UCIPEM Unione Consultori Italiani Prematrimoniali e Matrimoniali
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NewsUCIPEM n. 745 – 17 marzo 2019
Unione Consultori Italiani Prematrimoniali E Matrimoniali
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“Notiziario Ucipem” unica rivista ufficiale – registrata Tribunale Milano n. 116 del 25.2.1984
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02ABUSI ONU invita il governo a istituire una commissione sugli abusi.
02 La Chiesa tedesca apre al dibattito su celibato e morale sessuale.
03 ACCORDI Accordi pre-matrimoniali: ulteriore aggressione a matrimonio
04 ADOZIONI INTERNAZIONALI Il rilancio inizia dai Paesi di origine: Colombia e Honduras, la Bolivia!
04 Colombia. Per 2 anni solo bambini con + di 7 anni o special needs.
04 Honduras firma e ratifica la Convenzione de L’Aja.
05 AMORIS LÆTITIA Il dibattito: la nipote AL e la nonna FC5
06 Adulterio e atti impuri
10 ASSEGNO MANTENIMENTO FIGLI Reato per padre che mantiene solo figli nati dalla nuova relazione
10 ASSEGNO DIVORZILE Assegno non diminuisce se l’ex ha indennità di accompagnamento
11 Unioni civili, riconosciuto assegno di divorzio.
11 AUTORITÀ PER L’INFANZIA Autorità garante a Min. Fontana: riavviare gli Osservatori nazionali
12 CASA CONIUGALE Regime di assegnazione della casa familiare
14 CENTRO INTERN. STUDI FAMIGLIA Newsletter CISF – n.10, 13 marzo 2019.
16 CHIESA CATTOLICA Ratione servitutis?
17 Dopo la lettera “Ratione servitutis?”
19 Se si togliessero dal vangelo le donne
21 CONGRESSI–CONVEGNI–SEMINARI Assisi.Seminario Coppia Sentieri dell’amore fecondo
21 Milano.Legami sociali e stili comunicativi di comunità. UCSC
22 Verona. La Conferenza sulla famiglia.
23 CONSULTORI D’ISPIRAZ. CRISTIANA Atene:1° Consultorio: la Chiesa al fianco delle famiglie in difficoltà
23 Napoli. Crescere insieme ai propri figli
24 CONSULTORI UCIPEM Udine. Famiglia allo specchio e professioni dell’aiuto in riflessione.
24 COUNSELING Famiglia allo specchio e professioni dell’aiuto in riflessione.
25 DALLA NAVATA 2° Domenica di Quaresima – Anno C – 17 marzo 2019.
25 Pregare trasforma in ciò che si contempla
26 DIRITTO DI FAMIGLIA L’applicabilità della legge alla famiglia islamica residente in Italia
26 FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI Liste d’attesa e spesa sanitaria privata: altra tegola “vitale”
27 FRANCESCO VESCOVO DI ROMA Sei anni fa: una settimana memorabile intorno al 13 marzo
29 GENITORI Non ci sono più i genitori di una volta.
31 MATRIMONIO Non amo più mio marito: conseguenze legali.
32 Non amo più mia moglie: conseguenze legali.
33 MISNA I minori stranieri non accompagnati: il focus
36 OMOFILIA Chiesa cattolica e i preti gay. Ma perché tanti preti omosessuali?
38 PEDAGOGIA Stereotipi di genere nella prima infanzia.
39 PROCREAZIONE ASSISTITA Fecondazione: in Italia terapia ormonale ‘su misura’
39 RICONCILIAZIONE Riconciliazione tra coniugi separati.
41 SALUTE Farmaco gender, servono chiarezza e misericordia.
43 SEPARAZIONE Tradimento: quando spetta il risarcimento?
44 UCIPEM La gestione del conflitto. L’esperienza all’interno della famiglia.
46 VIOLENZA Comportamenti aggressivi vittima e allontanamento marito dalla casa.
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ABUSI
ONU invita il governo a istituire una commissione sugli abusi sessuali del clero.
Uno sconosciuto documento dell’ONU del 27 febbraio 2019 invita il governo italiano a istituire una commissione indipendente sugli abusi sessuali del clero, a indagini rigorose, a rendere obbligatorio per tutti il deferimento dei casi all’autorità civile ed a modificare, di conseguenza, il Concordato tra la Chiesa cattolica e lo Stato. Adopted by the Committee at its eightieth session (14 january–1 february 2019).
Noi Siamo Chiesa 14 marzo 2019
www.noisiamochiesa.org/?p=7394
La Chiesa tedesca apre al dibattito su celibato e morale sessuale
Celibato, potere clericale, morale sessuale. Il summit sugli abusi concluso neppure tre settimane fa in Vaticano ha fatto scattare la molla nei vescovi della Germania per procedere ad una riflessione a 360 gradi su tre temi ancora spinosi per la vita della Chiesa. Riunito in plenaria a Lingen, in Bassa Sassonia, l’episcopato tedesco, di forte tendenza progressista, che ha mostrato in passato l’impulso a voler procedere “autonomamente” su alcune scelte e posizioni (si veda il caso della intercomunione), ha annunciato di voler «intraprendere un percorso sinodale vincolante come Chiesa in Germania» per riaccendere il dibattito sul celibato sacerdotale, per discutere sull’insegnamento della Chiesa in materia di morale sessuale, per adottare misure che portino alla riduzione del potere clericale.
Una scelta che farà sicuramente discutere e che ha come obiettivo di fondo quello di giungere a conclusioni concrete per contrastare la piaga degli abusi, anzitutto quelli sessuali e poi quelli di potere che sono quasi sempre l’anticamera di molestie e violenze a donne e bambini.
L’obiettivo non è formulare riforme (almeno non per ora), come lasciano intuire i presuli nelle loro dichiarazioni finali – rilanciate anche dal quotidiano della Santa Sede L’Osservatore Romano – ma solo di consentire «un dibattito strutturato» che «si svolgerà entro un periodo stabilito, in collaborazione con il Comitato centrale dei cattolici tedeschi».
Per i vescovi il momento è favorevole, ha spiegato in conferenza stampa il cardinale Reinhard Marx, presidente dei vescovi tedeschi, tra i protagonisti del succitato summit vaticano (sua la dichiarazione sui dossier sui preti abusatori distrutti): «La Chiesa in Germania sta vivendo una svolta», ha affermato. E «le indagini sugli abusi e, di conseguenza, la necessità di compiere ulteriori riforme lo dimostrano».
Un riferimento è probabilmente allo studio indipendente commissionato dalla Conferenza episcopale sui casi di abusi nelle diocesi tedesche, presentato nel settembre scorso all’assemblea di Fulda ma anticipato dalla stampa, il quale riferiva che 3.677 minori sono stati abusati sessualmente da parte di 1.670 preti o religiosi in Germania (ossia il 4,4% dei chierici del Paese) tra il 1946 e il 2014.
Statistiche che negli ultimi cinque anni hanno registrato un cambio di tendenza: i casi di abusi sono diminuiti, ma certe questioni rimangono ancora in sospeso e sollecitano una riflessione condivisa da parte della Chiesa. O meglio «un processo sinodale, come Papa Francesco incoraggia», ha chiosato Marx. «La fede può solo crescere e diventare più profonda man mano che la nostra riflessione va avanti e che ci avviamo verso un dibattito libero e aperto, con la capacità di prendere nuove decisioni e aprire nuovi orizzonti».
Per questo, ha detto il porporato, rammentando il Sinodo di Wuerzburg del 1972-1975 e le discussioni degli anni passati che «hanno aperto la strada nel trovare una risposta alle sfide odierne», nel processo sinodale saranno coinvolti con una «partecipazione responsabile» uomini e donne delle diverse diocesi. «Vogliamo essere una Chiesa in ascolto e consulteremo anche persone al di fuori della Chiesa».
In sostanza si darebbe vita a “task force” diocesane di laici e consacrati, come indicato dai partecipanti al vertice di Roma che prospettavano questa strada come possibile misura concreta per affrontare le problematiche legate agli abusi del clero. In particolare su questo punto, ha evidenziato l’arcivescovo di Monaco e Frisinga, i presuli invocano un cambiamento che riguardi «il modo di vivere dei vescovi e dei preti». Quindi il celibato che, sì, è fondamentale perché «espressione dell’attaccamento religioso a Dio», ha detto Marx, ma «bisogna capire fin quanto esso faccia parte della testimonianza dei preti nella nostra Chiesa».
Con lo stesso approccio la Conferenza episcopale tedesca allo studio della morale sessuale da parte della Chiesa ritenuto insufficiente: «Non viene data abbastanza attenzione al significato personale della sessualità», ha osservato il cardinale presidente, e la «stragrande maggioranza dei battezzati» sembra non ascoltare le indicazioni magisteriali della Chiesa in merito. «Sentiamo che spesso non siamo in grado di parlare del comportamento sessuale attuale», ha ammesso il prelato.
Ma se su questi due temi è necessaria una discussione approfondita, su un punto, invece, secondo l’episcopato della Germania si dovrebbe agire senza tentennamenti: ottenere «la necessaria riduzione del potere ecclesiastico». È urgente chiarire «ciò che deve essere fatto per ottenere una necessaria riduzione di questo potere e costituire un ordinamento più giusto e giuridicamente vincolante». Ad esempio, con l’istituzione di specifici tribunali amministrativi. L’abuso di potere da parte di vescovi e sacerdoti è, infatti, intollerabile: è il «tradimento della fiducia» di persone credenti che cercano nei ministri di Dio stabilità e orientamento spirituale.
Salvatore Cernuzio Città Del Vaticano 15 marzo 2019
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ACCORDI
Accordi pre-matrimoniali: ulteriore aggressione a matrimonio e famiglia
Intervento “sottotraccia” del Governo, saltando il Parlamento. Il 28 febbraio 2019 il Consiglio dei Ministri ha approvato dieci disegni di legge di delega al Governo per le semplificazioni e le codificazioni di settore. I testi approvati fanno seguito al D.d.l. in materia di semplificazione varato dal Consiglio dei ministri il 12 dicembre 2018. Uno dei D.d.l. reca la delega “per la revisione del codice civile”; all’art. 1 comma 1 lett. b) esso indica come oggetto di delega “consentire la stipulazione tra i nubendi, tra i coniugi, tra le parti di una programmata o attuata unione civile, di accordi intesi a regolare tra loro (…) i rapporti personali e quelli patrimoniali, anche in previsione dell’eventuale crisi del rapporto, nonché a stabilire i criteri per l’indirizzo della vita familiare e l’educazione dei figli”.
Si tratta dei c.d. accordi prematrimoniali, già oggetto della Pdl n. 2669 depositata nella passata Legislatura dagli on. Alessia Morani (PD) e Luca D’Alessandro (FI). Le differenze sono che:
- Quella, nella sua inaccettabilità, per lo meno si sottoponeva al confronto parlamentare, tant’è che poi non è stata approvata, mentre l’iniziativa dell’attuale Governo sintetizza in poche battute una materia delicata e dirompente, espropriando Camera e Senato di ogni approfondimento;
- In quella gli “accordi prematrimoniali” erano volti unicamente “a disciplinare i rapporti dipendenti dall’eventuale separazione personale e dall’eventuale scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio”, mentre la delega attuale riguarda, oltre ai rapporti personali e patrimoniali in previsione della crisi del rapporto, anche “i criteri per l’indirizzo della vita familiare e l’educazione dei figli”.
Il Centro studi Livatino manifesta sconcerto per la scelta del Governo, in linea con l’intento dissolutorio dell’istituto familiare, perseguito nella precedente Legislatura con le leggi sul divorzio breve, sul divorzio facile, e sulle unioni civili: gli accordi prematrimoniali riducono il matrimonio a un contratto come tanti altri che, come per la somministrazione di un servizio, disciplina le modalità di conclusione prima ancora di iniziare, in un’ottica di privatizzazione mercantile che penalizza la parte più debole. Ci si chiede poi:
a) Se si sia riflettuto sulla sorte del matrimonio religioso con effetti civili: sottoscrivere al momento delle nozze un patto prematrimoniale che disciplina la loro rescissione significa codificare una causa di nullità del vincolo canonico, con conseguenze gravi in termini di incertezza del tipo di matrimonio e di incremento del contenzioso;
b) Quale considerazione abbiano i minori, se i patti includono la disciplina dell’educazione dei figli prima ancora che nascano: l’educazione di un minore presuppone conoscerlo (non si concorda previamente a tavolino);
c) Se ci si sia resi conto, estendendo i patti alle unioni civili (che riguardano pure persone dello stesso sesso) che in tal modo si dà per scontato che nell’unione civile same sex ci siano figli.
Poiché oggi l’esigenza vera è di incentivare il matrimonio e di sostenere la formazione di una famiglia, il Centro studi Livatino auspica un serio ripensamento dell’Esecutivo sul citato passaggio del Ddl, che va nella direzione opposta.
Centro Studi Rosario Livatino 11 marzo 2019 www.centrostudilivatino.it/rosario-livatino
www.centrostudilivatino.it/accordi-pre-matrimoniali-ulteriore-aggressione-a-matrimonio-e-famiglia
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ADOZIONI INTERNAZIONALI
Il rilancio comincia dai Paesi di origine: dopo Colombia e Honduras, ecco la Bolivia!
Nel solo Dipartimento di La Paz “69 bambini abbinati in adozione nazionale e 18 minori segnalati all’Autorità Centrale per l’internazionale.”. A più di dieci anni di blocco delle adozioni internazionali, dalla Bolivia arrivano i primi incoraggianti segnali di un graduale riavvio dell’Officina dei Miracoli!
Secondo stime Unicef sono più di 8.000 i bambini fuori famiglia con una situazione legale non definita. Minori abbandonati, vittime di casi di femminicidio o con entrambi i genitori in carcere, da anni ospiti dei centri di accoglienza del Paese.
“Solo nel dipartimento di La Paz sono 69 i bambini attualmente abbinati a famiglie adottive nazionali e per 31 di loro è già stata emessa sentenza di adozione nazionale. A questi si aggiungono 18 bambini segnalati al Ministero di giustizia affinché possano essere accolti in adozione internazionale” ha dichiarato il direttore del Servizio di Gestione Sociale di La Paz (Sedeges), Mario Cáceres, in una videointervista a ATB lo scorso 11 marzo 2019. L’ostacolo principale – spiega – risiede in uno stallo delle procedure giudiziarie di definizioni di adottabilità dei minori abbandonati accolti negli istituti del Dipartimento, dovuto a una carenza di personale.
Nel Dipartimento di La Paz ci sono solo due Tribunali per l’Infanzia e l’Adolescenza e uno nella città di El Alto, che ha già superato il milione di abitanti.
Dopo un decennio di fermo, le dichiarazioni del Direttore del Sedeges di La Paz confermano – nonostante la lentezza delle procedure di definizione socio legale dei minori accolti negli istituti – che in Bolivia la macchina delle adozioni internazionali si sta lentamente rimettendo in moto. Le prime pratiche depositate risalgono al 2016 e ad oggi già diverse coppie hanno completato l’iter entrando in Italia con i loro bambini.
Amici dei Bambini è accreditato ad operare nel Paese sudamericano fino a novembre 2020.
News Ai. Bi. 14 marzo 2019
www.aibi.it/ita/rilancio-adozioni-internazionali
Adozioni Colombia. Per due anni si adotteranno solo bambini che hanno più di 7 anni o special needs
Nuova Risoluzione dell’ICBF (Instituto Colombiano de Bienestar Familiar) sui deposito dossier delle aspiranti coppie adottive internazionali in Colombia.
Nei prossimi due anni l’adozione internazionale sarà possibile solo per le coppie straniere disponibili ad accogliere bambini che hanno più di 6 anni e 11 mesi d’età o di età inferiore, qualora siano minori con bisogni sanitari speciali o appartenenti a fratrie in cui almeno uno dei bimbi abbia 7 anni o più.
E’ quanto stabilito dall’autorità centrale colombiana per le adozioni internazionali – ICBF Instituto Colombiano de Bienestar Familiar – con la risoluzione n. 1600 del 5 marzo scorso, prontamente comunicata agli Enti stranieri autorizzati ad operare per le adozioni internazionali nel paese sudamericano.
Viene, dunque, sospesa, per altri due anni, la possibilità per gli enti autorizzati stranieri di depositare presso l’ICBF e le istituzioni autorizzate a sviluppare il programma di adozioni internazionali in Colombia (YAPAS) i dossier di aspiranti coppie adottive con diversa disponibilità.
La stessa risoluzione dispone, altresì, che sarà data priorità a strategie ed interventi che promuovano l’adozione di bambini con bisogni sanitari speciali o appartenenti a fratrie e che l’ICBF, in collaborazione con le autorità competenti e con gli enti autorizzati in Colombia, potenzierà le procedure di preparazione, valutazione e selezione delle aspiranti coppie adottive e di presentazione delle relazioni psicosociali al fine di assicurare un migliore attaccamento tra i bambini adottati e le famiglie adottive.
News Ai. Bi. 12 marzo 2019
www.aibi.it/ita/adozioni-colombia
Nuovi scenari di adozione in Centro America: Honduras firma e ratifica la Convenzione de L’Aja
A distanza di 29 anni dalla ratifica della Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia (maggio 1990), finalmente la Repubblica di Honduras firma e ratifica anche la Convenzione de L’Aja.
Il 6 marzo 2019, la dott.ssa Lolis María Salas Montes, direttore esecutivo della Direzione per l’infanzia, l’adolescenza e la famiglia (DINAF), ha firmato e ratificato a nome della Repubblica di Honduras la Convenzione de L’Aja del 29 maggio 1993 sulla protezione dei bambini e sulla cooperazione in materia di adozione internazionale (HCCH) – si apprende dal sito del Permanent Bureau.
Con la firma e la ratifica dell’Honduras, la Convenzione conta ora 101 Paesi contraenti. Per il Paese caraibico, la convenzione entrerà in vigore il 1 ° luglio 2019. Sempre il 6 marzo, l’Honduras ha anche chiesto di diventare membro dell’HCCH.
L’Honduras diventa così il secondo stato delle Americhe, dopo Guayana, a essere parte di tutte le Convenzioni de L’Aja sui minori. Nel Paese caraibico, su un totale di poco più di 8 milioni di abitanti, i minori di 18 anni sono quasi 3,4 milioni, poco meno di un milione hanno meno di cinque anni di età e circa 3.600 vivono sotto protezione dello Stato. Secondo stime delle Autorità locali ben 95% dei bambini dichiarati in stato di abbandono sono neonati abbandonati dalle madri in ospedale.
Nell’aprile del 2018, in un’intervista a La Prensa, il capo regionale della DINAF, Delmy Murcia, aveva riferito di circa 200 richieste di adozione in esame all’autorità centrale (DINAF). “Solo nella zona settentrionale del Paese” – aveva dichiarato – “si registrano 160 bambini in procinto di essere dichiarati abbandonati, la maggior parte dei quali sono stati lasciati negli ospedali, nelle strade e in fabbricati abbandonati.” Sonia Mercadal, a capo dell’area sostegno alla famiglia del DINAF, riferiva anche che dal 2015 alla data, 162 bambini erano stati adottati da 146 famiglie, tra nazionali e straniere, ed erano 137 le richieste di adozione internazionale e 52 le richieste di adozione nazionale in attesa d’esame.
Amici dei Bambini è uno dei 2 enti italiani (come risulta attualmente dal sito della CAI) autorizzati ad operare in Honduras. Ai.Bi. ha ottenuto il primo accreditamento nel 2009, riconfermato nel 2015.
Prima della ratifica della Convenzione de L’Aja, in Honduras l’iter adottivo richiedeva che le aspiranti coppie adottive straniere avessero un minimo di 25 anni e un massimo di 60 anni ed fossero uniti in matrimonio almeno da tre anni. Inoltre prevede due viaggi, il primo con una permanenza media di 10/15 giorni e il secondo e ultimo di 30/40 giorni.
La ratifica della Convenzione de L’Aja potrebbe – è l’auspicio- aprire nuovi scenari di adozioni internazionali. Nei prossimi mesi una delegazione di Ai.Bi. sarà nel Paese centro americano per verificare con l’Autorità centrale quali saranno le procedure, i requisiti di presentazione delle disponibilità di adozione internazionale da parte delle coppie italiane, i costi e i tempi dell’iter adottivo alla luce della ratifica della Convenzione.
News Ai. Bi. 13 marzo 2019
www.aibi.it/ita/nuovi-scenari-di-adozione-in-centro-america-honduras-firma-e-ratifica-la-convenzione-de-laja
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AMORIS LÆTITIA
Il dibattito: la nipote AL e la nonna FC (di P. Tassinari)
Dopo lo scambio di lettere tra me e P. Giulio Meiattini, Paolo Tassinari, diacono permanente della Diocesi di Fossano, interviene con queste osservazioni critiche, appassionate e originali
Con timore e tremore, ma anche con franchezza, inserisco un piccolo contributo al dibattito avviato dal prof. Grillo a seguito della nuova introduzione alla riedizione di un testo del prof. Meiattini. Vorrei riallacciarmi a due domande che il monaco rivolge al liturgista, e tentare di argomentare come i modi e i contenuti degli interrogativi che egli pone, non diano buona testimonianza alla famiglia, benedettina o umana che sia, articolando infine alcune possibili traiettorie di risposta. Scrive il prof. Meiattini: Intendi forse dire che una relazione omosessuale a determinate condizioni è conforme a un’antropologia cristiana? O che due persone dello stesso sesso possano instaurare una convivenza buona e santificante, anche se “non equiparabile al matrimonio”? Oppure che la considerazione dell’adulterio non come “reato permanente” ma come “reato istantaneo” (che alcuni suggeriscono, ma che fino ad ora non trovo recepita da parte dell’insegnamento magisteriale) potrebbe rendere alla fine pienamente legittime altre unioni dopo l’unica sacramentale?
Mi disturba questa domanda del prof. Meiattini. Perché mi evoca le parole di scribi e farisei, quella volta sì, pronunciate davanti ad una donna adultera: 2019 anni dopo suonano identiche. Nello stesso tempo la domanda mi intenerisce, perché mi rivedo bimbo di 12 anni al catechismo, con la mitica suor Quinta a spiegarci: “Bambini belli, voi forse non lo capite ancora, ma per commettere adulterio bisogna essere in due: nelle parole di scribi e farisei, dov’è l’uomo?” Come a dirci: una domanda del genere è sbagliata, cela inganno e non merita risposta. Infatti Gesù tace, si china e scrive per terra.
Prendo in considerazione per il momento la seconda parte della domanda e mi chiedo: come può un monaco non avere “i piedi per terra”, e ostinarsi a definire “adulteri” indistintamente una coppia in nuova unione da 10 o 20 o 30 e più anni, e uno sposo che tradisce la sposa per l’identico arco temporale? Serve un diacono col solo baccellierato a spiegare che il cap. 8 di Amoris Lætitia si rivolge al primo genere di persone?
A me pare che il problema nasca ben prima del 19 marzo 2016, e da lì in poi sia stato semplicemente dato alla luce. Come un parto. Sì, non dimentichiamolo: Amoris Lætitia è figlia di Evangelii Gaudium e dell’Anno della Misericordia. Sì, hanno fatto l’amore ed è nata questa figlia. Ha solo 3 anni, si fa già sentire! E i genitori erano dei bravi ragazzi, avevano sogni grandi per il loro futuro: si amavano e hanno generato una vita. E ai figli si sa, passa sempre qualcosa di chi li ha messi al mondo: un tratto del carattere, il colore dei capelli, una postura del corpo. Ad Amoris Lætitia il padre ad esempio ha trasmesso tante cose, e fra queste un principio a lui tanto caro, un punto fermo che la vita gli ha insegnato e che dice: “Il tempo è superiore allo spazio”.
Il genitore sufficientemente adeguato, gode del figlio che fa proprie le tradizioni ricevute, si rallegra cioè nel vedere la sua creatura che devia dal solco che gli ha consegnato per tracciarne uno proprio, così da non ripetere il modello che ha ricevuto. Altrimenti sarebbe sterile fotocopia, carta e non sangue.
Già “nonna Familiaris Consortio” aveva operato in questo modo rispetto alle tradizioni familiari a lei precedenti, parlando di uno “stato di peccato grave permanente” (uno stato, cioè uno spazio), che solo un “tempo di astensione” dal sesso poteva modificare. Attenzione: prima di lei “lo stato” era immutabile! Al di là dei confini era impossibile migrare! Bei tempi erano quelli: si era solo italiani. Mi sorge però un dubium: la gestazione del saggio “Amoris Lætitia? I Sacramenti ridotti a morale” opera del docente del s. Anselmo, inizia già nel 1981 vero? L’attento lettore cortesemente me lo può confermare? Trovo strano però abbia visto la luce soltanto dopo 37 anni!
Nel frattempo la famiglia si è allargata, è nata la “figlia” di Evangelii Gaudium che assomiglia tanto alla “nonna”, non la ripete ma la onora come una brava bimba di appena 3 anni è capace di fare: crea scompiglio! Una coppia in nuova unione – ci dice AL – può vivere in un tempo di grazia pur vivendo in uno stato (spazio) che non è l’ideale proposto dal Vangelo. E qui le pietre in mano a scribi e farisei scivolano a terra. Mute le pietre, e mute le persone. Tempo e spazio per riprenderci dallo spavento.
Il “silenzio” dei Sinodi e di Amoris Lætitia sul peccato di adulterio, che Meiattini denuncia come un male, credo affondi le sue ragioni qui. “Benedetta sei tu fra le… nonne”, che 38 anni fa usavi già un altro dialetto a proposito! “Benedetta sei tu fra le… nonne” che di “adulteri” non hai mai voluto parlarne! “Benedetta sei tu fra le… nonne” che della nipote “Letizia” vai fiera e orgogliosa: le hai dato il meglio che potevi, e ora lasci lei a parlare d’amore!
Sì, d’amore. Compreso quello di persone dello stesso sesso che sulla scorta di quanto appena accennato, posso solo pensare come storia di un tempo di grazia in uno stato non ideale, che come diacono sono chiamato a servire. Non ignorare o beffeggiare, sperando che per me non sia troppo tardi.
È proprio questo il reato – “permanente o istantaneo” che sia – al quale monaci e diaconi devono sottrarsi con lealtà, fedeltà e ostinazione: vivere fuori dal tempo.
Paolo Tassinari, diacono permanente. Fossano, 11 marzo 2019
Andrea Grillo blog: Come se non 12 marzo 2019
Dibattito su “Amoris Laetitia” (/4): Adulterio e atti impuri (di. P. Consorti)
Il dibattito suscitato dal testo di Giulio Meiattini si arricchisce di un altro tassello. Ad intervenire è Pierluigi Consorti, professore di Diritto canonico presso la Università di Pisa, che sul suo blog ha pubblicato un articolo molto interessante, in risposta al testo di G. Meiattini. Il suo testo merita di essere riportato
https://people.unipi.it/pierluigi_consorti/adulterio-e-atti-impuri-tra-delitto-e-peccato/?fbclid=IwAR0iroGWT1blExr4ydN5YwTPgdh5M92n6O_bkeHi-sJ1cQWmrv4XQ6zmHes
come prezioso contributo ad una discussione che non deve essere lasciata cadere e che oggi nella Chiesa non viene considerata con la attenzione che merita.
Adulterio e atti impuri: tra delitto e peccato. 12 marzo 2019 Pierluigi Consorti, Diritto canonico, News
Prendo spunto da un recente scritto del prof. dom Giulio Meiattini, che è tornato a criticare Amoris Lætitia puntando il dito contro il silenzio di questo documento verso adulterio e omosessualità
www.aldomariavalli.it/2019/03/04/dalladulterio-allomosessualita-genesi-e-scopo-della-strategia-del-silenzio-nella-chiesa-in-uscita
A suo avviso, quel silenzio ha aperto la strada a successivi errori.
Vorrei soffermarmi solo sul tema dell’adulterio, che egli considera un “peccato cancellato con un colpo di silenzio”, vanificando così alcuni passi evangelici, fonti intoccabili della posizione assunta dalla Chiesa cattolica in ordine all’indissolubilità del matrimonio e alla morale sessuale. Questioni (infedeltà e omosessualità) che vengono trattate come se non fossero più peccati, ma ‘fragilità’, o ‘irregolarità’.
Un canonista che legge queste considerazioni non può fare a meno di domandarsi preliminarmente se l’adulterio, in quanto peccato, sia anche un delitto. La soluzione si trova velocemente: per la legge penale della Chiesa l’adulterio è anche un delitto solo se è commesso da un chierico, in quanto concubinario o scandalosamente in peccato contra sextum (can. 1395). Nel campo del matrimonio, si tratta di un inadempimento del patto con cui gli sposi hanno deliberato davanti a Dio e alla comunità di dare vita al permanente consortium totius vitae. Nel caso di adulterio, il coniuge innocente è invitato a perdonare l’infedele e ricostituire la relazione altrimenti corrotta; tuttavia, egli può chiedere la separazione, “a meno che non abbia acconsentito all’adulterio, o non ne abbia dato il motivo, o non abbia egli pure commesso adulterio” (can. 1152).
In termini giuridici, l’adulterio indica l’unione sessuale di uno dei due coniugi con una terza persona (non ha quindi nulla a che vedere con le convivenze extra matrimoniali). Un atto che può essere consumato una o più volte e non coincide necessariamente con una condizione permanente. Tuttavia, in termini morali lo spettro della fattispecie può essere più ampio, riferito cioè a tutte le forme di infedeltà ad una relazione che dovrebbe essere esclusiva. Si tratta di un’estensione accettabile delle parole di Dio “Non commettere adulterio” (Es. 20, 14; Dt. 5, 18), che nella tradizione cattolica sono state interpretate con un’accezione sessuocentrica, testimoniata dalla traduzione catechistica del comandamento con la formula “Non commettere atti impuri”. In questo modo, il sesto comandamento è diventato una sorta di raccoglitore delle possibili infedeltà connesse ad una relazione stabile, che vanno dall’adulterio in senso stretto, al divorzio, alla poligamia e alle libere unioni (ossia, relazioni affettive diverse dal matrimonio sacramentale), e comprendono anche tutte le pratiche sessuali non immediatamente riferibili all’atto procreativo svolto fra i due coniugi (quindi la masturbazione, la fornicazione, la pornografia, le pratiche omosessuali e l’uso di mezzi non naturali di regolazione delle nascite). Si tratta di un’interpretazione morale che non solo attribuisce natura peccaminosa a una serie di atti che di per sé non sono delitti, ma che omette di considerare infedele una relazione amorosa fuori dal matrimonio solo perché non si concretizza con atti sessuali.
Un’interpretazione dell’adulterio coerente con la lettera dei passi biblici suggerisce peraltro un’interpretazione molto più stretta. Persino Gesù è intervenuto su questo punto restringendo l’interpretazione rabbinica seguita dai farisei. Com’è noto, la società dell’epoca – e per molti secoli successivi – non considerava la donna un soggetto giuridico, perciò ammetteva la poligamia e quindi condannava la sola infedeltà della donna coniugata (o promessa sposa). Infatti l’uomo, anche se sposato, poteva sempre legittimamente intrattenere una relazione con una nubile o con una meretrice, purché non violasse una donna sposata (o promessa sposa). Il comandamento biblico originale (espresso con na’af) ha quindi un orizzonte più largo della sola sfera sessuale: da una parte riguarda la ‘proprietà della donna’, intesa come oggetto e non come soggetto; da un’altra parte richiama il valore della fedeltà ad un’alleanza relazionale: tra due sposi come con Dio. Per questa ragione nel caso di flagrante adulterio, anche l’uomo che aveva approfittato di una donna non libera, subiva la medesima condanna.
Com’è noto, Gesù però si oppose alla condanna a morte di un’adultera. Pur considerandola peccatrice, non l’accusò di alcun delitto e l’assolse dal peccato commesso. Gesù venne peraltro tentato dai farisei su un tema connesso all’adulterio, rispetto al quale intervenne in maniera molto chiara, così com’è stato tramandato dai Vangeli di Matteo e Luca. Quando i suoi contestatori gli domandarono se fosse lecito ad un uomo ripudiare una donna per qualsiasi motivo, Gesù negò ripetendo le parole di Dio in Genesi (1,27 e 2,24). Allora, i suoi contestatori gli opposero che Mosè lo aveva però permesso, sicché Gesù affermò che il ripudio non era mai lecito, salvo il caso di porneia (Mt. 19, 9): inizialmente tradotto un po’ semplicisticamente in italiano con fornicazione (e poi anche con ‘relazione illegale’, ‘concubinato’, ‘unione illegittima’, dimostrando la difficoltà connessa alla sua traduzione. Porneia significa infatti anche ‘incesto’, ‘prostituzione’ e pure ‘idolatria’). Disquisire sull’etimologia del termine greco riportato nei Vangeli non è tuttavia centrale, dato che Gesù non parlava quella lingua. Egli avrà probabilmente utilizzato l’espressione ebraica o aramaica, riferendosi forse a zenuth, che indicava il matrimonio fra persone della stessa parentela, che era vietato e quindi invalido (da qui ‘concubinato’ o ‘relazione illegale’), o forse avrà pensato al senso del na’af, che in Mt. 5, 28 gli fece dire che chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio nel suo cuore. Il desiderio va inteso quale impeto di possesso, come nell’ebraico hamad (che si trova nel nono e decimo comandamento): ne deriva che l’adulterio, per essere tale, non ha bisogno di atti sessuali.
In sostanza, Gesù interpreta il comandamento antico dando almeno due indicazioni concrete: da un lato limita il ripudio ad ipotesi eccezionali, e dall’altro afferma che commette adulterio sia l’uomo che dopo aver ripudiato la moglie ne sposi un’altra, sia l’uomo che sposa una donna ripudiata, sia l’uomo che guardandola desidera possederla. Secondo la mentalità dell’epoca, la posizione della donna rimane estranea a questa relazione: ella ne è oggetto e non soggetto.
Bisogna considerare che i successivi traduttori cristiani operavano in una società ormai monogamica, perciò “coscienti della difficoltà presentata dalla radice na’af, scelsero il greco moikheneis [adulterare], allo scopo di sottolineare la responsabilità morale e giuridica dell’uomo che aveva rapporti con la donna d’altri. San Girolamo ha usato un verbo latino, moechari, che non è altro che un prestito dal greco: un termine gergale che designa l’azione di lasciarsi andare alle dissolutezze. Come si può notare, la somiglianza fra i significanti nasconde una grande divergenza di senso: mentre in greco il verbo è innanzitutto un termine giuridico, in latino appartiene al registro morale” (N. A. Chouraqui, I dieci comandamenti, Milano, 2001, p.162).
Tale trasposizione dal diritto verso la morale è la cattiva radice che sottostà al ragionamento che nel terzo millennio dom Meiattini ripropone ai suoi lettori, limitando la visione del peccato di adulterio alla sfera degli atti impuri e chiudendo l’interpretazione di Amoris Lætitia nelle gabbie strette proposte da una teologia morale di stile catechistico. Lo spostamento dell’accento dall’adulterio alla sessualità emargina la fonte biblica ed enfatizza interpretazioni che col tempo hanno semplicemente distorto il senso salvifico delle Parole di Dio rivolte a uomini e donne sessuate, che vivono una dimensione carnale che Dio vuole iscritta nella fedeltà alla sua alleanza. Del resto, è noto che l’interpretazione cattolica dell’indissolubilità del matrimonio non è condivisa dalle altre Chiese cristiane, che ammettono – con sfumature diverse – la possibilità di interrompere la relazione matrimoniale, che per la Chiesa cattolica è un sacramento.
In termini di diritto canonico, la relazione matrimoniale è il patto/contratto con cui un uomo e una donna stabiliscono un consortium permanente, di cui tuttavia non sono padroni, dato che in ragione del sacramento il loro contratto è particolarmente stabile, unico e indissolubile. Il diritto canonico cura con ampiezza il tema dell’atto matrimoniale, considerandone forma, oggetto, impedimenti, condizioni e patologie giuridiche. Manca però di affrontare il tema del rapporto matrimoniale, che è il grande assente del diritto canonico. Il silenzio del diritto sul rapporto matrimoniale è paradossalmente interrotto proprio dall’adulterio, inteso come un fatto giuridico che può modificare la forma della relazione matrimoniale, senza però toccarne la sostanza. Ma andiamo con ordine.
Come già accennato, il diritto canonico offre una diversa soluzione pragmatica. Nel caso dei chierici, l’adulterio non può sussistere in senso stretto, dato l’obbligo del celibato, tuttavia il canone riserva uno spazio penalmente rilevante ai vari atti contra sextum, che come abbiamo visto raccolgono le varie ipotesi di atti impuri. Nell’ambito della vita matrimoniale, l’adulterio è circoscritto all’infedeltà coniugale in senso stretto. Nel primo caso, l’omissione degli obblighi prescritti produce una sanzione penale; nel secondo caso, permette la separazione dei coniugi, pur senza scioglimento del vincolo sacramentale.
Questa impostazione conserva l’adulterio nel novero dei peccati gravi, talmente gravi da ammettere che possano non essere perdonati dalla parte innocente. Al contempo, ne restringe la portata, dato che non sembra possibile far rientrare tutte le ipotesi di atti impuri nelle cause di separazione concepibili sotto il cappello dell’adulterio, che sussiste nel solo caso di infedeltà coniugale compiuta attraverso la consumazione di un rapporto sessuale. In tal caso, il diritto canonico costruisce un rimedio certamente inadatto a risolvere i problemi reali, in quanto il Codice resta impostato ad un eccessivo formalismo giuridico. Posto che la separazione sia una soluzione, essa è subordinata ad una serie di condizioni che la consentono solo quando essa possa essere addebitata alla colpa di uno solo dei due. “Con ciò si arriva alla conclusione che per il legislatore canonico due coniugi che si tradiscono vicendevolmente sono obbligati a continuare a vivere sotto lo stesso tetto, a mangiare alla stessa mensa e a dormire nello stesso letto, con quale risultato per il modello cristiano di matrimonio non è difficile immaginare” (P. Moneta, Il matrimonio nel nuovo diritto canonico, Genova, 1991, p. 201).
In altre parole, nel caso di infedeltà di uno solo dei due, il diritto canonico attribuisce ai coniugi un potere limitato di intervento nella loro relazione, rimettendo la decisione sulla prosecuzione della convivenza alla sola parte (apparentemente) innocente, che può graziosamente perdonare e quindi ristabilire l’unità. Non v’è chi non veda che tuttavia tanto l’unità quanto l’indissolubilità restano in sé stesse perennemente violate: giacché l’infedeltà relazionale non può non averle incrinate. Siamo quindi di fronte ad una finzione giuridica a senso unico, dato che nel caso di infedeltà reciproca nessuno dei due può perdonare l’altro. In questi casi non solo il matrimonio resta istituzionalmente saldo, ma i coniugi permangono nel dovere di convivere, come se nulla fosse accaduto.
Questa impostazione è paradossale anche alla luce del canone 1153, che prevede un diritto alla separazione quando uno dei due coniugi compromette gravemente il bene spirituale o materiale dell’altro o della prole, o comunque rende troppo dura la vita comune, per cause diverse dall’infedeltà. In tali casi è ammesso che l’incolpevole si allontani dall’altro, anche senza attendere la decisione dell’Ordinario.
I canoni relativi alla separazione presuppongono un diritto-dovere di salvaguardare la convivenza coniugale nei limiti della sua accettabilità reciproca. Nessuno può essere costretto a mantenere una relazione coniugale imperfetta. Ciò significa che la relazione matrimoniale rimane nella disponibilità dei coniugi; mentre il vincolo sacramentale segue strade proprie, indipendenti dalla relazione. Si tratta di un paradigma dogmaticamente perfetto quanto pragmaticamente inverosimile: significa che il sacramento perde ogni contatto con la sostanza della relazione.
In questo modo il diritto canonico non riesce ad esprimere il senso evangelico della relazione matrimoniale, che non può esaurirsi nella manifestazione del consenso. Tutti i canoni si concentrano su questo momento, che miticamente diventa espressione persino dell’amore di Cristo per la Chiesa, e poi si disinteressano della vita concreta. La fine della relazione d’amore è a sua volta per sempre: senza rimedio. Di fronte ad una relazione fallita, i coniugi possono solo sperare che l’atto matrimoniale fosse nullo, perché se non lo fosse stato, restano legati per sempre. Senza alcuna prospettiva di rimedio. Paradossalmente, il sacramento li ha incastrati.
Per grazia di Dio, questo schema paradossale è stato faticosamente ripensato alla luce della vita concreta. Amoris lætitia è finalmente intervenuta modificando il paradigma solo istituzionale del matrimonio, collegandolo alla dimensione familiare e introducendovi il tema dell’amore: che per il diritto è altrimenti assente. Il silenzio dell’amore nel diritto canonico dovrebbe scandalizzare molto di più del silenzio dell’adulterio o dell’omosessualità.
Occorre ripensare il matrimonio canonico proiettandolo oltre la sola manifestazione del consenso. Non è accettabile immaginare un atto di volontà che in un momento solo condiziona tutto il tempo futuro. Il tempo della vita vale più dello spazio di un momento. In assenza di un’elaborazione più complessa, restiamo fermi ad una concezione solo istituzionale del matrimonio canonico, completata da una visione morale che lo vede tristemente un motivo di giustificazione delle relazioni sessuali. Grazie a Dio, per il popolo il matrimonio è il luogo dell’incontro di una relazione d’amore fra due persone, confermata davanti a Dio e agli altri uomini, non senza l’ausilio della gioia che viene dall’esercizio della sessualità.
Se il diritto canonico non saprà dare voce all’amore resterà schiavo di una ricostruzione dogmatica che non ammette fragilità o tentennamenti soggettivi. Il matrimonio resterà sempre più estraneo alla storia delle relazioni, privato della fatica di una costruzione continua di fedeltà ad un amore che possa durare nel tempo, perciò fedele ed esclusivo. Ciascun matrimonio riflette una dimensione antropologica, storicamente determinata. Fatta di spirito e carne. La forza della grazia sacramentale che impregna ex opere operato [per il fatto stesso di aver fatto la cosa] l’espressione della volontà matrimoniale, non ne condiziona necessariamente lo sviluppo successivo. La celebrazione del matrimonio è espressione della volontà dei ministri del sacramento di cui la Chiesa prende atto, dichiarandosi umilmente incompetente a sciogliere un vincolo che in effetti non le appartiene, perché di fatto rimane strettamente connesso alla capacità dei coniugi di conservare nel tempo l’alleanza d’amore intrapresa.
La comunità ecclesiale deve fare i conti con la sensibilità contemporanea che attribuisce al matrimonio la stabilità di una scelta fondata su un amore reciproco, rafforzata dalla grazia sacramentale, che tuttavia non può da sola supplire le mancanze personali. Queste ultime peraltro non possono essere pensate come forme di condanne senza appello ad una vita obbligatoriamente condotta insieme, come se l’amore perdurasse. L’indissolubilità è una proprietà essenziale del matrimonio sacramentale, non una condanna né un deterrente. L’adulterio è un peccato che può essere sanato. Perciò è consolante che il magistero si concentri sulla gioia dell’amore nella vita familiare senza indugiare sulla sua potenziale peccaminosità.
La strada aperta da Amoris lætitia che coraggiosamente definisce certe relazioni ‘cosiddette irregolari’ e le iscrive in un quadro di accoglienza ecclesiale, discende dalla serena consapevolezza che davanti a Dio siamo tutti regolarmente irregolari. Il magistero che insisteva sulla prevenzione e punizione del peccato misurandolo attraverso l’enumerazione degli atti impuri ha fin qui certamente prodotto diminuzione dei matrimoni, crescenti separazioni e divorzi, oltre al ricorso pressoché unanime a convivenze prematrimoniali. I canonisti devono assumersi la responsabilità di immaginare regole in grado di esprimere la potenzialità di un amore che dura nel tempo, senza limiti, e senza condannare chi resta indietro.
Andrea Grillo blog: Come se non 12 marzo 2019
www.cittadellaeditrice.com/munera/dibattito-su-amoris-laetitia-4-adulterio-e-atti-impuri-di-p-consorti
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ASSEGNO DI MANTENIMENTO PER I FIGLI
Reato per il padre che mantiene solo i figli nati dalla nuova relazione
Corte di Cassazione, sesta sezione penale, n. 11161, 13 marzo 2019
www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_33936_1.pdf
Viola gli obblighi di assistenza familiare il genitore che non versa l’assegno di mantenimento ai figli minori, mentre non fa mancare nulla ai figli nati da una nuova relazione. Il mero richiamo alla messa in liquidazione dell’azienda datrice di lavoro appare insufficiente a dimostrare l’impossibilità di far fronte agli adempimenti.
Lo ha precisato la Corte di Cassazione, confermando la condanna ex art. 570 c.p. a un padre e annullando senza rinvio la sentenza impugnata solo relativamente al termine dal quale far partire il pagamento della provvisionale cui è subordinata la condizionale.
Nel resto, i giudici di legittimità confermano la condanna inflitta, ex art. 570, all’uomo che aveva omesso di versare l’assegno di mantenimento fissato dal Giudice civile, in sede di separazione coniugale, per il mantenimento della moglie e dei figli minorenni dei quali si era disinteressato e ai quali faceva mancare i mezzi di sussistenza.
Gli Ermellini rammentano che lo stato di bisogno di un figlio minorenne è presunto dalla legge e non è vanificato o eliso dal fatto che alla erogazione dei mezzi di sussistenza provveda comunque l’altro genitore, perché persiste l’obbligo del genitore di provvedere al mantenimento dei figli minorenni (cf. Cass. n. 27051/2008).
Inoltre, nella nozione penalistica di mezzi di sussistenza richiamata dall’art. 570 c.p., comma 2, n. 2, sono compresi, nella attuale dinamica evolutiva degli assetti e delle abitudini di vita familiare e sociale, non soltanto i mezzi per la sopravvivenza vitale (quali il vitto e l’alloggio), ma anche gli strumenti che consentano di soddisfare altre complementari esigenze della vita quotidiana, ad es., l’abbigliamento, i libri di istruzione per i figli minori, i mezzi di trasporto e di comunicazione, eccetera (cfr. Cass. n. 49755/2012).
Per escludere la responsabilità, spiegano gli Ermellini, l’impossibilità di far fronte agli adempimenti sanzionati dall’art. 570 c.p. deve essere assoluta e costituire una situazione di persistente, oggettiva, incolpevole indisponibilità di introiti.
L’imputato avrà dunque l’onere di allegare gli elementi dai quali possa desumersi la sua impossibilità di adempiere alla obbligazione, ma non vale a tal fine la dimostrazione di una mera flessione degli introiti economici o la generica allegazione di difficoltà.
Nel caso di specie, la sentenza impugnata ha dato seguito a tali principi, precisando in maniera adeguata che le difficoltà economiche del ricorrente non erano state in alcun modo provate. Non viene ritenuto sufficiente il richiamo alla messa in liquidazione della società presso la quale lavorava, posto che ciò “stride con la circostanza che l’imputato abbia iniziato una nuova relazione dalla quale ha avuto due figli ai quali non ha mai fatto mancare i mezzi di sussistenza”.
Lucia Izzo Studio Cataldi 18 marzo 2019
www.studiocataldi.it/articoli/33936-reato-per-il-padre-che-mantiene-solo-i-figli-nati-dalla-nuova-relazione.asp
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ASSEGNO DIVORZILE
Divorzio: l’assegno non diminuisce se l’ex prende indennità di accompagnamento
Corte di Cassazione, prima sezione civile, n. 6518, 6 marzo 2019
www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_33865_1.pdf
Per la Cassazione l’assegno divorzile è dovuto anche se il marito va in pensione e l’ex moglie invalida al 100% percepisce l’indennità di accompagnamento
La Cassazione respinge la richiesta di revisione dell’assegno di divorzio presentata dal marito che, dopo il pensionamento, dichiara la consumazione del suo patrimonio mobiliare. Le condizioni economiche della ex moglie, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, non giustificano la revoca dell’assegno. Ella, ormai invalida al 100% e titolare dell’indennità di accompagnamento non ha visto contrariamente a quanto sostenuto dall’ex, migliorare la propria condizione economica.
La Corte d’appello di Milano respinge il reclamo di un marito, confermando la decisione del Tribunale. Il giudizio d’appello è stato promosso per ottenere la revisione dell’assegno divorzile di € 769,97, corrisposto all’ex moglie soggetta ad amministrazione di sostegno. Questo, a fronte del peggioramento della propria condizione economica dovuta all’intervenuto pensionamento e al contestuale miglioramento della situazione della beneficiaria.
La Corte d’appello ha ritenuto non provato il peggioramento delle condizioni economiche del marito, rispetto al momento in cui è stato determinato l’assegno divorzile. Lo stesso si è infatti limitato ad allegare, senza documentare, la consumazione di tutto il suo patrimonio mobiliare. Il giudice di secondo grado, al contrario, ha ritenuto dimostrato il peggioramento delle condizioni di salute dell’ex moglie beneficiaria dell’assegno, la cui invalidità ha raggiunto ormai il 100%.
Avverso il suddetto decreto il marito propone ricorso per cassazione lamentando in particolare l’omissione da parte dei giudici della necessaria integrazione probatoria, nonostante le sue sollecitazioni di richiedere a terzi, in primis all’Inps, informazioni sulla situazione pensionistica della ex moglie.
La Cassazione rigetta il ricorso, considerando inammissibile il motivo con cui il marito ha contestato l’omissione da parte della Corte territoriale dell’assunzione di “informazioni da organismi terzi, come l’Inps, circa la situazione pensionistica della controparte.”
Tale disappunto per gli Ermellini si risolve “in una implicita e generica richiesta di rivisitazione del giudizio di fatto compiuto dai giudici di merito, i quali hanno ritenuto che il quadro probatorio dimostrava che le condizioni economiche dell’ex coniuge beneficiario non erano migliorate, alla luce di quanto dichiarato dall’amministratore di sostegno (in particolare, in merito al fatto che l’amministrata, oltre all’assegno divorzile, percepiva solo un’indennità di accompagnamento di € 490,00 mensili); né il ricorrente deduce che ciò non corrispondesse al vero.”
Annamaria Villafrate Studio Cataldi 12 marzo 2019
Unioni civili, riconosciuto assegno di divorzio
Primo caso di riconoscimento dell’assegno di divorzio in una unione civile. Il Tribunale di Pordenone, nella causa di due donne unite civilmente, ha riconosciuto un assegno periodico al partner “più debole”.
Nel caso di specie, il provvedimento del Tribunale (Gaetano Appierto presidente) evidenzia che «altamente verosimile che nel corso della stabile convivenza delle parti in causa, con inizio nell’autunno del 2013, siano state adottate dalla donna economicamente più debole decisioni in ordine al trasferimento della propria residenza e alla attività lavorativa dettate non solo dalla maggior comodità del posto di lavoro rispetto ai luoghi di convivenza (Pordenone piuttosto che Venezia), ma anche dalla necessità di coltivare al meglio la relazione e trascorrere quanto più tempo possibile con la propria compagna». Da qui la decisione di un assegno di mantenimento di 350 euro al mese a carico della coniuge economicamente più forte che al momento si trova nell’abitazione condivisa durante la relazione.
Sulla vicenda Adnkronos ha registrato il commento di Monica Cirinnà, senatrice del Partito democratico e relatrice della legge sulle unioni civili: «Mi fa piacere leggere che, per la prima volta, un Tribunale ha applicato la legge sulle unioni civili anche in sede di scioglimento, riconoscendo un assegno alla coniuge debole – ha evidenziato – la legge 76/20 maggio 2016 equipara coppie sposate e coppie unite civilmente anche nella fase di scioglimento dell’unione, riconoscendo anche in questo caso che ogni famiglia ha diritto allo stesso trattamento giuridico».
Gabriella Lax Studio Cataldi 16 marzo 2019
www.studiocataldi.it/articoli/33939-unioni-civili-riconosciuto-assegno-di-divorzio.asp
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AUTORITÀ GARANTE PER L’INFANZIA E L’ADOLESCENZA
L’Autorità garante al ministro Fontana: “Riavviare gli Osservatori nazionali”
www.garanteinfanzia.org/sites/default/files/nota-riattivazione-osservatori-nazionali.pdf
Riavviare i lavori dell’Osservatorio nazionale per l’infanzia e l’adolescenza, dell’Osservatorio nazionale sulla famiglia e dell’Osservatorio nazionale per il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile. È quanto ha chiesto, con una nota, l’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza al ministro per la famiglia e la disabilità, Lorenzo Fontana.
“Sono osservatori – osserva la Garante Filomena Albano – per i quali è importante mantenere per ciascuno la propria specificità e che hanno, ciascuno, un ruolo fondamentale nella programmazione e nel monitoraggio degli interventi per le persone di minore età. Inoltre, proprio a febbraio, il Comitato delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia ha chiesto, nelle raccomandazioni seguite alla relazione periodica dell’Italia, che sia rafforzato il ruolo dell’Osservatorio nazionale per l’infanzia e l’adolescenza, munendolo di risorse umane, tecniche e finanziarie”.
“Confido nella sensibilità del ministro Fontana – conclude la Garante – perché si arrivi a una celere ripresa dei lavori e lo ringrazio, sin da ora, per le azioni che vorrà porre in essere alla luce delle deleghe attribuitegli”. L’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, pur nel suo ruolo di organo super partes, partecipa in qualità di invitato permanente ai lavori di tutti e tre gli osservatori.
Nota dell’Autorità garante per l”infanzia e l’adolescenza 11 marzo 2019
www.garanteinfanzia.org/news/lautorita-garante-al-ministro-fontana-riavviare-gli-osservatori-nazionali
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CASA CONIUGALE
Regime di assegnazione della casa familiare
Il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli. Dell’assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, considerato l’eventuale titolo di proprietà.
Il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l’assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio.
Il provvedimento di assegnazione e quello di revoca sono trascrivibili e opponibili a terzi ai sensi dell’articolo 2643 codice civile.
In presenza di figli minori, ciascuno dei genitori è obbligato a comunicare all’altro, entro il termine perentorio di trenta giorni, l’avvenuto cambiamento di residenza o di domicilio. La mancata comunicazione obbliga al risarcimento del danno eventualmente verificatosi a carico del coniuge o dei figli per la difficoltà di reperire il soggetto. La suddetta disposizione si applica nel caso che i genitori siano coniugati sia ai conviventi more uxorio con figli minorenni o maggiorenni non economicamente autosufficienti.
Il diritto alla conservazione dell’abitazione in cui i figli sono cresciuti si configurerebbe addirittura come un diritto Costituzionalmente garantito rientrando esso tra i diritti tesi allo sviluppo della personalità.
E’ bene sottolineare che per casa familiare si intende solo quell’immobile che abbia costituito il centro di aggregazione della famiglia durante la convivenza, con esclusione di ogni altra abitazione di cui i coniugi / genitori avessero la disponibilità o che comunque usassero in via saltuaria o temporanea.
Presupposti per l’assegnazione della casa familiare. Affinché si possa procedere ad assegnazione della casa familiare è necessaria la presenza di figli minorenni o maggiorenni non economicamente indipendenti. La Corte di Cassazione ha più volte precisato che il provvedimento di assegnazione della casa coniugale è subordinato alla presenza di figli, minori o maggiorenni non autosufficienti economicamente, conviventi con i coniugi / genitori. In assenza di tale presupposto, il giudice non può assegnare la casa in comproprietà in sostituzione o quale componente dell’assegno di mantenimento: questa resta soggetta alle norme sulla comunione, salva l’esistenza di eventuali accordi di natura negoziale intercorsi tra le parti in sede di separazione personale.
Pertanto, in caso di separazione di coniugi senza figli o con figli maggiorenni ed autonomi, non potrà in alcun modo disporsi l’assegnazione della casa familiare. In tali ipotesi caso nulla dovrà indicare la sentenza in ordine all’assegnazione.
Come si evince chiaramente dalla norma, il diritto all’assegnazione della casa prescinde dalla titolarità di diritti reali sul bene.
Ove l’immobile sia di proprietà del genitore non collocatario del figlio/i minore o maggiorenne non economicamente indipendente, il diritto subirà una limitazione in relazione all’uso, pur rimanendo allo stesso proprietario la possibilità di procedere alla vendita dell’immobile a terzi salvo il diritto per il coniuge/genitore assegnatario di continuare a viverci considerato che il provvedimento di assegnazione, seppur non trascritto, è opponibile al terzo acquirente per 9 anni dall’emissione del provvedimento di assegnazione e, oltre il novennio, se trascritto. Con l’assegnazione si costituisce e configura in capo all’assegnatario un diritto atipico di godimento di natura personale (e non un diritto reale di uso o di abitazione)
Modifica o revoca assegnazione casa familiare. Il diritto di assegnazione della casa familiare può essere oggetto di modifica da parte del Tribunale ogni qualvolta emergano “fatti nuovi e rilevanti” che possano legittimare la richiesta di modifica.
Tipico caso che legittima la richiesta di modifica o di revoca dell’assegnazione della casa familiare è quello del figlio maggiorenne non economicamente indipendente che sceglie di andare a vivere con il genitore non collocatario. In tal caso, il provvedimento di assegnazione andrà revocato o modificato e si applicheranno ai fini dell’accertamento del diritto al possesso e all’uso della casa le norme del codice civile (in particolar modo quelle in materia di diritti reali).
L’assegnazione della casa familiare andrà revocata anche nel caso in cui il genitore affidatario o collocatario cessi di viverci con i figli.
Allo stesso modo astrattamente modificabile è il provvedimento di assegnazione ove il genitore assegnatario intraprenda una convivenza more uxorionella casa familiare ovvero contragga nuovo matrimonio; la ratio della revoca si fonda sul presupposto che il nuovo convivente o coniuge andrebbero ad alterare la struttura familiare del minore o maggiorenne economicamente non indipendente con conseguente venir meno della tutela. In questo caso la revoca dell’assegnazione della casa familiare non è automatica, ma la situazione deve essere valutata caso per caso dal Giudice il quale avrà il delicato ruolo di contemperare l’interesse del figlio a continuare a vivere nella residenza familiare con il diritto del proprietario.
Quindi, la convivenza more uxorioo il nuovo matrimonio dell’assegnatario della casa non sono circostanze, di per se stesse, idonee a determinare la cessazione dell’assegnazione, dovendo l’eventuale revoca dell’assegnazione essere subordinata ad un giudizio di conformità all’interesse del minore.
Le spese della casa assegnata. Le spese per l’uso, godimento e la conservazione ordinaria della casa familiare sono a carico della parte assegnataria. In sostanza il genitore assegnatario oltre al pagamento delle utenze dovrà corrispondere le rate condominiali ordinarie (con esclusione delle rate condominiali che si riferiscono ad interventi straordinari).
Per quanto attiene alle imposte comunali sull’immobile assegnato, il genitore che ha il godimento della casa di proprietà dell’altro genitore non è tenuto alla corresponsione di alcuna imposta in quanto, il diritto di assegnazione della casa familiare non costituisce un diritto reale bensì un atipico diritto personale di godimento e pertanto nulla è dovuto ai sensi dell’art. 3 del Decreto Legislativo 504/30 dicembre 1992 (Cassazione Civile, sez. Trib. 20/10/2008 n. 25486).
Casa familiare in locazione o in comodato. Ove al momento della crisi familiare l’abitazione sia condotta in locazione dal genitore non collocatario dei figli, l’art. 6, comma 2, della legge 27 luglio 1978, n. 392, prevede che, nel caso in cui essa casa sia stata assegnata dal Giudice al coniuge non intestatario del contratto ma convivente con i figli minori, lo stesso contratto si trasferisce per legge al coniuge convivente con i figli stessi; in tal caso si trasferiranno su di esso tutte le obbligazioni derivanti dal contratto, dal pagamento del canone alla naturale durata del contratto stesso.
Con il provvedimento di assegnazione il coniuge a cui viene assegnata la residenza familiare diviene il conduttore della stessa E il precedente rapporto non potrà più tornare in vita, anche in caso di rilascio spontaneo da parte del coniuge assegnatario (Cass. civ. sez. III, 17 luglio 2008, n. 19691). La stessa disciplina si applica anche in caso di convivenza more uxorio con figli minori o maggiorenni non autosufficienti.
Nel caso in cui al momento della dissoluzione del matrimonio/convivenza il contratto di locazione fosse scaduto, il genitore convivente con i figli minori o maggiorenni ma non economicamente indipendenti non succederà nel contratto di locazione scaduto bensì verrà trasferita ad esso una situazione di mera occupazione.
Più complessa la questione nelle ipotesi tutt’altro che rare in cui la casa familiare sia di proprietà di un terzo (spesso i genitori di una della parti) che la concede in uso alla coppia al fine di destinarla a casa familiare. In questi casi il rapporto tra il proprietario e chi usa l’immobile è configurabile come un comodato. La Cass. S.U. con sentenza 29 settembre 2014 n. 20448 ha stabilito che:” Ai sensi dell’art. 1809, secondo comma, cod. civ., il bisogno che giustifica la richiesta del comodante di restituzione del bene non deve essere grave ma imprevisto (e, dunque, sopravvenuto rispetto al momento della stipula del contratto di comodato) ed urgente, senza che rilevino bisogni non attuali, né concreti o solo astrattamente ipotizzabili. Ne consegue che non solo la necessità di un uso diretto ma anche il sopravvenire d’un imprevisto deterioramento della condizione economica del comodante – che giustifichi la restituzione del bene ai fini della sua vendita o di una redditizia locazione – consente di porre fine al comodato, ancorché la sua destinazione sia quella di casa familiare, ferma, in tal caso, la necessità che il giudice eserciti con massima attenzione il controllo di proporzionalità e adeguatezza nel comparare le particolari esigenze di tutela della prole e il contrapposto bisogno del comodante”.
Si tratterebbe pertanto di un comodato che non può ritenersi “precario” ex art. 1810 cc bensì deve considerarsi “ordinario” e quindi regolato dagli artt. 1809 e ss cc, conseguentemente il comodante, al verificarsi della frattura dell’unione ed in presenza di un provvedimento di assegnazione della casa familiare concessa in comodato, non ne può richiedere la restituzione, salvo che non provi un imprevisto bisogno sopravvenuto successivamente rispetto alla stipula del contratto di comodato e urgente che ai sensi dell’art. 1809 c.c. legittimerebbe la richiesta restituzione.
Di fatto sull’immobile si imprime un vincolo di destinazione alle esigenze abitative familiari non soltanto a titolo personale del comodatario, ma dell’intera famiglia. Quindi il comodato senza determinazione di durata deve considerarsi sorto per un uso determinato e dunque per un tempo determinabile per relationem, da individuarsi in considerazione della destinazione a casa familiare, indipendentemente dall’insorgere di una crisi coniugale.
Il proprietario comodante sarà quindi tenuto a consentire la continuazione del godimento, anche oltre l’eventuale crisi coniugale, salva l’ipotesi di sopravvenienza di un urgente ed imprevisto bisogno ai sensi dell’art. 1809, comma 2, c.c.”.
Avv. Matteo Santini, Foro di Roma 11 marzo 2019
www.studiocataldi.it/articoli/33863-regime-di-assegnazione-della-casa-familiare.asp
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CENTRO INTERNAZIONALE STUDI FAMIGLIA
Newsletter CISF – N. 10, 13 marzo 2019
v Un sorriso con i bambini in ospedale. Due minuti e mezzo di vera poesia, in un video delicato ed emozionante (imperdibile!), che dimostra quanto poco basti per riportare sorrisi ed allegria ai bambini, anche in situazioni di sofferenza. E anche i cellulari, in queste situazioni, diventano un prezioso strumento di relazione. Basta avere il cuore aperto, e tornare un po’ bambini anche noi.
www.facebook.com/yeasseuwee/videos/548474625634455/
v Alba (CN): dati e ricerche nazionali e locali su valori e cittadinanza attiva. Il Cisf promuove un incontro, in collaborazione con il locale Centro Culturale San Paolo, Gazzetta d’Alba e Famiglia Cristiana, sul tema Alla ricerca del bene comune in una società frammentata (Alba, Piazza San Paolo 14, 27 marzo, h. 18.00). “L’incontro sarà l’occasione per riflettere sul valore della partecipazione dei cittadini e delle famiglie nel promuovere il bene comune e la cosa pubblica, e sulle motivazioni valoriali, etiche e civiche che muovono tale impegno, a partire da alcune recenti indagini svolte dal Cisf sul territorio nazionale e locale. Perché un territorio è ricco non solo per il PIL che producono le sue imprese, ma anche per il capitale sociale e la solidarietà generati dai suoi abitanti”. Con il contributo di Fondazione CRC.
http://newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/attachments/newscisf1019_allegato1.pdf
v Europa. Lavoro a domicilio, famiglia e relazioni di cura domestiche nell’Unione Europea”: Libro Bianco (Home & Family Employment and Home Care in the EU). www.effe-homecare.eu/en/
v All’inizio di marzo 2019 la NGO European Federation for Family Employment and Home Care (EFFE) (Federazione Europea per il lavoro a domicilio, famiglia e relazioni di cura domestiche) ha presentato il suo Libro Bianco, frutto di due anni di collaborazione con altre realtà della società civile e con le istituzioni dell’Unione Europea Il Libro ha l’obiettivo di promuovere a livello europeo il lavoro a domicilio. EFFE ha già formulato 10 proposte per offrire un sistema omogeneo a livello europeo che consenta ai lavoratori di lavorare da casa proteggendo i loro diritti, e insieme offrendo sostegno ai datori di lavoro nelle procedure regolative
http://newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/attachments/newscisf1019_allegato2.pdf
v Forum delle associazioni familiari. Banche: “sproporzione tassi di d’interesse tra famiglie e imprese non è giustificabile”. “La sproporzione nel livello dei tassi d’interesse sulle nuove erogazioni di credito tra famiglie e imprese, certificata oggi [11 marzo 2019] da Bankitalia, conferma per l’ennesima volta la difficoltà a far capire agli attori della nostra finanza che la famiglia non è soltanto un soggetto di consumo, ma anche e soprattutto una potenziale immensa risorsa generativa di capitale umano essenziale alla crescita e allo sviluppo del Paese come, e in alcuni casi ancor più, delle imprese. Per questo, la differenza tra l’8,19% che dovranno pagare le famiglie rispetto all’1,47% per le società non finanziarie è uno schiaffo a chi si sta impegnando per cambiare le cose e restituire fiducia e possibilità di ripartire a tanti nuclei familiari. Auspichiamo un profondo ripensamento di questa concezione da parte di chi ha in mano le redini del nostro sistema bancario. Anche da quest’ultimo passa l’inversione di rotta rispetto all’inverno demografico che attanaglia il nostro Paese”: dichiara Vincenzo Bassi, responsabile giuridico del Forum Associazioni Familiari, www.forumfamiglie.org
in riferimento ai dati emersi dal bollettino ‘Banche e moneta: serie nazionali’, appena pubblicato da Banca d’Italia.
www.bancaditalia.it/pubblicazioni/moneta-banche/2019-moneta/statistiche_BAM_20190311.pdf
v I costi degli asili nido comunali. Quanto spendono le famiglie che usufruiscono del servizio di un asilo nido comunale? Per rispondere a questa domanda, Openpolis e la Fondazione “Con i bambini” hanno rielaborato i dati Istat relativi all’anno educativo 2014-15 (i più recenti). La spesa complessiva nel 2015 è stata di 1,48 miliardi di euro, per circa l’80% a carico dei Comuni e per il 20% versata dalle famiglie che usufruiscono del servizio come compartecipazione. I risultati dello studio presentano un’Italia a due velocità: nel centro-nord la quota di compartecipazione è più alta, ma i comuni investono molte più risorse nel mantenimento e nella diffusione dell’offerta comunale. Nel mezzogiorno la quota di compartecipazione è più bassa, ma a fronte anche di un servizio meno presente sul territorio e meno finanziato di quello del centro-nord
www.openpolis.it/quanto-varia-la-spesa-per-gli-asili-nido
v Corso base per tutor del programma Teen STAR. Programma di educazione affettiva e sessuale. Il Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore promuove un corso base per tutor, all’interno del progetto Teen Star, che si svolgerà dal 3 al 7 maggio a Milano [vai al dépliant]. “Il corso di formazione si rivolge a insegnanti, educatori e professionisti di area sociale, psicologica e sanitaria, impegnati nell’educazione e nella formazione dei giovani. Obiettivo del corso è offrire una formazione di base al programma per l’educazione affettivo-sessuale Teen STAR, fornendo strumenti e metodi per sviluppare con i ragazzi il percorso educativo”. Iscrizioni aperte fino al 26/04/2019 (è possibile iscriversi online).
www.teenstar.it/pub/c/105.MIU2019_Milano.pdf
v Dalle case editrici
- Edizionicorsare, Pericolo smartphone. Adolescenti tra web, social e app: una guida per genitori e insegnanti, Frigotto P.P.
- FrancoAngeli, Corporeità. Pratiche educative nell’incontro con i corpi in crescita, Gagliardo M., Rizzo S., Tarsia T., Vergani E. (a cura di)
- Studium, Competenza educativa e servizi alla persona, Mari G
- Buoni Stefania, Quando mamma o papà hanno qualcosa che non va. Miniguida alla sopravvivenza per i figli di genitori con un disturbo mentale, Umbria Volontariato Ed., Terni, 2018, pp. 107, s.i.p.
C’è un immenso e invisibile iceberg che molto spesso non si conosce perché non viene raccontato, e riguarda le tante storie di ragazzi e ragazze che vivono con un genitore colpito da malattia mentale. Secondo l’Istat (dati al 2011) i giovani caregiver tra i 15 e i 24 anni sono circa 170 mila, ma il numero appare sottostimato: mancano ad esempio i figli di coloro che non hanno avuto diagnosi e non sono in trattamento per la propria patologia psichiatrica; mancano altresì i bambini e i giovani adulti. […] Questa “miniguida alla sopravvivenza” vuole essere un primo passo nella direzione di rendere questa tematica sempre meno tabù, e favorire un dialogo sereno e aperto […]. Ad oggi, non esistono ancora servizi capillari di sostegno, accessibili a tutti, rivolti ai minori, ma anche a giovani in fase di transizione verso l’età adulta, che abbiano in famiglia uno o entrambe i genitori affetti da una patologia psichiatrica più o meno conclamata. […] [vai alla recensione completa] http://newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/attachments/newscisf1019_allegatolibri.pdf
v Save the date
- Nord: L’indagine psico-sociale: una ricerca empirica sulle relazioni tra famiglie, professionisti e istituzioni, Università Cattolica, Brescia, 21 marzo 2019.
https://brescia.unicatt.it/eventi/events-Locandina_21-3-2019b.pdf
- Nord: La parte nascosta dell’adozione. Le madri di nascita, seminario promosso dal CTA (Centro di Terapia dell’adolescenza), Milano, 20 marzo 2019.
www.centrocta.it/newsletter/INIZIATIVE_ADOZIONE_Primavera2019.pdf
- Centro: Informazione e populismi. Una complicata convivenza, incontro formativo (crediti per giornalisti) promosso dalla Facoltà di Scienze della Comunicazione sociale dell’Università Pontificia Salesiana, insieme all’UCSI (Unione Cattolica della Stampa Italiana), Roma, 16 marzo 2019.
https://fsc.unisal.it/images/PDF/Informazione_populismi_loc.pdf
- Sud: Quando educare è più difficile… nell’Era del Digitale, XXXVI congresso C.N.I.S. nazionale (Associazione per il Coordinamento Nazionale degli Insegnanti Specializzati e la ricerca sulle situazioni di handicap), con il patrocinio dell’Università degli Studi di Cagliari, Cagliari, 12-13 aprile 2019. www.cnis.it/wp-content/uploads/2018/10/Programma-definitivo-1.pdf
- Estero: Beyond Our Beginnings: 50 Years of Bioethics (Andare oltre le nostre origini: 50 anni di Bioetica), convegno promosso dal Wake Forest University Center for Bioethics, Health, & Society, in occasione dei cinquant’anni di attività dell’Hastings Center, Winston-Salem (NC-USA), 5 aprile 2019.
http://bioethics.wfu.edu/conference-area/
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CHIESA CATTOLICA
Ratione servitutis?
Care amiche ed amici, non a tutte le donne è piaciuta l’apologia della donna fatta da papa Francesco nel corso dell’Incontro “sulla protezione dei minori nella Chiesa” quando, intervenendo di sorpresa, ha detto che ascoltando parlare una donna – la sottosegretaria del dicastero dei laici e della famiglia – aveva sentito la Chiesa parlare di se stessa, delle sue ferite, perché la donna è l’immagine della Chiesa, che è donna, è sposa, è madre, e la Chiesa stessa va pensata con le categorie della donna; infatti senza la donna, senza il genio femminile, essa sarebbe forse un sindacato, non un popolo.
Il disappunto è che sia tornata anche in queste parole l’idealizzazione “della” donna, che le donne hanno molto sofferto, essendo poi misconosciute come persone. Ci ha scritto dopo la nostra lettera del 26 febbraio 2019 in cui parlavamo di questo, la teologa Marinella Perroni: “Sono del tutto d’accordo – come peraltro sempre – con le riflessioni proposte. Mi permetto però una considerazione critica, anche se non ho grande fiducia di poter essere, se non capita, almeno ascoltata. Il discorso che Papa Francesco ha fatto a braccio dopo la relazione di Linda Ghisoni ha messo in luce, al di là delle sue migliori intenzioni, quanto anche lui resti totalmente prigioniero di luoghi comuni che, sia pure con retoriche diverse, da secoli impediscono alla chiesa di includere le donne (si veda per esempio al riguardo la nota di Antonio Autiero sul blog del “regno-delle-donne”).
www.ilregno.it/regno-delle-donne/blog/francesco-e-le-donne-nella-chiesa-antonio-autiero
L’esaltazione è sempre stata l’altra faccia dell’esclusione. Era un discorso impregnato di paternalismo patriarcale e, quindi, totalmente in linea con quel clericalismo che dice di voler sconfiggere. Finché non si ascolterà il pensiero che le donne hanno elaborato negli ultimi due secoli, la cultura delle donne, le istanze delle donne e si continuerà a parlare “sulla” donna, non sarà possibile liberare la chiesa dal clericalismo, che è una delle più tristi manifestazioni del sessismo. Un giorno, forse, gli uomini di chiesa, chierici o laici poco importa, accetteranno non di parlarne ma di ascoltare e, forse, capiranno che aveva ragione Carlo Maria Martini quando diceva che sono rimasti duecento anni indietro”. Così scrive la nostra teologa (“nostra” per affetto e per stima).
Ma anche su Facebook si è accesa una discussione sulla nostra lettera, a prova di quanto la questione sia patita. Ha scritto per esempio Franca Morigi: “Posso mostrarmi perplessa e un po’ perturbata dalla donna madre-moglie figura o specchio della Chiesa? Molto più significative le espressione ‘principio femminile, pensare con le categorie di una donna’ e “diritto di Antigone, del più umile, vincolato ai nutrimenti terrestri, alla pietà’. Pietà contro Maestà”. È stata anche citata una poesia di Anonima: “Io sono quella che cantano i poeti… io sono parlata ma non parlo sono scritta ma non scrivo, io sono dipinta, ritratta, scolpita, il pennello e lo scalpello mi sono estranei. Nessuno ascolta le mie grida silenziose…… Io sono quella che non ha linguaggio, non ha volto, non esiste… la donna”.
Quanto al blog del “Regno delle donne” edito “in collaborazione con il Coordinamento delle teologhe italiane”, citato da Marinella Perroni, esso si chiede se si può ancora pensare “al soggetto ecclesiale secondo una linea di distinzione tra maschile e femminile”. No, non si può, non si può più. Un’esclusione delle donne dai ministeri nella Chiesa basata sulla sola differenza di genere non è più concepibile a questo punto della cultura, dell’antropologia e della storia. Lo è stato per secoli, fino ad ora, fino alla Lettera apostolica di Giovanni Paolo II “sull’ordinazione sacerdotale da riservarsi soltanto agli uomini” che dava per decisa “in modo definitivo” la questione (ma senza alcun crisma di autorità infallibile) con l’argomento che così avrebbe stabilito Cristo stesso “chiamando solo uomini come suoi apostoli”, e agendo “in un modo del tutto libero e sovrano”, che era come dire senza che umanamente se ne possa rendere ragione, cosa di per sé incompatibile con tutta la pedagogia di Gesù. In realtà i teologi, per fare stare in piedi la dottrina, hanno cercato di darne ragione, ognuno con la cultura del suo tempo (sempre, peraltro, sfavorevole alle donne), fino all’argomento novecentesco che Gesù era maschio, il sacerdote è lui, e così devono esserlo tutti gli altri.
Ma prima di questo, essi hanno insegnato per secoli – come ci ha ricordato Giovanni Cereti, l’animatore della “Fraternità degli anawim” – che le donne non potevano essere ordinate preti “ratione servitutis”, a causa della condizione di servitù. Ossia, non erano libere; e tre erano le categorie escluse dal sacerdozio per questo motivo: gli schiavi, gli Indios e le donne. La ragione era che non avevano il “dominium sui”, la proprietà cioè di sé e delle proprie azioni, in cui propriamente, secondo gli scolastici, consisteva la libertà. Oggi nessuno più dice che gli schiavi non possono diventare preti, perché la schiavitù è felicemente (almeno in punto di diritto) abolita; di preti e vescovi indigeni ce n’è quanti se ne vuole; ma solo per le donne, e solo “perché donne” la discriminazione è rimasta; e se non sono padrone di sé, vuol dire che sono di qualche altro padrone. Né se ne può uscire con l’espediente del ripristino delle donne diacone, in funzione del prete, o a compensare la mancanza di clero; la discussione sul diaconato femminile non è che una strategia della distrazione che non può durare; il vero problema sono i ministeri nella Chiesa, ivi compreso il sacerdozio alle donne, e non come imitazione del maschio, ma come capacità originaria divinamente fondata.
Però ci sono due buone ragioni a difesa dell’esternazione del papa, che fanno anche di quel suo breve intervento all’Incontro romano una gemma.
- La prima è che, anche a voler introdurre questa novità nella Chiesa, la sua scelta è di cambiare la Chiesa non per decreto, ma con la Parola; e la parola nella Chiesa è performativa, opera ciò che dice, se non resta isolata ed è seminata nel fecondo terreno della collegialità.
- La seconda è che il papa è un uomo, e le donne devono rassegnarsi ad essere pensate non solo come esse pensano se stesse, ma anche come sono pensate dagli uomini. Non, naturalmente, da quelli che le uccidono e vogliono farle da padroni, ma da quelli che le amano, ciò che non è un fatto di sentimento, ma un’antropologia. E, almeno finora, nell’immaginario maschile “la donna”, anche quella più vincolata alla terra, “ai nutrimenti terrestri”, ha una sua potenza, un suo fascino ideale, come il divino, che è molto raccontato ma anche apofatico, che non si può dire. Come ha detto papa Francesco parlando un giorno della Genesi, Adamo, prima di vedere la donna, “l’ha sognata”, diversa da tutto il resto.
Ciò non dovrebbe essere peraltro solo a riguardo della donna, ma di tutti gli esseri umani, perché in tutti gli esseri umani bisognerebbe saper vedere il divino, riconoscere l’arcano che è in loro, capire cosa significa per tutti essere “figlio e figlia di Dio”. Ma forse ciò riesce meglio agli uomini nel pensare le donne, come dicono i miti e le culture che nella donna hanno intravisto il divino, da Venere alla donna biblica destinata a schiacciare la testa del serpente, dalla bella Sulammita del Cantico dei Cantici, il cui amore è “fiamma di Jahvé, alla “Celeste Aida, forma divina” che cantiamo spensieratamente nei nostri teatri. Altro che “ratione servitutis”! O è solo poesia? C’è una potenza delle donne che forse nemmeno il femminismo è riuscito finora del tutto a pensare. Ma certo qui è la storia che si deve dipanare. Intanto la politica si incupisce. (…) Con i più cordiali saluti
www.chiesadituttichiesadeipoveri.it
Raniero La Valle “www.chiesadituttichiesadeipoveri.it” 12 marzo 2019
http://ranierolavalle.blogspot.com/2019/03/ratione-servitutis.html
Dopo la lettera “Ratione servitutis?”
La questione delle donne nella Chiesa è più che mai aperta e rinvia ai grandi temi antropologici ed ecclesiologici della vita cristiana. Una discussione suscitata da un recente intervento del papa sulla donna come figura della Chiesa
La nostra newsletter “Ratione servitutis?” con il suo dialogo con la teologa Marinella Perroni sulle parole dette da papa Francesco “sulla donna” nel corso del recente Incontro vaticano sugli abusi ai minori, ha suscitato numerosi interventi sia su Facebook che nella posta elettronica, a riprova di quanto la discussione sul tema delle donne nella Chiesa tocchi un nervo scoperto.
A indicazione della ricchezza e della varietà del dibattito, pubblichiamo qui alcuni di tali interventi.
Giancarla Codrignani. Condividendo le critiche di noi donne a Francesco, debbo dire anche a te che non capisco perché mi debbo rassegnare ad essere pensata con gli stereotipi dell’educazione maschile: perché non si rassegna ad imparare qualcosa di diverso l’altro genere, clero celibe compreso?
Lidia Maggi. Grazie per aver restituito la complessità alla riflessione.
Vittorio Campanelli. Forse c’è un’altra pista per superare una delle diseguaglianze lamentate dalle teologhe ed è l’abolizione del clericalismo. Fu uno dei primi messaggi di Francesco, fra le primissime interviste rilasciate. Il Papa compativa quei laici (uomini e donne) che emulano comportamenti clericali. Forse stava dando un’indicazione profetica di cui non si vede l’esito. Qui fra le brume del Nord c’è una riflessione storico-teologica sulla «prêtrie» sull’ordine pretesco. Una creazione del medioevo che si è congelata con la controriforma fino ad oggi. Lo sto dicendo con la semplicità di chi ha letto qualcosa ed udito qualcuno. In genere si avverte il bisogno di maggiore Fede e di minore ordinamento religioso. Una Fede che si manifesta nelle opere di misericordia. Grazie per le riflessioni.
Andrea Volpe. Un’accorata riflessione di Alice McDermott (scrittrice statunitense, più volte finalista al premio Pulitzer): “Nessun cristiano dovrebbe aver bisogno che gli venga ricordato l’errore morale della discriminazione. Manteniamo al centro della nostra fede la convinzione che ogni vita umana abbia lo stesso valore. Eppure la Chiesa cattolica romana, la mia chiesa, esclude più della metà dei suoi membri dalla piena partecipazione escludendo dal sacerdozio le donne, solo per ragioni di genere. Le conseguenze morali di questo fallimento diventano abbondantemente chiare ogni volta che viene rivelato un altro caso di abuso del clero e insabbiamento. È l’inevitabile logica della discriminazione: se una vita, una persona, ha più valore di un’altra, allora “l’altro”, il minore, è superfluo. Per i leader maschili della Chiesa cattolica, la vita di donne e bambini diventa secondaria rispetto alla preoccupazione per la persona più degna, più potente, più essenziale – la persona maschile, loro stessi. Per me stessa e per molti dei cattolici che conosco (specialmente le donne), la questione di quanta corruzione possiamo tollerare ora è soppesata dall’enorme perdita che sentiremmo, se lasciassimo questa chiesa. È un’istituzione che ci ha plasmate, confortate, guidate e formate, che è il centro delle nostre vite spirituali così come delle nostre vite familiari, la fonte della nostra forza morale, della nostra fede nella sostanza delle cose e della nostra speranza. Eppure le piccole commiserazioni non possono più placare la nostra indignazione”.
Mimma De Maio. Ma la donna è presente nel Vangelo ed ha anche un ruolo importante accanto a Gesù, una grande novità introdotta per quei tempi. Lo si legga con animo libero da pregiudizio e si trova che è falsa anche la giustificazione che Gesù scelse 12 uomini. Questa è un’opinione successiva, non è nel vangelo.
Dice il biblista Alberto Maggi: “. Nei Vangeli gli evangelisti dicono che le donne avevano il ruolo di angeli, cioè di stare accanto a Gesù. È il medesimo ruolo che gli angeli avevano accanto a Dio, che all’epoca era posto al settimo cielo circondato da angeli al suo servizio. Le donne però non sono accanto a Gesù per servizio, sono sempre le prime ad arrivare e fanno azioni di qualità. È una grande novità introdotta da Gesù che però si scontra con la mentalità maschilista dell’epoca, anche all’interno della comunità cristiana. I personaggi femminili sono tutti positivi ad eccezione di due donne che gli evangelisti ci presentano in relazione con il potere. C’è Erodiade, adultera e assassina che detiene il potere, e c’è colei che lo desidera per i suoi figli, l’ambiziosa madre dei figli di Zebedeo. Tutte le altre donne vengono presentate come coloro che per prime hanno saputo accogliere e comprendere il Signore: dalla madre, grande non perché ha dato alla luce Gesù, ma perché ha saputo diventare discepola del figlio, a Maria di Magdala, prima testimone e annunciatrice della risurrezione del Cristo. La prima persona alla quale Gesù si manifesta come il Messia atteso è una samaritana, un essere umano che come donna, adultera e impura, era il meno credibile cui affidare l’importante rivelazione. Ugualmente l’unico fatto, che il Signore chiede espressamente che venga fatto conoscere ovunque, è l’unzione compiuta su di lui da una donna: “In verità io vi dico: dovunque sarà predicato il Vangelo, per il mondo intero, in ricordo di lei si dirà anche quello che essa ha fatto” (Mc 14,9). Le uniche testimoni della sua morte “erano alcune donne, che osservavano da lontano, tra le quali Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo il minore e di Ioses, e Salome, le quali quando era in Galilea, lo seguivano e lo servivano, e molte altre che erano salite con lui a Gerusalemme” (Mc 15,40-41). Ed ancora, contravvenendo alla tradizione e alla morale, Gesù associa al suo gruppo anche “alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità” (Lc 8,1). Infine vale dire che Gesù mostra un grande rispetto per la persona umana indipendentemente dal sesso infatti afferma: non “c’è più né maschio né femmina” (Gal 3,28).
Dice Antonietta Potente: “Noi abbiamo pensato sempre alle nostre attività come a delle opere. Invece la cosa più importante sono i gesti, anche se “opere” è un termine che dà più soddisfazione, perché indica qualcosa che possiamo mostrare agli altri. Vorrei metter l’accento sui gesti perché sono precisamente i gesti che preparano, risultati o fallimenti, però preparano qualcosa. Dove si vede il genio femminile? Io credo che si vede nella capacità di iniziativa senza chiedere permesso a nessuno. Le donne della resurrezione non sono andate a chiedere il permesso ai discepoli se potevano andare o no al sepolcro a ungere il corpo di Gesù: ci sono andate. Credo che questo sia il genio femminile: l’iniziativa, la capacità di inventare”.
Dice Luigi Verdi: “L’umanità, penso, è giunta a un punto difficile, ma cruciale e la donna come ci insegna il Vangelo è sempre il punto di partenza per qualcosa di nuovo. La donna è grande non quando fugge dalla sua femminilità e tenerezza, dalla sua realtà, ma quando penetra nel cuore delle cose. Nell’avvicinarti ad una donna comprendi che il mistero è la vita reale, è il farsi carne, concretezza, gesto. L’affettività è necessaria, ma insufficiente se questo amore non diventa adulto per affrontare l’usura del quotidiano e il confronto delle differenze. Questi due sono i grandi valori della donna, la sua capacità di vivere il quotidiano e la sua capacità di confronto con le differenze, ciò che l’uomo non riesce a fare. Se la donna ritrova se stessa e non perde questi due valori fa un dono all’uomo e a tutta l’umanità”.
Dice la biologa Patrizia Pellegrino: “C’è una donna forgiata dalla chiesa misogina e c’è una favola vera che ogni donna deve conoscere per valutare la propria missione che è di una tale bellezza da potersi ritenere una favola di vita! C’è un particolare di grande importanza e che pochi conoscono: all’atto della fecondazione dell’ovulo, tutte le officine del maschio, che producono energia nel corpo di un essere umano (si chiamano mitocondri), vengono distrutte. Al nuovo nato arriveranno solo le officine produttrici di energia dalla madre. Ogni nuovo nato eredita così quelle strutture che danno vita … Da quando l’essere umano esiste, l’energia della vita viene trasmessa solo di madre in figlio o di madre in figlia… Questo è il ruolo della donna!!!! Portatrice di vita e di quanto occorre a tenere in vita…! Che l’uomo non sottovaluti mai l’immagine femminile e non la offenda, che la donna sappia tenere alto il proprio vessillo con dignità infinita!”
Peppino Orlando. Senza sacerdozio comune di ogni fedele, né giudeo, né greco, né libero né schiavo, né maschio né femmina, la pastorale bergogogliana è fumo di oppio.
Gioacchino Lagreca. Sono d’accordo su tutto il discorso delle teologhe, ma la conclusione di La Valle sulle affermazioni del papa non mi convincono: si attorciglia attorno a quei luoghi comuni che vengono contestati al papa all’inizio del discorso. Il clericalismo non finirà in questa era francescana, è troppo radicato nelle pieghe della chiesa cattolica, e la donna continuerà ad essere esclusa in terra tanto l’abbiamo trasferita regina in cielo
Stefania Santini. Un punto però mi è piaciuto della conclusione: sottolinea che questo Papa cerca di cambiare (io userei letteralmente l’immagine del convertire) la Chiesa non per decreto ma con la “parola”. Per parola non intendo solo il parlare, ma il vero e proprio richiamo al “verbo” quella Parola che intrisa di significato profondo può scardinare l’ovvio e parlare al cuore, fecondare, cambiare e convertire il pensiero. E questa credo sia la vera forza dei due Francesco (il primo di Assisi e il Papa): la parola che in loro diventa poi anche azione, una parola che apre nuove prospettive ma non impone comportamenti se non attraverso il proprio personale esempio. Non impone comportamenti agli altri perché non è imponendo che si attrae verso un pensiero nuovo. Benché ciò deluda le aspettative di molto progressisti, quella parola che manifesta un diverso punto di vista, vale più di decreti che in fin dei conti non so nemmeno se sarebbero accettati davvero né avrebbero la possibilità di cambiare niente adesso o in futuro. Penso poi con tenerezza a un uomo della sua età che esprime tanta apertura interiore pur essendo figlio della cultura clericale del suo tempo. Alcuni eventuali ‘attriti’ come quello riguardante il fatto che comunque parla “della” donna in un altro modo seppure in ogni caso ancora mitizzandone la figura, manifestano secondo me proprio come agisce questa parola: smuove, crea profonda crisi, profonde spaccature, produce germogli dalla forza così candidamente dirompente da evidenziare le contraddizioni e le ingenuità che è necessario affrontare per superarle. D’altronde io non riesco a immaginare una dinamica più convincente e realistica di un’azione dello Spirito! (A parte naturalmente veder scendere dal cielo vere e proprie lingue di fuoco e sentir voci profonde che fanno tremare il mondo intero!!!)
È un uomo come noi… con un fardello e responsabilità grandissime. Secondo me fa tanto già così. Sbaglia e quando se ne rende conto sa scusarsi, accogliere e modificare il suo punto di vista. Non in tutto riesce a farlo facilmente. A me comunque, piace. Non lo vedo troppo condizionato o non coraggioso lo vedo in crescita, in cammino.
Rina Nardi. Posso dire una piccola cosa da profana? Magari il Papa ha idealizzato la donna ecc, però Francesco sta facendo un bel lavoro nel sociale e nei problemi interni alla chiesa. Non si può fare tutto.
Gabriela Silva. Concordo quando si dice che è importante la Parola piuttosto che una Legge che imponga ruoli ma non basta. Papa Francesco è uomo straordinario ma figlio di una cultura latinoamericana e di un tempo dove la donna ha avuto sempre ruoli marginali. Nonostante il fermento di alcuni movimenti cattolici i giovani preti sono vecchi. Vi racconto una sciocchezza: nel paesino dove abito qui a Como il sacerdote non ammette chierichette. Solo io in quanto snob, ho obiettato che è ridicolo. Questo prete ha meno di 40 anni. Non si può fare: le ragazze aiutano ai lavoretti in oratorio mentre i maschi giocano a pallone. Ho trovato un prete della parrocchia dall’altra parte del lago, età: 35 anni…mai sentito parlare di Maggi, Mancuso: ha qualche testo. Prediche uguali a quelle che ascoltavo da piccola.
Adriana Renzulli. Ci sarebbe molto da dire da parte mia e da parte di quelle donne che da anni studiano i danni provocati dalla nostra santa romana Chiesa e da certo ebraismo cristianesimo che era frutto della storia del tempo. Ma oggi nel nostro tempo mi piace che Francesco parli delle donne; ma, come giustamente scrivi, che ne può sapere? È un uomo e pensa le donne come un uomo. Va bene ma questa Chiesa sposa di Cristo? È qui il problema: rappresenta il femminile ma non è perfetta come Cristo. Come si è detto essa è fallace, peccatrice, imperfetta e degna di compassione…. Ancora paternalismo…
www.chiesadituttichiesadeipoveri.it/dire-donna
Se si togliessero dal vangelo le donne
Il 19 gennaio 2019 scorso è morta a Trento Sitia Sassudelli, che è stata presidente della FUCI negli anni Cinquanta del secolo scorso, insieme a Romolo Pietrobelli, e poi ha compiuto una scelta più strettamente religiosa unendosi ai Padri Venturini di Trento e curando, tra le altre cose, la rivista Presbyteri. Donna di straordinario valore, ha lasciato un segno profondo della sua testimonianza cristiana. Da un suo intervento in un incontro su “Quale posto per la donna nella Chiesa?” avvenuto l’8 marzo 1987 a Trento, traiamo questa sua riflessione sulle donne nel Vangelo.
Una riflessione di Sitia Sassudelli
Tra Gesù e le donne c’è stata una straordinaria comunicazione reciproca che ha consentito loro di accogliere la salvezza e le ha rese pronte a trasmetterla. Mi sto accorgendo che frequentando Dio nell’orazione, l’immagine sua che noi siamo, al femminile, comincia a venir fuori dalle nebbie, anche se resta mistero.
Frequentando la Scrittura – da ignorante qual sono, ma da appassionata sincera – si colgono tracce di un disegno che è davanti a noi, ma di cui troviamo qualche corrispondenza anche nel profondo di noi. Si comincia ad avvertire, come esigenza esistenziale, il bisogno di armonizzare il nostro essere profondo con questo disegno divino. Allora mi sta diventando sempre più interessante frequentare il Vangelo. Andare a cercare cosa è avvenuto tra le donne e Gesù.
Che Gesù abbia trattato bene le donne, le abbia liberate, ne abbia rivoluzionato il destino fa parte dell’insegnamento di sempre. Ma oggi lo sento con maggior verità. Oggi leggo e rileggo i. vangeli e mi accorgo sempre di più che tutte le figure, le situazioni, le immagini, le parole al femminile sono cariche di una valenza espressiva che non avevo sospettato. Grazie all’aiuto anche di autori che hanno scavato la materia con competenza esegetica e finezza di spirito e magari anche con sensibilità femminile (Laurentin, Quéré, Blaquière…), mi sono resa conto che c’è stato tra Cristo e le donne una straordinaria comunicazione reciproca, come un’intesa preferenziale, che ha consentito loro di accogliere facilmente la salvezza e le ha rese pronte a trasmetterla.
Tanto che si può ben dire che se si togliessero dal Vangelo le donne resterebbe ben poco: verrebbe meno un corpo notevolissimo di rivelazioni che sono state fatte a loro, non conosceremmo lo stupore delle prime espressioni della fede che proprio le donne hanno articolato, svanirebbe quella parte di umanità che ha dato a Gesù l’accoglienza più incondizionata e gli ha così consentito di manifestarsi. Le donne sono state le prime a mettere Tra Gesù e le donne c’è stata una straordinaria comunicazione reciproca che ha consentito loro di accogliere la salvezza e le ha rese pronte a trasmetterla.
Gesù in condizione di essere se stesso e di agire. Le prime che non gli hanno fatto resistenza, che gli hanno offerto una comprensione globale e un assenso totalitario. Allora io credo che se si vuol andare avanti nel capire quale sia il posto della donna nella Chiesa, questa è la pista maestra. Risalire al Vangelo, cercar di capire senza stancarsi cosa sia passato tra le donne e Gesù, esporsi personalmente a quello sguardo che rivelava le persone a loro stesse, che le tirava fuori dall’anonimato, che ne metteva a fuoco il volto, le riconosceva e le amava, e poi dava loro un compito nella costruzione del suo Regno.
Non in concorrenza con gli apostoli, qualche volta prima di loro o verso di loro, e molto spesso insieme con loro. L’assemblea del Regno che Gesù convocava attorno a sé è un’assemblea mista, in cui le donne sembrano portare forse più degli altri l’intuizione, il presentimento della totale novità di ciò che avviene. Da questa novità sono esaltate, di questa si mettono al servizio: non al modo servile della loro condizione sociale di allora, ma col vanto sovrano di seguire e imitare il Signore che si è fatto servo perché uomini e donne fossero liberi.
Per concludere: non voglio affatto sminuire l‘importanza di approfondire i problemi delle donne, come si pongono oggi sul piano sociale: è imperativo di giustizia; né l’importanza di confrontarsi con le analisi e le proposte dei vari movimenti femministi: è doveroso. Non voglio negare che sia importantissimo anche dichiarare nella Chiesa le cose che non vanno e il pericolo che, a non vederle, si renda difficile per molte donne l’abitarvi. Mi sono convinta che, alla lunga, ciò che sbloccherà certi nodi anche in casa nostra sarà il risalire ai giorni di Gesù e ascoltarne il messaggio,- con quella nuova apertura e disponibilità che può aver scavato dentro di noi l’esperienza della vita moderna, con quella nuova sete che le nostre insoddisfazioni ci alimentano.
È una conclusione di tipo spirituale: una dimensione che non si può scartare.
www.chiesadituttichiesadeipoveri.it/se-si-togliessero-dal-vangelo-le-donne
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CONGRESSI – CONVEGNI – SEMINARI
Seminario Coppia Sentieri dell’amore fecondo
Assisi Cittadella cristiana 2 – 5 maggio 2019
41° Seminario La comunicazione nella Coppia – Sentieri dell’amore fecondo
“Il Creatore ha reso l’uomo e la donna strumenti del suo amore affidando alla loro responsabilità il futuro dell’umanità attraverso la trasmissione della vita umana” (Amoris Lætitia, 81)
Nella scelta del tema del Seminario di quest’anno ci siamo subito accorti di una certa ritrosia emotiva nei confronti della parola “fecondità”, come se risvegliasse spiacevoli ricordi di mentalità opprimenti e moralistiche degne, giustamente, di essere archiviate.
Infatti, la risposta immediata di alcune coppie è consistita nel definire alquanto obsoleta la parola “fecondità”, affrettandosi a chiarire che non esiste unicamente quella biologica, poiché l’amore può essere fecondo in vari modi e la felicità non consiste solo nel procreare figli, ma anche nell’impegnarsi, per esempio, nell’umanizzare il mondo, oggi tanto travagliato e complesso.
In stretta sintesi, il nostro tema intende unire alla riflessione sull’amore aperto allo stupore della vita nascente, quella, appunto, dell’amore diversamente fecondo, avendo cura di decifrare i mutamenti antropologici, sociali, culturali, scientifici e religiosi del nostro tempo.
Così non si potrà ignorare la crisi della fecondità femminile e maschile cui è certamente connessa la denatalità attuale; peraltro non si potrà non tenere conto della coppia che, quando irrompe in essa una vita, vive difficoltà, ansie, paure, di una differente caratura rispetto ai tempi delle passate generazioni.
Secondo la metodologia consolidata dei nostri seminari, si darà la parola per una testimonianza alle diverse esperienze di amore fecondo, accogliendo anche coloro che hanno fatto scelte non tradizionali.
Perché è sempre possibile, nell’autentico spirito del dialogo, ricevere stimoli e sollecitazioni per una maturazione più autentica dell’amore e della stessa esperienza di fede.
2 maggio ore 21.15 Accoglienza, saluto di Tonio Dell’Olio, presidente della Pro Civitate Christiana
Intervista a Silvia Ranfagni cineasta, a cura di Clorinda e Piergiorgio Bitelli
3 maggio ore 9.15 Culle vuote Linda Laura Sabbadini, statistica, statistica
Stupore della vita nascente Rosanna Virgili, biblista
L’approccio antropologico alla fecondità, Ferdinando Fava, antropologo
Coordina Anna Maria Cimino
ore 15.30 Coppie in tribuna: esperienze, testimonianze – coordina Luigi Russo
ore 21.15 Serata musicale con Umberto Rinaldi e l’insieme vocale Commedia Harmonica
4 maggio ore 9.15 presentazione e inizio Laboratori e Gruppi di approfondimento
ore 15-17 proseguimento Laboratori e Gruppi
ore 17.15 Feed-back Laboratori e Gruppi – interventi dell’assemblea
ore 19.00 Liturgia eucaristica festiva
Altre partecipazioni e collaborazioni:
Gabriella Cappiello, medico, ginecologa presso Consultori Familiari
Rosella De Leonibus, psicologa e psicoterapeuta
Rosaria Gavina, psicologa e arteterapeuta
Luigi Russo, psicoterapeuta, fondatore Centro Educativo Ambarabà di Lecce
Beppe Sivelli, psicologo clinico, past president UCIPEM
www.cittadella.org/seminario-coppia-2019
Legami sociali e stili comunicativi di comunità
Martedì 9 aprile 2019, in aula G.025 San Giovanni Bosco, presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, Largo Gemelli 1, Milano, si terrà il seminario dal titolo Legami sociali e stili comunicativi di comunità, promosso dal Dipartimento di Sociologia, con il patrocinio della Facoltà di Scienze della Formazione, del Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia e del CREMIT.
Aprirà i lavori e introdurrà la riflessione relativa ai legami sociali Lucia Boccacin (Professore ordinario di Sociologia dei processi culturali e comunicativi, UCSC), interverrà Pierpaolo Donati (Professore Alma Mater di Sociologia, Università degli Studi di Bologna).
Introdurrà la riflessione relativa agli stili comunicativi e alle tecnologie di comunità Pier Cesare Rivoltella (Professore ordinario di Didattica e Tecnologie dell’Istruzione, UCSC), interverrà Mario Morcellini (Commissario Agcom e Consigliere alla Comunicazione, “Sapienza” Università di Roma).
https://centridiateneo.unicatt.it/famiglia-0001.jpg
https://centridiateneo.unicatt.it/famiglia-notizie-legami-sociali-e-stili-comunicativi-di-comunita
Verona. La Conferenza sulla famiglia «oltre le polemiche e le ideologie»
Famiglia oltre le polemiche, oltre le ideologie, oltre le strumentalizzazioni. È la speranza degli organizzatori del Congresso mondiale delle famiglie, che si svolgerà a Verona dal 29 al 31 marzo 2019.
Oggi le associazioni promotrici hanno presentato l’iniziativa. Tre giorni di dibattiti, anche se con un programma ancora da definire nel dettaglio, e poi una marcia conclusiva per le vie di Verona, che cercheranno di ribadire l’obiettivo autentico dell’evento.
Nessun utilizzo strumentale dei temi da sempre legati all’associazionismo familiare, ma una riflessione serena, aperta, non univoca, sulle tante declinazione legate al far famiglia. “Non sarà un incontro “contro” – ha assicurato Toni Brandi, presidente del Congresso mondiale delle famiglie – ma “per” i diritti, la salute, la dignità delle persone coinvolte nell’impegno familiare, madri, padri, bambini”.
www.ilpost.it/2019/03/24/il-congresso-mondiale-delle-famiglie-verona
Insieme, naturalmente, alla volontà di ribadire la centralità della famiglia nel quadro politico e culturale di un Occidente che sembra aver smarrito la bussola dei valori familiari. Che sono poi condensati negli approfondimenti tematici previsti nella tre giorni veronese.
Si parlerà di salute e dignità della donna, bellezza del matrimonio, diritti dei bambini, sviluppo umano integrale, difesa della vita, demografia, politiche familiari, donne nella storia e tanto altro ancora.
Il congresso mondiale – siamo alla 13° edizione – nasce su iniziativa dell’International organization of family, la realtà capofila di questa kermesse, non molto conosciuta in Italia, presieduta da Brian Brown, che opera dagli Stati Uniti.
Ma le organizzazioni più attive sembrano radicate soprattutto nell’Est europeo. Le ultime tre edizioni si sono tenute in Georgia (2016), Ungheria (2017) e Moldavia (2018).
A Verona saranno presenti, tra gli altri, il presidente della Moldavia, Igor Dodon, l’ambasciatore dell’Ungheria presso la Santa Sede, Eduard Hasdsburg-Lothringen, il ministro della famiglia dell’Ungheria, Katalin Novak, l’ambasciatore polacco in Italia, Konrad Glebocki.
Una presenza sovranista che spiega, almeno in parte, l’adesione compatta della Lega all’iniziativa di Verona. Ci saranno Matteo Salvini, il ministro della famiglia Lorenzo Fontana, quello dell’istruzione Marco Bussetti e naturalmente il governatore del Veneto Luca Zaia. Uno schieramento impegnativo che potrebbe rischiare di trasformare il Congresso veronese in una passerella del Carroccio.
Ma Massimo Gandolfini, neurochirurgo, leader del Family Day, assicura che gli orizzonti di riferimento del Congresso mondiale sono da una parte la dottrina sociale della Chiesa – oggi ha fatto una lunga citazione di un intervento sulla famiglia di papa Francesco – dall’altra la Carta costituzionale.
La presenza massiccia di leader sovranisti dell’Est europeo? Nessun problema. Come non si vorrebbe dare troppo rilievo alle polemiche scatenate i questi giorni dal M5S con dichiarazioni, battute e tentativi di ridimensionare il profilo culturale dell’evento. Che, invece, assicurano gli organizzatori, è di primo piano e tutt’altro che unilaterale dal punto di vista dell’orientamento. È davvero così? Vedremo quando sarà completato il quadro dei relatori, anche se i tanti esperti che hanno già assicurato la loro presenza lasciano ben sperare.
Durante la conferenza stampa, è stato affrontato anche il problema dei finanziamenti. Chi sostiene l’impegno finanziario dell’organizzazione? Nei giorni scorsi, tra le tante voci che circolano intorno a questo evento contestato, era stato detto che risorse cospicue sarebbero state promesse dall’internazionale sovranista dell’Est.
Ma Toni Brandi ha risolto il problema. Gli oneri più impegnativi, circa 200mila euro, arrivano da un benefattore che ha attinto dai suoi risparmi personali. Un italiano, un russo, un americano? “Non posso dirlo”, ha tagliato corto Brandi “perché nel Vangelo si legge ‘non sappia la tua destra quello che fa la sinistra’. E poi questo benefattore ha chiesto l’anonimato”.
Luciano Moia, Avvenire 15 marzo 2019
www.avvenire.it/attualita/pagine/conferenza-famiglia-verona-presentazione
https://wcfverona.org/it
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CONSULTORI D’ISPIRAZIONE CRISTIANA
Primo Consultorio ad Atene: la Chiesa al fianco delle famiglie in difficoltà
Ha iniziato la sua attività nel quartiere di Neos Kosmos, presso la sede della Caritas dell’esarcato armeno cattolico di Atene ed è frutto della collaborazione con la Caritas Hellas e con l’arcidiocesi della capitale greca. Un Consultorio come uno spiraglio di luce per una grave crisi ancora in corso
La crisi in Grecia non è finita eppure non se ne parla più e soprattutto le famiglie in tanti anni di difficoltà sono state dimenticate. I tagli imposti dal programma di salvataggio firmato Bce, Ue e Fmi sono costati cari in termini di sanità, pensioni, mutui, istruzione: tutti settori che gravano in modo particolare sui nuclei familiari, che già devono fare i conti tante volte con licenziamenti, anziani o disabili a carico.
Un quadro che in Grecia si è fatto ancor più critico negli ultimi tre anni almeno, a causa del continuo passaggio di migranti. “Sono stati tanti gli aiuti arrivati per far fronte all’ondata migratoria, ma il resto del tessuto sociale sembra essere stato dimenticato”. Esordisce così ai microfoni di Vatican News, Elena Tommolini, coordinatrice del progetto del primo Consultorio familiare nato nel quartiere di Neos Kosmos presso la sede della Caritas dell’esarcato armeno cattolico di Atene.
Ritrovare la fiducia in sé e nel futuro. Sono dieci le famiglie seguite assiduamente dal Consultorio, aperto ufficialmente il primo dicembre del 2018, ma sono circa una trentina quelle che già ruotano intorno al team – composto da una psicologa, un ginecologo, una consulente familiare e un assistente spirituale – e che partecipano agli incontri informativi e ai seminari che si stanno diffondendo anche nelle parrocchie e nelle scuole. “Quello di cui hanno più bisogno le famiglie ora”, spiega Elena Tommolini, è “recuperare fiducia in se stesse, nella comunità e nel futuro. Il lavoro che cerchiamo di fare non è dare loro soluzioni che cadono dall’alto, ma aiutare i nuclei familiari a ritrovare in sé la forza di reagire e di affrontare i problemi”. Tante le difficoltà che dopo la crisi si sono abbattute su genitori e figli: giovani coppie che hanno perso il lavoro, che hanno visto dimezzata la pensione dei propri anziani o che hanno avuto la casa confiscata per impossibilità di saldare le rate del mutuo.
Non solo l’individuo ma la comunità. “L’assistenza di base a livello statale esiste” precisa la Tommolini, “ma è sempre molto, anzi troppo, centrata sull’individuo e non tanto sulla famiglia e anche il modo di affrontare le problematiche è molto individualista e non tiene conto della sfera familiare che sta dietro per esempio alle problematiche dei bambini a scuola”. Cosa può fare invece una famiglia forte e ben armonizzata? “Può fare tanto! Se è consapevole dei propri punti di forza- afferma la Tommolini – può in modo autonomo affrontare i problemi legati alla vita quotidiana e anche momenti di crisi, come una gravidanza inaspettata o un lutto o il passaggio all’età adolescenziale di un figlio”.
Vicine alle famiglie nel sacramento del matrimonio. La nascita del Consultorio di Atene nasconde anche una radice profondamente religiosa. La sinergia con Caritas Hellas, la continua collaborazione con l’arcivescovo latino ha segnato l’origine di questo progetto. Mons. Joseph Bazouzou nativo di Aleppo in Siria e amministratore apostolico degli armeni cattolici in Grecia, spiega a Vatican News quanto e come collaborino in questo impegno verso le famiglie greche gli armeni, i cattolici, i tanti emigranti musulmani e i greci ortodossi. ” Abbiamo sin dall’inizio condiviso la realtà del Paese per aiutarci, anche attraverso i vari centri di ascolto che per esempio la Caritas ha già sul territorio”.
C’è tanto bisogno, precisa ancora mons. Bazouzou, nelle famiglie di fronte ai problemi, anche della dimensione spirituale. “E’ importante ricordare alle famiglie che frequentano il Consultorio che il matrimonio è una Sacramento e dunque attraverso di esso il Signore concede una grazia speciale: lo facciamo con le famiglie cristiane ma anche con i non credenti perché anche per loro il matrimonio è una cosa sacra”.
Gabriella Ceraso – Vatican news Città del Vaticano 12 marzo 2019
www.vaticannews.va/it/mondo/news/2019-03/grecia-famiglie-consultorio-ecumenismo.html
Napoli. Crescere insieme ai propri figli
Napoli. Organizzato dalla Pastorale della Famiglia e della Vita e dal Consultorio Familiare Diocesano “San Giuseppe Moscati”, diretti da monsignor Giuseppe Lungarini, si terrà, il 30 marzo 2019, un incontro dedicato al rapporto genitori-figli, un importante momento di riflessione e di dialogo con esperti del campo.
Ad accompagnare i partecipanti nell’approfondimento del tema ci saranno l’avvocato Angela Esentato e la psicologa e consulente familiare e coniugale Antonia Romano. La tavola rotonda si terrà a partire dalle 9.30 nel salone del Consultorio. Durante l’incontro verranno spiegate diverse tecniche per migliorare e favorire l’incontro e il dialogo in famiglia, per prevenire i disagi adolescenziali, per migliorare la relazione genitori-figli.
www.instazu.com/tag/consulenzafamiliare
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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM
Udine. Convegno In relazione” – Famiglia allo specchio e professioni dell’aiuto in riflessione.
Il Consultorio familiare “Friuli” onlus, nell’occasione dei 50 anni di attività, annuncia il convegno “In relazione” – Famiglia allo specchio e professioni dell’aiuto in riflessione. 5 – 6 aprile 2019, presso il Centro Culturale “Paolino d’Aquileia” via Treppo, 5/B – Udine
Nel sito è scaricabile il pieghevole con la scheda d’iscrizione che va compilata e inviata entro il 1° aprile all’e-mail: info@mdstudiocongressi.com. www.consultoriofriuli.it/sito/news/pieghevole.pdf
L’appuntamento che il Consultorio familiare Friuli onlus propone nasce dalla considerazione sul cambiamento della domanda nel contesto socio-culturale locale, anche in base a quanto è emerso dalle interviste agli operatori che hanno collaborato nell’arco dei 50 anni di attività a favore di persone, coppie, famiglie e che è stato raccolto in una pubblicazione ”Raccontare la famiglia” Ed Angeli.
Come rispondere al malessere sempre più diffuso e profondo delle persone che si rivolgono ai servizi psico-socio-sanitari tale da invadere pressoché tutti gli aspetti personali ed interpersonali del vivere quotidiano in famiglia, nella scuola, nel lavoro, nella sfera sociale?
Il convegno propone una riflessione comune sull’attenzione che le professioni di aiuto dedicano alla relazione, elemento indispensabile per l’efficacia dell’intervento.
Interagire è imprescindibile per ogni persona, ma instaurare una positiva e generativa relazione costituisce una potente forza preventiva al disagio e propulsiva di crescita: questo obiettivi quindi coinvolge tutti, dalla cura familiare al lavoro educativo nella scuola.
L’auspicio è che ciascuno, nei diversi ruoli di vita e di lavoro, possa portare un contributo al benessere individuale e sociale del nostro territorio e per il futuro delle giovani generazioni.
Venerdì 5 aprile 2019, ore 15,30 registrazione
Intervengono Bruno Forte, presidente del consultorio. Autorità, Anna Zenarolla che presenta il libro, Gianna Magris che introduce l’apertura musicale.
- Franca Olivetti Manoukian. Disagi familiari nel territorio: interagire per riconoscerli e affrontarli.
Sabato 6 aprile 2019, ore 08,45 registrazione
- Paola Scalari. Nuovi lessici familiari, vincoli, legami, relazioni.
- Sergio Manghi. Relazioni di cura e cura della relazione.
- Andrea Grillo. Il cammino della cura cristiana per la famiglia.
- Bruno Forte. Presentazione lavori di gruppo: in relazione: la famiglia, la scuola, le professioni dell’aiuto.
- Lavori di gruppo. Facilitatori Giuliana Mozzon, Maria Piani, Anna Zenarolla.
- Condivisione lavori di gruppo, interventi conclusivi dei relatori, prospettive per il futuro
www.consultoriofriuli.it/sito/news.htm
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COUNSELING
Famiglia allo specchio e professioni dell’aiuto in riflessione. L’amore non è capirsi ma sapersi accogliere
Il sostantivo counseling deriva dal verbo inglese to counsel, che risale a sua volta dal verbo latino consulo-ĕre, traducibile in “consolare”,
«Non riesco più a capire mio figlio (figlia/marito/moglie)». Questa frase viene sempre pronunciata con una sorta di doloroso stupore: qualcuno che sentivamo molto vicino, con cui siamo legati da un rapporto speciale, improvvisamente ci risulta lontano, talvolta quasi estraneo. Si è creata una distanza che non potevamo prevedere: non riusciamo più a “capire”, o non ci sentiamo più capiti. Capire è una parola interessante per le relazioni; la sua origine è il latino capio, che vuole anche dire afferrare. Il suo significato è dunque collegato all’intuizione, all’immediatezza: vuol dire arrivare rapidamente al cuore di qualcuno e mettersi in sintonia con lui in modo naturale, senza bisogno di un particolare sforzo. Capirsi stabilisce un senso di appartenenza e consonanza reciproca molto potente e gratificante, che è reso possibile da elementi di somiglianza; per questo i genitori sentono di capire il loro bambino: le madri, soprattutto, sono certe di conoscerne emozioni, sentimenti e pensieri, che intuiscono senza bisogno di parole.
E sempre per questo, nell’innamoramento si sperimenta una magica sensazione di reciproca, speciale possibilità di capirsi: le differenze appaiono come annullate dalla capacità di arrivare al cuore dell’altro e di intuire il suo vero valore, lasciando cadere come marginali tutte le cose che potrebbero dividerci. Ma quando il bambino inizia a trasformarsi in adolescente, o quando dalla fase di innamoramento si passa alla quotidiana condivisione della vita, dobbiamo fare i conti con l’emergere inevitabile delle differenze: il bambino che credevamo di conoscere così bene rivendica spazi di intimità nuovi, alla ricerca di una identità davvero personale; il marito (la moglie) di cui siamo innamorati rivendica la possibilità di esprimere anche i lati di sé che ci sono meno simili e che aveva momentaneamente accantonato per noi.
Ecco allora il doloroso stupore del non capire; l’altro in realtà continua sempre ad essere sé stesso, ma ora l’intuizione non può più essere sufficiente, perché la differenza rende problematico il capirsi e rende necessarie pazienza, curiosità e disponibilità a mettersi in discussione, se non vogliamo che nella relazione si insinui una crescente distanza. Che fare allora? Per metterci sulla strada giusta ci serve una parola diversa, e questa parola è il sinonimo “comprendere”. La cosa davvero interessante dei sinonimi è che non esprimono mai esattamente la stessa cosa e che proprio grazie all’infinita ricchezza della nostra lingua il loro uso permette di dare vita a percorsi diversi di pensiero, che possono aprire strade nuove anche alle nostre azioni e dunque alla vita.
La differenza tra “capire” e “comprendere” è in questo senso davvero interessante. Se capire è vocabolo di intuizione e immediatezza, comprendere è invece parola di lentezza e riflessione. È una parola composta (com-prendo) che ci suggerisce di fare spazio all’altro e di avvicinarci a lui accettandone la differenza. Comprendere richiede tempo, volontà e anche un po’ di fatica per superare le distanze, ma apre una possibilità; se non sempre è possibile trovare la sintonia necessaria per capire, comprendere è invece sempre possibile. Possiamo fare spazio all’altro e prenderlo con noi: comprenderlo, appunto.
Nei rapporti importanti abbiamo bisogno di tutte e due queste parole, che si alternano e si accompagnano: sia la relazione di coppia che quella con i figli iniziano con il capire, ma possono proseguire solo grazie al comprendere: comprendere che l’altro è, davvero, profondamente diverso, e che la sua differenza merita uno scambio fatto di curiosità e rispetto. La misura dell’amore allora non è più “capirsi”, ma accogliersi dando credito alla differenza, che può suscitare domande nuove e aprire nuove prospettive. Si tratta di accettare la legittimità delle differenze: l’amore è là dove permettiamo all’altro di essere se stesso, e dunque diverso da noi. Per scoprire che, se gli rinnoviamo la fiducia, torneremo ancora a sperimentare splendidi momenti nei quali capirci al di là di ogni parola.
Mariolina Ceriotti Migliarese, neuropsichiatra infantile e psicoterapeuta. Avvenire 14 marzo 2019
www.avvenire.it/rubriche/pagine/l-amore-non-e-capirsima-sapersi-accogliere
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DALLA NAVATA
2° Domenica di quaresima ordinario – Anno C – 17 marzo 2019
Genesi 15,18 In quel giorno il Signore concluse quest’alleanza con Abram.
Salmo 26, 13 Spera nel Signore, sii forte, si rinsaldi il tuo cuore e spera nel Signore.
Filippesi 04, 01 Perciò, fratelli miei carissimi e tanto desiderati, mia gioia e mia corona, rimanete in questo modo saldi nel Signore, carissimi!
Luca 09, 36 Appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.
Pregare trasforma in ciò che si contempla
Salì con loro sopra un monte a pregare. La montagna è la terra che si fa verticale, la più vicina al cielo, dove posano i piedi di Dio, dice Amos. I monti sono indici puntati verso il mistero e la profondità del cosmo, verso l’infinito, sono la terra che penetra nel cielo. Gesù vi sale per pregare.
La preghiera è appunto penetrare nel cuore di luce di Dio. E scoprire che siamo tutti mendicanti di luce. Secondo una parabola ebraica, Adamo in principio era rivestito da una pelle di luce, era il suo confine di cielo. Poi, dopo il peccato, la tunica di luce fu ricoperta da una tunica di pelle. Quando verrà il Messia la tunica di luce affiorerà di nuovo da dentro l’uomo finalmente nato, “dato alla luce”. Mentre pregava il suo volto cambiò di aspetto.
Pregare trasforma: tu diventi ciò che contempli, ciò che ascolti, ciò che ami, diventi come Colui che preghi. Parola di Salmo: «Guardate a Dio e sarete raggianti!» (Sal 34,6). Guardano i tre discepoli, si emozionano, sono storditi, hanno potuto gettare uno sguardo sull’abisso di Dio. Un Dio da godere, un Dio da stupirsene, e che in ogni figlio ha seminato una grande bellezza. Rabbì, che bello essere qui! Facciamo tre capanne. Sono sotto il sole di Dio e l’entusiasmo di Pietro, la sua esclamazione stupita – che bello! – Ci fanno capire che la fede per essere pane, per essere vigorosa, deve discendere da uno stupore, da un innamoramento, da un “che bello!” gridato a pieno cuore. È bello stare qui. Qui siamo di casa, altrove siamo sempre fuori posto; altrove non è bello, qui è apparsa la bellezza di Dio e quella del volto alto e puro dell’uomo.
Allora «dovremmo far slittare il significato di tutta la catechesi, di tutta la morale, di tutta la fede: smetterla di dire che la fede è cosa giusta, santa, doverosa (e mortalmente noiosa aggiungono molti) e cominciare a dire un’altra cosa: Dio è bellissimo» (H.U. von Balthasar). Ma come tutte le cose belle, la visione non fu che la freccia di un attimo: viene una nube, e dalla nube una voce.
Due sole volte il Padre parla nel Vangelo: al Battesimo e sul Monte. Per dire: è il mio figlio, lo amo. Ora aggiunge un comando nuovo: ascoltatelo. Il Padre prende la parola, ma per scomparire dietro la parola del Figlio: ascoltate Lui. La religione giudaico-cristiana si fonda sull’ascolto e non sulla visione. Sali sul monte per vedere il Volto e sei rimandato all’ascolto della Voce. Scendi dal monte e ti rimane nella memoria l’eco dell’ultima parola: Ascoltatelo.
Il mistero di Dio è ormai tutto dentro Gesù, la Voce diventata Volto, il visibile parlare del Padre; dentro Gesù: bellezza del vivere nascosta, come una goccia di luce, nel cuore vivo di tutte le cose.
Padre Ermes Ronchi, OSM
www.qumran2.net/parolenuove/commenti.php?mostra_id=45397
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DIRITTO DI FAMIGLIA
L’applicabilità della legge nazionale alla famiglia islamica residente in Italia
In Italia la componente di popolazione di origine e religione musulmana è sempre maggiore. Il cittadino italiano, ma soprattutto il giurista, non può ignorare il sorgere di una realtà così pressante. Egli deve coniugare le esigenze di apertura verso coloro che sono “stranieri” con le esigenze, fondamentali, di tutela dell’ordine pubblico. Il quale pur essendo un concetto elastico che può essere piegato a seconda delle esigenze di accettazione e di integrazione, prevede pur sempre dei limiti, al di là dei quali l’opera di riconoscimento del legislatore subisce una battuta d’arresto.
Con il lavoro di ricerca svolto si è voluto offrire uno spunto di analisi degli istituti giuridici islamici che giungono assieme a coloro che migrano nel territorio della Repubblica. Il problema non riguarda solo il diritto, inteso nel senso stretto di “istituto o pratica legale o illegale” per il nostro ordinamento, ma riguarda anche l’aspetto sociale, religioso, culturale. Il cittadino di origine islamica, anche quando, acquista la cittadinanza italiana, spesso, rimane legato alla religione islamica. Nell’Islam diritto e religione sono un tutt’uno, per cui non è semplice scindere i due aspetti, mentre in Italia, nonostante la storica commistione di politica e cattolicesimo, i confini sono netti. Inoltre, il soggetto musulmano non giunge in Italia privo di un qualunque legame con il suo paese d’origine.
Il problema del raccordo tra culture diverse, ma anche tra ordinamenti giuridici diversi, è un tema centrale di questo elaborato, nel cui svolgimento si propone di risolvere il conflitto in un incontro basato sui pilastri del diritto internazionale, piuttosto che in uno scontro. Gli esempi forniti nell’elaborato sono molteplici e svariati. Ciò che, dopo un lavoro di analisi così approfondito su una cultura diversa da quella occidentale e su un “diritto” straniero emerge è che va effettuata una valutazione singola caso per caso. Gli aspetti, giuridici e non, da considerare sono molti e costringono il legislatore italiano ad una quotidiana attenzione e ad una costante opera di giustapposizione tra esigenze diverse.
Mariagiulia Ruvolo abstract
https://drive.google.com/file/d/1LNm1Nr9ylYxwfLMq8hNh90ckdSW4TPjb/view
https://drive.google.com/file/d/1QqeWshqYPNzuAszFFbw4IW1JOxZfeq8C/view
Brocardo del giorno – 14 marzo 2019
www.brocardi.it/tesi-di-laurea/applicabilita-della-legge-nazionale-alla-famiglia-islamica-residente/70.html?utm_source=Brocardo+Giorno&utm_medium=email&utm_content=tesi&utm_campaign=2019-03-14
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FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI
Liste d’attesa e spesa sanitaria privata: altra tegola “vitale” sulle famiglie italiane
I dati ISTAT sulla rinuncia alle cure sanitarie sono non solo allarmanti, ma anche drammatici, perché spesso rinuncia alle cure, vuol dire rinuncia alla prevenzione, con punte maggiormente preoccupanti nel Sud del Paese, dove l’offerta di servizi sanitari è a macchia di leopardo e dove i redditi sono più bassi. È l’ennesimo dato che conferma che le famiglie italiane vedono a rischio anche il diritto costituzionalmente garantito alla salute, l’ultimo baluardo di oramai finta universalità.
La riscoperta di un nuovo moderno mutualismo sanitario può essere la strada per colmare il fabbisogno sul bene principale della vita e su una delle principali cause di destabilizzazione delle famiglie italiane, perché una malattia improvvisa di un familiare o addirittura un lutto, lede il benessere dell’intero nucleo famigliare, pesante ipoteca sul futuro di un’intera società. Questo non esime ovviamente le Istituzioni dal riorganizzare il sistema sanitario pubblico, al fine di renderlo omogeneo territorialmente e di qualità, riducendo liste d’attesa e spesa sanitaria privata delle famiglie italiane
Gianluca Budano 11 marzo 2019
www.forumfamiglie.org/2019/03/11/liste-dattesa-e-spesa-sanitaria-privata-altra-tegola-vitale-sulle-famiglie-italiane
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FRANCESCO VESCOVO DI ROMA
Sei anni fa: una settimana memorabile intorno al 13 marzo
A distanza di 6 anni, rievocare questa “settimana intorno alla elezione di Francesco papa” può aiutare a capire da dove è iniziato tutto. Avevo pubblicato il post a caldo, alcuni giorni dopo la elezione. Mi sembra che restituisca bene quello che abbiamo vissuto tutti, ecclesialmente e umanamente. E che sorprende ancora oggi.
La settimana intorno a Francesco. La Chiesa “in viaggio” cammina e si rinnova
Le dimissioni di Papa Benedetto, annunciate il giorno 11 febbraio 2013 e divenute operative il 28 febbraio 2013, avevano aperto un varco, nella vita della Chiesa, per un’occasione di revisione, di conversione, per un balzo in avanti possibile, ma non scontato.
Lunedì 11 marzo 2013, esattamente un mese dopo quelle dimissioni, avevo un incontro serale a Padova, su iniziativa di tre parrocchie, sul tema del “giovedì santo”. Mentre mostravo loro l’esigenza di uscire dalla mentalità tradizionale (la eredità medievale del triduo della passione contrapposto al triduo della resurrezione) e di acquisire la più antica visione dei “tre giorni” (dal vespro del giovedì al vespro della domenica) pensavo che il giorno dopo si sarebbe aperto il Conclave e la Chiesa avrebbe potuto trovare nuovo impulso e nuova forza, anche per annunciare queste verità così fondamentali e così poco comprese.
Il giorno dopo, in effetti, si sono svolti tutti i riti di introduzione al Conclave, che ho seguito per radio mentre raggiungevo Pesaro, dove dovevo tenere le mie 4 ore di lezione, dalle ore 18 alle ore 21. Proprio al momento della pausa, intorno alle 19.30, ho avuto la notizia della “fumata nera”, che P. Federico Lombardi aveva già pronosticata fin dal giorno prima. Come era ovvio, la prima votazione aveva avuto soltanto la funzione di “sondaggio” e di “verifica” delle condizioni di consenso e di orientamento dei cardinali.
Il giorno successivo, mercoledì 13 marzo, da molti ritenuto decisivo, si è sviluppato con una crescente tensione. Erano previste 4 votazioni, due la mattina e due nel pomeriggio. La mattina è passata in modo molto lineare e con una certa sorpresa la fumata nera di fine mattinata si è levata in cielo con largo anticipo rispetto al programma previsto. Che cosa poteva significare, tutto questo? Non lo si poteva capire. Nel pomeriggio c’è stata una certa attesa per la metà pomeriggio, quando poteva essere annunciata l’elezione. Ma l’attesa è stata delusa. Ci si era quasi convinti che anche la sera, intorno alle 19, o forse prima, avremmo di nuovo visto una fumata nera.
Intanto dovevo partire per Milano, dove la sera alle 21 avevo una conferenza nel ciclo “La cattedra del Concilio”. Andando verso Milano, da Padova, sono passato davanti all’uscita di Bergamo e ho visto l’indicazione “Sotto il Monte”. Un piccolo voto è sbocciato nel mio cuore. Se Papa Giovanni, 50 anni dopo, avesse voluto metterci una mano…
Mentre arrivavo a Milano, alla parrocchia di S. Giovanni in Laterano, poco dopo le 19, per radio ho sentito il giornalista urlare: “E’ bianca, la fumata è bianca”. Così diceva il commentatore, mentre la piazza intorno a lui cominciava ad applaudire con entusiasmo. In pochi minuti, con crescente agitazione, arrivo alla Parrocchia, dove è pronta la cena e la televisione inquadra continuamente la finestra della loggia di S. Pietro.
Mangio con il Parroco, don Giuseppe Grampa, i suoi collaboratori e amici, nello spazio tra l’annuncio e la proclamazione. Passa un’ora abbondante, percorsa da mezze parole, aperture e chiusure, slanci di fantasia e realismi quasi cupi. Arrivano poi i primi accenni di apertura della finestra: si accendono le luci nelle stanze, si muovono tenue ombre dietro le tende bianche, infine ecco il momento, esce il Cardinale Protodiacono e ascoltiamo la parola tanto attesa: Habemus Papam! E’ il cardinale Bergoglio, di Buenos Aires. Che si chiamerà “Francesco”! Mi guardano in modo interrogativo e dico: “E’ aperto, era il competitore di Ratzinger nel 2005”. Resto molto colpito, capisco che è successo qualcosa che forse tutti avremmo potuto prevedere, ma che pochissimi avevano considerato.
Ancora qualche minuto di attesa, poi ecco il nuovo papa Francesco. Resta per alcuni minuti in silenzio, mentre la folla applaude e le bande suonano, sotto il balcone. Poi cominciano i 10 minuti più lunghi e più densi della Chiesa postconciliare. Il nuovo papa saluta con un “Fratelli e sorelle, buona sera!”. Colpisce subito il tono della voce, che sta a metà tra Papa Roncalli e Papa Lucani. Ma poi la preghiera per Papa Benedetto (chiamato “vescovo emerito di Roma”) prende la forma di un Padre Nostro, di un’Ave Maria e di un Gloria, recitati in un italiano inevitabilmente incerto, ma diretto e sentito, sorprendente. Poi imposta il proprio cammino di “Vescovo con il suo popolo”, chiedendo che il popolo preghi silenziosamente Dio, perché benedica il proprio Vescovo. E nel silenzio della piazza che prega, papa Francesco si inchina di fronte a Dio e al suo popolo. Poi procede alla benedizione, vestendo solo a quel punto la stola, che poi leva con le sue stesse mani, appena concluso il rito di benedizione. Alla fine chiede ancora il microfono e saluta la folla, ringraziando per l’accoglienza e augurando buona notte e buon riposo. Sono senza parole, quasi frastornato per sovrabbondanza. Come se, dopo le prospettive di un cambiamento ecclesiale, i rischi di vanificazione delle speranze, il risultato del Conclave ci presentasse, di colpo, una possibilità di reale mutamento di linguaggio, di priorità, di stile, di prospettiva, in un modo che forse nessuno osava pensare dopo le promesse solenni del Concilio Vaticano II. Erano 50 anni che non si sentiva parlare un Papa così.
Ma la serata doveva riservarmi altre sorprese. Infatti gli amici milanesi, che non conoscevo, avevano preparato come “introduzione” alla mia conferenza su “Sacrosanctum Concilium” la proiezione di due “video”: il primo erano alcuni minuti di una messa di Mons. Marcel Lefebvre a Parigi, nel 1977; la seconda alcuni momenti dell’ultima Veglia Pasquale presieduta da P. David Maria Turoldo. Nessuno, se avesse voluto contestualizzare quella serata imprevedibile, avrebbe potuto meglio anticipare i sentimenti e le emozioni che abitavano mente e cuore, anima e corpo. Eravamo di fronte a una svolta ecclesiale del tutto sorprendente e cominciare con quelle immagini è stata la premessa per una riconsiderazione del “partecipare” alla liturgia come esigenza elementare di questa stessa svolta, finalmente aperta e disponibile davanti a noi, da appena un’ora!
Il giorno successivo, giovedì 14 marzo sono partito di buon mattino per Roma, dove dovevo tenere il mio seminario sulla “liturgia nel Concilio Vaticano II” e poi, nel tardo pomeriggio, la presentazione di un volume di un bravo monaco, filologo e musicista, mio ex alunno, di nazionalità argentina. La giornata, con tutti i suoi impegni, è però segnata dal crescente entusiasmo che trapela dalle prime mosse e parole del nuovo Vescovo di Roma. A S. Anselmo incrocio alcuni colleghi che mi rivelano alcuni retroscena della prima apparizione. Il “rifiuto della mozzetta” [mantellina corta] diventa una specie di simbolo del nuovo corso liturgico, che papa Francesco sembra voler inaugurare. Ma si viene anche a sapere della disinvoltura con cui il nuovo papa paga il conto al proprio albergo, prende lui stesso le sue valigie, accorcia le distanze con le persone, scende dalla sede, quasi inciampando, per andare ad abbracciare il Decano del collegio cardinalizio, porta un mazzolino di fiori alla Madonna e si inginocchia nell’ultima panca e non all’inginocchiatoio solenne a lui riservato. Sembra quasi che il linguaggio formale della Chiesa, in questa accelerazione improvvisa, riacquisti una possibilità di parola autorevole e di credito umano che per troppo tempo era rimasta latente o aveva anche dovuto conoscere aperte smentite.
La sera, presso l’Abbazia di San Paolo fuori le mura, posso sentirmi prossimo e quasi compreso in quel famoso mosaico dove il papa (Onorio III) viene rappresentato “piccolo e quasi annichilito per terra”, che “bacia il piede al Cristo, dalle gigantesche dimensioni”, come ha scritto Paolo VI nel primo famoso discorso al Concilio Vaticano II, nel settembre del 1963.
Il giorno dopo, tornato a casa, a Savona, posso considerare la sera, in una riunione nella Parrocchia, quanto anche il percorso della iniziazione cristiana dei bambini possa essere riletto e promosso da questa prospettiva pastorale, confermata con tanta forza dal nuovo papa Francesco.
Intanto le diverse occasioni di incontro, di presa di parola, di presenza del nuovo Papa confermano la prima impressione: una rilettura non trionfalistica, non imperiale, non sommo sacerdotale, non gerarchica si fa strada su tutti i livelli e può rinnovare tutto, se lo si vorrà davvero.
Sabato 16 mi aspetta una giornata di lavoro a Lugano, per i catechisti della Diocesi. Il tema è quello della “fede celebrata”. Il contesto è l’Anno della Fede. E’ un contesto che risente della ambiguità di una “scelta mancata”. Come si fa a celebrare il 50° del Concilio Vaticano II, unendolo ai 20 anni del Catechismo della Chiesa Cattolica? Questa scelta, che ha inaugurato l’anno della fede, risulta letteralmente travolta dai fatti degli ultimi tre giorni. E’ stata proprio questa crescente mancanza di chiarezza a compromettere la figura ecclesiale degli ultimi anni, che ora può essere riscattata.
Ieri, domenica, al ritorno da Lugano, decido di onorare il voto di una settimana fa. Allungo di poco la strada e ritorno a Sotto il Monte. Dopo la celebrazione eucaristica salgo all’Abbazia di S. Egidio e visito la tomba di Padre David Maria Turoldo, mentre nel silenzio scendono soffici fiocchi di neve. Nel segno di Giovanni XXIII e del grande frate servita medito su questi giorni e su come, quasi di colpo, la Chiesa si sia trovata consolata nella sua diversità, nel suo anelito a dar la parola allo Spirito, a farsi prossima a tutti, a riprendere il cammino sospeso o interrotto, per troppi anni.
Dovremo raccontare ai nostri figli e ai nostri nipoti questi giorni di grazia. Dovremo narrarli in tutte le loro sorprese, in tutto ciò che era inatteso e che, realizzandosi di colpo, ci ha quasi levato la parola. Nelle pieghe di queste poche giornate è spirato un vento fresco, una brezza leggera, nella quale abbiamo potuto riconoscere l’impronta inconfondibile del bene che si fa largo e della libertà dello Spirito Santo, che soffia dove vuole, spesso contro ogni nostra attesa. E così apre alla speranza, vincendo ogni presunzione e ogni disperazione. La chiesa cammina, per davvero.
Andrea Grillo blog: Come se non 13 marzo 2019
www.cittadellaeditrice.com/munera/sei-anni-fa-una-settimana-memorabile-intorno-al-13-marzo/
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GENITORI
Non ci sono più i genitori di una volta
«Organizzare l’educazione significa mettere al centro non ciò che penso io o le mie idee di genitore, ma i bisogni evolutivi del bambino. Questa è la rivoluzione, niente affatto scontata», afferma Paolo Ragusa. Nelle famiglie di oggi, centrate sul “cosa” e sul “come” invece che sul “chi”, c’è la possibilità di riuscirci. «I figli sono sempre più lontani dai nostri desideri di genitori, ma forse c’è un’opportunità maggiore che vadano verso i loro desideri»
«Non ci sono più i genitori di una volta». Un’affermazione secca, che può suonare come la presa d’atto di un dato di fatto, oppure aprire a una vena di nostalgia o al contrario a un liberatorio “per fortuna!”. Sottotitolo: “L’aiuto alle nuove genitorialità: mamme o papà soli, famiglie allargate, genitori con nazionalità diverse, famiglie arcobaleno”. È questo il tema scelto per una conversazione fra Susanna Mantovani, già docente di Pedagogia generale e sociale all’Università degli Studi Milano Bicocca e Paolo Ragusa, vicepresidente e responsabile delle attività formative del Centro PsicoPedagogico per l’educazione e la gestione dei conflitti (CPP).
L’appuntamento è per il 13 aprile a Piacenza, nell’ambito del convegno annuale del CPP, “Dalla parte dei genitori”. Ne parliamo con Paolo Ragusa.
Partiamo dal titolo, che incuriosisce molto.
Non c’è nostalgia. Il titolo vuole mettere in evidenza il fatto che siamo in un’epoca di grandi opportunità: il nostro interesse è proprio in queste opportunità. L’evolversi della genitorialità e della famiglia oggi permette a ciascuna persona di trovare il suo spazio: un tempo qualcuno poteva dire “io non sono fatto per la famiglia”, “io non sono fatta per essere mamma” o “per essere papà”, mentre oggi questo è meno giustificabile. Vediamo tutto ciò come una grande opportunità, anche se ovviamente ci sono i rischi di derive.
Però c’è nel confronto esplicito fra stili educativi diversi c’è anche una pressione sociale che prima non c’era sull’essere un buon genitore.
Sentirsi addosso la pressione rispetto a come gli altri vorrebbero che facessi il genitore (che poi vale anche per come gli altri vorrebbero che facessi il marito, la moglie, il lavoratore…) è nefasto. Anche qui però guardiamo all’aspetto interessante: l’esistenza di un’attenzione. Oggi c’è una domanda sociale di genitorialità che va raccolta, c’è una domanda esplicita di organizzazione dell’educazione dei figli, un dire “abbiamo bisogno di qualcuno che ci aiuti”. Tutta questa domanda prima non c’era o era implicita, oggi invece è esplicita anche se talvolta non viene posta bene.
La fragilità educativa non è una cosa nuova: la novità di oggi è che essa è diventata sistema e anzi è propagandata come forma educativa evoluta, perché crea vicinanza tra genitori e figli. Questo sentire però deve trovare una misura e un’organizzazione: se non si trova la misura, diventa un eccesso di investimento o un eccesso di vicinanza o qualcosa per cui il genitore si sostituisce al figlio. Così come nei nostri nonni la fragilità educativa diventava, al contrario, eccesso di distanza o autoritarismo. Paolo Ragusa
Cosa intende?
Diciamo che c’è un paradosso. Da una parte c’è molto interesse e attenzione nei confronti dei bambini e dell’infanzia – i diritti dei bambini, il tema della loro felicità e di una buona infanzia – ma spesso c’è anche un eccesso di eccentricità degli adulti rispetto ai bambini. Penso in particolare al fatto che l’adulto, nell’essere genitore, cerca di realizzare suoi aspetti progettuali, di trovare un posto nel mondo. Queste sono derive. Ad esempio cercare nell’essere padre qualcosa che riscatti la mia infanzia. Un padre incontrato poche settimane fa mi raccontava di come nella loro famiglia, in accordo, lei lavori e lui abbia lasciato il lavoro per occuparsi del figlio. Poi però, approfondendo il come lui interpreta la funzione paterna, è emerso che questa non è una semplice scelta di organizzazione familiare, ma un modo per riscattare la sua infanzia, per recuperare quelle opportunità che a lui erano mancate con suo padre. Questo rischia di essere un pasticcio. Come pure è un pasticcio il padre che, perché in casa, fa la madre: occuparsi dei figli non significa fare la madre.
Un aspetto del «non ci sono più i genitori di una volta» è anche la fragilità dei giovani genitori di oggi, evidenziata da Daniele Novara.
www.vita.it/it/article/2019/02/26/i-bambini-di-bim-bum-bam-genitori-fragili-e-iperemotivi/150786
Questa fragilità genitoriale è solo in parte collegata alla dimensione generazionale. Oggi in realtà tutti i genitori, che abbiano 25 o 50 anni, sono potenzialmente esposti alla fragilità. La fragilità riguarda tutti coloro che si trovano a educare oggi, perché c’è una globalizzazione di un “sentire”, tale per cui non c’è più la distanza di un tempo tra adulto e bambino. Questo fatto deve trovare una nuova forma, una misura e un’organizzazione: se non si trova la misura, questo diventa un eccesso di investimento o un eccesso di vicinanza o qualcosa per cui il genitore si sostituisce al figlio. Se ci pensa, i nostri nonni non erano meno fragili da un punto di vista educativo, ma la loro fragilità prendeva derive diverse: il rigore, l’eccesso di distanza, l’autoritarismo… Quel che voglio dire è che la fragilità educativa non è una cosa nuova: la novità di oggi è che essa non è più occasionale ma è diventata sistema e anzi è propagandata come forma educativa evoluta, perché crea vicinanza tra genitori e figli. Crea vicinanza ma produce criticità. Si tratta quindi di organizzare e dare forma all’educazione.
E cosa significa organizzazione nell’educazione?
Significa mettere al centro non ciò che penso io o le mie idee di genitore, ma i bisogni evolutivi del bambino. Questa è la rivoluzione, niente affatto scontata. Cosa serve a un figlio a 2 anni, a 6 anni, a 13 anni? Partire da lì. Sono bisogni complessi e non facili, ma solo così possiamo organizzare l’educazione. A 3 anni è inutile dare dieci regole, il bambino a quell’età ha una forma di comprensione della realtà binaria, bianco/nero, sì/no… Se comincio a spiegare, a dare regole che più che regole sono prediche, a farmi problemi sulla frustrazione del bambino davanti a un no… entro in un vortice di fragilità. Così l’adolescente: se non realizzo che per separarsi la conflittualità è necessaria, se da genitore mi offendo perché mio figlio adolescente mi volta le spalle… le ragioni emotive del genitore prevalgono sui bisogni evolutivi dell’adolescente. Ad esempio il conflitto o la regolazione sono criteri per organizzare l’educazione, come anche la socialità: che un bambino debba poter stare con altri è importante, mentre oggi la tendenza è a dire “mettiamolo al riparo da tutto e da tutti” …
Organizzazione nell’educazione significa mettere al centro non ciò che penso io o le mie idee di genitore, ma i bisogni evolutivi del bambino. Questa è la rivoluzione, niente affatto scontata. Cosa serve a un figlio a 2 anni, a 6 anni, a 13 anni? Partire da lì. Paolo Ragusa
Quindi alla base dell’organizzazione educativa c’è la conoscenza dei bisogni evolutivi.
La base è informativa. Le scuole genitori in questo senso aiutano molto, ma anche lo scambio e il confronto: occorre costruire una comunità di genitori che si interroga. Poi però occorre “saperci fare”, non basta sapere: occorre sapere cosa scegliere in questo preciso momento. Questo è difficile, perché quando si deve decidere e scegliere, molti genitori oggi vanno in blocco. E se poi? Intanto fa quello che va fatto, e se poi succede che… ci ragioniamo. La fragilità della capacità genitoriale ha generato anche l’idea che pure il bambino sia fragilissimo e questo spesso non ci fa fare la mossa giusta. Ma non è così, l’adolescente è perfettamente in grado di assorbire la conflittualità con i genitori e anzi la cerca e a creargli problemi è un genitore troppo accondiscendente. Così come un bambino è rassicurato da un genitore in cui trova un punto fermo, è l’imprevedibilità genitoriale ad essere angosciante per lui.
Veniamo alle diverse composizioni familiari a cui accennate fin dal titolo: mamme o papà soli, famiglie allargate, genitori con nazionalità diverse, famiglie arcobaleno.
Sono cose vecchie come la famiglia stessa, ma che erano implicite. Da un lato oggi si può essere coppia ma non famiglia e si può essere famiglia senza essere coppia: l’innesco della famiglia non è più solo quello della coppia. Dall’altro tante famiglie sono poliaggregate, policentriche, dove è difficile trovare il nucleo originario, dal punto di vista affettivo… La famiglia naturale è fondata sul “chi”, mentre oggi la pluralità degli aggregati familiari ci permette di mettere l’accento non tanto sul “chi” costruisce ma sul “cosa” costruiamo e sul “come” lo costruiamo. Il cosa, il senso e il come, l’organizzazione, non il chi dà legittimazione alla famiglia. Questo è interessante.
Qual è l’opportunità che lei vede?
Che qualcosa che prima era “fuori” ora è incluso. L’estrema inclusività dell’esperienza famigliare, tale per cui oggi possiamo molto più di ieri immaginare che il “figlio degenere” sta dentro la famiglia non viene più messo fuori. È esperienza di maggiore integrazione, più larga. Qual è l’opportunità? La maggior dialettica tra appartenenza e separazione: i nostri figli sono sempre più lontani dai nostri desideri di genitori, ma forse c’è un’opportunità maggiore che vadano verso i loro desideri. E poi in un’epoca di narcisismo imperante, la famiglia ti chiede di stare nella mancanza: per stare dentro, devi accettare di perdere qualcosa, non puoi avere tutto e in questo senso l’esperienza della famiglia dal punto di vista sociale e di sviluppo delle persone è una grossissima occasione.
Il convegno “Dalla parte dei genitori” si svolgerà a Piacenza sabato 13 aprile, dalle 10 alle 17, nel Teatro Politeama (via San Siro 7).
https://cppp.it/convegno/pagine/2019-aprile/programma-del-convegno-dalla-parte-dei-genitori-piacenza-2019
Sara De Carli Vita on line 11 marzo 2019
www.vita.it/it/article/2019/03/11/non-ci-sono-piu-i-genitori-di-una-volta/150922
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MATRIMONIO
Non amo più mio marito: conseguenze legali
Quando è possibile chiedere la separazione con addebito; se uno dei due coniugi non è più innamorato dell’altro è colpevole e deve risarcire il danno per il divorzio?
Dopo cinque anni di matrimonio ti sei accorta di sentirti sola ed affettivamente arida. Non sono tanto i litigi che, come in ogni coppia, si consumano anche a casa vostra. Sono piuttosto gli stili di vita e le abitudini diverse che hanno portato te e tuo marito a un progressivo allontanamento, sfociato poi in una sostanziale indifferenza. I momenti di intimità sono ormai ridotti all’osso; le conversazioni sempre meno frequenti. E se anche lui dice di amarti, il suo affetto non riesce più a scaldarti come un tempo e a farti vibrare. Così, un giorno, davanti allo specchio, nel confessarti con te stessa, hai trovato il coraggio di dirti in faccia: non amo più mio marito! Ora però ti chiedi quali possano essere le conseguenze legali nell’affrontare a viso scoperto una tale situazione.
Avevi già provato, infatti, qualche mese fa, a chiedergli un periodo di pausa per una riflessione, ma lui ti ha invitato a riprovarci. Per convincerti – a modo suo – a tornare sui tuoi passi, aveva insinuato che, in caso di separazione, la colpa sarebbe stata tua anche a livello legale. Ti chiedi se questa affermazione sia vera o se si tratta solo di una latente minaccia. Non amare più una persona è una colpa?
Non preoccuparti: se questi sono i tuoi dubbi, la legge offre una risposta a tutto, anche ai problemi di carattere sentimentale. Cercheremo, qui di seguito, di spiegarti per filo e per segno, cosa succede quando marito e moglie si lasciano perché l’affetto viene meno, anche se ciò dipende da uno solo dei due, in disaccordo con l’altro.
Dunque se ti sei detta «non amo più mio marito» e vuoi sapere quali sono le conseguenze legali di tale presa di coscienza, ecco i chiarimenti che fanno al caso tuo.
Amare è un obbligo tra marito e moglie? Le persone cambiano e, se non coltivati, i sentimenti si affievoliscono. Per quanto il matrimonio è basato sulla comunione materiale e spirituale dei coniugi, e quindi sull’esistenza di un legame affettivo, la legge non può obbligare una persona ad amare un’altra, neanche se con questa ha scelto di convolare a nozze. Per questo la legge consente di fare marcia indietro e di separarsi.
Il divorzio è stato previsto proprio per quei casi (e non solo) in cui l’amore tra i coniugi viene meno. Non è necessario, per divorziare, che vi sia il consenso di entrambe le parti. A chiedere il divorzio può essere anche uno solo dei due coniugi, in disaccordo con l’altro. E, per ottenere la sentenza dal tribunale, questi non deve per forza trovare, in un comportamento colpevole dell’altro, la giustificazione.
In buona sostanza, non c’è bisogno di dare delle prove di altrui responsabilità per chiedere la separazione e il divorzio: basta semplicemente affermare che la convivenza è diventata intollerabile. Situazione, quest’ultima, che non va dimostrata, perché il solo fatto di affermarlo in giudizio e di chiedere la separazione, è indice più che sufficiente per ritenere tale circostanza vera.
Il giudice non deve quindi entrare nel merito delle ragioni che spingono una persona a separarsi, a meno che questa non presenti una domanda di separazione “con addebito” a carico dell’altro coniuge ossia ritenga che quest’ultimo abbia commesso un comportamento gravemente colpevole e lesivo degli obblighi del matrimonio (ad esempio, l’abbandono definitivo della casa, un tradimento, le offese e le percosse, ecc.).
Smettere di amare il coniuge è un proprio diritto. La libertà di esprimere i propri sentimenti è sacra e intangibile così come la libertà sessuale. Nessuna legge e nessun giudice potranno mai costringere una donna ad amare suo marito o ad andare a letto con lui se non ne è più innamorata.
È tuttavia necessario, però, che tale situazione sia esternata prima che sia proprio tale comportamento di rifiuto a generare la crisi coniugale. In buona sostanza, è lecito dire di non amare più il proprio marito e, per ciò, voler divorziare; non è però lecito restare sposati e, nonostante ciò, rifiutarsi di avere rapporti sessuali. Secondo la giurisprudenza, infatti, rientra tra i doveri morali dei coniugi quello della congiunzione carnale
Rischi legali per chi dice al coniuge di non amarlo più. Ed allora, per la moglie che non ama più suo marito, si apre una sola strada: separarsi e poi divorziare, senza alcuna conseguenza legale, visto che non è fonte di responsabilità perdere la fiamma dell’innamoramento. Il marito non potrà chiedere l’addebito alla moglie o, tantomeno, rifiutarle l’assegno di mantenimento se questa dovesse avere un reddito più basso del suo.
L’uomo non potrà neanche chiedere il risarcimento del danno per il dolore e la depressione conseguente al distacco dalla moglie ancora amata, neanche se lei gli ha tenuto nascosto la sua decisione per diversi mesi, al fine magari di tentare un ultimo riavvicinamento. Dunque, la moglie può, anche in disaccordo con il marito, presentare un ricorso per separazione giudiziale in tribunale. Il ricorso, depositato tramite l’avvocato, andrà notificato al marito che potrà decidere o meno di partecipare alla causa, causa che comunque andrà avanti nonostante la sua assenza. Chiaramente, se i due dovessero invece trovare un accordo per la separazione, si potrebbe invece procedere più celermente con la procedura consensuale, in tribunale, in Comune (in assenza di figli minori o non autosufficienti) o con la negoziazione assistita (l’atto firmato davanti agli avvocati).
Se la moglie però tace questa sua condizione di disagio e, ciò nonostante, rifiuta i rapporti sessuali al marito, quest’ultimo potrebbe invece passare “all’attacco” e chiedere, a sua volta, la separazione, questa volta però con addebito alla moglie che, con il suo comportamento, ha decretato la fine dell’unione. Salvo quest’ultima dimostri che la crisi si era già consumata da tempo e che il suo non era altro che un comportamento riflesso.
Tutto ciò conferma ancora una volta come, anche quando finisce l’amore, la chiarezza e la sincerità pagano sempre
La Legge per tutti 10 marzo 2019
www.laleggepertutti.it/277530_non-amo-piu-mio-marito-conseguenze-legali
Non amo più mia moglie: conseguenze legali
Separazione e divorzio: scoprire di non essere più innamorati è causa di addebito? Cosa succede all’assegno di mantenimento?
Tua moglie fa la casalinga; in realtà, gran parte del suo tempo lo spende tra negozi, parrucchiere, amiche, palestre e centri estetici. Tu, al contrario, sei un instancabile lavoratore, esci la mattina presto e torni la sera. Le chiedi piccole attenzioni come il tuo piatto preferito o un massaggio. Lei puntualmente sostiene di essere sfinita, di non avere le forze per dedicarsi a te. A sentirla parlare, sembrerebbe che il suo lavoro è il più difficile del mondo: “badare alla casa, mandare avanti la famiglia sono attività che un uomo non può comprendere”. Alla fine, questo suo disinteresse ti ha portato, poco alla volta, ad allontanarti. Hai smesso di cercarla, non forzi più i discorsi per cercare di capire cosa la tiene chiusa nel suo mondo. Così, un giorno, hai guardato in faccia alla realtà e ti sei detto:non amo più mia moglie! Ma, subito dopo, ti sei chiesto a quali conseguenze legali andresti incontro se decidessi di separarti da lei. Potrebbe fartela pagare? Ti lascerebbe sul lastrico? Come ti giudicherebbe un magistrato sapendo che non sei più innamorato? Saresti tenuto, in causa, a dimostrare l’assenteismo e le distrazioni di tua moglie?
Se questo problema ti attanaglia, ecco le risposte che stai aspettando. In questo articolo ti chiariremo cosa succede quando uno dei due coniugi non ama più l’altro, quali effetti può comportare una richiesta di separazione motivata da un “capriccio” o dalla scoperta che il proprio coniuge è diverso da ciò che ci si aspettava o è semplicemente “cambiato col tempo”.
Bisogna dire al giudice perché ci si separa? L’esperienza giudiziale dimostra come il tribunale sia ormai un luogo di scontro tra gli ex coniugi che, nell’ambito del giudizio di separazione e di divorzio, cercano di rinfacciarsi a vicenda le responsabilità per il fallimento del matrimonio. Ma è davvero così necessario combattere per spiegare al giudice se è “colpa” del marito o della moglie? Certo, quando si tratta di condotte particolarmente deplorevoli – un tradimento, l’abbandono del tetto coniugale, un marito violento – la battaglia ha un suo significato sia di tipo giuridico (il colpevole non può chiedere il mantenimento), che sociale (una sorta di riscatto). Ma, a ben vedere, per potersi dire addio non c’è bisogno di spiegare al tribunale perché ci si separa. La legge dice soltanto che si può chiedere la separazione se la «convivenza è divenuta intollerabile»; ma, secondo la giurisprudenza, questo elemento non va dimostrato poiché il solo fatto di agire in tribunale è sintomatico del venir meno della volontà di continuare a stare insieme al proprio coniuge.
Atteso quindi che non è necessario presentare prove circa il venir meno dell’unione tra i coniugi, basta una semplice dichiarazione (qualcosa come «Mi voglio separare da mia moglie») per ottenere la sentenza di separazione. E ciò vale sia che l’altro coniuge condivida la scelta (in tal caso si procede con la separazione consensuale) sia che si opponga (poiché, in tale ipotesi, si avvierà un processo di separazione giudiziale ossia con un normale processo).
È chiaro però che, se non ci si accontenta della semplice separazione, ma si vuole anche che il giudice dichiari il cosiddetto “addebito” – ossia la responsabilità di uno dei due coniugi per la fine del matrimonio – bisogna portare in giudizio le prove dell’altrui colpa: la dimostrazione di una o più condotte che hanno leso irrimediabilmente l’unione (appunto un tradimento, l’abbandono, le violenze, ecc.).
Il venir meno dell’amore è causa di addebito? Ora non resta che verificare se il venir meno dell’innamoramento possa essere considerato violazione dei doveri matrimoniali e, quindi, causa di addebito. Se anche una persona abbandonata si sente “parte lesa” e vittima, a ben pensarci la legge non può imporre l’amore, così come non può imporre al coniuge di avere rapporti sessuali con chi non si ama più. L’autodeterminazione – ossia la libertà – sessuale è un principio costituzionale che mai nessuna legge, né un giudice potranno vincolare.
È vero: se si è sposati e non ci sono ragioni di crisi, il sottrarsi ai rapporti sessuali è considerato un comportamento colpevole; e questo perché tra i doveri del matrimonio ci sono anche le “coccole” (rientrano nell’obbligo di assistenza morale). Con il risultato che se la moglie si rifiuta di fare l’amore col marito può subire la separazione con addebito e perdere definitivamente l’assegno di mantenimento. Ma è anche vero che, se ci si dichiara non più innamorati per altre ragioni, è sacrosanto astenersi da qualsiasi contatto. Ed allora le porte della separazione sono spianate.
Conseguenze legali per il marito che non ama più la moglie. Non resta quindi che definire le conclusioni di questo nostro discorso e concludere rassicurando ogni marito non più innamorato della propria moglie: non sarà questa dichiarazione a mandarvi sul lastrico. E difatti, l’obbligo di versare l’assegno di mantenimento non dipende dall’accertamento dell’eventuale colpa per la fine del matrimonio (colpa che, peraltro, non sussiste a carico di chi ha perso tutto l’innamoramento). Gli alimenti scattano piuttosto perché c’è un divario economico tra i coniugi e, nel caso di specie, quando la moglie è disoccupata o percepisce un reddito che non le consente di essere autonoma.
Anche in un matrimonio senza colpe, dunque, si rischia di dover pagare il mantenimento alla moglie. Addirittura, se la situazione dovesse essere all’inverso, ossia è la moglie a volersi separare perché non ama più il marito, quest’ultimo sarebbe comunque tenuto a mantenerla se più povera di lui. Come detto, infatti, e lo ripetiamo per l’ennesima volta, perdere per strada l’amore non è causa di addebito e quindi non comporta alcuna responsabilità
La Legge per tutti 10 marzo 2019
www.laleggepertutti.it/277577_non-amo-piu-mia-moglie-conseguenze-legali
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MINORI NON ACCOMPAGNATI
I minori stranieri non accompagnati: il focus di In Pratica Famiglia
www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2017/04/21/17G00062/sg
Gli aspetti innovativi della L. n. 47/2017. Il 6 maggio 2017 entra in vigore la L. 7 aprile 2017, n. 47, recante “Disposizioni in materia di misure di protezione dei minori stranieri non accompagnati”. Il suo ambito di applicazione (art. 1) riguarda i minori stranieri non accompagnati, i quali sono titolari dei diritti in materia di protezione dei minori a parità di trattamento con i minori di cittadinanza italiana o dell’Unione europea. Secondo l’art. 2 di tale nuova disciplina per minore straniero non accompagnato presente nel territorio dello Stato si intende il minorenne non avente cittadinanza italiana o dell’Unione Europea che si trova per qualsiasi causa nel territorio dello Stato o che è altrimenti sottoposto alla giurisdizione italiana, privo di assistenza e di rappresentanza da parte dei genitori o di altri adulti per lui legalmente responsabili in base alle leggi vigenti nell’ordinamento italiano.
Gli aspetti innovativi riguardano:
- Le misure di accoglienza (modifiche alle disposizioni recate in proposito dal D.Lgs. n. 142/2015): è ridotto da 60 a 30 giorni il termine massimo di trattenimento dei minori nelle strutture di prima accoglienza;
- È stabilito un termine massimo di 10 giorni per le operazioni di identificazione, mentre attualmente non è previsto alcun termine;
- È introdotto in via generale il principio di specificità delle strutture di accoglienza riservate ai minori;
- Procedura unica di identificazione del minore, che prevede: un colloquio del minore con personale qualificato, sotto la direzione dei sevizi dell’ente locale; la richiesta di un documento anagrafico in caso di dubbio sull’età e di esami sociosanitari, con il consenso del minore e con modalità il meno invasive possibile; la presunzione della minore età nel caso in permangono dubbi sull’età anche in seguito all’accertamento;
- Istituzione del Sistema informativo nazionale dei minori stranieri non accompagnati;
- Piena estensione all’accesso ai servizi del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati – SPRAR a tutti i minori non accompagnati, a prescindere dai posti disponibili.
Le tutele e diritti riconosciuti ai minori stranieri non accompagnati:
- Disciplina del c.d. rimpatrio assistito: rimpatrio del minore finalizzato a garantire il diritto all’unità familiare dello stesso. Il provvedimento può essere adottato solo se si ritiene che il rimpatrio sia opportuno nell’interesse del minore;
- Più celere l’attivazione delle indagini familiari con nuovo criterio di preferenza dell’affidamento ai familiari rispetto al collocamento in comunità di accoglienza;
- Gli enti locali avranno il compito di sensibilizzare e formare affidatari per accogliere minori non accompagnati, in modo da favorire l’affidamento familiare in luogo del ricovero in una struttura di accoglienza;
- Istituzione, presso ogni tribunale per i minorenni, di elenchi di tutori volontari disponibili ad assumere la tutela di un minore straniero non accompagnato;
- Estesa la piena garanzia dell’assistenza sanitaria ai minori non accompagnati prevedendo la loro iscrizione al Servizio sanitario nazionale anche nelle more del rilascio del permesso di soggiorno;
- Incentivata l’adozione di specifiche misure da parte delle istituzioni scolastiche e delle istituzioni formative accreditate dalle regioni idonee a favorire l’assolvimento dell’obbligo scolastico e formativo da parte dei minori;
- Implementate le garanzie processuali e procedimentali a tutela del minore straniero, mediante la garanzia di assistenza affettiva e psicologica dei minori stranieri non accompagnati in ogni stato e grado del procedimento e il riconoscimento del diritto del minore di essere informato dell’opportunità di nominare un legale di fiducia;
- Misure speciali di protezione per specifiche categorie di minori non accompagnati, in considerazione del particolare stato di vulnerabilità in cui si trovano, come i minori non accompagnati vittime di tratta.
Con la Risoluzione del 12 settembre 2013 sulla situazione dei minori non accompagnati nell’UE (2013) il Parlamento europeo intende concentrarsi sulle criticità della situazione dei minori non accompagnati. Il testo deliberato dall’istituzione ricorda che un minore non accompagnato è innanzitutto un bambino potenzialmente a rischio, pertanto il principio guida degli Stati Membri e dell’Unione Europea deve essere orientato alla protezione dei bambini, in ossequio alla prioritaria tutela del best interest del minore, invece che focalizzarsi sulle politiche di contenimento dell’immigrazione. Altresì, il Parlamento Europea rileva che tra i minori non accompagnati, le bambine sono sottoposte a rischi maggiori. Inoltre, il Parlamento ricorda che a nessun minore può essere negato l’accesso al territorio dell’Unione e insiste sul fatto che gli Stati membri devono rispettare gli obblighi internazionali ed europei che si applicano quando un minore è sotto la loro giurisdizione, senza restrizioni arbitrarie.
Ulteriormente l’Assemblea ricorda che alle frontiere di uno Stato membro nessun bambino può essere respinto per mezzo di una procedura sommaria.
Infine, il Parlamento esorta gli Stati membri, al fine di garantire coerenza e di uniformare le norme in materia di protezione dei minori non accompagnati all’interno dell’UE, ad assicurare ai minori non accompagnati, indipendentemente dal loro status e alle stesse condizioni dei bambini cittadini del Paese ospitante i seguenti benefici essenziali per tutela di una vita dignitosa:
- Accesso a un alloggio appropriato;
- L’accesso al supporto legale e psicologico;
- Il riconoscimento del diritto all’istruzione, alla formazione professionale nonché a un sostegno socioeducativo e l’immediato accesso ad essi;
- La protezione effettiva del diritto alla salute e l’accesso a cure mediche di base;
- L’accesso all’informazione e all’utilizzo dei media per soddisfare le proprie esigenze di comunicazione;
- Il diritto al riposo e al tempo libero;
- Il diritto al gioco e alle attività ricreative;
- Il diritto alla valorizzazione e all’ulteriore sviluppo della propria identità e dei propri valori culturali, compresa la propria lingua madre;
- Il diritto di manifestare e di praticare la propria religione.
Negli anni sono diventati più puntuali anche i servizi e gli interventi messi in atto dai servizi sociali degli Enti Locali per garantire una maggiore protezione dei minori stranieri non accompagnati. Gli interventi più frequenti in materia di assistenza e protezione attivati in favore dei minori soli accolti indicati dai Comuni sono risultati: il collocamento in luogo sicuro, il colloquio, la segnalazione del minore alla Procura presso il Tribunale dei minorenni, la richiesta di apertura di tutela, la segnalazione al Comitato per i minori stranieri non accompagnati nonché la richiesta del permesso di soggiorno [Fonte: I minori stranieri non accompagnati in Italia, IV Rapporto, ANCI Cittalia, 2011].
Panoramica giurisprudenziale. Non è fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 11 e 21, L. 7 aprile 2017, n. 47, per violazione dell’art. 3 Cost., nella parte in cui prevedono, con riferimento ai minori stranieri non accompagnati, la nomina di un rappresentante del minore tratto da un elenco di tutori volontari, senza che gli oneri della tutela possano essere posti a carico dello Stato, così escludendo, di fatto, l’applicabilità di un’equa indennità come regolata dall’art. 379, comma 2, c.c., non avendo tali minori beni o denaro a disposizione, diversamente dai tutori delle persone incapaci italiane, alle quali sarebbe spettata una pensione di invalidità, su cui avrebbe potuto gravare detto beneficio, poiché il presupposto dell’indennità è costituito dall’esistenza di un patrimonio del minore (e non della mera pensione d’invalidità) e il suo riconoscimento è legato all’attività di gestione di esso, in assenza della quale al tutore, anche se di persona incapace di nazionalità italiana, non spetta alcunché, neppure per la rifusione delle spese vive sostenute, trattandosi di ufficio non corrispondente a un impiego o a una prestazione professionale, ma integrando piuttosto il suo adempimento su base volontaristica un dovere sociale di alto rango morale (Corte cost., 29 novembre 2018, n. 218).
Può accadere che molti giovani si trovino nelle condizioni di immigrati in Europa di cultura mussulmana di seconda generazione, in bilico tra la difficile integrazione sociale ed il richiamo alle proprie radici, mistificato dai divulgatori del terrorismo fondamentalista islamico. Nel caso in esame, è possibile che il minore subisca, frequentando ambienti nei quali è diffuso il fanatismo religioso, gli effetti di un indottrinamento di matrice terroristica, tuttavia, allo stato, tale rischio appare sussistente con alto grado di verosimiglianza soltanto nell’ipotesi che egli facesse nuovamente rientro in Pakistan, dove evidentemente il ragazzo è già entrato in contatto con persone che dispongono di armi e forse con ambienti fondamentalisti, mentre, invece, la sua permanenza ad Olbia non è attualmente legata ad alcuna organizzazione terroristica, egli, inoltre, nonostante le perquisizioni eseguite in passato, non è mai stato trovato in possesso di armi, né risulta alcun elemento dal quale fondatamente ritenere che la sua presenza in Italia possa favorire o agevolare attività terroristiche, non avendo egli mai assunto, ad Olbia, comportamenti che possano essere riconducibili ad un simile rischio (Tribunale per i minorenni di Sassari, 5 gennaio 2016).
Costituisce discriminazione il mancato tesseramento da parte della FIGC di un minore straniero extracomunitario in affido in quanto la ratio di evitare il traffico internazionale di minori extracomunitari – e la conseguente applicazione degli art. 19 e 19 bis del Regolamento FIFA al fine di verificare la regolarità della documentazione – non può spingersi al punto di giustificare un silenzio prolungato della federazione, avente l’effetto di escludere il minore dalla stagione calcistica (Tribunale Palermo 28 dicembre 2015). (…)
La norma di cui all’art. 32, comma 1 bis, del D.Lgs. n. 286/1998 introduce una fattispecie distinta rispetto a quella di cui all’art. 32, comma 1, estendendo il beneficio della possibilità di rimanere in Italia per lavoro o altro, una volta raggiunta la maggiore età, anche nel caso di “minori stranieri non accompagnati, purché ammessi per un periodo non inferiore a due anni in un progetto di integrazione sociale […]”, vale a dire a minori i quali, come chiarito sin dal D.P.C.M. 19 dicembre 1999, n. 535, non avendo cittadinanza italiana e non avendo presentato istanza di asilo, si trovino per qualsiasi causa nel territorio dello Stato privi di assistenza e rappresentanza da parte dei genitori o di altri adulti per loro legalmente responsabili in base alle leggi vigenti nell’ordinamento italiano (Tar Friuli-Venezia Giulia Trieste, sez. I, 21 aprile 2008, n. 253).
La conclusione a cui si deve pervenire circa l’interpretazione da dare all’art. 32, comma 1, D.Lgs. n. 286/1998 (ossia, l’applicazione anche in favore dei minori stranieri che abbiamo ottenuto l’affidamento ad un tutore appositamente nominato), non si deve ritenere smentita dall’art. 32, comma 1bis, dello stesso D.Lgs., che ha introdotto una ulteriore e distinta fattispecie in cui può essere rilasciato il permesso di soggiorno ai minori stranieri non accompagnati che versano in una diversa situazione e per i quali il legislatore ha richiesto il requisito della ammissione al progetto di integrazione sociale e civile (Cons. Stato, sez. VI, 5 aprile 2007, n. 1540).
Elena Falletti In Pratica Famiglia, 11marzo 2019
www.altalex.com/documents/biblioteca/2019/03/11/minori-stranieri-non-accompagnati
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OMOFILIA
La chiesa cattolica e i preti gay. Ma perché ci sono tanti preti omosessuali?
Vale la pena notare che il collegamento tra omosessualità e spiritualità non è affatto prerogativa del cattolicesimo. Alcuni psicologi evoluzionisti hanno trovato un antico collegamento tra i gay e lo sciamanesimo tribale.
Carl Gustav Jung ha identificato i doni archetipici della persona omosessuale: “Grande capacità di amicizia, che spesso crea dei legami di sorprendente tenerezza tra uomini”; il talento per l’insegnamento, l’estetica e la tradizione (“essere conservatori nel miglior senso della parola e amare i valori del passato”); “ricchi sentimenti religiosi, che contribuiscono a rendere reale l’ecclesia spiritualis; ricettività spirituale, che rende sensibili alla rivelazione”.
Interrogando i sacerdoti gay, ho sentito una quantità di risposte. Alcuni mi hanno parlato di come la sensazione di essere fuori posto quando erano bambini e adolescenti li abbia resi più sensibili ai bisogni degli emarginati: “Se sei una persona fuori posto, puoi aiutare chi è nella tua stessa situazione, e accoglierlo”. Uno ha detto semplicemente “Noi capiamo la sofferenza”; un altro ha parlato del senso di conforto nell’appartenenza a una comunità religiosa.
Altri ancora parlano dell’attrazione per i rituali della Chiesa: “Il cattolicesimo era diverso, io ero diverso… avevo una forte tendenza mistica” spiega un sacerdote. Il cattolicesimo è una fede che trova il suo centro nella Messa, in cui il corpo, l’anima e i sensi sono importanti tanto quanto la mente. In un certo senso, la Messa è una performance e, senza voler indulgere troppo in stereotipi, c’è qualcosa nella liturgia, nel rituale, nella musica e nella messa in scena che attrae una determinata categoria di gay. Le persone che vi appartengono (si possono trovare anche tra gli artisti e gli studiosi) sono attentissime ai dettagli, ferree per quanto riguarda le regole e innamorate della tradizione e della bellezza. Sotto molti aspetti l’antica ed elaborata Messa cantata, composta di incenso e processioni, vesti dai colori codificati, complessa sotto il profilo liturgico, precisa nelle musiche, nel coro e nell’organo, in pratica uno spettacolo teatrale, è ovviamente, almeno in parte, una creazione dei sacerdoti gay, la cui sessualità è stata sublimata in modo da diventare parte integrante ed essenziale del culto cattolico. Poi c’è l’esperienza, molto diffusa, del bambino/adolescente gay, allevato nel cattolicesimo, che si rivolge a Dio per trovare una risposta al suo essere diverso, lontano dalla norma. In questa situazione è obbligato a sviluppare meditazioni più profonde di quelle della maggior parte dei suoi coetanei, un forte spirito di osservazione e una precoce spiritualità, che difficilmente lo abbandonerà. Anch’io ero così da giovane. La prima persona con cui ho fatto coming out è stata Dio, con una preghiera silenziosa fatta mentre mi recavo a fare la Comunione. Facevo il chierichetto, sapevo bene come maneggiare un turibolo d’ottone pieno d’incenso, all’età di undici anni sapevo discutere le sottigliezze della transustanziazione e pensavo di essere vocato al sacerdozio (ma alla fine conclusi di non esserne abbastanza degno). Come molti ragazzi cattolici solitari, vedevo in Gesù un modello: single, sensibile, non faceva parte di una famiglia, era stato emarginato e perseguitato, ma alla fine aveva vinto ed era vivo nei secoli dei secoli.
Ma ci sono altre ragioni, ben poco sane, per cui molti gay scelgono il sacerdozio. La prima è il celibato. Nei secoli passati i giovani gay cattolici, se volevano evitare l’ostracismo sociale o le domande insistenti sulla loro mancanza di interesse verso le ragazze e le donne, avevano la scappatoia del sacerdozio.
(Una volta un sacerdote mi ha detto che per molto tempo la spinta più potente alla vocazione sono state quelle madri che, intuendo che uno dei loro figli era quel tipo di persona “che non si sposerà mai”, li incoraggiavano a entrare nella Chiesa per salvare il prestigio sociale della famiglia.) È un meccanismo in attività ancora oggi, anche se meno che in passato. Anche una forte mancanza di autostima, in parte dovuta all’omofobia cattolica, è un fattore che conduce al sacerdozio come mezzo per reprimere o curare in qualche modo la propria sessualità.
“Prima ancora dell’adolescenza, capiamo che quella cosa è un abominio, perciò ci rivolgiamo a ciò che insegna la Chiesa e finiamo per dire ‘Riempimi con le tue parole e diventerò te. Diventerò una personalità magisteriale’” dice un sacerdote, che chiamerò padre John.
Con “personalità magisteriale” intende una persona che incarna il Magistero, l’insegnamento ufficiale della Chiesa: “In altre parole, ho smesso di essere io. Ho il sospetto che sia proprio per questo che molte di queste persone finiscono per essere spaventosamente grigie e impersonali: a un certo punto della loro vita hanno deciso di non essere più se stesse”. Ho visto questa cosa in molti preti: incapaci di essere se stessi, divengono simulacri, simboli, e alla fine perfino caricature o maschere personificate.
Spesso questa lotta inconscia li esaurisce. Non è mai facile rinunciare ad essere se stessi. Alcuni cercano di rimediare assumendo atteggiamenti da checca stravagante, altri sprofondano nella depressione, in cui fanno capolino l’alcool e la droga: “Mio Dio, quando nel 2010 sono tornato nella Chiesa non potevo credere quanto fossero diventati oscenamente obesi quei preti. Erano così atletici da giovani” dice padre Andrew. Un altro sacerdote mi ha detto “Avevo sepolto molto in profondità [la mia omosessualità]. Poi ebbi un tracollo: fu uno di quei momenti in cui vorresti fare qualcosa con un amico. Una sera, quando me ne ero andato da qui, capii che volevo a tutti i costi avere una relazione con quell’uomo. Poi cominciai a sgonfiarmi. Non volevo essere quella persona, non volevo essere io”.
Altri, più consapevoli e cinici, sanno che si può fare carriera con tutta questa falsità. È facile capire come, fin dal XIII secolo, i gay abbiano segretamente trovato nella Chiesa, e solo nella Chiesa, una fonte di prestigio e potere. Emarginati dalla società, nella Chiesa potevano diventare consiglieri dei monarchi, perdonare i peccati degli altri, avere un reddito fisso, godere di enormi privilegi ed essere trattati sempre e ovunque con rispetto. Tutto era soppresso, nei seminari non si facevano domande e i counseling psicologici non esistevano (e anche oggi sono rari). Molti uomini feriti e spaventati diventavano preti, e cominciarono a emergere certi meccanismi.
Uno di questi, come abbiamo visto, è il mettere in atto le proprie tendenze sessuali in modo deviato. Mettere gli abusi sessuali e i sacerdoti gay nello stesso fascio, come molti oggi fanno d’impulso, è una grottesca diffamazione rivolta alla grande maggioranza di essi, che mai ha contemplato simili crimini, e che ne è anzi inorridita: sono i classici capri espiatori. Al tempo stesso, stralciare completamente la questione abusi da quella dei sacerdoti gay significa ignorare deliberatamente una spiacevole realtà. La pedofilia è una categoria separata [si tratta di una parafilia, una cosiddetta “devianza” sessuale, n.d.t.], non fa parte dell’orientamento sessuale, ma molti degli abusi di maschi minorenni e di giovani uomini, nonché di confratelli, derivano da un’omosessualità terribilmente deviata; circa un quarto dei casi noti riguarda vittime tra i 15 e i 17 anni.
L’impatto di tutto questo alla fine del XX secolo è stato straordinario, ma con il senno di poi era prevedibile. Se non vieni a patti in maniera onesta con la tua sessualità, la sessualità pretenderà il suo spazio negato. Se metti in piedi un’istituzione retta da uomini repressi e privi di amore per se stessi, e le sue fondamenta sono il segreto e la completa obbedienza ai superiori, hai praticamente creato una macchina che sfornerà disagio e abusi.
L’orrenda realtà è che non conosceremo mai l’estensione degli abusi nei secoli passati e cosa succede ancora oggi, specialmente in quelle parti del mondo, come l’Africa e l’America Latina, dove a volte è ancora tabù ficcanasare negli affari della Chiesa.
Un altro di questi meccanismi è l’omofobia interiorizzata: ciò che odi in te stesso, ma non sai affrontare, lo scruti e lo punisci negli altri. È un fatto che molti dei vescovi e cardinali più omofobi sono stati e sono gay. Il più potente cardinale americano del Novecento, l’arcivescovo di New York Francis Spellman, morto nel 1967, per anni ha avuto una vita sessuale gay molto attiva pur essendo uno dei più rigidi cani da guardia dell’ortodossia. Monsignor Tony Anatrella, un esperto di terapie riparative molto ascoltato in Vaticano, è stato recentemente sospeso per abusi sessuali su uomini. Il cardinale scozzese Keith O’Brien definì l’omosessualità “degrado morale” e il matrimonio omosessuale “pazzia”, ma fu obbligato a rassegnare le dimissioni e ad abbandonare il Paese dopo essere stato accusato di abusi sessuali su quattro sacerdoti.
Il cardinale australiano George Pell, ultraconservatore e anti-gay, è stato di recente trovato colpevole di abusi su minori. Marcial Maciel, il fondatore dei Legionari di Cristo, una setta un tempo enormemente influente, di estrema destra e anti-gay, ha sessualmente abusato di innumerevoli uomini, donne e bambini. Il leader di Church Militante, un uomo ossessionato dai preti gay, è lui stesso un “ex gay”. Ecco una buona regola: i vescovi e i cardinali ossessionati dalla questione omosessuale spesso si rivelano gay; chi è più moderato tende ad essere etero.
Benedetto XVI ha parlato di sé come di un topo di biblioteca, non molto portato per lo sport. La sua parlata carezzevole è senz’altro effeminata: lo si vedeva costantemente in compagnia del suo focoso segretario privato, padre Georg Gänswein; andava in giro parato con vesti stravaganti, come ermellini e scarpine rosse fatte su misura. È un teologo dominato dal desiderio maniacale di bacchettare qualsiasi minima deviazione dall’ortodossia, che ha definito i gay “oggettivamente disordinati” e portati verso “un intrinseco male morale”; dopo averli banditi dai seminari, li ha chiamati “una delle miserie della Chiesa”. Suggerire qualche tipo di collegamento tra tutti questi aspetti di una persona santa, celibe e sensibile vuol dire essere tacciati di fare insinuazioni disgustose, per il motivo che ancora moltissimi vescovi non riescono a considerare l’omosessualità una questione di amore e identità, ma solo di atti e di desiderio sessuale. Mettendo alla luce tutto ciò che non funziona ai vertici della Chiesa, possiamo far vedere quanto siano nudi questi imperatori ingioiellati.
C’è ovviamente un ulteriore livello di complessità nella narrazione dei sacerdoti gay: le generazioni. Chi oggi ha 70-80 anni è cresciuto in un mondo diverso, in cui il nascondiglio era automatico e solo la remota ipotesi di discutere questo tema era scandalosa. Un sacerdote mi ha descritto così quella generazione: “Erano così nascosti che sembrava vivessero a Narnia”.
Forse non sono nemmeno consapevoli di essere gay, ma si sono rintanati nella loro trincea in preda al panico di fronte al moderno riesame dell’amore omosessuale e del sesso come distinto dalla procreazione. Chi oggi ha da 50-60 anni in giù è generalmente molto più consapevole, e molto meglio accettato dalla famiglia e dagli altri cattolici. Questa differenza tra generazioni è l’origine di molti dei conflitti nelle alte sfere della Chiesa.
http://nymag.com/intelligencer/2019/01/gay-priests-catholic-church.html
Andrew Sullivan 21 gennaio 2019, tradotto da Giacomo Tessaro
www.gionata.org/ma-perche-ci-sono-tanti-preti-cattolici-omosessuali
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PEDAGOGIA
Stereotipi di genere nella prima infanzia
Una nuova ricerca pubblicata dalla Fawcett Society evidenzia le conseguenze negative che gli stereotipi hanno sulle scelte lavorative e sulle relazioni personali di donne e uomini
La Fawcett Society ha pubblicato una nuova ricerca Gli stereotipi di genere nella prima infanzia, che evidenzia l’impatto permanente degli stereotipi di genere nell’infanzia. Secondo i nuovi sondaggi il 45% delle persone ha affermato di aver sperimentato stereotipi di genere quando erano bambini. Gli stereotipi nell’infanzia hanno conseguenze negative di vasta portata sia sulle donne che sugli uomini: più della metà (51%) degli intervistati dice che tali stereotipi hanno limitato le loro scelte lavorative e hanno danneggiato le loro relazioni personali (44%).
Sette donne su dieci (18-34 anni) affermano che le loro scelte professionali sono state limitate dagli stereotipi sperimentati durante l’infanzia.
Questo riguarda anche gli uomini: il 69% sotto i 35 anni ha affermato che la stereotipizzazione di genere nei bambini ha un effetto dannoso sulla percezione di cosa significhi essere un uomo o una donna. In particolare gli uomini affermano, più delle donne, che gli stereotipi di genere sperimentati in tenera età hanno influenzato negativamente le loro relazioni.
Sam Smethers, amministratore delegato della Fawcett Society, ha dichiarato: «Gli stereotipi di genere hanno effetti negativi su tutti. Abbiamo incontrato ragazzi che non riescono a esprimere le loro emozioni, diventano aggressivi, non riescono a raggiungere buoni risultati a scuola e continuano a far parte di una cultura della mascolinità tossica che normalizza la violenza. Mentre abbiamo incontrato ragazze che hanno una bassa autostima e problemi con l’immagine del loro corpo, una ragazza su cinque (14 anni) è autolesionista. Abbiamo un mercato del lavoro fortemente segregato: tra coloro che scelgono discipline accademiche della scienza, della tecnologia, dell’ingegneria e della matematica (STEM), solo l’8% sono donne. Lo stereotipo di genere è alla base di tutto questo. Dobbiamo cogliere la sfida per cambiare questa situazione».
I dati della nuova ricerca pubblicata dalla Fawcett Society dimostrano che gli stereotipi dannosi sono ripetutamente e inconsapevolmente reiterati e insegnati in tutta la società. Ad esempio i genitori, con neonati e bambini piccoli, inavvertitamente rafforzano gli stereotipi di genere creando un “universo di genere” attraverso giocattoli, giochi, linguaggio e ambiente; gli insegnanti premiano in modo diverso il comportamento di ragazzi e ragazze, e le rappresentazioni nelle storie dei bambini sono spesso stereotipate. All’età di due anni i bambini sono consapevoli del genere e, a partire dai sei anni, i bambini associano l’intelligenza all’essere uomini e “la gentilezza” all’essere donne.
La ricerca sottolinea l’impatto dannoso che questo ha, e traccia i legami che esistono ad esempio tra gli stereotipi di genere degli adolescenti e la violenza contro donne e ragazze, o anche l’impatto diretto sul divario retributivo di genere e la scarsa adozione tra le giovani donne di discipline scientifiche, tecnologiche e matematiche.
«Gli stereotipi di genere sono dannosi – ha aggiunto Sam Smethers –, le prove sono chiare. Ma noi possiamo sfidare certi atteggiamenti, reagire al danno che gli stereotipi di genere stanno facendo a tutti noi e al prezzo che stiamo pagando per questo».
La ricerca identifica anche alcuni interventi chiave, rivolti in particolare ai bambini più piccoli, che possono scardinare alcuni stereotipi di genere e limitare i danni ravvisati poi in età avanzata. Tra questi: promuovere una letteratura per bambini che metta in discussione gli stereotipi di genere; adottare a scuola giochi, giocattoli, linguaggi che non reiterino stereotipi di genere.
In Svezia, sfidare gli stereotipi di genere è un requisito esplicito del curriculum scolastico.
Riforma.it 12 marzo 2019
https://riforma.it/it/articolo/2019/03/12/gli-stereotipi-di-genere-nella-prima-infanzia?utm_source=newsletter&utm_medium=email
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PROCREAZIONE ASSISTITA
Fecondazione: in Italia terapia ormonale ‘su misura’
Diventa “su misura” la terapia ormonale nei cicli di fecondazione assistita: il tutto grazie a un nuovo principio attivo, ora disponibile anche in Italia, in grado di stimolare la produzione di ovociti solo nella misura necessaria, abbassando così i rischi di iperstimolazione ovarica e della sindrome ad essa collegata.
“Per ogni paziente viene calcolato il dosaggio ormonale effettivamente necessario grazie ad un algoritmo specifico, che tiene in considerazione il peso corporeo e l’ormone antimulleriano (AMH) – spiega Antonio La Marca, ginecologo e docente presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università di Modena e Reggio Emilia – questo approccio personalizzato migliora la compliance e riduce l’apporto ormonale laddove non necessario”. La ricerca clinica internazionale a cui ha partecipato La Marca ha evidenziato che la maggior parte delle donne trattate con il nuovo principio attivo ha avuto una risposta ovarica adeguata, con risultati migliori rispetto alle terapie tradizionali.
Nei cicli di fecondazione assistita, la paziente è sottoposta a cure ormonali che favoriscono la produzione di ovociti per aumentare le possibilità di concepimento. Si tratta di terapie avviate con dosaggi standard, che nel corso della terapia vengono adattati in funzione della risposta individuale.
La reazione alla stimolazione ovarica, infatti, varia da donna a donna e ci possono essere risposte inattese che si ripercuotono sull’efficacia e sulla sicurezza del trattamento. Si tratta di una svolta nell’ambito della fecondazione assistita, perché per la prima volta cambia radicalmente la modalità clinica con cui si effettua la stimolazione ovarica: se nei decenni precedenti la variabile principale che guidava il medico nella prescrizione del farmaco era l’età della paziente, oggi dopo diversi studi si è capito che ci sono altre variabili che incidono di più, come ad esempio la riserva ovarica.
Due donne con la stessa età possono avere riserve ovariche totalmente diverse, e quindi la terapia deve essere basata su criteri diversi.
“Il primo vantaggio della personalizzazione della cura è sicuramente il rischio ridotto per le pazienti, in particolare di contrarre la sindrome da iper stimolazione ovarica – ha spiegato La Marca – che in passato aveva un’incidenza del 4% mentre oggi questa complicanza può essere quasi del tutto evitata”.
“Un altro importante vantaggio – ha concluso La Marca – è la maggiore possibilità di ricevere transfert a fresco, ovvero un transfert di embrioni a pochi giorni dal pick up (il metodo per prelevare gli ovociti da dentro i follicoli, in modo da poterli poi fecondare in vitro).
Infine, con la nuova tecnica, c’è anche un minor consumo globale del farmaco e quindi una spesa sanitaria ridotta”.
AdnKronos Salute 12 marzo 2019
www.lasaluteinpillole.it/salute.asp?id=51074
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RICONCILIAZIONE
Riconciliazione tra coniugi separati
Ti sei separata dopo qualche anno di matrimonio. Di recente però il tuo ex marito è venuto a trovarti per sapere come stavi. Ti ha detto che gli manchi e vi siete baciati. Siete finiti a letto in pochi minuti. Lo stesso episodio si è verificato più volte nelle ultime settimane. Ora ti chiedi quali riflessi possa avere una situazione del genere sul procedimento di divorzio che avevate intenzione di avviare a breve. Lui sostiene che una rappacificazione – anche avvenuta tacitamente, tramite rapporti sessuali – comporta il venir meno della separazione e quindi anche la cessazione dell’obbligo del versamento dell’assegno di mantenimento. Ti senti molto confusa: se, infatti, da un lato il sentimento verso di lui è sempre forte, dall’altro lato vuoi comunque tutelare i tuoi diritti e non restare fregata una seconda volta. Insomma, che succede in caso di rapporti sessuali con l’ex dopo la separazione? Cos’è e come funziona la riconciliazione tra coniugi? La questione è oggetto di una apposita disciplina da parte del Codice civile, spesso spiegata e interpretata dalla Cassazione.
Cos’è la riconciliazione. Al divorzio si arriva sempre tramite un gradino intermedio: la separazione. Si tratta di due procedimenti distinti, anche se sostanzialmente identici nella forma. La separazione inizia a “rompere” alcuni doveri tra i coniugi, come quello di fedeltà e di coabitazione. Invece il divorzio interrompe definitivamente il matrimonio. Si può divorziare solo se sono trascorsi almeno 6 mesi dalla separazione (se avvenuta consensualmente) o 1 anno (se avvenuta giudizialmente). Questo periodo di mezzo serve come pausa di riflessione, per consentire ai coniugi di valutare tutte le conseguenze dell’addio. Ecco perché la separazione può sempre essere “revocata”, non invece il divorzio.
Ma come si cancellano gli effetti della separazione? Come si torna indietro? Con la riconciliazione. La riconciliazione consiste quindi nella cessazione dello stato di crisi matrimoniale, che può essere evidenziata o con un accordo espresso tra marito e moglie o con semplici comportamenti concludenti. In altri termini la coppia si può riconciliare anche ponendo delle attività incompatibili con la volontà di divorziare. Questi comportamenti sono costituiti, ad esempio, dal ripristino dei rapporti sessuali o dal ritorno alla convivenza sotto lo stesso tetto (se non dettata da ragioni di opportunità o di ospitalità come nel caso in cui uno dei due non abbia dove andare a dormire).
Quando avviene la riconciliazione? La riconciliazione può intervenire in qualsiasi momento: sia durante la causa di separazione che dopo la pubblicazione della sentenza di separazione. Non può però intervenire dopo la sentenza di divorzio. Se questa è già stata emessa, l’unico modo per tornare indietro e risposarsi.
Se la riconciliazione avviene nel corso della causa di separazione, tale circostanza viene messa a verbale e il giudice ne dà atto. In alternativa, le parti possono evitare di presentarsi alla successiva udienza e il giudizio si estingue. La seconda soluzione è più economica: nel primo caso, infatti, viene emessa la sentenza che accerta la riconciliazione sulla quale è necessario versare l’imposta di registro; nel secondo caso, invece, la cancellazione della causa dal ruolo non implica alcun esborso economico.
La riconciliazione dopo la sentenza di separazione è automatica: non richiede cioè l’intervento del giudice. Quindi non c’è bisogno di andare in tribunale per far revocare la sentenza di separazione; la separazione cessa già con i rapporti sessuali tra i coniugi.
Come avviene la riconciliazione. Come detto la riconciliazione può avvenire in due modi:
a) tacitamente, tenendo un comportamento non equivoco incompatibile con lo stato di separazione;
b) espressamente: dichiarando in un accordo scritto di volere riprendere la normale vita matrimoniale e ripristinarne tutti i doveri.
È comunque necessaria una dichiarazione scritta per poter attuare la pubblicità della riconciliazione. Difatti, per annullare la separazione e poter opporre la riconciliazione opponibile ai terzi è necessario prestare una dichiarazione davanti all’ufficiale di Stato civile, presso il Comune dove fu celebrato il matrimonio o presso il Comune dove il matrimonio fu trascritto.
- L’ufficiale di Stato civile iscrive la dichiarazione negli archivi dello Stato civile e la annota a margine dell’atto di matrimonio.
- La dichiarazione espressa ha efficacia autonoma rispetto al comportamento delle parti. In altri termini, la riconciliazione avviene già con la ripresa dei rapporti tra coniugi mentre la dichiarazione all’ufficio del Comune è una semplice formalità.
Quando si ha riconciliazione?
Affinché si possa parlare di riconciliazione non bastano pochi e sporadici rapporti sessuali tra gli ex coniugi, né la breve ripresa della convivenza [Cass. 5 febbraio 2016 n. 2360, Cass. 17 settembre 2014 n. 19535, Cass. 1o agosto 2008 n. 21001].
Se i coniugi hanno avuto per poco la stessa residenza manca la prova che vi sia stata una vera e propria riconciliazione fra le parti, che si configura soltanto quando la coppia torna a vivere come marito e moglie. Non basta la ripresa della convivenza in via sperimentale né, ad esempio, che l’uomo dia alla moglie del denaro o che i due vivano nella casa del primo in camere da letto diverse: si tratta di circostanze che di per sé non dimostrano il ripristino della famiglia.
Ai fini della riconciliazione, perché lo stato di separazione possa ritenersi interrotto è necessario, secondo l’opinione prevalente, ricostituire l’unione coniugale e all’accordo deve conseguire il ripristino di fatto della vita familiare [Cass. 14 febbraio 2000 n. 1227].
Per accertare l’avvenuta riconciliazione i coniugi devono avere tenuto un comportamento non equivoco incompatibile con lo stato di separazione. Si deve dare rilievo alla concretezza degli atti, dei gesti e dei comportamenti dei coniugi, valutati nella loro effettiva capacità di dimostrare la loro disponibilità a riprendere la convivenza e a costituire una rinnovata comunione. Rilevano quindi i comportamenti oggettivi e non i dati psicologici, difficili da provare in quanto appartenenti alla sfera intima dei sentimenti.
Secondo la Cassazione, neanche la nascita di un nuovo figlio durante la separazione è sufficiente a far parlare di riconciliazione, potendo questa dipendere da un singolo e occasionale rapporto sessuale [Cass. 16 ottobre 2003 n. 15481].
Non sono infine sufficienti comportamenti quali: visite giornaliere al coniuge separato bisognoso di cure [Cass. 26 novembre 1993 n. 11722].
Quali effetti ha la riconciliazione? La riconciliazione, facendo venir meno la separazione, determina anche la cessazione dell’obbligo di versare l’assegno di mantenimento. Inoltre si azzera il termine per chiedere il divorzio. Significa che, se la coppia ha tentato di riconciliarsi e non c’è riuscita, i 6 mesi o l’anno necessario per chiedere il divorzio decorre non già dalla sentenza di separazione ma dall’ultimo momento in cui c’è stata la riconciliazione (quindi da quando i due hanno cessato di vivere di nuovo insieme).
La prova della riconciliazione. La riconciliazione viene utilizzata anche come arma per contrastare la richiesta di divorzio presentata dall’ex coniuge. Tuttavia spetta al coniuge che vuole provare la riconciliazione cercare di dimostrare che si sono verificati fatti quali l’aver ripreso la convivenza, l’avere ripreso i rapporti sessuali, lo svolgimento in comune di una vita sociale, frequentando parenti ed amici o trascorrendo le vacanze insieme (se ciò non avviene solo per il bene dei figli).
La legge per tutti 6 marzo 2019
www.laleggepertutti.it/277243_riconciliazione-tra-ex-coniugi
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SALUTE
Farmaco gender, servono chiarezza e misericordia
L’acceso dibattito dopo il via libera dell’Aifa alla prescrivibilità della «triptorelina» (controllata e in casi estremi) [per l’impiego in casi selezionati in cui la pubertà sia incongruente con l’identità di genere (disforia di genere), con diagnosi confermata da un’equipe multidisciplinare e specialistica e in cui l’assistenza psicologica, psicoterapeutica e psichiatrica non sia risolutiva].
www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2019/03/02/19A01426/SG
Quali aspetti morali vanno valutati nella sofferenza della transessualità? Il ‘cambio di sesso’ è eticamente accettabile? Prescrivere un farmaco che blocca lo sviluppo puberale di un adolescente in vista anche, ma non obbligatoriamente, della ‘riassegnazione chirurgica’ degli organi sessuali è sempre scelta deprecabile o può, in alcune, rarissime circostanze, essere considerato opzione corretta, non solo dal punto di vista terapeutico ma anche antropologico?
Questioni complesse, delicate e controverse che sarebbe assurdo pensare di definire con una norma valida per tutte le circostanze. Il dibattito acceso dal ‘via libera’ deciso dall’Aifa, per quanto riguarda la prescrivibilità della triptorelina nei casi di disforia di genere, [disturbo dell’identità di genere – DIG)] ha scatenato una ridda di osservazioni e di commenti – a proposito e a sproposito – che hanno finito per far passare in secondo piano l’autentico snodo della questione (ieri è stato annunciato l’avvio di un’indagine conoscitiva della Commissione Sanità del Senato). Ma per evitare di trasformare in una contesa da stadio una questione umana, morale e scientifica tanto difficile, perché fonte di profonda sofferenza ma anche di strumentalizzazioni ideologiche per chi ne è coinvolto, occorre infatti tenere presente che siamo di fronte a un problema di frontiera.
Nessuno, né scienziati, né bioeticisti né teologi morali, ha su questo argomento, la verità in tasca. Forse, dal punto di vista etico, stiamo percorrendo una di quelle periferie a cui ha fatto cenno papa Francesco quando, al n.3 di Amoris lætitia, ha scritto: «Non tutte le discussioni dottrinali, morali o pastorali devono essere risolte con interventi del magistero». Invece si è arrivati a dire che il Vaticano avrebbe concesso il suo nihil obstat per quanto riguarda l’utilizzo del cosiddetto ‘farmaco gender’ semplicemente perché Laura Pallanzani, vicepresidente del Comitato nazionale di bioetica e membro della Pontificia Accademia per la Vita, in un’intervista all’agenzia ‘Vatican News‘, si è limitata a ricordare che il documento del Cnb– Comitato nazionale per la bioetica ha espresso parere favorevole all’utilizzo della triptorelina ma «solo in casi molto circoscritti, con prudenza, con una valutazione caso per caso». E così infatti è andata, al di là delle diverse opinioni sull’opportunità dei contenuti del documento del Cnb.
http://bioetica.governo.it/it/documenti/pareri-e-risposte/in-merito-alla-richiesta-di-aifa-sulla-eticita-dell-uso-del-farmaco-triptorelina-per-il-trattamento-di-adolescenti-con-disforia-di-genere-dg
Naturalmente la Santa Sede non ha espresso in questa occasione alcuna osservazione né positiva né negativa, così come il magistero – è bene dirlo subito – non ha mai definito la liceità morale della ‘riassegnazione chirurgica’. Probabilmente perché la complessità di questo tema, che investe aspetti anatomici, psichici, comportamentali, insieme a precise coordinate socio-culturali, impone di riflettere in modo sereno, guardando in faccia la realtà per quella che è, evitando soprattutto la pretesa legalistica del ‘si può’, ‘non si può’.
La prima domanda non può che riguardare la natura del problema. La disforia di genere esiste davvero? Ci sono adolescenti che manifestano realmente un disagio anche grave nei confronti del proprio sesso biologico? E questo disturbo, cioè il fatto di sentirsi ‘come in gabbia’ nella propria identità maschile o femminile, con il desiderio insopprimibile di ‘sentirsi altro’, suscita in alcuni casi avversione così profonda da scatenare disperazione, tentativi di suicidio, automutilazioni? Gli esperti, a parte qualche caso negazionista dettato da pregiudizi ideologici, sono concordi. Il disturbo, per fortuna raro – un caso su novemila persone – esiste. Non si sa bene quali siano le origini, forse soprattutto organiche, forse soprattutto socio-psicologiche, masi tratta di una patologia reale, che va affrontata in modo serio con approccio scientifico, vicinanza umana, comprensione, senza demonizzare nessuno. Ma come? L’accompagnamento psicologico e poi negli anni successivi la psicoterapia, offre nella maggior parte dei casi un aiuto decisivo.
Circa l’80% dei preadolescenti che manifesta disturbi per quanto riguarda l’identità di genere, riesce naturalmente a risolvere il problema, ma per quei due ragazzi, o ragazze, su dieci che non hanno avuto alcun beneficio dall’accompagnamento psicologico, che vivono la loro condizione con una sofferenza profonda, che hanno manifestato l’intenzione di rinunciare a vivere, e magari hanno anche già tentato il suicidio, come intervenire? Pensare alla chirurgia per salvare una vita è ipotesi così eticamente inaccettabile?
In queste condizioni, solo in casi valutati con attenzione da un’équipe multidisciplinare, alcuni specialisti non escludono il ricorso alla triptorelina. Quali sarebbero i vantaggi? Il farmaco, che ricordiamo è un antitumorale, bloccando lo sviluppo puberale, permetterebbe una rivalutazione più serena del problema in anni successivi, stemperando l’urgenza di una decisione affrettata e permettendo all’adolescente di avvertire in modo meno traumatico gli effetti di quella crescita puberale del proprio sesso biologico causa di tanta sofferenza. L’esito di questo percorso, spiegano gli specialisti, non è obbligatoriamente l’intervento chirurgico. Può essere che, al termine dell’adolescenza, il problema vada stemperandosi. Può capitare che gli effetti dell’accompagnamento psicologico, che non va mai interrotto, abbiano finalmente un riscontro positivo.
www.quotidianosanita.it/scienza-e-farmaci/articolo.php?articolo_id=60243
Non tutti, certo, sono d’accordo, come più volte spiegato su queste pagine. Abbiamo più volte messo in luce le pesanti riserve espresse al proposito da Scienza & Vita e dal Centro studi Rosario Livatino. Riguardano l’assenza di studi scientifici, il rischio che il blocco della pubertà possa compromettere la definizione morfologica e funzionale di quelle parti del cervello che contribuiscono alla strutturazione dell’identità sessuale, insieme a fattori ambientali ed educativi. Rimane sullo sfondo la questione della reversibilità. Cosa succede quando un adolescente affetto da disforia e sottoposto al trattamento con triptorelina interrompe la somministrazione?
Anche qui le opinioni sono inconciliabili. I presidenti della Società italiana di endocrinologia, Paolo Vitti, della Società italiana di andrologia e medicina della sessualità, Giovanni Corona, della Società italiana di endocrinologia e diabetologia pediatrica, Stefano Cianfarani e dell’Osservatorio nazionale sull’identità di genere, Paolo Valerio, hanno riconosciuto, in una nota congiunta, il valore medico ed etico dell’estensione della prescrivibilità della triptorelina da parte dell’Aifa. Sono valutazioni scientifiche da parte di medici che operano in quel settore e che non si possono facilmente liquidare. Di parere totalmente opposto la Società italiana di adolescentologia che si è detta del tutto contraria perché la triptorelina avrebbe «gravi effetti avversi per la salute ben documentati in letteratura, tra cui anche l’induzione di psicosi. La prescrizione ‘terapeutica’ di un farmaco per un disturbo di orientamento sessuale – spiegano in una nota gli esperti di adolescenza – è pertanto assolutamente errata, in quanto un disturbo di natura psicologica, non malattia, richiede conseguentemente un trattamento esclusivamente psicologico».
Ma se alla fine di tutto questo dibattito rimane l’eventualità di tentare comunque il cosiddetto ‘cambio di sesso’ non si può aggirare anche una valutazione morale. E qui entriamo in un ginepraio di ipotesi. Secondo alcuni autori l’intervento potrebbe essere legittimato dal principio di totalità, secondo il quale una parte del nostro organismo, anche se sana, potrebbe essere sacrificata quando lo esigono con certezza e senza alternative, la salute e il benessere della persona nel suo insieme. Altri bioeticisti hanno contestato questa posizione, sottolineando come la riassegnazione chirurgica non offra vantaggi sostanziali alla risoluzione della disforia. E quindi sarebbe sbagliato appellarsi al principio di totalità. Più recentemente alcuni teologi morali, tra i pochissimi che hanno studiato davvero il mondo della transessualità, hanno però fatto notare che, se l’intervento chirurgico rimane l’unico modo per liberare la persona dalla sua angoscia distruttiva, non può essere eticamente escluso per il bene della persona, perché dettato dallo stato di necessità. E, anche se non si trattasse di una terapia specifica, potrebbe comunque essere intesa come palliativa, in grado comunque di attenuare i sintomi di una situazione comunque insostenibile.
Rimangono – è bene ribadirlo – valutazioni autorevoli ma personali, non magistero. Osservazioni che vanno valutate mettendo comunque da parte qualsiasi uso strumentale o ideologico di un farmaco, anche dal punto di vista simbolico, tanto dirompente. Ma soprattutto non bisogna mai dimenticare che siamo di fronte a persone afflitte da una sofferenza che può essere distruttiva e che l’obiettivo di prendersene cura, con tutte le risorse a disposizione per alleviarne la disperazione angosciante, rimane in una prospettiva di umanità, di misericordia e di verità. E questa dev’essere la prima, reale preoccupazione.
Luciano Moia “Avvenire” 13 marzo 2019
www.avvenire.it/opinioni/pagine/farmaco-gender-servono-chiarezza-e-misericordia
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SEPARAZIONE
Tradimento: quando spetta il risarcimento?
Corte di cassazione, terza sezione civile, ordinanza n. 6598, 7 marzo 2019
www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_33845_1.pdf
Il tradimento da parte del coniuge rappresenta, senza dubbio, un evento idoneo a creare turbamento nel ” Il tradito” e dal quale spesso discende la disgregazione del rapporto familiare. Tuttavia, dalla relazione extraconiugale intrattenuta dal coniuge non scatta automaticamente il risarcimento del danno, essendo necessario che l’afflizione superi la soglia della tollerabilità e che il tradimento, per le sue modalità o per la gravità dello sconvolgimento provocate nell’altro coniuge, si traduca nella violazione di un diritto costituzionalmente protetto.
Lo ha ribadito la Corte di Cassazione, pronunciandosi sulla vicenda di un uomo che aveva convenuto in giudizio la moglie dalla quale si era separato.
Ai giudici, l’istante aveva chiesto un risarcimento per il danno morale e alla salute subito a causa della relazione extraconiugale intrattenuta dalla ex con un collega di lavoro, iniziata circa quattro mesi prima del concepimento del loro figlio e protrattasi per quattro anni.
Una scoperta che l’uomo rivela avergli provocato un disturbo depressivo cronico, al punto da aver anche chiesto il test di paternità del bambino. La sua domanda, tuttavia, viene giudicata inammissibile e si risolve addirittura con una condanna a carico dell’uomo per lite temeraria.
Nonostante il ricorrente continui a sostenere che la violazione del dovere di fedeltà, perpetrata dalla moglie nei suoi confronti, abbia integrato la violazione di un diritto costituzionalmente protetto e sia da considerarsi pertanto fonte di un danno risarcibile, anche la Cassazione respinge la sua decisione.
Violazione dei doveri derivanti dal matrimonio. Gli Ermellini premettono che la violazione dei doveri che derivano ai coniugi dal matrimonio, ove cagioni la lesione di diritti costituzionalmente protetti, può integrare gli estremi dell’illecito civile e dare luogo a un’autonoma azione volta al risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi dell’art. 2059 c.c., senza che la mancanza di pronuncia di addebito in sede di separazione sia a questa preclusiva (Cass. n. 18853/2011).
Tuttavia, come puntualizzato dalla giurisprudenza (da ultimo Cass. n. 4470/2018), i danni alla persona, come danni conseguenza, devono essere specificamente allegati e provati, anche a mezzo di presunzioni.
I doveri discendenti dal matrimonio, spiega la Corte, non costituiscono automaticamente, in capo a ciascun coniuge e nei confronti dell’altro coniuge, altrettanti diritti, costituzionalmente protetti, la cui violazione è di per sé fonte di responsabilità aquiliana per il contravventore.
Una loro violazione potrà rilevare, oltre che in ambito familiare, come presupposto di fatto della responsabilità aquiliana se ne discende la violazione di diritti costituzionalmente protetti, che si elevi oltre la soglia della tollerabilità e possa essere in tal modo fonte di danno non patrimoniale.
Tradimento: niente risarcimento se non è violato un diritto costituzionalmente protetto. La mera violazione dei doveri matrimoniali, dunque, non integra di per sé ed automaticamente una responsabilità risarcitoria, dovendo, in particolare quanto ai danni non patrimoniali, riscontrarsi la concomitante esistenza di tutti i presupposti ai quali l’art. 2059 c.c. riconnette detta responsabilità, secondo i principi affermati dalle Sezioni Unite (cfr. sent. n. 26972/2008), la quale ha ricondotto sotto la categoria e la disciplina dei danni non patrimoniali tutti i danni risarcibili non aventi contenuto economico.
Sebbene dalla violazione del dovere di fedeltà possa indubbiamente derivare un dispiacere per l’altro coniuge e discendere la disgregazione del nucleo familiare, questo non sarà automaticamente risarcibile, ma solo quando l’afflizione superi la soglia della tollerabilità e si traduca, per le sue modalità o per la gravità dello sconvolgimento che provoca nell’altro coniuge, nella violazione di un diritto costituzionalmente protetto, primi tra tutti quelli alla salute, alla dignità personale e all’onore.
Nel caso di specie, correttamente la Corte d’Appello ha escluso che la violazione del dovere di fedeltà fosse stata causa della separazione, poiché la moglie aveva svelato il tradimento al marito quando la coppia era già legalmente separata da alcuni mesi e nel contesto di una conversazione privata.
Ancora, il giudice ha quo ha escluso anche che il tradimento perpetrato dalla donna, per le sue modalità, avesse potuto recare un apprezzabile pregiudizio all’onore e alla dignità del coniuge, in quanto non noto neppure nell’ambiente circostante di lavoro e comunque non posto in essere con modalità tali da ledere la dignità della persona.
Lucia Izzo Studio Cataldi 11 marzo 2019
www.studiocataldi.it/articoli/33845-tradimento-quando-spetta-il-risarcimento.asp
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UNIONE CONSULTORI ITALIANI PREMATRIMONIALE E MATRIMONIALI
La gestione del conflitto. L’esperienza del conflitto all’interno della famiglia
Il termine ‘conflitto’ è spesso utilizzato come ‘contenitore’ generale di diversi significati e a questo termine si possono ricondurre diversi altri termini: litigio, discussione, dissidio, contrapposizione, divergenza, scontro, guerra, violenza, bullismo, aggressività, contrasto, tensione. Presenta quindi un range di significati diversi.
Il conflitto si riferisce ad una situazione nella quale si presentano bisogni, concezioni, interessi, in contrasto tra loro. Può trattarsi di un conflitto interiore alla persona, o tra persone, o tra gruppi o tra popoli e culture diverse. Il conflitto può portare a forme varie di violenza, sopraffazione, aggressività. Esso, inoltre può essere latente o manifesto, permanente o momentaneo, conscio o inconscio.
I conflitti sono accompagnati, di norma, da sentimenti/emozioni diversi: paura, rabbia, senso di frustrazione, sfiducia, delusione, dolore, risentimento, ansia. Quando questi sentimenti sono intensi e per così dire occupano tutta la scena psichica del soggetto, allora diventa più difficile gestire il conflitto stesso: in questi casi è necessario ristabilire un certo equilibrio tra ragione e sentimento per poter procedere ad una adeguata gestione del conflitto.
Per un’interpretazione corretta del conflitto nelle relazioni interpersonali. Può essere utile richiamare alcune brevi considerazioni per ‘guardare’ al conflitto nel modo più corretto e adeguato.
- Il conflitto è un’esperienza normale all’interno delle varie forme di convivenza umana, come ad esempio la famiglia. Già Ovidio ricordava che “l’amore non dura se si toglie ogni conflitto” (l’equivalente di un noto proverbio: “l’amore non è bello se non è litigarello”). Si tratta di per sé di un’esperienza che non è in sé né buona né cattiva: non è quindi necessario sentirsi in colpa per il semplice fatto che ci si trova implicati in una situazione di conflitto. Positive o negative sono semmai le modalità con cui si affronta l’esperienza del conflitto.
- Il problema non è allora cercare di evitare i conflitti (dato e non concesso che ciò sia sempre possibile), quanto piuttosto imparare a gestirli in modo corretto e costruttivo (è preferibile parlare di ‘gestione’ anziché di superamento del conflitto). In generale, ciascuno di noi ha un suo stile più o meno abituale di gestire i conflitti. Oltre che dal quadro generale di personalità, le modalità adottate possono dipendere da diversi fattori:
- L’atteggiamento generale di sicurezza o insicurezza della persona;
- L’atteggiamento generale di fiducia o sfiducia circa la possibilità di gestire correttamente il conflitto;
- L’atteggiamento generale di assertività o al contrario di soccombenza e di aggressività;
- La capacità di tolleranza della frustrazione;
- Il ricorso a modalità comunicative più o meno adeguate;
- La capacità introspettiva (alla base di una buona gestione dei conflitti sta la capacità di distinguere e riconoscere le emozioni) e di conseguenza la capacità di esprimere i propri vissuti;
- La (relativa) assenza di stereotipi.
- Se si vuole comprendere meglio le cause di possibili conflitti tra coniugi, è opportuno tenere presente che donne e uomini ‘parlano’ due lingue diverse, hanno due modi diversi di pensare e di guardare alla realtà e di vivere le relazioni interpersonali. Si comportano in modo diverso per quanto riguarda, ad esempio: il dare e ricevere aiuto; la reazione ai problemi; i sentimenti e i segreti; l’attenzione al dettaglio; le modalità dell’ascolto; lo scopo della conversazione; i ‘sistemi di allarme’ che li avvertono di una minaccia alla reciproca relazione.
- E’ molto utile, soprattutto in vista della prevenzione di certi conflitti, aiutare coloro che intendono vivere un’esperienza di coppia ad avere una visione realistica del matrimonio, per evitare aspettative irrealistiche e accettare più facilmente determinati aspetti ed esperienze della vita matrimoniale che magari si pensava non dovrebbero capitare in un matrimonio che funziona bene. I modelli offerti dai mass media, la cultura segnata da un accentuato individualismo ed edonismo spesso confondono l’innamoramento con l’amore autentico. Il paradosso dell’amore è che due infiniti bisogni di essere amati si incontrano con due limitate capacità di amare. E’ stato scritto che l’amore è dapprima illusione, poi delusione, poi dedizione. Ogni suo momento è necessario, è un passo che procede. E’ impossibile in un tempo vedere il successivo, ma solo rivivere i precedenti. Si passa dal primo al secondo per opera degli anni, il peso delle cose, i limiti e gli errori delle persone. Si passa dal secondo al terzo per un cammino di saggezza e per un supplemento spirituale profondo di misericordia e di pazienza, che libera dalla preoccupazione di sé e dà la precedenza all’altro. Solo al termine del cammino l’amore è maturo, libero, indipendente, creativo. Nel primo tempo si vive la felicità di avere, nel secondo il dolore di perdere, nel terzo la gioia di dare. Sempre se non si abbandona il cammino (E. Eriksson). “L’amore è un sentimento da imparare” (W. Trobisch).
- Tenendo presente quanto richiamato precedentemente a proposito dei sentimenti che si accompagnano normalmente all’esperienza del conflitto, è molto importante ricordare qual è l’origine dei sentimenti. Questi non nascono dalla realtà, dalle situazioni concrete, ma da come ciascuno di noi ‘legge’ e ‘interpreta’ le singole situazioni. Ciò dipende da diversi fattori, come ad esempio: concetto di sé, pregiudizi, esperienze pregresse. Già il filosofo greco Epitteto (nato nel 50 d.C.) ricordava che “gli uomini sono agitati e turbati, non dalle cose, ma dalle opinioni che essi hanno delle cose” E ancora: “Pensa che la tua propria immaginazione è quella che ti sprona all’ira, e non altri”. Collegato a questo richiamo ve n’è un altro pure importante: faccio riferimento alla necessità di saper distinguere verità e sincerità. Spesso, in situazioni di conflitto, si è portati a ritenere come dato oggettivo (verità) ciò che invece noi pensiamo e diciamo (sincerità). Essere sinceri non significa senz’altro essere anche veri.
Conflitto e aggressività. Un problema particolare legato spesso all’esperienza del conflitto è rappresentato dall’aggressività. Possono essere utili alcune considerazioni al riguardo.
- L’aggressività di norma ferisce l’altro, non vi è immedesimazione in lui;
- Stress, tensioni e disagi provocano più facilmente animosità e violenza, per cui è bene cercare di ridurre stress e tensioni; frequenti sentimenti aggressivi sono connessi a un indebolimento della salute psichica (ad esempio: benessere limitato, minore stima e fiducia in sé, paure, malumori e depressioni, disturbi psicosomatici). Al contrario, invece, tutti gli sforzi compiuti per favorire la nostra salute psichica, la stima e la fiducia in noi stessi e per imparare un comportamento sociale adeguato riducono la tendenza a reagire aggressivamente;
- L’accettazione della realtà e il saper rinunciare a ciò che io non posso avere, a ciò che mi è negato, impediscono in me il sorgere di animosità e indignazione;
- È utile ammettere a noi stessi i propri sentimenti aggressivi senza sentirsi subito in colpa, accettarli come dati di fatto e far luce su di essi. In questo processo di chiarimento ci si può chiedere: ‘Che cos’è che mi ferisce o mi minaccia?’ ‘Da che cosa dipendono i miei sentimenti?’, ‘Che c’entra lui in questo?’, ‘In che consistono le mie difficoltà?’. In questo modo è più facile che i sentimenti che provocano aggressività si rendano accessibili alla nostra coscienza e si diventa consapevoli che spesso i sentimenti e le valutazioni che hanno generato l’animosità si chiamano: delusione, perplessità, incapacità di cambiare l’altro, desiderio di riconoscimento e di affetto. Sovente è più difficile accettare questa verità che essere aggressivi e attraverso questa analisi segreta su me stesso constato che sono io stesso la causa dei miei sentimenti e non gli altri, sono io stesso a ferirmi, non gli altri;
- È pure importante percepire e manifestare quanto più presto è possibile i propri sentimenti che hanno a che fare con l’aggressività e la collera, senza fare valutazioni;
- È possibile contribuire a ridurre l’aggressività altrui se: riusciamo ad essere sufficientemente calmi e rilassati; evitiamo di riferire alla nostra persona i sentimenti ostili provati da altre persone e li consideriamo, invece, come sentimenti loro; vigiliamo che altri non vengano messi, senza necessità, in situazioni in cui si sentano minacciati e provocati, così che non siano portati a reagire aggressivamente;
- Soprattutto, infine, siamo consapevoli che l’aggressività è molto spesso figlia della paura, è una forma di difesa dietro cui si celano spesso un senso di inferiorità, insicurezza, invidia, richiesta di attenzione e di affetto.
Spunti operativi per la gestione dei conflitti in famiglia. Coloro che vogliono essere disponibili per aiutare le persone a gestire correttamente i conflitti possono riuscire di reale aiuto nella misura in cui sono presenti alcune condizioni. Ad esempio: un’adeguata preparazione professionale per quanto riguarda i vari problemi che riguardano la vita familiare e, in particolare, il rapporto di coppia; una chiara visione dei valori importanti per creare e mantenere relazioni interpersonali mature e soddisfacenti (i cristiani includono, tra questi valori, anche quello del perdono…); una ‘funzionalità psichica’ sufficiente normale (o ‘passabile’) così da non essere troppo condizionati da processi e meccanismi inconsci (ad esempio alleanze inconsce con una delle parti in causa); buone capacità comunicative.
In secondo luogo, è ovvio che le indicazioni da suggerire per aiutare, ad esempio, una coppia a gestire i conflitti sono diverse a seconda che ci si ponga nella prospettiva di prevenire i conflitti e quindi di attrezzare previamente le persone per affrontare in futuro situazioni difficili, oppure nella prospettiva di chi deve proporre interventi concreti ad una coppia che si trova a dover gestire un conflitto in atto (magari da diverso tempo).
Vale anche in questo caso il richiamo di Ovidio che suggeriva di prepararsi e “opporsi agli inizi; tardi viene procurata la medicina quando i mali, per i troppi indugi, hanno acquistato vigore”.
Fatte queste premesse, ecco qualche spunto concreto per aiutare le persone (una coppia) a gestire correttamente i conflitti:
- Aspettare il momento giusto, lasciando decantare forti emozioni negative, cercando in un certo senso di ‘distanziarsi’ dalla situazione stessa per poterla vedere con maggiore obiettività.
- Cercare l’interesse comune piuttosto che la vittoria ad ogni costo, superando la forma del muro contro muro, sapendo uscire dalla logica delle posizioni per entrare in quella dei vantaggi reciproci (D. Novara).
- Distinguere la persona dai suoi comportamenti (ad esempio, anziché dire: ‘io sono infastidita da te’, meglio dire: ‘io sono infastidita da questo tuo comportamento). Evitare ogni forma di giudizio della persona e di colpevolizzazione generalizzante. Cercare quindi di oggettivare per quanto è possibile la situazione che per me è fonte di conflitto, precisando cosa, quando, come, dove si verifica ciò che a me crea problema.
- Fare attenzione a: non cercar il colpevole; non imporre la soluzione; creare le condizioni affinché ciascuna parte in conflitto possa esporre la propria versione, limitandosi il più possibile a descrivere i dati oggettivi e i sentimenti provati; rendere il più possibile chiara la comunicazione tra le parti attraverso brevi sintesi, domande di chiarimento, feedback; favorire per quanto possibile l’accordo che nasce dalle due parti in conflitto.
- Proporre esempi concreti che aiutino le persone ad esercitarsi in alcune abilità comunicative fondamentali, quali:
- l’ascolto empatico;
- la comunicazione aperta e congruente (l’importanza dei ‘messaggi-io’);
- la comunicazione descrittiva.
Aldo Basso, sacerdote e psicologo, consultorio familiare di Mantova
UCIPEM 11 marzo 2019
www.ucipem.com/it/index.php?option=com_content&view=article&id=760:la-gestione-del-conflitto-l-esperienza-del-conflitto-all-interno-della-famiglia&catid=10&Itemid=163
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VIOLENZA
I comportamenti aggressivi della vittima non impediscono l’allontanamento del marito dalla casa
Corte di Cassazione, sesta sezione penale, sentenza n. 9145, 1° marzo 2019.
www.avvocatirandogurrieri.it/leggi-e-diritto/moglie-aggressiva-sc-va-allontanato-il-marito-se-in-risposta-agli-attacchi-della-moglie-la-maltratta
Il delitto di maltrattamenti in famiglia è configurabile, in astratto, anche in presenza di un comportamento non “remissivo” della persona offesa. La Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto da un uomo avverso l’ordinanza con cui il Tribunale del Riesame di Roma aveva disposto nei suoi confronti la misura cautelare dell’allontanamento dalla casa familiare (art. 282 bis del c.p.p.) in relazione ai supposti reati di maltrattamenti in famiglia e lesioni personali aggravate.
In particolare, nel corso del procedimento, l’esame dei fotogrammi estrapolati dal sistema di videosorveglianza, installato all’interno della casa coniugale, aveva evidenziato l’esistenza di un “rapporto coniugale certamente connotato da alta conflittualità reciproca”.
Proprio su questa base il marito aveva dedotto l’insussistenza di uno stato di soggezione della vittima rispetto all’indagato: stato di soggezione che, appunto, costituirebbe uno degli elementi essenziali del reato previsto dall’art. 572 del c.p. [maltrattamenti contro familiari o conviventi].
Tuttavia la Corte di Cassazione, nel condividere la valutazione operata dal Tribunale del Riesame, ha sottolineato che anche gli eventuali comportamenti aggressivi posti in essere dalla persona offesa (consistiti, nel caso in esame, nel mordere le braccia ed afferrare i testicoli del marito) non escludono di per sé la sussistenza del delitto di maltrattamenti.
Infatti, anche una eventuale reazione ad asseriti comportamenti aggressivi della moglie non giustifica “la brutalità, il disprezzo e la sopraffazione, con cui l’indagato si è rapportato alla denunciante” emersi appunto dal materiale probatorio, che risulta essere stato attentamente valutato dal giudice del riesame.
Conseguentemente, la Corte ha ritenuto adeguata, allo stato, la misura cautelare adottata nei confronti dell’indagato. Peraltro, nella sentenza in esame la Cassazione si è espressa anche sulla utilizzabilità a fini probatori delle immagini estrapolate dal sistema di videosorveglianza, installato di comune accordo tra i coniugi nell’abitazione familiare.
Il dubbio era sorto, semmai, in relazione alle modalità con cui la moglie si era procurata tali immagini, e cioè filmandole col proprio cellulare dal monitor di un PC: tuttavia la Corte ha fatto proprie, anche in questo caso, le valutazioni del Tribunale del Riesame. Era emerso, infatti, che detto personal computer era non solo accessibile ad entrambi i coniugi, ma altresì ad altri abitanti e frequentatori della casa (domestici compresi).
Redazione Giuridica Brocardi.it 11 marzo 2019
www.brocardi.it/notizie-giuridiche/maltrattamenti-comportamenti-aggressivi-della-vittima-impediscono/1894.html?utm_source=Brocardo+Giorno&utm_medium=email&utm_content=news_big_famiglia&utm_campaign=2019-03-12
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