NewsUCIPEM n. 747 – 31 marzo 2019

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Unione Consultori Italiani Prematrimoniali E Matrimoniali

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02 ABORTO                                                       Un cambiamento proposto entro le mura della legge 194\1978.

05                                                                          Scienza e diritto, chi è il concepito?

06 ABUSI                                                            C’è l’obbligo di denuncia.

07                                                                          Indispensabile severità e dura pietra di paragone.

08                                                                          Chiesa e pedofilia, scatta l’obbligo delle denuncia.

08                                                                          Il Papa vara norme anti-abusi per lo Stato vaticano e la Curia.

10 ADOZIONE                                                   Il minore in kafala non può essere come un discendente diretto.

11 AFFIDO CONDIVISO                                 Tradimento e figli: il coniuge infedele ha diritto all’affidamento?

12 AFFIDO ESCLUSIVO                                  Affidamento esclusivo al padre: ultime sentenze.

13 ALIENAZIONE PARENTALE                     L’unica vittima è il bambino.

15 AMORIS LÆTITIA                                      Ecumenismo ed eucaristia: profezia e paura.

18 ASSEGNO DIVORZILE                              Non diminuisce se l’ex prende indennità di accompagnamento.

19 ASSOCIAZIONI – MOVIMENTI             Assemblea della Compagnia delle opere.

19 CASA CONIUGALE                                    Regime di assegnazione della casa familiare.

21 CENTRO GIOVANI COPPIE S. FEDELE Educare al futuro nell’epoca di Internet e del narcisismo.

22 CENTRO INTERN. STUDI FAMIGLIA   Newsletter CISF – n. 12, 27 marzo 2019.

24 CHIESA CATTOLICA                                  Esortazione post-sinodale “Christus vivit”.

26                                                                          Il Parroco prudente e la Bussola imp(r)udente.

28                                                                          “In Vaticano la montagna ha partorito il topolino”.

29 CHIESE EVANGELICHE                            Congresso famiglie. La violenza culturale che sta dietro Verona.

30                                                                          A Verona «Un ordine patriarcale che cerca di imporsi».

31 CINQUE PER MILLE                                   5 2017: la somma più alta all’AIRC, l’elenco degli ammessi.

31 CONGRESSI-CONVEGNI–SEMINARI  Congresso di Verona. Primo giorno: ora si parla davvero di famiglia

32                                                                          Il sociologo Donati: ecco perché la famiglia fa ancora discutere.

34                                                                          Il documento finale del Congresso delle famiglie. Un libro dei sogni

35                                                                          Il documento finale del Congresso delle famiglie.

35                                                                          Congresso, la crociata nata negli Usa. Nel mirino c’è Francesco.

36                                                                          Ai.Bi. presenta: 8 diritti dei minori che non vivono in una famiglia.

37 CONIUGI                                                      Nascondere acquisti e stipendio al coniuge: cosa si rischia-

38 CONSULTORI FAMILIARI CATTOLICI  Treviso. Convegno “Percorso Famiglia Fertile”.

39 CONSULTORI UCIPEM                            Cosenza. Percorso genitoriale 2019.

39 DALLA NAVATA                                         4° Domenica di Quaresima – Anno C – 31 marzo 2019.

39                                                                          Non importa perché torni. A Dio basta il primo passo.

40 DIRITTO DI FAMIGLIA                             Assegno di divorzio: in arrivo la riforma

41 GOVERNO                                                   Misure per la famiglia, finanziate con la legge di bilancio 2019.5

41 PARLAMENTO                                            Camera dei Deputati – Commissione giustizia – Assegno divorzile

42                                                                                                                  Adozione del concepito

42 PSICOLOGIA DI COPPIA                          La vera legge dell’amore

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ABORTO

Un cambiamento proposto entro le mura della legge 194\1978

Primo firmatario della Proposta di legge, Alberto Stefani, giovane onorevole della Lega. Alla notizia della presa in carico della legge dalle commissioni riunite Giustizia e Affari generali le reazioni accese non sono mancate.

            La notizia e le reazioni sono recenti, la presentazione della proposta di legge risale al 4 ottobre 2018 (il fatto che fosse festa del patrono d’Italia comunque è un buon auspicio). Sotto il titolo di “Disposizioni in materia di adozione del concepito” e al numero progressivo 1238 degli Atti parlamentari presso la Camera dei deputati ci sono i 46 nomi dei firmatari della stessa, dopo quello del primo e più citato: Alberto Stefani, parlamentare italiano per la XVIII legislatura, nelle file della Lega, nato poco prima del mio primo nipote, nel 1992!

            Viene dal giustamente detto Nord Est produttivo; ha una sorella che si è laureata in diritto canonico, un papà imprenditore, la madre occupata in un’altra impresa. Riferendo la sua prima giornata da parlamentare racconta di essere rientrato presto, dopo una pizza, e di essere andato a dormire dalle suore: la cosa fa tanto campo scuola, vengo dall’Azione cattolica, mi ci sono ritrovato, dice alle telecamere. Questo, sommariamente, il suo retroterra.

            Il giovane e brillante laureato in giurisprudenza ha il viso pulito del ragazzo normale, sveglio, impegnato il giusto. Non il classico divanaro, per intendersi (che poi anche quella magari è una fase, no? Lo dico a me stessa). E’ lo stesso onorevole che commentando il decreto sicurezza proponeva di riconoscere al cittadino che viene invaso in casa propria il diritto di reazione, la possibilità di difendersi.

            Da quel che ho colto nel testo della proposta di legge che è passata alle commissioni riunite Giustizia e Affari sociali dieci giorni fa circa, pur usando tutti i riguardi per la donna incinta, pur spingendo per una quanto mai necessaria e legittima reintegrazione del ruolo del padre del concepito, quel che colpisce positivamente è la considerazione del concepito come persona, e una persona “minacciata in casa sua”, un cittadino lui pure. Ma queste sono mie considerazioni.

Struttura del documento. La proposta di legge consta di sette articoli, introdotti da una premessa che prende le mosse dall’analisi del fenomeno aborto in Italia; fenomeno regolamentato dalla inavvicinabile legge 194\1978; intorno ad essa campeggiano vistosi cartelli di Pericolo! Alta tensione! E stazionano perennemente guardie armate o perlomeno prevenute.

            Le reazioni alla notizia della presentazione di questo documento infatti saranno grossomodo tutte intorno alla violazione di questo spazio sacro per i sacerdoti del laicismo moderno. Sembra che abbiamo proprio nell’aborto il cuore pseudo sacramentale di questo che è a tutti gli effetti un culto.

            Per prima cosa bisogna osservare che lo spazio nel quale si inserisce questo documento, di sicuro coraggioso, è proprio quello lasciato incolto dalla stessa legge-totem. Uno spazio che la 194\1978 stessa prometteva di recintare e coltivare; e la cosa è ancora cogente, trattandosi di legge di stato. Il secondo paragrafo, dopo aver ricordato che il 2018 è stato l’anniversario della pubblicazione in Gazzetta ufficiale della legge sulla interruzione volontaria di gravidanza, dice:

            La legge n. 194 del 22 maggio1978 si proponeva di legalizzare {depenalizzare} l’aborto in alcuni casi particolari (violenza carnale, incesto, gravi malformazioni del nascituro, eccetera) e di contrastare l’aborto clandestino, mentre, ad avviso dei proponenti, ha contribuito ad aumentare il ricorso all’aborto quale strumento contraccettivo e non ha affatto debellato l’aborto clandestino.

            Ovvero ciò che la 194\1978 indicava nel titolo (Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza) e nell’articolo 1 del proprio testo. Dove abbiamo visto infatti significative iniziative pubbliche promosse per “evitare che l’aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite” (terzo comma)? Significative magari sì, ma sempre ad opera di privati e temerari cittadini.

            Anche all’articolo 2 le cose non sono andate tanto bene se esso doveva garantire anche al volontariato di collaborare con i consultori {art-4 solo pubblici} anche informando la donna sulle possibili alternative all’aborto. (Pdl 1238, Premessa, p 2)

            La presa visione degli amplissimi margini di miglioramento dell’applicazione della Un cambiamento proposto entro le mura della legge 194\1978 prosegue. Non si proponeva di impedire il ricorso all’aborto dopo i primi novanta giorni dal concepimento? (Art 4, L. Un cambiamento proposto entro le mura della legge 194\1978) mentre in base ai dati del Ministero della salute risulta che tra il 1990 e il 2010 gli aborti oltre la 12ma settimana sono cresciuti del 182%.

            L’analisi prosegue: numero aborti legali in Italia dal 1978 ad oggi circa 6 milioni, senza poter contare le “morti nascoste” delle pillole abortive e delle tecniche di procreazione assistita, una delle pratiche con il peggior rapporto costo/benefici dai tempi della costruzione delle Piramidi.

            Seguono altre constatazioni per nulla amichevoli: un accresciuto ricorso all’aborto da parte delle minorenni; l’uso distorto (quando non completamente infondato) di diagnosi prenatali per promuovere l’aborto (io personalmente preferirei parlare di istigazione vera e propria) laddove invece andrebbe sponsorizzata la medicina prenatale che anche in Italia conosce eccellenze invidiabili. E l’esercizio dell’obiezione di coscienza da parte del 70% dei medici è, a detta dell’autore del testo, prova tangibile “dei conflitti di coscienza che pone la soppressione di una vita” (Ibidem). Prende fiato con un punto e si affretta a ricordare che è sempre la stessa L. 194\1978 a garantire e tutelare l’obiezione di coscienza. Prosegue ricordando che il numero degli aborti clandestini si mantiene stabilmente tra i 12 e i 15 mila l’anno ed è una stima quasi sicuramente per difetto.

Siamo in pieno inverno demografico, come possiamo aumentare le nascite anche evitando gli aborti? Le ragioni che portano all’interruzione di gravidanza quali sono? Per l’85% cento non riguardano questioni di pericolo reale per la salute della donna o malformazioni del nascituro. E quindi?

            Ecco il passaggio a mio parere critico perché tradisce una lettura economica e nemmeno nella sua versione più moderna del problema. Pare che i proponenti siano tentati di approcciarsi al tema maternità, calo demografico e “desiderio” o meglio disponibilità alla genitorialità come se si muovessero in un mercato: quel che lo fa girare è da sempre il magico incontro tra la domanda e l’offerta. Esistono tante coppie che desiderano adottare e ci sono migliaia di concepiti indesiderati l’anno. Perché non far dialogare queste due realtà, si chiede il testo?

            La presente proposta di legge si prefigge di individuare le modalità più efficaci (…) di prevenzione dell’aborto (…) e di coniugare l’elevato numero di concepiti “indesiderati” e il desiderio reale di coppie disponibili all’adozione nazionale. (p.3)

            Prima debolezza: il desiderio degli adulti al centro. E questo ci precipita inevitabilmente in una logica commerciale e del diritto come ratificazione dei desideri. Però nel prosieguo della proposta emerge, va detto, un’attenzione più elevata al concepito, che iniziamo a intravvedere come persona, e anche alle dinamiche di scelta della donna, di rispetto dei suoi tempi, di tempestività perché il piccolo non resti solo, di scrupolosità e fermezza nella scelta e nel monitoraggio dell’affido pre-adottivo e dell’adozione poi.

I tre capisaldi della proposta di legge. La legge poggia su tre colonne, due poggiate sul basamento del desiderio e consenso della donna e una sull’azione del Tribunale per i minorenni a tutela del concepito fino a che la sua adozione non giunga a buon fine.

  1. La donna in alternativa all’IVG per le ipotesi previste dalla legge 194\1978 può ottenere lo stato di adottabilità del concepito, disposto con rito abbreviato, con decreto del tribunale per i minorenni prima della nascita del concepito
  2. La donna, fino al momento della nascita e nei sette giorni successivi, può sempre e liberamente revocare il proprio consenso allo stato di adottabilità del concepito.
  3. Il tribunale per i minorenni, entro sette giorni dalla nascita del concepito dichiarato adottabile, sceglie la coppia tra un apposito elenco di coppie la cui residenza è posta a una distanza non inferiore a 500 chilometri dal luogo di nascita del concepito e dispone l’affidamento preadottivo, ai fini della successiva adozione. (Ib)

La scelta del tribunale per i minorenni preclude ogni possibile forma di “commercio” tra la madre naturale e la coppia.

Non si vuole togliere l’accesso all’IVG, viene di nuovo ribadito, ma offrire alternative che la donna possa scegliere liberamente.

Coinvolto anche l’uomo indicato come padre. Nell’articolo 2 della PdL leggiamo un avverbio interessante: consultorio o struttura socio-sanitaria devono informare obbligatoriamente e per iscritto la donna e la persona indicata come padre della possibilità di ricorrere alle misure alternative all’interruzione di gravidanza anche in caso siano state individuate (ipotizzate, in molti casi!) anomalie nel feto. Perché è troppo spesso la semplice informazione che manca, a favore di una controinformazione tutta a favore dello smistamento feti difettosi e interruzione gravidanze indesiderate.

            Lo stato di adottabilità è disposto con decreto del tribunale per i minori; la donna ha libertà di revocare il consenso fin dopo la nascita del figlio (si dice sempre nascita, non parto. Mi pare una notazione giusta per far emergere che al centro c’è anche il bimbo, oltre alla mamma. La cosa più bella è sempre quando entrambi nella loro unità esistenziale sono guardati custoditi e rispettati).

            La libertà e la permanenza del consenso dato dalla donna sono verificati a distanza di tempo e fino al termine massimo dei 7 giorni dopo la venuta al mondo del bambino. Il ruolo dell’uomo è marginale e non vincolante, ma perlomeno c’è e se è informato può dire la sua. E in parte riabilitato, un poco più riconosciuto e responsabilizzato di quanto non avvenga ora che la donna è lasciata sola, intrappolata (a volte spinta proprio dall’uomo!) nella sua inviolabile libertà di vita e di morte.

            L’articolo 5 considera i passi necessari alla valutazione del consenso libero della donna con l’obbligo di tempi ristretti. È un pubblico ministero che verifica la persistenza del consenso allo stato di adottabilità del concepito. Ovvero una figura che rappresenta lo stato: non è più un fatto solo privato con nessuna ricaduta sociale, allora, questa misteriosa gravidanza! Certo, mi immagino qualche donna che forse dovesse scegliere questa possibilità vedersi convocata, interrogata, invitata a firmare.

            E tutto mentre il pancione cresce, il bimbo scalcia, le difficoltà che l’hanno spinta a tanto che permangono. E lei che cerca forse di non alzare troppo il livello di amore percepito per questo nascituro, per non soffrire eccessivamente. Ho una domanda ignorante da fare qui ora: ma se tra le motivazioni che hanno portato la donna e forse anche l’uomo a pensare di non far nascere un bimbo ci fossero quelle economiche, perché non dare loro le risorse necessarie e mantenere l’optimum per tutti, a partire proprio dal più debole cioè il figlio?

Controllo e scrupolosità garantite dal Tribunale per i minorenni. L’articolo 6 e l’articolo 7 sono tutti sulla procedura di affidamento e adozione; si concentrano sulle procedure di iscrizione alle liste per adottare i concepiti e sulle tappe che la coppia designata dovrà poi seguire prima di pervenire all’adozione vera e propria. Di fatto la separazione di un neonato dalla propria madre e l’affidamento in tempi rapidi, ma senza approssimazione ad altri che possano esercitare il ruolo di madre e di padre, sono un processo delicatissimo, pieno di rischi. Da compiere di sicuro con tutte le accortezze che esige una vita partita in salita come quella di un bimbo rifiutato.

            Se gli articoli relativi alla gravidanza rimandavano alla L. 194\1978, questi della fase affidamento e adozione si riferiscono tutti alla legge 184 del 1983, quella che regolamenta l’istituto nobilissimo dell’adozione esposto anch’esso, in questi anni, ad attacchi e infiltrazioni “nemiche” della sua ratio: il superiore interesse del fanciullo. Questo è la bussola, il Nord magnetico cui dobbiamo riferirci e non mai il desiderio degli adulti. Anzi, ogni adulto bene o male risolto, è proprio chi ha imparato a ordinare i propri desideri al bene altrui, mortificandoli anche, se necessario.

Piena applicazione della 194\1978: e allora cos’è tutto questo clamore? Siamo entro le mura della 194\1978: ma perché allora tutte queste scalmanate reazioni? Temono sia un cavallo di Troia, forse. (Magari!)

            Lo stesso Ministro dell’Interno e vice premier Salvini, leader della Lega dalla quale è uscito anche Stefani, si è affrettato a dire che la 194\1978 non è in discussione. Di Maio idem, con una notazione non del tutto inutile quando ha fatto notare che la cosa importante è aiutare le famiglie che fanno figli.

            Lo stesso Ministro della Giustizia ha dichiarato: «Non ci sono dubbi che la legge 194\1978 sull’aborto sia una conquista del nostro paese: mi guarderei bene dall’intervenire. Non conosco la proposta in questione – ha aggiunto il ministro – il parlamento la analizzerà, ma non ci sono dubbi che la 194\1978 è stata una conquista di civiltà giuridica e sociale del nostro paese e mi guarderei bene dall’andare a rivederla. Poi si possono sempre migliorare le situazioni, ma i principi non sono in discussione.» (FanPage)

            Una riflessione e qualche domanda aperta. Allontaniamoci per ora da questo recinto elettrificato che circonda la 194\1978 e poniamoci ancora qualche domanda:

            Questa proposta, che prima che possa diventare legge dello stato lo sappiamo, deve attraversare un lungo iter, è in grado di offrire alternative benefiche alle donne e ai bambini? Per il concepito, trattandosi di subire la scelta tra la morte per smembramento in utero o la vita lontana dalla madre e dal padre naturali diremmo di sì. Per la madre e per il padre? Potrebbe innescare una mentalità diversa, allargare la disponibilità all’accoglienza della vita, fornire un argine all’abuso del ricorso all’aborto?

Quanto aggiungerebbe ad esempio alla possibilità di parto in anonimato? Non basterebbe aumentare l’informazione su questa possibilità? O diffondere la presenza delle culle per la vita? O anche solo ascoltare una donna che ha paura e non lasciarla sola?

            A che rischi espone il nascituro? Il rischio del “commercio” tra madre naturale e coppia adottiva è del tutto scongiurato dalla funzione esercitata dal Tribunale per i minorenni come indicato in premessa (vedi documento a p.3)? Ci sono spazi pericolosi per eventuali predatori pedofili?

            Torneremo a rifletterci magari confrontandoci con un esperto. Intanto seguiamo l’iter della proposta: chissà che gestazione avrà!

Paola Belletti  aleteia             29 marzo 2019

https://it.aleteia.org/2019/03/29/proposta-legge-adottabilita-concepito-soggetto-giuridico-stefani-lega/?utm_campaign=NL_it&utm_source=daily_newsletter&utm_medium=mail&utm_content=NL_it

¨ Nella rubrica Parlamento si evidenziano i termini formali del Pdl n.1238 Alberto Stefani¨

 

Scienza e diritto, chi è il concepito?

Ma perché ogni volta che si parla del «concepito» – come nel disegno di legge leghista che ne prevede l’adottabilità – si scatena il putiferio? A leggere molte dichiarazioni tonanti, sale il sospetto che chi esterna in realtà ne sappia davvero poco. Proviamo allora a dare un volto alla vita umana prenatale, a rigor di scienza e di diritto.

            Per capirci meglio, tutti. L’embrione, spiega Bruno Dallapiccola, direttore scientifico dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma, è «un’entità biologica unica e irripetibile». Molteplici evidenze scientifiche, aggiunge Corrado Terranova, ginecologo ricercatore dell’Università Campus bio-medico di Roma dimostrano che «nel momento in cui i due pronuclei maschili e femminili si uniscono e si fondono con un processo di singamia si viene a creare un nuovo essere vivente, un nuovo corredo genetico unico, il quale si modificherà durante il suo sviluppo ma non modificherà mai la sua sostanza».

            Studi condotti insieme a Vittoradolfo Tambone, ordinario di Medicina legale e bioetica, e Roberto Angioli, ordinario di Ginecologia e ostetricia, hanno evidenziato «la morfologia dell’embrione come realtà unica», con «i geni che regolano lo sviluppo dell’embrione tipico della prospettiva che si ha solo nell’essere vivente. È evidente –sottolinea Terranova– come abbiamo di fronte un essere unico, vivente e umano. Stiamo pubblicando un articolo scientifico che evidenzia inoltre come questo essere vivente sia non passivo ma in grado di avere una relazione con la madre attraverso complesse connessioni».

            Un celebre studio di Helen Pearson su Nature, ricorda Giuseppe Noia, direttore dell’Hospice perinatale al Policlinico Gemelli di Roma, afferma che «nei minuti e nelle ore dopo la fusione dello spermatozoo con l’ovocita si stabilisce il luogo dove si formeranno la testa e i piedi, il lato del dorso e quello dell’addome». Diversi dati «della letteratura più accreditata definiscono l’embrione non solo nella sua identità genetica umana (46 cromosomi autosomi e 2 sessuali con 32.040 geni), ma come un protagonista biologico relazionato che prepara l’impianto insieme alla madre. Nello scambio di messaggi biologici c’è la dimostrazione che sin dai primi attimi tutto è relazione». Il nascituro si può definire dunque «un protagonista biologico, in simbiosi con la madre, un paziente da poter curare come un adulto». E ciò che la scienza afferma il diritto tutela.

            Per Andrea Nicolussi, che all’Università Cattolica è professore di Diritto civile ed è esperto di diritto della famiglia e dei minori, «sebbene sembri paradossale, proprio la tutela della vita del concepito è principio espresso dall’articolo 1 della stessa legge 194\1978». Un testo nato tentando una «mediazione» tra le istanze della gestante e i diritti del feto, uno strumento orientato anche «verso l’idea di aiutare la madre in situazioni difficili».

            Lo afferma l’articolo 2 {e 5}, quando prevede che i consultori devono contribuire «a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione di gravidanza». Così, precisa il docente, «se si legge il testo della proposta di legge sull’adozione del nascituro non si trova nulla che tolga qualcosa alle donne: semmai, essa offre un sostegno in più alla possibilità di scelta della madre che non ritenendosi pronta o in grado di assumere direttamente la responsabilità genitoriale può prendere in considerazione anche l’ipotesi dell’adozione».

            Nicolussi ha anche fatto parte di una commissione ministeriale costituita per studiare il destino degli embrioni soprannumerari, sede nella quale si era ventilata l’ipotesi di aprire all’adozione prenatale. La sfida, ora come allora, è ancora quella che traspare nella 194\1978: bilanciare diritti potenzialmente in contrasto tra loro, da un lato quello alla vita dell’embrione e dall’altro «la volontà della donna di non costituire un rapporto genitoriale con il figlio». Ed è proprio questo contemperamento tra valori fondamentali che si sta consolidando sempre più come criterio orientativo di importanti pronunce, prime tra tutte quelle della Corte Costituzionale. Senza dimenticare che il titolo della 194\1978, prima ancora di annunciare «l’interruzione volontaria della gravidanza», dichiara di disciplinare «la tutela sociale della maternità

Graziella Melina, Marcello Palmieri            Avvenire         28 marzo 2019

www.avvenire.it/famiglia-e-vita/Pagine/scienza-e-diritto-chi-il-concepito

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ABUSI

Abusi, c’è l’obbligo di denuncia

Motu proprio del Papa la nuova disposizione che vale per il personale vaticano e delle sedi diplomatiche. Sanzioni pecuniarie per chi omette le segnalazioni. Stretta sulla scelta di dipendenti e operatori pastorali. Obbligo di denuncia per chi è a conoscenza di abusi su minori o su adulti vulnerabili e perseguibilità d’ufficio. Screening dei nuovi assunti, assistenza alle vittime, rimozione per i colpevoli.

w2.vatican.va/content/francesco/it/motu_proprio/documents/papa-francesco-motu-proprio-20190326_latutela-deiminori.html

Con la firma papale a un Motu proprio, una nuova legge per lo Stato vaticano e conseguenti linee guida pastorali, norme più rigide anti-abusi saranno applicate in Vaticano e in tutte le sedi diplomatiche della Santa Sede sparse nel mondo.

www.vatican.va/resources/resources_protezioneminori-legge297_20190326_it.html

Papa Francesco ha dato così seguito al recente summit tenuto in Vaticano sugli abusi con questi rigorosi atti legislativi al fine di «rafforzare ulteriormente l’assetto istituzionale e normativo» per prevenirli e contrastarli. Si tratta normative applicabili solamente nei territori della Santa Sede ma che hanno certamente anche valore paradigmatico per tutta la Chiesa. «La tutela dei minori e delle persone vulnerabili fa parte integrante del messaggio evangelico che la Chiesa e tutti i suoi membri sono chiamati a diffondere nel mondo. Abbiamo tutti, pertanto, il dovere di accogliere con generosità i minori e le persone vulnerabili e di creare per loro un ambiente sicuro, avendo riguardo in modo prioritario ai loro interessi – scrive il Papa nel Motu proprio –. Ciò richiede una conversione continua e profonda, in cui la santità personale e l’impegno morale possano concorrere a promuovere la credibilità dell’annuncio evangelico e a rinnovare la missione educativa della Chiesa». «Maturi in tutti – aggiunge quindi il Papa – la consapevolezza del dovere di segnalare gli abusi alle Autorità competenti e di cooperare con esse nelle attività di prevenzione e contrasto».

La nuova legge (numero CCXCVII) in dodici articoli, firmata il 26 marzo 2019 e in vigore a partire dal prossimo 1° giugno 2019, parte dalla normativa vigente e dalla Convenzione Onu sui diritti del fanciullo del 1989, per sanzionare i «delitti contro i minori» definiti già nella legge promulgata dal Papa nel 2013. La legge sancisce che «fatto salvo il sigillo sacramentale» della Confessione, «il pubblico ufficiale, che nell’esercizio delle sue funzioni abbia notizia o fondati motivi per ritenere che un minore sia vittima del reato» «deve presentare denuncia senza ritardo». E «il pubblico ufficiale che omette o indebitamente ritarda la denuncia di cui al comma precedente è punito con la multa da euro mille a euro cinquemila». Se invece «il fatto è commesso da un agente o ufficiale di polizia giudiziaria, la pena è la reclusione fino a sei mesi».

Nel caso che l’accusato sia un sacerdote o un religioso, il Promotore di giustizia informerà il suo superiore «per l’adozione delle misure previste dal diritto canonico». La novità più significativa riguarda dunque proprio l’obbligo di denuncia e la sanzione per il pubblico ufficiale che omette di segnalare all’autorità giudiziaria vaticana abusi di cui è venuto a conoscenza, fatto salvo il segreto della Confessione. Ai fini della legge penale vaticana sono equiparati ai «pubblici ufficiali»: i membri, gli officiali e i dipendenti dei vari organismi della Curia Romana e delle istituzioni ad essa collegate; i legati pontifici ed il personale di ruolo diplomatico della Santa Sede; le persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione, nonché coloro che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo, degli enti direttamente dipendenti dalla Santa Sede ed iscritti nel registro delle persone giuridiche canoniche tenuto presso il Governatorato dello Stato della Città del Vaticano; ogni altra persona titolare di un mandato amministrativo o giudiziario nella Santa Sede, a titolo permanente o temporaneo, remunerato o gratuito, qualunque sia il suo livello gerarchico.

Inoltre «può presentare denuncia ogni altra persona, anche totalmente estranea ai fatti, che sia a conoscenza di comportamenti in danno di un minore». La legge stabilisce poi in dettaglio i diritti della persona offesa, compresi i diritti alla privacy e le accortezze relative alle audizioni del minore durante il processo. Determina lo svolgimento delle indagini, stabilendo anche la possibilità di nominare un curatore speciale qualora i legali rappresentanti del minore siano in conflitto di interesse e stabilisce la procedura del giudizio. La legge stabilisce inoltre che venga disposto un «servizio di accompagnamento per le vittime di abusi» e si conclude con articoli che stabiliscono l’informazione e la formazione necessaria a chi lavora in Vaticano e il reclutamento di personale idoneo ad interagire con i minori.

Nelle linee guida che accompagnano la nuova legge si specifica come la scelta degli operatori pastorali deve essere accertata, e in particolare «l’idoneità dei candidati a interagire con i minori, attraverso un’indagine adeguata e verificando anche l’assenza di carichi giudiziari pregiudizievoli». E che «gli operatori pastorali devono ricevere una formazione adeguata circa i rischi in materia di sfruttamento, di abuso sessuale e di maltrattamento dei minori, nonché circa i mezzi per identificare e prevenire queste offese». Nelle attività pastorali che coinvolgano minori e persone vulnerabili la loro tutela «deve assumere un carattere prioritario». Pertanto, nel corso delle loro attività, gli operatori pastorali devono «usare prudenza e rispetto nel relazionarsi con i minori», «fornire loro modelli positivi di riferimento», «essere sempre visibili agli altri quando sono in presenza di minori», «segnalare al responsabile qualsiasi comportamento potenzialmente pericoloso». Devono anche «rispettare la sfera di riservatezza del minore» e «informare i genitori o i tutori delle attività che vengono proposte e delle relative modalità organizzative». Gli operatori pastorali sono anche tenuti a «usare la dovuta prudenza nel comunicare con i minori, anche per via telefonica e sui social network». Agli operatori pastorali è inoltre severamente vietato «infliggere castighi corporali di qualunque tipo», «instaurare un rapporto preferenziale con un singolo minore». È altresì vietato «rivolgersi ad un minore in modo offensivo o assumere comportamenti inappropriati o sessualmente allusivi» e «discriminare un minore o un gruppo di minori». È infine vietato «chiedere a un minore di mantenere un segreto», «fare regali ad un minore discriminando il resto del gruppo», come anche «fotografare o filmare un minore senza il consenso scritto dei suoi genitori o tutori» e «pubblicare o diffondere anche via web o social».

https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2019/03/29/0260/00529.html

Le linee guida valide anche per il vicariato della Città della Vaticano dovranno essere osservate ad experimentum per un periodo di tre anni. Nuove norme anche più rigide a tutela dei minori nella Santa Sede La necessità della santità personale e di «ambienti sicuri». I reati perseguibili d’ufficio. Previsto un servizio di accompagnamento delle vittime

Stefania Falasca         “Avvenire” 30 marzo 2019

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201903/190330falasca.pdf

 

Indispensabile severità e dura pietra di paragone

Per capire l’importanza dei testi bisogna partire dalla fine. Dalla firma, che non era necessaria e invece eccola: chiara e perentoria. A ribadire che non sono ammessi equivoci e fraintendimenti al ribasso. Attribuendosi in prima persona la paternità non solo del “Motu proprio” ma anche della nuova legge per lo Stato della Città del Vaticano e delle correlate linee guida pastorali, il Papa ha consolidato la linea rigorosa e forte nella lotta agli abusi inaugurata da Benedetto XVI e che lui stesso ha sviluppato con accorata eppure lucida partecipazione. E forte del dolore e del conforto ricevuti nei giorni dello schietto confronto nel summit mondiale di febbraio, ha alzato l’asticella delle attese e delle “regole” da seguire. L’ha spostata più in alto. Come nella lotta alle malattie particolarmente infettive, quelle con cui non puoi convivere, ma che, pena la sopravvivenza, vanno combattute senza cedimenti, e poi sconfitte, eradicate, cancellate. Per questo la terapia affidata alla piccola, ma esemplare comunità dello Stato vaticano e della Curia Romana, risulta d’urto al limite del praticabile, come una squadra in rimonta dopo il grave handicap subito in un avvio di gara tutto in difesa. Una strategia offensiva che si gioca su ambiti diversi ma interscambiabili, che si alimentano l’uno con l’altro come un attacco a più punte, fronti autonomi eppure complementari di una stessa battaglia.

Il conflitto infatti si combatte su almeno tre piani: la tutela e l’accompagnamento delle vittime, una costante prevenzione, la punizione senza sconti per i responsabili. «Non semplici condanne ma misure concrete» è stata l’indicazione scaturita dal vertice del mese scorso e i documenti pubblicati ieri vanno proprio in questa direzione. A cominciare dall’estensione della platea delle vittime che, nella nuova legge vaticana, la 297, equipara al «minore» la «persona vulnerabile», cioè chi si trovi «in stato d’infermità, di deficienza fisica o psichica, o di privazione della libertà personale che di fatto, anche occasionalmente, ne limiti la capacità di intendere o di volere o comunque di resistere all’offesa». Per la loro difesa, d’ora in poi tutti i reati collegati ad abusi, dalle violenze sessuali vere e proprie ai maltrattamenti, saranno «perseguibili d’ufficio» cioè senza la necessità di una denuncia. Che invece diventa obbligatoria, pena la sanzione, per il pubblico ufficiale, tenuto a segnalare all’autorità giudiziaria vicende di cui sia venuto a conoscenza. Ma le novità non finiscono qui, si prevede anche un allargamento della prescrizione a vent’anni dal compimento della maggiore età e la creazione di un servizio di accompagnamento per le vittime, che avranno dunque persone qualificate cui rivolgersi per trovare aiuto, assistenza medica e tutela giuridica. Quanto ai responsabili riconosciuti colpevoli di abusi saranno «rimossi dagli incarichi», una condanna che qualora si tratti di consacrati verrà accompagnata dalle conseguenti sanzioni canoniche. Perché, forse è opportuno ribadirlo, la materia dei documenti pubblicati ieri riguarda le leggi penali dello Stato della Città del Vaticano, che, malgrado sia giocoforza una realtà con pochi bambini, diventa in qualche modo modello o almeno severa pietra di paragone pure per i codici della giustizia “laica” di tanti altri Stati.

Non ci sono sconti possibili, sembra sottolineare Francesco, per chi si macchia di violenze sui piccoli. Vittime innocenti, il cui ascolto, la cui protezione viene prima di tutto il resto. Ecco allora la necessità, «nella scelta degli operatori pastorali», di accertare la loro «idoneità a interagire con i minori», ecco il divieto di «infliggere castighi corporali», di «instaurare un rapporto preferenziale con un singolo» ragazzo e di «rivolgersi» a lui «in modo offensivo o assumere comportamenti inappropriati o sessualmente allusivi», ecco il dovere che chi lavora con loro sia «sempre visibile agli altri» quand’è «in presenza di minori». Precauzioni esagerate? No. Perché l’offesa alla vittime e il tradimento verso Dio e verso la Chiesa commessi da chi abusa sono gravissimi. E non c’è nessuno di più prezioso agli occhi del Padre, dei piccoli e degli indifesi. Sono loro i modelli indicati da Gesù nel Vangelo di Marco: «chi non accoglie il regno di Dio come un bambino» non vi entrerà. E per chili offende il Signore usa le parole più dure di tutto il Vangelo: chi scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare.

Riccardo Maccioni    “Avvenire” 30 marzo 2019

www.avvenire.it/opinioni/pagine/indispensabile-severit-e-dura-pietra-di-paragone

 

Chiesa e pedofilia, scatta l’obbligo delle denuncia.

Obbligatorio denunciare all’autorità giudiziaria un prete pedofilo. Chi non lo fa, sarà sanzionato penalmente. A poco più di un mese dal summit contro la pedofilia di fine febbraio, quando sono stati convocati in Vaticano i presidenti delle conferenze episcopali e i superiori generali di tutto il mondo, papa Francesco vara nuove norme penali contro gli abusi sessuali sui minori. Le disposizioni (un motu proprio del papa, una legge e le linee guida), in vigore da giugno, sono valide per la Curia romana e la Città del Vaticano. Quindi, dal punto di vista “quantitativo”, il loro peso è minimo, perché si parla di uno Stato minuscolo – dove peraltro vive un numero ridotto di minori – e di poche migliaia di persone. Ma hanno un valore chiaramente esemplare e rappresentano un modello per la Chiesa universale.

Il papa ha scritto: d’ora in poi in Vaticano se un cardinale, un vescovo, un nunzio o un prete viene a conoscenza – non in confessione, per cui permane il segreto sacramentale – che un altro religioso ha commesso maltrattamenti o abusi sessuali su minori o su persone vulnerabili (violenza, atti sessuali, pedopornografia, prostituzione), oltre che informare i propri superiori, ha l’obbligo di denunciarlo alla magistratura per l’avvio di un’indagine ed eventualmente di un processo penale (quindi non solo canonico). A questo punto, quindi, per una singola Conferenza episcopale nazionale sarà difficile ignorare questa norma e non introdurre l’obbligo di denuncia anche nel proprio ordinamento.

Il primo banco di prova riguarderà proprio la Chiesa italiana. A maggio, in occasione dell’assemblea generale della Cei, i vescovi dovranno aggiornare le linee guida antipedofilia. Fino ad ora hanno sempre rifiutato di inserire l’obbligo di denunciare i preti pedofili alla magistratura. Se non lo faranno nemmeno adesso, sarà evidente che papa Francesco si muove in una direzione, quella della denuncia, e la Chiesa italiana procede invece nella direzione opposta, quella dell’omertà e dei «panni sporchi che si lavano in famiglia».

Nelle nuove disposizioni vaticane, vi sono anche altre norme rilevanti: rimozione dagli incarichi per chi è giudicato colpevole (oltre, ovviamente, alla condanna penale e canonica), sanzioni pecuniarie e detentive per chi non denuncia, allungamento dei termini di prescrizione a venti anni (che, in caso di violenze su minori, partono dal compimento della maggiore età da parte della vittima), più rigida selezione dei candidati alla vita religiosa e del personale vaticano.

Nelle prossime settimane è attesa la pubblicazione di un vademecum anti-abusi da parte della Congregazione per la dottrina della fede rivolto alla Chiesa universale.

Certo si resta ad un livello normativo, quindi formale. Nodi come il celibato obbligatorio e il ruolo sacrale e di potere del prete, ovvero le cause profonde della pedofilia, non vengono toccate né lo saranno in seguito. Ma questa è un’altra storia.

Luca Kocci     “il manifesto”            30 marzo 2019

 

Il Papa vara norme anti-abusi per lo Stato vaticano e la Curia

Obbligo di denuncia per tutti i pubblici ufficiali, sanzioni per chi non lo fa, estensione della prescrizione a venti anni a partire dalla maggiore età, equiparazione ai minori degli «adulti vulnerabili», screening dei nuovi assunti, assistenza alle vittime, rimozione per i colpevoli. Papa Francesco vara norme penali anti-abusi sessuali per lo Stato della Città del Vaticano e la Curia romana, nunzi apostolici compresi.

Francesco ha firmato non solo un motu proprio «sulla protezione dei minori e degli adulti vulnerabili» che si applica allo Stato della Città del Vaticano e alla Curia Romana, ma anche una nuova legge (numero CCXCVII) sempre per lo Stato Pontificio e le conseguenti linee guida, analoghe alle linee-guida che adotta ogni Conferenza episcopale nazionale ma dedicate alla vita dei fedeli del Vicariato della Città del Vaticano.

Il Vaticano ancora non aveva una specifica normativa penale in materia di abusi, mentre la Congregazione per la Dottrina della fede supervisiona all’applicazione delle norme canoniche valide per tutta la Chiesa, e anche all’interno del Vaticano, e, nel 2013, Papa Francesco ha promulgato nuove norme penali su una serie di questioni, tra le quali c’era la pedofilia ma in modo non esclusivo né dettagliato. Ora arrivano specifiche norme anti-abusi. «La tutela dei minori e delle persone vulnerabili fa parte integrante del messaggio evangelico che la Chiesa e tutti i suoi membri sono chiamati a diffondere nel mondo», scrive il Papa nel motu proprio. «Cristo stesso infatti ci ha affidato la cura e la protezione dei più piccoli e indifesi: “Chi accoglierà un solo bambino come questo nel mio nome, accoglie me”. Abbiamo tutti, pertanto, il dovere di accogliere con generosità i minori e le persone vulnerabili e di creare per loro un ambiente sicuro, avendo riguardo in modo prioritario ai loro interessi. Ciò richiede una conversione continua e profonda, in cui la santità personale e l’impegno morale possano concorrere a promuovere la credibilità dell’annuncio evangelico e a rinnovare la missione educativa della Chiesa».

Di conseguenza, il Papa vuole «rafforzare ulteriormente l’assetto istituzionale e normativo per prevenire e contrastare gli abusi contro i minori e le persone vulnerabili» nella Curia Romana e nello Stato della Città del Vaticano. La nuova legge in dodici articoli, firmata il 26 marzo 2019 e in vigore a partire dal prossimo 1° giugno, parte dalla normativa vigente nonché dalla Convenzione Onu sui diritti del fanciullo (1989), per sanzionare i «delitti contro i minori» definiti nella legge promulgata dal Papa nel 2013 (vendita di minori, violenza sessuale su minori, atti sessuali con minori, prostituzione minorile, pedopornografia, detenzione di materiale pedopornografico) ed equipara al «minore» la «persona vulnerabile», che viene precisamente definita: «È vulnerabile ogni persona in stato d’infermità, di deficienza fisica o psichica, o di privazione della libertà personale che di fatto, anche occasionalmente, ne limiti la capacità di intendere o di volere o comunque di resistere all’offesa». Il termine di prescrizione «è di venti anni e decorre, in caso di offesa ad un minore, dal compimento del suo diciottesimo anno di età». La legge sancisce che «fatto salvo il sigillo sacramentale» della confessione, «il pubblico ufficiale, che nell’esercizio delle sue funzioni abbia notizia o fondati motivi per ritenere che un minore sia vittima» del reato «deve presentare denuncia senza ritardo», e «il pubblico ufficiale che omette o indebitamente ritarda la denuncia di cui al comma precedente è punito con la multa da euro mille a euro cinquemila», mentre «se il fatto è commesso da un agente o ufficiale di polizia giudiziaria, la pena è la reclusione fino a sei mesi»; fatto sempre salvo il sigillo confessionale, «può presentare denuncia ogni altra persona, anche totalmente estranea ai fatti, che sia a conoscenza di comportamenti in danno di un minore». Nel caso che l’accusato sia un sacerdote o un religioso, il Promotore di giustizia, ossia il Pm vaticano, informa il suo superiore «per l’adozione delle misure previste dal diritto canonico». La legge stabilisce poi dettagliatamente i diritti della persona offesa, compresi i diritti alla privacy, nonché le accortezze relative alle audizioni del minore durante il processo; norma lo svolgimento delle indagini, stabilendo anche la possibilità di nominare un curatore speciale qualora i legali rappresentanti del minore siano in conflitto di interesse; e stabilisce la procedura del giudizio.

La legge, ancora, stabilisce che il presidente del Governatorato vaticano dispone linee guida per la tutela dei minori e la Direzione di Sanità e Igiene dispone un «servizio di accompagnamento per le vittime di abusi», che offre alla vittima ascolto, assistenza medica, psicologica e giuridica (non si fa menzione di indennizzi). La legge si conclude con alcuni articoli che normano la informazione e formazione necessaria a chi lavora in Vaticano e il reclutamento di personale idoneo ad interagire con i minori.

Nelle «linee guida per la protezione dei minori e delle persone vulnerabili per il Vicariato della Città del Vaticano», il Papa traduce in indicazioni pratiche e dettagliate le norme per «i fedeli residenti nello Stato, nonché nelle Ville Pontificie di Castel Gandolfo», non solo per quanto riguarda gli abusi sessuali ma più in generale per la tutela dei minori sotto tutti gli aspetti. Tra i molti temi affrontati il divieto di castighi corporali, il divieto di chiedere ad un minore di «mantenere un segreto», la necessità per un adulto in presenza di un minore di «essere sempre visibili agli altri», e ancora i casi di bullismo tra minori e i rischi dei social network.

Significativa l’introduzione di «un referente per la tutela dei minori il quale coordina e verifica l’attuazione» delle linee guida, nominato dal Vicario generale, attualmente il cardinale Angelo Comastri, il quale «ogniqualvolta la notizia di reato non sia manifestamente infondata», «la segnala al Promotore di giustizia presso il tribunale dello Stato della Città del Vaticano e allontana il presunto autore dei fatti dalle attività pastorali del Vicariato». Va sempre garantita la «presunzione di innocenza» e, se i reati possono essere reiterati, è prevista l’applicabilità di misure cautelari. Se le accuse sono infondate vanno archiviate, ma conservate in archivio. Infine, «chiunque sia dichiarato colpevole» di aver commesso un reato «sarà rimosso dai suoi incarichi; gli sarà comunque offerto un supporto adeguato per la riabilitazione psicologica e spirituale, nonché ai fini del reinserimento sociale».

Obiettivo di questo insieme di nuove norme, spiega il Papa nel motu proprio, è che «sia mantenuta una comunità rispettosa e consapevole dei diritti e dei bisogni dei minori e delle persone vulnerabili, nonché attenta a prevenire ogni forma di violenza o abuso fisico o psichico, di abbandono, di negligenza, di maltrattamento o di sfruttamento che possano avvenire sia nelle relazioni interpersonali che in strutture o luoghi di condivisione; maturi in tutti – sottolinea Jorge Mario Bergoglio – la consapevolezza del dovere di segnalare gli abusi alle Autorità competenti e di cooperare con esse nelle attività di prevenzione e contrasto; sia efficacemente perseguito a norma di legge ogni abuso o maltrattamento contro minori o contro persone vulnerabili; sia riconosciuto a coloro che affermano di essere stati vittima di sfruttamento, di abuso sessuale o di maltrattamento, nonché ai loro familiari, il diritto ad essere accolti, ascoltati e accompagnati; sia offerta alle vittime e alle loro famiglie una cura pastorale appropriata, nonché un adeguato supporto spirituale, medico, psicologico e legale; sia garantito agli imputati il diritto a un processo equo e imparziale, nel rispetto della presunzione di innocenza, nonché dei principi di legalità e di proporzionalità fra il reato e la pena; venga rimosso dai suoi incarichi il condannato per aver abusato di un minore o di una persona vulnerabile e, al contempo, gli sia offerto un supporto adeguato per la riabilitazione psicologica e spirituale, anche ai fini del reinserimento sociale; sia fatto tutto il possibile per riabilitare la buona fama di chi sia stato accusato ingiustamente; sia offerta – conclude il Pontefice – una formazione adeguata per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili».

Iacopo Scaramuzzi    “La Stampa Vatican Insider”          29 marzo 2019

www.lastampa.it/2019/03/29/vaticaninsider/il-papa-vara-norme-antiabusi-per-lo-statovaticano-e-la-curia-5tountcPvhBQ69ooa4LMXN/pagina.html

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ADOZIONE

Il minore sottoposto a kafala non può essere considerato come un discendente diretto

La Kafala è un istituto giuridico del diritto islamico attraverso il quale un giudice affida la protezione e la cura di un minore (makfoul) ad un soggetto (kafil); quest’ultimo, nella maggioranza dei casi rappresenta un parente che curerà la crescita e l’istruzione del minore (privato temporaneamente o stabilmente del proprio ambiente familiare), pur non creando alcun legame parentale tra gli stessi e senza rescindere il vincolo di sangue del minore con la famiglia d’origine.

La kafala non può essere equiparata all’adozione perché manca il rapporto di filiazione e, quindi, il minore sottoposto a tutela non può incluso, in base alla direttiva 2004/38 sul diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, tra i discendenti diretti. Tuttavia, il minore può essere compreso nella nozione di “altro familiare” e, di conseguenza, gli Stati membri, tenuti a preservare l’unità della famiglia in senso ampio, devono agevolare l’ingresso e il soggiorno del minore.

Lo ha stabilito la Corte di giustizia dell’Unione europea con la sentenza depositata il 26 marzo 2019 nella causa C-129/18 (C-129:18). La vicenda, che ha portato al rinvio pregiudiziale d’interpretazione, ha al centro una coppia di nazionalità francese, residente nel Regno Unito, che aveva avuto in affidamento in Algeria, con la formula della kafala, una minore di nazionalità algerina. Il marito era poi rientrato in patria, ma la domanda di ingresso della minore era stata respinta dall’ufficiale responsabile per il rilascio delle autorizzazioni all’ingresso. Il Tribunale di primo grado inglese aveva respinto il ricorso non considerando la minore come persona legalmente adottata o come familiare. La Corte di appello aveva condiviso questa posizione anche in base alla direttiva 2004/38. La Corte suprema, ha chiesto aiuto agli eurogiudici.

Prima di tutto, la Corte Ue ha stabilito che la minore non può essere considerata come “discendente diretta” (nozione propria dell’ordinamento Ue) di un cittadino dell’Unione in base all’articolo 2, punto 2, lettera c) della direttiva perché la kafala in Algeria è temporanea e revocabile e coloro che hanno la tutela del minore non sono legati da un rapporto di filiazione o di adozione, quest’ultima vietata in Algeria. Così, considerando che la sola tutela legale permanente non rende il minore posto sotto tutela un discendente diretto (per adozione) del suo tutore va esclusa la possibilità di includere il minore tra i discendenti diretti. Detto questo, però, la Corte Ue ritiene che il minore possa essere considerato come “altro familiare” secondo la direttiva. Spetta così alle autorità nazionali accertare se si tratti di altro familiare in grado di avvalersi dell’articolo 3 della direttiva che impone agli Stati membri di agevolare l’ingresso e il soggiorno dei familiari.

Nella valutazione, i giudici nazionali dovranno mettere in primo piano l’interesse superiore del minore affermato nella Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 1989 e la tutela del diritto al rispetto della vita privata e familiare garantita dall’articolo 7 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea che, in base all’articolo 52 paragrafo 3, ha lo stesso significato e la stessa portata dell’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo come interpretata dalla Corte di Strasburgo.

            Marina Castellaneta  29 marzo 2019

www.marinacastellaneta.it/blog/il-minore-sottoposto-a-kafala-non-puo-essere-considerato-come-un-discendente-diretto-a-minor-under-the-kafala-system-is-not-a-direct-descendant.html

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AFFIDO CONDIVISO

Tradimento e figli: il coniuge infedele ha diritto all’affidamento?

            Hai scoperto che tua moglie ha un amante. L’istinto ti ha portato a distaccarti subito da lei. Le hai anticipato che chiederai la separazione al tribunale e, per giunta, non le verserai un euro di mantenimento nonostante abbia un reddito molto basso. Il tuo timore però è che possa portarti via i tuoi due figli e magari campare proprio coi soldi destinati a loro. È davvero così facile per la donna infedele riuscire a ricattare il marito? Cosa prevede la legge in caso di tradimento e figli? Il coniuge infedele ha diritto all’affidamento?

            La questione è stata oggetto di accesi dibattiti in giurisprudenza. Il quesito posto più volte ai giudici è se una persona che tradisce il coniuge o il convivente possa essere o meno un buon genitore. La madre infedele è necessariamente una cattiva madre?

Con chi vanno a stare i figli dopo la separazione dei genitori? Una cosa è certa. La donna parte avvantaggiata e non perché lo dica la legge. È la Cassazione [Cass. Sent. n. 18087/2016] ad aver stabilito, ormai da anni, il principio della cosiddetta maternal preference. In pratica, finché i figli restano in età scolare – e, in definitiva, fin quando sono minorenni – devono essere preferibilmente collocati presso la madre, più incline “per natura” a prendersi cura delle loro esigenze.

            Succede così che, all’atto della separazione, il tribunale dispone, come regola, l’affidamento condiviso (ossia: pari diritti e pari doveri sui figli, pari poteri nelle scelte fondamentali sulla crescita, educazione e istruzione), prelevando l’affidamento esclusivo ai casi eccezionali in cui uno dei due genitori non sia in grado di gestire il minore. Quanto invece alla residenza (la cosiddetta “collocazione”) questa viene di norma fissata presso la madre, salvo che il figlio – con più di 12 anni – abbia manifestato una netta preferenza per il padre. C’è quindi una preferenza di genere, secondo alcune sentenze, dovuta al ruolo che, a partire dal parto fino alla maggiore età dei figli, la madre riveste nella gestione della famiglia.

            Sarà anche vero che il principio della preferenza materna sta trovando sempre più fermi oppositori – su tutti il tribunale di Milano secondo cui tale regola non può essere assunta come verità indiscutibile, dovendosi invece valutare il concreto interesse del minore, caso per caso [Trib. Milano, decreto del 19.10.2016] – ma, di fatto, la Cassazione è ancora arroccata su vecchie posizioni.

Il tradimento: conseguenze. Non c’è dubbio che il tradimento sia contrario ai doveri del matrimonio. Esso comporta il cosiddetto addebito, ossia la dichiarazione di responsabilità da parte del tribunale, a carico del coniuge adultero. Questa responsabilità però comporta solo due sanzioni:

  • la perdita del diritto al mantenimento (non si può tradire e poi, felicemente, campare di rendita con gli alimenti dell’ex coniuge);
  • la perdita del diritto a divenire erede dell’ex coniuge qualora questi muoia prima del divorzio.

Eccezionalmente, quando il tradimento sia stato fatto in modo plateale tanto da ledere la dignità del coniuge (si pensi a una relazione adulterina nota nell’ambiente o tra gli amici), l’infedele deve anche risarcire il danno.

            Dunque, tra le conseguenze del tradimento non è prevista alcuna interferenza né con riferimento all’affidamento né alla collocazione dei figli.

Eccezionalmente il tradimento non è causa di addebito quando risulta essere la conseguenza (e non la causa) di una crisi matrimoniale già in atto (tutta però da dimostrare). Se la coppia aveva già iniziato un progressivo allontanamento per altre ragioni (incompatibilità caratteriali, violenze, allontanamento dalla casa), il tradimento non comporta alcuna responsabilità.

Il coniuge infedele ha diritto all’affidamento? Ritorniamo dunque al quesito di partenza: il coniuge infedele può essere un ottimo genitore, salvo risultino fatti ulteriori che portino a ritenere sussistente un’incapacità a gestire la prole. Sicché l’eventuale imputazione di addebito per infedeltà coniugale non comporta né la perdita del diritto, per la madre, di ottenere la collocazione dei minori, né di avere l’affidamento condiviso dei figli.

            Allo stesso modo però la moglie che sia stata tradita non potrà chiedere l’affidamento esclusivo dei figli adducendo come motivo di tale richiesta il fatto che l’uomo sia stato un pessimo marito.

            Tale è l’orientamento del tribunale di Milano e della Cassazione secondo cui [Cass. Sent. n. 17089/2013 del 10.07.2013]: «La condotta antidoverosa del coniuge, cui va riferito l’addebito della separazione, non contrasta in alcun modo con la collocazione del minore presso lo stesso, tenuto conto che la violazione dei doveri del matrimonio (nella specie, per condotte aggressive, irrispettose ed infedeli della moglie verso il marito) può non tradursi anche in un pregiudizio per l’interesse del minore, non nuocendo al suo corretto sviluppo psico-fisico, né compromettendo il suo rapporto con il genitore».

            Ed ancora [Cass. Sent. n. 283/2009] l’esistenza di una relazione sentimentale con un’altra donna durante la convivenza coniugale se, da un lato, può essere causa di addebito della separazione al marito, dall’altro, non esclude il diritto di visita dei figli minori alla presenza della nuova compagna.

La Legge per tutti                 25 marzo 2019

www.laleggepertutti.it/279534_tradimento-e-figli-il-coniuge-infedele-ha-diritto-allaffidamento

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AFFIDO ESCLUSIVO

Affidamento esclusivo al padre: ultime sentenze

Interessi dei figli e affidamento esclusivo al padre; principio di bigenitorialità e alienazione parentale; madre inadeguata allo svolgimento del suo ruolo; idoneità del padre all’assistenza morale e materiale dei figli. Come evitare potenziali traumi nei rapporti genitori e figli?

  1. Affidamento esclusivo del bambino al padre. La nozione di «affidamento esclusivo del bambino al padre» contenuta in seno al comma 3 ter, art. 70, D. lg. n. 151/2001 (Testo unico in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità) non va letta in chiave restrittiva alla stregua di una situazione che contempli, a monte, un riconoscimento bigenitoriale con successivo provvedimento giudiziale di affidamento esclusivo ad uno dei genitori o coniugi ma, può ricomprendere, sulla base di un’ermeneutica evolutiva e costituzionalmente orientata, la situazione di riconoscimento monogenitoriale cui, logicamente, segue un affidamento esclusivo al genitore che ha riconosciuto il minore. (Tribunale Milano sez. lav., 07/11/2017, n.6275).
  2. Madre inadeguata e affidamento esclusivo dei figli al padre. È legittimo l’affidamento esclusivo al padre se la madre si dimostra inadeguata a svolgere il proprio ruolo, nel quale rientra anche il consentire ai figli di avere normali e significativi rapporti con l’altro genitore. Ad affermarlo è la Cassazione che conferma la decisione della corte di merito, che aveva altresì accertato tramite consulenza tecnica i sintomi della Pas (Parental Alienation Syndrom) in danno dell’uomo. Il ricorso contro la sentenza d’appello, fondato sull’incertezza scientifica per tale patologia, è stato respinto dalla Corte che non si è espressa sulla patologia limitandosi a osservare le carenze comportamentali della madre. (Cassazione civile sez. I, 13/09/2017, n.21215).
  3. Esigenze dei figli e potenziali traumi. A tutela della serenità del minore, non basta sospendere l’esecutività del provvedimento di affidamento, ma occorre rimodellare la struttura dei rapporti genitoriali, adeguandola ad una nuova verifica delle modalità più consone alle esigenze della bambina, al fine di scongiurare il potenziale trauma rappresentato da una ricomparsa improvvisa della madre incoerente con le spiegazioni elaborate nella mente della minore. Ne segue che, in caso di ritorno della madre, tempi e modi di frequentazione con la figlia dovranno essere subordinati ad un attento controllo e rimessi alle determinazioni dei servizi sociali affidatari. Questa imprescindibile esigenza osta di per sé ad accogliere la richiesta del padre di ottenere l’affidamento esclusivo della figlia. (Corte appello Firenze sez. I, 26/05/2017, n.1207).
  4. Affido condiviso pregiudizievole: si dispone l’affido esclusivo dei figli. Posto che, in tema di separazione giudiziale dei coniugi, può disporsi l’affido esclusivo dei figli minori solo se il giudice ritenga, argomentando al riguardo, che quello condiviso sia pregiudizievole per i figli stessi, è congruamente motivata, e pertanto incensurabile in Cassazione, la pronuncia di merito che ha affidato il figlio minore, adolescente, al padre in via esclusiva, in quanto la madre vive ormai stabilmente in un lontano paese straniero e ha esercitato in modo discontinuo il diritto di visita, venendo anche meno ai tre incontri minimi all’anno previsti dalla consulenza tecnica d’ufficio, visite non surrogabili con i pur frequenti contatti telefonici o a mezzo Skype. (Cassazione civile sez. I, 17/01/2017, n.9779).
  5. Principio di bigenitorialità e affidamento esclusivo dei figli. Il principio di bigenitorialità e il correlato affidamento dei figli ad entrambi i genitori è la prima soluzione che il giudice deve valutare nel caso di separazione della coppia, potendo, invece, disporsi l’affidamento esclusivo solo qualora l’affidamento condiviso contrasti con l’interesse dei figli. (Nel caso di specie in un contesto di conflittualità giudiziaria e di aspra litigiosità non sussistendo elementi idonei ad una pronuncia di decadenza della responsabilità genitoriale il tribunale dispone l’affidamento esclusivo al padre e la collocazione temporanea presso un centro di accoglienza ritenendo che quest’ultimo fosse lo strumento più adeguato a recuperare gradualmente la relazione con il genitore denigrato). (Corte appello Catanzaro sez. I, 18/12/2015, n.3405).
  6. Personalità manipolativa della madre e affidamento esclusivo al padre. Si dispone ai sensi dell’art. 337 quater c.c. l’affidamento esclusivo al padre qualora la condotta della madre, dotata di “personalità manipolativa“, con un condizionamento programmato allontani fisicamente e psicologicamente i figli dal padre, realizzando un’alienazione parentale, tale da doversi considerare dai giudici non adeguata come genitore. (Tribunale Cosenza sez. II, 29/07/2015, n.778).
  7. Perdita madre e affidamento. A più minori, fratelli germani, che hanno perduto, per sua morte, la madre, cui erano stati affidati in affidamento esclusivo dal padre, che, sempre, prima e dopo, si era e si è del tutto disinteressato di loro, rimasti a vivere, di fatto, con gli zii materni, dai quali sono stati e sono felicemente curati ed assistiti ed ai quali sono affettivamente ed esistenzialmente molto legati, va, ai sensi dell’art. 343 c.c., assegnato dal giudice un tutore. (Tribunale Modena sez. II, 28/05/2014).
  8. Madre responsabile di calunnia nei confronti del padre. In tema di affidamento di figli naturali di genitori non conviventi deve essere cassato, perché emesso con motivazione apodittica e non supportata da riferimenti specifici al rapporto tra madre e figli e al ruolo di genitore della madre, il provvedimento del giudice del merito che, in deroga al principio dell’affidamento congiunto, dispone l’affidamento esclusivo dei minori al padre sulla base di una sentenza penale – non passata in cosa giudicata – emessa nei confronti della madre riconosciuta responsabile di calunnia nei confronti del padre per averlo – falsamente e nella consapevolezza della sua innocenza – accusato di avere abusato della figlia all’epoca di tre anni. (Cassazione civile sez. VI, 07/12/2010, n.248419.
  9. Affidamento esclusivo al padre per evitare la perdita dei contatti con il figlio. Deve essere disposto l’affidamento esclusivo al padre per evitare che la madre possa privare il padre dei contatti con il figlio, anche se soltanto per il periodo necessario all’instaurazione di un procedimento ai sensi dell’art. 709 ter c.p.c., quando sia dimostrato che la madre non è persona in grado di tutelare il rapporto con l’altro genitore, senza che ciò si traduca necessariamente anche in una limitazione dei tempi di permanenza del minore con la madre. (Tribunale Palermo, 02/11/2007).
  10. Madre viola il diritto del minore di incontrare il padre all’estero. Nell’ipotesi di due coniugi separati solo di fatto, il rifiuto della moglie/madre, convivente con il figlio minore, di ottemperare ad un esplicito, tassativo ordine del T.m., emesso nell’interesse del figlio, concreta un’ingiustificata ed illegittima violazione del diritto del minore ad incontrare (all’estero) il padre e ad intrattenere e consolidare una serena, proficua relazione con lui, e costituisce valido presupposto per l’affido al padre, in via esclusiva, del figlio e per una conseguente limitazione della potestà parentale materna (nella specie, la madre si era rifiutata di consegnare al minore infradiciassettenne il necessario passaporto, malgrado un’intimazione perentoria, in tal senso, del T.m., contenuta in un precedente decreto. (Tribunale minorenni Milano, 06/07/2007).
  11. Idoneità del padre ad assistere le figlie. Appare rispondente all’interesse delle bambine disporne il loro affidamento esclusivo al padre, il quale risulta certamente più idoneo della madre ad assistere le figlie moralmente e materialmente, tenuto conto in particolare del fatto che le stesse sin dai primi giorni di vita hanno vissuto con il ricorrente, nonché della circostanza che la convenuta si è allontanata spontaneamente dal nucleo familiare da più di due anni e dimora in altro distante Comune. (Tribunale Catania, 23/05/2007).

La legge per tutti       31 marzo 2019

www.laleggepertutti.it/277702_affidamento-esclusivo-al-padre-ultime-sentenze

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ALIENAZIONE PARENTALE

Alienazione parentale: l’unica vittima è il bambino

E’ da anni ormai che si parla di alienazione parentale, spesso in modo sbagliato, spesso alimentando falsi miti e spesso facendo confusione. E se da un lato, vi sono i “detrattori” che parlano di bufala scientifica, dall’altro tale fenomeno finisce sempre più frequentemente all’attenzione dei giudici, nelle aule dei tribunali di merito e della Suprema Corte di Cassazione, portando a conseguenze drastiche non solo per il genitore “alienante” ma anche e soprattutto per il bambino, “unica vera vittima” di tale processo psicologico. A fare chiarezza sul tema ci pensa un’opera completa e con contenuti inediti: “Nodi e snodi dell’alienazione parentale” scritta e curata dallo psicologo e CTU Marco Pingitore e pubblicata dalla FrancoAngeli Editore. Un’opera che tratta dell’alienazione parentale a tutto tondo, partendo dalle origini, dai falsi miti, analizzando le conseguenze giuridiche e proponendo rimedi, tra cui l’innovativo progetto di trattamento “Refare”.

Dott. Pingitore, innanzitutto cos’è l’alienazione parentale?

“E’ un processo psicologico che si può rilevare solo nel contesto giudiziario relativo ai contenziosi di separazione e affidamento. Rappresenta la violazione, da parte di un genitore, del diritto del figlio di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con l’altro genitore. L’alienazione parentale non è né una sindrome né una patologia, ma una grave violazione dei diritti relazionali del figlio. Nel libro abbiamo proposto la seguente definizione: «L’alienazione parentale è possibile rilevarla solo nei contenziosi legali di separazione. Essa rappresenta l’impossibilità di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo tra genitore e figlio principalmente a causa dei comportamenti devianti dell’altro genitore incube. Tali comportamenti tendono a svalorizzare le capacità di comprensione e decisione del figlio fino a provocare un vero e proprio rifiuto di quest’ultimo nei confronti del genitore succube il quale rivestirà un ruolo sempre più passivo e marginale. Il processo psicologico dell’alienazione parentale determina nel figlio vittima, in relazione alla sua età e alla sua capacità di discernimento, una coartazione della sua volontà. L’alienazione parentale rappresenta la negazione del diritto del figlio alla salute, alla dignità e all’autodeterminazione». E’ necessario chiarire che si può rilevare l’alienazione parentale solo in assenza di condanne penali del genitore rifiutato per reati commessi nei confronti del figlio”.

Cosa risponde a chi nega l’esistenza dell’alienazione parentale e parla di bufala scientifica?

            “Se si fa riferimento all’alienazione parentale come una sindrome (PAS- Parental Alienation Syndrome) nella vecchia e contestata teoria di Richard Gardner allora le critiche sono legittime. Sono il primo a contestare l’alienazione parentale intesa come sindrome o patologia. Tuttavia, in taluni casi è innegabile la possibilità, da parte di un genitore, di condizionare psicologicamente il figlio (età da 3-4 anni fino a circa 12 anni). Tuttavia, l’alienazione parentale è un processo psicologico che si sviluppa con il contributo dei membri del sistema padre-madre-figlio in cui l’unica vittima è il bambino. Nel libro diamo ampio spazio al ruolo del genitore rifiutato che contribuisce, indirettamente, allo sviluppo del processo di alienazione”.

            Nell’opera da lei curata, si parla di falsi miti, cosa si intende?

            “Abbiamo elencato delle ‘false credenze’ sul tema dell’alienazione parentale, come, ad esempio, rappresentarla come un conflitto coniugale oppure come un conflitto di lealtà del figlio. Inoltre, cerchiamo anche di spiegare che non si può parlare di alienazione se il genitore rifiutato continua a frequentare, seppur in modo disfunzionale, il figlio. Altro mito che sfatiamo è quello secondo cui i genitori dominanti sono sempre le madri: niente di più fuorviante poiché il fenomeno dei padri dominanti sembra essere sempre più frequente”.

            Quali sono le conseguenze giuridiche del comportamento del genitore alienante?

“Dipende dai Tribunali. In ogni caso, è possibile infliggere una limitazione della responsabilità genitoriale o addirittura la perdita. Alcuni Tribunali sanzionano il genitore irresponsabile utilizzando lo strumento dell’art. 709-ter c.p.c.”.

            Quali sono i rimedi contro l’alienazione parentale? Si può intervenire preventivamente?

“Dedichiamo un intero capitolo per rispondere a questa domanda. Come forma di prevenzione sarebbe necessario prevedere, ove possibile, sin dalle prime fasi della separazione tempi di frequentazione il più possibile bilanciati tra figlio e genitori. Se non fosse possibile, sarebbe necessario trovare il modo di coinvolgere, direttamente e indirettamente, il genitore ‘sfavorito’ nella vita del figlio. In ogni caso, rilevata (non ‘diagnosticata’) l’alienazione parentale tramite CTU è necessario intervenire con provvedimenti giudiziali finalizzati a ripristinare il rapporto tra figlio e genitore rifiutato: inversione di collocamento o trasferimento temporaneo del figlio in una struttura tutelare finalizzato al suo rientro, in tempi stretti, presso il genitore rifiutato. L’allontanamento temporaneo del figlio dal genitore dominante è necessario poiché quest’ultimo dimostra di non avere la benché minima intenzione di fare un passo indietro. L’alienazione parentale rappresenta una grave forma di violenza psicologica nei confronti del figlio. Incontri protetti, trattamenti sanitari (sostegno psicologico, psicoterapia ecc.), coordinatore genitoriale appaiono interventi del tutto inefficaci e illegittimi se disposti dal Tribunale poiché necessitano di un consenso informato libero e non viziato”.

            Cosa dice la giurisprudenza?

            “Alcuni Tribunali concentrano la loro attenzione sui diritti relazionali dei figli, tanti altri sui diritti dei genitori attraverso un’impostazione adultocentrica. Altri ancora dispongono CTU c.d. ‘trasformative’ con la presunzione di poter/dover intervenire ‘spontaneamente’ sui genitori colpevoli del conflitto che arreca pregiudizio al figlio. Tuttavia, non è il conflitto coniugale il problema, ma i comportamenti irresponsabili dei genitori nei confronti del figlio. Due genitori possono essere ritenuti capaci (‘idonei’) anche se sono in conflitto, l’importante è che riescano a rispettare i diritti del figlio (ex art. 337-ter comma 1 c.c.)”.

Qual è il ruolo del CTU nei casi di alienazione parentale?

            “Effettuare una serie di colloqui con i membri della famiglia divisa e prestare massima attenzione alle loro dinamiche relazionali. Ampia valutazione deve essere effettuata sul motivo del rifiuto del figlio, se legittimo o immotivato. Esistono tanti casi in cui i genitori sostengono di essere ‘vittime’ di alienazione parentale, ma senza alcun riscontro peritale. L’alienazione parentale è un fenomeno molto complesso che richiede un’attenta lettura delle dinamiche relazionali e dei comportamenti di padre, madre e figlio”.

Sarebbe auspicabile un intervento del legislatore? Qualcuno invocava l’introduzione del reato di alienazione parentale.

            “A mio avviso non è necessario introdurre il reato di alienazione parentale. In ambito civile, gli strumenti giuridici per contrastarla e rilevarla sono presenti, ma potrebbe essere utile una riforma che chiarisca il significato di diritto relazionale del figlio in caso di separazione dei genitori. Il figlio ha bisogno di entrambi e vuole frequentare entrambi allo stesso modo: si separano i genitori, non i figli dai genitori”.

Ci parli del suo progetto di trattamento dell’alienazione parentale.

“Si chiama Refare – Reconnecting Family Relationships program. E’ un trattamento sanitario privato, di tipo psicologico, ideato ex novo da me e dalla collega Alessia Mirabelli. E’ un programma specifico per i casi di alienazione parentale provenienti dai Tribunali finalizzato al solo ripristino delle relazioni interrotte tra figlio e genitore rifiutato. Il programma prevede delle precondizioni e delle specifiche fasi in cui si lavora con figlio e genitore, individualmente e insieme. Il Refare ha una durata di tre mesi. Abbiamo creato anche un sito dedicato: www.refareprogram.com”.

            Marina Crisafi           Newsletter Giuridica Studio Cataldi 25 marzo 2019

www.studiocataldi.it/articoli/33924-alienazione-parentale-l-unica-vittima-e-il-bambino.asp

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AMORIS LÆTITIA

Ecumenismo ed eucaristia: profezia e paura

Due settimane fa sono stato a Bari, presso l’Istituto ecumenico S. Nicola, tenuto dai P. Domenicani, per una conferenza dal titolo. Matrimonio e comunione ecclesiale: questioni classiche e sviluppi possibili in contesto ecumenico. Poiché le cronache ecclesiali recenti hanno registrato, a questo proposito, un dibattito spesso unilaterale e forzato, sia in merito alle iniziative dei Vescovi tedeschi, sia in merito a celebrazioni con importanti aperture ecumeniche, tenute a Milano, credo sia importante riflettere in modo ampio sul tema. Per questo pubblico la parte iniziale e finale della mia relazione, che sarà pubblicata integralmente entro il mese di maggio in un volume curato dallo stesso Istituto Ecumenico S. Nicola. Ecco le prime e le ultime pagine conclusive del mio testo.

 

Matrimonio e comunione ecclesiale: questioni classiche e sviluppi possibili in contesto ecumenico

“Io mi domando…condividere la Cena del Signore è il fine di un cammino o è il viatico per camminare insieme? Lascio la domanda ai teologi, a quelli che capiscono. E’ vero che in un certo senso condividere è dire che non ci sono differenze fra noi, che abbiamo la stessa dottrina – sottolineo la parola, parola difficile da capire – ma io mi domando: ma non abbiamo lo stesso Battesimo? E se abbiamo lo stesso Battesimo dobbiamo camminare insieme” (Francesco, Chiesa luterana di Roma, 15 novembre 2015)

            L’orizzonte del dialogo tra le diverse chiese ha permesso anche al cattolicesimo di riconsiderare, direi “in parallelo”, diverse questioni concernenti sia la comunione ecclesiale ed eucaristica, sia il sacramento del matrimonio. Tali questioni anzitutto devono essere accuratamente distinte, e lo faccio in via preliminare nel primo paragrafo (§.1), cui faccio seguire una rapida elencazione delle radici intra- ed extra-ecclesiali di questa nuova prospettiva (§.2), per poi dedicarmi ad una indagine più determinata della questione della cosiddetta “intercomunione” (§.3) e concludere con una visione più complessiva della sfida ecumenica e della sua urgenza per la buona salute della Chiesa cattolica (§.4).

1. Considerazioni preliminari di sfondo

1.1.   Il sapere classico della dottrina teologica conosce bene il ruolo che matrimonio ed eucaristia esercitano nella esperienza ecclesiale. Entrambi i sacramenti possono vantare, infatti, un “primato” nella vita dei cristiani: il matrimonio ha un primato “ratione significationis”, mentre l’altro, l’eucaristia, ha “simpliciter” il primato, poiché è il “fine” e “la fine” di ogni compito e di ogni necessità. La tensione tra questi due “primati” è presente in modo sotterraneo in tutta la tradizione occidentale latina. Ciò ha determinato sui due sacramenti conseguenze diverse. Mentre il primato eucaristico, bene o male, è rimasto evidente alla coscienza ecclesiale lungo i secoli, anche se con forme celebrative, spirituali e pastorali diverse, viceversa intorno al matrimonio si sono creati due “filoni” di pensiero e di esperienza, che hanno determinato una oscillazione estrema nelle valutazioni: così lo stesso sacramento ha potuto essere “primo” o “ultimo”, come attesta anche l’elenco classico dei sette sacramenti, in cui il matrimonio normalmente chiude la fila.

1.2.   Gli ultimi due secoli non hanno visto mutare soltanto il “vissuto matrimoniale” dei soggetti e delle comunità, ma anche il loro “vissuto eucaristico”. E’ importante acquisire questa visione “processuale” e “dinamica” della dottrina ecclesiale, anche di quella strettamente cattolica, che non è mai un “monolite”. I mutamenti sono legati ad un cambiamento non solo della società e della cultura, ma della coscienza che la Chiesa ha di se stessa. Una nuova rappresentazione dello “sposarsi” e del “celebrare eucaristico” ha profondamente inciso sulle forme ecclesiali, sulla pastorale e sulla spiritualità. E’ sufficiente ricordare che la prima enciclica sul matrimonio è del 1880, da parte di Leone XIII (Arcanum divinae sapientiae) ed è motivata dalla esigenza di affermare la “incompetenza dello stato liberale sul matrimonio”, mentre il papato di Pio X, ai primi del ‘900, ha fatto della “comunione frequente” uno dei fuochi della esperienza cristiana.

1.3.   La questione sacramentale si intreccia, nel rapporto tra matrimonio e comunione, con la questione morale e con la questione giuridica e sarebbe un grave errore sia la confusione tra questi livelli, sia la separazione tra di essi. La evoluzione degli ultimi due secoli ha visto, sotto questo profilo, il sorgere di una “competenza esclusiva” della Chiesa sul diritto matrimoniale (con il sorgere nel 1917 del primo CJC – Codex Juris Canonici – Codice di Diritto Canonico) mentre, parallelamente cambiava il modo di vivere la comunione eucaristica, con il sorgere, a partire dal 1905, di una più alta frequenza alla comunione eucaristica. Comunione frequente e conflitto tra stato e Chiesa intorno al matrimonio si sviluppano negli stessi decenni e segnano il percorso della storia cattolica rispetto al parallelo sviluppo differenziato delle altre confessioni, diversamente implicate sul piano giuridico e spirituale.

1.4.   In particolare, nell’ultimo secolo, ad una progressiva individualizzazione della esperienza matrimoniale ha corrisposto, paradossalmente, uno sviluppo della dimensione comunitaria e relazionale della comunione. Questo movimento incrociato – ossia la scoperta della coscienza e della storia dei soggetti nell’ambito della comunione matrimoniale e la apertura alle dinamiche comunitarie e partecipative nel rapporto con la celebrazione eucaristica – ha profondamente inciso sulle pratiche e sulle teorie. La considerazione dei “vissuti singolari” in campo matrimoniale e delle “pratiche comunitarie” sul piano eucaristico ha profondamente mutato sensibilità, priorità e attenzioni. La cultura ecclesiale si è trasformata e la dottrina non sempre è stata capace di “stare al passo” di questi cambiamenti.

1.5.   Tutto ciò è accaduto in un mondo – anzitutto europeo, ma non solo europeo – nel quale si è passati dalla “società chiusa” alla “società aperta”. Tale fenomeno si manifesta essenzialmente come una società che si fonda non più sul principio di autorità, ma sul principio di libertà. Questo cambiamento determina una serie di conseguenze non lineari: accentua sicuramente una rappresentazione individualistica della esistenza (anche matrimoniale ed eucaristica), ma valorizza nello stesso tempo la originalità e la originarietà della esperienza singolare, aiutando a riscoprire la potenza e la precarietà dei legami. Per questo la cultura tardo-moderna può certamente minare pericolosamente ogni esperienza di comunione, ma può anche superare tutte le false rappresentazioni della comunione basate sulla diseguaglianza, sulla illibertà e sulla indifferenza2.

(Ometto i §§ 2. e 3)

4. Alcune conclusioni su ospitalità e intercomunione (una profezia matrimoniale?) Su questo punto occorre procedere con molta chiarezza, data la delicatezza del tema. Anche in questo caso riassumo in poche affermazioni la serietà e la plausibilità della prospettiva di “ospitalità eucaristica”, non come “eccezione alla regola”, ma come principio di comprensione generale, vorrei dire universale, della cena del Signore. Che perpetua non semplicemente un “atto puntuale” di Gesù, ma uno stile di commensalità e di ospitalità, che era parte costitutiva della sua “dottrina”. Questa “forma di cena”, nella quale “rendiamo grazie al Padre”, è la “forma fondamentale” dell’eucaristia. Intorno a questo “nucleo sistematico della questione” possiamo fare alcune considerazioni finali, che ordino in 6 considerazioni progressive:

4.1. Si tratta, innanzitutto, di affermare la superiorità della “azione eucaristica” rispetto alle condizioni con cui ogni singola Chiesa ha potuto svilupparne una dottrina e una disciplina. Se la stessa “ecclesia” è “de eucharistia” (secondo il bel titolo dell’ultima enciclica di Giovanni Paolo II), ciò significa che non è anzitutto la Chiesa a dover porre condizioni per la eucaristia, quanto piuttosto è l’eucaristia a porre le condizioni per la Chiesa. Sappiamo bene che, nella lunga tradizione degli ultimi 500 anni, proprio su questo punto abbiamo proceduto secondo evidenze e priorità capovolte: abbiamo stabilito condizioni ecclesiali, procedurali, rituali per accedere degnamente all’eucaristia. Ma è stato proprio il “movimento ecumenico” a riscoprire la “autorità” del celebrare rispetto alla comprensione della dottrina. Questo è un punto su cui abbiamo ancora molto da lavorare. Partiamo ancora oggi da un modo di intendere lo stesso ecumenismo in cui “prima si pensa correttamente e poi si può agire validamente”. Questo è un “modello” di realizzazione della comunione che non è affatto ovvio e che merita forse di essere profondamente riconsiderato.

4.2. A ciò si deve aggiungere, quanto alla proposta formulata dalla Conferenza Episcopale Tedesca nel maggio del 2018, che essa riguarda una “comunione eucaristica” che viene resa possibile – in modo singolare e non generale – da un’altra comunione, che è quella coniugale. La “piccola Chiesa domestica”, che è istituita dalla relazione coniugale, di cui ministri sono la coppia dei battezzati, sarebbe il vincolo che, legando una parte cattolica e una parte non cattolica, permetterebbe, a certe condizioni, una comunione eucaristica piena anche se la comunione ecclesiale non è piena. Ma, appunto, qui la “carenza di comunione ecclesiale” riguarda la “grande Chiesa”, non la “piccola Chiesa domestica” che anticipa, profeticamente e nel concreto, la comunione tra le Chiesa. Onorare questi cammini concreti è via di un rinnovato ecumenismo “fattuale” prima che “dottrinale”. Ma perché possiamo permetterci questo sviluppo dobbiamo liberare i concetti teologici da quell’aura “retorica” che li riduce a “espressione clericale” senza forza e senza forma. Basti considerare tutta l’enfasi del discorso sulla “centralità della famiglia” che poi non riesce ad attribuirle, come in questo caso, alcuna vera autorità.

4.3. Se sviluppiamo questo assunto, dovremmo dire che in qualche modo alla carenza di comunione ecclesiale sopperisce la ricca esperienza della comunione coniugale. Il fatto che la parte “non cattolica” sia marito (o moglie) della parte cattolica può essere considerato condizione necessaria – anche se di per sé non sufficiente – per aprire la comunione eucaristica alla sua esperienza, cui è giunto per un “amore all’eccesso” vissuto non nella stessa Chiesa, ma nello stesso amore di cui quella Chiesa vuol essere segno. Questo modo di considerare la tradizione permette di abbassare le pretese verso la ecclesia pensata istituzionalmente come “societas perfecta”, e di alzare invece il volume con cui la Chiesa domestica, nella sua fragilità, può annunciare la profezia della comunione anche in condizioni apparentemente assai svantaggiate. Implica, quindi, un profondo ripensamento del tema “matrimonio”, così come è accaduto nel testo di Amoris Lætitia, che per la prima volta esce dallo “schema ottocentesco” con cui il matrimonio è letto, in modo decisivo, come “campo di esercizio della autorità ecclesiale” in contrapposizione con il “potere dello Stato liberale”. Un ecumenismo che attribuisca al “famiglia domestica” una autorità ecclesiale è costretto a rivedere profondamente lo schema canonistico che dal 1917 domina la comprensione del matrimonio.

4.4. Ora è ovvio che, se si dimentica questo orizzonte coniugale, in cui si inserisce lucidamente la “proposta tedesca”, si ha buon gioco a costruire quella serie di “paralogismi” che sono tanto poco convincenti, quanto più si allontanano dalla proposta concreta. Che non è quella di equiparare le “dottrine” e le “discipline” di Chiese che restano differenziate, ma di poter riconoscere, nonostante questa diversità, che la esperienza di “vincolo coniugale” – in cui natura e cultura già possono convergere – può rendere accessibile la piena comunione sacramentale, sia pure per vie segrete che non è dato conoscere sul piano della dottrina e della disciplina, ma che si rendono accessibili sul piano della esperienza del Mistero, a cui si apre la vita differenziata nel vincolo ecclesiale, ma unificata nel vincolo coniugale. Con il suo linguaggio più elementare e meno definito – nell’ascolto della Parola comune, e nello spezzare il pane e nel condividere il calice su cui si è reso grazie – le Chiesa fanno esperienza “atematica” della comunione. I gesti elementari e potenti, che strutturano la celebrazione eucaristica – ascolto della Parola, preghiera eucaristica, condivisione del pane e calice come corpo e sangue di Cristo – ristrutturano le identità molto più della coscienza dottrinale. L’inconscio rituale è più potente della coscienza dottrinale.

4.5. Va ricordato, poi, che anche in questo caso il percorso previsto dalla “proposta tedesca” si inserisce nello stesso quadro “processuale” previsto recentemente (2016) da Amoris Lætitia per affrontare le “crisi” che il matrimonio può incontrare. E il rifiuto opposto astrattamente a tale proposta ha tutta la apparenza di una radicale incomprensione di queste “proposte processuali”, che riprendono il grande insegnamento del Concilio Vaticano II, per il quale – allora nella assise conciliare, come oggi in questa proposta episcopale – non si trattava di cambiare o innovare dottrina e disciplina cristiana, ma di ritrovare quel terreno del mistero – di Dio e dell’uomo, del Vangelo e della esperienza – su cui può fiorire la fede in Cristo. Mentre secondaria e meno convincente sembra la soluzione “giuridica” che assimila la comunione concessa al consorte di diversa confessione al “caso di morte”. Non si tratta, io credo, che garantire “fughe eccezionali” nella ospitalità rispetto ad una norma inospitale, quanto di garantire che, in presenza di vissuti di comunione coniugale, l’eccezione dovrebbe diventare la inospitalità, e normale sarebbe sempre la ospitalità.

4.6. Per questo lo “scandalo” che i profeti di sventura additano alla attenzione è frutto di uno sguardo strabico: è scandaloso, in effetti, non il fatto che finalmente la coppia confessionalmente “mista” possa essere unita anche nella comunione eucaristica, ma che la istituzione ecclesiale, per salvaguardare se stessa, porti la divisione nel cuore stesso delle famiglie. Se è vero che la Chiesa che vuole comprendere la “gioia dell’amore” ha da imparare ascoltando seriamente le famiglie, ho l’impressione che la autorità episcopale, per crescere nel suo magistero, debba disporsi ad un serio rinnovamento, certo della teologia eucaristica, ma prima ancora della teologia matrimoniale. Per esporsi alle vite, piuttosto che soltanto e sempre disporre delle vite. La relazione tra comunione eucaristica e comunione matrimoniale appare, oggi, un “segno dei tempi”: di fronte al quale la Chiesa docente deve sapersi fare discente, con lungimirante umiltà. E, per così dire, deve disporsi non anzitutto a dare la comunione a chi non ne sarebbe degno, ma a riconoscere che la comunione ecclesiale fiorisce proprio là dove saremmo portati a credere che sia esclusa a priori. Qui vale quanto papa Francesco ha ricordato come principio in EG (Evangelii Gaudium): ossia il primato della realtà sulla idea. E la resistenza a questa logica, sempre papa Francesco la chiama con il nome di antiche e pericolose tentazioni: neognosticismo e neopelagianesimo sono precisamente quel primato “astratto” e “normativo” con cui la Chiesa, senza saperlo, non permette a Cristo di uscire: egli “bussa” non per entrare, ma per uscire. Anche le questioni ecumeniche risentono profondamente di questo “stile neopelagiano e neognostico”, di cui trasudano spesso le nostre soluzioni “normative” o “dogmatiche”.

            Anche per elaborare queste nuove frontiere, il pensiero ecumenico sulla eucaristia ha bisogno di una nuovo modello non solo di teologia, ma di teologo. Esige un teologo dalla “mente aperta”: “Il teologo che si compiace del suo pensiero completo e concluso è un mediocre. Il buon teologo e filosofo ha un pensiero aperto, cioè incompleto, sempre aperto al maius di Dio e della verità, sempre in sviluppo, secondo quella legge che san Vincenzo di Lérins (†445) descrive così: annis consolidetur, dilatetur tempore, sublimetur aetate (Commonitorium primum, 23: PL 50,668)”(Veritatis Gaudium §3)

            Per questo, in conclusione, vorrei tornare alle parole con cui Francesco concludeva la sua risposta, in occasione della visita alla Chiesa luterana di Roma, nel 2015. E’ una conclusione che, tenendosi lontana sia dal principio gnostico di una “soluzione astratta generale” sia dal principio pelagiano di una “normativa che programmi tutto in modo prevedibile”, percorre la via di un “discernimento aperto”, basato più sulla esperienza di ascolto e di condivisione, di dialogo e di partecipazione, che su evidenze dogmatiche o giuridiche ultimative. Ecco le parole con cui vorrei anche concludere, parole che sono direttamente rivolte alla Signora che aveva posto la questione e che meritano grande attenzione, poiché indicano anche uno “stile ecumenico” molto determinato: “Mi diceva un pastore amico ‘Noi crediamo che il Signore è presente lì. E’ presente. Voi credete che il Signore è presente. E quale è la differenza?’ – ‘Eh, sono le spiegazioni, le interpretazioni…’. La vita è più grande delle spiegazioni e delle interpretazioni. Sempre fate riferimento al battesimo: ‘Una fede, un battesimo, un Signore’ così dice Paolo, e di là prendete le conseguenze. Io non oserò mai dare il permesso di fare questo perché non è mia competenza. Un Battesimo, un Signore, una fede. Parlate col Signore e andare avanti. Non oso dire di più”

Andrea Grillo 25 marzo 2019 nel blog: Come se non

www.cittadellaeditrice.com/munera/ecumenismo-ed-eucaristia-profezia-e-paura

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ASSEGNO DIVORZILE

Divorzio: l’assegno non diminuisce se l’ex prende indennità di accompagnamento

Corte di Cassazione, prima Sezione civile, sentenza n. 6518, 6 marzo 2019

www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_33865_1.pdf

La Cassazione respinge la richiesta di revisione dell’assegno di divorzio presentata dal marito che, dopo il pensionamento, dichiara la consumazione del suo patrimonio mobiliare. Le condizioni economiche della ex moglie, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, non giustificano la revoca dell’assegno. Ella, ormai invalida al 100% e titolare dell’indennità di accompagnamento non ha visto contrariamente a quanto sostenuto dall’ex, migliorare la propria condizione economica.

La Corte d’appello di Milano respinge il reclamo di un marito, confermando la decisione del Tribunale. Il giudizio d’appello è stato promosso per ottenere la revisione dell’assegno divorzile di € 769,97, corrisposto all’ex moglie soggetta ad amministrazione di sostegno. Questo, a fronte del peggioramento della propria condizione economica dovuta all’intervenuto pensionamento e al contestuale miglioramento della situazione della beneficiaria.

            La Corte d’appello ha ritenuto non provato il peggioramento delle condizioni economiche del marito, rispetto al momento in cui è stato determinato l’assegno divorzile. Lo stesso si è infatti limitato ad allegare, senza documentare, la consumazione di tutto il suo patrimonio mobiliare. Il giudice di secondo grado, al contrario, ha ritenuto dimostrato il peggioramento delle condizioni di salute dell’ex moglie beneficiaria dell’assegno, la cui invalidità ha raggiunto ormai il 100%.

            Avverso il suddetto decreto il marito propone ricorso per cassazione lamentando in particolare l’omissione da parte dei giudici della necessaria integrazione probatoria, nonostante le sue sollecitazioni di richiedere a terzi, in primis all’Inps, informazioni sulla situazione pensionistica della ex moglie.

La Cassazione rigetta il ricorso, considerando inammissibile il motivo con cui il marito ha contestato l’omissione da parte della Corte territoriale dell’assunzione di “informazioni da organismi terzi, come I’Inps, circa la situazione pensionistica della controparte.”

            Tale disappunto per gli Ermellini si risolve “in una implicita e generica richiesta di rivisitazione del giudizio di fatto compiuto dai giudici di merito, i quali hanno ritenuto che il quadro probatorio dimostrava che le condizioni economiche dell’ex coniuge beneficiario non erano migliorate, alla luce di quanto dichiarato dall’amministratore di sostegno (in particolare, in merito al fatto che l’amministrata, oltre all’assegno divorzile, percepiva solo un’indennità di accompagnamento di € 490,00 mensili); né il ricorrente deduce che ciò non corrispondesse al vero.”

Annamaria Villafrate            studio Cataldi 12 marzo 2019

www.studiocataldi.it/articoli/33865-divorzio-l-assegno-non-diminuisce-se-l-ex-prende-indennita-di-accompagnamento.asp

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ASSOCIAZIONI – MOVIMENTI

Assemblea della Compagnia delle opere

“Testimoniate quello che vivete, il mondo ha bisogno di autenticità”. L’intervento di Berhnard Scholz, presidente della Compagnia delle Opere ha aperto l’assemblea dei responsabili dell’Associazione domenica 23 marzo 2019presso l’Abbazia di Mirasole (Milano): circa 200 i partecipanti da tutta Italia.

            “Si può imparare molto da voi perché la vostra opera nasce essenzialmente da come guardate i figli che vi sono affidati – ha detto Berhnard Scholz – E nasce perché le famiglie siano sempre più sostenute in questa miracolosa opera dell’accoglienza che vivono tutti i giorni”.

            “La nostra responsabilità – ha ricordato Scholz – non sorge innanzitutto da un impeto morale, ma dal fatto che sto di fronte alla realtà, realtà che inevitabilmente mi chiede una risposta. Nello stesso modo vivendo semplicemente l’esperienza dell’accoglienza, anche senza fare troppi discorsi, si crea un modo diverso di guardare tutto e tutti: e questo inevitabilmente si comunica”.

            “Oggi in modo particolare c’è sete di autenticità – ha detto ancora Scholz – e c’è bisogno di comunicare esperienza, c’è bisogno di testimoniare, in modo discreto e consapevole, che è possibile vivere in modo più umano e più vero”.

            L’intervento di Scholz ha dato il via all’assemblea e al racconto delle esperienze in atto in questo momento: la rete delle case famiglia “Dimore per l’Accoglienza” e la grande scommessa di creare un cammino comune, fatto di momenti di formazione ma anche di convivenza. La rete adozione e quella affido, occasioni di confronto e di amicizia per ri-centrare il lavoro dell’Associazione sulle domande che urgono nelle situazioni e nelle famiglie. La partecipazione a organismi interassociativi come il Forum delle Famiglie e il Tavolo nazionale Affido, nella crescita della stima del rapporto con altre realtà ed esperienze. La testimonianza di un’azione di raccolta fondi proposta ai partecipanti della Milano Marathon.

            Fra gli interventi, quello di Valeria Colosi, assistente sociale di Verona, sulla creazione del Centro affido e solidarietà famigliare, sorto con la partecipazione paritaria dell’ente pubblico e di quattro associazioni (fra cui Famiglie per l’Accoglienza). Ha raccontato un esempio del tutto originale di collaborazione, diventata efficace e davvero incisiva grazie alla crescita di un rapporto e una stima reciproca tra le varie componenti: “Ci siamo messi l’uno accanto all’altro e abbiamo cercato di capire quale fosse la domanda”.

Famiglie per l’accoglienza    29 marzo 2019

www.famiglieperaccoglienza.it/sedi-e-contatti/sede-nazionale

www.famiglieperaccoglienza.it/2019/03/28/testimoniate-quello-che-vivete-il-mondo-ha-bisogno-di-autenticita

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CASA CONIUGALE

5Regime di assegnazione della casa familiare

Il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli. Dell’assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, considerato l’eventuale titolo di proprietà.

Il godimento della casa familiare. Il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l’assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio.

Il provvedimento di assegnazione e quello di revoca sono trascrivibili e opponibili a terzi ai sensi dell’articolo 2643 del codice civile.

In presenza di figli minori, ciascuno dei genitori è obbligato a comunicare all’altro, entro il termine perentorio di trenta giorni, l’avvenuto cambiamento di residenza o di domicilio. La mancata comunicazione obbliga al risarcimento del danno eventualmente verificatosi a carico del coniuge o dei figli per la difficoltà di reperire il soggetto.

La suddetta disposizione si applica nel caso che i genitori siano coniugati sia ai conviventi more uxorio con figli minorenni o maggiorenni non economicamente autosufficienti.

Il diritto alla conservazione dell’abitazione in cui i figli sono cresciuti si configurerebbe addirittura come un diritto Costituzionalmente garantito rientrando esso tra i diritti tesi allo sviluppo della personalità.

E’ bene sottolineare che per casa familiare si intende solo quell’immobile che abbia costituito il centro di aggregazione della famiglia durante la convivenza, con esclusione di ogni altra abitazione di cui i coniugi / genitori avessero la disponibilità o che comunque usassero in via saltuaria o temporanea.

Presupposti per l’assegnazione della casa familiare. Affinché si possa procedere ad assegnazione della casa familiare è necessaria la presenza di figli minorenni o maggiorenni non economicamente indipendenti. La Corte di Cassazione ha più volte precisato che il provvedimento di assegnazione della casa coniugale è subordinato alla presenza di figli, minori o maggiorenni non autosufficienti economicamente, conviventi con i coniugi/genitori. In assenza di tale presupposto, il giudice non può assegnare la casa in comproprietà in sostituzione o quale componente dell’assegno di mantenimento: questa resta soggetta alle norme sulla comunione, salva l’esistenza di eventuali accordi di natura negoziale intercorsi tra le parti in sede di separazione personale.

Pertanto, in caso di separazione di coniugi senza figli o con figli maggiorenni ed autonomi, non potrà in alcun modo disporsi l’assegnazione della casa familiare. In tali ipotesi caso nulla dovrà indicare la sentenza in ordine all’assegnazione.

Come si evince chiaramente dalla norma, il diritto all’assegnazione della casa prescinde dalla titolarità di diritti reali sul bene.

Ove l’immobile sia di proprietà del genitore non collocatario del figlio/i minore o maggiorenne non economicamente indipendente, il diritto subirà una limitazione in relazione all’uso, pur rimanendo allo stesso proprietario la possibilità di procedere alla vendita dell’immobile a terzi salvo il diritto per il coniuge/genitore assegnatario di continuare a viverci considerato che il provvedimento di assegnazione, seppur non trascritto, è opponibile al terzo acquirente per 9 anni dall’emissione del provvedimento di assegnazione e, oltre il novennio, se trascritto. Con l’assegnazione si costituisce e configura in capo all’assegnatario un diritto atipico di godimento di natura personale (e non un diritto reale di uso o di abitazione)

Modifica o revoca assegnazione casa familiare. Il diritto di assegnazione della casa familiare può essere oggetto di modifica da parte del Tribunale ogni qualvolta emergano “fatti nuovi e rilevanti” che possano legittimare la richiesta di modifica. Tipico caso che legittima la richiesta di modifica o di revoca dell’assegnazione della casa familiare è quello del figlio maggiorenne non economicamente indipendente che sceglie di andare a vivere con il genitore non collocatario. In tal caso, il provvedimento di assegnazione andrà revocato o modificato e si applicheranno ai fini dell’accertamento del diritto al possesso e all’uso della casa le norme del codice civile (in particolar modo quelle in materia di diritti reali).

L’assegnazione della casa familiare andrà revocata anche nel caso in cui il genitore affidatario o collocatario cessi di viverci con i figli. Allo stesso modo astrattamente modificabile è il provvedimento di assegnazione ove il genitore assegnatario intraprenda una convivenza more uxorio nella casa familiare ovvero contragga nuovo matrimonio; la ratio della revoca si fonda sul presupposto che il nuovo convivente o coniuge andrebbero ad alterare la struttura familiare del minore o maggiorenne economicamente non indipendente con conseguente venir meno della tutela. In questo caso la revoca dell’assegnazione della casa familiare non è automatica, ma la situazione deve essere valutata caso per caso dal Giudice il quale avrà il delicato ruolo di contemperare l’interesse del figlio a continuare a vivere nella residenza familiare con il diritto del proprietario.

Quindi, la convivenza more uxorio o il nuovo matrimonio dell’assegnatario della casa non sono circostanze, di per se stesse, idonee a determinare la cessazione dell’assegnazione, dovendo l’eventuale revoca dell’assegnazione essere subordinata ad un giudizio di conformità all’interesse del minore.

Le spese della casa assegnata. Le spese per l’uso, godimento e la conservazione ordinaria della casa familiare sono a carico della parte assegnataria. In sostanza il genitore assegnatario oltre al pagamento delle utenze dovrà corrispondere le rate condominiali ordinarie (con esclusione delle rate condominiali che si riferiscono ad interventi straordinari).

Per quanto attiene alle imposte comunali sull’immobile assegnato, il genitore che ha il godimento della casa di proprietà dell’altro genitore non è tenuto alla corresponsione di alcuna imposta in quanto, il diritto di assegnazione della casa familiare non costituisce un diritto reale bensì un atipico diritto personale di godimento e pertanto nulla è dovuto ai sensi dell’art. 3 del Decreto Legislativo 504/1992 (Cassazione Civile, Sezione. Tributaria 20/10/2008 n. 25486).

Casa familiare in locazione o in comodato. Ove al momento della crisi familiare l’abitazione sia condotta in locazione dal genitore non collocatario dei figli, l’art. 6, comma 2, della legge 27 luglio 1978, n. 392, prevede che, nel caso in cui essa casa sia stata assegnata dal Giudice al coniuge non intestatario del contratto ma convivente con i figli minori, lo stesso contratto si trasferisce per legge al coniuge convivente con i figli stessi; in tal caso si trasferiranno su di esso tutte le obbligazioni derivanti dal contratto, dal pagamento del canone alla naturale durata del contratto stesso.

Con il provvedimento di assegnazione il coniuge a cui viene assegnata la residenza familiare diviene il conduttore della stessa E il precedente rapporto non potrà più tornare in vita, anche in caso di rilascio spontaneo da parte del coniuge assegnatario (Cass. civile, sez. III, 17 luglio 2008, n. 19691). La stessa disciplina si applica anche in caso di convivenza more uxorio con figli minori o maggiorenni non autosufficienti.

Nel caso in cui al momento della dissoluzione del matrimonio/convivenza il contratto di locazione fosse scaduto, il genitore convivente con i figli minori o maggiorenni ma non economicamente indipendenti non succederà nel contratto di locazione scaduto bensì verrà trasferita ad esso una situazione di mera occupazione.

Più complessa la questione nelle ipotesi tutt’altro che rare in cui la casa familiare sia di proprietà di un terzo (spesso i genitori di una della parti) che la concede in uso alla coppia al fine di destinarla a casa familiare. In questi casi il rapporto tra il proprietario e chi usa l’immobile è configurabile come un comodato. La Cass. S.U. con sentenza 29 Settembre 2014 n. 20448 ha stabilito che:” Ai sensi dell’art. 1809, secondo comma, cod. civile, il bisogno che giustifica la richiesta del comodante di restituzione del bene non deve essere grave ma imprevisto (e, dunque, sopravvenuto rispetto al momento della stipula del contratto di comodato) ed urgente, senza che rilevino bisogni non attuali, né concreti o solo astrattamente ipotizzabili. Ne consegue che non solo la necessità di un uso diretto ma anche il sopravvenire d’un imprevisto deterioramento della condizione economica del comodante – che giustifichi la restituzione del bene ai fini della sua vendita o di una redditizia locazione – consente di porre fine al comodato, ancorché la sua destinazione sia quella di casa familiare, ferma, in tal caso, la necessità che il giudice eserciti con massima attenzione il controllo di proporzionalità e adeguatezza nel comparare le particolari esigenze di tutela della prole e il contrapposto bisogno del comodante”.

Si tratterebbe pertanto di un comodato che non può ritenersi “precario” ex art. 1810 cc bensì deve considerarsi “ordinario” e quindi regolato dagli artt. 1809 e ss cc, conseguentemente il comodante, al verificarsi della frattura dell’unione ed in presenza di un provvedimento di assegnazione della casa familiare concessa in comodato, non ne può richiedere la restituzione, salvo che non provi un imprevisto bisogno sopravvenuto successivamente rispetto alla stipula del contratto di comodato e urgente che ai sensi dell’art. 1809 c.c. legittimerebbe la richiesta restituzione.

Di fatto sull’immobile si imprime un vincolo di destinazione alle esigenze abitative familiari non soltanto a titolo personale del comodatario, ma dell’intera famiglia. Quindi il comodato senza determinazione di durata deve considerarsi sorto per un uso determinato e dunque per un tempo determinabile per relationem, da individuarsi in considerazione della destinazione a casa familiare, indipendentemente dall’insorgere di una crisi coniugale.

Il proprietario comodante sarà quindi tenuto a consentire la continuazione del godimento, anche oltre l’eventuale crisi coniugale, salva l’ipotesi di sopravvenienza di un urgente ed imprevisto bisogno ai sensi dell’art. 1809, comma 2, codice civile”.

Avv. Matteo Santini   Studio Cataldi            11 marzo 2019

www.studiocataldi.it/articoli/33863-regime-di-assegnazione-della-casa-familiare.asp

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CENTRO GIOVANI COPPIE SAN FEDELE

Educare al futuro nell’epoca di Internet e del narcisismo

Matteo Lancini – Psicoterapeuta – Presidente Minotauro

11 aprile 2019 – ore 21:00 – 23:00. Piazza San Fedele, 4, Milano

Gli adolescenti odierni sono nati e cresciuti in una società complessa, caratterizzata, tra le altre cose, dalla trasformazione dei modelli educativi familiari, dall’avvento dei social media e dalla diffusione di modelli ideali straordinariamente elevati. Per questi motivi è fondamentale, ma non sempre semplice, riuscire a comprendere quando il comportamento dell’adolescente rappresenta una forma di adattamento alla complessità e al futuro che li aspetta e quando, invece, segnala un disagio o l’esordio di una psicopatologia. Nell’epoca di internet e del narcisismo, i ragazzi e le ragazze sono chiamati ad affrontare la sofferenza derivante dalla distanza incolmabile tra ciò che si aspettavano di diventare e ciò che realmente sono diventati con le trasformazioni portate in dote dai cambiamenti corporei e psichici adolescenziali. Meno opposizione e più delusione: questa è la caratteristica distintiva degli adolescenti che non si sentono mai abbastanza belli e popolari.

            Matteo Lancini è uno psicologo e psicoterapeuta di formazione psicoanalitica. Presidente della Fondazione “Minotauro” di Milano e dell’AGIPPsA (Associazione Gruppi Italiani di Psicoterapia Psicoanalitica dell’Adolescenza) e docente presso il Dipartimento di Psicologia dell’Università Milano-Bicocca e presso la Scuola di formazione in Psicoterapia dell’adolescente e del giovane adulto Arpad-Minotauro.

All’interno del Minotauro coordina la sezione Adolescenti del Centro di consultazione e psicoterapia e l’équipe Dipendenze tecnologiche. È prevalentemente impegnato in attività di consultazione e psicoterapia con gli adolescenti e i loro genitori e nella realizzazione di interventi di prevenzione e formazione in ambito scolastico e sociosanitario. Negli ultimi anni la sua ricerca si è focalizzata sui nativi digitali e sulle problematiche connesse all’utilizzo di internet.

 www.centrogiovanicoppiesanfedele.it/events/educare-al-futuro-nellepoca-di-internet-e-del-narcisismo

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CENTRO INTERNAZIONALE STUDI FAMIGLIA

Newsletter CISF – n. 12, 27 marzo 2019

“La forza di Cecilia, bimba down. A 4 anni ha battuto la leucemia” di Rosella Redaelli (19 marzo 2019). I commenti sono superflui, davanti alla storia qui raccontata, che parla di bambini speciali curati con amore, di ospedali che sanno accogliere i piccoli e i loro genitori, e di giovani genitori, poco più che trentenni, che sanno “resistere nella circostanza quotidiana”, con coraggio, solidità e capacità di farsi aiutare. Altro che bamboccioni: uomini e donne resistenti, adulti, e grati per il dono, difficile ma grande, di una bambina down.

https://milano.corriere.it/digital-edition/CORRIEREFC_MILANO_WEB/2019/03/19/12/pla-forza-di-cecilia-bimba-down-a-4-anni-ha-battuto-la-leucemia-p_U311015097081199H.shtml

Family international monitor [EN].                                       www.familymonitor.net/?lang=en

Osservatorio Internazionale sulla Famiglia [IT]. Si è svolto giovedì 21 marzo alle ore 11.00 presso il Pontificio Istituto Teologico «Giovanni Paolo II» per le Scienze del Matrimonio e della Famiglia, un evento di presentazione dell’Osservatorio Internazionale della Famiglia, iniziativa proposta dall’Istituto in cooperazione con l’Università Cattolica San Antonio di Murcia e il CISF Centro Internazionale Studi Famiglia di Milano. Il progetto, presentato lo scorso 6 dicembre 2018 alla Sala Stampa Vaticana, mira ad attuare una ricerca scientifica a livello internazionale sulla condizione concreta delle famiglie nei diversi contesti sociali, culturali ed economici. L’indagine si svolgerà lungo un arco temporale di 3 anni (2019-2021) e sarà scandita dalla realizzazione di due report su famiglia e povertà relazionale e famiglia e povertà economica, direttrici fondamentali che guideranno tutta la ricerca sul tema. La ricerca è portata avanti da diversi Istituti e Facoltà Universitarie del Benin, Kenya, Argentina, Cile, Messico, Stati Uniti d’America, Italia, Spagna, Finlandia, Slovacchia, Repubblica Ceca, Cina, Hong Kong e Qatar. Hanno già aderito al progetto, insieme a Caritas Internationalis, anche diverse Caritas nazionali come Tunisia, Lettonia, Perù, India, Zambia, Turchia e Burkina Faso. L’Osservatorio è un prezioso strumento voluto da Papa Francesco per “tenere i piedi per terra” e riportare la famiglia nella “cabina di regia della storia”. Per una breve descrizione si possono ascoltare le interviste a Mons. Vincenzo Paglia e a Francesco Belletti.       

www.vaticannews.va/it/chiesa/news/2019-03/osservatorio-paglia-famiglia-cabina-regia-storia.html

Altre informazioni sul metodo che si intende attuare sono contenute nell’intervista a F. Belletti su RadioInBlu (audio)

www.radioinblu.it/2019/03/21/presentato-a-roma-presso-il-pont-ist-teologico-giovanni-paolo-ii-losservatorio-internazionale-per-la-famiglia

                                                                   

Famiglie e coppie coniugate e conviventi: “lo svantaggio dell’instabilità”. Una recente indagine in 11 Paesi “mostra che un’ampia quota di coppie conviventi non coniugate con figli minori ritiene che la loro relazione attuale non durerà per sempre, in percentuale superiore rispetto alle coppie coniugate. Inoltre, tra i genitori conviventi e non coniugati in molte nazioni è maggiore la quota di chi NON considera la loro relazione come una parte vitale della propria vita”. L’indagine è stata realizzata dal 13 al 25 settembre 2018, su un campione di 16.478 adulti tra i 18 e i 50 anni, in undici nazioni: Argentina (668), Australia (2.420), Canada (2.200), Cile (1.240), Colombia (620), Francia (1.215), Irlanda (2.420), Messico (677), Perù (645), Regno Unito (2.344), Stati Uniti (2.025)

https://ifstudies.org/ifs-admin/resources/ifs-globalcohabbrief-final-1.pdf

“Women & digital job in europe 2018” (Donne e lavoro digitale in Europa – 2018″). Instant book presentato negli Uffici del Parlamento europeo a Bruxelles all’inizio di marzo

www.patriziatoia.info/images/ebooks/Women_Digital_Jobs_in_Europe.pdf

Pochi lo sanno ma la prima programmatrice di computer al mondo si chiamava Ada Lovelace Byron.  Durante la prima metà dell’Ottocento, fu lei a rendere programmabile la “macchina analitica” e a prefigurare il concetto di intelligenza artificiale. Purtroppo però poi la storia della tecnologia digitale è stata una storia essenzialmente di uomini, una tendenza che sta cambiando ma troppo lentamente, vista la centralità del mondo tecnologico. Le tecnologie informatiche offrono enormi possibilità per le donne e per la parità di genere, ma insieme alle possibilità ci sono anche molti rischi. Si pensi ad esempio al cyberbullismo sessista. Si tratta di tematiche molto importanti su cui al Parlamento europeo a Bruxelles abbiamo voluto confrontarci con le protagoniste e le esperte del mondo digitale italiano e europeo, per raccoglierne le idee, i suggerimenti e le critiche”.

v  La notizia merita un collegamento ad un recente film statunitense, il diritto di contare: una splendida storia, ispirata a fatti reali, di progressiva emancipazione dalle irragionevoli ma potenti discriminazioni che devono subire donne che lavorano con i numeri, in un ambiente soprattutto maschile, dove i bianchi comandano e i neri sono discriminati, e tutti devono fare i conti con l’arrivo del primo computer IBM, destinato a sostituire decine e decine di persone che “fanno i conti”.

www.youtube.com/watch?v=LrM27IHgrpI

Il diritto del minore a crescere in famiglia. Conviene riscoprirlo. Interessante e preciso, questo intervento in tema di diritti del minore e di accoglienza familiare, in margine ad alcune riflessioni recentemente proposte durante un convegno promosso dalla Commissione Adozioni Internazionali, organismo  istituzionale della Presidenza del Consiglio per la promozione e la vigilanza sull’adozione internazionale nel nostro Pese (il parere è espresso da Joëlle Long, consulente giuridico della CAI e ricercatrice presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Torino [“Esiste nel diritto internazionale un diritto del minore a crescere in famiglia?”

www.commissioneadozioni.it/media/1558/diritto-del-minore-a-crescere-in-famiglia_long.pdf

Dalle case editrici

  • Attwood Tony, Guida completa alla Sindrome di Asperger, Edra, Milano, 2019, pp. 506, € 45,00
  • Brady Mary T., Coinvolgimenti analitici con gli adolescenti. Sessualità, genere e sovversione, Astrolabio, Roma, 2018, pp. 162, € 16,00
  • Chiodi Maurizio, Coscienza e discernimento. Testo e contesto del capitolo VIII di Amoris lætitia, San Paolo, Cinisello B. (MI), 2018, pp. 172, € 22,00

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Rosina Alessandro, Il futuro non invecchia, Vita e Pensiero, Milano, 2018, pp. 93, € 12,00. Ci avviamo, in Italia e in Europa, verso un mondo con sempre meno giovani e sempre più anziani: lo dicono con cruda evidenza i numeri delle statistiche demografiche. È l’esito di un processo che ha conosciuto una straordinaria accelerazione negli ultimi decenni, anche grazie alla scienza e alla tecnologia che hanno consentito una forte diminuzione della mortalità infantile e un aumento considerevole della longevità, soprattutto in Occidente. Ma a questi fattori va poi sommata una drastica caduta della natalità, ben al di sotto del tasso che garantirebbe il rinnovo generazionale. Per questo, il nostro futuro dovrà necessariamente fare i conti con le sfide di questo inedito paesaggio antropologico, economico e sociale.

Questo breve ma denso saggio del noto demografo Alessandro Rosina invita ad affrontarle a viso aperto, senza cedere a suggestioni apocalittiche, bensì valorizzando il potenziale di tutti i soggetti coinvolti. Il corso della vita, infatti, va attivamente coltivato in tutti i suoi stadi – dall’infanzia all’età anziana – con lucidità e lungimiranza, tenendo viva la tensione verso un futuro da costruire con fiducia.

Snodo decisivo di questo processo è la valorizzazione del potenziale delle giovani generazioni. Ad esse andrebbe passato il testimone, riconoscendo davvero, attraverso adeguati percorsi formativi ed efficaci politiche del lavoro, il protagonismo che spetta loro di diritto. Un futuro che non invecchia ha la sua condizione fondamentale proprio in questa alleanza tra le generazioni. Per darcene un’idea, l’autore rivisita in tale prospettiva dieci parole-chiave che iniziano con la “f” di futuro: forza/fragilità, formazione, fare, fallimento, fiducia, famiglia, facebook, femminile, fede, felicità. Abbiamo davvero bisogno di riscoprirne il senso per appoggiarvi la nostra speranza.

Save the date                                 

  • Nord: L’operatore di fronte alla grave conflittualità familiare e alla violenza assistita. Spunti per l’Intervento, seminario formativo promosso da CTA (Centro Terapia Adolescenza) Trento, 30 marzo 2019.                                  http://www.centrocta.it/newsletter/Seminario_Trento_CTARangone.pdf
  • Nord: Costruire comunità, generare autonomia. Dalla responsabilità personale alla corresponsabilità professionale, 35.o Convegno DISAL (Dirigenti Scuole Autonome e Libere), Milano, 28-30 marzo 2019. www.disal.it/Resource/ProgrammaConvegnoDiSALMilano2019def.pdf
  • Nord: “Le parole fanno più male delle botte”. Prevenire e gestire casi di cyberbullismo, iniziativa promossa dal Centro per la Famiglia e dall’Istituto Comprensivo Statale di Casier, Treviso, 9-10 aprile 2019

www.iccasier.edu.it/offerta-formativa/progetti/salute/notizie/377-le-parole-fanno-piu-male-delle-botte

  • Centro La comunità generativa. L’accompagnamento della persona con disabilità alla vita cristiana, convegno nazionale promosso dal Settore per la Catechesi delle Persone Disabili dell’Ufficio Catechistico Nazionale della CEI, Sacrofano (RM), 25-27 aprile 2019.

https://catechistico.chiesacattolica.it/wp-content/uploads/sites/11/2019/02/15/Depliant-01.pdf

  • Centro: Festival nazionale dell’economia civile, prima edizione, promosso da Federcasse, NexT e Scuola di Economia Civile, Firenze, 29-31 marzo 2019.

https://eventi.festivalnazionaleeconomiacivile.it/home/eventi

  • Centro:Insieme a scuola si può,Le Linee guida per il diritto allo studio delle alunne e degli alunni fuori dalla famiglia di origine”, convegno nazionale promosso da ANFAA (Associazione Nazionale Famiglie Adottive e Affidatarie), Firenze, 13 aprile 2019.

www.minoritoscana.it/sites/default/files/convegno_Anfaa.pdf

  • Sud: Quando educare è più difficile… nell’Era del Digitale, XXXVI congresso C.N.I.S. nazionale (Associazione per il Coordinamento Nazionale degli Insegnanti Specializzati e la ricerca sulle situazioni di Handicap), con il patrocinio dell’Università degli Studi di Cagliari, Cagliari, 12-13 aprile 2019.                         http://www.cnis.it/wp-content/uploads/2018/10/Programma-definitivo.pdf
  • Estero: 4th International Symposium: ICF Education (Quarto Simposio Internazionale di Formazione sull’ICF- International Classification of Functioning, Disability and Health  Kuwait City, 6-7 aprile 2019.                   www.cnis.it/wp-content/uploads/2018/10/Programma-definitivo.pdf

www.slideshare.net/ICFEducation/draft-programme-4th-international-symposium-icf-education

Iscrizione                http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/newsletter-cisf.aspx

Archivio        http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/elenco-newsletter-cisf.aspx

http://newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/marzo2019/5116/index.html

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CHIESA CATTOLICA

Esortazione post-sinodale “Christus vivit”

Da Roma a Loreto, passando per la Giornata mondiale della Gioventù a Panama, con un’unica destinazione: i giovani di tutto il mondo. L’Esortazione apostolica post-sinodale, in forma di Lettera ai giovani, che oggi, 25 marzo 2019, il Papa firma ed affida alla Vergine Maria durante la sua visita a Loreto, ha un lungo cammino alle spalle, percorso grazie alla “bussola” di Cristo. “Vive Cristo, esperanza nuestra” è infatti l’incipit del testo originale in spagnolo del documento, che verrà pubblicato, il prossimo 2 aprile 2019.

Gennaio 2017: la Lettera del Papa ai giovani. Ma la prima pagina di tale documento, in un certo qual modo, Papa Francesco l’ha scritta il 13 gennaio 2017: quel giorno, viene pubblicato il Documento preparatorio del Sinodo ed il Pontefice decide di accompagnarlo con una Lettera in cui invita i giovani lanciarsi “verso un futuro non conosciuto, ma portatore di sicure realizzazioni”, sempre accompagnati da Dio. Così, infatti, il Pontefice scriveva ai ragazzi due anni fa: “Un mondo migliore si costruisce anche grazie a voi, alla vostra voglia di cambiamento e alla vostra generosità. Non abbiate paura di ascoltare lo Spirito che vi suggerisce scelte audaci, non indugiate quando la coscienza vi chiede di rischiare per seguire il Maestro. Pure la Chiesa desidera mettersi in ascolto della vostra voce, della vostra sensibilità, della vostra fede; perfino dei vostri dubbi e delle vostre critiche. Fate sentire il vostro grido, lasciatelo risuonare nelle comunità e fatelo giungere ai pastori”.

Settembre 2017: il Seminario internazionale sulla condizione giovanile. L’invito del Papa viene raccolto dal “Seminario internazionale sulla condizione giovanile nel mondo”, organizzato a Roma, nel settembre 2017, dalla Segreteria generale del Sinodo. Numerosi i temi afferenti la gioventù che vengono discussi durante i lavori: dalle migrazioni alla disoccupazione, dall’impegno sociale a quello politico, dallo sviluppo delle tecnologie alla fede. Alla fine, la voce dei giovani si leva chiaramente: “Siamo una famiglia – dicono – ascoltiamoci e cresciamo insieme”. Ciò evidenzia il desiderio dei ragazzi di trovare nella Chiesa una casa, una famiglia, una comunità dove poter maturare le proprie scelte di vita e contribuire al bene comune.

Marzo 2018: la Riunione pre-sinodale. A tale auspicio, il Pontefice risponde direttamente nel marzo 2018, nell’ambito della Riunione pre-sinodale svoltasi a Roma, presso il Pontificio Collegio internazionale “Maria Mater Ecclesiae”: circa 300 i giovani presenti fisicamente, mentre altri 15mila partecipano attraverso i social-media. A tutti loro, il Papa chiede di osare “sentieri nuovi”, uscendo alla logica del “si è sempre fatto così” per stare, invece, in modo creativo nel solco della tradizione cristiana autentica. Il cuore della Chiesa è giovane, ribadisce Francesco, e i giovani “vanno presi sul serio”: non bastano le analisi sul loro mondo, ma serve interpellarli direttamente, anche quando parlano con “la faccia tosta”. “Se mancate voi, ci manca parte dell’accesso a Dio”, dice il Papa ai ragazzi, esortandoli ad essere “giovani profeti” con radici solide, basate sull’esperienza degli anziani e dei nonni.

La Domenica delle Palme 2018. I frutti della Riunione pre-sinodale vengono raccolti in un documento conclusivo che il 25 marzo 2018, Domenica delle Palme e Giornata diocesana della gioventù, viene consegnato nelle mani del Papa, in Piazza San Pietro. “In questo documento – spiegano i ragazzi al Pontefice – Le consegniamo la nostra vita e i desideri più profondi del nostro cuore. Fiduciosi del fatto che la Chiesa continui ad ascoltare la voce dei giovani”. Ed è questo, infatti, che i ragazzi auspicano: una Chiesa che sia testimone vivente di ciò che insegna, che non li consideri troppo piccoli per essere protagonisti della contemporaneità; una Chiesa inclusiva, accogliente, misericordiosa e tenera, che sappia anche ammettere i propri errori ed abbia “l’umiltà di chiedere perdono”. Una Chiesa che incontri i giovani là dove essi vivono, anche nel cosmo digitale, e che li accompagni nella costruzione di un “mondo di pace, che tenga insieme ecologia integrale ed economia globale sostenibile”.

Giugno 2018: l’Instrumentum Laboris in 7 parole-chiave. L’Instrumentum Laboris del Sinodo, poi, presentato alla stampa il 19 giugno 2018, raccoglie tutte queste richieste, integrandole con oltre centomila risposte date dai giovani al Questionario on line lanciato, nei mesi precedenti, dalla Segreteria generale del Sinodo. Sette, soprattutto, le parole-chiave che emergono dall’Instrumentum: ascolto, accompagnamento, conversione, discernimento, sfide, vocazione e santità. Si tratta di principî basilari che i ragazzi cercano nella Chiesa, affinché sia “autentica”, brilli per “esemplarità, competenza, corresponsabilità e solidità culturale” e condivida con i giovani stessi una vita vissuta alla luce del Vangelo. L’auspicio è che la Chiesa sia “meno istituzionale e più relazionale, capace di accogliere senza giudicare previamente, amica, prossima, misericordiosa”.

Ottobre 2018: il Documento finale del Sinodo. Le tematiche contenute nell’Instrumentum Laboris diventano, così, la “road-map” del Sinodo sul tema “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale” che si svolge in Vaticano nell’ottobre 2018 e che vede molti ragazzi prendere la parola in Aula. Le loro riflessioni, le loro testimonianze, i loro forti appelli confluiscono nel Documento finale dei lavori, il cui filo-rosso è l’episodio dei discepoli di Emmaus, narrato nel Vangelo di Luca. Accompagnamento e ascolto empatico, infatti, sono tra i tratti essenziali che i ragazzi richiedono alla Chiesa, insieme al rafforzamento di scuole e parrocchie, e all’attenzione a questioni cruciali come quella dei migranti, “paradigma del nostro tempo”. Il documento finale richiama, inoltre, l’importanza di un impegno fermo della Chiesa contro tutti i tipi di abuso, per fare verità e chiedere perdono. Centrali anche la sottolineatura della famiglia, “Chiesa domestica” e prima comunità di fede; l’esortazione alla promozione della giustizia contro la cultura dello scarto; l’invito a valorizzare al meglio le “risorse pastorali” offerte da arte, musica e sport e ad abitare il mondo digitale, promuovendone le potenzialità comunicative in vista dell’annuncio cristiano. Il documento finale esorta, inoltre, a riconoscere e valorizzare le donne nella società e nella Chiesa, così come a far scoprire ai giovani che la sessualità è un dono, offrendo loro “una parola chiara, umana ed empatica”. Il tutto con “sinodalità”, ovvero con quello stile per la missione che sprona a passare dall’io al noi.

Gennaio 2019: la Gmg di Panama. E sono, infatti, tanti i “noi giovani” che a gennaio di quest’anno incontrano Papa Francesco a Panama, in occasione della 34.ma Giornata mondiale della gioventù. Così come accaduto a Rio de Janeiro nel 2013, quando li esortava a “fare chiasso”, ovvero a farsi sentire, ora il Pontefice invita i ragazzi a darsi da fare in modo attivo e creativo nella Chiesa e nel mondo, mettendo a frutto la loro “energia rinnovatrice” per essere “testimoni del Vangelo”: “Vogliamo trovare e risvegliare insieme a voi la continua novità e giovinezza della Chiesa aprendoci sempre a questa grazia dello Spirito Santo che tante volte opera una nuova Pentecoste. E questo è possibile solo se, come abbiamo da poco vissuto nel Sinodo, sappiamo camminare ascoltandoci e ascoltare completandoci a vicenda, se sappiamo testimoniare annunciando il Signore nel servizio ai nostri fratelli, che è sempre un servizio concreto”.

Marzo 2019: l’Esortazione apostolica. Oggi, dunque, a distanza di due anni dalla prima Lettera ai giovani, il Papa affida alla Vergine Lauretana l’Esortazione apostolica post-sinodale, sempre in forma di Lettera: un segno concreto di quell’ascolto, di quel dialogo e di quel camminare insieme auspicato dai partecipanti al Sinodo.

Isabella Piro – Città del Vaticano    Vaticannews   25 marzo 2019

www.vaticannews.va/it/papa/news/2019-03/esortazione-apostolica-genesi-papa-francesco-loreto-paplor.html

 

Il Parroco prudente e la Bussola imp(r)udente.

Sulle aperture ecumeniche di Don Giuseppe Grampa a Milano

Nella coscienza ecclesiale sta maturando, gradualmente ma in modo irreversibile, una diversa comprensione delle “differenze” tra i cristiani. Ciò che per secoli abbiamo vissuto come contraddizione e come errore, come un “aut” “aut”, da qualche decennio inizia ad essere letto e vissuto come opportunità e come ricchezza, come un “et” “et”: così quella che appariva come pericolosa negazione della comunione inizia ad essere percepita come ricchezza differenziata nella comunione.

            In questo cammino, fatto di documenti innovatori e di pratiche inconsuete, le diverse confessioni cristiane hanno iniziato a camminare, in modo non uniforme e con evidenti resistenze.

            Qualche settimana fa a Milano una celebrazione cattolica, con la presenza all’ambone e presso l’altare di una Pastora battista, ha suscitato reazioni violente da parte di un blog (Nuova Bussola Quotidiana) che si è abituato a confondere la tradizione cattolica con un “monolite immutabile”. Così un articolo, male intenzionato e peggio argomentato, ha potuto valutare le aperture del parroco Don Giuseppe Grampa come una negazione della verità cattolica, come una eresia, come un grave delitto, come uno scandalo.

http://lanuovabq.it/it/il-don-si-difende-messa-con-la-pastora-nulla-di-strano

https://anticattocomunismo.wordpress.com/2019/01/28/la-pastora-celebra-messa-ecumenismo-no-profanazione/#more-21465

            Alla risposta del Parroco, apparsa sul bollettino parrocchiale di marzo, il blog ha pensato bene di controreplicare con ancora maggiore durezza, quasi inscenando un piccolo “tribunale della inquisizione”, in cui ha sottoposto al parroco una singolare “Professione di fede cattolica” – costruita malamente con frasi tratte senza discernimento dal Concilio di Trento (1551) e da una istruzione della Congregazione del culto divino, “Redemptionis Sacramentum” (2004) – alla quale professione di fede, secondo il giudizio azzardato della scrivente, il Parroco avrebbe dovuto rispondere semplicemente “sì” o “no”.

            A me pare che proprio questo modo “rozzo” di porre le questioni dimostri la mancanza di cultura teologica e di aggiornamento ecclesiale di questi “corrispondenti romani”, che pensano di scrivere vivendo nel 1915 o nel 1932, e ritengono forse che siano ancora vigenti le condanne del Sillabo o la “messa all’indice” delle Operette morali di Giacomo Leopardi. Da più di mezzo secolo, però, anzitutto nei rapporti ecclesiali, molte cose sono cambiate e devono essere accuratamente considerate, per affrontare con correttezza tutta la questione. Provo a presentare qui brevemente i cambiamenti più rilevanti, di cui la replica sgarbata al Parroco Don Giuseppe non tiene conto alcuno:

a)      Il cammino di confronto ecumenico ha contribuito a riconoscere che l’”oggetto della scomunica” di 500 anni fa non corrisponde più alla posizione del “nemico”, ma solo alla rappresentazione che la controparte se ne era fatta, 5 secoli prima, sotto la pressione della polemica. Quello che i cattolici dicevano dei protestanti, e che i protestanti dicevano dei cattolici, non era fedele alla realtà dell’altro. Anzitutto sulla dottrina della giustificazione, ma anche in campo sacramentale, abbiamo oggi maturato, da entrambe le parti, una comprensione più equilibrata delle buone ragioni proprie nonché di quelle altrui. E oggi riconosciamo anche volentieri i limiti delle nostre visioni insieme ai pregi di quelle altrui. E così fanno pure gli altri.

b)      Il confronto teorico, tra cattolicesimo e protestantesimo, è diventato anche “prassi di preghiera comune”. In questi casi, come è evidente, valgono delle regole di ospitalità che permettono di incontrare coloro che appartengono a tradizioni diverse da quella cattolica, mediante alcuni accorgimenti del processo rituale e della rappresentanza ecclesiale, che sono giustificati, precisamente, dalla rilevanza dell’interlocutore. L’interesse per l’altro giustifica la selezione da operare nelle pretese di uniformazione. E rende possibile anche ciò che prima era considerato o irreale o impensabile.

c)      Questa prassi ecclesiale, che prevede di accogliere l’altro e di farsi accogliere dall’altro, mediante una serie di “azioni e parole condivise”, chiede evidentemente a ciascuno di “lasciarsi convertire dall’incontro con l’altro che è diverso. Come accade in ogni altra esperienza della vita, anche qui, colui che per tradizione è diventato “diverso da me” può essere incontrato solo nel “credito di fiducia” e non nel sospetto, nell’apertura di cuore e non nella chiusura della mente. Un supplemento di umanità e di buon senso rende disponibili a ciò che, per principio, potrebbe essere semplicemente escluso.

d)      Per costruire una comunione ecclesiale ed eucaristica nel futuro comune delle chiese cristiane occorre anzitutto uscire da una logica dominata dai “canoni di condanna” e dalla rilevazione degli “abusi liturgici”. Si tratta di “linguaggi ecclesiali” che non costruiscono ponti, ma muri. Se per cercare di comprendere quello che ha fatto con tanta saggezza il parroco di S. Giovanni in Laterano a Milano si utilizza solo un testo di 500 anni fa, in cui la parola più usata è “anathema sit”, e un documento recente che si preoccupa solo di rilevare gli “abusi” della celebrazione eucaristica cattolica, si commette un errore di metodo e di stile quasi imperdonabile. E’ come guardare una partita di calcio facendo attenzione soltanto a quanto “si sporcano” i giocatori col fango, o a quante “parolacce” dicono durante il gioco. La prospettiva è distorta, non coglie il centro e genera mostri.

e)      Va aggiunto, inoltre, che il tono avvocatesco, nel quale cade la giornalista volonterosa, è l’inevitabile conseguenza di un uso sprovveduto delle fonti e della mancanza di un minimo di conoscenza delle tradizione altrui. E’ vero che per secoli abbiamo conosciuto del protestantesimo solo ciò che era stato oggetto di condanna cattolica. Ma oggi, con tutto il cammino compiuto, soltanto il pregiudizio verso la identità dell’altro, la sua riduzione alle nostre antiche o recenti definizioni riduttive, ci permette di guardarlo solo con diffidenza e con ostilità, e di coinvolgere in questo sguardo chiunque non lo combatta apertamente, o addirittura voglia “celebrare” con lui. Vedendo gli altri solo come “minacce”, si parte lancia in resta contro ogni apertura. E brandendo il nostro “canone tridentino” pretendiamo di fermare la storia al 1551.

f)       Questo atteggiamento pieno di pregiudizi può essere superato anzitutto con uno “sguardo diverso”. Le gravi divisioni che hanno turbato e sfigurato il corpo della Chiesa, in questi ultimi secoli, ci chiedono oggi un mutamento anzitutto dello sguardo e dell’atteggiamento. L’altro cristiano – luterano, battista, valdese o anglicano che sia – con la sua differenza di tradizione, di dottrina e di prassi, più che rappresentare per noi un rischio appare invece come una opportunità. Incontrarlo sbandierando il catalogo dei “suoi” errori impedisce di riconoscere lui e travisa anche la nostra identità. Noi non siamo anzitutto un catalogo degli errori altrui. Con il metodo adottato dall’articolo di nbq non sfiguriamo quindi soltanto gli altri, e di questo dovremmo scusarci con loro, ma anzitutto sfiguriamo noi stessi e la nostra stessa tradizione. Non riesco proprio a ritrovare l’autentico cattolicesimo in questa caccia alle streghe protestanti.

Per questo ritengo che Don Giuseppe Grampa, per come ha proceduto sul piano operativo, e anche per come ha spiegato pacatamente la sua azione sul bollettino della Parrocchia, si sia mosso con quella prudenza della profezia che sa bene come, in determinate circostanze della storia, l’unica forma di azione che sia all’altezza di onorare la tradizione in modo davvero prudente non consiste nel restare fermi e sospettosi, per difendersi dalla minaccia dell’altro, ma sta nel muoversi, agire, costruire ponti, porre precedenti, dare fiducia e uscire all’aperto. Chiedere ad un Parroco di rispondere “sì” o “no” alle proposizioni tridentine, per iniziative avvenute nel 2019, è anzitutto un modo di essere imprudenti (oltre che impudenti). Direi che è un modo di essere spudoratamente imprudenti. Prudenza dottrinale vuole che noi ci accolliamo una riformulazione di quelle prospettive tridentine, che sono da pensare in un mondo diverso e in una chiesa diversa da quella di 500 anni fa. Se non si tiene conto della storia, del cammino delle chiese, della nostra come delle altre, si cade facilmente in una cecità altamente rischiosa, proprio sul piano della dottrina: questa è la imprudenza che scaturisce allo stesso tempo dalla rigidità dottrinale e dalla indifferenza verso l’altro. La dottrina diventa una pietra e l’altro un bersaglio. Rispetto a questa possibilità imprudente, occorre dare invece il primato alla prudenza della relazione, al rischio della apertura e alla viva immaginazione di una Chiesa in uscita, che sa leggere i segni dei tempi, senza paura e con lungimiranza. Su questa linea, che si è aperta ormai da più di 50 anni, ha saputo muoversi in modo prudente e convincente l’azione pastorale ed ecumenica di Don Giuseppe Grampa. Con vero stile cattolico.

P.S. La prof. Maria Cristina Bartolomei, presente alla celebrazione oggetto della discussione, ha inviato la seguente precisazione, che mi pare aggiungere un dettaglio non irrilevante per giudicare al meglio la prudenza del Parroco. Ecco il testo:

“Un sentito ringraziamento ad Andrea per questa pacata riflessione di ampio respiro in una prospettiva vasta e positiva. La migliore “replica” alla scimmiottatura di processo inquisitoriale. Solo una piccola precisazione fattuale. La Pastora non è mai stata all’altare. È stata in presbiterio, in fondo, dove ci sono le sedie per celebrante e chierichetti, accanto a don Giuseppe, durante la liturgia della Parola. Di lì si è spostata per andare all’ambone a tenere l’omelia. Quando poi don Giuseppe si è avvicinato all’altare per la liturgia eucaristica, la Pastora è rimasta al posto che occupava prima, a tre -quattro metri di distanza dall’altare. E si è spostata di nuovo solo per distribuire la Comunione. È un particolare che appare intenzionalmente e consapevolmente alterato nelle varie denunce e accuse. Perché chi era presente ha visto chiaramente. Non che la vicinanza fisica all’altare sarebbe stata di per sé scandalosa. Ma avrebbe potuto venire fraintesa. E non c’è stata. Questo fa temere malafede e non solo sprovveduta e impudente imprudenza in chi ha attaccato l’operato di don Giuseppe. Cari saluti, Maria Cristina

www.cittadellaeditrice.com/munera/il-parroco-prudente-e-la-bussola-imprudente-sulle-aperture-ecumeniche-di-don-giuseppe-grampa-a-milano

 

Protezione dei minori e delle persone vulnerabili. “In Vaticano la montagna ha partorito il topolino”

Porta la data del 26 marzo 2019 la Lettera apostolica in forma di motu proprio sulla protezione dei minori e delle persone vulnerabili promulgata da papa Francesco al fine di «rafforzare ulteriormente l’assetto istituzionale e normativo per prevenire e contrastare gli abusi contro i minori e le persone vulnerabili».

            All’inizio del documento si legge: «La tutela dei minori e delle persone vulnerabili fa parte integrante del messaggio evangelico che la Chiesa e tutti i suoi membri sono chiamati a diffondere nel mondo». Proprio per questo motivo, tra gli obiettivi figurano i seguenti: «maturi in tutti la consapevolezza del dovere di segnalare gli abusi alle Autorità competenti e di cooperare con esse nelle attività di prevenzione e contrasto; sia efficacemente perseguito a norma di legge ogni abuso o maltrattamento contro minori o contro persone vulnerabili; sia riconosciuto a coloro che affermano di essere stati vittima di sfruttamento, di abuso sessuale o di maltrattamento, nonché ai loro familiari, il diritto ad essere accolti, ascoltati e accompagnati; sia offerta alle vittime e alle loro famiglie una cura pastorale appropriata, nonché un adeguato supporto spirituale, medico, psicologico e legale; sia garantito agli imputati il diritto a un processo equo e imparziale, nel rispetto della presunzione di innocenza, nonché dei principi di legalità e di proporzionalità fra il reato e la pena; venga rimosso dai suoi incarichi il condannato per aver abusato di un minore o di una persona vulnerabile e, al contempo, gli sia offerto un supporto adeguato per la riabilitazione psicologica e spirituale, anche ai fini del reinserimento sociale; sia fatto tutto il possibile per riabilitare la buona fama di chi sia stato accusato ingiustamente; sia offerta una formazione adeguata per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili».

            Nella stesa data il papa ha promulgato la Legge n. CCXCVII sulla protezione dei minori e delle persone vulnerabili e alcune Linee guida che saranno valide ad experimentum per tre anni nello Stato della Città del Vaticano.

            Della nuova normativa parliamo con l’avvocato Laura Sgrò, esperta del settore e legale della famiglia di Emanuela Orlandi, la giovane cittadina vaticana scomparsa nel nulla nel 1983, quando aveva quindici anni, e mai ritrovata.

Che cosa cambia con queste nuove norme? Quali le novità rispetto al passato e quale la filosofia che le ispira?

            «La legge emanata da Sua Santità Papa Francesco è certamente molto dura e inasprisce ulteriormente le pene già vigenti in materia. Al “minore” viene equiparata la “persona vulnerabile”, cioè colui che si trova in stato di infermità, di deficienza fisica o psichica o di privazione della libertà personale che di fatto, anche in modo occasionale, risulta essere limitata nella propria capacità di intendere e di volere o comunque di resistere all’offesa che riceve. I reati sono perseguibili d’ufficio e il termine di prescrizione è di venti anni che, nel caso di persona minore, decorre dal compimento della maggiore età. Ciò certamente consente alla parte offesa di avere il tempo di maturare adeguatamente i fatti e di potere adire poi all’autorità giudiziaria. Chi è abusato ha bisogno di tempo. Nell’imminenza di fatti così odiosi il dolore e lo stordimento sono tali da non consentire alla vittima di ragionare sul da farsi e spesso vi è l’assoluto rifiuto di voler affrontare anche solo verbalmente con le persone più vicine quanto è accaduto. Ampio è il ventaglio di coloro che la legge indica quali “pubblici ufficiali” e cioè persone che hanno l’obbligo di denuncia. È sanzionata l’omissione o il ritardo di denuncia da parte del pubblico ufficiale, con una multa da mille a cinquemila euro. Diversa è la posizione dell’agente o dell’ufficiale di polizia giudiziaria, per il quale è prevista la pena di reclusione fino a sei mesi. Se condivido la necessità di sanzionare l’omissione o la ritardata denuncia, reputo, tuttavia, che le pene comminate avrebbero potuto essere più severe, attesa la gravità dei reati di cui si discute. Chiunque, peraltro, può presentare denuncia per essere venuto a conoscenza di fatti che coinvolgono un minore, fatto salvo giustamente il sigillo sacramentale. Sono state introdotte misure generali di protezione nei confronti del minore ed è stata disciplinata l’audizione dello stesso minore in forma protetta, nei confronti del quale devono essere adottate alcune cautele. La tutela del minore si dispiega anche attraverso la presenza della Direzione di Sanità e Igiene che dispone di un Servizio di accompagnamento per le vittime di abusi. La legge sembra volere accompagnare il minore non solo dal punto di vista giudiziario ma anche psicologico».

            Il motu proprio che porta la data del 26 marzo 2019 era stato annunciato al termine del summit sugli abusi svoltosi in Vaticano nel febbraio scorso. Un summit che, tuttavia, non ha accontentato le associazioni delle vittime, tanto che qualcuno non ha esitato a manifestare indignazione per un incontro giudicato inconcludente. Lei condivide questo giudizio negativo?

            «Il mio appoggio alle vittime di abusi è incondizionato. Peggio di subire un atto di pedofilia vi è solo la morte. Mi chiedo se questa legge debba essere considerata una risposta al summit. Ove lo fosse, tutto dipende da come si vede il bicchiere. Se lo si vede mezzo pieno, la normativa in questione è certamente un primo passo importante, che deve essere di auspicio a una regolamentazione e a un inasprimento di pena nei confronti di quel sacerdote che, in qualunque luogo si trovi, commetta un abuso su un minore. Se si vuole, invece, vedere il bicchiere mezzo vuoto, allora parturient montes, nascetur ridiculus mus. La montagna ha partorito il topolino. La legge in questione, infatti, ha una portata di applicazione assai limitata: è una legge dello Stato. Riguarda solo lo Stato della Città del Vaticano, non la pedofilia nella Chiesa e si applica esclusivamente ai reati alternativamente commessi: a) nel territorio dello Stato della Città del Vaticano, b) in pregiudizio di residenti o di cittadini dello Stato; c) in occasione dell’esercizio delle loro funzioni, dai pubblici ufficiali dello Stato della Città del Vaticano. Ai pubblici ufficiali ai fini della legge penale vaticana sono, poi, equiparati: a) i membri, gli officiali e i dipendenti dei vari organismi della Curia Romana e delle Istituzioni ad essa collegate; b) i legati pontifici ed il personale di ruolo diplomatico della Santa Sede; c) le persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione, nonché coloro che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo, degli enti direttamente dipendenti dalla Santa Sede ed iscritti nel registro delle persone giuridiche canoniche tenuto presso il Governatorato dello Stato della Città del Vaticano; d) ogni altra persona titolare di un mandato amministrativo o giudiziario nella Santa Sede, a titolo permanente o temporaneo, remunerato o gratuito, qualunque sia il suo livello gerarchico. 

Certo, cosa diversa – e assolutamente rivoluzionaria – sarebbe stata se anche i sacerdoti fossero stati equiparati ai pubblici ufficiali. In quel caso ogni abuso perpetrato a danno di un minore da un sacerdote sarebbe stato giudicato dalle autorità vaticane, risultando indifferente il luogo della commissione del delitto. Ma mi rendo ben conto che la rivoluzione una cosa è pensarla e un’altra è realizzarla».

            Chiudiamo con la vicenda di Emanuela Orlandi, che lei, avvocato Sgrò, segue da anni. Ci sono novità da segnalare dopo l’ultima pista, che ha portato a una tomba nel Camposanto Teutonico in Vaticano?

            «Abbiamo appreso in modo ufficiale che la Segreteria di Stato ha autorizzato l’apertura delle indagini. Adesso ci aspettiamo che le indagini portino finalmente a qualche risultato. Intanto anche noi andiamo avanti con le nostre indagini difensive, perché Emanuela non smetteremo mai di cercarla».

Aldo Maria Valli

www.aldomariavalli.it/2019/04/08/protezione-dei-minori-e-delle-persone-vulnerabili-in-vaticano-la-montagna-ha-partorito-il-topolino

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CHIESE EVANGELICHE

Congresso famiglie. La violenza culturale che sta dietro Verona

L’Osservatorio interreligioso sulle violenze contro le donne esprime la sua preoccupazione per la violenza e la discriminazione che emerge dalla convocazione del Congresso mondiale delle famiglie

            A proposito del Congresso Mondiale delle Famiglie che si terrà a Verona, dal 29 al 31 marzo 2019, l’Osservatorio interreligioso sulle violenze contro le donne, di cui fanno parte 22 donne di diverse tradizioni religiose (cristiane protestanti -luterane, metodiste, valdesi, battiste, avventiste, pentecostali -, cattoliche, ortodosse, ebraiche, islamiche, induiste, buddhiste), ha diramato un comunicato stampa in cui esprime preoccupazione per «il carattere ideologico discriminatorio e violento che emerge sia dal testo della convocazione sia dagli interventi preliminari pronunciati dai leader che parteciperanno all’incontro».

            «Siamo profondamente consapevoli del ruolo che il contesto culturale e le tradizioni religiose hanno giocato e giocano ancora nel mantenere in vita la disparità nel rapporto uomo-donna, secondo un sistema gerarchico di dominio maschile che struttura, più o meno visibilmente, l’intera società. Sappiamo che questo è il brodo di coltura da cui scaturiscono le violenze: quelle contro le donne così come tutte quelle che si fondano su ogni prevaricazione e discriminazione. Sappiamo anche che purtroppo la famiglia, idealizzata come luogo degli affetti e della cura, a volte si trasforma nell’incubatrice più pericolosa per l’esercizio di violenze di ogni genere nei confronti delle donne» si legge nel testo. Che prosegue con un’analisi del principio di famiglia naturale che, dice l’Osservatorio, «ha imprigionato le donne per secoli».

            «Ingabbiare l’amore nella cornice della “famiglia naturale”, che esclude le famiglie omoaffettive, pronunciarsi contro una legge come la 194 che ha consentito a molte donne di salvarsi dalla morte causata da interventi clandestini, voler costringere le donne nel ruolo di macchine riproduttive a servizio della nazione, riproporre la “tradizione” come panacea di ogni male senza fare i conti con i dati storici della subalternità in cui le donne sono state relegate per secoli è, a dir poco, intollerabile» prosegue il comunicato, che passa poi a sottolineare quello che definisce «l’aspetto più grave in assoluto» e cioè «la violenza culturale che sta dietro a tutto questo: è l’idea che ci sia un modello unico a cui tutte e tutti devono aderire, che per ognuno e soprattutto per ognuna ci sia un solo ruolo da ricoprire, e non sia ammessa alcuna “diversità” – pericolosa premessa per il rifiuto della/del “diversa/o” che viene da lontano, integrabile solo come schiava/o, magari sessuale.

L’Osservatorio interreligioso sulle violenze contro le donne vuole impegnarsi con determinazione e in ogni modo, campo e occasione per contrastare questa ingiustificabile violenza» conclude.

            Nev – Notizie evangeliche 25 marzo 2019

https://riforma.it/it/articolo/2019/03/25/congresso-famiglie-la-violenza-culturale-che-sta-dietro-verona?utm_source=newsletter&utm_medium=email

 

A Verona «Un ordine patriarcale che cerca di imporsi»

La pastora e teologa battista Elizabeth Green: «E’ ora di porre fine alla mistificazione sulla famiglia». A Verona dal 29 al 31 marzo 2019 si terrà il XIII congresso mondiale delle famiglie (World Congress of Families, WCF). Il primo WCF venne organizzato a Praga nel 1997 e dall’edizione di Madrid del 2012 divenne annuale. Negli anni il WCF ha lavorato con numerose reti locali esercitando un’influenza sui governi dei vari paesi e interagendo con gruppi omofobi, antiabortisti, antifemministi e anti-LGBTQI di tutto il mondo. L’organizzazione no profit americana Southem Poverty Law Center, impegnata nella tutela dei diritti delle persone, ha classificato il WCF come “gruppo d’odio”.

            Alla XIII edizione del Congresso parteciperanno relatori da tutto il mondo e anche tre ministri del governo italiano (il ministro dell’Interno e vice presidente del Consiglio Matteo Salvini, il ministro per la famiglia e la disabilità Lorenzo Fontana, il ministro dell’Istruzione Marco Bussetti). Ci saranno Giorgia Meloni, il senatore della Lega Simone Pillon, il presidente della Regione Veneto Luca Zaia e il sindaco di Verona Federico Sboarina.

            L’organizzazione di questo congresso ha già suscitato notevoli polemiche e preoccupazioni per la presenza di oratori che inneggiano alla pena di morte per gli omosessuali, alla criminalizzazione dell’aborto e a altre forme coercitive di espressione delle sessualità, oltre che a una visione dei ruoli familiari che relega la donna essenzialmente fra le mura domestiche.

            Per stimolare una riflessione protestante su questo tema abbiamo intervistato Elizabeth Green, teologa femminista e pastora presso le chiese evangeliche battiste di Cagliari e Carbonia. Tra le sue recenti pubblicazioni per Claudiana ricordiamo: Dal silenzio alla parola. Storie di donne nella Bibbia (2007), Vent’anni di teologia femminista (2011) e Padre nostro? Dio, genere, genitorialità. Alcune domande (2015).

            Il Congresso Mondiale delle Famiglie ha come obiettivo, così come riportato nel loro stesso sito, quello di “affermare, celebrare e difendere la famiglia naturale come sola unità stabile e fondamentale della società”. Cosa ne pensa?

            È ora di porre fine alla mistificazione sulla famiglia. La famiglia cosiddetta naturale è una costruzione socioculturale che è emersa in un certo momento storico e in una certa area geografica. Se fosse “naturale” non sarebbe affatto necessario “affermarlo né difenderla”. Si imporrebbe naturalmente, per così dire.

            Bibbia e famiglia. Che modelli troviamo nelle Scritture e quali sono i modelli che la Riforma e il protestantesimo hanno contribuito a sviluppare?

            Le Scritture ricoprono un arco di tempo notevole e rispecchiano le diverse forme della famiglia presenti anche in aree geografiche diverse. Eviterei di parlare di modelli; ad esempio in alcuni passaggi delle scritture la “gravidanza per altri” sarebbe del tutto accettata come d’altronde la schiavitù. Il messaggio di Gesù invece è dirompente perché mette in discussione la forma vigente di famiglia per crearne un’altra basata non su legami di sangue, ma sulla fedeltà alla sua figura (Marco 3, 31-35). In questa famiglia tutti e tutte hanno piena e pari dignità. In questo modo il messaggio di Gesù dà la possibilità alle donne di sottrarsi a relazioni disuguali e talvolta pericolose. Ovviamente il discorso del rapporto tra Riforma e forme di famiglia è complesso (esistono ottimi studi in materia) ma forse è utile ricordare che il richiamo al Dio totalmente altro fa sì che il protestantesimo esiti prima di dichiarare qualsiasi formazione sociale espressione della volontà di Dio, perché equivarrebbe a commettere idolatria.

            Tutti i punti del congresso delle famiglie (la bellezza del matrimonio, i diritti dei bambini, ecologia umana integrale, la donna nella storia, crescita e crisi demografica, salute e dignità della donna, tutela giuridica della Vita e della Famiglia, politiche aziendali per la famiglia e la natalità) hanno effetto diretto sui corpi delle donne, senza mai esplicitarli. Corpi che fanno paura, ma sui quali bisogna esercitare un potere. Si può parlare di cortocircuito culturale?

            Più che corto circuito culturale parlerei di “contraccolpo del patriarcato”. Il dominio maschile (per usare le parole del sociologo francese Pierre Bourdieu) sta approfittando dell’attuale congiuntura per “riprodursi” colpendo donne e uomini già resi vulnerabili dalla crisi economica, dalla globalizzazione e dalle paure che queste generano. Colgo l’occasione per ricordare a tutti che è proprio all’interno della famiglia cosiddetta “naturale” che le donne subiscono abusi e vengono uccise.

            E cosa accade nelle istituzioni evangeliche?

            Il dominio maschile condiziona tutte le istituzioni, incluso le chiese evangeliche. A volte anche gli uomini delle nostre chiese, pastori e no, sostengono una posizione ambigua su questi temi. Sono anche gli uomini a doversi rendere conto di quanto sia alta la posta in gioco, rompere il silenzio e smettere di essere complici di un ordine patriarcale che cerca di imporsi.

Nev – Notizie evangeliche 27 marzo 2019

https://riforma.it/it/articolo/2019/03/27/verona-un-ordine-patriarcale-che-cerca-di-imporsi

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CINQUE PER MILLE

5 per mille 2017: la somma più alta all’AIRC, l’elenco degli ammessi

L’Agenzia delle Entrate pubblica l’elenco degli ammessi e degli esclusi, con i relativi importi. All’AIRC, Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro anche quest’anno spetta l’importo più alto, con 1.638.138 scelte espresse e un valore totale di oltre 64,4 milioni di euro. Il secondo importo più alto spetta a Emergency con oltre 356 mila preferenze e 12,7 milioni di euro assegnati. Segue la Fondazione Piemontese per la ricerca sul cancro con oltre 11,2 milioni e Medici senza Frontiere che ha diritto a una somma di oltre 10,6 milioni di euro.

Disponibile online l’elenco degli ammessi e degli esclusi, con i relativi importi, pubblicato dall’Agenzia delle Entrate.

https://www.informazionefiscale.it/IMG/pdf/agenzia_delle_entrate_025_comunicato_stampa_5_per_mille_2017_26.03.19.pdf

https://www.agenziaentrate.gov.it/wps/content/nsilib/nsi/archivio/archivioschedeadempimento/schede+adempimento+2017/agevolazioni+2017/iscrizione+elenchi+5+per+mille+2017/elenchi+5xmille2017/elenco+completo+beneficiari+5xmille2017

https://www.agenziaentrate.gov.it/wps/content/Nsilib/Nsi/Archivio/ArchivioSchedeAdempimento/Schede+adempimento+2017/Agevolazioni+2017/Iscrizione+elenchi+5+per+mille+2017/Elenchi+5xmille2017/Elenchi+ammessi+esclusi+5xmille2017

            Il volontariato, la ricerca scientifica e quella sanitaria sono i temi sociali che stanno più a cuore agli italiani. In questi tre settori, infatti, si concentrano i contributi del 5‰ dell’Irpef più alti per il 2017.Come si legge nel comunicato stampa dell’Agenzia delle Entrate diffuso il 26 marzo 2019, 54.276 sono gli enti ammessi a ricevere i contributi del 5‰, suddivisi per categorie:

44.468 enti del volontariato;

9.166 associazioni sportive dilettantistiche;

458 enti impegnati nella ricerca scientifica;

107 enti che operano nel settore della sanità

77 enti dei beni culturali e paesaggistici.

Nell’elenco di chi ha diritto a beneficiare del contributo del 5‰ degli italiani appaiono anche 8.004 comuni ai quali, per il 2017, sono destinati in totale 15,5 milioni di euro.

Disponibili online gli elenchi con tutti gli enti ammessi a ricevere il beneficio del 5‰ 2017, e di quelli esclusi, con i relativi importi.

Rosy D’Elia    informazione fiscale   27 marzo 2019

www.informazionefiscale.it

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CONGRESSI – CONVEGNI – SEMINARI

Primo giorno. Congresso di Verona, ora si parla davvero di famiglia

In mezzo alle polemiche cominciano a farsi strada i contenuti. A fatica, nella confusione anche organizzativa che ha contrassegnato la prima giornata del Congresso mondiale delle famiglie di Verona, spunta qualche idea che potrebbe anche sembrare originale. Come quella espressa dalla brasiliana Angela Vidal Gandra da Silva Martins, ministro della famiglia e diritti sociali, che ha spiegato l’impegno del suo Paese per costruire politiche che siano davvero a misura di genitori e figli. Nessuna complicazione ideologica, tanta pragmaticità. “Prima di varare una legge ci chiediamo: farà bene alle famiglie? Ne ostacolerà i compiti? Solo se la risposta è positiva quel provvedimento va avanti”. E ha ribadito che la famiglia dev’essere sintesi di rispetto, reciprocità e solidarietà. Chiedere politiche più adeguate per le famiglie non significa – ha sintetizzato da Silva Martins – negare i diritti a chi riesce, non può o non vuole “far famiglia”. Non va trascurato quel “non riesce”, perché nel mondo occidentale il grande problema, di cui qui stamattina si sono avuti non pochi accenni, sembra proprio questo. Le istituzioni fanno fatica a sostenere i giovani nel loro desiderio di costruire un progetto familiare fondato su radici salde.

Il rifiuto del “per sempre”, tanto evocato dalle analisi sociologiche, non sembra scelta unanime e condivisa. Lo hanno raccontato anche Pavel Unguryan, direttore del Forum delle famiglie dell’Ucraina e, soprattutto, Katalin Novak, ministro ungherese per la famiglia secondo cui politiche familiari specifiche e coraggiose vanno sempre di pari passo con la crescita degli indici demografici e con quello del numero dei matrimoni. I dati ricordati stamattina dalla signora Novak lasciano poco spazio al dibattito, l’Ungheria destina il 4,8% del pil alle politiche familiari. Così in dieci anni il numero dei matrimoni è cresciuto del 7% e il rapporto dei figli nati per donna è doppio rispetto agli altri Paesi europei. Certo, la replica è fin troppo facile. Questo impegno nasce da un’attenzione trasparente e reale per la famiglia in quanto risorsa anche morale della società oppure è inquinato da un pensiero sovranista che induce a “programmare” più ungheresi – per dirla con uno slogan – per chiudere gli spazi agli immigrati?

            Purtroppo le scelte politiche del premier Orban, come di altri leader sovranisti dell’Est, non inducono a pensieri confortanti. La famiglia non può essere strumento di politiche nazionaliste, né “lasciapassare” per altri obiettivi in cui solidarietà, accoglienza e rispetto non hanno diritto di cittadinanza. Nella stessa prospettiva vanno inquadrate le inevitabili polemiche scoppiate stamattina in apertura del Congresso. Rispondendo ad alcune domande dei giornalisti sull’aborto, uno degli organizzatori dell’iniziativa, Massimo Gandolfini ha ricordato che si tratta di una piaga terribile, di una ferita permanente nel cuore della società. Chi potrebbe dargli torto? I 6 milioni di bambini abortiti in questi 40 anni, dall’entrata in vigore della legge 194\1978, sono un baratro di sofferenza che non potrà mai essere colmato.

            Gandolfini, che è medico e conosce il dramma delle donne costrette loro malgrado all’interruzione di gravidanza, ha però aggiunto che non è obiettivo del Congresso proporre una revisione della legge 194\1978 anche se l’impegno sarà finalizzato a far applicare i primi sei articoli – quelli che prevedono un impegno concreto per la protezione della maternità – che hanno mai trovato attuazione concreta. Peccato che questa posizione di equilibrio e di rispetto si concili a fatica con altri momenti del Congresso, come la scelta di distribuire come gadget un feto di plastica in bustina trasparente con la scritta: “L’aborto ferma un cuore che batte”.

            Verissimo, ma che pugnalata inferta alle donne che hanno abortito e che certamente – perché questo accade nel 99% dei casi – hanno vissuto la scelta come dolore atroce, profondissimo, incancellabile. Per mettere in luce la disumanità dell’aborto non servono esempi carichi di altrettanta disumanità. Ben altri accenti quelli impiegati dal vescovo Giuseppe Zenti che nel suo saluto ha ricordato la centralità della famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna, come valore sociale e come ricchezza nella complessa dinamica delle generazioni. E le unioni omosessuali? Vanno rispettate ma sono “altro” rispetto alla famiglia.

            Una distinzione, più volte espressa anche da papa Francesco, che non ha nessun rapporto con l’omofobia. Distinguere non vuol dire negare, meno ancora denigrare. L’ha ribadito anche il governatore Zaia che ha voluto prendere le distanze dalle posizioni più estremistiche attribuite ad alcuni dei relatori presenti a Verona. Tutela e promozione della famiglia non significa negare i diritti ad altri tipi di unione. E nulla più della famiglia esprime il senso dell’accoglienza e del sostegno alla fragilità e alla diversità.

Luciano Moia, inviato a Verona       Avvenire 29 marzo 2019

www.avvenire.it/famiglia-e-vita/Pagine/congresso-verona-famiglia

 

Congresso di Verona. Il sociologo Donati: ecco perché la famiglia fa ancora discutere

            Spiccano i rappresentanti dei Paesi dell’Est, le teste coronate e i politici del centrodestra. Nell’intenso programma del Congresso di Verona organizzato dall’International organization of the family e da altre sigle, finalmente diffuso a tre giorni dall’evento, ci sono nomi altisonanti e altri meno noti. Il settore nobiliare vedrà la presenza della principessa Gloria Thurn und Taxis e del principe Luigi di Borbone, duca d’Angiò. Dall’Est Europa arriveranno il russo Victor Zubarev, deputato della Duma coordinatore del partito di Putin; l’ungherese Katalin Novak, ministero per la famiglia; il serbo Rados Pejovic, presidente del consiglio per la famiglia e gli affari sociali; l’ucraino Pavel Unguryan, direttore del Forum ucraino per la famiglia; la croata Zeljka Markic, leader dell’associazione familiare ‘Nel nome della famiglia’. Tra i politici italiani sono annunciati Elisabetta Gardini, Giorgia Meloni, Marco Bussetti, Lorenzo Fontana e, naturalmente, Matteo Salvini che ieri ha ribadito in diretta Facebook: «Sabato sarò a Verona, ma senza voler togliere i diritti acquisiti come il divorzio, l’aborto, la parità fra i sessi e la libertà di scelta delle donne, la libertà di far l’amore con chi si vuole e quando si vuole…». L’esperto più noto presente nel programma era sicuramente il demografo Giancarlo Blangiardo, presidente dell’Istat, a cui però lavoratori e lavoratrici dell’Istituto nazionale di statistica avevano rivolto un appello: ci pensi, nel ruolo che ora riveste non è giusto partecipare a manifestazioni che non hanno nulla di accademico o di scientifico. E in serata Blangiardo ha accolto la richiesta. Non andrà a Verona per evitare che «una decisione del tutto personale possa essere interpretata come una decisione del presidente dell’Istat».

            In questi giorni, a proposito e sproposito, si parla tanto di famiglia. Ma i problemi reali rischiano di passare in secondo piano o di essere strumentalizzati da un dibattito che, alla vigilia del Congresso mondiale di Verona, appare molto ideologizzato. Ne parliamo con Pierpaolo Donati, docente di sociologia a Bologna, già direttore dell’Osservatorio nazionale sulla famiglia, tra i massimi esperti mondiali di politiche familiari, autore di centinaia di studi e direttore di progetti di ricerca internazionali. Donati a Verona non ci sarà.

Professore, possiamo tentare di dire una parola equilibrata nel dibattito scatenato in vista del Congresso mondiale di Verona?

            Sarebbe un discorso lungo, mi limito a dire che concordo con la posizione del Segretario di Stato vaticano, Pietro Parolin: d’accordo nella sostanza, non nelle modalità. Ho sentito parlare in questi giorni alcuni relatori del Congresso di Verona, tra cui Massimo Gandolfini, e devo dire che le tesi sono in gran parte condivisibili.

            Il problema sono le modalità?

            Appunto, come la partecipazione delle delegazioni di alcuni Paesi dell’Est di chiaro orientamento politico. E questo andrebbe evitato per fare un discorso più positivo sulle questioni che riguardano la famiglia. Occorrerebbe cioè avanzare proposte costruttive guardando al futuro e non limitarsi semplicemente a impostare una difesa di posizioni che possono rischiare di apparire non adeguate al momento storico che stiamo vivendo.

            Cioè il rischio è quello di trascurare i mutamenti che la famiglia sta vivendo?

Un discorso equilibrato non può trascurare l’evoluzione dei modelli familiari. Quattro anni fa, quando ero direttore dell’Osservatorio nazionale sulla famiglia, ho presentato un Piano di politiche familiari che, nonostante l’approvazione del governo, è rimasto lettera morta. Dovremmo riprendere a ragionare sui dati, sulla situazione della famiglia in Italia, su come affrontare questa emergenza. E questo mi sembra che non venga fatto.

            Dove invece si può concordare?

            Sul fatto che la famiglia abbia una struttura ben definita, che sia urgente sostenere in modo particolare le famiglie che hanno una capacità generativa, che occorra favorire la nascita dei figli. Certo, questo non deve significare negare o cancellare altri diritti. Mi sembra invece emergano posizioni estremiste che sul piano personale non condivido.

            Si tratta insomma di combinare il sostegno alla famiglia generativa con altri diritti che non possono essere negati perché frutto di un’evoluzione che potrà non piacere ma che esiste?

            Questo è il problema. La famiglia in Italia si sta disgregando. Quindi il sostegno alle coppie che intendono concretamente ‘far famiglia’ è urgente e doveroso. Ma in Italia per questi obiettivi non si fa nulla. Non si tratta di negare altri diritti, ma di riconoscere che da trent’anni a questa parte le politiche familiari sono risultate largamente inadeguate. L’abbiamo detto e ridetto. Ma tutto sembra inutile.

            Famiglia ‘naturale’, famiglia ‘tradizionale’. Come far chiarezza in questo dibattito evitando le strumentalizzazioni?

            Bisogna fare attenzione. Se ‘naturale’ vuol dire che i bambini nascono dal rapporto da un uomo e una donna, mi pare evidente. Certo, ci sono anche le tecniche di riproduzione assistita. A mio parere è giusto sostenere quelle omologhe, mentre quelle eterologhe rappresentano un grave problema soprattutto per i bambini stessi. Perché dalle ricerche cliniche sappiamo che un figlio che non conosce la paternità o addirittura la maternità nel caso di donazioni di ovuli, si trova in gravi difficoltà. Sono trasformazioni che vanno comunque studiate in modo scientifico.

            Non basta insomma proclamare qualche slogan per risolvere i problemi.

Certamente no, occorre da una parte non trascurare i dati della ricerca e dall’altra sostenere politiche adeguate. E questo, ripeto, non è mai stato fatto. Promuovere una politica per la famiglia non vuol dire, ribadisco, negare i diritti ad altre forme di convivenza che nascono dalla libera scelta delle persone. Quando ci sono aspetti di vicinanza, di mutuo aiuto, di amicizia solidale, queste convivenze vanno rispettate. Perché anche in queste relazioni le persone possono realizzarsi. Ma sempre tenendo distinte realtà che sono diverse. La famiglia ha un suo genoma insostituibile. Altre forme, come le unioni civili, sono ‘altro’. Ed è giusto distinguere. Che non vuol dire discriminare. Ma una famiglia con figli ha funzioni sociali che altri tipi di unione non possono avere. E queste funzioni vanno riconosciute.

            Un altro aspetto che rischia di essere equivocato è il grande tema dei rapporti di genere. Questioni che non possono essere regolate con l’accetta.

            Qui si mette sotto accusa il mondo contemporaneo, e quindi si rischia di ignorare quello che io definisco la morfogenesi della famiglia. E si tratta di una visione un po’ riduttiva che non tiene conto di alcune modalità evolutive che sono inevitabili e che hanno lati positivi ma anche rischi. Si tratta di gestire il cambiamento per andare incontro al futuro e non rivolgere la testa al passato, inseguendo modelli che sono ormai difficilmente riproponibili, soprattutto quando si pretende di ridurre il ruolo della donna a quello della maternità. Occorre comprendere il cambiamento complessivo della società che è culturale, sociale, tecnologico. E quindi promuovere una forma di famiglia che, senza rinunciare ai fondamenti di sempre, riesca ad essere interprete di questa evoluzione.

            Manca insomma un’attenzione a quella complessità in cui la famiglia è obbligata ad inserirsi. Discernere i segni dei tempi dovrebbe essere un atteggiamento profondamente cristiano. A Verona questo sforzo non sembra presente?

            Da questo governo non vengono altro che slogan che non incidono nel problema perché ignorano le necessità reali delle famiglia in quanto famiglie e non in quanto persone che hanno problemi economici. Occorre guardare la famiglia come struttura relazionale. Perché, per esempio, non favorire la conciliazione famiglia-lavoro con le nuove, varie, modalità che ben conosciamo? Di queste misure non si parla. Come sociologo devo dire che mancano le iniziative concrete per migliorare le relazioni familiari. Si continua a parlare di individui e non di relazioni. Tutti i modelli di welfare sono in crisi e manca una riflessione culturale adeguata. Di questo si dovrebbe dibattere. E invece…

Luciano Moia             Avvenire                    28 marzo 2019

www.avvenire.it/attualita/pagine/perch-sulla-famiglia-si-discute

 

Verona. Il documento finale del Congresso delle famiglie. Ed è un “libro dei sogni”

Moratoria internazionale contro l’utero in affitto, riconoscimento dell’umanità del concepito, protezione contro ogni ingiusta discriminazione dovuta all’etnia, alle opinioni politiche, all’età, allo stato di salute o all’orientamento sessuale, tutela delle famiglie in difficoltà economiche, contrasto all’inverno demografico, diritto dei minori ad avere una mamma e un papà, a non diventare oggetto di compravendita, a ricevere un’educazione che non metta in discussione la loro identità e non li induca ad una sessualizzazione precoce. E ancora: diritto delle donne a ricevere una valida alternativa all’aborto, parità di trattamento salariale, conciliazione tra famiglia e lavoro, orari flessibili in chiave familiare, remunerazione per il lavoro casalingo, lotta alla droga, difesa del diritto dei genitori alla libertà di scelta educativa per i propri figli, specie per quanto riguarda affettività e sfera sessuale.

            La “Dichiarazione finale” del Congresso mondiale delle famiglie di Verona, sottoscritta solennemente stamattina al termine dell’ultima giornata di lavori, costruisce un altro, gigantesco, libro dei sogni. Dopo le tante – troppe – promesse consegnate sabato pomeriggio da Salvini alla platea osannante dell’incontro, che hanno avuto tra le altre conseguenze quella di suscitare la reazione risentita del premier Conte per “sconfinamento di competenze”, oggi i leader delle associazioni sono riusciti a dilatare oltre misura quell’elenco già cospicuo, anzi iperbolico, di buone intenzioni. Tutti propositi lodevoli e condivisibili fino all’ultima parola, beninteso.

            Obiettivi, tra l’altro, che l’associazionismo familiare costruito in 25 anni dal Forum delle famiglie, quello collaudato nel tempo e che rappresenta davvero quattro milioni di famiglie attraverso 564 associazioni locali, 47 nazionali e 18 forum regionali, porta avanti in modo dialogico, organico e coordinato. Ma le associazioni del Forum a Verona non erano presenti – per una serie di scelte ragionevoli – e le buone intenzioni del Congresso “mondiale” rischiano di apparire un po’ inconcludenti e molto velleitarie. Non perché i problemi indicati, ripetiamo, non siano tali e non meritino soluzioni tanto ponderate quanto urgenti ­– sono i “contenuti” che anche il Papa attraverso il cardinale Parolin ha riconosciuto come validi – quanto per la modalità caotica, per i toni esacerbati, per la volontà di contrapposizione, per le scelte politiche tutte orientate soltanto sulla Lega (oltre a Giorgia Meloni), per la rappresentanza internazionale proveniente al 90 per cento dall’Europa sovranista dell’Est. E quando le modalità sono costruite da una serie così rilevante di fattori inquinanti, anche la sostanza finisce per esserne intaccata e per suscitare reazioni scomposte ed esagerate

Luciano Moia, inviato a Verona       Avvenire 31 marzo 2019

www.avvenire.it/famiglia-e-vita/pagine/giornata-conclusiva-verona-congresso-famiglie

 

Il documento finale del Congresso delle famiglie

Nella tre giorni del Congresso Mondiale delle Famiglie che si è tenuto a Verona dal 29 al 31 marzo 2019, sono emerse delle esplicite e concrete richieste. «Verona, la città dell’amore, ha dimostrato davvero di essere la prima Città per la Vita e per la Famiglia – hanno dichiarato il presidente Toni Brandi e Jacopo Coghe – Abbiamo ribadito i valori previsti dalla Costituzione ed espressi dal diritto naturale e, dopo il Family Day, abbiamo rilanciato il nostro ruolo per il bene comune sollecitando le istituzioni a un’attenzione che non sempre è stata all’altezza. Non ci sono solo i diritti a senso unico, ma i diritti di tutti, soprattutto quelli dei più deboli. La vera forza infatti non si misura da chi hai sconfitto, ma da cosa hai protetto».

            La Dichiarazione di Verona, adottata per acclamazione a chiusura della manifestazione, contiene una domanda forte emersa dal tavolo sulla demografia: «Perché la UE prevede fondi salva-stati che, nella pratica sono salva-banche e non istituisce un fondo salva-famiglie», hanno dichiarato gli organizzatori del Congresso, Toni Brandi e Jacopo Coghe.

            Tra le richieste della Dichiarazione di Verona: il riconoscimento della perfetta umanità del concepito; la protezione da ogni ingiusta discriminazione dovuta all’etnia, alle opinioni politiche, all’età, allo stato di salute o all’orientamento sessuale; la tutela delle famiglie in difficoltà economiche, specie se numerose, e delle famiglie rifugiate; il contrasto all’inverno demografico, tramite leggi che incentivino la natalità.

            Il documento ritiene altresì “urgente” e “inderogabile” il perseguimento di ulteriori obiettivi, quali il contrasto alla pratica dell’utero in affitto tramite una rogatoria internazionale e la protezione dei minori, a partire dai loro diritti ad avere una mamma e un papà, a non diventare oggetti di compravendita, di abusi sessuali e pedopornografia e a ricevere un’educazione che non metta in discussione la loro identità sessuale biologica e non li induca a una sessualizzazione precoce.

            La Dichiarazione di Verona prosegue, sottolineando l’urgenza della tutela dei diritti delle donne, dal ricevere valide alternative all’aborto, alla protezione dallo sfruttamento sessuale e dalla pornografia, alla parità di trattamento salariale, fino alla conciliazione tra lavoro e maternità, attraverso più lunghi congedi parentali e – per chi lo desidera – flessibilità, part time o telelavoro. Le madri che scelgano di dedicarsi esclusivamente ai figli e alla famiglia, aggiunge la Dichiarazione, andrebbero tutelate con una remunerazione adeguata per il lavoro casalingo, laddove lo stipendio del coniuge non sia sufficiente per un’esistenza libera e dignitosa.

            Ulteriori punti del documento riguardano il radicale contrasto alla diffusione e alla legalizzazione di ogni tipo di droga e la difesa del diritto dei genitori alla libertà di scelta educativa per i propri figli (art. 26 Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo), specie riguardo la sfera sessuale e l’affettività.

Comunicazioni e Relazioni esterne Congresso Mondiale delle Famiglie Libertà e Persona 31 marzo 2019

www.libertaepersona.org/wordpress/2019/03/il-documento-finale-del-congresso-delle-famiglie

 

Congresso delle famiglie, la crociata nata negli Usa. Nel mirino c’è Francesco

In questi giorni Verona, ospitando il Congresso mondiale delle famiglie, diventa la città spartiacque tra le due anime cattoliche che segnano il pontificato di Francesco. Proiettando in Italia una tensione politico-culturale-religiosa che nasce e si è amplificata negli Stati Uniti. Da una parte i presenti – fisicamente o «spiritualmente» – nella piazza dell’Arena, i cosiddetti «cultural warriors» («guerrieri culturali»); dall’altra chi non c’è, sta in silenzio o si esprime contro il meeting conservatore. Qualcuno le chiama «destra» e «sinistra», altri «conservatori» e «progressisti», o «ratzingeriani» e «bergogliani». I contrari alla kermesse sarebbero «bergogliani» partendo dal presupposto che Francesco, al contrario di Ratzinger, si occuperebbe troppo – o solo – di povertà trascurando battaglie come quelle contro l’aborto e, appunto, in difesa della famiglia «tradizionale». Questa tesi resiste anche alle statistiche, da cui emerge che Francesco si scaglia spesso contro l’aborto, arrivando a dire che «è come affittare un sicario». E anche ad affermazioni come quella di Loreto: «La famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna è essenziale».

E la definizione è stata rafforzata dal diplomatico, ma inequivocabile, smarcamento dal Congresso del cardinale segretario di Stato Pietro Parolin, che ha detto: il Vaticano condivide «la sostanza», ma «non le modalità». Ed è proprio la forma a fare la differenza, come scrive in un tweet padre Antonio Spadaro, direttore della Civiltà Cattolica, membro del ristretto entourage di Francesco: «La cultura della famiglia non può essere la parte strumentale di una “culture war” (guerra culturale, ndr). È un errore di metodo e dunque finisce per esserlo di sostanza».

Un cinguettio che dice tutto sullo scontro in atto. «Più che sostenere un impegno affinché i valori cristiani abbiano un’incarnazione nella società», dice a La Stampa Spadaro, «i promotori del Congresso ricorrono all’aspetto politico». Così avviene «una saldatura» con i partiti «per cui questi valori diventano una bandiera strumentale». Precisa: «L’impegno politico sulla famiglia non è sbagliato, ma quando diventa strumentale non va bene». Questo è il mondo «dei cultural warriors, per cui il cristianesimo diventa terreno di scontro». Assenza rumorosa è quella del Forum nazionale delle associazioni familiari, formato da 582 enti cattolici. Dichiarano a La Stampa: «La nostra posizione ufficiale? Il Forum a Verona non c’è». Punto. Il resto è un silenzio eloquente.

L’organizzazione del Congresso è nata nel 1997 negli Usa, un «terreno» diffidente verso il pontificato. Sono molti i cardinali americani «scontenti» di Francesco, e la loro ostilità è culminata spingendo l’acceleratore sulla vicenda degli abusi sessuali, usata per indebolirlo o farlo cadere.

Una figura di spicco Oltretevere sottolinea come gli argomenti famiglia e vita «vengono utilizzati dai conservatori contro il Papa, anche travisando le sue parole: ma Francesco non ha assolutamente cambiato la dottrina». Con Giovanni Paolo II e Benedetto XVI la Chiesa aveva posto grande enfasi su queste «battaglie». Bergoglio ha detto che ci sono anche altri ambiti ai quali prestare attenzione, «ma senza per questo favorire aborto e famiglie gay». Adesso c’è Trump, che non considera il Papa un alleato: gli evangelici e i cattolici conservatori però sono un pilastro della sua base elettorale, a partire dai contatti tra il consigliere Steve Bannon e le correnti più reazionarie della Chiesa. E il vice Mike Pence è un punto di riferimento. Pence ha detto fra le altre cose che non sta mai solo in una stanza con una donna che non sia sua moglie, per non cadere in tentazione. Gli evangelici saranno decisivi per la rielezione di Trump e quindi lui sta cercando di accontentarli, in particolare con le nomine di giudici federali pro life. Non solo i due che ha mandato alla Corte Suprema, Gorsuch e Kavanaugh, ma anche decine di magistrati di tribunali di primo e secondo grado che con le loro sentenze fanno giurisprudenza. Ciò ha favorito il varo di una strategia che punta a vietare o limitare al massimo l’aborto. L’America si ritrova così sempre più spaccata sui temi vita e famiglia. E questa frattura supera l’oceano e arriva in Italia.

Domenico Agasso Jr – Paolo Mastrolilli      news Vatican Insider             30 marzo 2019

www.lastampa.it/2019/03/30/vaticaninsider/congresso-delle-famiglie-la-crociata-nata-negli-usa-nel-mirino-c-francesco-tD6cPYRXcyTHzO97kY7p9L/pagina.html

 

Griffini (Ai.Bi.) presenta: gli 8 diritti dei minori che non vivono in una famiglia

“Il problema non è permettere l’adozione ai single – che in Italia, peraltro, già possono adottare quando per un minore dichiarato adottabile non vi sia una famiglia idonea e disponibile all’adozione – bensì rendere adottabili le migliaia di minori abbandonati di fatto in Italia e i milioni nel mondo.”

            E’ questo il problema vero, afferma – a poche ore dal suo intervento al XIII Congresso Mondiale della Famiglie di Verona nell’ambito della sessione dedicata ai “Diritti dei Bambini” – Marco Griffini, padre e nonno adottivi, impegnato da oltre 35 anni con Amici Dei Bambini a difesa e tutela del diritto di ogni bambino ad essere figlio.

            “A Verona, nel tanto contestato – e strumentalizzato – Congresso Mondiale delle Famiglie, grazie allo spazio concessomi dagli organizzatori, lancerò la “Carta dei diritti degli OFC (Out of Family Children)” e gli 8 fondamentali diritti dell’infanzia fuori famiglia affinché il maggior numero di minori abbandonati possa finalmente avere una famiglia.” – aggiunge Marco Griffini – “ Ecco il senso di una lotta, da condurre insieme, senza divisioni, affinché i “bambini del limbo” possano essere liberati dalle catene del loro abbandono!”

            Chi sono gli OFC, Out of Family Children? Sono i “bambini fuori famiglia”: non solo quelli senza genitori, gli orfani, ma anche e quelli istituzionalizzati o affidati a tempo indeterminato: privati per sempre del calore di una famiglia. E’ quanto si legge nelle premesse della Carta dei diritti degli OFC (Out of Family Children) che il presidente di Ai.Bi. porterà nella sessione del XIII Congresso Nazionale delle Famiglie dedicata oggi, 29 marzo, ai “Diritti dei bambini”, al fine di richiamare l’attenzione mondiale sul problema dell’infanzia abbandonata e di far sì che i diritti dei bambini che vivono fuori dalla famiglia vengano messi al centro dell’agenda politica internazionale.

            “I minori che vengono assistiti per periodi prolungati in istituti e comunità educative mantengono intatto a livello psicologico il trauma dell’abbandono – la consapevolezza che nessun adulto si fa carico di loro per la vita – cui si aggiunge il trauma dell’istituzionalizzazione, generando così un abbandono nell’abbandono” – spiega Marco Griffini.

            L’istituzionalizzazione dei minori fuori famiglia, culturalmente accettata in molti paesi, è la soluzione più semplice e diffusa, anche in Europa, ma la meno adeguata a superare la situazione di abbandono, in quanto risponde a bisogni materiali ma non a quelli emozionali e affettivi tipici di un legame esclusivo che permette la costruzione della propria psiche e del proprio modello comunicativo. “Per questo occorre una presa di posizione ufficiale sulla differenza fra assistenza e accoglienza e la definizione formale e giuridica della condizione di OFC (Out of Family Children) e l’individuazione di specifici diritti soggettivi cui dovrà comportare l’applicazione dei relativi meccanismi di tutela.” – ribadisce.

            Il diritto preminente dei minori di 18 anni è quello di vivere all’interno della propria famiglia d’origine.  “E’ prioritario, dunque” – continua Marco Griffini – “che l’ONU definisca nella maniera più chiara e uniforme possibile, ma soprattutto più esplicita nelle Convenzioni Internazionali, il diritto di tutti i bambini e ragazzi, di tutte le bambini e le ragazze, di essere figli e figlie, e il diritto di essere sottratti, finché ciò sia possibile, da situazioni di precariato affettivo e familiare perché possano vivere nella felicità, nell’amore e nella comprensione che solo una madre e un padre idonei possono dare.”

            Da qui l’urgenza di definire una carta degli OFC che identifichi 8 fondamentali diritti innegabili ad ogni minore senza distinzione:

  1. Diritto di essere accolto in una famiglia costituita da un padre e da una madre;
  2. Diritto alla partecipazione e all’ascolto;
  3. Diritto ad una chiara e universale definizione dello stato di abbandono;
  4. Diritto alla nomina di un avvocato fin dall’ingresso nella categoria degli OFC;
  5. Diritto ad essere accompagnato da una equipe psico-socio-giuridica;
  6. Diritto ad essere sostenuto da un’associazione che abbia come precisa finalità la tutela dei diritti dell’infanzia;
  7. Diritto di rimanere nella condizione di OFC solo temporaneamente;
  8. Diritto al risarcimento del danno quando il diritto ad una famiglia viene violato.

Ecco cosa chiede Marco Griffini – intervenendo al XIII Congresso Mondiale delle Famiglie –  all’agenda politica internazionale per far sì che ogni minore abbandonato possa sperare di diventare un giorno, un figlio, un vero figlio.

News Ai. Bi.    29 marzo 2019

www.aibi.it/ita/verona-xiii-congresso-mondiale-delle-famiglie-griffini-ai-bi-presenta-la-carta-degli-ofc-out-of-family-children-e-gli-8-diritti-dei-minori-che-non-vivono-in-una-famiglia ▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬▬

CONIUGI

Nascondere acquisti e stipendio al coniuge: cosa si rischia

            Ti sei mai posto il problema se, tra moglie e marito, esista un obbligo di dirsi tutta la verità? Sicuramente avrai già valutato questo aspetto nell’ambito dei rapporti di fedeltà coniugale: se anche è inverosimile pensare a “un’autodenuncia” da parte del coniuge infedele, sai bene che il nascondere la relazione extraconiugale è un atto che può costare la separazione con addebito. Ma cosa succede quando si passa dalla sfera sentimentale a quella economica? Cosa si rischia a nascondere acquisti e stipendio al coniuge?

Immagina di avere una moglie che, per anni, ha rosicchiato tutto il tuo stipendio con lo shopping: non è stata così ingenua da chiederti la carta di credito, ma ha fatto la cresta sui contanti che dovevano invece servire per la spesa quotidiana. In più ha ricevuto un bonifico dal padre: una donazione in denaro per pareggiare i conti con i suoi fratelli. Tutti questi soldi, però, anziché essere usati per il bene della famiglia, sono stati “investiti in vestiti”. Ora l’armadio trabocca di abiti e scarpe nuove. Aveva l’obbligo di svelarti l’esistenza del suo piccolo tesoro? Cosa rischia nell’averti nascosto gli acquisti fatti durante tutto questo tempo?

Oppure immagina che tuo marito abbia ricevuto, alcuni anni addietro, una promozione con aumento dello stipendio. Anziché fare festa in famiglia, ha preferito nascondere il fatto, forse timoroso che tu potessi pretendere uno stile di vita più agiato. E ora il suo conto corrente è più ricco di quanto tu potessi minimamente sospettare. Cosa rischia anche lui nell’averti nascosto lo stipendio?

Devo dire a mia moglie quanto guadagno? Abbiamo già spiegato che, seppure il concetto di «fedeltà coniugale» va inteso in senso ampio, quindi non solo da un punto di vista “affettivo” ma anche “materiale”, non esiste alcuna norma che imponga la trasparenza tra coniugi conviventi. Ciascuno può esigere il rispetto della propria privacy anche a livello finanziario. Questo significa che non c’è l’obbligo di presentare alla moglie la busta paga o al marito lo scontrino della spesa.

Certo però è che, nello spirito del matrimonio, vi è anche l’obbligo dell’assistenza morale e materiale, così come recita il Codice civile [Art. 143 cod. civ.]. In pratica tanto il marito quanto la moglie devono contribuire – ciascuno in proporzione alle proprie capacità economiche – ai bisogni comuni e della famiglia. Così l’uomo, laddove la moglie sia disoccupata, deve mantenerla e questa, a sua volta, con la propria attività materiale, dovrà badare alla casa e ai bisogni del coniuge (ad esempio cucinando e stirando). E viceversa, laddove ad essere occupata sia la donna, sarà quest’ultima ad aiutare il marito in cassa integrazione o alla ricerca di un posto, mentre questi sarà tenuto a prestare il proprio contributo manuale al ménage domestico.

Se entrambi i coniugi sono occupati e percepiscono un reddito dovranno, ciascuno in proporzione alle proprie entrate, contribuire ai bisogni della famiglia. Non è possibile – salvo ovviamente diverso accordo – lasciare solo all’uomo il compito di provvedere alle necessità dei figli mentre la donna spende tutto il suo stipendio in vestiti; e viceversa non può l’uomo costringere la donna a pensare alle esigenze familiari per sperperare la busta paga al gioco o in vizi.

Detto ciò, se anche non esiste l’obbligo specifico per il marito di dire alla moglie quanto guadagna, esiste certamente il divieto di costringere quest’ultima a un tenore di vita più sacrificato rispetto alle proprie possibilità economiche, cosa che succede quando si nascondono i soldi per sé e non li si destina alle esigenze della famiglia.

La moglie può esigere di vedere la busta paga del marito? Abbiamo detto che la moglie non può esigere di controllare la busta paga del marito. Potrebbe tuttavia, in caso di separazione imminente o di divorzio, presentare una richiesta all’Agenzia delle Entrate per avere copia della sua dichiarazione dei redditi onde approntare una miglior difesa nell’ambito del giudizio, ai fini della quantificazione del mantenimento. Tale almeno è l’orientamento più recente sposato dalla giurisprudenza.

Una cosa tuttavia è certa: la moglie può chiedere la separazione e imputare la colpa al marito se questi – a prescindere dal fatto di averle nascosto o meno un aumento di paga o una promozione – l’ha costretta a un tenore di vita più risicato rispetto alle proprie possibilità; il che succede se l’uomo non ha provveduto, in proporzione al proprio reddito, ai bisogni della famiglia. Tale comportamento viola infatti la norma del Codice civile [Art. 143 cod. civ.] citata in apertura che impone il dovere di assistenza morale e materiale in capo ad entrambi i coniugi, ossia la contribuzione ai bisogni della famiglia.

Il marito può conoscere le spese della moglie? Per la stessa ragione il marito non può esigere dalla moglie di sapere quanti soldi ha speso per i propri acquisti se si tratta di un conto personale, intestato a quest’ultima. Ma potrebbe tuttavia dolersi del fatto che lei non partecipa alle spese della famiglia e, quindi, non adempie ai doveri di assistenza materiale.

Laddove il conto corrente sia cointestato e, in vista dell’imminente separazione, uno dei due coniugi abbia prelevato più del 50%, questi è tenuto a restituire all’altro la sua quota oppure a ripristinare la metà del conto sottratta in modo illegittimo.

La legge per tutti       31 marzo 2019

www.laleggepertutti.it/279970_nascondere-acquisti-e-stipendio-al-coniuge-cosa-si-rischia5

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CONSULTORI FAMILIARI CATTOLICI

Treviso. Convegno “Percorso Famiglia Fertile”

Grande successo per il convegno che si è svolto il 23 marzo 2019 organizzato dal Consultorio Centro della Famiglia in collaborazione con l’Azienda Socio Sanitaria di Treviso e il primario di Ginecologia dell’Ospedale di Treviso. È stato presentato il “Percorso Famiglia Fertile”, la proposta del Consultorio per offrire risposta alle problematiche sociali della denatalità e dell’aumento dell’infertilità.

“Le coppie che cercano di avere figli senza risultato si trovano a fare i conti con un tempo di solitudine e si avviano di loro iniziativa verso le cliniche deputate a questo, spesso senza confidarsi né con il prete del paese né con il medico o altre figure di riferimento. La difficoltà alla gravidanza è vissuta come un problema di cui non conoscono le ragioni e del quale nessuno della cerchia di conoscenti deve avere percezione”, ha detto don Francesco Pesce, direttore del Centro della Famiglia.

Il “Percorso Famiglia Fertile”, presentato a medici e ginecologi, è il frutto di oltre quaranta anni di esperienza e di due recenti protocolli d’intesa che il Centro della Famiglia ha siglato con ULSS 2 Marca Trevigiana e con l’Istituto Scientifico Internazionale presso il Policlinico Gemelli.

Studi internazionali hanno dimostrato che la consapevolezza dei ritmi della fertilità, accompagnata da un supporto psico-relazionale e da un appropriato supporto medico permettono alle coppie che non riescono ad avere figli (e che non hanno una sterilità attestata) di incamminarsi in un percorso positivo attraverso la consapevolezza dei ritmi della fertilità, il sostegno di personale medico e l’accompagnamento psico-relazionale da parte di un professionista. Un vero e proprio percorso alternativo, basato sulla relazione, meno invasivo e molto rispettoso del tempi psicologici delle persone e delle coppie.

Al convegno è stato anche presentato il Comitato scientifico che, costituito il 14 marzo 2019, ha il compito di monitorare il buon livello di prestazione, promuovere la sensibilizzazione tra gli operatori sanitari e apportare le innovazioni che emergessero utili.

Giacinto Bosoni         28 marzo 2019

www.cfc-italia.it/cfc/index.php/2-non-categorizzato/443-convegno-presentazione-del-percorso-famiglia-fertile

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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM

                                                   Cosenza. Percorso genitoriale 2019                      

Sabato 6 aprile 2019 si concluderà il percorso Crescere con i figli che crescono.

Ascoltare e rispondere ai bisogni dei bambini attraverso forti alleanza educative

Educare è molto faticoso, per questo occorrono pazienza, sguardo libero e amore ma soprattutto forti alleanze educative! Interviene la dottoressa Annamaria Gatti, mamma, nonna, insegnante e psicologa autrice di libri per insegnanti e adulti, ha scritto opere tradotte anche all’estero per bambini e ragazzi, condividerà con i genitori, educatori e insegnanti la sua passione e la sua sensibile attenzione al mondo dei bambini e dei ragazzi!

www.filastrocche.it/leggiamo/annamaria-gatti-pubblicazioni

I precedenti incontri:

  • 01 febbraio Aiutami…sono arrabbiato M Fortebraccio, Tagesmutter domus
  • 15 febbraio Laboratorio esperenziale, dedicato alle emozioni del periodo perinatale, Mippe
  • 01 marzo Emozioni di gioco, la cooperativa delle donne
  • 15 marzo Da nativi digitali ad adolescenti navigati, F. La Gaccia, docente sociologia comunicazione
  • 28 marzo Adolescenza: quanto conosciamo della vita dei nostri figli, Nunzia Mele, pediatra

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DALLA NAVATA

4° Domenica di Quaresima – Anno C – 31 marzo 2019

Giosuè            05. 09 il Signore disse a Giosuè: «Oggi ho allontanato da voi l’infamia dell’Egitto».

Salmo              33.05 Ho cercato il Signore: mi ha risposto.

2Corinzi         05.17 Se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove.

Luca               15. 32 «ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”».

 

Non importa perché torni. A Dio basta il primo passo

La parabola più bella, in quattro sequenze narrative.

Prima scena. Un padre aveva due figli. Nella bibbia, questo incipit causa subito tensione: le storie di fratelli non sono mai facili, spesso raccontano drammi di violenza e menzogne, riportano alla mente Caino e Abele, Ismaele e Isacco, Giacobbe ed Esaù, Giuseppe e i suoi fratelli, e il dolore dei genitori. Un giorno il figlio minore se ne va, in cerca di se stesso, con la sua parte di eredità, di “vita”. E il padre non si oppone, lo lascia andare anche se teme che si farà male: lui ama la libertà dei figli, la provoca, la festeggia, la patisce. Un uomo giusto.

Secondo quadro. Quello che il giovane inizia è il viaggio della libertà, ma le sue scelte si rivelano come scelte senza salvezza («sperperò le sue sostanze vivendo in modo dissoluto»). Una illusione di felicità da cui si risveglierà in mezzo ai porci, ladro di ghiande per sopravvivere: il principe ribelle è diventato servo.

Allora rientra in sé, lo fanno ragionare la fame, la dignità umana perduta, il ricordo del padre: «quanti salariati in casa di mio padre, quanto pane!». Con occhi da adulto, ora conosce il padre innanzitutto come un signore che ha rispetto della propria servitù (Rosanna Virgili). E decide di ritornare, non come figlio, da come uno dei servi: non cerca un padre, cerca un buon padrone; non torna per senso di colpa, ma per fame; non torna per amore, ma perché muore. Ma a Dio non importa il motivo per cui ci mettiamo in cammino, a lui basta il primo passo

Terza sequenza. Ora l’azione diventa incalzante. Il padre, che è attesa eternamente aperta, «lo vede che era ancora lontano», e mentre il figlio cammina, lui corre. E mentre il ragazzo prova una scusa, il padre non rinfaccia ma abbraccia: ha fretta di capovolgere la lontananza in carezze. Per lui perdere un figlio è una perdita infinita. Non ha figli da buttare, Dio. E lo mostra con gesti che sono materni e paterni insieme, e infine regali: «presto, il vestito più bello, l’anello, i sandali, il banchetto della gioia e della festa».

Ultima scena. Lo sguardo ora lascia la casa in festa e si posa su di un terzo personaggio che si avvicina, di ritorno dal lavoro. L’uomo sente la musica, ma non sorride: lui non ha la festa nel cuore (Rosanna Virgili). Buon lavoratore, ubbidiente e infelice. Alle prese con l’infelicità che deriva da un cuore che non ama le cose che fa, e non fa le cose che ama: io ti ho sempre ubbidito e a me neanche un capretto… il cuore assente, il cuore altrove. E il padre, che cerca figli e non servi, fratelli e non rivali, lo prega con dolcezza di entrare: è in tavola la vita. Il finale è aperto: capirà? Aperto sull’offerta mai revocata di Dio.

Padre Ermes Ronchi, OSM

www.qumran2.net/parolenuove/commenti.php?mostra_id=45489

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DIRITTO DI FAMIGLIA

Assegno di divorzio: in arrivo la riforma

A seguito del dibattito giurisprudenziale innescato dalla sentenza della Cassazione n. 11504/10 maggio 2017, le regole sull’assegno divorzile potrebbero ben presto cambiare per legge per effetto della proposta n. 506, d’iniziativa della deputata Morani, che, al temine delle audizioni in Commissione Giustizia, si appresta ad approdare nell’Aula di Montecitorio.

Riforma assegno divorzio: consenso bipartisan. La calendarizzazione è attesa per inizio aprile, a seguito della presentazione e discussione degli emendamenti alla riforma che ha raccolto un consenso bipartisan. Tra le novità più rilevanti, a seguito delle modifiche all’art. 5 della L. n. 898/01 dicembre 1970, emerge quella di un assegno divorzile limitato temporalmente, ma anche lo stop all’esborso in caso di unione civile, nuove nozze o convivenza stabile dell’ex coniuge

            La proposta di legge, ricalca quella approvata all’unanimità dalla Commissione Giustizia nella scorsa legislatura, di iniziativa dell’on. Ferranti (atto Camera n. 4605), mai arrivata in aula nonostante sul punto fossero state ascoltate eminenti personalità del mondo del diritto che avevano concordato nel ritenere necessario e opportuno un simile intervento del legislatore.

Assegno divorzile: cosa prevede la riforma. La nuova proposta, dunque, procede nel solco precedentemente tracciato e punta a fornire risposte normative adeguate alla questione dell’equo bilanciamento degli interessi coinvolti dallo scioglimento del matrimonio.

            Una materia particolarmente avvertita dall’opinione pubblica, soprattutto a seguito della vasta risonanza mediatica che hanno avuto alcune decisioni in materia di assegno divorzile, per l’eccessiva entità dell’assegno disposto a favore del coniuge “debole”. Lo stesso è avvenuto in occasione di quei casi di cronaca che hanno spesso segnalato le difficili condizioni di vita in cui vengono a trovarsi gli ex coniugi (generalmente i mariti) costretti a corrispondere un assegno che assorbe parte cospicua del loro guadagno.

Il punto della giurisprudenza. Inoltre, non può non tenersi conto del nuovo indirizzo giurisprudenziale emerso in sede di legittimità in materia di assegno divorzile, contrario a quello costantemente seguito in precedenza “appiattito” sulla valutazione del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio dalla parte richiedente l’assegno.

            Il merito della “rivoluzione” è della c.d. sentenza “Grilli” (n. 11504/10 maggio 2017) con cui la Cassazione ha affermato che l’assegno divorzile può essere concesso solamente all’ex coniuge che non abbia l’autosufficienza economica, che, cioè, non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento.

A tale decisione è poi seguita quella delle Sezioni Unite dello scorso 11 luglio 2018, sentenza n. 18287, secondo la quale, ha sottolineato la nuova presidente grillina della Commissione giustizia della Camera, Francesca Businarolo, “occorre considerare anche la durata del matrimonio” e “viene sostenuto che l’assegno di divorzio ha natura assistenziale, compensativa e perequativa”. In sostanza, ha concluso Businarolo, è apparso “indispensabile un intervento normativo come hanno confermato autorevolissimi esponenti del mondo accademico”.

            La Relazione introduttiva alla proposta di legge chiarisce la volontà di fissare precise linee normative rispondenti all’esigenza di evitare, da un lato, che lo scioglimento del matrimonio sia causa di indebito arricchimento e, dall’altro, che sia causa di degrado esistenziale del coniuge economicamente debole che abbia confidato nel programma di vita del matrimonio, dedicandosi alla cura della famiglia rinunciando in tal modo a sviluppare una buona formazione professionale e a svolgere una proficua attività di lavoro o di impresa.

Come sarà il nuovo assegno di divorzio. La proposta prevede che, con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il Tribunale possa disporre l’attribuzione di un assegno a favore di un coniuge, destinato a equilibrare, per quanto possibile, la disparità che lo scioglimento o la cessazione degli effetti del matrimonio crea nelle condizioni di vita rispettive dei coniugi.

            Al tal fine, in un’ottica di superamento del solo criterio tenore di vita, il giudice dovrà valutare una serie di criteri, in rapporto alla durata del matrimonio, tenendo conto in particolare:

  • delle condizioni personali ed economiche in cui i coniugi vengono a trovarsi a seguito dello scioglimento o della cessazione degli effetti civili del matrimonio;
  • del contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ciascuno e di quello comune; il patrimonio e il reddito di entrambi;
  • della ridotta capacità reddituale dovuta a ragioni oggettive, anche in considerazione della mancanza di un’adeguata formazione professionale o di esperienza lavorativa, quale conseguenza dell’adempimento dei doveri coniugali, nel corso della vita matrimoniale;
  • dell’impegno di cura di figli comuni minori, disabili o comunque non economicamente indipendenti;
  • del comportamento complessivamente tenuto da ciascuno in ordine al venir meno della comunione spirituale e materiale.

Divorzio: arriva l’assegno “a tempo”. Tenendo conto di tali circostanze, qualora la ridotta capacità reddituale del richiedente sia temporanea e transeunte, ovvero dovuta a ragioni contingenti o comunque superabili, il Tribunale potrà predeterminare la durata dell’assegno. In sostanza, si rende possibile concedere l’assegno divorzile “a tempo” per evitare una ingiustificata corresponsione a tempo indeterminato.

            “Nel momento in cui l’ex coniuge ha la possibilità di avere un’altra entrata – ha dichiarato la deputata dem Morani – come per esempio, la pensione o un lavoro, non si comprende perché debba continuare ad avere l’assegno”. Tale tesi ha trovato l’appoggio anche di M5S e Lega.

            L’esborso, inoltre, non sarebbe più dovuto in caso di nuove nozze, di unione civile con altra persona o di una stabile convivenza del richiedente l’assegno, e pure si esclude che un obbligo di corresponsione dell’assegno sorga nuovamente a seguito di separazione o di scioglimento dell’unione civile o di cessazione dei rapporti di convivenza.

Lucia Izzo Newsletter Giuridica Studio Cataldi      25 marzo 2019

www.studiocataldi.it/articoli/33965-assegno-di-divorzio-in-arrivo-la-riforma.asp

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GOVERNO.

Online la nuova pubblicazione sulle misure per la famiglia, finanziate con la legge di bilancio 2019

Il Dipartimento per le politiche della famiglia ha realizzato una nuova pubblicazione che raccoglie tutte le misure a sostegno della famiglia, finanziate con la Legge di Bilancio 2019 (legge 30 dicembre 2018 n. 145).

Quattro i filoni tematici relativi alle misure:

  1. Genitorialità,
  2. Conciliazione famiglia-lavoro,
  3. Disabilità
  4. Risorse economiche.

La pubblicazione, creata in collaborazione con l’Istituto degli Innocenti di Firenze, vuole essere un nuovo strumento a disposizione delle famiglie per conoscere ed informarsi sui contributi economici e le politiche pubbliche messe in campo dal Governo.

Online la nuova pubblicazione sulle misure per la famiglia, finanziate con la legge di bilancio 2019

Dipartimento per le politiche della famiglia 28 marzo 2019

www.politichefamiglia.it/it/notizie/notizie/notizie/online-la-nuova-pubblicazione-sulle-misure-per-la-famiglia-finanziate-con-la-legge-di-bilancio-2019

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PARLAMENTO

Camera dei Deputati – Commissione giustizia – Assegno divorzile

PDL C. 506 Alessia Morani sede referente. Modifiche all’articolo 5 della legge 01 dicembre 1970, n.898, in materia di assegno spettante a seguito di scioglimento del matrimonio o dell’unione civile.

Art. 1.1. Il sesto comma dell’articolo 5 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, è sostituito dal seguente:

«Con la sentenza che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il tribunale può disporre l’attribuzione di un assegno a favore di un coniuge, destinato a equilibrare, per quanto possibile, la disparità che lo scioglimento o la cessazione degli effetti del matrimonio crea nelle condizioni di vita rispettive dei coniugi».

1.2  Dopo il sesto comma dell’articolo 5 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, come da ultimo sostituito dal comma 1 del presente articolo, sono inseriti i seguenti: «Al fine di cui al sesto comma, il tribunale valuta, in rapporto alla durata del matrimonio: le condizioni personali ed economiche in cui i coniugi vengono a trovarsi a seguito dello scioglimento o della cessazione degli effetti civili del matrimonio; il contributo personale ed economico dato da ciascuno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio di ciascuno e di quello comune; il patrimonio e il reddito di entrambi; la ridotta capacità reddituale dovuta a ragioni oggettive, anche in considerazione della mancanza di un’adeguata formazione professionale o di esperienza lavorativa, quale conseguenza dell’adempimento dei doveri coniugali, nel corso della vita matrimoniale; l’impegno di cura di figli comuni minori, disabili o comunque non economicamente indipendenti; il comportamento complessivamente tenuto da ciascuno in ordine al venir meno della comunione spirituale e materiale.

Tenuto conto di tutte le circostanze indicate nel settimo comma, il tribunale può predeterminare la durata dell’assegno nei casi in cui la ridotta capacità reddituale del richiedente sia dovuta a ragioni contingenti o comunque superabili.

L’assegno non è dovuto nel caso di nuove nozze, di unione civile con altra persona o di una stabile convivenza del richiedente l’assegno. L’obbligo di corresponsione dell’assegno non sorge nuovamente a seguito di separazione o di scioglimento dell’unione civile o di cessazione dei rapporti di convivenza».

1.3. Al comma 25 dell’articolo 1 della legge 20 maggio 2016, n. 76, le parole: «dal quinto all’undicesimo comma» sono sostituite dalle seguenti: «dal quinto al quattordicesimo comma».

Art. 2. Le disposizioni di cui all’articolo 1 si applicano anche ai procedimenti per lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio in corso alla data di entrata in vigore della presente legge.

www.camera.it/leg18/995?sezione=documenti&tipoDoc=lavori_testo_pdl&idLegislatura=18&codice=leg.18.pdl.camera.506.18PDL0010090&back_to=http://www.camera.it/leg18/126?tab=2-e-leg=18-e-idDocumento=506-e-sede=-e-tipo=

      31 gennaio 2019 La Commissione inizia l’esame del provvedimento in oggetto. La relatrice Alessia Morani illustra la Pdl. Giulia Sarti, presidente, rinvia all’Ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, la definizione delle modalità per il prosieguo dell’esame, una volta che siano state completate le opportune verifiche circa la questione posta dalla collega Giusi Bartolozzi: è in corso di esame presso il Senato la proposta di legge S 735 del senatore Simone Pillon, recante norme in materia di affido condiviso, mantenimento diretto e garanzia di bigenitorialità, che, pur affrontando un tema più ampio, contiene anche disposizioni in materia di assegno.

www.camera.it/leg18/824?tipo=C&anno=2019&mese=01&giorno=31&view=&commissione=02&pagina=data.20190131.com02.bollettino.sede00030.tit00010#data.20190131.com02.bollettino.sede00030.tit0001   pag. 57

27 marzo 2019. Francesca Businarolo, presidente, ricorda che il 13 marzo scorso si è concluso il ciclo di audizioni sul provvedimento in discussione.

http://www.camera.it/leg18/126?tab=4&leg=18&idDocumento=506&sede=ac&tipo=

      Nessuno chiedendo di intervenire, dichiara concluso l’esame preliminare e avverte che il termine per la presentazione di proposte emendative al testo sarà fissato a seguito delle riunione dell’ufficio di presidenza, integrato dai rappresentanti dei gruppi, che si terrà domani.

www.camera.it/leg18/824?tipo=C&anno=2019&mese=03&giorno=27&view=&commissione=02&pagina=data.20190327.com02.bollettino.sede00020.tit00010#data.20190327.com02.bollettino.sede00020.tit00010   pag. 91

 

Camera dei Deputati – Commissione giustizia – Adozione del concepito

PDL C. 1238 Alberto Stefani e altri 45. Disposizioni in materia di adozione del concepito. (7 articoli)

www.camera.it/leg18/995?sezione=documenti&tipoDoc=lavori_testo_pdl&idLegislatura=18&codice=leg.18.pdl.camera.1238.18PDL0031210&back_to=http://www.camera.it/leg18/126?tab=2-e-leg=18-e-idDocumento=1238-e-sede=-e-tipo=

Estratto Art. 1 1. Nel caso in cui, entro novanta giorni dall’inizio della gravidanza, si verifichino circostanze per le quali il parto o la maternità possano comportare un serio pericolo per la salute psico-fisica della gestante, in relazione alle sue condizioni economiche, sociali o familiari o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, ovvero a previsioni di anomalie o di malformazioni del concepito, la donna può fare ricorso, nell’ambito delle misure alternative all’interruzione volontaria della gravidanza di cui alla legge 22 maggio 1978, n. 194, alla procedura dell’adozione del concepito disciplinata dalla presente legge.

       Art. 2. Le disposizioni del comma 1 si applicano anche se, dopo i primi novanta giorni della gravidanza, siano accertate patologie a carico del feto, tra le quali rilevanti anomalie o malformazioni, che determinino un grave pericolo per la salute psico-fisica della donna

        Assegnato alle Commissioni riunite II Giustizia e XII Affari sociali in sede Referente il 15 marzo 2019

                                                          Non ancora iniziato l’esame

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PSICOLOGIA DI COPPIA

La vera legge dell’amore

La tesi condivisa dai partecipanti al Congresso mondiale sulla famiglia di Verona è che la famiglia sia un evento della natura. Ma erano naturalmente sterili le matriarche (Sara, Rebecca, Rachele) e non era affatto naturale, com’è noto, il padre falegname che si prese la responsabilità di crescere il figlio di Dio. Il testo biblico indica con forza che il mistero della generazione della vita e della sua accoglienza non può mai essere ridotto materialisticamente alle leggi della natura perché porta con sé quel miracolo della parola senza il quale l’umanizzazione della vita sarebbe semplicemente impossibile.

Quale parola? Quella che davvero feconda la vita rendendola degna di vita, istituendola come vita di un figlio. Quella parola che nomina e riconosce in una vita particolare non la manifestazione anonima della natura, ma una vita umana, vita portata da un nome proprio. L’amore non è mai, infatti, amore generico per la vita, ma è sempre amore di un nome. Senza il miracolo della parola che adotta la vita del figlio non esiste né padre, né madre, non esiste quella responsabilità illimitata che istituisce la genitorialità ben al di là delle leggi della natura.

È così difficile da capire? Dovremmo davvero ridurre la forza sublime di questo straordinario gesto di adozione, frutto dell’amore dei Due, ad un mero meccanismo di cellule, ad un ingranaggio anonimo della natura o ad una mera necessità istintuale? Oppure dovremmo davvero pensare che questa responsabilità illimitata sia un privilegio esclusivo dei cosiddetti genitori naturali? Ma non è forse quello della genitorialità un gesto che eccede ogni legge della natura? Non è la forza nuda della parola di Dio — della sua grazia — che guarisce le matriarche dalla sterilità rendendo possibile la filiazione umana della vita? Possiamo davvero pensare — pensano davvero questo i sostenitori della famiglia naturale — che la generazione di un figlio sia un evento della natura, simile ad una pioggia o ad un filo d’erba?

La vita umana non vive di istinti, ma si nutre della luce della parola. Non è sufficiente uno spermatozoo o un ovulo né per generare davvero un figlio, né per fare un padre o una madre. Vi sono padri e madri naturali che hanno abbandonato i loro figli, che non sono mai diventati genitori, che non hanno alcun interesse per la vita dei figli che hanno naturalmente generato. Vi sono coppie eterosessuali che non hanno nessuna idea di cosa sia l’eteros, il rispetto e l’ammirazione per la differenza dell’altro che la lezione dell’amore esige. L’eterosessualità, diceva Lacan, non è mai riducibile ad un dato dell’anatomia, ma è la postura fondamentale dell’amore: è davvero eterosessuale chi sa amare l’altro nella sua differenza. Può esserlo o non esserlo con le stesse possibilità una lesbica, un omosessuale o un cosiddetto eterosessuale. È così difficile capirlo?

Quello che fa davvero la differenza è la legge dell’amore e non la legge della natura. È il cuore della predicazione cristiana. Dove questa Legge è operativa c’è rispetto per l’eteros, per la differenza assoluta dell’altro; dove invece questa Legge è assente c’è contesa, rivendicazione, distruzione dell’eteros. Vi sono famiglie che vogliono arrogarsi il diritto esclusivo dell’amore. Vi sono coloro che pensano che l’anonimato della legge della natura garantisca una buona genitorialità. Non si percepisce il carattere rozzamente materialistico di queste posizioni? In natura l’istinto organizza la vita da capo a piedi. Ma vale lo stesso per la vita umana? Esisterebbe un istinto genitoriale? Magari presente nei genitori naturali e assente in quelli adottivi? Non dovremmo forse imparare a ragionare al contrario? Pensare, per esempio, che tutti i genitori naturali dovrebbero guardare quelli adottivi per imparare cosa significhi donare se stessi in un rapporto senza alcuna continuità naturale, senza rispecchiamento. È così difficile capire che c’è padre e c’è madre, che c’è famiglia non perché c’è continuità di sangue o differenza anatomica degli organi genitali dei genitori, ma perché c’è dono, amore per l’eteros del figlio, assunzione di una responsabilità illimitata, esperienza incondizionata dell’accoglienza?

Massimo Recalcati                                    “la Repubblica”                   31 marzo 2019

rep.repubblica.it/pwa/commento/2019/03/30/news/la_natura_della_famiglia-222904819

https://www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201903/190331recalcati.pdf

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