NewsUCIPEM n. 750 – 21 aprile 2019

NewsUCIPEM n. 750 – 21 aprile 2019

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Unione Consultori Italiani Prematrimoniali E Matrimoniali

ucipem@istitutolacasa.it                                         www.ucipem.com

“Notiziario Ucipem” unica rivista ufficiale – registrata Tribunale Milano n. 116 del 25.2.1Supplemento on line. Direttore responsabile Maria Chiara Duranti. Direttore editoriale Giancarlo Marcone

News gratuite si propongono di riprendere dai media e inviare informazioni, di recente acquisizione, 2019che siano d’interesse per gli operatori dei consultori familiari e quanti seguono nella società civile e nelle comunità ecclesiali le problematiche familiari e consultoriali.

Sono così strutturate:

ü  Notizie in breve per consulenti familiari, assistenti sociali, medici, legali, consulenti etici ed altri operatori, responsabili dell’Associazione o dell’Ente gestore con note della redazione {…ndr}.

ü  Link diretti e link per download a siti internet, per documentazione.

I testi, anche se il contenuto non è condiviso, vengono riprese nell’intento di offrire documenti ed opinioni di interesse consultoriale, che incidono sull’opinione pubblica.

La responsabilità delle opinioni riportate è dei singoli autori, il cui nominativo è riportato in calce ad ogni testo.

Il contenuto delle news è liberamente riproducibile citando la fonte.

In ottemperanza alla direttiva europea sulle comunicazioni on-line (direttiva 2000/31/CE), se non desiderate ricevere ulteriori news e/o se questo messaggio vi ha disturbato, inviateci una e-mail all’indirizzo: newsucipem@gmail.com con richiesta di disconnessione.

Chi desidera connettersi invii a newsucipem@gmail.com la richiesta indicando nominativo e-comune d’esercizio d’attività, e-mail, ed eventuale consultorio di appartenenza.       [Invio a 1.508 connessi]

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02 ABUSI                                                            Benedetto XVI: scandali sessuali e riforma della Chiesa.

03.                                                                        L’austerità mette in pericolo la Chiesa.

04                                                                          Ordini di protezione contro gli abusi familiari.

06 ADOZIONE INTERNAZIONALE              Ragazzi adottati: 7 su 10 sono sistematicamente bullizzati.

07 ADOZIONI INTERNAZIONALI                               Kenya chiede la riapertura delle adozioni internazionali.

08                                                                          Ai. Bi. autorizzata a operare in Nigeria.

09 AFFIDAMENTO FIGLI                               Madre senza lavoro: spetta affidamento figli?

10 ALIENAZIONE PARENTALE                     La madre perde la figlia se sussistono gli 8 sintomi.

10 AMORIS LÆTIZIA                                      Gli appunti di Benedetto XVI “correggono” Amoris lætitia.

11                                                                          Un canto del cigno triste e inopportuno.

12 ASSEGNO DIVORZILE                              Assegno di divorzio alla ex 43enne disoccupata.

13                                                                          Divorzio: se l’ex moglie non lavora che fare?

14 CENTRO INTERN. STUDI FAMIGLIA   Newsletter CISF – n. 15, 17 aprile 2019.

16 CHIESA CATTOLICA                                  Crisi ecclesiale e pregiudizio teologico.

18                                                                          Il Messia che rimane.

19 CHIESE EVANGELICHE                            Il ’68 alla radice di ogni male morale?

22 CITAZIONI                                                    Fulton Sheen: l’amore è personale, ma il sesso è sociale.

22 CITTÀ DEL VATICANO                              Mi sento chiamata ad aiutare la Chiesa, come religiosa e donna.

23 COMM.ADOZIONI INTERNAZ.             Nuove statistiche sulle adozioni: primo semestre 2018.

24 CONFERENZE CONVEGNI programmiMilano. Generatività nella coppia – Tra desiderio e limite.

24                                                       Roma. XVII convegno nazionale Scienza & Vita.

24                                                                          Rimini. Centro Studi Erickson. Adolescenti tra disagi e opportunità.

25                                                                          Somma Lombardo. Riforma 3°settore -riforma sanitaria Lombardia

25 CONGRESSI-CONVEGNI–SEMINARI Discutere di famiglia senza intolleranze.

26 CONSULTORI FAMIL. CATTOLICI        CIF Laurenziano di Firenze. «Noi uomini. Papà e Figlio».

27 CONSULTORI UCIPEM                             Cremona. Incontri “Siamo padri”.

27 DALLA NAVATA                                         Domenica di Pasqua – Anno C – 21 aprile 2019.

28                                                                          Non cercate tra i morti Colui che è vivo.

28 DIRITTI                                                          Diritto all’indipendenza affettiva.

29 DIVORZIO                                                    Coniuge straniero irreperibile.

31 ENTI TERZO SETTORE                               Chiarimenti sull’individuazione delle attività di interesse generale

31 FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI    Il Fattore Famiglia arriva in Piemonte!

32                                                                          Sportello Unico della Famiglia, la proposta firmata Acli in Sicilia.

32 GARANTE INFANZIA-ADOLESCENZA                Il 10% dei minorenni in Italia ha genitori di origini immigrate.

33                                                                          I numeri, la condizione femminile e le buone prassi

34                                                                          Documento studio e proposta sull’inclusione e la partecipazione.

35 MATERNITÀ SURROGATA                     No automatismi nel riconoscimento, in mancanza legami biologici.

36 MIGRANTI                                                   Il decalogo sulle false credenze sulle popolazioni migranti.

37 PARLAMENTO                                            Audizione informale di Scienza & Vita.

37 PEDAGOGIA                                                               Per essere genitori serve una buona organizzazione.

38 SEPARAZIONE                                            Separazione per disturbo bipolare.

39                                                                          Separazione fittizia.

40 SESSUOLOGIA                                            La nota “a luci rosse” di s. Tommaso d’Aquino che non avete letto

41                                                                          Gay da curare? Antiscientifico Il nostro sesso è nel cervello

42                                                                          Sessualità, questa sconosciuta.

43 SINODALITÀ                                                non è il Sinodo: servono tempi lunghi per uno stile nuovo.

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Carta dell’U.C.I.P.E.M.

Approvata dall’Assemblea dei Soci il 20 ottobre 1979. Promulgata dal Consiglio direttivo il 14 dicembre 1979.

  1. Fondamenti antropologici

1.1 L’UCIPEM assume come fondamento e fine del proprio servizio consultoriale la persona umana e la considera, in accordo con la visione evangelica, nella sua unità e nella dinamica delle sue relazioni sociali, familiari e di coppia.
1.2 L’UCIPEM si riferisce alla persona nella sua capacità di amare, ne valorizza la sessualità come dimensione esistenziale di crescita individuale e relazionale, ne potenzia la socialità nelle sue diverse espressioni, ne rispetta le scelte, riconoscendo il primato della coscienza, e favorendone lo sviluppo nella libertà e nella responsabilità morale.
1.3 L’UCIPEM riconosce che la persona umana è tale fin dal concepimento.

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ABUSI

Benedetto XVI: scandali sessuali e riforma della Chiesa

La pedofilia non è certo un prodotto della rivoluzione sessuale, e Ratzinger sa bene che pedofili ve ne sono stati anche prima, ma nemmeno la tanto decantata liberazione sessuale (quella del far sesso “con chi voglio e come voglio, quando e quanto voglio”), figlia di quella rivoluzione, ha prodotto vera libertà, quella che “benedice” la sessualità, ne coglie bellezza e verità e ne rispetta la grammatica. Semmai ha illuso e sedotto anche chi avrebbe dovuto sapere ove abita la gioia pura dell’incontro. Quella libertà che, invece, hanno poi manifestato le vittime, che proprio in quel tempo hanno iniziato a parlare, provocandoci a chiederci: quanto vangelo c’è in una chiesa ove non solo l’altro è violato, ma ove più forte è la preoccupazione di difendersi che non di capire il dramma da essa stessa causato?

            La questione degli abusi sessuali nella Chiesa è davvero complessa per quanto riguarda radici e conseguenze, responsabilità e vie d’uscita. Nulla di strano che se ne diano spiegazioni diverse, purché alla fine ci si ritrovi a lottare assieme.

            È in questa ottica che leggiamo, al di là di posizioni preconcette e fuorvianti, l’intervento del papa emerito sugli scandali sessuali. Un intervento col quale Benedetto intende dare il proprio apporto alla spinosissima questione, e lo fa col proprio stile e sensibilità, e grazie alla sua ricca esperienza. Dunque anche con la credibilità che merita chi a suo tempo ebbe il coraggio di cambiare radicalmente un certo approccio clerical-difensivo al problema. Strano che qualcuno lo dimentichi.

Si tratta comunque, per esser precisi, non d’un testo analitico vero e proprio, ma di “appunti”, come li chiama l’estensore stesso, note che non pretendono esser complete né conclusive.

www.acistampa.com/story/la-chiesa-e-lo-scandalo-degli-abusi-sessuali-testo-integrale-11148

È chiaro, ad esempio, che nella lettura di Ratzinger di tali eventi e della loro storia manchino una prospettiva sistemica e una conseguente identificazione di responsabilità a vario livello, o non si faccia riferimento alle vittime (se non in un solo accenno indiretto), o non sia sottolineato il legame tra abuso di potere e di coscienza, e non s’accenni alla cultura dell’abuso e della sua copertura, o al fenomeno del clericalismo.

            Ma chi può negare la verità della sua osservazione che identifica la radice profonda della crisi (anche) nella cosiddetta “etica della situazione”, per la quale “non c’era più il bene, ma solo ciò che sul momento e a seconda delle circostanze è relativamente meglio”? Con pesanti ripercussioni anche all’interno della chiesa e nella coscienza di chi era chiamato a esser formatore di coscienze. Chi di noi lavora nel settore conosce –ahimè- lo sconcerto dinanzi al prete abusatore che si chiede cos’abbia fatto poi di male, o che non ha mai chiesto perdono a nessuno (e non parliamo di casi patologici). Ma tuttora c’è tra noi chi trova eccessivo tutto questo “mea culpa”.

            Certo gli abusi non sono causati solamente da una crisi d’autorità o dal generale clima di permissivismo morale-sessuale del ‘68, ma – di nuovo – come non vedere una conseguenza di tutto ciò in quello stile di mediocrità che progressivamente ha tolto passione ed entusiasmo pure alla vita del prete, facendogli cercare gusto e bellezza della sua scelta in ciò che la smentisce e deforma?

            L’autorità ha senso solo e perché fa crescere e dà certezze, ma – stiamo sempre più scoprendo – se manca o è debole e ambigua in un cammino formativo espone stranamente il futuro presbitero ad abusare d’essa e del proprio ruolo, cadendo in quelle forme di clericalismo disperato che cerca il potere sull’altro.

            E ancora, la pedofilia non è certo un prodotto della rivoluzione sessuale, e Ratzinger sa bene che pedofili ve ne sono stati anche prima, ma nemmeno la tanto decantata liberazione sessuale (quella del far sesso “con chi voglio e come voglio, quando e quanto voglio”), figlia di quella rivoluzione, ha prodotto vera libertà, quella che “benedice” la sessualità, ne coglie bellezza e verità e ne rispetta la grammatica. Semmai ha illuso e sedotto anche chi avrebbe dovuto sapere ove abita la gioia pura dell’incontro. Quella libertà che, invece, hanno poi manifestato le vittime, che proprio in quel tempo hanno iniziato a parlare, provocandoci a chiederci: quanto vangelo c’è in una chiesa ove non solo l’altro è violato, ma ove più forte è la preoccupazione di difendersi che non di capire il dramma da essa stessa causato?

            Grazie a loro questo potrebbe esser un momento di grazia. Ma lo sarà se tutti ci sentiamo coinvolti in questa riforma della Chiesa e diamo il nostro apporto, ognuno dal suo punto di vista, in quanto tutti responsabili, perché in essa ogni gesto e affetto siano trasparenza dell’amore del Padre.

Amedeo Cencini         Agenzia SIR               15 aprile 2019

https://agensir.it/chiesa/2019/04/15/benedetto-xvi-scandali-sessuali-e-riforma-della-chiesa

 

L’austerità mette in pericolo la Chiesa

La consegna del silenzio che di fatto vige, almeno nella Chiesa ufficiale, sugli aspetti teologici, culturali, ecclesiologici e pastorali dello scritto di Benedetto XVI per una rivista per il clero tedesco, Klerusblatt, non impedisce di valutarne i risvolti politici. Non tanto sul piano degli equilibri intraecclesiali, che lascio ai colleghi vaticanisti, quanto sul profilo pubblico della Chiesa cattolica in Italia

Nel testo del Papa emerito emerge nitida la critica a una Chiesa che sembra apparire desiderosa di uniformarsi ai canoni del politicamente corretto, a rischio di sembrare diluita nelle pur importanti cause di questo, come l’ecologismo, l’europeismo o l’attenzione verso il dramma dei migranti. Anche nel fare doverosamente pulizia al proprio interno da crimini orrendi si dà più l’impressione, scrive papa (emerito) Ratzinger, di «considerare la Chiesa addirittura come qualcosa di malriuscito che dobbiamo decisamente prendere in mano noi stessi e formare in modo nuovo». Ma l’illusione di fare «una Chiesa migliore creata da noi stessi», osserva il papa tedesco, riduce la Chiesa ad esser «in gran parte vista solo come una specie di apparato politico» e «una Chiesa fatta da noi non può rappresentare alcuna speranza».

Questo mi sembra il passaggio centrale del saggio di papa Ratzinger nella prospettiva di una sua lettura laica e storico-politica. Vi si scorge la consapevolezza (profetica?) dell’enorme rischio cui la Chiesa cattolica va incontro, in conseguenza del suo apparire ai cittadini prevalentemente come organizzazione politica e umanitaria.

Per valutare tale rischio in tutta la sua possibile portata occorre la capacità di guardare oltre il muro dell’illusione nell’ingiustificata speranza che il pilota automatico delle regole europee e la guida impolitica del Paese egemone, la Germania riunificata, possano dare una risposta alla crisi che dilaga in Europa. Non lo possono fare poiché di tale crisi sono la causa principale. Di quella crisi che, come ha affermato Chiara Tintori (curatrice di un libro-intervista a padre Bartolomeo Sorge, Perché il populismo fa male al popolo), «ha fatto la sua comparsa nel 2008, provocando una contrazione produttiva e delle opportunità di lavoro, portando con sé un aumento costante delle disuguaglianze».

Molte e diverse voci ormai – da papa Francesco a economisti come Paul De Grauwe, giornalisti come Federico Rampini e persino esponenti dell’alta finanza come Carlo De Benedetti – dimostrano coscienza del fatto che l’attuale ciclo economico deflazionista è giunto al capolinea. Alcuni fra loro ci avvertono che l’attuale sistema fondato sul primato della moneta sulla persona umana e sulla democrazia non risulta più sostenibile. Restando all’Italia, ciò che si prospetta per i prossimi anni, se si proseguirà, come tutto lascia intendere – anche il DEF da poco varato – sulla linea dell’austerità, che somma al disagio dei poveri quello della classe media che precipita, è quello che l’economista Nino Galloni ha definito una “prospettiva libica”, di diffuso caos sociale, di guerra per bande e anarchia dilagante, essendo il popolo italiano, a differenza di quello francese, incapace di ribellarsi per un’ideale di giustizia universale, ma piuttosto incline a perseguire il proprio “particulare”.

In un tale scenario che ci si augura di non dover mai vedere, ma che purtroppo rientra tra gli sviluppi più probabili, a causa di lunghi anni di politiche tragicamente miopi e sbagliate, il popolo inferocito da una crisi economica di cui non è colpevole ma vittima, finirebbe per cercare i suoi capri espiatori. E siccome già nel presente, da parte dei veri responsabili della crisi si possono osservare delle manovre per addossare alla Chiesa la responsabilità di quanto sta succedendo, una Chiesa percepita come un tutt’uno con l’establishment politico–economico–mediatico (anche se così non è nei fatti, almeno per quei tanti cristiani che stanno vicino agli ultimi e costituiscono il popolo ancor più dimenticato dei penultimi), finirebbe per esporsi facilmente come bersaglio dell’enorme scontento popolare. Una Chiesa che appare soprattutto come un apparato politico rischia di divenire bersaglio di nuove persecuzioni.

«La Chiesa di oggi è come non mai una Chiesa di martiri e così testimone del Dio vivente». Per le cronache attuali questa affermazione di Benedetto XVI sembra valere principalmente per dei contesti extraeuropei. Ma nel giro di pochi anni rischia di potersi riferire anche all’Italia, e all’Europa, e le fiamme che hanno devastato Notre Dame, se non vi sarà un deciso e netto cambio di direzione nelle politiche economiche e monetarie, potrebbero ben presto trasformarsi in un simbolo che prefigura ciò che la Chiesa cattolica potrebbe dover patire nell’intera Europa, incendiata e dissestata dall’austerità.

Giuseppe Davicino     Rinascita popolare     16 aprile 2019

www.associazionepopolari.it/APWP/2019/04/16/lausterita-mette-in-pericolo-la-chiesa/#post-

 

Ordini di protezione contro gli abusi familiari

Gli ordini di protezione contro gli abusi familiari sono quei provvedimenti che il giudice, su istanza di parte, adotta con decreto per ordinare la cessazione della condotta del coniuge o di altro convivente che sia “causa di grave pregiudizio all’integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell’altro coniuge o convivente” (art. 342 bis c.c.).

  1. La normativa di riferimento. La disciplina relativa agli ordini di protezione contro gli abusi familiari è relativamente recente, in quanto introdotta con la Legge 4 aprile 2001, n. 154, a seguito della quale il codice civile è stato arricchito degli artt. 342 bis e ter, mentre nel codice di procedura civile ha visto la luce l’art. 736 bis.
  2. I presupposti. L’art. 342 bis, c.c. prevede che gli ordini di protezione contro gli abusi familiari vengano disposti “quando la condotta del coniuge o di altro convivente è causa di grave pregiudizio all’integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell’altro coniuge o convivente”. Alla base dei provvedimenti ex art. 342 ter, c.c., pertanto, vi sono due distinte circostanze:
  3. La convivenza. L’applicazione delle misure di protezione presuppone che la vittima ed il soggetto cui viene addebitato il comportamento violento vivano all’interno della medesima casa, in quanto l’art. 5 della L. 154/2001 fa esclusivo riferimento al nucleo costituito dai familiari conviventi. Tale considerazione muove dal fatto che gli ordini di protezione non hanno soltanto la funzione di interrompere situazioni di convivenza turbata, ma soprattutto quella di impedire il protrarsi di comportamenti violenti in ambito domestico. Il requisito della convivenza (inteso come “perdurante coabitazione”) sussiste anche quando vi sia stato l’allontanamento, provocato dal timore di subire violenza fisica del congiunto, mantenendo nell’abitazione familiare il centro degli interessi materiali ed affettivi. Non manca poi un diverso orientamento secondo il quale sarebbe ammissibile la domanda di misure di protezione anche a seguito della cessazione della convivenza.
  4. La “condotta gravemente pregiudizievole all’integrità fisica”. Il presupposto per la concessione dell’ordine di protezione non è rappresentato, in sé, dalla condotta del convivente nei cui confronti si richiedono le misure di protezione, bensì dall’esistenza di un pregiudizio grave all’integrità fisica, “morale” o alla “libertà personale” patito dal familiare convivente, imputabile (questo sì) in termini causali alla condotta dell’altro. La circostanza in parola si basa, in altri termini:
  • Sulla esistenza di fatti violenti dai quali siano derivate non insignificanti lesioni alla persona, ovvero di una situazione di conflittualità tale da poter prevedibilmente dare adito al rischio concreto ed attuale, per uno dei familiari conviventi, di subire violenze gravi dagli altri;
  • Sulla verificazione di un “vulnus” alla dignità dell’individuo di entità non comune, in relazione alla delicatezza dei profili della dignità stessa concretamente incisi, ovvero per le modalità “forti” dell’offesa arrecata e per la ripetitività o la prolungata durata nel tempo della sofferenza patita dall’offeso, indipendentemente da qualsiasi indagine sulle cause dei comportamenti violenti e sulle rispettive colpe nella determinazione della situazione. Il Tribunale di Milano ha precisato che la condotta del soggetto nei cui confronti l’istante chiede l’emanazione dell’ordine deve essere valutata dal giudice sia sotto il profilo qualitativo che quantitativo: qualitativo, nel senso della concreta modalità idonea a rappresentare un pericolo per la parte ricorrente e per il proprio nucleo familiare, quantitativo con riferimento all’entità della condotta perdurante nel tempo, alla sua efficacia offensiva ed alla sua dimensione psicologica.

3. Soggetto attivo della condotta. Autore delle condotte pregiudizievoli può essere sia un coniuge nei confronti dell’altro (anche con l’appoggio e la partecipazione attiva degli altri familiari), sia il genitore verso i figli (anche quando i maltrattamenti non sono commessi direttamente sulla persona del minore, ma indirettamente, nei confronti di stretti congiunti a lui cari) che questi ultimi verso i genitori. La condotta pregiudizievole di regola è caratterizzata dal verificarsi di reiterate azioni ravvicinate nel tempo, consapevolmente dirette a ledere i beni tutelati, e non da singoli episodi compiuti a distanza di considerevole tempo tra loro.

4. Ordine di protezione e violazione dei doveri coniugali. Il decreto protettivo ex art. 342 ter, c.c. non può essere richiesto nel caso in cui vengano “semplicemente” violati i doveri di mantenimento ex art. 143-147, c.c. in quanto tale comportamento configura una mera condotta omissiva. Allo stesso modo, una misura protettiva non può essere concessa in presenza di una mera situazione di reciproca incomunicabilità ed intolleranza tra soggetti conviventi, di cui ciascuna delle parti imputa all’altra la responsabilità, almeno quando i litigi, ancorché aspri nei toni, non siano stati aggravati da violenze fisiche o minacce o non si siano tradotti in violazione della dignità dell’individuo di particolare entità. Il decreto protettivo non riguarda da ultimo la disciplina del diritto di visita dei figli da parte del genitore destinatario.

5. Il procedimento. Gli ordini di protezione richiedono l’istanza della vittima, che può essere proposta anche dalla parte personalmente, con ricorso al tribunale del luogo di propria residenza o domicilio, che provvede in camera di consiglio in composizione monocratica. Tuttavia, qualora la domanda concerna anche altri profili del conflitto familiare, tra cui l’affidamento e il mantenimento del figlio minorenne, la competenza è attribuita al Tribunale in composizione collegiale stante il principio ex art. 363 c.p.c. A seguito dell’istanza, si verifica la designazione – da parte del Presidente del Tribunale – del giudice a cui è affidata la trattazione del ricorso, il quale, sente le parti, procede ad istruire la causa nel modo che ritiene più opportuno, disponendo anche eventuali indagini sui redditi, sul tenore di vita e sul patrimonio delle parti a mezzo della polizia tributaria. Il giudice provvede con decreto motivato immediatamente esecutivo. In caso di urgenza, l’ordine di protezione può essere assunto dopo sommarie informazioni, con successiva udienza di comparizione delle parti entro un termine non superiore a quindici giorni, in occasione della quale vi è la conferma, la modifica o la revoca dell’ordine di protezione. Contro il decreto con cui il giudice adotta l’ordine di protezione o rigetta il ricorso, o conferma, modifica o revoca l’ordine precedentemente adottato, è ammesso reclamo al tribunale entro dieci giorni dalla comunicazione o della notifica del decreto, ai sensi dell’art. 739, comma II, c.p.c..

            II reclamo introduce un giudizio avente natura di revisio prìorìs instantiæ, con la conseguenza che è inammissibile la produzione di documenti nuovi e la richiesta di assunzione di prove costituende. Del pari inammissibile in sede di reclamo è l’istanza con cui la parte reclamata chiede l’applicazione delle misure previste dall’art. 709 ter, c.p.c. lamentando il mancato pagamento dell’assegno periodico disposto con l’ordine di protezione: in forza dell’art. 669-duodecies c.p.c., l’attuazione delle misure cautelari aventi ad oggetto somme di denaro – e tale è da considerarsi l’ordine di pagamento del contributo al mantenimento stabilito dal provvedimento di cui all’art. 342 ter, comma II, c.c. – avviene nelle forme degli artt. 491 e ss., c.p.c., ossia mediante l’espropriazione forzata. Il reclamo non sospende l’esecutività dell’ordine di protezione: il tribunale provvede in camera di consiglio, in composizione collegiale, sentite le parti, con decreto motivato non impugnabile, nemmeno per cassazione (né con ricorso ordinario, né con ricorso straordinario ai sensi dell’art. 111, Cost.), giacché detto decreto difetta dei requisiti della decisorietà e della definitività. Per quanto non previsto dall’art. 736 bis, c.p.c., si applicano al procedimento le norme comuni ai procedimenti in camera di consiglio (ove compatibili), ex artt. 737 e ss., c.p.c.

6. Il contenuto del provvedimento del giudice. Con il decreto di cui all’articolo 342 bis, c.c., il giudice ordina al convivente reo della condotta pregiudizievole, la cessazione della condotta e ne dispone l’allontanamento dalla casa familiare. Quali provvedimenti accessori, il Giudice, ove occorra, può:

  • Prescrivere all’autore della condotta di non avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla vittima;
  • Chiedere l’intervento dei servizi sociali, di un centro di mediazione familiare o di associazioni per il sostegno e l’accoglienza di donne, minori o di vittime di abusi e maltrattamenti;
  • Disporre il pagamento periodico di un assegno a favore delle persone conviventi che, per effetto dell’allontanamento dalla casa familiare del reo, rimangono prive di mezzi adeguati, fissando modalità e termini di versamento e stabilendo, se necessario, il versamento della somma all’avente diritto da parte del datore di lavoro dell’obbligato, detraendola dalla retribuzione allo stesso spettante.

Dalla natura accessoria delle misure di protezione di ordine economico discende che, in assenza d’emissione della misura di protezione “non patrimoniale”, il giudice non può – pur rilevando l’inadempimento di uno dei coniugi all’obbligo di mantenimento ex artt. 143-147, c.c. – riconoscere il diritto alla percezione dell’assegno periodico. La provvisorietà dell’assegno periodico previsto – la cui funzione ed efficacia è limitata alla durata dell’ordine di protezione o, comunque, al periodo di tempo anteriore all’eventuale provvedimento successivo emesso dal giudice competente, volto a garantire il diritto al mantenimento di soggetti bisognosi – si evince dal tenore testuale del codice.

            Nel caso di condotte pregiudizievole compiute dai figli verso i genitori, ove il soggetto allontanato non abbia una propria autonomia economica, il giudice deve contestualmente disporre a carico dei genitori l’obbligo di pagamento di un assegno periodico ai sensi degli art. 148 e 342 ter, comma II, c.c. L’eventuale obbligo di versamento dell’assegno previsto dal decreto, in ogni caso destinato a cessare al termine della durata del decreto può essere sostituito dall’eventuale adozione – prima della scadenza del termine di efficacia del decreto – di un diverso provvedimento del giudice competente in materia di affidamento e di mantenimento.

            Con riferimento all’intervento dei servizi sociali anche in assenza di figli minori, il Giudice può sollecitarlo allo scopo ad esempio di sostenere il coniuge vittima della condotta pregiudizievole e, se possibile, di ricomporre il nucleo familiare, dando assistenza psicologica a ciascun componente della famiglia coinvolta nella vicenda.

7. Durata ed attuazione dell’ordine di protezione. Il decreto stabilisce anche la durata dell’ordine di protezione, che decorre dal giorno dell’avvenuta esecuzione dello stesso, e che non può essere superiore a un anno e può essere prorogata, su istanza di parte, soltanto se ricorrano gravi motivi per il tempo strettamente necessario. La mancata indicazione del termine di durata deve intendersi come implicita previsione del massimo stabilito dall’art. 342-ter c.c. Sempre lo stesso decreto contiene le modalità di attuazione: se sorgono difficoltà o contestazioni in merito, è lo stesso giudice ad emanare i provvedimenti più opportuni per l’attuazione, ivi compreso l’ausilio della forza pubblica e dell’ufficiale sanitario.

            Con riferimento alla natura del provvedimento, si ritiene che l’ordine di cessazione della condotta e di allontanamento del coniuge violento dalla casa familiare, anche se talora accompagnato da misure a contenuto economico, non è riconducibile né ai provvedimenti cautelari atipici, né a quelli temporanei e urgenti emessi dal presidente del tribunale ex art. 708, c.p.c. Dall’esistenza del rimedio previsto con il ricorso ex art. 342 bis, c.c. consegue che il ricorso ex art. 700, c.p.c., proposto dopo il deposito del ricorso per separazione giudiziale ma prima della udienza presidenziale, volto ad ottenere un ordine di protezione familiare, deve essere dichiarato inammissibile.

Walter Giacardi                    AltalexPedia   18 aprile 2019

44 note    www.altalex.com/documents/news/2012/11/21/ordini-di-protezione-contro-gli-abusi-familiari

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ADOZIONE INTERNAZIONALE

Ragazzi adottati: 7 su 10 sono sistematicamente bullizzati

Lo rivela un’indagine condotta da Ufai con oltre 1.500 famiglie, per monitorare la capacità inclusiva della scuola nei confronti dei ragazzi adottati. Insulti, offese e derisione riguardano nel 40% dei casi il colore della pelle. La grandissima parte delle scuole non ha una preparazione sull’adozione e il 67% dei ragazzi è stato costretto a cambiare scuola.

            La Commissione Adozioni Internazionali ha lanciato un chiaro e forte allarme: troppi ormai gli episodi di razzismo contro ragazzi adottati, fatti oggetto di bullismo e vessazioni per il colore della loro pelle. «Esagerati, ma quanti sono questi episodi?», è stato scritto sui social a commento di quella denuncia.

            Una prima dimensione quantitativa del fenomeno – ovviamente parziale, ma molto significativa – la restituisce il Rapporto su scuola e adozione presentato da Ufai-Unione Famiglie Adottive Italiane, frutto dell’analisi delle esperienze raccolte da UFAI negli ultimi quattro anni, attraverso gli iscritti che si sono rivolti allo sportello “SOS Scuola”. Un report, quindi, che ha per oggetto un altro tema, la scuola e la sua capacità inclusiva nei confronti degli alunni con una storia di adozione, ma che ci fornisce uno squarcio diretto su ciò che a scuola accade. Fra cui il bullismo.

            L’84% dei ragazzi riferisce di avere subito saltuariamente offese, parolacce, insulti. La derisione riguardava nel 40% dei casi il colore della pelle o l’etnia, seguita nel 14% dei casi dall’aspetto fisico, nel 16% dei casi dalle difficoltà nell’esprimersi nella nuova lingua, nel 12% dalle difficoltà a scuola. Il 71% dei ragazzi ha subito sistematicamente episodi di bullismo. Il 74% non fa gruppo con i compagni all’intervallo, resta da solo sul pullman in gita, il 66% è di fatto escluso dai compagni, il 42% non si sente parte del gruppo classe, il 65% ha fatto fatica a creare amicizie e il 60% dice che no, non è stato accolto dai compagni. «Dati preoccupanti, che richiedono azioni immediate, senza rimandare oltre un intervento decisivo», commenta Elena Cianflone, presidente di Ufai. Che parla anche per esperienza personale: uno dei suoi figli è di origini russe, «siamo arrivati a denunce dai Carabinieri. I nostri figli hanno spesso tratti somatici diversi, non è solo il colore della pelle: sono sicuramente additati, fin dalle elementari, i bambini sentono i ragionamenti che si fanno in casa e fanno commenti pesanti, si creano spesso situazioni di grosso disagio». E questo nonostante la scuola dovrebbe essere il primo laboratorio di inclusione. «Gli alunni adottivi sono ancora in forte sofferenza in ambito scolastico poiché non si è raggiunto un livello adeguato della cultura dell’adozione, preparazione del personale docente, sinergia scuola-famiglia… tutti elementi che possono garantire un’adeguata accoglienza e successo scolastico». La controprova? Il 67% dei ragazzi è stato costretto a cambiare scuola. E molti – altro dato che apre uno spaccato molto preoccupante – hanno disturbi alimentari.

            Le esperienze narrate nella raccolta di dati sono state complessivamente 1.572: il 93,4% con figli adottati tramite procedura internazionale (fra essi, il primo Paese di provenienza era la Russia, al 34%) e il 6,6% con figli provenienti da adozione nazionale. Per quanto riguarda le adozioni internazionali, la media dei figli adottivi per famiglia è di un minore a nucleo familiare. L’età media di ingresso dei bimbi si attesta intorno ai 6,5 anni e il 91,5% di essi non aveva ha ricevuto alcuna scolarizzazione nel proprio paese, negli anni precedenti l’adozione. Per l’inserimento degli alunni adottati, l’Italia ha uno strumento: le Linee di indirizzo per favorire il diritto allo studio degli alunni adottati, emanate nel dicembre 2014 e poi inserite all’interno della recente riforma della scuola (legge 107/15), ma alla luce delle esperienze raccolte, la presidente di Ufai afferma che le «le Linee di indirizzo sono uno strumento utile, ma privo della parte più importante: un piano attuativo efficace. La legge esiste, ma senza questo piano attuativo, la divulgazione dei suoi contenuti e la formazione dei docenti avviene a macchia di leopardo, spesso demandata alle associazioni, perché le scuole rispondono che un corso di formazione costa». Infatti l’84% delle scuole non le conosce. E così il referente per l’adozione, previsto dalle linee di indirizzo, manca addirittura nel 95% delle scuole mappate: sia per mancanza di candidati, sia perché i dirigenti scolastici sono alle prese con urgenze quotidiane.

            La presidente di Ufai racconta l’esperienza di un corso frontale per 26 scuole a Roma, con un terapeuta che ha proposto esercizi esperienziali per capire la realtà dell’adozione: «è questo su cui occorre lavorare, con gli insegnanti ma anche con gli altri genitori e i ragazzi, raccontare l’adozione, una cosa che per ora non abbiamo fatto». Restando stretti sulla scuola, la proposta di Ufai va nella direzione di formare sull’adozione il referente per l’inclusione o BES (bisogni educativi speciali), una figura che le scuole già hanno. «È vero che non tutti gli alunni che hanno una storia di adozione sono BES, ma secondo la nostra indagine il 67% ha avuto bisogno di un PDP. È la stessa prospettiva per cui il Miur, nelle recenti linee di indirizzo per bambini iperdotati ha indicato come figura di riferimento sempre il referente BES», conclude Cianflone.

Sara De Carli             Vita.it  12 aprile 2019

www.vita.it/it/article/2019/04/12/ragazzi-adottati-7-su-10-sono-sistematicamente-bullizzati/151264

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ADOZIONI INTERNAZIONALI

Kenya chiede la riapertura delle adozioni internazionali.

Kenya. Dopo cinque anni di blocco la società civile Africana chiede la riapertura delle adozioni internazionali. Cosa può fare l’Italia? Insostenibile il peso numerico della infanzia abbandonata nel paese africano. Il ruolo dell’Italia

Quando si parla di Africa, e ultimamente lo si fa spesso, anche a sproposito, non si può dimenticare il dramma della chiusura all’adozione internazionale di diversi Paesi del “continente nero”, che fa il paio con i dati preoccupanti sull’abbandono di minori. Ed è il caso, purtroppo, anche di Paesi di dimensioni importanti. Come, ad esempio, il Kenya.

            Il Kenya ha, infatti, chiuso da cinque anni (con una moratoria del 2014) alle adozioni in maniera formale, a seguito della decisione del Governo del Paese stesso di non rinnovare l’accreditamento agli Enti di Paesi terzi. Una ritrosia, quella keniota, similare a quella di altri Paesi africani che, per combattere i fenomeni di corruzione e criminalità intorno alle adozioni hanno scelto di fermarle definitivamente. Una scelta che, però, contrasta con il numero di minorenni abbandonati, che, si stima, potrebbero essere circa 2,5 milioni. Un’enormità.

            Chiaro dunque che, di fronte a queste cifre, sia iniziato il dibattito interno sulla necessità di riaprire, il prima possibile le adozioni internazionali. Riportare le frasi più significative delle voci favorevoli alla riapertura, con la necessità di controlli.

            Lo ha sostenuto, ad esempio, la deputata Millie Odhiambo, che ha spiegato ad africa.cgtn.com di non essere: “a favore di un processo che punirà tutte le organizzazioni. Quella tratta di esseri umani o abusare dell’adozione dovrebbe essere cancellata“. Allo stesso organo di stampa anche il presidente della Commissione Nazionale per l’Adozione (NAC), Wambui Njuguna, ha sottolineato come l’adozione sia preferibile alle condizioni di certi centri di accoglienza kenioti per minori in stato di abbandono.

            Il Kenya dispone di un sistema di adozione internazionale unico nei paesi africani, in quanto ha autorizzato delle Associazioni locali a interloquire con gli enti autorizzati stranieri. In Kenya sono cinque gli enti italiani autorizzati ad operare dalla CAI – Commissione Adozioni Internazionali, fra cui Ai.Bi. – Amici dei Bambini.

            Cosa potrebbe fare l’Italia? Molto, tenendo presente che il belpaese investe in Kenya molti milioni di euro in attività di cooperazione internazionale (è un paese prioritario per il Ministero degli Affari Esteri) e quindi potrebbe aiutare le autorità locali ad avviare un protocollo di riapertura secondo canoni di trasparenza

News Ai. Bi.    18 aprile 2019

www.aibi.it/ita/kenya-dopo-cinque-anni-di-blocco-la-societa-civile-africana-chiede-la-riapertura-delle-adozioni-internazionali-cosa-puo-fare-litalia

 

Ai. Bi. autorizzata a operare in Nigeria.

Con il Paese più popoloso del continente salgono a sei i Paesi della Africa equatoriale che vedono la presenza di Ai.Bi. Una buona notizia sul fronte della adozione internazionale. Dopo ben sette anni, si riaprono nuovi orizzonti, in particolare modo verso l’Africa, il continente verso il quale, per una serie di fattori, non ultimi i fenomeni migratori e la pressione demografica, si sta concentrando sempre di più l’attenzione mondiale.

            È infatti dei giorni scorsi la notizia che Ai.Bi. – Amici dei Bambini, è stata autorizzata dalla CAI – Commissione Adozioni Internazionali a operare in Nigeria. Il Paese africano, che non partecipa della Convenzione dell’Aja del 1993 sulla protezione dei minori e la cooperazione in materia di adozione internazionale, trova la propria normativa di riferimento in materia di adozioni extra-nazionali nel Child’s right act del 2003 e nell’African charter on the rights and welfare of the child, entrata in vigore il 29 novembre del 1990, oltre a una legge del 1968 originariamente redatta per le adozioni nello Stato di Lagos.

            Si tratta di una notizia importante, perché, ad oggi, solo un’associazione italiana era operativa a quelle latitudini. Di conseguenza, il numero delle adozioni era molto basso: otto bimbi nigeriani adottati complessivamente tra il 2016 e il 2017, con un’incidenza sul totale delle adozioni internazionali dello 0,25% circa. Per il 2018, stando ai dati ad oggi messi a disposizione dalla CAI, sono stati autorizzati a fare ingresso in Italia dalla Nigeria per adozione internazionale un minore a gennaio, due a febbraio e due ad aprile.

            Poca cosa per un Paese che, demograficamente, è in piena esplosione: il più popoloso del continente con oltre 190 milioni di abitanti, con proiezioni che prevedono il raggiungimento di 400 milioni entro il 2050. A fronte di questi dati, l’adozione è ancora un tema difficile in Nigeria, dove non esiste un’autorità centrale che si occupi dell’argomento e dove i pregiudizi, a causa della piaga del traffico di esseri umani e di minori, sono forti. Nel 2016 le adozioni internazionali dagli Stati Uniti nel Paese ammontarono a 121, di cui il 61% per bimbi da uno a quattro anni di età, nel 2017 furono 176 e, da ottobre 2017 a settembre 2018, 173. Nel 2018, per quanto invece riguarda la Francia, sono stati adottati tre minori nigeriani, due di età compresa tra zero e due anni e uno di oltre sei anni.

            Con l’autorizzazione per la Nigeria, comunque, Ai.Bi. estende il proprio bacino di presenza in Africa equatoriale, un territorio che rappresenta il futuro bacino principale per l’organizzazione nel settore della adozione internazionale, con diversi Paesi interessati come il Kenya (il dibattito sulla riapertura delle adozioni internazionali è in corso a livello della società civile), la Repubblica Democratica del Congo (la stessa CAI è al lavoro per una riapertura tramite accordi bilaterali con l’Italia), il Ghana (che ha appena approvato una nuova legge per le adozioni internazionali), il Congo Brazzaville (in definizione dell’attualizzazione delle procedure per una ripresa dell’acquisizione dei mandati) ma anche il Burundi e l’Uganda, Paese quest’ultimo per il quale Ai.Bi. è in attesa di risposta dalla CAI sulla richiesta di autorizzazione a operare

News Ai. Bi.    15 aprile 2019

www.aibi.it/ita/ai-bi-autorizzata-a-operare-in-nigeria-lafrica-nuova-frontiera-della-adozione-internazionale

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AFFIDAMENTO FIGLI

Madre senza lavoro: spetta affidamento figli?

            Ti stai per separare da tuo marito. La tua sola certezza, in questo momento di forte sconvolgimento emotivo, è vostro figlio, ancora di pochi anni, l’unico nato dalla relazione. Il padre ha detto che farà di tutto per portartelo via, appellandosi soprattutto al fatto che non hai lavoro e che non potresti mantenerlo. Lui invece ha un reddito sufficiente quantomeno a garantirgli una vita decorosa. A te invece non resta che il sostegno dei tuoi genitori, da cui potresti andare a vivere in un primo momento per dare al piccolo un primo “paracadute”. In più ci sarà l’assegno di mantenimento che il tuo ex dovrà versare a entrambi. Ciò nonostante la sua minaccia ti suona ancora forte nelle orecchie. È davvero così? Alla madre senza lavoro spetta l’affidamento dei figli?

Se non lavori ti tolgono i figli? Il tuo problema non è isolato. Se digiti su Google le parole «Madre senza lavoro: spetta affidamento figli?», uno dei primi risultati che appaiono grazie al suggerimento automatico delle ricerche più frequenti è: «se non lavori ti tolgono i figli?». Ciò a dimostrazione di quanto diffuso sia questo equivoco. E allora è bene togliere ogni dubbio in proposito, perché le cose non stanno come vengono erroneamente rappresentante da chi non conosce la legge.

            Partiamo da una precisazione: un genitore può essere ugualmente un buon genitore anche se non ha soldi. Anzi, non poche volte un reddito elevato è indice di un impegno lavorativo particolarmente intenso e, quindi, di una prolungata assenza da casa.

            Mai un giudice ha tolto l’affidamento dei figli al genitore senza reddito. Spesso infatti si confonde tra affidamento e collocazione, due concetti completamente diversi per il diritto.

Cos’è l’affidamento dei figli. L’affidamento non riguarda l’aspetto materiale della convivenza, ma solo la questione giuridica della compartecipazione alle scelte più importanti per la vita, l’educazione, l’istruzione e la salute dei figli: scelte che devono essere prese di comune accordo da entrambi i genitori. I quali non hanno solo il diritto, ma anche il dovere di crescere i propri figli. Un dovere che sorge proprio per il fatto di aver messo al mondo un bambino e dal quale dovere non c’è modo di sfuggire. Ecco perché, per la nostra legge, l’affidamento non può che essere “condiviso”, salvo quando uno dei due genitori si macchi di colpe gravi nei confronti dei bambini (ad esempio violenze) o sociali (ad esempio crimini gravi, non certo ad esempio un abuso edilizio o un oltraggio a pubblico ufficiale). In quest’ultimo caso scatta invece l’affido esclusivo.

Cos’è il collocamento dei figli. Il collocamento invece è un’altra cosa. Si tratta del luogo, o meglio dell’abitazione, ove i figli andranno a vivere e fisseranno la propria residenza dopo la separazione dei genitori. Luogo che, di solito, è lo stesso in cui hanno vissuto sino ad allora (per cui non saranno costretti a trasferirsi). Tant’è che, se la casa dovesse essere di proprietà del padre, quest’ultimo dovrà andare via per lasciare l’immobile all’ex moglie.

            Il collocamento dei figli alla madre non toglie comunque il diritto-dovere di visita del padre che deve essere esercitato nel bene stesso dei figli e del loro interesse a mantenere rapporti stabili e affettivi con entrambi i genitori.

            Detto ciò possiamo già comprendere come la domanda «alla madre senza lavoro spetta l’affidamento dei figli?» debba essere riformulata atteso che l’assenza di reddito non ha alcuna implicazione sull’affidamento, ossia sulla capacità di adottare le migliori scelte di vita per i propri figli. Potrebbe allora avere senso chiedersi piuttosto: «alla madre senza lavoro vengono tolti i figli», con riferimento cioè non all’affidamento, ma alla collocazione. In altri termini, se la madre è senza un reddito, i bambini vanno a vivere dal padre?

Madre senza reddito: i bambini vanno a vivere dal padre? Anche in questa ipotesi la risposta è tuttavia negativa. Innanzitutto perché la Cassazione ha più volte sposato la tesi della maternal preference: in età scolare e prescolare i figli devono essere preferibilmente collocati presso la madre, salvo loro stessi non esprimano una preferenza diversa o non vi siano ragioni per accordare al padre la collocazione.

            In secondo luogo, perché l’assenza di reddito della madre è supplita dall’assegno di mantenimento per i figli che l’ex marito, anche se disoccupato, è tenuto a versarle e con cui lei deve provvedere alle esigenze di ordinaria amministrazione dei piccoli. Oltre ad esso è dovuto un contributo – di solito in ragione del 50% – per le spese straordinarie. Peraltro, tanto più è facoltoso il padre, tanto più è elevato il contributo per i figli visto il dovere per questi di garantire loro lo stesso “tenore di vita” di cui godevano quando ancora i genitori non erano separati. In questo modo i figli non avranno problemi qualora la madre collocataria fosse priva dei mezzi per mantenerli.

            Senza dimenticare che l’uomo è tenuto a garantire l’assegno di mantenimento per l’ex moglie quando questa non sia in grado di mantenersi da sola.

            Infine c’è sempre l’assegnazione della casa coniugale che va alla madre se ottiene la collocazione dei figli.

Ecco perché non ha senso parlare di incapacità della madre senza reddito di mantenere i figli visto che, ad entrambi, dovrà provvedere l’ex marito-padre.

La legge per tutti       15 aprile 2019

www.laleggepertutti.it/281722_madre-senza-lavoro-spetta-affidamento-figli

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ALIENAZIONE PARENTALE

La madre perde la figlia se sussistono gli 8 sintomi dell’alienazione parentale

Tribunale di Brescia, terza sezione civile, sentenza n. 815, 22 marzo 2019

www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_34221_1.pdf

Nelle aule di tribunale, si sente sempre più spesso parlare di sindrome dell’alienazione parentale che, ove ritenuta sussistente, induce di frequente i giudici ad adottare delle soluzioni “forti” in materia di collocamento dei figli, con il fine di combatterla e ristabilire gli equilibri familiari.

Recentemente, ad esempio, il Tribunale di Brescia si è trovato dinanzi a una situazione in cui la madre aveva tenuto una condotta tale da determinare l’insorgenza nella figlia dell’alienazione parentale, con la conseguenza che la piccola, che inizialmente aveva un buon rapporto con il padre, aveva iniziato a manifestare una “pervicace volontà” di non vederlo più, definita dal giudice “immotivata e irrazionale”.

            A fronte di tale situazione, il Tribunale è giunto quindi a ritenere che la madre non fosse in grado di assolvere adeguatamente alle proprie funzioni genitoriali e che l’affidamento condiviso non potesse essere garantito. Con la conseguenza che la minore è stata affidata in via esclusiva al padre, che la stessa apparentemente rifiuta, ma che in realtà, come si legge in sentenza, “si è rivelato un genitore adeguato, dotato di buone competenze e sinceramente interessato a recuperare la relazione con la figlia”.

La sentenza in commento, sempre a proposito di alienazione parentale, rileva anche per un altro aspetto: l’aver elencato espressamente gli 8 sintomi che, quando si verificano, denotano la presenza dell’alienazione parentale. Si tratta, in particolare:

  1. della campagna di denigrazione, nella quale il bambino mima e scimmiotta i messaggi di disprezzo del genitore alienante;
  2. della razionalizzazione debole dell’astio, per cui il bambino spiega le ragioni del suo disagio nel rapporto con il genitore alienato con motivazioni illogiche, insensate o superficiali;
  3. della mancanza di ambivalenza. Il genitore rifiutato è descritto dal bambino “tutto negativo”, mentre l’altro genitore è “tutto positivo”;
  4. del fenomeno del pensatore indipendente: il bambino afferma che ha elaborato da solo la campagna di denigrazione del genitore;
  5. dell’appoggio automatico al genitore alienante, quale presa di posizione del bambino sempre e solo a favore del genitore alienante;
  6. dell’assenza di senso di colpa;
  7. degli scenari presi a prestito, ossia affermazioni che non possono ragionevolmente venire da lui direttamente;
  8. dell’estensione dell’ostilità alla famiglia allargata del genitore rifiutato”.

Valeria Zeppilli          Studio Cataldi                        17 aprile 2019

www.studiocataldi.it/articoli/34221-la-madre-perde-la-figlia-se-sussistono-gli-8-sintomi-dell-alienazione-parentale.asp

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AMORIS LÆTITIA

Gli appunti di Benedetto XVI “correggono” Amoris lætitia

Riproponendo l’enciclica di San Giovanni Paolo IIVeritatis Splendor”(6 agosto 1993) come argine al “collasso” della morale cattolica, Benedetto XVI in realtà entra in contrasto con quanto descritto dall’esortazione apostolica “Amoris Lætitia“.

http://w2.vatican.va/content/john-paul-ii/it/encyclicals/documents/hf_jp-ii_enc_06081993_veritatis-splendor.html

Quando un testo viene reso pubblico, acquista una sua autonomia anche dal suo autore e deve essere considerato per se stesso. Anche le Note di Benedetto XVI sulla crisi della Chiesa a seguito dei fenomeni di pedofilia non sfuggono a questa regola. Esse dicono oggettivamente qualcosa: tacerne vorrebbe dire rinunciare a prendere atto dell’autonomia del testo il che, dal punto di vista delle regole dalla interpretazione, sarebbe un atteggiamento scorretto.

www.acistampa.com/story/la-chiesa-e-lo-scandalo-degli-abusi-sessuali-testo-integrale-11148

Ora, il testo di Benedetto ristabilisce senza ombra di dubbio il valore della teologia morale così come illustrata dall’enciclica Veritatis splendor di Giovanni Paolo II. Di più: attribuisce a quel documento il grande valore di aver contrastato il “collasso” della teologia morale iniziato negli anni Sessanta per tentare di trattenerne i danni. La conseguenza logica da tirare è chiara: se viene incrinato l’impianto della teologia morale della Veritatis splendor, il “collasso” della teologia morale cattolica è destinato a continuare.

Capita ora che, esaminando un altro testo, quello della Esortazione apostolica Amoris Lætitia di papa Francesco, si debbano riscontrare – sempre per la fedeltà all’autonomia del testo – alcune non marginali discontinuità con la Veritatis splendor (VS). Una vasta letteratura si è interessata (e si interessa) al tema. Qui mi limito ad elencarle sinteticamente: la legge divina come “ideale” e non anche come prescrizione; nessun riferimento alla legge morale naturale a fronte dell’ampia trattazione del tema nella VS; l’inesistenza di precetti morali negativi assoluti mentre nella VS se ne sistema la dottrina; il ruolo della coscienza come co-produttiva della legge morale e non solo interpretativa o applicativa di essa come nella VS; la trasformazione delle attenuanti alla norma in eccezioni alla stessa; il peccato presentato come “fragilità” e la indistinzione tra peccato mortale e veniale; il dubbio che l’aiuto della grazia renda possibile seguire la legge morale divina nelle situazioni difficili; la concezione della misericordia divina che, secondo Veritatis splendor non significa mai adattamento del bene e del male alle circostanze mentre in Amoris Lætitia permetterebbe l’accesso all’Eucarestia nonostante la perdurante situazione oggettiva di peccato.

A molti queste discontinuità non risultano. Però se fosse vero che in Amoris Lætitia non c’è nessuna discontinuità dottrinale rispetto a Veritatis splendor, perché nella Chiesa si sarebbe messa in moto un’ampia iniziativa nientemeno che per rifondare la teologia morale cattolica a partire da Amoris Lætitia? Perché i teologi si starebbero mobilitando per rivedere la teologia del matrimonio a partire da questa Esortazione? Perché molte istituzioni accademiche cattoliche, prima di tutte la Facoltà teologica dell’Italia settentrionale, si starebbero impegnando per realizzare la cosiddetta “conversione pastorale” della teologia morale richiesta da Amoris Lætitia? E perché si continuerebbe a dire che Veritatis splendor deve essere letta a partire da Amoris Lætitia e non viceversa? Se la discontinuità non ci fosse, le due encicliche sosterrebbero le medesime idee di fondo e non ci sarebbe bisogno di rileggere niente né tanto meno di rifondare.

Nel testo delle Note di Benedetto XVI si dice anche un’altra cosa di grande interesse: si fa dipendere l’inizio del “collasso” della teologia morale dalla rinuncia alla prospettiva giusnaturalista, ossia del diritto naturale, pensando di riuscire a fondare la teologia morale solo su basi bibliche (faccio notare di sfuggita che il biblicismo è anche condannato dalla Fides et ratio. 14 settembre 1998). Ora, non si può non constatare che in Amoris Lætitia non si parla mai di legge morale naturale o di diritto naturale: tali espressioni sono completamente assenti. 

La Veritatis splendor, invece, approfondisce molto la nozione di legge naturale, sicché la differenza di impostazione tra i due documenti risulta lampante. Essa ribadisce che, in teoria, la ragione umana è in grado di conoscere la legge naturale anche da sola, anche se di fatto non riesce a farlo senza la rivelazione. L’ordine morale stabilito dalla legge naturale è in linea di principio accessibile alla ragione umana ma dato il presente stato di natura decaduta, la divina rivelazione è efficace anche per la conoscenza delle verità morali di ordine naturale.

Per non essere infedeli all’autonomia dei testi, credo si debba osservare che Amoris Lætitia non tiene conto della prospettiva giusnaturalista, mentre Benedetto XVI, nelle sue Note, la considera fondamentale. Ed infatti per la teologia morale cattolica l’aggancio con la morale naturale è di fondamentale importanza in quanto segnala la continuità organica delle due dimensioni della natura e della soprannatura che sgorgano dal medesimo Logos Divino. La legge nuova della sequela di Cristo non contraddice ma assume e trasfigura la legge della ragione, sicché non è da considerarsi come un positivismo cristiano o come prescrizioni per gli appartenenti ad una setta, ma come verità destinata a tutti gli uomini e che interpella l’uomo in tutte le sue dimensioni. La misericordia della legge nuova nulla toglie alla giustizia della legge antica.

Stefano Fontana         La nuova bussola quotidiana            19 aprile 2019

http://lanuovabq.it/it/gli-appunti-di-benedetto-xvi-correggono-amoris-laetitia

 

Un canto del cigno triste e inopportuno

Inadeguato e inopportuno, così è il recente testo di Ratzinger sulla genesi sociale e culturale degli abusi nella Chiesa cattolica. Inadeguato non solo rispetto al tema che si vuole trattare, ma anche alla logica interna che si vorrebbe perseguire. Un affastellarsi di frasi, memorie personali, giudizi, osservazioni, senza un principio argomentativo che renda coerente l’impianto. Inopportuno per i tempi, le maniere, gli esiti prodotti.

            Dalla storia, in cui a diritto l’aveva fatto entrare la scelta spirituale delle sue dimissioni da pontefice romano, Ratzinger ha iniziato a uscire quasi subito dopo: troppa devota obbedienza nominale al successore e troppe parole che andavano in altra direzione.

            Ratzinger, volente o nolente, ha contribuito ad alimentare il mito di un «doppio» canonicamente e teologicamente mai esistito, reso possibile solo dalla logica mediatica e dalla perfidia di coloro che hanno piegato a essa il lento declino di un uomo che per mezzo secolo ha avuto in mano le sorti della Chiesa cattolica. Fino al punto di dover riconoscere, in un momento di folgorante obbedienza ecclesiale, di non esserne stato all’altezza.

            L’ultimo scritto è quello di un uomo solo con i suoi demoni e i suoi conti da regolare, senza un amico che lo consigli saggiamente di tenere per sé le annotazioni su cui è stata costruita una vera e propria campagna di delegittimazione della Chiesa cattolica (dal Vaticano II all’analisi delle ragioni strutturali da parte di Francesco degli abusi sessuali). Non solo, ma anche lo scritto di un uomo usato da amici privi di quel rispetto e di quella devozione con i quali, come Bibbia e sapienza popolare ci insegnano, dobbiamo circondare il tempo finale dei nostri vecchi. L’ethos [insieme di valori e norme] uscito dal Sessantotto sarà traballante, finanche scanzonato e ignaro del prezzo che avrebbe fatto pagare alle generazioni future. Ma l’ethos che ha fatto di una «senile» prova di Ratzinger un piano di battaglia per imbrattare i muri del Vaticano II e ostacolare ancora una volta il percorso intrapreso dalla Chiesa sotto la mano severa di Francesco non è altro che il risentimento della rivalsa per il potere perduto.

            Entrare nel merito dell’articolo di Ratzinger è quasi imbarazzante. Mi chiedo, d’altro lato, se si possa assistere inermi all’autodistruzione di una mente che ha fatto della propria personale visione del cristianesimo lo schema di base dell’ortodossia cattolica a livello globale. Agghiacciante la parte che elabora le ragioni della dimissione dallo stato clericale dell’abusatore comprovato. Il crimine lede la fede dogmatica e per questa ragione deve essere perseguito in maniera implacabile. Le vittime nel testo di Ratzinger non esistono, ridotte al silenzio più assordante e alla dimenticanza del non venire nominate neanche en passant. Esse sono solo lo strumento mediante il quale il perpetratore violenta l’innocenza originaria e la perfezione perpetua della fede.

            In questo momento, addebitare in toto le ragioni degli abusi nella Chiesa cattolica ai processi sociali e culturali di cambiamento degli assetti relazionali tra le generazioni, le persone, i singoli e le autorità costituite è semplicemente indice di cattivo gusto – anche nel caso uno sia profondamente convinto di ciò. Non si può dire, semplicemente perché si è visto che non è vero.

            Distorsioni indebite e legittimazioni improprie del potere che circola nella Chiesa non possono essere ricondotte alla caduta morale di alcuni, neanche di molti dei suoi; si tratta piuttosto – come ha ricordato poco tempo fa monsignor Heiner Wilmer, vescovo di Hildesheim – di qualcosa che appartiene al dna della Chiesa stessa e come tale va trattato.

            Non a tutti è concessa una platea globale per il proprio canto del cigno. Quando questo accade si dovrebbe raccogliere presso di sé le poche forze rimaste e prendere congedo con dignità dalla Chiesa che è di tutti. Altro è stato con Ratzinger, che si è lasciato avvincere da ancestrali paure e da una vendicatività di basso profilo, a uso e consumo di una combriccola di filibustieri che non provano un briciolo di sentimento per lui.

            Che «un Dio che inizia con noi una storia d’amore e vuole includere in essa tutta la creazione» sia l’orizzonte ultimo da cui prende le mosse questo testo, così come esso si è prodotto e con gli effetti intenzionali che ha messo in circolo, è la piegatura drammatica del canto del cigno di Ratzinger.

Marcello Neri   Il mulino             15 aprile 2019

www.rivistailmulino.it/news/newsitem/index/Item/News:NEWS_ITEM:4687

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ASSEGNO DIVORZILE

Assegno di divorzio alla ex 43enne disoccupata

Corte di Cassazione, sesta sezione civile, ordinanza n. 10084, 10 aprile 2019

www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_34231_1.pdf

Età, mancanza di una specializzazione professionale e profonda crisi del mercato del lavoro che caratterizza il contesto territoriale, giustificano il riconoscimento dell’assegno divorzile a carico della ex moglie, disoccupata e 43enne. La decisione è conforme sia ai criteri indicati dalle Sezioni Unite che ai parametri indicati dalla legge sul divorzio.

            Lo ha deciso la Corte di Cassazione, pronunciandosi in una vicenda di cessazione degli effetti civili del matrimonio. L’ex marito, in particolare, era stato onerato della corresponsione di un assegno mensile alla moglie a seguito del divorzio. I giudici, infatti, avevano verificato che la signora, che viveva con la madre, non aveva mezzi adeguati per essere economicamente indipendente, non lavorando e non percependo pensione o introiti da affitti.

            Ancora, considerata l’età (43 anni), la mancanza di specializzazione professionale e la prolungata crisi del mercato del lavoro, ancora più severa nella regione (Sardegna), i magistrati ritenevano che la donna non avesse possibilità di procurarsi i mezzi per rendersi indipendente. Da tali circostanze veniva desunta la prova dell’an del diritto all’assegno di divorzio, poi quantificato in 150 euro al mese.

Una decisione contestata dall’ex marito in Cassazione, ma senza successo. Gli Ermellini sottolineano come la Corte territoriale abbia verificato e analizzato, con riferimento al caso di specie, tutti i parametri normativi e giurisprudenziali finalizzati all’accertamento del diritto all’assegno divorzile e alla sua quantificazione.

            Il ricorrente, invece, non ha indicato i fatti specifici il cui esame sarebbe stato omesso dal giudice di merito. Ad esempio, non ha dimostrato l’asserita convivenza more uxorio della ex con l’uomo da cui, dopo la separazione, avrebbe avuto un figlio.

            La motivazione della Corte d’Appello in materia di assegno divorzile, si legge nell’ordinanza, appare conforme sia alla decisione n. 11504/2017 (c.d. Sentenza Grilli), sia alla successiva pronuncia delle Sezioni Unite n. 18287/2018, in quanto ha accertato sia la condizione di non autosufficienza economica della signora, sia la ricorrenza dei parametri indicati dall’art. 5 della legge sul divorzio, come sono stati valorizzati dalla citata pronuncia delle Sezioni Unite. Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile.

Lucia Izzo      Studio Cataldi           13 aprile 2019

www.studiocataldi.it/articoli/34231-assegno-di-divorzio-alla-ex-43enne-disoccupata.asp

 

Divorzio: se l’ex moglie non lavora che fare?

Corte di Cassazione, prima sezione civile, ordinanza n. n. 10782, 17 aprile 2019

La ex moglie non vuol lavorare? Dopo la separazione e il divorzio, non vuol cercare un posto per mantenersi da sola, rassicurata dal fatto che tu stai provvedendo al suo mantenimento? Se davvero le cose stanno così e il suo stato di disoccupazione non dipende piuttosto da fattori estranei alla sua volontà – l’età, le condizioni fisiche, la lontananza per molto tempo dal mondo del lavoro, l’assenza di formazione, ecc. – allora l’assegno di mantenimento può essere tolto. A dirlo è ormai più di una sentenza della Cassazione, l’ultima delle quali di qualche giorno fa.

            Da quando la Suprema Corte ha mandato in soffitta il criterio del “tenore di vita” nel calcolo degli alimenti dovuti all’ex e ha detto che tale contributo serve solo ad aiutare colei che, non per propria colpa, non può mantenersi, ai giudici non basta più accertare la differenza di reddito tra marito e moglie per attribuire a quest’ultima il mantenimento dopo il divorzio: serve anche la “certificazione” che abbia tentato di trovare un posto. Ma come? E come fa l’ex marito a dimostrare che la donna se ne sta in panciolle a casa? Seguendo le stesse istruzioni fornite dalla Cassazione, proveremo a suggerire, in caso di divorzio, che fare se l’ex moglie non lavora.

Quando la moglie disoccupata ha diritto al mantenimento. Giovane, abile e con un titolo di studi: chi mai crederebbe che una donna con tali prerogative non riesce a trovare, nell’arco di un anno, anche un semplice part-time? Sì, è vero: c’è la crisi e le difficoltà occupazionali. Nelle zone del Sud, una persona su tre è disoccupata (e di queste gran parte è donna). Ma evidentemente queste generalizzazioni alla Cassazione non interessano. La Corte vuole prove concrete che lo stato di disoccupazione sia incolpevole. Solo a questa condizione riconosce l’assegno di mantenimento. È anche possibile pensare che una ragazza di appena 30 anni non riesca a trovare lavoro – sostengono i giudici – ma cosa ha fatto davvero per cercarlo? Questo lo deve dimostrare lei se vuole ottenere gli “alimenti” dopo il divorzio.

            Ecco il punto: la donna ha diritto ad essere mantenuta solo se il suo stato di disoccupazione è incolpevole. Che significa? Che tale disoccupazione non deve dipendere da lei ma da fattori esterni come:

  • Lo stato di salute: sarà quindi l’ex moglie a dover dimostrare di avere una patologia che le impedisce di lavorare;
  • L’età: non ci vuole molto a immaginare che una donna che ha superato i cinquant’anni venga più difficilmente assunta, da una azienda, rispetto alla giovane aitante e più motivata ventenne o trentenne. L’avere una “certa età” è sicuramente una difficoltà a volte invalicabile nella ricerca di un posto;
  • La lontananza dal lavoro per molto tempo: sarà sempre la donna a dover provare, al giudice del divorzio, di aver fatto – d’accordo col marito – la casalinga per molti anni e che tale situazione l’ha tenuta fuori dal mercato del lavoro, impedendole di aggiornarsi, di fare carriera, di specializzarsi, ecc.;
  • La crisi occupazionale: sarà ancora una volta l’ex moglie a dover dimostrare – se davvero vuol ottenere l’assegno di mantenimento – che la sua disoccupazione dipende dal mercato. Il che significa che non le basta genericamente appellarsi alle statistiche dell’Istat che danno sempre in crescita il numero degli inoccupati, ma dovrà produrre le prove di aver cercato un posto. Quali sono queste prove? Non basta l’iscrizione alle liste di collocamento, ma anche l’invio del curriculum alle varie aziende, la richiesta di colloqui di lavoro, la partecipazione a bandi e concorsi nel pubblico e nel privato, ecc.

Cosa fare se la moglie non vuole lavorare? Se nel corso del processo di separazione è più facile per la donna ottenere l’assegno di mantenimento, essendo questo orientato a eliminare le disparità di reddito tra i due ex coniugi e garantire a quello più povero (di solito la donna) lo stesso tenore di vita che aveva col matrimonio, con il divorzio tutto cambia. Qui è la donna che deve dimostrare di non essere in grado di mantenersi da sola e di non avere un reddito sufficiente a garantirle l’autosufficienza. Situazione quest’ultima che, come detto, non basta: è necessario anche integrarla con la prova dell’incolpevole stato di disoccupazione.

            Qui l’importante novità: non spetta al marito dimostrare che l’ex moglie, dopo la separazione, se n’è stata sul divano. È piuttosto quest’ultima, se non vuol perdere gli alimenti, a dover provare che si è data pena – e non c’è riuscita – nel cercare un’occupazione. Per come abbiamo detto nel paragrafo precedente, l’onere della prova ai fini dell’attribuzione del mantenimento ricade sulla donna. L’uomo non deve fare nulla se non limitarsi ad eccepire che il mantenimento non è dovuto per causa dell’inerzia nel cercare un’occupazione.

            Ecco perché, nella sentenza in commento, i giudici hanno ritenuto di negare l’assegno mensile alla moglie per via della sua «capacità lavorativa e reddituale» (legata alla giovane età e alla formazione professionale), capacità che però lei «non ha messo a frutto». Insufficiente la giustificazione della donna basata sul fatto di «essersi iscritta nelle liste di collocamento senza ricevere risposta» e di «essersi dedicata, all’epoca della separazione, all’accudimento dei figli in tenera età»: tutto ciò non è più sufficiente.

Si può revocare il mantenimento? E se anche il giudice, in sede di divorzio, dovesse riconoscere all’ex moglie un assegno divorzile, non finisce qua: se il marito dovesse raccogliere, nel futuro, le prove dell’inerzia della donna nella ricerca del lavoro, potrebbe di nuovo chiedere una modifica delle condizioni economiche e quindi dell’ammontare dell’assegno. In verità, la legge dice che tale modifica è concessa solo quando cambiano le condizioni di reddito di uno dei due coniugi, cosa che potrà essere dimostrata ad esempio con una riduzione in busta paga o con l’aumento di spesa collegata all’insorgere di una nuova famiglia o di un nuovo figlio. Quindi, per l’ex moglie, non è mai detta l’ultima parola.

Ordinanza    La legge per tutti       19 aprile 2019

www.laleggepertutti.it/282127_divorzio-se-lex-moglie-non-lavora-che-fare

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CENTRO INTERNAZIONALE STUDI FAMIGLIA

Newsletter CISF – N. 15, 17 aprile 2019

Passami il sale. Telefonini in famiglia a tavola, usare con attenzione (Pass me the Salt! New technologies in families’s lunch) Poche immagini di un pranzo di famiglia, dove la semplice richiesta di passare il sale esige di alzare gli occhi dagli schermi dei cellulari. Non tutti lo fanno, però…

https://www.youtube.com/watch?v=6_-xTxP1hD4

Family impact a Castelnuovo del Garda. L’11 aprile 2019 sono stati presentati i risultati di una prima sperimentazione del modello di valutazione di impatto familiare (Family Impact) per i servizi e gli interventi nel Comune, realizzati all’interno di un Piano integrato delle politiche familiari ormai in vigore da diversi anni. In particolare sono ste messe sotto osservazione le misure tariffarie, ridelineate secondo un “FattoreFamiglia” dalla metodologia accurata e puntuale, nonché il livello di apprezzamento e di valorizzazione percepiti dalle famiglie destinatarie dei servizi di asilo nido e scuola materna (tramite due focus group con genitori nei due contesti educativi). Sono intervenuti Elisa Carrà (Università Cattolica), Francesco Belletti (Cisf), Maurizio Bernardi (Comune di Castelnuovo del Garda). Lo scenario emerso conferma che misure tariffarie sensibili ai carichi familiari e sostegno nell’utilizzo di servizi educativi sono sostegni certamente apprezzabili (e apprezzati) dalle famiglie, ma è ancora più importante la consapevolezza e la percezione di essere in un contesto territoriale in cui le misure “family friendly” non sono episodiche, ma sono stabili, di lungo periodo, e inserite in una contesto di politiche organiche “a misura di famiglia”. Un insegnamento certamente utile soprattutto per le politiche familiari a livello nazionale.

Dalle case editrici. Rassegna bibliografica: voci sull’immigrazione (2018). Il Centro Documentazione del CISF ha effettuato lo spoglio dell’annata 2018 di un buon numero di riviste (italiane) schedate al suo interno. In cinque di esse (Aggiornamenti sociali, Medicina e morale, Minori giustizia, Vita e pensiero, Vita pastorale) sono stati rinvenuti articoli concernenti varie tematiche legate al fenomeno dell’immigrazione, che presentiamo nella rassegna bibliografica sottostante

http://newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/attachments/newscisf1519_allegatoriviste.pdf

La presente bibliografia è stata predisposta in vista della 65.a Conferenza Internazionale ICCFR-CISF, che si terrà a ROMA dal 15 al 17 novembre 2019, su “Famiglie e minori rifugiati e migranti. Proteggere la vita familiare nelle difficoltà”

WeWorld Index 2019 e 2018. “La quinta edizione del WeWorld Index 2019 (presentata il 9 aprile 2019 a Roma) si basa su un concetto innovativo d’inclusione che considera sia la sfera economica sia quella sociale. La classifica finale è il risultato della valutazione del progresso di un Paese ottenuto osservando le condizioni di vita dei soggetti più a rischio esclusione, attraverso l’analisi di 17 dimensioni (abitazione, ambiente, lavoro, salute, etc.) e 34 indicatori, scelti tra i più significativi analizzati da banche dati internazionali (OMS, UNICEF, Banca Mondiale, ecc)”. Focus tematico dell’edizione 2019 il tema dei conflitti come barriera all’educazione

www.weworld.it/wp-content/uploads/2019/04/WeWorld-Index-2019.pdf

2018. Bambine, bambini, adolescenti e donne: 5 barriere all’educazione inclusiva e di qualità. “Attraverso l’analisi di diverse dimensioni di vita, il WeWorld Index compara il livello d’inclusione delle donne e della popolazione under 18 africane con quello delle donne europee, asiatiche e latinoamericane, quello delle donne e dei bambini/e italiani/e con quello delle donne e dei bambini norvegesi, sudanesi, cambogiani e così via (fino ad arrivare a 171 paesi considerati in questa edizione)”.

www.weworld.it/wp-content/uploads/2019/04/WeWorld-Index-2019.pdf

Salerno. Ai confini del Mediterraneo. Rassegna di corti (seconda edizione). Med-Limes “Ai Confini del Mediterraneo”, Immagini e racconti dai confini del Mediterraneo è una Rassegna Internazionale del Cortometraggio promossa dalla FONMED – “Fondazione Sud per la Cooperazione e lo Sviluppo nel Mediterraneo” e che si svolgerà per la seconda edizione a Salerno dal 24 al 26 maggio 2019. “Med-Limes “Ai Confini del Mediterraneo” pone l’attenzione sui temi caldi della nostra epoca. Il dramma dell’immigrazione, la scarsità di risorse idriche e alimentari per soddisfare il fabbisogno di milioni di individui, la discriminazione nei confronti delle altre culture sono i temi e i contenuti su cui si basano le produzioni cinematografiche che sono invitate a partecipare alla manifestazione. I temi della Rassegna riprendono i Sustainable Development Goals (SDG’s), 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile che sono stati pensati dall’ONU come parte di un programma di sviluppo sostenibile per migliorare la vita di tutti i popoli del pianeta in modo universale, inclusivo e indivisibile. Si è scelto lo strumento della rassegna cinematografica nella forma del cortometraggio indipendente perché tale scelta è sembrata più consona ai temi che l’evento vuole trattare. La discriminazione razziale, l’inquinamento dell’ambiente, la scarsità di cibo sono temi collegati su cui registi emergenti e affermati possono creare intrecci che facciano riflettere, immedesimare, smuovere coscienze”                     www.medlimes.org/it

Stati Uniti. Webinar su separazioni e bambini. Set Another Place at the Grown-Ups’ Table: Child Participation in Family Dispute Resolution (Aggiungi un posto a tavola con gli adulti: la partecipazione dei figli minori nella risoluzione dei conflitti familiari). Seminario on line, promosso dalla AFCC (Association of Family and Counciliation Courts) con crediti formativi per psicologi (USA), per. “1) offrire presupposti giuridici per la partecipazione dei figli, 2) proporre una serie di metodi per dare voce ai figli 3) discutere pregi e difetti della partecipazione dei figli 4) presentare il punto di vista dei figli 5) suggerire strumenti per incrementare e promuovere una partecipazione sicura e volontaria dei figli”                                                       www.afccnet.org/About/About-AFCC.

Unione Europea. Eurofound webinar: Flexible working in the digital age. Is everyone a winner? (Lavoro flessibile nell’era digitale: ci guadagnano tutti?).

www.eurofound.europa.eu/it/about-eurofound

Il seminario on line sarà ospitato da Eurofound, e sarà dedicato alle più recenti indagini sulle condizioni di lavoro e di vita del crescente numero di lavoratori senza un posto di lavoro fisico fisso, che si avvalgono delle nuove ICT portabili. Il seminario on line si terrà il 13 giugno 2019, dalle 15.00 alle 16.30

https://app.livestorm.co/eurofound/flexible-working-digital-age

Save the date

  • Nord: La sociologia relazionale alla prova. Sfide tematiche e sguardo interdisciplinare, seminario promosso da Relational Studies in Sociology, dal Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia e dal Dipartimento di Sociologia dell’Università Cattolica. Milano, 23-24 maggio 2019.

newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/attachments/newscisf1519_allegato2.pdf

  • Nord: “Nel pieno possesso delle mie facoltà…” L’eredità fra lascito patrimoniale e trasmissione psichica, 3.a Giornata di studi in ricordo di Deborah Libardi, promossa da Famiglie per la famiglia Onlus e da altre realtà del territorio, Verona, 11 maggio 2019.
  • Centro: Nuovi avvocati per nuove famiglie L’impegno di AIAF per una riforma organica del diritto di famiglia nella società tecnologica e multiculturale, congresso nazionale AIAF (Associazione Italiana Avvocati di Famiglia), Roma, 10 maggio 2019.

aiaf-avvocati.it/nuovi-avvocati-per-nuove-famiglie-limpegno-di-aiaf-per-una-riforma-organica-del-diritto-di-famiglia-nella-societa-tecnologica-e-multiculturale

  • Centro: L’Educazione: la rivoluzione possibile. Nessuno deve essere lasciato indietro, Università Pontificia Salesiana, Facoltà Scienze della Comunicazione Sociale, Roma, 4 maggio 2019.
  • Centro: L’Educazione: la rivoluzione possibile. Nessuno deve essere lasciato indietro, Università Pontificia Salesiana, Facoltà Scienze della Comunicazione Sociale, Roma, 4 maggio 2019.

www.nessunluogoelontano.it/event/leducazione-la-rivoluzione-possibile

  • Sud: Accompagnare a vivere fino all’ultimo respiro: oltre i corpi accartocciati modelli di cura e di relazione, Idee dal Sente-mente® modello, promosso da Pia Comunità Ventricella Onlus, (con crediti ECM per assistenti sociali), Altamura (BA), 7 giugno 2019.

www.cnoas.it/cgi-bin/cnoas/vfile.cgi?i=BBJBMBPMYMEBXBTPGBHGFA&t=brochure&e=.pdf

Iscrizione                http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/newsletter-cisf.aspx

Archivio        http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/elenco-newsletter-cisf.aspx

http://newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/aprile2019/5119/index.html

 

  • Inside families: nuova newsletter (in tre lingue, italiano, english, espanso) dell’Osservatorio internazionale sulle famiglie. Family international monitor.

https://static.wixstatic.com/ugd/e2c551_4d42e5f578dd480aa33def254942f6da.pdf

Secondo numero della nuova Newsletter “Inside Families”, dell’Osservatorio Internazionale sulla Famiglia, progetto più volte segnalato nella Newsletter del Cisf, e di cui il Cisf è promotore e partner operativo, insieme all’Istituto Teologico Giovanni Paolo II e all’Università Cattolica di Murcia (Spagna).

La Newsletter “Inside Families” terrà regolarmente informati sull’avanzamento del progetto di ricerca su famiglia e povertà, ma anche su dati, notizie e curiosità sul tema a livello internazionale.

Chiunque fosse interessato a ricevere regolarmente la Newsletter “Inside Families” deve registrarsi sul modulo di registrazione (in fondo alla home page dell’Osservatorio, www.familymonitor.net

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CHIESA CATTOLICA

Crisi ecclesiale e pregiudizio teologico: la dichiarazione dei teologi moralisti tedeschi

Nel loro testo, breve ed incisivo, i teologi della morale di lingua tedesca offrono una lettura assai preoccupata delle 18 pagine sulla pedofilia pubblicate da Joseph Ratzinger.

 

Dichiarazione dei portavoce della Eutsche Arbeitsgemeinschaft Moraltheologie “(gruppo dei docenti tedeschi di teologia morale) sull’analisi di Joseph Ratzinger/Benedetto XVI sugli abusi sessuali

 

Il papa emerito Benedetto XVI, Cardinale Joseph Ratzinger, intende dare un aiuto alla chiesa cattolica, scombussolata dallo scandalo degli abusi sessuali. Per questo, lo scorso 11 aprile 2018 ha pubblicato un’analisi sul come, secondo il suo parere, sia potuto accadere che sacerdoti cattolici e membri di ordini religiosi abbiano compiuto delitti sessuali a carico di minori. In questa analisi viene messa sotto accusa anche la teologia morale come disciplina teologica. Secondo lui a partire dagli anni 1960 si è verificato „un collasso della teologia morale cattolica che ha reso inerme la Chiesa di fronte a quei processi nella società. Come portavoce eletti della “Deutsche Arbeitsgemeinschaft Moraltheologie“ (gruppo dei docenti tedeschi di teologia morale) e di concerto con diversi colleghe e colleghi, prendiamo posizione riguardo a questa accusa diffamante, che denigra la reputazione di membri passati e presenti di essa. Lo facciamo con le seguenti considerazioni.

            Secondo il papa emerito, tra gli anni ’60 e ’80 del secolo scorso sono andati in frantumi i criteri allora in vigore nella morale sessuale, in modo tale che ne è risultata un’assenza di norme. Una società divenuta così priva di tenore morale avrebbe tollerato anche la pedofilia, così come i costumi sessuali della gioventù, la contraccezione e il comportamento omosessuale. E la teologia morale non avrebbe opposto alcuna resistenza a tutto ciò, perché essa era diventata relativista e non si sarebbe attenuta più ai divieti chiaramente espressi dalla tradizione. Anzi, si sarebbe caduti nell’errore di pensare che l’uomo da solo, cioè senza istruzione divina e senza l’autorità della chiesa, possa conoscere come comportarsi in maniera umana.

            Il tentativo da parte di Joseph Ratzinger/Benedetto XVI di rendere responsabili degli abusi sessuali le evoluzioni sociali degli anni 1960-1980 e i cammini di rinnovamento nella teologia morale non è per nulla nuovo. Già in passato egli ha presentato la chiesa come vittima di un mondo ostile. Il fatto che siano stati proprio coloro che rivestono responsabilità nella chiesa a coprire gli autori di tali delitti, insabbiarne i processi di chiarificazione e trascurare la realtà delle vittime viene però taciuto. Così pure viene taciuto il fatto che proprio una opinione pubblica moralmente sensibile e i suoi Media abbiano dovuto risvegliare la chiesa dalla sua letargia morale. I responsabili nella chiesa non erano in grado, di propria iniziativa, di reagire in maniera adeguata e di elaborare soluzioni al problema, come ci viene detto e ripetuto dalle vittime.

L’analisi di Joseph Ratzinger/Benedetto XVI si basa su una serie di falsi punti di vista e nel suo insieme viene da noi considerata come un contributo malriuscito e inappropriato per la soluzione della crisi, connessa con gli abusi sessuali.

(1) Nelle considerazioni di Joseph Ratzinger/Benedetto XVI non giocano alcun ruolo le conoscenze e gli studi delle scienze umane e sociali. La sua forma di una teologia estranea al mondo può solo distorcere il fenomeno degli abusi sessuali. Non c’è nessuno sforzo di differenziazione tra diverse forme nei profili di colpevoli. Non tutti i colpevoli sono anche pedofili sotto il profilo medico. L’omosessualità in quanto tale non è in alcun modo causa di abuso.

(2) È del tutto noto che il fenomeno degli abusi sessuali è presente in tutto l’arco della storia della chiesa. Ed è fuorviante pensare che tale fenomeno non sia stato presente in quegli ambienti cattolici rimasti del tutto estranei da qualsivoglia forma di emancipazione sessuale o di rinnovamento teologico. Il travisamento così antistorico del passato deve risuonare fortemente cinico per le vittime di strutture autoritarie e patriarcali! Nell’immaginario ecclesiologico del papa emerito non trovano alcun posto le strutture di peccato, presenti in ogni epoca anche all’interno della chiesa.

(3) Il modo di presentare gli sviluppi del rinnovamento teologico-morale non attesta un adeguato tenore intellettuale. La tematica degli abusi viene strumentalizzata da Joseph Ratzinger/Benedetto XVI, per reiterare una critica già ben nota a una teologia morale, le cui posizioni in campo di etica sessuale egli non condivide. E in questo va detto che non si riscontra in lui una reale disponibilità a una valutazione differenziata e competente. Per esempio: chi mette in discussione sotto il profilo teologico-morale che un atto omosessuale nel contesto di una relazione stabile sia sempre e in ogni caso un peccato grave, non per questo legittima allo stesso tempo la violenza sessuale. Chi, per esempio, sotto il profilo teologico-morale critica il tradizionale rigorismo della condanna di ogni forma di contraccezione, non per questo favoreggia una assenza di norme. Ma allora Joseph Ratzinger/Benedetto XVI non vuole o non può vedere che la stima teologico-morale della dignità e dei diritti di ogni uomo è tutt’altra cosa che libero arbitrio in campo etico?

            (4) Dopo la Seconda guerra mondiale noi abbiamo a che fare a livello globale con una trasformazione delle convinzioni normative, non con la loro abolizione. Sia la “vecchia“ che la “nuova“ etica conoscono obblighi morali incondizionati! Il dibattito riguarda piuttosto la questione di quali azioni e in base a quali ragioni cadano sotto questa categoria. Con la nuova valutazione morale della pena di morte, nel 2018 papa Francesco ha mostrato come è possibile una modifica nella dottrina, quando il criterio della dignità umana viene interpretato in modo nuovo.

(5) Va attribuito più ai recenti cambiamenti nella regolamentazione morale in tema di sessualità e di parità di genere che non ai cosiddetti „valori tradizionali” il fatto che oggi ogni forma di violenza in campo sessuale venga messa al bando sia dal punto di vista morale che da quello giuridico. Il diritto all’autodeterminazione sessuale non è un’invenzione della chiesa cattolica. La tradizione, così tanto decantata da Joseph Ratzinger/Benedetto XVI, di regola, non ha condannato gli abusi sessuali nella prospettiva delle vittime. Spesso essa era più interessata alla ”purezza” sessuale del clero che non alla integrità sessuale dei fanciulli e dei giovani.

            (6) Va riconosciuto che sempre Joseph Ratzinger/Benedetto XVI ha avuto a cuore che nella chiesa cattolica fede e ragione non andassero per vie separate. La sua recente „analisi” minaccia proprio questo nesso, perché essa si rifiuta di prendere sul serio, senza pregiudizi di sorta, gli sforzi della teologia morale per generare un’etica cristiana della libertà e della responsabilità e le acquisizioni di conoscenze scientifiche in tema di abusi sessuali.

Prof. Dr. Christof Breitsameter, Prof. Dr. Stephan Goertz   München/Mainz, 14 april 2019

 

Del testo vorrei mettere in luce solo alcuni punti particolarmente importanti, sui quali è giusto soffermarsi a riflettere brevemente.

  1. Non vi è nulla di veramente nuovo in queste pagine: questo modo di giudicare “in contumacia” la storia degli ultimi decenni è un tratto tipico del pensiero di J. Ratzinger. E che non riguarda solo la teologia. Basta ricordare le dure parole contro P. Huenermann nella lettera a Mons. Dario Viganò, ma prima le durissime risposte a P. Gy e a P. Falsini, su Maison-Dieu, a proposito del libro di Introduzione allo spirito della liturgia, o anche le parole decisamente liquidatorie su Lutero, sulla teologia liberale e sulla inculturazione nel famoso discorso di Regensburg. La via del giudizio “liquidatorio” non è nuova al modo con cui il teologo, il Prefetto e il Papa ha espresso il proprio pensiero. E alcuni tratti di queste 18 pp., come la ironia sulla critica mancata di Boeckle contro Veritatis Splendor dovuta a premorienza con cui “il buon Dio gli risparmiò di realizzare il suo proposito”, appaiono davvero troppo sopra le righe.
  2. Il giudizio su una questione complessa, come il dilagare della pedofilia in ambito ecclesiastico, non può scaturire semplicemente da una lettura teologica. Ha bisogno di riferimenti alle “scienze umane”, al contesto culturale e sociale, cosa che non può mai ridursi al giudizio che ne dà una teologia che si ritiene autosufficiente, dove la “fede in Dio” sembra risolvere ogni cosa. Qui mi sembra che emerga, con forza, la debolezza di un approccio che, basato su un fondamentale antimodernismo, che interrompe i canali di dialogo con la cultura, produce “giudizi” che derivano, troppo facilmente, da “pregiudizi”.
  3. Un altro punto qualificante mi sembra quello “storico”. Si deve riconoscere che il fenomeno dell’abuso è molto più antico del Concilio Vaticano II e del ‘68. Ma, allo stesso tempo, bisogna anche riconoscere che le scoperte moderne della libertà e della autonomia del singolo, oltre che insidiose forme di ingenuità, sono anche condizioni decisive per poter vedere, oggi, lo scandalo in tutta la sua grandezza. La società tradizionale, proprio perché non conosceva la libertà moderna e non ne correva i rischi, era anche molto più tollerante verso le violenza che la “società chiusa” imponeva ai singoli marginali (minori, donne, novizi…). Questo è un punto cieco nella visione di J. Ratzinger, che va molto al di là delle ultime 18 pagine.
  4. d.      Mi sembra di grande rilievo infine questo testo della Dichiarazione, che riporto integralmente: “chi mette in discussione sotto il profilo teologico-morale che un atto omosessuale nel contesto di una relazione stabile sia sempre e in ogni caso un peccato grave, non per questo legittima allo stesso tempo la violenza sessuale. Chi, per esempio, sotto il profilo teologico-morale critica il tradizionale rigorismo della condanna di ogni forma di contraccezione, non per questo favoreggia una assenza di norme. Ma allora Josef Ratzinger/Benedetto XVI non vuole o non può vedere che la stima teologico-morale della dignità e dei diritti di ogni uomo è tutt’altra cosa che libero arbitrio in campo etico?”

La confusione tra i livelli, che impedisce la distinzione di questi diversi modi di giudicare i fenomeni, e conduce inevitabilmente a polarizzare i giudizi stessi, costituisce lo sfondo che induce tutto il discorso di J. Ratzinger a prendere tanto facilmente la china di un fondamentalismo e di un integralismo che non sa più distinguere. Ma la teologia è proprio un’arte della distinzione. Se veniamo meno a questo compito, non facciamo più il nostro mestiere. Questo ci ricordano, con giusta nettezza, i colleghi moralisti d’oltralpe. Con cui mi sento in profonda armonia.

            Andrea Grillo             blog Come se non       15 aprile 2019

www.cittadellaeditrice.com/munera/crisi-ecclesiale-e-pregiudizio-teologico-la-dichiarazione-dei-teologi-moralisti-tedeschi

 

Il Messia che rimane

La parola ed il grido. Che cosa ci può salvare? L’intera famiglia umana è il soggetto portatore delle promesse e speranze messianiche, non nella astrazione rarefatta del concetto, ma come una vera comunità politica capace di instaurare un nuovo ordine mondiale

Intervento introduttivo all’Assemblea di Chiesa di Tutti Chiesa dei poveri (6 aprile 2019).

            Ringraziamo quanti sono venuti, in tanti e da tutte le parti, a questa assemblea, e soprattutto diamo il benvenuto ai giovani, che questa volta sono così numerosi, e prenderanno la parola, secondo l’impegno che ci eravamo dati: mai più un’assemblea senza i giovani. E tanto meno questa può essere senza giovani perché non è un’assemblea come tutte le altre. Essa non è su un tema da svolgere con delle belle relazioni e una tranquilla conclusione da trarre, ma è convocata su una domanda. E la domanda è: che cosa ci sta succedendo?

            E non è una domanda qualsiasi, è la madre di tutte le domande. Perché a questa domanda è appeso il futuro, il nostro futuro, o se si vuole, il destino.

            Che cosa ci sta succedendo Τί εμοί καί σοί, γύναί? È la domanda che si legge nella Bibbia, al versetto 4 del 2° capitolo di Giovanni, è la domanda che Gesù fa alla madre alle nozze di Cana, che le nostre Bibbie traducono: “Donna, che vuoi da me?”, ma che letteralmente vuol dire: “Che cosa sta succedendo a me e a te, donna?”

            È a partire da questa domanda che cambia tutto. Cambia la condizione della Madre, non più solo la fidanzata, sposa e mamma della oleografia mariana, cambia la condizione del Figlio, che esce allo scoperto, è venuta la sua ora; e cambia l’epoca, cambia la storia, perché Dio ci entra dentro, entra nella storia, da quella piccola porta, in Cana di Galilea.

            Quella domanda è di nuovo cruciale: che cosa sta succedendo a me e a voi, oggi? Che cosa ci succede, quando ci sembra di non riconoscere più il mondo in cui abbiamo vissuto, quando la bontà, detta buonismo, viene punita come reato, e allora, come dice Alberto Melloni, tutta la Conferenza episcopale dovrebbe costituirsi? Che cosa ci sta succedendo quando i figli non ci capiscono, non si battezzano, e nemmeno più ci conoscono, anche nelle scelte che sono state dirimenti nella nostra vita? Che cosa ci sta succedendo quando il naufrago finalmente avvista la terra, ma la terra lo respinge, gli dice: “hai voluto prendere il mare, affogaci”? E proprio ieri all’oltraggio si è unita la beffa, si è aggiunto il dileggio: “Andate a Berlino! Sbarcate a Berlino!” Che cosa ci succede quando una donna non può partorire perché sul barcone non c’è spazio per allargare le gambe? O quando gli evasi dai campi di tortura vi vengono riportati a forza per un accordo tra governi? Che cosa ci sta succedendo quando il mondo è finalmente unito, globale, basta un clic per entrare nella Borsa di Tokio, le due Americhe hanno le stesse scuole di polizia, le stesse centrali dove si organizzano colpi di Stato e governi, si riapre la via della seta e merci e commerci fioriranno, quando insomma tutto si unisce nel mondo globale, ma mai i popoli sono stati più frantumati e divisi, carne spezzata per il sacrificio ma senza alcun miraggio di una comunione? Che cosa ci sta succedendo quando si costruiscono muri perfino a separare le corsie, per arabi ed ebrei, sulle autostrade in Palestina? Che succede se si alzano muri sui confini, e li si concepiscono più alti della torre di Babele, ma con la stessa ottusa arroganza? Che ci succede quando un ricco ha metà di tutte le ricchezze della terra e i poveri, come ai tempi di Amos profeta, sono venduti per un paio di sandali, anzi di infradito? E quando per un euro di salario che prende un operaio, il suo capo azienda ne prende 400? Che ci succede quando invece di fermare le catastrofi del clima, come orma ci chiedono perfino i ragazzini, si investe denaro per conviverci, per competere ed aumentare il PIL con le catastrofi? Che cosa ci sta succedendo quando creiamo un’intelligenza artificiale che non sente, non ama, non piange, non ride, non si cura di essere uomo o donna, però è un’intelligenza sterminata, non ha il nostro limite, e perciò le permettiamo tutto, la deleghiamo a tutto, le chiediamo di fare tutto?

            Che cosa sta succedendo. Quello che sta accadendo è un cambio d’epoca. Cambia lo scenario, come quando si scoprì la lente convessa, e col telescopio scoprimmo l’infinitamente grande, e col microscopio l’infinitamente piccolo, ed ora col digitale scopriamo l’infinitamente complesso; però questo complesso non lo possiamo dominare; abbiamo sì la scienza dell’infinitamente calcolabile, però le resta estraneo il calcolo della vita, della libertà, della grazia, del dono.

            Noi siamo sulla porta da cui passa questo cambiamento.  Ne vediamo i pericoli, ma che cosa possiamo fare? Non abbiamo partiti, né leader, né dottrine politiche, né economie alternative; abbiamo invece al governo, sparsi nel mondo, degli apprendisti stregoni, e qualche dottor Stranamore [film del 1964 di Stanley Kubrick]

            Che cosa allora ci può salvare? Non siamo i primi a chiedercelo. Quando già si profilava la crisi di questo passaggio d’epoca, a tre quarti del 900, un grande filosofo tedesco affermò, non in una lezione universitaria ma in un’intervista destinata al grande pubblico, sullo Spiegel, che ormai solo un Dio ci poteva salvare. “Ormai”. Ormai voleva dire per lui che l’uomo era sotto scacco da parte della tecnica, la quale “nella sua essenza è qualcosa che l’uomo di per sé non è in grado di dominare”, e che non può stare nelle regole di alcun sistema politico. La tecnocrazia è diventata così potente che nessun sistema politico conosciuto le può rispondere, le può dare una regola, la può ricondurre a una norma. E di fronte a un mondo e a una società determinati dalla strapotenza planetaria della tecnica, disse, né la filosofia né alcun altra mera impresa umana potrà produrre alcuna modificazione dello stato attuale del mondo, ma lo potrà fare solo l’eccedenza della poesia, dell’inedito, del non ancora pensato; e perciò concludeva, l’unica possibilità era di predisporsi all’apparizione oppure alla “contumacia” di Dio.

         Più tardi, quando si profilava la fine del comunismo e il mondo sprofondava sempre più in un sistema di dominio e di guerra, un grande intellettuale nostro, Claudio Napoleoni, percepiva che un’uscita per via puramente politica dalla crisi era impossibile, e poneva la domanda se non fosse valida quella sentenza di Martin Heidegger, che ormai solo un Dio ci può salvare.

            Questa domanda, nel senso in cui egli la poneva, non voleva dire volgersi all’attesa di un miracolo, ma significava che per rovesciare tutto un corso storico giunto a questi esiti distruttivi, occorrevano  “degli atti, delle operazioni di apertura verso la divinità, di eccezionale fervore nei confronti degli altri, degli atti, insomma, che non sono degli atti politici normali, sono degli straordinari atti di amore e di sacrificio, all’infuori dei quali da questa situazione storica non si viene fuori”.

            Questo rovello che la cultura ha piantato nel cuore del corso storico alla vigilia del III millennio, in cui siamo entrati, precipita qui ora nella nostra assemblea, e legittima la questione che in essa viene posta, se non debba darsi una lettura messianica della crisi. Perché i beni che abbiamo perduto o che non riusciamo a conseguire sono così importanti per noi che fin dalle profondità della storia furono considerati beni messianici – la pace, la giustizia, l’unità umana – e furono oggetto di promesse messianiche. Oggi però sono finiti i messianismi ideologici e politici del Novecento, e questo nuovo messianismo del capitalismo realizzato sta spiantando la terra. E non ci sono da aspettarsi altri Messia.

            Che fare dunque? Se davvero scopriamo le carte, noi possiamo dire che c’è un messia che rimane. Non è vero che non c’è. È l’intera famiglia umana questo soggetto messianico, ma non nella astrazione rarefatta del concetto, bensì nella sua concretezza come una vera comunità politica; l’unità umana come un ordinamento; non è il populismo, è il sovrano popolo di Dio che nello stesso tempo è anche una comunità ministeriale e profetica, come il cristianesimo l’ha svelato, l’ha annunziato.

            Tuttavia, come il vero Messia, noi, l’umanità istituita, siamo un messia disarmato. Però una risorsa l’abbiamo. Abbiamo la parola.

            La parola è coeva al mondo, è nata con lui, stava in principio, l’ha tenuto in vita, l’ha raccontato nella sua evoluzione. Con la parola abbiamo dato nome alle cose, cioè le abbiamo fatte esistere per noi. Con la parola ci siamo promessi fedeltà, come sposi, ma anche come popoli che si sono dati un patto, hanno scritto Costituzioni e leggi.

            La parola è potente, governa, ci può perdere con i suoi editti, ma anche salvare. Voglio farvi una confidenza, soprattutto ai più giovani. Io mi sono chiesto più volte che cosa ha salvato la mia vita, che cosa l’ha resa così lunga e benedetta. Fino a ieri io rispondevo: sono state le due vestali, le due forze della mia vita: il lavoro e l’amore. Dall’inizio e fino ad ora. Ma ora mi sono accorto che è stata la parola. Ho lottato perché non mi fosse tolta la parola. Ho vissuto per ascoltare, per dire, per scrivere la parola. Ho capito che quello che salva, che crea, che mantiene in vita, è la parola. È perché si abbia la parola che la vita è data, è quando si toglie la parola che la vita è tolta. Don Lorenzo Milani aveva capito che doveva dare la parola a quelli che non l’avevano, perché fossero uomini, fossero cittadini; e quando noi neghiamo la parola alle donne nella chiesa, o non gliela facciamo scrivere, sull’ “Osservatore Romano”, noi neghiamo il loro esserci per sé, e pretendiamo che esse siano solo per noi, per servire, “ratione servitutis”, come fu la motivazione della loro esclusione dai ministeri.

            La parola si è fatta mettere in croce pur di non tacere, non solo quel giorno sul Golgota, ma fino ad oggi. La parola è quella che non solo descrive le cose, ma le decifra, e se le decifra, le salva.

            È questo che facciamo oggi, mettiamo in campo la parola, perché non si perda la speranza. Eppure sentiamo quanto la nostra parola sia debole, quanto sia inascoltata.

            Però questa parola non resta sola. La parola si incontra col grido. Col grido dei popoli, col grido dei poveri, col grido della terra, col grido dell’immagine di Dio che si scolora sul volto della donna e dell’uomo, col grido delle vittime di tutte le armi, di tutte le guerre, il grido di tutte le madri che, come cantava Salvatore Quasimodo, vanno ”incontro al figlio crocifisso sul palo del telegrafo”.

            Ebbene, noi sappiamo che questo grido è efficace. «Questo povero grida e il Signore lo ascolta», come dice il Salmo (34,7), ripreso dal papa nel suo messaggio per la “giornata mondiale dei poveri”. Se fu la parola creatrice a far nascere i mondi, a separare la luce dalle tenebre, a porre dei luminari nel cielo e a mettere il chiavistello al mare, perché fino a quel punto giungesse e li infrangesse per sempre l’orgoglio delle sue onde (come dice il libro di Giobbe, 38, 10) è stato invece il grido dei poveri, il grido degli oppressi che ha avuto il potere di tirare giù Dio dal cielo, di fargli dire chi fosse, di far manifestare al mondo il Sé di Dio, e con il Sé di Dio il “Me” di ogni umana creatura,

            Infatti, come racconta il libro dell’Esodo, all’udire il grido del suo popolo prigioniero in Egitto, Dio non solo mandò Mosè, il balbuziente, a liberarlo, ma fece ben di più, rivelò se stesso agli uomini. Perché gli uomini fossero liberati Dio si chiamò per nome, disse l’ “Io sono”, e così farà Gesù nel Vangelo di Giovanni, fondando, come dicono i filosofi [François Jullien, Risorse del cristianesimo, Ponte alle Grazie2019], “l’ipseità assoluta del soggetto”, cioè l’insuperabilità di ogni persona umana, irriducibile al mondo, ma ciascuno cercando il volto dell’Altro, dimorando l’uno nell’altro, amando e vivendo nell’altro.

            Tale è la potenza del grido. Ascoltando questo grido, assumendolo nella potenza della parola, perfino delle nostre parole, forse oggi possiamo dire che la salvezza è più vicina di quanto mai possiamo pensare. I dominatori di questo mondo hanno la Tecnica, hanno il Denaro. Noi abbiamo la parola. La parola muove le montagne. Nella lunga notte, come nella lotta di Giacobbe con l’Angelo, è la Parola che vince. La speranza è vicina.  L’oggetto di questa speranza può sembrare iperbolico; eppure è il nucleo stesso del messaggio cristiano. È la soluzione messianica della crisi. È il papa in Campidoglio, non i voltagabbana vestiti da guerrieri.         Raniero La Valle                   Chiesa di tutti 16 aprile 2019

www.chiesadituttichiesadeipoveri.it/il-messia-che-rimane

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CHIESE EVANGELICHE

Il ’68 alla radice di ogni male morale?

Il testo di Benedetto XVI spazia fra molti temi, fra cui quello degli abusi sessuali. C’è voluto un po’, ma alla fine il covo dal quale il demonio sparge il proprio veleno nel mondo e persino nella Chiesa cattolica è stato individuato: si tratta del ‘68 e della sua pestilenziale eredità. Dissolvendo tutti i criteri morali e promuovendo l’espulsione di Dio dal discorso pubblico e dalla vita anche delle cristiane e dei cristiani, il Sessantotto ha dato la stura a una deriva morale della quale la pedofilia costituisce una delle manifestazioni più ripugnanti. La Chiesa cattolica (delle altre si parla solo allusivamente, come vedremo) si è in parte conformata alla mentalità di questo secolo (e anche del precedente, certo…), senza Dio, senza fede, senza Bibbia, senza morale (perché non dà retta all’autorità della Chiesa cattolica stessa, la quale, invece, detiene tutto quanto) e ora ne paga il prezzo.

Sembra la requisitoria di un Jorge da Burgos (il bibliotecario de Il nome della rosa di Umberto Eco) del XXI secolo e invece è Benedetto XVI, che presenta le sue riflessioni (autorizzate, a quanto pare, dal successore) sulla tragedia della pedofilia nella Chiesa cattolica, pubblicate in Italia dal Corriere della Sera. Si tratta di un testo davvero particolare, nel quale si trova un po’ di tutto; analisi sulla secolarizzazione dell’Occidente, discussioni sulla fondazione biblica o filosofica dell’etica (un problema, peraltro, che non sono certo occupi i primi posti nelle riflessioni di un pedofilo), denuncia degli stupri perpetrati da questo o quel sacerdote, che mentre fa violenza pronuncia in chiave blasfema le parole eucaristiche. In questo coacervo di argomentazioni in tono apocalittico, ci sono persino affermazioni che, in diverso contesto e altrimenti articolate, potrebbero essere anche condivise: la scristianizzazione occidentale costituisce motivo di angoscia per tutte le chiese; e chi legge la Bibbia sa che la prospettiva apocalittica costituisce una chiave di lettura che non può essere ridicolizzata, anche se va chiamata in causa con prudenza infinita, cosa che Benedetto, decisamente, in questa occasione non fa.

Senza entrare nei dettagli delle avventurose argomentazioni del papa emerito, esprimo stupore nei confronti della datazione dell’inizio della catastrofe. Il Male si scatena a partire dal ‘68, il che pare significare che prima le cose andassero meglio. Non c’erano pedofili? O forse non se ne parlava? La seconda domanda non pare sfiorare l’autore del documento. Egli afferma che la Costituzione tedesca varata nell’immediato dopoguerra menziona una responsabilità davanti a Dio, mentre la Costituzione europea non lo fa. Colpa del ‘68, naturalmente. Ma prima del 1945, per dire, in Germania, o in Italia, andava tutto bene? Dio era onorato? I valori umani rispettati? E le chiese non si erano adeguate alla mentalità del secolo? Che santità e peccato, complicità e martirio, si intreccino, nelle chiese, anche da prima del famigerato ‘68, sembra essere un’idea dalla quale Benedetto nemmeno è sfiorato.

C’è poi, all’inizio del terzo paragrafo, una bordata contro le chiese della Riforma: «Dobbiamo creare un’altra chiesa, perché le cose possano aggiustarsi? Questo esperimento è già stato fatto ed è già fallito». Non è importante, in questa sede, contestare la caratterizzazione della Riforma come tentativo di creare un’altra chiesa, anche se dispiace udirla da Ratzinger, che in altre occasioni si era mostrato un avversario acuto del protestantesimo e, in qualche caso, persino un interprete dal quale imparare (penso al suo discorso di Erfurt nel settembre 2011).

L’amaro in bocca nasce dal sospetto che, dietro tutti i salamelecchi ecumenici, questa sia la convinzione profonda dell’interlocutore cattolico (per non parlare di altri): che la Riforma sia il tentativo, fallito, di costituire una chiesa «altra» da quella di Gesù Cristo. Ma chissà, forse anche questo sospetto è opera del demonio e conseguenza del ‘68.

Qualcuno ipotizza invece che il testo vada letto in tutt’altra chiave, cioè come arma da utilizzare nella faida rusticana in corso nella Chiesa cattolica tra «franceschisti» e «antifranceschisti». Si tratterebbe, cioè, di una critica implicita a un certo «liberalismo» del papa in carica (non ho mai capito in che cosa consisterebbe, ma molti lo rilevano e alcuni lo deprecano) e di una chiamata alle armi dei duri e puri. In tal caso, sono da attendersi repliche da parte, per così dire, progressista. Ci sentiamo alla prossima puntata.

Fulvio Ferrario, decano della Facoltà valdese di teologia,    Riforma                      15 aprile 2019

https://riforma.it/it/articolo/2019/04/15/il-68-alla-radice-di-ogni-male-morale?utm_source=newsletter&utm_medium=email

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CITAZIONI

Fulton Sheen: l’amore è personale, ma il sesso è sociale

            L’amore coniugale è individuale, unico e geloso, nel giusto senso della parola. Comporta discrezione, solidarietà, e risente di ogni intrusione. Per tale ragione non parla mai del suo amore in pubblico e non si esibisce mai. È una strana realtà psicologica che coloro i quali ostentano pubblicamente il loro amore, vezzeggiandosi con epiteti pieni di miele, sono assai spesso quelli stessi che nell’intimità litigano e si accapigliano.

A questo dualismo personale dell’amore tra i coniugi si accompagna il fatto che l’amore carnale è sociale di sua natura, nel senso che è stato ordinato da Dio per popolare la terra e per la filiazione del Regno dei Cieli. Alcune funzioni dell’essere umano sono individuali, come la vista e l’udito.

Ciascuno si soffia il naso e fa all’amore per proprio conto. Ma l’amore coniugale comporta anche un rapporto sociale che è la propagazione della specie. In altre parole, l’amore è personale, ma il sesso è sociale, come è personale il diritto di proprietà ma è sociale il suo uso. L’amore si rivolge ad un compagno umano; il sesso si rivolge all’umanità.

            E che il sesso guardi oltre lo stretto elemento personale, sta a provarlo la sua natura in certo modo automatica. Esso non è completamente soggetto al controllo personale. Raggiunge un determinato punto se, per la continuazione della specie umana, va oltre le intenzioni dell’individuo. Se il sesso fosse stato dato da Dio soltanto per la soddisfazione dell’individuo, sarebbe in ogni caso soggetto al controllo individuale, come il mangiare. Invece la sua natura di riflesso ci induce a pensare che Dio interviene per la preservazione della specie, perfino quando l’individuo vorrebbe stornarlo dallo scopo sociale al solo fine del piacere personale.

            Questa tensione tra l’individuo e la specie non è insolubile. Quando sia l’amore che il sesso abbiano i loro sbocchi normali concessi da Dio, la contraddizione è risolta nel figlio. L’amore individuale del marito e della moglie diventa un contributo sociale per mezzo della prole. Allo stesso tempo, l’elemento personale del loro amore viene preservato dal fatto che essi possono chiamare «loro» il figliuolo. «Mio figlio» o «mia figlia» rappresentano l’ente sociale personalmente posseduto. Perdendo la fede in Dio, l’uomo ha anche perduto la fede nella propria anima, per cui la tensione si è accresciuta. Non solo egli ha raggiunto il punto in cui è diventato indifferente alla salvezza o meno dell’anima sua, ma è arrivato persino a negare di avere un’anima da salvare.

            Rimasto col solo corpo, ha dovuto scegliere quale parte del corpo sia la più importante. Due erano le possibili funzioni del corpo tra cui fare una scelta: il mangiare, che conserva la vita individuale, e l’accoppiarsi, che garantisce la vita sociale. La Bibbia narra di popoli antichi che divinizzarono il ventre; doveva toccare ai nostri giorni di divinizzare il sesso.

            Così il rapporto corpo-anima-Dio fu sostituito dalla tensione sesso-corpo. Il sesso è stato quindi isolato dall’anima e da Dio ed è diventato esclusivamente un mezzo per la soddisfazione dell’uomo, il quale viene definito «un sacco fisiologico colmo di libido psicologica».

Non si creda che la differenza tra il punto di vista cristiano e quello pagano coincida con la differenza tra l’anima e il corpo. La scelta non è mai tra corpo e anima, quasi che l’uno dei due potesse venire totalmente escluso. Si tratta piuttosto di attribuire una supremazia al corpo oppure allo spirito.

Essere contrari al corpo, o a una qualsiasi delle sue funzioni, è anticristiano così com’è anticristiano essere contro l’anima. Il ritmo armonioso di entrambi è il compimento del Decreto Divino: Ciò che Dio ha congiunto, l’uomo non lo divida. (Mc 10, 9)

            In Dio il corpo è riscattato dall’isolamento della nuda materia, mentre l’anima è trasfigurata dalle fiamme di una passione che alimenta tanto la vita potenziale quanto quella che già ha ricevuto la sua forma. Senza Dio, senza l’anima, il corpo non è garantito circa la continuazione dei suoi pensieri o dei frutti delle sue passioni. In Dio, il corpo può farsi ministro sia della reciproca solidarietà tra marito e moglie e dell’allevamento della famiglia, sia delle estasi sublimi di un San Giovanni della Croce.

da Fulton Sheen, Tre per sposarsi    Aleteia            26 marzo 2019

https://it.aleteia.org/2019/03/26/fulton-sheen-amore-personale-sesso-sociale/?utm_campaign=NL_it&utm_source=daily_newsletter&utm_medium=mail&utm_content=NL_it

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CITTÀ DEL VATICANO

Suor Smerilli: mi sento chiamata ad aiutare la Chiesa, come religiosa e donna.

«Sono sorpresa, ma anche tranquilla. Soprattutto sono consapevole della responsabilità a cui sono chiamata». Suor Alessandra Smerilli, religiosa delle Figlie di Maria Ausiliatrice e docente ordinario di Economia politica presso la Pontificia Facoltà di Scienze dell’educazione “Auxilium”, all’indomani della sua nomina a consigliere dello Stato della Città del Vaticano, non ha perso la sua serenità.

In cosa consisterà sostanzialmente il suo nuovo incarico?

Essere consigliere della Città del Vaticano significa partecipare al lavoro di un organismo – la Pontificia commissione per lo Stato della Città del Vaticano – che è chiamato a prestare assistenza nell’elaborazione a livello legislativo per lo Stato vaticano. Ecco perché parlo di responsabilità, ma nello stesso tempo penso anche che sia una bella esperienza se si può aiutare la Chiesa nel suo cammino.

Quando ha saputo della sua nomina?

Qualche giorno fa, ma a dire il vero è stata una sorpresa per me, perché in precedenza mi avevano chiesto un curriculum vitae senza specificare troppo le motivazioni. Poi la scelta come consigliere dello Stato, con preventivo via libera della mia Madre generale. Quando ho avuto conferma di tutto, ho pregato e ho chiesto preghiere a quelle persone con cui mi sono confidata prima dell’ufficializzazione della scelta fatta da papa Francesco sulla mia persona.

La nomina di una donna, secondo lei, è un ulteriore segnale di quella necessità di maggior presenza femminile che papa Francesco da tempo auspica?

Penso di sì, anche se credo che nel caso della mia nomina più che l’essere donna abbia influito la preparazione e le competenze economiche, visto che tra i tanti ambiti in cui lo Stato della Città del Vaticano legifera vi è anche quello economico. Probabilmente a parità di competenza, la scelta può essere caduta su un candidato donna, ma non come motivo prioritario. Non si può negare, comunque, che l’attenzione del Papa per una maggior responsabilità delle donne nella Chiesa, ci sia e molti gesti lo dimostrano: ad esempio, la scelta di una donna, suor Eugenia Bonetti per le meditazioni della Via Crucis di quest’anno. Certo sono segnali forti e chiari. E mi auguro che possano diventare patrimonio condiviso di tutta la Chiesa, anche al di fuori delle Mura Leonine (i confini della Città del Vaticano, ndr). Del resto anche dal recente Sinodo dei vescovi sui giovani si è alzata forte la richiesta di dare maggior spazio a tutte le componenti. Uno spazio non inteso come gestione di potere, bensì come servizio alla Chiesa. Penso che il processo di maggior coinvolgimento delle donne nella comunità ecclesiale sia partito. E, a mio parere, è inarrestabile.

Lei ha parlato del Sinodo sui giovani, al quale ha partecipato. Cosa porterà in eredità da quell’esperienza nel suo nuovo ruolo?

È stata una grande esperienza di Chiesa. L’assemblea generale, le fasi del discernimento dei temi. Davvero una grande scuola che mi lascia una enorme eredità. È stata una esperienza che ha accresciuto il mio amore per la Chiesa. E la nomina annunciata l’altro giorno mi permette di continuare a camminare nel servizio alla Chiesa.

Questo suo nuovo incarico comporterà cambiamenti nei suoi impegni accademici?

Continuerò a svolgere il mio impegno di docente ordinario in Economia politica alla Facoltà «Auxilium» di Roma. E dovrò ovviamente dedicare prioritariamente attenzione al mio ruolo di consigliere di Stato per i prossimi cinque anni, rinunciando ad alcuni degli impegni che ho assunto nel tempo.

Intervista di Enrico Lenzi     Avvenire         19 aprile 2019

https://cooperatori.salesianinordest.it/2019/04/25/suor-smerilli-mi-sento-chiamata-ad-aiutare-la-chiesa-come-religiosa-e-donna-avv-10-4-19

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COMMISSIONE ADOZIONI INTERNAZIONALI

Nuove statistiche sulle adozioni internazionali: primo semestre 2018

            In attesa dei dati annuali, CAI pubblica le informazioni relative al primo semestre 2018, consentendo una prima analisi sull’andamento del fenomeno adottivo nel 2018. Nei primi sei mesi dell’anno le coppie che hanno fatto richiesta di autorizzazione all’ingresso in Italia di minori stranieri alla Commissione per le adozioni internazionali sono state 501. Dall’analisi storica dei dati semestrali relativi al periodo 2012-2018 emerge un trend fortemente calante ma se ci si sofferma sull’ultimo biennio, emerge invece una stabilizzazione del fenomeno, con una riduzione di solo 11 casi nel 2018 rispetto all’anno precedente.

            Il 2018 ha visto la chiusura di due paesi, quale l’Etiopia e la Polonia nonché il rallentamento del Vietnam. L’Etiopia ha promulgato una legge specifica nel gennaio 2018, mentre per la Polonia i motivi della sostanziale chiusura sono derivati da scelte governative. In Vietnam è in corso una riorganizzazione delle procedure di adozione internazionale e si dovrà attendere ancora qualche mese per comprendere gli ulteriori sviluppi. Una delegazione vietnamita è stata invitata a Roma per i primi di maggio dalla CAI per un confronto tra autorità centrali al fine di individuare strategie comuni per una sempre maggior trasparenza ed efficienza delle procedure di adozione nonché per proseguire nella cooperazione per progetti mirati all’infanzia di quel paese.

            La Cai infine si augura di poter concludere alcuni accordi bilaterali con nuovi paesi di provenienza con i quali sono in corso proficui contatti al fine di garantire che i principi della Convenzione siano sempre di più rispettati, consentendo all’infanzia in stato di abbandono di usufruire, sia pure in via sussidiaria, anche della possibilità di trovare una famiglia in un paese diverso da quello di nascita.

            Nel primo semestre 2018, la Federazione Russa si conferma come primo Paese con 74 autorizzazioni all’ingresso, seguita dall’India (66), dalla Colombia (61) e dall’Ungheria (58). Tra i primi quindici Paesi ricompare la Lituania rimasta fuori negli ultimi anni, a scapito della Polonia che sembra subire gli effetti della decisione di restringere il numero delle adozioni internazionali per privilegiare quelle nazionali. Dunque, a livello di continente l’Europa si conferma l’area dalla quale arriva il maggior numero di bambini, ma con una incidenza che negli anni diventa sempre più contenuta e che nei primi sei mesi del 2018 scende al 38%. L’Asia, con il 25,7%, raggiunge e supera l’America (23,4%) e il continente africano si attesta al 12,9%.

            Prevalgono minori di genere maschile (60%) anche nel primo semestre 2018. Sul fronte dell’età emerge la prevalenza di minori con età compresa tra i 5 e i 9 anni, con una percentuale pari al 48,3%, seguita dalla classe d’età dei più piccoli di 1-4 anni (41,1%), mentre le classi d’età più estreme, dei più grandi con più di 10 anni e dei piccolissimi con meno di un anno, risultano meno rappresentate – si conta rispettivamente il 6,8% e il 3,8% di minori adottati.

            Per quanto riguarda l’attività degli Enti autorizzati: 49 hanno perfezionato l’ingresso in Italia di almeno un minorenne a scopo adottivo, e 30 di loro hanno lavorato ad un numero di adozioni superiore a cinque.

www.commissioneadozioni.it/media/1607/report_cai_1___semestre_2018.pdf

Comunicato    martedì 16 aprile 2019

www.commissioneadozioni.it/notizie/nuove-statistiche-sulle-adozioni-internazionali-primo-semestre-2018

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CONGRESSI CONVEGNI CONFERENZE programmi

Conferenza “Generatività nella coppia – Tra desiderio e limite”. Milano

All’interno del ciclo di conferenze 2018-19 “Un progetto che si chiama desiderio”, avrà luogo la Conferenza “Generatività nella coppia – Tra desiderio e limite” Relatore: p. Carlo Casalone SJ, medico cardiologo, indi entra nel 1984 nella Compagnia di Gesù. È presidente della Fondazione Carlo Maria Martini.

Giovedì 9 maggio 2019, ore 21. Piazza San Fedele, 4 – Milano. Sala Ricci. Ingresso libero

www.centrogiovanicoppiesanfedele.it

 

XVII convegno nazionale Scienza & Vita

Roma 24 maggio 2019 ore 9,15-19,00  Centro congressi auditorium Aurelia-via Aurelia 796

INGRESSO LIBERO

Programma

www.scienzaevita.org/wp-content/uploads/2019/04/Invito-EDITING-GENETICO.-Un-futuro-senza-malattie-ver.pdf

L’Associazione Scienza & Vita, in occasione del suo XVII Convegno Nazionale esplorerà il complesso – e ormai urgente – tema dell’Editing Genetico ovvero la possibilità di modificare la sequenza del DNA delle nostre cellule. Le più recenti biotecnologie lo hanno reso materialmente fattibile, persino con una relativa “facilità”.

Ma a che scopo e con quali conseguenze? Quali sono le applicazioni utili per terapie di malattie gravi ed incurabili fino ad oggi? E quali potrebbero essere i rischi se ad essere modificato fosse un embrione, magari non per “curare” ma per “potenziare” le capacità della specie umana? Per un’intera giornata affronteremo la cruciale questione di quale reale impatto potrà avere, in un futuro prossimo, per il genere umano e per la nostra società, l’eventuale applicazione clinica su larga scala di queste nuove biotecnologie. Diventeremo davvero tutti perfetti? Una nuova specie di esseri umani geneticamente potenziati, convivrà con gli esseri umani non migliorati? Con quali possibili risvolti culturali e sociali?

Esamineremo quindi, le molteplici prospettive possibili dell’Editing Genetico, sia sul piano applicativo (nuove terapie o “potenziamento”) sia su quello antropologico – valoriale e sociale, con il contributo di riconosciuti esperti nel settore, che ci offriranno una lettura multidisciplinare (scientifica, antropologica, etica, normativa ed economica) per esplorarne le diverse implicazioni. A completare l’approfondimento del tema non mancherà una disamina degli aspetti normativo-regolatori e un’analisi economica sulle risorse sanitarie in gioco.

www.scienzaevita.org/?wysija-page=1&controller=email&action=view&email_id=642&wysijap=subscriptions-2

 

Centro studi Erickson. Supereroi fragili. Adolescenti oggi tra disagi e opportunità

Convegno 10-11 maggio 2019 Rimini Palacongressi, Via della Fiera 23.

Forti e insicuri. Spensierati e tormentati. Invincibili e vulnerabili. Appassionati e svogliati. Gli adolescenti di oggi vivono questi contrasti sulla loro pelle. Come il titolo del Convegno, sono supereroi fragili che attraversano un periodo fatto di grandi trasformazioni. Può essere complesso entrare in contatto con loro: capire i loro stati d’animo, le nuove tendenze, le difficoltà che possono incontrare.

La nuova edizione del Convegno – con la direzione scientifica di Dario Ianes e il coordinamento della Ricerca&Sviluppo Erickson – sarà un’occasione per confrontarsi con chi lavora tutti i giorni con gli adolescenti, mettendo sotto la lente d’ingrandimento non solo i disagi che caratterizzano questa fase della vita, ma anche le opportunità e le risorse che rappresentano.

https://eventi.erickson.it/supereroi-fragili-2019/Home

Relatori           https://eventi.erickson.it/supereroi-fragili-2019/speakers?miu38l.icp100l=pcu5f&miu38l.icp101l=Relatrici+e+relatori&nav=page15l.19&link=oln477l.redirect&cbck=wrReq36867&var80l=Relatrici+e+relatori

 

Somma Lombardo. Riforma Terzo Settore e riforma sanitaria in Lombardia

Sarà il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana ad intervenire sullo “Stato dell’arte riforma socio-sanitaria lombarda” al convegno “Gli enti gestori tra la riforma sociosanitaria e la riforma del Terzo Settore: sfide e opportunità di sviluppo in programma sabato 11 maggio 2019 a Somma Lombardo (Varese), presso la biblioteca comunale via Marconi 2, patrocinato da Uneba.

Il vicepresidente Uneba Lombardia Marco Petrillo interverrà su “Riforma del Terzo Settore e nuove opportunità territoriali”.                 Per iscrizioni scrivere a: segreteria@anzianisomma.it

www.uneba.org/riforma-terzo-settore-e-riforma-sociosanitaria-lombardia-convegno-con-uneba-a-somma-lombardo

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CONGRESSI – CONVEGNI – SEMINARI

Discutere di famiglia senza intolleranze

Ancora non si sono esaurite le discussioni e le polemiche sul congresso di Verona sulla famiglia. Il mio giudizio al riguardo era e resta decisamente critico. A fare premio sul tema assolutamente centrale e sulle buone intenzioni di taluni suoi partecipanti stanno il sovraccarico ideologico e la strumentalizzazione politica – perfettamente voluta – da parte di una costellazione di sigle riconducibili a una destra illiberale italiana e non. Che ha cercato di inscrivere l’oggetto formale del congresso – la famiglia appunto – dentro una visione della società chiusa, gerarchica e autoritaria.

E tuttavia con il passare delle ore lievitano in me le riserve nei confronti di taluni argomenti branditi polemicamente da parte di certi suoi animosi critici. Una sorta di speculare dogmatismo. Solo qualche esempio.

  1. In primo luogo, il concetto di famiglia. Ovvio che non ci si possa cristallizzare su una idea statica della famiglia “naturale”; che natura e cultura interagiscano e che, specie per quanto attiene alle relazioni coniugali e parentali, il costume e i modelli familiari abbiano conosciuto straordinari rivolgimenti. Soprattutto in positivo: dalla famiglia patriarcale alla famiglia centrata sugli affetti e sui rapporti paritari tra i coniugi, anziché su ruoli rigidi e relazioni gerarchiche. Ma non mi pare si sia autorizzati a concludere che “famiglie” al plurale possano essere definite indistintamente tutte le più diverse forme di convivenza. Tenere ferma la distinzione tra famiglia in senso proprio e altre unioni è utile dal punto di vista descrittivo (è sempre buona norma chiamare le cose con il loro nome proprio, il più preciso possibile) ed è cosa coerente con la Costituzione (art. 29), la giurisprudenza, le leggi. Le quali – pur apprezzando, riconoscendo e disciplinando altre forme di convivenza comunque buone ad assicurare stabilità, in quanto giovano all’affidabilità e alla coesione nel tessuto sociale – contemplano il “favor familiæ”.
  2. Secondo: le nostre società aperte e liberali sono un guadagno prezioso. Ma appunto in quanto liberali mettono in conto il pluralismo delle visioni della vita e della società. Nel quadro largo e comprensivo dei loro ordinamenti e nella loro cura di propiziare il libero dispiegarsi di quelle diverse visioni è legittimo e anzi va messo in conto che, per esempio, vi sia chi coltiva una concezione della famiglia più tradizionale o chi giudica l’aborto come la soppressione di un essere umano. Non è lecito? L’importante è non pretendere che tutti la pensino così o che si possa imporre per legge una e una sola visione.

Dopo una lunga stagione nella quale, con qualche ragione, si è imputato ai cattolici la pretesa indebita di imporre per via legislativa modelli etici e familiari loro propri ma non socialmente condivisi, sarebbe paradossale che fossero essi a subire una sorta di censura dei propri liberi convincimenti e che, addirittura, dovessero vivere dentro un quadro culturale e normativo costringente che prescriva un’altra univoca visione. Si sancirebbe così il rovesciamento del paradigma liberale. La sana distinzione tra morale e diritto è un caposaldo dei regimi liberal-democratici. In Italia, per note ragioni storico-culturali, i cattolici hanno fatto fatica ad assimilare e praticare tale sana distinzione. Sarebbe sorprendente, ripeto, se oggi una pretesa impositiva di segno opposto fosse avanzata dalle élite laico-liberali che forgiano il mainstream [corrente convenzionale, di massa].

            Si è gridato ai “diritti sottratti”. Ripeto: non mi è piaciuto il mood [umore] di Verona e non nego che, complice la massiccia presenza di ministri di peso, si debba vigilare contro la tentazione di regredire nella legislazione. Anche se, almeno a parole, i politici in oggetto hanno dato assicurazione di non coltivare tale proposito. Ciò detto, sarà lecito a liberi cittadini, pur rispettosi delle leggi vigenti, di coltivare il convincimento che esse non coincidano con i propri soggettivi standard etici? Esemplare il caso dell’aborto. Come si può pretendere che chi, come si è accennato, lo considera come la soppressione di un essere umano non nutra riserve sulla legge che lo autorizza? Siamo di nuovo alla pretesa, di segno rovesciato, che la legge prescriva il pensiero unico? Anzi: da un punto di vita liberale si dovrebbe apprezzare che anche chi nutre convinzioni forti oggi minoritarie sia tuttavia rispettoso della legge di tutti e che magari la consideri conforme alla “giustizia possibile” ai fini della buona convivenza dentro una società pluralista.

            Infine, una parola sulla sinistra. Essa si anima e si mobilita sui diritti civili asseritamente minacciati. Dopo una stagione di relativo appannamento delle differenze rispetto alla destra, su questo fronte la sinistra alza le sue bandiere. Sta bene. Solo non vorrei che alla ipersensibilità sui diritti civili (individuali?) corrispondesse una certa tiepidezza sui diritti sociali. Mi chiedo se la denunciata “rottura sentimentale” della sinistra con i ceti popolari e con i problemi che li affliggono nella loro quotidiana fatica di vivere non abbia a che fare anche con lo strabismo di essa in tema di diritti. Sia chiaro: i diritti tutti si tengono. Ma forse la sinistra farebbe bene a rammentare la lezione di Norberto Bobbio, per il quale la lotta alle disuguaglianze sarebbe la sua bussola identitaria.

Anche per questa via si contrasta il populismo e lo slittamento a destra dei ceti popolari.

Franco Monaco    19 aprile 2019 (tratto da www.C3dem.it)

www.associazionepopolari.it/APWP/2019/04/19/discutere-di-famiglia-senza-intolleranze

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CONSULTORI FAMILIARI CATTOLICI

CIF Laurenziano di Firenze. «Noi uomini. Papà e Figlio»

Imparare a conoscere il corpo che cambia: Consultorio laurenziano di Firenze incontri padre-figlio

            Il Consultorio Matrimoniale propone «Noi uomini. Papà e Figlio»: un percorso per camminare insieme verso la scoperta e l’approfondimento dello sviluppo sessuale e affettivo. Il corso si terrà su tre incontri sabato 4, 11 e 25 maggio 2019 dalle 15 alle 17 nei locali del Consultorio, in piazza San Lorenzo 9 a Firenze (dentro il Chiostro della Basilica).

La novità di questi incontri “Papà e Figlio” è rappresentata dal diverso approccio ai temi inerenti la sessualità, l’innamoramento, la relazione affettiva, senza limitarsi ad una proposta esclusivamente informativa e asettica, ma tenendo conto degli aspetti affettivi e delle implicazioni valoriali.

Oltre la solita educazione sessuale. Il laboratorio è un’occasione per babbi e figli maschi di 13-14 anni (età scuola media), per conoscersi più a fondo, affrontare i temi più affascinanti della vita, confrontarsi, chiarire dubbi e crescere armoniosamente insieme. Il papà svolge per il figlio una funzione pedagogica fondamentale e non sostituibile: il suo compito è quello di strappare il figlio dalla vita famigliare e lanciarlo nella vita reale. Per farlo, deve avere il coraggio di andare oltre alla tendenza materna di accogliere il figlio, di tenerlo attaccato a sé, di soffocarlo. Il figlio non è più un bambino, è necessario un modo nuovo di rapportarsi, di confrontarsi; è proprio questo il momento più adatto nella relazione padre-figlio, per permettere al papà di svolgere la sua funzione di “lanciare” il figlio nella vita, nella società.

            Perché un laboratorio? Verso i 13-14 anni nei maschi cominciano ad emergere pensieri, interrogativi, dubbi, scoperte, idee nuove su se stessi e sul proprio corpo, nasce il desiderio di confrontarsi con altri su domande che vengono da dentro, su quello che sta succedendo nel loro corpo e nei loro pensieri. Le domande forse non sono sempre espresse, ma ci sono e per il padre – figura di riferimento del figlio maschio – è il momento di rispondere: l’adolescente infatti vuole esistere come persona, vuole affermarsi come soggetto, ma non sa chi è, non sa cosa diventerà e questo lo mette in ansia; non sa nemmeno lui cosa chiedere, come farsi rispettare, come essere considerato. Insieme, però, è più facile affrontare certi temi “difficili”: ecco perché un laboratorio con ad altre coppie babbo-figlio.

            Ciò offre ai babbi uno strumento per iniziare o rafforzare questo dialogo con i figli maschi che cambiano e ai ragazzi l’opportunità di confrontarsi con i coetanei e capire che non sono i soli a sentirsi “strani”, attraverso giochi di squadra, lavori a coppie o a gruppi, momenti di riflessione che mirano a sviluppare una comunicazione adeguata, a far emergere e approfondire la relazione padre/figlio, ad acquisire strumenti per affrontare la relazione affettiva con l’altro sesso e l’innamoramento, a preparare “lo zaino” per intraprendere l’avventuroso viaggio della vita.

Gli animatori del laboratorio sono due babbi appositamente formati dal C.Lo.M.B.(Centro Lombardo Metodo Billings, che cura la preparazione degli animatori dei percorsi per i ragazzi e delle animatrici per le ragazze.

Riccardo Bigi                         Toscana oggi  17 aprile 2018

www.toscanaoggi.it/Toscana/Imparare-a-conoscere-il-corpo-che-cambia-al-Consultorio-laurenziano-di-Firenze-incontri-padre-figlio

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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM

Cremona. Incontri “Siamo padri”

Il Consultorio Ucipem di Cremona promuove a maggio un ciclo di incontri dal titolo “Siamo padri”. Agli appuntamenti sono invitati i papà di bambini e bambine nati tra il 2016 e il 2019.

Il percorso, attivato presso il Consultorio di via Milano 5C, ha l’obiettivo di offrire uno spazio di incontro e confronto riguardo al vissuto della paternità. Si snoda lungo tre incontri di un’ora e mezza ciascuno ed è condotto dallo psicologo Toni Giorgi insieme all’educatore Mattia Cabrini.

Il percorso è gratuito e prevede la partecipazione di un numero massimo di 15 persone, si attiverà con l’iscrizione di almeno 5 genitori

www.diocesidicremona.it/blog/siamo-padri-al-consultorio-ucipem-un-corso-per-papa-19-04-2019.html

https://www.ucipemcremona.it

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DALLA NAVATA

Domenica di Pasqua – Anno C – 21 aprile 2019

 

Giotto- cappella della Maddalena – Basilica inferiore Assisi

Atti                   10, 40 ma Dio lo ha risuscitato al terzo giorno e volle che si manifestasse, non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio, a noi che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti.

Salmo              117, 22            La pietra scartata dai costruttori, è divenuta la pietra d’angolo. Questo è stato fatto dal Signore: una meraviglia ai nostri occhi.

1Corinzi           05, 06 Fratelli, non sapete che un po’ di lievito fa fermentare tutta la pasta? Togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova, poiché siete àzzimi.

Giovanni           20, 01 Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro.

 

Non cercate tra i morti Colui che è vivo

«Nel primo giorno della settimana, al mattino presto, le donne si recarono al sepolcro». Il loro amico e maestro, l’uomo amato che sapeva di cielo, che aveva spalancato per loro orizzonti infiniti, è chiuso in un buco nella roccia. Hanno visto la pietra rotolare. Tutto finito.

Ma loro, Maria di Magdala, Giovanna e Maria di Giacomo e «le altre che erano con loro» (Lc 24,10), lo amano anche da morto, per loro il tempo dell’amore è più lungo del tempo della vita. Vanno, piccolo gregge spaurito e coraggioso, a prendersi cura del corpo di Gesù, con ciò che hanno, come solo le donne sanno: hanno preparato, nel grande sabato, cerniera temporale tra la vita e la morte, gli aromi per la sepoltura. Ma il sepolcro è aperto, come un guscio di seme; vuoto e risplendente nell’alba, e fuori è primavera. Non capiscono.

Ed ecco due angeli a rimettere in moto il racconto: «perché cercate tra i morti Colui che è vivo? Non è qui. È risorto». Che bello questo! non è qui?! Lui è, ma non qui; lui è, ma va cercato fuori, altrove; è in giro per le strade, è in mezzo ai viventi, è colui che vive! un Dio da sorprendere nella vita. È dovunque, eccetto che fra le cose morte. Si è svegliato, si è alzato, è vivo: è dentro i sogni di bellezza, in ogni scelta per un più grande amore, è nei gesti di pace, nel pane spezzato, negli abbracci degli amanti, nella fame di giustizia, nel grido vittorioso del bambino che nasce, nell’ultimo respiro del morente. E chi vive una vita come la sua avrà in dono la sua stessa vita indistruttibile.

Ma non bastano angeli. Il segno che le farà credere è un altro: «Ricordatevi come parlò quando era in Galilea». Ed esse, con lui dalla prima ora (Lc 8,1-2), si ricordarono delle sue parole (v.8). E tutto esplode: le donne credono, perché ricordano. Credono per la parola di Gesù, non per quella degli angeli. Credono prima di vedere, come ogni discepolo. Hanno custodito le sue parole, perché le amano: in noi vive solo ciò che ci sta a cuore, vive a lungo ciò che è molto amato, vive per sempre ciò che vale più della vita.

La fede delle donne diventa immediatamente annuncio (v.9) e racconto (v. 10) agli undici e a tutti gli altri. Straordinaria doppia missione delle discepole «annunciarono tutto questo»: è la buona notizia, Vangelo del Vangelo, kerigma cristiano agli apostoli increduli; e poi raccontavano queste cose ed è la trasmissione, la narrazione prolungata delle testimoni oculari dalle quali Luca ha attinto il suo vangelo (Lc 1,2) e ce l’ha trasmesso.

Come per le donne nell’alba di Pasqua così anche per noi la memoria amorosa del Vangelo, amare molto la sua Parola, è il principio per ogni incontro con il Risorto.

Padre Ermes Ronchi, OSM

www.lachiesa.it/calendario/omelie/pages/Detailed/45658.html

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DIRITTI

Diritto all’indipendenza affettiva

Casi di violenze alle donne, conflitti di coppia, scelte sentimentali sbagliate, dinamiche sfasate di coppia, stili educativi inadeguati affondano le loro radici nelle dipendenze affettive originate dalle famiglie d’origine con padre violento e madre sottoposta, padre assente e madre oppressa e opprimente, padre anaffettivo e madre ossessiva e possessiva e altre situazioni simili.

Così i figli crescono sentendosi in colpa, ritenendosi la causa della disarmonia genitoriale e familiare e sviluppano un atteggiamento servile, succube nei confronti del genitore debole per colmare il vuoto che ha dentro sino ad un’inversione di ruoli.

I genitori dovrebbero attenersi alle indicazioni degli articoli 147 e 315 bis codice civile (in particolare l’obbligo di assistere moralmente i figli) e articolo 6 comma 2 legge 184/1983 sull’adozione, come modificata dalla legge 149/2001 (“I coniugi devono essere affettivamente idonei e capaci di educare, istruire e mantenere i minori che intendano adottare”, potendo ritenere tutti i figli una forma di adozione dalla vita), non solo come obblighi giuridici ma anche come orientamenti pedagogici per non nuocere alla sfera sentimentale e sessuale dei figli e allo sviluppo della loro personalità.

Prima di diventare genitori e nel diventare genitori bisognerebbe fare non un “percorso di consapevolezza” (concetto abusato), con o senza esperti, ma con coraggio e coerenza un esame a ritroso sui propri tasti dolenti e nodi irrisolti per capire se si è pronti a caricarsi della responsabilità del figlio e non a caricare o scaricare su di lui quello che non va o non si è avuto.

La genitorialità dovrebbe essere espressione di adultità dell’essere e maturità dell’amare. “La dipendenza affettiva ha origini nella storia di vita personale […]”. Generalmente si tratta di persone che hanno appreso fin da piccole che l’amore è possibile solo con il sacrificio di sé.

Un esempio tipico è un genitore alcolista con un bambino che si prende cura del genitore stesso sperando che, aiutandolo bene e mettendo da parte i suoi bisogni, il genitore un giorno ci sarà per lui.

Se prendiamo come punto di riferimento il modello degli stili di attaccamento di John Bowlby, possiamo dire che le persone dipendenti affettive spesso hanno avuto un attaccamento insicuro-ambivalente: il caregiver era presente ma, a causa delle sue fragilità, poteva garantire una presenza emotiva intermittente. La persona, in una fase molto precoce del suo sviluppo, ha vissuto quindi il dramma del conflitto tra il bisogno di una considerazione positiva di sé da un lato e il bisogno di accettazione da parte del genitore dall’altro. In altre parole, ha imparato presto che, per poter essere amata, doveva mettere da parte aspetti di sé e attendere che il genitore, una volta “aggiustato”, fosse disponibile.

Raramente, però, la speranza si realizza e quello che nel lungo periodo viene sperimentato è la disperazione del non sentirsi visti e amati, associata a un misto di attesa e speranza. Si comprende, quindi, da dove nasca l’ambivalenza: da un genitore che non c’è ma che si spera possa diventare un giorno recettivo e attento (la psicologa e psicoterapeuta Luisa Fossati). Un’indicazione basilare è quella contenuta nel Preambolo della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia ove si legge che il fanciullo deve crescere “in un’atmosfera di felicità, amore e comprensione”.

L’amore è il moto verso l’altro (etimologicamente “desiderio, passione”), la comprensione è prendere insieme, contenere in sé, quindi è un riconoscere l’esistenza di un altro, infine la felicità è fecondità, produzione, è una fuoriuscita. I figli sono vettore di vita e non l’asse della propria vita.

Margherita Marzario                        filo diritto 15 aprile 2019

www.filodiritto.com/diritto-allindipendenza-affettiva

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DIVORZIO

Divorzio coniuge straniero irreperibile

Se l’amore può essere un sentimento fugace, il matrimonio può esserlo ancor di più. L’istituto giuridico che celebra l’amore tra due persone può essere ben presto scardinato da un istituto uguale e contrario: il divorzio. Da qualche anno, grazie ad una riforma legislativa, in Italia è molto più semplice divorziare, visto che le tempistiche si sono decisamente ridotte. E così, se sei stanco del tuo partner, in tempi relativamente brevi puoi tornare libero come l’aria, salvi ovviamente i doveri che avrai nei confronti dei tuoi figli ed, eventualmente, quelli economici nei riguardi dell’ex coniuge, nel caso in cui questi non sia economicamente autosufficiente. Tornando a quanto detto in apertura, a volte l’amore è talmente fugace da darsi letteralmente alla fuga: è quanto accade a chi, da un momento all’altro, si vede abbandonato dal partner che ha pensato bene di rendersi non rintracciabile. In casi come questi, come funziona il divorzio del coniuge irreperibile?

            Molti di questi casi si registrano tra le unioni miste, cioè tra i matrimoni intercorsi tra cittadini italiani e stranieri: questi ultimi, con il pretesto di rientrare in patria per salutare la famiglia, non tornano più, né sono reperibili al cellulare o all’indirizzo estero. Come fare in questi casi? Come ottenere il divorzio quando si è piantati in asso? Come instaurare un procedimento nei confronti di un soggetto di cui si siano perse le tracce?           Divorzio coniuge irreperibile: si può fare? Cominciamo subito con il dire che è possibile divorziare dal coniuge (italiano o straniero che sia) anche se irreperibile. Ciò che invece non si può fare, ovviamente, è giungere ad un accordo consensuale sulle condizioni: di conseguenza, l’unico modo di divorziare dal coniuge irreperibile è quello di adire il tribunale competente. Nessun spazio per le trattative, per la negoziazione assistita o per altre forme più celeri ed economiche: solo il giudice potrà farti giustizia.

            Non solo puoi divorziare dal coniuge irreperibile: puoi anche separarti da lui senza che sia presente. Ed infatti sicuramente saprai che in Italia, a differenza di altri Paesi, non è possibile giungere immediatamente allo scioglimento del matrimonio: il primo step da affrontare è la separazione personale. Solamente dopo aver ottenuto questa potrai divorziare.

Divorziare dal coniuge irreperibile: quanto tempo occorre? Se il tuo partner è diventato uccel di bosco, non temere: puoi divorziare o separarti anche senza di lui e senza sapere dove sia. Però, perché il divorzio sia valido, occorre seguire una procedura precisa.

            Orientativamente, i tempi per ottenere la sentenza di separazione o di divorzio con coniuge irreperibile sono di circa un anno dal deposito del ricorso in tribunale; infatti, sebbene non si instauri un effettivo contraddittorio tra le parti, la procedura civile impone alcuni passaggi obbligatori, tra cui ricerche anagrafiche, le notificazioni a soggetto irreperibile e alcune udienze di rito in tribunale, variabili a seconda delle situazioni.

Divorzio dal coniuge straniero irreperibile: a quale giudice rivolgersi?

            Poiché la tua intenzione è quella di divorziare dal coniuge straniero irreperibile, ti si potrebbe porre un ulteriore problema oltre a quello di non sapere dove si trovi: la cittadinanza straniera ti obbliga a rivolgerti ad un giudice estero oppure a qualche altra autorità internazionale? Assolutamente no: il divorzio dal coniuge straniero irreperibile può essere ottenuto in Italia.

            La legge sul diritto internazionale italiano [Legge 31 maggio 1995, n. 218] dice che i rapporti personali tra i coniugi aventi diverse cittadinanze sono regolati dalla legge dello Stato nel quale la vita matrimoniale è prevalentemente localizzata. Questo significa che se hai convissuto con il tuo coniuge prevalentemente in Italia, il procedimento di separazione o di divorzio potrà essere instaurato davanti al giudice della città in cui avete avuto l’ultima residenza comune.

            Come si divorzia dal coniuge straniero che è irreperibile? Vediamo come divorziare dal coniuge straniero irreperibile. Abbiamo già sgombrato il campo da due dubbi, forse i maggiori: è possibile divorziare o separarsi dal coniuge irreperibile, ed è possibile farlo in Italia, anche se il coniuge è straniero.

            I problemi maggiori di un tale tipo di procedimento riguardano la correttezza delle notifiche: ed infatti, anche se il partner si è reso volontariamente irreperibile, occorre che sia portato a conoscenza del processo che si sta instaurando.

            Divorziare, anche se oggi è più semplice, non è roba di poco conto, visto che lo scioglimento del vincolo matrimoniale restituisce la libertà di stato ad entrambi i coniugi, i quali possono convolare a nuove nozze. Dal divorzio, poi, conseguono determinati obblighi, come quello di corrispondere un assegno periodico al coniuge economicamente più debole. Capirai bene, quindi, come sia fondamentale seguire la corretta procedura.

            Secondo la legge, il ricorso introduttivo del giudizio va notificato presso la sua ultima residenza [Art. 139 cod. proc. civ.]. Facendo un esempio, se durante la tua vita matrimoniale hai fissato a Roma la residenza comune e la stessa non è mai stata trasferita, la notifica dovrà essere effettuata a Roma, anche se il coniuge straniero è di fatto irreperibile.

Quando non è conosciuta all’anagrafe l’attuale ed effettiva residenza o dimora o domicilio del coniuge, si procederà con la notifica a persona irreperibile [Art. 143 cod. proc. civ.]: ciò significa che l’ufficiale giudiziario incaricato della notifica depositerà copia del ricorso nella casa comunale dell’ultima residenza del destinatario.

            Secondo la giurisprudenza, se viene contestata la legittimità dell’adozione della notificazione della citazione con il rito degli irreperibili, il giudice deve accertare, in base alle prove addotte, se il notificante conoscesse o potesse conoscere, adottando la comune diligenza, la residenza, il domicilio o la dimora del destinatario della notificazione. In pratica, la procedura di notifica agli irreperibile deve essere residuale, nel senso che davvero non si deve avere alcuna conoscenza dell’attuale dimora dell’irreperibile.

Come divorziare se il coniuge è all’estero? Anche se di fatto irreperibile, il coniuge straniero potrebbe aver conservato la residenza nel suo Paese natìo. Come procedere in questi casi? Come divorziare dal coniuge straniero irreperibile che abbia la residenza estera? Ebbene, se la residenza estera del coniuge è conosciuta, l’atto introduttivo della separazione può essergli notificato nel luogo di residenza.

            In questa ipotesi, la notificazione è regolata da apposite convenzioni internazionali; occorre tuttavia distinguere a seconda che il Paese estero faccia o meno parte dell’Unione Europea:

  • Nel primo caso, un regolamento comunitario [Reg. CE n. 1393/2007] prevede che l’atto da notificare dovrà essere accompagnato da un modello standard compilato nella lingua ufficiale del Paese destinatario;
  • Nella seconda ipotesi, cioè se il coniuge straniero è residente in uno Stato extraeuropeo, dovrai controllare se il Paese destinatario ha aderito o meno a convenzioni internazionali o bilaterali, consultando la tabella delle convenzioni tratta dalla guida alla notificazione all’estero del ministero degli Affari Esteri.

Se non risulta possibile procedere alla notifica in uno dei modi indicati, la legge dispone che una copia dell’atto venga notificata al destinatario a mezzo del servizio postale con raccomandata, mentre un’altra copia venga consegnata al pubblico ministero il quale provvederà a trasmetterla al ministro degli affari esteri per la consegna alla persona destinataria [Art. 142 cod. pen.].

Come ottenere sentenza di divorzio dal coniuge irreperibile? L’ostacolo più grande riguardante il divorzio dal coniuge straniero irreperibile concerne le notificazioni; se esse sono andate tutte a buon fine, nel senso che sono state effettuate correttamente, il processo potrà dirsi validamente instaurato. Infatti, la prima cosa che farà il giudice al quale presenterai la domanda di separazione o di divorzio sarà di verificare che il ricorso sia stato portato a conoscenza dell’altro coniuge.  Non importa che il coniuge irreperibile non abbia avuto reale conoscenza del procedimento: l’importante è che egli sia stato messo nelle condizioni di poterne prendere atto e, di conseguenza, di difendersi.

            Se il giudice ritiene che il ricorso al coniuge straniero irreperibile siano state eseguite regolarmente, allora si potrà procedere: il magistrato, valutate le tue richieste, potrà riservarsi e pronunciare sentenza di divorzio. Egli sarà anche tenuto a decidere sull’eventuale affidamento della prole e sulla corresponsione di un assegno a favore della parte economicamente più debole.

            Ricorda, poi, che se il coniuge straniero irreperibile, inizialmente assente in udienza, dovesse avere conoscenza del giudizio in corso, potrà sempre costituirsi: in questo caso, la contumacia verrebbe revocata e, volendo, in presenza di accordo tra le parti, si potrà successivamente consensualizzare il procedimento.

Si può chiedere direttamente il divorzio dal coniuge straniero irreperibile?

            Poiché il tuo coniuge (presto ex) è straniero, potresti commettere l’errore di pensare di poter divorziare da lui senza passare per la separazione. In realtà, non è così: anche se la legge nazionale del tuo coniuge dovesse prevedere il divorzio diretto (senza separazione), si applica nel tuo caso la legge italiana.

            Come ricordato sopra, a proposito della giurisdizione del giudice italiano, i rapporti personali tra coniugi aventi diverse cittadinanze sono regolati dalla legge dello Stato nel quale la vita matrimoniale è prevalentemente localizzata; perciò, se avete vissuto in Italia, non solo dovrai recarti da un giudice italiano, ma si applicheranno anche tutti gli istituti giuridici del nostro Paese, ivi compresa la separazione personale dei coniugi.

Pertanto, anche se il tuo coniuge è straniero, dovrai rispettare la legge italiana e le sue prescrizioni.

Mariano Acquaviva   La legge per tutti       15 aprile 2019

www.laleggepertutti.it/279361_divorzio-coniuge-straniero-irreperibile

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ENTI TERZ0 SETTORE

Statuti degli Enti del Terzo Settore: chiarimenti sull’individuazione delle attività di interesse generale

Nota n. 3650 del 12 aprile 2019, Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali

La Direzione Generale del Terzo settore e della responsabilità sociale delle imprese

In risposta ad un quesito del Dipartimento Salute e Welfare della Regione Abruzzo, ha fornito i propri chiarimenti circa le modalità secondo le quali gli enti del Terzo settore, anche di nuova costituzione, sono chiamate a individuare statutariamente le attività di interesse generale.

In particolare, la nota ministeriale chiarisce se gli Enti abbiano facoltà di inserire tutte le attività indicate nell’articolo 5 del D.lgs. 117/2017 o se debbano invece limitarsi ad indicare solo quelle “ritenute più congrue rispetto agli scopi statutari e al campo di azione degli enti”.

Gli enti che modificano lo statuto ai sensi del Codice del Terzo Settore (D.lgs 117/2017), o gli enti di nuova costituzione, non devono inserire tra le attività di interesse generale che svolgono tutte quelle previste dal Codice, né un numero così alto” tale da rendere indefinito – e come tale non conoscibile – l’oggetto sociale”. Le attività che da statuto l’ente svolge devono invece essere “chiaramente individuate (e ragionevolmente collegate tra loro)”, ferma restando la possibilità di modificare nel tempo le attività citate nello statuto secondo le forme previste.

Come ricorda la nota ministeriale, lo svolgimento, in via esclusiva o principale, di una o più attività di interesse generale è uno degli elementi che connotano, unitamente alla finalità e all’assenza dei fini di lucro, gli enti che possono rientrare a far parte del perimetro del Terzo Settore.

Consultare la Nota n. 3650 del 12 aprile 2019, “Statuti degli Enti del Terzo Settore. Individuazione delle attività di interesse generale e delle finalità. Artt. 4 comma 1, 5 comma 1 e 21 del D.lgs. 117/2017”.

www.lavoro.gov.it/documenti-e-norme/normative/Documents/2019/Nota-n-3650-del-12042019-individuazione-attivita-d-interesse-generale-e-delle-finalita.pdf

Non profit on line       15 aprile 2019

www.nonprofitonline.it/default.asp?id=466&id_n=8153&utm_campaign=Newsletter+Non+profit+on+line+24+aprile+2019&utm_medium=email&utm_source=CamoNewsletter

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FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI

Il Fattore Famiglia arriva in Piemonte!

Dopo quasi due anni dalla sua presentazione, la proposta di legge sull’istituzione del Fattore Famiglia è diventata una legge della Regione Piemonte! Legge n. 16, 9 aprile 2019.

www.regione.piemonte.it/governo/bollettino/abbonati/2019/15/attach/aa_aa_regione%20piemonte%20-%20legge%20regionale_2019-04-09_67924.pdf

Si tratta di un primo, ma fondamentale passo, per riconoscere il valore della famiglia in tutti gli ambiti di competenza regionale. In sintesi, quando la legge sarà attuata, il governo regionale potrà sui singoli provvedimenti introdurre specifiche agevolazioni, in base al numero dei componenti del nucleo familiare, ad integrazione di quelle previste dalla normativa statale (p.e. ISEE). Gli ambiti al momento previsti sono: prestazioni sociali e sanitarie, servizi socio-assistenziali, sostegno per la prima casa, servizi scolastici (comprese paritarie), trasporto pubblico locale. Ormai da dieci anni il Forum Famiglie propone a livello nazionale e locale il Fattore Famiglia e ora, due anni da un analogo provvedimento da parte della Regione Lombardia, anche il Piemonte fa suo questo progetto.

Ci auguriamo, perciò, che la prossima amministrazione regionale, indipendentemente dal suo colore politico, continui su questa strada virtuosa a favore della famiglia.

www.forumfamiglie.org/2019/04/16/il-fattore-famiglia-arriva-in-piemonte

 

Sportello Unico della Famiglia, la proposta firmata Acli in Sicilia

Verrà presentata il 16 aprile prossimo, presso l’Assemblea Regionale Siciliana una proposta legislativa di Sportello Unico sulla Famiglia che punta a creare un punto unico di interlocuzione dei cittadini per le tutte le problematiche (e quindi le relative pratiche e procedimenti amministrativi) che attengono alle fragilità delle famiglie.                                     www.forumfamiglie.org/wp-content/uploads/2019/04/iniziativa-ars.pdf

“Lo Sportello Unico per la Famiglia rappresenta una vera e propria riforma del welfare d’accesso – ha detto uno degli ideatori della norma, Gianluca Budano, della presidenza Acli – al fine di semplificare la vita ai soggetti che patiscono qualunque fragilità, perché non patiscano anche il disorientamento nei mille meandri della pubblica amministrazione dedicata a tali risposte. Insomma una riforma che vuole che la semplificazione diventi cura”.

www.forumfamiglie.org/2019/04/16/sportello-unico-della-famiglia-la-proposta-firmata-acli-in-sicilia

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GARANTE INFANZIA E ADOLESCENZA

Il 10% dei minorenni in Italia ha genitori di origini immigrate.

L’AGIA: “Garantire inclusione e partecipazione“. Si tratta di un milione di under 18, equamente ripartiti tra maschi e femmine, che crescono all’incrocio tra due mondi: quello della famiglia di origine e la società italiana. Ragazzi che si trovano a far da mediatori tra due culture, quasi fossero talora genitori dei loro stessi genitori. Minorenni che, a causa della provenienza della loro famiglia, affrontano discriminazioni e malintesi. Come quello di essere considerati stranieri, anche se parlano e vivono da italiani. O quello di dover far accettare ai familiari comportamenti “da italiani”.

            A tutela dei loro diritti di persone di minore età l’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza (Agia) ha formulato oggi una serie di raccomandazioni rivolte a ministeri, regioni, comuni, servizi sociali, assistenti sociali e giornalisti. A contenerle è un documento di studio e proposta “L’inclusione e la partecipazione delle nuove generazioni di origine immigrata. Focus sulla condizione femminile”, realizzato con il supporto tecnico dell’Istituto degli Innocenti di Firenze e presentato stamattina a Roma durante un convegno e una tavola rotonda promossi dall’Agia.

Sono intervenuti Cristina Maggia, presidente del Tribunale per i minorenni di Brescia e coordinatrice del gruppo di lavoro, Tiziana Chiappelli, docente universitario e – alla tavola rotonda – i rappresentanti delle istituzioni destinatarie delle raccomandazioni. Hanno raccontato le loro storie Ireneo Spencer (Conngi), Annalisa Ramos Duarte e Ziad Atef. Ha svolto le conclusioni Alessandra Dal Moro, consigliere CSM. Ha moderato i lavori la giornalista Rai del Tg2 Simona Burattini.

Garantire inclusione e partecipazione

 “Quelli di nuova generazione sono bambini e ragazzi per i quali i diritti della Convenzione di New York valgono come per tutti i loro coetanei” avverte l’Autorità garante Filomena Albano. “Fino a qualche anno fa erano soprattutto ragazzi nati all’estero. Oggi la maggioranza, sette su 10, è nata in Italia. Con lo studio avviato a maggio scorso dalla Consulta delle associazioni e delle organizzazioni dell’Agia abbiamo rilevato buone pratiche e criticità, grazie a docenti universitari, esperti, magistrati, avvocati e rappresentanti delle associazioni dei ragazzi di seconda generazione e delle comunità straniere in Italia”. “Abbiamo ascoltato la voce dei ragazzi di nuova generazione, e ne sono scaturite, oltre che storie e testimonianze, una serie di indicazioni sulle azioni possibili per la loro inclusione e partecipazione” prosegue Filomena Albano.Azioni che le istituzioni – in particolare la scuola – gli operatori, i professionisti e le organizzazioni sono sollecitate a porre in atto. Anche il linguaggio e le narrazioni che li riguardano hanno bisogno di una revisione. Per questo abbiamo invitato l’Ordine dei giornalisti a collaborare con gli stessi immigrati o con le nuove generazioni di origine immigrata come testimoni privilegiati per pervenire a questo risultato”.

Le raccomandazioni. Tra le raccomandazioni presentate stamane spicca la sensibilizzazione del personale che entra in contatto con bambini e ragazzi di nuova generazione sulle loro specificità culturali, in particolare a scuola. E ancora: la presenza di mediatori linguistici e culturali ai colloqui dei genitori con gli insegnanti. Particolare attenzione è stata attribuita, a scuola, alla cultura della prevenzione, in termini di educazione alla relazione e alla salute riproduttiva e sessuale e, presso i consultori, all’informazione sull’esistenza di sportelli di educazione alla salute e alla sessualità.

Durante il convegno è stata proiettata una sequenza tratta dal corto “Indovina chi ti porto a cena” (Italia, 2018) di Amin Nour, vincitore del Progetto MigrArti 2018.

AGIA  16 aprile 2019

www.garanteinfanzia.org/news/raccomandazioni-nuove-generazioni

 

I numeri, la condizione femminile e le buone prassi

I numeri

La fotografia dei minorenni di origine immigrata. Secondo i dati Istat, aggiornati al 1° gennaio 2018, in Italia gli under 18 con genitori di origine immigrata sono 1.041.177 su un totale di popolazione minorile di 9.806.357 ragazzi. Dal 1993 al 2014, sempre secondo l’Istat, sono nati nel nostro Paese quasi 971 mila bambini da genitori stranieri, con una tendenza alla crescita che si è però invertita negli ultimi anni: dopo oltre vent’anni di incrementi, stanno diminuendo le nascite da genitori immigrati in Italia. Erano quasi 80 mila nel 2012, nel 2015 erano poco più di 72 mila, e alla fine del 2017 erano 67.933 quelli con entrambi i genitori di origini immigrate.

Si tratta comunque di quasi il 15% delle nascite complessive, con marcate sperequazioni territoriali: si va da punte superiori al 20% nelle regioni settentrionali a un 5% nel Mezzogiorno e nelle Isole. Fino a qualche anno fa, la maggioranza di questi bambini e ragazzi era nata all’estero e poi ricongiunta. Oggi invece la grande maggioranza è nata in Italia: oltre 7 su 10.

I dati e la scuola. Nell’anno scolastico 2016-2017, secondo i dati Miur, la parte più ampia degli studenti stranieri si concentra nella scuola primaria con 302.122 alunni stranieri, seguita dalla scuola secondaria di II grado con 191.663 studenti stranieri e, con una presenza ancor più contenuta, dalla scuola secondaria di I grado con 167.486 allievi stranieri. È nato in Italia il 30,4% degli studenti stranieri delle scuole secondarie di I e II grado; il 23,5% è arrivato prima dei 6 anni, il 26,2% è entrato in Italia tra i 6 e i 10 anni e il 19,9% è arrivato a 11 anni e più. In particolare, nella scuola secondaria di I grado, oltre il 43% dei ragazzi stranieri è nato in Italia e poco più dell’11% è entrato a 11 anni e più, mentre in quella di II grado la percentuale di nativi scende al 18%e la quota di ragazzi stranieri entrati tra 6 e 10 anni arriva al 30%. Quasi il 25% dei ragazzi nati in Italia parla in famiglia una lingua diversa dall’italiano, il 24% parla solo italiano mentre gli altri parlano entrambe le lingue. Tra i nati in Italia o arrivati in età prescolare la quota di coloro che dichiarano di pensare in italiano è del75%. Per i ragazzi arrivati nel nostro Paese tra i 6 e i 10 anni, la quota si riduce al 62% e scende al 36% per quelli giunti a 11 anni o più.

Focus sulla condizione femminile: ragazze categoria più a rischio, su di loro le aspettative della famiglia. Sono circa 500 mila le minorenni di origine immigrata presenti Italia (dato Istat al 1°gennaio 2018). Rappresentano poco meno della metà di quel milione di under 18 nati da genitori stranieri che sono alla continua ricerca di un equilibrio tra le proprie tradizioni culturali e le abitudini e i riti sociali del paese in cui vivono. Tra i minorenni di nuova generazione le adolescenti costituiscono la categoria più a rischio, perché è soprattutto su di loro che si concentrano le aspettative delle famiglie, in termini di mantenimento dei ruoli e delle tradizioni. Nello stesso tempo non mancano osservazioni critiche da parte delle stesse giovani sugli standard che la società occidentale pone alle donne: ad esempio l’aspetto fisico e la realizzazione personale e professionale. Le ragazze spesso non si sentono sufficientemente ascoltate e comprese dalle loro famiglie e vivono situazioni conflittuali nei rapporti con i genitori, a causa delle amicizie, delle relazioni sentimentali, della gestione del tempo extrascolastico. Allo stesso tempo, si sentono a disagio nei confronti delle coetanee, a causa delle diverse condizioni economiche che non permettono loro di seguire la moda, frequentare con assiduità luoghi di socializzazione, avere gli stessi margini di autonomia. Inoltre, secondo le adolescenti la figura femminile in Italia è più preservata e spesso ha la possibilità di accedere a un percorso scolastico ed educativo al quale non avrebbe accesso nel paese di origine.

La ricerca delle buone prassi: l’esperienza di Genova e Palermo.

Genova. La comunità ecuadoriana rappresenta la comunità straniera più numerosa presente nel capoluogo ligure: secondo i dati rilevati dal Comune nel 2016 i cittadini ecuadoriani erano poco più di 14mila, di cui 4.500 minorenni. Negli ultimi anni si è registrato un significativo accesso della comunità ecuadoriana ai servizi del territorio e,  in particolare,  agli  interventi  di  sostegno  familiare  e  di  tutela  delle  persone  di  minore  età: in proposito si segnala la buona prassi rappresentata dal lavoro di confronto, incontro e dialogo tra le diverse autorità coinvolte (Consolato dell’Ecuador, Comune di Genova e Autorità giudiziaria) finalizzato a comprendere le effettive esigenze di intervento e ad attuare progetti comuni. Si segnala inoltre la stipula del Memorandum di intesa tra Consolato dell’Ecuador a Genova e Comune in relazione all’applicazione delle Convenzioni internazionali relative alla protezione dei minori, a sostengo e tutela di famiglie e bambine, bambini e adolescenti in ecuadoriani in situazioni di disagio familiare e/o difficoltà educativa, che mira a creare occasioni di collaborazione per garantire la migliore tutela dei minorenni cittadini ecuadoriani genovesi e a favorire la cooperazione ambito sociale, familiare e migratorio. Si segnala infine come il lavoro di dialogo e collaborazione abbia permesso di procedere, in particolare nei procedimenti civili di competenza del Tribunale per i minorenni, con una continuità ed efficacia che spesso in precedenza veniva ostacolata dall’opposizione delle parti rispetto al riconoscimento dell’autorità procedente.

Palermo. A Palermo si contano circa 33mila immigrati, appartenenti a numerose etnie diverse. L’incidenza dei minorenni stranieri è pari al 25/30%: in particolare sono oltre 8.600quelli di età compresa tra i 10 e i 14 anni e poco più di 11 mila quelli che hanno dai 15 ai 19 anni (dati 2017 – Osservatorio migrazioni). Tra le buone prassi di inclusione e partecipazione si segnala la Consulta delle culture, organo rappresentativo di tutti i cittadini stranieri, comunitari, extracomunitari, apolidi e di coloro che hanno acquistato la cittadinanza italiana, con funzioni consultive e propositive per l’attività dell’amministrazione comunale. Particolarmente riuscito pure il progetto “Un tè con Adilah” nel quartiere Ballarò, che ha promosso l’idea di offrire sostegno ai diritti dell’infanzia e dell’adolescenza a partire dalla figura della madre, attraverso l’attivazione di percorsi di self-efficacy, sportelli specialistici di supporto alla maternità e formazione delle giovani donne.

www.garanteinfanzia.org/sites/default/files/nuove-generazioni-origine-immigrata-focus-condizione-femminile.pdf

 

Documento di studio e di proposta elaborato dal Gruppo di lavoro sull’inclusione e la partecipazione delle nuove generazioni di origine immigrata attivato nell’ambito della Consulta delle associazioni e delle organizzazioni, istituita e presieduta dall’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza.

Roma, 31 dicembre 2018.                 Indice

Introduzione

Nuove generazioni di origine immigrata, chi sono? È un punto su cui ancora si dibatte molto: certamente sono bambini e ragazzi che vivono una sovrapposizione d’identità: da un lato, provengono da una matrice culturale straniera, alla quale si sentono legati da un vincolo più o meno forte, ma con la quale possono anche entrare in conflitto; dall’altro, trascorrono la maggior parte della propria vita in Italia o vi sono nati, parlano italiano, studiano in Italia. Possiamo pensare a loro come nuove generazioni di italiani, o nuovi italiani, dal momento che molte delle recenti ricerche hanno evidenziato come questi giovani siano sempre più simili negli atteggiamenti, nei comportamenti, nei valori, nei gusti culturali, nelle scelte e nelle aspirazioni ai giovani italiani con famiglie di origine italiana. Parlare di seconde generazioni di origine immigrata mette in risalto un percorso, quello migratorio, scelto ed effettuato dai genitori, da cui loro derivano e di cui spesso portano ancora le conseguenze (in termini di riconoscibilità da parte della società ricevente), ma del quale in gran parte non sono stati protagonisti in prima persona. In tali termini le nuove generazioni di origine immigrata si trovano all’incrocio di due mondi: quello della famiglia e quello della società. Certamente oggi rappresentano una realtà in evoluzione e crescita nel nostro Paese, una risorsa, una ricchezza che può essere messa a frutto garantendo loro l’inclusione e la partecipazione nella comunità in cui vivono e di cui fanno parte.

L’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza che presiedo ha il compito specifico di promuovere l’attuazione dei diritti previsti dalla Convenzione di New York del 1989 sui diritti del fanciullo e fra questi emergono il diritto alla non discriminazione (art. 2) e il diritto all’ascolto e alla partecipazione (art. 12) delle persone di minore età. In attuazione di tali diritti ho sentito l’esigenza di ascoltare la voce di questi ragazzi, di comprendere meglio la realtà della loro inclusione e della loro partecipazione, di indagare le buone prassi, ricercando anche esempi in Europa, e far emergere le criticità al fine di poter indirizzare alle istituzioni competenti delle specifiche Raccomandazioni, come previsto dalla legge 12 luglio 2011, n. 112, istitutiva dell’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza. Per fare ciò mi sono avvalsa della Consulta delle associazioni, organo di consultazione costituito e presieduto da questa Autorità garante e composto dalle associazioni e dalle organizzazioni che si adoperano per la tutela dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Il presente documento di studio e proposta è stato realizzato da un gruppo di lavoro1 attivato nell’ambito della citata Consulta, composto da membri designati da quest’ultima e da esperti nominati, intuitu personæ, da questa Autorità garante, con il supporto tecnico dell’Istituto degli Innocenti. Si tratta di un lavoro che, pur non avendo un carattere di rilevazione scientifica, offre uno spunto di riflessione importante. Il raggiungimento di una integrazione armoniosa ed effettiva fra tutte le parti, nuove e vecchie, della società, è una sfida che sollecita tutti. Ogni adulto è portatore di una grande responsabilità: garantire il benessere di ogni minore, a prescindere dalla professione svolta (art. 24 Carta dei diritti dell’Unione europea). La riuscita di questa impresa comporta l’acquisizione di alcune fondamentali caratteristiche come la flessibilità, la tolleranza, la sincera curiosità per il diverso da noi, la capacità di trasformarci con i ragazzi in un cammino comune che porti al pacifico e civile cambiamento di tutti, per abbattere i pregiudizi e le resistenze perché “crescere da stranieri in casa propria è una sfida al buon senso e dunque alla convivenza” (v. Paolo Marozzo della Rocca – Bambini e cittadinanze– pag. 25, n.3/2017 della rivista Minori Giustizia).

Filomena Albano, magistrato Autorità garante

Premessa

  • Inquadramento della situazione in Italia:
  • Diversità del fenomeno da territorio a territorio
  • Fotografia dei minorenni di origine immigrata
  • I dati e la scuola
  1. La ricerca delle buone prassi: alcune esperienze italiane ed europee
  1. La comunità ecuadoriana a Genova
  2. L’esperienza multietnica di Palermo
  3. La Spagna
  4. Il Regno Unito
  1. Le testimonianze sull’inclusione e la partecipazione
  1. Il metodo utilizzato: focus group e interviste
  2. I focus group
  3. Le interviste alle associazioni
  4. Le linee di intervento e le indicazioni emerse dai focus groupe dalle interviste
  1. Focus sulla condizione femminile
  1. Premessa
  2. Genere e cd seconde generazioni
  3. La specificità femminile: la casistica delle richieste di aiuto e supporto
  4. Le riflessioni sulla condizione femminile emerse dai focus groupe dalle interviste
  5. Le linee di intervento suggerite
  1. Le raccomandazioni dell’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza

Bibliografia

5 Allegati

  1. Griglia per la conduzione dei focus group
  2. Griglia per la conduzione delle interviste alle Associazioni
  3. Memorandum di intesa tra il Consolato dell’Ecuador a Genova e il Comune di Genova
  4. Manifesto CoNNGI

www.garanteinfanzia.org/sites/default/files/nuove-generazioni-origine-immigrata-focus-condizione-femminile.pdf

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MATERNITÀ SURROGATA

Niente automatismi nel riconoscimento della maternità surrogata in mancanza di legami biologici

                                                     Corte EDU parere 10 aprile 2019

http://ilfamiliarista.it/system/files/articoli/allegati/Corte%20EDU%20parere%2010%20aprile%202019.pdf

Alla Corte europea dei diritti dell’uomo viene sottoposta una richiesta di riconoscimento di un certificato di nascita di due minori nati in California attraverso la gestazione «per altri».

            Le autorità francesi avevano negato inizialmente il riconoscimento. Poi, dopo la condanna del 26 giugno 2014 da parte della Corte europea, nel giudizio 65192/11, Mennesson c. Francia, i minori erano stati registrati come figli del padre biologico, ma non della madre francese. Rispetto alla richiesta di riconoscimento avanzata da entrambi i genitori – conformemente alla situazione concretizzatasi negli Stati Uniti –, la Cour de cassation francese, nell’ottobre 2018, aveva chiesto un parere consultivo alla Corte.

            In sostanza i bambini in questione non hanno legami né biologici né genetici con la loro madre legale, la moglie del padre, che però negli Stati Uniti è riconosciuta come genitore a tutti gli effetti.

            Rifiutando di trascrivere nei registri dello stato civile il certificato di nascita di un bambino nato all’estero a seguito di maternità surrogata gestazionale, uno Stato parte, quale la Francia, ha superato il margine di discrezionalità di cui dispone a norma dell’art. 8 CEDU che tutela il diritto al rispetto della vita privata e familiare? La possibilità per la madre francese di adottare il figlio del coniuge, padre biologico, soddisfa i requisiti di cui all’art. 8 CEDU?

È possibile la trascrizione del certificato di nascita di un minore nato da maternità surrogata praticata all’estero? Sono queste alcune delle domande formulate dalla Cour de cassation a cui la Corte europea dei diritti dell’uomo ha dato risposta col parere reso il 10 aprile 2019, affermando che il diritto al rispetto della vita privata di un minore, ai sensi del citato art. 8, non impone che il riconoscimento in parola avvenga mediante trascrizione nei registri dello stato civile del certificato di nascita legalmente redatto all’estero. Il riconoscimento può realizzarsi con altri mezzi, come l’adozione dei minori da parte della madre richiedente, a condizione che le procedure previste dalla legge nazionale garantiscano l’efficacia e la rapidità della sua attuazione e in conformità con il principio del miglior interesse del minore.

            Dunque, secondo la Corte, non può essere dedotto dal miglior interesse del fanciullo che il riconoscimento del rapporto tra minori e madre «intenzionale» imponga agli Stati di trascrivere il certificato di nascita straniero. A seconda delle circostanze di ciascun caso, altre modalità possono ugualmente servire a realizzare il principio in parola, compresa l’adozione, che, in relazione al riconoscimento di questo legame, produce effetti della stessa natura della trascrizione dell’atto di nascita straniera.

            In conclusione, la trascrizione del certificato di nascita di un minore nato da maternità surrogata praticata all’estero è possibile a condizione che designi il padre «intenzionale», quale padre del bambino, quando è il padre biologico. Resta impossibile per quanto riguarda la madre richiedente che non è anche madre biologica. La moglie del padre, tuttavia, ha l’opportunità di adottare il minore qualora le condizioni legali siano soddisfatte e se l’adozione realizzi il miglior interesse del minore.

Annamaria Fasano, Giuseppina Pizzolante 17 aprile 2019

http://ilfamiliarista.it/articoli/news/niente-automatismi-nel-riconoscimento-della-maternit-surrogata-mancanza-di-legami?utm_source=MAILUP&utm_medium=newsletter&utm_campaign=FAM_standard_17_Aprile_2019

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MIGRANTI

Il decalogo sulle false credenze sulle popolazioni migranti

Le migrazioni sono un elemento che ha caratterizzato la storia umana e oggi sono divenute oggetto di paure, disinformazione e di false credenze. Dal convegno, promosso da AME, Associazione Medici Endocrinologi, e realizzato grazie al contributo incondizionato di IBSA Farmaceutici Italia un decalogo che cerca di dare qualche risposta e contrastare le fake news sui migranti

  1. Gli immigrati residenti in Italia sono notevolmente aumentati nel corso degli ultimi cinque anni. No l’incremento è solo dello 0,3%.
  2. Gli immigrati vengono principalmente dall’Africa. No, solo il 20%.
  3. Gli immigrati sono nella maggior parte musulmani. No, sono prevalentemente cristiani (52%), solo il 32% musulmani.
  4. Gli immigrati portano nuove malattie. No nessun dato statistico depone in tal senso. Di solito gli immigrati sono “sani”. L’immigrato è un progetto di vita e, per tale motivo, le persone che decidono di emigrare sono persone sane, sulle quali sono caricate aspettative di riscatto per sé stesso e per la famiglia che resta nel paese d’origine.
  5. Gli immigrati portano TBC, HIV, Epatiti. No, i tassi di incidenza sono stabili o in riduzione sia nella popolazione italiana che fra gli immigrati.
  6. Gli immigrati si ammalano di più. No, almeno non per cause pregresse ma solo durante il soggiorno in Italia, per mancato accesso alle cure.
  7. Gli immigrati sottraggono risorse economiche al nostro paese. No, il saldo globale secondo i dati ISTAT è positivo per l’Italia. Il tema è piuttosto complesso, tuttavia, il fatto che mediamente essi siano concentrati nella fascia di popolazione in età lavorativa, unito al progressivo invecchiamento della popolazione italiana, fa sì che l’immigrazione provochi un aumento della forza lavoro, fondamentale risorsa produttiva per qualsiasi paese. Per la stessa ragione, l’apporto degli immigrati alle finanze pubbliche italiane, in termini di imposte e contributi sociali versati, eccede quello dei benefici da essi ricevuti, soprattutto perché molte delle spese relative alla salute in Italia sono strettamente legate all’età. Ne consegue che l’immigrazione offre un contributo netto positivo anche al nostro sistema di welfare, come recentemente ribadito nella relazione annuale del Presidente dell’Inps ed in numerosi studi e rapporti sul tema.
  8. Gli immigrati maschi si recano in PS per malattie infettive o sessualmente trasmesse. No la prima causa sono i traumatismi sul luogo di lavoro. Gli immigrati spesso trovano lavoro in situazioni non regolari, di lavoro nero dove le più basilari norme di prevenzione degli infortuni non sono attuate.
  9. Gli immigrati irregolari sono quelli che arrivano con i barconi. No il maggior numero è costituito da immigrati che perdono il diritto di soggiorno (75%). Spesso l’immigrato irregolare è una persona che ha perso il lavoro e di conseguenza perdono il diritto di vivere in Italia. La crisi economica non crea solo disoccupati, ma anche immigrati irregolari, Alla radice di tutto c’è l’impianto della legge sull’immigrazione, che lega indissolubilmente il permesso di soggiorno al contratto di lavoro. Ora che il tasso di disoccupazione tra gli stranieri ha raggiunto il 17%, questa regola si è trasformata in una mattanza. Basti pensare che tra il 2014 e il 2015 ben 300 mila permessi di soggiorno non sono stati rinnovati: si stima che 100 mila immigrati se ne siano andati, ma altri 200 mila sono rimasti qui, senza un documento, obbligati a vivere e a lavorare in nero.
  10. La maggior parte degli immigrati residenti in Europa vive in Italia. No soltanto il 10%.

Redazione       Vita.it  15 aprile 2019

www.vita.it/it/article/2019/04/15/il-decalogo-sulle-false-credenze-sulle-popolazioni-migranti/151281

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PARLAMENTO

Audizione informale di Scienza & Vita

L’8 aprile 2019, alla Camera dei Deputati, una delegazione dell’associazione Scienza & Vita, guidata dal presidente nazionale, prof. Alberto Gambino, è stata ascoltata in audizione informale dalle Commissioni Giustizia e Affari sociali riunite, nell’ambito dell’esame delle proposte di legge in materia di rifiuto di trattamenti sanitari e di liceità dell’eutanasia.

Il presidente Gambino ha colto l’occasione per confermare in quella sede, dandone ampie motivazioni, la piena contrarietà di S&V a qualsiasi ipotesi di rendere legale l’eutanasia, in tutte le sue forme, evidenziandone l’incongruità rispetto ai reali bisogni assistenziali di tanti malati gravi e alla necessità di implementare sempre più nel nostro Sistema Sanitario Nazionale il prezioso strumento delle cure palliative.

Gambino ha anche sottolineato come un’apertura normativa a prassi eutanasiche rappresenterebbe un pesante “vulnus” alla pratica dell’arte medica, che vedrebbe così sovvertita la sua originaria e intrinseca missione di servizio alla vita di chi soffre, reinterpretandosi invece come potenziale datrice di morte su richiesta.

www.scienzaevita.org/delegazione-sv-guidata-dal-presidente-a-gambino-in-audizione-alla-camera-su-proposte-di-legge-in-materia-di-rifiuto-di-trattamenti-sanitari-e-di-liceita-delleutanasia

www.camera.it/leg18/824?tipo=IG&anno=2019&mese=04&giorno=08#

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PEDAGOGIA

Via le fake news pedagogiche, per essere genitori serve una buona organizzazione

Niente paura, nessun metodo à la Marie Kondo (scrittrice giapponese). L’organizzazione che serve è quella educativa. Ovvero conoscere i reali bisogni educativi dei bambini e degli adolescenti, in ogni fase evolutiva. Dare regole e abitudini. Confrontarsi con esperti e amici saggi. Liberandosi delle fake news pedagogiche nutrite dal narcisismo che ci fanno sentire genitori perennemente inadeguati. Una sintesi (parziale) del convegno “Dalla parte dei genitori”.

Mille genitori in teatro, a Piacenza, altri 500 in streaming. Con un messaggio forte: il famoso proverbio per cui «per fare un bambino ci vuole un villaggio» l’abbiamo sentito troppe volte… forse è ora di ribaltare i termini, di dire che «ci vuole un bambino per fare un villaggio». E che se bambini non ce ne sono più, tutto il villaggio e tutta la società muore. «Chi ha il coraggio di fare figli oggi merita supporto», ha detto Susanna Mantovani, pedagogista, già docente di Pedagogia generale e sociale all’Università degli Studi Milano Bicocca. «Ci vuole una legge che sostenga la funzione educativa dei genitori, qualche anno fa provocatoriamente dicevo che insieme alle creme e ai pannolini ai neo-genitori in ospedale dovrebbero dare un manuale di pedagogia», ha affermato Daniele Novara, pedagogista, fondatore e direttore del Centro PsicoPedagogico per l’educazione e la gestione dei conflitti.

«Trent’anni di falsi miti pseudoeducativi hanno prodotto un genitore fragile, emotivo, urlante. Non è un problema personale, è un tema sociale. I genitori non vengono da Marte… giudicare i genitori è giudicare il mondo in cui siamo, se i genitori sono infantili è perché tutta la società si è infantilizzata»: è stato un esordio dichiaratamente schierato quello che Daniele Novara ha scelto sabato per la sua relazione al convegno nazionale “Dalla parte dei genitori”. Schierato dalla parte dei genitori, appunto: i genitori di oggi, quelli nati negli anni ’80, sono la prima generazione al mondo «a non aver avuto un’infanzia infantile», caratterizzata da «gioco libero, gruppo spontaneo, vita nella natura». Tutto questo negli anni 80 sparisce: «una vera mutazione antropologica», ha detto, con i bambini che – complice anche la tv commerciale, più epigono che causa – vengono «ritirati, portati in casa, sotto l’accudimento diretto dei genitori, senza più la mediazione comunitaria. Il bambino non è più da educare ma da proteggere e conservare».

Tanti i “falsi miti pseudoeducativi” che provengono dal «bagno narcisistico in cui tutti siamo immersi» e da cui – ha detto Novara – occorre liberarsi come genitori. Il mito dell’ascolto («ai figli occorre dare comunicazioni educative, non filosofiche o psicologiche»), quello di dover giocare con i figli «i bambini giocano fra loro benissimo»), il dover chiedere sempre il loro parere, il parlargli come se fossero adulti, il dialogo ad ogni costo, anche in adolescenza, «quando invece l’adolescente vuole allontanarsi da te». «Essere genitori, a sentire la vulgata, è diventata un’impresa impossibile, titanica, e infatti i bambini sono sempre meno. Ma non è vero, si tratta di avere una organizzazione educativa. Stabilendo regole e abitudini adatte all’età dei figli. D’altronde io sono assolutamente convinto che non c’è possibilità di crescere i figli senza educarli, un piano b non esiste».

«Ce la si può fare. L’intensità dell’affettività familiare è un enorme fattore protettivo», è stato poi il leitmotiv del dialogo fra Paolo Ragusa, responsabile delle attività formative del CPP e la professoressa Susanna Mantovani. «È vero che i genitori oggi hanno poche certezze e sono disorientati, ma in un mondo complesso come quello attuale sarebbe folle avere certezze», ha detto la professoressa. Il nodo vero, a suo vedere, è il tempo: «educare richiede tenuta nel tempo e questo è un tema critico oggi. Parliamo tra noi, con altri genitori, una volta non si faceva per vergogna, oggi invece questa è un’opportunità, certo tenendo un punto tra vergogna e spudoratezza. Avere un rete – saggia, non impressionistica – di interlocutori non casuali con cui confrontarsi può aiutare a fare anche le scelte più gravi. Perché è vero che oggi si può scegliere che famiglia essere e la scelta è libertà, ma è anche responsabilità». Ragusa e Mantovani hanno messo a tema l’essere genitori nelle nuove forme di famiglia, ricordando che «in fondo ogni famiglia è una famiglia mista perché ognuno porta con sé la propria cultura familiare» e che «non c’è un modo buono di essere genitori, perché il buono è l’esito di un sistema di relazioni, ho visto molti modi di stare con i figli che non mi piacevano, nello stile, ma che andavano bene per quel bambino e quei genitori. Ci sono tanti modi sufficientemente buoni di essere genitori».

Sara De Carli Vita.it                                   15 aprile 2019

www.vita.it/it/article/2019/04/15/via-le-fake-news-pedagogiche-per-essere-genitori-serve-una-buona-organ/151282

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SEPARAZIONE

Separazione per disturbo bipolare

Immagina una coppia sposata che, dopo un breve periodo di normale convivenza coniugale, allietata dalla nascita di una figlia, subisca un grave lutto: muore la madre della moglie. Quest’ultima, affranta per il dolore, inizia a tenere una condotta irregolare e bizzarra, fino a cadere in una vera e propria depressione. Le viene diagnosticato un disturbo bipolare dell’umore e della personalità. Di tanto la donna accusa il marito in quanto, a suo dire, non l’avrebbe sorretta e confortata in un momento di particolare fragilità. L’uomo ammette di essere stato assente, non però per indifferenza, ma per la sua incapacità a trattare la patologia del coniuge e i suoi umori cangianti. Anzi, è lo stesso marito che, in tale frangente, decide di rivolgersi al tribunale per ottenere la separazione. Tuttavia, prima di agire, si chiede se tale sua richiesta gli si possa ripercuotere contro: non vorrebbe infatti che il giudice vedesse in ciò una forma di abbandono della moglie e, quindi, ne traesse argomento e prova per addebitargli la fine del matrimonio. Ebbene, in caso di separazione per disturbo bipolare, cosa rischia il coniuge “sano” che ammette la propria incapacità a gestire la situazione e che, proprio per ciò, vuol mettere fine al matrimonio?

            Se è vero che, tra i doveri del matrimonio, vi è anche quello di assistersi e accudirsi reciprocamente, in salute o in malattia, e che obbligo del coniuge è quello di prestare il supporto non solo morale ma anche materiale all’altro che, per ragioni di salute, non può badare a se stesso, chi chiede la separazione dal coniuge con un disturbo bipolare può subire l’addebito? Tirarsi indietro e voler il divorzio proprio a causa di una grave patologia è un comportamento colpevole?

            La questione è stata più volte affrontata dalla giurisprudenza con alterne vicende, influenzate in gran parte dai fatti concreti. Vediamo quali sono stati i precedenti più interessanti sul caso e quali sono le conseguenze in caso di separazione per disturbo bipolare non solo in merito al cosiddetto «addebito» ma anche per quanto attiene all’affidamento dei figli.

            Coniuge con disturbo bipolare: si può chiedere la separazione? Secondo una sentenza del tribunale di Milano [Trib. Milano, sentenza 02.04.2014], in particolare, se da un lato non si può certo ritenere responsabile della separazione la moglie per via delle sue condotte imprevedibili, in quanto non volute e causate da una patologia seria, dall’altro lato proprio la criticità di tale patologia – non facile da fronteggiare per la sua durata e gravità – e le scarse capacità empatiche del marito non consentono di addebitare a quest’ultimo la separazione. L’aridità dell’uomo nel trattare il disturbo bipolare della moglie non è causa di responsabilità.

            Come chiarito da altra giurisprudenza, la condotta di un coniuge infermo di mente, qualora si manifesti in atteggiamenti pesanti e difficili da sopportare, giustifica la reazione dell’altro coniuge che, sebbene non esemplare né lodevole, va considerato con «umana comprensione» e non può giustificare una pronuncia di separazione con addebito. Insomma, chiedere la separazione da un coniuge con un disturbo bipolare non ha alcuna ricaduta di tipo legale.

            Ricordiamo, ad ogni modo, che l’addebito ha come unica conseguenza la perdita del diritto al mantenimento e dei diritti successori. Questo significa che la moglie che si separa dal marito malato di mente non perde l’assegno mensile, né lo perde l’uomo nell’ipotesi in cui sia lui il coniuge col reddito più basso.

La malattia psichica del genitore può incidere sull’affidamento dei figli? Come abbiamo già spiegato trattando il tema della malattia psichica di un genitore, secondo il tribunale di Milano [Trib. Milano, ordinanza 27.11.2013] non bisogna ritenere, in modo aprioristico, la malattia psichica come una causa di impossibilità a crescere un bambino e, quindi, impeditiva dell’affidamento condiviso. Bisogna, al contrario, valutare caso per caso, senza pregiudizi e timori.

            Si è anche detto che, in caso di genitore con disturbi bipolari gravi, gli incontri tra lui e i figli possono essere disposti presso apposite strutture pubbliche [Trib. Massa sentenza 12.04.2016]. Qualora tale percorso sia attuato in maniera continuativa e dia esito positivo, gli incontri tra il genitore affetto dal disturbo predetto e il figlio minorenne potranno – durante lo svolgimento del percorso programmato di cure – essere disposti in forma protetta presso apposite strutture pubbliche idonee e potranno essere nuovamente regolamentati nella prospettiva di ripristinare incontri diretti senza l’intermediazione di terze figure professionali.

Il disturbo bipolare del coniuge determina l’affidamento dei figli al genitore sano? Pur se la separazione dei coniugi può fondarsi anche sul “disturbo bipolare” di uno di essi, quando tale patologia ha dato origine a condotte che abbiano reso intollerabile la prosecuzione della convivenza coniugale, il disturbo bipolare diagnosticato a carico di uno dei coniugi non è necessariamente, da solo, sufficiente a fondare una pronuncia di affidamento esclusivo del figlio minore in tenera età al genitore sano [Trib. Massa sentenza 12.04.2016]. È tuttavia necessario che, all’esito di una perizia commissionata dal giudice e svolta in maniera particolarmente approfondita (e comprensiva dell’introduzione di un percorso programmato di cura e della individuazione delle strutture più idonee alla prosecuzione dello stesso), risulti che il genitore affetto dalla predetta patologia è in grado di raggiungere un “buon compenso psichico” a condizione che prosegua costantemente un articolato ed ampio percorso programmato di cura composto da idonea terapia farmacologica da personalizzare e da ricalibrare costantemente, associata ad uno specifico programma psicoterapeutico.

La Legge per tutti                 16 aprile 2019

www.laleggepertutti.it/281816_separazione-per-disturbo-bipolare

 

Separazione fittizia: rischi. Come difendersi

Corte di Cassazione, terza sezione civile, ordinanza n. 10443, 15 aprile 2019

Tu e tuo marito siete sposati ormai da diversi anni in comunione dei beni. Di recente, però, avete deciso di separarvi. I problemi di comunicazione che già c’erano tra di voi, e che vi avevano portato a un progressivo allontanamento, si sono acutizzati per via delle difficoltà economiche sopravvenute a seguito della crisi dell’azienda di tuo marito. Ora, sopraffatto dai creditori, lui ha deciso di lasciarti la proprietà della sua casa in cambio di una rinuncia, da parte tua, all’assegno di mantenimento. In questo modo potrai mantenerti dando l’appartamento in affitto o vivendoci in prima persona. Dopo aver agito in questo modo e quindi aver concluso la separazione consensuale, uno dei creditori vi notifica un atto di citazione: a suo avviso la separazione è fasulla, preordinata solo allo scopo di sottrarre dei beni al pignoramento. Come puoi contrastare un’accusa del genere? Come dimostrare che il matrimonio è finito non per frodare i creditori ma perché la convivenza è divenuta intollerabile? Quali sono i rischi di una separazione fittizia e come difendersi?

            La questione è stata affrontata dalla Cassazione con una ordinanza pubblicata proprio questa mattina

Finta separazione: rischi. Molte coppie si separano per finta: procedono cioè a una separazione consensuale per ottenere benefici di vario tipo come ad esempio, previo cambio di residenza, lo “sdoppiamento” dell’Isee. In tal modo il reddito dei due non si somma, non essendo più entrambi nello stesso stato di famiglia, ed è possibile accedere a prestazioni socio-assistenziali cui altrimenti non si avrebbe diritto (pensa all’assegno sociale per i poveri). Un’ipotesi di questo tipo però costituisce reato di percezione di contributi statali non dovuta, quando non addirittura di frode ai danni dello Stato o dell’Inps.

            Altre volte la separazione fittizia viene eseguita per cambiare intestazione ai beni immobili e trasferirli in capo al coniuge che non ha debiti. Questo comportamento però, se commesso ai danni di Agenzia Entrate Riscossione, integra il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento dell’imposta (solo se la morosità si riferisce all’Irpef o all’Iva e il valore delle tasse non pagate è superiore a 50mila euro).

            Se invece il creditore è un soggetto privato (una banca, una finanziaria, ecc.) si rischia un’azione civile detta revocatoria. Questa mira a dichiarare inefficace la separazione nei confronti del creditore e può essere esperita entro massimo 5 anni dalla separazione. In questo caso l’effetto è che la casa, che viene trasferita in capo al coniuge non debitore, può essere ugualmente pignorata dal creditore.

Fra l’altro a dichiarare una residenza non vera al Comune si rischia un’incriminazione per il reato di falso in atto pubblico.

La Cassazione preliminarmente ricorda che, in caso di separazione consensuale, il creditore che vuol dimostrare lo scopo fraudolento dei coniugi ed esercitare quindi l’azione revocatoria deve, ad esempio, dare prova che marito e moglie continuano a vivere di fatto sotto lo stesso tetto nonostante il cambio di residenza, ossia che la comunione familiare non è venuta affatto meno.

            Per difendersi, i coniugi dovranno dar prova che la crisi familiare è iniziata prima dei debiti e che, quindi, manca l’intento fraudolento.

            Un altro modo per difendersi da un’accusa di questo tipo è il seguente. Se, insieme al trasferimento della casa, il marito versa all’ex moglie un mantenimento, l’atto di intestazione dell’immobile non può essere considerato una donazione. Ciò impone al creditore – stando alle norme sull’azione revocatoria – di provare un ulteriore elemento: che la moglie, beneficiaria della casa, era al corrente dei debiti del marito. Il che rende ancora più improbabile il successo della dichiarazione di inefficacia della separazione.

La Legge per tutti      15 aprile 2019

Ordinanza     www.laleggepertutti.it/281769_separazione-fittizia-rischi-come-difendersi

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SESSUOLOGIA

Amoris Lætitia: la nota “a luci rosse” di san Tommaso d’Aquino che non avete letto

Mi ha fatto sorridere un po’ lo zelo con cui la mia amica Paola mi ha mandato il link all’articolo del padre domenicano Christian M. Steiner intitolato “Amoris Lætitia scandalosa: una nota a luci rosse in latino”. «Perbacco! – mi sono detto – e sì che le note mi pareva di averle scorse tutte! Andiamo a vedere di che si tratta…». Ed era la stringatissima nota 145, tenuta in latino senza traduzione (come tutte le altre). L’ho riletta stupendomi del mio non essermi stupito alla prima lettura: sì, è vero che San Tommaso d’Aquino è perfettamente privo di complessi, e dunque quando parla di sessualità lo fa con la serena lucidità con cui esporrebbe un teorema geometrico, ma è vero pure che in genere non siamo abituati a sentir parlare di sesso in questi termini. La prova la dà la stessa esortazione apostolica del Papa, che proprio nel paragrafo contenente la nota (è il numero 148) recita: «L’educazione dell’emotività e dell’istinto è necessaria, e a tal fine a volte è indispensabile porsi qualche limite. L’eccesso, la mancanza di controllo, l’ossessione per un solo tipo di piaceri, finiscono per debilitare e far ammalare lo stesso piacere, [144] e danneggiano la vita della famiglia. In realtà si può compiere un bel cammino con le passioni, il che significa orientarle sempre più in un progetto di autodonazione e di piena realizzazione di sé che arricchisce le relazioni interpersonali in seno alla famiglia. Non implica rinunciare ad istanti di intensa gioia, [145] ma assumerli in un intreccio con altri momenti di generosa dedizione, di speranza paziente, di inevitabile stanchezza, di sforzo per un ideale. La vita in famiglia è tutto questo e merita di essere vissuta interamente».

A che si riferisce il Papa? A una lettura distratta non si direbbe, ma sta parlando della quantità e della qualità dei rapporti coniugali: “il piacere”, “le passioni” e la pudica perifrasi “un solo tipo di piaceri” intendono appunto l’esercizio della sessualità sponsale; “istanti di intensa gioia”, invece, sembra alludere più in particolare ai momenti culminanti dell’amplesso coniugale. Di sicuro è più poetico ed elegante di “orgasmo”, e in fin dei conti non bisogna affrettarsi ad accusare il Papa di aver edulcorato i termini: il testo è stato scritto in spagnolo, e la parola “gozo”, come anche il latino “gaudium”, è lemma adeguato ad esprimere un godimento sensuale (è l’italiano “gioia”, semmai, ad essersi un po’ spiritualizzato nel semantema [elemento della parola portatore del significato]).

Ecco, proprio mentre dice che porre un argine alla libido «non implica rinunciare» a un’intimità coniugale appagante, arriva la citazione di san Tommaso (il teologo più invocato nel documento): «145 La forza prorompente del piacere, comportato nell’unione sessuale che avviene nella proprietà del suo senso, non è contrario alla pienezza della virtù (Summa Theologiæ, II-II, q. 153, a. 2, ad 2)».

Chi bazzica le pagine del Doctor Angelicus sa che intorno a una frasetta così minuta ci sono sempre precisazioni e spiegazioni altrettanto interessanti. Sono quindi andato a spulciare nella Summa ed ecco chiarirsi che in quel passaggio Tommaso stava rispondendo alla duplice obiezione di Aristotele – il quale osservava che, quando si fa l’amore, per l’eccesso del godimento non si riesce a pensare a niente “di elevato” – e di san Girolamo – che da parte sua confermava precisando che gli antichi profeti biblici non venivano mai toccati dallo Spirito di profezia mentre erano in intimità con le rispettive signore (ah, la Summa, che lettura!). E dunque san Tommaso spiega così la questione: «Quanto a [quella] seconda obiezione, bisogna dire che la pienezza della virtù non si consegue in termini di quantità, ma secondo ciò che conviene alla retta ragione [delle persone e delle cose]. E quindi la forza prorompente del piacere, comportato nell’unione sessuale che avviene nella proprietà del suo senso, non è contrario alla pienezza della virtù. E oltretutto non riguarda la virtù quanto i sensi corporei godano – la qual cosa attiene alla fisiologia –, ma quanto l’appetito interiore sia legato a certi piaceri. E neanche è un argomento con cui si dimostrerebbe che l’unione sessuale è contraria alla virtù, il fatto che la ragione non può esercitare un libero atto teoretico per considerare cose spirituali mentre sperimenta quel piacere: non è contrario alla virtù che l’atto del raziocinio venga di tanto in tanto sospeso per un’attività che sia nell’ordine delle cose – altrimenti bisognerebbe dire che anche concedersi un riposino sarebbe contrario alla virtù».

Poi, dopo la battuta, Tommaso sembra tornare grave, e soggiunge: «Tuttavia, il fatto che la libido e il godimento sessuale non soggiacciono al dominio e alle direttive della ragione è un effetto della pena del primo peccato [il peccato originale, N.d.T.], nel senso che la natura razionale che si ribellò a Dio meritò con ciò di avere a gestire una propria dimensione carnale analogamente in ribellione, così come è chiaro leggendo il XIII libro del De Civitate Dei di Agostino».

Ed è in tal senso ugualmente interessante l’altra nota indicata dal Papa nell’esortazione (ma non riportata, neppure in latino). In essa Tommaso mette in guardia da ciò che oggi viene chiamata “anoressia sessuale”: […] i beni sensibili sussistono in quanto tali per il loro permanere entro una certa misura. Ciò comporta che l’overdose [latino: superexcessus] delle cose che uno desidera si ritorca contro la propria stessa bontà. E così [la cosa prima desiderata, N.d.T.] diventa causa di noia e di repulsione, dal momento che prende ad andare contro il bene proprio dell’uomo (Summa Theologiæ, I-II, q. 32, a. 7, ad 3)».

                Sembra proprio che se si diventasse un po’ più amici di san Tommaso tanti chiacchieroni che si spacciano per “sessuologi” resterebbero senza lavoro.

Giovanni Marcotullio                        Aleteia            04 aprile 2017

https://it.aleteia.org/2017/04/04/amoris-laetitia-nota-sesso-san-tommaso-aquino

 

Gay da curare? Antiscientifico Il nostro sesso è nel cervello

«Gli omosessuali vanno curati, sono malati». Ma per cortesia! Chissà che avrà pensato il povero Oscar Wilde, all’indomani delle tanto urlate enunciazioni sulle cause dell’omosessualità, al Family Day, tra cui quella di un tormentato, esasperato e irrisolto complesso di Edipo. Mettiamoci l’anima in pace una volta per tutte, l’omosessualità non è una scelta o uno stile di vita, tantomeno una malattia mentale o una deviazione sessuale da «curare» con mirati ritiri spirituali da parte di farneticanti associazioni o comunità con annesso gruppo di preghiera pronte a promettere, attraverso percorsi terapeutici, la «guarigione», che per loro consiste nell’acquisizione dello status più rassicurante, quello dell’eterosessuale.

Se ancora oggi si sente il bisogno di ribadire un concetto sin troppo ovvio, è perché si assiste ad un rigurgito rabbioso da parte di una cultura retriva, fatta di non conoscenza, che vuole riproporre una caccia alle streghe in chiave postmoderna. Ora, che qualcuno punti sulla disinformazione e vagheggi teorie strampalate o cure da strapazzo per catturare qualche consenso in più, o per un personale calcolo politico, non mi sorprende. Trovo tuttavia curioso che il movimento Antiscientifico da una parte arrivi a negare l’obbligatorietà dell’utilizzo di alcuni vaccini, per contrastare malattie serie e convalidate dalla comunità scientifica, e poi si affanni in vere battaglie ideologiche, con una «scienza fai da te», arruolando malattie che non esistono, come l’omosessualità. Non si può essere pro o contro la scienza a giorni alterni.

Agli inizi degli anni Novanta l’Oms e l’Icd, due tra le più accreditate agenzie scientifiche a livello mondiale, hanno definitivamente depennato l’omosessualità dall’elenco delle malattie definendola una «variante naturale del comportamento umano», includendola insieme alla eterosessualità e bisessualità tra gli orientamenti sessuali. Noi non siamo in grado di decidere, scegliere liberamente e a piacimento il nostro orientamento sessuale, non ci è concesso, perché è qualcosa che avviene nel cervello nel periodo prenatale e riguarda alcune tra le più delicate fasi, rivoluzioni biologiche ed ormonali che si verificano in questo organo. Nessuno di noi viene mai interpellato prima al riguardo; la natura, che ci piaccia o no, ha la sua logica, segue il suo corso e non è né di destra, né di sinistra.

Rosario Sorrentino, neurologo         Corriere della Sera    20 aprile 2019

www.corriere.it/digital-edition/CORRIEREFC_NAZIONALE_WEB/2019/04/20/19/pgay-da-curarep-pantiscientificop-pil-nostro-sessop-pe-nel-cervellop_U31101564884907CPI.shtml?refresh_ce-cp

 

Sessualità, questa sconosciuta.

C’era una volta il tabù del sesso. Fu Sigmund Freud a riconoscere per primo, nell’epoca contemporanea, la centralità delle pulsioni sessuali, attraverso la scoperta della libido come energia suscettibile di dirigersi verso diverse mete: dall’investimento sull’oggetto del desiderio, fino alla sublimazione, fino alle perversioni. Furono sue le tesi sulla sessualità infantile, sul complesso edipico, sull’invidia del pene, sulle fasi dello sviluppo psicosessuale dei bambini. Anche se, a distanza di più di un secolo, la conoscenza della sessualità umana è andata molto avanti, includendo l’imprescindibile capitolo sulla sessualità e il piacere femminile, l’elaborazione di Freud resta un caposaldo non solo della psicanalisi, ma della intera cultura del ’900.

Oggi però dobbiamo ricomporre di nuovo uno sguardo alla sessualità umana, perché siamo antropologicamente cambiati noi umani, e soprattutto sono cambiati i nostri tabù. I tabù contemporanei si chiamano solitudine, sconfitta, perdita, morte, appiattimento emotivo, depressione, incapacità di sostenere le emozioni, incapacità di sostenere la responsabilità di amare. Di sesso se ne parla e se ne vede fin troppo, 50 sfumature di grigio, di nero e anche di rosso, eppure siamo lontani dal vivere la sessualità in modi appaganti e consapevoli, dal viverla come potente legame nella relazione, dal poterla sperimentare come pienezza del sé che incontra un altro sé nella reciprocità.

Narcisismo post-moderno. L’io post-moderno mostra diffuse tracce narcisistiche, si fa bello del sentirsi individualista, ancorato al presente, si vive spesso privo di progettualità, apatico ed entropico, incapace di relazione e di un reale confronto con l’altro. L’io postmoderno non appare come soggetto attivo nel contesto socio-culturale, piuttosto si sente vittima, tanto passiva quanto inconsapevole e manipolata, della Weltanschauung dominante [Concezione del mondo, della vita, e della posizione in esso occupata dall’uomo]

Incontriamo individui uniti dalla provvisorietà dei rapporti contrattuali, che sperimentano sì vicinanza, ma senza il calore della prossimità, persone capaci di stabilire una pluralità di interazioni, ma senza legami, in una condizione di apatia, di perdita di coinvolgimento della propria sfera emotiva. Se lo dicessimo col linguaggio psicanalitico, parleremmo di introversione della libido, di carenza negli investimenti oggettuali, di persone che sembrano rapportarsi alla realtà oggettiva come se fosse lo specchio fedele dei desideri dell’io.

Siamo immersi in una atmosfera dove la cultura emozionale è previsto che resti in sostanza fredda, anche se appare esasperata nelle manifestazioni esterne, una cultura emozionale i cui tratti tipici sono la valorizzazione dell’indipendenza e dell’autosufficienza, la difesa dell’individualità, dell’io che si amministra da sé, una cultura della sfiducia e della diffidenza verso l’altro, dove il diritto al disimpegno si giustifica con una visione dell’Altro ridotta a pura immagine dell’io.

Questa temperie investe necessariamente anche la sessualità, la più intima e la più potente delle forme di vicinanza tra umani, e riguarda diversi processi. In primis la ricerca affannosa di una sovrastimolazione sensoriale, la ricerca di un livello alto di pulsazione erotica, la ricerca di qualcosa che faccia vibrare abbastanza forte una corda che è diventata troppo allentata.

Si ricerca una sorta di trance, uno stile di vita piatta nella quotidianità, ma con parentesi di modalità ‘eruttiva’, attivate dalla ricerca di emozioni-shock. La geografia delle relazioni è deviata: il mondo relazionale non viene esplorato e coltivato, viene «predato», ridotto a giacimento di sensazioni da assaporare e consumare. La provocazione perversa del piacere lo riduce a shock emotivo, dove l’obiettivo è sconvolgere, impressionare se stessi e soprattutto gli interlocutori esterni. La base emotiva, però, resta fortemente alessitimica [analfabetismo emotivo]. Questo paradosso allontana sempre più noi umani dalla capacità di sostenere il pieno emozionale e sensoriale, quello che ci porterebbe ad una eccitazione sostenuta dal desiderio e dalla volontà di sintonizzarsi con l’altro/a.

Il risultato è molto spesso un fare sesso con la speranza (e la paura) di conseguire per questa via una intimità irraggiungibile, anziché sviluppare una intimità calda e fiduciosa, viva e sensibile, per percepire la sessualità come amplificazione massima di questo alto livello di contatto interpersonale. Senza sentirsi «con» l’altro, il sesso è una pratica più o meno noiosa e alla lunga perfino monotona, dove l’interlocutore è intercambiabile, e dove presto subentra quel livello di saturazione insoddisfatta che comporta la ricerca di qualunque via utile ad attivare sensazioni più forti.

Sessualità, non prestazioni. Nella sessualità, come in altre importanti manifestazioni esistenziali, siamo lontani, nel tempo presente, da una intensità vissuta nell’ «esserci», nella pienezza del proprio sé corporeo, sensoriale, emozionale, affettivo, progettuale. E siamo ancora lontani da un vissuto integrato della sessualità, che connetta esperienza dell’eros con l’esperienza del legame, che colleghi «l’essere con e per se stessi» con «l’essere con e per l’altro». Questa sconnessione è una realtà che fa soffrire molte persone, giovani e meno giovani, riducendo la sessualità alla sequenza delle prestazioni sessuali, con le relative crescenti ansie e sensazioni di inadeguatezza.

Nuovi aspetti e nuove angolature per educare alla sessualità, nei contesti di crescita e nel setting psicoterapeutico, queste sono le carte da giocare per la psicologia e la pedagogia, quando si approccia il tema della sessualità.

Si comincia innanzitutto dal costruire le condizioni perché le persone possano riconoscere se stesse, diventare consapevoli dei loro propri bisogni e desideri, senza sovrapporli a quelli suggeriti o manipolati dai messaggi mediatici.

Si tratta di insegnare alle persone, giovani, adulte e mature, come riappropriarsi della capacità di dirigersi e di orientarsi nelle scelte, in accordo con i propri reali bisogni, ma anche nel rispetto imprescindibile dei bisogni e dei confini dell’altra persona.

Si tratta di lasciar emergere e sostenere e accompagnare, dal vissuto e dalle esperienze della sessualità, il naturale bisogno umano di una elaborazione consapevole e attiva di significati, per rimettere in cantiere la produzione di intenzioni e progettualità.

Davanti al dilagante analfabetismo emotivo e relazionale, si può lavorare per sollecitare il bisogno di imparare a mettersi in ascolto di se stessi e degli altri, per poter instaurare relazioni significative, per essere capaci di reciprocità e non fuggire dall’intimità. E recuperare le più basiche possibilità umane di mettersi intenzionalmente in contatto con un altro/a che non sia un oggetto ove riversare le proprie pulsioni, ma un soggetto con il quale imparare a comunicare, ad ascoltarsi, a conoscersi e riconoscersi, toccare ed essere toccati, penetrare ed essere penetrati, nel corpo e fino in fondo all’anima.

Sessualità come esperienza di contatto. Insegnare il contatto e le sue tappe, riassaporare il contatto come bisogno di ripristinare la capacità perduta di interconnettersi in modo profondo e vivo con la realtà, di riaprire il sé al mondo: se riscrivessimo le teorie sulla sessualità alla luce della possibilità di contatto che le esperienze sessuali sono in grado di generare, potremmo condurre le persone a scoprire come la sessualità vissuta nella pienezza del contatto conferisce alle esperienze condivise (materiali e anche immaginali) il valore simbolico di veicoli della relazione e del legame interpersonale.

Potremmo accompagnare le persone di ogni età ad esplorare la sessualità non come mera espressione genitale che scarica la tensione della pulsione, ma come eccedenza di senso, prodotta al fine di creare, alimentare o ricreare il legame erotico e affettivo tra le persone, come presenza integra, capace di ospitare l’alterità. La sessualità allora potrebbe essere riscoperta nella sua potenzialità più ricca, quella di costituire un veicolo prezioso e privilegiato per collegarsi, per mettersi in presa diretta con la vita, per poter intimamente appartenere. Perché ogni esperienza di contatto è un salto misterioso al di fuori del determinismo biologico e dell’oggettivazione dell’altro, perché ogni esperienza di contatto è testimonianza attiva del proprio desiderio profondo di legame.    (continua)

Rosella De Leonibus, psicologa, psicoterapeuta        Rocca, aprile 2019

www.rocca.cittadella.org/rocca/allegati/424/DELEONIBUS.pdf

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SINODALITÀ

La sinodalità non è il Sinodo: servono tempi lunghi per uno stile nuovo

Non ho alcun dubbio sull’importanza e sulla necessità della celebrazione dei sinodi. Allo stesso tempo, però, non sono del tutto convinto che un sinodo da sé possa essere sufficiente a rendere sinodale tutta la Chiesa. Soprattutto se il processo di preparazione a quell’evento e quello di recezione, che deve seguire, difettano proprio dell’elemento più importante, vale a dire il reale coinvolgimento dell’intero soggetto ecclesiale. L’impressione è che ci sia bisogno, in tal senso, di una formazione specifica alla sinodalità. Questo è un elemento per nulla scontato, anzi

Si è celebrato venerdì 12 aprile 2019, presso la sede centrale della Facoltà teologica del Triveneto, il convegno conclusivo di un progetto di ricerca triennale sul tema della sinodalità, promosso dal Servizio nazionale per gli studi superiori di teologia e di Scienze religiose della Cei e realizzato grazie alla collaborazione di sette istituzioni accademiche presenti sul territorio italiano.

Questo appuntamento, cui è stato dato come titolo “Sinodalità: una chiesa di fratelli e sorelle che camminano e decidono insieme”, ha visto la partecipazione di circa 450 persone, che hanno seguito i 7 interventi in programma e preso parte ai laboratori pomeridiani di approfondimento tematico. Il senso del convegno, come ha ricordato Riccardo Battocchio nell’introduzione ai lavori, è stato quello di una sorta di restituzione simbolica all’intero popolo di Dio delle principali acquisizioni maturate via via durante la realizzazione del progetto stesso. È stata, senza dubbio, un’occasione che ha messo in luce, una volta di più, la posta in gioco alta che la questione della sinodalità propone in relazione alla vita della Chiesa. Essa, è stato detto, deve appartenere al modus vivendi et operandi del popolo di Dio, dal momento che riflette l’esercizio costante a cui l’intero corpo ecclesiale è chiamato, vivendo in modo sinodale la propria missione nella storia. Trattandosi di questo, non può bastare, come ha affermato Piero Coda nella relazione d’apertura del convegno, una sorta di “adeguamento cosmetico” che dia soltanto una parvenza esteriore di sinodalità ad un soggetto che, in fondo, ha ancora da camminare per fare proprie le consapevolezze e le dinamiche specifiche di un vivere e agire sinodali.

Poiché ciò di cui parliamo rappresenta, prima di ogni altra cosa, uno stile di Chiesa, non c’è dubbio che, sciolta ogni esclusiva identificazione tra l’esercizio della sinodalità e lo strumento del sinodo, sia necessario individuare le vie prioritarie che conducono a riconoscere la sinodalità quale metodo di vita e di governo nella Chiesa.

Non ho alcun dubbio sull’importanza e sulla necessità della celebrazione dei sinodi. Allo stesso tempo, però, non sono del tutto convinto che un sinodo da sé possa essere sufficiente a rendere sinodale tutta la Chiesa. Soprattutto se il processo di preparazione a quell’evento e quello di recezione, che deve seguire, difettano proprio dell’elemento più importante, vale a dire il reale coinvolgimento dell’intero soggetto ecclesiale. L’impressione è che ci sia bisogno, in tal senso, di una formazione specifica alla sinodalità. Questo è un elemento per nulla scontato, anzi. È chiamato in causa, infatti, l’insieme dei percorsi formativi che, nella Chiesa, abilitano a svolgere un compito, a tradurre un carisma in ministero, ad esprimere una partecipazione responsabile alla missione del Noi ecclesiale. A titolo esemplificativo e per trovare un riscontro di quanto si va dicendo, sarebbe sufficiente misurare il grado di sinodalità, che si esprime sovente nella pratica di alcuni organismi di partecipazione: si avrebbe, così, un quadro piuttosto lucido di una sorta di deficit consapevolezze e, talvolta, anche di strumenti in grado di rendere praticabile lo spirito e il metodo sinodali. Gli stessi segnali provengono anche da altri ambiti della vita ecclesiale.

Fuori da ogni stravagante e sprovveduta improvvisazione, le nostre comunità cristiane in questo tempo, per essere realmente sinodali, devono diventare luoghi in cui ci si esercita all’ascolto reciproco, al riconoscimento dell’autorevolezza della parola altrui, a relazioni mature, a scelte compiute insieme.

Tutto questo chiede la pazienza dei tempi lunghi e talvolta lenti, la cura per un accompagnamento delle comunità verso l’appropriazione di uno stile nuovo, la fatica di trovare strumenti capaci di rendere maggiormente ecclesiali gli stessi processi decisionali. C’è bisogno di tempo! Sicuramente più di quello che serve per organizzare e celebrare un sinodo. Non sarà, però, tempo perso.

            Vito Mignozzi            Agenzia SIR   15 aprile 2019

https://agensir.it/chiesa/2019/04/15/la-sinodalita-non-e-il-sinodo-servono-tempi-lunghi-per-uno-stile-nuovo

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