NewsUCIPEM n. 749 – 14 aprile 2019 Unione Consultori Italiani Prematrimoniali E Matrimoniali ucipem@istitutolacasa.it www.ucipem.com “Notiziario Ucipem” unica rivista ufficiale – registrata Tribunale Milano n. 116 del 25.2.1984 Supplemento on line. Dir

NewsUCIPEM n. 749 – 14 aprile 2019

Unione Consultori Italiani Prematrimoniali E Matrimoniali

ucipem@istitutolacasa.it                                         www.ucipem.com

“Notiziario Ucipem” unica rivista ufficiale – registrata Tribunale Milano n. 116 del 25.2.1984

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02 ABUSI                                                            Pedofilia, qualcosa non torna nel contromanifesto di Ratzinger.

03 ADOZIONI                                                    di maggiorenne e speciali: ultime sentenze.

05 AFFIDO CONDIVISO                                 La Cassazione e la Corte Edu sull’affidamento congiunto.

06 AFFIDO ESCLUSIVO                                  Affidamento esclusivo alla madre: ultime sentenze.

08 AMORIS LÆTIZIA                                      Tre anni di Amoris Lætitia: un bilancio con mons. Carlo Rocchetta.

10 ASSEGNO DIVORZILE                              Assegno anche in caso di scioglimento dell’unione civile.

11 ASSOCIAZIONI-MOVIMENTI                               AICCeF – Il consulente familiare n. 1\2019.

11 AUTORITÀ INFANZIA ADOLESCENZAA Bruxelles forum Ue sui diritti delle persone di minore età.

12 5BIGENITORIALITÀ                                   La Cassazione sul diritto dei bambini piccoli alla bigenitorialità.

13 CASA CONIUGALE                                     Revoca assegnazione casa coniugale figli maggiorenni.

14 CENTRO INTERN. STUDI FAMIGLIA   Newsletter CISF – N. 14, 10 aprile 2019.

16 CENTRO ITALIANO SESSUOLOGIA     Prossimi eventi.

17 CHIESA CATTOLICA                                  Si riapre il processo al Concilio Vaticano II

19                                                                          Il trauma e la nostalgia: continuità tra prefetto, papa ed emerito

20                                                                          Per gli omosessuali no ordinazione. Preti gay? A vita privata.

21 CITAZIONI                                                    Fulton Sheen: il sesso è voluto da Dio.

21 COMM.ADOZIONI INTERNAZ.             Tempi di attesa più lunghi per le adozioni in Bulgaria.

21 CONCILIO VATICANO II                          Sul Sessantotto, senza esagerare.

23 CONGRESSI-CONVEGNI–SEMINARI Ignoranza e abuso di sostanza sul Congresso delle famiglie.

24                                                                          Verona, perché la critica sia liberale.

25                                                                          L’insostituibile fisionomia del matrimonio (l’unico vero).

28 CONGRESSI SEMINARI programmi   Assisi. La comunicazione nella Coppia. Sentieri dell’amore fecondo

29 CONSULTORI ISPIRAZ CATTOLICA      Sanremo. Consultorio Familiare Promozione Famiglia-CFC.

29 CONSULTORI UCIPEM                            Arezzo 1. Scuola per Consulenti Familiari, nuovo Corso.

29                                                                          Bologna. Strumenti per migliorare il benessere.

30                                                                          Messina, sede di Rometta: continua il progetto “Spazio Giovani”.

30                                                                          Monza. COF. “Il cortile delle mamme”.

30 COPPIE DI FATTO                                      Coppie di fatto non sposate: diritti e doveri dei conviventi.

33 DALLA NAVATA                                         Domenica delle Palme – Anno C – 14 aprile 2019

33                                                       Fattosi carne il Verbo ora entra anche nella morte (Ermes Ronchi)

33 DANNO                                                         Padre scopre che il figlio non è suo: la madre deve risarcirlo?

34 ENTI TERZO SETTORE                               “Riforma: elementi professionali e criticità applicative”.5

35                                                                          Statuti degli Ets e Volontariato: due nuovi instant book.

35 FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI    DePalo: bene assegno unico, si dia segnale immediato alle famiglie

36 MATRIMONIO                                           Matrimonio del minore.

42 MINORI MISNA                                         L’osservatorio della diocesi di Roma

43 PARLAMENTO                                           Camera dei Deputati – Assemblea – Mozioni

43                                                                          Senato della Repubblica–Commissione Giustizia–Affido dei minori.

45 PATERNITÀ                                                  Bilanciamento fra diritto a identità biologica e l’interesse a status.

45 PENSIONE REVERSIBILITÀ                     Pensione reversibilità tra coniuge divorziato e coniuge superstite.

46 POLITICHE FAMILIARI                             Non c’è convergenza in Parlamento sulla famiglia.

46 PROCREAZIONE ARTIFICIALE               Maternità surrogata: il bambino è il grande assente.

48                                                                          Lahl: utero in affitto, i contratti capestro che umiliano le donne

49                                                                          Il bambino il grande assente nel dibattito sull’utero in affitto

50                                                                          Venezia no a «due mamme», il caso va alla Corte Costituzionale.

50                                                                          Fecondazione eterologa: il mercato preme. Ma chi lo regola?

51 SESSUOLOGIA                                            Peccatore il marito che non dava abbastanza piacere a sua moglie.

53 SINODALITÀ                                                Sinodalità è camminare e decidere insieme nella Chiesa.

54 UCIPEM                                             Beppe Sivelli: “Attraversare la vita”.

55 WELFARE                                                     Sono nidi e materne che aiutano la famiglia.

56                                                                          Testo Unico sulla maternità e paternità in PDF.

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“Se Cristo non fosse risorto vana sarebbe la nostra fede” (1 Cor 15)

Pasqua 2019

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ABUSI

Pedofilia, qualcosa non torna nel contromanifesto di papa Ratzinger

Qualcosa non torna nel piccolo manifesto su Chiesa e pedofilia, che l’ex pontefice Benedetto XVI ha diffuso su un mensile ecclesiale bavarese (Klerusblatt) sotto la modesta definizione di appunti ma che di fatto ha l’impatto di una “autorevole” contro-indicazione rispetto all’approccio che faticosamente papa Francesco sta seguendo nell’affrontare i nodi della pedofilia del clero. Ratzinger lamenta un crollo spirituale, un “collasso della teologia morale cattolica” un disarmo etico che avrebbe reso la Chiesa inerme dinanzi al relativismo imperante nella società e – come altre volte in passato – attribuisce la colpa di queste deviazioni alla teologia “conciliare” (di una malintesa interpretazione del concilio) e più in generale al tramonto di Dio dalla scena pubblica. Sono qui le radici, sottolinea, del diffondersi della piaga della pedofilia in seno alla Chiesa.

            Qualcosa non torna in questo pamphlet. Non torna, intanto, il momento scelto. E’ vero, Francesco ha dato al suo predecessore carta bianca: incontri chi vuole, scriva, viaggi. Anche in questo caso ha dato generosamente via libera alla pubblicazione del testo (sapendo peraltro che i suoi avversari sarebbero stati felici di alzare lamenti veementi per una “censura” all’ex pontefice).

Ciò nonostante il papa emerito avrebbe dovuto scegliere il silenzio in presenza delle grandi difficoltà che il papa regnante sta incontrando nel gestire il problema. Nei momenti più gravi una sola voce si deve sentire al vertice. Altrimenti si semina confusione. Se Ratzinger si è mosso diversamente è segno che intorno a lui sono state intense in questi mesi le voci di coloro che, come i cardinali Brandmueller e Mueller impegnati in un’operazione di distrazione di massa, addossano le colpe della pedofilia in seno alla Chiesa alla cultura gay e alla perdita della fede.

            Ma non torna soprattutto la tesi centrale della narrazione ratzingeriana. La sua descrizione di un drammatico rilassamento dei costumi dovuto alla rivoluzione sessuale degli anni Sessanta, che avrebbero (in toto!) predicato la liceità della pedofilia, come causa scatenante della diffusione degli abusi. Cosa c’entra l’abbandono da parte della Chiesa di un’etica basata sul diritto naturale con la pedofilia? Cosa c’entrano i mutamenti della teologia morale cattolica, cosa c’entrano le combriccole gay nei seminari, cosa c’entrano i filmini porno, cosa c’entra la relativizzazione dei valori e del giudizio morale?

Ratzinger sa bene che la pedofilia ha accompagnato tutta la storia dell’istituzione ecclesiastica, solo che secolo dopo secolo è stata pervicacemente nascosta. Ratzinger sa bene che già il Concilio dei vescovi spagnoli ad Elvira nel 306 – agli albori del riconoscimento ufficiale del cristianesimo nell’impero romano – condannò gli “stupratori di fanciulli” negando loro la comunione persino in punto di morte. Altro che rivoluzione del ’68.

            Ratzinger sa bene, perché lo ha scritto lui stesso nella sua lettera ai cattolici irlandesi nel 2010, che la malattia che ha infettato le strutture ecclesiastiche è stato il costante rifiuto di ascoltare le grida delle vittime innocenti per difendere a oltranza il prestigio dell’istituzione. In realtà, come ha scritto papa Bergoglio, se la pedofilia è un cancro diffuso in tutta la società (e massicciamente in ambiti familiari, come dimostrano le statistiche), la pratica impunita della pedofilia in ambito del clero è stata fondata per secoli sull’abuso clericale del potere: abuso di coscienza, abuso di corpi. Come rivelano e riveleranno sempre di più anche le denunce sugli abusi inflitti dal clero alle donne.

            Addirittura grottesco è il tentativo dell’ex pontefice di addossare allo spirito “conciliare” il garantismo estremo dei processi ecclesiastici, volto alla tutela ad oltranza dell’accusato “al punto da escludere praticamente – è scritto nel saggio – la condanna del colpevole”. Dunque sarebbe colpa dei fautori del Concilio, detto in parole povere colpa dei riformatori, se la rete degli insabbiatori e dei legulei, che in ogni modo hanno cercato e cercano tuttora di impedire processo e condanna dei chierici predatori, si è rivelata sempre così tracotante e potente?

            (C’è un aspetto rancoroso nel testo di Ratzinger, che contrasta con la lucidità del teologo e del predicatore che a Londra, Berlino e Parigi ha affascinato con i suoi discorsi le élites politiche e culturali. Scrive il papa emerito che in quegli anni del dopo-Concilio “in non pochi seminari (accadeva che) studenti, scoperti a legge i miei libri, venivano considerati non adatti al sacerdozio. I miei libri venivano nascosti come fossero scritti sconci e quindi letti sottobanco.”. Parole sorprendenti. Davvero, dentro e fuori del mondo cattolico, nessuno si è accorto di questa presunta persecuzione. Al contrario Introduzione al cristianesimo, pubblicato da Ratzinger proprio nel 1968, era ed è considerato un classico che ha nutrito generazioni di studenti di teologia).

            Benedetto XVI, durante il suo pontificato, ha cacciato dalle fila del clero circa ottocento preti abusatori. Sarebbe ingiusto dimenticarlo. Ma sarebbe giusto che il papa emerito si ricordasse anche che è stato lui a evitare il dovuto processo a Marcial Maciel Degollado [presbitero messicano, fondatore della congregazione clericale dei Legionari di Cristo e del movimento d’apostolato Regnum Christi], regalando ad un personaggio mostruoso abusatore persino di suo figlio, l’esilio dorato di una “vita ritirata” dedita alla preghiera. Con questo negando la dovuta giustizia alle vittime, lasciate a sbrigarsela da sole con il dramma delle loro vite stuprate. Il tramonto di Dio dalla scena sociale qui non c’entra.

Il FattoQuotidiano.it blog di Marco Politi   12 aprile 2019

www.ilfattoquotidiano.it/2019/04/12/pedofilia-qualcosa-non-torna-nel-contromanifesto-di-papa-ratzinger/5104990

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ADOZIONE

Adozione di maggiorenne e adozioni speciali: ultime sentenze

  1. Adozione di maggiorenne: verifica del requisito della convenienza. L’adozione di maggiorenne presuppone la verifica del requisito della convenienza che sussiste quando l’adottando trovi un’effettiva e reale rispondenza nella comunione di intenti dei richiedenti. Tribunale Milano sez. I, 09/07/2018, n.48.
  2. Adozione di maggiore d’età e mancanza di assenso. Nell’adozione di maggiore d’età, la posizione dei figli legittimi o legittimati è parificata a quella del coniuge convivente dell’adottante o dell’adottando, la cui mancanza di assenso osta all’adozione ai sensi dell’art. 297 c.c., senza la possibilità per il tribunale di ritenere il rifiuto all’assenso ingiustificato o contrario all’interesse dell’adottando e di procede ugualmente all’adozione. Tribunale Livorno, 03/07/2018, n.4.
  3. Adozione e vizio del consenso. In tema di adozione di maggiorenni, il motivo di impugnazione dell’adottante, secondo cui avendo saputo, dopo la sentenza, che l’adozione non aveva quale presupposto il sentimento dell’adottante nei confronti dell’adottata, bensì l’affectio maritalis tradotta in supina accondiscendenza ai desiderata del coniuge, non è fondato. A giudizio di questa Corte, la circostanza che l’iniziativa di procedere all’adozione possa esser provenuta dal padre dell’adottanda, una volta che essa è stata fatta propria dal di lui coniuge adottante, è divenuta una determinazione e volizione propria di quest’ultima, sì che in nulla è mutata la situazione che l’odierna reclamante si era rappresentata al momento della prestazione del consenso. La situazione ora ricostruita e le considerazioni esposte valgono anche per ritenere l’infondatezza del dedotto vizio del consenso, sotto il profilo del dolo. Corte appello Reggio Calabria, 09/03/2018, n.5.
  4. Adozione del figlio maggiorenne del coniuge e limite d’età. In tema di adozione del figlio maggiorenne del coniuge, ritenere inderogabile il limite di età indicato dall’art. 291 c.c. determinerebbe un’ingiustificata lesione dell’unità familiare, tanto più ove si consideri che la differenza d’età è pur sempre ricompresa nei limiti imposti dal criterio dell’imitatio naturæ e che il legame fra adottante e adottando è sorto senza che la differenza di età, nel caso di specie inferiore a 18 anni, abbia impedito in alcun modo il consolidarsi di un rapporto filiale. Tribunale Genova sez. IV, 12/10/2017.
  5. Coniugi adottivi e attribuzione del cognome materno. È dichiarato costituzionalmente illegittimo in via consequenziale — ai sensi dell’art. 27 della legge n. 87 del 1953 — l’art. 299, terzo comma, cod. civ., nella parte in cui non consente ai coniugi, in caso di adozione compiuta da entrambi, di attribuire, di comune accordo, anche il cognome materno al momento dell’adozione. La disposizione contiene — con riferimento alla fattispecie dell’adozione di persona maggiore d’età da parte di coniugi — una norma identica a quella dichiarata in contrasto con la Costituzione per il figlio nato nel matrimonio.     Corte Costituzionale, 21/12/2016, n.286.
  6. Adozione speciale. Il divieto di consentire una successione di adozioni nel tempo di un unico adottando (art. 294 c.c.) non si applica nel caso in cui la prima adozione sia una adozione speciale, in quanto un’interpretazione sistematica e costituzionalmente orientata non può che limitare l’applicazione del divieto de quo solo qualora si tratti di plurime adozioni di maggiorenne (o di adozioni ordinarie di minorenni oltre gli otto anni per il limitato periodo temporale in cui non erano adozioni legittimanti): solo se la prima adozione è una adozione di maggiorenne il consentirne una successiva, se non da parte del coniuge del primo adottante, si pone in contrasto con la finalità dell’istituto che è quello della trasmissione del nome, dell’assicurare una discendenza a chi ne è privo; al contrario, la finalità dell’adottante di una adozione speciale è quella di fare entrare il minore nella propria famiglia e di assumerlo, a tutti gli effetti, come figlio legittimo, pertanto la seconda adozione non frustra la ratio e le finalità della prima adozione speciale. Tribunale Milano sez. I, 25/11/2015, n.54.
  7. Adozione di maggiorenne da parte della zia e diritti successori. Va decisa l’adozione di persona maggiorenne da parte della zia (sorella della madre) su presupposto di avvenuto decesso del padre e di consenso della madre, qualora l’adozione consenta di rafforzare un legame giuridico e affettivo già presente con la zia, con acquisizione dei conseguenti diritti successori. Tribunale Prato, 10/07/2015, n.2232.
  8. Divario minimo d’età tra adottante e adottato e interesse all’unità familiare. Il potere del giudice di accordare, previo attento esame delle circostanze del caso, una ragionevole riduzione del prescritto divario minimo di età tra adottante e adottato, sempre che la differenza di età tra gli stessi rimanga nell’ambito della “imitatio naturæ”, al fine di evitare il discrimine evidente tra fratelli, che ne sarebbe derivato dalla rigida applicazione di discipline diverse in materia di adozione di minori di cui alla L. n. 184 del 1983, così come modificata dalla sentenza della Corte costituzionale n. 44 del 1990 e la normativa prevista dal c.c. in materia di adozione di maggiori di età, è consentito al solo fine di garantire il prevalente interesse all’unità familiare, altrimenti persistendo la differenza normativa e di ratio che sottende i due istituti e che non consente di ravvisare la violazione del principio di uguaglianza e di ragionevolezza, come sancito dal giudice delle Leggi. Tribunale Catania sez. I, 26/05/2015, n.2306.
  9. Adozione di persona maggiore d’età e incapacità naturale dell’adottante. Nell’adozione di persona maggiore di età, l’incapacità naturale dell’adottante al momento della manifestazione del consenso può essere fatta valere esclusivamente dai soggetti legittimati a proporre il reclamo ai sensi dell’art. 313, comma 2, c.c., tassativamente indicati, atteso che, in mancanza di una norma specifica relativa alla legittimazione a far valere i vizi del consenso in tale specifica fattispecie, devono ritenersi legittimate, ai sensi dell’art. 1441 c.c., solo le parti del rapporto adottivo, non potendo trovare applicazione l’art. 428 c.c. Cassazione civile sez. I, 19/07/2012, n.12556.
  10. Consenso all’adozione. In tema di adozione di maggiorenni, i vizi attinenti alla prestazione del consenso all’adozione stessa non possono essere fatti valere con una autonoma azione negoziale, ma esclusivamente a mezzo dell’impugnazione del relativo provvedimento costitutivo, da parte dei soli soggetti legittimati dalla legge (alla stregua di tale principio la Suprema Corte ha confermato la sentenza di merito che aveva rigettato la domanda, avanzata da un congiunto dell’adottante, di nullità dell’adozione di un maggiorenne per incapacità dell’adottante). Cassazione civile sez. I, 19/07/2012, n.12556.
  11. Impugnare il provvedimento di adozione: casi particolari. Il genitore è legittimato ad impugnare il provvedimento di adozione in casi particolari, ancorché decaduto dall’esercizio della potestà genitoriale, permanendo la sua qualità di parte nel relativo procedimento; infatti, non sono desumibili dalla normativa vigente elementi idonei ad escluderla, sia perché l’art. 313 c.c., richiamato dall’art. 56 l. 4 maggio 1983 n. 184, riferendosi all’adozione di maggiorenni, ovviamente non prevede la legittimazione ad impugnare dei “genitori”, sia perché essi, in quanto titolari di un’autonomia valutativa in ordine all’individuazione delle soluzioni di maggior utilità per il minore, hanno una posizione processuale propria, che mal si concilia con limitazioni imposte al potere d’impugnazione.

Cassazione civile sez. I, 18/04/2012, n.6051.

La legge per tutti       12 aprile 2019

www.laleggepertutti.it/278524_adozione-maggiorenne-ultime-sentenze

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AFFIDO CONDIVISO

La Cassazione e la Corte Edu sull’affidamento congiunto, sulla bigenitorialità e sui poteri del giudice

Corte di Cassazione, prima Sezione civile, ordinanza n. 9764, 8 aprile 2019

news.avvocatoandreani.it/allegati/cassazione/Cassazione-civile-sentenza-9764-2019.pdf

La Corte di Cassazione torna ad affrontare il tema dell’affidamento congiunto in relazione alla necessità che il giudice fornisca adeguata motivazione nel caso ritenga di limitare o comprimere la “bigenitorialità”, che ne costituisce l’elemento essenziale.

            Il caso: Il tribunale disponeva l’affidamento congiunto di una minore di pochi anni ad entrambi i genitori, ma nel contempo stabiliva che il padre poteva vedere la figlia a fine settimana alterni, ossia ogni quindici giorni, escludendo la frequentazione infrasettimanale.

            La Corte d’Appello riduceva la misura dell’assegno di mantenimento e confermava nel resto le modalità di visita del padre. Il padre ricorre in Cassazione per lesione del diritto alla bigenitorialità, dolendosi del fatto che il provvedimento della Corte territoriale non prevedeva tempi di permanenza infrasettimanali della figlia presso il padre e di frequentazione con la minore in misura tendenzialmente paritetica rispetto a quelli di permanenza presso il genitore collocatario, sì da consentire, nella assiduità dei rapporti, anche l’esercizio della responsabilità genitoriale.

            Per il ricorrente, la tenera età della figlia non sarebbe di ostacolo all’incremento del tempo di frequentazione», avendo la giurisprudenza da tempo riconosciuto l’importanza di una più assidua disciplina del tempo di permanenza del figlio presso il padre, per consentire “l’instaurarsi di un solido legame tra padre e figlio”. Per il ricorrente, La Corte territoriale avrebbe omesso di indicare elementi volti a dimostrare l’inidoneità genitoriale del padre, odierno ricorrente, tali da giustificare i ristretti tempi di visita.

            La Suprema Corte, nell’accogliere il ricorso del padre, ribadisce in materia di affidamento dei figli quanto segue:

  1. Nell’interesse superiore del minore, va assicurato il rispetto del principio della bigenitorialità, da intendersi quale presenza comune dei genitori nella vita del figlio, idonea a garantirgli una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi;
  2. La stessa Corte Edu [Corte Europea Diritti dell’uomo], chiamata a pronunciarsi sul rispetto della vita familiare di cui all’articolo 8 della Cedu [Convenzione Europea Diritti dell’uomo], pur riconoscendo all’autorità ampia libertà in materia di diritto di affidamento, evidenzia la necessità di un più rigoroso controllo sulle “restrizioni supplementari”, tali intendendo quelle apportate dalle autorità al diritto di visita dei genitori;
  3. Le “restrizioni supplementari” precisa le Corte, comportano il rischio di troncare le relazioni familiari tra un figlio in tenera età e uno dei genitori o entrambi, pregiudicando il preminente interesse del minore;

www.echr.coe.int/Documents/Convention_ITA.pdf

Nel caso in esame, in applicazione dei principi sopra esposti, per gli Ermellini la Corte d’Appello ha errato per i seguenti motivi:

  1. Dopo aver ritenuto che la minore «abbisogna di mantenere e semmai intensificare i rapporti con il padre, ma in maniera graduale», ha, poi, con motivazione praticamente assente, dato acritica conferma ai provvedimenti del giudice di primo grado, senza tener conto delle critiche mossa dal padre con l’atto di impugnazione;
  2. Per la Suprema Corte nella decisione impugnata manca del tutto una specifica motivazione in ordine alle eventuali ragioni che hanno indotto la Corte di merito ad escludere una frequentazione infrasettimanale con il padre, in violazione del principio della bigenitorialità;
  3. La Corte d’Appello omette del tutto di prendere in esame la condotta ostracistica della madre, pur trattandosi di una condotta gravemente lesiva del diritto del minore alla bigenitorialità, garanzia di stabile consuetudine di vita e di ferme relazioni affettive con entrambi;
  4. Di contro, i giudici di appello non evidenziano ragioni di indegnità o di incapacità del padre di prendersi cura della figlia, mancando peraltro di evidenziare, tra i requisiti di idoneità genitoriale del genitore collocatario, anche la capacità di preservare la continuità delle relazioni parentali con l’altro genitore a tutela del diritto del figlio alla bigenitorialità e alla crescita equilibrata e sana.

Studio Anna Andreani 10 aprile 2019

https://news.avvocatoandreani.it/articoli/cassazione-corte-edu-sull-affidamento-congiunto-sulla-bigenitorialita-sui-poteri-del-giudice-105107.html

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AFFIDO ESCLUSIVO

Affidamento esclusivo alla madre: ultime sentenze

  1. Affidamento del minore ed episodi di violenza. Posto che il giudice provvede all’affidamento dei figli minori (nella specie, di genitori non coniugati) prendendo anche in considerazione gli episodi di violenza che rientrano nel campo di applicazione della convenzione di Istanbul, ratificata con L. n. 77 del 2013, va disposto l’affidamento esclusivo alla madre di una bambina di circa sei anni di età, affetta da grave patologia (autismo), in considerazione dell’altissima conflittualità tra i genitori, causata principalmente dalle condotte aggressive e violente del padre, tali da rendere difficile e anzi pericolosa la gestione condivisa della responsabilità genitoriale (l’uomo, già destinatario di misure interdittive e condannato, pur se con sentenza penale non ancora definitiva, per il reato di maltrattamenti in famiglia, ha reiteratamente aggredito la ex compagna e anche il padre di quest’ultima, procurando loro lesioni; egli inoltre non ha neppure corrisposto il pur modesto assegno a suo carico per il mantenimento della figlia). Tribunale Roma sez. I, 21/09/2018.
  2. Affidamento super esclusivo alla madre. In tema di separazione dei coniugi, il disinteresse mostrato dal padre per l’effettivo esercizio della responsabilità genitoriale, desumibile anche dal comportamento processuale dello stesso, rimasto contumace nel procedimento, è indicativo di una condizione di verosimile scarsa adeguatezza all’assunzione di un consapevole ruolo genitoriale. Ciò può giustificare una concentrazione della responsabilità genitoriale in capo alla madre, anche con riguardo alle scelte più importanti per il minore, quali salute, educazione, istruzione, residenza abituale, dando luogo al cosiddetto affido superesclusivo che, in ipotesi del genere, ben può essere disposto anche d’ufficio. Una tale concentrazione di genitorialità in capo a uno solo dei genitori non rappresenta, tuttavia, un provvedimento che incide sulla titolarità della responsabilità genitoriale, poiché ne va a modificare solo l’esercizio. Nel caso di specie, il tribunale, preso atto della certificata irreperibilità del padre e del suo disinteresse alle sorti del giudizio di separazione, ha ritenuto di affidare il minore in via superesclusiva alla madre. Tribunale Milano sez. IX, 20/06/2018, n.6910.
  3. Inadempimento dei provvedimenti giudiziali relativi alla prole. Il risarcimento dei danni, previsto a carico del genitore che non abbia adempiuto i provvedimenti giudiziali relativi alla prole, ovvero abbia comunque tenuto condotte pregiudizievoli per il figlio minore, ha natura sanzionatoria, sicché prescinde dal concreto accertamento del pregiudizio arrecato ed è invece rapportabile ai danni punitivi (nella specie, il tribunale ha condannato il padre, che esercitava del tutto sporadicamente il diritto di visita ed era assente dalla vita del figlio minore, con conseguente sofferenza di quest’ultimo, al risarcimento dei danni, in favore del figlio stesso, quantificati equitativamente in un importo corrispondente a quello dovuto per il suo mantenimento a decorrere dall’udienza presidenziale nel giudizio di separazione, disponendone infine l’affido esclusivo alla madre).Tribunale Venezia, 18/05/2018.
  4. Come assicurare al minore una tutela piena e immediata? Il giudice può, con provvedimento d’urgenza, anche prima dell’instaurazione del contradditorio, statuire sull’affidamento di un minore, al fine di assicurargli tutela piena e immediata (nella specie, è stato disposto l’affido esclusivo alla madre di una minore, figlia di genitori non coniugati, il cui padre vive all’estero, in Guatemala, e non se ne prende cura da anni, non essendo stato possibile notificargli tempestivamente il ricorso introduttivo). Tribunale Roma, 04/12/2017.
  5. Abbandono del domicilio e disinteresse per i figli. In tema di separazione giudiziale, il giudice rilevato che la prosecuzione della convivenza tra i coniugi è divenuta obiettivamente impossibile, qualora vi sia stato l’allontanamento consolidato dal domicilio coniugale da parte del resistente, che non ha nemmeno fornito ai suoi familiari (per come emerso anche dalle escussioni testimoniali) dati relativi al luogo della sua nuova abitazione per essere rintracciato, stante l’assenza di contatto con i minori e il disinteresse per le loro esigenze dichiara la separazione dei coniugi ed in ordine all’affidamento dei minori dichiara l’affido esclusivo dei minori al madre, in considerazione del conclamato e radicato allontanamento dal paese da parte del padre senza fornire informazioni relative al luogo di attuale residenza in un paese straniero ed il disinteresse e l’abbandono anche materiale dei minori, per quanto  dichiarato dalla ricorrente ed emerso dalle escussioni testimoniali. Tribunale Salerno sez. I, 02/11/2017, n.4984.
  6. Presenza incostante del padre e affido esclusivo alla madre- Va accolta la richiesta di affido esclusivo dei minori alla madre qualora sia accertato che il padre sia una presenza incostante (il padre si assenta per lunghi periodi per svolgere attività commerciali all’estero). Tribunale Ravenna, 09/08/2017, n.757.
  7. Padre non rispetta le visite e non adempie ai doveri di mantenimento. Merita accoglimento la domanda di affidamento esclusivo della prole alla madre, qualora il padre non adempia ai suoi doveri genitoriali di mantenimento e, ancor più rilevante, non rispetti il regime delle visite violando così il primario diritto dei figli minori di mantenere rapporti continuativi con entrambi i genitori. Tribunale Caltanissetta, 30/12/2015.
  8. Violenza assistita e affidamento esclusivo del minore. La regola dell’affidamento condiviso, prevista dall’art. 337 ter c.c., introdotto dal D.lg. n. 154/2013, è derogabile solo ove la sua applicazione risulti pregiudizievole per l’interesse del minore, qualora i comportamenti inadempienti degli obblighi genitoriali siano sintomatici della inidoneità del genitore ad affrontare le maggiori responsabilità che l’affido condiviso comporta (nel caso di specie è stata provata la manifesta carenza genitoriale del padre concretatasi in principal modo nell’aver agito violenza nei confronti della madre alla presenza del bambino. La violenza assistita costituisce di per sé elemento idoneo a disporre l’affidamento esclusivo alla madre). Tribunale Roma sez. I, 27/01/2015, n.1821.
  9. Coppia omosessuale e affidamento esclusivo del minore. È inammissibile, per difetto di specificità, il ricorso per Cassazione – per violazione di legge – avverso la sentenza di separazione giudiziale dei coniugi che aveva confermato l’affidamento esclusivo di un minore alla madre, la quale intratteneva una relazione con la convivente, in mancanza di concreti riferimenti alle ripercussioni negative per il minore stesso, sul piano educativo e della crescita, in ragione del suo inserimento in una famiglia incentrata su una coppia omosessuale. Cassazione civile sez. I, 11/01/2013, n.601.
  10. Conflittualità tra genitori. La L. 54/2006 ha introdotto la disciplina dell’affidamento condiviso, fondato sul pieno consenso di gestione e sulla condivisione; tuttavia, ciò non esclude che il minore possa essere prevalentemente collocato presso uno dei genitori, anche se l’altro dovrà avere ampia possibilità di vederlo e tenerlo con sé. L’affidamento monogenitoriale costituisce eccezione rispetto alla regola generale dell’affidamento condiviso, tanto è vero che l’art. 155 bis c.c. richiede, per l’affidamento a uno solo dei genitori, un provvedimento motivato, non richiesto, invece, per l’affidamento a entrambi. (Nella specie, la Suprema Corte, in applicazione del riferito principio di diritto, ha cassato la sentenza di merito che aveva giustificato l’affidamento esclusivo alla madre sulla base della conflittualità tra i genitori). Cassazione civile sez. I, 24/07/2012, n.12976.
  11. Cure eccessive e stress del minore. L’affidamento condiviso dei figli minori costituisce la regola generale anche in tema di filiazione naturale e può essere derogata dal giudice con la previsione dell’affidamento esclusivo ad un solo genitore, ritenuto idoneo, allorché sia provata, in negativo, l’inidoneità dell’altro genitore, tale da rendere in concreto l’affido condiviso pregiudizievole per il minore (nella specie, la Suprema Corte ha confermato il provvedimento di merito che aveva disposto l’affido esclusivo alla madre la figlia minore, in ragione dell’inidoneità del padre, desunto dal fatto che questi, con le sue cure eccessive, sottoponeva la bambina ad uno stress continuo, non consentendole una vita armonica e serena). Cassazione civile sez. I, 19/05/2011, n.11068

 La legge per tutti      3 aprile 2019

www.laleggepertutti.it/277701_affidamento-esclusivo-alla-madre-ultime-sentenze

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AMORIS LÆTITIA

Tre anni di Amoris Lætitia: tracciamo un bilancio con mons. Carlo Rocchetta

Ieri è stato il terzo anniversario dalla pubblicazione del testo della discussissima esortazione apostolica postsinodale di Papa Francesco. Accusata da più parti di aver minato le fondamenta della sana dottrina cattolica in fatto di sacramentaria e di prassi pastorale (anche se le riforme canoniche del Romano Pontefice dànno l’impressione di una stretta sulla formazione al matrimonio e sui processi canonici), sembra giunto dopo un primo triennio il momento di un bilancio. Abbiamo allora contattato un sacerdote e teologo perugino che fin da tempi non sospetti “non ha avuto paura della tenerezza”.

            http://w2.vatican.va/content/francesco/it/apost_exhortations/documents/papa-francesco_esortazione-ap_20160319_amoris-laetitia.html

Io penso che qualche effetto positivo l’abbia avuto, anche se forse non come ci si aspettava; secondo me questa è veramente la Magna Charta di un nuovo modo di pensare la pastorale famigliare, dai giovani fidanzati agli sposi alle coppie in difficoltà. Girando per le diocesi io vedo che si tiene conto di questo in vari àmbiti. Poi dipende dai contesti: tutte le diocesi hanno fatto dei convegni e ogni volta si ribadiscono questi punti. Se successivamente si approfondisca bene dipende da tanti fattori. Comunque io penso che sostanzialmente sia stato un momento positivo: se poi dimentichiamo subito le cose il discorso è un altro.

            A parlare così è don Carlo Rocchetta, sacerdote perugino che da decenni scrive di “teologia della tenerezza” (ben prima che il termine “tenerezza” venisse sdoganato a livello ecclesiale e finisse sulla bocca di tutti). Lo abbiamo incontrato per chiedergli un consuntivo teologico-pastorale di questi primi tre anni (ieri l’anniversario della pubblicazione del testo) di Amoris lætitia. Nella fattispecie, qui stava rispondendo alla domanda sull’impatto pastorale dell’Esortazione apostolica, posto che alcuni si aspettavano mirabili rivoluzioni, altri immani catastrofi. Poiché monsignor Rocchetta è – oltre che un appassionato pastoralista – anche un fine teologo, e visto che in questi tre anni non si è impegolato nella bagarre pro o contro, gli abbiamo chiesto un giudizio complessivo e sintetico sul documento. Questa la sua risposta:

            Io l’ho apprezzata moltissimo: ho scritto un libro – Una Chiesa della tenerezza – in cui commento capitolo per capitolo l’Amoris lætitia, facendo vedere anche il sottofondo teologico che c’è dietro. Perché a prima lettura può sembrare un testo, come dire, “discorsivo”, e invece c’è un solido impianto dottrinale a sostegno. Anche l’ottavo capitolo, che ha fatto tanto discutere, se inteso bene, è perfetto, è straordinario; veramente è uno dei più alti documenti che io abbia mai letto. Apparentemente sembra un po’ confusionario, in realtà c’è una struttura, c’è analisi, c’è teologia, c’è pastorale; il problema è che se non studiano bene tutto viene vanificato.

            L’ottavo capitolo va capito: i lassisti dicono “il Papa ha dato accesso a tutti”; i rigoristi dicono “non è cambiato niente”. Il discorso del Papa è molto più articolato: non si tratta di dare permessi, bensì di far fare percorsi alle singole persone. Un percorso di maturazione seguiti da un pastore, facendo un lavoro interno e poi sarà la loro coscienza – se arriverà quel momento – a prendere certe decisioni. Io ho visto che funziona, perché quando si fa fare un cammino ben impostato, poi le persone ci pensano bene: l’importante è che sia un cammino serio, documentato, in cui veramente ci si metta in gioco.

            In tal senso la posizione del Papa è perfetta, perché non dice “andate a fare la comunione”, e nemmeno “non andate”: dice “fate un cammino”. Se alla fine del cammino, guidati da qualcuno (quindi non in maniera soggettiva), sentite che potete accostarvi, è una scelta vostra. È una questione di responsabilità. Ricordiamoci inoltre che le “eccezioni” ci sono sempre state, fin dai primi secoli: per ragioni pastorali i Padri hanno fatto simili concessioni. È chiaro che il matrimonio è unico: non è stato mai ammesso il secondo matrimonio! La posizione del Papa è molto intelligente e sfumata: se poi uno non la interpreta bene cade in uno dei due opposti.

            Oppure, chioseremmo, ne attribuisce uno a scelta al Papa stesso. Che è il caso più comune nella blogosfera, specie in quest’epoca che vede le opinioni germogliare non al sole della ragione ma sotto il vento delle contrapposizioni.

Giova a tal proposito tornare ad alcune pagine del volume di mons. Rocchetta a cui facevamo cenno. In Una Chiesa della Tenerezza leggiamo infatti:

La verità di fede, sottesa a tutta l’esortazione, da mettere immediatamente a fuoco riguarda l’indissolubilità del matrimonio-sacramento. Non è inutile ricordare il contesto dei due sinodi, quello straordinario e quello ordinario. Durante gli anni della loro celebrazione, si era fatta avanti l’ipotesi del cardinale tedesco W. Kasper, incautamente espressa dallo stesso prelato alla stampa e in televisione: la Chiesa cattolica avrebbe dovuto consentire un secondo o un terzo matrimonio, di carattere penitenziale, in linea con la posizione della Chiesa ortodossa. Papa Francesco non ha assolutamente accettato o fatto propria quella posizione, e nella solenne messa di apertura del sinodo ordinario, davanti a 270 vescovi di tutto il mondo, ha ribadito la dottrina della Chiesa cattolica sull’indissolubilità del matrimonio-sacramento, invitando a coniugare sempre verità e carità. La verità non muta con le opinioni di qualcuno o con le mode passeggere, così come rimane vero che la verità senza carità sarebbe vuota. (pag. 206-207)

            Come si vede, Rocchetta è nettissimo sul punto – «sarebbe stato un grave errore, se non un’eresia, accettare la possibilità di un secondo o di un terzo matrimonio» –, e spiega:

Una cosa dunque è la questione dell’eventuale comunione ai divorziati risposati, in specifici casi e dopo un attento cammino di discernimento, com’è stato dibattuto durante il sinodo e come viene delineato nell’AL ai nn. 300-305; altra cosa accettare un secondo o un terzo matrimonio. Non si devono confondere le due problematiche. (Ivi, pag.207).

La dottrina sull’indissolubilità è illustrata da mons. Rocchetta con pagine chiare come questa:

Gli sposi (o uno dei due) potranno misconoscere questo vincolo, potranno perdere la grazia santificante col peccato mortale, ma non potranno mai cancellare il vincolo stesso inscritto in loro con il sacramento. E tale è il senso dell’indissolubilità del matrimonio: una relazione di appartenenza unica che lega sacramentalmente i due sposi, introducendoli nell’alleanza definitiva di Cristo con la Chiesa (AL 218). Né si può dimenticare come il vincolo indissolubile rimandi a un valore antropologico di primaria grandezza in quanto sottrae le persone all’arbitrio individuale e l’amore di coppia alla tirannia delle emozioni passeggere, donando agli sposi la grazia che viene da Dio per affrontare insieme le difficoltà e vincerle. L’amore coniugale non è un istinto o una mera attrazione sensibile, ma una decisione consapevole e una dedizione incondizionata. Non è forse la stessa concezione dell’amore tra un uomo e una donna, quando sia vera e non superficiale, a reclamare una durata indistruttibile e una dedizione totale? (Ivi, pag. 208).

Nell’ottavo capitolo del libro di mons. Rocchetta (che sviscera l’analogo capitolo dell’Esortazione Apostolica) il teologo ricorda che c’è differenza tra le unioni che «contraddicono radicalmente l’ideale» del matrimonio e quelle che «lo realizzano in modo parziale e analogo». Passa quindi a illustrare le diverse opportunità pastorali innescate da situazioni di convivenza o di matrimonio civile, che possono essere viste come punti di partenza per un cammino diretto alla pienezza della vita sacramentale (la quale del resto non è certo data all’uomo semel pro semper, bensì sempre va rinnovata e approfondita). Giunge poi alle situazioni dette irregolari e schematizza:

            La strada della Chiesa è quella di non condannare eternamente nessuno; di effondere la misericordia di Dio a tutte le persone che la chiedono con cuore sincero (AL 296). Muovendo da questa opzione, si devono

      Evitare giudizi che non tengono conto della complessità delle diverse situazioni, ed è necessario essere attenti al modo in cui le persone vivono e soffrono a motivo della loro condizione (AL 296).

      L’orizzonte pastorale cui il papa si volge è quello di una Chiesa che cerca tutti, affinché ogni battezzato si senta oggetto della misericordia gratuita di Dio.

      La Chiesa ha la missione di annunciare la misericordia di Dio, cuore pulsante del vangelo, che per mezzo suo deve raggiungere il cuore e la mente di ogni persona. La Sposa di Cristo fa suo il comportamento del Figlio di Dio che a tutti va incontro senza escludere nessuno. Sa bene che Gesù stesso si presenta come Pastore di cento pecore, non di novantanove. Le vuole tutte (AL 309).

      Nessuno può essere condannato per sempre, perché questa non è la logica del vangelo! Non mi riferisco solo ai divorziati che vivono una nuova unione, ma a tutti, in qualunque situazione si trovino (AL 297).

      Tutto ciò non può ovviamente valere per quanti non si riconoscono peccatori e non accettano di rivedere la propria vita e convertirsi: Dio non salva chi intenzionalmente o ostinatamente non vuole essere salvato! Lo stesso è costretta a fare la Chiesa. E tuttavia anche di fronte a situazioni di questo genere occorre ricercare una qualche forma di annuncio che chiami ognuno a uscire dalle proprie prigioni e lo guidi, per quanto possibile, verso una ricerca di comunione ecclesiale. (Ivi, pag. 213).

Rocchetta prosegue poi rintracciando intelligentemente i prodromi dei capitoli più controversi di Amoris lætitia in una storia di continua riforma (e di continuità riformata) che porta alcune rigide normative del Codice di Diritto Canonico pio-benedettino a una distensione conciliare e postconciliare che tutto è fuorché fine a sé stessa: al contrario, essa è strumentale all’annuncio di una tenerezza eterna e incondizionata da parte di Dio, che funge da evangelizzazione proprio in quanto ostende alle persone da quale amore si stanno tenendo a distanza con una vita invischiata nel peccato.

            L’accoglienza dei divorziati risposati nella vita pastorale della Chiesa, dunque, non nasce con “il pontificato bergogliano”, ma ha precedenti in Benedetto XVI (cf. Sacramentum caritatis 29 e Sulla pastorale dei divorziati risposati, Congregazione per la dottrina della fede CdF 1998) e in Giovanni Paolo II (cf. Allocuzione all’assemblea plenaria del Pontificio Consiglio per la Famiglia del 1997).

            Dal punto di vista della teologia morale propria dell’Esortazione, Rocchetta riconosce nella nota 336, relativa ad AL 300, il passaggio fondamentale: […] il discernimento può riconoscere che in una situazione particolare non c’è colpa grave. E lo commenta così:

            Fondamentale, in questo ambito, è la distinzione tra condizione oggettiva e condizione soggettiva di peccato e la diversa valutazione di responsabilità morale per i singoli casi; un’asserzione che ha fatto e fa tutt’oggi tanto discutere, ma che corrisponde in definitiva alla dottrina tradizionale della Chiesa sui condizionamenti e i fattori attenuanti dell’atto morale.

            Altrettanto importante è la famigerata nota 351, ove si parla di “certi casi” e si profila (al condizionale) la possibilità di permettere l’accesso ai sacramenti (non come premio – ché mai i sacramenti sono tali – bensì come aiuto nel cammino). E poi le “sette domande” esemplificative con cui avviare il suddetto cammino; e ancora “il percorso” della Chiesa argentina, che Papa Francesco ha voluto incorniciare negli Acta Apostolicæ Sedis conferendogli dignità magisteriale universale. Sintetizza Rocchetta:

                La delicatezza del discernimento si colloca in questo spazio intermedio in cui è in gioco, in pari tempo, sia l’oggettività della norma e la situazione vissuta, sia la soggettività dei singoli e delle loro coscienze. Compito del discernimento è trovare le strade possibili di risposta a Dio e di crescita, talvolta attraverso gli stessi limiti umani. […]

            La consapevolezza della possibilità di circostanze attenuanti – psicologiche, storiche e perfino biologiche – non può dunque condurre i pastori e gli operatori pastorali ad abbassare il valore dell’ideale evangelico del matrimonio, nello stesso tempo in cui li impegna ad accompagnare con misericordia e pazienza le possibili tappe di crescita delle persone. In questo atteggiamento, il papa si muove «nella grande tradizione prudenziale della Chiesa», come ha affermato con autorevolezza il cardinale Christoph Schönborn nella presentazione del documento. (Ivi, 224-225 passim).

Le “eccezioni” antiche. Ma forse qualcuno avrà lasciato un segno nei primi paragrafi di questo testo, lì dove riportavamo le parole di mons. Rocchetta sulle “eccezioni” che «ci sono sempre state, fin dai primi secoli». Probabilmente quel qualcuno vorrebbe sapere di più in merito, anche per il giusto peso che avrà imparato a tributare al valore dell’esperienza e della tradizione ecclesiastiche. Ebbene l’autore ne aveva parlato al termine dell’Introduzione al suo libro, data in Perugia «a un anno dalla pubblicazione di Amoris lætitia»:

            Pur essendo consapevoli della natura indissolubile del matrimonio e pur non ammettendo un secondo matrimonio, sembra infatti che alcuni [fra i Padri] non escludessero singole eccezioni a sfondo pastorale: spiegava l’allora cardinal Ratzinger: La Chiesa del tempo dei padri esclude chiaramente divorzio e nuove nozze, e ciò per fedele obbedienza al Nuovo Testamento. Nella Chiesa del tempo dei padri i fedeli divorziati risposati non furono mai ammessi ufficialmente alla sacra comunione. È vero invece che la Chiesa non ha sempre rigorosamente revocato in singoli paesi concessioni in materia di comunione, anche se esse erano qualificate come non compatibili con la dottrina e la disciplina. Sembra che singoli padri, ad es. Leone Magno, abbiano cercato soluzioni “pastorali per rari casi limite”» [Congregazione per la dottrina della fede, Sulla pastorale dei divorziati risposati. Documenti, commenti e studi, Città del Vaticano 2010, 88-98]. (Ivi, 22 (n. 16),

Giovanni Marcotullio                        Aleteia 09 aprile 2019

https://it.aleteia.org/2019/04/09/amoris-laetitia-3-anni-bilancio-carlo-rocchetta/?utm_campaign=NL_it&utm_source=daily_newsletter&utm_medium=mail&utm_content=NL_it

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ASSEGNO DIVORZILE

Assegno di divorzio anche in caso di scioglimento dell’unione civile

Tribunale di Pordenone         Provvedimento 13 marzo 2019

https://www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_34187_1.pdf

Il Tribunale di Pordenone, innanzi al quale sono comparse due donne per veder dichiarare lo scioglimento della loro unione civile, ha ritenuto di stabilire a carico della parte più debole un assegno di “divorzio”, in realtà più un mantenimento “provvisorio” in attesa della fase contenziosa, a seguito della prima udienza nel procedimento per lo scioglimento dell’unione

Esperito un tentativo di conciliazione e verificato che, nel caso di specie, la stessa non risultava praticabile, il Presidente Gaetano Appierto, pur riservandosi eventuali approfondimenti in sede istruttoria, ha ritenuto opportuno applicare all’assegno a seguito dello scioglimento dell’unione civile le medesime argomentazioni interpretative espresse dalle Sezioni Unite con la nota sentenza n. 18287/11 luglio 2018 in tema di assegno divorzile. E ciò “anche per ragioni di pari trattamento, costituzionalmente orientato”.

Nella vicenda in esame, in particolare, è apparso quale dato assolutamente pacifico lo squilibrio tra le condizioni economico-patrimoniali delle parti, come emerso dalle dichiarazioni dei redditi depositate e dalla ricostruzione dei rispettivi patrimoni, come lealmente tratteggiati dalle parti nel corso dell’udienza.

            Uno squilibrio che, per quanto in misura marginale, è apparso al giudice riconducibile a scelte di vita assunte nel corso della relazione delle parti, compreso il periodo di convivenza “di fatto” prima della celebrazione dell’unione civile.

            Il giudicante, in sostanza, ha ritenuto di dare rilevanza anche al periodo precedente l’unione civile tra le due donne, avvenuta nel 2016, anche perché solo con la promulgazione della legge Cirinnà la coppia ha potuto “legalizzare” il proprio rapporto, non essendo possibile in epoca precedente contrarre in Italia tra loro una qualsiasi forma di matrimonio.

È apparso “altamente verosimile” che nel corso della stabile convivenza delle parti in causa, iniziata già nell’autunno del 2013, fossero state adottate dalla parte economicamente più debole delle decisioni in ordine al trasferimento della propria residenza e attività lavorativa dettate non solo dalla maggior comodità del posto di lavoro rispetto ai luoghi di convivenza (Pordenone anziché Venezia), ma anche dalla necessità di coltivare al meglio la relazione e passare quanto più tempo possibile con la propria compagna, non comprimendo il tempo libero con le ore necessarie per il trasferimento tra le due città per almeno due volte al giorno.

In sostanza, con scelte riconducibili alla vita comune, la signora ha costituito un nuovo proprio centro di interessi a Pordenone, rinunciando a una attività lavorativa leggermente meglio remunerata rispetto a quella attuale.

Inoltre, quanto alla quantificazione dell’assegno, il Tribunale sottolinea che il rapporto tra le due partner è durato un quinquennio e che non sembrano emergere convincenti elementi da giustificare una componente compensativa dell’assegno dovuto alla parte più debole. In conclusione, sussiste senz’altro un effetto perequativo per perdita di chance.

            Stante tali presupposti, il giudice ritiene equo e proporzionale fissare in 350,00 euro mensili l’importo provvisorio dell’assegno posto a carico della parte economicamente più forte, la quale si trova ancora nell’abitazione condivisa all’epoca della relazione.

Lucia Izzo      Studio Cataldi            8 aprile 2019

www.studiocataldi.it/articoli/34187-assegno-di-divorzio-anche-in-caso-di-scioglimento-dell-unione-civile.asp

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ASSOCIAZIONI       MOVIMENTI

Associazione Italiana Consulenti Coniugali e Familiari –Il consulente familiare n. 1\2019

      Editoriale                                                                                                     Maurizio Qualiano

      Lettera della Presidente                                                                              Stefania Sinigaglia

      Le relazioni ai tempi dei social                                            Rita Roberto e Stefania Sinigaglia

      Giornata di Studio 5 maggio 2019 Salerno                       www.aiccef.it/it/canali-tematici/corsi

      Giornata di Trevi 28 ottobre 2018                                          Francesco Falaschi, 7 laboratori

      A proposito di famiglia                                                                                Ivana De Leonardis

      Essere consulenti familiari    Tirocinanti altrove                                     consulenti di Grosseto

                                                           Un matto in consulenza                          consulente di Trebisacce

      Letto e visto per voi                                                                    Rita Roberto e Davide Monaci

      Aiccef notizie                                                                    Milano, Padova, Roma, Roma Senato

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AUTORITÀ GARANTE PER L’INFANZIA E L’ADOLESCENZA

A Bruxelles forum Ue sui diritti delle persone di minore età

L’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza ha partecipato al “12th European Forum on the Rights of the Child: Where we are and where we want to go” organizzato dalla Commissione europea a Bruxelles, nei giorni 2 e 3 aprile 2019. All’incontro – articolato in cinque sessioni plenarie e tre workshop paralleli – erano presenti, in qualità di relatori, alti rappresentanti di istituzioni ed agenzie europee ed internazionali. La rete europea dei garanti per l’infanzia e l’adolescenza è stata rappresentata dall’attuale presidente Geneviève Avenard e anche altri membri della rete hanno partecipato all’evento. L’ufficio dell’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza ha partecipato, tra l’altro, ai lavori del workshop “Tutela dei minorenni migranti”.

Dove siamo, dove vogliamo andare. Dopo una disamina dello stato dell’arte in materia di diritti di bambini e adolescenti (“where we are”), sono state delineate alcune azioni auspicabili per il prossimo futuro (“where we want to go”), tra le quali l’intensificazione dell’ascolto delle persone di minore età, la necessità di informazioni accessibili per i minorenni migranti, il potenziamento del “ricorso straordinario” al Comitato ONU per diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. E ancora: una giustizia a misura di minorenne, l’ascolto in caso di dispute familiari o sottrazione, un sistema europeo di governance della migrazione, chiaro, sostenibile, incentrato sui minorenni. Stop alla vendita di armi in conflitti nei quali vittime sono bambini. Abolizione delle punizioni corporali.

Alcuni obiettivi segnalati dai relatori o dai partecipanti, da realizzare auspicabilmente entro 10 anni:

ü  Che i bambini nati nel 2029 non conoscano la minima violenza

ü  Che tutti i bambini abbiano una famiglia

ü  Nessun bambino dietro le sbarre in Europa

ü  Indivisibilità dei diritti umani.

Tre le priorità individuate dalla Commissione europea e discusse nel corso del Forum:

  1. Tutela dei minorenni migranti;
  2. Diritti dei minorenni nell’ambiente digitale;
  3. Partecipazione di bambini e ragazzi alla vita democratica e politica dell’Ue.

News AGIA 10 aprile 2019

www.garanteinfanzia.org/news/bruxelles-forum-ue-sui-diritti-delle-persone-di-minore-eta

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BIGENITORIALITÀ

La Cassazione sul diritto dei bambini piccoli alla bigenitorialità

Corte di Cassazione, prima Sezione civile, ordinanza n. 9764, 8 aprile 2019

www.spagnoloassociati.it/wp-content/uploads/2019/04/Cass.-9764-2019-bigenitorialit%C3%A0.pdf

Secondo la Suprema Corte risponde all’interesse del minore la frequentazione anche infrasettimanale con il padre. La vicenda è quella di una bambina in tenera età, affidata con decreto del Tribunale ad entrambi i genitori, con collocamento presso la madre, e con la previsione che il padre potesse vederla e tenerla con sé, salvo diverso accordo con la madre, a fine settimana alterni (dunque ogni quindici giorni). Veniva altresì stabilito a carico del padre un contributo mensile per il mantenimento della figlia.

Il padre proponeva reclamo ex art. 739 del c.p.c. dinanzi alla Corte d’Appello, la quale riduceva l’importo dell’assegno mensile, confermando però, per il resto, le modalità della frequentazione paterna.

L’uomo, allora, ricorreva in Cassazione avverso il decreto della Corte d’Appello, deducendo, tra l’altro, la presunta lesione del diritto alla bigenitorialità per violazione dell’art. 337 ter del c.c.

In particolare, il ricorrente lamentava la mancata previsione, da parte del provvedimento impugnato, di tempi di permanenza infrasettimanali della figlia presso di sé e quindi di frequentazione con la minore in misura tendenzialmente paritetica rispetto a quelli di permanenza presso il genitore collocatario, in modo tale da consentire non solo rapporti assidui e stabili ma anche l’esercizio della comune responsabilità genitoriale.

Sempre secondo il padre, la tenera età della figlia non avrebbe costituito una circostanza ostativa all’incremento dei tempi di frequentazione.

La Cassazione, nel ritenere fondato il ricorso, ha ricordato il proprio orientamento secondo cui, nell’interesse superiore del minore, va assicurato il rispetto del principio della bigenitorialità. Tale principio deve intendersi quale “presenza comune dei genitori nella vita del figlio, idonea a garantirgli una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi, nel dovere dei primi di cooperare nell’assistenza, educazione ed istruzione”.

In proposito, la Suprema Corte richiama anche i principi enunciati dalla Corte di Strasburgo, la quale ha invitato più volte gli Stati membri ad adottare tutte le misure ragionevolmente possibili per mantenere i legami tra il genitore e i suoi figli.

Nel caso in esame, secondo la Cassazione, la Corte d’Appello si sarebbe limitata a confermare acriticamente i provvedimenti emessi dal giudice di primo grado. In particolare, rileva l’ordinanza in commento, la Corte di merito non avrebbe fornito alcuna specifica motivazione per la disposta esclusione della frequentazione infrasettimanale con il padre.

Inoltre, la Corte d’Appello non avrebbe tenuto in minima considerazione il comportamento della madre, volto ad escludere il padre, nonostante si trattasse di condotta gravemente lesiva del diritto del minore alla bigenitorialità; né i giudici di appello avrebbero evidenziato eventuali ragioni di indegnità o di incapacità del padre di prendersi cura della figlia.

Anzi, rileva la Cassazione, riguardo alla posizione del genitore collocatario, “tra i requisiti di idoneità genitoriale rileva anche la capacità di preservare la continuità delle relazioni parentali con l’altro genitore a tutela del diritto del figlio alla bigenitorialità e alla crescita equilibrata e sana”.

La Cassazione, pertanto, ha accolto l’impugnazione, rinviando per l’ulteriore corso alla Corte d’Appello competente.

Brocardi         redazione giuridica    11 aprile 2019

www.brocardi.it/notizie-giuridiche/cassazione-diritto-bambini-piccoli-alla-bigenitorialita/1925.html?utm_source=Brocardo+Giorno&utm_medium=email&utm_content=news_big_famiglia&utm_campaign=2019-04-12

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CASA CONIUGALE

Revoca assegnazione casa coniugale figli maggiorenni

Corte di Cassazione, prima sezione civile, ordinanza n. 10204, 11 aprile 2019

Tuo figlio è diventato maggiorenne da poco. Ormai sono anni che vive con la madre, dalla quale hai divorziato diverso tempo fa. All’epoca, il giudice riconobbe alla tua ex moglie il diritto di continuare a vivere in quella che, un tempo, era la vostra casa coniugale: un immobile che avevi comprato coi tuoi soldi e che tutt’ora è intestato a te. Con il compimento dei 18 anni del tuo ragazzo, però, vorresti ritornare nel possesso della casa. Lui non è più minorenne ed è peraltro in grado di trovarsi un lavoro. Ti chiedi dunque se ci sia revoca dell’assegnazione della casa coniugale coi figli maggiorenni. La questione è stata, di recente, analizzata dalla Cassazione. Una interessante ordinanza fa il punto della situazione in materia di assegnazione e revoca del tetto familiare. Vediamo cosa è stato chiarito in questa occasione.

Quando l’assegnazione della casa coniugale? La casa coniugale viene assegnata al genitore con cui i figli vanno a vivere. Difatti, si tratta di un provvedimento dettato solo per la tutela della prole e non come supporto economico al coniuge col reddito più basso. Questo significa che la casa torna al suo proprietario nel momento in cui i figli cessano di vivere con il genitore collocatario o diventano indipendenti economicamente, tanto da potersi permettere una propria sistemazione.

            Allo stesso modo, non c’è alcuna assegnazione della casa se la coppia non ha figli minorenni o maggiorenni non autosufficienti o portatori di handicap (i quali vengono sempre tutelati a prescindere dall’età).

Presupposti per l’assegnazione della casa coniugale. L’ordinanza della Cassazione fa un importante chiarimento. Come già chiarito in passato dalla giurisprudenza della stessa Corte e dalle Sezioni Unite, il godimento della casa familiare è collegato al collocamento dei figli minori: il genitore con cui questi vanno a vivere ottiene la casa.

            Invece per i figli maggiorenni non autosufficienti sono necessari altri due requisiti: la «prosecuzione della coabitazione del genitore assegnatario con il figlio» e la non autosufficienza economica del figlio stesso.

In parole povere, in presenza di un figlio minore d’età, la casa va sempre al genitore presso cui questi è residente, senza ulteriori valutazioni nel merito e senza bisogno di fornire prove particolari. Invece in presenza di un figlio maggiorenne, il giudice deve accertare i due presupposti della coabitazione e dell’impossibilità economica del giovane. Se il figlio maggiore di 18 anni vive già da solo in modo stabile (non si considera quindi il caso dell’universitario fuori sede) o ha un proprio lavoro che gli consente di pagare un affitto, l’assegnazione della casa familiare viene revocata.

La prova per l’assegnazione della casa. Ne consegue che, in caso di divorzio, se il figlio è già maggiorenne, non basta alla madre presentare al giudice la semplice domanda di assegnazione della casa familiare; ella dovrà anche dimostrare che il figlio continua a convivere con lei e che non è indipendente economicamente. Se la donna non fornisce tali prove, il tribunale non le assegnerà la casa coniugale.

            L’interpretazione testuale della legge e l’interpretazione giurisprudenziale presuppongono l’indisponibilità e l’irrinunciabilità del diritto al godimento della casa familiare solo in capo al genitore affidatario dei figli minori.

            La Corte ha rilevato che, in favore dei figli maggiorenni non autosufficienti, è previsto che il giudice “possa” disporre, valutate le circostanze, un assegno periodico. Detta possibilità presuppone, quindi, che l’esercizio del diritto riconosciuto dalla normativa sia subordinato in questo caso ad una domanda in tal senso, non essendo più automatico l’obbligo del mantenimento verso i figli maggiorenni come invece lo è per i figli minorenni.

            In conclusione, secondo la Cassazione è necessario che, la domanda di assegnazione della casa familiare venga proposta in sede di divorzio anche dalla parte a cui risulti già assegnata la casa coniugale da statuizioni assunte in sede separativa, non potendo il giudice, in relazione della diversa connotazione della posizione giuridica del figlio maggiorenne, disporvi d’ufficio.

Quando il figlio maggiorenne già guadagna. Allo stesso modo, la richiesta di revoca della casa coniugale dopo i 18 anni del figlio può essere presentata dal proprietario dell’immobile se il giovane ormai divenuto maggiorenne ha smesso di vivere con la madre o se ha un reddito sufficiente per vivere da solo (cosa che comporta, per lui, anche la revoca dell’assegno di mantenimento).

Se la madre non abita più nella casa. Quando il coniuge assegnatario della casa non abita più o cessa di abitare stabilmente all’interno dell’immobile, il proprietario può chiedere un provvedimento di revoca dell’assegnazione.

            Anche il coniuge assegnatario può chiedere al giudice, rappresentandogli le mutate esigenze proprie o dei figli, una revoca o anche una modifica del provvedimento di assegnazione.

            Se la decisione del coniuge assegnatario di non abitare la casa familiare costituisce un comportamento pregiudizievole il giudice può emettere anche un provvedimento sanzionatorio.

La Legge per tutti      14 aprile 2019

Testo         www.laleggepertutti.it/281584_revoca-assegnazione-casa-coniugale-figli-maggiorenni

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CENTRO INTERNAZIONALE STUDI FAMIGLIA

Newsletter CISF – N. 14, 10 aprile 2019

Vico esclamativo. Voci dal Rione Sanità (Napoli) (testo di Francesco Belletti). La notizia di questo “straordinario nel quotidiano” fa parte anche della rubrica “Ultimi arrivi dalla case editrici” (e anche un po’ di “CISF Informa”), perché parla di un libro, assolutamente imperdibile, che abbiamo comprato io e mia moglie Gabriella a Napoli, dopo una visita alle splendide catacombe di San Gennaro,

www.credere.it/n.-14-2019/il-miglio-sacro-di-napoli.html

guidati da uno dei giovani della Cooperativa La Paranza, della Fondazione San Gennaro. Un esempio noto ormai in tutto il mondo di come anche in un territorio considerato “a perdere”, come sembrava essere per troppi il Rione Sanità, può rinascere l’umano. E proprio ripartendo dalle persone, dai ragazzi, si possono far nascere cooperative, nuovi spazi turistici (140.000 visitatori nel 2018!), lavoro stabile, orchestre sinfoniche con i ragazzi dei vicoli, persone che sfuggono alla delinquenza organizzata e alla strada, e riscoprono la bellezza della vita. Sono 25 storie, di due-tre pagine ciascuna, che raccontano le vite e le rinascite di un’intera comunità. Anche questo libro è il segnale di qualcosa che nasce, perché è il primo libro di una nuova casa editrice, “Edizioni San Gennaro”      www.youtube.com/watch?v=iNy9FlnSkVU

Ed è un segnale potente, perché l’ultima cosa che ti aspetteresti, girando per i vicoli della Sanità, è pensare a produrre libri. Ma, come giustamente ricorda Carlo Borgomeo nelle pagine iniziali, “la cultura non è, nel lavoro che si fa alla Sanità, un optional. E’ una dimensione irrinunciabile nell’impostazione e nella realizzazione dei diversi programmi… perché siamo convinti che il sociale non evolve senza un continuo arricchimento culturale, senza coltivare lo stupore per la bellezza, senza valorizzare le tradizioni dei luoghi”. Devo proprio ringraziare gli amici dell’AGE (in particolare Chiara Crivelli e Rosaria D’Anna) per avermi invitato a partecipare al convegno per i 50 anni di vita della loro associazione (sabato 6 aprile 2019), dandomi così l’opportunità di questo “imprevisto incontro”.

Chiara Nocchetti, Vico esclamativo. Voci dal Rione Sanità, Edizioni San Gennaro, Napoli 2018, pp. 118.

www.fondazionesangennaro.org/edizioni-san-gennaro/le-pietre-scartate/vico-esclamativo

Around the world, more say immigrants are a strength than a burden. (Nel mondo, per molti gli immigranti sono una risorsa, non un peso).

www.pewglobal.org/wp-content/uploads/sites/2/2019/03/Pew-Research-Center_Global-attitudes-towards-immigrants_report_2019-03-14.pdf

Estremamente interessanti i dati dell’indagine del PEW Research Center (2018) nelle 18 nazioni che da sole accolgono oltre la metà dei migranti nel mondo.                                        www.pewresearch.org/about

Emergono tre modelli:

  1. In dieci di queste nazioni la maggioranza degli intervistati considera i migranti come una risorsa (vedi l’indagine per la lista dei Paesi).
  2. In sei nazioni la maggioranza li considera un peso (idem).
  3. In Italia e in Polonia la maggioranza degli intervistati afferma che i migranti sono un peso, ma una quota significativa di intervistati non si schiera né da una parte né dall’altra (il 31% in Italia e il 20% in Polonia).

(Nelle altre 16 nazioni il numero degli indecisi è nettamente inferiore). L’indagine analizza diversi ulteriori dati, con tabelle comparative di grande interesse, tra cui la verifica dei numeri reali delle presenze, comparate con gli atteggiamenti della popolazione, in ogni Paese.

Proprio su questi temi il Cisf sta organizzando, in collaborazione con l’ICCFR, una Conferenza Internazionale, che si terrà a ROMA dal 15 al 17 novembre 2019, su “Famiglie e minori rifugiati e migranti. Proteggere la vita familiare nelle difficoltà” [Refugee and migrant children and families: Preserving family life through hard challenges].

Anziani e nuove tecnologie. Mario UE project: Managing Active and healthy aging with use of caring service Robots (Il progetto “Mario” dell’Unione Europea: gestire un invecchiamento attivo e in buona salute utilizzando Robot per servizi e assistenza). Mario intende affrontare le difficili sfide poste agli anziani da solitudine, malattia e demenza, attraverso servizi innovativi e differenziati erogati tramite robot, capaci di stimolare e promuovere la percezione di sé e la stimolazione cerebrale degli anziani, con interventi che sarebbero eccessivamente costosi, se realizzati da operatori/persone. Il progetto è promosso da un’articolata rete di soggetti pubblici e privati, università, istituzioni e centri sanitari di eccellenza, di diverse nazioni europee (Irlanda, Regno Unito, Germania e Italia). Per l’Italia CNR, R2MSolutions e IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza.                                                                  www.mario-project.eu/portal

Migranti. Vulnerability: A Buzzword or a Standard for Migration Governance? (Vulnerabilità. Una parola di moda o un nuovo standard per governare i fenomeni migratori?). Di grande interesse, questo breve e denso documento, che mette a tema il concetto di vulnerabilità delle persone migranti, cercando di andare oltre i luoghi comuni, per qualificarlo nei suoi significati specifici: in particolare come utile strumento “per orientare l’attuazione delle politiche legislative capaci di leggere i bisogni specifici dei migranti impedendo l’insorgere di nuove fragilità… per dare concretezza e non ideologia alle politiche, misurandosi sulle concrete condizioni di vita delle persone… nel rischio che il concetto [di vulnerabilità] possa generare esclusione sociale…  evidenziando che è un concetto estremamente eterogeneo, che esige dalla ricerca e dagli osservatori un nuovo sguardo interdisciplinare”.

http://newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/attachments/newscisf1419_allegato1.pdf

Torino: io abito social. “È nata a Torino “Io abito social”, una piattaforma senza fini di lucro dedicata alla ricerca di soluzioni abitative temporanee di social housing presenti sul territorio nazionale. L’obiettivo è quello di dare visibilità all’offerta abitativa di social housing, diventando il portale di riferimento in termini di ricerca e verifica disponibilità di una soluzione abitativa per tutti coloro, singoli o famiglie, che, per motivazioni diverse – economiche, sociali, lavorative, familiari – hanno bisogno di una soluzione abitativa temporanea”.                                                                       http://ioabitosocial.it/il-progetto

Modena. Accoglienza a minori stranieri non accompagnati. “A Modena, dal 2016, 20 famiglie accolgono o hanno accolto 21 ragazzi minori stranieri non accompagnati grazie al progetto “WelcHome”, del quale è stata appena lanciata la piattaforma web con l’obiettivo di espandere ulteriormente questa sperimentazione.                                                                                         www.welchomemodena.it

Il progetto, ideato e sviluppato dal Comune di Modena con il contributo della Fondazione Cassa di risparmio, è sostenuto dal volontariato locale e da singoli cittadini, che in queste settimane hanno partecipato numerosi a un apposito corso di formazione organizzato al Centro di servizio per il volontariato per diventare volontari a supporto delle famiglie WelchHome. Sono stati inoltre attivati percorsi formativi per i ragazzi accolti: 7 di loro hanno un’occupazione lavorativa, 3 attualmente accolti in famiglia lavorano e i restanti sono inseriti in percorsi di studio professionali”.                                                                www.volontariamo.it

Relazioni familiari, social network e internet. “Cosa sono davvero e come funzionano le reti di relazioni su Internet? Quali sono i rischi connessi ad un uso poco attento e consapevole? Come cambiano le relazioni amicali, di coppia e familiari? E quale può essere la strategia dei genitori?” Sono le domande di un interessante Giornata di Studio promossa da AICCeF (Associazione Italiana Consulenti Coniugali e Familiari), a Salerno, il 5 maggio 2019, dal titolo “Le relazioni al tempo dei social. L’effetto della socialità virtuale sulle relazioni“.

http://newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/attachments/newscisf1419_allegato2.pdf

Rapporto CISF 2017. Il tema è strettamente collegato a quanto analizzato nell’ultimo Rapporto Cisf (2017), su “Le relazioni familiari nell’era delle reti digitali”

https://infogram.com/le-relazioni-familiari-nellera-delle-reti-digitali-1h0n25zp79rz2pe

L’Affido Familiare per Minori Stranieri Non Accompagnati: percorso di formazione per una protezione, accoglienza e integrazione di qualità, percorso formativo promosso dalla Fondazione L’Albero della Vita, all’interno del progetto europeo “Forum – Foster care for Unaccompanied Minors” (Affido per minori non accompagnati), offerta formativa a Milano, su due giornate (ripetuta in diversi cicli, date da metà aprile a fine maggio), per operatori e professionisti che lavorano a contatto con minori stranieri non accompagnati.

www.tavolonazionaleaffido.it/wp-content/uploads/2019/03/Corso-Formazione-FORUM.pdf

Sempre in tema di protezione e accoglienza (anche per chi è entrato nel nostro Paese come “minore non accompagnato”). “Progetto puoi“: Bando per tirocini di inserimento socio-lavorativo per stranieri (titolari di protezione internazionale e umanitaria, titolari di permesso di soggiorno rilasciato in casi speciali, titolari di permesso di soggiorno per protezione speciale e per cittadini stranieri entrati in Italia come minori non accompagnati, regolarmente soggiornanti in Italia, inoccupati o disoccupati). ANPAL Servizi (Agenzia Nazionale Politiche Attive per il Lavoro) ha pubblicato il bando per il ‘Progetto PUOI’ – Protezione Unita a Obiettivo Integrazione – che ha l’obiettivo di promuovere percorsi integrati di inserimento socio-lavorativo. E’ prevista l’erogazione di 4500 ‘doti individuali’ di 5.940 euro. Risorse finanziarie: 13.230.000 euro sul FAMI (Fondo Asilo Migrazione e Integrazione), 13.500.000 euro sul FSE PON Inclusione 2014-2020, per complessivi 26.730.000 euro. I destinatari saranno inseriti in percorsi integrati di inserimento socio-lavorativo di durata non superiore a 9 mesi, che prevedano un periodo di tirocinio di durata pari a 6 mesi oltre a Servizi specialistici di orientamento e accompagnamento alla ricerca di un lavoro. L’ambito territoriale di riferimento dell’intervento è quello nazionale                                             www.anpalservizi.it/web/as/home

www.anpalservizi.it/dettaglio/-/asset_publisher/XdK5rf7vZXeu/content/puoi-un-progetto-che-realizza-percorsi-di-inserimento-socio-lavorativo-per-migranti-regolari?inheritRedirect=false&redirect=https%3A%2F%2Fwww.anpalservizi.it%2Fhome%3Fp_p_id%3D101_INSTANCE_EaSlMMHfnfll%26p_p_lifecycle%3D0%26p_p_state%3Dnormal%26p_p_mode%3Dview%26p_p_col_id%3Dcolumn-2%26p_p_col_count%3D1

Save the date

  • Centro: Formazione Personale e Uso del Sé del Terapeuta Familiare, 52° Convegno di studio promosso dall’Accademia di Psicoterapia della Famiglia, Roma, 21-22 giugno 2019.

www.accademiapsico.it/images/52_convegno_web.pdf

  • Sud: Feriti dal dolore, toccati dalla grazia. La pastorale della salute che genera il bene, XXI Convegno Nazionale di pastorale della salute, promosso dall’Ufficio Nazionale per la Pastorale della Salute della Conferenza Episcopale Italiana, Caserta, 12-16 maggio 2019.

www.convegnosalute.it/il-programma

  • Estero: European Academy of Childhood Disability, 31st Annual Meeting (Accademia Europea sulla disabilità in infanzia. 31.o Incontro annuale), evento-fiera-convegno scientifico, Parigi, 23-25 maggio 2019.                                                                                                       http://eacd2019.org/home
  • Estero: Protección de las hijas e hijos víctimas de violencia de género (Protezione dei bambini e delle bambine vittime della violenza di genere), Primo Incontro Internazionale, Granada (Spagna), 25-26 aprile 2019.          https://aiaf-avvocati.it/files/2019/03/EncuentroProteccionhijashijos.pdf

Iscrizione                http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/newsletter-cisf.aspx

Archivio        http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/elenco-newsletter-cisf.aspx

http://newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/aprile2019/5118/index.html

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CENTRO ITALIANO SESSUOLOGIA

Prossimi eventi

La famiglia nel tempo dell’individualismo. Firenze via Dante da Castiglione 13. Il Bobolino

  • 11 maggio 2019. Interazioni e complicazioni: istruzioni per l’uso. Rosanna Intini

  Il conflitto nelle relazioni familiari. Rita Roberto

  Quali istruzioni per affrontare le complicazioni. R. Roberto e R. Intini

  Gruppi di lavoro

  • 12 ottobre 2019. La solitudine nella famiglia.

www.cisonline.net/wp-content/uploads/2019/04/Depliant-11mag19.pdf

Corpo, mente e sessualità. Bologna Royal hotel Carlton via Montebello 8

  • 18 maggio 2019.  Ascolto e accoglienza della donna e della coppia nello studio del ginecologo

Maria Cristina Florini, Gabriella Rifelli

  Casistica clinica: adolescenza, coppia: fertilità e infertilità, età della menopausa

Maria Cristina Florini, Gabriella Rifelli, Stefania Tabanelli, Giorgio Del Noce

www.cisonline.net/wp-content/uploads/2019/04/PROGRAMMA-DEFINITIVO-EVENTO-18-MAGGIO.pdf

Educazione affettiva e sessuale. Il dovere d’informare, la capacità di educare. Roma via Veneto 1

  • 24 maggio 2019. Educazione sessuale olistica

www.cisonline.net/wp-content/uploads/2019/04/Cattura2-1.jpg

www.fissonline.it/pdf/osservatorionazionalemaggio2019.pdf

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CHIESA CATTOLICA

Si riapre il processo al Concilio Vaticano II

Benedetto XVI ha rotto il proprio silenzio sugli abusi sessuali, e in modo del tutto irrituale. La sera del 10 aprile 2019, a sei settimane dalla conclusione del summit vaticano sugli abusi sessuali convocato da papa Francesco, in una fase critica per la chiesa cattolica alle prese con un scandalo di dimensioni globali ed epocali, il “papa emerito” ha fatto conoscere il proprio pensiero sulla genesi del fenomeno in un lungo saggio (oltre cinquemila parole) inviato ad alcuni mass media cattolici online, che sono da sempre vicini al suo entourage e ostili a papa Francesco.

www.acistampa.com/story/la-chiesa-e-lo-scandalo-degli-abusi-sessuali-testo-integrale-11148

http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it/2019/04/11/joseph-ratzinger-sugli-abusi-sessuali-nella-chiesa-%e2%80%9cin-ultima-analisi-il-motivo-sta-nell%e2%80%99assenza-di-dio%e2%80%9d

Il saggio di Benedetto XVI si può dividere in due parti. La seconda parte, quella teologica, è una riflessione sulla natura spirituale della chiesa, che sottolinea le analogie con l’approccio di papa Francesco alla crisi degli abusi sessuali: non può essere risolta soltanto con una mentalità burocratica e giuridica, ma anche e soprattutto come lotta a un male spirituale che si rivela sotto forma di abusi sessuali di minori e nella complicità della chiesa coi colpevoli di questi atti criminali.

            In tutto il resto il documento evidenzia importanti differenze rispetto alla visione di chiesa e dell’analisi del fenomeno da parte di papa Francesco. In Ratzinger, l’analisi storico-teologica del post-concilio – cosa è successo nella chiesa cattolica a partire dagli anni sessanta in poi – è concentrata sugli effetti negativi per la chiesa della rivoluzione sessuale in termini di decadenza morale nelle pratiche e del sorgere del relativismo nella teologia morale. Questa è un’analisi a dir poco problematica: pone il concilio Vaticano II all’origine della decadenza morale nella chiesa, in una evidente differenza dal modo in cui papa Francesco parla e ha sempre parlato del concilio. Ma il vero problema è che da parte di Benedetto XVI identificare negli anni sessanta l’inizio del fenomeno degli abusi sessuali è totalmente smentito da tutti gli studi scientifici disponibili in varie lingue e in tutto il mondo. La storia degli abusi sessuali nella chiesa inizia ben prima degli anni sessanta: si ritrova già negli scritti dei Padri della chiesa nei primi secoli, in termini coniati di nuovo e che non si ritrovano nel greco classico; c’è una vasta letteratura storica e giuridica sul fenomeno e sugli strumenti elaborati dalla chiesa per contrastarlo.

            Questo saggio da parte di Benedetto XVI offre una caricatura del periodo post-Vaticano II, che fu un periodo estremamente complesso e contraddittorio, non privo di errori e ingenuità da parte dei cattolici presi nel tentativo di immaginare una chiesa più aperta al mondo: ma la pornografizzazione del post-concilio è cosa sorprendente da parte di uno dei teologi più importanti sia del concilio Vaticano II sia del post-concilio. Questa peculiare “tesi Ratzinger“, tuttavia, non è nuova: se ne trovano tracce già nella lettera inviata alla chiesa in Irlanda nel 2010.

            Questa analisi rivela anche altri punti problematici. C’è una scarsissima attenzione alle vittime. Si offre un giudizio affrettato e superficiale sulle responsabilità della chiesa istituzionale e del Vaticano tra Giovanni Paolo II e il pontificato di Benedetto XVI. Non c’è nessuna assunzione di responsabilità per i fallimenti (il caso del cardinale Bernard Law rifugiatosi a Roma per sfuggire alla legge americana) e i tragici ritardi (il caso di Marcial Maciel e dei Legionari di Cristo) – una storia in cui Joseph Ratzinger ebbe un ruolo non proprio secondario come prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede. C’è un lato personale in questo saggio di Joseph Ratzinger ma solo come una delle vittime: Ratzinger vittima non degli abusi sessuali, ma degli abusi teologici da parte della teologia liberal (il riferimento, spesso presente negli scritti ratzingeriani, alla “Dichiarazione di Colonia” del 1989). La storia è più complicata. Per esempio, nel febbraio 2012, durante il pontificato di Benedetto e a ridosso della gestione vaticana della crisi degli abusi in Irlanda, si tenne alla Pontificia Università Gregoriana a Roma un convegno sulla crisi degli abusi sessuali: il tutto si svolse nel disinteresse dei media vaticani, che ricevettero ordine di non dare risalto alla notizia, e senza che papa Benedetto intervenisse o apparisse a quel convegno come invece ha fatto papa Francesco due mesi fa.

            C’è poi una seconda questione soggiacente alla pubblicazione di questo saggio, che è di metodo e costituzionale. Il testo di Benedetto XVI afferma di avere chiesto il permesso a papa Francesco e al Segretario di Stato, cardinale Parolin, che lo avrebbero concesso al fine di una pubblicazione, in tedesco, in un periodico del clero bavarese. In realtà, il lungo testo era disponibile, e in una buona traduzione in lingua inglese, fin dal pomeriggio del 10 aprile 2019 ad alcuni (ma solo alcuni) media cattolici e non-cattolici che negli Stati Uniti fanno parte dell’apparato conservatore e tradizionalista che da sempre fa propaganda contro papa Francesco. Questa cosa dovrà essere prima o poi spiegata: chi lo ha inviato a certi organi di stampa? Perché ad alcuno e non ad altri? Con quale informazione fornita ai dirigenti della comunicazione della Santa Sede?

Le spiegazioni infatti non vanno cercate presso i media vaticani, che pare siano stati sorpresi dall’iniziativa, ma da quella specie di corte papale parallela che si è formata attorno al papa emerito – fin da prima diventasse emerito. La pubblicazione di questo saggio e la sua tesi di fondo sono presto diventate strumento nelle mani di coloro che, specialmente negli USA, da un anno a questa parte stanno tentando con ogni mezzo di liberarsi di papa Francesco, in un modo o nell’altro. In America c’è tentazione di scisma e la narrazione giornalistica sulla crisi degli abusi sessuali è parte integrante del disegno. Benedetto XVI forse non lo sa, ma lo sa benissimo chi ha organizzato questo lancio di stampa con tanto di embargo (prontamente violato). La scelta di privilegiare certi organi di stampa, che si sono distinti nella campagna contro papa Bergoglio dal 2013 in poi, dà l’impressione che Benedetto XVI sia organico a quegli ambienti e dà l’impressione che il papa emerito sia manipolato e manipolabile.

            La questione del metodo è importante anche dal punto di vista legale: finora Joseph Ratzinger è stato, come tutti gli uomini di punta del Vaticano durante i pontificati di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI (a partire dai Segretari di Stato, i cardinali Sodano e Bertone), molto riservato circa i casi ancora aperti, e specialmente sul caso del cardinale americano Theodore McCarrick, escluso dal collegio cardinalizio da papa Francesco nel 2018 e spretato due mesi fa dopo un processo canonico. Il silenzio di un papa emerito si può giustificare come facente parte dell’immunità di cui gode l’ex sovrano dello stato vaticano, oppure anche come il tentativo di non interferire con il governo di papa Francesco. Ora Benedetto XVI scrive e pubblica lunghi testi. Nel momento in cui il papa emerito interviene sulla questione abusi sessuali, fa sorgere domande che nessuno finora aveva potuto o voluto rivolgere a chi è stato ai vertici del Vaticano sin dal 1981 come lui.

            Problemi legali a parte, il problema più evidente è di natura ecclesiale. La tesi Ratzinger sugli abusi sessuali nella chiesa costituisce una contro-narrazione che va ad alimentare direttamente l’opposizione a papa Francesco e che crea confusione sul che fare in questo momento drammatico, specialmente attorno a una questione: il legame tra abusi sessuali e omosessualità. Nonostante gli studi scientifici sugli abusi abbiano smentito un legame tra orientamento omosessuale e abusi sessuali, Benedetto XVI ripropone questa tesi che si configura come una strada alternativa a quella proposta da papa Francesco e dal summit in Vaticano di due mesi fa, che vede la questione degli abusi come fenomeno di abuso di potere nella chiesa, senza collocarlo all’interno di una tesi sul ruolo chiave della rivoluzione sessuale per i destini del cattolicesimo. Un fatto importante è anche il contesto del 2018-2019: questa operazione mediatica va letta come la prosecuzione dell’operazione Viganò dell’agosto scorso. Benedetto XVI certamente non punta a far dimettere papa Francesco; ma altri, ben collocati nel complesso giornalistico cattolico oltreatlantico dotato di basi a Roma, ci stanno provando, ed è cosa di cui il segretario di Joseph Ratzinger è certamente informato.

            La terza questione è di natura costituzionale circa l’ufficio di “papa emerito” nella chiesa cattolica. Dal marzo 2013 ad oggi la coabitazione tra papa ed emerito aveva funzionato senza troppi sussulti. Ora, qualunque cosa diranno papa Francesco e i media vaticani nei prossimi giorni, è chiaro che questo episodio costituisce un vulnus: una ferita al regime dei rapporti tra i due uffici. Il problema non è tra le due persone Francesco e Benedetto, che continueranno a volersi bene come prima, ma tra i due uffici e i loro bracci operativi. Se non altro, questo incidente dimostra che poco conta cambiare il sistema delle comunicazioni vaticane, se continua ad esistere una corte papale parallela che fa tutto per dare l’impressione che ci sia un secondo papa ancora in servizio per quanti sono scontenti del papa regnante.

            I papi hanno sempre potuto dimettersi. Pochi lo hanno fatto, nel medioevo, e quasi mai spontaneamente. Benedetto XVI ha innovato il papato dimettendosi in diretta, sei anni fa, e questo è probabile che si ripeta in futuro. Nel mondo dominato dai media digitali e dai social media, quella del papa emerito è un’istituzione che necessita di una regolamentazione che oggi non ha: al momento delle dimissioni, dovrebbe dimettersi assieme al papa anche la sua segreteria, che viene riassegnata; il ruolo di prefetto della casa pontificia va abolito; il papa emerito deve cessare di vestire di bianco; i suoi rapporti coi media non vanno lasciati alla discrezione di segretari che hanno tutto l’interesse a prolungare la vita di un pontificato che è cessato a tutti gli effetti (ma non dal punto di vista mediatico).

 

Congregazione per i vescovi. Direttorio per il ministero pastorale dei vescovi.          22 febbraio2004

“Apostolorum Successores”

                               www.vatican.va/roman_curia/congregations/cbishops/documents/rc_con_cbishops_doc_20040222_apostolorum-successores_it.html

§226 A sua volta il Vescovo emerito avrà cura di non interferire in nulla né direttamente né indirettamente nella guida della diocesi ed eviterà ogni atteggiamento ed ogni rapporto che potrebbe dare anche solo l’impressione di costituire quasi una autorità parallela a quella del Vescovo diocesano, con conseguente pregiudizio per la vita e l’unità pastorale della comunità diocesana.

A questo fine il Vescovo emerito svolgerà la sua attività sempre in pieno accordo ed in dipendenza dal Vescovo diocesano, in modo che tutti comprendano chiaramente che solo quest’ultimo è il capo e il primo responsabile del governo della diocesi.

 

            Questo saggio pubblicato ieri purtroppo danneggia l’immagine di Benedetto, che nel suo scritto dimostra una visione idiosincratica e limitata della genesi della crisi degli abusi sessuali e dello stato delle conoscenze scientifiche sul problema. Il pontificato di papa Francesco alle prese con la crisi degli abusi risentirà in modo marginale di questa manovra – architettata mediaticamente non da Benedetto XVI, ma da chi gli sta intorno. In un certo senso, questa manovra potrebbe fornire al Vaticano di Francesco degli alibi. Di sicuro dimostra quanto la chiesa abbia bisogno di una nuova generazione di leader e di un nuovo pensiero per affrontare la crisi più grave del cattolicesimo del nostro tempo.

Massimo Faggioli, professore di Storia del Cristianesimo, Villanova University      11 aprile 2019

www.huffingtonpost.it/massimo-faggioli/si-riapre-il-processo-al-concilio-vaticano-ii_a_23710267/?utm_hp_ref=it-homepage

Ø  Il documento di papa Ratzinger è un Manifesto per una Chiesa preconciliare ed anticonciliare.

Roma, 12 aprile 2019 Vittorio Bellavite, coordinatore nazionale Noi siamo chiesa

http://www.noisiamochiesa.org/?p=7466

 

Il trauma e la nostalgia: continuità tra prefetto, papa ed emerito

Considerevole valore deve essere attribuito a questo testo di JosephAloisius Ratzinger, che interviene – dal silenzio interrotto del suo ritiro – sul tema degli abusi. Tema che con la sua attualità ha espressamente sollecitato il Vescovo emerito di Roma a prendere la parola. Dicevo “testo considerevole” perché permette di apprezzare, in una forma del tutto convincente, una grande continuità tra il pensiero dell’attuale “emerito”, quello di papa Benedetto XVI, ma anche quello del Prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede. Anzi, si potrebbe estendere la continuità fino all’Arcivescovo di Monaco: più di 40 anni appaiono segnati da una lettura traumatizzata e traumatica della svolta conciliare e del ‘68, come causa di tutti i mali della Chiesa, abusi compresi.

            Già altrove, e non molto tempo fa, avevo richiamato l’attenzione sulla lettura “apocalittica” con cui J. Ratzinger aveva presentato, nella sua autobiografia, agli inizi degli anni ‘80, la vicenda conciliare come una vera “tragedia” per la Chiesa. Ma in questo giudizio parlava in lui, già allora, più un pregiudizio che un giudizio. Egli scambiava, con troppa facilità, l’effetto con la causa e la causa con l’effetto. Come allora, anche oggi, il cambiamento teologico e pastorale che inizia con il Concilio, non viene letto come la “risposta ad una crisi”, ma come “la causa della crisi”. Si idealizza il preconcilio e così si fa violenza al Concilio. Se la riforma della liturgia, dei seminari, della teologia morale viene interpretata in questo modo unilaterale e viscerale, è inevitabile, oggi ancor più di 40 anni fa, che la diagnosi inclini alla “nostalgia per il bel tempo che fu”. Questo non è un ragionamento teologico, bensì un attaccamento del sentimento, una nostalgia del cuore.

            Alcuni lampi del testo illuminano perfettamente questo orizzonte, in modo assai unilaterale:

  • Si lamenta che negli anni 80 i testi di Ratzinger fossero “censurati” in alcuni seminari. Ma non si ricorda che, 50 anni prima, erano i testi di Agostino o di Ambrogio a subire la stessa sorte;
  • Si dipinge la storia della teologia morale post-conciliare come se alla deriva resistesse solo “Veritatis splendor”, senza nulla dire della unilateralità con cui questo testo ha dovuto attendere “Amoris Lætitia” per essere finalmente ridimensionato nella sua pretesa fondamentalistica in campo morale;
  • Si ricorda la domanda di “massimi di pena più alti” contro i colpevoli di pedofilia, addebitando al “garantismo conciliare” quasi la protezione dei pedofili. Ma non si tiene conto che le riforme del diritto penale non si fanno alzando i massimi, ma i minimi della pena.
  • Si punta lo sguardo contro l’abuso, come se fosse una lotta tra la tutela dell’accusato e la tutela della fede. Ma non entra nello sguardo del testo quel soggetto decisivo che è la vittima dell’abuso e che esige dalla Chiesa una lettura non autoreferenziale della questione.

Diversi sono i passaggi del testo in cui la ricostruzione storica dei 30 anni post-conciliari diventa una caricatura, soggettivamente significativa, ma oggettivamente insostenibile. Il testo apocalittico conclusivo riprende una immagine che avevamo già ascoltato, la sera della commemorazione del 50esimo del Discorso della luna di papa Giovanni XXIII. In quella occasione, l’11 ottobre 2012, la “festa per il Concilio” si era trasformata in uno sfogo quasi disperato e aveva raggelato la piazza sottostante. E al posto del Concilio era apparsa la barca della Chiesa ostacolata dai venti contrari, i pesci cattivi nella rete, la zizzania che cresce nel campo. Nulla oggi è cambiato da quella sera. Un papa che non capisce più il Concilio, di cui è stato un padre [consulente teologico e poi perito], può solo fare una cosa: prendere congedo. E lasciare la parola ad un figlio del Concilio. Essere riuscito in questo atto di servizio e di umiltà riscatta in lui ogni possibile mancanza, precedente o successiva. Per questo J. Ratzinger può anche concludere questa parola di disperazione ringraziando il suo successore, che ha riacceso la speranza. Il testo che ci ha consegnato in questa occasione da un lato rende ancora più grande il gesto profetico di 6 anni fa, ma dall’altro ci fa capire fino in fondo in quali meandri del risentimento e della nostalgia avremmo potuto cadere, se mai non lo avesse fatto.

Andrea Grillo blog Come se non      11 aprile 2019

www.cittadellaeditrice.com/munera/il-trauma-e-la-nostalgia-continuita-tra-prefetto-papa-ed-emerito/

 

Il cardinale Becciu: per gli omosessuali niente ordinazione. Preti gay? Si ritirino a vita privata

Omosessualità nel clero, violazione del segreto professionale in Vaticano: ne parla il cardinale Angelo Becciu, già sostituto della Segreteria di Stato – incarico svolto dal 2011 fino al 2018 quando Papa Francesco lo ha creato cardinale, nominandolo poi prefetto delle Cause dei Santi.

            L’autorevole porporato si esprime su argomenti bollenti, senza peli sulla lingua, una lunga intervista al vaticanista di Mediaset, Fabio Marchese Ragona, autore del libro “I nuovi cardinali di Francesco” (edizioni San Paolo).

Gay in seminario. Il cardinale si sofferma sulla questione dei sacerdoti gay: «Chi ha tendenze omosessuali è bene che non rimanga in seminario e che non diventi prete», dice citando le parole del Papa.

            «Chi si avvia al sacerdozio è chiamato a fare voto di castità. Come sappiamo bene, la giornata del prete si svolge prevalentemente a contatto con altri uomini, soprattutto per chi vive in comunità religiose, e per salvare la sua castità gli si raccomandano regole di prudenza nel rapporto con le donne. Ora un omosessuale che condividesse consistentemente, nello spazio e nel tempo, la sua vita con altri di pari sesso sarebbe capace di vivere facilmente la castità promessa? Non sarebbe pretendere troppo da lui?».

Gay sacerdoti. Diverso il discorso per chi ha tendenze omosessuali ma è già prete (o anche vescovo e cardinale): «Si dovrà esigere che osservi le promesse sacerdotali e se non ne fosse capace, o addirittura offrisse scandalo, sarà doveroso che per il bene della Chiesa si ritiri a vita privata, così come con la stessa severità lo si esige a un consacrato eterosessuale», afferma Becciu.

            Per otto anni il prelato sardo ha affiancato due Papi, Benedetto e Francesco, divenendo testimone di momenti difficili come la rinuncia del Pontefice bavarese e, appunto, i due Vatileaks. In particolare il primo «era un mondo che crollava perché i rapporti personali e di lavoro che erano fondati sulla fiducia e sulla lealtà si erano improvvisamente sbriciolati, arrivando persino a sospettare gli uni degli altri. Furono giornate nere», rammenta il cardinale.

            «Papa Francesco e Papa Benedetto soffrirono assai di fronte a tale tradimento. Non vi erano e non vi sono motivazioni che possano giustificare un siffatto comportamento. Esso risponde solo a logiche di potere, è frutto di frustrazioni, di gelosie, di vendette e per qualcuno anche di mire affaristiche».

            «Purtroppo – prosegue – per alcuni che lavorano in Vaticano è venuto meno il senso di appartenenza, il senso della Chiesa, la capacità di saper soffrire nel silenzio (lo dico soprattutto ai preti!). Il giuramento “sub gravi” [secreta continere] ormai non vincola più, il segreto pontificio non dice ormai più niente», sottolinea il porporato.

            «Mi chiedo se non sia giunto il momento che anche in Vaticano si adotti il sistema, in uso presso studi notarili o altri enti civili, della penalità pecuniaria in caso di violazione del segreto professionale. Il timore, se scoperti, di pagare di tasca propria sarebbe un bel deterrente! Come Sostituto avevo chiesto di studiare la proposta, spero che essa vada avanti», dice il cardinale.

Salvatore Cernuzio   Vatican insider                      08 aprile 2019

www.lastampa.it/2019/04/08/vaticaninsider/becciu-pene-pecuniarie-a-chi-viola-il-segreto-professionale-in-vaticano-25DBb7lfzjWXq5OBsYMXTO/pagina.html

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CITAZIONI

Fulton Sheen: il sesso è voluto da Dio

Lo ha inventato per noi, per arricchirci, perché possiamo capire con il corpo ciò che la mente da sola non coglie. Se l’amore non si eleva, precipita. Se, come la fiamma, non arde verso il sole, brucia alla base, distruggendosi. Se il sesso non ascende al paradiso, discende nell’inferno. Il corpo non può donarsi se l’anima non si dona. Coloro che ritengono di poter essere reciprocamente fedeli nell’anima ma infedeli nel corpo, dimenticano che queste due condizioni sono inseparabili. Il sesso isolato dalla personalità non esiste! Un braccio vivo e gesticolante staccato da un organismo vivente è assurdo.

            L’uomo non ha funzioni organiche isolate dall’anima. La sua personalità forma un tutto unico. Non v’è nulla di più psicosomatico dell’unione di due esseri in una carne sola; nulla migliora o peggiora tanto una mente, una volontà. La separazione dell’anima dal corpo è la morte. Coloro che separano il sesso dallo spirito prefigurano la morte. Godere della personalità altrui attraverso la propria personalità, questo è amore. Il piacere della funzione attraverso la funzione animale di un altro è sesso separato dall’amore.

            Il sesso è uno dei mezzi istituiti da Dio per l’arricchimento della personalità. È un principio fondamentale di filosofia che nella mente non v’è che non sia stato prima avvertito dai sensi. Qualsiasi nostra conoscenza ci viene dal corpo. Come dice San Tommaso, noi abbiamo un corpo perché il nostro intelletto è debole. Come la mente si arricchisce mediante il corpo e i suoi sensi, così l’amore si arricchisce mediante il corpo e il suo sesso. Come in una lacrima su una guancia si può vedere riflesso un universo, così nel sesso si può vedere riflesso il ben più vasto mondo dell’amore. L’amore nel matrimonio monogamo implica il sesso; ma il sesso, nella sua accezione attuale, non significa né matrimonio né monogamia.

Ogni donna intende istintivamente la differenza tra sesso e amore, mentre l’uomo giunge a comprenderla più lentamente attraverso il ragionamento e la preghiera.

L’uomo è spinto dal piacere; la donna dal significato del piacere. Ella vede il piacere piuttosto come un mezzo, ossia come il prolungamento dell’amore e in lei stessa e nel suo bimbo. Come Maria all’Annunciazione, ella accetta l’amore che le viene presentato da un altro. A Maria, l’amore giunse direttamente da Dio per mezzo di un angelo; nel matrimonio, l’amore giunge indirettamente da Dio per mezzo di un uomo. Ma in entrambi i casi v’è un’accettazione, una sottomissione, un fiat: “Si faccia di me secondo la Tua Parola” (Lc 1,38)».

Fulton Sheen, [8 maggio 1895 – † 9 dicembre 1979] Tre per sposarsi (1951)

https://it.aleteia.org/2018/07/31/sesso-amore-dio-fulton-sheen

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COMMISSIONE ADOZIONI INTERNAZIONALI

Tempi di attesa più lunghi per le adozioni in Bulgaria

La Commissione per le Adozioni Internazionali, nell’ambito delle attività di controllo che effettua periodicamente sull’andamento delle adozioni nei vari Paesi in cui ha autorizzato enti ad operare, ha riscontrato un calo del numero di minori bulgari adottati in Italia e il conseguente aumento del tempo di attesa che le coppie devono affrontare prima di vedere realizzato il loro progetto adottivo.

            Al fine di riscontrare e approfondire il dato rilevato, alla luce della proficua collaborazione intrapresa con la Repubblica di Bulgaria, la Commissione ha contattato il Ministero della Giustizia bulgaro per analizzare congiuntamente le ragioni del fenomeno. L’autorità bulgara ha confermato che la riduzione delle procedure di adozione internazionale, che non riguarda solo l’Italia, è principalmente dovuto al calo di minori iscritti nel registro dei bambini residenti in Bulgaria adottabili da coniugi aventi residenza all’estero.

            Questa riduzione ha influito considerevolmente sul periodo di attesa delle coppie adottive che il Ministero della Giustizia bulgaro conferma essere aumentato fino a 5/6 anni.

            La Commissione ritiene opportuno condividere queste informazioni con gli enti autorizzati, con le coppie che hanno già intrapreso il percorso adottivo in Bulgaria e con coloro che intendono scegliere questo paese per l’adozione internazionale.

Notiziario CAI           12 aprile 2019

www.commissioneadozioni.it/notizie/cai-segnala-tempi-di-attesa-pi%C3%B9-lunghi-per-le-adozioni-in-bulgaria

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CONCILIO VATICANO II

Sul Sessantotto, senza esagerare

            L’anno scorso, su richiesta della rivista ADISTA, ho scritto un testo per i 50 anni del ‘68, che si intitolava: Dal Post-concilio al C9: la lunga “riforma” della Chiesa, su “Adista”, 52/19 (2018), 11-12. Dopo la pubblicazione degli “appunti” di J. Ratzinger sul tema degli abusi, il dibattito sul ‘68 è tornato prepotentemente di attualità. Allora ho pensato di riproporre quel testo, con alcune necessarie precisazioni e con un nuovo titolo.

 

Il ‘68, il Concilio e la Chiesa nella società aperta

Per comprendere che cosa è successo nel mondo e nella Chiesa, a partire dal 1968, vorrei cominciare dalle parole di un caro collega americano, il compianto abate e prof. Patrick Regan. Egli raccontava di essere giunto dagli USA a Parigi, per studiare liturgia, proprio nell’anno 1968. E di aver assistito ai primi “moti” del 68 parigino, con lo stupore e la meraviglia di un americano, che stava vivendo nello stesso anno l’assassinio di Martin Luther King. La prima cosa che il 68 ci consegna è infatti la progressiva e parallela globalizzazione e differenziazione delle culture. E, in effetti, al centro del 68 emerge una “esperienza di libertà” che, sintetizzata in una battuta, assomiglia molto al dogma trinitario, applicato però ad ogni uomo: “tutti sono uguali e ognuno è diverso”. Questo è anche, in forma brevissima, e certo non priva di problemi, una sorta di carta di identità di quella che chiamiamo “società aperta”. La società appare “aperta” – e non più chiusa – se ognuno può essere se stesso “incondizionatamente”. Questo è il sogno. La autorità della libertà diventa massima, mentre la libertà della autorità diventa minima. Ecco il punto di partenza della società differenziata, secolarizzata, complessa.

            Nonostante la sua storia del XIX e XX secolo, la Chiesa cattolica è riuscita, in qualche modo, ad anticipare il ‘68. Tra gli anni 1959-1965, sotto lo stimolo potente prima delle profezie vivaci di Giovanni XXIII e poi delle narrazioni ispirate del Concilio Vaticano II, introduceva nella propria disciplina – e forse ancor più – nella propria dottrina una “prospettiva inaudita”. Il Concilio Vaticano II, infatti, non è anzitutto un atto di “riforma”, ma è la percezione e la espressione di una forma più elementare e più radicale di Dio e dell’uomo, di Cristo e della Chiesa, della verità e della carità.

            Il Concilio come “esperienza del mistero”. Se leggiamo i testi del Concilio Vaticano II, soprattutto le 4 Costituzioni, ma anche i Decreti e le Dichiarazioni, scopriamo che al centro vi è il delinearsi di una nuova esperienza del mistero di Dio. Rinunciando sia a “formulare nuovi dogmi”, sia a “condannare nuovi abusi”, il Concilio si converte dal magistero negativo a quella positivo, e “racconta” il Mistero del Dio di Gesù Cristo nella esperienza del culto, nella relazione alla Parola, nella struttura della comunità ecclesiale e nella chiesa che vive in rapporto col mondo. Le costituzioni conciliari, avvalendosi di linguaggio più opportuni, rinunciano a definire e preferiscono “ri-narrare” 4 punti di partenza, nella loro diversità e nella loro inesauribilità. La “indole pastorale” che caratterizza il Vaticano II è precisamente questo: scoprire che l’accesso alla “sostanza della antica dottrina del depositum fidei” può avvenire nella “riformulazione dei suoi rivestimenti” e che questa differenza incolmabile non è un limite, ma una virtù della tradizione. Questa differenza apre, necessariamente, alle “riforme” in ognuno di questi ambiti. Riforma liturgica, riforma nel rapporto con la Parola, riforma nella strutturazione della esperienza ecclesiale e riforma nel rapporto con il mondo.

            Il Concilio come “esigenza di riforma”. Come è evidente, su ognuno di questi 4 ambiti, nella loro comunanza di fonte, ma anche nella loro differenza di forme, si è sviluppato un processo di riforma che ha conosciuto fasi alterne e tensioni complesse. Sicuramente la liturgia è stata la più rapida nel proporre un proprio volto rinnovato, in cui la valorizzazione della eguaglianza e della differenza dei soggetti ecclesiali poteva essere finalmente concretizzata. Poco si è riflettuto sull’impatto che su questa “logica di riforma” hanno portato non soltanto le singole costituzioni, ma anche il Decreto Dignitatis Humanæ, con il suo storico riconoscimento della “libertà di coscienza” come patrimonio comune non solo di tutta la cristianità, cattolicesimo compreso, ma anche al servizio di tutta la umanità. Pensare che “partire dalla coscienza del soggetto” sia anzitutto un rischio è la eredità di un mancato ripensamento del Vaticano II e dei suoi innegabili rapporti con la elaborazione dell’esperienza anche ecclesiale all’interno di una società aperta. Nel momento in cui si ammette il principio di libertà di coscienza la società e la chiesa “si aprono”. Ciò le rende più ricche e più complesse, più fragili e più audaci. Ed è stata la libertà moderna a rendere visibile la famiglia, come soggetto ecclesiale. Proprio mentre la minacciava in radice, la promuoveva altrettanto radicalmente. La “comunione di vita e di amore” è perciò una definizione del matrimonio che solo la cultura moderna ha reso dicibile e pensabile nella Chiesa. Questo perché una comunione, in cui ogni membro non sia pensato come soggetto indisponibile, non è comunione autentica.

La grande resistenza al Concilio e il paradosso della “rinuncia alla autorità”. Ma la profezie conciliare era, come tutte le profezie, esposta al discredito e alla diffidenza. I profeti di sventura, evocati nel discorso di inizio del Vaticano II, da 67 anni sono pronti alla chiamata alle armi e alla organizzazione della resistenza. Fantasmi antimodernistici, interessi di immobilismo, alleanze con gli interessi più bassi hanno avuto, per lunghi tratti, una influenza pesante. Non hanno mai del tutto frenato il processo di riforma, ma l’hanno rallentata, svuotata, squalificata e insultata. Come se riformare significasse tradire. Il “modulo” più fortunato di tale resistenza è stato messo a punto tra gli anni 80 del secolo scorso e gli anni 10 del nostro secolo. E’ un modulo capovolto rispetto al famosissimo “la fantasia al potere” di marca sessantottina. Esso pretende una Chiesa il cui potere sia del tutto privo di fantasia. Anzi, in cui il potere neghi se stesso e si impedisca ogni autorità, e quindi ogni possibile riforma. L’unica cosa che si è riformata è stato il Codice [di Diritto Canonico 1983], perché una riforma fosse impossibile. Nel corso di questi tre decenni ogni questione è stata affrontata con questa riserva: solo gli antichi, i medievali e i moderni avevano una autorità. Noi no. La Chiesa è stata vittima di un modello capovolto rispetto a quello del 68: forse ne è rimasta segnata, bruciata, traumatizzata. E per non ammettere la positività presente in quel modello che la metteva in crisi, ne ha assunto uno che l’ha radicalmente mortificata. Alla ingenuità mondana di un potere senza mediazioni, così come sognato dagli ideali ingenui del 68, si è contrapposta la pretesa di una mediazione senza autorità, che ha paralizzato ogni istanza di riforma, arrivando, alla fine, a delegittimare pesantemente lo stesso inizio conciliare.

            Il ritorno al Concilio e il rilancio dell’“esercizio della autorità”. Con l’arrivo di papa Francesco diversi fattori sono cambiati strutturalmente. Da un lato un papa non europeo non ha il complesso di superiorità della autorità sulla libertà e per questo può stare in modo più sciolto nella vicenda ecclesiale post-sessantottina. D’altra parte Francesco ha, nei confronti del Concilio Vaticano II, un rapporto genealogicamente diverso. Mentre i suoi predecessori – tutti, da Giovanni XIII a Benedetto XVI – erano stati “padri conciliari” e quindi avevano nei confronti del Concilio tutte le ragionevoli apprensioni che i padri hanno verso i figli (forse scapestrati e forse anche degeneri), Francesco è il primo papa “figlio del Concilio” e per questo non responsabile del Concilio, come lo è un figlio verso il padre. Questo dipende da dati elementari, che riguardano la sua biografia ecclesiale: Jorge Mario Bergoglio è diventato prete l’anno dopo il 68, a 4 anni dalla chiusura del Concilio. Questo gli ha consentito di “star fuori” da ogni senso di responsabilità verso il Concilio, che è per lui l’aria che ha respirato sempre, fin dagli anni della sua formazione. Questa condizione di favore ha potuto rilanciare la “autorità ecclesiale”, che ora non si paralizza di fronte alla storia, ma entra in dialogo e in ascolto della vita dei battezzati e provvede a tradurre la tradizione in forme nuove: per quanto riguarda la evangelizzazione, la cura del creato, la famiglia, le forme ministeriali, siamo di fronte a un “inizio di un inizio”, che estrae il disegno conciliare dal congelatore e ne riconfigura possibilità, necessità e urgenze. E’ un inizio, solo un inizio, ma decisivo. Per tale inizio il 68 non è anzitutto paralisi di libertà autoreferenziale, ma recupero di autorità dei processi relazionali.

            La riforma della chiesa, 50 anni dopo. La Chiesa immobile è stato ed è l’ideale di ogni antimodernismo ecclesiale. Ma è stato e rimane anche il sottile desiderio di ogni modernismo senza scrupoli. Vi è chi pensa, e forse spera, che questa paralisi non sia una scelta, ma quasi un “destino” della Chiesa cattolica, anche sotto Francesco. A me pare, tuttavia, che alcuni segni decisivi mostrino come il ripensamento della tradizione si sia rimesso in moto. E per farlo ha rimesso in gioco la natura “partecipata” della liturgia, la verità “comunionale” della Chiesa, la “ricca narrazione” della Parola e la preziosa relazione con mondo, come luogo in cui lo Spirito parla e deve essere ascoltato. La radice di ogni riforma, che certo comporta delicati processi di trasformazione istituzionale, consiste in questa nuova trascrizione della esperienza di fede. La condizione della “società aperta” può essere considerata non solo un danno, ma una opportunità per la Chiesa solo se alcune nuove evidenze maturate a partire dal ‘68, sono penetrate anche nella consapevolezza della compagine ecclesiale. Se, come si ripete, Francesco non può essere definito un liberale, ma piuttosto un radicale, tale può essere solo declinando il Vangelo e interpretando la autorità episcopale con una nozione di libertà che ridimensiona l’autoritarismo classico e con una passione per l’altro, che accorcia le distanze e ridimensiona le strutture, come ha imparato anche dalla fantasia del 68. Altrimenti, senza il 68, come avrebbe potuto dire, un papa, al Collegio degli Scrittori della Civiltà cattolica, che le tre caratteristiche fondamentali del teologo di quella rivista debbono essere: inquietudine, incompletezza e immaginazione? Per parlare così, per permettersi una tale parrhesìa [libertà di dire, franchezza], egli deve aver considerato il 68 non solo come un pericolo o come una perversione, ma anche come una occasione di crescita e come un kairòs [momento giusto ed opportuno] prezioso per la cultura degli uomini e persino per la tradizione ecclesiale.

Andrea Grillo blog: Come se non     13 aprile 2019

http://www.cittadellaeditrice.com/munera/sul-sessantotto-senza-esagerare/

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CONGRESSI – CONVEGNI – SEMINARI

Clericalismo: ignoranza e abuso di sostanza sul Congresso mondiale delle famiglie a Verona

L’Incontro mondiale delle famiglie svoltosi a Dublino nell’agosto 2018, in quella terra cattolica d’Irlanda così devastata dagli abusi del clero, ha registrato l’intervento attento e pensato di papa Francesco proprio contro gli abusi, quella Lettera al Popolo di Dio che, non assumendo un tono apologetico né moralistico, ne indica la causa strutturale, teologica – infine – sostanziale nel clericalismo:  «Ciò si manifesta con chiarezza in un modo anomalo di intendere l’autorità nella Chiesa – molto comune in numerose comunità nelle quali si sono verificati comportamenti di abuso sessuale, di potere e di coscienza – quale è il clericalismo, quell’atteggiamento che “non solo annulla la personalità dei cristiani, ma tende anche a sminuire e a sottovalutare la grazia battesimale che lo Spirito Santo ha posto nel cuore della nostra gente”. Il clericalismo, favorito sia dagli stessi sacerdoti sia dai laici, genera una scissione nel corpo ecclesiale che fomenta e aiuta a perpetuare molti dei mali che oggi denunciamo. Dire no all’abuso significa dire con forza no a qualsiasi forma di clericalismo».

            Questo, nonostante si potesse pensare a quella occasione come un modo per rilanciare piuttosto anatemi e fantasmi apocalittici, come quelli esternati dal Segretario di Stato cardinale Parolin, che di fronte al risultato del referendum del 2015 sul matrimonio fra persone dello stesso sesso si era espresso nei termini gravissimi di “sconfitta dell’umanità” –le stesse parole che si usano per la shoà, la devastazione dell’ambiente, il rifiuto dei profughi, gli armamenti nucleari; le stesse parole che pensiamo la Chiesa debba usare di fronte agli abusi, al femminicidio, alla discriminazione delle donne, anche se questo lo abbiamo sentito dire di meno, per la verità.

            Adesso lo stesso Segretario di Stato di fronte al Congresso Mondiale delle famiglie a Verona – ben altra cosa da Dublino, organizzazione di matrice violenta e piena di odio, come sa chiunque minimamente se ne informi – esce però con un’affermazione che dovrebbe meglio spiegare: «ne approviamo la sostanza, non il metodo».

            Cosa vorrebbe dire con questo? Sarebbe una presa di distanza, questa? Nel linguaggio comune e ancora di più in quello ecclesiastico “sostanza” è una parola impegnativa, pesantissima. E’ proprio la sostanza di quella operazione che deve essere rifiutata, con il suo tentativo di accaparrarsi, ancora una volta come nei passati totalitarismi è avvenuto con drammatico successo, la connivenza delle Chiese e delle istituzioni religiose. Che poi si pentono, ma tardi. Che hanno eroi e martiri, ma anche ne fanno.

            L’ha detto con superficialità, ignorando magari il peso di sostanza: pensava forse con queste due parolette di levarsi d’impiccio? O lo ha detto invece con cognizione di causa, dando dunque un avallo a quell’impresa finora isolata, senza comunicati ufficiali cattolici, greve di odio, mentre un mondo pacifico di donne e uomini, laici e credenti, manifestava fuori un mondo diverso? Un avallo, se tale vuole essere, clericale inaudito.

            Basta, per fare il pezzo completo, che papa Francesco, che contemporaneamente si trova in Marocco a tessere rapporti di dialogo e ad accogliere ben altro grido dell’umanità migrante e dolente, dica di non aggiungere niente su Verona a quanto ha detto il Segretario di Stato. Nel senso di “no comment” al Congresso dell’odio? O nel senso della espressione usata da Parolin, sulla adesione in sostanza? Le parole pesano, come macigni, anche se poi la mano che ha tirato il sasso se ne pente. Forse.

Cristina Simonelli, Presidente del Coordinamento teologhe italiane 8 aprile 2018

www.teologhe.org/2019/04/01/clericalismo-ignoranza-e-abuso-di-sostanza-sul-congresso-mondiale-delle-famiglie-a-verona/?fbclid=IwAR0bFJYeXkYCtHA0AVP1Zws4bcA16q_uDjiJCbvsEAOmj0B4KgZKoRb9EkQ

 

Verona, perché la critica sia liberale

Ancora non si sono esaurite le discussioni e le polemiche sul congresso di Verona sulla famiglia. Il mio giudizio al riguardo era e resta decisamente critico. A fare premio sul tema assolutamente centrale e sulle buone intenzioni di taluni suoi partecipanti stanno il sovraccarico ideologico e la strumentalizzazione politica – perfettamente voluta – da parte di una costellazione di sigle riconducibili a una destra illiberale italiana e non. Che ha cercato di inscrivere l’oggetto formale del congresso – la famiglia appunto – dentro una visione della società chiusa, gerarchica e autoritaria.

E tuttavia con il passare delle ore lievitano in me le riserve nei confronti di taluni argomenti branditi polemicamente da parte di certi suoi animosi critici. Una sorta di speculare dogmatismo.

Solo qualche esempio. In primo luogo, il concetto di famiglia. Ovvio che non ci si possa cristallizzare su una idea statica della famiglia “naturale”; che natura e cultura interagiscano e che, specie per quanto attiene alle relazioni coniugali e parentali, il costume e i modelli familiari abbiano conosciuto straordinari rivolgimenti. Soprattutto in positivo: dalla famiglia patriarcale alla famiglia centrata sugli affetti e sui rapporti paritari tra i coniugi, anziché su ruoli rigidi e relazioni gerarchiche. Ma non mi pare si sia autorizzati a concludere che “famiglie” al plurale possano essere definite indistintamente tutte le più diverse forme di convivenza. Tenere ferma la distinzione tra famiglia in senso proprio e altre unioni è utile dal punto di vista descrittivo (è sempre buona norma chiamare le cose con il loro nome proprio, il più preciso possibile) ed è cosa coerente con la Costituzione (art. 29), la giurisprudenza, le leggi. Le quali – pur apprezzando, riconoscendo e disciplinando altre forme di convivenza comunque buone ad assicurare stabilità, in quanto giovano all’affidabilità e alla coesione nel tessuto sociale – contemplano il “favor familiae”.

Secondo: le nostre società aperte e liberali sono un guadagno prezioso. Ma appunto in quanto liberali mettono in conto il pluralismo delle visioni della vita e della società. Nel quadro largo e comprensivo dei loro ordinamenti e nella loro cura di propiziare il libero dispiegarsi di quelle diverse visioni è legittimo e anzi va messo in conto che, per esempio, vi sia chi coltiva una concezione della famiglia più tradizionale o chi giudica l’aborto come la soppressione di un essere umano. Non è lecito? L’importante è non pretendere che tutti la pensino così o che si possa imporre per legge una e una sola visione. Dopo una lunga stagione nella quale, con qualche ragione, si è imputato ai cattolici la pretesa indebita di imporre per via legislativa modelli etici e familiari loro propri ma non socialmente condivisi, sarebbe paradossale che fossero essi a subire una sorta di censura dei propri liberi convincimenti e che, addirittura, dovessero vivere dentro un quadro culturale e normativo costringente che prescriva un’altra univoca visione. Si sancirebbe così il rovesciamento del paradigma liberale. La sana distinzione tra morale e diritto è un caposaldo dei regimi liberal-democratici. In Italia, per note ragioni storico-culturali, i cattolici hanno fatto fatica ad assimilare e praticare tale sana distinzione. Sarebbe sorprendente, ripeto, se oggi una pretesa impositiva di segno opposto fosse avanzata dalle élite laico-liberali che forgiano il mainstream [corrente culturale].

Si è gridato ai “diritti sottratti”. Ripeto: non mi è piaciuto il mood [atmosfera]di Verona e non nego che, complice la massiccia presenza di ministri di peso, si debba vigilare contro la tentazione di regredire nella legislazione. Anche se, almeno a parole, i politici in oggetto hanno dato assicurazione di non coltivare tale proposito. Ciò detto, sarà lecito a liberi cittadini, pur rispettosi delle leggi vigenti, di coltivare il convincimento che esse non coincidano con i propri soggettivi standard etici? Esemplare il caso dell’aborto. Come si può pretendere che chi, come si è accennato, lo considera come la soppressione di un essere umano non nutra riserve sulla legge che lo autorizza? Siamo di nuovo alla pretesa, di segno rovesciato, che la legge prescriva il pensiero unico? Anzi: da un punto di vita liberale si dovrebbe apprezzare che anche chi nutre convinzioni forti oggi minoritarie sia tuttavia rispettoso della legge di tutti e che magari la consideri conforme alla “giustizia possibile” ai fini della buona convivenza dentro una società pluralista.

Infine, una parola sulla sinistra. Essa si anima e si mobilita sui diritti civili asseritamente minacciati. Dopo una stagione di relativo appannamento delle differenze rispetto alla destra, su questo fronte la sinistra alza le sue bandiere. Sta bene. Solo non vorrei che alla ipersensibilità sui diritti civili (individuali?) corrispondesse una certa tiepidezza sui diritti sociali. Mi chiedo se la denunciata “rottura sentimentale” della sinistra con i ceti popolari e con i problemi che li affliggono nella loro quotidiana fatica di vivere non abbia a che fare anche con lo strabismo di essa in tema di diritti. Sia chiaro: i diritti tutti si tengono. Ma forse la sinistra farebbe bene a rammentare la lezione di Norberto Bobbio, per il quale la lotta alle disuguaglianze sarebbe la sua bussola identitaria.

Anche per questa via si contrasta il populismo e lo slittamento a destra dei ceti popolari.

Franco Monaco ex parlamentare       C3DEM          8 aprile 2019

www.c3dem.it/verona-perche-la-critica-sia-liberale

 

L’insostituibile fisionomia del matrimonio (l’unico vero)

Una delle conseguenze più macroscopiche del Congresso Internazionale delle Famiglie svoltosi recentemente a Verona è stata quella di aver riportato al centro dell’attenzione pubblica nostrana il tema della famiglia. Questo però è avvenuto in un contesto culturale ormai inquinato da un disarmante relativismo secondo il quale, alla luce delle attuali conoscenza, non sarebbe più possibile parlare della famiglia nucleare, quella cioè formata da un uomo, una donna ed i figli con essi conviventi, come “famiglia naturale”. La famiglia naturale non esiste, si sente ripetere con sempre maggiore insistenza e, al fine di dimostrarlo, si chiamano in causa i risultati dell’indagine etnografica e dell’analisi antropologico-culturale. Personalmente, mi trovo nella singolare condizione di essere, per formazione, sia un antropologo culturale che un filosofo, di dichiarata “fede” tomistica. La polemica attualmente in atto mi spinge quindi a proporre una breve riflessione su questo tema a cavallo tra antropologica culturale e filosofia. Mi rendo conto che l’argomento, per essere sviscerato in tutta la sua reale portata, meriterebbe la composizione di un intero saggio, pertanto in questa sede mi limiterò ad una brevissima riflessione preliminare sullo stesso, riservandomi di approfondirne i vari aspetti in eventuali futuri contributi.

Parlare di famiglia significa parlare di parentela, ora, si dice, l’indagine antropologico-culturale dimostra che, nelle diverse culture, la relazione di parentela (anche quella tra genitori e figli) può essere costruita anche dopo la nascita mediante specifiche procedure di appropriazione simbolica. Si fa notare come, nonostante la nascita di un individuo avvenga necessariamente attraverso l’unione di un uomo e di una donna, una famiglia è un insieme di persone che partecipano in modo intimo gli uni degli altri in una costruzione sociale culturalmente significativa che include fattori biologici, ma che non si riduce a questi, fino ad arrivare in situazioni in cui le relazioni di carattere extra-biologico sono preponderanti. La parentela sarebbe fondamentalmente un sistema simbolico capace di dare senso al dato biologico della filiazione, ma che in molti casi vi si sovrapporrebbe, rientrando (per rifarsi ad una dicotomia cara a Levy-Strauss) più nell’ambito culturale che in quello naturale. Ogni cultura risolve a modo suo il problema relativo all’assegnazione di un individuo ad un determinato gruppo parentale a volte prescindendo in modo più o meno marcato dai fattori meramente biologici. Così, l’istituto matrimoniale, quello che regola fondamentalmente l’accesso sessuale degli uomini rispetto alle donne, e viceversa, si configura in modo molto variabile tra le diverse culture. E qui giù di esempi tratti dalla letteratura etnografica di cui, tra gli altri, ci offre un vasto campionario il volume di Marshall Sahlins, Wat Kinship Is – And Is Not, The University of Chicago Press, 2013 (pubblicato nel 2014 in traduzione italiana con il titolo di La parentela: cos’è e cosa non è da Eleutera).

Si fa notare come nelle culture matrilineari (quelle in cui i soggetti appartengono alla famiglia della madre, anziché a quella del padre), ad esempio, quali quelle africane degli Ashanti e degli Ndembu, il legame familiare fondamentale è quello tra fratello e sorella. Il fratello esercita l’autorità sui figli della sorella, i quali saranno i suoi eredi. La sorella gode di certi diritti in quanto parente femminile più stretta e rappresenta la fonte di continuità del lignaggio. Se nelle società patrilineari (quelle in cui gli individui appartengono al lignaggio paterno) l’interesse degli uomini si concentra sull’avere figli, in quelle matrilineari si concentra sul fare in modo che ne abbiano la proprie sorelle. Tra fratello e sorella c’è una grande intimità: l’uomo tenderà a confidarsi con la sorella, anziché che con la propria moglie, e sarà questa che consulterà quando avrà bisogno di un consiglio o si tratterà di gestire le proprie finanze ed i propri possedimenti. In queste culture il rapporto tra un padre ed i propri figli tende ad essere molto più informale ed il primo non viene considerato dai secondi come una figura dotata di autorità, ma come un amico e spesso un complice.

In tutte le culture il matrimonio è un’istituzione sociale finalizzata la riproduzione e l’assegnazione dei figli a un gruppo piuttosto che a un altro. L’unione matrimoniale presenta una grande flessibilità e a volte si configura in modi che a noi occidentali possono sembrare piuttosto bizzarri: fra gli Igbo della Nigeria, in caso di sterilità del marito, una donna è autorizzata a avere rapporti sessuali con un altro uomo, e i figli procreati saranno legalmente figli del primo (il pater) e non del secondo (il genitor). Fra i Nuer del Sudan è documentato il matrimonio con il fantasma, per cui, qualora un uomo muoia senza figli oppure prima di sposarsi, un fratello o un cugino può sposarsi con una donna in nome del defunto in modo che i figli siano legalmente figli del defunto. Sempre fra i Nuer, esiste il matrimonio fra donne (privo di connotazioni omoerotiche): una donna sterile può contrarre matrimonio con un’altra donna, sceglierle un amante e i figli nati da questa unione saranno figli socialmente riconosciuti della donna-marito, membri del gruppo di quest’ultima. La donna-marito è persino culturalmente autorizzata a chiedere un risarcimento alle proprie mogli qualora queste intrattengano rapporti sessuali con altri uomini rispetto a quelli da lei designati. Ci sono anche i fratelli della madre chiamati “madri maschi” e le donne agiate Lovedu che cedono il loro bestiame per acquistare “mogli” e diventare così “padri” dei loro figli. I Karembola del Madagascar considerano fratelli e sorelle la stessa cosa, e un uomo può così rivendicare la maternità di un bambino.

In alcune popolazioni dell’Amazzonia, una nascita può anche non coinvolgere alcun tipo di parentela, se quello che la donna porta in grembo è il figlio di un animale (spirito/animale). Fra gli Inuit della Groenlandia, quando un bambino è chiamato con il nome del nonno materno, inizia a chiamare figlia la madre che lo ha partorito, marito di mia figlia il padre e moglie la nonna.

Ci sono poi le famiglie poligame: quelle poliginiche (in cui cioè un uomo ha più mogli), quelle poliandriche (in cui una donna ha più mariti) e quelle poliginandriche (in cui un gruppo di uomini, generalmente dei fratelli, si uniscono in matrimonio con un gruppo di donne, generalmente delle sorelle). Nel caso delle famiglie poliandriche e poliginandriche, i figli saranno considerati come di tutti i mariti, anche quando sia nota l’identità dell’effettivo padre biologico degli stessi.

Di fronte ad una così grande varietà di modelli familiari e matrimoniali (di cui non ho citato che pochi esempi), non è forse assurdo parlare della famiglia nucleare, quella storicamente più diffusa nella nostra cultura, come della “famiglia naturale”? Non è forse etnocentrico, ci si domanda, considerare il nostro modello matrimoniale come l’unico legittimo?

Ed è qui che subentra il filosofo, il quale fa notare come un tale modo di porre la questione presupponga che l’unica legge sia quella positiva, vale a dire che le leggi che gli uomini si impongono siano il termine ultimo in base a cui valutare la liceità delle loro azioni. Secondo una tale prospettiva, in effetti, gli usi ed i costumi di ogni popolo sono moralmente equivalenti anche quando sono in contraddizione gli uni con gli altri. Ovviamente, questa concezione, come si evincerà chiaramente anche solo da quanto ho appena scritto, è auto-contraddittoria. Sarebbe abbastanza semplice articolare un’argomentazione atta a dimostrare quanto sopra, ma in questo contesto non c’è nemmeno bisogno di scomodarsi a farlo. Già, perché gli stessi fautori dell’idea che non esiste la “famiglia naturale”, un tipo di famiglia che a livello meta-culturale sia da considerarsi come l’unica veramente tale, sono poi i primi ad indignarsi perché in determinate culture e società i diritti dei gay o delle donne non sono adeguatamente rispettati. Questo significa che anche costoro, implicitamente, ritengono che oltre ad una legge positiva debba esservi una legge naturale, cioè quella norma morale che trae i criteri dell’agire umano direttamente dalla natura specifica dell’uomo. Se così non fosse, infatti, non avrebbe senso indignarsi per le pratiche considerate immorali di una specifica cultura o società, in quanto non ci sarebbe nessun metro meta-culturale o meta-sociale in base al quale determinare la moralità o l’immoralità di un qualcosa a prescindere da come questo viene considerato dai singoli gruppi umani.

Ora, quando uso il termine “naturale”, non voglio intendere un qualcosa di imposto dalla natura, in quanto la legge morale suppone sempre la mediazione della ragione, ma indicare un qualcosa che è conforme alle esigenze della natura umana così come possono essere indagate e conosciute dalla ragione. Ed ecco che si comprende anche il senso in cui è possibile parlare di “famiglia naturale”, un qualcosa su cui non sembra che i negatori della sua esistenza, in effetti, abbiano sempre le idee sufficientemente chiare. Con l’espressione “famiglia naturale” non si intende indicare l’unico tipo di famiglia imposto dalla natura umana (ecco perché le culture hanno elaborato modelli familiari tanto diversi gli uni dagli altri), bensì quella più confacente alle esigenze dell’uomo in quanto tale.

Rimane a questo punto da giustificare il motivo per cui la famiglia nucleare, vale a dire la “società coniugale” fondata sul matrimonio, sia da considerarsi come la “famiglia naturale”.

Come ho mostrato sopra, non è possibile individuare una forma del matrimonio che sia stata condivisa sotto ogni riguardo dai popoli di tutte le culture: la divergenza delle istituzioni matrimoniali sconcerta e, a prima vista, scoraggia chi voglia tentare una sintesi. Sembra che l’elemento più costante sia individuabile a livello biologico nel rapporto sessuale: il resto appare piuttosto fluido, incerto, contraddittorio. Tutto considerato è però possibile formulare una prima definizione del matrimonio che comprende tutte le varianti di un fatto che resta insopprimibilmente naturale e perciò soggetto all’evoluzione della coscienza umana: istituzione che ovunque e sempre tende a regolare le manifestazioni dell’istinto sessuale secondo particolari norme di una data comunità umana. Ciò vuol dire che il matrimonio, universalmente, non risulta mai concepito come un fatto privato, una convivenza libera da qualsiasi vincolo legale, rimessa unicamente alla coscienza e alla personale e più insindacabile decisione dei singoli quali unici gestori dei propri sentimenti e scelte. Entro i limiti fissati dalla legge positiva dei vari popoli, il matrimonio, come istituzione, ha conosciuto tutte le forme e tutte le aberrazioni: dalla poligamia alla poliandria, dal concubinato al divorzio. Resta comunque confermato che questo istituto, come unione dell’uomo e della donna in vista e in funzione della famiglia, ha assunto un carattere sempre più delineato dal punto di vista giuridico, mai lasciato all’arbitrio personale: un amore libero, sottratto ad ogni legge, non è mai esistito.

La nozione del matrimonio comprende il dato biologico (l’attrazione dei sessi), e quello razionale, ossia la sua disciplina ottenuta in virtù di particolari norme giuridiche. Ora, se volessimo limitarci soltanto sul primo, la nozione del matrimonio rifletterebbe unicamente la vita istintiva comune anche alle bestie; mentre, se preferissimo il secondo, l’istituto matrimoniale non emergerebbe in modo sufficientemente chiaro, inequivocabile, perché non c’è legge che non dipenda dall’arbitrio umano, per sé fallibile. L’analisi antropologica delle varie culture si limita a descrivere la vita delle stesse, non suggerisce una norma; documenta l’essere, non indica il dover essere, richiama dei fatti, non fa scoprire il diritto. Cercare la norma, vuol dire voler cogliere l’essenza o il dover essere del matrimonio; il quale, essendo un fatto eminentemente umano, può essere giudicato solo risalendo alle inclinazioni della natura umana integrale.

La famiglia nucleare è la cellula fondamentale della società correttamente ordinata (società che vede idealmente nell’amicizia tra gli uomini che la compongono il collante che la tiene assieme), perché l’amicizia soddisfa tutte le reali virtualità di sviluppo della persona umana solo nel matrimonio monogamico, e ciò per le ragioni di fondo riassunte in quella complementarietà dei sessi che implica l’essenziale unità dei medesimi nella più eterogenea ricchezza di struttura esclusivamente propria del primo nucleo sociale umano, capace di generare nuova vita. Non c’è forma di amicizia più alta di quella che è possibile tra i due sessi che si amano e si donano in vista della prole. La loro muta attrazione d’amore è determinata dalla massima unità nella massima alterità che la natura umana possa offrire.

Il matrimonio monogamico realizza la più profonda comunione di amore tra i sessi in una integrazione mutua dei medesimi così perfetta da risultare naturalmente feconda e assicurare perciò la sopravvivenza della famiglia umana, ultimo scopo inteso dalla natura. Attraverso il matrimonio si realizza la perfezione dei coniugi e la procreazione della prole. Ovviamente, la seconda, anche se posteriore nel tempo, interessando la specie, prevale sul primo che riguarda due individui; perciò il primo, immediato, è subordinato alla seconda.

Ecco perché la famiglia nucleare, quella fondata dai coniugi e dalla loro prole, è in effetti la “famiglia naturale”. Questa è infatti la forma di unità familiare che meglio risponde alle esigenze della natura umana così come possono essere indagate e conosciute dalla ragione e che, in buona sostanza, è l’unica forma di famiglia in senso proprio.

Trianello                     “La Croce” pag. 3     9 aprile 2019

https://pellegrininellaverita.com/author/trianello

https://pellegrininellaverita.com/2019/04/09/linsostituibile-fisionomia-del-matrimonio-lunico-vero

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CONGRESSI – CONVEGNI – SEMINARI            PROGRAMMI

Assisi. La comunicazione nella Coppia. Sentieri dell’amore fecondo

Pro Civitate Christiana 41° Seminario. 2-5 maggio 2019

 “Il Creatore ha reso l’uomo e la donna strumenti del suo amore affidando alla loro responsabilità il futuro dell’umanità attraverso la trasmissione della vita umana”       (Amoris Lætitia, 81)

Nella scelta del tema del Seminario di quest’anno ci siamo subito accorti di una certa ritrosia emotiva nei confronti della parola “fecondità”, come se risvegliasse spiacevoli ricordi di mentalità opprimenti e moralistiche degne, giustamente, di essere archiviate.

Infatti, la risposta immediata di alcune coppie è consistita nel definire alquanto obsoleta la parola “fecondità”, affrettandosi a chiarire che non esiste unicamente quella biologica, poiché l’amore può essere fecondo in vari modi e la felicità non consiste solo nel procreare figli, ma anche nell’impegnarsi, per esempio, nell’umanizzare il mondo, oggi tanto travagliato e complesso.

In stretta sintesi, il nostro tema intende unire alla riflessione sull’amore aperto allo stupore della vita nascente, quella, appunto, dell’amore diversamente fecondo, avendo cura di decifrare i mutamenti antropologici, sociali, culturali, scientifici e religiosi del nostro tempo.

            Così non si potrà ignorare la crisi della fecondità femminile e maschile cui è certamente connessa la denatalità attuale; peraltro non si potrà non tenere conto della coppia che, quando irrompe in essa una vita, vive difficoltà, ansie, paure, di una differente caratura rispetto ai tempi delle passate generazioni.

            Secondo la metodologia consolidata dei nostri seminari, si darà la parola per una testimonianza alle diverse esperienze di amore fecondo, accogliendo anche coloro che hanno fatto scelte non tradizionali.

Perché è sempre possibile, nell’autentico spirito del dialogo, ricevere stimoli e sollecitazioni per una maturazione più autentica dell’amore e della stessa esperienza di fede.

  • Giovedì̀ 2 maggio 2019 ore 21,15

Accoglienza, saluto di Tonio Dell’Olio, presidente della Pro Civitate Christiana

Intervista a Silvia Ranfagni, cineasta– a cura di Clorinda e Piergiorgio Bitelli (PCC)

  • Venerdì̀ 3 maggio 2019 ore 09,15     Coordina Anna Maria Cimino(PCC)

Culle vuote. Linda Laura Sabbadini, statistica Istat

Stupore della vita nascente. Rosanna Virgili, teologa biblista

L’approccio antropologico alla fecondità, nel nostro tempo Ferdinando Fava, antropologo

Coppie in tribuna: esperienze, testimonianze – coordina Luigi Russo

Serata musicale con Umberto Rinaldi e l’insieme vocale Commedia Harmonica

  • Sabato 4 maggio 2019 ore 9,15

presentazione e inizio Laboratori e Gruppi di approfondimento

proseguimento Laboratori e Gruppi

Feed-back Laboratori e Gruppi – interventi dell’assemblea

Liturgia eucaristica festiva

Collaborano    Gabriella Cappiello, medico, ginecologa presso Consultori Familiari

Rosella De Leonibus, psicologa e psicoterapeuta

Rosaria Gavina, psicologa e arteterapeuta

Luigi Russo, psicoterapeuta, fondatore Centro Educativo Ambarabà di Lecce

Beppe Sivelli, psicologo clinico

www.cittadella.org/seminario-coppia-2019

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CONSULTORI FAMILIARI ISPIRAZIONE CATTOLICA

Sanremo. Consultorio Familiare Promozione Famiglia-CFC

Iniziative in corso e in progetto

  • Mamma & Figlia. Non è sempre facile parlare di sessualità con i propri figli. In questi incontri mamma e figlia verranno accompagnate in un piccolo gruppo, con altre mamme e bimbe, attraverso semplici giochi, a dare risposta alle prime domande su come siamo fatte e come funzioniamo.
  • Educare all’Affettività e Sessualità. Formazione per genitori educatori ed insegnanti
  • Tempo di nonni. I nonni sono importanti, ma quanto può essere faticosa la relazione con i propri nipoti?
  • In questi incontri due pedagogisti saranno a disposizione per condividere e capire come creare una relazione forte e stabile con i propri nipoti.
  • 4 chiacchiere con l’esperto: In un ambiente informale i genitori potranno liberamente fare domande ai diversi esperti che si alterneranno.
  • Teenstar sull’educazione affettiva e sessuale dedicato a ragazzi dei primo anni delle superiori.

www.teenstar.it/corsi.asp

  • Un Flash mob sull’educazione (Raduno di più persone, convocate all’improvviso in un luogo pubblico tramite Internet, e-mail o sms, per inscenare un’azione insolita)

www.consultoriofamigliareventimigliasanremo.it

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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM

Arezzo 1. Scuola di formazione per Consulenti Familiari, nuovo Corso

Il Consultorio La famiglia di Arezzo organizza nella propria sede un nuovo Corso di formazione per Consulenti Familiari, in collaborazione con SICOF – Roma, Scuola Italiana di formazione per Consulenti Familiari riconosciuta dall’AICCeF, l’associazione maggiormente rappresentativa a livello nazionale della Professione di Consulente Familiare, di conseguenza inserita al n. 22 dell’apposito elenco istituito in data 5 Settembre 2013 con Decreto interministeriale del Ministero della Giustizia.

L’inizio del nuovo Corso triennale è previsto per il mese di ottobre 2019; la Segreteria del Consultorio accoglie le richieste di informazioni e le iscrizioni al Corso nella propria sede.

www.consultoriolafamiglia.it/Scuola-di-formazione-per-Consulenti-Familiari-nuovo-Corso-ad-Arezzo.htm

                                                                                                                      

Bologna. Strumenti per migliorare il benessere

Ramo complementare: “Strumenti per migliorare il benessere e recuperare energia”. La paura e l’ansia abbassano il livello energetico delle persone; chi aiuta nelle relazioni deve avere un livello energetico alto per essere più rassicurante e aperto alle diversità e alla sofferenza, senza per questo esserne fagocitati. Questi strumenti aiutano a quietare la mente, abbassare lo stress e a mantenere un buon stato di salute. Aiutano inoltre ad essere più in armonia, più concentrati, in equilibrio con se stessi e con l’ambiente e di conseguenza sarà più facile entrare nella migliore relazione con le persone.

A chi è consigliato? Agli Operatori che lavorano in Sanità e nel sociale, agli psicologi, agli operatori del volontariato, agli insegnanti, alle persone che lavorano nella relazione d’aiuto e a tutte le persone che vogliono ampliare la conoscenza di se stessi e la propria consapevolezza.

Come è strutturato il percorso. Per completare il primo anno formativo è prevista la partecipazione ad un modulo di 8 ore. E’ inoltre consigliato un incontro individuale di un’ora.

Gli strumenti principali utilizzati: Qi Gong Terapeutico Salutistico. Tecniche di auto-massaggio.

Riconoscimento. Per la frequentazione di questo modulo viene rilasciato un attestato. Viene anche rilasciato un ulteriore attestato finale per chi ha completato il percorso triennale seguendo il ramo formativo complementare “Strumenti per migliorare il benessere e recuperare energia”.

Come aumentare la nostra energia e utilizzare la conoscenza che viene dal lavoro sul corpo nella consulenza familiare: dal 4 maggio 2019.

Formatrice: Luciana Bandini – Laurea in Infermieristica. Esperta in cure complementari. Istruttrice di Qi Gong Terapeutico Salutistico. E’ stata docente all’Università di Bologna di corsi “Strumenti per migliorare il benessere e recuperare energia” per Odontoiatria, studenti di Odontoiatria, in Igiene dentale e in Infermieristica.

www.consultoriobologna.it/formazione-integrata-alle-relazioni/strumenti-migliorare-benessere

           

Messina, sede di Rometta: continua il progetto “Spazio Giovani”

Si è svolto nei giorni scorsi, presso i locali del centro di aggregazione giovanile di Villafranca Tirrena, un nuovo incontro con i ragazzi del Liceo Scientifico “Galileo Galilei” di Spadafora nell’ambito del progetto di alternanza scuola-lavoro “Spazio giovani”, portato avanti dall’associazione “Villafranca giovane”, con la collaborazione del Consultorio familiare “UCIPEM” di Rometta e con il fattivo supporto e patrocinio dell’Assessorato alle politiche giovanili.

Il tema dell’incontro è stato l’associazionismo, analizzato nei suoi molteplici aspetti e considerato alla luce dell’importanza che esso riveste, soprattutto nel momento di difficoltà economica e sociale in cui versa attualmente l’Italia, per la crescita democratica e per la promozione di una cittadinanza attiva.

http://www.consultorio-ucipem.messina.it/rometta http://www.consultorio-ucipem.messina.it/rometta

            Tra le varie tematiche sociali trattate nei precedenti incontri, vi erano state anche quelle della gioventù, della disoccupazione e della disabilità, affrontate attraverso la visione del film “La meglio di gioventù” di Marco Tullio Giordana, cui fece seguito, nel gennaio scorso, l’incontro con il giornalista messinese Marco Olivieri.

Lucia Cava     Messina Sette 13 aprile 2019

www.messina7.it/2019/04/13/villafranca-tirrena-continua-il-progetto-spazio-giovani

http://www.consultorio-ucipem.messina.it/rometta

 

                                                 Monza. COF. “Il cortile delle mamme”

 “Il cortile delle mamme” è gruppo di incontro prima e dopo il parto Per mamme in gravidanza e con bimbi 0-1 anno e 1- 3 anni. Incontri per vivere un momento di confronto e condividere pensieri, emozioni, gioie, dubbi e saperi differenti di questa importante esperienza.

            Si tratta di due gruppi differenti: uno per le mamme con bambini da 0 a 1 anno e il secondo per mamme con bambini da 1 a 3 anni.

  1. Gruppo 0-1. Gruppi per mamme in gravidanza e con bimbi da 0 a 12 mesi, con la presenza di una psicologa, di un’ostetrica e di un’operatrice sociale
  2. Gruppo 1-3. Gruppi per mamme e bimbi da 1 a 3 anni, con la presenza di un psicopedagogista, di una psicomotricista dell’età evolutiva e di un’ostetrica.

Presso il Consultorio Familiare COF – Fondazione Centro Orientamento Famiglia – in via Vittorio Emanuele 1 Monza, con Fondazione Centro Orientamento Famiglia.

 www.monzaperibambini.it/famiglia/corsi-mamma-bambino/267-il-cortile-delle-mamme-con-fondazione-centro-orientamento-famiglia-monza.html

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COPPIE DI FATTO

Coppie di fatto non sposate: diritti e doveri dei conviventi

Possiamo tranquillamente dire che il 2016 ha segnato uno spartiacque tra due modi di intendere la famiglia di fatto, cioè quella che non ha contratto il vincolo coniugale: prima di tale data, infatti, i diritti di cui godevano i conviventi erano incerti e di natura esclusivamente giurisprudenziale, poiché la legge disciplinava solo l’unione che fosse stata consacrata dal matrimonio. Con la legge Cirinnà del 2016 possiamo ufficialmente dire che la famiglia non è fondata solo sul matrimonio, ma su una comunione di vita materiale e spirituale: ragion per cui anche i conviventi (cosiddette “coppie di fatto”) godono di gran parte dei diritti riconosciuti alle coppie sposate. Insomma, oggi i conviventi possono dire di aver raggiunto dei notevoli traguardi rispetto al passato. Ferma restando la possibilità di stipulare un contratto di convivenza, per quanto riguarda le coppie di fatto non sposate, quali sono i diritti e doveri dei conviventi?

            Grazie alla legge Cirinnà del 2016, oggi esiste un provvedimento che indica, in modo esplicito ed inequivocabile, quali sono i diritti e gli obblighi di coloro che convivono pur non essendo sposati. Già da prima, però, esistevano alcuni interventi del Parlamento: pensa a quello con cui è stata estesa ai conviventi l’applicazione delle misure contro la violenza nelle relazioni familiari. Se hai dieci minuti di tempo, ti consiglio di proseguire nella lettura di questo articolo: vedremo quali sono i diritti e doveri dei conviventi nelle coppie di fatto non sposate alla luce della legge Cirinnà che ha formalmente istituito le unioni civili e le convivenze di fatto.

Con la legge Cirinnà [Legge n. 76, 20.05.2016 (cosiddetta legge Cirinnà)] in Italia è stata introdotta la disciplina per le coppie che, di fatto, vivono come se fossero unite in matrimonio: sono le convivenze di fatto. Secondo la legge, per conviventi di fatto si intendono due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile.

            La convivenza di fatto tra persone dello stesso sesso o eterosessuali può essere attestata da un’autocertificazione, redatta in carta libera e presentata al comune di residenza, nella quale i conviventi dichiarano di convivere allo stesso indirizzo anagrafico. Il Comune, fatti gli opportuni accertamenti, rilascerà il certificato di residenza e stato di famiglia. Non vi è alcun obbligo per i conviventi di presentare la predetta autocertificazione, in quanto la convivenza può essere provata con ogni strumento, anche con dichiarazioni testimoniali.

            In poche parole, la convivenza di fatto è rivolta a tutte quelle persone, indifferentemente omosessuali o eterosessuali, che hanno deciso di non contrarre matrimonio né di sancire il loro legame attraverso l’unione civile, ma che comunque sono meritevoli di una tutela rispetto a determinati aspetti della vita, primo fra tutti quello della malattia.

Diritti e doveri dei conviventi di fatto: quali sono? La convivenza di fatto tra due persone, quando formalizzata nei modi di cui al precedente paragrafo, crea un nucleo familiare che, seppur diverso da quello matrimoniale, è meritevole di tutela. Nello specifico, dalla convivenza di fatto nascono i seguenti diritti e doveri:

  • Stessi diritti che spettano al coniuge nei casi previsti dall’ordinamento penitenziario (in pratica, la possibilità di far visita al proprio partner in carcere);
  • Il diritto reciproco di visita, di assistenza e di accesso alle informazioni personali, in caso di malattia o di ricovero del convivente di fatto;
  • La facoltà di designare il convivente quale proprio rappresentante in caso di malattia che comporta incapacità di intendere e di volere, per le decisioni in materia di salute, ovvero di morte, per quanto riguarda la donazione di organi, le modalità di trattamento del corpo e le celebrazioni funerarie;
  • Il convivente di fatto può essere nominato tutore, curatore o amministratore di sostegno, qualora il partner venga dichiarato interdetto, inabilitato o beneficiario dell’amministrazione di sostegno;
  • In caso di morte del proprietario dell’abitazione comune, il convivente superstite può continuare ad abitare nella stessa per due anni o per un periodo pari alla convivenza se superiore a due anni e comunque non oltre i cinque anni. Qualora il convivente superstite abbia figli minori o disabili, ha diritto di continuare ad abitare nella casa di comune residenza per un periodo non inferiore a tre anni;
  • Nei casi di morte del conduttore o di suo recesso dal contratto di locazione della casa di comune residenza, il convivente ha la facoltà di succedergli nel contratto;
  • Lo stesso diritto al risarcimento del danno spettante al coniuge superstite, in caso di decesso del convivente di fatto derivante da fatto illecito di un terzo;
  • Il diritto del convivente di partecipare alla gestione e agli utili dell’impresa familiare del partner, nonché ai beni acquistati con questi ultimi e agli incrementi dell’azienda, in proporzione al lavoro prestato;
  • In caso di cessazione della convivenza di fatto, il diritto di ricevere gli alimenti dall’ex convivente, qualora versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento.

Convivenza di fatto e coppie di fatto: differenza. La legge Cirinnà, introducendo le convivenze di fatto e le unioni civili (queste ultima possono intercorrere solamente tra persone dello stesso sesso), ha in effetti previsto che due persone che stanno insieme, se vogliono essere riconosciute dallo Stato godendo dei diritti sopra visti, devono formalizzare la loro convivenza recandosi al Comune e adempiendo agli oneri che abbiamo visto nel primo paragrafo.

            In Italia, però, ci sono moltissime coppie che, pur vivendo sotto lo stesso tetto da anni, ritengono di non ufficializzare la loro unione: in pratica, non vogliono diventare conviventi di fatto. Quale regime giuridico si applicherà a costoro?

            Ebbene, coloro che convivono ma che non voglio registrare la propria unione in Comune continuano a rimanere una mera coppia di fatto, distinguendosi così dai conviventi di fatto per la minor tutela a loro accordata. Ed infatti, la coppia di fatto non è disciplinata da alcuna legge e, pertanto, dovrà accontentarsi della tutela che è stata loro riconosciuta negli anni dalla giurisprudenza.

Quali diritti non hanno le coppie di fatto?

  • Fedeltà. Il più incisivo dei doveri che non spettano alle coppie di fatto è il dovere di fedeltà: il convivente tradito non può chiedere addebiti e risarcimenti di alcun tipo (carte che, ovviamente, possono essere fatte valere solo nei giudizi di separazione). L’obbligo di fedeltà, tra l’altro, non è stato previsto dalla legge Cirinnà nemmeno per le convivenze di fatto, cioè quelle ufficializzate in Comune. Possiamo quindi dire che, secondo la legge, la fedeltà è elemento indispensabile solamente per l’unione matrimoniale.
  • Mantenimento. Altrettanto dicasi per il diritto all’assegno di mantenimento successivo alla separazione che riguarda solo le coppie unite dal vincolo matrimoniale. Ai conviventi di fatto che si separano possono spettare al massimo gli alimenti, che sono una misura assistenziale di minore entità rispetto al mantenimento vero e proprio, mentre alle coppie di fatto non spetta proprio nulla, né il mantenimento né gli alimenti. Tuttavia, con apposita scrittura privata, le parti possono concordare, a monte, per l’assunzione da parte di uno dei conviventi dell’obbligo di mantenimento dell’altro.
  • Eredità e comunione dei beni. Il convivente non è un erede legittimo e non gode di un diritto ereditario. Non gli resta che sperare del testamento. In ogni caso, con il testamento si può attribuire al partner solo la quota disponibile, cioè quella porzione del patrimonio che la legge non riserva ai familiari più stretti. Insomma, una tutela molto ridotta. In effetti, anche ai conviventi di fatto formalmente riconosciuti non spetta alcun diritto successorio: l’instaurazione di una convivenza di fatto, infatti, non permette in nessun caso alla coppia di ottenere dei diritti di successione, che non possono neanche essere ineriti nel contratto di convivenza. Allo stesso modo, tra i conviventi in una coppia di fatto non si instaura alcuna comunione dei beni. Per ovviare a entrambi i suddetti limiti (testamento e comunione dei beni), si può ricorrere ad un normale contratto di vendita o di donazione, con cui, ad esempio, si trasferisce al partner beni o diritti, o costituire in suo favore un diritto reale di godimento.
  • Reversibilità. Sempre in caso di morte del convivente, il partner superstite non può rivendicare pretese sulla pensione di reversibilità.
  • Tutela del patrimonio immobiliare. La coppia di fatto non può stipulare un fondo patrimoniale, destinato solo alle coppie sposate. Si potrebbe però costituire un vincolo di destinazione o optare – nel caso in cui si intendessero tutelare gli interessi di figli nati dall’unione – per l’istituzione di un trust.
  • Impresa familiare. La legge riconosce tutela, al pari del coniuge, al partner che abbia prestato la propria attività all’interno dell’impresa familiare.

Quali diritti hanno le coppie di fatto?

  • Possesso dell’abitazione. Se l’abitazione è di proprietà di uno dei due, egli non può sbattere fuori di casa l’altro, dall’oggi al domani. Quest’ultimo infatti vanta un diritto di possesso che non gli può essere negato. Se la casa è, invece, in affitto, con la morte dell’uno, il convivente ha diritto di subentrare nel contratto fino alla sua naturale scadenza.
  • Maltrattamenti in famiglia. Il reato di maltrattamenti in famiglia prescinde dall’esistenza di un matrimonio formale e, quindi, l’illecito penale scatta anche nei riguardi del partener senza la fede.
  • Affidamento dei figli. Stesso discorso per quanto riguarda l’affidamento dei figli: non perché la coppia non è sposata, i figli non debbono essere “gestiti”, dopo la rottura, da entrambi gli ex conviventi. Il dovere di mantenimento, il diritto di visita e l’affidamento condiviso non conoscono differenza tra coppie che sono salite sull’altare e coppie che, invece, non lo hanno fatto.
  • Risarcimento del danno. Se uno dei due partner muore per fatto illecito altrui (per esempio un incidente stradale), il superstite ha diritto ad essere risarcito al pari di un coniuge. Non ogni convivenza, però, fonda un’azione risarcitoria: il diritto al risarcimento scatta solo se la convivenza abbia una stabilità tale da far ragionevolmente ritenere che, ove non fosse intervenuta l’altrui azione, sarebbe continuata nel tempo.
  • Violazione degli obblighi familiari. Versare del denaro al partner, durante la convivenza, configura, nel rispetto dei principi di proporzionalità e adeguatezza, l’adempimento di un’obbligazione naturale, essendo espressione della solidarietà tra due persone unite da un legame stabile e duraturo [Cass. Sent. n. 1277/2014]. Pertanto è legittimo richiedere, nei confronti dell’ex convivente, il risarcimento dei danni per violazione degli obblighi familiari [Cass. Sent. n. 15481/2013].
  • Extracomunitari e permesso di soggiorno. Ai fini del rilascio del titolo di soggiorno rileva anche la convivenza stabile dello straniero che dimostri di trarre da tale tipo di rapporto mezzi leciti di sostentamento [Tar Liguria, sent. n. 25/2015]. Per la stessa ragione non si può espellere lo straniero non solo in caso di matrimonio, ma anche di convivenza in Italia, con una donna incinta [Cass. Sent. n. 3373/2014].

Mariano Acquaviva   La Legge per tutti      2 aprile 2019

www.laleggepertutti.it/90311_coppie-di-fatto-non-sposate-diritti-e-doveri-dei-conviventi

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DALLA NAVATA

Domenica delle Palme           – Anno C – 14 aprile 2019

Isaia                50, 04. Il Signore Dio mi ha dato una lingua da discepolo, perché io sappia indirizzare una parola allo sfiduciato. Ogni mattina fa attento il mio orecchio perché io ascolti come i discepoli.

Salmo              21, 20. Ma tu, Signore, non stare lontano, mia forza, vieni presto in mio aiuto.

Filippesi          02, 06. Cristo Gesù, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini.

Luca               22, 15 Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione

 

Fattosi carne il Verbo ora entra anche nella morte

Inizia con la Domenica delle Palme la settimana suprema della storia e della fede. In quei giorni che diciamo «santi» è nato il cristianesimo, è nato dallo scandalo e dalla follia della croce. Lì si concentra e da lì emana tutto ciò che riguarda la fede dei cristiani.

Per questo improvvisamente, dalle Palme a Pasqua, il tempo profondo, quello del respiro dell’anima, cambia ritmo: la liturgia rallenta, prende un altro passo, moltiplica i momenti nei quali accompagnare con calma, quasi ora per ora, gli ultimi giorni di vita di Gesù: dall’entrata in Gerusalemme, alla corsa di Maddalena al mattino di Pasqua, quando anche la pietra del sepolcro si veste di angeli e di luce. Sono i giorni supremi, i giorni del nostro destino. E mentre i credenti di ogni fede si rivolgono a Dio e lo chiamano nel tempo della loro sofferenza, i cristiani vanno a Dio nel tempo della sua sofferenza. «L’essenza del cristianesimo è la contemplazione del volto del Dio crocifisso» (Carlo Maria Martini).

Contemplare come le donne al Calvario, occhi lucenti di amore e di lacrime; stare accanto alle infinite croci del mondo dove Cristo è ancora crocifisso nei suoi fratelli, nella sua carne innumerevole, dolente e santa. Come sul Calvario «Dio non salva dalla sofferenza, ma nella sofferenza; non protegge dalla morte, ma nella morte. Non libera dalla croce ma nella croce» (Dietrich Bonhoeffer).

La lettura del Vangelo della Passione è di una bellezza che mi stordisce: un Dio che mi ha lavato i piedi e non gli è bastato, che ha dato il suo corpo da mangiare e non gli è bastato; lo vedo pendere nudo e disonorato, e devo distogliere lo sguardo.

Poi giro ancora la testa, torno a guardare la croce, e vedo uno a braccia spalancate che mi grida: ti amo. Proprio a me? Sanguina e grida, o forse lo sussurra, per non essere invadente: ti amo. Perché Cristo è morto in croce? Non è stato Dio il mandante di quell’omicidio. Non è stato lui che ha permesso o preteso che fosse sacrificato l’innocente al posto dei colpevoli. Placare la giustizia col sangue? Non è da Dio. Quante volte ha gridato nei profeti: «Io non bevo il sangue degli agnelli, io non mangio la carne dei tori», «amore io voglio e non sacrificio».

La giustizia di Dio non è dare a ciascuno il suo, ma dare a ciascuno se stesso, la sua vita. Ecco allora che Incarnazione e Passione si abbracciano, la stessa logica prosegue fino all’estremo. Gesù entra nella morte, come è entrato nella carne, perché nella morte entra ogni carne: per amore, per essere con noi e come noi. E la attraversa, raccogliendoci tutti dalle lontananze più perdute, e a Pasqua ci prende dentro il vortice del suo risorgere, ci trascina con sé in alto, nella potenza della risurrezione.

Padre Ermes Ronchi, OSM

www.qumran2.net/parolenuove/commenti.php?mostra_id=45552

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DANNO

Padre scopre che il figlio non è suo: la madre deve risarcirlo?

Corte di Cassazione, ordinanza n. 9065, 2 aprile 2019.

www.quotidianogiuridico.it/~/media/Giuridico/2019/04/17/al-marito-tradito-non-spetta-il-risarcimento-danni/9065%20pdf.pdf

Un bel giorno un uomo scopre che il figlio avuto dalla moglie non è, in realtà, suo. L’azione di disconoscimento è ormai prescritta perché sono decorsi cinque anni dalla nascita del bambino. Bambino che, quindi, per la legge, si considererà ormai per sempre come se fosse suo figlio. A questo punto l’uomo decide di fare causa all’ex moglie per chiederle il risarcimento. Non gli basta cioè la separazione con addebito orami intervenuta a carico della donna. Vuole anche dei soldi per avergli nascosto la relazione adulterina e la vera paternità del neonato. Lo può fare? Se il padre scopre che il figlio non è suo, la madre deve risarcirlo? Anche questa domanda trova una risposta nelle parole della Cassazione. In una recente sentenza, difatti, la Corte ha deciso il caso di un uomo che chiedeva il risarcimento all’ex moglie per essere stato tradito di nascosto e per avergli oscurato il fatto che il figlio era, in realtà, di un altro uomo.

Figlio di un altro uomo e risarcimento. Secondo la Corte, la rivelazione che il figlio della coppia è in realtà frutto dell’unione tra la donna e un altro uomo non è sufficiente a far scattare il risarcimento del danno. E difatti il risarcimento scatta solo quando le modalità del tradimento sono state tali da ledere la reputazione del coniuge tradito, non anche per l’infedeltà in sé e per sé. Insomma, ciò che il risarcimento può compensare è solo il danno all’immagine e non certo la frustrazione per aver scoperto l’adulterio.

Il coniuge può agire contro l’altro colpevole della violazione dei doveri matrimoniali se tale violazione si traduce nell’aggressione a diritti fondamentali della persona per chiedere un risarcimento dei danni subiti.

Si ammette la richiesta sia dei danni patrimoniali, sia di quelli non patrimoniali in quanto la tesi maggioritaria li ritiene risarcibili quando l’illecito lede dei valori costituzionalmente protetti. Di regola la richiesta di risarcimento è contestuale alla richiesta di addebito della separazione, ma le due domande sono autonome e distinte, non cumulabili nello stesso giudizio.

La richiesta di risarcimento danni da separazione è affrontata soprattutto in relazione alle violazioni dell’obbligo di fedeltà matrimoniale.

Secondo la giurisprudenza tale violazione può essere fonte di danno patrimoniale e non patrimoniale per l’altro coniuge solo quando c’è stata una offesa alla dignità e all’onore dell’altro coniuge. Non rileva cioè il fatto della relazione extraconiugale di per sé considerata; per configurare gli estremi del danno ingiusto rilevano invece gli aspetti esteriori dell’adulterio (magari particolarmente offensivi e oltraggiosi), come ad esempio il discredito determinato dall’adulterio sull’attività lavorativa del coniuge.

La legge per tutti                                         5 aprile 2019

www.laleggepertutti.it/280523_padre-scopre-che-il-figlio-non-e-suo-la-madre-deve-risarcirlo

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ENTI TERZ0 SETTORE

“Riforma del Terzo settore: elementi professionali e criticità applicative”

La Circolare 9 aprile 2019 del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili affronta le criticità della Riforma in modo sistematico, considerando e analizzando i vari ambiti (civilistico, rendicontativo, organizzativo, fiscale e operativo) regolati dai decreti legislativi delegati, dai loro correttivi, dai decreti attuativi finora emanati, focalizzandosi soprattutto sulle questioni di interesse professionale.

Il documento prosegue l’impegno della categoria nell’approfondire le problematiche di una riforma che, in ragione della complessità del settore cui si riferisce, ha generato (e continua a generare) considerevoli ambiguità interpretative e difficoltà applicative, rendendo necessaria una transizione più articolata di quella ipotizzata dai primi commentatori e più lunga di quella prevista dal legislatore delegato.

Dopo un periodo di rallentamento attribuibile al cambiamento del Governo, in questi ultimi mesi è ripresa con vigore l’attività del cantiere per completare la Riforma (cantiere in cui operano il legislatore ministeriale e gli altri soggetti cui la norma attribuisce funzioni consultive ai fini della predisposizione dei decreti attuativi, tra i quali il Consiglio nazionale del Terzo settore, la Cabina di regia istituita presso Presidenza del Consiglio dei ministri, la Conferenza Stato-Regioni).

Sono stati infatti approvati gli schemi di decreto relativi alle “attività diverse” (di cui all’art. 6, co. 1, del CTS) e quello sul bilancio sociale (di cui all’art. 14, co. 1, del CTS).

Inoltre, nei primi giorni di marzo, il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali ha siglato una convenzione con Unioncamere, in base alla quale è affidata a Infocamere – società telematica delle Camere di commercio – la gestione informatica del RUNTS, accordo da cui è lecito attendersi un’accelerazione del processo di implementazione delle specifiche tecniche del RUNTS e della sua operatività, sebbene, d’altro canto, manchi ancora il decreto ministeriale che fissa le modalità del suo funzionamento.

Quello appena indicato rappresenta solo uno tra i tanti nodi operativi e interpretativi da sciogliere e i decreti emanati (e in corso di emanazione) costituiscono, altresì, solo una parte della normativa secondaria necessaria a riempire di contenuti la vasta ed eterogena cornice giuridica dei decreti legislativi delegati nn. 117/2017 (Codice del Terzo settore), 112/2017 (Impresa sociale) e 111/2017 (Cinque per mille), di cui la Riforma si compone.

Questa seconda Circolare del CNDCEC, che segue quella molto più snella pubblicata nel novembre 2017, affronta le criticità della Riforma in modo sistematico, considerando e analizzando i vari ambiti (civilistico, rendicontativo, organizzativo, fiscale e operativo) regolati dai decreti legislativi delegati, dai loro correttivi, dai decreti attuativi finora emanati, focalizzandosi soprattutto sulle questioni di interesse professionale. Obiettivo di questo contributo è fornire un effettivo supporto all’attività degli operatori del settore, contributo cui il Consiglio nazionale intende far seguire un’attività formativa e-learning realizzata dagli stessi autori del documento, tra i quali figurano colleghi esperti della Commissione “No Profit”, autorevoli studiosi e specialisti della materia, ricercatori del Consiglio nazionale e della Fondazione nazionale dei commercialisti.

  • Circolare 9 aprile 2019, “Riforma del Terzo settore: elementi professionali e criticità applicative”

www.nonprofitonline.it/detail.asp?c=1&p=0&id=4572

  • Circolare 10 novembre 2017, “Riforma del Terzo settore: elementi professionali”

www.nonprofitonline.it/detail.asp?c=1&p=0&id=4573

Newsletter Non profit on line 10 aprile 2019

www.nonprofitonline.it/default.asp?id=466&id_n=8144&utm_campaign=Newsletter+Non+profit+on+line+10+aprile+2019&utm_medium=email&utm_source=CamoNewsletter

 

Statuti degli Ets e Volontariato: due nuovi instant book sulla riforma del terzo settore

Pubblicati nella collana Bussole i numeri 7 e 8 della serie di approfondimenti curata dai Centri di servizio per il volontariato della Lombardia in collaborazione con CSVnet e dedicata ai cambiamenti introdotti dalla nuova normativa. Sono online i due nuovi instant book sulla Riforma del terzo settorecurati dai Centri di servizio per il volontariato della Lombardia in collaborazione con CSVnet. Dopo i primi 6 usciti nel 2018, l’instant book n. 7/2019 si concentra su Gli statuti degli ETS (Enti di Terzo Settore) e ha l’intento di offrire “una prima informazione ragionata sulle disposizioni che il Codice del Terzo settore (D.Lgs. 117/2017) ha introdotto in materia di requisiti formali per la stesura degli statuti degli enti che vorranno far parte del Registro Unico Nazionale; il n. 8/2019 si intitola invece Il volontario e le attività di volontariato ed è dedicato a una delle novità fondamentali introdotte dal Codice sull’argomento: la previsione e regolamentazione dell’attività di volontariato anche in quanto azione del volontario inteso come singola persona, cioè non solo all’interno del “classico” contesto associativo considerato fino ad oggi.

Gli instant book fanno parte della collana Bussole: 16 testi pensati quali utili strumenti per orientare gli enti del terzo settore nel nuovo quadro normativo, pubblicati seguendo l’emanazione dei vari decreti attuativi e correttivi riguardanti la riforma e in corso da vari mesi.

Per la stessa collana sono già stati pubblicati:

1/2018 – Chi sono gli enti di Terzo Settore

2/2018 – Per chi non è ETS: cosa succede?

3/2018 – Le ODV prima e dopo

4/2018 – Le APS prima e dopo

5/2018 – Saper ricevere le donazioni

6/2018 – Imposte indirette e tributi locali

Tutti gli instant book sono scaricabili gratuitamente a questo link.

www.csvnet.it/component/content/article/157-pubblicazioni-csvnet/2949-16-instant-book-sulla-riforma-del-terzo-settore?Itemid=893

«La riforma è un’occasione di cambiamento e di innovazione per l’intero sistema del terzo settore, che potrà dare più concretezza alle molteplici istanze delle realtà sociali organizzate nel nostro Paese – spiega Attilio Rossato, presidente della Confederazione dei Centri di Servizio per il Volontariato della Lombardia – Perché questo avvenga è necessario che gli enti del terzo settore siano sostenuti e accompagnati, un compito che i CSV svolgono fin dalla loro nascita. Abbiamo scelto di farlo anche attraverso queste pubblicazioni, che raccolgono una serie di approfondimenti e linee guida che possano agevolare volontari, soci, dirigenti associativi e operatori nella lettura interpretativa delle norme introdotte o modificate dalla riforma».

«Questi strumenti, – dichiara il presidente di CSVnet Stefano Tabò, – sono un servizio che rendiamo al terzo settore in piena coerenza con il mandato che la riforma assegna ai CSV: quello di ‘promuovere la presenza e il ruolo dei volontari in tutti gli Enti di Terzo settore’. La conoscenza puntuale delle modifiche organizzative che ciò comporterà a breve termine in ciascuno di essi è fondamentale perché anche il volontariato sia favorito e sempre più al passo con i bisogni della società».

Clara Capponi           12 aprile 2019

www.csvnet.it/phocadownload/pubblicazioni/instantbook/IB_8_Volontariato%202.pdf

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FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI

Def, De Palo: “Bene l’assegno unico, si dia segnale immediato alle famiglie”

“Il Forum delle Associazioni Familiari è favorevole alla proposta di assegno unico per le famiglie che in questi giorni viene sollecitata da più parti dell’arco parlamentare e che oggi è stata rilanciata esplicitamente dal ministro per la Famiglia, Lorenzo Fontana. In questo senso, apprezziamo particolarmente la visione tracciata su questo tema negli incontri che abbiamo avuto con i vicepresidenti del Consiglio Matteo Salvini e Luigi Di Maio. Il Forum apprezza, inoltre, l’apertura a un appoggio unitario della misura fatta dal viceministro all’Economia, Laura Castelli, e dall’onorevole Stefano Lepri del Partito Democratico.

Un risultato non casuale, ma generato dall’intenso lavoro svolto, in questi mesi, per creare opportunità d’incontro e di confronto costruttivo tra i partiti in Parlamento, su obiettivi che dovrebbero stare a cuore a tutti: è il Patto per la Natalità che inizia a dare i primi frutti. Per dare concretezza alle buone intenzioni, tuttavia, è necessario dare alle famiglie del Paese un segnale forte subito, fin dalla prossima Legge di Stabilità”: così il presidente nazionale del Forum delle Associazioni Familiari, Gigi De Palo.

                                                          Comunicato 11 aprile 2019

www.forumfamiglie.org/2019/04/11/def-de-palo-bene-lassegno-unico-si-dia-segnale-immediato-alle-famiglie

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MATRIMONIO

Matrimonio del minore

I. L’impedimento al matrimonio determinato dalla minore età. L’art. 84 del codice civile prescrive che per contrarre matrimonio occorre essere maggiorenni. Una persona minore di età non può, quindi, sposarsi. Si tratta di un “impedimento” matrimoniale.

La norma in questione prevede però che su istanza dell’interessato (di norma una ragazza minore di età in stato di gravidanza) il tribunale per i minorenni (competenza così individuata dall’art. 38 delle disposizioni di attuazione del codice civile) possa autorizzare al matrimonio il minore o la minore che abbia compiuto i 16 anni “accertata la sua maturità psicofisica e la fondatezza delle ragioni addotte”.

Se il minore o la minore che intende sposarsi non ha compiuto i 16 anni non è ammissibile alcuna domanda di autorizzazione al matrimonio. Il matrimonio del minore o della minore che ha compiuto sedici anni è quindi possibile solo se autorizzato dal tribunale per i minorenni. La mancata autorizzazione comporta la possibile impugnazione per nullità del matrimonio (art. 117, secondo comma, c.c.). In sostanza l’impedimento si traduce in una causa di invalidità. Il vizio si sana se l’azione non viene esperita.

Si discute in dottrina se l’impedimento derivante dalla minore età costituisca una forma di incapacità giuridica (come appare ad alcuni più plausibile essendo carente la capacità a compiere l’atto e l’impossibilità di una rappresentanza) o di incapacità di agire (come ritiene la dottrina maggioritaria).

II. L’autorizzazione del tribunale per i minorenni al minore o alla minore che ha compiuto sedici anni e i suoi presupposti. L’art. 84 c.c. prevede testualmente che il tribunale per i minorenni debba accertare la “maturità psicofisica” della persona minore di età che chiede l’autorizzazione e “la fondatezza delle ragioni addotte”. Quanto alla maturità psico-fisica –secondo la giurisprudenza – non devono risultare, a carico del minore o della minore, disturbi di personalità, anomalie del carattere, ovvero patologie della sfera neuro-psichica idonee ad escludere o ridurre in forma significativa le sue capacità intellettive e/o volitive (Trib. Minorenni Caltanissetta, 26 ottobre 2017 dove si afferma che l’autorizzazione va negata solo se si accerta che la volontà del minore è stata condizionata da deficit cognitivi o da altri fattori esterni e quindi che il minore abbia subito un significativo condizionamento della propria sfera intellettiva e/o volitiva).

Nella decisione in questione si afferma che a favore di una lata interpretazione dell’art. 84 c.c. soccorrono i principi contenuti nella Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei minori di Strasburgo del 25 gennaio 1996, ratificata dall’Italia con la legge 20 marzo 2003 n. 77, e in particolare quello enunciato dall’art. 3, significativamente intitolato ‘‘Diritto di essere informato e di esprimere la propria opinione nei procedimenti’’: ‘‘Nei procedimenti che lo riguardano dinanzi a un’autorità giudiziaria, al minore che è considerato dal diritto interno come avente una capacità di discernimento vengono riconosciuti i seguenti diritti, di cui egli stesso può chiedere di beneficiare:

  1. Ricevere ogni informazione pertinente;
  2. Essere consultato ed esprimere la propria opinione;
  3. Essere informato delle eventuali conseguenze che tale opinione comporterebbe nella pratica e delle eventuali conseguenze di qualunque decisione’’.

La norma richiamata configura in capo al giudice un generalizzato dovere di acquisire, attraverso l’audizione dello stesso minore, il punto di vista di quest’ultimo sull’oggetto del procedimento. L’art. 3 della richiamata Convenzione ha dunque inteso valorizzare al massimo grado l’opinione del minore, cosicché, se essa deve essere in ogni caso acquisita dal giudice ne consegue, con tutta evidenza, che l’opinione del minore deve pure essere adeguatamente considerata dal medesimo giudice ai fini della decisione che dovrà assumere nei riguardi e nell’interesse dello stesso minorenne.

In passato la giurisprudenza aveva affermato che la maturità psichica richiesta dall’art. 84 c.c. non differisce da quella che il legislatore riconosce a chi ha raggiunto la maggiore età: il giudice, pertanto, per accertarla deve soltanto stabilire se il minore o la minore abbia raggiunto quel livello della capacità di comprensione e di valutazione che la generalità dei soggetti raggiunge presuntivamente a diciotto anni (Corte d’Appello Bologna Sez. minori, 12 dicembre 1978).

Quanto ai gravi motivi particolare attenzione è stata dedicata in giurisprudenza allo stato di gravidanza dell’interessata e alla convivenza more uxorio in atto tra l’istante e l’altro nubendo. Così si è ritenuto (Trib. Minorenni Napoli, 5 giugno 1995) che lo stato di gravidanza della minore che intende contrarre matrimonio può costituire grave motivo per l’ammissione della minore stessa al matrimonio prima dei 18 anni, se accompagnato da una sufficiente maturità ed indipendenza psicologica dai genitori e dalla sussistenza, in atto, di valide prospettive di una famiglia autonoma. Ugualmente, in passato, Trib. Minorenni Palermo, 17 giugno 1981 ha ritenuto che può essere autorizzata ex art. 84 c. c. alle nozze anticipate la minore che in assai difficili condizioni familiari ed ambientali, con un comportamento equilibrato, responsabile ed oblativo, e con l’intento di assicurare al figlio già concepito lo stato di legittimità, dia prova di avere raggiunto la maturità psicofisica.

Il matrimonio riparatore non è però sempre stato considerato l’esito più adeguato. Così per esempio in passato Tribunale Catania, 2 novembre 1986 ha affermato – negando l’autorizzazione – che allorché si controverta sull’affidamento della figlia infraquattordicenne, fuggita da casa per andare a convivere con un giovane cui risulti sentimentalmente legata, il giudice non deve privilegiare soluzioni sottese al raggiungimento del matrimonio riparatore, inteso come obiettivo ottimale, che invece non è affatto né l’unica, né la migliore soluzione e non risponde in sé necessariamente all’interesse, presente e futuro, della donna; ma deve ricercare, soprattutto con l’ausilio di qualificati esperti, la soluzione più idonea a garantire un equilibrato, progressivo sviluppo delle potenzialità affettive ed intellettuali della minore, che a quest’ultima consenta di raggiungere la maturità necessaria per adottare, a tempo debito e per ciò consapevolmente, la decisione più rispondente al proprio vero interesse, anche in prospettiva futura.

Secondo Trib. Minorenni Torino, 26 marzo 1986 per gravi motivi necessari ai fini del rilascio dell’autorizzazione alle nozze del minore infrasedicenne, devono intendersi non soltanto quelli che interessano sotto il profilo negativo e cioè allo scopo di evitare disagi e sofferenze di rilievo alla coppia, che per di più sia in attesa di un figlio, ma anche quelli che vanno riguardati in senso positivo, quali il desiderio serio, responsabile e consapevole di dare al nascituro un ambiente familiare non solo unito ed affettuoso di fatto, ma anche formalmente riconosciuto dalla collettività ed imperniato su solenni ed anche legalmente vincolanti promesse ed impegni formulati dai nubendi, tanto più che la famiglia fondata sul matrimonio costituisce un valore personale e sociale esplicitamente affermato dalla costituzione.

La convivenza more uxorio è stata ritenuta in passato condizione sufficiente per concedere l’autorizzazione (Corte d’Appello Bologna Sez. minori, 27/01/1982 secondo cui la convivenza instaurata positivamente dai nubendi da molti mesi è rilevante quale grave motivo ai fini della autorizzazione al matrimonio).

Ugualmente è stata ammessa al matrimonio la minore, prossima al compimento dei diciassette anni, la cui maturità psicofisica è stata provata e che ha allegato la sussistenza di gravi motivi, quali la convivenza “more uxorio” dei nubendi, protrattasi per circa un anno in casa dei genitori della richiedente, l’esistenza provata di un legame affettivo profondo e di un serio, consapevole progetto di vita coniugale, l’impegno costante nel lavoro domestico della minore stessa, ed il valore sociale dell’istituto matrimoniale sanante la pregressa convivenza (Trib. Minorenni Perugia, 31 maggio 1995). Nello stesso senso Corte d’Appello L’Aquila Sez. minori, 16 marzo 1994 che ha ritenuto gravi motivi le conseguenze negative che la convivenza “more uxorio” può comportare “in un piccolo ambiente provinciale, dove tutti si conoscono e dove ancora hanno importanza i valori della famiglia legittimamente costituita”.

Secondo Corte d’Appello Roma Sez. minori, 25 gennaio 1982 la convivenza more uxorio, la gravidanza della donna, l’ambiente di vita dei minori sono gravi motivi idonei ad ammettere un minore al matrimonio. In ogni caso non sempre la convivenza “more uxorio” dei nubendi è apparsa in giurisprudenza meritevole di autorizzazione al matrimonio del minore. Così per esempio in passato è stata negata l’autorizzazione a contrarre matrimonio allo scopo d’evitare il, pur certo e notevole, disagio collegato alla convivenza alternata dei nubendi presso l’uno o l’altro dei propri genitori (Trib. Minorenni Trieste, 13 maggio 1987).

III. Il procedimento. Il procedimento per ottenere l’autorizzazione – come si capisce dal testo dell’art. 84 c.c. – è molto semplificato e segue il rito camerale (art. 737 e seguenti c.p.c.).

L’istanza si prone al tribunale per i minorenni del distretto di residenza dell’istante. L’iniziativa del procedimento deve essere dell’interessato (“Il tribunale, su istanza dell’interessato…”), anche se è poco plausibile che un ragazzo o una ragazza possano di propria iniziativa predisporre e depositare un ricorso in tribunale. In effetti l’art. 84 parla, però, di “istanza” e non di “ricorso” e quindi è sufficiente un semplice impulso (una istanza, appunto). Trattasi di un atto personalissimo e quindi il minore deve e può richiedere l’autorizzazione personalmente. In dottrina si parla di una forma di eccezionale capacità di agire del minore. Trattandosi di volontaria giurisdizione non è previsto l‘obbligo di rappresentanza tecnica da parte di un difensore (art. 82 c.p.c.) e quindi non è neanche ipotizzabile la nomina di un curatore speciale per sanare un inesistente conflitto di interessi in sede processuale (art. 78 ss c.p.c.).

Nella prassi di molti tribunali per minorenni viene richiesto al minore o alla minore che ha compiuto i sedici anni di compilare una istanza – di cui viene messo a disposizione un facsimile – e di allegare alcuni documenti (estratto dell’atto di nascita del minore con indicate le generalità dei genitori; stato di famiglia; certificato di residenza; eventuale dichiarazione di lavoro del partner; eventuale certificato di gravidanza rilasciato da un ginecologo).

Il tribunale, in genere tramite i servizi sociali del territorio, assume informazioni finalizzate all’accertamento della maturità psico-fisica del o della minore e la fondatezza delle ragioni addotte. Devono essere sentiti il pubblico ministero e i genitori (o il tutore) del o della minore. Non è previsto, quindi, che i genitori di chi chiede l’autorizzazione debbano essere d’accordo: è prescritta soltanto la loro audizione.

Se sussistono i presupposti il tribunale con decreto emesso in camera di consiglio autorizza il matrimonio. Il decreto è comunicato al pubblico ministero, ai genitori (o al tutore) e all’interessato o interessata (il codice civile parla impropriamente di “sposi”).

Contro il decreto di rigetto può essere proposto reclamo dal minore o dalla minore istante (per motivi di legittimità e di merito) con ricorso alla Corte d’appello, nel termine perentorio di dieci giorni dalla comunicazione. Il decorso del termine dalla comunicazione e non dalla notificazione è in sintonia con la natura non bilaterale del procedimento. Anche per il reclamo del minore o della minore l’art. 84 c.c. non prevede l’assistenza del difensore e, quindi, il minore o la minore – benché la legge sia piuttosto evasiva sul punto – possono accedere alla Corte d’appello personalmente senza l’assistenza tecnica del difensore.

Sembrerebbe ammissibile il reclamo da parte del pubblico ministero (contro, per esempio, il decreto che ammette al matrimonio) ma non da parte dei genitori del minore o della minore istante. In dottrina si ammette, comunque, che i genitori possano reclamare contro il decreto del tribunale ma questa eventualità sembra contrastare con la sola funzione consultiva attribuita all’audizione dei genitori. Non vi sono sul punto precedenti editi in giurisprudenza.

La corte d’appello decide con ordinanza non impugnabile, emessa in camera di consiglio. Il decreto acquista efficacia quando è decorso il termine previsto per il reclamo senza che esso sia stato proposto.

Attesa la natura del procedimento nulla impedisce al minore o alla minore di riproporre l’istanza in caso di mancato accoglimento.

IV. Il matrimonio concordatario del minore di età. Il matrimonio canonico è valido se l’uomo ha compiuto i sedici anni e la donna i quattordici. CDC. §1083. È diritto della Conferenza Episcopale fissare una età maggiore per la lecita celebrazione del matrimonio, ma le Conferenze episcopali – secondo quanto stabilisce il secondo paragrafo del canone 1183 del codice di diritto canonico – possono fissare una età maggiore per la celebrazione. La Conferenza episcopale italiana con delibera del 23 dicembre 1983 n. 10: Per la lecita celebrazione del matrimonio l’età dei nubendi è di 18 anni. Resta riservata ad apposita Istruzione pastorale della C.E.I. l’indicazione di criteri comuni di valutazione di età inferiore secondo le varie situazioni.

L’ufficiale dello stato civile deve provvedere, quindi, alla trascrizione dell’atto di matrimonio, trasmessogli dal parroco del luogo ove sono state celebrate le nozze, ai fini della rilevanza civile nell’ordinamento dello Stato del matrimonio religioso.

I Patti lateranensi del 1929 permettevano la trascrizione, per gli effetti civili, anche del matrimonio contratto dai minori non autorizzati. Il nuovo Concordato tra Stato italiano e Santa Sede del 1984, ha coordinato, equiparandola, la disciplina concordataria a quella civilistica, stabilendo che, qualora gli sposi non rispondano ai requisiti della legge civile circa l’età richiesta per la celebrazione, non possa aver luogo la trascrizione del matrimonio religioso (art. 8.1, lett. a, legge 25 marzo 1985, n. 121 Ratifica ed esecuzione dell’accordo con protocollo addizionale, firmato a Roma il 18 febbraio 1984, che apporta modifiche al Concordato lateranense dell’11 febbraio 1929, tra la Repubblica italiana e la Santa Sede).

La Santa Sede prende atto che la trascrizione non potrà avere luogo:

a)      quando gli sposi non rispondano ai requisiti della legge civile circa l’età richiesta per la celebrazione;

b)      quando sussiste fra gli sposi un impedimento che la legge civile considera inderogabile.

La trascrizione è tuttavia ammessa quando, secondo la legge civile, l’azione di nullità o di annullamento non potrebbe essere più proposta. La richiesta di trascrizione è fatta, per iscritto, dal parroco del luogo dove il matrimonio è stato celebrato, non oltre i cinque giorni dalla celebrazione. L’ufficiale dello stato civile, ove sussistano le condizioni per la trascrizione, l’effettua entro ventiquattro ore dal ricevimento dell’atto e ne dà notizia al parroco. Il matrimonio ha effetti civili dal momento della celebrazione, anche se l’ufficiale dello Stato civile, per qualsiasi ragione, abbia effettuato la trascrizione oltre il termine prescritto. La trascrizione può essere effettuata anche posteriormente su richiesta dei due contraenti, o anche di uno di essi, con la conoscenza e senza l’opposizione dell’altro, sempre che entrambi abbiano conservato ininterrottamente lo stato libero dal momento della celebrazione a quello della richiesta di trascrizione, e senza pregiudizio dei diritti legittimamente acquisiti dai terzi. ).

È quindi superata l’incostituzionalità dell’art. 12 della legge 27 maggio 1929, n. 847 (Corte Cost. 2 febbraio 1982, n. 16), nella parte in cui consentiva la trascrizione del matrimonio canonico contratto dal minore non autorizzato. S’intende che il minore autorizzato dal tribunale per i minorenni a contrarre matrimonio può senz’altro sposarsi secondo il rito concordatario e l’ufficiale di stato civile potrà trascrivere l’atto di matrimonio.

V. Il matrimonio all’estero del minore italiano. Secondo quanto prevede espressamente l’art. 115 c.c. “Il cittadino è soggetto alle disposizioni contenute nella sezione prima di questo capo, anche quando contrae matrimonio in paese straniero secondo le forme ivi stabilite”. Di conseguenza il minore che ha compiuto i sedici anni e che intende contrarre matrimonio all’estero (dove per esempio risiede o intende sposarsi) deve ugualmente ottenere l’autorizzazione ai sensi dell’art. 84 del codice civile. Ma la chiederà – come si dirà tra breve – all’autorità consolare all’estero. L’art. 115, richiamando gli artt. 84 ss., conferma quanto disposto in linea generale dall’art. 27 della legge 31 maggio 1995, n. 218 (Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato) il quale prevede che “La capacità matrimoniale e le altre condizioni per contrarre matrimonio sono regolate dalla legge nazionale di ciascun nubendo al momento del matrimonio”.

Nello Stato straniero il minore italiano può scegliere di celebrare il proprio matrimonio con un concittadino, o con uno straniero, dinnanzi all’autorità diplomatica o consolare ai sensi dell’art. 16 del D.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 (Ordinamento di stato civile) “secondo le leggi del luogo” che – per quanto sopra detto in merito al contenuto precettivo dell’art. 115 c.c. – non valgono ad escludere l’applicazione dell’art. 84 del codice civile.

Sui poteri consolari, in ordine alla celebrazione del matrimonio all’estero, dispone il D.P.R. 5 gennaio 1967, n. 200 il cui articolo 12 (Dispensa dalle pubblicazioni e dagli impedimenti) prescrive che “Il capo di ufficio consolare di I categoria è autorizzato a… dispensare, per cause gravissime, dall’impedimento di cui all’art. 84 Codice civile. Allorché l’autorità consolare non ritenga che sussistano i presupposti per l’esercizio dei poteri di cui al comma precedente, essa trasmette al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Roma le domande per la riduzione del termine e per la dispensa dalle pubblicazioni ed all’autorità competente, ai sensi degli artt. 107 e 108 del R.D.L. 9 luglio 1939, n. 1238 [previgente Ordinamento di stato civile], le domande per la dispensa dall’impedimento di cui all’articolo 84 Codice civile…”.

In mancanza di norme di coordinamento si deve ritenere che l’autorità consolare può autorizzare il matrimonio del minore italiano all’estero ma se ritiene di non autorizzarlo deve trasmettere l’istanza al Procuratore della repubblica presso il Tribunale di Roma il quale trasmetterà la richiesta al tribunale per i minorenni di Roma per quanto di competenza in ordine all’autorizzazione.

VI. Il matrimonio in Italia del minore straniero. Il matrimonio dello straniero in Italia è regolato dall’art. 116 c.c. (nel testo come modificato dall’art. 1 della legge 15 luglio 2009, n. 94 sulla sicurezza pubblica) il quale prescrive al primo comma che “Lo straniero che vuole contrarre matrimonio nella Repubblica deve presentare all’ufficiale dello stato civile una dichiarazione dell’autorità competente del proprio paese, dalla quale risulti che giusta le leggi a cui è sottoposto nulla osta al matrimonio nonché un documento attestante la regolarità del soggiorno nel territorio italiano” mentre prevede al secondo comma che “Anche lo straniero è tuttavia soggetto alle disposizioni contenute negli articoli 85, 86, 87, numeri 1, 2 e 4,88 e 89”.

Come si vede non viene richiamato l’art. 84 c.c. e quindi il minore straniero che, avendo compiuto i sedici anni, intende contrarre matrimonio in Italia non dovrebbe richiedere l’autorizzazione del tribunale per i minorenni. Poiché, tuttavia, il limite del compimento del sedicesimo anno, va considerato un limite di ordine pubblico, anche lo straniero che intende contrarre matrimonio deve rispettarlo (sia pure in assenza di un richiamo espresso nell’art. 116 c.c.). Secondo Trib. minorenni Bologna 9.2.1990 non sarebbe necessaria neanche l’autorizzazione del tribunale per i minorenni. Viceversa secondo Trib. minorenni Roma 19.7.1989 l’autorizzazione sarebbe comunque necessaria.

Quanto al nulla osta dell’autorità straniera va comunque precisato che la mancanza del nulla osta, di per sé, non dovrebbe impedire allo straniero di contrarre validamente matrimonio in Italia, trattandosi in sostanza di una irregolarità, anche se gli ufficiali di stato civile applicano rigorosamente l’art. 116, 1° co., rifiutando di eseguire la pubblicazione, in assenza della documentazione prescritta. Il diniego può essere impugnato davanti al tribunale (ricorso cosiddetto di rettificazione previsto nell’Ordinamento di stato civile). Il Tribunale provvede in camera di consiglio e può ordinare di procedere alla pubblicazione, non costituendo il rilascio del nulla osta, da parte dell’autorità straniera, una condizione per contrarre matrimonio, ma una formalità probatoria da cui si può prescindere (Corte Cost. 30 gennaio 2003, n. 14).

Se l’omessa presentazione del nulla osta dipende dalla mancanza di collaborazione da parte dello Stato straniero il Tribunale può autorizzare la pubblicazione, quando, accertato il contenuto della legge nazionale dello straniero, risulti che sussistono le condizioni che essa stessa prevede per il matrimonio (Trib Treviso 15 aprile 1997; Trib Camerino 12 aprile 1990; Trib. Potenza 30 novembre 1989). Ugualmente il tribunale può autorizzare il matrimonio se risulta che il nulla osta non viene rilasciato in quanto l’autorità straniera ne subordina il rilascio alla conversione all’Islam dell’altro coniuge (Trib. Venezia, 4 luglio 2012; Trib. Taranto 13 luglio 1996; Trib Barcellona Pozzo di Gotto 9 marzo 1995; Trib. Torino 24 febbraio 1992; Trib. Genova 4 aprile 1990).

L’altro presupposto necessario per lo straniero che vuole contrarre matrimonio in Italia è costituito dalla presentazione all’ufficiale dello stato civile di un documento attestante la regolarità del soggiorno nel territorio italiano.

VII. L’emancipazione del minore che contrae matrimonio. Il minore è di diritto emancipato col matrimonio (art. 391 c.c.). Pertanto con il matrimonio acquista la capacità di agire. Tale capacità, però, non è piena in quanto l’art. 394 del codice (Capacità dell’emancipato) prescrive che “L’emancipazione conferisce al minore la capacità di compiere gli atti che non eccedono l’ordinaria amministrazione” e che “Il minore emancipato può con l’assistenza del curatore riscuotere i capitali sotto la condizione di un idoneo impiego e può stare in giudizio sia come attore sia come convenuto”.

Viceversa “Per gli altri atti eccedenti l’ordinaria amministrazione [indicati nell’art. 374 c.c.77 Art. 374 (Autorizzazione del giudice tutelare) Il tutore non può senza l’autorizzazione del giudice tutelare:

  1. Acquistare beni, eccettuati i mobili necessari per l’uso del minore, per la economia domestica e per l’amministrazione del patrimonio;
  2. Riscuotere capitali, consentire alla cancellazione di ipoteche o allo svincolo di pegni, assumere obbligazioni, salvo che queste riguardino le spese necessarie per il mantenimento del minore e per l’ordinaria amministrazione del suo patrimonio;
  3. Accettare eredità o rinunciarvi, accettare donazioni o legati soggetti a pesi o a condizioni;
  4. Fare contratti di locazione d’immobili oltre il novennio o che in ogni caso si prolunghino oltre un anno dopo il raggiungimento della maggiore età;
  5. Promuovere giudizi, salvo che si tratti di denunzie di nuova opera o di danno temuto, di azioni possessorie o di sfratto e di azioni per riscuotere frutti o per ottenere provvedimenti conservativi.] oltre il consenso del curatore, è necessaria l’autorizzazione del giudice tutelare” ma “Per gli atti indicati nell’articolo 3758

L’autorizzazione è data su parere del giudice tutelare; l’autorizzazione, se curatore non è il genitore, deve essere data dal tribunale su parere del giudice tutelare. Qualora nasca conflitto di interessi fra il minore e il curatore, è nominato un curatore speciale a norma dell’ultimo comma dell’articolo 320 L’ultimo comma dell’art. 320 c.c. prevede che “Se sorge conflitto di interessi patrimoniali tra i figli soggetti alla stessa responsabilità genitoriale, o tra essi e i genitori o quello di essi che esercita in via esclusiva la responsabilità genitoriale, il giudice tutelare nomina ai figli un curatore speciale. Se il conflitto sorge tra i figli e uno solo dei genitori esercenti la responsabilità genitoriale, la rappresentanza dei figli spetta esclusivamente all’altro genitore”. ”.

Come si vede gli atti di straordinaria amministrazione sono (per un retaggio storico oggi irragionevole) suddivisi in due categorie: quelli indicati nell’art. 374 (asseritamente meno rischiosi) per i quali è sufficiente il consenso del curatore e l’autorizzazione del giudice tutelare e quelli indicati nell’art. 375 (considerati più rischiosi) per i quali invece l’autorizzazione deve essere data dal tribunale a meno che il curatore non sia il genitore del minore autorizzato al matrimonio (in tal caso ritenendosi sufficiente l’autorizzazione de giudice tutelare).

In verità il curatore del minore autorizzato al matrimonio è per legge l’altro coniuge maggiore di età (Art. 392 c.c.) e solo nel caso in cui entrambi i coniugi fossero minori di età, il giudice tutelare può nominare un unico curatore, scelto preferibilmente fra i genitori.

La legge si preoccupa anche del caso in cui dovesse intervenire una nullità matrimoniale (diversa da quella per violazione dell’art. 84 c.c.) o la separazione o il divorzio e prescrive nell’ultimo comma dell’art. 394 che in tali casi il giudice tutelare debba nominare al minore che era stato autorizzato al matrimonio (e che, s’intende, non abbia nel frattempo raggiunto la maggiore età) come curatore uno dei genitori.

Ci si deve chiedere che cosa avviene se il curatore (cioè, come si è detto, l’altro coniuge o il genitore del minore) non intende dare il consenso all’atto di straordinaria amministrazione. Per tale ipotesi soccorre l’art. 395 c.c. (rifiuto del consenso da parte del curatore) secondo cui “Nel caso in cui il curatore rifiuta il suo consenso, il minore può ricorrere al giudice tutelare, il quale, se stima ingiustificato il rifiuto, nomina un curatore speciale per assistere il minore nel compimento dell’atto, salva, se occorre, l’autorizzazione del tribunale”.

Gli atti compiuti senza osservare le norme stabilite nell’articolo 394 possono essere annullati su istanza del minore o dei suoi eredi o aventi causa.

Sono applicabili al curatore le disposizioni dell’articolo 378. Il codice si preoccupa anche del caso (in verità più che raro) in cui il minore autorizzato al matrimonio e quindi emancipato, debba esercitare un’impresa commerciale, prevedendo all’art. 397.

12 Art. 397 (Emancipato autorizzato all’esercizio di un’impresa commerciale)

VIII. La nomina eventuale di un curatore per le convenzioni matrimoniali. Il codice civile dopo aver disciplinato il matrimonio del minore prevede all’art. 90 (Assistenza del minore) che “Con il decreto di cui all’articolo 84 il tribunale o la corte d’appello nominano, se le circostanze lo esigono, un curatore speciale che assista il minore nella stipulazione delle convenzioni matrimoniali”. Poiché l’art. 165 c.c. nell’ambito delle norme sul regime patrimoniale della famiglia garantisce al minore- come si dirà tra breve – il diritto personale di stipulare le convenzioni matrimoniali è evidente che la nomina di un curatore assistente del minore non è sempre necessaria ma lo diventa se vi è una situazione di conflitto e di contrapposizione tra il minore e i suoi genitori. E poiché il minore autorizzato al matrimonio ha già un curatore per legge (articoli 392 e seguenti sopra ricordati) curatore per l’assistenza alle convenzioni matrimoniali sarà, in tal caso, la stessa persona che è curatore per legge.

La nomina del curatore è opportuna, come si è detto, in caso di contrapposizione tra il minore e suoi genitori; contrapposizione che può essere emersa proprio nel corso del procedimento di autorizzazione al matrimonio. Si deve però tenere conto del fatto che il curatore in questo caso non assolve alla sua tipica funzione sostitutiva dei genitori – come avviene in tutti i casi in cui la nomina risponde all’esigenza di risolvere un conflitto di interessi tra il minore e i suoi genitori (art. 320, 321 c.c. art. 78 c.p.c.) – ma è opportuna per salvaguardare il minore ammesso a contrarre matrimonio (e che con il matrimonio è emancipato e quindi capace di agire) dalla situazione imbarazzante di dover essere assistito dai suoi genitori che magari non hanno condiviso la sua scelta di sposarsi. Per questo si parla correttamente di contrapposizione o di “conflitto di interessi” improprio. Il curatore per l’assistenza alla stipula delle convenzioni matrimoniali integra quindi la volontà del minore (senza sostituirsi a lui come farebbe il curatore speciale in sede rappresentanza sostitutiva).

Nell’ambito delle norme sul regime patrimoniale della famiglia all’art. 165 (capacità del minore) si conferma che “il minore ammesso a contrarre matrimonio è pure capace di prestare il consenso per tutte le relative convenzioni matrimoniali, le quali sono valide se egli è assistito dai genitori esercenti la responsabilità genitoriale su di lui o dal tutore o dal curatore nominato a norma dell’art. 90”. La nomina è, quindi, eventuale ed è effettuata, anche d’ufficio, dal tribunale per i minorenni (ex art. 38 disp. att. c.c.) o dalla Corte d’appello in caso di reclamo.

IX. Il matrimonio contratto in violazione dell’art. 84 c.c. Il matrimonio che dovesse essere contratto dal minore in violazione dell’art. 84 c.c. e cioè o dal minore infrasedicenne o da quello ultrasedicenne senza l’autorizzazione del tribunale per i minorenni “può essere impugnato dai coniugi, da ciascuno dei genitori e dal pubblico ministero. La relativa azione di annullamento può essere proposta personalmente dal minore non oltre un anno dal raggiungimento della maggiore età. La domanda, proposta dal genitore o dal pubblico ministero, deve essere respinta ove, anche in pendenza del giudizio, il minore abbia raggiunto la maggiore età ovvero vi sia stato concepimento o procreazione e in ogni caso sia accertata la volontà del minore di mantenere in vita il vincolo matrimoniale” (art. 117, secondo comma, c.c.).

La legittimazione attiva è, dunque, più limitata rispetto a quella prevista per i casi di nullità disciplinati dalle altre ipotesi dell’art. 117, non essendo, infatti, previsto che possa essere esperita da qualsiasi interessato.

Il minore è legittimato personalmente (senza quindi necessità di rappresentanza in giudizio: Corte App. Roma, 20 aprile 1982 ad impugnare il matrimonio. L’azione può essere proposta solo entro il termine di decadenza di un anno dal raggiungimento della maggiore età: termine che dovrebbe valere ragionevolmente non soltanto per il minore ma anche per tutti gli altri legittimati.

La domanda, proposta dal genitore o dal pubblico ministero, deve essere, però, respinta ove, anche in pendenza del giudizio, il minore abbia raggiunto la maggiore età ovvero vi sia stato concepimento o procreazione e in ogni caso in cui il giudice accerti la volontà del minore di mantenere in vita il vincolo matrimoniale.

Giurisprudenza (…)

Gianfranco Dosi        9 aprile 2019

www.studiolegalejaccheri.it/2019/04/09/matrimonio-del-minore

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MINORI STRANIERI NON ACCOMPAGNATI

L’osservatorio della diocesi di Roma

Minori stranieri non accompagnati, affido e adozioni la via per l’integrazione

“Minori stranieri in Italia: nuove forme di accoglienza tra adozione e affido”, è il tema del convegno che si è tenuto oggi alla Camera dei Deputati promosso dall’Unione Italiana Forense (UIF), dall’associazione “Medicina Solidale” e dall’osservatorio sui minori “Fonte di Ismaele” con il patrocinio dell’Ufficio Migrantes della Diocesi di Roma. L’iniziativa ha visto il confronto tra giudici, magistrati, parlamentari, esperti di diritto minorile ed operatori sociali sullo stato dell’attuazione della legge n. 47 del 7 aprile 2017 sulla protezione dei minori stranieri non accompagnati.

www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2017/04/21/17G00062/sgI principi innovati della legge 47

La riflessione è partita ricordando il principio generale delle legge – un unicum nel panorama europeo – secondo cui ai minori stranieri non accompagnati è attribuita parità di trattamento con i minori di cittadinanza italiana o dell’Unione europea; e prevede inoltre il divieto assoluto di respingimento alla frontiera e che il provvedimento di espulsione può essere adottato solo a condizione che non comporti “un rischio di danni gravi per il minore”.

Sono state introdotte anche modifiche alla normativa precedente al fine di favorire l’individuazione dei familiari ed il ricongiungimento ad essi ovvero l’affidamento familiare; mentre la competenza all’adozione dei provvedimenti di rimpatrio assistito è ora attribuita al Tribunale per i minorenni competente. Molto importante anche l’istituzione della figura dei tutori volontari disponibili ad assumere la tutela dei minori stranieri.

Favorire l’affidamento alle famiglie. Durante il convegno si è quindi posto l’accento sulle pastoie burocratiche e la mancanza di fondi che impediscono la piena applicazione di questo quadro normativo. Una questione affrontata anche nell’intervento dell’on. Sandra Zampa che è la prima firmataria delle Legge e che ha evidenziato che il provvedimento “non affronta solo la questione dell’emergenza umanitaria ma indica anche un’integrazione possibile”, dal momento che affronta il tema degli affidi famigliari “da prediligere alla collocazione nelle case di accoglienza”. Un principio ribadito anche dall’avvocato Elisabetta Rampelli, moderatrice dell’evento: “Governare il fenomeno attraverso l’affidamento significa evitare la tratta bambini e di giovani che cadono nell’illegalità, ma ad oggi solo il 7% di questi ragazzi riesce ad entrare in un programma di affido”.

Fulvio Filocamo, magistrato presso la Corte di Cassazione ha parlato dell’importanza dello strumento del colloquio con il minore e della compilazione di una scheda che tiene conto anche delle sue aspettative: “La principale novità è quella di riuscire a identificare compiutamente i minorenni attraverso un colloquio, con una scheda, là dove viene riportata tutta la storia del minore e le sue aspettative. E poi, l’aver creato dei ruoli di tutori volontari che finalmente possono seguire questi minori in tutti i passaggi”.

“Questo non significa che prima non si facesse niente – ha proseguito il dott. Filocamo -, ma si badava solo all’alloggio, alla sistemazione, al mantenimento. Nei casi più fortunati anche all’istruzione e all’avviamento al lavoro, ma al momento dei 18 anni il rischio concreto per tutti era che non si riuscisse a ottenere una cittadinanza italiana o comunque un permesso di soggiorno che consentisse la piena integrazione”.

            Mons. Augusto Paolo Lojudice ha poi riferito dell’avvio di osservatorio della diocesi sulle fragilità dei giovani italiani e migranti che vivono nelle periferie. Il presule ha spiegato che sono state individuate “una quindicina di persone impegnate in vari ambiti professionali, vuoi nell’assistenza sanitaria, nei servizi sociali, legali, educativi, oratoriani, che in qualche modo possano costituire un occhio sulla realtà dei minori, in modo particolare nelle periferie urbane”. Di fatto questo osservatorio lavorerà in collaborazione con l’Istituto di Medicina solidale e con il Centro Fonte di Ismaele, che farà sia accoglienza tout-court dei minori a 360 gradi e sia una pastorale giovanile rivolta a tutti i ragazzi che vivono nelle periferie.

Marco Guerra – Città del Vaticano Vatican news              12 aprile 2019

www.vaticannews.va/it/mondo/news/2019-04/minori-stranieri-non-accompagnati.html

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PARLAMENTO

Camera dei Deputati – Assemblea – Mozioni

11 aprile 2019. Seduta n. 161 Seguito della discussione delle mozioni Meloni ed altri n. 1-00163, Lupi ed altri n. 1-00166, Panizzut, Mammì ed altri n. 1-00167, Lorenzin ed altri n. 1-00168, Calabria ed altri n. 1-00169, Delrio ed altri n. 1-00170 e Rostan ed altri n. 1-00171 concernenti iniziative a favore della famiglia e per l’incremento della natalità.    Passim

Lorenzo Fontana, Ministro per la Famiglia e le disabilità. Onorevoli colleghe e colleghi, consentitemi innanzitutto di ribadire il mio ringraziamento a tutte le forze politiche per le diverse mozioni presentate in materia di politiche per la famiglia e di contrasto al calo demografico, che dimostrano come questi temi, centrali per il nostro Paese, anche grazie all’azione di Governo sin qui svolta, siano finalmente tornati al centro di dibattito e dell’azione politica.

Ognuno dei dispositivi delle mozioni presentate mostra interessanti e convergenti spunti di riflessione ed è per questo che, attraverso un tavolo di confronto con tutti i diversi proponenti, abbiamo anche valutato l’ipotesi di addivenire ad una mozione unitaria.

Per ragioni di tempo e per la complessità delle questioni trattate, questo risultato non è stato ad oggi possibile, tuttavia dal tavolo è emersa la seria e convinta volontà di tutte le forze politiche di continuare su questi temi una riflessione comune e sinergica, che possa davvero sfociare in provvedimenti largamente ed ampiamente condivisi da tutti gli schieramenti; ed anche di questo non posso che ringraziare tutti i partecipanti per la disponibilità manifestata.

La mozione unitaria presentata dalle forze di maggioranza, Lega e 5 Stelle, a nostro parere, rappresenta una solida base di partenza per avviare questa più ampia e convergente riflessione, anche perché racchiude ed assorbe gran parte delle indicazioni emerse dai dispositivi delle altre mozioni.

Per questa ragione, il Governo esprime parere favorevole alla mozione unitaria di maggioranza n. 1-00167, a firma Panizzut ed altri. Per quanto riguarda le altre mozioni, pur, come detto, apprezzando la diffusa sensibilità dimostrata su questi temi, non possiamo accoglierle favorevolmente. Sono, tuttavia, convinto che il confronto avviato, se portato avanti con la sensibilità e l’attenzione mostrata in questi ultimi giorni, porterà sicuramente a risultati fondamentali per il futuro del nostro Paese.

Resoconto stenografico pag. 6 del pdf              votazioni pag. 23

www.camera.it/leg18/410?idSeduta=0161&tipo=stenografico#sed0161.stenografico.tit00040.sub00030

Mozioni pag. 12

https://documenti.camera.it/leg18/resoconti/assemblea/html/sed0161/leg.18.sed0161.allegato_a.pdf

Approvata la mozione Panizzut, Mammì ed altri n. 1-00167 (pag. 17) Respinte le altre mozioni

www.camera.it/leg18/410?idSeduta=0161&tipo=stenografico#sed0161.stenografico.tit00040.sub00030

 

Senato della Repubblica – Commissione Giustizia – Affido dei minori

Disegni di legge nn. 45, 118, 735, 768 e 837, in materia di affido di minori.

9 aprile 2019. Prosegue la discussione congiunta sospesa nella seduta del 28 novembre 2018.

Il Presidente comunica che è stata avanzata da parte dei senatori Pillon, Pepe, Pellegrini, Crucioli e Alessandra Riccardi, una richiesta di rimessione all’Assemblea del disegno di legge in titolo. Poiché la richiesta in oggetto risulta essere appoggiata da un numero di componenti della Commissione superiore ad un quinto, dispone che l’esame prosegua in sede referente ai sensi del comma 3, articolo 36, del Regolamento del Senato. La Commissione prende atto.

www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=SommComm&leg=18&id=1107274&part=doc_dc-sedetit_isr:1

La Commissione conviene all’unanimità di acquisire in sede referente l’attività finora svolta in sede redigente.

Il senatore Cucca (PD) manifesta perplessità in merito alla richiesta testé avanzata di rimessione all’Assemblea, che è finalizzata, a suo dire, esclusivamente a mortificare i tempi della discussione, dal momento che tale scelta imporrà un contingentamento dei tempi per via della prossima calendarizzazione in Assemblea.                (…)

Il Presidente Andrea Ostellari avverte che la discussione generale inizierà nella presente seduta e che proseguirà nelle successive sedute. Informa che sono iscritti a parlare i componenti del Gruppo del Partito Democratico e che gli altri Gruppi segnaleranno a loro volta le proprie iscrizioni.

            Il senatore Caliendo(FI-BP) dopo aver illustrato le premessa del disegno di legge che si propone di realizzare il principio dei tempi paritetici, ritiene tuttavia di esprimere alcune criticità facendo leva sul fatto che tale modello non sarebbe rispettato nemmeno in Paesi come il Belgio o l’Olanda caratterizzati in buona sostanza da un modello di Stato sociale più evoluto e più organizzato rispetto al nostro, mentre tornando all’esperienza italiana, ricorda come nella sua attività di magistrato ha avuto modo di notare come solo raramente i padri chiedano di avere dei tempi di affidamento più ampi rispetto a quelli canonici del fine settimana alternato. Questo scarso ricorso alla prassi dei tempi paritetici si spiega a suo avviso con il fatto che il nostro modello sociale è ancora improntato ad una prevalenza economica dell’uomo, come attestano i tassi di disoccupazione femminile piuttosto marcati nel nostro Paese.

Fa notare le perplessità in merito alla proposta di introdurre la mediazione obbligatoria per una serie di ragioni: intanto perché, a suo dire, la mediazione familiare è ben diversa dalla mediazione classica e non può essere considerata uno strumento di risoluzione alternativa delle controversie, vista la presenza di situazioni affettive e a carattere marcatamente indisponibile. Sempre in merito alla mediazione obbligatoria ritiene che contrasti con l’articolo 48 della Convenzione di Istanbul che vieta ai Paesi sottoscrittori il ricorso a forme di mediazione in situazioni in cui possano esservi state violenze domestiche. Evidenzia le criticità in merito al problema economico dal momento che solo il primo incontro di mediazione sarebbe gratuito mentre i costi degli incontri successivi resterebbero a carico dei coniugi. Pone inoltre un problema di sostenibilità economica in merito alla previsione che riconosce la gratuità del primo incontro di mediazione, chiedendosi quali possano essere gli impatti di tali costi sull’erario.

Condivide invece e saluta con favore l’introduzione della figura del coordinatore familiare. Non condivide invece al contrario l’idea che l’ordinanza del giudice istruttore possa essere modificabile perché a suo dire ciò comporterebbe un allungamento dei tempi processuali con il rischio che vengano presentati ricorsi dilatorio o pretestuosi. Contesta la diversificazione che ne deriverebbe in merito al diverso trattamento processuale per i figli legittimi rispetto ai figli naturali.

Critica il rischio che possano scaturire prassi quali quella dell’affidamento alternato (prassi che, ricorda, fu in passato sperimenta da alcuni tribunali ma poi subito abbandonata per via delle conseguenze negative che lasciava sullo sviluppo dei minori). Ricorda come un sistema di affidamento alternato possa scontrarsi con problemi logistici derivanti dalle distanze fisiche tra le abitazioni dei coniugi separati anche all’interno delle stesse città, soprattutto se si tratta di grandi città come Roma o Milano, laddove le difficoltà finirebbero poi appunto con l’essere anche aggravate dalle disparità di capacità economica tra i genitori.

Esprime criticità in merito al riferimento alla così detta “abitazione idonea”, nonché sul piano genitoriale nella parte in cui equiparerebbe comunque il trattamento dei figli minori a prescindere dall’età.

La senatrice Ginetti(PD) conferma a suo avviso l’impossibilità di procedere ad un’attività emendativa dei disegni di legge e insiste nel chiederne il ritiro. Ne paventa l’incostituzionalità sotto diversi profili quali innanzitutto la violazione del principio di parità tra coniugi di cui all’articolo 29 della Costituzione, la violazione della Convenzione di Istanbul sulla mediazione, la violazione della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 1989. Denuncia nei presenti disegni di legge e in particolare nel disegno di legge n. 735 (Pillon) una visione burocratica, adultocentrica che non considera affatto il miglior interesse del minore e di confondere la bigenitorialità con la cogestione paritaria dei tempi e del minore; accusa tale disegno di legge di ignorare le difficoltà delle donne rispetto all’accesso al lavoro fuori casa. Tale disegno di legge inoltre non terrebbe conto delle difficoltà e delle disparità economiche tra uomo e donna finendo per il rendere l’elemento economico una discriminante rispetto alla libertà dell’esercizio del proprio diritto all’autodeterminazione, finendo poi con l’aggravare la burocratizzazione della fine del matrimonio a pregiudizio dei soggetti più deboli. Ricorda in proposito che ad ottobre 2018 un rapporto dell’Onu ha espresso perplessità sul disegno di legge in questione che comporterebbe a suo dire una regressione della condizione della donna alimentando le disuguaglianze di genere e azzerando le conquiste femminili degli ultimi decenni.

Esprime criticità in merito al ricorso alla mediazione obbligatoria facendo presente come sia possibile utilizzare un percorso di mediazione solo a fronte di situazioni di pariteticità tra le parti ma non a fronte di situazioni caratterizzate da una disuguaglianza e da una asimmetria. In tal caso non ha senso alcuno, a suo dire, il ricorso alla pratica della mediazione che si tradurrebbe poi in una prassi incostituzionale dal momento che si porrebbe come condizione di accesso obbligatoria alla giurisdizione. La parte debole sarebbe pertanto sempre destinata a soccombere nel procedimento di mediazione aggravando la condizione di vittimizzazione della donna. Esprime perplessità in merito ai costi economici della mediazione, costi economici che ricadranno ancora una volta sulla parte più debole del rapporto. Ricorda come la mediazione non possa essere considerata una forma alternativa di soluzione delle controversie, sul punto condividendo l’opinione del senatore Caliendo. Circa il piano genitoriale esprime criticità, considerandolo uno strumento di burocratizzazione del rapporto di fine matrimonio, uno strumento che darebbe vita ad una sorta di conto economico o ad una sorta di bilancio che esprime una visione contabilistica del rapporto genitore-figlio.

Esprime altresì criticità nella parte in cui disegno di legge codifica la sindrome di alienazione parentale, ritenendo che si tratti di una sindrome che non ha alcuna validità scientifica e che finirebbe con il legittimare il rischio di nascondere situazioni di violenze non denunciate, soprattutto ricordando come proprio nella fase della crisi matrimoniale si accentuino le violenze familiari, con i rischi di gravi fenomeni quali il femminicidio.

Esprime infine perplessità nella parte in cui in cui l’articolo 19 di tale disegno di legge proceda ad abrogare l’addebito della separazione, tutto ciò suo dire finendo col vanificare le previsioni degli obblighi matrimoniali e creando una generale situazione di irresponsabilità.    (…)

Il seguito dell’esame congiunto è quindi rinviato.

www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=SommComm&leg=18&id=1107274&part=doc_dc-sedetit_isr:2

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PATERNITÀ

Bilanciamento fra il diritto all’identità personale biologica e l’interesse alla certezza degli status

Corte di Cassazione- prima sezione civile, sentenza n. 6517, 6 marzo 2019

            In tema di disconoscimento di paternità il bilanciamento fra il diritto all’identità personale legato all’affermazione della verità biologica e l’interesse alla certezza degli status e alla stabilità dei rapporti familiari non può costituire il risultato di una valutazione astratta, occorrendo, invece, un accertamento in concreto dell’interesse

Elena Jaccheri                       Sentenze         9 aprile 2019  Sentenza

www.studiolegalejaccheri.it/2019/04/09/in-tema-di-disconoscimento-di-paternita-il-bilanciamento-fra-il-diritto-allidentita-personale-legato-allaffermazione-della-verita-biologica-e-linteresse-alla-certezza-degli-status-e-alla-stabili

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PENSIONE DI REVERSIBILITÀ

                           Pensione reversibilità tra coniuge divorziato e coniuge superstite.

Il coniuge divorziato ha diritto alla pensione di reversibilità e in che misura dovrebbe dividerla con il coniuge attuale del pensionato defunto?

            Anni orsono, dopo un’esperienza non proprio positivissima, hai deciso di dare un taglio al tuo rapporto matrimoniale. Pertanto, dopo un primo periodo di separazione di fatto, hai avviato e concluso le pratiche per ottenere quella legale e, successivamente ancora, hai risolto il predetto matrimonio, con il conseguente divorzio in Tribunale. Ebbene, nonostante quanto accadutoti, non hai chiuso i conti con l’amore e hai incontrato una nuova compagna di vita, con la quale, dopo aver maturato una lunga esperienza di convivenza, hai deciso di convolare a nozze. Insomma, alla resa dei conti, ha due matrimoni nel curriculum ed hai saputo che questa situazione avrà il suo peso anche in relazione alla pensione che stai attualmente percependo.

            Infatti, sei venuto a conoscenza che, nonostante il divorzio, la tua ex moglie dovrà ugualmente percepire una fetta di pensione di reversibilità. Ciò ti preoccupa non poco, in relazione alla tua attuale compagna, alla quale vorresti invece dedicare ogni bene, compresa la detta pensione, allorquando sarai malauguratamente passato a miglior vita. Ed allora, la domanda che ti poni è la seguente: a proposito della pensione reversibilità tra coniuge divorziato e coniuge superstite? Chi stabilisce come dividere la pensione di reversibilità? Quali sono i criteri che devono essere presi in considerazione per attribuire una quota all’uno o all’altro? Ci sono dei casi in cui al coniuge divorziato non spetta alcunché?

Pensione di reversibilità: è dovuta all’ex moglie? Ti sembrerà strano, ma la tua pensione, a titolo di reversibilità, potrebbe essere destinata alla tua ex moglie, nonostante il vostro rapporto matrimoniale si sia risolto anche da parecchio tempo. Ovviamente, ciò vale sia per l’uomo e sia per la donna, pertanto, da questo punto di vista, non è possibile fare alcuna distinzione. Allora, entrando nel merito della legge in materia, devi sapere che la pensione di reversibilità, cioè una parte, se non tutta quella che il pensionato deceduto percepiva prima di morire, può essere devoluta al coniuge divorziato, ma soltanto in presenza di determinati presupposti:

  • L’ex moglie oppure l’ex marito devono percepire il cosiddetto assegno mensile di divorzio e non aver avuto ogni contributo a riguardo in un’unica soluzione. In pratica, la pensione andrebbe, quindi a compensare il venir meno del predetto assegno;
  • L’ex moglie oppure l’ex marito non devono essersi risposati, pertanto usufruendo di un nuovo sostegno, rappresentato dal successivo compagno di vita;
  • Il rapporto di lavoro da cui è scaturita la contribuzione previdenziale su cui si è fondata la tua pensione, deve essere iniziato prima del divorzio [Art. 9, co. 2 Legge 898/1970].

Se concorrono le descritte condizioni, la tua ex moglie avrà diritto alla pensione di reversibilità. Ma se questa è la legge, cosa dice la stessa in merito alla tua attuale compagna? Se ti sei risposato, il tuo attuale coniuge avrà diritto o meno alla tua pensione di reversibilità?

Pensione di reversibilità: è dovuta alla moglie? La moglie o il marito del pensionato deceduto sono, senza alcun dubbio, i primi destinatari della cosiddetta pensione di reversibilità. La quota dovuta della pensione già maturata del coniuge (cosiddetta pensione diretta) varierà a seconda di alcuni fattori (ad esempio, la presenza dei figli), ma sarà sicuramente possibile chiederne l’attribuzione, alla morte del pensionato.

            Se questa appare la naturale conclusione, la situazione si complica allorquando le mogli (o i mariti) diventano due. Hai visto, infatti, che l’ex coniuge, per quanto abbiate divorziato, comunque ha diritto alla pensione di reversibilità. Ed allora, come combinare il diritto di questi con quello del tuo attuale coniuge? Ebbene, si tratta di un’ipotesi, esplicitamente prevista e regolata dalla legge.

Pensione di reversibilità: come si divide tra l’ex e tua moglie? Se la domanda appena posta ti preoccupa, non aver alcun timore, perché ci ha pensato la legge a darti una risposta. Per la verità, come spesso accade, la normativa in questione, per come è stata prevista, si è prestata ai soliti interventi interpretativi della magistratura, ma comunque, allo stato attuale la regola a riguardo è la seguente:

  • Se c’è concorso tra due aventi diritto alla pensione di reversibilità, cioè l’ex coniuge già divorziato e l’attuale coniuge del pensionato deceduto, sarà il tribunale a stabilire in che misura la detta pensione dovrà essere divisa tra i due [Art. 9, co. 3 Legge 898/1970];
  • Nell’effettuare questo calcolo, il tribunale dovrà prendere in considerazione la durata dei rispettivi matrimoni [Cass. civ. sent. n. 14793/2014], ma non senza considerare altri fattori, quali ad esempio le condizioni patrimoniali degli aventi diritto, il rapporto di convivenza che ha preceduto il matrimonio, l’assistenza prestata al pensionato prima di morire, ecc, ecc [Trib. Di Roma sent. n. 21415/2015].

Insomma a questo proposito, potrebbe essere necessaria un’azione legale, con tanto di richieste e contro richieste, adeguatamente motivate e provate, avanzate in tribunale dalla tua ex e dai due coniugi, per stabilire quanto ed a chi dovrebbe andare la pensione di reversibilità del pensionato deceduto.

Marco Borriello                                        La legge per tutti                  8 aprile 2019

www.laleggepertutti.it/278251_pensione-reversibilita-tra-coniuge-divorziato-e-coniuge-superstite

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POLITICHE FAMILIARI

Non c’è convergenza in Parlamento sulla famiglia.

Nonostante la comune preoccupazione per la denatalità e la certezza dell’urgenza di una politica più organica, maggioranza e opposizioni restano distanti.

            Anche sui punti condivisi prevale il distinguo politico. E delle mozioni messe ai voti alla Camera ieri passa (con 270 sì) solo quella della maggioranza giallo-verde.

www.camera.it/leg18/410?idSeduta=0161&tipo=stenografico#sed0161.stenografico.tit00030.int00010

Anzi, gli stessi alleati di governo si scontrano, al momento del voto del documento di Fratelli d’Italia contro l’aborto, che aveva il ministro leghista Fontana favorevole: M5s chiede con forza che la Lega non lo voti e alla fine il ministro per la Famiglia si adegua, causando l’ira della Meloni («La Lega rinnega se stessa»).

            Ma in aula c’è ancora tensione per il post Verona. Le divisioni, poi, non piacciono al Pd che aveva trovato una convergenza con la sua proposta dell’assegno unico per i figli a carico, contenuta anche nella mozione di maggioranza. «Voi usate la famiglia contro qualcuno e contro le altre forze politiche; per dividere la società italiana e non per rafforzarla; come strumento di propaganda elettorale», accusa il capogruppo Delrio.

            Nel merito, c’è la volontà di una risposta strutturale alle esigenze familiari, che superi il sistema di bonus e consideri le esigenze generali, spiega il ministro Fontana. Che assicura più risorse in manovra, sia per gli asili nido sia per il baby-sitting, e rende noto che è stata avviata la procedura per attivare la Disability card, che consentirà ai disabili di accedere ai servizi in tutta Europa.

Redazione       Avvenire 12 aprile 2019

www.avvenire.it/attualita/pagine/politiche-familiari-naufraga-tentativo-di-convergenza-passa-solo-la-mozio

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PROCREAZIONE ARTIFICIALE

Maternità surrogata: il bambino è il grande assente

            Un Convegno nell’Aula Magna dell’Università Lumsa di Roma per riflettere sulla pratica della maternità surrogata, cioè la gestazione per conto di altri, che si va diffondendo in Europa e nel mondo. Dagli interventi è emersa la parzialità dell’informazione sul tema che ne esclude aspetti fondamentali.

            “Nascere da madre surrogata. Implicazioni sociali, etiche e psicologiche”: il Convegno organizzato dal Dipartimento di Scienze umane dell’Università di Roma LUMSA e realizzato con fondi europei, nell’ambito del progetto di ricerca WoMoGeS, vuole entrare con un proprio contributo originale nel dibattito pubblico intorno alla pratica procreativa conosciuta anche come ‘utero in affitto’. Molti gli interventi che hanno cercato di fare chiarezza in merito e di dire ciò che di solito viene taciuto o viene distorto. La centralità del bambino che nascerà, ad esempio, come frutto di un desiderio di genitorialità che non conosce ostacoli pur di potersi realizzare. O la realtà della madre che si presta alla gestazione con precisi contratti, e di cui si sottovalutano sentimenti, rischi, paure e conseguenze psicologiche a lungo termine di un distacco dal bambino portato in grembo per 9 mesi.

Di tutti questi aspetti hanno parlato Laura Palazzani, vice-presidente del Comitato Nazionale di Bioetica e docente di Filosofia del diritto alla LUMSA; Monica Ricci Sargentini, giornalista del Corriere della Sera; Giampaolo Nicolais, psicologo dello sviluppo e dell’educazione presso l’Università ‘Sapienza’ di Roma, Antonio Francesco Maturo, sociologo dell’Università di Bologna e Daniela Bandelli ricercatrice impegnata in un’ indagine sulla Gestational Surrogacy in 4 Paesi: Stati Uniti, Italia, India e Messico.

Di durata triennale (2018-2021), l’indagine è condivisa in partnership con la University of Texas ed è supervisionata, per la LUMSA, dalla prof.ssa Consuelo Corradi che ha moderato il Convegno. Un valore aggiunto, la testimonianza dell’americana Jennifer Lahl, promotrice della campagna internazionale Stop Surrogacy Now che oggi conta 20.000 aderenti.

Le tante implicazioni di cui non si parla. La ‘gestazione per altri’, ha sottolineato Daniela Bandelli, rappresenta un nuovo modo di venire al mondo, appunto di nascere, che si sviluppa attraverso relazioni inedite tra genitori biologici, donne surroganti, medici e agenzie. E il Convegno intendeva proprio richiamare l’attenzione sulle ricadute, in termini sociologici, bioetici e psicologici, che la gestazione surrogata ha sui bambini, sulla generazione di domani e sulle donne surroganti. Dall’indagine che sta portando avanti emerge chiaramente che la maternità surrogata è una pratica inumana – ci dice la Bandelli – e spiega che oggi esistono sostanzialmente due posizioni: quella di chi chiede la sua abolizione totale e quella che ne chiede una regolamentazione, auspicando leggi globali che valgano per tutti i Paesi. Ma perché cercare di regolare ciò che non è un bene? – si domanda.

La vera soluzione all’infertilità è l’adozione. Nel suo intervento Laura Palazzani osserva come ancora oggi nella nostra società permanga lo stigma dell’infertilità, una condizione difficile da confessare. E insieme ci sia una sorta di mistica della maternità che prevede che ogni donna debba essere in grado di generare. La vera soluzione all’ infertilità, dice, è l’adozione, in diminuzione da quando si pratica la maternità assistita. In Italia è vietata quella surrogata, ma la legge italiana non punisce chi va all’estero e riconosce poi il figlio che nasce in questo modo. Si sviluppa il turismo procreativo. E’ importante, conclude, formare e informare l’opinione pubblica perché ci sia consapevolezza critica su queste problematiche.

Scarsa e di parte l’informazione sui media. A questo proposito un ruolo importante lo svolgono i mass-media e la giornalista Monica Ricci Sargentini ne sa qualcosa. Nel suo intervento definisce astratto il modo di comunicare sul tema. Riguardo alla maternità surrogata viene fatta passare l’idea del dono. Vengono presentate madri surrogate felici. Sull’utero in affitto non si dice la verità, “non si dice ad esempio quanto è stato pagato – sostiene Ricci Sargentini ai nostri microfoni – non diciamo mai cosa succede quando le cose vanno male, quante madri surrogate si ritrovano sole. Il bambino poi viene totalmente cancellato. Il trauma che non infliggiamo ai cuccioli di cani e gatti, quando nascono e li facciamo stare con la mamma almeno tre mesi, ai bambini, ai cuccioli d’uomo lo infliggiamo senza nemmeno pensarci un attimo”.

Dietro i sentimenti un grande business. A spiegare tutto questo il fatto che la maternità surrogata rappresenti un grande business. “Secondo me – prosegue la giornalista – questo tipo di narrazione viene imposta perché questa pratica deve diventare digeribile al grande pubblico in modo che si possa espandere in tutto il mondo. Ovviamente questo è difficile, infatti è stata legalizzata solo in 18 Paesi su 206 e ci sono tante persone come gruppi di femministe, i movimenti anche lesbici, omosessuali, i movimenti cattolici, che si oppongono in tutto il mondo, però non hanno risorse, non hanno i soldi che hanno queste lobby qui, perché parliamo di un business di miliardi e miliardi dollari. Una gravidanza surrogata in America costa 130, 160 mila dollari”.

Il serrato dialogo tra madre e bambino durante la gestazione. E proprio sul legame tra il nascituro e la mamma che lo porta dentro di sé, interviene Gianpaolo Nicolais basandosi su ciò che biologia e psicologia conoscono ormai bene in merito allo sviluppo psicologico del bambino prima della nascita, proprio grazie a questa unità inscindibile che c’è tra il corpo e la mente di ciascuno di noi. Nel grembo materno c’è il principio intercorporeo dello sviluppo, un dialogo serrato tra feto e madre che avviene fin dalle primissime ore dell’impianto embrionale: perché non se ne parla mai? La gestante partecipa interamente alla formazione del bambino in quanto essere relazionale.

L’utero in affitto nega la verità sul nascituro. Un legame che esiste al di là della volontà di crearlo. “Assolutamente sì – conferma ai nostri microfoni il prof. Gianpaolo Nicolais -, questo è il grande inganno per cui si può pensare che non affezionandosi al proprio bambino, come viene chiesto alle madri surroganti, questo determini una possibilità di salvaguardia da possibili implicazioni emotive. Di solito non avviene così e di solito tutti questi processi si attivano e si verificano indipendentemente dall’attaccamento o meno della madre durante i 9 mesi. Sono processi di natura intercellulare, di matrice biologica sostanzialmente”. Ma prendere coscienza di questo cosa può significare? “Credo che tagli alla radice qualunque discorso sull’accettabilità della maternità surrogata – risponde Nicolais -: cioè, la maternità surrogata, come ho scritto nel mio libro “Il bambino capovolto”, è una pratica inumana nella misura in cui non rispetta questo principio fondativo dell’essere umano”.

La politica tenga conto del diritto del bambino. Daniela Bandelli sottolinea ancora il titolo del Convegno in cui si è voluto inserire la parola: nascere. “E’ una scelta politica – dice – perché il dato che emerge dalla mia ricerca è che il bambino rimane al margine del dibattito pubblico. Con l’utero in affitto stiamo invece producendo generazioni nuove. A proposito del figlio si parla solo per quanto riguarda il diritto di conoscere le proprie origini, oppure il diritto alla cittadinanza. Il dibattito è focalizzato sul corpo della donna, sui diritti dei genitori ad avere un figlio….  Il nostro intento – conclude – era riportare l’attenzione sul bambino e la mia speranza è che la politica terrà conto di questa dimensione”.

Adriana Masotti – Città del Vaticano          Vatican news   11 aprile 2019

www.vaticannews.va/it/mondo/news/2019-04/maternita-surrogata-utero-in-affitto-convegno-lumsa-bambino.html

Intervista. Jennifer Lahl: utero in affitto, i contratti capestro che umiliano le donne

La maternità surrogata va abolita, non regolamentata». Jennifer Lahl, fondatrice e presidente del Center for Bioethics and Culture Network, da anni impegnata a sensibilizzare l’opinione pubblica sulle reali dinamiche che spingono a ricorrere all’utero in affitto, non vede altra via d’uscita: «Non credo che la regolamentazione possa proteggere madri e bambini». Intervenuta ieri a Roma alla Lumsa al convegno «Nascere da madre surrogata», realizzato nell’ambito del progetto di ricerca WoMoGeS, la promotrice della campagna internazionale «Stop Surrogacy Now» ha raccontato cosa si nasconde dietro a quello che, mistificando la realtà, viene definito «un atto d’amore».

Cosa sta ottenendo con il suo impegno?

Ho lavorato per molti anni come infermiera pediatrica nella terapia intensiva. Ho trascorso diversi anni facendo ricerca sulla procreazione assistita e ho prodotto numerosi documentari che mostrano donne che hanno subito danni a causa della maternità surrogata. Innanzitutto informo sui rischi delle madri e dei bambini. Abbiamo portato avanti campagne internazionali, petizioni, sollecitazioni, per educare e sensibilizzare. La consapevolezza delle persone riguardo a questo tema sta cambiando. Ho notato che dopo la visione dei film in giro per il mondo molti si rendono conto di quale sia la realtà. Rimangono stupiti, ammettono di non aver saputo quello che veramente accade. È importante per questo puntare sulla conoscenza, l’informazione e l’educazione.

Cos’è che molti non sanno?

Innanzitutto ignorano i rischi per la salute. Lo scorso febbraio l’American Journal of Obstetrics and Gynecology ha pubblicato uno studio condotto su 1.477.522 donne in stato di gravidanza. È emerso che le gravidanze con tecniche di fecondazione assistita con donazione di ovociti hanno le più alte percentuali di ricoveri per terapia intensiva per la madre. Un altro studio su Fertility and Sterility di dicembre 2017 ha messo a confronto gravidanze spontanee e surrogate. È stato evidenziato che i nati da gestazione surrogata hanno una maggiore incidenza di nascita pre-termine, basso peso alla nascita, diabete, ipertensione.

Cosa spinge le donne ad “affittare” il proprio utero?

La maternità surrogata è presentata come un modo per «dare il dono della vita», e i rischi sono minimizzati. È invece il denaro che determina questo processo. Per sancire questo atto vengono sottoscritti dei veri e propri contratti. In California, per esempio, uno dei principali Stati surrogacy friendly negli Usa, esistono diversi contratti di questo tipo, tutti legali: non esistono limiti di pagamento per la madre surrogata, viene assicurato che i committenti saranno i genitori legali del bambino che nascerà e che saranno protetti dalla possibilità che la madre surrogata cambi idea e non voglia più consegnare il bambino. I contratti sono scritti per proteggere chi commissiona e non la madre o il bambino. Gli aspetti più preoccupanti sono poi i desideri espressi da chi commissiona un figlio. Sovente vengono esplicitati in dettaglio: questo fa sì che l’uso commerciale dell’intero corpo della donna per la durata della gravidanza sia chiaro. Molti contratti per esempio indicano che ci sia un controllo sulla dieta della donna, le attività fisiche permesse, i luoghi dove abitare. Ho persino visto in alcuni contratti l’obbligo per la donna di seguire una dieta vegana, oppure di non tingere i capelli. In alcuni si specifica addirittura che non è ammesso contrarre il legame materno-infantile. Come se questo fosse possibile.

Graziella Melina        Avvenire         11 aprile 2019

www.avvenire.it/famiglia-e-vita/pagine/jennifer-lahl-i-contratti-capestro-che-umiliano-le-madri-stop-surrogata

 

Il bambino il grande assente nel dibattito sull’utero in affitto

Dunque secondo la Corte Europea di Strasburgo, anche se in Francia l’utero in affitto è vietato, i registri nazionali dovranno in qualche modo tenere conto della posizione del “genitore intenzionale” dei bambini comprati all’estero. Che cavolo vuol dire genitore intenzionale”? Io mi dichiaro proprietaria intenzionale della borsa di quella signora che è passata adesso; me la posso intestare anche se lei non è d’accordo? Da quando l’intenzione genera un diritto? Soprattutto se per realizzare la mia intenzione commetto un reato, come possono dei giudici legittimare questo?

È evidente che l’ideologia sta minando le basi dell’oggettività del diritto. Se conta l’intenzione, il diritto diventa dettato dalle emozioni, dai sentimenti, e non si è mai vista una roba del genere (credo che Giustiniano si rivolti nella tomba). Ovviamente il diritto creativo vale per alcuni, non per tutti. Perché se io vado all’anagrafe e dico che il figlio della mia amica a cui voglio tanto bene è mio, vado in carcere, e se lo fa uno che lo ha pagato no (ovviamente la balla è che si tratti solo di copertura delle spese, ma chi se ne frega: il figlio non è tuo, e che te lo regalino o te lo facciano pagare non è tuo punto e basta, o non è solo tuo perché gli hai tolto il padre o la madre).

E meno male che la Corte si chiama dei diritti umani. In tutta questa storia, compreso il dibattito che ieri sera mi ha costretta ad attendere fino a tardi il finale di Porta a Porta (no comment), sono proprio i diritti di chi non si sa difendere a essere spariti. Il diritto del bambino. Gli altri i diritti se li prendono con la forza. Pagando una donna per esempio. Andando a farsi inseminare all’estero. Escludendo un padre dalle proprie scelte, come nel caso dell’aborto. Peccato che il diritto dovrebbe esistere proprio per tutelare chi non riesce a difendersi da chi impone il proprio desiderio, le proprie voglie, le proprie idee. Voglio un figlio, me lo prendo.

In tutta la discussione secondo me sfugge sempre il centro della questione: i bambini hanno un padre e una madre, e hanno diritto a crescere con loro. Gli uomini e le donne non hanno diritto a un figlio. I figli sono un regalo immenso che però può anche non arrivare, e nessuno ha il diritto di prenderselo.

E’ questo il punto che non viene mai nominato. Quasi mai, a dire il vero, perché ieri alla Lumsa si è tenuto un bel convegno che avrebbe dovuto essere preso d’assedio dagli uomini e dalle donne di buona volontà, e invece purtroppo è stato quasi disertato, nonostante il livello di eccellenza dei relatori. Già il titolo del convegno lasciava presagire che sarebbe valsa la pena di andare. “Nascere da madre surrogata”: dunque una buona volta il punto di vista è quello del bambino. Finalmente. Come ha detto lo psicologo Giampaolo Nicolais, non importa poi come staranno i bambini nati dall’utero in affitto, o quelli separati da un genitore biologico. L’essere umano è resiliente, e come si sopravvive a genitori abusanti o maltrattanti, ce la si può cavare in qualsiasi situazione. Il problema è che noi non possiamo soddisfare i nostri desideri pensando che i bambini se la caveranno, noi dobbiamo rispettarli, rispettare i loro diritti fondamentali, e anteporli ai nostri desideri. E’ la base della civiltà.

Noi non siamo solo prodotto della nostra cultura – cogito ergo sum – noi siamo anche natura, cioè noi siamo nature and nurture [natura ed educazione] si è detto al convegno. E la natura la riceviamo, non ce la diamo da soli e non la possiamo dare. A certi bambini la parte di natura viene violentata da adulti che vogliono soddisfare i loro desideri, seppur di per sé buoni. Questo patrimonio è scritto nei nostri geni e si plasma nel grembo materno. Questi due elementi, patrimonio genetico materno e paterno, e dialogo col corpo materno, sono incancellabili dalla nostra storia. O meglio, si possono cancellare come fa chi compra i figli, o il seme, o l’ovulo, ma non senza un prezzo altissimo da pagare, e tutto a carico dei bambini. Non basta che poi i genitori siano pieni di buona volontà e intenzionati ad amare questi bambini. Probabilmente molti dei violentatori della natura dei loro figli – quelli che li privano del padre, della madre, ma anche i genitori maschio e femmina che fanno l’eterologa – saranno genitori al meglio delle loro possibilità (sicuramente migliori di me), ma non sarà il meglio per quei bambini. Un bambino sente il battito della madre, ne riconosce la voce, le carezze, il latte (appena nato distingue un batuffolo imbevuto di latte della mamma da quello di un’altra donna). Un bambino ha bisogno del padre e di conoscere la propria storia, di cui è erede.

Un bambino non è un diritto anche se l’infertilità è ormai un problema generazionale, legato ai nostri stili di vita, come ha ricordato Daniela Bandelli, che sta conducendo uno studio su casi di maternità surrogata in vari paesi del mondo. Dell’orrore nascosto nei contratti che le madri surrogate firmano ha raccontato Jennifer Lahl, che è stata la prima a sollevare il velo sulle sofferenze che sconvolgono le vite di tante madri surrogate: dolore, malattia, morte, abbandono totale nel caso che le cose vadano male. Donne disperate: non tutte, ma molte, che a volte vagano anni all’affannosa (e vietata dai loro contratti) ricerca di notizie dei bambini che hanno portato in grembo, come ha raccontato Monica Ricci Sargentini, da sempre in prima fila in questa battaglia. Una delle poche giornaliste – con lei Paola Tavella, che era in sala – che racconta la verità su questo, mentre si permette che utenti dell’utero in affitto vadano in tv a parlare di quanto è bello essere genitori, senza che nessun collega abbia l’onestà di fare l’unica domanda che c’è da fare: quanto ha pagato per commettere quello che nel nostro paese è un reato?

Che qualcuno sveli una buona volta “di che lacrime grondi e di che sangue” la realizzazione di un desiderio che la natura non ha permesso di compiere.

Costanza Miriano               11 aprile 2019

https://costanzamiriano.com/2019/04/11/il-bambino-il-grande-assente-nel-dibattito-sullutero-in-affitto/#more-20600

 

Coppia gay. Da Venezia no a «due mamme», il caso va alla Corte Costituzionale

Al centro del caso la doppia maternità negata a due donne che hanno avuto un figlio con fecondazione assistita all’estero. Un altro caso a Bolzano. Quattro donne unite in due coppie vogliono essere dichiarate madri. E ottengono che la Consulta -, attraverso il vaglio di costituzionalità sulle leggi esistenti, ostacolo all’attuazione del loro desiderio -, esamini la loro richiesta. La prima ordinanza di remissione alla Corte, cioè il provvedimento con cui una magistratura territoriale pone una questione alla Consulta, è arrivata a Roma dal tribunale di Venezia, e verte sulla legge Cirinnà sulle unioni civili, voluta per riconoscere i legami affettivi tra persone dello stesso sesso, qui paradossalmente sospettata di discriminare proprio le coppie omosessuali che vogliono crescere dei bimbi come fossero loro figli. Il motivo? Non regolando il contenuto dell’atto di nascita di un bimbo ottenuto mediante la fecondazione eterologa o la maternità surrogata nell’ambito di una coppia omosessuale, la legge non realizzerebbe, così è scritto nell’ordinanza, “il diritto fondamentale alla genitorialità dell’individuo”.

Ma già il Parlamento, durante la discussione di questa legge, aveva preso in considerazione l’opportunità di ritenere giuridicamente possibile una genitorialità gay, e proprio all’esito dei lavori – dedicati anche alla cosiddetta stepchild adoption, ovvero l’adozione del figlio del partner – aveva ritenuto opportuno soprassedere.

Dal tribunale di Bolzano, invece, è arrivato alla Consulta il sospetto d’incostituzionalità della legge 40, che impedisce alle coppie formate da persone dello stesso sesso di accedere alla fecondazione eterologa. “Un divieto irragionevole e sproporzionato”, sostiene Alexander Schuster, il legale trentino che assiste le due donne protagoniste della vicenda. Eppure, un dato di natura si limita ad affermare la legge contestata: un bimbo può nascere solo dall’unione di un uomo e una donna, e con questi ha diritto di crescere. Principio però contestato dalle due ricorrenti, che insieme vorrebbero procreare: e mentre una può produrre ovociti, ma non può condurre la gravidanza, l’altra si trova nella situazione opposta.

Situazione diversa quella veneziana, dove invece un bimbo già esiste. Una donna l’ha partorito all’ospedale di Mestre, ma la fecondazione – tramite gli ovociti dell’altra e il seme di un anonimo donatore – era avvenuta a Copenhagen. Chiesto al Comune veneto di indicare il piccolo come figlio di entrambe, l’ufficiale di stato civile lo aveva iscritto solo quale figlio della donna che l’aveva partorito, con la postilla “nato dall’unione naturale con un uomo, non parente né affine”. Da qui, l’istanza al Comune per la rettifica dell’atto di nascita, il diniego dell’ente pubblico, il ricorso al tribunale. E adesso il ricorso alla Consulta.

Ancora non si sa quando verranno trattate le due questioni, ma un dato è certo: saranno destinate a intrecciarsi con un’attesissima pronuncia della Corte di Cassazione, a Sezioni unite, già discussa e in attesa di pubblicazione: quella che stabilirà una volta per tutte il regime giuridico dei bimbi nati all’estero, da ovociti comprati e un utero affittato, su commissione di coppie gay. Espatriate, ma solo temporaneamente, al solo fine di aggirare il divieto della legge 40.

Marcello Palmieri Avvenire                       12 aprile 2019

www.avvenire.it/famiglia-e-vita/pagine/due-coppie-di-donne-maternita-surrogata-e-figli

 

Provetta. Fecondazione eterologa: il mercato preme. Ma chi lo regola?

Il Governo recepisce la direttiva europea del 2012 con le condizioni per la circolazione di gameti umani, ma non risultano i limiti indispensabili. Intanto le cliniche private chiedono mano libera. Continuano in Italia le spinte per ampliare il mercato della procreazione medicalmente assistita (Pma) eterologa, cioè con gameti estranei alla coppia, e si fanno sempre più forti le pressioni per incoraggiare le donazioni anche con forme di pagamento per i “donatori”.

Le richieste esplicite finora non hanno funzionato: se si introducessero compensi per chi cede spermatozoi o ovociti, anche surrettiziamente con “indennità”, la prima conseguenza sarebbe estendere lo stesso criterio a donazioni salvavita come quelle di midollo e organi. Un percorso inaccettabile. E allora si procede con strade diverse. Per esempio, come accade ora, lanciando l’allarme per un presunto rischio di blocco dell’importazione di gameti a fine mese, dal 29 aprile: il messaggio è che, se non si riesce a importare dall’estero, bisogna trovare il modo di procurarsi i gameti in Italia. Ma le cose non stanno così.

Esiste una normativa europea recepita dall’Italia (Decreto Lgs. n.256 del 16 dicembre 2016) che impone che entro il 27 aprile 2017 – due anni fa – tessuti e cellule umani per uso clinico dovessero avere un codice identificativo valido nell’intera Ue, in certe condizioni e modalità. I gameti utilizzati per la procreazione medicalmente assistita (Pma) eterologa rientrano in questa norma, che ne garantisce la tracciabilità in Europa. Se i centri Pma non sono in grado di assegnare questo codice non possono importare gameti. E sono le ispezioni del Centro nazionale trapianti (Cnt) e delle Regioni a verificare che i centri siano conformi alla legge. La data limite per adeguarsi è quella di due anni fa, e la proroga al 29 aprile di quest’anno 2019 era il risultato di una interlocuzione interna fra Regioni e Ministero: non è scritta in alcuna legge.

Nel frattempo le ispezioni sono state effettuate. Due giorni fa il Cnt, in una lettera ai referenti regionali e ai centri Pma, ha reso noto che i centri ispezionati che hanno concluso l’iter di certificazione – e quindi a norma – sono 114, mentre solo una decina (tutti privati) nonostante siano stati visitati più volte sono ancora fuori norma per via di gravi carenze non ancora risolte. Altri centri hanno iter in corso che probabilmente si concluderanno a breve, e comunque nel frattempo potranno importare gameti tramite i centri già in regola.

Nessuna “emergenza eterologa”, quindi. Ma c’è un altro punto ancor più critico della Pma. Il 4 aprile 2019 il Consiglio dei Ministri ha approvato, fra l’altro, il regolamento di attuazione di una direttiva europea riguardante cellule e tessuti umani. È un provvedimento molto importante, che stabilisce anche i criteri per la selezione dei donatori di gameti nell’eterologa: sono normative europee che prima l’Italia aveva recepito solo in parte, perché l’eterologa era vietata. Va ricordato, però, che il provvedimento era pronto già da tre anni: dopo aver superato il vaglio del Garante della Privacy, del Consiglio superiore di sanità e della Conferenza Stato-Regioni, era misteriosamente bloccato alla Presidenza del Consiglio dal febbraio 2016, nonostante le numerose lettere di sollecito dell’allora ministro Lorenzin.

Adesso la procedura si è sbloccata, e il testo del provvedimento è stato anticipato dalla testata online Quotidiano Sanità. Se quello fosse effettivamente il testo finale ci sarebbe da preoccuparsi: rispetto a quanto già approvato dalle istituzioni di cui sopra, sarebbero stati eliminati infatti tre punti chiave. Il primo è relativo ai limiti di età dei donatori, che erano stati indicati in 18-40 anni per gli uomini e 20-35 per le donne, mentre adesso si parla genericamente di età come criterio, senza specificare.

Il secondo punto saltato sarebbe quella che potremmo chiamare “norma anti-incesto”: il testo precedente prevedeva che da un/una donatore/donatrice non potessero nascere più di dieci bambini. L’unica deroga prevista era per coppie in cui già ci fosse un nato da eterologa e i genitori volessero un altro figlio, fratello biologico del primo. Una norma di importanza fondamentale, quindi, voluta per eliminare il rischio di unioni inconsapevoli fra consanguinei: in Italia c’è un vuoto legislativo sul diritto a conoscere le proprie origini da parte dei nati da eterologa, che potrebbero ignorare per tutta la vita le modalità del loro concepimento. La legge 40 è silente, perché prevedeva solo la fecondazione omologa, e le normative europee parlano di anonimato di donatore e ricevente, ma nella Pma il ricevente è la madre e non il nato, che è una terza persona sul cui diritto a conoscere le proprie origini si è espresso solamente il Comitato nazionale per la bioetica, nel 2011.

Il terzo punto eliminato sarebbe il divieto di donazione di gameti fra parenti fino al quarto grado, con cui si voleva evitare che, inconsapevolmente, si utilizzassero gameti di consanguinei per l’eterologa, vista la maggiore probabilità in questi casi di trasmettere malattie genetiche.

Se il testo circolato è corretto, dunque, perché il Ministero della Salute avrebbe eliminato questi limiti, che hanno la loro ragion d’essere nella salute dei nati da eterologa?

                                            Assuntina Morresi        Avvenire         12 aprile 2019

www.avvenire.it/famiglia-e-vita/pagine/l-eterologa-tra-regole-e-mercato

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SESSUOLOGIA

Quando si considerava peccatore il marito che non dava abbastanza piacere a sua moglie a letto

La nostra Storia affonda le sue radici in un’epoca lontana lontana sorprendentemente poco lontana, nella quale l’umanità e la scienza cominciano a chiedersi: come nascono i bambini? Cioè. Capiamoci. Il concetto astratto che i bambini nascessero a seguito di un rapporto sessuale, era già chiaro e acquisito.

Altrettanto chiaro e acquisito era il concetto che, per far nascere un bambino, occorresse un rapporto sessuale consumato nella sua interezza, cioè (ehm. Da qui in poi, inizierò con le perifrasi pudiche) con emissione del seme maschile in vaso debito.

Terzo concetto che nessuno contestava, era quello per cui l’emissione del seme maschile avveniva quando (ehm. Altra perifrasi in arrivo) l’uomo raggiungeva l’acme del piacere sessuale.

            Fin lì, tutto chiaro, ‘nsomma. Il problema è che era molto nebuloso tutto il resto, e francamente non è poco. Restavano irrisolte domande anche importanti, tipo: come mai le donne restano incinte solo ogni tanto? Qual è la differenza tra un rapporto sessuale che genera vita e uno che invece si conclude in un “niente di fatto”? Dipende dall’uomo? Dipende dalla donna?

L’opinione comunque, guarda un po’, era che dipendesse dalla donna. Ma, una volta tanto nel corso della Storia umana, le donne si sono viste attribuire colpe immeritate… ma con conseguenze, tutto sommato, non sgradevoli.

            Gli scienziati hanno cominciato a fare questo ragionamento: ok, ci siamo resi conto che il piacere maschile è funzionale alla procreazione, perché si è notato empiricamente che il piacere maschile porta all’emissione del seme. Ma allora non è che, forse forse, anche il piacere femminile gioca un ruolo di pari importanza ai fini del concepimento? Ovvero: non è che le donne sterili che non riescono a concepire, sono tali perché non giungono al piacere, poverette?

            Che cosa succedesse, esattamente, nel corpo femminile, quando la donna provava piacere, era cosa difficile a capirsi (se non altro, per banali difficoltà… anatomiche). E se Aristotele aveva sostenuto con fermezza come l’unico responsabile della fecondazione fosse il seme maschile, Ippocrate e Galeno avevano invece enfatizzato l’importanza del piacere sessuale – indispensabile all’uomo per emettere il seme, ma indispensabile anche alla donna per “preparare l’utero a ricevere il fluido vitale”. Del resto, era anche un pensiero ragionevole. Se, nell’uomo, il piacere sessuale esiste per una finalità precisa, vuoi mica che gli dèi abbiano dato il piacere alla donna solo per non fare una discriminazione di genere?

            Enunciata con una certa decisione da Ippocrate e Galeno, questa convinzione resta in auge per un po’, poi cade nel dimenticatoio, poi ricomincia ad essere studiata… e, infine, viene riportata all’attenzione della comunità scientifica internazionale dal De re anatomica di Realdo Colombo, pubblicato nel 1559.

http://www.treccani.it/enciclopedia/realdo-colombo_(Dizionario-Biografico)

https://it.wikipedia.org/wiki/Realdo_Colombo

E il fatto che Realdo Colombo fosse archiatra pontificio è un dettaglio non da poco, per spiegare la vera e propria rivoluzione con cui, grazie alla sua opera, non solo la scienza, ma anche la Chiesa, cominciano a guardare la sessualità.

            Se un medico importante riporta in auge la teoria per cui il piacere femminile è indispensabile ai fini della procreazione, ne consegue che la ricerca del piacere durante il rapporto non è più lussuriosa libidine (e/o un desiderio tollerabile come male minore): no no, è proprio un preciso dovere cristiano e patriottico, sotto il punto di vista etico, morale e spirituale. Se non soddisfi tua moglie a letto, quella non ti resta incinta: orpo, amico, qui bisogna darsi daffare!

            L’opera più esplicita sul tema è il De sancto matrimonii sacramento disputationum tomi tres a firma di Tomás Sánchez, un gesuita spagnolo morto in odore di santità (ma mai dichiarato santo) all’inizio del ‘600. Pubblicato per la prima volta a Madrid nel 1605, ma presto divenuto un vero e proprio best seller ristampato in diversi luoghi d’Europa, il trattato parla di matrimonio… ma, soprattutto, parla di intimità coniugale. E, signori miei, ne parla in termini così dirompenti da far probabilmente arrossire molti dei teologi d’oggi!

https://it.wikipedia.org/wiki/Tom%C3%A1s_S%C3%A1nchez

Contestando aspramente quei Padri della Chiesa che avevano sostenuto come l’atto coniugale fosse necessariamente intriso di colpe a causa dello sfrenato piacere che vi si prova, Sánchez ribatte invece che esso è lecito, meritorio (gode, infatti, di dignità sacramentale) e addirittura doveroso (soddisfa, infatti, l’impegno che è stato preso sottoscrivendo il patto matrimoniale). E per quanto riguarda il godimento fisico che si accompagna al gesto, niente panico: del resto “il piacere non è male in sé, visto che la natura stessa sagacemente lo ha annesso all’atto al fine della procreazione […] così come ha posto piacere nel cibo, per la conservazione dell’individuo”.

Può darsi che sia la stessa cosa che v’ha detto anche il vostro prete quando avete fatto il corso prematrimoniale, solo che Sánchez è un prete della Controriforma, e, voglio dire, non ditemi che la cosa non vi stupisce neanche un po’. Ma Sánchez non si ferma qui. Va oltre.

In ossequio all’embriologia ippocratico-galenica per cui il piacere maschile e quello femminile concorrono in parti uguali alla generazione, Sánchez si dilunga in raccomandazioni (francamente, anche un po’ imbarazzanti) sull’importanza assoluta che i coniugi giungano entrambi a godere, e che, possibilmente, lo facciano anche nello stesso momento (un dettaglio che, secondo Ippocrate e Galeno, rende ancor più probabile la fecondazione). E, a quel punto, il testo di morale si trasforma in un vero e proprio manuale di educazione sessuale, pronto a sottolineare l’importanza di tutto quello che noi moderni definiremmo preliminari – preziosissimi nell’interesse del “coniuge più lento”, per dirla con le parole di Sánchez.

E il gesuita è molto netto nel sottolineare che, no, non è affatto un peccato per il marito agire in tal modo, anzi: è suo preciso dovere. Peccato, semmai, sarebbe il “considerar chiusa la questione” dopo aver goduto: al contrario “è obbligatorio continuare […] perché ciò serve alla completa consumazione da parte della moglie”.

            Sarà magari il caso di sottolineare, per una questione di correttezza storica, che tutto ‘sto interesse verso il piacere femminile nasceva a causa di una convinzione medica sbagliata: senza quello, niente bambini. Giusto per essere chiari, non è che Sánchez fosse un femminista ante litteram: è che, in base alle convinzioni mediche che andavano per la maggiore, evitare di… compiacere il partner era un po’ come usare un contraccettivo, se me la passate.

Ad ogni buon conto, penso che le donne dell’epoca seppero accettare con una certa filosofia una siffatta convinzione, ancorché sbagliata. Credeteci o no (mi rendo conto che una affermazione simile stoni parecchio, con la nostra idea preconcetta di un passato sessuofobo e atterrito dal piacere fisico) ma questa convinzione, con tutte le conseguenze del caso, continuò ad essere periodicamente tirata in ballo per diversi secoli della storia recente. Solo nell’Ottocento, quando fu scoperta l’ovulazione femminile, la comunità medica trovò finalmente consenso su cosa effettivamente rendesse fecondi alcuni rapporti e altri no, e su come effettivamente avvenisse il concepimento.

E quello, ehm, fu un giorno molto infelice per tutte le donne. E non lo dico a mo’ di battuta, la mia è una considerazione vera (o, quantomeno, condivisa da molti storici). Fu grossomodo in quel momento che la donna cominciò ad essere considerata come la parte “passiva” della coppia, quella parte per la quale l’intimità poteva anche essere un fatto noioso o addirittura un dovere spiacevole – tanto, la donna è fertile comunque, indipendentemente da tutto il resto. Mica c’è bisogno che sia contenta, o serena, o coinvolta.

Una affermazione che non avrebbe stonato affatto sulle labbra di un marito d’età vittoriana… ma che, fino a qualche secolo prima, sarebbe stata considerata imprudente, insensata, assurda.

            Una curiosità: se cercate informazioni su Internet, verrete a sapere che l’opera di Tomás Sánchez fu messa all’Indice dei Libri Proibiti. Il che è vero. Ma è sbagliata la motivazione che su Internet va per la maggiore: non è affatto vero che il De sancto matrimonii fu messo all’Indice a causa delle teorie troppo progressiste dell’autore. No, anzi: papa Clemente VIII aveva pubblicamente elogiato l’opera e i suoi contenuti. Ad essere messa all’Indice fu una riedizione postuma del trattato, pubblicata a Venezia nel 1614 (quattro anni dopo la morte del Sánchez), in cui l’editore – su richiesta del governo della Repubblica veneta – aveva eliminato un paragrafo in cui l’autore sosteneva il diritto della Chiesa a legittimare i figli illegittimi, a prescindere dall’intervento o dalla volontà dell’autorità civile. Questa “censura” di natura politica fece infuriare il papa e determinò, per l’appunto, nel 1627, la messa all’Indice del terzo volume di quell’edizione veneziana. Ma nulla più, e nulla che non sia stato causato da questa specifica ragione.

Vi pare strano? Non credete a una singola parola di quanto avete letto?

Oh, non sono pazza eh: questo articolo è ovviamente documentato. E, come molti altri sullo stesso tema, arriva a voi grazie al meraviglioso, esilarante, sorprendente saggio Due in una carne. Chiesa e sessualità nella Storia a cura di Margherita Pelaja e Lucetta Scaraffia, recentemente ripubblicato nella catena Economici Laterza. Se avete un interesse verso la Chiesa, verso la Storia (o anche solo, ehm… verso la sessualità), non lasciatevelo scappare. Trecento paginoni che volano via in un soffio, perfetti per farvi ridere fino alle lacrime, stupirvi fin nel midollo e farvi mettere in discussione tutte quelle strane idee preconcette che ci portiamo addosso riguardo al nostro passato. Molto meno tristo e buio di quanto si potrebbe immaginare!

Lucia, archivista storica          “penna spuntata”       2 aprile 2019

com/2019/04/02/piacere-femminile-chiesa

https://unapennaspuntata.com/author/unapennaspuntata

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SINODALITÀ

Sinodalità è camminare e decidere insieme nella Chiesa

Convegno a Padova, venerdì 12 aprile 2019, promosso da sei Facoltà teologiche italiane e dall’Istituto universitario Sophia per rilanciare l’idea di una sinodalità espressione viva di diversità e unità nella Chiesa. Intervista al teologo Riccardo Battocchio.

 “Una Chiesa di fratelli e sorelle che camminano e decidono insieme” è il tema del Convegno sulla Sinodalità, organizzato a conclusione di un progetto di ricerca durato tre anni, che ha indagato sulla dimensione e sulle pratiche sinodali nella Chiesa di oggi, alla luce degli insegnamenti del Concilio Vaticano II, rinnovati dai segni dei tempi e in risposta ai tanti impulsi arrivati da Papa Francesco a cogliere sempre la dimensione unitaria di fede e missione nelle diverse espressioni di vita ecclesiale.

Una dimensione costitutiva della Chiesa. Uno studio che ha rivelato un patrimonio di pensiero ed esperienze sinodali che sono dimensione costitutiva della Chiesa, come spiega don Riccardo Battocchio, direttore del biennio di specializzazione della Facoltà teologica del Triveneto, che ospiterà l’incontro, coordinatore della ricerca, che ha coinvolto una ventina di studiosi di sei Facoltà teologiche:

In tempi d’incertezze e inquietudini – politiche, sociali, culturali – che stanno caratterizzando il terzo millennio non avete temuto di registrare divisioni piuttosto che unità nella vita della Chiesa?

R. – La sinodalità della Chiesa non implica un accordo pacifico su tutti gli ambiti, su tutti i temi. È proprio la diversità, sono proprio le tensioni – che sono presenti anche nella vita della Chiesa – a richiedere un confronto un dialogo, cammini comuni per giungere a quel consenso, che non si identifica con un accordo unanime, un pensare tutti allo stesso modo, ma ad un sentire assieme cosa oggi la Chiesa è chiamata ad essere e come è chiamata a svolgere la sua missione. Quindi le tensioni fanno parte di un corpo vivo qual è la Chiesa, che registra anche le tensioni che sono presenti nella società, nella comunità degli uomini – non può sentirsi estranea – le vive, cercando di contribuire con quel dono che è la comunione ricevuta dallo spirito di Gesù Cristo, per far sì che anche la comunità degli uomini possa vivere le tensioni in maniera non distruttiva.

            Nel manifesto del Convegno troviamo cinque parole: decisione, consenso, rappresentazione, partecipazione, formazione.

R. – Sì, parole che sono emerse come indicative di compiti, strade da percorrere. Non sono parole che vogliono risolvere la questione sinodalità, ma che parlano di temi ancora meritevoli di approfondimento e lavoro. Penso al tema della ‘decisione’, che sta al cuore del Convegno, perché si cammina assieme, cioè sinodalmente per giungere ad un ‘consenso’, cioè ad una decisione condivisa in ordine alla missione della Chiesa. E ci si chiede come il popolo di Dio, nelle sue diverse articolazioni, partecipa a questa decisione. E qual è il compito dei pastori, di chi ha un’autorità specifica nella Chiesa rispetto alla decisione che nasce da un confronto, da un dialogo fra i diversi soggetti e le diverse anime nella Chiesa. Poi c’è il tema della ‘rappresentanza’, piuttosto complesso perché ha degli antefatti di tipo simbolico, filosofico, ma anche di portata giuridica. Cosa significa rappresentare? In che senso? Ad esempio, un vescovo rappresenta la sua Chiesa ed i membri del Consiglio pastorale diocesano, parrocchiale rappresentano le realtà ecclesiali da cui provengono? È una dinamica che va approfondita, che già è stata molto studiata negli scorsi decenni, ma merita di essere ripresa in questa prospettiva più ampia. Quindi si pone il tema della ‘partecipazione’, perché la rappresentanza reale presuppone una reale partecipazione alla vita della Chiesa e di coloro che sono rappresentati. Quindi, cosa significa partecipare alla vita della Chiesa? Non è solo chi ha un servizio specifico o chi appartiene a strutture, organismi, associazioni, movimenti che partecipa alla vita della Chiesa. Basti pensare che il momento più alto di questa partecipazione è la celebrazione dell’Eucarestia. Ecco il tema della ‘formazione’ perché formare ad una partecipazione piena, consapevole, attiva alla celebrazione dell’Eucarestia significa anche formare alla sinodalità.

            Che cosa fare ora della ricchezza di questa indagine ‘sul campo’?

R. – Noi registriamo una sintonia da parte di molte realtà ecclesiali manifestata anche dall’alto numero di partecipanti al convegno: a tutt’oggi, gli iscritti sono 420, un numero più alto di quello che prevedevamo all’inizio. Si tratta quindi di valorizzare questa sensibilità, di dare anche contenuti formalmente identificabili a parole che quando vengono ripetute troppo spesso rischiano di perdere la loro pregnanza, di essere svuotate. Vorremmo, in fondo, cercare di mostrare come quel bell’inno alla sinodalità che il cardinale Bassetti ha proposto aprendo i lavori del Consiglio permanete della Cei, lo scorso il primo aprile, abbia un fondamento, dei contenuti. Non è solo l’evocazione di ideali, di atteggiamenti interiori, ma si manifesta attraverso scelte che coinvolgono poi la prassi della Chiesa. Questo è ciò che vorremo provare a consegnare alla comunità ecclesiale, mostrando che è possibile – anche tra soggetti diversi – lavorare assieme.

Roberta Gisotti – Città del Vaticano                       Vatican news 9 aprile 2019

www.vaticannews.va/it/chiesa/news/2019-04/sinodalita-camminare-decidere-insieme.html

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UNIONE CONSULTORI ITALIANI PREMATRIMONIALE E MATRIMONIALI

Beppe Sivelli: “Attraversare la vita”

Il past Presidente dell’Ucipem Beppe Sivelli (2003-2011) continua la sua molteplice attività professionale di psicoterapeuta e negli impegni accademici. Come visiting professor ha tenuto e tiene corsi e seminari in varie università italiane ed estere. È autore di una cinquantina di pubblicazioni. Attualmente è attivo nello Studio di Psicodramma a Parma, di conferenziere (1 giugno 2019, Vicenza: Incontro Commissione Sofferenza Psicologica “Ti ascolto, mi conosco. Io volontario: viaggio nei sentimenti che l’ascolto dell’altro suscita in me”), di saggista.

L’ultima sua fatica è un agile testo, edito da Nerbini nel 2019 “Attraversare la vita”. Un intreccio di storie, alcune tratte dall’esperienza, altre dalla fantasia, che forniscono pensieri, suggerimenti e spunti di riflessione. Storie raccolte secondo quattro modalità complementari e necessarie per vivere pienamente: Esistere, cioè saper vivere la contraddizione; Osare, che vuol dire risvegliarsi e mettersi in viaggio; Sperare nel futuro; e Attraversare, cioè calarsi appieno nella propria esistenza, incontrando e accogliendo chi ci sta intorno.”

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WELFARE

Sono nidi e materne che aiutano la famiglia

Negli scorsi decenni, nelle economie sviluppate, si sono verificate profonde trasformazioni economiche, demografiche e sociali che richiedono un ripensamento delle politiche verso la famiglia, in particolare verso quelle famiglie in cui vi è una crescente necessità di partecipazione delle donne al mercato del lavoro. La conciliazione tra famiglia e lavoro comporta un aumento della domanda di prestazioni di natura assistenziale e sociale.

            In passato, è stato fondamentale il ruolo della solidarietà familiare e parentale per l’organizzazione del benessere familiare. Nelle moderne economie, però, lo Stato sociale non può fare affidamento solo sul fondamentale ruolo svolto dal tradizionale sistema di cura familiare, lasciando quasi esclusivamente alle famiglie (alle donne in particolare) l’onere della cura di anziani e bambini. L’invecchiamento demografico, con gli anziani “che diventano sempre più anziani”, comporta che si possa fare sempre meno affidamento sul loro contributo. In realtà, per questa ed anche altre cause, si sta sempre più indebolendo il ruolo svolto dalle relazioni intergenerazionali di parentela nelle tradizionali relazioni di solidarietà familiare.

            Le politiche familiari hanno importanti implicazioni economiche, dovendo offrire pari opportunità di crescita e di sviluppo alle nuove generazioni.  Lo sforzo per crescere i futuri adulti non grava allo stesso modo su tutte le famiglie. I costi privati per la crescita dei bambini possono tradursi in un forte onere economico per molte famiglie. Vi è, pertanto, la necessità di un sostegno pubblico al lavoro di cura dei bambini, che è la risultante di una combinazione del ruolo dello Stato, del mercato e della famiglia.

            In una situazione demografica e sociale in rapida trasformazione, con flessione della natalità e modifiche alla struttura dei nuclei familiari, è necessario rafforzare il sostegno ai carichi familiari, che deve riguardare, non solo il sostegno diretto (assegni familiari e agevolazioni fiscali), ma anche quello indiretto (prestazioni gratuite o a prezzo ridotto di servizi pubblici).

            Gli assegni familiari consistono in prestazioni a sostegno del reddito principalmente di famiglie di lavoratori dipendenti e pensionati, erogate sulla base di una specifica situazione reddituale della famiglia e del numero dei componenti del nucleo familiare. Si tratta di un tipo di prestazioni nel complesso poco efficace, ma che intercettano le famiglie a basso reddito ed a bassa o nulla tassazione.

            Rilevante è anche il problema della integrazione del sistema di sicurezza sociale di sostegno dei carichi familiari con il sistema tributario. Esiste un problema di scelta del soggetto passivo per la tassazione dei redditi. Si potrebbe prendere in considerazione il sistema del cosiddetto “quoziente familiare”, introdotto in Francia negli anni ’50, per incentivare le nascite. Questo sistema è basato sulla constatazione che il nucleo familiare con figli a carico va incontro a maggiori oneri rispetto ad un nucleo senza figli, per cui, come compensazione, gli spetta un vantaggio fiscale. Il metodo di calcolo di questo vantaggio consiste nel sommare i redditi dei due coniugi, dividendolo (con alcuni correttivi) per il numero dei componenti del nucleo familiare. In tal modo, a parità di reddito, più grande è la famiglia, minore sarà la base imponibile, e, quindi, la pressione fiscale.

            Va considerato, inoltre, che la famiglia sopporta i maggiori oneri specie nei primi anni di vita dei figli, quando più elevato è l’ammontare di tempo e di risorse da dedicare alla loro cura, e minore è l’offerta di servizi pubblici integrativi delle cure familiari. L’attuale insufficienza di strutture finanziate da risorse pubbliche può essere solo in parte (molto limitata) compensata dalla presenza di servizi privati, che, per l’elevato costo, si dimostrano poco accessibili per molte famiglie.

            Pertanto, appaiono indispensabili forme di incentivazione e il finanziamento statale obbligatorio di asili nidi (per bambini fino a tre anni) e di scuole materne (per bambini da 3 a 6), a livello di tutti i comuni, sia con funzioni di custodia (specie nel caso di madri che lavorano), sia con funzioni educative (specie nei casi di carenze culturali familiari). L’intervento pubblico dovrebbe essere unificato e generalizzato, attribuendo allo Stato l’obbligo del finanziamento, ma lasciando la gestione a livello locale, con spazio per iniziative anche di natura non-pubblica, ma operanti dietro riconoscimento e sotto la vigilanza dello Stato.

            Asili nido e scuole materne dovrebbero essere istituiti in modo generalizzato e gratuito, lasciando alle famiglie la libera scelta della frequenza per i loro bambini. Riguardo al costo, si dovrebbe tener conto che le generazioni future beneficiano dei redditi futuri dei bambini. La tassazione delle future generazioni socializza e giustifica molti dei benefici conferiti ai bambini delle generazioni attuali. Tutti i futuri cittadini di uno Stato si gioveranno dei benefici dei futuri adulti attraverso le imposte da questi pagate.

Alfonso Barbarisi      “politica insieme”                  4 aprile 2019

 

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Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità (D.lgs. 26 marzo 2001, n. 151), aggiornato, da ultimo, con le modifiche apportate dalla L. 30 dicembre 2018, n. 145.

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