il sostegno ai nuclei familiari con figli in Italia.

             “Un intervento universale e strutturale, facile da comprendere per il mondo politico come per le famiglie, l’unica scelta oggi capace di rilanciare la natalità e, con essa, far ripartire l’economia nazionale”, conclude De Palo.

Comunicato stampa   11 maggio 2019

www.forumfamiglie.org/2019/05/11/ecco-lassegnoxfiglio-de-palo-venga-inserito-nella-prossima-legge-di-stabilita

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FRANCESCO VESCOVO DI ROMA

 “Cercare nuove strade nella Chiesa non è peccato, ci vuole coraggio”

È con coraggio, perseveranza e testardaggine («non dell’anima», però) che «si fanno i veri cambiamenti nella Chiesa». Con persone che «sanno lottare nel piccolo e nel grande». Nella messa a Santa Marta di oggi, la prima dopo la lunga pausa da Pasqua, Papa Francesco loda quei «tanti uomini e donne, coraggiosi, che rischiano la vita, che vanno avanti, anche che cercano nuove strade nella vita della Chiesa». Perché cercare cambiamenti «non è peccato», ma una cosa che «fa bene a tutti».

Parole che il Pontefice pronuncia di fronte ad alcuni sacerdoti eritrei e ad un gruppo di suore del Cottolengo che partecipano alla messa nella Domus vaticana per celebrare il 50esimo anniversario di vita religiosa. «Grazie per ascoltare la voce di Dio e grazie per la docilità», dice loro Francesco come riportato da Vatican News. La «docilità delle donne del Cottolengo», sottolinea ricordando la sua prima visita negli anni ’70 in una delle strutture che, come voluto dal fondatore San Giuseppe Benedetto Cottolengo, accolgono in tutto il mondo disabili psichici e fisici. In quel passare da una stanza all’altra, accompagnato da una suora tra tutte quelle che trascorrono la vita «fra gli scartati», Bergoglio ha visto tanta perseveranza e tanta docilità. Senza queste virtù le religiose non farebbero quello che fanno, dice il Pontefice.

«Perseverare. E questo è un segnale della Chiesa», afferma. «Io vorrei ringraziare oggi, in voi, tanti uomini e donne, coraggiosi, che rischiano la vita, che vanno avanti, anche che cercano nuove strade nella vita della Chiesa. Cercano nuove strade! “Ma, padre, non è peccato?”. No, non è peccato!». «Cerchiamo nuove strade», allora, «questo ci farà bene a tutti!», assicura il Papa, «a patto che siano le strade del Signore». Sempre però bisogna andare avanti: «Avanti nella profondità della preghiera, nella profondità della docilità, del cuore aperto alla voce di Dio. E così si fanno i veri cambiamenti nella Chiesa, con persone che sanno lottare nel piccolo e nel grande».

            Al centro della riflessione di Papa Francesco c’è la figura di San Paolo e la sua conversione sulla via di Damasco che rappresenta un «cambio di pagina nella storia della Salvezza». Sàulo di Tarso, «uomo forte», persecutore dei cristiani, lascia che il Signore sconvolga la sua vita. Era un uomo «innamorato della legge, di Dio, della purezza della legge», era «onesto» e, anche se con un «caratteraccio», era «coerente» perché «aperto a Dio». «Se lui perseguitava i cristiani era perché era convinto che Dio voleva questo», annota il Papa. «Ma come mai? E come mai, niente: era convinto di quello. È lo zelo che aveva per la purezza della casa di Dio, per la gloria di Dio. Un cuore aperto alla voce del Signore. E rischiava, rischiava, andava avanti».

            Al contempo Paolo era «un uomo docile, aveva la docilità, non era un testardo». «Forse il suo temperamento era testardo – precisa Francesco – ma non la sua anima». Paolo era «aperto ai suggerimenti di Dio», con ardore incarcerava e uccideva i cristiani, ma «una volta che ha sentito la voce del Signore divenne come un bambino, si lascia portare». Questa sua conversione «segna l’apertura ai pagani, ai gentili a coloro che non erano israeliti», in una parola, evidenzia il Pontefice, è «la porta aperta sulla universalità della Chiesa».

            Con la sua «apertura alla voce di Dio» e la sua «docilità» l’Apostolo delle Genti è dunque «un esempio della nostra vita», afferma il Vescovo di Roma. Perché «il cristiano – conclude – deve avere questo carisma del piccolo e del grande». Al Signore dobbiamo chiedere perciò la «grazia della docilità» e un «cuore aperto»: la grazia, cioè, «di non spaventarci di fare cose grandi, di andare avanti, a patto che abbiamo la delicatezza di curare le cose piccole»

Salvatore Cernuzio    Vatican insider           10 maggio 2019

www.lastampa.it/2019/05/10/vaticaninsider/cercare-nuove-strade-nella-chiesa-non-peccato-ci-vuole-coraggio-FcNJwtCzq6fLK0leniQ9CN/pagina.html

Il Papa sulle donne diacono: non si può andare oltre la Rivelazione

Papa Francesco ha consegnato alla presidente dell’Unione internazionale delle superiori generali (Uisg) le conclusioni della commissione che aveva formato proprio su sollecitazione di un interrogativo delle religiose, tre anni fa, sulla possibilità di introdurre il diaconato femminile, sottolineando che, a causa delle divergenze tra i teologi che ne hanno fatto parte e del «poco» su cui tutti concordavano, «non è granché ma è un passo avanti», evidenziando che bisogna approfondire ulteriormente la questione e avvertendo che egli non può «fare un decreto sacramentale senza fondamento teologico-storico» e che, più in generale, «non possiamo andare oltre la rivelazione e l’esplicitazione dogmatica» perché, «se il Signore non ha voluto il ministero sacramentale per le donne, non va».

Francesco ha definito l’abuso sessuale delle suore «un problema grave, serio» del quale è «cosciente» e che è presente «anche a Roma» e, allargando il discorso al più generale problema dell’abuso di potere e di coscienza, ha scandito: «Servizio sì, servitù no», una donna non sceglie l’abito «per diventare la domestica di un chierico», e su questo «aiutiamoci mutuamente», ha detto il Papa alle religiose, «possiamo dire di no, ma se la superiora dice di sì».

«Io oggi consegno ufficialmente alla presidente il risultato del poco a cui sono arrivati in accordo tutti (i membri della commissione, ndr), poi io ho con me la Relatio personale di ognuno, posso nel caso darle se a qualcuno interessa, uno che va più avanti, uno che si ferma lì, e si deve studiare questo», ha detto il Papa nel lungo scambio a braccio che ha avuto con le 850 religiose di tutto il mondo riunite in questi giorni a Roma per la loro ventunesima assemblea . «Io non posso fare decreto sacramentale senza fondamento teologico storico», ha scandito Francesco.

Proprio in risposta ad una sollecitazione dell’assemblea dell’Uisg del 2016, il Papa aveva fondato una “Commissione di Studio sul Diaconato delle donne”. «Quando voi mi avete suggerito di fare una commissione – l’idea è stata vostra – ho detto sì, ho fatto una commissione, che ha lavorato bene, tutti in gamba, uomini e donne teologi, e sono arrivati fino a un certo punto tutti d’accordo, poi ognuno aveva la propria idea», ha raccontato il Pontefice. La commissione, insomma, ha «lavorato abbastanza, è vero, i l risultato non è granché, ma è un passo avanti. Certo, c’era una forma di diaconato femminile nel principio, soprattutto in Siria e in quella zona, ma, l’ho detto sull’aereo , aiutavano nel Battesimo, nei casi di scioglimento dei matrimoni, e la forma di ordinazione non era la formula sacramentale, era per così dir come – questo è quello che mi dice l’informativa, io non sono perito – come oggi è la benedizione abbaziale di una badessa, una benedizione speciale per il diaconato. Andrà avanti, di qui a un tempo io potrei dar chiamare i membri della Commissione e vedere come sono andati avanti. Hanno fatto un bel lavoro e grazie».

Sulla funzione della Chiesa «dobbiamo andar avanti nella domanda: qual è il lavoro della donna e della donna consacrata nella Chiesa», ha proseguito il Papa, «non sbagliare pensando che solo sia un lavoro funzionale: può darsi che lo sia – capa dicastero, a Buenos Aires avevo una cancelliera… – ma andare oltre le funzioni, e questo ancora non è stato maturata, ancora non abbiamo capito bene». La Chiesa, ha insistito il Papa, «è femminile, è donna».

Francesco è tornato sull’argomento in risposta alla domanda di una religiosa di lingua tedesca, che ha espresso l’auspicio che la commissione papale approfondisca ulteriormente per affrontare la questione delle donne diaconesse «non solo sulla base della storia, della dogmatica, della rivelazione, ma anche della forza gesuana, di come Gesù si accompagnava alle donne, e di cosa l’umanità ha bisogno oggi nel 22esimo secolo». «È vero», ha risposto Jorge Mario Bergoglio – che la Chiesa non è soltanto il Denzinger, la collezione di passi dogmatici e cose storiche, ma la Chiesa si sviluppa nel cammino nella fedeltà alla rivelazione. Non possiamo cambiare la rivelazione. È vero che la rivelazione si sviluppa col tempo e noi col tempo capiamo meglio la fede. Il modo di capire oggi la fede dopo il Concilio vaticano II è diverso rispetto a prima, perché c’è uno sviluppo della coscienza. Lei ha ragione, e questa non è una novità, perché la natura stessa della rivelazione è in movimento continuo per chiarire se stessa, anche la natura stessa della coscienza morale».

«Per esempio – ha detto il Papa – oggi ho detto chiaramente che la pena di morte non è accettabile, è immorale, ma cinquant’anni fa no. È cambiata la Chiesa? No, si è sviluppata la coscienza morale, e questo lo avevano capito i padri. Nell’800 c’era un padre francese, Vincenzo da Lérins, che aveva coniato una bella espressione: la coscienza della fede, lo dico in latino, “annis consolidetur, dilatetur tempore, sublimetur aetate”, cioè cresce con gli anni è in crescita continua, non cambia, cresce, si allarga col tempo, si capisce meglio e con gli anni si sublima. Se io vedo che questo che penso adesso è in connessione con la rivelazione, va bene, ma se è una cosa strana che non è nella rivelazione, anche nel campo morale che non è secondo il campo morale non va. Per questo sul caso del diaconato dobbiamo cercare cosa c’era all’inizio della rivelazione: se c’era qualcosa farla crescere e che arrivi, se non cera qualcosa, se il signore non ha voluto il ministero sacramentale per le donne, non va. Per questo andiamo alla storia, al dogma. Mi è piaciuto quel che la madre ha detto: non è solo questo, ci sono due cose in più: la cosa in più è il dialogo col mondo nel quale viviamo, e questo dialogo col mondo provoca situazioni nuove, che chiedono risposte nuove, ma queste risposte devono essere in armonia con la rivelazione».

«Sviluppo della fede e della morale ma sempre col fondamento», ha proseguito il Pontefice. «Non avere paura di dialogare. E la testimonianza. Pertanto è vero, non solo le cose dogmatiche, col Denzinger non andiamo da nessuna parte nella vita concreta, sappiamo la verità, sappiamo il dogma ma come affrontiamo questo, come facciamo crescere è un’altra cosa, il Denzinger ci aiuta, ma noi dobbiamo crescere continuamente. Io avevo fatto riferimento all’abito vostro ma avete cambiato, l’abito avete rovinato la vita consacrata? No, nel dialogo col mondo ogni congregazione ha visto come era meglio esprimere il proprio carisma, esprimersi, e questa ha un abito così, quella un altro, non sono né peggio ne migliori, ogni congregazione fa il suo discernimento. E con questo cado nella parola chiave: discernere, non è tutto bianco e nero, neppure grigio, è tutto in cammino, tutto è in cammino: ma camminiamo sulla strada giusta, la strada della rivelazione, non possiamo camminare su un’altra strada. Credo che sebbene non ho risposto a tutte le sfumature che c’erano nella domanda della madre credo che questa è la risposta: è vero, non solo le definizioni dogmatiche e le cose storiche aiuteranno, non solo, ma non possiamo andare oltre la rivelazione e l’esplicitazione dogmatica. Capito? Siamo cattolici, eh? Se qualcuno vuol fare un’altra Chiesa è libero».

Nella sua introduzione, sempre a braccio, il Papa ha affrontato anche il tema degli abusi sessuali sui minori e dell’abuso sessuale delle religiose, due questioni che, come quella del diaconato femminile, erano stati sollevati nel saluto introduttivo dalla presidente dell’Uisg, la maltese Camen Sammut. I problemi nella Chiesa «non si risolvono da un giorno all’altro», ha detto il Papa, che sulla pedofilia ha sottolineato che «si è cominciato un processo», ha ricordato che ieri è stato pubblicato un nuovo Motu Proprio , ha evidenziato che «da vent’anni» si sta prendendo «lentamente» coscienza del problema e che ancora «stiamo prendendo coscienza, con tanta vergogna – ma benedetta vergogna, la vergogna è una grazia di Dio! – ma è un processo e dobbiamo andare avanti passo passo per risolvere questo problema. Alcuni delle organizzazioni anti-abusi non sono rimasti contenti dell’incontro a febbraio (con i presidenti delle Conferenze episcopali di tutto il mondo, ndr): “Ma non hanno fatto nulla!”. Io li capisco perché c’è la sofferenza dentro, io ho detto che se noi avessimo impiccato cento preti abusatori in piazza San Pietro sarebbero stati tutti contenti, ma il problema non sarebbero stati risolti. I problemi nella vita si risolvono con processi non occupando spazi».

Quanto al problema delle religiose abusate, «è un problema serio, grave, ne sono cosciente», ha detto il Papa, sottolineando di essere «cosciente» che si verifica «anche qui a Roma» e, più in generale, di essere «cosciente» «dei problemi, delle informazioni che vengono, e anche non solo dell’abuso sessuale della religiosa, ma l’abuso di potere, l’abuso di coscienza: dobbiamo lottare contro di questo», ha detto Jorge Mario Bergoglio, che ha proseguito spiegando, in merito al «servizio delle religiose»: «Per favore: servizio sì, servitù no. Tu non ti sei fatta religiosa per diventare la domestica di un chierico, no, ma su questo aiutiamoci mutuamente: possiamo dire di no, ma se la superiora dice di sì… tutti insieme, servitù no, servizio sì. Lavori nei Dicasteri, amministrando una nunziatura, questo va bene, ma domestica no. Se vuoi fare la domestica, fai come fanno le suore dell’Ascensione che fanno infermiere e domestiche nelle case degli ammalati. Sì li sì perché è servizio, ma servitù no».

Il Papa, che dopo un suo primo indirizzo a braccio, lasciando da parte il testo scritto che aveva preparato, ha risposto ad una serie di domande di diverse religiose, ha toccato i temi dell’ecumenismo «del sangue, del povero e della preghiera». Ha sottolineato la necessità di lavorare con persone di altre religioni sui valori in comune («Per esempio, il rispetto per la vita dei neonati o dei non nati che hanno i musulmani è meraviglioso»), ha raccomandato alle religiose di essere vicine alle «fragilità» dei più poveri e malati, così come quelli delle consorelle, ha parlato della «maternità» delle religiose, ed ha raccomandato la «cura» nell’«accompagnare» la inculturazione della fede ad esempio in materia liturgica.

Ad una suora sud sudanese che lo ha ringraziato per l’incontro spirituale tra leader politici del Paese africano , gli ha chiesto di ordinare un vescovo nella sua diocesi vacante («Non sempre si trovano in candidati adatti…», ha risposto il Papa) e lo ha invitato a visitare il Paese, Francesco ha ricordato che aveva intenzione di recarsi in Sud Sudan l’anno scorso con l’arcivescovo di Canterbury Justin Welby, «ma non è stato possibile» per motivi di sicurezza. Tuttavia «ho promesso di andarci, insieme, forse quest’anno… Forse, non è una promessa! Quando vado in Mozambico, Madagascar e Mauritius (a settembre, ndr) e forse c’è tempo per stare lì, non dico il tempo dell’orologio, ma il tempo maturo per arrivare lì: io voglio andare, il Sud Sudan lo porto nel cuore», ha detto il Papa, che ha poi voluto ricordare che in occasione del ritiro spirituale in Vaticano i leader contrapposti del Paese «facevano pranzo nella sala comune dove pranzo io, e li vedevo lì, come novizi, zitti… mangiavano, questi che facevano la guerra, zitti, perché pensavano alla meditazione che aveva dato loro il cattolico l’episcopaliano e l’anglicano. Nessuna nazione ha fatto questo, solo loro: sono bravi, e se hanno avuto questo coraggio di dare una testimonianza del genere, c’è possibilità di andare avanti».

Infine, prima di accomiatarsi, Papa Francesco ha promesso: «Prendo sul serio – se sarò vivo, non so – l’invito di partecipare almeno a una parte della prossima assemblea» dell’Uisg che prevedibilmente si svolgerà nel 2022. «Se sarò vivo, al contrario – ha concluso con un sorriso – ricordatelo al successore, che faccia lo stesso»

Iacopo Scaramuzzi    Vatican insider           10 maggio 2019

www.lastampa.it/2019/05/10/vaticaninsider/il-papa-sulle-donne-diacono-non-si-pu-andare-oltre-la-rivelazione-TxykoAoSKayQVdPKKIw1PJ/pagina.html

 

L’escalation dell’assedio al papa

La santa eresia di cui è accusato Francesco

Una lettera ai vescovi, ripetitiva delle accuse già lanciate nel 2017 contro il papa, ne chiede l’ammonizione e la deposizione. Ma l’enumerazione delle sue pretese eresie è in realtà un monumento apologetico alla libertà cristiana e alla grandezza e novità del suo magistero mosso dalla potenza dello Spirito

            Pubblichiamo quello che dice Francesco, e con lui altri vescovi, nella sintesi che ne hanno fatto i suoi accusatori nella “Correctio filialis” del 16 luglio 2017, ripresa e integrata nella Lettera ai vescovi e alla Chiesa pubblicata dai più sediziosi il 30 aprile 2019. Un dossier che vorrebbe essere di accusa, e invece mette in risalto senza volerlo la novità e la forza dello Spirito irradianti dal magistero di papa Francesco.

            Lettera ai vescovi e alla Chiesa. 30 aprile 2019.                   (…)

www.chiesadituttichiesadeipoveri.it/la-santa-eresia-di-cui-e-accusato-francesco

 

Chi chiama eretico il papa

Ho letto con un penoso senso di fastidio spirituale la lettera firmata inizialmente da una ventina di cattolici, chierici e laici, e indirizzata ai vescovi, perché mettano in stato di accusa, come eretico, papa Francesco. Il fastidio ha vari motivi. Cercherò di spiegarli.

  1. Il primo è di natura estetica, come se un ragazzaccio avesse lanciato una manciata di fango su un bel quadro. Sul volto dolce di un vecchio papa, stanco ma irradiato e reso bello dalla “gioia del vangelo”, sono stati lanciati sputi meschini da volti somiglianti agli arcigni inquisitori di un famoso film di Dreyer. Chi una sola volta ha visto la Passione di Giovanna d’Arco di quel regista, non riuscirà mai a dimenticare il contrasto tra il volto pulito e sofferente di Renée Falconetti e quello grossolano e duro dei suoi giudici. È vero che gli inquisitori di papa Francesco non chiedono il rogo, ma ne vogliono l’abiura pubblica.
  2. Il secondo motivo è dato dalla grossolanità delle accuse formulate, in termini che citano non ciò che è stato effettivamente detto dal papa, ma ciò che dovrebbe essere presupposto da ciò che il papa ha detto, scritto o fatto. Questa è una vecchia prassi inquisitoriale, purtroppo ancora non del tutto dismessa nella chiesa cattolica. Tutto verte attorno a 3 titoli di accusa: il rifiuto della condanna degli omosessuali, l’ammissione all’eucaristia dei cristiani divorziati, la giustificazione del pluralismo religioso. Non mancano tra i firmatari alcuni teologi di professione. A loro, anche se non a tutti i firmatari, è legittimo chiedere come facciano a passare sotto silenzio il canone 8 del concilio di Nicea sulla comunione ai digamoi [che contraevano un secondo matrimonio dopo un divorzio o un ripudio] come ignorino il senso esatto dei decreti tridentini sull’indissolubilità del matrimonio e la disciplina conseguente, che non implica la condanna della prassi delle chiese ortodosse le quali prevedono per i divorziati, secondo il principio della “economia” (cioè, in termini orientali, della “misericordia”), una benedizione particolare (fino alle terze nozze “civili” e per alcune chiese persino fino alla quarta). E si può ancora chiedere perché ignorino tutta la portata della dottrina di Trento sull’eucaristia che stabilisce come, quando si partecipa con i retti sentimenti alla celebrazione del sacrificio eucaristico, Dio “placato dall’offerta, concede il dono e la grazia della penitenza e crimina et peccata etiam ingentia dimittit”.
  3. Il terzo motivo è dato dalla rozzezza dell’ermeneutica teologica messa in atto dai firmatari sedicenti ortodossi. Che le dottrine della chiesa siano mutate, nella continuità sostanziale, non è un fatto che possa essere messo in discussione. E sappiamo che, come in tanti altri casi analoghi. I “vincitori” al concilio di Calcedonia (anno 451) furono “vinti” nel secondo concilio di Costantinopoli (553). Che ci sia qualcosa di mutato nella disciplina della chiesa, introdotta sotto il pontificato di papa Francesco, è un dato altrettanto incontrovertibile. E, dato importante, i capisaldi di quel mutamento sono stati approvati con la maggioranza qualificata di due terzi e passa da un sinodo episcopale. Ma almeno i teologi dovrebbero sapere che la continuità o discontinuità non si misurano nel rapporto diretto tra dottrina e dottrina, tra disciplina e disciplina, ma ogni volta nel rapporto di ogni formulazione dottrinale o misura disciplinare con il vangelo. Ogni dottrina e ogni disciplina deve cioè, nelle sempre mutevoli condizioni storiche, essere fedele al vangelo che resta sovrano nella chiesa. Ed è quindi grave ignorare la portata del vangelo, che non è racchiuso nella formulazione dottrinale o nella legge disciplinare, ma «è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede, del Giudeo, prima, come del Greco. In esso infatti si rivela la giustizia di Dio». Ci sono inoltre altri motivi del fastidio. Scorrendo i nomi dei firmatari e cercando notizie sul loro conto attraverso la rete, ho scoperto che la maggior parte di loro fanno esplicitamente riferimento a una sorta di Internazionale dei tradizionalisti, sia sul piano politico che religioso, che sappiamo ben foraggiata economicamente da un certo signor Bannon. Qui il fastidio non è soltanto quello di una determinata sensibilità teologica, ma tocca altre fibre forse più delicate, quelle cristiane come tali e culturali di chi, nato negli anni Quaranta del secolo scorso, fino a tutti gli anni Sessanta, ha respirato l’aria di una umanità, sottomessa controvoglia alla caducità, ma che non cessa di sperare che «la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio».

Giuseppe Ruggieri, teologo, docente nell’Università Gregoriana di Roma e presso la facoltà di Teologia cattolica di Tubinga                            “la Repubblica” 11 maggio 2019

https://rep.repubblica.it/pwa/commento/2019/05/10/news/chi_chiama_eretico_il_papa-225963573

https://www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201905/190511ruggieri.pdf

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MATERNITÀ SURROGATA

            Sentenza in materia di procreazione medicalmente assistita

                    Corte di Cassazione, Sezioni unite civili, sentenza n. 12193, 8 maggio 2019

www.neldiritto.it/public/pdf/s.u._12193_2019.pdf

Non può essere trascritto nei registri dello stato civile italiano Il provvedimento di un Giudice straniero con cui è stato accertato il rapporto di filiazione tra un minore nato all’estero mediante il ricorso alla maternità surrogata ed un soggetto che non abbia con lo stesso alcun rapporto biologico (c.d. genitore d’intenzione).

            Lo hanno deciso le Sezioni Unite della Corte di cassazione con la sentenza n. 12193, pubblicata in data odierna 8 maggio 2019, la quale ha rigettato la domanda di riconoscimento dell’efficacia del predetto provvedimento, riguardante due minori concepiti da uno dei componenti di una coppia omosessuale mediante il ricorso alla procreazione medicalmente assistita, con la collaborazione di due donne, una delle quali aveva messo a disposizione gli ovociti, mentre l’altra aveva provveduto alla gestazione.

        La Corte ha ritenuto che il riconoscimento del rapporto di filiazione con l’altro componente della coppia si ponesse in contrasto con il divieto della surrogazione di maternità, previsto dall’art. 12, comma sesto, della legge n. 40 del 2004, ravvisando in tale disposizione un principio di ordine pubblico, posto a tutela della dignità della gestante e dell’istituto dell’adozione.

            In proposito, è stato chiarito che la compatibilità con l’ordine pubblico, richiesta ai fini del riconoscimento dagli artt. 64 e ss. della legge n. 218 del 1995, dev’essere valutata alla stregua non solo dei principi fondamentali della Costituzione e di quelli consacrati nelle fonti internazionali e sovranazionali, ma anche del modo in cui gli stessi hanno trovato attuazione nella legislazione ordinaria, nonché dell’interpretazione fornitane dalla giurisprudenza.

            E’ stato tuttavia precisato che i valori tutelati dal predetto divieto, ritenuti dal legislatore prevalenti sull’interesse del minore, non escludono la possibilità di attribuire rilievo al rapporto genitoriale, mediante il ricorso ad altri strumenti giuridici, quali l’adozione in casi particolari, prevista dall’art. 44, comma primo, lett. d), della legge n. 184 del 1983.

Corte Suprema di Cassazione           Comunicato Stampa  Roma, li 8 maggio 2019

www.cortedicassazione.it/corte-di-cassazione/it/dett_cst.page;jsessionid=817011ADA79ADFFB3946201C30C73372.jvm1?contentId=CST22683

                                                                               

Valore della norma (e di una battaglia): il senso della dignità

Natura e artificio, verità e finzione. Quante volte la vita fabbricata in provetta ci ha messo di fronte a spinosi grovigli, umani e giuridici; specie nelle varianti di progetto più azzardate, come la maternità surrogata. Sappiamo che c’è una giustizia delle regole, che rifiuta le aberrazioni, e va messa in salvo. E se fallisce resta un desolato bisogno di rimedio residuo alle trasgressioni avvenute, quasi una specie di “giustizia del giorno dopo” china sui cocci. Quanti pensieri dunque riemergono ora, di fonte alla sentenza della Cassazione italiana a Sezioni Unite, che dice “no” alla trascrizione nei registri dello stato civile italiano dei “figli” ottenuti da maternità surrogata all’estero, in uno Stato che ammette quella pratica che da noi è penalmente vietata. Quel divieto è principio di civiltà, perché ha una «funzione essenziale di tutela di interessi costituzionalmente rilevanti».

            Finalmente. Quanti balbettii, quante diatribe ossessive, quanti paralogismi nei provvedimenti finora registrati nei vari tribunali, nella discorde dimostrazione del teorema di conformità o contrarietà all’ordine pubblico. Ora sia chiaro per tutti: non solo l’atto di nascita estero, ma neppure la sentenza di un giudice straniero, là dove l’utero in affitto viene praticato, può scavalcare la norma che da noi (e nella stragrande maggioranza dei Paesi del mondo) rappresenta – sono le parole della Corte «un principio di ordine pubblico posto a tutela della dignità della gestante e dell’istituto dell’adozione».

            Dignità è parola grande e positiva, che fa schermo per antitesi al disvalore indegno della surrogazione, già definita dalla Corte costituzionale n. 272 del 2017 «una pratica che offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane». È appena il caso di rammentare che nella coscienza collettiva l’aspetto di sfruttamento e di deprivazione che lo contrassegna produce dolore e riprovazione pressoché generalizzata, con proposte di mettere al bando nel mondo questa forma che studiosi e commentatori definiscono «schiavitù». Oggi la lettura delle norme fatta dalla nostra Corte Suprema rafforza e presidia questa frontiera.

            Nell’ultima parte la sentenza esplora, un po’ succintamente, il problema della sorte del “figlio” che non è figlio e si chiede se il suo interesse non sia sacrificato dall’esclusione di quel pur falso rapporto genitoriale che la maternità surrogata ha procurato. E quasi a dar spiraglio a una “giustizia del giorno dopo”, dice che un possibile rimedio non è escluso, ad esempio mediante il pertugio della «adozione in casi particolari» a favore del genitore “intenzionale”. In queste riflessioni c’è una parte positiva e una parte ambigua.

            La parte positiva è l’attenzione perdurante all’interesse del bambino, anche quando l’acqua è sporca. Ma allora questo interesse bisogna risvegliarlo prima, e intendere dapprincipio che la «dignità violata» si riferisce, certo, alla donna ridotta – per contratto – a “fattrice”, ma anche al bambino. Perché troppi dimenticano di guardare sin dall’inizio pure alla dignità del bambino, ridotto a sua volta a strumento del “desiderio” dei committenti, che viene al mondo e perde all’istante la relazione fondamentale della sua vita, quella con la madre che l’ha portato in grembo, e la sua nascita è un abbandono, cioè un morire? Il rimedio migliore non pare quello di suggerire adozioni speciali e spicce, o sananti come si usa nella patria dei condoni e degli sconti.

            Il rimedio è dare serietà dissuasiva e non aggirabile alla norma, così esaltata dalla Consulta e oggi ancora dalla Cassazione in modo definitivo. Sì, dare serietà dissuasiva, una buona volta, anche se la norma è violata e fa vittime fuori confine: giusto per non fare più vittime, mai più.

Giuseppe Anzani        Avvenire        9 maggio 2019

www.avvenire.it/opinioni/pagine/il-senso-pieno

 

Valutare l’interesse del minore? Il tribunale è meglio dell’anagrafe

Una scelta di prudenza e di buon senso per mettere al primo posto l’interesse del minore ferma restando l’impossibilità di trascrizione all’anagrafe dell’atto di figliazione del bambino nato con la maternità surrogata. Così Cristina Maggia, presidente del Tribunale dei minorenni di Brescia, legge il no della Cassazione alla maternità surrogata ma la confermata legittimazione del ricorso all’articolo 44 della legge 183, 4 maggio 1984.

www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaDettaglioAtto/originario?atto.dataPubblicazioneGazzetta=1983-05-17&atto.codiceRedazionale=083U0184&elenco30giorni=false

In particolare del comma “d” della norma, dove si parla di adozione in casi speciali. Come se le sezioni unite del-la Cassazione, nel ribadire il divieto all’utero in affitto, pratica non contemplata dalla nostra legislazione, indicassero una strada per la tutela di un bambino comunque esistente, comunque legato da rapporti affettivi non solo con il genitore biologico ma, probabilmente, anche con quello che nella sentenza pubblicata ieri si definisce “intenzionale”. «E per garantire questa tutela il giudice ha senza dubbio a sua disposizione strumenti più efficaci rispetto all’ufficiale dell’anagrafe», osserva il magistrato.

Quali sono le possibilità previste da questa ormai famigerata lettera “d” articolo 44 della legge 184 che, secondo la Cassazione, apre la strada all’adozione per le coppie omosessuali?

La legge dice all’articolo 44, lettera “d” che l’adozione in casi speciali è possibile «quando vi sia la constata impossibilità di un affidamento preadottivo». Il caso tipico è questo: un bambino in affido familiare per un tempo molto prolungato che ha consolidato rapporti molto stretti con la famiglia affidataria, anche se non esistono i requisiti necessari per l’adozione legittimante, può comunque essere adottato.

Questo vale anche per i single?

Sì, nel caso in cui ci sia un legame affettivo forte, costruito negli anni e che quindi non sarebbe giusto spezzare.

E nel caso delle coppie omogenitoriali?

Prima che alcuni Comuni iniziassero a trascrivere gli atti registrati all’estero, ritenendo legittima questo tipo di genitorialità, il genitore “sociale” poteva chiedere l’adozione del figlio del partner, genitore biologico, ai sensi dell’articolo 44. La Cassazione non ha fatto altro che ribadire questo orientamento, peraltro già presente nei pronunciamenti della stessa Corte. Nel 2016, per esempio, aveva fatto ricorso al concetto di “paradigma di non discriminazione” in riferimento ai genitori omosessuali per spiegare la questione dell’applicabilità dell’articolo 44, lettera “d”. Anche se gli orientamenti dei vari tribunali rimangono diversi.

Per applicare questo articolo occorrono comunque verifiche da parte del giudice?

Certo, per questo la Cassazione spiega che non possono essere i Comuni a registrare “in automatico” gli atti di nascita prodotti da uno Stato estero. Sia perché la questione della maternità surrogata è insuperabile per la nostra legislazione, sia perché l’Ufficiale dell’anagrafe non ha gli strumenti per verificare la bontà di queste relazioni, Come fa il Comune ad accertare che tipo di legame è stato costruito con quel bambino, se i genitori sono persone adeguate, se le rispettive famiglie sono a posto? Impossibile.

Quindi la Cassazione legittima in qualche modo il ricorso all’articolo 44 anche per le coppie omosessuali?

Non dobbiamo dimenticare che al primo posto c’è sempre l’interesse del minore. E non si tratta di una figura ipotetica, ma di un bambino esistente, in carne e ossa, che ha stretto rapporti significativi con due genitori. Quindi la Corte dice, in sostanza: la maternità surrogata è vietata ma noi dobbiamo apprezzare caso   se quel legame che si è costruito è positivo per quel bambino e se è giusto considerarlo figlio di tutti e due, proprio per tutelarlo al meglio. Per questo possiamo applicare l’articolo 44, lettera “d” nell’ambito di una valutazione giurisdizionale.

Non si poteva fare diversamente?

Non lo so, certo si tratta di una scelta prudente e condivisibile. Tocca al giudice valutare se nell’interesse di quel bambino l’articolo della legge può essere applicato. Altrimenti tutto è consentito. Anche andare all’estero con le motivazioni più consumistiche, anche alimentare le “Fabbriche di bambini”.

L’articolo 44 non finirà per essere una via più breve per adottare un bambino?

No, il giudice dovrà comunque incaricare i servizi sociali di fare tutte le verifiche del caso. Si dovrà capire se quei legami sono davvero solidi, si dovranno verificare i rapporti con le famiglie d’origine. C’è davvero una capacità genitoriale? Ci sono motivazioni serie? Nel migliore dei casi è necessario un anno, un anno e mezzo. Forse di più.

Luciano Moia Avvenire         9 maggio 2019

www.scienzaevita.org/wp-content/uploads/2019/05/9-L.-Moia-Avvenire.pdf

 

Così la Corte dei diritti umani indicò la strada dell’adozione

La sentenza della Cassazione ricorda per diversi aspetti quella emanata dalla Corte europea dei diritti umani (Cedu) il 10 aprile 2019 scorso. Pronunciandosi sul caso di una coppia francese, eterosessuale e coniugata, i Mennesson, la Corte aveva stabilito che gli Stati non hanno l’obbligo di trascrivere pedissequamente nel registro dello stato civile il certificato dello Stato estero in cui è nato il bambino attraverso la maternità surrogata. Il «genitore intenzionale», a differenza del genitore naturale (biologico), non può far valere tout court il riconoscimento legale acquisito all’estero, se nel suo Paese esistono norme che non lo prevedono. Però gli Stati hanno il dovere, questo sì, di riconoscere attraverso altre vie e in modo rapido il legame filiale del bambino con il «genitore intenzionale». La Cedu aveva espressamente indicato, nel caso specifico francese – ma creando un punto di riferimento giurisprudenziale – «l’adozione del bambino da parte della madre intenzionale». Una indicazione che ora sembra essere stata in qualche modo «recepita» dalla Cassazione italiana.

A Ma        Avvenire         9 maggio 2019

www.scienzaevita.org/wp-content/uploads/2019/05/9-L.-Moia-Avvenire.pdf

 

Figli di due padri all’estero: no alla trascrizione in Italia

La Cassazione non esclude la possibilità dell’adozione in casi particolari

Il principio di diritto. Le Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione hanno affermato il principio secondo cui non può essere trascritto nei registri dello Stato civile italiano il provvedimento reso da un giudice estero, col quale è stato accertato il rapporto di filiazione tra un minore, nato all’estero attraverso la maternità surrogata, e un soggetto che, rispetto al medesimo, non vanta alcun rapporto biologico.

            La vicenda. Il massimo consesso civile, risolvendo il quesito posto dalla Prima Sezione civile della Corte con l’ordinanza interlocutoria n. 4382 del 22 febbraio 2018, ha respinto l’istanza volta al riconoscimento dell’efficacia del provvedimento straniero, riguardante due bambini concepiti da uno dei membri di una coppia omosessuale mediante ricorso alla procreazione medicalmente assistita.

www.altalex.com/documents/news/2018/02/26/genitorialita-di-due-padri-all-estero

Il ruolo della donna. Nella vicenda hanno cooperato anche due donne: una aveva messo a disposizione gli ovociti, l’altra aveva portato avanti la gestazione.

Il principio di ordine pubblico. Secondo il supremo consesso di legittimità, il riconoscimento del rapporto di filiazione con l’altro componente della coppia omosessuale collide col divieto della surrogazione della maternità (ex articolo 12, comma VI, Legge n. 40, 19 febbraio 2004),

www.fecondazioneeterologaitalia.it/legge-40-aggiornata-tutte-modifiche

individuando in norma siffatta un principio di ordine pubblico che tutela due valori distinti: la dignità della gestante, l’istituto giuridico dell’adozione.

            La valutazione di compatibilità con l’ordine pubblico. Altresì, è stato posto in rilievo che la compatibilità con l’ordine pubblico, richiesta per il riconoscimento ad opera della Legge n. 218, 31 maggio 1995, deve valutarsi alla stregua del modo con cui principi siffatti hanno trovato attuazione: nell’ordinamento interno, nell’ermeneutica giurisprudenziale.

            L’adozione in casi particolari. In conclusione, è stato precisato che i valori tutelati dal divieto in questione, e ritenuti dallo stesso legislatore prevalenti sull’interesse del minore, non escludono la possibilità di dare rilievo al rapporto genitoriale, ricorrendo, tuttavia, ad ulteriori strumenti messi a disposizione dall’ordinamento, quale ad esempio l’adozione in casi particolari (articolo 44, comma I, lettera d), Legge n. 184, 4 maggio 1983).      www.camera.it/_bicamerali/leg14/infanzia/leggi/legge184%20del%201983.htm

Redazione Altalex, 9 maggio 2019   sentenza

www.altalex.com/documents/news/2019/05/08/figli-di-due-padri-all-estero-no-alla-trascrizione-in-italia

 

Cassazione. No alla trascrizione in Italia per bambini con “due papà”

Corte di Cassazione, Sezioni unite civili, sentenza n. 12193, 8 maggio 2019

Non può essere trascritto nei registri dello stato civile italiano il provvedimento di un giudice straniero con cui è stato accertato il rapporto di filiazione tra un minore nato all’estero mediante il ricorso alla maternità surrogata e un soggetto italiano che non abbia con lo stesso alcun rapporto biologico (c.d. genitore d’intenzione).

            Lo hanno deciso le Sezioni Unite della Corte di cassazione con la sentenza n. 12193, pubblicata in data odierna, la quale ha rigettato la domanda di riconoscimento dell’efficacia del provvedimento riguardante due minori concepiti da uno dei componenti di una coppia omosessuale mediante il ricorso alla procreazione medicalmente assistita con la collaborazione di due donne, una delle quali aveva messo a disposizione gli ovociti mentre l’altra aveva provveduto alla gestazione (la madre surrogata).

            La Corte ha ritenuto che il riconoscimento del rapporto di filiazione con l’altro componente della coppia si ponesse in contrasto con il divieto della surrogazione di maternità, previsto dall’art. 12, comma sesto, della legge n. 40 del 2004, ravvisando in tale disposizione un principio di ordine pubblico posto a tutela della dignità della gestante e dell’istituto dell’adozione.

            In proposito, è stato chiarito che la compatibilità con l’ordine pubblico, richiesta ai fini del riconoscimento dagli artt. 64 e seguenti della legge n. 218 del 1995, dev’essere valutata alla stregua non solo dei principi fondamentali della Costituzione e di quelli consacrati nelle fonti internazionali e sovranazionali ma anche del modo in cui gli stessi hanno trovato attuazione nella legislazione ordinaria, nonché dell’interpretazione fornitane dalla giurisprudenza.

            È stato tuttavia precisato che i valori tutelati dal divieto, ritenuti dal legislatore prevalenti sull’interesse del minore, non escludono la possibilità di attribuire rilievo al rapporto genitoriale, mediante il ricorso ad altri strumenti giuridici, quali l’adozione in casi particolari, prevista dall’art. 44, comma primo, lett. d), della legge n. 184 del 1983.

            Nella sostanza, dunque, vengono confermati (e ulteriormente sviluppati) i principi espressi in un’altra sentenza di Cassazione in tema di utero in affitto (anche se, allora, il caso concreto riguardava una coppia etero): la 24001/2014, che già 5 anni fa aveva ritenuto il divieto di surrogazione di maternità “certamente di ordine pubblico”.

dirittocivilecontemporaneo.com/wp-content/uploads/2014/12/Cass.-1-novembre-2014-n.-24001-Est-De-Chiara.pdf

A motivare la decisione sul punto, allora, era intervenuta l’osservazione per cui il divieto di maternità surrogata è assistito dalla “sanzione penale”, che “di regola” è “posta appunto a presidio di beni giuridici fondamentali”.

E quali fossero questi beni, la pronuncia lo spiega nel dettaglio: “Vengono qui in rilievo la dignità umana, costituzionalmente tutelata, della gestante – si legge in sentenza -, e l’istituto dell’adozione, con il quale la surrogazione di maternità si pone oggettivamente in conflitto”. Ed è a questo punto che la Suprema Corte dimostra come le sue osservazioni non si pongano in contrasto con “la tutela del superiore interesse del minore”.

            Anzi: proprio questa salvaguardia vuole garantire “il legislatore italiano”, laddove ha deciso di attribuire “la maternità a colei che partorisce”, e di affidare “all’istituto dell’adozione, realizzato con le garanzie proprie del procedimento giurisdizionale, piuttosto che al semplice accordo delle parti, la realizzazione di una genitorialità disgiunta dal legame biologico”.

            Sulla scorta di tali principi, confermati dalla sentenza di oggi, risultano dunque illegittime tutte le trascrizioni – effettuate da alcuni sindaci italiani, tra cui quello di Roma, Virginia Raggi – di atti di nascita relativi a bimbi nati da maternità surrogata, e lo stesso vale per tutte le altre pronunce territoriali – tra cui la Corte d’Appello di Trento – che avevano obbligato altri Comuni a riconoscere la piena genitorialità di coppie con bebè proveniente da utero all’estero.

            La pronuncia a Sezioni Unite, infatti, pur non avendo tecnicamente valore di legge, costituisce un precedente da cui molto difficilmente possono discostarsi tutte le magistrature locali, a cominciare dai tribunali. Tra l’altro – particolare importante, in passato più volte messo in discussione – la stessa sentenza chiarisce una volta per tutte che sull’utero in affitto non c’è alcun vuoto normativo, avendo il nostro ordinamento una posizione assolutamente univoca.

            E quando ammette la possibilità, all’interno delle coppie gay, di veder garantito il rapporto di filiazione attraverso la cosiddetta “adozione in casi particolari”, fa riferimento a un istituto giuridico con conseguenze ben diverse rispetto alla trascrizione di un atto di nascita. Tale adozione, infatti, non è legittimante, limitandosi a istituire uno status personale tra adulto e piccolo.

Marcello Palmieri      Avvenire        8 maggio 2019

www.avvenire.it/famiglia-e-vita/pagine/cassazione-no-alla-trascrizione-in-italia-per-bambini-con-due-papa

 

Quel che non può il Comune con la trascrizione può il giudice con l’adozione

Corte di Cassazione, Sezioni unite civili, sentenza n. 12193, 8 maggio 2019

www.cortedicassazione.it/cassazione-resources/resources/cms/documents/12193_05_2019_no-index.pdf

La sentenza della Cassazione ha certamente il pregio di ribadire il divieto della maternità surrogata contenuto all’art. 12 della legge 40/2004, di ancorare tale divieto all’ordine pubblico interno, di richiamare il principio della dignità della gestante e di precludere – proprio perché si tratta di una pronuncia delle Sezioni unite civili – ogni improprio aggiramento di tali norme e principi. “Il giudice non può sostituire la propria valutazione”, dice la Suprema Corte, al bilanciamento effettuato dal Parlamento.

            Lascia invece a desiderare l’apertura che nella sentenza si trova alla estensione della c.d. stepchild adoption ai casi di maternità surrogata: quel che non è consentito all’ufficiale dello stato civile, cioè il riconoscimento come figlio dei “committenti” del nato da maternità surrogata, parrebbe consentito col ricorso all’adozione da parte degli stessi “committenti”.

            Il messaggio che viene dato, ridotto alla sostanza, è che – ferma restando la preclusione in Italia dell’utero in affitto – la coppia che lo desideri può recarsi all’estero per ottenere un bambino da maternità surrogata e poi renderlo proprio giuridicamente attivando la procedura adottiva: un messaggio pilatesco, visto che conduce comunque a un esito di legittimazione, se pure per altra via, della maternità surrogata. Andrebbe poi spiegato alle coppie che attendono da anni un bambino, avendo attivato una procedura di adozione, perché una condotta vietata dalla legge la rende in concreto possibile, mentre per via ordinaria l’adozione resta complicatissima ed eventuale.

            Il Parlamento ha bisogno di altro per intervenire con una legge che scongiuri in modo chiaro la pratica dell’utero in affitto?

Centro studi Livatino            8 maggio 2019

www.centrostudilivatino.it/pilatesca-la-sentenza-delle-sezioni-unite-sulla-maternita-surrogata

 

Cassazione. Una sentenza buona a metà

«La sentenza è apprezzabile nella parte in cui ribadisce la illiceità della maternità surrogata» commenta il presidente del Movimento per la vita, Marina Casini Bandini. «Tuttavia essa è gravemente criticabile nella parte in cui indaga sui principi fondamentali dell’ordinamento. Il matrimonio è fondato sulla diversità sessuale e il bambino ha come principale interesse avere un padre e una madre.

            «La dimenticanza di questi principi rende debole tutto l’ordinamento giuridico in materia di matrimonio e di filiazione. Bisogna dunque recuperare la verità del matrimonio e della filiazione ed è questo un compito prioritario nel momento attuale.

«Anche il riferimento all’adozione è improprio. L’adozione ha lo scopo di perseguire l’interesse del minore ad avere un padre e una madre e la cosiddetta adozione in casi particolari non può diventare l’escamotage per far passare “step child adoption”

Daniele Nardi             Comunicati Stampa MPV      10 maggio 2019

www.mpv.org/2019/05/10/cassazione-una-sentenza-apprezzabile-a-meta

 

Corte EDU e maternità surrogata

Su richiesta della Corte di Cassazione francese i giudici della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo sono stati chiamati, per la prima volta, a pronunciarsi sulla richiesta di parere preventivo proposto in base al nuovo Protocollo n. 16 alla Convenzione EDU, entrato in vigore ad agosto del 2018. Si tratta di un parere non vincolante, neppure con riferimento al caso giudiziario dal quale è scaturita la richiesta di parere alla Corte di Strasburgo; né tale parere può avere la stessa efficacia giurisprudenziale delle sentenze della Corte Edu, che, come è noto, costituisce il diritto vivente della Convenzione dei diritti dell’uomo, al di là della risoluzione del singolo ricorso. Ciò non di meno, il parere può certamente orientare a livello interpretativo l’autorità politica e gli organi giudiziari dei Paesi aderenti alla Convenzione. Va sul punto precisato che l’Italia, dopo aver sottoscritto il “Protocollo 16”, non ha ancora provveduto a ratificare con legge tale accordo internazionale – essendovi non poche perplessità sulle sue ricadute -, per cui i giudici italiani non possono al momento avvalersi dello strumento della richiesta di parere preventivo non vincolante.

            Il caso in questione è di particolare importanza perché riguarda il tema, controverso anche in Italia (si è in attesa del deposito di una pronuncia delle Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione), della trascrizione degli atti di nascita formati in Paese dove è possibile praticare la maternità surrogata, vietata in Italia (e pure in Francia), anche con sanzione penale, per il grave disvalore che tale pratica provoca alla dignità delle donne: di chi si presta a mettere a disposizione l’ovulo e di chi effettua una gestazione per altri, in entrambi i segmenti della procedura di regola a fronte di un corrispettivo in denaro.

            Nel caso oggetto del procedimento giudiziario avanti alla Cassazione francese, da cui la richiesta di parere alla Corte di Strasburgo, il bambino era nato all’estero attraverso un accordo di maternità surrogata, su richiesta di una coppia eterosessuale, ed era stato concepito utilizzando i gameti del padre biologico e di una donatrice terza; peraltro la relazione giuridica genitore-figlio con il padre biologico era stata già riconosciuta nel diritto interno. Rimaneva invece controverso il riconoscimento formale, tramite trascrizione dell’atto di nascita formatosi all’estero, della relazione di filiazione tra il minore e la madre cosiddetta intenzionale, indicata nel predetto atto di nascita secondo la lex loci. Tale preteso riconoscimento secondo i ricorrenti troverebbe tutela nell’art. 8 della Convenzione, ossia nella specie il diritto al rispetto della vita privata del bambino.

            I giudici di Strasburgo hanno stabilito con il parere (Corte europea diritti dell’uomo, Opinion 10 aprile 2019 (n. 28932/14) quanto segue:

  1. Il diritto del minore al rispetto della vita privata ai sensi dell’articolo 8 della Convenzione EDU richiede che la legge nazionale preveda la possibilità di riconoscimento della relazione giuridica con il “genitore sociale”, legalmente indicata nel certificato di nascita rilasciato all’estero come “madre legale”;
  2. Il diritto del bambino al rispetto della vita privata non richiede che tale riconoscimento assuma la forma dell’iscrizione nel registro degli atti di nascita, matrimonio e decesso dei dati del certificato di nascita legalmente redatto all’estero; il riconoscimento, secondo la Corte EDU, può avvenire in altro modo, ad esempio con l’adozione del minore da parte della madre intenzionale.

In particolare si è affermato, a sostegno delle suddette conclusioni, che la Corte “…considera inoltre che l’articolo 8 della Convenzione non imponga l’obbligo generale per gli Stati di riconoscere ab initio un legame di filiazione tra il bambino e la madre intenzionale. Ciò che richiede l’interesse superiore del minore è che il legame, regolarmente accertato all’estero, possa essere riconosciuto al più tardi quando si è concretizzato. Non spetta alla Corte, ma alle autorità nazionali, valutare, alla luce delle circostanze particolari del caso di specie, se e quando tale legame si sia concretizzato.

            Non si può dedurre dall’interesse superiore del minore che il riconoscimento del legame di filiazione tra il minore e la madre intenzionale imponga agli Stati di procedere alla trascrizione dell’atto di nascita straniero in quanto lo stesso indica la madre intenzionale come madre legale. Questo interesse superiore può essere perseguito adeguatamente con altri mezzi, tra cui l’adozione che, per quanto riguarda il riconoscimento di questo legame, produce effetti della stessa natura della trascrizione dell’atto di nascita straniero. Tuttavia, è importante che le modalità previste dal diritto interno garantiscano l’effettività e la celerità della loro attuazione, conformemente all’interesse superiore del minore”. A breve faremo seguire su questo a questa prima informazione un commento.

Segue traduzione del Comunicato della Corte EDU              omissis

Centro Livatino         6 maggio 2019

www.centrostudilivatino.it/corte-edu-e-maternita-surrogata

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                                                                    MEDIAZIONE

Percorso terapeutico ordinato dal giudice se i conflitti danneggiano i figli

Corte di Cassazione, sesta sezione civile, ordinanza n. 11842, 6 maggio 2019

www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_34508_1.pdf

Il giudice ha facoltà di predisporre un percorso psicoterapeutico di coppia volto a superare le difficoltà riscontrate qualora i conflitti tra i genitori siano a tal punto elevati da porre a rischio la salute psico-fisica e lo sviluppo dei figli minori.

Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, pronunciandosi sul ricorso di una madre che si era vista respingere dalla Corte d’Appello i reclami proposti contro la decisione resa in primo grado dal Tribunale della stessa città. Il primo giudice aveva disposto l’affidamento condiviso della figlia minore ad entrambi i coniugi, disciplinando il diritto del padre a vedere la bambina e riducendo il mantenimento spettante alla piccola.

            La Corte territoriale aveva altresì disposto che il consultorio familiare territorialmente competente prendesse in carico la famiglia predisponendo per loro un percorso di sostegno psicologico per la minore e di supporto alla genitorialità di ambo le parti e che il Servizio Sociale monitorasse il nucleo familiare.

            La ricorrente ritiene, tra l’altro, che il giudice abbia condizionato le parti imponendo loro di effettuare un percorso psicoterapeutico di coppia volto a supportare la genitorialità di entrambi, ledendo altresì il loro diritto di autodeterminazione.

Una doglianza ritenuta dagli Ermellini manifestamente infondata. Il giudice a quo, si legge in sentenza, si è limitato a ritenere opportuno che i genitori provvedessero a una mediazione familiare, per superare le difficoltà riscontrate. Si tratta, secondo la Corte, di uno specifico compito affidato al giudice in simili situazioni a tutela del pieno interesse della minore.

La giurisprudenza di legittimità, in merito all’art. 155 c.c. e in tema di provvedimenti riguardo ai figli nella separazione personale dei coniugi, ha chiarito che al giudice è concesso fissare le modalità della loro presenza presso ciascun genitore e di adottare ogni altro provvedimento a essi relativo, attenendosi al criterio fondamentale rappresentato dal superiore interesse della prole, che assume rilievo sistematico centrale nell’ordinamento dei rapporti di filiazione fondato sull’art. 30 della Costituzione. L’esercizio in concreto di tale potere, secondo la Cassazione, deve costituire espressione di conveniente protezione (art. 31, comma 2, Cost.) del preminente diritto dei figli alla salute e alla crescita serena ed equilibrata, potendo assumere anche profili contenitivi dei rubricati diritti e libertà fondamentali individuali ove le relative esteriorizzazioni determinino conseguenze pregiudizievoli per la prole che vi presenzi, compromettendo la salute psico-fisica e lo sviluppo (cfr. Cass. n. 6546 2012, come confermato da Cass. n. 12954/2018).

            Pertanto, conclude la Corte, l’indicazione contenuta nel decreto impugnato è ritenuta ineccepibilmente aderente al dettato normativo avendo i giudici d’appello assunto a parametro di riferimento l’interesse preminente della minore. Interesse che, all’esito dell’insindacabile valutazione discrezionale delle risultanze istruttorie, sorretta da puntuale e adeguato riscontro argomentativo, i giudici hanno ritenuto a rischio di pregiudizio per la elevata conflittualità genitoriale sulla quale è possibile preventivamente incidere prevenendo così altri gravi danni alla minore.

Lucia Izzo Studio Cataldi      10 maggio 2019

www.studiocataldi.it/articoli/34508-mediazione-familiare-ordinata-dal-giudice-se-i-conflitti-danneggiano-i-figli.asp

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PARLAMENTO

Camera Deputati. Commissione Giustizia (II). Assegno divorzile

Pdl AC506. Alessia Morani, (avvocato civilista). Modifiche all’articolo 5 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, in materia di assegno spettante a seguito di scioglimento del matrimonio o dell’unione civile.

            http://documenti.camera.it/leg18/pdl/pdf/leg.18.pdl.camera.506.18PDL0010090.pdf

Presentata il 12 aprile 2018, assegnata 10 luglio 2018, relatore Alessia Morani

Parere delle Commissioni: I Affari Costituzionali, XI Lavoro e XII Affari sociali

Esame in Commissione iniziato il 31 gennaio 2019

                Iter                                  www.camera.it/leg18/126?tab=4&leg=18&idDocumento=506&sede=&tipo=

9 maggio 2019. La Commissione ha concluso l’esame in sede referente della proposta di legge, concernente l’assegno spettante a seguito di scioglimento del matrimonio o dell’unione civile. Il provvedimento passa ora all’esame dell’Assemblea.

www.camera.it/leg18/824?tipo=C&anno=2019&mese=05&giorno=09&view=&commissione=02&pagina=data.20190509.com02.bollettino.sede00020.tit00010#data.20190509.com02.bollettino.sede00020.tit00010

Il testo della proposta di legge C. 506, risultante dall’esame in Commissione Giustizia, modifica la disciplina sull’assegno divorzile (art. 5 della legge n. 898 del 1970), con effetto anche sui procedimenti per lo scioglimento e la cessazione degli effetti civili del matrimonio già in corso.

www.altalex.com/documents/leggi/2012/06/27/disciplina-dei-casi-di-scioglimento-del-matrimonio

In particolare, si prevede che con la sentenza di divorzio il tribunale possa disporre l’attribuzione di un assegno tenuto conto di una serie di circostanze, individuate dal medesimo testo in esame. Rispetto alla normativa vigente, la riforma elimina il presupposto che collega il diritto di uno dei due coniugi a percepire l’assegno quando sprovvisto di mezzi adeguati. La discrezionalità del giudice nell’attribuzione dell’assegno, dunque, non è più ancorata al presupposto della debolezza economica di uno dei due coniugi. Con riguardo alle circostanze che il giudice deve valutare ai fini della decisione sull’attribuzione dell’assegno, la proposta inserisce parametri parzialmente diversi da quelli che attualmente valgono a determinare il quantum da riconoscere al coniuge economicamente più debole.

 In particolare: l’attuale ampio concetto di “condizioni dei coniugi” è sostituito da quello più specifico di “condizioni personali ed economiche in cui i coniugi vengono a trovarsi a seguito della fine del matrimonio” e sono esplicitate come circostanze autonome l’età e lo stato di salute del richiedente; il richiamo attuale alle ragioni che hanno motivato la cessazione del matrimonio è soppresso; la valutazione della situazione economica non è più circoscritta al solo reddito ma è estesa anche  al patrimonio dei coniugi; peraltro, per quanto riguarda il reddito, la riforma specifica che si deve tener conto del reddito netto; sono confermati gli altri elementi già considerati dalla normativa vigente; la durata del matrimonio è tuttavia indicata nella proposta di legge come elemento valutativo autonomo; sono aggiunti ulteriori elementi di valutazione quali l’impegno di cura personale di figli comuni minori o disabili o non economicamente indipendenti; la ridotta capacità di reddito dovuta a ragioni oggettive anche in ragione della mancanza di una adeguata formazione professionale, quale conseguenza dell’adempimento di doveri coniugali.

Si tratta sostanzialmente di un rafforzamento, mediante il riconoscimento con legge, di specifici elementi di valutazione già operanti in sede giurisprudenziale. La proposta di legge inoltre introduce un’altra innovazione all’attuale disciplina prevedendo che, ove la ridotta capacità di produrre reddito da parte del coniuge richiedente sia momentanea (“dovuta a ragioni contingenti o superabili”), il tribunale possa attribuire l’assegno anche solo per un periodo determinato. Afferma che l’assegno non è dovuto in caso di nuovo matrimonio, nuova unione civile o stabile convivenza del richiedente e precisa che il diritto all’assegno non rivive a seguito della cessazione del nuovo vincolo o del nuovo rapporto di convivenza. Conferma l’applicazione delle nuove disposizioni sull’assegno di divorzio anche allo scioglimento delle unioni civili.

Camera dei Deputati   9 maggio 2019

www.camera.it/temiap/documentazione/temi/pdf/1160134.pdf?_1557821641610

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PROCREAZIONE ASSISTITA

Crioconservazione: si può attribuire il cognome del padre morto?

La Corte di Cassazione è chiamata a pronunciarsi in ordine alla attribuibilità del cognome del padre alla bambina nata a seguito di crioconservazione, dopo la morte del padre medesimo. Pubblichiamo le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale della Cassazione cons. Luisa De Renzis, per il rigetto della richiesta, a sua volta formulata dalla madre della minore, perché contiene interessanti considerazioni sul contrasto dell’istanza con la legislazione italiana. Daremo conto dell’esito della pronuncia della Suprema Corte, non appena la sentenza verrà depositata.

Procura generale della Corte di Cassazione   estratto

(…)  Il tribunale di ZZ, nel respingere il ricorso, ha rilevato che l’oggetto del giudizio non è quello di stabilire se XX sia il padre biologico della bambina, ma di accertare se sia legittimo o meno il diniego dell’ufficiale di stato civile di iscrivere la paternità della minore nell’atto di nascita, secondo quanto richiesto dalla parte ricorrente.

Il tribunale ha affermato che non competeva all’ufficiale dello stato civile di iscrivere nell’atto la paternità biologica della bambina sulla base della dichiarazione della sola madre, non essendo ammissibile e consentito allo stesso una indagine sulla rilevanza probatoria della documentazione relativa alla procreazione medicalmente assistita allegata alla richiesta di formazione dell’atto di nascita, trattandosi di attività di valutazione delle prove della paternità e di accertamento dello status esulante dai suoi compiti istituzionali.

Ancora, il tribunale ha rilevato come la diversa impostazione seguita dalla parte ricorrente non sia coerente con l’art. 241 c.c., che ammette la prova della filiazione con ogni mezzo, ma solo nell’ambito di un giudizio, e che i diritti della minore sono comunque preservati perché l’atto di nascita è stato formato e la madre può ricorrere ad altri strumenti processuali diretti a far constatare la paternità e ad ottenere l’attribuzione del cognome paterno, con la conseguenza che non è ravvisabile alcuna violazione della giurisprudenza anche comunitaria, che valorizza l’attribuzione dello “status” come strumento di tutela della identità dell’individuo e del rispetto alla vita familiare ex art. 8 CEDU.

All’esito del reclamo, anche la corte di appello di ZZ (decreto n. 1214/2018), con analoghe motivazioni, affermava la correttezza del rifiuto opposto dall’ufficiale dello stato civile di iscrivere nell’atto di nascita della bambina la paternità sulla base delle dichiarazioni della madre.

Propone ricorso per cassazione XX in proprio e nella qualità di esercente la responsabilità genitoriale sulla figlia minore.

(…)      In via preliminare, in considerazione della rilevanza della questione giuridica e della vicenda umana ad essa sottesa, che investe la tematica del procedimento di PAR (“postmortem assisted reproduction”) e lo stato giuridico del figlio nato “postumo”, si chiede la rimessione del ricorso alle Sezioni Unite della Corte di cassazione perché riguardante una questione di particolare importanza. (…)

La controversia, della quale non vanno ignorate le delicate vicende umane, introduce importanti spunti di riflessione sulle ricadute civilistiche della fecondazione “post mortem”, tecnica peraltro non consentita nel nostro stato. In questo contesto, occorre ragionare sul profilo dell’attribuzione automatica della paternità e sugli impedimenti per l’ufficiale dello stato civile che, sulla base delle dichiarazioni ricevute dalla madre, dovrebbe provvedere a redigere l’atto di nascita con il cognome del padre. (…)

Gli interrogativi giuridici che la questione pone suggeriscono dunque la richiesta di una preliminare rimessione della questione all’esame delle Sezioni Unite anche in relazione al valore da attribuire al consenso scritto (rilasciato in vita dal marito e dal padre) per il futuro utilizzo del seme criocongelato e sulla idoneità e validità di tale consenso ad essere recepito automaticamente nell’atto di nascita al fine di configurare lo stato di figlio (nato nel matrimonio) e di attribuire, al contempo, i correlati diritti successori. In relazione al consenso va accertato se tale elemento consensuale sia da correlare alla sola pratica di fecondazione (una sorta di consenso informato di tipo medico), ovvero se il consenso possa essere esteso anche ai profili ulteriori, connessi per l’appunto all’attribuzione dello stato e all’attribuzione del diritto a succedere. (…)

Il problema giuridico sconta, come è ovvio, una complessa ricostruzione sistematica sia perché la fecondazione “post mortem” è una pratica che risulta proibita in Italia, ma anche in altri stati, non solo dell’Unione Europea, sia perché, nella esplicitazione del divieto a livello normativo (legge 40/2004), diventa arduo scorgere l’esistenza di un percorso giuridico lineare, che non passi attraverso l’accertamento giudiziale dello “status” e che si fermi al procedimento di rettifica dell’atto di nascita con il correlato accertamento incidentale relativo all’accertamento dello stato ed ai correlati conseguenti effetti sul diritto successorio. (…)

Ancora, sempre nell’intento di ricostruire il panorama normativo applicabile al caso in esame, occorre interrogarsi sulla valenza della legge 40/2004 ed in particolare dell’art. 8 della citata legge, nella parte in cui si afferma che “i nati a seguito dell’applicazione delle tecniche di procreazione assistita hanno lo stato di figli nati nel matrimonio e riconosciuti dalla coppia che ha espresso la volontà di ricorrere alle tecniche medesime”.

La portata (espansiva ed alternativa) di tale norma è tale da poterla applicare anche alle tecniche espressamente vietate dalla stessa legge nella quale è inserita? (…)

Si tratterebbe di un sistema giuridico alternativo, volto a regolamentare in via autonoma, o meglio speciale, lo “status filiationis” con una deroga alle norme del codice civile, le quali conserverebbero intatta la loro valenza giuridica per le sole ipotesi di filiazione naturale, ovvero non assistita medicalmente. (…)

Ne consegue che l’operazione estensiva, per quanto la si possa sostenere ed auspicare, si pone pur sempre al di fuori del testo di legge. (…)

Del resto, anche a voler ragionare in ottica di interpretazione estensiva e fare riferimento alle pratiche in uso presso altri paesi dell’Unione Europea [Spagna]e non, deve osservarsi come il panorama giuridico sulla fecondazione assistita “post mortem” è estremamente variegato, trattandosi di pratica non consentita nemmeno in tutti i paesi dell’Unione Europea, con la conseguente difficoltà di fare uso della nozione di “ordine pubblico internazionale” al fine di valutare e considerare quale sia il giusto limite all’applicazione del diritto straniero anche sotto il profilo temporale. (…)

Il preminente interesse del minore, nel caso in esame, appare comunque tutelato dall’ordinamento interno sia perché l’atto di nascita è stato formato, con l’attribuzione del cognome materno e con la relativa attribuzione dello “status”, sia perché l’ordinamento italiano appresta appositi strumenti processuali per l’accertamento giudiziale della paternità e per l’attribuzione del cognome paterno proprio nei casi in cui non sia possibile valersi delle presunzioni legali.

Ne consegue che non è ravvisabile un contrasto con la giurisprudenza comunitaria, né con la giurisprudenza riferita a fattispecie di maternità surrogata e di rifiuto della trascrizione dell’atto di nascita già formato all’estero poiché si tratta comunque di situazioni diverse da quella oggetto del presente giudizio. (…)

Il divieto della fecondazione assistita “post mortem”, dalla quale trarrebbero origine i profili di illegittimità costituzionale, è certamente riferibile ad una comprensibile opzione del legislatore, peraltro comune ad alcuni paesi dell’Unione Europea. La decisione impugnata correttamente afferma tale principio, rilevando che “la mancata previsione della fecondazione assistita post mortem, dalla quale traggono origine i diversi profili di illegittimità costituzionale dedotti, è ricollegabile ad una scelta del legislatore che appare giustificata dalla esigenza di garantire al nascituro il diritto al benessere psicofisico del medesimo mediante il suo inserimento e la sua permanenza in un nucleo familiare ove siano presenti entrambi le figure genitoriali”.

Chiede che la Corte di Cassazione;

  • In via preliminare, proceda alla rimessione del presente procedimento all’esame delle Sezioni Riunite della Corte di Cassazione;
  • In via subordinata, rigetti il ricorso con le conseguenze previste dalla legge.

                                                     Il Sostituto Procuratore Generale     Luisa De Renzis

Centro studi Livatino                                 6 maggio 2019

www.centrostudilivatino.it/crioconservazione-si-puo-attribuire-il-cognome-del-padre-morto

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SESSUOLOGIA

Virgili: l’amore è l’essere l’uno per l’altra

In una recente intervista di Raffaella De Santis su ‘Repubblica’ intitolata Il sesso? Troppo facile, provate l’amore, il filosofo sloveno Slavoj Žižek tesse un elogio del romanticismo e si scaglia, con la forza della logica, contro l’individualismo imperante nel campo dell’amore e del sesso, che oggi porta al cosiddetto poliamore. «Ci diamo appuntamento su Tinder o su altri siti di incontri e ci illudiamo così di tenere a bada le passioni. È orribile, vogliamo innamorarci senza mai perdere il controllo. Altro che poliamore e sessualità libera: non ci credo. In inglese si usa il termine ‘to fall in love’, letteralmente ‘cadere nell’amore’. Il vero amore è una caduta, uno shock totale. L’amore è molto più radicale del sesso. Il sesso può essere brutale, pragmatico, una risposta ai nostri bisogni immediati. L’amore ha invece un aspetto sublime, totale. Per questo quando amiamo accettiamo tutto, anche i difetti del partner. Perché non è una semplice prestazione».

Critico della società capitalistica, neomarxista e lacaniano, Žižek spesso utilizza metafore religiose e non disdegna dialogare con pensatori cristiani come John Milbank, col quale ha scritto un libro su Gesù e san Paolo. Alla teoria del poliamore, che si è affermata negli ultimi decenni in Occidente, dedica un capitolo assai eloquente la teologa e biblista Rosanna Virgili in un suo libretto, Qual è il tuo nome?, pubblicato da Qiqajon (pagine 116, euro 10).

Ma cosa si intende per poliamore? Ne parlò la prima volta la femminista americana e leader di una comunità neopagana Morning Glory Zell-Ravenheart nel 1990, mentre nel 1997 uscì il primo volume che ne provocò la diffusione: il titolo era The ethical slut. A guide of infinity sexual possibilities e vendette 200mila copie. Autrici ancora due donne statunitensi, le sessuologhe Janet Hardy e Dossie Easton. Si tratta di una teoria in cui individualismo e consumismo sono portati all’estremo e che proclama il diritto di tutti, sia di chi vive in coppia stabile sia di chi è single, eterosessuale o omosessuale, alle relazioni amorose e sessuali multiple, ove tutti i partner sono consenzienti.

Come ben spiega Virgili, il motivo di questa scelta «sta nella fatica di avere solo un rapporto monogamico e di avvertire questo come una forzatura dei propri desideri e della propria natura». Chi sostiene questa teoria insomma punta tutto sul diritto dell’individuo a vivere in totale ‘libertà’ la sua dimensione sessuale; non solo, in tal modo si pretende di eliminare la logica del possesso che sarebbe alla base dell’amore tradizionale vissuto all’interno di una coppia. La teologa non ha difficoltà a smontare questo complesso di costruzioni mentali a partire dalla storia, dato che nelle culture poligamiche il senso di proprietà dell’uomo rispetto alla donna era ed è enormemente accentuato: la poligamia non serve altro che ad accrescere il senso di proprietà di un uomo, sia attraverso le donne che attraverso i figli o i beni materiali. «Il superamento della poligamia – si legge nel libro è stato storicamente una grande vittoria delle donne, diventate con la monogamia non più proprietà ma coniugi del loro marito, quindi soggetti liberi e non possedibili al pari di loro».

E non è vero nemmeno che l’esclusività del rapporto fra due persone coniugate comporti per forza una relazione possessiva: «In realtà succede il contrario: le coppie monogamiche in cui emerge la possessività sono destinate ad esplodere, non possono resistere». In ogni relazione amorosa si può essere possessivi. Ma quello che manca al poliamore è proprio la dimensione del noi: al centro c’è l’idea della persona ridotta a essere individuale, il cui corpo ha pulsioni e bisogni sessuali che devono essere soddisfatti. Punto e basta. Sparisce completamente la dimensione dell’eros, dell’amore come dono di sé all’altro, e tutto è considerato lecito. Sempre Virgili ricorda la concezione dell’amore elaborata dalla cultura ebraico-cristiana: l’essere l’uno per l’altra. «I due formeranno una carne sola» è scritto in Genesi per immaginare non un rapporto di potere ma di reciproco amore, rifiutando di ‘consumare’ l’altro come se fosse un oggetto e solo per soddisfare il proprio piacere. La biblista esplora poi il concetto di corpo e anima in san Paolo per aiutarci a ridefinire cosa significa oggi parlare di identità, in un excursus che va da Mosè a Ulisse, da Pirandello a Dostoevskij. Una rilettura di testi sapienziali e letterari che ci permette di capire meglio quanto sia essenziale ancor oggi abbattere le barriere che separano uomini e donne, ma anche popoli e culture. Partendo innanzitutto da noi stessi, dalla capacità di vincere il senso di estraneità che possiamo vivere fra il nostro corpo e la nostra anima per arrivare poi a scoprire l’altro, sia vicino che lontano.

Roberto Righetto       “Avvenire”     7 maggio 2019

www.lapartebuona.it/wp-content/uploads/2019/05/Craig-Morrison-Che-cosa-c%C3%A8-nel-nome-Farisei-Avvenire-7-5-2019.pdf

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SINODALITÀ

Il futuro della chiesa è nella sinodalità

Papa Francesco, in modo autorevole e con grande frequenza, parla della necessità di vivere la sinodalità nella chiesa di oggi. A suo avviso, vivere e instaurare la sinodalità nella chiesa non è solo l’urgenza maggiore, ma proprio dalla pratica della sinodalità dipende il futuro della chiesa e il rimedio per molte patologie che oggi appaiono devastanti e dolorose. Dopo il concilio Vaticano II eravamo abituati a parlare di “collegialità” episcopale e presbiterale, mentre il termine “sinodalità” raramente era presente nel linguaggio ecclesiale cattolico. E quando si evocava la sinodalità, lo si faceva in riferimento alle istituzioni delle chiese orientali-ortodosse, indicando con il termine “sinodo-sinodalità” la loro forma di governo. È significativo che negli annidi passaggio tra i due millenni sia stato delineato e presentato prima a Giovanni Paolo II e poi a Benedetto XVI un progetto per un sinodo permanente che fosse accanto al vescovo di Roma, per accompagnarlo nel suo ministero petrino di sollecitudine per tutte le chiese. Questo progetto venne elaborato da alcuni tra i più grandi teologi ed ecclesiologi e fu portato all’attenzione dei due papi con grande speranza. È così che il sinodo era pensato e desiderato, quale rinnovamento della forma di governo della chiesa.

Una volta diventato vescovo di Roma, Francesco, dopo aver fatto alcuni riferimenti alla forma sinodale quale assetto delle chiese ortodosse, dalle quali trarre insegnamento, ha cominciato a usare il termine “sinodo-sinodalità” con un significato molto più esteso: sinodo è un processo, è una modalità di vivere la chiesa; sinodo è il cammino ecclesiale che tutti devono fare insieme, perché i cristiani sono compagni di viaggio, “sinodali”; sinodo è l’espressione della fraternità dei battezzati; sinodo è la forma più visibile della comunione; sinodo è anche liturgia, essendo un atto di un’assemblea santa, sacramentale.

Occorre dunque assumere una concezione del sinodo e della sinodalità che vada oltre il significato di un evento puntualmente celebrato: la sinodalità come stile di vita ecclesiale, come processo simbolico, perché battezzati e gerarchia la vivono insieme, come processo pericoretico, perché si nutre della circolarità tra tutte le componenti della chiesa. Sì, va ammesso che non eravamo pronti a tale comprensione della sinodalità, e proprio per questo da un lato dobbiamo riconoscere un ritardo della riflessione teologica in merito, dall’altro dobbiamo confessare una reale difficoltà ad approdare a questa nuova comprensione indicata da papa Francesco. A tale proposito, sarebbe molto importante la meditazione e la preghiera dell’Adsumus [siamo qui davanti] un’orazione con cui da più di un millennio in occidente si aprono le assemblee sinodali [recitata all’inizio di ogni sessione del concilio vaticano II]. In questo testo, che è una vera epiclesi [invocazione]sull’assemblea, è infatti presente una “confessio peccatorum ecclesiae”, dunque una “penitenza” in cui la chiesa si riconosce peccatrice ma sa anche porsi in ascolto della parola di Dio e in ascolto reciproco tra fratelli e sorelle, per cercare attraverso il discernimento fatto insieme la sinfonia spirituale nelle valutazioni e nelle decisioni.

Sia però chiaro: in questa comprensione, un sinodo non può essere un’assemblea riservata ai “quadri”, alla gerarchia, a quanti sono a capo di gruppi o istituzioni, ma è un’assemblea dei battezzati in cui ognuno e tutti devono essere ascoltati, devono confrontarsi nel dialogo che non esclude i conflitti, devono trovare convergenze nella carità fraterna ecclesiale, devono produrre una deliberazione a cui obbedire. Questo secondo l’antico principio ecclesiale “quod omnes tangit, ab omnibus tractari et approbari debet”; “ciò che riguarda tutti, da tutti deve essere discusso e approvato”. Per comprendere il processo sinodale, occorre affermare innanzitutto e sempre che la sinodalità può solo essere un cammino fatto insieme dai cristiani, sotto l’egemonia dello Spirito santo promesso dal Signore Gesù Cristo alla sua chiesa. Il sýn (insieme, con) non implica solo che i cristiani camminino insieme ma coinvolge anche l’azione dello Spirito santo che, invocato, scende, ispira e accompagna l’intero processo sinodale. O il sinodo è un evento in cui è lo Spirito ad avere il primato e ad agire, oppure non è un sinodo della chiesa, ma solo un’adunanza, un’assemblea, un’istituzione sociale. Perché nel sinodo deve sempre avvenire una “conversione del cuore”, un’ispirazione che indica, in-segna, mostra e rivela qual è il cammino della chiesa secondo la volontà di Dio. Detto altrimenti, deve trattarsi di un predisporre tutto affinché lo Spirito santo possa portare a termine il lavoro iniziato.

 Quali sono dunque le tappe da percorrere come “processo sinodale”?

  • All’inizio sta l’ascolto: ascolto della chiesa, ascolto nella chiesa, ascolto del mondo inteso quale umanità. Sempre emergono bisogni, sfide, crisi, conflitti che vanno in primo luogo letti e ascoltati, non tralasciati né rimossi. Tutto il popolo di Dio deve esercitare questa vigilanza e stare in ascolto. Gli Atti degli apostoli testimoniano che la sinodalità è stata percorsa dalla chiesa nascente già per ricostituire il gruppo dei Dodici mutilato dopo il tradimento di Giuda (cf. At 1,15-26).
  • Poi si è compiuto un cammino sinodale per risolvere il conflitto sorto tra giudei ed ellenisti nella ripartizione e condivisione dei beni (cf. At 6,1-7), e lo stesso è avvenuto di fronte alla minaccia di uno scisma nella comunità cristiana tra missionari evangelizzatori dei pagani e la comunità dei giudeocristiani di Gerusalemme (cf. At 15,1-35).
  • Si tratta dunque di saper leggere e ascoltare la realtà con le sue inattese criticità. Ascoltare diventa dunque ascoltarsi l’un l’altro, nella volontà di imparare qualcosa dall’altro e di accogliersi reciprocamente: l’ascolto di tutti, membri forti o deboli, giusti o peccatori, intelligenti o semplici, giudei o greci, uomini o donne, è una confessione pratica e una celebrazione dell’unità dei battezzati in Cristo. Tutti hanno la stessa dignità di figli e figlie di Dio e perciò di fratelli e sorelle di Gesù Cristo: “un solo corpo, un solo spirito, una sola vocazione” (cf. Ef 4,4), un’unica comunione ecclesiale! La chiesa è una fraternità (adelphótes: 1Pt 2,17; 5,9), i cristiani sono “pietre vive dell’edificio spirituale” (1Pt 2,5) che è la chiesa e in ciascuno di loro è presente lo Spirito santo, l’unctio magistra, quel “fiuto” – dice papa Francesco – che li abilita a narrare le meraviglie compiute dal Signore, a riconoscere la sua azione e a vivere la propria esistenza come dinamica del Regno.
  • Comunità profetica, sacerdotale e regale, la chiesa si nutre della corresponsabilità di tutti, nella pluralità dei doni e dei ministeri donati dallo Spirito santo a ciascuno. Il cammino sinodale è il cammino di questa realtà che vuole percorrere la stessa strada, restare unita in una comunione reale, per giungere alla stessa meta: il regno di Dio. Prendere la parola è dunque essenziale nella vita della chiesa, perché significa comunicare, entrare in un confronto, in un dialogo che plasma quanti si ascoltano reciprocamente e crea in loro solidarietà e corresponsabilità. Così la sinodalità è generativa di una coscienza ecclesiale, di una fede pensata e motivata che rende ogni battezzato protagonista della vita e della missione della chiesa.
  • In questo ascolto “orizzontale” deve sempre essere presente l’ascolto del Vangelo, di “ciò che lo Spirito dice alle chiese” (cf. Ap 2 passim). Voglio dire “in questo ascolto” dei fratelli e delle sorelle, e non “accanto a questo ascolto”, perché non è possibile separare l’ascolto intra-umano dall’ascolto di Dio. Dio ci parla negli eventi, negli incontri con gli altri, nello spessore del quotidiano, sia che ascoltiamo la sua parola nella liturgia o nella lectio divina, sia che incontriamo i nostri fratelli e sorelle in umanità. Certo, per quanto riguarda l’ascolto occorre distinguere tra il versante liturgico e il contatto diretto con la Parola contenuta nelle Scritture, da una parte, e il versante dei segni dei tempi, della storia, della vita quotidiana, dall’altra.
  • Resta in ogni caso vero che questo primo passo dell’ascolto reciproco e della presa della parola è oggi il più difficile e faticoso, perché la sinodalità richiede obbedienza al Vangelo, appartenenza ecclesiale, formazione continua, disponibilità al mutamento e alla creatività: non siamo esercitati a questo ascolto e anche nelle comunità monastiche, che dovrebbero essere case e scuole di sinodalità, in realtà questa operazione è difficile, talmente difficile da cedere il posto a una generale

Enzo Bianchi  “Vita Pastorale”       maggio 2019

www.monasterodibose.it/fondatore/articoli/articoli-su-riviste/12983-il-futuro-della-chiesa-e-nella-sinodalita

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UNIONE CONSULTORI ITALIANI PREMATRIMONIALE E MATRIMONIALI

            Soggetti disabili – sentimenti e sessualità

Le difficoltà sono il pane quotidiano e sembrano accompagnare tutta la vita di questi bambini. Si capisce benissimo lo scoraggiamento a cui queste difficoltà possono portare, come si comprende il desiderio, a volte, di gettare la spugna non solo da parte della persona e della famiglia interessata ma anche, e questo è molto più grave, da parte degli operatori e della società.

Tuttavia queste stesse difficoltà possono e devono essere lette anche come una sfida alla persona colpita, alla sua famiglia e anche a tutti noi. Sfida alla nostra capacità di accettazione, alla nostra apertura mentale, alla nostra duttilità e intelligenza; sfida inoltre, io credo, tanto più interessante quanto più difficile da affrontare e risolvere.

Ebbene, anche la sua vita affettiva e sessuale è una sfida: al nostro buon senso, al nostro perbenismo e al nostro moralismo che si può e si deve combattere e vincere. Per affrontare questo problema dobbiamo prima comprendere che cosa spinge l’essere umano a un rapporto affettivo e sessuale di coppia.

            Un ragazzo si avvicina a una ragazza, un uomo a una donna spinto da varie pulsioni interiori: una di queste è la paura della solitudine. Nessun essere vivente è fatto per essere solo. La solitudine intristisce e fa rinsecchire e morire lentamente un uomo o una donna, così come un qualunque altro essere vivente, che ha bisogno dell’altro per iniziare a vivere, per aprirsi al mondo, ma anche per camminare nel mondo.

            Accanto a questo elemento c’è il bisogno di protezione, di aiuto, di conforto, di sicurezza. C’è il bisogno di un dialogo intimo con un altro essere umano a cui aprire il nostro cuore quando capiamo che quello saprà accoglierlo e accettarlo.

            Ma ancora più importante ci appare il bisogno del piacere e della gioia che caratterizzano e sono così abbondanti nello scambio affettivo e sessuale; pulsioni che sono fondamentali per la crescita fisica e della personalità.

            Da non dimenticare, poi, il desiderio di far fiorire altre vite umane, il desiderio di costruire una nuova famiglia e di esprimere se stessi, abbandonando il ruolo filiale, per diventare marito o moglie, padre o madre.

            Ma anche fattori inconsci ci spingono l’uno nelle braccia dell’altro. Ritroviamo questi fattori inconsci nella ricerca di quella parte di noi che non abbiamo o non conosciamo, perché di un altro sesso, perché assente nella nostra personalità o perché non accettata o rifiutata da una parte del nostro io.

            Questa perdita di una parte di sé e questo bisogno di unione con quella parte inconscia e nascosta della propria anima, è stata ben simbolizzata nella Bibbia con la perdita della costola di Adamo e con il suo bisogno di unirsi a Eva.

Da quanto abbiamo detto ci appare difficile pensare che una persona, solo perché deficitaria in una o più funzioni possa fare a meno, rinunciare o cancellare da sé questi bisogni umani fondamentali. Dobbiamo quindi, e questa è la sfida, annotare le difficoltà allo stesso modo con cui dobbiamo studiare le possibilità, in modo tale da diminuire le prime e rendere sempre più concrete le seconde, fino a far diventare attuale e concreta anche per queste persone una vita relazionale, affettiva e sessuale la più ricca e umana possibile.

            Vi sono sicuramente dei limiti. Molti di essi derivano dalla disabilità stessa che rende difficile un impegno così pieno di responsabilità, di implicazioni e coinvolgimenti emotivi. Altri limiti nascono dalle ridotte possibilità di scelta che ha il disabile rispetto al giovane normale, quando sboccia in lui e si manifesta impetuoso il bisogno di amare e di essere amato.

            Ma ci sono limitazioni che nascono dal legame particolare che spesso si stabilisce tra i genitori e il figlio con problemi. Molti di questi genitori, infatti, vedono il figlio come qualcuno che chiede e ha continuamente bisogno degli altri e non come qualcuno che è capace di dare e di staccarsi pienamente dal legame affettivo con i propri genitori e la famiglia di origine per intraprendere una vita affettivo – relazionale autonoma.

            Questa possibilità, da parte dei genitori, ma anche degli operatori, non solo non viene vista come obiettivo possibile, ma anzi viene negata o rifiutata quando nasce o si manifesta.

            Molte altre restrizioni provengono sicuramente dall’ambiente sociale. In questo, specie nelle persone cosiddette “benpensanti”, è spesso presente e serpeggia un immotivato o eccessivo senso di sfiducia, ogni volta che un giovane disabile parla, sogna, si avvicina o intraprende un cammino affettivo sentimentale o peggio sessuale con un’altra persona normale o no.

            C’è in questa sfiducia la paura ancestrale di tutto ciò che è diverso o che esce dai classici canoni di “normalità”. Tale distruttivo e castrante atteggiamento viene giustificato con la possibilità, che è sicuramente reale in alcuni casi, ma non in molti altri, di conseguenze genetiche negative per la prole, oppure con la difficoltà che questi giovani riescano a gestire un rapporto così complesso come quello sentimentale, coniugale o familiare.

            Pur tenendo conto di queste e altre limitazioni che sicuramente esistono e che non devono essere sottovalutate, i genitori, i familiari e gli educatori, devono riuscire però a porsi come obiettivo il graduale superamento dei reali problemi presenti e la conquista da parte del minore di relazioni affettive sempre più valide, complete e coinvolgenti. Essi devono inoltre impegnarsi, giorno dopo giorno, fin dall’infanzia ad educare il giovane disabile in questi aspetti così importanti della realtà umana, in modo da renderlo pronto ad affrontarli e viverli con pienezza nel momento in cui si presenteranno o saranno richiesti.

            Nasceranno infatti sicuramente, e molto presto, sentimenti d’amicizia che hanno bisogno, per essere vissuti pienamente, di buone capacità di dialogo e di ascolto, ma anche di disponibilità al sostegno, alla comprensione e all’aiuto della persona che ci è vicina.

            A questi seguiranno i rapporti sentimentali veri e propri, per i quali è necessario aver sviluppato nel giovane o nella ragazza disabile una grande capacità di amare e di donare. Dovrà essere inoltre maturo in questi giovani, come in tutti, il rispetto per la vita, accanto alla capacità di sacrificio.

            Infine, dovrà essere ben sviluppato il giusto senso di responsabilità. Responsabilità verso se stessi e gli altri, tanto più grande quando si manifestano i primi impulsi sessuali, che non vanno sicuramente repressi ma educati ed indirizzati in modo tale che diventino non solo fonte di gioia e di piacere, ma anche strumento di dialogo, unione e crescita reciproca.

        Per tale motivo, educare al senso di responsabilità significa anche saper accettare dei limiti, se ci sono, oppure riuscire ad affrontarli e superarli insieme, mano nella mano, se possibile.

Emidio Tribulato Messina     3 maggio 2019

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