NewsUCIPEM n. 748 – 7 aprile 2019

NewsUCIPEM n. 748 – 7 aprile 2019

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02 ABORTO                                                       La forza della famiglia è quella di cambiare

02 ADOZIONE INTERNAZIONALE              Adozione internazionale. Quei miti duri a morire sul calo.

03                                                                          Griffini: governo risolva lo stallo o i bambini ne faranno le spese.

04                                                                          Una Giornata Mondiale del Figlio. La sfida di Ai.Bi. alla politica.

04                                                                          19 punti mozione Bellucci per rilancio adozione internazionale.

06 AMORIS LÆTIZIA                                      Sostanza e il metodo: la tradizione che cammina e il decalogo di AL

09 ASSEGNO DIVORZILE                              Deve tenere conto anche del Tenore Di Vita in “senso lato”.

11 ASSOCIAZIONI-FEDERAZIONI              Europa: famiglia risorsa politica. Manifesto Fafce per le elezioni Ue

12 CENTRO INTERN. STUDI FAMIGLIA   Newsletter CISF – n. 13, 3 aprile 2019.

14 CHIESA CATTOLICA                                  Celibato. Una legge da cambiare?

17                                                                          “Il Papa parla la lingua della laicità. La Chiesa lo segua”

18                                                                          Scandali nella chiesa! E dopo?

19 COMM.ADOZIONI INTERNAZ.             CAI verifica i requisiti di idoneità degli enti accreditati.

19 CONFERENZA EPISCOPALE ITAL.        Card. Bassetti. Il respiro della sinodalità.

20                                                                          Consiglio Permanente. Per la dignità di ogni persona.

20                                                                          I cristiani sono sinodali.

21                                                                          Quando manca la sinodalità, riusciamo a dividerci su tutto.

21                                                                          Famiglia: non si resti sordi alle domande di sostegno.

22 CONGEDO                                       Congedo papà: 10 giorni pagati come la malattia

23 CONSULTORI UCIPEM                            Massa. Disabilità: la diversità di ognuno per l’accoglienza di tutti

23                                                       Portogruaro. Incontri “la rabbia e la paura: come gestirle”.

23                                                                          Trento. Oltre 5.600 gli accessi al servizio nel solo 2018.

24 CONVEGNI – SEMINARI                        WCF Verona. Famiglia e vita: un rapporto indissolubile.

27                                                                                          Tutela della vita: l’importanza della prevenzione.

29                                                                                          La legge 194 non prevede solo l’ivg: applichiamola tutta.

30 DALLA NAVATA                                         5° Domenica di Quaresima – Anno C – 7 aprile 2019

30                                                                          Il Signore apre le porte delle nostre prigioni  

30 DIRITTI                                                          Bruxelles, Forum europeo sui diritti dei bambini.

31 DONNE NELLA CHIESA                            Pro-Vocati dal Vangelo. Gesù e le donne.

32                                                                          La donna e il ministero sacerdotale.

33                                                                          La Chiesa e il femminile: indicazioni per una possibile riforma.

35 FAMIGLIA                                        Mai stato bambino. I tanti martiri innocenti di famiglie sbagliate.

36 FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI    Famiglia. Natalità, un assegno piatto per tutti. Proposte a Di Maio.

37 FRANCESCO VESCOVO DI ROMA       “Christus vivit”: Esortazione Apostolica post-sinodale ai Giovani.

44 GENITORI                                                     Il padre detenuto non perde la responsabilità genitoriale

45 GOVERNO                                                   Il nuovo Manuale dei servizi educativi per l’infanzia.

45 MISNA                                                          Online il manuale per tutori dei minori stranieri non accompagnati

46 PATERNITÀ                                                  La paternità dei nuovi padri.

48 RESIDENZA                                                  Residenza abituale: Convenzione dell’Aja VS codice penale.

50 SEPARAZIONE                                            Separazioni e divorzi di coppie internazionali residenti in Italia.

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ABORTO

La forza della famiglia è quella di cambiare

«Se ci fosse una cultura che riflettesse gli interessi veri delle donne, l’aborto non esisterebbe affatto. Invece è diventata una bandiera, anche se misera, per rivendicare un minimo di libertà in un mondo di proibizioni e limitazioni. Una bandiera stracciata, da schiave. Una bandiera dolorosa che comporta una violenza contro il loro stesso corpo e l’interruzione di un progetto di vita».

Lo scrivevo anni fa, e lo ripeto ogni volta che si cerca di criminalizzare le donne perché rivendicano la libertà di gestire il proprio corpo. Nessuna donna ama abortire e il solo modo di eliminare l’aborto è creare una alternativa: ovvero una maternità responsabile. Poiché l’aborto, proibito dall’alto va sempre a finire nell’inferno della clandestinità, con tutti gli orrori che ne conseguono. Ma cosa hanno fatto i moralisti di ieri e di oggi per aiutare le donne a raggiungere una maternità consapevole? Niente. Anzi hanno proibito in tutti i modi l’uso degli anticoncezionali. Hanno rifiutato in partenza ogni progetto di educazione alla sessualità nelle scuole. Secondo i moralisti ogni figlio concepito deve nascere, a prescindere dalla volontà della madre. La vita è sacra, si grida.

Salvo poi lasciare che i bambini affoghino in mare in seguito alla chiusura di porti e frontiere. La prima preoccupazione di qualsiasi governo è sempre stata quella di stabilire delle regole sul corpo delle donne. Da qui l’emanazione di leggi e regolamenti, spesso fissati con disprezzo per i sentimenti, la volontà delle donne stesse, su accoppiamento, concezione, gravidanza e parto. Ma, rispetto alla famiglia «naturale» che si invoca, ricordiamoci che in natura il più grosso mangia il più piccolo, il più forte schiavizza il più debole, le madri si accoppiano con i figli — succede in tutti gli animali, anche i più simili all’uomo, i padri con le figlie, i fratelli con le sorelle. In natura non esiste morale che non si identifichi con la conservazione della specie. Se per morale umana intendiamo invece leggi che una società si costruisce per vivere meglio insieme, evitando le grandi ingiustizie, punendo i trasgressori e aiutando i più deboli, certo la morale non è un prodotto della natura, ma una squisita e spesso utopistica prassi che l’uomo avoca a sé considerandosi superiore agli animali. La famiglia è una creazione storica come altre istituzioni, e ha la grande forza di cambiare secondo i cambiamenti dell’epoca. Rifiutare i cambiamenti reali è pura ideologia reazionaria.

 Dacia Maraini           “Corriere della Sera”          2 aprile 2019

www.corriere.it/opinioni/19_aprile_01/forza-famiglia-quella-cambiare-e63e3c28-5487-11e9-a9e2-a0d1446d1611.shtml

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ADOZIONE INTERNAZIONALE

Verona. Adozione internazionale. Quei miti duri a morire sul calo

L’intervento del presidente di Ai.Bi. – Amici dei Bambini, Marco Griffini, sulle adozioni internazionali in occasione del XIII Congresso Mondiale delle Famiglie di Verona, continua a far parlare. Durante il Convegno di Verona il presidente Ai.Bi. ha presentato la Carta dei diritti degli OFC (Out of Family Children) composta da otto punti, il primo dei quali è il “diritto di essere accolto in una famiglia costituita da un padre e da una madre”.

            Lo speech del presidente di Ai.Bi. ha però aggiunto brace al fuoco della polemica nella maggioranza di Governo tra Lega e Movimento 5 Stelle degli ultimi giorni, proprio sul tema delle adozioni. Una polemica che era comunque pronta a esplodere dopo la remissione delle deleghe da parte del ministro della Famiglia, Lorenzo Fontana e che è poi proseguita con gli interventi dell’ex presidente della CAI – Commissione Adozioni Internazionali, Carlo Giovanardi e dei senatori Quagliariello e Gasparri.

            Questi hanno indicato nella paralisi delle attività della stessa CAI, generata dalle divergenze ideologiche in seno all’attuale maggioranza, la concausa, insieme alle disastrose gestioni dei governi a guida PD, del drammatico calo delle adozioni internazionali in Italia. Paese che, comunque, continua a essere il primo in Europa e il secondo nel mondo, dopo gli Stati Uniti, per numero di bambini adottati. Ecco perché non può che preoccupare il calo del 73,5% nell’ultimo decennio, certificato dal rapporto della CAI “Dati e prospettive nelle adozioni internazionali”.

            La maggior parte dei bimbi accolti in Italia arriva dall’Europa (Russia, la Polonia e la Bulgaria). Seguono subito dopo l’Asia (Cina, India e Vietnam), le Americhe (Colombia, Cile e Brasile) e l’Africa (Etiopia, Congo e Burkina). Le normative italiane prevedono l’adozione da parte di coppie sposate, con deroghe solo per casi particolari.

Non è però certamente questo a frenare le adozioni. E neppure, come invece spesso si sente dire, la “scarsità” di bimbi da adottare all’estero. “In realtà il problema – spiega il presidente di Ai.Bi. – Amici dei Bambini, Marco Griffini – è più complesso. Ci sono problemi di natura culturale, come il fatto che in molti Paesi si ritenga indispensabile solo il diritto di vivere con la famiglia d’origine ma non quello di vivere comunque in una famiglia stabile in assenza della prima. Tuttavia le misure di protezione alternative alla famiglia di origine non possono essere tutte considerate sullo stesso piano, perché la vita prolungata all’interno delle comunità educative non restituisce ai minori la condizione di figlio né la necessaria stabilità affettiva. Affermare che il problema sarebbe l’adozione dei single è strumentale, la vera emergenza è il rendere adottabili i milioni di bambini che, nel mondo, sono senza una vera famiglia. Per fare questo l’attività diplomatica di un organo come la CAI è fondamentale. La sua paralisi, proprio per questa sua peculiarità, è inaccettabile”.

News Aibi       3 aprile 2019

www.aibi.it/ita/verona-adozione-internazionale-quei-miti-duri-a-morire-sul-calo

 

Griffini (Ai.Bi.) a L’Occidentale: “Governo risolva lo stallo o i bambini ne faranno le spese”

La ragione del drammatico calo delle adozioni internazionali in Italia? Non è la carenza di bambini o la scarsa disponibilità delle famiglie italiane, ma l’assenza di una politica estera in grado di favorire accordi bilaterali con i Paesi d’origine dei minori. Lo ribadisce, ancora una volta, dopo lo scontro degli ultimi giorni all’interno del Governo gialloverde proprio sul tema delle adozioni internazionali, Marco Griffini, presidente di Ai.Bi. – Amici dei Bambini, nel corso di un’intervista a L’Occidentale.

            “Il motore del meccanismo delle adozioni internazionali – ha spiegato Griffini nell’intervista con il giornale online – è la CAI, la Commissione Adozioni Internazionali oggi presieduta direttamente dal premier Conte. Parallelamente però il ministro Fontana ha le deleghe alla sensibilizzazione allo sviluppo delle adozioni. Una anomalia e un doppio ruolo causato dallo scontro con il sottosegretario Spadafora che sta provocando uno stallo totale“.

            Ovviamente tra le concause della situazione c’è anche la lite tra le due forze di maggioranza, Lega e Movimento 5 Stelle, ma non solo, e Griffini lo dice chiaramente. “La lite tra Lega e 5 Stelle – prosegue Griffini – lite della quale l’ultimo scontro è solo la punta dell’iceberg, ha peggiorato una situazione già gravemente compromessa dalla gestione di Silvia Della Monica come presidente CAI. Bisogna partire da un dato: che la crisi delle adozioni internazionali sia causata dalla carenza di bimbi è uno stereotipo sbagliato. Ricordo che durante i Governi di centrodestra, mentre negli Stati Uniti, Francia e Spagna le adozioni diminuivano, dal 2006 al 2011 l’Italia risaliva costantemente fino al 2011 quando, durante la presidenza CAI di Carlo Giovanardi, si arrivò a oltre 4.000 adozioni all’anno. Dopo il 2012 il crollo: l’anno scorso abbiamo chiuso con appena 1.380 adozioni. Fino al 2012 l’Italia era il Paese che aveva stipulato più accordi bilaterali unici, penso alla Bielorussia e alla Cambogia, accordi frutto di un’azione diplomatica e di una concreta disponibilità delle famiglie ad accogliere bimbi anche in difficoltà o non più neonati. Ebbene, con Riccardi la situazione peggiorò fino ad arrivare alla gestione di Silvia Della Monica durante la quale la CAI non si è mai riunita, con Paesi che attendono risposte da anni alla richiesta di accordi“.

            Le speranze ora sono riposte in una risoluzione dello stallo, soluzione che il vicepremier Matteo Salvini ha promesso di cercare e che secondo Griffini è ormai divenuta “indispensabile perché di questo scontro tutto politico all’interno del Governo ne fanno le spese i bambini e le famiglie. Sono sette anni che non si apre un accordo con un Paese nuovo e, nonostante la nostra richiesta di apertura a 15 Paesi, nessuna è stata autorizzata. Basti pensare che un Paese come la Colombia che è secondo al Mondo dopo la Russia per numero di bambini dati in adozione, ha chiesto all’Italia un aiuto nel programma delle vacanze preadottive: la Commissione è da due anni che ha la richiesta sul tavolo, ma non ha ancora risposto“.

            Eppure per l’adozione internazionale ci sarebbe spazio. Eppure le potenziali famiglie adottive pronte ad accogliere sarebbero numerose. I numeri li snocciola ancora Griffini, sempre nell’intervista: “In Italia ci sono cinque milioni di famiglie sposate senza figli e le stime ci dicono che tre milioni non hanno figli perché sterili. Forse molti di questi coniugi vorrebbero diventare padri e madri, ma non iniziano il percorso perché spaventati dal meccanismo della adozione internazionale. L’Italia è l’unico Paese nel quale la coppia che si rende possibile ad adottare un bambino deve essere giudicata da un tribunale dei minorenni, mentre i protocolli operativi regionali stabiliti dalla legge sono realtà solamente in Veneto e Friuli. Questi sono gli scogli allo sviluppo della adozione internazionale. Non certo la carenza di bambini bisognosi di una famiglia

News Ai. Bi. 4 aprile 2019

www.aibi.it/ita/adozione-internazionale-griffini-ai-bi-a-loccidentale-governo-risolva-lo-stallo-o-i-bambini-ne-faranno-le-spese

 

Dopo Verona una Giornata Mondiale del Figlio. La sfida di Ai.Bi. alla politica

“Bisogna istituire una giornata mondiale del figlio, per rafforzare la coscienza sociale sulla esistenza del diritto di tutti i minorenni di crescere in una famiglia in grado di dargli felicità, amore e comprensione. La politica italiana se ne faccia portavoce presso le istituzioni sovranazionali”. Lo ha ribadito il presidente di Ai.Bi. – Amici dei Bambini, Marco Griffini, rilanciando la proposta fatta domenica dal palco del XIII Congresso Mondiale delle Famiglie di Verona.

            A 30 anni dall’approvazione della Convenzione dell’ONU di New York sui diritti dell’infanzia c’è ancora una domanda che è rimasta senza risposta: quanti sono oggi, nel mondo, i minori abbandonati, quelli che vivono senza una famiglia? Impossibile rispondere: non è mai stata condotto un monitoraggio da parte delle Organizzazioni Internazionali sullo stato di abbandono dell’infanzia nel mondo.

            “C’è un dato impressionante – spiega il presidente Griffini – evidenziato dall’unico, ad oggi, rapporto pubblicato dall’ONU, nel 2009, sullo stato di adozione dei minori abbandonati in tutti i paesi del mondo: ogni anno, fra adozioni nazionali e internazionali vengono adottati solo 260mila minori. Quindi, poco meno di 12 bambini ogni 100mila persone. L’adozione resta un evento raro, nel mondo, e l’abbandono dei minori un dramma senza risposte”.

 “Un esempio? – prosegue il presidente di Ai.Bi- Per dare una famiglia solo ai minori rimasti orfani di entrambi i genitori a causa dell’AIDS, servirebbe incrementare le adozioni, nel mondo, di 60 volte. Ne occorrerebbero, cioè, 16 milioni!”.

            Nonostante ciò, molti Paesi riconoscono formalmente solo il diritto di vivere con la famiglia d’origine, ma non quello di vivere comunque in una famiglia stabile in assenza della prima. “Tuttavia – aggiunge Griffini – le misure di protezione alternative alla famiglia di origine non possono essere tutte considerate sullo stesso piano, perché la vita prolungata all’interno delle comunità educative e delle famiglie affidatarie non restituisce ai minori la condizione di ‘figlio’ né la necessaria stabilità. Nel ‘superiore interesse del minore’ è necessario rendere maggiormente chiaro l’obbligo comune a tutti gli adulti e agli Stati di garantire a tutti i bambini e ragazzi il diritto ad uno sviluppo equilibrato della loro personalità e di raggiungere il massimo del loro potenziale senza essere condannati per anni al precariato affettivo delle misure alternative”.

News Aibi       4 aprile 2019

www.aibi.it/ita/adozione-internazionale-dopo-verona-giornata-mondiale-figlio

 

I 19 punti della mozione Bellucci (Fratelli d’Italia) per il rilancio della adozione internazionale

Passare dalla cultura della selezione delle coppie all’accompagnamento, idoneità amministrativa e non più giudiziaria, autorità regionali, eliminazione decreti vincolati, abolizione dei pagamenti in contanti, bilanci certificati enti autorizzati.

            Sono 19 i punti della mozione, presentata dalla parlamentare di Fratelli d’Italia Maria Teresa Bellucci, che se approvata impegnerebbe il Governo a varare un provvedimento destinato a cambiare radicalmente il volto dell’adozione in senso lato, ma anche e soprattutto dell’adozione internazionale.

https://aic.camera.it/aic/scheda.html?numero=1/00142&ramo=CAMERA&leg=18

            La mozione presentata dalla deputata romana, capogruppo in Commissione Affari Sociali e in Bicamerale Infanzia e Adolescenza proprio per Fratelli d’Italia, ha il pregio di iniziare a mettere un punto fermo e risolutivo nella diatriba, dai risvolti addirittura ridicoli, scatenata in questi giorni tra, da un lato, il premier Giuseppe Conte e il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Vincenzo Spadafora e, dall’altro, il vicepremier Matteo Salvini e il ministro della Famiglia, Lorenzo Fontana, su chi fosse la competenza della CAI – Commissione Adozioni Internazionali. Una diatriba che rischia di pregiudicare il funzionamento di un organo fondamentale per le adozioni internazionali, soprattutto per la sua funzione diplomatica che, senza una guida certa, rimane in una condizione di stallo.

            Al riguardo la mozione della Bellucci è invece chiara nel voler garantire il regolare funzionamento della Commissione per le Adozioni Internazionali, attraverso l’attribuzione della presidenza al ministro della Famiglia in luogo del presidente del Consiglio dei Ministri.

            “In Italia – ha dichiarato la Bellucci – sembra che le procedure di adozione vengano ostacolate, anziché favorite. In qualità di capogruppo in Commissione Affari Sociali e in Bicamerale Infanzia e Adolescenza per Fratelli d’Italia, quindi, ho ritenuto essenziale depositare una Mozione d’Aula e una Risoluzione in Commissione XII Affari Sociali della Camera per chiedere al Governo di efficientare e semplificare l’iter per adottare minori. Negli ultimi 10 anni, la disponibilità delle coppie ad adottare ha subito una drammatica diminuzione del 47%, che assieme al tasso di natalità, oggi, in Italia, di 1,34 per donna, tra gli ultimi in Europa, evidenzia una Nazione in cui è un miraggio fare famiglia. La politica non può restare indifferente e per questo Fratelli d’Italia, attraverso la presentazione della mozione e della risoluzione, offre la giusta attenzione e propone soluzioni concrete per sostenere quei “genitori del cuore” pronti ad accogliere un bimbo in difficoltà e bisogno delle giuste cure, sempre nel superiore interesse del minore, sancito anche dalla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo”.

            Nello specifico, la mozione impegnerebbe il Governo:

1)      A promuovere campagne di informazione e sensibilizzazione a livello nazionale in materia di adozione, e campagne specifiche tra i medici di base, i ginecologi e i consultori familiari così da poter informare le coppie su tale forma di genitorialità;

2)      A prevedere specifici programmi di accompagnamento e supporto delle coppie durante tutto il percorso adottivo e post-adottivo, sia nazionale che internazionale, facendo in modo che la valutazione delle coppie disponibili ad adottare lasci spazio alla loro formazione in materia di genitorialità adottiva;

3)      A riconoscere alle famiglie adottive, a conclusione dell’iter necessario, un supporto economico per ogni adozione internazionale sulla base delle spese sostenute dai genitori adottivi per l’espletamento delle procedure di adozione di minori stranieri.

4)      A garantire che la banca dati dei minori adottabili e delle coppie disponibili all’adozione sia attivata quanto prima in tutti i Tribunali per i Minorenni del territorio nazionale, e che i relativi dati numerici siano costantemente condivisi tra essi, al fine di trovare sollecita accoglienza stabile per tutti i bambini adottabili in Italia;

5)      A rendere l’idoneità alla adozione una disponibilità da manifestare dinanzi ad autorità amministrative, come nella quasi totalità degli Stati europei, e non più una valutazione di competenza dei Tribunali per i Minorenni;

6)      A favorire l’istituzione delle Autorità regionali per l’adozione internazionale in tutte le Regioni italiane, con le funzioni di rilascio delle idoneità alle coppie, promozione della formazione e dell’accompagnamento delle coppie prima e dopo l’adozione, verifica dei requisiti e liquidazione dei rimborsi spese, svolgimento e controllo dei progetti di cooperazione internazionale;

7)      Ad abolire la prassi dei provvedimenti di idoneità all’adozione vincolati a determinate caratteristiche del minore adottando, preferendo piuttosto un efficace accompagnamento che consenta una reale apertura delle coppie all’accoglienza;

8)      A prevedere l’obbligatorietà della stipula di protocolli operativi regionali per il coordinamento tra servizi socio-assistenziali degli enti locali, enti autorizzati e ogni altro soggetto coinvolto nell’iter adottivo nelle diverse fasi, pre e post adozione, a garanzia del principio di uguaglianza tra i cittadini delle diverse regioni;

9)      A prevedere la creazione di un percorso congiunto fra enti autorizzati e Servizi sociali, con il coordinamento e la supervisione delle Autorità regionali, per accompagnare insieme gli adottandi per tutta la durata della procedura, con il comune obiettivo di valorizzare le coppie candidate ad adottare;

10)  A prevedere una disciplina uniforme a livello nazionale in materia di adozione, che garantisca alle coppie parità di trattamento, trasparenza e celerità del servizio pubblico, definendo, in particolare, il numero di incontri psicologici, i termini e i tempi massimi entro cui la procedura di accompagnamento delle coppie debba essere conclusa;

11)  A garantire il regolare funzionamento della Commissione per le Adozioni Internazionali, attraverso l’attribuzione della presidenza al Ministro della famiglia anziché al Presidente del Consiglio dei Ministri, e definire nuove regole per l’efficacia delle riunioni e le relative delibere, per rendere maggiormente efficiente il ruolo di autorità centrale competente ad autorizzare e controllare gli enti, concedere le autorizzazioni per l’ingresso dei minori adottati dalle coppie residenti in Italia, mantenere le relazioni con le autorità degli Stati di origine, e stipulare accordi bilaterali anche con quelli Stati che non hanno ratificato la Convenzione dell’Aja del 1993;

12)  A introdurre l’obbligatorietà della certificazione dei bilanci annuali degli enti autorizzati ed eventuali ulteriori criteri per regolarne il funzionamento, nonché forme di controllo effettivo sul possesso dei requisiti richiesti, al fine di assicurarne qualità ed efficienza;

13)  Ad assicurare che i pagamenti richiesti alle coppie dagli enti autorizzati avvengano obbligatoriamente con metodi tracciabili e siano effettuati in Italia anche per la parte dei costi relativa ai servizi resi all’estero;

14)  A prevedere una disciplina specifica in materia di fusioni tra gli enti autorizzati, affinché la riduzione del loro numero non sia accompagnata da una contrazione del sistema a scapito di minori e famiglie, e consenta, invece, il rilancio delle adozioni internazionali;

15)  A individuare presso ogni rappresentanza italiana all’estero un funzionario competente in materia di adozioni internazionali che sia in contatto con la Commissione per le Adozioni Internazionali e funga da riferimento per gli enti autorizzati;

16)  A negoziare con gli Stati di origine dei minorenni un limite massimo ai viaggi multipli richiesti alle coppie nei paesi di origine dei bambini abbinati in adozione e regolarne comunque la durata uniformandoli a garanzia del principio di uguaglianza e di non discriminazione in base al paese da cui bambini provengono;

17)  A fare in modo che la sentenza straniera di adozione sia automaticamente riconosciuta in Italia sulla base della certificazione della Commissione per le Adozioni Internazionali, come previsto dalla Convenzione dell’Aja del 1993 sulla cooperazione in materia di adozioni internazionali, e dunque senza il controllo dei Tribunali per i minorenni, consentendo al minore il riconoscimento immediato della cittadinanza;

18)  A promuovere l’introduzione e la regolamentazione di altre forme di accoglienza, come i soggiorni a scopo adottivo, per favorire l’adozione dei bambini più grandi, e l’affidamento internazionale – per accogliere i minori dei Paesi in emergenza umanitaria e togliere i minori dagli Istituti sia come misura temporanea che in vista di un successivo progetto adottivo;

19)  Ad attivare una linea di finanziamento per i progetti di cooperazione volta a garantire la sussidiarietà delle adozioni di minori nei Paesi in cui l’Italia adotta.

News Aibi    5 aprile 2019

www.aibi.it/ita/post-verona-i-19-punti-della-mozione-bellucci-fratelli-ditalia-per-il-rilancio-della-adozione-internazionale

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AMORIS LÆTITIA

La sostanza e il metodo: la tradizione che cammina e il decalogo di Amoris Lætitia

In una dichiarazione appassionata e acuta, Cristina Simonelli interviene sulle valutazioni ecclesiali e teologiche del Congresso di Verona, sostenendo che il giudizio espresso dal Card. Parolin, che aveva dichiarato di “approvarne la sostanza, non il metodo”, rimane troppo ambiguo e deve essere chiarito. Ciò che la Presidente del CTI mette in luce è che proprio la “sostanza” del Convegno deve essere discussa, e non salvata.

www.teologhe.org/2019/04/01/clericalismo-ignoranza-e-abuso-di-sostanza-sul-congresso-mondiale-delle-famiglie-a-verona

Qui a mio parere si sovrappongono due questioni e due registri che devono essere accuratamente distinti:

  1. Da un lato sicuramente il Card. Parolin ha voluto prendere le distanze da un modo di impostare la “questione famiglia”, che non condivide. D’altra parte ha cercato di salvare la “fede comune” sulla rilevanza del matrimonio e della famiglia. Per farlo ha usato un linguaggio “comune”, mettendo in tensione una “sostanza immutabile” di rapporto con la centralità familiare, rispetto ai metodi che cercano di affermarla in modo più o meno corretto;
  2. D’altra parte è proprio questa pretesa – di distinguere una sostanza dottrinale immune da ogni storia – che Cristina Simonelli richiama alla attenzione, come un possibile equivoco, che merita di essere chiarito in modo ampio, uscendo dal modello ottocentesco di lettura della famiglia, che è clericale proprio nella misura in cui genera un “abuso di sostanza”.

Credo che su questo piano sia utile fare riferimento a due testi, nei quali la frase del Card. Parolin può assumere il suo contesto più adeguato e non essere fraintesa. Si tratta in primo luogo del discorso di papa Giovanni XXIII che ha aperto il Concilio Vaticano II, al cui centro sta la definizione di “indole pastorale”, che si basa precisamente su una “ricalibratura del rapporto tra sostanza e metodo; dall’altro il testo di “Amoris Lætitia”, che ha un “decalogo sul metodo” in cui la Chiesa esce dal modello ottocentesco di affermazione e di difesa del matrimonio/famiglia. Analizziamoli entrambi, per capire meglio il senso e i limiti della affermazione del Card. Parolin.

  1. La “indole pastorale” del Vaticano II. Spessissimo citata, e altrettanto frequentemente incompresa, la “indole pastorale” del Vaticano II si basa su una intuizione che Giovanni XXIII ha espresso originariamente, nel cuore del discorso di apertura, Gaudet Mater Ecclesia, l’11 ottobre 1962, con la nota espressione “altra è la sostanza dell’antica dottrina del depositum fidei e altra la formulazione del suo rivestimento”. Questa frase, opportunamente segnalata come decisiva per la ermeneutica conciliare, fissa in modo singolarmente efficace i confini tra continuità e discontinuità, tra immutabilità e mutabilità, precisando le esigenze ecclesiali di “riforma”. Ciò che in essa deve essere compreso non è il “permanere” della sostanza al di là delle formulazioni storiche di essa, quanto piuttosto la esigenza di formulazioni adeguate per garantire l’accesso storico alla sostanza. La prospettiva della frase, inoltre, non utilizza la terminologia della “sostanza” in termini metafisici, bensì in termini storici ed organici. Sostanza non è “rappresentazione stabile”, ma anzitutto “nutrimento e alimento”. La frase chiarisce la necessità della “indole pastorale” proprio come “aggiornamento” e “riforma” della Chiesa, perché sia dato nuovamente un accesso adeguato a ciò che la tradizione ha di nutriente e di promuovente. Il riferimento a questo testo fondamentale consiglia, strategicamente, di evitare di considerare la teologia cristiana del matrimonio e della famiglia come un “deposito immutabile” rispetto a cui la storia resterebbe esterna. Per questo sembra azzardato che possa esservi un “consenso” sulla sostanza che eluda i nodi delle “formulazioni”. In altri termini, chi oggi propone una “teologia della famiglia” che si basa sulle evidente storiche e antropologiche di un secolo fa non è per nulla d’accordo “nella sostanza” con la Chiesa. Anche se è un potente, in cerca di consenso.
  2. Il decalogo di “Amoris Lætitia.”. Il testo di AL 35-37. Tra i primi numeri di AL brillano quelli dedicati ad una “strutturale autocritica” della tradizione ecclesiale su matrimonio e famiglia:

35. Come cristiani non possiamo rinunciare a proporre il matrimonio allo scopo di non contraddire la sensibilità attuale, per essere alla moda, o per sentimenti di inferiorità di fronte al degrado morale e umano. Staremmo privando il mondo dei valori che possiamo e dobbiamo offrire. Certo, non ha senso fermarsi a una denuncia retorica dei mali attuali, come se con ciò potessimo cambiare qualcosa. Neppure serve pretendere di imporre norme con la forza dell’autorità. Ci è chiesto uno sforzo più responsabile e generoso, che consiste nel presentare le ragioni e le motivazioni per optare in favore del matrimonio e della famiglia, così che le persone siano più disposte a rispondere alla grazia che Dio offre loro.

36. Al tempo stesso dobbiamo essere umili e realisti, per riconoscere che a volte il nostro modo di presentare le convinzioni cristiane e il modo di trattare le persone hanno aiutato a provocare ciò di cui oggi ci lamentiamo, per cui ci spetta una salutare reazione di autocritica. D altra parte, spesso abbiamo presentato il matrimonio in modo tale che il suo fine unitivo, l’invito a crescere nell’amore e l’ideale di aiuto reciproco sono rimasti in ombra per un accento quasi esclusivo posto sul dovere della procreazione. Né abbiamo fatto un buon accompagnamento dei nuovi sposi nei loro primi anni, con proposte adatte ai loro orari, ai loro linguaggi, alle loro preoccupazioni più concrete. Altre volte abbiamo presentato un ideale teologico del matrimonio troppo astratto, quasi artificiosamente costruito, lontano dalla situazione concreta e dalle effettive possibilità delle famiglie così come sono. Questa idealizzazione eccessiva, soprattutto quando non abbiamo risvegliato la fiducia nella grazia, non ha fatto sì che il matrimonio sia più desiderabile e attraente, ma tutto il contrario.

37. Per molto tempo abbiamo creduto che solamente insistendo su questioni dottrinali, bioetiche e morali, senza motivare l apertura alla grazia, avessimo già sostenuto a sufficienza le famiglie, consolidato il vincolo degli sposi e riempito di significato la loro vita insieme. Abbiamo difficoltà a presentare il matrimonio più come un cammino dinamico di crescita e realizzazione che come un peso da sopportare per tutta la vita. Stentiamo anche a dare spazio alla coscienza dei fedeli, che tante volte rispondono quanto meglio possibile al Vangelo in mezzo ai loro limiti e possono portare avanti il loro personale discernimento davanti a situazioni in cui si rompono tutti gli schemi. Siamo chiamati a formare le coscienze, non a pretendere di sostituirle.

Un “Decalogo di autocritica”. Vorrei ora cercare di desumerne una serie di “dieci parole” per orientare adeguatamente non solo il versante “critico”, ma anche quello “autocritico”:

  1. La sterile denuncia: “non ha senso fermarsi a una denuncia retorica dei mali attuali, come se con ciò potessimo cambiare qualcosa” (AL 35).
  2. La pretesa normativa: “Neppure serve pretendere di imporre norme con la forza dell’autorità” (AL 35).
  3. Le ragioni e le motivazioni di una scelta: occorre “presentare le ragioni e le motivazioni per optare in favore del matrimonio e della famiglia, così che le persone siano più disposte a rispondere alla grazia che Dio offre loro” (AL 35).
  4. Modi inadeguati di esporre le convinzioni e di trattare le persone: “a volte il nostro modo di presentare le convinzioni cristiane e il modo di trattare le persone hanno aiutato a provocare ciò di cui oggi ci lamentiamo, per cui ci spetta una salutare reazione di autocritica” (AL 36).
  5. Squilibrio tra fine unitivo e fine procreativo: “spesso abbiamo presentato il matrimonio in modo tale che il suo fine unitivo, l’invito a crescere nell’ amore e l ideale di aiuto reciproco sono rimasti in ombra per un accento quasi esclusivo posto sul dovere della procreazione” (AL 36).
  6. Un accompagnamento inadeguato delle nuove coppie: “Non abbiamo fatto un buon accompagnamento dei nuovi sposi nei loro primi anni, con proposte adatte ai loro orari, ai loro linguaggi, alle loro preoccupazioni più concrete” (AL 36).
  7. Astrattezza e idealizzazione teologica: “Abbiamo presentato un ideale teologico del matrimonio troppo astratto, quasi artificiosamente costruito, lontano dalla situazione concreta e dalle effettive possibilità delle famiglie così come sono. Questa idealizzazione eccessiva, soprattutto quando non abbiamo risvegliato la fiducia nella grazia, non ha fatto sì che il matrimonio sia più desiderabile e attraente, ma tutto il contrario” (AL 36).
  8. La presunzione di autosufficienza della dottrina: “Per molto tempo abbiamo creduto che solamente insistendo su questioni dottrinali, bioetiche e morali, senza motivare l’apertura alla grazia, avessimo già sostenuto a sufficienza le famiglie, consolidato il vincolo degli sposi e riempito di significato la loro vita insieme” (AL 37).
  9. Il matrimonio concepito più come atto che come rapporto: “Abbiamo difficoltà a presentare il matrimonio più come un cammino dinamico di crescita e realizzazione che come un peso da sopportare per tutta la vita” (AL 37).
  10. Non sostituire, ma formare le coscienze: “Stentiamo anche a dare spazio alla coscienza dei fedeli, che tante volte rispondono quanto meglio possibile al Vangelo in mezzo ai loro limiti e possono portare avanti il loro personale discernimento davanti a situazioni in cui si rompono tutti gli schemi. Siamo chiamati a formare le coscienze, non a pretendere di sostituirle” (AL 37).

Queste aperte considerazioni, che rileggono la storia della pastorale familiare di fronte alle sfide del mondo contemporaneo, non nascondono le esigenze di conversione dei cuori e le esigenze di profonda riforma della disciplina. L’annuncio della comunione in Cristo, che si realizza nell’amore matrimoniale e familiare, esige una assunzione drammatica della tensione tra libertà e autorità, tra comunione e separazione, tra riconciliazione e divisione. La società tardo-moderna dischiude nuove libertà autentiche, ma propone nuove forme di schiavitù insidiosa. Ma al soggetto individuale, che può diventare strutturalmente autoreferenziale, non può essere contrapposta una dottrina segnata da autoreferenzialità ecclesiale. Al possibile delirio soggettivistico del mondo non si potrà mai opporre efficacemente un autoritarismo oggettivistico della Chiesa. Se la società aperta è una delle condizioni della più autentica personalizzazione della coppia, del matrimonio e della famiglia, allora una rilettura della intera tradizione ecclesiale, a partire dalle Scritture, secondo una più lucida composizione di esigenza istituzionali e di esigenze personali sarà in grado di offrire, anche alle prossime generazioni, una sintesi convincente del senso della tradizione matrimoniale e della sua proponibilità in vista di una vita buona e felice. Senza disperazione e senza presunzione, ma alimentando quella speranza che è la più vera risposta alla profezia cristiana sull’amore. Profezia che non si è dimostrata mai tanto esigente, da non risultare ancor più misericordiosa.

C Il metodo è la sostanza. Se riascoltiamo la frase del Card. Parolin alla luce di questi due testi, vediamo bene il margine di ambiguità di una espressione certo diplomatica, ma anche rischiosa. Essa tuttavia, bisogna ricordarlo, non ha alcun valore magisteriale. Mentre la presa di distanza dal Congresso, al di là delle parole della Segreteria di Stato, viene dalla tradizione conciliare, inaugurata dal grande testo di Giovanni XXIII e confermata dal testo di AL. Per la quale la distinzione tra sostanza e metodo, sempre possibile, non deve mai far dimenticare che, per la tradizione ecclesiale, il metodo è la sostanza.  E che un accesso ai “contenuti” della dottrina su matrimonio e famiglia, che avvenga con il metodo del populismo, della discriminazione, della imposizione o del non riconoscimento della libertà dei soggetti, è tradimento della tradizione e non sua custodia. E in questo caso Cristina Simonelli ha pienamente ragione nel metterci in guardia.

Andrea Grillo            blog: Come se non     1 aprile 2019

www.cittadellaeditrice.com/munera/la-sostanza-e-il-metodo-la-tradizione-che-cammina-e-il-decalogo-di-amoris-laetitia

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ASSEGNO DIVORZILE

L’Assegno divorzile deve tenere conto anche del tenore di vita in “senso lato”.

            Anche a seguito della pronuncia a Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 18287/2018 dell’11 luglio 2018, per l’individuazione in concreto dell’assegno divorzile, perequativo e compensativo, non si può prescindere dall’analisi del “tenore di vita” in senso più lato, quali condizioni personali, tenuto in costanza di matrimonio.

            Come oramai notorio non solo ai giuristi ma al comune sentire, in merito alla tematica dell’attribuzione dell’assegno divorzile, si sono susseguiti nell’ultimo anno differenti e contrapposti arresti giurisprudenziali – che hanno condotto le S.S. U.U. della Corte di Cassazione a pronunciarsi sul punto nella nota sentenza n. 18287/2018 dell’11.07.2018 – che avrebbero visto tutti abbandonare il parametro del “tenore di vita” tenuto in costanza di matrimonio in favore della “indipendenza economica” del coniuge richiedente.

            Ad operare tale “giro di boa”, volto alla eliminazione della c.d. rendita di posizione, fu la I Sezione della Corte di Cassazione con la pronuncia del 10.05.2017 n. 11504 che, in contrapposizione alla pronuncia a Sezioni Unite della Suprema Corte n. 11490 del 29 novembre 1990 – che sanciva che l’inadeguatezza dei redditi doveva essere valutata in relazione al tenore di vita pregresso, riconduceva il giudizio di inadeguatezza dei redditi alla non autosufficienza economica del coniuge richiedente e distingueva, ai fini del riconoscimento o meno dell’assegno divorzile, due fasi, l’una prodromica all’altra, la prima dell’an debeatur e la seconda del quantum debeatur, cui si accede solo sussistendo i presupposti della prima, nel quale viene individuato, appunto, il principio dell’autosufficienza e autoresponsabilità economica cui, secondo la Corte del 2017 era ispirato l’art. 5 comma 6, L. 898/1970, nel senso che, la scelta del divorzio è frutto di scelta definitiva che implica le relative conseguenze economiche.

            Una timida rimodulazione ai casi concreti dell’interpretazione della I sezione civile della Corte di Cassazione in tema di assegno divorzile, si è iniziata ad intravedere in alcune successive sentenze di merito, tra le quali appare molto significativa la sentenza del Tribunale di Udine del 1.06.2017 la quale si è discostata dal su richiamato orientamento della I sezione della Corte di Cassazione, evidenziando “come in realtà il giudizio sull’an non possa logicamente essere distinto da quello sul quantum atteso che, si tratta di un’unica operazione in cui i due aspetti si compenetrano e servono a trovare un equo contemperamento di tutte le esigenze rappresentate dal legislatore nel tormentato art. 5, 5° e 9° comma”. Concludeva, pertanto: “…L’accertamento del diritto all’assegno divorzile va effettuato verificando l’adeguatezza o meno dei mezzi del coniuge richiedente alla conservazione del tenore di vita precedente……” (v. pag. 18 sentenza Tribunale di Udine).

            Le precedenti e differenti interpretazioni dell’art. 5 L. 898/1970 operate dalla Corte di Cassazione e dal successivo anzi richiamato timido discostamento dei Tribunali di merito, hanno condotto le S.S. U.U. della Corte di Cassazione a pronunciarsi sul punto nella nota sentenza n. 18287/2018 dell’11 luglio 2018, la quale ha dato una interpretazione fortemente innovativa dell’art. 5 L. divorzio costituita dalla considerazione che l’inadeguatezza dei mezzi a disposizione del coniuge che richiede l’assegno non può essere valutata al di fuori degli indicatori contenuti nella parte iniziale della norma (soprattutto le condizioni dei coniugi, il contributo personale ed economico dato alla vita matrimoniale, la durata del matrimonio), pertanto, considerando completamente superate le interpretazioni che valutavano l’inadeguatezza dei redditi prescindendo da tali indicatori e cioè sia l’interpretazione data trent’anni fa dalle Sezioni Unite (n. 11490/1990), sia quella data di recente dalla Prima Sezione della Cassazione (n. 11504/2017).

            Le Sezioni Unite dell’11 luglio 2018 hanno evidenziato come entrambe le precedenti interpretazioni pecchino di astrattezza in quanto basate su elementi estranei agli indicatori, richiamati dalla prima parte della norma, di cui il giudice deve tenere conto quando si occupa dell’assegno divorzile. Proprio per questo motivo non ha più ragione di esistere la distinzione tra fase dell’an debeatur e fase del quantum debeatur: compito del giudice è quello di valutare, nell’ambito di un giudizio unitario, se e in che termini l’eventuale disparità dei redditi tra i coniugi (e quindi l’inadeguatezza dei mezzi a disposizione di un coniuge rispetto all’altro) sia collegata al contributo portato alla vita matrimoniale da ciascun coniuge, alle rispettive condizioni personali e alla durata del matrimonio e in che misura tale disparità debba essere perequata (funzione assistenziale, perequativa, compensativa dell’assegno divorzile).

            Il fondamento costituzionale dei criteri indicati nell’incipit della norma – così espressamente sostengono oggi le Sezioni Unite – deve condurre ad una valutazione concreta ed effettiva dell’inadeguatezza dei mezzi e dell’incapacità di procurarseli per ragioni oggettive fondata in primo luogo sulle condizioni economico-patrimoniali delle parti, da accertarsi anche utilizzando i poteri istruttori officiosi attribuiti espressamente al giudice della famiglia (art. 5, comma 9, L. divorzio). Tale verifica è da collegare causalmente alla valutazione degli altri indicatori contenuti nella prima parte dell’art. 5, comma 6, al fine di accertare se l’eventuale rilevante disparità della situazione economico-patrimoniale degli ex coniugi all’atto dello scioglimento del vincolo sia dipendente dalle scelte di conduzione della vita familiare adottate e condivise in costanza di matrimonio, con il conseguente sacrificio delle aspettative professionali e reddituali di una delle parti.

            Il principio di solidarietà, posto a base del riconoscimento del diritto, impone che l’accertamento relativo all’inadeguatezza dei mezzi ed all’incapacità di procurarseli per ragioni oggettive sia saldamente ancorato alle caratteristiche ed alla ripartizione dei ruoli endofamiliari. All’assegno di divorzio deve, perciò, attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa.

            Affermano le Sezioni Unite che il giudice ha tre compiti fondamentali:

1)      Innanzitutto quello di accer­tare l’esistenza e l’entità dello squilibrio tra i redditi dei coniugi eventualmente determinatosi al momento del divorzio;

2)      Il compito di valutare il nesso causale tra lo squilibrio e gli indicatori previsti nella legge;

3)      Il compito di determinare l’importo perequativo compensativo del caso concreto.

In merito a tale ultimo compito, secondo la lettura di alcuni passaggi della sentenza, appare che secondo le S.S. U.U., l’importo dell’assegno:

1) deve assicurare l’autonomia e l’autosufficienza economica del coniuge debole;

2) deve, però, anche essere adeguato al contributo dato dal coniuge alla vita familiare (cura della famiglia e dei figli) e, quindi, compensare (tenendo conto dell’età e della durata del matrimonio) il sacrificio delle aspettative professionali ed economiche che ne sono conseguite;

3) non ha la finalità di ricostituzione del tenore di vita endoconiugale.

            Tutti compiti del giudice di merito a cui è affidata la giustizia del caso singolo. Alla luce della siffatta interpretazione delle Sezioni Unite, appare insita da parte del giudice una valutazione dei redditi e quindi del benessere (cioè del tenore di vita) raggiunto da una famiglia.  Pertanto, se il tenore di vita costituisce in genere il segnale del benessere raggiunto da una famiglia in seguito ai sacrifici dei coniugi, è evidente che questa condizione di benessere dovrà influire sulla misura dell’assegno divorzile.

            Il tenore di vita coniugale, quale desumibile dai redditi delle parti e dagli accertamenti eventualmente disposti, non può che essere il dato da cui partire per l’individuazione in concreto dell’importo dell’assegno, perequativo e compensativo.

            Se questo lavoro di ricostruzione – anche in via presuntiva – del tenore di vita coniugale non venisse svolto, l’assegno finirebbe per aver la sola funzione (esclusa dalla Sezioni Unite) di garantire l’autosufficienza economica del richiedente. Perciò nell’individuazione in concreto dell’assegno divorzile non sarà possibile escludere il riferimento al tenore di vita della famiglia, non per ricostituirlo a favore di un coniuge, ma per misurare quali compiti abbia effettivamente svolto il coniuge richiedente l’assegno che hanno contribuito (nell’ottica della parità del lavoro professionale e casalingo e di cura dei figli) a raggiungere quel tenore di vita. Compiti che il coniuge ha svolto sacrificando altre aspettative. La compensazione di tali “sacrifici” sarà necessariamente collegata al benessere che ne è conseguito, anche in termini di maggiore importo dell’assegno.

            La più recente giurisprudenza di merito – in attesa di un intervento del legislatore, a cui gli operatori del diritto ed i destinatari delle norme anelano – sta valorizzando sempre più quest’ultimo aspetto riconoscendo che “…La soglia oggettiva di tale autosufficienza non può essere tuttavia standardizzata…..non si può astrarre il livello dell’indipendenza economica dalla specifica condizione del singolo, inteso quale persona che…. è portatrice di esperienze di vita maturate nel tempo del matrimonio ed influenzate sia dalla condivisione in concreto del vissuto familiare che dal “costo” – in termini di carriera, di esperienza professionale, di risparmio e accrescimento patrimoniale in senso lato – della sua partecipazione al menage familiare, nella misura e con le modalità impegnate nel corso del rapporto coniugale. Il solo tenore di vita goduto nel corso del matrimonio, in questa prospettiva, è un parametro al contempo inadeguato per eccedenza e per difetto: “per eccedenza”, perché conferisce con durata tendenzialmente indefinita vantaggi aprioristicamente fondati sulle risorse patrimoniali e produttive dell’altro coniuge, con il rischio di costituire la rendita parassitaria che non vi è ragione di garantire e, “per difetto” perché riduce l’analisi ai dati più tangibili ed evidenti, laddove molti altri fattori vengono in evidenza per valutare di cosa davvero necessita per essere autonomo ed indipendente quello dei due coniugi che, rimasto a sé stante, continua la propria vita dopo aver acquisito con il matrimonio caratteristiche personali (o dopo avervi rinunciato per le esigenze familiari) che influiscono sulle sue necessità essenziali, anche se non coincidono più con le prerogative di status di coppia, che più non esiste”…….“In questa prospettiva, chi richiede l’assegno ha l’onere di allegare e provare quali fossero, in senso più lato, le condizioni personali di cui concretamente fruiva in costanza di matrimonio e la mancanza attuale di risorse patrimoniali adeguate a farvi fronte”. La Corte di Appello di Venezia, nella sentenza n. 68/2019 dell’11.01.2019, R.G. n. 4218/2017 – di cui si sono sopra richiamati alcuni stralci –  nell’analizzare la fattispecie concreta sottoposta al suo vaglio per la richiesta riforma della sentenza di primo grado – che aveva negato l’assegno divorzile – e quindi i redditi dell’appellante e la garanzia di una stabile abitazione – precisa che “si tratta di una condizione che non si può definire di piena autonomia, in rapporto alle sue effettive esigenze, collegate alla durata del matrimonio ed alle abitudini di vita maturate da entrambi i coniugi….” e, pertanto, ha ritenuto congruo ripristinare a carico dell’ex marito l’obbligo di conferire alla ex moglie un assegno divorzile.

News   associazione nazionale avvocati italiani                   3 aprile 2019

www.associazionenazionaleavvocatiitaliani.it/?p=92912

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ASSOCIAZIONI – FEDERAZIONI

Europa: famiglia “risorsa politica”. Il Manifesto Fafce per le elezioni Ue

            La famiglia è stata dimenticata in tutti questi anni e il “segnale” evidente è la crisi demografica, fatta di “invecchiamento della popolazione europea e denatalità”, al punto che nessun Paese europeo oggi fa figli a sufficienza per garantire il proprio rinnovamento. E “se non si fanno più figli è perché manca la fiducia nel futuro”. Per questo la Federazione delle associazioni familiari cattoliche europee (Fafce) propone un manifesto e una campagna, #VoteForFamily, per “contribuire a creare dibattito” sul tema della famiglia.

            Ruolo fondamentale. In un incontro che si è svolto a Bruxelles, il presidente Antoine Renard ha illustrato l’obiettivo di questa iniziativa: “Deve arrivare un tempo nuovo in cui la famiglia sia considerata come risorsa politica”. Per questo le 17 associazioni nazionali nelle prossime settimane saranno impegnate ad avvicinare i candidati e proporre alla firma questo “Manifesto per le elezioni europee” come “impegno a riconoscere sempre il ruolo fondamentale della famiglia come unità di base della società”, in tutte le decisioni politiche che si affronteranno nella prossima legislatura. “Vediamo che il mondo si è sviluppato rapidamente, ci sono grandi temi che presuppongono la cooperazione tra i popoli (demografia, migrazione, economia, ambiente) e su tutti questi occorre considerare che le famiglie sono risorse e non un soggetto in crisi, sono una soluzione moderna per un mondo che attraversa un tempo di crisi”, dichiara Renard al Sir.

            Figli, bene comune.

  1. “L’inverno demografico è una silenziosa emergenza che riguarda tutti gli Stati europei. All’Europa occorre una primavera demografica. I figli sono il nostro principale bene comune. Mi impegno ad aumentare la consapevolezza in merito al declino demografico dell’Europa, proponendo provvedimenti e strumenti concreti volti a mutare gli attuali orientamenti”.
  2. Il “family mainstreaming“: “La famiglia è la pietra angolare della società. L’Ue deve tener conto delle famiglie europee in tutte le sue decisioni, rispettando il principio di sussidiarietà”. Da qui l’impegno a promuovere il concetto di valutazione d’impatto familiare per ogni politica settoriale.
  3. Sostenere le voci delle famiglie: “Le associazioni familiari sono la voce delle famiglie articolandone autenticamente i fabbisogni e aumentando il loro impegno nella società civile”. Ne consegue la necessità di far riconoscere “il contributo e il ruolo dell’associazionismo familiare nella definizione e nello sviluppo dei programmi europei”.
  4. L'”economia al servizio della famiglia“, considerando che essa è “fonte di resilienza per la società e un aiuto nell’alleviare le difficoltà delle finanze pubbliche”. In questo senso servono “politiche pubbliche che riconoscano la dignità della famiglia e il suo ruolo economico fondamentale per il bene comune”.
  5. Lavoro dignitoso per ogni famiglia,
  6. L’equilibrio tra vita familiare e impegno professionale,
  7. Riconoscere la complementarietà donna-uomo,
  8. Rispettare e promuovere l’istituto matrimoniale,
  9. Rispettare la dignità umana della vita dal suo inizio al suo naturale compimento.
  10. Il ruolo dei genitori: “padre e madre primi e principali educatori dei figli”.

Risultati della campagna. In questo Manifesto “non si parla di diritti ma di responsabilità” della famiglia, ha specificato Vincenzo Bassi, vicepresidente Fafce, perché “si vuole che le istituzioni e i candidati ne riconoscano la gioiosa responsabilità”. E “se il Parlamento lavora per la famiglia, lavora per la società”, ancora Bassi, che mette in luce anche l’importanza dell’associazionismo famigliare nel rispondere alla “solitudine delle famiglie in crisi”. “Non vogliamo che la famiglia diventi un ambito di competenza delle politiche europee” e “non vogliamo che la famiglia sia attenzione solo delle politiche sociali, ma di tutte le politiche”. “Non proponiamo soluzioni concrete ai problemi, perché non è nostro compito”, è stato ancora detto durante l’incontro tenutosi il 2 aprile 2019. I risultati della campagna di raccolta firme saranno resi pubblici il 15 maggio 2019, giornata internazionale della famiglia. Così “conosceremo le persone che, una volta elette potranno costituire un interlocutore nel Parlamento europeo per sostenere la famiglia”.

Sarah Numico da Bruxelles   3 aprile 2019

https://agensir.it/europa/2019/04/03/europa-famiglia-risorsa-politica-il-manifesto-fafce-per-le-elezioni-ue

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CENTRO INTERNAZIONALE STUDI FAMIGLIA

Newsletter CISF – N. 13, 3 aprile 2019

            L’altalena: un semplice video per testimoniare la possibilità e la bellezza delle differenze. “L’Altalena” è un progetto didattico dell’Istituto Comprensivo Trento 6 per lo sviluppo di una comunità inclusiva e antirazzista. Un progetto didattico che è sfociato in un bellissimo video che ha avuto risalto nazionale e purtroppo è stato oggetto di pesanti attacchi politici agli autori e alla scuola stessa.

 www.youtube.com/watch?v=zU8PcGM1j5U

E adesso che il congresso di Verona è finito? Dopo tante parole aspettiamo i fatti. Qualche riflessione “a bocce ferme” del Direttore Cisf (F. Belletti), per tentare di andare oltre le polemiche.”…A chiunque intervenga su questo tema (e quindi anche a questo intervento, che state leggendo) viene chiesto di schierarsi, in un derby tra tifoserie in cui tutti sono destinati a perdere. Ma è una prospettiva sbagliata: in tempi di contrapposizioni così drammatiche sull’idea stessa dell’umano, di persona, di dignità, servono coraggiosi esploratori delle differenze, che sappiano addentrarsi nelle terre di mezzo, più che esperti difensori di fortezze imprendibili. Anche perché, poi, nelle fortezze imprendibili resteranno solo i soldati: la vita dei popoli – e delle famiglie – starà certamente altrove…”

www.famigliacristiana.it/articolo/verona-dopo-tante-parole-aspettamo-i-fatti.aspx?utm_source=newsletter&utm_medium=newsletter_cisf&utm_campaign=newsletter_cisf_03_04_2019

Family impact: prosegue la collaborazione con il comune di Castelnuovo del Garda. Il prossimo 11 aprile 2019 si terrà a Castelnuovo del Garda un incontro sul tema della valutazione dell’impatto delle politiche familiari attuate nel Comune, per completare un virtuoso percorso circolare di progettazione, attuazione, monitoraggio, verifica ed eventuale riprogettazione delle azioni intraprese dall’ente. Nell’incontro verranno presentati dati inediti sugli interventi tariffari collegati al “FattoreFamiglia” dal 2013 al 2018, e alcune riflessioni raccolte dall’ascolto di famiglie che hanno usufruito dei servizi e delle agevolazioni “a misura di famiglia”. Oltre ai referenti del Comune di Castelnuovo del Garda Maurizio Bernardi [già sindaco] e Chiara Trotti, intervengono Elisa Carrà (Università Cattolica) e Francesco Belletti (direttore Cisf).

http://newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/attachments/newscisf1319_allegato1.pdf.

Webinar- informarsi sull’autismo via web. In occasione della Giornata mondiale per l’autismo (proclamata per il 2 aprile, nel 2019), il prossimo 3 aprile dalle 18:00 alle 19:30 “in diretta dalla sede Erickson di Roma e in streaming dal canale YouTube Edizioni Centro Studi Erickson, genitori, famiglie, insegnanti ed educatori che hanno in carico una persona con autismo potranno incontrare in rete i più qualificati esperti nel campo della ricerca, dell’educazione, della scuola, del diritto e porre loro delle domande”

Webinar – Progetto “Verso una coppia felice” “Durante i primi 30 minuti ascolterai il conduttore, Marco Scarmagnani sul tema del webinar.                       www.versounacoppiafelice.it/#marco

v   Poi saranno proposti degli esercizi da fare in coppia (45 minuti). Gli ultimi 15 minuti il conduttore concluderà rispondendo alle domande che potranno essere fatte tramite computer, tablet o telefonino, e illustrando gli strumenti pratici che potrete mettere in campo da soli”.        www.versounacoppiafelice.it

Sempre nel progetto “Verso una coppia felice”, vengono proposti diversi incontri formativi di gruppo per coppie [Verona, 10, 14,15 aprile 2019].            www.versounacoppiafelice.it/laboratori-per-coppie

Manifesto per la famiglia in vista delle elezioni europee. La FAFCE (Federazione delle associazioni familiari cattoliche.

http://voteforfamily2019.eu/sites/default/files/manifesto%20italiano%283%29.pdf

To perceive and to believe: misperceptions about immigration and European solidarity (Percezioni e convinzioni: percezioni erronee rispetto all’immigrazione e alla solidarietà europea), intervento di Francesco Visconti. Le percezioni erronee sul numero di immigrati è cambiata nel tempo, ma continua a resistere tra i cittadini europei. Tali erronee percezioni sono collegate a preferenze euroscettiche e a politiche restrittive sull’immigrazione

www.euvisions.eu/misperceptions-immigration-european-solidarity

Costruire il welfare aziendale nelle piccole e medie imprese. Una sfida tutta italiana. Generali Italia ha costruito un interessante Welfare Index PMI (con la partecipazione delle maggiori confederazioni italiane – Confindustria, Confagricoltura, Confartigianato e Confprofessioni), analizzando il livello di welfare in 4.561 piccole e medie imprese italiane. “Welfare Index PMI ha monitorato le iniziative delle imprese in dodici aree: previdenza integrativa, sanità integrativa, servizi di assistenza, polizze assicurative, conciliazione vita e lavoro, sostegno economico, formazione, sostegno all’istruzione di figli e familiari, cultura e tempo libero, sostegno ai soggetti deboli, sicurezza e prevenzione, welfare allargato al territorio e alle comunità. Le imprese che hanno più successo sviluppano il welfare come un progetto strategico che parte dall’ascolto delle esigenze dei dipendenti. Gli imprenditori che attivano una strategia coerente e prolungata nel tempo, per il benessere e la soddisfazione dei lavoratori e delle loro famiglie, dichiarano di avere un impatto positivo sulla produttività e anche sulla comunità. Tra le aziende aumenta la consapevolezza che benessere sociale e risultati di business crescono di pari passo”

www.welfareindexpmi.it/pdf/Rapporto-Welfare-Index-PMI-2019.pdf

Dalle case editrici

  • Centro Studi e Ricerche IDOS, Dossier statistico immigrazione 2018, Unar, Roma 2018, pp. 478, € 25,00
  • Cusinato Mario, Girotto Sandro (a cura di), Gestione della fertilità e infertilità umana. Approccio multidisciplinare, C.G. Edizioni Medico Scientifiche, Torino, 2019, pp. 240, € 23,00
  • Su Cuiping, Una proposta di inculturazione cristiana in Cina a partire dall’educazione familiare, Cantagalli, Siena, 2018, pp. 183, € 17,00
  • Garassini Stefania, Smartphone. 10 ragioni per non regalarlo alla prima Comunione (e neanche alla Cresima), Ares, Milano, 2019, pp. 112, € 9,50. Lo smartphone è ormai un regalo quasi scontato alla prima Comunione. Pochi però si chiedono se sia una buona idea mettere nelle mani di un bambino di 9 o 10 anni uno strumento così potente. Eppure, scegliere l’età giusta per dare a un ragazzo un cellulare è una decisione importante, perché spalanca le porte di un nuovo mondo, ricco e complesso, destinato a occupare una parte significativa della vita di chi lo utilizza. Con questa guida breve ma documentata l’autrice invita ogni genitore, insegnante, educatore a valutare attentamente i motivi per cui varrebbe la pena aspettare a regalare uno smartphone più a lungo di quel che il mercato, la moda e “gli altri” tendono a farci credere. Non si tratta di demonizzare uno strumento dalle straordinarie potenzialità, ma semplicemente di usarlo al meglio. I nostri figli, e anche noi.

Save the date

  • Nord: Family Business Festival 2019, convegni, incontri e visite in azienda, evento promosso da AIDAF (Associazione Italiana Delle Aziende Familiari), Università Bocconi, Corriere della Sera, Brescia, 4-6 aprile 2019.                  www.corriere.it/economia/family-business/programma
  • Nord: Dalla parte dei genitori. Come aiutare nell’educazione dei figli, convegno nazionale promosso dal CCP (Centro Psico-Pedagogico per l’educazione e la gestione dei conflitti), Piacenza, 13 aprile 2019.

https://cppp.it/convegno/pagine/2019-aprile/programma-del-convegno-dalla-parte-dei-genitori-piacenza-2019

  • Centro: L’arte del prendersi cura. XV Campo per le Famiglie, promosso dalla Società San Vincenzo De Paoli – Federazione Nazionale Italiana, Marina Di Massa (MC), 25-27 aprile 2019.

www.sanvincenzoitalia.it/download/volantino-campo-famiglie-2019.pdf

  • Sud: abbasso la squola! Bambine e bambini nella giungla delle difficoltà di attenzione e apprendimento, Convegno sulle difficoltà di attenzione e di apprendimento nella scuola italiana, promosso da STRIPES coop. sociale Onlus e altri enti, Palermo, 5 aprile 2019.

www.pedagogia.it/blog/2019/03/25/bambine-e-bambini-nella-giungla-delle-difficolta-di-attenzione-e-apprendimento

  • Sud: Famiglia e Scuola, Un Rapporto in Evoluzione: cosa è cambiato in questi 50 anni? Convegno AGE Nazionale (Associazione Italiana Genitori) in occasione dei 50 anni di attività, Napoli, 6 aprile 2019

www.age.it/convegno-age-nazionale-famiglia-e-scuola-un-rapporto-in-evoluzione-cosa-e-cambiato-in-questi-50-anni-napoli-6-aprile-2019

  • Estero: Good Sport: Why Our Games Matter and How Doping Undermines Them (Lo sport buono: perché i nostri giochi sono importanti, e come il doping li minaccia), incontro con l’autore del volume, Thomas H. Murray, Presidente Emerito dell’Hastings Center, Garrison-New York (USA), 27 aprile 2019. www.thehastingscenter.org/wp-content/uploads/Murray-book-event-poster.pdf
  • Estero: Work-family in the pursuit of happiness, 8th International Conference of Work and Family (Lavoro e famiglia nella ricerca della felicità. 8° Conferenza Internazionale su Lavoro e Famiglia), promossa dall’International Center for Work and Family della IESE Business School, Barcellona, 1-2 luglio 2019

www.iese.edu/faculty-research/8-international-conference-work-family

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CHIESA CATTOLICA

Celibato. Una legge da cambiare?

Colloquio con Enzo Romeo*, Maria Cristina Bartolomei*, Giovanni Cereti* e Ernesto Miragoli*

Non è un dogma di fede. Non è scritto nei Vangeli, né «si è sempre fatto così». L’obbligatorietà del celibato per i presbiteri nella Chiesa latina è frutto di una tradizione che si è sedimentata nei secoli, con tutte le sue contraddizioni. Basti pensare che già oggi sono parte della Chiesa cattolica decine di preti sposati, cattolici di rito orientale oppure ex pastori anglicani che hanno scelto di passare alla Chiesa di Roma. Recentemente il cardinale Reinhard Marx, alla riunione plenaria di primavera dell’episcopato tedesco, di cui è presidente, ha detto che «la Chiesa cattolica in Germania è arrivata a un punto in cui l’apertura a fare le cose in un modo nuovo deve essere incoraggiata, compreso un dibattito serio sul celibato sacerdotale e il ruolo delle donne».

Ed è notizia di qualche settimana fa l’esistenza in Vaticano di linee guida riservate per quei sacerdoti che hanno avuto figli. «Un documento interno», ha spiegato il portavoce della Sala stampa, Alessandro Gisotti, precisando che «ai preti padri si chiede di lasciare il sacerdozio per assumersi la responsabilità di genitore dedicandosi esclusivamente al figlio». La notizia di queste linee guida è stata rivelata da Vincent Doyle, figlio di un prete che ha creato un gruppo di sostegno denominato Coping International.

Figli a parte, comunque, sul tema del celibato Francesco è stato chiaro e lo ha ribadito di recente, di ritorno dalla Giornata mondiale della gioventù di Panama: «Per quanto riguarda il rito latino, mi viene alla mente una frase di Montini: “Preferisco dare la vita prima di cambiare la legge del celibato”. Personalmente penso che il celibato sia un dono per la Chiesa e non sono d’accordo a permettere il celibato opzionale». Nella stessa occasione ha poi aperto uno spiraglio, per quei «posti lontanissimi», come «qualcosa da pensare quando c’è necessità pastorale. Il tema credo debba essere aperto in questo senso per i luoghi dove c’è un problema pastorale per la mancanza dei sacerdoti».

Insomma, sembra di capire, se si potrà fare sarà per una necessità concreta, non per una riflessione più ampia sul ministero e sull’opportunità o meno dell’obbligo del celibato. Se ne parlerà in ogni caso al prossimo Sinodo sull’Amazzonia, che si terrà in ottobre, a partire dal tema dei “viri probati” che sarà uno dei temi caldi dell’assise. Per questo, prendendo spunto dal recente volume di Enzo Romeo, Lui, Dio e lei (Rubbettino, 2018), Jesus ha deciso di organizzare un dibattito sull’argomento, mettendo a confronto l’autore del volume, la filosofa Maria Cristina Bartolomei, il teologo don Giovanni Cereti ed Ernesto Miragoli, presbitero della diocesi di Como fino a una trentina di anni fa e oggi felicemente sposato, padre e nonno, che è tra i fondatori dell’associazione Vocatio, che riunisce preti che hanno lasciato il ministero.

Il celibato ha un fondamento biblico, neotestamentario, oppure si tratta di una norma ecclesiale, sicuramente degna di rispetto ma non fondata sulle Scritture?

Romeo «Il celibato continua a essere un argomento tabù nel mondo cattolico e non soltanto nella Chiesa di rito latino – che da almeno cinque secoli ha introdotto il celibato obbligatorio – ma perfino nelle Chiese di rito orientale, che sono abituate al sacerdozio “uxorato”. È come se ci fosse una mancanza di serenità nel riflettere e discutere su un tema del genere non soltanto tra il clero, ma anche tra i fedeli laici. E questo mi ha molto colpito».

Bartolomei «Gesù non faceva differenza di persone in base allo stato civile. Com’è noto, tranne Giovanni, gli apostoli erano sposati, e questo non ha impedito loro di essere scelti da Gesù. Il tema del celibato è legato alla tradizione della purità cultuale dei sacerdoti dell’Antico Testamento che, quando erano di turno nel Tempio, dovevano astenersi dall’avere rapporti sessuali. Il Sinodo regionale di Elvira, all’inizio del IV secolo, fa capire che c’era già una prassi disciplinare che proibiva a episcopi, presbiteri e diaconi di avere rapporti sessuali con le loro consorti e di generare figli. In questo periodo si avvertono gli influssi del manicheismo e nasce l’encratismo, cioè l’avversione verso tutto quello che è corporeo, naturale, e in particolare verso l’esercizio della sessualità coniugale. Con Innocenzo III – siamo ormai all’inizio del secondo millennio – c’è la proibizione generale estesa a tutta la Chiesa e confermata dal concilio di Trento».

A livello antropologico, che cosa spinge verso la scelta del celibato?

Bartolomei «Secondo me l’espulsione delle donne dai ministeri ecclesiastici va di pari passo con l’allontanamento delle donne dai ministri ordinati; entrambe queste proibizioni si configurano quando si è instaurata una gerarchia tutta maschile, legata all’arcaica opposizione tra donna e sacro: chi è nel sacro non può avere contatti con la donna né le donne col sacro. Sia chiaro: non si discute il carisma dell’eunuchia per il Regno, che è nell’annuncio di Gesù fin dagli inizi in onore nella Chiesa, ma del fatto che i responsabili delle comunità debbano necessariamente essere assimilati al genere dei monaci. Un cambiamento, questo, che avviene solo nel secondo millennio».

Cereti «Se vogliamo ispirarci alla vita di Gesù, secondo la sua stessa testimonianza contenuta nei Vangeli, “il Figlio dell’Uomo non ha dove posare il capo”. Certamente quindi si tratta di un predicatore, che andava per i villaggi con la comunità dei discepoli, ma non ci sono dei riferimenti espliciti al matrimonio di Gesù o dei discepoli nel Nuovo Testamento. C’è soltanto quel riferimento che si trova in Matteo 19,12, dopo che Gesù aveva affermato che “ciò che Dio ha unito, l’uomo non lo deve separare”, che dice: “Ci sono alcuni che si fanno eunuchi per il regno dei cieli”. E infatti la vita religiosa si ispira a questa frase. Ma poiché si tratta di riflettere sul celibato come condizione prevista dal diritto canonico per essere ammessi ai ministeri ordinati, mi sembra importante ricordare che nel Nuovo Testamento si insiste sul fatto di non imporre sacrifici non necessari sulle spalle dei discepoli. La parola di Cristo ci invita a una fede vissuta nell’amore e nella libertà. Per questo noi troviamo che il Signore, secondo il Vangelo di Matteo, al capitolo 23, versetto 4, dice: “Legano infatti fardelli pesanti e difficili da portare, e li pongono sulle spalle della gente”. Lo stesso tema viene ripreso a proposito di quello che viene chiamato il cosiddetto Concilio di Gerusalemme, in Atti 15,10: “Ora dunque perché tentate Dio imponendo sul collo dei discepoli un giogo che né i nostri padri né noi siamo stati in grado di portare?”. È il giogo della legge, è una mentalità – diciamo – legalista, che viene condannata. Nella Lettera ai Galati si dice: “Cristo ci ha liberati per la libertà, state dunque saldi, e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù” (Galati 5,1). E uno dei testi più belli del Vangelo è quello in cui si dice: “Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi darò ristoro; prendete il mio giogo sopra di voi, e imparate da me che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce, e il mio carico è leggero” (Matteo 11,28 30). Insomma, credo che il celibato trovi il suo radicamento nel Nuovo Testamento, nel testo relativo agli eunuchi, ma deve essere vissuto con grande gioia e con grande libertà; è fatto di grazia e non di legge. Non possiamo riprodurre un legalismo che può far soffrire alcune persone nel corso del loro ministero e della loro vita».

E allora perché nasce questa regola?

Cereti «A mio avviso c’è soprattutto una forte influenza del pensiero e della filosofia stoica, che era diffidente nei confronti degli atti coniugali, che sembravano far perdere il dominio di sé, ma soprattutto perché delle correnti, nella prima comunità cristiana, condannavano il Matrimonio. La Chiesa si è tenuta lontana da queste correnti e ha condannato queste posizioni, che però hanno avuto una certa influenza. Dai primi testi conciliari che conosciamo, anche se sono già del IV secolo, emerge che si chiedeva a tutti i cristiani, ma soprattutto ai chierici, di astenersi dai gesti e dagli atti della vita coniugale se si doveva celebrare o partecipare all’Eucaristia. Come c’era il digiuno eucaristico prima di partecipare all’Eucaristia, c’era il digiuno dagli atti coniugali. Nella Chiesa d’Oriente, dove la celebrazione dell’Eucaristia è prevista soprattutto la domenica e nelle festività, il principio di purità rituale ha potuto essere superato e si è conservato un clero uxorato. Invece nella Chiesa d’Occidente la diffusione della celebrazione quotidiana dell’Eucaristia ha messo di fatto i ministri sposati in una situazione molto difficile, chiedendo loro di astenersi completamente dalla vita coniugale. Credo che ciò abbia influenzato la legge del celibato, che non è fondata sulla parola di Dio o sulla Scrittura, quanto piuttosto su delle convinzioni d’inconciliabilità tra quello che veniva ritenuto il sacro e l’esercizio della sessualità coniugale».

Miragoli «Da un punto di vista storico ritengo che il celibato sia cominciato come consiglio, poi divenuto obbligo, subito dopo quel maledetto abbraccio dell’Editto di Milano, quando la Chiesa ha cominciato ad allearsi con il potere politico, fino a Tessalonica, con Teodosio che proclama la religione cattolica religione dell’Impero. E poi c’è il tema della donna che, sin dalla mitologia greca, ha rivestito una valenza negativa. Nel secolo scorso è cambiato finalmente qualcosa a livello culturale, ma bisogna ancora lavorare tanto. Come comunità cristiana dobbiamo prendere atto che Cristo è stato un rivoluzionario, e tutte queste cose sono diventate orpelli che ci fanno perdere di vista l’essenziale».

Il calo di vocazioni, a vostro parere, dipende anche dal celibato?

Cereti «Nel IV secolo, nel 325, si tiene il concilio di Nicea, dove viene proposto il celibato per i preti. Secondo una narrazione di storici greci ecclesiastici in quell’occasione si levò un certo Pafnuzio, persona anziana e molto autorevole nella Chiesa (è san Pafnuzio di Tebe, vescovo) che disse: “Non bisogna tentare Dio chiedendo delle cose che appaiono troppo difficili da osservare”. Il suo lungo discorso fu condiviso dai padri conciliari che rifiutarono di porre questo principio della rinuncia al Matrimonio e del celibato per coloro che dovevano essere ordinati preti. La divaricazione tra Oriente e Occidente comincia ad avere luogo in questa epoca, e ha luogo per l’Occidente proprio per la convinzione che ci fosse una inconciliabilità tra il sacro e l’esercizio della sessualità umana. Al prossimo Sinodo dei vescovi sull’Amazzonia si dice che il Papa possa essere orientato a concedere l’ordinazione di viri probati per il servizio delle comunità cristiane, in seguito alla richiesta ricevuta da vari episcopati locali. Se si dovesse aprire questa strada, poi probabilmente la cosa potrebbe allargarsi a macchia d’olio, perché il problema dell’insufficienza del clero e del conseguente “digiuno eucaristico” imposto a tante comunità prive di preti è sentito dappertutto».

Che cosa si intende esattamente per viri probati?

Cereti «Per viri probati si intendono delle persone che hanno dato buona prova di sé nella loro famiglia, nella loro professione, godono di buona stima nelle loro comunità cristiane, e quindi possono essere ordinati ministri nei diversi gradi. Già accade nel diaconato, per il quale il Vaticano II aveva approvato l’ordinazione di uomini sposati, ma oggi si pensa anche al presbiterato e, in conformità a quello che succede nelle Chiese evangeliche e nella Chiesa anglicana, quindi Chiese d’Occidente, probabilmente anche all’episcopato. Si parla di viri probati, ma io ritengo che un dato estremamente urgente per la Chiesa cattolica sarebbe quello di superare il tabù della differenza sessuale, cioè una certa discriminazione nei confronti delle donne che è stata condannata esplicitamente nel concilio Vaticano II nella Gaudium et spes, e che in realtà, camuffata con altri termini, continua a esistere nel rifiuto di lasciar accedere al ministero ordinato la donna. La Chiesa cattolica soffre enormemente di questo fatto, anche perché altre Chiese cristiane che hanno introdotto il ministero femminile stanno avendo ottimi risultati. A mio avviso è una disobbedienza ai segni dei tempi ed è un gravissimo danno per la comunità cristiana perché ci sarebbero delle risorse – io oso dire – sterminate, una ricchezza che potrebbe far rifiorire la Chiesa cattolica, non soltanto nei nostri Paesi ma nel mondo intero. La crescita della donna è uno dei segni dei tempi che è stato rilevato e affermato come fatto positivo da papa Giovanni XXIII nella Pacem in terris. Ma questo riconoscimento non ha avuto conseguenze, o ha avuto conseguenze insufficienti, nella Chiesa cattolica».

L’idea che emerge dal volume di Romeo è che la facoltatività del celibato potrebbe essere la carta vincente. Ma come ci si è arrivati?

Romeo «Personalmente non credo che vada messo in discussione il valore del celibato, che rimane una grande opportunità. Ma il celibato deve essere una scelta libera, profonda, consapevole. Penso che non ci siano buoni motivi perché questa obbligatorietà rimanga. Il fatto che ci sia difficoltà nel discuterne, però, vuol dire che la gente forse non è ancora molto pronta. Nella parrocchia di San Stanislao, nel quartiere romano di Cinecittà, affidata per le cure pastorali a un diacono sposato, che vive con moglie e quattro figli in canonica, ho trovato una grande serenità. Non si tratta di un diacono-parroco, figura che non esiste nella Chiesa, però ho visto una persona serena, che trova sostegno nella sua famiglia, più affidabile di tanti sacerdoti soli che hanno difficoltà nel rapportarsi con gli altri. Il mio parroco, negli anni Sessanta-Settanta viveva con la sorella, la nipote e la mamma, avendo una situazione familiare dove la presenza femminile era del tutto normale. Oggi queste situazioni sono rarissime. E mi sembra che la figura della donna nei presbiteri si presenti tra due estremi: o è qualcosa che attiene le sfere celesti, come la Vergine Maria, oppure ha soltanto dei compiti ancillari, come una colf o una cuoca che fa servizio nell’istituto religioso o in canonica».

Bartolomei «È giusto guardare – come ha ricordato don Giovanni Cereti – ai pesi da non caricare sulle spalle di persone, ma non meno giusto è guardare anche al diritto di una comunità ad avere una celebrazione eucaristica. Nei Grigioni, in Svizzera, un giovane, stimatissimo parroco (ovviamente di tre parrocchie; in zone di montagna è ormai raro che siano meno di tre) nel giorno della festa patronale ha annunciato dal pulpito che intendeva sposarsi e che quindi quella era l’ultima Messa che stava celebrando nella comunità. La gente si è messa a piangere, inferocita non con il parroco, ma con la disciplina della Chiesa: perché non possiamo tenerci il nostro parroco con sua moglie e gli eventuali figli? Una suora ha promosso una petizione su internet e ha raccolto in una settimana 3.500 firme (diventate poi 8.000, anche da fuori regione). Insomma: ci sono sicuramente delle resistenze, ma si vede anche tanto desiderio di rinnovamento. Quanto al calo delle vocazioni, conosco personalmente almeno cinque candidati all’ordinazione che hanno interrotto il cammino perché hanno conosciuto una compagna di studi in teologia e hanno deciso che si volevano sposare. E circa altri venti presbiteri, due o tre dei quali religiosi, che hanno lasciato il ministero per sposarsi, e che sarebbero stati felici di continuare a esercitare il loro ministero da sposati. Il Vaticano II, nella Presbyterorum ordinis, dice chiaramente che non c’è una necessità del celibato dei preti. In favore del celibato vengono portate ragioni di convenienza, come quella del “cuore indiviso”, della dedizione completa alla comunità, che però non tengono conto della realtà dei candidati né delle troppe “soluzioni di compromesso”: molto tristi per tutti quelli che sono coinvolti. Condivido la grande aspettativa riguardo al Sinodo dell’Amazzonia; spero però che le persone che vengono individuate come “ordinabili” non siano, per motivi anche molto pratici, destinate a un percorso di formazione un po’ accelerato, e alla fine restino dei presbiteri di serie B rispetto a quelli di serie A che hanno fatto il seminario e gli studi teologici. L’unica vera soluzione è rendere libera la scelta del celibato».

Miragoli «Secondo me ciò che manca all’interno di un discorso di pastorale ecclesiale è il tema del “recupero”. Oltre che andare a cercare viri probati, guardiamo anche alle schiere di preti che hanno lasciato il ministero e che sarebbero pronti a rientrare. Oltretutto hanno già una loro formazione, e quindi non avrebbero problemi a tornare in servizio. Io non sarei uno di questi, però posso assicurarvi che, siccome con mia moglie ci occupiamo da più di trent’anni di preti sposati e di preti in crisi, almeno il 90% dei preti che conosco e che hanno lasciato il ministero, se richiamati, come la vecchia guardia napoleonica si precipiterebbero. A proposito dei viri probati, poi, io aggiungerei le mulieres probatæ. Quanto alle vocazioni, non credo che sia il celibato un elemento frenante, ma piuttosto il fatto che non siamo più una comunità cristiana che dà testimonianza vitale. Se guardo alla mia esperienza, vedo che io sono diventato prete perché ho conosciuto dei sacerdoti che mi hanno entusiasmato. E mi sono detto: perché non posso giocare la mia vita di giovane sul Vangelo, sulla testimonianza cristiana, diventando prete anche io? Ecco, queste cose oggi noi non riusciamo più a comunicarle».

A vostro giudizio, è necessario ripensare completamente la formazione e la costruzione della figura del presbitero?

Romeo «Scrivendo questo libro, Lui, Dio e lei, ho scoperto che il celibato, se vissuto bene, è un vasodilatatore dell’anima. Ma se è legato soltanto a un obbligo normativo, al rispetto di una legge canonica, diventa asfissiante sia per chi deve sottostare alla norma che per l’intera comunità che ha come guida quel presbitero. Lo vediamo anche, in maniera drammatica, con la questione degli abusi sessuali. La seconda cosa da ricordare è che non è più tempo, dopo il concilio Vaticano II, di creare una “concorrenza” tra i sacramenti, come se il Matrimonio e l’Ordine sacro dovessero fare a cazzotti per stabilire chi è il più importante. È giunto il momento di dire che sono due sacramenti entrambi decisivi per la vita cristiana, che non si escludono a vicenda. L’ultima cosa che vorrei dire è una postilla sulle donne: in un precedente libro mi sono occupato anche di questa questione, e riscontro che, se si fa fatica a parlare di celibato, oggi è ancora più difficile parlare di donne prete. Bisogna avere molta

                             Vittoria Prisciandaro                   “Jesus” n. 4 – aprile 2019

www.jesusonline.it

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201904/190404romeobartolomeiceretimiragoliprisciandaro.pdf

 

La teologa Perroni: “Il Papa parla la lingua della laicità. La Chiesa lo segua”

Il Papa parla «la lingua della laicità», è ora che tutta la Chiesa «la impari». Così Marinella Perroni, teologa e biblista, fondatrice del Coordinamento teologhe italiane, commenta l’invito di Francesco a non considerare il sesso un «tabù», perché è «un dono di Dio».

Professoressa, quanto è importante che il Papa scriva questo?

«In un mondo che vive di comunicazione alcune frasi di papa Francesco sono veri e propri lampi nella notte. Parte il tam tam delle reazioni e delle illazioni. In questo caso, poi, si tratta di una frase che ha il sapore del riscatto».

In che senso?

«È opinione diffusa, infatti, che tra Chiesa e sessualità la guerra sia stata dichiarata già da molto molto tempo e che questa guerra sia diventata ancora più violenta dopo gli anni della rivoluzione sessuale che, in Occidente, hanno così profondamente influenzato i costumi soprattutto del mondo giovanile. Le parole del Papa sotterrano l’ascia di guerra, ed è bene perché almeno lasciano intendere che “se ne può parlare”, aprono al ragionamento e alla discussione. È come se il Papa avesse detto, soprattutto ai giovani: “Coraggio, la Chiesa è un luogo in cui non ci sono preclusioni, e se le viene imputato di essere bloccata dal tabù del sesso, non è vero; parliamone”».

Dice il Papa: «In un mondo che enfatizza esclusivamente la sessualità, è difficile mantenere una buona relazione col proprio corpo e vivere serenamente le relazioni affettive». Quale ruolo deve avere la Chiesa in questa dinamica?

«In realtà questo mondo enfatizza anche altre cose, denaro e potere oltre al sesso. Oggi però è vero che questa “trinità” mondana viene sbandierata come alla portata di tutti non soltanto dei potenti di turno. La Chiesa dovrebbe riportare la “trinità” mondana dentro l’ordinarietà della vita, come realtà da cui può certamente dipendere la qualità della vita di ogni giorno, ma che è strettamente connessa con la responsabilità perché tutte e tre implicano relazioni, e le relazioni possono essere vitali, ma anche mortali, possono liberare o soggiogare. È con la qualità delle relazioni, anche sessuali, che si gioca la qualità della vita umana».

La morale sessuale è spesso causa di «incomprensione e di allontanamento dalla Chiesa», percepita «come uno spazio di giudizio e di condanna», sebbene vi siano giovani che si vogliono confrontare su questi temi: anche lei nota questo?

«Non è un problema dei giovani soltanto. Lo è stato per mia madre e per la madre di mia madre. Sì, soprattutto per le donne. Perché gli uomini di chiesa venivano – e forse vengono ancora – formati al “potere del sacro” che comporta la convinzione di dover dirigere le coscienze a partire dalla convinzione che la sessualità, sia pure necessaria al mantenimento della specie, andava però domata e controllata. È un punto di vista molto maschile, che è stato dominante in tutte le religioni e nelle società teocratiche. Oggi uomini e donne, giovani e meno giovani, parlano la lingua della laicità e solo se accetterà di imparare questa lingua la Chiesa saprà parlare di sessualità in modo umano. Francesco ha cominciato a esprimersi in questa nuova lingua. Quello che dice non va però ridotto a slogan».

La Chiesa è pronta a seguire queste indicazioni di papa Francesco?

«Di fatto se si rimette la frase nel contesto, Francesco ha ribadito la prospettiva della Chiesa, ma lo fa in modo sapiente, in modo interlocutorio, che apre al confronto».

C’è chi definisce la Chiesa e i preti troppo lontani dalla vita quotidiana: quello che indica il Papa può essere un passo in avanti verso il dialogo, l’inizio di una riflessione aperta? Quali devono essere le prime iniziative a livello strutturale nella Chiesa? Per esempio nei seminari?

«Più volte il Papà ha lanciato il grido di allarme sulle procedure di formazione del clero. E la situazione di implosione che vive oggi la Chiesa ha certamente a che fare con una sessualità distorta, repressa, disumanizzata. Ci vorrà tempo, tanto, per rimettere le cose a posto. Per questo Francesco, che ha cominciato a parlare la lingua della laicità, va preso sul serio».

Intervista a Marinella Perroni                Domenico Agasso jr         Vatican Insider 3 aprile 2019

www.lastampa.it/2019/04/03/vaticaninsider/la-teologa-perroni-il-papa-parla-la-lingua-della-laicit-la-chiesa-lo-segua-ZwXajFpd2YLQtacmVV8u6O/pagina.html

 

Scandali nella chiesa! E dopo?

Nella tormenta degli scandali che feriscono il volto della chiesa cattolica, preferirei fare silenzio e penitenza. Ma è anche necessario avere il coraggio di operare la piaga e passare dalle constatazioni angosciate ai rimedi vigorosi, anche se devono far male all’istituzione… per il suo bene! Non guariremo la nostra chiesa se non avremo l’audacia di cercare le cause di tali comportamenti devianti. Papa Francesco lo ha espresso chiaramente: una causa è il clericalismo. In effetti, alcuni si sono a poco a poco erti a cristiani di prima classe, con tutti i rischi del potere dominatore. E lo hanno fatto come investiti di una missione sacra che li posizionerebbe al di sopra dei “semplici fedeli” e anche al di sopra delle leggi della Repubblica democratica.

È uno stravolgimento di una bella vocazione ai ministeri che dovrebbe accompagnarsi a un grande rispetto per la dignità e la coscienza degli altri. Le prove che noi attraversiamo devono cambiare profondamente il nostro modo di vedere e di vivere la missione dei preti (e evidentemente anche dei vescovi). Il clero deve sottoporsi ad una cura di una nuova riflessione teologica sul mistero della sua definizione, evitando le trappole di una sacralizzazione sovradimensionata che ha autorizzato tanti eccessi con il pretesto di una mistica della funzione. Occorre osare andare oltre e in due direzioni.

  1. Il celibato può essere un buon aiuto alla missione dei preti totalmente al servizio delle comunità. Ma l’obbligo universale del celibato per i preti della chiesa latina è certamente un errore che può generare gravi danni collaterali. Conformemente alla più antica tradizione, quella che risale al tempo degli apostoli e che non ha cessato di essere presente nelle chiese di Oriente (comprese le cattoliche), il celibato può essere raccomandato, mai prescritto. Non solo ci si priva di possibili preti facendo del celibato una condizione imposta a tutti. Non solo si è rinunciato al servizio di ottimi preti che hanno scelto, per coerenza, di sposarsi piuttosto che scegliere scappatoie per sottrarsi alla loro promessa. Senza volerlo, si sono provocate in alcuni delle frustrazioni pericolose o oscure che possono sfociare in comportamenti particolarmente tossici per le persone più fragili. Per essere un prezioso aiuto del ministero, il celibato deve essere scelto in tutta libertà e vissuto al di dentro di comunità più fraterne che gerarchiche.
  2. Infine, bisogna rivedere il posto che la nostra chiesa accorda alle donne nelle sue strutture e nelle sue missioni. Mentre nelle nostre società l’uguaglianza uomini-donne è rivendicata e sovente promossa, nella chiesa siamo ancora prigionieri di tradizioni che impediscono alla donne di partecipare pienamente a certi ministeri. Si apprezzano i servizi delle donne nelle comunità dove costituiscono spesso la grande maggioranza dei cristiani presenti e attivi. Ma quando si tratta di decisioni e di uffici importanti, non ci sono, perché sono state escluse. E perché questo? Unicamente perché sono donne, ossia uomini (nel senso di esseri umani) non come gli altri (i maschi). Secondo una interpretazione illuminata dei testi assunti nel loro contesto, nulla permette, a livello dei fondamenti biblici, di giustificare tale discriminazione, anche per i ministeri ordinati. Al contrario, l’atteggiamento profetico di Gesù rispetto alle donne e alcuni principi seguiti dagli apostoli, ci sollecitano a riconsiderare il ruolo delle donne nella nostra chiesa. Sono persuaso che in questi due cambiamenti si trova una parte dei rimedi che cerchiamo per arginare le derive che lamentiamo. È tempo di passare da belle declamazioni ad atti concreti. Abbiamo tutto da guadagnare, in particolare l’irraggiamento dell’Evangelo di Cristo che le chiese devono sempre annunciare, a tempo opportuno e inopportuno, e anzitutto con la trasparenza della verità e l’umiltà dell’amore.

Claude Ducarroz (parroco emerito cattedrale di Fribourg) “Le Temps” 21 marzo 2019

Traduzione finesettimana   www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201904/190402ducarroz.pdf

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COMMISSIONE ADOZIONI INTERNAZIONALI

CAI verifica i requisiti di idoneità degli enti accreditati

La Commissione per la Adozioni Internazionali informa che le verifiche biennali avviate, con delibera n. 1/2017/SG del 12 settembre 2017, nei confronti degli Enti autorizzati (EEAA), sono giunte in fase conclusiva. Una prima parte delle verifiche si è già conclusa e nelle prossime riunioni la Commissione provvederà a deliberare su quelle residue.

I criteri che hanno guidato la verifica della sussistenza dei requisiti di idoneità degli EEAA sono stati: la verifica della proporzionalità tra adozioni concluse e il numero di conferimenti di incarichi pendenti; l’organizzazione con riferimento alle sedi e al personale; la completezza delle informazioni fornite nella relazione sulle attività e il rispetto dei tempi d’invio della stessa e del bilancio consuntivo (ex art.14, comma 1 lett. e del D.P.R. 108/2007) con positiva valutazione di quegli enti che hanno fatto certificare questi documenti da società di revisione contabile.

Infine, è stata inclusa nella valutazione anche l’assenza di segnalazioni significative da parte di aspiranti genitori adottivi.

Notizie CAI 4 aprile 2019

www.commissioneadozioni.it/notizie/cai-verifica-i-requisiti-di-idoneit%C3%A0-degli-enti-accreditati

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CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Il respiro della sinodalità

“La sinodalità richiede spiritualità evangelica e appartenenza ecclesiale, formazione continua, disponibilità all’accompagnamento, creatività “. Lo ha detto il Card. Gualtiero Bassetti introducendo i lavori della sessione primaverile del Consiglio Episcopale Permanente della CEI (Roma, 1°-3 aprile 2019). “La sinodalità è una proposta che sentiamo di poter e dover fare anche alla società – ha aggiunto poi –, a una società slabbrata come la nostra. Non è certo sinodale la modalità con cui la comunicazione viene spesso usata per accendere gli animi, screditare e far prevalere le paure, arrivando a identificare nell’altro non un fratello, ma un nemico”.

Tra i temi affrontati dal Cardinale – e che saranno oggetto di discussione – “le domande di sostegno in campo educativo, formativo e relazionale, che salgono dalle famiglie”, come pure la necessità di offrire lavoro e crearlo e di coinvolgere i laici, uomini e donne, nella corresponsabilità e nei processi decisionali, praticando “la sinodalità come metodo di vita e di governo delle nostre comunità diocesane”.

L’ultimo pensiero dell’introduzione è per l’appuntamento di riflessione e spiritualità che si svolgerà a Bari, a febbraio 2020: esso, “valorizzando la sinodalità, si prefigge di compiere un passo verso la promozione di una cultura del dialogo e della pace, per un futuro dell’Italia, dell’Europa, dell’intero bacino mediterraneo”.

Testo www.chiesacattolica.it/wp-content/uploads/sites/31/2019/04/01/Bassetti-Introduzione-CEP.docx

Consiglio permanente CEI    1 aprile 2019

www.chiesacattolica.it/il-respiro-della-sinodalita

 

Consiglio Permanente.          Per la dignità di ogni persona

La cifra della sinodalità – “il passo a cui Papa Francesco non si stanca di richiamarci” – ha costituito il filo portante dell’Introduzione con cui il Card. Gualtiero Bassetti, Arcivescovo di Perugia – Città della Pieve e Presidente della CEI, ha aperto la sessione primaverile del Consiglio Permanente (Roma, 1-3 aprile 2019). Nel riconoscere quanto sia vitale per la comunità ecclesiale e per la stessa società una sinodalità convinta e diffusa, i Vescovi ne hanno evidenziato contenuti e ricadute, per assicurarle concretezza.

E “concretezza” è stata anche la cifra con la quale sono state affrontate le conseguenze del Decreto Sicurezza e le soluzioni assunte dalle Diocesi.

Per molti aspetti, i lavori sono stati orientati alla preparazione dell’Assemblea (Roma, 20-23 maggio 2019). Il tema principale, sul quale saranno chiamati a confrontarsi i Vescovi della Chiesa italiana, riguarda Modalità e strumenti per una nuova presenza missionaria.

In Consiglio, dopo un confronto sugli Orientamenti pastorali, se ne è individuata la scansione temporale e il percorso per arrivare a dar forma ai contenuti del cammino del prossimo quinquennio.

È stato istituito un Servizio nazionale per la pastorale delle persone con disabilità.

Tra i temi all’ordine del giorno, ampio spazio è stato dedicato al tema della tutela dei minori e degli adulti vulnerabili: dopo aver ascoltato due vittime di abusi compiute da chierici, il Consiglio Permanente ha autorizzato il testo delle Linee guida da presentare a maggio all’esame e all’approvazione dell’Assemblea Generale.

I Vescovi hanno approvato la proposta di un documento, curato dalla Commissione Episcopale per il servizio della carità e della salute, sulla fase terminale della vita terrena.

Nel corso dei lavori il Consiglio Permanente ha riflettuto sulla gestione delle risorse finanziarie secondo criteri etici di responsabilità sociale, ambientale e di governance. Fra gli adempimenti amministrativi, è stata approvata la proposta di ripartizione – tra carità, sostentamento del clero ed esigenze di culto e pastorale – da sottoporre alla prossima Assemblea Generale dei fondi dell’otto per mille che perverranno nel 2019.

Per quanto concerne la seconda edizione della Liturgia delle Ore, il Consiglio Permanente ha scelto di adottare – eventualmente apportando le opportune modifiche – la traduzione della Bibbia CEI 2008.

Infine, sono stati presi in esame una serie di adempimenti, tra cui l’approvazione del Messaggio la Giornata del Primo Maggio; sono stati fissati la sede e il periodo della 49ª Settimana Sociale dei Cattolici Italiani (Taranto, inizio 2021); si è provveduto ad alcune nomine; è stato approvato il calendario delle attività della Conferenza Episcopale Italiana per il prossimo anno pastorale.          Testo comunicato finale

www.chiesacattolica.it/wp-content/uploads/sites/31/2019/04/04/Comunicato-finale-4-aprile-2019.docx

Consiglio permanente CEI    3 aprile 2019

www.chiesacattolica.it/per-la-dignita-di-ogni-persona

 

“I cristiani sono sinodali”.

A ricordarlo è il card. Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve e presidente della Cei, nell’introduzione ai lavori del Consiglio episcopale permanente, in corso a Roma fino al 3 aprile. “Non è un vestito esteriore la sinodalità”, ha precisato il porporato a proposito di quella che ha scelto come parola-chiave, declinata a 360 gradi, della sua introduzione: “Ha un significato misterico, contenuto in quella piccola preposizione: ‘syn’, insieme, frutto e condizione della venuta dello Spirito Santo, che ama l’unità e la concordia. La sinodalità è la forma esteriore che il mistero della communio assume nella vita della Chiesa: i cristiani sono sinodali, ossia ‘compagni di viaggio, portatori di Dio, portatori del tempio, portatori di Cristo e dello Spirito’, secondo l’espressione di Sant’Ignazio di Antiochia. È quindi uno stile la sinodalità, che nasce da quella vita di grazia che conforma al Signore Gesù”. “Sorge dal basso la sinodalità”, ha spiegato Bassetti: “Inizia dall’ascolto, dove ciascuno ha qualcosa da imparare dall’altro, nella volontà di mettersi in sintonia, di accogliersi reciprocamente. Traspare nel linguaggio e nel comportamento, nelle relazioni, nelle scelte, nel modo ordinario di vivere. È generativa la sinodalità. Avvicina la realtà nella disponibilità ad apprendere e coinvolgersi.

È sguardo sull’uomo: dagli ambiti di Verona 2006– la vita affettiva, il lavoro e la festa, la fragilità umana, la tradizione e la cittadinanza – alle vie di Firenze 2015: uscire, annunciare, abitare, educare e trasfigurare”. “È anche faticosa la sinodalità”, ha riconosciuto il cardinale: “Richiede spiritualità evangelica e appartenenza ecclesiale, formazione continua, disponibilità all’accompagnamento, creatività”. “È il passo a cui Papa Francesco non si stanca di richiamarci”, ha sottolineato Bassetti: “Ne abbiamo bisogno per essere davvero Popolo di Dio, come pure per restare un punto di riferimento morale e sociale per il nostro Paese”.

don Massimo Naro per il Sir: “La sinodalità ha un respiro largo e complesso. Scaturisce dal crogiuolo dei rapporti che costituiscono ciascuna Chiesa locale in se stessa e in relazione alle altre Chiese particolari”.

Agenzia SIR   1 aprile 2019

            www.agensir.it/quotidiano/2019/4/1/sinodalita-card-bassetti-ne-abbiamo-bisogno-per-essere-davvero-popolo-di-dio-e-per-restare-un-punto-di-riferimento-morale-e-sociale-per-il-nostro-paese

 

Quando manca la sinodalità, “riusciamo a dividerci su tutto, a contrapporre le piazze”

“La sinodalità è una proposta che sentiamo di poter e dover fare anche alla società, a una società slabbrata come la nostra”. Ne è convinto il card. Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve e presidente della Cei, che nell’introduzione ai lavori del Consiglio episcopale permanente, che si è aperto questo pomeriggio a Roma, ha denunciato: “Non è certo sinodale la modalità con cui la comunicazione viene spesso usata per accendere gli animi, screditare e far prevalere le paure, arrivando a identificare nell’altro non un fratello, ma un nemico. Quanta distanza dal dialogo che abbiamo visto in atto in questi giorni con la visita del Santo Padre in Marocco…”. “Purtroppo, quando manca questo sguardo, riusciamo a dividerci su tutto, a contrapporre le piazze, persino su un tema prioritario come quello della famiglia, sul quale paghiamo un ritardo tanto incredibile quanto ingiusto”, il riferimento alla stretta attualità: “Ma come si fa a dimenticare che, anche negli anni più pesanti della crisi, proprio la famiglia ha assicurato la tenuta sociale del Paese? E oggi non è forse ancora la famiglia a rappresentare per tutti la principale opportunità di riscatto?”. “Le istituzioni pubbliche non possono fare finta che la famiglia sia solo un fatto privato”, la tesi del presidente della Cei: “Ciò che avviene tra i coniugi e con i figli è un fatto sociale; e ogni essere umano che viene ferito negli affetti familiari, in un modo o nell’altro, diventerà un problema per tutti”.

Agenzia SIR   1 aprile 2019

https://www.agensir.it/quotidiano/2019/4/1/famiglia-card-bassetti-e-un-fatto-sociale-non-privato-quando-manca-la-sinodalita-riusciamo-a-dividerci-su-tutto-a-contrapporre-le-piazze

 

Famiglia: card. Bassetti, “non è un menù”, “non si resti sordi alle domande di sostegno

Non si resti sordi alle domande di sostegno in campo educativo, formativo e relazionale, che salgono dalle famiglie”. È l’appello lanciato dal card. Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve e presidente della Cei, nella parte centrale della sua introduzione al Consiglio episcopale permanente, in corso a Roma fino al 3 aprile. “‘Il cuore di ciascuna di esse è l’amore delle persone che la compongono e che, in virtù di questo amore, stringono alleanza davanti agli uomini e – per noi credenti – nel Signore”, ha ricordato il cardinale, che subito dopo ha avanzato proposte concrete: “Se non vogliamo rassegnarci al declino demografico – la prima di esse – ripartiamo da un’attenzione reale alla natalità; prendiamoci cura delle mamme lavoratrici, imparando a riconoscere la loro funzione sociale; confrontiamoci con quanto già esiste negli altri Paesi del Continente per assumere in maniera convinta opportune misure economiche e fiscali per quei coniugi che accolgono la vita. Vanno in questa direzione diverse proposte avanzate anche dal Forum delle associazioni familiari”. “La famiglia è il termometro più sensibile dei cambiamenti sociali”, ha fatto notare Bassetti: “Senza venir meno ai principi – visto che la famiglia non è un menù da cui scegliere ciò che si vuole – aiutiamoci a mettere a punto un pensiero sulla famiglia per questo tempo. Chi fosse sinceramente disponibile a questo passo – che è condizione per una società migliore – ci troverà sempre al suo fianco, forti come siamo di una ricca tradizione di cultura della famiglia”.

Il linguaggio del cardinale Bassetti, nell’introduzione al Consiglio episcopale permanente, è paterno e inclusivo. Ricorda il ruolo sociale della famiglia, per assicurare la “tenuta sociale del Paese”. Ricorda le “diverse proposte avanzate anche dal Forum delle associazioni familiari” per venire incontro ai bisogni concreti. E conclude osservando che “la famiglia è il termometro più sensibile dei cambiamenti sociali” e, dunque, da un lato non si può “venir meno ai principi – visto che la famiglia non è un menù da cui scegliere ciò che si vuole”, dall’altro che è necessario “mettere a punto un pensiero sulla famiglia per questo tempo”. Dialogando, con serenità e chiarezza…

È un percorso in salita, in salita erta, quello che propone il cardinale Bassetti alla Cei e di fatto ai cattolici ma anche alla società italiana. Un percorso controcorrente, intorno ad una parola difficile.

Nella sua introduzione al Consiglio episcopale permanente c’è l’eco di un giro d’Italia di due anni, ad incontrare persone, gruppi, istituzioni, comunità. Ma d’altro canto come accettare la deriva di una società “slabbrata”, la realtà di una serie di solitudini, di uno sfilacciamento litigioso?

Rischia, il presidente della Cei, quando dice di passare dal ragionamento sul metodo ad indicare una prospettiva. Perché sinodalità, questa parola tecnica, questa parola difficile, ne evoca altre due, più semplici: comunità e dinamismo. Due caratteristiche della Chiesa, in particolare della Chiesa in Italia, che è e vuole restare una Chiesa di popolo.

Perché sinodalità, questa parola tecnica, questa parola difficile, ne evoca altre due, più semplici: comunità e dinamismo. Due caratteristiche della Chiesa, in particolare della Chiesa in Italia, che è e vuole restare una Chiesa di popolo.

  1. Delinea così un impegno su diversi temi. Uno spicca, anche riguardo all’incredibile baccano di questi giorni, la famiglia. Un baccano che è un artifizio di comunicazione al quale purtroppo siamo abituati: “Riusciamo a dividerci su tutto, a contrapporre le piazze, persino su un tema prioritario come quello della famiglia, sul quale paghiamo un ritardo tanto incredibile quanto ingiusto”.
  2. Ricorda il ruolo sociale della famiglia, per assicurare la “tenuta sociale del Paese”. Ricorda le “diverse proposte avanzate anche dal Forum delle associazioni familiari” per venire incontro ai bisogni concreti. E conclude osservando che “la famiglia è il termometro più sensibile dei cambiamenti sociali” e, dunque, da un lato non si può “venir meno ai principi – visto che la famiglia non è un menù da cui scegliere ciò che si vuole”, dall’altro che è necessario “mettere a punto un pensiero sulla famiglia per questo tempo”.

Dialogando, con serenità e chiarezza. Questo non significa, aggiungiamo, essere irenici, o inventare un compromesso, ma, chiamando tutte le cose con il loro nome, riconoscersi e mettersi all’opera per il bene comune, come bene di tutti e di ciascuno. Insomma “mettere a punto un pensiero sulla famiglia per questo tempo” è un “passo – che è condizione per una società migliore”.

Impresa difficilissima, se non impossibile, nel can-can mediatico e nella confusione culturale, che fa comodo a molti. D’altro canto questo è lo stile di Papa Francesco, per chi ascolta integralmente il suo messaggio e segue la sua personale testimonianza.

Serve tanta buona volontà, merce vieppiù rara. Ma abbiamo tutti gli strumenti, giuridici, sociali, culturali. L’Italia ha un quadro costituzionale adamantino, con una definizione di famiglia molto precisa e indiscutibile, più volte ribadita dalla Corte costituzionale, ha una legislazione che tutela anche altre forme di convivenza, ovvero le unioni, anche omosessuali. Il diritto di famiglia riconosce i diritti e chiarisce i doveri di tutti gli attori del sistema familiare. Basta applicare le norme, chiamando sempre le cose con il loro giusto nome. Partendo ed arrivando al concreto delle situazioni. Anche se è molto, molto difficile.

Francesco Bonini                   Agenzia SIR   2 aprile 2019

https://agensir.it/chiesa/2019/04/02/il-ruolo-della-famiglia-per-assicurare-la-tenuta-sociale-del-paese

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CONGEDO

Congedo papà: 10 giorni pagati come la malattia

Minimo dieci giorni lavorativi di congedo di paternità retribuiti come l’indennità di malattia; due mesi di congedo parentale retribuito e non trasferibile e cinque giorni di congedo annuale per gli operatori dell’assistenza. Li prevede la direttiva sulle nuove misure per facilitare la conciliazione tra lavoro e vita di famiglia, approvata in questi giorni dal Parlamento europeo, con 490 voti a favore, 82 contrari e 48 astensioni. Tra le tematiche regolamentate anche congedi parentali e di assistenza.

            Ue, raddoppiano i congedi per i papà. Il provvedimento stabilisce i requisiti minimi, previsti per gli stati membri da attuare per aumentare le opportunità delle donne nel mercato del lavoro e rafforzare il ruolo del padre (o di un altro genitore equivalente). Come si legge nei documenti parlamentari, i papà avranno diritto ad almeno 10 giorni lavorativi di congedo retribuito nei giorni vicini alla nascita “o al parto del feto morto”. Tale congedo dovrà essere pagato ad un livello non inferiore all’indennità di malattia. Nel nostro Paese, al momento, la durata del congedo obbligatorio per il padre è di 5 giorni. I deputati hanno inoltre aggiunto due mesi di congedo parentale non trasferibile e retribuito (ovvero che può essere goduto da uno dei due genitori). Si tratta di un diritto individuale «in modo da creare le condizioni adeguate per una distribuzione più equilibrata delle responsabilità».

Tempo fino al 2022. A questo punto, Gli Stati membri avranno tre anni per recepire la direttiva nei propri ordinamenti e, prosegue il documento «fisseranno un livello adeguato di retribuzione, o indennità, per il periodo minimo non trasferibile di congedo parentale, tenendo conto del fatto che questo spesso comporta una perdita di reddito per la famiglia e che invece anche il familiare più retribuito dovrebbe potersi avvalere di tale diritto».

            Ed ancora «gli Stati membri devono offrire 5 giorni all’anno di congedo per i lavoratori che prestano assistenza personale a un parente o a una persona che vive nella stessa famiglia a causa di un grave motivo medico o infermità connesse all’età. I genitori e i prestatori di assistenza che lavorano potranno richiedere modalità di lavoro adattabili, ove possibile, ricorrendo al lavoro a distanza o a orari flessibili per poter svolgere le loro mansioni. Nell’esaminare tali richieste, i datori di lavoro potranno tener conto non solo delle proprie risorse, ma anche delle esigenze specifiche di un genitore di figli con disabilità, o una malattia di lunga durata, e dei genitori soli».

Gabriella Lax Studio Cataldi            5 aprile 2019

www.studiocataldi.it/articoli/34171-congedo-papa-10-giorni-pagati-come-la-malattia.asp

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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM

Massa. Disabilità: la diversità di ognuno per l’accoglienza di tutti

Grande attesa per l’incontro dal titolo “Disabilità: la diversità di ognuno per l’accoglienza di tutti”. L’evento è organizzato dal consultorio Ucipem “La Famiglia”, diretto da don Mario Amadi, in collaborazione con l’Ufficio Diocesano per la pastorale familiare, diretto dai coniugi Fausto e Stella Vannucci, da sempre attenti alle problematiche che riguardano il prossimo.

All’evento, coordinato dal presidente del consultorio “la famiglia” Alfonsina Ramagini, intervengono il presidente della consulta provinciale per la disabilità Pierangelo Tozzi e la scrittrice pedagogista Silvia Tamberi, che durante l’incontro dialoga con Gianni Conti.

Il consultorio Ucipem “La Famiglia”, diretto da don Mario Amadi, è una associazione di volontariato, senza scopo di lucro, in cui operano consulenti ordinistici e consulenti familiari. Il consultorio è a Massa in via XXIV Maggio 2, presso l’oratorio del Santuario dei Quercioli.

www.consultoriolafamigliamassaquercioli.com/2019/04/03/disabilita-la-diversita-di-ognuno-per-laccoglienza-di-tutti

www.consultoriolafamigliamassaquercioli.com

Portogruaro. Incontri “la rabbia e la paura: come gestirle in modo costruttivo”.

La dott.ssa Marilena Brunetti, psicologa psicoterapeuta conduce quattro incontri a maggio:

  1. Perché ci arrabbiamo,
  2. Strategie efficaci per fronteggiare la rabbia,
  3. La paura ci motiva o ci frena?
  4. L’ascolti delle emozioni, strumento di crescita-

www.consultoriofamiliarefondaco.it

 

Trento. Fugatti in visita al consultorio: «oltre 5.600 gli accessi al servizio nel solo 2018»

Un fiore capace di sopportare gli inverni e le tempeste, ma che richiede rispetto dell’habitat in cui mette le sue radici: è il papavero, che è stato scelto per rappresentare idealmente il Consultorio Familiare UCIPEM, attivo a Trento da oltre 50 anni. Il presidente della Provincia Maurizio Fugatti lo ha visitato nei giorni scorsi, accolto dai rappresentanti della Onlus UCIPEM, la presidente Enrica Tomasi, il direttore Luca Bonini e da alcuni consiglieri, che hanno spiegato come i principi alla base del consultorio siano l’ascolto e il rispetto dei singoli, delle coppie e delle famiglie che si rivolgono al centro per “restaurare” le loro relazioni interpersonali.

Obiettivo di chi opera al Consultorio Familiare Ucipem è quello di attivare le risorse ancora presenti nella situazione per risolverne le difficoltà. Il consultorio si avvale di una équipe interdisciplinare di 15 psicoterapeuti, una sessuologa, quattro consulenti familiari ed una mediatrice familiare che ogni settimana si confrontano ed intervengono per la risoluzione dei singoli casi. Oltre all’attività istituzionale, sono molti i progetti Ucipem il cui cuore è il lavoro di consulenza psicologica. Nell’incontro è stata presentata l’esperienza degli Open Space – gli sportelli di consulenza all’interno di molte scuole trentine per sostenere i giovani nella fase dell’adolescenza – ed il progetto Pinocchio che da oltre 15 anni si dedica alle famiglie più fragili. Queste attività sono affiancate dalla formazione e dalla ricerca, un’area dove l’alto livello di professionalità si coniuga con progetti universitari.

“Stiamo sviluppando un modello di psicoterapia di coppia che possa essere esteso ad altri consultori ed inserito nei LEA” spiega il direttore Bonini”: nel 2018 abbiamo avuto un incremento significativo della prestazioni, oltre 5.600, un numero molto importante che supera di circa 700 unità i dati dell’anno precedente.” “Importantissimo, poi, il supporto del volontariato”, ha continuato Enrica Tomasi, spiegando che il servizio consultoriale Ucipem, da sempre, è gestito da un’associazione di soli volontari. Anche gli operatori dedicano una parte del loro tempo in forma gratuita, la sfida è quella di continuare a coniugare questa dimensione con la professionalità, la cura delle relazioni e la ricerca. La Provincia, ha precisato in conclusione il direttore, “ci auguriamo continui a sostenere le famiglie consentendo a servizi multidisciplinari come questo di operare e svilupparsi”

www.agenziagiornalisticaopinione.it/lancio-dagenzia/ucipem-trento-fugatti-in-visita-al-consultorio-oltre-5-600-gli-accessi-al-servizio-nel-solo-2018

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CONVEGNI SEMINARI

In occasione del World Congress of Families XIII, svolto a Verona dal 29 al 31 marzo 2009, il Presidente del Centro studi Livatino Prof. Mauro Ronco e il Vicepresidente Dott. Alfredo Mantovano hanno svolto gli interventi che pubblichiamo di seguito, [insieme ad un’intervista] il primo all’interno del workshop Tutela giuridica della vita e della famiglia, il secondo all’interno del workshop Tutela della vita, entrambi nel pomeriggio del 29 marzo 2019.

 

Famiglia e vita: un rapporto indissolubile

In uno scritto del 1928 il teologo evangelico Helmuth Schreiner (1893-1962) scriveva pagine mirabili contro l’eutanasia, che proprio in quegli anni veniva proposta sia in Germania che nei paesi anglosassoni come misura medica e sociale per togliere dal mondo i soggetti minorati e i malati di mente. Egli diceva che il motivo più profondo per opporsi all’eutanasia sta nella sua radicale contrarietà a un’etica veramente umana. L’uomo non si è dato da sé la vita e pertanto non ha il diritto di toglierla, né a sé né agli altri. Tra i motivi per i quali l’eutanasia appariva allora conveniente – si pensi al famoso libello del 1920 di Binding e Hoche Die Freigabe der Vernichtung lebensunwerten Lebens – ricorreva l’esigenza di contenere le spese per l’assistenza e la cura dei malati di mente, che sembravano sempre più numerosi e socialmente incontrollabili.

            Le misure sociali per il miglioramento di queste vaste categorie di persone sembravano vane. I costi crescevano e i risultati di riabilitazione e risocializzazione erano pressoché nulli. Schreiner, domandandosi quale fosse la causa della crescita del numero dei deboli di mente nonché del fallimento degli sforzi tesi a migliorarne la condizione, osservava che essa era l’abbandono dei principi etici fondamentali. Perché si accresceva il numero delle persone disturbate? La risposta: perché i sani e in particolare le persone istruite al vertice della società vivono da decenni su questa parola d’ordine: meglio due domestici che un figlio. Il timore per il futuro scaturisce dal venire meno dello spirito di servizio e di sacrificio. Già prima della guerra, nel 1913 – osservava il teologo – il 75% delle famiglie degli impiegati più alti facevano rilevare un tasso di fecondità inferiore alla media; il 17% delle famiglie dei più alti funzionari dello Stato restavano senza figli; il 19% di queste aveva soltanto un figlio e il 27% soltanto due figli. Se questa era la realtà – incalzava Schreiner – sarebbe forse stata l’insicurezza dell’esistenza o la penuria di abitazioni la causa del grave malessere sociale? No! La causa stava nel fatto che l’ethos della famiglia e della comunità familiare era frantumato. Si raccolgono ora i semi di un destino di morte che noi stessi ci siamo costruito. E concludeva, in senso opposto a Binding/Hoche e a tutti i sostenitori dell’eutanasia: sono state proprio le persone che si considerano “piene di valore” – non quelle “senza valore”- che hanno inserito nel popolo la leva della distruzione. Ora i potenti hanno paura e cercano di gettare la colpa all’esterno di sé, mentre la colpa è loro e della loro disgregata cultura, la cui madre è l’illuminismo e il cui padre è Friedrich Nietzsche.

            Queste parole furono al loro tempo profetiche. Testimoniavano infatti la verità di una condizione storica. La distruzione dell’ethos familiare è la causa del crollo della società. L’ethos familiare si radica nella sacralità del matrimonio, già del matrimonio naturale, che è benedizione che conferisce all’uomo e alla donna la forza per unirsi nell’amore per uno scopo comune e superiore a ciascuno di essi, scopo che è di generare figli per dare gloria a Dio e sostegno alla famiglia e alla società; sacralità eccelsa del matrimonio cristiano, elevato da Cristo a sacramento, come simbolo concreto ed efficace dell’unione tra Lui e la sua Chiesa.

            Le parole di Schreiner erano profetiche nel 1928, prima della presa nazionalsocialista del potere in Germania e prima dell’infernale guerra 1939-1945. Con il 1939 un ciclo si avviava verso una chiusura tragica: dapprima l’eutanasia dei malati di mente, soprattutto dei bambini; e poi lo sterminio della popolazione ebraica e di altri gruppi etnici e sociali.

            L’eutanasia: dagli asili e dai ricoveri per i malati mentali vennero strappati i minorati e gli infermi. Quelli erano luoghi sicuri per definizione; lì si doveva concentrare tutto lo sforzo degli uomini di buona volontà; lì si dovevano spendere molte ricchezze per assistere i membri più vulnerabili della società. Quei luoghi diventarono l’anticamera delle camere a gas in cui più di duecentomila bambini e malati mentali furono barbaramente uccisi.

            Quelle parole sono profetiche ancora oggi. Immersi in una dimensione meramente quantitativa del tempo, non riusciamo più a coglierne i tratti qualitativi. Viviamo forse noi oggi; vivono forse oggi le famiglie delle nostre città in modo più eticamente orientato, in modo più rispettoso della legge di Dio che non gli uomini e le donne che negli anni ’20 del secolo scorso ritenevano che la sterilizzazione coercitiva per motivi eugenetici, il controllo artificiale delle nascite, l’aborto eugenetico e per motivi sociali fossero soluzioni adeguate per risolvere le crisi sociali? Quali furono gli esiti dei loro programmi vani e perversi?

            Diceva il chirurgo Harry Heiselden, precursore dell’eutanasia moderna, vantandosi di non aver salvato un bambino nato con una ostruzione alle vie intestinali, che “Death is the great and Lasting Desinfectant”: la morte è il migliore e più durevole disinfettante. La cultura di morte da allora si è diffusa in tutto l’occidente. Arretrata negli anni ’50, grazie alla ripresa religiosa e alla strenua resistenza del Venerabile Pio XII e della Chiesa cattolica, ancora fermamente intenzionata a combattere l’ardua battaglia per la regalità anche sociale di Cristo, e ancora del grande Pontefice San Giovanni Paolo II con i suoi mirabili insegnamenti, soprattutto espressi nella Evangelium Vitae, l’ondata eutanasica ha ripreso da molti anni un’energia che sembra travolgente, ponendo un suggello oscuro a un processo che vuole trasformare l’antropologia propria della tradizione classica e cristiana. Dapprima la liberalizzazione dell’aborto nel 1973 per opera della Corte Suprema degli Stati Uniti, che lo ha dichiarato diritto fondamentale della donna. Poi, dopo la scomparsa dell’Unione Sovietica e la fine della guerra fredda, quando le speranze di una pace giusta tra le nazioni sembravano potersi realizzare, le potenze di questo mondo hanno approfittato, con le mani ancora più libere, della situazione creatasi per lanciare le agende contro la vita e a favore della limitazione coercitiva delle nascite (Conferenza del Cairo, 1994) e a favore della politica di genere (Conferenza di Pechino, 1995).

            Nella Conferenza del Cairo venne affermato il c.d. diritto alla salute riproduttiva. Tale pseudo-diritto si inserisce nel quadro del contenimento artificiale delle nascite nel mondo, in particolare con le campagne per la sterilizzazione e l’aborto nei paesi c.d. sottosviluppati. Il principio che regge il concetto della salute riproduttiva è di togliere all’atto sessuale la sua valenza riproduttiva nell’indifferenza per la vita degli embrioni e dei soggetti ancora non nati nel grembo materno, come se fossero cosa trascurabile. Si uniscono nel diritto alla salute riproduttiva tre elementi: la negazione del diritto alla vita del concepito, vuoi nell’utero vuoi in provetta; la separazione tra la sessualità e la fecondità; l’indirizzo favorevole a modalità di riproduzione selettiva.

Il concetto di salute riproduttiva presenta due facce: una basata sull’utopia postmoderna dell’assoluta autodeterminazione individuale; l’altra sulla pratica postmoderna del dominio scientistico delle tecnologie sul sorgere, svilupparsi e tramontare della vita. Il diritto alla salute riproduttiva costituisce l’espressione giuridica di sintesi del nuovo paradigma etico: l’interesse individuale, declinato secondo la misura della libera scelta individuale, nonché l’interesse ad avere o a non avere un figlio, fondano il “diritto” a ogni forma di contraccezione, anche abortiva, nonché alla sterilizzazione e all’aborto “sicuro”, cioè rapido e privo di rischi per la salute di chi lo richiede. L’interesse alla salute, intesa come condizione di pieno benessere fisico e psicologico della donna, fonda analogamente il “diritto” all’aborto; l’interesse ad avere un figlio, come e quando si vuole e con chi si vuole, fonda il “diritto” alla riproduzione artificiale; l’interesse individuale ad avere un figlio sano e l’interesse sociale a evitare i costi per la cura delle persone fisicamente e psichicamente inadeguati fondano il “diritto” alla selezione prenatale, nonché alla distruzione degli embrioni dotati di qualità inferiori. L’interesse della scienza al progresso scientifico fonda il “diritto” alla sperimentazione sugli embrioni, alla loro utilizzazione e alla loro distruzione. Il desiderio individuale a morire fonda il “diritto alla morte” che dovrebbe essere sostenuto e aiutato dal servizio sanitario pubblico.

            La Conferenza di Pechino del 1995 statuì l’Agenda di genere. Tale prospettiva è definita nelle parole dell’dell’INSTRAW, Istituto Internazionale di Ricerca e di Formazione per l’Avanzamento delle Donne, (Agenzia dell’ONU) come l’azione diretta a “[…] distinguere tra quello che è naturale e biologico da quello che è costruito socialmente e culturalmente, e nel processo rinegoziare i confini tra il naturale — e la sua relativa inflessibilità — e il sociale — e la sua relativa modificabilità”. Oggi assistiamo a uno dei passaggi decisivi di attuazione di tale Agenda.

Le parole lette poc’anzi indicano la strada: rinegoziare i confini tra ciò che è naturale e ciò che è culturale. La differenza tra uomo e donna è culturale. Se la biologia dice il contrario, occorre combattere contro la biologia. L’ideologia di genere si trasforma in politica e in pratica di genere. Sono stati prodotti dei farmaci – è di pochi giorni addietro la notizia che uno di questi, la triptorelina, è stato riconosciuto come prescrivibile anche in Italia – che interferiscono sullo sviluppo normale dell’adolescente secondo la biologia che gli è propria, influenzandone il corso. Un’invasiva campagna diseducativa nei media e nelle scuole del mondo occidentale propaganda la fake news per eccellenza, che non vi sono in natura maschi e femmine; che si può essere l’uno o l’altro genere a scelta, secondo l’inclinazione psicologica che un bimbo e un adolescente sentono in sé. Si è avviata così in occidente questa orrenda marcia verso la fluidificazione dell’identità sessuale, per cui non si è più maschio o femmina, ma l’uno o l’altro o numerosi generi diversi a seconda del tempo e delle preferenze. Non esiste più il sesso, bensì il genere, come incessante decostruzione e ricostruzione, come qualcosa di sempre nuovo, come indefinitamente plurale. Il genere, dunque, di cui si va alla ricerca spasmodica sin da bambini, in una confusione identitaria che riduce l’uomo e la donna a un soggetto asessuato: mutare generi significa – come diceva il decostruttore Michel Foucault negli anni ’70 – che il soggetto “[…] cancella da sé il “sessuale” e si presenta a nome proprio e, in definitiva, solo come “io-per me stesso””. L’esito è la solitudine completa dell’io; l’“io-per me stesso”, la totale chiusura di ogni singolo individuo alle altre persone; l’oscuramento, soprattutto, dell’orizzonte nel quale la persona come “maschio” e la persona come “femmina” s’incontrano nell’atto generativo.

            Le conseguenze sono evidenti: i potenti del mondo – procurando al contempo immensi profitti alle multinazionali dei farmaci e delle tecnologie riproduttive – intendono farci incamminare ammassati in gregge verso lo stadio finale in cui la generazione più non avverrà grazie all’incontro sessuale tra il maschio e la femmina. Questo è il disegno che si sta realizzando sotto gli occhi smarriti dei popoli del mondo occidentale. L’incontro sessuale infatti non corrisponderebbe al principio della salute riproduttiva. Se non si facessero figli sarebbe meglio, suggerisce il mainstream [convenzionale dominante] dell’intellettualità liberale. Ma se ancora li si vogliono, come soddisfazione individuale, allora bisogna farli per via artificiale, al di fuori del rapporto di coppia, tramite la produzione con strumenti tecnologici. Oggi la tecnologia è ancora troppo costosa e il servizio sanitario non può garantire a tutti la riproduzione artificiale. Ma con la riduzione ancora della natalità e con l’apporto di mano d’opera fatta venire da paesi lontani e sovrabbondanti in natalità, l’obiettivo potrà essere raggiunto.

            La legge, peraltro, è costretta a rincorrere il desiderio del soggetto di avere un figlio, inteso come ‘diritto’, come ha scritto una non condivisibile sentenza della Corte Costituzionale, anche con i gameti di un soggetto estraneo alla coppia. Ciò per rispondere al desiderio del figlio, tramite l’accesso alla riproduzione artificiale e al ricorso alla procedura dell’utero in affitto, anche della coppia omosessuale e del single e di chiunque non intenda costruire una famiglia stabile, portandone il peso e accogliendone il sacrificio, ma preferisca creare ugualmente, a spese della società, rapporti fluidi e variabili.

            Il processo descrive una lotta contro l’uomo in quanto creato a immagine e somiglianza di Dio. Esso ha un evidente significato, oltre che antropologico e filosofico, anche teologico, che ripete, con modalità e strumenti scientistici, la lotta contro la famiglia e la generazione che imperversò nei primi secoli dell’era cristiana quando le forze delle tenebre compresero che la redenzione di Gesù aveva inferto un colpo decisivo al suo potere nel mondo.

Sorsero, invero, fin dal secondo secolo della nuova era, dottrine, variamente articolate sul piano filosofico, che focalizzavano nella fecondità della relazione coniugale fra l’uomo e la donna la fonte di ogni male. Queste dottrine non rifiutavano il piacere e la soddisfazione carnale, ma dichiaravano malvagio il coniugio e la fecondità inerente al matrimonio. L’eretico Marcione (85 ca.-seconda metà del II secolo) vietava la generazione, affinché il genere umano non concorresse con l’opera dal demiurgo maligno a moltiplicare la stirpe dell’uomo. Altri eretici, come Basilide (fine sec. I-metà sec. II), predicavano un rigorismo e ascetismo estremi, con l’astinenza dalle nozze, condannando il matrimonio come cosa immonda. Identico era l’obiettivo cui le dottrine, contraddittorie tra loro, miravano: condannare le nozze e la famiglia come intrinsecamente malvagie, ferendole nella loro fondamentale vocazione e nel loro presupposto morale d’essere, cioè, aperte alla procreazione di nuove vite. L’odio contro la generazione, che si espresse nei primi secoli del cristianesimo come motivo comune alle varie eresie gnostiche, rivela la particolare malizia delle forze tenebrose. Rifiutando, invero, il dono fatto da Dio agli uomini, di essere stati creati “maschio” e “femmina” e di essere stati pensati come capaci di pro-creare, respinge in radice il bene della complementarietà sessuale e del sostegno spirituale fra i sessi in vista della vocazione, inscritta nella biologia, nella psicologia e nell’anima spirituale dell’uomo e della donna, a collaborare con Dio nella moltiplicazione del genere umano e nella partecipazione degli uomini alla vita divina. Nella generatività umana, dipendente dalla fusione in unum dei corpi, v’è un segno finito dell’infinita generatività di Dio, che è Amore infinito che genera dall’eternità il Figlio. Amore reciproco tanto grande che dal Padre e dal Figlio procede una terza persona, lo Spirito Santo. Dio avrebbe potuto creare l’uomo tutto intero, e non soltanto l’anima, in modo diretto, senza bisogno del suo apporto, facendolo gemmare dai fiori o spuntare dalle pietre. Egli ha voluto, invece, nella sua eterna sapienza, circoscrivere la sua infinita potenza creativa facendone partecipi l’uomo e la donna, affinché essi potessero, grazie a questo dono immenso, collaborare con lui nel dare la vita a nuovi uomini e donne, partecipando così alla sua opera creativa.

La conversazione che ho svolto con voi era partita dalla citazione del passo di un teologo evangelico del 1928, precedente allo scatenarsi della barbarie nazionalsocialista. Egli si opponeva alle proposte eutanasiche, correnti nel mondo occidentale fin dall’ultimo quarto del secolo XIX, proclamando profeticamente che esse erano i frutti di una seminagione materialistica e ateistica. Il processo è continuato, con particolare intensità, soprattutto a partire dalla seconda metà degli anni ’90 del secolo scorso, producendo i frutti avvelenati delle Conferenze del Cairo e di Pechino.

            Molti uomini e molte donne di buona volontà si sono opposti ai singoli passaggi in cui il processo si è svolto. Sia lode a loro per l’intelligenza e il sacrificio che hanno accompagnato il loro impegno per la vita e la famiglia. Dire che siamo pervenuti alla fine del processo con la liberalizzazione del sostegno attivo al suicidio è avanzare un’ipotesi molto probabile, ma non certa. Il processo può continuare verso abissi di cui non è possibile conoscere le profondità.

            Stanno di fronte a noi due possibilità. Entrambe sono descritte nell’Antico Testamento.

  1. La prima è in Genesi 19, 1-19. Il passo concerne la distruzione di Sodoma. Dio non voglia che il castigo si abbatta sulla nostra società dissoluta.
  2. La seconda possibilità è il pentimento collettivo del popolo e, in particolare, dei suoi capi. L’esempio è in Esodo, 32, 1-33. Mosé tardava a scendere dalla montagna. Il popolo si rivolse al sacerdote Aronne perché facesse un nuovo dio e costruisse un nuovo culto. Aronne, assecondando i desideri perversi del popolo, frantumò il cuore più intimo della vita umana, la Legge di Dio su cui si fonda il timore di Dio e l’adorazione del Dio vero (v. Mt. 22, 37-8). Mosè tornò all’accampamento, vide il vitello d’oro e le danze intorno a esso. Distrusse l’idolo. Chiese conto ad Aronne sul perché avesse assecondato e favorito la violazione del primo precetto della legge. Mosé allora “vide che il popolo non aveva più freno, perché Aronne gli aveva tolto ogni freno, così da farne il ludibrio dei loro avversari” (Gen. 32, 25). Mosè ripristinò la legge con la forza e, con la legge, anche l’autorità di Dio, autore della Legge. Mosè ritornò presso il Signore e chiese perdono per il popolo. Egli ricostruisce l’uomo che Aronne aveva decostruito (E.M. Radaelli, in Aurea Domus 14 novembre 2016). Poi rivolse la richiesta di perdono a Dio per il popolo. E il perdono venne concesso, ma non senza una giusta penitenza (Gen., 32, 35: “Il Signore percosse il popolo, perché aveva fatto il vitello fabbricato da Aronne”.

Speriamo che ci sia concessa questa possibilità. Il rimedio sta nel percorrere la via della preghiera, dell’azione e del sacrificio. Continuiamo la nostra opera in difesa della famiglia e della vita, certi dell’assistenza di Dio, nella speranza della conversione della cultura e della politica dei potenti del mondo. Siamo operosi nel combattere le battaglie, anche apparentemente piccole, di ogni giorno, senza mai stancarci, anche se le forze sembrano venir meno, ma sempre risorgono se ciascuno di noi porta lo sguardo a Cristo che è via, verità e vita.

Mauro Ronco, penalista, professore emerito di diritto penale           29 marzo 2019

 

Tutela della vita: l’importanza della prevenzione

Uno dei capi d’imputazione più pesanti rivolti a questo WFC, e chi vi partecipa, è di voler limitare il “diritto” di aborto. A essa corrisponde la rivendicazione dell’aborto in termini di “diritto”. Col corollario improprio dell’intangibilità della legge 194/1978. Perché “improprio”? Perché, se restiamo alla lettera della legge, la 194 non identifica in modo formale l’aborto come “diritto”. Anzi, all’art. 1 arriva a dichiarare che lo Stato “tutela la vita umana dal suo inizio”. Certo, gli articoli successivi contraddicono questa espressione iniziale, giacché nei primi novanta giorni della gravidanza l’aborto è di fatto a richiesta: è sufficiente entro quel limite temporale la certificazione della condizione di gestante. Però quel che dice l’art. 1 al co. 1 andrebbe considerato in sede applicativa nella parte in cui offre possibilità per l’effettiva tutela della vita.

{La Legge 194\22 maggio 1978 concede la depenalizzazione dell’aborto. Prevede invece all’art.19 la reclusione sino a 3 anni senza l’osservanza delle modalità indicate negli articoli 5 e 8 e in altri specifici casi; altre pene sono indicate negli artt. 17, 18, 20. Ndr}.

Qual è oggi il paradosso? che coloro per i quali “la 194 non si tocca” poi restano indifferenti di fronte alla proposta di dare piena applicazione a quei passaggi della legge che in oltre 40 anni sono rimasti inattuati: in particolare, quelli che fanno precedere l’eventuale intervento di aborto da una fase preventiva-dissuasiva. Rileggiamo l’art. 5 co. 1 della 194: “Il consultorio e la struttura socio-sanitaria (…) hanno il compito in ogni caso, e specialmente quando la richiesta di interruzione della gravidanza sia motivata dall’incidenza delle condizioni economiche, o sociali, o familiari sulla salute della gestante, di esaminare con la donna e con il padre del concepito, ove la donna lo consenta, (…) le possibili soluzioni dei problemi proposti, di aiutarla a rimuovere le cause che la porterebbero alla interruzione della gravidanza, di metterla in grado di far valere i suoi diritti di lavoratrice e di madre, di promuovere ogni opportuno intervento atto a sostenere la donna, offrendole tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza sia dopo il parto.”

L’art. 2 la stessa L. 194 aveva peraltro inserito fra i compiti dei consultori di assistere “la donna in stato di gravidanza:

  1. Informandola sui diritti a lei spettanti in base alla legislazione statale e regionale, e sui servizi sociali, sanitari e assistenziali concretamente offerti dalle strutture operanti nel territorio;
  2. Informandola sulle modalità idonee a ottenere il rispetto delle norme della legislazione sul lavoro a tutela della gestante;
  3. Attuando direttamente o proponendo all’ente locale competente o alle strutture sociali operanti nel territorio speciali interventi, quando la gravidanza o la maternità creino problemi per risolvere i quali risultino inadeguati i normali interventi di cui alla lettera a);
  4. Contribuendo a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza.”

Chiedo a chi contesta i movimenti pro life: la legge 194 vale intera o vale a pezzi? Coloro che la ritengono intangibile in realtà da 40 anni la smontano e mettono da parte i pezzi che non interessano.

Se intendiamo fare qualche passo concreto verso la prevenzione dell’aborto, può giovare qualche ritocco agli artt. 2 e 5 della 194. Mi soffermo in particolare sulla lettera d) del co. 1 dell’art. 2, che – come si è detto – prevede che i consultori assistono la donna incinta “contribuendo a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza”. E’ quindi incontestabile la funzione preventiva dei consultori a tutela della maternità, come era già nella legge 29 luglio 1975, n. 405, che li aveva istituiti, incentrata espressamente sulla tutela della donna e del “prodotto del concepimento”.

{La legge però all’art. 4 cita solo il consultorio pubblico, omettendo il comma b) dell’art. 2 “i consultori possono essere istituiti anche da istituzioni o da enti pubblici e privati che abbiano finalità sociali, sanitarie … Ndr}

Perché queste norme sono state disapplicate? Certamente per ragioni ideologiche. Ma anche per un dato strutturale: la funzione di prevenzione dei consultori è stata penalizzata dalla stessa 194 che prevede all’art. 5, commi 4 e 5 che il medesimo medico del consultorio partecipi alla procedura {documento che attesta di aver esaminato la situazione e non certifica alcunché eccetto i casi d’urgenza. Il documento non provoca la decadenza dell’obiezione di coscienza. Sentenze dei TAR di Bari e di Roma. Ndr} dell’interruzione della gravidanza. Ma questo è contraddittorio: il consultorio, se ha una funzione preventiva, non deve entrare nella procedura diretta all’esecuzione dell’intervento. Sul piano logico e pratico l’accentramento di due funzioni in contrasto fra loro nello stesso organo fa prevalere l’aspetto più strettamente legato all’interesse per cui la donna si è recata nel consultorio, cioè di richiedere il certificato per praticare l’interruzione: ed è quello che è avvenuto nella prassi. Il ricorso al consultorio peraltro è meramente eventuale, in quanto la donna può avvalersi per lo scopo abortivo del medico di fiducia, abilitato a rilasciare il certificato {documento}attestante la sua intenzione di eseguire l’intervento.

La proposta va nel senso di sostituire il meccanismo previsto dagli artt. 2 e 5, che in apparenza dovevano svolgere una funzione preventiva, con disposizioni che renda questa consultazione vera, concreta ed efficace. Non sarebbe una cosa strana, additabile come frutto di spirito retrogrado o reazionario. Se tra le cause che inducono una gestante a chiedere l’intervento abortivo vi è la perdita del posto di lavoro, prospettata dal titolare dell’azienda o dello studio che l’aveva assunta a condizione che non rimanesse incinta, prevenzione vera e concreta significa che il consultorio prende in carico quel problema e lo affronta, in coerenza con le tutele del lavoro vigente, dando a esso una soluzione. E’ evidente che dovranno essere previsti degli interventi speciali a favore della donna che, durante la gravidanza, sia afflitta da serie difficoltà ricollegabili alla gestazione. A seconda del tipo di difficoltà gli interventi potranno essere di natura sanitaria, socio-assistenziale ovvero economica e familiare. Quel che si spende su questo fronte non è una spesa, va considerato un investimento.

Non trascuriamo quanto dispone l’art. 2 co. 2: “I consultori sulla base di appositi regolamenti o convenzioni possono avvalersi, per i fini previsti dalla legge, della collaborazione volontaria di idonee formazioni sociali di base e di associazioni del volontariato, che possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita.” L’esperienza – anch’essa quarantennale – dei CAV-Centri di aiuto alla vita è fatta di decine di migliaia di soluzioni prospettate in concreto che, senza forzature, hanno permesso alla donna di evitare il trauma di un aborto. I CAV sono stati spesso osteggiati: per questo è opportuno fornire una base meno volontaristica e occasionale alla collaborazione di questo prezioso volontariato. Proporre questo non vuol dire reintrodurre penalizzazioni o forzare le scelte di vita. Ancor di meno significa fare eco a imposizioni confessionali.

Immagino che molti di voi abbiano visto quella splendida commedia di Eduardo de Filippo Filumena Marturano. Chi è Filomena? E’ una prostituta che resta incinta – per ben tre volte – e che decide di tenere con sé tutte e tre i figli: avrebbe potuto disfarsene, come oggi le verrebbe raccomandato evocando il “diritto” all’aborto. Invece li fa nascere, li mantiene e li fa crescere con dignità, pur nel dolore di tenerli lontani da sé per non comprometterne la riuscita. “Mi tornavano in mente i consigli delle mie amiche: “Cosa aspetti! Ti togli il pensiero! Io conosco uno molto bravo…”, ricorda Filumena, che poi fa il contrario rispetto a quanto consigliatole. Lei spiega anche come mai questi figli se li è tenuti: la prima volta aveva deciso di dare ascolto alle amiche, poi “Per combinazione, camminando camminando, mi ritrovai nel mio vicolo, davanti all’altarino della Madonna delle rose. L’affrontai così: “Cosa devo fare? Tu sai tutto…Sai pure perché ho peccato. Cosa devo fare?”. Ma Lei zitta, non rispondeva. “Tu fai così, è vero? Più non parli e più la gente ti crede? Sto parlando con te! Rispondi!”. «’E figlie so’ ffiglie!» Mi bloccai. Rimasi così, ferma. Forse se mi giravo avrei visto o capito da dove veniva la voce: da una casa con un balcone lasciato aperto, dal vicolo vicino, da una finestra… Ma pensai: “E perché proprio in questo momento? Che ne sa la gente dei miei problemi? E’ stata Lei, allora… E’ stata la Madonna!” Non il Papa o un Vescovo, ma l’ateo Eduardo, certamente lontano da Chiese e da preti, compone un inno alla vita e all’amore materno, e leghi l’uno e l’altro all’amore della Madre.

Vuol dire che è vero: ed è sulla verità della vita che va costruita la sua protezione.

Alfredo Mantovano, magistrato, giudice della Corte di Cassazione  29 marzo 2019

www.centrostudilivatino.it/tutela-della-vita-e-della-famiglia-interventi-al-congresso-mondiale-delle-famiglie

 

La legge 194 non prevede solo l’aborto: applichiamola tutta

“Gandolfini ha detto che l’aborto è un omicidio? Guardi che è la stessa cosa che dire “la vita c’è fin dal momento del concepimento”. Alfredo Mantovano ha il tono di chi non vuole farsi trascinare nelle polemiche. Sessantuno anni, giudice in Cassazione, è vicepresidente del Centro studi “Livatino”, associazione di giuristi che da circa cinque anni approfondisce in particolare i temi della vita, della famiglia e della libertà religiosa, avendo come quadro di riferimento il diritto naturale, seguendo l’insegnamento del giudice siciliano Rosario Livatino, assassinato a 38 anni.

Mantovano è al Congresso delle famiglie, relatore a una tavola rotonda sul tema “Tutela della vita”. Ha tre figli, tra poco nascerà un altro nipotino. Cerca tra le foto sul telefonino l’immagine dell’ultima ecografia. Quella realtà che, a due mesi dal concepimento, si succhia il dito, come vogliamo chiamarla?”, chiede.

L’argomento è sempre l’aborto, che ha infiammato l’avvio dei lavori della tre giorni pro-life. Le parole di Gandolfini hanno fatto rumore. Mantovano ci pensa un attimo, poi considera: “Papa Francesco ha usato toni ancora più duri”.

A proposito del Vaticano, risulta evidente la presa di distanza da questo Congresso. Prova ne è, hanno fatto notare da più parti, l’assenza delle più grandi associazioni cattoliche come Azione Cattolica, le Acli, il Forum delle Famiglie. Voi invece avete partecipato.

“Diciamo subito che “vita” e “famiglia” sono tematiche laiche rispetto alle quali la convergenza va trovata nella sostanza. Si dice che la vita c’è dal primo all’ultimo respiro su base scientifica, non su base religiosa. Io sono ospite dunque non so com’è andata la questione sul piano organizzativo, ma ricordo che nei Family Day del 2015 e del 30 gennaio 2016 le sigle associative da lei citate non c’erano. Quindi non è una novità. Certo, sarebbe auspicabile che ci fosse una maggiore compattezza, ma non è che uno rinuncia perché un altro non accetta un invito”.

Tiene banco, da stamane, il dibattito su aborto e legge 194\1978. “Formalmente la legge 194\1978 non riconosce il diritto all’aborto, ma pone quest’ultimo in relazione a una serie di problemi che incidono sulla salute, anche psichica, della donna e stabilisce che, prima dell’eventuale intervento abortivo, ci debba essere una fase di dissuasione/prevenzione realizzata dai Consultori, che possono farlo da soli o col supporto del volontariato. A chi dice “La 194\1978 non si tocca” vorrei rivolgere una domanda”.

 “Vorrei chiedere: il ricorso alla 194\1978 è integrale o per pezzi? C’è una parte della legge che non è stata applicata e non è una parte residuale. Anzi, è la parte iniziale, è fondamentale e nella scansione viene prima dell’intervento abortivo. Se una donna ha un problema, ad esempio rischia di perdere il posto di lavoro a causa della gravidanza, ma vorrebbe tenere il bambino che aspetta, il suo problema deve essere affrontato e la legge prevede le modalità per farlo”.

Anche per le posizioni sulla 194\1978 organizzatori e partecipanti a questo Congresso sono stati definiti “medioevali”. “Non so se auspicare che la 194\1978 sia applicata nella sua interezza, anche nella parte fino a oggi inapplicata, è medioevale o meno, ma so che, se fatto, permetterebbe a tante donne di non ritrovarsi isolate”.

Domani al Congresso sarà il giorno delle Istituzioni, interverranno il vicepremier Salvini e il ministro della famiglia Fontana. Quali sono i primi fronti sui quali richiedere il loro impegno a sostegno di una concreta politica per le famiglie?

“Intanto c’è bisogno di far cessare il bombardamento alla famiglia che continua in questa legislatura”. “L’AIFA ha inserito il cosiddetto “farmaco gender” nel Servizio sanitario nazionale, tanto per cominciare. E in un recente Consiglio dei Ministri è stato varato un disegno di legge delega che prevede accordi prematrimoniali, anche durante la vita familiare, secondo una logica mercantilistica del matrimonio. Sarebbe auspicabile che gli ospiti di domani dicessero qualcosa su questo. Quanto ai problemi delle famiglie, per risolverli, si dovrebbe fare un passo in avanti”.

“I problemi delle famiglie li conosciamo, ora dovremmo passare ai fatti. A cominciare da un riequilibrio del rapporto tra fisco e famiglia

Luciana Matarese      intervista ad Alfredo Mantovano, l’Huffington Post            29 marzo 2019

www.centrostudilivatino.it/la-legge-194-non-prevede-solo-laborto-applichiamola-tutta

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DALLA NAVATA

5° Domenica di Quaresima – Anno C – 7 aprile 2019

Isaia                ..43, 19. Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?

Salmo              125, 03. Grandi cose ha fatto il Signore per noi: eravamo pieni di gioia.

Filippesi            03, 14. Corro verso la mèta, al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù.

Giovanni            08, 10. Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più».

 

Il Signore apre le porte delle nostre prigioni

Una trappola ben congegnata: «che si schieri, il maestro, o contro Dio o contro l’uomo». Gli condussero una donna… e la posero in mezzo. Donna senza nome, che per scribi e farisei non è una persona, è il suo peccato; anzi è una cosa, che si prende, si porta, si mette di qua o di là, dove a loro va bene. Si può anche mettere a morte. Sono funzionari del sacro, diventati fondamentalisti di un Dio terribilmente sbagliato. «Maestro, secondo te, è giusto uccidere…?». Quella donna ha sbagliato, ma la sua uccisione sarebbe ben più grave del peccato che vogliono punire.

Gesù si chinò e scriveva col dito per terra…, mostrando così la strada: invita tutti a chinarsi, a tacere, a mettersi ai piedi non di un codice penale ma del mistero della persona.

«Chi di voi è senza peccato getti per primo la pietra contro di lei». Gesù butta all’aria tutto il vecchio ordinamento legale con una battuta sola, con parole definitive e così vere che nessuno può ribattere. E se ne andarono tutti.

Allora Gesù si alza, ad altezza del cuore della donna, ad altezza degli occhi, per esserle più vicino; si alza con tutto il rispetto dovuto a un principe, e la chiama “donna”, come farà con sua madre: Nessuno ti ha condannata? Neanch’io lo faccio. Eccolo il maestro vero, che non s’impalca a giudice, che non condanna e neppure assolve; ma fa un’altra cosa: libera il futuro di quella donna, cambiandole non il passato ma l’avvenire: Va’ e d’ora in poi non peccare più: poche parole che bastano a riaprire la vita.

Il Signore sa sorprendere ancora una volta il nostro cuore fariseo: non chiede alla donna di confessare il peccato, non le chiede di espiarlo, non le domanda neppure se è pentita. È una figlia a rischio della vita, e tanto basta a Colui che è venuto a salvare. E la salvezza è sciogliere le vele (io la vela, Dio il vento): infatti non le domanda da dove viene, ma dove è diretta; non le chiede che cosa ha fatto, ma cosa farà. E si rivolge alla luce profonda di quella creatura, vi intinge la penna come uno scriba sapiente: «Scrivo con una minuscola bilancia come quella dei gioiellieri. Su un piatto depongo l’ombra, sull’altro la luce. Un grammo di luce fa da contrappeso a diversi chili d’ombra…» (Christian Bobin). Le scrive nel cuore la parola “futuro”. Le dice: «Donna, tu sei capace di amare, tu puoi amare bene, amare molto. Questo tu farai…».

Gesù apre le porte delle nostre prigioni, smonta i patiboli su cui spesso trasciniamo noi stessi e gli altri. Lui sa bene che solo uomini e donne perdonati e amati possono disseminare attorno a sé perdono e amore. I due soli doni che non ci faranno più vittime. Che non faranno più vittime né fuori né dentro di noi.

Padre Ermes Ronchi, OSM

www.qumran2.net/parolenuove/commenti.php?mostra_id=45516

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DIRITTI

Bruxelles, Forum europeo sui diritti dei bambini. Corazza Bildt, “fare di più, meglio e più in fretta”

            Sono cominciati stamattina a Bruxelles i lavori del Forum europeo sui diritti dei bambini: “Dove siamo e dove vogliamo andare” il tema dell’incontro aperto dalla commissaria Vera Jurovà in una tavola rotonda a cui hanno partecipato per il Parlamento europeo Anna Maria Corazza Bildt, il ministro rumeno per la giustizia sociale Marius-Constantin Budai, il vice-segretario generale del Consiglio d’Europa Gabriella Battaini-Dragoni.

I temi affrontati nei due giorni del forum saranno “la protezione dei bambini nella migrazione”, “i diritti dei bambini nel mondo digitale”, la loro “partecipazione alla vita politica e democratica dell’Ue”. Un aspetto specifico che verrà discusso in una tavola rotonda sarà anche il “contatto” dei minori con la giustizia.

A raccogliere le conclusioni dei lavori nei workshop, nel pomeriggio di domani, saranno voci delle medesime istituzioni europee che hanno aperto i lavori oggi. “Bisogna perseguire una più robusta implementazione del principio dell’interesse superiore del bambino nell’ambito delle migrazioni”, ha sottolineato la commissaria nel suo intervento, sollecitando in particolare a “migliorare le condizioni per il soggiorno dei bambini nei campi di accoglienza e soprattutto negli hot spot”, come la commissaria ha chiesto in una lettera inviata alla Grecia pochi giorni fa.

Rivolgendosi ai rappresentanti degli Stati membri che partecipano al Forum, Corazza Bildt ha invitato a “fare di più, fare meglio, fare più in fretta” per proteggere i bambini.

Agenzia SIR                   2 aprile 2019

https://agensir.it/quotidiano/2019/4/2/minori-bruxelles-forum-europeo-sui-diritti-dei-bambini-corazza-bildt-fare-di-piu-meglio-e-piu-in-fretta

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DONNE NELLA CHIESA

Pro-Vocati dal Vangelo. Gesù e le donne

Forse è il momento propizio per favorire una formazione inclusiva che interrompa il circuito chiuso tra l’uomo, che pensa di essere superiore alla donna, e la donna che reclama con tutti i mezzi il riconoscimento di sé dagli uomini, per stabilire invece delle relazioni alla pari, pur nel rispetto della diversità? Come imparare nel quotidiano ad accogliere il valore dell’altro, nella propria specificità e unicità, senza competizione, sotterrando finalmente l’ascia di guerra, portando insieme, uomini e donne, la bellezza della propria umanità nella Chiesa, nella società, nella cultura e nella storia?

            Gesù che nella vita terrena ha incontrato diverse persone, indica nel Vangelo la modalità per stabilire relazioni significative con le donne. Egli fa vedere come relazionarsi nel rispetto massimo, nell’accoglienza incondizionata di ognuna, mettendo in atto la sua determinazione nel volere liberare ciascuna dai gravami storici, culturali, sociali, religiosi, ecc. Nel contatto con la donna, Egli restituisce la dignità e le riconsegna la missione per cui il Padre l’ha creata.

La presenza della donna nella storia è reale e non ha bisogno di spazi da occupare, per poter esistere. Ella è chiamata ad esserci sempre, in ogni ambiente, in nome della vocazione alla vita, portando il suo contributo specifico che non può essere sostituito da quello dell’uomo.

            La consapevolezza del suo esserci apre alla reale e completa visione del mondo creato da Dio. L’apertura in tal senso favorisce un cambio di prospettiva e di mentalità, per superare una concezione maschilista della vita in tutti gli ambienti anche in quello ecclesiale.

Ecco alcune esperienze vissute da Gesù con le donne.

  • L’adultera (Gv 8, 1-11) sta nel mezzo del cerchio formato da alcuni famelici maschi e Gesù, chinato, scrive per terra con il dito. Si mette sullo stesso piano della donna che ormai sembra non avere scampo: è stata colta in flagrante adulterio e va condannata. Gesù guarda la persona, non la identifica con il suo errore. Ha davanti a sé la donna da salvare, la donna da considerare, la donna a cui riconoscere il suo valore. Non si mescola con il perbenismo di parata di chi la sfrutta, ha davanti a sé colei che è stata usata e poi gettata. Chinandosi sullo stesso piano della donna, Gesù raccoglie tutta la sua solitudine, la sua sofferenza, il suo grido di dolore inespresso. Non si mette dall’alto in basso. É con la donna senza usarla: l’aiuta a riprendere la sua vita tra le mani, si rivolge a lei donandole speranza. Entra nel profondo del suo cuore in punta di piedi; l’aiuta a rialzarsi, senza sostituirsi, a trovare la bellezza della sua identità femminile non contaminata: Allora Gesù si alzò e le disse: “Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?”. Ed ella rispose: “Nessuno, Signore”. E Gesù disse: “Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più” (Gv 8, 10-11). Si può immaginare che l’affermazione di Gesù “Va’ e d’ora in poi non peccare più” possa significare: Va’ e custodisci il tuo essere unico e irrepetibile creato da Dio e non permettere a nessuno che non ti rispetti in quanto donna?
  • L’esperienza di Gesù con Marta (cfr. Lc 10, 38-42) rende visibile la modalità della relazione amicale. Marta, “distolta per molte cose”, sembra perdere il senso della visita di Gesù, si comporta come se l’ospite fosse andato solo per consumare un pasto. Ella struttura il suo tempo con le cose da fare e pretende che anche gli altri la riconoscano a partire da esse. Ha paura di dare un senso di intimità alla sua vita, elemento che dovrebbe caratterizzarla come donna, perciò sperimenta l’isolamento e l’abbandono. Ferma sul suo programma familiare, per lei la cosa più importante è preparare il pranzo per Gesù e non lo stare con lui. Dimostra di non volersi esporre, fatica a immettersi in un circuito di reciprocità, scappa dall’esperienza d’intimità. Andando in confusione, si rivolge a Gesù con un senso di attesa e di pretesa. Riduce nella relazione con lui lo spazio di gratuità, mentre si sottrae dalla presenza di colui che vuole parlare al suo cuore. Ingolfata in molti servizi, Marta perde la capacità di sintesi e rimprovera il Maestro, perché non presta attenzione alla sua fatica, non si preoccupa di lei. Alle sue parole Gesù risponde: “Marta, Marta, tu ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta”. Gesù non si lascia agganciare. Chiamandola affettuosamente per nome due volte, la riporta a ciò che è essenziale nella sua vita: vivere la mistica dell’incontro. Nel dialogo stimola in lei una nuova consapevolezza di sé come donna. Si può auspicare oggi che, come Gesù, altri uomini, anche nella Chiesa, venendo in contatto con le donne, incluse quelle consacrate, riconoscano che il loro esserci non è una concessione? Come rispettare il progetto di Dio che ha scritto una storia al maschile e al femminile con caratteristiche proprie, diverse, reciproche e complementari?
  • La vocazione della donna è evidente nella relazione tra Maria di Magdala e Gesù risorto (Gv 20, 11-18). Maria, ormai priva della presenza di Gesù vivente, è vicino al sepolcro e piange. Si sarebbe accontentata del corpo di Gesù nel sepolcro e invece ha perso anche quello: “Hanno portato via il mio Signore e non so dove l’hanno posto”. In quell’aggettivo possessivo mio, Maria di Magdala esprime tutta la profondità dell’affetto verso Gesù. Ella non ha più nessuno che sia capace di amarla nella gratuità e che la riconosca in quanto donna. Mentre è in contatto con l’esperienza della perdita, Gesù la chiama per nome e Maria, orientando tutti i sentimenti verso il sentire profondo di quella parola, lo chiama “Maestro”. È bastato solo il nome, per esprimere tutta l’intensità della loro relazione. A Maria, una donna, Gesù consegna il bandolo della fede che è ancora presente in mezzo a noi. A Maria, una donna, Gesù chiede di non fermarsi solo alla relazione ritrovata, ma di andare dai suoi fratelli, per annunziare di aver visto il Signore risorto. Come viene riconosciuta oggi la donna, anche negli ambienti ecclesiali, perché si realizzi la missione specifica affidatale da Cristo? Guardando il Vangelo le donne, secondo i sinottici, sono le uniche che hanno il coraggio di difendere Gesù. La mattina di Pasqua sono le donne che vanno al sepolcro, portando i profumi. Nella tradizione patristica si dice che la vocazione della donna è di essere “mirofora”, di portare la mirra, i profumi. Nella tradizione giudaica il profumo viene dal Paradiso. È la donna, la nuova Eva, che ha come vocazione quella di aprire di nuovo il Paradiso e di portare i profumi del Paradiso all’umanità. Questa è la vocazione della donna ed è stato privilegio della donna quello di essere la prima testimone della risurrezione, mentre gli uomini sono fuggiti. Alla Maddalena Gesù dice di andare a trovare i suoi fratelli per annunciare loro che Cristo è risorto. La vocazione della donna, apostola degli apostoli, anche nel duemila è quella di andare dagli apostoli di oggi e di dire che Cristo è risorto.

Tre esperienze diverse che narrano nel Vangelo la capacità relazionale di Gesù con le donne e che ci interpellano. È giunto il tempo di imitare in ogni ambito e a tutti i livelli Gesù, per riconoscere l’esistenza della donna non più come essere da accettare, da includere e da integrare, ma come persona inscritta sullo stesso piano dell’uomo nel progetto originario di Dio?

            Come far memoria che ogni donna, ancora oggi, per vocazione, è chiamata da Dio, come Maria di Nazaret, ad incarnare il Figlio di Dio nel mondo attraverso il dono, la tenerezza, la concretezza, l’attenzione, la misericordia e il perdono?

Forse è il momento propizio per favorire una formazione inclusiva che interrompa il circuito chiuso tra l’uomo, che pensa di essere superiore alla donna, e la donna che reclama con tutti i mezzi il riconoscimento di sé dagli uomini, per stabilire invece delle relazioni alla pari, pur nel rispetto della diversità?

Come imparare nel quotidiano ad accogliere il valore dell’altro, nella propria specificità e unicità, senza competizione, sotterrando finalmente l’ascia di guerra, portando insieme, uomini e donne, la bellezza della propria umanità nella Chiesa, nella società, nella cultura e nella storia?

suor dr Diana Papa, clarissa, badessa Agenzia SIR 6 aprile 2019  www.avvenire.it/agora/pagine/povert-

https://agensir.it/chiesa/2019/04/06/pro-vocati-dal-vangelo-gesu-e-le-donne

La donna e il ministero sacerdotale

La Congregazione per la Dottrina della Fede è tornata recentemente sull’argomento del conferimento dell’ordinazione ministeriale alle donne dichiarando assolutamente immodificabile il divieto esistente.

            Un’esclusione non convincente. L’affermazione pare a me, cristiano qualunque, assolutamente errata. Vero è che in un passato maschilista e patriarcale, il versetto di Genesi 1, 27 non poteva che essere interpretato nel senso che la similitudine dell’uomo a Dio apparteneva soltanto ai maschi; se invece si legge il versetto senza pregiudizi si deve dedurre che la somiglianza non spetta al maschio soltanto, ma alla coppia: «maschio e femmina lo creò» e ciò sembra evidente a chi ritiene che Dio è amore, che Dio è anzitutto relazione d’amore e ha creato la coppia umana perché tra maschio e femmina si generasse una relazione d’amore. Amore che ha, a un tempo, le caratteristiche del desiderio erotico e della carità così come sintetizza il verso iniziale dell’antico inno cristiano Ubi caritas et amor ibi Deus est.

I nostri fratelli ortodossi sostengono che Dio si ferma davanti alla camera da letto degli sposi; a me sembra invece che Dio entri nella camera degli sposi e gioisca con loro del loro amore, non esclusa la reciproca intimità. Ovviamente l’amore coniugale non è quello che sorge da un contratto sempre modificabile e rescindibile che regola i rapporti sessuali nell’incontro tra due egoismi, ma è quello che nasce da una alleanza derivante dalla reciproca illimitata donazione, consacrata da una fede nella grazia specificamente concessa da Dio e Gesú Cristo, fede che si riflette nella fedeltà reciproca dei coniugi.

            Uguaglianza confermata dalla Scrittura. Del resto dell’eguaglianza uomo / donna davanti a Dio ci sono altre conferme nella Sacra Scrittura. Anche il secondo racconto della creazione non pone la donna in una condizione diversa dal maschio: «Questa volta essa è carne dalla mia carne e osso dalle mie ossa…» (Genesi 2, 23): quale maggiore identità di natura di questa?

Ma, soprattutto, mi sembra che il Santo Uffizio si sia dimenticato del mistero del Battesimo. Il Battesimo, infatti, è stato ridotto alla cancellazione del peccato originale, di cui non vi era alcun bisogno perché tale peccato non esiste e comunque il battezzando non ne è responsabile (basta ricordarsi al riguardo della profezia di Ezechiele che esclude che i figli paghino per colpa dei genitori e viceversa).

            Perché andate ripetendo questo proverbio sulla terra d’Israele: «I padri hanno mangiato uva acerba e i denti dei figli si sono allegati»?» (Ezechiele 18, 2).

A meno che al peccato originale si debba sostituire quel peccato del mondo di cui alla profezia di Giovanni il battezzatore (Giovanni 1, 29).

Lo stesso battesimo. Il battesimo è invece l’effusione della grazia di Dio che immette il battezzato nel popolo di Dio, popolo che ha le caratteristiche di essere ministeriale (cioè un popolo addetto al servizio diretto dell’azione di Dio abilitante al culto verso di lui), profetico (cioè capace di conoscere la sapienza di Dio e di parlare in suo nome) e regale (cioè dedito al compimento dell’opera di Dio).

Il battesimo è uguale per tutti e contempla l’unzione con il crisma che abilita al culto diretto, il sale sulla bocca (sal sapientiæ) cioè capacità di addentrarsi nella sapienza di Dio e parlare in suo nome e infine nella regalità che contempla l’esercizio di quei doveri di protezione degli umili e dei deboli che dovrebbero essere propri di ogni sovrano: si ricordino i versetti del Magnificat:

            Ha compiuto prodigi con la potenza del suo braccio; ha disperso i superbi con i pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai loro troni e ha innalzato gli affamati; ha saziato di beni gli affamati, e ha rimandato i ricchi a mani vuote i ricchi (Luca 1, 51-53).

            Identici sono anche per maschio e femmina i segni significativi: l’unzione con l’olio santo, il sale sulla bocca, la veste bianca, la candela accesa, e tutta la celebrazione. Non si vede pertanto quale differenza possa essere fatta in ordine all’estensione della grazia battesimale tra maschio e femmina. Non vedo su quali basi si fondi l’esclusione delle donne dall’ordinazione ministeriale, tanto più che Atti 10, 34 ci assicura che Dio non fa preferenze di persone.

Giuseppe Ricaldone   Associazione culturale “Il gallo” – quaderno n. 4   aprile 2019

www.ilgallo46.it/la-donna-e-il-ministero-sacerdotale

 

La Chiesa e il femminile: indicazioni per una possibile riforma

Giovedì 7 marzo 2019 a Firenze presso la Casa per la Pace di Pax Christi Italia (movimento cattolico internazionale per la pace impegnato sui temi della risoluzione non violenta dei conflitti, per il disarmo e la convivialità delle differenze) si è svolto un incontro sul tema “La Chiesa e il femminile: indicazioni per una possibile riforma”, basato sul dossier della rivista Mosaico di Pace di febbraio, “Semi, segni, sogni. Per una Chiesa di donne e uomini uguali, differenti, conviviali”. Relatrici Cristina Simonelli, teologa cattolica, presidente del Coordinamento delle Teologhe italiane, e Letizia Tomassone, teologa evangelica appartenente anch’essa al Coordinamento, nonché pastore della Chiesa valdese in Firenze. A mediare il dibattito don Andrea Bigalli, responsabile di Libera Toscana e collaboratore della citata rivista Mosaico di Pace.

Nel presentare il dialogo, don Bigalli ha sottolineato l’attualità e l’urgenza di ridiscutere il ruolo della donna all’interno della Chiesa, struttura dalle fondamenta maschiliste e patriarcali, dove nonostante il gran parlare di genio femminile, non sono stati fatti passi sostanziali verso una maggiore emancipazione della stessa donna. Disattendendo, o regredendo, rispetto a indicazioni del Concilio Vaticano II. Il tema del ruolo femminile si inserisce entro una più ampia valutazione della permanente sessuofobia interna alla Chiesa, che nemmeno lo scandalo sugli abusi sessuali è riuscita a ridiscutere, creando un “corto circuito” fra le posizioni della Chiesa in materia di sessualità e l’emergere storico, entro la medesima struttura, di pratiche sessuali fortemente deviate. Inoltre la discussione intorno alla donna si riferisce alla costruzione di una mitologia ideologica del gender, che fossilizza i ruoli maschile e femminile entro stereotipi superati.

Cristina Simonelli battezza il suo intervento con l’affermazione, a prima vista provocatoria, di non sentirsi “cattolica cattolica”, non perché non si riconosca appartenente alla Chiesa cattolica, ma perché lo sguardo deve aprirsi per andare oltre tale struttura. Il Vaticano II ha sicuramente offerto più spazi per la presenza di laici e donne, ma il cambiamento è stato solo parziale ed è rimasta famosa una frase della teologa di origine cattolica Mary Daly che così si esprimeva: «Una donna che chiedesse la parità nella Chiesa cattolica sarebbe come un negro che la chiedesse nel Ku-klux-clan». Ma l’orizzonte deve ampliarsi e attualizzarsi proprio in riferimento allo scandalo degli abusi sessuali, che pone in primo piano uno dei più grandi limiti della Chiesa cattolica, il clericalismo, deviazione di sistema che anche papa Francesco ha condannato come radice di tanti mali nella “Lettera al popolo di Dio” (20 agosto 2018), definendolo «modo anomalo di intendere l’autorità della Chiesa». Un modo che si estende a tutti gli abusi, sia sessuali, che di coscienza e di potere, e che distorce la comprensione di cosa siano autorità o processi comunitari e di inclusività.

In un articolo della rivista Il Regno Hervé Legrand fa un preciso riferimento all’anomalia di struttura di potere del clericalismo, rafforzata dal carattere sacro delle difformità di genere, per risolvere la quale non sono stati compiuti, dopo il Concilio, passi significativi nella formazione dei seminaristi e nella destrutturazione dell’aura di sacralità che avvolge la figura del sacerdote. Problemi che sorgono quando si pone il discorso del diaconato femminile. Ma sulla questione della riforma verso una maggiore inclusività della donna sono significative altre affermazioni contraddittorie di papa Bergoglio – riportate dal teologo Antonio Autiero – fatte durante il recente convegno tenutosi in Vaticano sugli abusi ai minori. Con preciso riferimento a un intervento di Linda Ghisoni, il papa da una parte ha detto «questo dovremmo fare, lei non ha parlato della Chiesa, ma la sua è la parola della Chiesa», quindi Magistero.

Ma dall’altra parte ha tenuto a precisare che ciò che lei ha spiegato non è «femminismo ecclesiastico, perché questo non sarebbe altro che un machismo in gonnella». In questa contraddizione è insita il nocciolo del problema del ruolo della donna entro la Chiesa: una porta a molla che appena si apre si richiude automaticamente facendo riemergere tutto un immaginario stereotipato.

L’intervento di Letizia Tomassone parte dal momento in cui, nel 1962, il Sinodo valdese decide di formare come pastori anche le donne. La prima donna nominata pastore nella Chiesa valdese è del 1967, la prima nella Chiesa battista del 1977; nel frattempo, nel 1975, viene approvato in Italia il diritto di famiglia. Ciò significa che prima di tale data la moglie doveva seguire il marito nelle sue scelte risultando a lui subordinata, e che quindi il Sinodo valdese del 1962 precorreva i tempi ridisegnando un nuovo ruolo per la donna fuori da pregiudizi culturali, e offrendo una spinta profetica utile per l’intera società. L’elemento profetico di una donna che sale su un pulpito e amministra l’eucarestia mantiene la sua attualità, ma soprattutto rompe con tutta una tradizione millenaria che vede in quei ministeri solo la figura maschile. Un segno di rottura ancora attuale non solo nelle Chiese dell’America Latina, dell’Africa e dell’Asia, ma anche in Occidente dove esistono sacche di resistenza al nuovo ruolo ricoperto dalle donne, per nulla ovvio.

Sul piano teologico, delle teologie femministe, lo scandalo degli abusi sessuali, i movimenti MeTooe ChurchToo hanno rafforzato in ambiente riformato un percorso storico di emancipazione partito a metà del ‘900 quando il Consiglio ecumenico delle Chiese ha iniziato a interrogarsi sulla presenza di violenza domestica sulle donne. Un argomento che tuttora vede complici nel silenzio-assenso le stesse donne, come dimostrano norme comportamentali presenti nelle Chiese pentecostali. Tutta la denuncia degli abusi, del dominio di una parte dell’umanità su un’altra parte porta in primo piano la necessità di una nuova teologia dell’incarnazione, della sessualità. Perché legare la sessualità al peccato, al senso di colpa, alla vergogna, all’onore, quindi a categorie sociali, ha tolto alla stessa sessualità lo scopo di raggiungimento della pienezza di sé. Andando a colpire le donne e quei soggetti considerati devianti rispetto all’eteronormatività della società, soggetti che cercano forme altre di incontro con l’altro. Inoltre il tema dell’espiazione, del sacrificio della sottomissione della morte in Croce di Gesù fa parte di una catena di significati e di simbologie che vanno ripensati, che si riallacciano all’argomento del sacrificio come salvezza, teso a mantenere nella sottomissione i soggetti ritenuti subordinati, intorno al quale le teologie femministe hanno molto lavorato per una decostruzione. Altra questione è quella dell’imago Dei che, a partire da sant’Agostino, ha visto elaborare la teoria per cui la donna non sarebbe perfetta immagine di Dio, se non quando si pone in relazione con l’immagine perfetta dell’uomo-maschio. Sempre le teologie femministe hanno sviluppato quella che è stata definita la teologia del sospetto mirante a far riemergere le numerose figure protagoniste femminili presenti nella Bibbia e nella tradizione delle Chiese, figure oscurate dallo sguardo maschile con cui si è letta la Storia. Necessario è quindi rivedere il ruolo della donna non in senso pragmatico, bensì teologico in quanto esso deve essere aderente all’immagine della donna come immagine di Dio al pari dell’uomo.

Infine per Letizia Tomassone va superata quell’ottica femminile di cui parla la Simonelli, che va oltre i confini della Chiesa, proprio perché per questioni di identità di genere la donna non può che tenersi al confine di una struttura che nelle sue norme patriarcali tende a marginalizzarla. Bisogna ripensare le istituzioni perché non siano più fondate sul concetto di colpa, ma su quello della pienezza dell’essere. In cui non si creino degli uffici appositi che si occupino del ruolo delle donne, degli omosessuali o dei transessuali. Dove non ci siano norme morali basate sull’eteronormatività, ma dove chi sta ai margini possa finalmente essere riconosciuto nella sua pienezza dell’essere e occupare quegli spazi al centro finora preclusi. Creando situazioni di rottura nei ruoli di genere, e non aderendo a una presunta armonia complementare fra uomo e donna.

Giuseppina D’Urso                Adista- Segni Nuovi – n. 13 – 6 aprile 2019

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201904/190403durso.pdf

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FAMIGLIA

Mai stato bambino. I tanti martiri innocenti di famiglie sbagliate. Lo Stato? Assente

            Tutti nasciamo buoni e, crescendo nei luoghi dove si è nati, si scelgono le amicizie quando le si possono scegliere, oppure ci vengono imposte dal destino che ci ha fatto nascere, nei quartieri poveri del mezzogiorno, nelle periferie delle metropoli, nei centri storici dei capoluoghi, nelle piccole frazioni di un paesino, nelle zone industriali con i palazzoni di una zona dormitorio, ma in tutto ciò ci accomuna una cosa fondamentale che non deve mai mancare ed è l’educazione che i genitori danno ai propri figli.

In tantissime famiglie per un motivo o per un altro l’educazione viene a mancare, e i motivi sono di vario tipo, o persiste una dipendenza da parte di un genitore per il gioco d’azzardo, la dipendenza da sostanze stupefacenti, la mancanza d’amore tra i propri genitori vivendo un rapporto malato, un rapporto dove spesso si vive di nascosto una doppia relazione, un amore latitante nascosto da tutti quanti, un amore che fa dimenticare anche l’esistenza stessa dei propri figli avuti magari con la donna oppure con l’uomo del quale non si è più o non si è mai stati innamorati.

Tutti noi siamo stati bambini e oggi che siamo diventati adulti sappiamo l’importanza per il mondo delle continue nascite della nostra razza, pertanto sappiamo bene che il bene primario di questo pianeta terra sono la nascita dei bambini, i quali vanno educati, istruiti, protetti in quanto indifesi, ingenui e fragili, in un solo termine “salvaguardia dei minori”.

Adesso riflettiamo sulla grave diffusione di soggetti adolescenti e anche adulti con dipendenza dall’alcool, da sostanze stupefacenti, e gioco d’azzardo. Poi come la natura vuole questi esseri si accoppiano e magari, senza avere minimamente il desiderio di far nascere e crescere un figlio, per questi ammalati i figli arrivano.

A questo punto abbiamo una coppia casuale di ragazzi ammalati dalla dipendenza, figli della noia e molto spesso figli a loro volta di un’altra coppia d’ammalati, con imbraccio dei figli spesso mai voluti ai quali già dalla loro nascita si presenta una salita ripida che solo un adulto a fatica potrà salire. Questi teneri, indifesi, ingenue creature, si aspettano, visto la sciagura che è toccata nella loro venuta al mondo, un salvatore, un qualcuno che li prende per mano e nelle braccia forti di un padre vero li tiene stretti stretti facendoli sentire protetti e dandogli la possibilità che alla loro età possano vivere e godere la loro infanzia con una giusta educazione per poi da grandi prendere una giusta direzione con gli studi completati.

Purtroppo per moltissimi nascituri, ingenui, indifesi, fragili bambini che in un certo senso hanno avuto per ben due volte la sfortuna, una di nascere in questo paese e l’altra che sono nati con dei genitori mai esistiti, fantasmi, ammalati, che a loro volta necessitano di cure, questi bambini sono costretti a vivere e crescere nella violenza di un uomo che picchia la propria compagna perché gli serve del denaro per il gioco d’azzardo, per una dose di droga, oppure per una bottiglia di birra. Immaginate un bimbo con i suoi cinque anni di età che seduto atterra in un angolino di una camera da letto impietrito e terrorizzato che dalla paura si fa la pipi sotto, quel bambino costretto a guardare come il proprio padre dipendente da gioco d’azzardo picchia con una feroce la propria mammina, la quale con il viso insanguinato con un filo di voce gli dice al piccolo figlio: corri vai a mamma chiama la vicina, chiedi aiuto, il bimbo si alza e corre vicino alla porta di casa mentre sta per aprirla, il padre lo prende per i capelli e lo scaraventa sul lettino minacciandolo di non chiamare e non dire niente a nessuno che sennò prende le botte anche lui.

Quel bambino che cresce in un contesto orrendo, bambino non lo è mai stato e appena adolescente prende una brutta e cattiva strada, farà sicuramente del male alla società civile, poiché dalla nascita quel mai stato bambino non ha fatto altro che imparare violenza presenziando forzato alle violente liti dei genitori e cosi diventerà figlio delle patrie galere di questo bellissimo paese chiamato Italia dove lo stato fa poco e niente per la tutela dei bambini.

Poi, diventati adulti, lo stesso stato completa l’Opera del male, facendo diventare quel mai stato bambino, orfano di genitori e orfano delle istituzioni, un numero, una matricola, un inquilino delle carceri italiane, la maggior parte delle quali sono inferno sulla terra, dove con i scarsissimi mezzi, operatori, educatori e psicologi, sperano in una rieducazione. Scontata poi la condanna, quel mai stato bambino viene sputato fuori dalle carceri senza una prospettiva di vita e di futuro se non quella di un veloce ritorno nella ormai definitiva dimora, una delle tante orrende patrie galere della nostra amata e bellissima Italia.

Il frutto, il raccolto di una semina fatta male e trascurata, non può essere altro che marcio e senza sapore, pertanto non possiamo pretendere un raccolto eccellente e tantomeno salvare quel frutto senza togliere la parte marcia e salvare la parte migliore che gli resta.

Per la salvaguardia del nostro pianeta terra, occorre prendersi cura dei bambini come un bene primario, perché i bambini sono la fonte principale di un futuro migliore, un futuro fatto di pace nel mondo e di benessere per tutti.

Chi semina vento raccoglie tempesta.

Francesco C. (dal carcere eporediese).

http://lafenice.varieventuali.it/?p=220

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FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI

Famiglia. Natalità, un assegno piatto per tutti. Le proposte di De Palo a Di Maio

Il Forum delle associazioni familiari chiede ai partiti la revisione del sistema degli assegni familiari, con l’istituzione di un assegno di natalità uguale per tutti i nuclei e per ogni figlio.

            Il vicepremier Luigi Di Maio incontra il presidente del Forum delle associazioni familiari, Gianluigi De Palo. Un timido spiraglio, una tenue opportunità cui guardare con la massima prudenza, date le delusioni accumulate negli anni per via delle promesse tradite dai governi che si sono succeduti. A mettere il piede in mezzo alla porta, perché non venga chiusa – come al solito – all’ultimo secondo del varo della manovra, ci (ri)prova il Forum delle associazioni familiari. Che attraverso il presidente Gigi De Palo sta portando ai leader dei partiti una nuova proposta: una revisione del sistema degli assegni familiari, con l’istituzione di un assegno di natalità “flat“, “piatto”, cioè uguale per tutti i nuclei e per ogni figlio, valido dalla nascita ai 18 anni (26 se continua gli studi). Sul modello delle migliori pratiche europee – documentate da Avvenire, anche di recente – non ci sarebbero preclusioni per i lavoratori non a busta-paga e il tetto di reddito (oltre il quale il beneficio verrebbe negato o ridotto) sarebbe alto, almeno 70mila euro annui.

Il dossier è stato messo sulla scrivania del vicepremier leghista Matteo Salvini non più di due settimane fa. Ieri, invece, a ricevere De Palo è stato il leader M5s, Luigi Di Maio. Che attraverso i canali social si è poi sbilanciato: «In Italia oggi manca attenzione verso il ceto medio – spiega postando una foto dell’incontro con il presidente del Forum –, questo frena la propensione ad avere figli. Ho ascoltato con interesse le proposte del Forum per migliorare il sistema degli assegni familiari e quelle tese alla creazione di un assegno per la natalità. È importante lavorare su questo tema e non a caso vogliamo inserire nel Def un capitolo dedicato proprio alla famiglia».

L’annuncio di un capitolo-famiglia è una conferma, da parte di Di Maio. E analogo annuncio era venuto da Matteo Salvini. Le proposte di partenza dei due leader, però, sono a dir poco onerose. Il capo M5s parla di «modello francese». Il segretario del Carroccio di «flat-tax al 15-20%».

La misura del Forum, invece, impatta meno e non “sconvolge” quel ginepraio che è il sistema fiscale italiano. Perciò è stata accolta positivamente da Salvini e Di Maio, che ha passato le carte al viceministro al Tesoro, Laura Castelli. Se ci sarà il tatto politico di non giocare a farne una bandierina di parte, lo spiraglio che si è aperto può diventare qualcosa in più. Certo, il nodo delle risorse permane anche per l’assegno piatto di natalità: 6 miliardi ci sono già, sono quelli spesi adesso per l’attuale assegno familiare, ristretto però ai dipendenti e con una progressività tale da essere una “mancetta” per i redditi medi. Per “universalizzare” la misura, la maggioranza dovrebbe decidere di mettere mano al “totem” dell’ultimo quinquennio politico: il bonus-Renzi da 80 euro mensili, costo complessivo di 10 miliardi.

«Nelle prossime settimane – spiega Gigi De Palo – porteremo la proposta anche a Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi, ma stiamo chiedendo incontri a tutti». Quanto al “Fattore-famiglia”, per lungo tempo la proposta-base del Forum, continuerà ad essere promossa come soluzione per le tariffe locali, dove è di più facile applicazione. Il presidente del Forum ha cerchiato in rosso una data: l’11 maggio 2019, a ridosso della Giornata mondiale delle famiglie (15 maggio). Sarà quello il giorno in cui, nel contesto dell’assemblea del Forum, l’assegno di natalità sarà presentato ufficialmente all’opinione pubblica nazionale

Marco Iasevoli Avvenire 3 aprile 2019

www.avvenire.it/attualita/pagine/natalita-assegno-famiglia

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FRANCESCO VESCOVO DI ROMA

“Christus vivit”: Esortazione Apostolica post-sinodale ai Giovani e a tutto il Popolo di Dio

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/events/event.dir.html/content/vaticanevents/it/2019/4/2/christus-vivit.html

«Cristo vive. Egli è la nostra speranza e la più bella giovinezza di questo mondo. Tutto ciò che Lui tocca diventa giovane, diventa nuovo, si riempie di vita. Perciò, le prime parole che voglio rivolgere a ciascun giovane cristiano sono: Lui vive e ti vuole vivo!». Inizia così l’Esortazione Apostolica postsinodale “Christus vivit” di Francesco, firmata lunedì 25 marzo 2019 nella Santa Casa di Loreto e indirizzata «ai giovani e a tutto il popolo di Dio». Nel documento, composto di nove capitoli divisi in 299 paragrafi, il Papa spiega di essersi lasciato «ispirare dalla ricchezza delle riflessioni e dei dialoghi del Sinodo» dei giovani, celebrato in Vaticano nell’ottobre 2018. È stata resa nota martedì 2 aprile 2019 con una conferenza stampa a cui hanno preso parte il card. Lorenzo Baldisseri, mons. Fabio Fabene, Paolo Ruffini, Laphidil Oppong Twumasi (studentessa del corso magistrale di Ingegneria Biomedica all’Università di Bologna) e Alessio Piroddi Lorrai (insegnante di religione della diocesi di Roma).

            Nel documento, compostodi nove capitoli divisi in 299 paragrafi, il Papa spiega di essersi lasciato «ispirare dalla ricchezza delle riflessioni e dei dialoghi del Sinodo» dei giovani, celebrato in Vaticano nell’ottobre 2018. Composta da 299 paragrafi raccolti in 9 capitoli (e con 164 note), il corposo testo, pubblicato in 7 lingue (italiano, inglese, francese, spagnolo, portoghese, tedesco e arabo) è stato accompagnato da “sintesi di lavoro” per facilitarne la lettura.

Primo capitolo: «Che cosa dice la Parola di Dio sui giovani?» Francesco ricorda che «in un’epoca in cui i giovani contavano poco, alcuni testi mostrano che Dio guarda con altri occhi» (6) e presenta brevemente figure di giovani dell’Antico Testamento: Giuseppe, Gedeone (7), Samuele (8), il re David (9), Salomone e Geremia (10), la giovanissima serva ebrea di Naaman e la giovane Rut (11). Quindi si passa al Nuovo Testamento. Il Papa ricorda che «Gesù, l’eternamente giovane, vuole donarci un cuore sempre giovane» (13) e aggiunge: «Notiamo che a Gesù non piaceva il fatto che gli adulti guardassero con disprezzo i più giovani o li tenessero al loro servizio in modo dispotico. Al contrario, chiedeva: “Chi tra voi è più grande diventi come il più giovane” (Lc 22,26). Per Lui, l’età non stabiliva privilegi, e che qualcuno avesse meno anni non significava che valesse di meno». Francesco afferma: «Non bisogna pentirsi di spendere la propria gioventù essendo buoni, aprendo il cuore al Signore, vivendo in un modo diverso» (17)

Secondo capitolo: «Gesù Cristo sempre giovane». Il Papa affronta il tema degli anni giovanili di Gesù e si ricorda il racconto evangelico che descrive il Nazareno «in piena adolescenza, quando ritornò con i suoi genitori a Nazaret, dopo che lo avevano perso e ritrovato nel Tempio» (26). Non dobbiamo pensare, scrive Francesco, che «Gesù fosse un adolescente solitario o un giovane che pensava a sé stesso. Il suo rapporto con la gente era quello di un giovane che condivideva tutta la vita di una famiglia ben integrata nel villaggio», «nessuno lo considerava un giovane strano o separato dagli altri» (28). Il Papa fa notare che Gesù adolescente, «grazie alla fiducia dei suoi genitori… si muove con libertà e impara a camminare con tutti gli altri» (29). Questi aspetti della vita di Gesù non dovrebbero essere ignorati nella pastorale giovanile, «per non creare progetti che isolino i giovani dalla famiglia e dal mondo, o che li trasformino in una minoranza selezionata e preservata da ogni contagio». Servono invece «progetti che li rafforzino, li accompagnino e li proiettino verso l’incontro con gli altri, il servizio generoso, la missione» (30). Gesù «non illumina voi, giovani, da lontano o dall’esterno, ma partendo dalla sua stessa giovinezza, che egli condivide con voi» e in Lui si possono riconoscere molti aspetti tipici dei cuori giovani (31). Vicino «a Lui possiamo bere dalla vera sorgente, che mantiene vivi i nostri sogni, i nostri progetti, i nostri grandi ideali, e che ci lancia nell’annuncio della vita che vale la pena vivere» (32); «Il Signore ci chiama ad accendere stelle nella notte di altri giovani» (33). Francesco parla quindi della giovinezza della Chiesa e scrive: «Chiediamo al Signore che liberi la Chiesa da coloro che vogliono invecchiarla, fissarla sul passato, frenarla, renderla immobile. Chiediamo anche che la liberi da un’altra tentazione: credere che è giovane perché cede a tutto ciò che il mondo le offre, credere che si rinnova perché nasconde il suo messaggio e si mimetizza con gli altri. No. È giovane quando è sé stessa, quando riceve la forza sempre nuova della Parola di Dio, dell’Eucaristia, della presenza di Cristo e della forza del suo Spirito ogni giorno» (35). È vero che «noi membri della Chiesa non dobbiamo essere tipi strani», ma al contempo «dobbiamo avere il coraggio di essere diversi, di mostrare altri sogni che questo mondo non offre, di testimoniare la bellezza della generosità, del servizio, della purezza, della fortezza, del perdono, della fedeltà alla propria vocazione, della preghiera, della lotta per la giustizia e il bene comune, dell’amore per i poveri, dell’amicizia sociale» (36). La Chiesa può essere tentata di perdere l’entusiasmo e cercare «false sicurezze mondane. Sono proprio i giovani che possono aiutarla a rimanere giovane» (37). Il Papa torna poi su uno degli insegnamenti a lui più cari e spiegando che bisogna presentare la figura di Gesù «in modo attraente ed efficace» dice: «Per questo bisogna che la Chiesa non sia troppo concentrata su sé stessa, ma che rifletta soprattutto Gesù Cristo. Questo comporta che riconosca con umiltà che alcune cose concrete devono cambiare» (39). Nell’Esortazione si riconosce che ci sono giovani i quali sentono la presenza della Chiesa «come fastidiosa e perfino irritante». Un atteggiamento che affonda le radici «anche in ragioni serie e rispettabili: gli scandali sessuali ed economici; l’impreparazione dei ministri ordinati che non sanno intercettare adeguatamente la sensibilità dei giovani;… il ruolo passivo assegnato ai giovani all’interno della comunità cristiana; la fatica della Chiesa di rendere ragione delle proprie posizioni dottrinali ed etiche di fronte alla società» (40). Ci sono giovani che «chiedono una Chiesa che ascolti di più, che non stia continuamente a condannare il mondo. Non vogliono vedere una Chiesa silenziosa e timida, ma nemmeno sempre in guerra per due o tre temi che la ossessionano. Per essere credibile agli occhi dei giovani, a volte ha bisogno di recuperare l’umiltà e semplicemente ascoltare, riconoscere in ciò che altri dicono una luce che la può aiutare a scoprire meglio il Vangelo» (41). Ad esempio, una Chiesa troppo timorosa può essere costantemente critica «nei confronti di tutti i discorsi sulla difesa dei diritti delle donne ed evidenziare costantemente i rischi e i possibili errori di tali rivendicazioni», mentre una Chiesa «viva può reagire prestando attenzione alle legittime rivendicazioni delle donne», pur «non essendo d’accordo con tutto ciò che propongono alcuni gruppi femministi» (42). Francesco presenta quindi «Maria, la ragazza di Nazaret», e il suo sì come quello «di chi vuole coinvolgersi e rischiare, di chi vuole scommettere tutto, senza altra garanzia che la certezza di sapere di essere portatrice di una promessa. E domando a ognuno di voi: vi sentite portatori di una promessa?» (44). Per Maria «le difficoltà non erano un motivo per dire “no”» e così mettendosi in gioco è diventata «l’influencer di Dio». Il cuore della Chiesa è anche pieno di giovani santi. Il Papa ricorda san Sebastiano, san Francesco d’Assisi, santa Giovanna d’Arco, il beato martire Andrew Phû Yên, santa Kateri Tekakwitha, san Domenico Savio, santa Teresa del Gesù Bambino, il beato Ceferino Namuncurá, il beato Isidoro Bakanja, il beato Pier Giorgio Frassati, il beato Marcel Callo, la giovane beata Chiara Badano.

Terzo capitolo: «Voi siete l’adesso di Dio». Non possiamo limitarci a dire, afferma Francesco, che «i giovani sono il futuro del mondo: sono il presente, lo stanno arricchendo con il loro contributo» (64). Per questo bisogna ascoltarli anche se «prevale talora la tendenza a fornire risposte preconfezionate e ricette pronte, senza lasciar emergere le domande giovanili nella loro novità e coglierne la provocazione» (65). «Oggi noi adulti corriamo il rischio di fare una lista di disastri, di difetti della gioventù del nostro tempo… Quale sarebbe il risultato di questo atteggiamento? Una distanza sempre maggiore» (66). Chi è chiamato a essere padre, pastore e guida dei giovani dovrebbe avere la capacità «di individuare percorsi dove altri vedono solo muri, è il saper riconoscere possibilità dove altri vedono solo pericoli. Così è lo sguardo di Dio Padre, capace di valorizzare e alimentare i germi di bene seminati nel cuore dei giovani. Il cuore di ogni giovane deve pertanto essere considerato “terra sacra”» (67). Francesco invita inoltre a non generalizzare, perché «esiste una pluralità di mondi giovanili» (68). Parlando di ciò che succede ai giovani, il Papa, ricorda i giovani che vivono in contesti di guerra, quelli sfruttati e vittime di rapimenti, criminalità organizzata, tratta di esseri umani, schiavitù e sfruttamento sessuale, stupri. E anche quelli che vivono perpetrando crimini e violenze (72). «Molti giovani sono ideologizzati, strumentalizzati e usati come carne da macello o come forza d’urto per distruggere, intimidire o ridicolizzare altri. E la cosa peggiore è che molti si trasformano in soggetti individualisti, nemici e diffidenti verso tutti, e diventano così facile preda di proposte disumanizzanti e dei piani distruttivi elaborati da gruppi politici o poteri economici» (73). Ancora più numerosi quelli che patiscono forme di emarginazione ed esclusione sociale per ragioni religiose, etniche o economiche. Francesco cita adolescenti e giovani che «restano incinte e la piaga dell’aborto, così come la diffusione dell’HIV, le diverse forme di dipendenza (droghe, azzardo, pornografia, ecc.) e la situazione dei bambini e ragazzi di strada» (74), situazioni rese doppiamente dolorose e difficili per le donne. «Non possiamo essere una Chiesa che non piange di fronte a questi drammi dei suoi figli giovani. Non dobbiamo mai farci l’abitudine… La cosa peggiore che possiamo fare è applicare la ricetta dello spirito mondano che consiste nell’anestetizzare i giovani con altre notizie, con altre distrazioni, con banalità» (75). Il Papa invita i giovani a imparare a piangere per i coetanei che stanno peggio di loro (76). È vero, spiega Francesco, che «i potenti forniscono alcuni aiuti, ma spesso ad un costo elevato. In molti Paesi poveri, l’aiuto economico di alcuni Paesi più ricchi o di alcuni organismi internazionali è solitamente vincolato all’accettazione di proposte occidentali in materia di sessualità, matrimonio, vita o giustizia sociale. Questa colonizzazione ideologica danneggia in modo particolare i giovani» (78). Il Papa mette in guardia anche dalla cultura di oggi che presenta il modello giovanile di bellezza e usa i corpi giovani nella pubblicità: «non è un elogio rivolto ai giovani. Significa soltanto che gli adulti vogliono rubare la gioventù per sé stessi» (79). Accennando a «desideri, ferite e ricerche», Francesco parla della sessualità: «in un mondo che enfatizza esclusivamente la sessualità, è difficile mantenere una buona relazione col proprio corpo e vivere serenamente le relazioni affettive». Anche per questo la morale sessuale è spesso causa di «incomprensione e di allontanamento dalla Chiesa» percepita «come uno spazio di giudizio e di condanna», nonostante vi siano giovani che si vogliono confrontare su questi temi (81). Il Papa, di fronte agli sviluppi della scienza, delle tecnologie biomediche e delle neuroscienze ricorda che «Possono farci dimenticare che la vita è un dono, che siamo esseri creati e limitati, che possiamo facilmente essere strumentalizzati da chi detiene il potere tecnologico» (82). L’Esortazione si sofferma poi sul tema dell’«ambiente digitale», che ha creato «un nuovo modo di comunicare» e che «può facilitare la circolazione di informazione indipendente». In molti Paesi, il web e i social network sono «ormai un luogo irrinunciabile per raggiungere e coinvolgere i giovani» (87). Ma «è anche un territorio di solitudine, manipolazione, sfruttamento e violenza, fino al caso estremo del dark web [reti oscure]. I media digitali possono esporre al rischio di dipendenza, di isolamento e di progressiva perdita di contatto con la realtà concreta… Nuove forme di violenza si diffondono attraverso i social media, ad esempio il cyberbullismo; il web è anche un canale di diffusione della pornografia e di sfruttamento delle persone a scopo sessuale o tramite il gioco d’azzardo» (88).  Non si deve dimenticare che nel mondo digitale «operano giganteschi interessi economici», capaci di creare «meccanismi di manipolazione delle coscienze e del processo democratico». Ci sono circuiti chiusi che «facilitano la diffusione di informazioni e notizie false, fomentando pregiudizi e odio… La reputazione delle persone è messa a repentaglio tramite processi sommari on line. Il fenomeno riguarda anche la Chiesa e i suoi pastori» (89). In un documento preparato da 300 giovani di tutto il mondo prima del Sinodo si afferma che «le relazioni online possono diventare disumane» e l’immersione nel mondo virtuale ha favorito «una sorta di “migrazione digitale”, vale a dire un distanziamento dalla famiglia, dai valori culturali e religiosi, che conduce molte persone verso un mondo di solitudine» (90). Il Papa prosegue presentando «i migranti come paradigma del nostro tempo», e ricorda i tanti giovani coinvolti nelle migrazioni. «La preoccupazione della Chiesa riguarda in particolare coloro che fuggono dalla guerra, dalla violenza, dalla persecuzione politica o religiosa, dai disastri naturali dovuti anche ai cambiamenti climatici e dalla povertà estrema» (91): sono alla ricerca di un’opportunità, sognano un futuro migliore. Altri migranti sono «attirati dalla cultura occidentale, nutrendo talvolta aspettative irrealistiche che li espongono a pesanti delusioni. Trafficanti senza scrupolo, spesso legati ai cartelli della droga e delle armi, sfruttano la debolezza dei migranti… Va segnalata la particolare vulnerabilità dei migranti minori non accompagnati… In alcuni Paesi di arrivo, i fenomeni migratori suscitano allarme e paure, spesso fomentate e sfruttate a fini politici. Si diffonde così una mentalità xenofoba, di chiusura e di ripiegamento su se stessi, a cui occorre reagire con decisione» (92) I giovani migranti spesso sperimentano anche uno sradicamento culturale e religioso (93). Francesco chiede «in particolare ai giovani di non cadere nelle reti di coloro che vogliono metterli contro altri giovani che arrivano nei loro Paesi, descrivendoli come soggetti pericolosi» (94). Il Papa parla anche degli abusi sui minori, fa proprio l’impegno del Sinodo per l’adozione di rigorose misure di prevenzione ed esprime gratitudine «verso coloro che hanno il coraggio di denunciare il male subìto» (99), ricordando che «grazie a Dio» i sacerdoti che si sono macchiati di questi «orribili crimini non sono la maggioranza, che invece è costituita da chi porta avanti un ministero fedele e generoso». Chiede ai giovani, se vedono un sacerdote a rischio perché ha imboccato la strada sbagliata, di avere il coraggio di ricordargli il suo impegno verso Dio e verso il suo popolo (100). Gli abusi non sono però l’unico peccato nella Chiesa. «I nostri peccati sono davanti agli occhi di tutti; si riflettono senza pietà nelle rughe del volto millenario della nostra Madre», ma la Chiesa non ricorre ad alcuna chirurgia estetica, «non ha paura di mostrare i peccati dei suoi membri». «Ricordiamoci però che non si abbandona la Madre quando è ferita» (101). Questo momento oscuro, con l’aiuto dei giovani, «può essere davvero un’opportunità per una riforma di portata epocale, per aprirsi a una nuova Pentecoste» (102). Francesco ricorda ai giovani che «c’è una via d’uscita» in tutte le situazioni buie e dolorose. Ricorda la buona notizia donata il mattino della Risurrezione. E spiega che anche se il mondo digitale può esporre a tanti rischi, ci sono giovani che sanno essere creativi e geniali in questi ambiti. Come il Venerabile Carlo Acutis, che «ha saputo usare le nuove tecniche di comunicazione per trasmettere il Vangelo» (105), non è caduto nella trappola e diceva: «Tutti nascono come originali, ma molti muoiono come fotocopie». «Non lasciare che ti succeda questo» (106), avverte il Papa. «Non lasciare che ti rubino la speranza e la gioia, che ti narcotizzino per usarti come schiavo dei loro interessi» (107), cerca la grande meta della santità. «Essere giovani non significa solo cercare piaceri passeggeri e successi superficiali. Affinché la giovinezza realizzi la sua finalità nel percorso della tua vita, dev’essere un tempo di donazione generosa, di offerta sincera» (108). «Se sei giovane di età, ma ti senti debole, stanco o deluso, chiedi a Gesù di rinnovarti» (109). Ma ricordando sempre che «è molto difficile lottare contro… le insidie e tentazioni del demonio e del mondo egoista se siamo isolati» (110), serve infatti una vita comunitaria.

Quarto capitolo: «Il grande annuncio per tutti i giovani». A tutti i giovani il Papa annuncia tre grandi verità. Un «Dio che è amore» e dunque «Dio ti ama, non dubitarne mai» (112) e puoi «gettarti in tutta sicurezza nelle braccia di tuo Padre divino» (113). Francesco afferma che memoria del Padre «non è un “disco rigido” che registra e archivia tutti i nostri dati, la sua memoria è un cuore tenero di compassione, che gioisce nel cancellare definitivamente ogni nostra traccia di male… Perché ti ama. Cerca di rimanere un momento di silenzio lasciandoti amare da Lui» (115). E il suo è un amore che «sa più di risalite che di cadute, di riconciliazione che di proibizione, di dare nuova opportunità che di condannare, di futuro che di passato» (116). La seconda verità è che «Cristo ti salva». «Non dimenticare mai che Egli perdona settanta volte sette. Torna a caricarci sulle sue spalle una volta dopo l’altra» (119). Gesù ci ama e ci salva perché «solo quello che si ama può essere salvato. Solo quello che si abbraccia può essere trasformato. L’amore del Signore è più grande di tutte le nostre contraddizioni, di tutte le nostre fragilità e di tutte le nostre meschinità» (120). E «il suo perdono e la sua salvezza non sono qualcosa che abbiamo comprato o che dovremmo acquisire con le nostre opere o i nostri sforzi. Egli ci perdona e ci libera gratuitamente» (121). La terza verità è che «Egli vive!». «Occorre ricordarlo… perché corriamo il rischio di prendere Gesù Cristo solo come un buon esempio del passato, come un ricordo, come qualcuno che ci ha salvato duemila anni fa. Questo non ci servirebbe a nulla, ci lascerebbe uguali a prima, non ci libererebbe» (124). Se «Egli vive, questo è una garanzia che il bene può farsi strada nella nostra vita…. Allora possiamo smettere di lamentarci e guardare avanti, perché con Lui si può sempre guardare avanti» (127). In queste verità compare il Padre e compare Gesù. E dove ci sono loro, c’è anche lo Spirito Santo. «Invoca ogni giorno lo Spirito Santo… Non perdi nulla ed Egli può cambiare la tua vita, può illuminarla e darle una rotta migliore. Non ti mutila, non ti toglie niente, anzi, ti aiuta a trovare ciò di cui hai bisogno nel modo migliore» (131).

Quinto capitolo: «Percorsi di gioventù». «L’amore di Dio e il nostro rapporto con Cristo vivo non ci impediscono di sognare, non ci chiedono di restringere i nostri orizzonti. Al contrario, questo amore ci sprona, ci stimola, ci proietta verso una vita migliore e più bella. La parola “inquietudine” riassume molte delle aspirazioni dei cuori dei giovani» (138). Pensando a un giovane il Papa vede colui che tiene i piedi sempre uno davanti all’altro, pronto per partire, per scattare, sempre lanciato in avanti (139). La giovinezza non può restare un «tempo sospeso», perché «è l’età delle scelte» in ambito professionale, sociale, politico e anche nella scelta del partner o nell’avere i primi figli. L’ansia «può diventare una grande nemica quando ci porta ad arrenderci perché scopriamo che i risultati non sono immediati. I sogni più belli si conquistano con speranza, pazienza e impegno, rinunciando alla fretta. Nello stesso tempo, non bisogna bloccarsi per insicurezza, non bisogna avere paura di rischiare e di commettere errori» (142). Francesco invita i giovani a non osservare la vita dal balcone, a non passare la vita davanti a uno schermo, a non ridursi a veicoli abbandonati e a non guardare il mondo da turisti: «Fatevi sentire! Scacciate le paure che vi paralizzano… vivete!» (143). Li invita a «vivere il presente» godendo con gratitudine di ogni piccolo dono della vita senza «essere insaziabili» e «ossessionati da piaceri senza fine» (146). Vivere il presente infatti «non significa lanciarsi in una dissolutezza irresponsabile che ci lascia vuoti e insoddisfatti» (147). Non conoscerai la vera pienezza dell’essere giovane, se… non vivi l’amicizia con Gesù» (150). L’amicizia con lui è indissolubile perché non ci abbandona (154) e così come con l’amico «parliamo, condividiamo anche le cose più segrete, con Gesù pure conversiamo»: pregando «facciamo il suo gioco, gli facciamo spazio perché Egli possa agire e possa entrare e possa vincere» (155). «Non privare la tua giovinezza di questa amicizia», «vivrai la bella esperienza di saperti sempre accompagnato» come i discepoli di Emmaus (156): sant’Oscar Romero diceva: «Il cristianesimo non è un insieme di verità in cui occorre credere, di leggi da osservare, di divieti. Così risulta ripugnante. Il cristianesimo è una Persona che mi ha amato così tanto da reclamare il mio amore. Il cristianesimo è Cristo”. Papa parlando della crescita e della maturazione, indica quindi l’importanza di cercare «uno sviluppo spirituale», di «cercare il Signore e custodire la sua Parola», di mantenere «la “connessione” con Gesù… perché non crescerai nella felicità e nella santità solo con le tue forze e la tua mente» (158). Anche l’adulto deve maturare senza perdere i valori della gioventù: «In ogni momento della vita potremo rinnovare e accrescere la nostra giovinezza. Quando ho iniziato il mio ministero come Papa, il Signore ha allargato i miei orizzonti e mi ha dato una rinnovata giovinezza. La stessa cosa può accadere a una coppia sposata da molti anni, o a un monaco nel suo monastero» (160). Crescere «vuol dire conservare e alimentare le cose più preziose che ti regala la giovinezza, ma nello stesso tempo significa essere aperti a purificare ciò che non è buono» (161). «Ti ricordo però che non sarai santo e realizzato copiando gli altri», tu «devi scoprire chi sei e sviluppare il tuo modo personale di essere santo» (162).  Francesco propone «percorsi di fraternità» per vivere la fede, ricordando che «Lo Spirito Santo vuole spingerci ad uscire da noi stessi, ad abbracciare gli altri… Per questo è sempre meglio vivere la fede insieme ed esprimere il nostro amore in una vita comunitaria» (164), superando «la tentazione di chiuderci in noi stessi, nei nostri problemi, nei sentimenti feriti, nelle lamentele e nelle comodità» (166). Dio «ama la gioia dei giovani e li invita soprattutto a quell’allegria che si vive nella comunione fraterna» (167). Il Papa parla poi dei «giovani impegnati», affermando che possono a volte correre «il rischio di chiudersi in piccoli gruppi… Sentono di vivere l’amore fraterno, ma forse il loro gruppo è diventato un semplice prolungamento del loro io. Questo si aggrava se la vocazione del laico è concepita solo come un servizio all’interno della Chiesa…, dimenticando che la vocazione laicale è prima di tutto la carità nella famiglia e la carità sociale o politica» (168). Francesco propone «ai giovani di andare oltre i gruppi di amici e costruire l’amicizia sociale, cercare il bene comune. L’inimicizia sociale distrugge. E una famiglia si distrugge per l’inimicizia. Un paese si distrugge per l’inimicizia. Il mondo si distrugge per l’inimicizia. E l’inimicizia più grande è la guerra. Oggigiorno vediamo che il mondo si sta distruggendo per la guerra. Perché sono incapaci di sedersi e parlare» (169). «L’impegno sociale e il contatto diretto con i poveri restano una occasione fondamentale di scoperta o approfondimento della fede e di discernimento della propria vocazione» (170). Il Papa cita l’esempio positivo dei giovani di parrocchie, gruppi e movimenti che «hanno l’abitudine di andare a fare compagnia agli anziani e agli ammalati, o di visitare i quartieri poveri» (171). Mentre «altri giovani partecipano a programmi sociali finalizzati a costruire case per chi è senza un tetto, o a bonificare aree contaminate, o a raccogliere aiuti per i più bisognosi. Sarebbe bene che questa energia comunitaria fosse applicata non solo ad azioni sporadiche ma in modo stabile». Gli universitari «possono unirsi in modalità interdisciplinare per applicare le loro conoscenze alla risoluzione di problemi sociali, e in questo compito possono lavorare fianco a fianco con giovani di altre Chiese o di altre religioni» (172). Francesco incoraggia i giovani ad assumersi questo impegno: «Vedo che tanti giovani in tante parti del mondo sono usciti per le strade per esprimere il desiderio di una civiltà più giusta e fraterna… Sono giovani che vogliono essere protagonisti del cambiamento… Non lasciate che altri siano protagonisti del cambiamento!» (174). I giovani sono chiamati ad essere «missionari coraggiosi», testimoniando ovunque il Vangelo con la propria vita, il che non significa «parlare della verità, ma viverla» (175). La parola, però, non deve essere messa a tacere: «Siate capaci di andare controcorrente e sappiate condividere Gesù, comunicate la fede che Lui vi ha donato» (176). Gesù dove invia? «Non ci sono confini, non ci sono limiti: ci invia a tutti. Il Vangelo è per tutti e non per alcuni. Non è solo per quelli che ci sembrano più vicini, più ricettivi, più accoglienti. È per tutti» (177). E non ci si può aspettare che «la missione sia facile e comoda» (178).

Sesto capitolo. Giovani con radici. Francesco dice che gli fa male «vedere che alcuni propongono ai giovani di costruire un futuro senza radici, come se il mondo iniziasse adesso» (179). Se qualcuno «vi fa una proposta e vi dice di ignorare la storia, di non fare tesoro dell’esperienza degli anziani, di disprezzare tutto ciò che è passato e guardare solo al futuro che lui vi offre, non è forse questo un modo facile di attirarvi con la sua proposta per farvi fare solo quello che lui vi dice? Quella persona ha bisogno che siate vuoti, sradicati, diffidenti di tutto, perché possiate fidarvi solo delle sue promesse e sottomettervi ai suoi piani. È così che funzionano le ideologie di diversi colori, che distruggono (o de-costruiscono) tutto ciò che è diverso e in questo modo possono dominare senza opposizioni» (181). I manipolatori usano anche l’adorazione della giovinezza: «Il corpo giovane diventa il simbolo di questo nuovo culto, quindi tutto ciò che ha a che fare con quel corpo è idolatrato e desiderato senza limiti, e ciò che non è giovane è guardato con disprezzo. Questa però è un’arma che finisce per degradare prima di tutto i giovani» (182). «Cari giovani, non permettete che usino la vostra giovinezza per favorire una vita superficiale, che confonde la bellezza con l’apparenza» (183) perché c’è una bellezza nel lavoratore che torna a casa sporco dal lavoro, nella moglie anziana che si prende cura del marito malato, nella fedeltà di coppie che si amano nell’autunno della vita. Oggi invece si promuove «una spiritualità senza Dio, un’affettività senza comunità e senza impegno verso chi soffre, una paura dei poveri visti come soggetti pericolosi, e una serie di offerte che pretendono di farvi credere in un futuro paradisiaco che sarà sempre rimandato più in là» (184): il Papa invita i giovani a non lasciarsi dominare da questa ideologia che porta ad «autentiche forme di colonizzazione culturale» (185) che sradica i giovani dalle appartenenze culturali e religiose da cui provengono e tende ad omogeneizzarli trasformandoli in soggetti «manipolabili fatti in serie» (186). Fondamentale è il «tuo rapporto con gli anziani», che aiutano i giovani a scoprire la ricchezza viva del passato, facendone memoria. «La Parola di Dio raccomanda di non perdere il contatto con gli anziani, per poter raccogliere la loro esperienza» (188). Ciò «non significa che tu debba essere d’accordo con tutto quello che dicono, né che tu debba approvare tutte le loro azioni», si tratta «semplicemente di essere aperti a raccogliere una sapienza che viene comunicata di generazione in generazione» (190). «Al mondo non è mai servita né servirà mai la rottura tra generazioni… È la menzogna che vuol farti credere che solo ciò che è nuovo è buono e bello» (191). Parlando di «sogni e visioni», Francesco osserva: «Se i giovani e gli anziani si aprono allo Spirito Santo, insieme producono una combinazione meravigliosa. Gli anziani sognano e i giovani hanno visioni» (192); se «i giovani si radicano nei sogni degli anziani riescono a vedere il futuro» (193). Bisogna dunque «rischiare insieme», camminando insieme giovani e anziani: le radici «non sono ancore che ci legano» ma «un punto di radicamento che ci consente di crescere e rispondere alle nuove sfide» (200).

Settimo capitolo: «La pastorale dei giovani». Il Papa spiega che la pastorale giovanile ha subito l’assalto dei cambiamenti sociali e culturali e «i giovani, nelle strutture consuete, spesso non trovano risposte alle loro inquietudini, alle loro esigenze, alle loro problematiche e alle loro ferite» (202). I giovani stessi «sono attori della pastorale giovanile, accompagnati e guidati, ma liberi di trovare strade sempre nuove con creatività e audacia». Bisogna «fare ricorso all’astuzia, all’ingegno e alla conoscenza che i giovani stessi hanno della sensibilità, del linguaggio e delle problematiche degli altri giovani» (203). La pastorale giovanile ha bisogno di flessibilità, e bisogna «invitare i giovani ad avvenimenti che ogni tanto offrano loro un luogo dove non solo ricevano una formazione, ma che permetta loro anche di condividere la vita, festeggiare, cantare, ascoltare testimonianze concrete e sperimentare l’incontro comunitario con il Dio vivente» (204). La pastorale giovanile non può che essere sinodale, cioè capace di dar forma a un «camminare insieme» e comporta due grandi linee di azione: la prima è la ricerca, la seconda è la crescita. Per la prima, Francesco confida nella capacità dei giovani stessi di «trovare vie attraenti per invitare»: «Dobbiamo soltanto stimolare i giovani e dare loro libertà di azione». Più importante è che «ogni giovane trovi il coraggio di seminare il primo annuncio in quella terra fertile che è il cuore di un altro giovane» (210). Va privilegiato «il linguaggio della vicinanza, il linguaggio dell’amore disinteressato, relazionale, esistenziale, che tocca il cuore», avvicinandosi ai giovani «con la grammatica dell’amore, non con il proselitismo» (211). Per quanto riguarda la crescita, Francesco mette in guardia dal proporre ai giovani toccati da un’intensa esperienza di Dio «incontri di “formazione” nei quali si affrontano solo questioni dottrinali e morali… Il risultato è che molti giovani si annoiano, perdono il fuoco dell’incontro con Cristo e la gioia di seguirlo» (212). Se qualsiasi progetto formativo «deve certamente includere una formazione dottrinale e morale» è altrettanto importante «che sia centrato» sul kerygma, cioè «l’esperienza fondante dell’incontro con Dio attraverso Cristo morto e risorto» e sulla crescita «nell’amore fraterno, nella vita comunitaria, nel servizio» (213). Pertanto «la pastorale giovanile dovrebbe sempre includere momenti che aiutino a rinnovare e ad approfondire l’esperienza personale dell’amore di Dio e di Gesù Cristo vivo» (214). E deve aiutare i giovani a «vivere come fratelli, ad aiutarsi a vicenda, a fare comunità, a servire gli altri, ad essere vicini ai poveri» (215). Le istituzioni della Chiesa diventino dunque «ambienti adeguati», sviluppando «capacità di accoglienza»: «Nelle nostre istituzioni dobbiamo offrire ai giovani luoghi appropriati, che essi possano gestire a loro piacimento e dove possano entrare e uscire liberamente, luoghi che li accolgano e dove possano recarsi spontaneamente e con fiducia per incontrare altri giovani sia nei momenti di sofferenza o di noia, sia quando desiderano festeggiare le loro gioie» (218). Francesco descrive quindi «la pastorale delle istituzioni educative», affermando che la scuola ha «urgente bisogno di autocritica». E ricorda che «ci sono alcune scuole cattoliche che sembrano essere organizzate solo per conservare l’esistente… La scuola trasformata in un “bunker” che protegge dagli errori “di fuori” è l’espressione caricaturale di questa tendenza». Quando i giovani escono, avvertono «un’insormontabile discrepanza tra ciò che hanno loro insegnato e il mondo in cui si trovano a vivere». Mentre «una delle gioie più grandi di un educatore consiste nel vedere un allievo che si costituisce come una persona forte, integrata, protagonista e capace di dare» (221). Non si può separare la formazione spirituale dalla formazione culturale: «Ecco il vostro grande compito: rispondere ai ritornelli paralizzanti del consumismo culturale con scelte dinamiche e forti, con la ricerca, la conoscenza e la condivisione» (223). Tra gli «ambiti di sviluppo pastorale», il Papa indica le «espressioni artistiche» (226), la «pratica sportiva» (227), e l’impegno per la salvaguardia del creato (228). Serve «una pastorale giovanile popolare», «più ampia e flessibile, che stimoli, nei diversi luoghi in cui si muovono concretamente i giovani, quelle guide naturali e quei carismi che lo Spirito Santo ha già seminato tra loro. Si tratta prima di tutto di non porre tanti ostacoli, norme, controlli e inquadramenti obbligatori a quei giovani credenti che sono leader naturali nei quartieri e nei diversi ambienti. Dobbiamo limitarci ad accompagnarli e stimolarli» (230). Pretendendo «una pastorale giovanile asettica, pura, caratterizzata da idee astratte, lontana dal mondo e preservata da ogni macchia, riduciamo il Vangelo a una proposta insipida, incomprensibile, lontana, separata dalle culture giovanili e adatta solo ad un élite giovanile cristiana che si sente diversa, ma che in realtà galleggia in un isolamento senza vita né fecondità» (232). Francesco invita a essere «una Chiesa con le porte aperte», e «non è nemmeno necessario che uno accetti completamente tutti gli insegnamenti della Chiesa per poter partecipare ad alcuni dei nostri spazi dedicati ai giovani» (234): «deve esserci spazio anche per tutti quelli che hanno altre visioni della vita, professano altre fedi o si dichiarano estranei all’orizzonte religioso» (235). L’icona per questo approccio ci viene offerta dall’episodio evangelico dei discepoli di Emmaus: Gesù li interroga, li ascolta con pazienza, li aiuta a riconoscere quanto stanno vivendo, a interpretare alla luce delle Scritture ciò che hanno vissuto, accetta di fermarsi con loro, entra nella loro notte. Sono loro stessi a scegliere di riprendere senza indugio il cammino nella direzione opposta (237). «Sempre missionari». Perché i giovani diventino missionari non occorre fare «un lungo percorso»: «Un giovane che va in pellegrinaggio per chiedere aiuto alla Madonna e invita un amico o un compagno ad accompagnarlo, con questo semplice gesto sta compiendo una preziosa azione missionaria» (239). La pastorale giovanile «deve essere sempre una pastorale missionaria» (240). E i giovani hanno bisogno di essere rispettati nella loro libertà, «ma hanno bisogno anche di essere accompagnati» da parte degli adulti, a cominciare dalla famiglia (242) e quindi dalla comunità: «Ciò implica che i giovani siano guardati con comprensione, stima e affetto, e non che non li si giudichi continuamente o si esiga da loro una perfezione che non corrisponde alla loro età» (243). Si avverte la carenza di persone esperte e dedicata all’accompagnamento (244) e «alcune giovani donne percepiscono una mancanza di figure di riferimento femminili all’interno della Chiesa» (245). I giovani stessi «ci hanno descritto» le caratteristiche che sperano di trovare in chi li accompagna: «essere un cristiano fedele impegnato nella Chiesa e nel mondo; una continua ricerca verso la santità; non giudicare, bensì prendersi cura; ascoltare attivamente i bisogni dei giovani; rispondere con gentilezza; avere consapevolezza di sé; saper riconoscere i propri limiti; conoscere le gioie e i dolori della vita spirituale. Una qualità di primaria importanza è il saper riconoscersi umani e capaci di compiere errori: non perfetti, ma peccatori perdonati» (246). Devono saper «camminare insieme» ai giovani rispettando la loro libertà.

Ottavo capitolo: «La vocazione». «La cosa fondamentale è discernere e scoprire che ciò che vuole Gesù da ogni giovane è prima di tutto la sua amicizia» (250). La vocazione è una chiamata al servizio missionario verso gli altri, «Perché la nostra vita sulla terra raggiunge la sua pienezza quando si trasforma in offerta» (254). «Per realizzare la propria vocazione è necessario sviluppare, far germogliare e coltivare tutto ciò che si è. Non si tratta di inventarsi, di creare sé stessi dal nulla, ma di scoprirsi alla luce di Dio e far fiorire il proprio essere» (257). E «questo “essere per gli altri” nella vita di ogni giovane è normalmente collegato a due questioni fondamentali: la formazione di una nuova famiglia e il lavoro» (258). Per quanto riguarda «l’amore e la famiglia», il Papa scrive che «i giovani sentono fortemente la chiamata all’amore e sognano di incontrare la persona giusta con cui formare una famiglia» (259), e il sacramento del matrimonio «avvolge questo amore con la grazia di Dio, lo radica in Dio stesso» (260). Dio ci ha creati sessuati, Egli stesso ha creato la sessualità, che è un suo dono, e dunque «niente tabù». È un dono che il Signore di dà e «ha due scopi: amarsi e generare vita. È una passione… Il vero amore è appassionato» (261). Francesco osserva che «l’aumento di separazioni, divorzi… può causare nei giovani grandi sofferenze e crisi d’identità. Talora devono farsi carico di responsabilità che non sono proporzionate alla loro età» (262). Nonostante tutte le difficoltà, «Voglio dirvi… che vale la pena scommettere sulla famiglia e che in essa troverete gli stimoli migliori per maturare e le gioie più belle da condividere. Non lasciate che vi rubino la possibilità di amare sul serio» (263). «Credere che nulla può essere definitivo è un inganno e una menzogna… vi chiedo di essere rivoluzionari, vi chiedo di andare controcorrente» (264). Per quanto riguarda il lavoro, il Papa scrive: «Invito i giovani a non aspettarsi di vivere senza lavorare, dipendendo dall’aiuto degli altri. Questo non va bene, perché «il lavoro è una necessità, è parte del senso della vita su questa terra, via di maturazione, di sviluppo umano e di realizzazione personale. In questo senso, aiutare i poveri con il denaro dev’essere sempre un rimedio provvisorio per fare fronte a delle emergenze» (269). E dopo aver notato come nel mondo del lavoro i giovani sperimentino forme di esclusione e di emarginazione (270), afferma a proposito della disoccupazione giovanile: «È una questione… che la politica deve considerare come una problematica prioritaria, in particolare oggi che la velocità degli sviluppi tecnologici, insieme all’ossessione per la riduzione del costo del lavoro, può portare rapidamente a sostituire innumerevoli posti di lavoro con macchinari» (271). E ai giovani dice: «È vero che non puoi vivere senza lavorare e che a volte dovrai accettare quello che trovi, ma non rinunciare mai ai tuoi sogni, non seppellire mai definitivamente una vocazione, non darti mai per vinto» (272). Francesco conclude questo capitolo parlando delle «vocazioni a una consacrazione speciale». «Nel discernimento di una vocazione non si deve escludere la possibilità di consacrarsi a Dio… Perché escluderlo? Abbi la certezza che, se riconosci una chiamata di Dio e la segui, ciò sarà la cosa che darà pienezza alla tua vita» (276).

Nono capitolo: «Il discernimento». Il Papa ricorda che «senza la sapienza del discernimento possiamo trasformarci facilmente in burattini alla mercé delle tendenze del momento» (279). «Un’espressione del discernimento è l’impegno per riconoscere la propria vocazione. È un compito che richiede spazi di solitudine e di silenzio, perché si tratta di una decisione molto personale che nessun altro può prendere al nostro posto» (283). «Il regalo della vocazione sarà senza dubbio un regalo esigente. I regali di Dio sono interattivi e per goderli bisogna mettersi molto in gioco, bisogna rischiare» (289). A chi aiuta i giovani nel discernimento sono richieste tre sensibilità. La prima è l’attenzione alla persona: «si tratta di ascoltare l’altro che ci sta dando sé stesso nelle sue parole» (292). La seconda consiste nel discernere, cioè «si tratta di cogliere il punto giusto in cui si discerne la grazia dalla tentazione» (293). La terza consiste «nell’ascoltare gli impulsi che l’altro sperimenta “in avanti”. È l’ascolto profondo di “dove vuole andare veramente l’altro”» (294). Quando uno ascolta l’altro in questo modo, «a un certo punto deve scomparire per lasciare che segua la strada che ha scoperto. Scomparire come scompare il Signore dalla vista dei suoi discepoli» (296). Dobbiamo «suscitare e accompagnare processi, non imporre percorsi. E si tratta di processi di persone che sono sempre uniche e libere. Per questo è difficile costruire ricettari» (297). L’Esortazione si conclude con «un desiderio» di Papa Francesco: «Cari giovani, sarò felice nel vedervi correre più velocemente di chi è lento e timoroso. Correte attratti da quel Volto tanto amato, che adoriamo nella santa Eucaristia e riconosciamo nella carne del fratello sofferente… La Chiesa ha bisogno del vostro slancio, delle vostre intuizioni, della vostra fede… E quando arriverete dove noi non siamo ancora giunti, abbiate la pazienza di aspettarci» (299).

Vatican news  2 aprile 2019

www.vaticannews.va/it/papa/news/2019-04/papa-francesco-testo-integrale-sintesi-ampia-christus-vivit.html

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GENITORI

Il padre detenuto non perde la responsabilità genitoriale

Lo stato di detenzione del genitore non ne determina automaticamente la decadenza dalla potestà. Con decreto depositato in data 18.01.2019, il Tribunale per i Minorenni di Caltanissetta si è occupato del delicato rapporto tra permanenza in carcere ed esercizio della responsabilità genitoriale.

In particolare, il giudice minorile in questo caso ha affermato che “lo stato di detenzione di un genitore non può, di per sé, determinare una pronuncia di decadenza dalla responsabilità genitoriale”. Infatti, secondo il Tribunale, l’autorità giudiziaria dovrà verificare caso per caso se il genitore sottoposto alla pena detentiva abbia posto in essere, nei confronti dei figli, “condotte pregiudizievoli… tali da giustificare una pronuncia di decadenza”.

Tale principio, sempre ad avviso del giudice minorile, si applica anche nel caso in cui il medesimo genitore sia stato condannato alla pena accessoria della sospensione dall’esercizio della responsabilità genitoriale. In proposito il decreto in commento menziona, tra i riferimenti normativi, innanzitutto l’art. 24, comma 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, il quale riconosce il diritto del minore ad intrattenere regolari relazioni con entrambi i genitori. Tale diritto si ritrova sancito anche dalla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 20 novembre 1989, ratificata in Italia con legge n. 176/1991.

Passando in rassegna la disciplina codicistica, il Tribunale ricorda l’art. 315 bis del c.c. [Diritti e doveri del figlio], il quale afferma il diritto del figlio di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, e l’art. 330 del c.c., che prevede la possibilità di pronunciare la decadenza dalla responsabilità genitoriale quando il genitore viola o trascura i doveri ad essa inerenti o abusa dei relativi poteri, con grave pregiudizio per il figlio.

Viene quindi richiamata la casistica giurisprudenziale sull’argomento, ricordando che la pronuncia prevista dall’art. 330 c.c. [Decadenza dalla responsabilità genitoriale sui figli] è stata adottata, ad esempio, in caso di comportamenti violenti e minacciosi di un genitore nei confronti del coniuge e dei figli o anche del solo coniuge, oppure nell’ipotesi di rifiuto di sottoporre il figlio a interventi medici necessari per la salute quali trasfusioni o, ancora, in caso di assunzione da parte dei genitori di sostanze stupefacenti accompagnata da un atteggiamento di disinteresse nei confronti del figlio, e così via.

Da ultimo, il decreto in esame rammenta che il codice penale prevede la decadenza dalla responsabilità genitoriale come pena accessoria, che viene comminata in relazione a specifici reati molto gravi.

Concluso l’excursus normativo, il Tribunale dei Minori di Caltanissetta conclude che lo stato di detenzione del genitore, pur se condannato alla pena accessoria della sospensione dalla responsabilità genitoriale, “non può in ogni caso determinare automaticamente una pronuncia di decadenza dalla suddetta responsabilità”, in quanto ciò contrasterebbe con i principi di uguaglianza e ragionevolezza oltre che con l’interesse del minore ad intrattenere un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori.

Inoltre, nel caso concreto oggetto della pronuncia, era emerso il “positivo legame” tra i minori e il padre, il quale si era sempre occupato dei propri figli fin dalla loro nascita e continuava ad adoperarsi nel loro interesse, sia pur con i limiti comprensibilmente imposti dallo stato di detenzione. Il legame era stato confermato anche dalla madre dei minori nonché dai Servizi Sociali.

Pertanto il Tribunale ha deciso il “non luogo a provvedere” sulla decadenza.

Nessun automatismo, dunque, in una materia in cui il fondamentale criterio di riferimento è costituito dall’interesse del minore, da verificarsi in relazione a ciascun caso concreto.

Redazione Giuridica Brocardi          4 aprile 2018

www.brocardi.it/notizie-giuridiche/padre-detenuto-perde-responsabilita-genitoriale/1919.html

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GOVERNO.

Il nuovo Manuale dei servizi educativi per l’infanzia

Dipartimento per le politiche della famiglia

Il Manuale dei servizi educativi per l’infanzia costituisce da alcuni anni un indispensabile strumento per accompagnare e sostenere il lavoro di tutti i professionisti coinvolti nello sviluppo dei servizi educativi per la prima infanzia.

            Rispetto alla prima edizione, pubblicata nel 2016, viene ora incluso un aggiornamento interamente dedicato alla domanda e all’offerta di servizi d’infanzia, alla luce della riforma del ciclo formativo 0-6 con il “Sistema Integrato di educazione e istruzione dalla nascita ai sei anni” (decreto legislativo del 13 aprile 2017, n. 65).

            Il manuale contiene oltre 200 schede navigabili che riguardano le banche dati appositamente allestite, sia sui dati aggiornati relativi alla domanda e all’offerta di servizi 0-6 anni, sia relativamente agli aspetti normativi e regolamentari attualmente vigenti nelle diverse regioni.

            La scelta di realizzare uno strumento di consultazione interattivo ha lo scopo di offrire ai lettori un manuale flessibile e adattabile alle specifiche esigenze di chi lo utilizza, consentendo con estrema facilità di consultare le parti di maggiore interesse, nonché di calibrare il compito della progettazione secondo gli specifici contesti nei quali concretamente si opera.

www.politichefamiglia.it/media/1442/manuale-servizi-educativi-infanzia.pdf

La struttura del Manuale è articolata in 6 di ambiti specifici:

  1. Programmare: dove, quando e perché
  2. Progettare: le strutture, l’organizzazione il progetto educativo
  3. Gestire: ruoli e funzioni del pubblico e del privato
  4. Qualità: le regole, il controllo e la vigilanza
  5. Sistema integrato: il coordinamento, il finanziamento e l’accesso
  6. Prospettiva 0-6: idee per il futuro

Il Manuale è promosso dal Dipartimento per le politiche della famiglia e realizzato con la collaborazione scientifica dell’Istituto degli Innocenti di Firenze.

www.politichefamiglia.it/it/notizie/notizie/notizie/pubblicato-il-nuovo-manuale-dei-servizi-educativi-per-linfanzia

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MISNA

Online il manuale in italiano per i tutori dei minori stranieri non accompagnati.

            Disponibile in 5 lingue, tra cui l’italiano, il manuale per una giusta accoglienza dei minori stranieri non accompagnanti è frutto dell’impegno congiunto di 11 partner di 10 Paesi – tra questi Amici dei Bambini – nell’ambito del progetto co-finanziato dall’Unione Europea: Proguard.

            Un toolkit inedito in Europa e in Italia: un vero manuale a supporto dei tutori per minori stranieri non accompagnati. Uno strumento informativo, di orientamento e di approfondimento che raccoglie i contributi di ben 11 organizzazioni europee – tra cui Ai.Bi. – esperte della tutela e protezione dei minori stranieri non accompagnati.

            Disponibile on line gratuitamente, il toolkit è costituito da 4 sezioni:

  1. La tua missione? Come salvaguardare il superiore interesse del minore: un approfondimento del ruolo del tutore che fornisce informazioni su come realizzarlo al meglio;
  2. Lavorare con gli altri: un focus sul funzionamento del sistema di tutela e protezione che offre suggerimenti e indica strategie e modalità per lavorare in rete ed in collaborazione con i principali interlocutori coinvolti (pubblica amministrazione, famiglie affidatarie, organizzazioni della società civile, ecc);
  3. Le tue conoscenze e competenze: un affondo sulle conoscenze e competenze, anche trasversali, necessarie al tutore nello svolgimento del suo delicato ruolo di guida, con particolare riferimento alle competenze interculturali.
  4. Il tuo benessere: un approfondimento sulle strategie da adottare per tutelare il proprio benessere, evitando stress eccessivi e rischio di burn out; un argomento particolarmente interessante e spesso sottovalutato, ma fondamentale perché il tutore possa assolvere al meglio il proprio mandato.

Ciascuna sezione offre ulteriori aree di approfondimento, organizzate in “informazioni”, “strumenti” e “buone pratiche”. Non solo un manuale, ma un vero e proprio compendio delle buone prassi presenti a livello europeo e di singoli Paesi, di tutela dei minori stranieri non accompagnati. Numerosi i riferimenti bibliografici e sitografici a strumenti operativi, studi e analisi, utili al tutore per rafforzare le proprie conoscenze su un tema tanto delicato.

            Il progetto Proguard nasce, infatti, con l’obiettivo di migliorare il sistema di tutela dei minori stranieri non accompagnati in Europa, attraverso raccomandazioni condivise da rivolgere ai decisori politici, la creazione di un sistema di auto-valutazione per i singoli sistemi e la creazione di un manuale on line a disposizione dei tutori di tutta l’Europa.

            In un panorama europeo che vede una sempre maggiore richiesta di protezione da parte di minori stranieri, il progetto europeo ProGuard, con i suoi 11 partner europei e il Consiglio degli Stati del Mar Baltico (CBSS), rappresenta una opportunità importante per tutti gli operatori dei 10 Paesi coinvolti per condividere le caratteristiche dei sistemi di tutela e le strategie per il loro sviluppo.

            Il manuale sulla giusta accoglienza dei minori stranieri non accompagnati

 https://guardianstoolkit.eu/it

News Ai. Bi.    4 aprile 2019

www.aibi.it/ita/progetto-europeo-proguard-ai-bi-online-il-manuale-in-italiano-per-i-tutori-minori-stranieri-non-accompagnati

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PATERNITÀ

La paternità dei nuovi padri

La figura paterna indagata nelle sue peculiarità e nella sua indispensabilità in un’epoca di crisi o addirittura di negazione del ruolo del padre

In passato ci si lamentava del “padre assente”, padre esistente fisicamente ma che era sempre fuori casa (per lavoro e/o suoi interessi) e non esercitava alcun ruolo educativo oppure in caso di figli nati fuori dal matrimonio non li riconosceva o in caso di separazione/divorzio era inadempiente nel mantenimento dei figli. Attualmente, invece, si tende a parlare di evaporazione del padre (espressione usata dallo psicoanalista Massimo Recalcati e altri), ovvero annebbiamento o annullamento della figura paterna, situazione concausata da molti fattori, tra cui la maternalizzazione dilagante della relazione con i figli e dell’educazione (anche scolastica), la legislazione che ha eliminato quasi interamente ogni riferimento al padre e la giurisprudenza che ha dato un’interpretazione fino a qualche anno fa pressoché unilaterale a favore della madre. Non ci si deve battere giuridicamente e giudiziariamente soltanto per l’accertamento della paternità o per la rivendicazione del mantenimento, perché il padre è un patrimonio non solo nel senso di diritti patrimoniali, ma anche e soprattutto di diritti relazionali.

Prima la figura paterna era “mummificata”, oggi è “mammificata”. La figura paterna – ancor più di quella materna – non deve essere chiusa entro cliché, ma può tener conto della locuzione “ricerca della paternità” di cui all’art. 30 comma 4 Costituzione. Il padre è datore e latore (da non intendersi nel senso di donatore della banca del seme) del liquido seminale che prende l’avvio liberamente e dà la vita a quel figlio che avrà la sua singolarità cui rispondere e corrispondere: così la paternità è quel dare vita e libertà al figlio mantenendo anche il giusto distacco, osservando quello che fa e anche come interagisce con la figura materna. Le lotte di madri e figli per il riconoscimento della paternità attestano che la paternità è attribuzione di diritti (e, quindi, doveri), di rete parentale, di identità sociale ed è quanto dovrebbe fare un padre pure mediante il suo intervento educativo. Non c’è “il padre”, ma “il padre di”.

“[…] un buon padre non è quello che risolve i problemi dei figli, ma quello che insegna ai figli a risolvere i problemi. […] Se non riceviamo fiducia, non avremo fiducia, se non abbiamo qualcuno che ci dica che ce la possiamo fare, non ce la faremo. Questa fiducia proviene dalla paternità perché, ripetiamo, si cresce dalla fiducia paterna. Alcuni padri scuotevano la testa dicendo: «Tu non ce la puoi fare». La conseguenza è che i figli non hanno avuto confidenza. Se invece un padre dice a un bambino: «Dai, vedrai che lo fai», la conseguenza è la fiducia di potercela fare e si sfoderano le proprie qualità, si diventa capaci di tirar fuori il meglio di sé” (don Fabio Rosini). La vitalità, la propulsività, l’energia della paternità è già insita nella fisiologia dell’organo genitale maschile, nel liquido seminale e negli spermatozoi. Il padre deve esplicare questa forza positiva e vitale e gli si deve consentire di esplicarla.

“La ferita inferta dal padre riguarda esattamente questo – precisa lo psicologo e psicoterapeuta Osvaldo Poli -: costringe il figlio a smettere di pensare la vita in termini infantili, quasi fosse un paradiso terrestre dove tutto è facile, senza fatica, dove nulla è richiesto per poter vivere e per avere un buon rapporto con gli altri. Anche i figli infatti debbono amare i genitori, accettando le condizioni che rendono possibile un rapporto ispirato a tale sentimento. Il padre chiede al figlio di “sacrificare” il modo infantile di affrontare la vita, rinunciando alle condizioni favorevoli o poco impegnative garantite sin a quel momento dalla famiglia e dalla mamma in particolare. Egli intende dire al figlio: renditi conto che la vita non dà tutto senza chiedere niente, non tutto il mondo “gira intorno a te” al solo scopo di renderti felice, e non puoi pensare che gli aspetti difficili e impegnativi semplicemente “non esistano”, o che qualcun altro si debba sentire incaricato di rimuoverli” [O. Poli in “Cuore di papà. Il modo maschile di educare“, San Paolo Edizioni 2008]. Se nell’adempimento delle obbligazioni si deve usare la diligenza del buon padre di famiglia (art. 1176 cod. civ.), a maggior ragione nell’educazione si deve consentire al padre di poter esercitare la paternità con peculiarità differenti dalla maternità, quelle differenze necessarie per la crescita dei figli (perché crescere è “andare formandosi”).

“La paternità dal punto di vista educativo va costruita ma, soprattutto, sono i padri che devono credere nel loro ruolo, complementare a quello della madre e orientato sui doveri propri, sui diritti nostri e sulla solidarietà, vissuta sia dai padri sia dai figli” (don Antonio Mazzi, formatore). Nell’esercitare i diritti e nell’adempiere i doveri che derivano dalla paternità, il padre deve usare la diligenza del buon padre di famiglia (mutuando la terminologia codicistica), ovvero deve soprattutto mediare anche tra i figli e la madre e pure nella formazione della personalità delle figlie femmine.

Lo psicoanalista Luigi Zoja chiosa: “Se la maternità è un ruolo più biologico, quello della paternità è invece culturale, che fiorisce nella nostra storia evolutiva, portando il maschio a distanziarsi dall’aggressività istintiva per diventare, appunto, padre. Dalle pagine dei poemi omerici (in particolare la figura di Ettore [eroe che rivela le sue fragilità, padre e marito combattuto, considerato il prototipo di padre anche da Vittorino Andreoli]) e dall’Eneide emerge l’intrinseco e forse insuperabile paradosso che costituisce l’essere padre: chiamato a prendersi cura dei figli e della famiglia, ma al tempo stesso a farsi valere nel mondo esterno. Con la Riforma e le Rivoluzioni l’autorità paterna viene progressivamente messa in discussione creando un vuoto tuttora non colmato. Se il padre è la polarità luminosa del maschio, resta latente in lui la polarità opposta, quella del ritorno all’istintualità aggressiva e predatoria, in cui l’uomo annulla secoli di civiltà per indossare di nuovo i panni del guerriero e la violenza e il branco sono il suo unico linguaggio. Gli episodi di stupro individuale o di gruppo delle cronache e i genocidi del XX secolo sono il risultato di una negazione della paternità in nome del regresso alla barbarie primitiva”[Luigi Zoja “Il gesto di Ettore. Preistoria, storia, attualità e scomparsa del padre”, ed. Bollati Boringhieri, Torino 2016].

La previsione costituzionale di “ricerca della paternità” è sempre attuale, si fa attuale e rimane tale, come esigenza sia per la singola persona sia per l’intera comunità. In tal senso i vari interventi legislativi, tra cui l’articolo 4, comma 24, lettera a), legge 28 giugno 2012, n. 92 che recita: “Al fine di sostenere la genitorialità, promuovendo una cultura di maggiore condivisione dei compiti di cura dei figli all’interno della coppia e per favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, in via sperimentale per gli anni 2013-2015: a) il padre lavoratore dipendente, entro i cinque mesi dalla nascita del figlio, ha l’obbligo di astenersi dal lavoro per un periodo di un giorno. Entro il medesimo periodo, il padre lavoratore dipendente può astenersi per un ulteriore periodo di due giorni, anche continuativi, previo accordo con la madre e in sua sostituzione in relazione al periodo di astensione obbligatoria spettante a quest’ultima”. Successivamente il congedo è stato modificato nella disciplina ed esteso anche ai casi di adozione/affidamento. Il congedo parentale concesso al padre serve non (o non solo) per aiutare la madre ma per vivere la paternità e costituire e costruire la genitorialità, la dimensione di maternità e paternità responsabile, locuzione usata per la prima volta nell’art. 1 della L. 405/1975 sull’istituzione dei consultori familiari.

Su maternità e paternità lo psicoanalista Massimo Recalcati aggiunge: “Madre è il nome della cura, della presenza, del desiderio che sa rendere unica e insostituibile la vita di un figlio. Madre è il nome di una cura che sa ospitare la vita, darle valore, sottrarla all’insignificanza. Padre è il simbolo della Legge, custodisce il senso virtuoso e non repressivo del limite. Senza senso del limite non c’è senso del desiderio. È il grande problema del nostro tempo. Il tramonto del padre ha spento il desiderio. Senza Legge il desiderio diventa solo capriccio, puro arbitrio”.

Padre e madre, padre con madre. Quella dualità e dialogica richiamata anche dal pedagogista Daniele Novara: “Nell’educazione ci vogliono più dialogo tra i genitori, anziché con i figli, e metodo e non minacce che comportano ricatti educativi”. Le linee educative da seguire nei confronti dei figli fanno parte dell’indirizzo della vita familiare, di cui all’art. 144 cod. civ., per maturare nell’essere coppia genitoriale e per continuare a essere coppia genitoriale anche oltre la coppia coniugale. Nella genitorialità occorrono la paternità e la maternità, come nella società è necessario il binomio diritto e giustizia. Sono imprescindibili l’autorità e l’equità, la fermezza e l’accoglienza, i punti di riferimento e l’andare incontro. Due linguaggi di una stessa lingua: l’amore genitoriale.

Padre: quante forme di paternità e di orfanità! Chi cresce con la gioia del calore di un abbraccio – seppure “monco” (perché padre disabile o ostacolato o in altra condizione di disagio) – di un padre affettuoso e presente e chi cresce monco dell’abbraccio di un padre spartano e anaffettivo. Un padre non è solo un datore di spermatozoo o del cognome ma è il “la”, il “diapason” e il “metronomo” del concerto della vita di un figlio.

            Margherita Marzario           Studio Cataldi                        1 aprile 2019

www.studiocataldi.it/articoli/34113-la-paternita-dei-nuovi-padri.asp

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RESIDENZA

Residenza abituale: Convenzione dell’Aja VS codice penale

La Convenzione dell’Aja del 25 ottobre 1980, ratificata con la L. n. 641994, che disciplina gli aspetti civili della sottrazione internazionale del minore da parte di uno dei genitori, qualifica come illecito il trasferimento o il mancato rientro di un minore in relazione al luogo di residenza abituale di quest’ultimo immediatamente prima del suo trasferimento o del suo mancato rientro (art. 3).

Come ha precisato la giurisprudenza di legittimità, la nozione di residenza abituale, posta dalla suddetta Convenzione, non coincide con quella di domicilio, né con quella di residenza in senso formale, ma corrisponde ad una situazione di fatto, dovendo intendersi il luogo in cui il minore, in virtù di una durevole e stabile permanenza ha consolidato, consolida, ovvero, in caso di recente trasferimento, possa consolidare una rete di affetti e relazioni tali da assicurargli un armonico sviluppo psicofisico.

Tale fattispecie differisce da quella stabilita dall’art. 574 bis c.p., il quale prevede espressamente la punibilità della sottrazione del minore al genitore esercente la responsabilità genitoriale allorquando l’azione delittuosa sia stata realizzata interamente all’estero (ovvero nell’ipotesi di trattenimento del minore all’estero contro la volontà del medesimo genitore), sempre che sussista l’elemento di collegamento con la giurisdizione italiana costituito dal verificarsi, all’interno del territorio dello Stato, dell’evento del reato, consistente nell’impedimento dell’esercizio delle prerogative genitoriali per effetto della condotta illecita.

            Le pagine di cronaca dei giornali riportano, sempre più spesso, di tristi vicende che vedono protagonisti genitori alle prese con cancellerie ed ambasciate diplomatiche onde riuscire a vedere o visitare i propri figli, sia legittimi sia naturali, portati dall’altro genitore nel proprio Paese d’origine. A questo proposito, sembrerebbe opportuno aprire una breve riflessione sul tema del coordinamento della politica sull’immigrazione e di quella a tutela dell’infanzia, oggetto questo di convenzioni internazionali all’uopo dedicate, come la Convenzione sui diritti del fanciullo di New York del 20 novembre del 1989.

Se si osservano con attenzione i dati statistici si nota che la maggioranza degli stranieri presenti sul territorio italiano è composto da persone sole che, sebbene coltivino il progetto di ritornare nella loro terra originaria, non è possibile escludere dal novero di eventuali componenti di una unione o di un matrimonio contratto da persone di diversa cittadinanza. In tale contesto è prevedibile un incremento di tali unioni, con le conseguenti potenziali rotture, quindi sarebbe opportuno prevenire la predisposizione di strumenti adatti a garantire i diritti dei figli, sancito dalla Convenzione di New York (art. 9) anche se i genitori vivono separati ed in Stati differenti.

Il tema della sottrazione illecita dei minori è particolarmente sentito dalle istituzioni dell’Unione Europea, interessate da un lato all’armonizzazione delle disposizioni nazionali in tema di filiazione, dall’altro lato per quanto concerne una maggiore efficacia delle disposizioni giuridiche di fonte comunitaria negli ordinamenti interni. A questo proposito si ricorda che il Reg. CE n. 2201/2003 propone una disciplina intesa a prevenire il trasferimento illecito dei minori all’interno dell’Unione, rischio che aumenta, con l’incremento dei nuclei familiari dove i genitori non possiedono la medesima cittadinanza e che vivono in Stati diversi.

Il trasferimento o il mancato rientro di un minore è ritenuto illecito “quando avviene in violazione dei diritti di affidamento derivanti da una decisione, dalla legge, o da un accordo vigente in base alla legislazione dello Stato nel quale il minore aveva la sua residenza abituale immediatamente prima del suo trasferimento o del suo mancato rientro”. Il Regolamento statuisce altresì che il trasferimento o il mancato rientro di un minore è considerato illecito “se il diritto di affidamento era effettivamente esercitato al momento del trasferimento del minore o del suo mancato rientro”.

Le disposizioni del Reg. CE n. 2201/2003 risultano essere il risultato di un compromesso tra due correnti di pensiero: gli Stati che premevano all’interno dell’Unione per la creazione di un sistema intracomunitario per la sostituzione della Convenzione, dall’altro gli Stati che premevano per l’immediato ritorno del minore. Infine, si sottolinea che è stata eliminata la procedura di exequatur per le decisioni sul diritto di visita e di ritorno del minore, sottoposte così ad un regime speciale rispetto ai principi riguardanti le dichiarazioni di esecutività delle altre pronunce. Le decisioni di una Corte di uno Stato in questi due settori devono essere eseguite nello Stato membro dell’esecuzione alle stesse condizioni che si applicherebbero se la decisione fosse stata pronunciata in tale Stato membro.

Rassegna giurisprudenziale. Per residenza abituale deve intendersi il luogo dove il minore trova e riconosce, anche grazie a una permanenza tendenzialmente stabile, il centro dei propri legami affettivi, non solo parentali, originati dallo svolgersi della sua vita di relazione. In altri termini, la residenza abituale corrisponde al luogo che denota una certa integrazione del minore in un ambiente sociale e familiare, ed ai fini del relativo accertamento rilevano una serie di circostanze che vanno valutate in relazione alla peculiarità del caso concreto: la durata, la regolarità e le ragioni del soggiorno nel territorio di uno Stato membro, la cittadinanza del minore, la frequenza scolastica e, in generale, le relazioni familiari e sociali (Cass. civ., SS. UU., 10 febbraio 2017, n. 3555).

Il Tribunale minorile nel decretare il diniego di ritorno del minore non ha dato alcun rilievo al disposto dall’art. 20 della Convenzione dell’Aja del 25 ottobre 1980, e, poiché la richiesta materna di rimpatrio era stata presentata entro l’anno dal trasferimento del figlio, non avrebbe potuto valorizzare l’integrazione del bambino in Italia; ha, invece, ritenuto sussistente la circostanza ostativa contemplata dall’art. art. 13, lett. b), ossia accertato che per effetto del ritorno il minore sarebbe stato esposto al fondato rischio di pericoli fisici o psichici, o si sarebbe potuto trovare in una situazione intollerabile. (Nella specie, nella valutazione della sussistenza di tali circostanze il Tribunale ha posto l’accento unicamente sulla situazione per più aspetti favorevole in cui il bambino era venuto a trovarsi dopo il suo trasferimento illecito in Italia ad opera del padre, considerando anche che dalla madre era già stato del pari illecitamente trattenuto in (omissis). La considerata situazione è di per sé estranea alla fattispecie derogatoria prevista dal citato art. 13, lett. b), che rettamente intesa riconduce, nell’interesse superiore del minore, l’esposizione ai contemplati fondati rischi, al suo rientro nel luogo estero di sottrazione, ivi, quindi, localizzandoli, e che, in questa specifica prospettiva ben può involgere l’accertamento dell’adeguatezza delle condizioni anche materiali di vita e di accudimento del minore nel luogo estero di rientro, ma non consente di valorizzare soltanto il benessere e la maggiore positività della sistemazione del medesimo minore nel territorio italiano, atti invece ad incidere sul diverso ambito del suo affidamento e/o collocamento). La decisione sull’affidamento emessa dal giudice nazionale non legittima l’esecuzione personale ed autonoma del provvedimento da parte dell’affidatario il quale, agendo di sua iniziativa, senza il rispetto della procedura per l’esecuzione all’estero di un provvedimento del giudice nazionale, realizza il fatto materiale della sottrazione del fanciullo all’altro genitore e del successivo trasferimento in altra nazione, che integra il presupposto per l’applicazione dell’ art. 3 della Convenzione de L’Aja del 25 ottobre 1980 (Cass., sez. I, 12 maggio 2015, n. 9638).

In tema di sottrazione internazionale di minori, il rimpatrio del minore può essere disposto, ai sensi dell’art. 13 della Convenzione dell’Aja del 25 ottobre 1980, purché ricorra l’indispensabile presupposto dell’effettivo esercizio, in modo non episodico ma continuo, del diritto di affidamento da parte del richiedente al momento del trasferimento del minore, sicché il giudice è tenuto ad accertare la sussistenza di tale presupposto puntualmente ed in concreto, non essendo sufficiente una valutazione solo in astratto, sulla base del regime legale di esercizio della responsabilità genitoriale (Cass. civ., sez. I, 26 marzo 2015, n. 6139).

In tema di sottrazione internazionale illecita di minori, il giudice italiano può considerare gli inconvenienti per la condizione del minore, connessi al suo prospettato rientro nello Stato di residenza abituale, solo se raggiungano il grado del pericolo fisico o psichico o della effettiva intollerabilità, trattandosi delle uniche condizioni ritenute rilevanti ed ostative al rientro dall’art. 13, lett. b), della Convenzione dell’Aja del 25 ottobre 1980 (resa esecutiva in Italia con la L. 15 gennaio 1994, n. 64). Il relativo accertamento costituisce indagine di fatto sottratta al controllo di legittimità se la ponderazione del giudice di merito è sorretta da una motivazione immune da vizi logici e giuridici Cass. civ., sez. I, 30 giugno 2014, n. 14792.

In ordine alla sottrazione internazionale di minori, presupposto indispensabile perché possa essere disposto il rimpatrio del minore, stante l’art. 13 della Convenzione dell’Ajax del 25 ottobre 1980, resa esecutiva in Italia con L. n. 64/1994, è che, al momento del trasferimento, il diritto di affidamento sia effettivamente esercitato dal richiedente il rimpatrio, non rilevando le cause e le ragioni del mancato esercizio – Cass. civ., Sez. I, 26 giugno 2014, n. 14561

In tema di sottrazione internazionale di minori, costituisce presupposto indispensabile perché possa essere disposto il rimpatrio del minore, ai sensi dell’art. 13 della Convenzione dell’Aja del 25 ottobre 1980, la circostanza che, al momento del trasferimento, il diritto di affidamento sia effettivamente esercitato dal richiedente il rimpatrio, non rilevando, ai fini dell’accoglimento della domanda, le cause e le ragioni di tale mancato esercizio. (Nella specie, la S.C. ha cassato la decisione impugnata che aveva, invece, omesso di verificare se il richiedente il rimpatrio esercitasse concretamente il diritto di affidamento sul minore al momento del suo trasferimento in Italia, attribuendo esclusivo rilievo al ripristino della situazione corrispondente all’affidamento legale) – Cass. civ., sez. I, 26 giugno 2014, n. 14561

Elena Falletti  In Pratica Famiglia    Altalex, 1° aprile 2019

www.altalex.com/documents/news/2017/10/17/trasferimento-del-minore-in-italia-senza-consenso-del-padre-e-sottrazione-internazionale

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SEPARAZIONE

Separazioni e divorzi di coppie internazionali residenti in Italia: chi decide?

Tribunale di Monza, quarta Sezione, sentenza n. 3001, 11 dicembre 2018

            Spetta al giudice italiano pronunciare la separazione tra coniugi stranieri residenti in Italia al momento del giudizio, anche se il matrimonio è stato celebrato all’estero.

Il Tribunale, nell’affermare la giurisdizione del giudice italiano in un caso di separazione di una c.d. “coppia internazionale”, ha quindi richiamato il contenuto del Regolamento UE n. 1259/2010.

            Secondo siffatta pronuncia, infatti, qualora sia provata la residenza in Italia delle parti al momento della instaurazione del giudizio, ancorché´ il matrimonio sia stato celebrato in Paese estero, va affermata ai sensi dell’art. 3, comma 1 del Regolamento n. 1259/2010 la giurisdizione del giudice italiano. Ciò perché, ai sensi della detta norma, è competente a decidere sulle questioni inerenti al divorzio, alla separazione personale dei coniugi e all’annullamento del matrimonio, l’autorità` giurisdizionale ove si trova l’ultima residenza abituale dei coniugi (se uno di essi vi risiede ancora).

            La sentenza sopracitata si inserisce in un preciso ambito del più ampio genus del diritto di famiglia, laddove, oggigiorno, si presenta sempre più spesso il problema di stabilire il diritto applicabile nonché la giurisdizione in materia di separazione e divorzio delle c.d. “coppie internazionali”. La questione interessa soprattutto coniugi con nazionalità comune o di nazionalità diversa che per vari motivi si trasferiscono in uno Stato membro dell’Unione europea, spesso diverso da quello dove hanno contratto matrimonio.

            Considerata la rilevanza dell’argomento e l’intreccio tra diritto interno e diritto comunitario, può tornare utile, a addetti ai lavori e non, un sintetico esame della normativa di riferimento applicabile in materia, in cui rientra senza dubbio anche il Regolamento n. 1259/2010 richiamato dal Tribunale di Monza.

            Occorre precisare che nel nostro ordinamento è la legge n. 218/1995 (Riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato) a determinare l’ambito della giurisdizione italiana, a porre i criteri per l’individuazione del diritto applicabile e a disciplinare l’efficacia delle sentenze e degli atti stranieri (art. 1). Per dirla con parole più semplici, tale legge regola, unitamente alle Convenzioni Internazionali ratificate dall’Italia, le situazioni giuridiche che prevedono elementi di “estraneità”, ovvero quelle situazioni in cui è necessario definire quale giudice adire (se italiano o straniero) o quale diritto applicare.

            La legge n. 218 del 31 maggio 1995, infatti, contiene anche alcune disposizioni relative ai rapporti di famiglia (Titolo III – Capo IV – artt. 26-37) e l’art. 3, nello specifico, stabilisce che, in caso di separazione personale e di scioglimento del matrimonio, si applica <<la legge nazionale comune dei coniugi al momento della domanda di separazione o di scioglimento del matrimonio>> o, se questo non fosse possibile, la legge dello Stato nel quale la vita matrimoniale risulta <<prevalentemente localizzata>>. A ciò deve aggiungersi che lo stesso art. 3, al punto n. 2, stabilisce che la separazione personale e lo scioglimento del matrimonio, qualora non previsti dalla legge straniera applicabile, sono regolati dalla legge italiana. È dunque evidente, nella disposizione appena richiamata, la volontà del legislatore italiano di assicurare ai propri cittadini il diritto di separarsi o di divorziare indipendentemente da quanto previsto dagli ordinamenti stranieri. Bisogna poi aggiungere che il Capo IV della legge n. 218/1995, concernente i rapporti di famiglia, è stato peraltro di recente integrato con le disposizioni, in vigore dall’11 febbraio 2017, relative al matrimonio contratto all’estero da cittadini italiani dello stesso sesso e all’unione civile tra persone maggiorenni dello stesso sesso (artt. 32 bis-32 quinquies).

Diritto delle relazioni familiari. Quanto detto sin ora in merito alla legge n. 218/1995 non completa il quadro della normativa vigente, poiché è necessario soffermarsi anche su quanto previsto, in materia di separazione personale e scioglimento del matrimonio, dalle norme dell’Unione europea.

            A tal proposito bisogna considerare che nei procedimenti di separazione e divorzio tra coniugi cittadini dell’Unione europea, per l’individuazione del giudice competente, si applica il Regolamento n. 2201/2003 (relativo alla competenza, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale). L’art. 3 del detto Regolamento prevede che sono competenti, in materia di divorzio, separazione personale dei coniugi e annullamento del matrimonio, le autorità giurisdizionali dello Stato membro di cui i due coniugi sono cittadini (o, nel caso del Regno Unito e dell’Irlanda, del domicilio di entrambi i coniugi) o quelle nel cui territorio si trova:

  • La residenza abituale dei coniugi o l’ultima residenza abituale dei coniugi se uno di essi vi risiede ancora, o
  • La residenza abituale del convenuto o, in caso di domanda congiunta, la residenza abituale di uno dei coniugi, o
  • La residenza abituale dell’attore se questi vi ha risieduto almeno per un anno immediatamente prima della domanda, o
  • La residenza abituale dell’attore se questi vi ha risieduto almeno per sei mesi immediatamente prima della domanda ed è cittadino dello Stato membro stesso (o, nel caso del Regno Unito e dell’Irlanda, ha in quel luogo il proprio domicilio).

È utile aggiungere, per completezza, che la Corte di Giustizia dell’Unione europea si è occupata del concetto di “residenza abituale” in relazione alla norma sulla competenza in materia di responsabilità genitoriale. Secondo quanto sostenuto nella pronuncia relativa alla causa C-523/07, la residenza abituale corrisponde al luogo che denota una certa integrazione in un ambiente sociale e familiare. Nella prospettiva della Corte di Giustizia, dunque, è compito della competente autorità giurisdizionale nazionale determinare la residenza abituale, tenendo conto delle circostanze peculiari di ogni singolo caso.

            A ciò si aggiunga che anche le Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione, nella sentenza n. 15328 del 25 giugno 2010, hanno sottolineato come il concetto di residenza abituale debba essere inteso quale luogo in cui il soggetto ha fissato, con carattere di stabilita`, il centro permanente e abituale dei propri interessi. La residenza, dunque, non deve essere intesa in senso meramente formale quale luogo anagrafico, quanto piuttosto quale residenza effettiva, da individuare nel luogo ove si svolge concretamente e continuamente la vita personale e lavorativa al momento della proposizione della domanda giudiziale.

            Un quadro più chiaro e completo, in materia di separazione e divorzio, è stato fornito dal legislatore comunitario proprio con il già citato Regolamento n. 1259/2010 (relativo all’attuazione di una cooperazione rafforzata nel settore della legge applicabile al divorzio e alla separazione personale). Al suo interno è contemplato un unico complesso di norme volte a determinare quale legge nazionale debba essere applicata alle procedure di divorzio o separazione personale riguardanti coniugi con cittadinanze diverse, che vivono in un Paese differente da quello di cittadinanza o che non risiedono più insieme nello stesso Paese dell’Unione europea. Il Regolamento n. 1259/2010 trova attualmente applicazione nei 17 paesi dell’UE che partecipano alla cooperazione rafforzata in questo settore e che risultano perciò vincolati all’applicazione di una normativa uniforme: Austria, Belgio, Bulgaria, Francia, Germania, Italia, Lettonia, Lussemburgo, Malta, Portogallo, Romania, Slovenia, Spagna, Ungheria, Lituania, Grecia ed Estonia; bisogna sottolineare, tuttavia, che ha portata universale e, di conseguenza, l’applicazione di una norma di conflitto può condurre all’attuazione della legge di uno Stato membro che non ha partecipato alla cooperazione rafforzata così come a quella di uno Stato terzo. Per quanto concerne l’Italia, dunque, nei limiti del proprio ambito di applicazione, sostituisce l’art. 31 della legge n. 218/1995.

            Il Regolamento n. 1259/2010, conosciuto anche come Roma III, all’art. 5 conferisce ai coniugi la facoltà di designare, per iscritto, la legge nazionale eventualmente applicabile in caso di separazione personale e divorzio, purché la legge prescelta rientri tra le seguenti:

  • Legge dello Stato dove i coniugi hanno la loro residenza abituale nel momento in cui viene concluso l’accordo;
  • Legge dello Stato dove i coniugi avevano la loro ultima residenza abituale, nella misura in cui uno di essi risieda ancora in tale luogo nel momento in cui viene concluso l’accordo;
  • Legge dello Stato di cui uno dei coniugi ha la cittadinanza nel momento in cui viene concluso l’accordo;
  • Legge del foro (lex fori).

L’accordo di cui all’art. 5, per essere valido, deve essere scritto, datato e firmato da entrambi i coniugi e può essere concluso e/o modificato in qualsiasi momento, ma al più tardi nel momento in cui è adita l’autorità giurisdizionale. Tuttavia, volgendo lo sguardo alla prassi applicativa italiana, si nota che solamente in un ristretto numero di casi le parti hanno concluso un accordo in tal senso; ciò accade perché spesso l’individuazione della legge da applicare si aggiunge alle varie e molteplici questioni già oggetto di contesa tra i coniugi.

            In mancanza di un accordo delle parti, dunque, secondo quanto previsto dall’art. 8 del Regolamento Roma III, sarà applicabile:

  • La legge dello Stato in cui i coniugi risiedono abitualmente nel momento in cui è adita l’autorità giurisdizionale, o, in mancanza;
  • La legge dello Stato in cui i coniugi risiedono abitualmente sempre che tale periodo non si sia concluso più di un anno prima che fosse adita l’autorità giurisdizionale, se uno di essi vi risiede ancora nel momento in cui è adita l’autorità giurisdizionale, o, in mancanza;
  • La legge dello Stato di cui i due coniugi sono cittadini nel momento in cui è adita l’autorità giurisdizionale, o, in mancanza;
  • La legge dello Stato in cui è adita l’autorità giurisdizionale.

L’art. 8 predilige, quindi, l’applicazione della legge dello Stato di residenza abituale dei coniugi, con l’evidente finalità di favorire l’integrazione sociale e consentire al giudice dello Stato di residenza abituale dei coniugi di essere individuato come competente e di applicare il diritto interno (si parla in tal senso di corrispondenza tra forum e jus).

            A tal proposito può essere citata una sentenza del Tribunale di Mantova del 19 gennaio 2016, avente ad oggetto un procedimento di divorzio tra due cittadini cinesi, iniziato su ricorso della moglie. La ricorrente, dal momento che il matrimonio era stato contratto in Italia, riteneva competente il giudice italiano, ma, poiché entrambi i coniugi erano di nazionalità cinese, considerava applicabile la legge cinese con la conseguente possibilità di richiedere il divorzio senza aver prima ottenuto la separazione (possibilità non ammessa in Italia!).

            Il Tribunale di Mantova, tuttavia, ha dichiarato l’inammissibilità della domanda proposta dalla ricorrente, ritenendo applicabile, in base al Regolamento n. 1259/2010, la legge italiana. Infatti, in mancanza di un accordo tra i coniugi sulla normativa applicabile (art. 5), il Tribunale, per l’individuazione della legge applicabile, ha dovuto fare riferimento all’ultima residenza abituale dei coniugi (per l’appunto in Italia, dove la ricorrente viveva al momento della domanda).

            Tutto ciò detto, bisogna sottolineare che il giudice chiamato a decidere sulle questioni inerenti la separazione personale dei coniugi o lo scioglimento del matrimonio (sia esso designato di comune accordo e per iscritto dai coniugi o, in alternativa, individuato alla stregua dei criteri di cui sopra), tuttavia, non potrà pronunciarsi sulle condizioni di affidamento, collocamento e mantenimento dei figli minorenni qualora questi siano residenti in un altro Stato membro. Infatti, come chiarito anche dalle Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione nella pronuncia n. 17676/2016, le domande relative alla responsabilità genitoriale concernenti l’affidamento dei figli devono essere devolute al giudice del luogo in cui il minore risiede abitualmente; ciò vale anche nell’ipotesi in cui il giudice legittimamente interpellato sulla separazione giudiziale appartenga a un altro Stato membro.

            Inoltre, per ottenere il riconoscimento in Italia del provvedimento di divorzio, separazione personale o annullamento del matrimonio (art. 21 del Regolamento n. 2201/2003) emesso in un altro Paese dell’UE, sarà sufficiente domandare, all’autorità che si è in concreto pronunciata, il rilascio di un apposito certificato conforme al modello standard previsto dal Regolamento europeo. Ai fini del riconoscimento, dunque, bisognerà allegare all’istanza un documento di identità in corso di validità e una dichiarazione di notorietà resa ai sensi dell’art. 47 del DPR n. 445/2000 che attesti la sussistenza dei requisiti previsti all’art. 22 del Regolamento comunitario. Tale articolo, infatti, dispone che la decisione emessa, per essere riconosciuta, non sia contraria all’ordine pubblico dello Stato membro nel quale si chiede la trascrizione, non sia stata assunta in contumacia, non sia incompatibile con una decisione resa in un procedimento tra le medesime parti nello Stato membro nel quale si chiede il riconoscimento e, infine, non sia incompatibile con una decisione anteriore avente le stesse parti e resa in un altro Stato membro o in un Paese terzo (purché quest’ultima soddisfi le condizioni prescritte per il riconoscimento nello Stato membro richiesto).

            Sintetizzando quanto detto sin ora, è opportuno ricordare che in caso di separazione o divorzio di una coppia costituita da cittadini dell’Unione europea, sarà necessario individuare prima il giudice competente, secondo quanto previsto dall’art. 3 del Regolamento n. 2201/2003 (una volta individuato il giudice dello Stato membro, si applicheranno le regole nazionali per stabilire la competenza territoriale del Tribunale da adire) e poi la legge da applicare in concreto (da determinare secondo quanto previsto dagli articoli 5 e 8 del Regolamento n. 1259/2010 o dalle norme di diritto internazionale privato dello Stato a cui appartiene l’autorità giurisdizionale dinanzi alla quale e` stato promosso il giudizio). Tuttavia è bene rimarcare che qualora vi fosse la necessità di richiedere provvedimenti relativi alla responsabilità genitoriale e al mantenimento dei figli, può essere necessario dover adire giudici di Paesi diversi da quello in cui è stato instaurato il giudizio di separazione personale o di divorzio.

Marco Buscarella      Altalex, 5 aprile 2019                        Sentenza

https://www.altalex.com/documents/news/2019/04/05/separazioni-e-divorzi-di-coppie-internazionali-residenti-in-italia

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