NewsUCIPEM n. 743 – 3 marzo 2019

NewsUCIPEM n. 743 – 3 marzo 2019

Unione Consultori Italiani Prematrimoniali E Matrimoniali

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“Notiziario Ucipem” unica rivista ufficiale – registrata Tribunale Milano n. 116 del 25.2.1984

Supplemento on line. Direttore responsabile Maria Chiara Duranti. Direttore editoriale Giancarlo Marcone

News gratuite si propongono di riprendere dai media e inviare informazioni, di recente acquisizione, 2019che siano d’interesse per gli operatori dei consultori familiari e quanti seguono nella società civile e nelle comunità ecclesiali le problematiche familiari e consultoriali.

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02 ABORTO                                                       La legge. Bimbi non nati, seppellire è doveroso.

03 ABUSI                                                            Sintesi dell’incontro in Vaticano sulla protezione dei minori.

08.                                                      Riunione dei capi Dicastero dopo il summit: ora misure concrete.

09.                                                                        Il Papa prepara un Motu proprio contro chi copre i preti pedofili.

10.                                                                        Le suore: soddisfatte dal vertice vaticano, più voce alle donne.

11.                                                                        L’Incontro ecclesiale di Roma.

13                                                                          «Sono necessarie riforme di grande portata”

14 ASSEGNO MANTENIMENTO FIGLI     È reato non versare il mantenimento al figlio naturale.

15                                                                          Cassazione: fare la spesa non esonera il padre dal mantenere i figli

16                                                                          L’art. 570-bis c.p. s’applica anche per i figli nati fuori dal matrimonio

16 CENTRO GIOVANI COPPIE S.FEDELE Conferenza “Coppia e denaro. Le sfide dell’oggi”.

16 CENTRO INTERN. STUDI FAMIGLIA   Newsletter CISF – n. 8, 27 febbraio 2019.

18 CHIESA CATTOLICA                                  “Figli dei sacerdoti, il criterio da seguire è il bene dei bambini”

19                                                                          Il Vaticano sapeva degli abusi del sacerdote Maciel dal 1943.

20                                                                          Francesco deve correggere la cultura di copertura degli abusi

25 COMM. ADOZIONI INTERNAZ.            Nel diritto internazionale diritto del minore a crescere in famiglia?

27 CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANAViolenze sui minori: cosa fanno le diocesi.

29 CONSULTORI UCIPEM                            Mantova. I Lions a fianco del Consultorio Ucipem.

29                                                                                               Etica Salute & Famiglia – marzo 2019.

29                                                                          Portogruaro. Quando lo stress colpisce.

29                                                                          Trento. Contributi sovvenzioni e introiti percepiti nel 2018.

29 CONTRACCEZIONE                                   Cassazione: il medico paga il mantenimento per il figlio non voluto

30 CONVEGNI – SEMINARI                         Convegno Vita: curare nella fragilità.

30                                                                          Un ponte possibile fra i diversi ambiti e settori d’intervento.

32 COPPIA E FAMIGLIA                                Gruppo terapeutico a genitorialità per padri detenuti in reinserimento.

32 DALLA NAVATA                                         8° Domenica del Tempo ordinario – Anno C – 3 marzo 2019.

33                                                                          La fecondità è la prima legge di un albero.

33 DIRITTO DI FAMIGLIA                             Quali prospettive per il Ddl Pillon sul tema della bigenitorialità.

34                                                                          La legge Pillon sull’affido condiviso vuole solo “punire” le donne

35 ENTI TERZO SETTORE                               Rendicontazione del 5 per 1000.

35 FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI    Un decalogo per la famiglia. Patto per la natalità, lavoro, fisco.

37 FRANCESCO VESCOVO DI ROMA       La Chiesa sinodale di papa Francesco è una scelta politica.

38                                                                          Francesco e le donne nella Chiesa.

39 MATRIMONI                                               Dati europei. Italia ultima. Le scelte forti fanno più paura.

40 MIGRANTI                                                   Protezione umanitaria: il decreto Salvini non è retroattivo.

41 OMOFILIA                                                    Prete e omosessuale: perché? come?

43 PASTORALE                                     Fidanzati oggi, i nuovi catecumeni

44 PEDAGOGIA                                                               Come rafforzare l’autostima nei bambini

46                                                                          I bambini di “Bim bum bam”? Genitori fragili e iperemotivi

48 SALUTE                                                         Salute sessuale, i risultati dello “Studio Nazionale Fertilità”

48                                                                          Studio Fertilità: cosa emerge dalle indagini su giovani e adulti.

49 SEPARAZIONE                                            Il gatto al resistente, il cane ad entrambi a settimane alterne.

50 SESSUOLOGIA                                            Giovanissimi iniziano sul web, inibiti nella vita reale.

50 TRIBUNALI ECCLESIASTICI                     Apertura anno giudiziario.

51 WELFARE                                                     Voucher baby sitting 2019: è ancora in vigore?

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ABORTO

La legge. Bimbi non nati, seppellire è doveroso

Il serrato confronto in Lombardia sulla revisione delle norme riapre il dossier delle disposizioni operative nelle Regioni (solo in cinque, però.) La legge del 1990 è poco conosciuta e ancor meno applicata dagli enti locali. Con i quali opera l’Associazione difendere la vita con Maria Nicolò Vallana, Luca Fermi ed Edoardo Puce, «alfieri» della Repubblica

Lo scorso 2 novembre 2018 papa Francesco ha commemorato i defunti al cimitero Laurentino di Roma. Prima della celebrazione eucaristica, si è fermato a pregare al Giardino degli angeli, un’area – nel contesto della zona riservata ai bambini – inaugurata nel 2012 per dare sepoltura a quei piccoli che non hanno potuto vedere la luce, per aborti volontari o spontanei. Una pratica di pietà umana e cristiana, regolata dalla legge 285, 10 settembre 1990, che all’articolo 7 prevede la possibilità per i genitori di chiedere – entro 24 ore dall’evento abortivo – il seppellimento dei resti del bimbo in un cimitero.

http://presidenza.governo.it/USRI/ufficio_studi/normativa/D.P.R.%2010%20settembre%201990,%20n.%20285.pdf

La legge peraltro opera una distinzione tra i feti sotto le 20 e sotto le 28 settimane di gestazione (sopra le 28 c’è l’obbligo di registrazione anagrafica del bimbo come nato morto). Mentre infatti tra le 20 e le 28 settimane i feti sono comunque seppelliti perlomeno come «parti anatomiche riconoscibili», sotto le 20 settimane di gestazione – in assenza di un interessamento dei genitori – vengono trattati come «rifiuti speciali sanitari».

            E poiché i genitori spesso sono poco o per nulla informati sulla necessità di chiedere la sepoltura, la legge rischia di essere applicata in modo difforme sul territorio nazionale. Per stare accanto alle famiglie, spesso disorientate in momenti senz’altro dolorosi, è nata nel 1999 la Associazione Difendere la vita con Maria (Advm) onlus,                                                                                         www.advm.org/associazione

presieduta da don Maurizio Gagliardini, che offre la sua collaborazione alle aziende sanitarie e ospedaliere (cui spetta l’onere di provvedere alle sepolture), per gestire anche praticamente le operazioni di registrazione e seppellimento dei bimbi non nati. Riveste quindi grande importanza l’iniziativa delle Regioni nel prevedere specifiche norme per favorire i seppellimenti, anche grazie a convenzioni che le associazioni (oltre ad Advm citiamo la onlus CiaoLapo) possono stipulare per gestire, in accordo con i genitori, la sepoltura dei resti dei loro figli.       www.ciaolapo.it/index.php?option=com_k2&view=item&layout=item&id=404&Itemid=960

La prima è stata la Lombardia, che con una legge regionale del 2007 ha stabilito che i resti dei bimbi non nati fossero sempre seppelliti, anche in assenza di richiesta dei genitori. La legge è stata riformata la scorsa settimana dal consiglio regionale lombardo, e – nonostante le assicurazioni contrarie dell’assessore al Welfare, Giulio Gallera – prevede ora che il seppellimento dipenda da una esplicita richiesta della madre. A seguire fu l’Abruzzo– riferisce Emiliano Ferri, vicepresidente di Advm – che ha stabilito con legge regionale del 2012 che, se non richiesti dai genitori, spetti all’ospedale provvedere a seppellire i resti dei bambini non nati come «parti anatomiche». Successivamente le Marche, che con legge regionale hanno stabilito che sia fatta precisa informazione ai genitori sulla possibilità di chiedere il seppellimento entro le 24 ore dall’evento luttuoso.

            «In Veneto – riferisce Alberto Zelger, consigliere comunale di Verona – nel dicembre 2017 è stata approvata la modifica di una legge regionale del 2010, introducendo l’obbligo della sepoltura dei bimbi non nati, anche se non richiesti dai genitori, a spese dell’azienda sanitaria. Occorreva però l’approvazione di una delibera attuativa da parte della giunta regionale, che finora è mancata». Ma ora «c’è un gruppo di lavoro regionale che sta lavorando sulla materia, che fa capo all’assessore Manuela Lanzarin», da poco diventata responsabile anche della Sanità in Regione Veneto. «Aggiungo – conclude Zelger – che lo stesso presidente della Regione, Luca Zaia, si è mostrato sensibile al tema, partecipando all’inaugurazione di aree dedicate nei cimiteri, per esempio nel giugno 2018 a Torri di Quartesolo».

            La norma regionale è però «poco applicata in Abruzzo – continua Fermi –, mentre in Puglia c’è la possibilità di richiedere il seppellimento del feto dalla 20ª settimana in poi, altrimenti la sanità regionale provvede a eliminare i resti come rifiuti sanitari. Nel Lazio, nella precedente legislatura regionale, c’era stato un disegno di legge di Olimpia Tarzia e so che analoga proposta è stata presentata in Sicilia».

            Altre iniziative si registrano nei Comuni. A gennaio, a Genova è stato approvato un ordine del giorno per destinare un’area ai bambini non nati nel cimitero di Staglieno. Cinque anni fa, era stata la volta di Firenze, dove si era registrata qualche contestazione di chi vi voleva vedere un attacco alla 194\1978: in realtà, come osservano le associazioni, si tratta pur sempre di una migliore attuazione delle norme previste dalla legge del 1990.

Enrico Negrotti          Avvenire         28 febbraio 2019

www.avvenire.it/famiglia-e-vita/pagine/bimbi-non-nati-seppellire-doveroso

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ABUSI

Sintesi dell’incontro in Vaticano sulla protezione dei minori

Sono stati quattro giorni (21-24 febbraio 2019) molto intensi: un evento di verità, in cui i responsabili delle Chiese di tutti i continenti hanno affrontato la piaga degli abusi sui minori compiuti in ambito ecclesiale e lo hanno fatto dinanzi al mondo intero. Non un evento scontato, non un evento retorico e ripetitivo di cose già dette: è stato un incontro di assunzione di responsabilità, una presa di coscienza globale che ha coinvolto rappresentanti di aree culturali e geografiche diverse e per molti versi distanti, un atto penitenziale pubblico, nella trasparenza, nell’ascolto del grido di dolore delle vittime. Sono state pronunciate parole forti, ad alta voce, mai ascoltate prima in questa sede, in un cammino di misure concrete per debellare questo crimine nella Chiesa e contribuire a combatterlo in tutta la società. Tutto questo ci dice che è in atto un rinnovamento profondo della comunità ecclesiale, in tutte le sue componenti, clero, religiosi e laici, perché il popolo di Dio possa testimoniare insieme e in modo credibile la gioia del Vangelo che “riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù (Evangelii gaudium).

Gli interventi di Papa Francesco.

Video                                   www.youtube.com/watch?v=InLtWlWFdS0

Il 21 febbraio il Papa, nel discorso inaugurale, invita alla “massima parresia” al coraggio e alla concretezza, per ascoltare “il grido dei piccoli che chiedono giustizia”.

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2019/february/documents/papa-francesco_20190221_incontro-protezioneminori-apertura.html

“Il santo Popolo di Dio – afferma – ci guarda e attende da noi non semplici e scontate condanne, ma misure concrete ed efficaci da predisporre Francesco offre ai partecipanti 21 “Punti di riflessione”, formulati dalle stesse Conferenze episcopali e da lui riassunti in un elenco.

https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2019-02/papa-francesco-punti-riflessione-incontro-vaticano-abusi-vatiab.html

Il 22 febbraio, Francesco interviene a braccio dopo la relazione di Linda Ghisoni, sotto-segretario del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, rimarcando il ruolo della donna nella Chiesa: “Un passo – ha detto – che noi dobbiamo fare con molta forza”.

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2019/february/documents/papa-francesco_20190222_incontro-protezioneminori.html

Il 23 febbraio, durante la liturgia penitenziale, il Papa eleva la sua preghiera a Dio perché doni “il coraggio di dire la verità e la sapienza per riconoscere dove abbiamo peccato”: “riempici di pentimento sincero”.

www.vaticannews.va/it/papa/news/2019-02/celebrazione-penitenziale-papa-francesco-incontro-minori-vatiab.html#play

Video liturgia                               www.youtube.com/watch?v=BtO6L5Eo0NM

Il 24 febbraio, al termine della Messa a conclusione dell’incontro, Papa Francesco in un forte discorso osserva che nella Chiesa “è cresciuta la consapevolezza di dovere non solo cercare di arginare gli abusi gravissimi con misure disciplinari e processi civili e canonici, ma anche affrontare con decisione il fenomeno sia all’interno sia all’esterno della Chiesa. Essa si sente chiamata a combattere questo male che tocca il centro della sua missione: annunciare il Vangelo ai piccoli e proteggerli dai lupi voraci”. L’obiettivo è “quello di ascoltare, tutelare, proteggere e curare i minori abusati, sfruttati e dimenticati, ovunque essi siano”. E per raggiungere tale fine, la Chiesa “deve sollevarsi al di sopra di tutte le polemiche ideologiche e le politiche giornalistiche che spesso strumentalizzano, per vari interessi, gli stessi drammi vissuti dai piccoli”. “È giunta l’ora – afferma – di trovare il giusto equilibrio di tutti i valori in gioco e dare direttive uniformi per la Chiesa, evitando i due estremi di un giustizialismo, provocato dal senso di colpa per gli errori passati e dalla pressione del mondo mediatico, e di una autodifesa che non affronta le cause e le conseguenze di questi gravi delitti”

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2019/february/documents/papa-francesco_20190224_incontro-protezioneminori-chiusura.html

Video Messa                               www.youtube.com/watch?v=ehTT3UKBvsk

Sempre domenica, nelle sue parole dopo l’Angelus, il Papa auspica che la Chiesa possa tornare ad essere assolutamente credibile e affidabile nel suo servizio ai minori: “In questo modo sapremo collaborare con tutto il nostro cuore e con efficacia, insieme a tutte le persone di buona volontà e a tutte le componenti e le forze positive della società, in tutti i paesi e a livello internazionale, perché si combatta fino in fondo, in ogni sua forma, la gravissima piaga della violenza nei confronti di centinaia di milioni di minori, bambine e bambini, ragazze e ragazzi, in tutto il mondo”

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/angelus/2019/documents/papa-francesco_angelus_20190224.html

 Video Angelus                             www.youtube.com/watch?v=ehTT3UKBvsk

                             Le 9 relazioni

La relazione d’apertura, il 21 febbraio, è affidata al cardinale Luis Antonio Tagle, arcivescovo di Manila e presidente di Caritas Internationalis.

www.vaticannews.va/it/papa/news/2019-02/cardinale-tagle-relazione-abusi-vatiab.html

“In questo momento di crisi, originato dall’abuso dei bambini e dalla nostra cattiva gestione di questo crimine” – afferma – la strada per portare “guarigione” è quella, prima di tutto, di avvicinarsi alle ferite della gente, senza avere paura di essere feriti, riconoscendo “i nostri peccati” per poter dare una “testimonianza autentica”.               www.vatican.va/resources/resources_card-tagle-protezioneminori_20190221_en.html

Mons. Charles J. Scicluna, arcivescovo di Malta e segretario aggiunto della Congregazione per la Dottrina della Fede, nella seconda relazione dell’incontro, sottolinea con forza: “Ci è stata affidata la cura del nostro popolo. È nostro sacro dovere proteggere il nostro popolo e garantire la giustizia di quanti siano stati abusati”.

www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2019-02/scicluna-prevenzione-permanente-protezione-minori-vatiab.html

Testo integrale         www.vatican.va/resources/resources_mons-scicluna-protezioneminori_20190221_en.html

Nella terza relazione dell’incontro, il cardinale Rubén Salazar Gómez, arcivescovo di Bogotà, afferma che è necessario andare prima di tutto alla radice della crisi degli abusi che, dice, si chiama clericalismo e che significa il “travisamento del significato del ministero convertito in mezzo per imporre la forza, per violare la coscienza e i corpi dei più deboli”.

www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2019-02/terza-relazione-incontro-protezione-minori-vescovi-abusi-vatiab.html

  Testo integrale            www.vatican.va/resources/resources_card-salazar-protezioneminori_20190221_it.html

La quarta relazione (22 febbraio) è del cardinale indiano Oswald Gracias, arcivescovo di Bombay, ha sottolineato la necessità di affrontare in maniera collegiale la piaga degli abusi: nessun vescovo dovrebbe dire a se stesso: “Affronto questi problemi e le sfide da solo”, perché egli appartiene “al collegio dei vescovi, in unione con il Santo Padre”, condividendo “accountability e responsabilità”. E ancora: nessun vescovo può dire a se stesso: “Questo problema di abuso nella Chiesa non mi riguarda, perché le cose sono diverse nella mia parte del mondo”. “Ognuno di noi è responsabile per l’intera Chiesa”

www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2019-02/terza-relazione-incontro-protezione-minori-vescovi-abusi-vatiab.html

Testo integrale        www.vatican.va/resources/resources_card-gracias-protezioneminori_20190222_it.html

L’arcivescovo di Chicago, il cardinale Blase Joseph Cupich, ha tenuto la quinta relazione. Al centro della sua riflessione, l’accountability, il render conto della gestione di questi casi. Parla degli standard per le indagini sui vescovi e sulla loro rimozione se “sono coinvolti in cattive condotte e maltrattamenti”. Perché anche se ci sono, nelle Chiese locali “differenze nella cultura, nelle leggi civili e canoniche” – afferma – bisogna esser consapevoli “dell’urgenza di intraprendere azioni decisive senza indugio”

www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2019-02/protezione-minori-cardinale-cupich-chicago-usa-relazione-vatiab.html

Testo integrale   www.vatican.va/resources/resources_card-cupich-protezioneminori_20190222_it.html

La sesta relazione, intitolata “Communio: agire insieme”, è svolta da Linda Ghisoni, sottosegretario per la Sezione Fedeli Laici, Dicastero Laici, Famiglia e Vita. Nell’ottica della prevenzione e del contrasto alla piaga degli abusi – osserva – c’è una esigenza di interazione tra i vari carismi e ministeri, occorre vivere la sinodalità come processo condiviso: tutti devono essere coinvolti, seppur nel rispetto delle differenze, perché tutti costituiscono l’unica Chiesa. Fondamentale – sottolinea – è dunque l’apporto dei laici, ai quali i pastori non devono esitare ad affidare incarichi di servizio, lasciando loro libertà di azione e margine di autonomia.

www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2019-02/protezione-minori-abusi-relazione-ghisoni-comunione-vatiab.html

Testo integrale  www.vatican.va/resources/resources_lindaghisoni-protezioneminori_20190222_it.html

Suor Veronica Openibo, superiora generale della Società del Santo Bambino Gesù, tiene la settima relazione (23 febbraio). “Non nascondiamo più simili fatti – afferma con forza – per paura di sbagliare. Troppo spesso vogliamo stare in silenzio finché la tempesta non passerà! Ma quella tempesta non passerà. È in gioco la nostra credibilità”, e ribadisce che “tutti i responsabili, a prescindere dal loro status clericale, che sono giudicati colpevoli devono ricevere la stessa pena per gli abusi sui minori”, abbandonando la prassi, comune in passato e ancora presente in alcune parti del mondo, di proteggere “uno di noi” ed evitare lo scandalo.

www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2019-02/protezione-minori-abusi-relazioni-suor-veronica-openibo-vatiab.html

Testo integrale www.vatican.va/resources/resources_suoropenibo-protezioneminori_20190223_it.html

L’ottava relazione è del cardinale Reinhard Marx, arcivescovo metropolita di Monaco e Frisinga e presidente della Conferenza episcopale tedesca. Afferma che non è la trasparenza, ma sono gli abusi e le coperture a danneggiare la Chiesa. Il porporato si concentra sulle procedure amministrative: tali processi, sottolinea, devono rispondere a criteri di trasparenza e tracciabilità, altrimenti si generano abusi di potere che possono anche sfociare in abusi sessuali. E ricorda che al dramma degli abusi si aggiungono altre laceranti ferite: “I dossier che avrebbero potuto documentare i terribili atti e indicare il nome dei responsabili sono stati distrutti o nemmeno creati. Invece dei colpevoli, a essere riprese sono state le vittime ed è stato imposto loro il silenzio”.

www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2019-02/protezione-minori-cardinale-marx-relazione-trasparenza-vatiab.html

Testo integrale        www.vatican.va/resources/resources_card-marx-protezioneminori_20190223_it.html

La giornalista messicana Valentina Alazraki tiene la nona è ultima relazione parlando del dovere della trasparenza nella comunicazione. Si rivolge in modo forte a vescovi e cardinali: “Siate certi che i giornalisti, le mamme le famiglie e l’intera società, per noi, gli abusi sui minori sono uno dei principali motivi di angoscia. Ci preoccupa l’abuso sui minori per ciò che comporta: la distruzione delle famiglie. Riteniamo tali abusi come uno dei crimini più abominevoli. Chiedetevi: siete nemici di quanti commettono abusi o li coprono tanto quanto lo siamo noi, le mamme, le famiglie, la società civile? Noi abbiamo scelto da quale parte stare. Voi, lo avete fatto davvero, o solo a parole? Se siete contro quanti commettono abusi o li coprono, allora stiamo esattamente dalla stessa parte. Possiamo essere alleati, non nemici. Vi aiuteremo a trovare le mele marce e a vincere le resistenze per allontanarle da quelle sane. Ma se voi non vi decidete in modo radicale di stare dalla parte dei bambini, delle mamme, delle famiglie, della società civile, avete ragione ad avere paura di noi, perché saremo i vostri peggiori nemici. Perché noi giornalisti desideriamo il bene comune”.

www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2019-02/protezione-minori-abusi-alazraki-vatiab.html

Testo integrale         www.vatican.va/resources/resources_alazraki-protezioneminori_20190223_it.html

Le testimonianze delle vittime. In apertura di incontro, cinque persone di diversi continenti hanno raccontato la loro esperienza di abusi.  In tutte risuona il ringraziamento per la possibilità di poter essere ascoltate, per il contributo ad una Chiesa migliore che potrà derivare da questo appuntamento in Vaticano e un grazie per l’appoggio e l’aiuto ricevuto dal Santo Padre. Ma poi le testimonianze non fanno sconti: storie terribili di abusi, complicità, omertà, silenzi. La Chiesa deve cambiare radicalmente. Ma altrettanto forte e senza sconti risuona, nelle parole di ciascuna delle vittime, non solo il dramma che deriva dall’abuso sessuale e dalle “conseguenze tremende” che esso provoca nella vita quotidiana, nella famiglia, nei rapporti sociali e nei riguardi “perfino di Dio”; ma anche la richiesta ferma ai vescovi e alla Chiesa tutta di non “assentire” senza agire, ma di assumersi pienamente la responsabilità di quanto accade e di collaborare con la giustizia perché questo “tumore” non solo venga estirpato, ma anche curato con “trattamenti” specifici.

www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2019-02/testimonianze-vittime-abusi-minori-vatiab.html

Il 21 febbraio sera ha portato la sua testimonianza di un giovane proveniente dall’Asia abusato da bambino. Ricorda che dopo essere entrato in un istituto per ricevere una formazione cattolica, è “spogliato della propria innocenza ancora e ancora”. “Abbandonato al proprio destino”, non confida a nessuno il proprio dramma “per paura del disonore e della vergogna”. Dopo un lungo cammino torna la speranza. Conclude: “Ma ora, chi si assumerà la responsabilità di vite spezzate? C’è una strada! C’è un’opportunità! C’è una speranza! C’è vita! Restituite quanto è andato perso! Mostrate che vi importa! Perché tutto ciò che fate riscatterà le molte urla silenziose che attendono il giorno della salvezza.

www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2019-02/incontro-abusi-vaticano-testimonianza-giovane-asiatico-vatiab.html

Ha concluso la seconda giornata (22 febbraio) la drammatica testimonianza di una donna che ha subito abusi a 11 anni, e per 5 lunghi anni, da un sacerdote della sua parrocchia che ha distrutto la sua vita. “Perché a me?”, si chiedeva, oppure: “Dov’eri, Dio?”. “Quanto ho pianto su questa domanda!” ha confessato. “Non avevo più fiducia nell’Uomo e in Dio, nel Padre-buono che protegge i piccoli e i deboli. Io, bambina, ero certa che nulla di male potesse venire da un uomo che “profumava” di Dio! Come potevano le stesse mani, che tanto avevano osato su di me, benedire e offrire l’Eucarestia? Lui adulto e io bambina… aveva approfittato del suo potere oltre che del suo ruolo: un vero abuso di fede! E non per ultimo: come fare a superare la rabbia e non allontanarsi dalla Chiesa – si è chiesta – dopo un’esperienza del genere soprattutto di fronte alla gravissima incoerenza di quanto predicato e quanto agito dal mio abusatore, ma anche da chi, di fronte a questi crimini, ha minimizzato, nascosto, messo a tacere, o ancor peggio non ha difeso i piccoli, limitandosi meschinamente a spostare i sacerdoti a nuocere da altre parti? Di fronte a questo, noi vittime innocenti, sentiamo amplificato il dolore che ci ha ucciso: anche questo è un abuso alla nostra dignità umana, alla nostra coscienza, nonché alla nostra fede! Noi vittime, se riusciamo ad avere la forza di parlare o denunciare, dobbiamo trovare il coraggio di farlo pur sapendo che rischiamo di non essere credute o di dover vedere che l’abusatore se la cava con una piccola pena canonica. Ciò non può e non deve essere più così!”.

www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2019-02/donna-abusata-siamo-qui-rinascere-nostre-ferite.html

Nella preghiera iniziale del mattino che ha aperto i tre giorni di lavori, è stata letta l’esperienza di una persona abusata seguita da un lungo silenzio.

Il 21 febbraio: “Nessuno mi ascoltava; né i miei genitori, né i miei amici, né più tardi le autorità ecclesiastiche. Non ascoltavano me e il mio pianto. Ed io mi chiedo: perché? E mi chiedo, perché Dio non mi ha ascoltato?”.

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Il 22 febbraio: “Quando Gesù stava per morire, sua madre era con lui. Quando sono stato abusato da un sacerdote, la mia madre chiesa mi ha lasciato da solo. Quando ho avuto bisogno di qualcuno nella chiesa per parlare dei miei abusi e della mia solitudine, tutti si sono nascosti e mi sono sentito ancora più solo non sapendo a chi rivolgermi”.

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Il 23 febbraio: “Mi sento come un mendicante alle porte del castello. Un mendicante di verità, di giustizia, di luce e tutto quello che ottengo è silenzio e pochissima informazione, che devo estrapolare. Sono stanco e sfinito, è come se si nascondessero dietro le loro mura, la loro dignità, i loro ruoli che non capisco. Mi fa male perché sono stato abusato, perché non dicono la verità e perché quelli che dovrebbero essere ministri della verità e della luce si nascondono nelle tenebre”.

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L’omelia di mons. Coleridge. E’ Mark Coleridge, arcivescovo di Brisbane e presidente della Conferenza episcopale d’Australia, a pronunciare l’omelia nella Messa celebrata dal Papa in Sala Regia a conclusione dell’incontro internazionale su “La Protezione dei Minori”. “Faremo ogni cosa in nostro potere per garantire che gli orrori del passato non si ripetano – afferma – e che la Chiesa sia un posto sicuro per tutti, una madre amorevole in particolare per i giovani e per le persone vulnerabili; non agiremo da soli ma collaboreremo con tutte le persone coinvolte nel bene dei giovani e delle persone vulnerabili; continueremo ad approfondire la nostra conoscenza sugli abusi e sui suoi effetti, sul perché siano potuti accadere nella Chiesa e su cosa si debba fare per sradicarli. Tutto questo richiederà tempo, ma non possiamo permetterci di fallire”.

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I briefing. Presso l’Istituto Patristico Augustinianum di Roma, si sono svolti ogni giorno i briefing per commentare con i giornalisti i punti salienti dell’incontro. “La prevenzione è fondamentale, altrimenti l’emorragia sarà inarrestabile”; ed ancora, “quando si ascolta con il cuore non si può non essere trasformati”. Queste due frasi, rispettivamente di mons. Charles J. Scicluna, arcivescovo di Malta, segretario aggiunto della Congregazione per la Dottrina della Fede e membro del Comitato organizzativo, e di padre Hans Zollner, presidente del Centro per la protezione dei minori della Pontificia Università Gregoriana, membro della Pontificia Commissione per la tutela dei minori e referente del Comitato, hanno caratterizzato il briefing del 21 febbraio.

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Video    www.youtube.com/watch?v=1uWE5jG26Ds

Dopo la “terribile crisi” che ha investito gli Stati Uniti proprio a causa delle “omissioni”, “noi ci siamo impegnati a denunciare sempre” i casi di abuso: “la trasparenza rappresenta il nostro futuro, dobbiamo affrontare i nostri peccati, non cercare di farli scomparire”. Il cardinale Seán Patrick O’Malley, arcivescovo di Boston, presidente della Commissione per la tutela dei minori e membro del Consiglio dei cardinali, chiarisce con fermezza nel briefing del 22 febbraio che la collaborazione con le autorità civili è fondamentale per “affrontare e gestire il tradimento inflitto su bambini e adulti vulnerabili.

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                                      Video                                                               www.youtube.com/watch?v=oB9bhHBnovg

Nel terzo briefing (23 febbraio), il cardinale Reinhard Marx ribadisce la volontà comune dei presenti all’Incontro di “accettare il cambiamento”, di impegnarsi perché le “parole si traducano in azioni”, pur nella consapevolezza che l’appuntamento in Vaticano è una “tappa” verso un traguardo ancora lontano. Dobbiamo “sostenerci a vicenda”, insiste, e “non solamente nel fare degli appelli, ma nel verificare, nel portare avanti un certo monitoring” [monitoraggio] di quello che viene fatto per attuare le “linee guida”, per “certificare” le diocesi.

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                             Video          www.youtube.com/watch?v=YKrHeJ2FvB0

Nel quarto ed ultimo briefing (24 febbraio), padre Federico Lombardi, moderatore dell’incontro, presenta tre impegni concreti: un nuovo Motu Proprio di Papa Francescosulla protezione dei minori e delle persone vulnerabili”, che accompagnerà una nuova legge dello Stato della Città del Vaticano e le Linee guida per il Vicariato della Città del Vaticano; la pubblicazione da parte della Congregazione per la dottrina della fede di un vademecum che “aiuterà i vescovi del mondo a comprendere chiaramente i loro doveri e i loro compiti”; ed ancora, la creazione di “task forces” per “aiutare le conferenze episcopali e le diocesi” in difficoltà

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Video                  www.youtube.com/watch?v=w3nNMIwLtoE

                             Le interviste

Gabriella Gambino, docente di bioetica e sottosegretario del Dicastero vaticano per i Laici, la Famiglia e la Vita, ha lavorato nel comitato organizzatore dell’incontro. Parla del ruolo fondamentale delle donne nella lotta agli abusi: “Le donne – afferma – sono coloro che di per sé hanno la straordinaria capacità di proteggere la vita umana e le fragilità, là dove è necessario. Le madri hanno una particolare forza decisiva di fronte ai rischi nei confronti della vita, dunque è importante che abbiano un ruolo significativo nei luoghi sia dove si monitorerà l’applicazione delle regole, sia dove poi si valuteranno e si farà discernimento circa le situazioni di rischio”.

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“La cosa più importante per un vescovo è ascoltare per capire la sofferenza delle vittime”. E’ quanto afferma il cardinale Seán Patrick O’Malley, O.F.M. Cap., Arcivescovo di Boston, Presidente della Pontificia Commissione per la tutela dei minori.

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Il cardinale Christoph Schönborn, arcivescovo di Vienna, presidente della Conferenza episcopale austriaca, mette in evidenza la gravità della “ferita” che gli abusi rappresentano per il corpo di tutta la Chiesa, ma anche la nostalgia per quello che la Chiesa deve essere, qualcosa di “grande” e “puro”. Il porporato riflette anche sullo “spirito della sinodalità” e della “condivisione delle esperienze” che ritiene l’unica via di uscita alla crisi della Chiesa e rilancia quanto sia stato importante che il Papa abbia convocato i presidenti delle Conferenze episcopali del mondo perché dà l’idea della responsabilità comune che abbraccia vescovi, Papa e popolo di Dio.

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Il cardinale Daniel Di Nardo, presidente della Conferenza Episcopale Usa, si è espresso sull’importanza del ruolo delle donne e degli uomini laici per aiutare gli stessi vescovi “a prendere una decisione in merito a sacerdoti accusati”.

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La teologa Marinella Perroni, docente di Nuovo Testamento al Pontificio Ateneo Sant’Anselmo, ricorda il ruolo delle donne e parla del loro coraggio nel non tacere: “Le donne hanno una voce importante perché sono tante dalla parte delle vittime. Oggi ci sono le condizioni per parlarne e io sono orgogliosa di questo coraggio. E se noi pensiamo che sul problema degli abusi pesano sulla Chiesa cattolica percentuali come lo 0,5% mi sembra, viene da domandarci: e tutto il resto? Allora che la Chiesa cattolica dimostri che si può avere il coraggio di dire all’altro 95% che deve denunciare, questo significa liberare da questa piaga non solo il corpo di Cristo, la Chiesa, ma il mondo da una delle schiavitù più orrende: l’abuso in chiave sessuale”.

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“Un confronto trasparente che darà risultati di grande interesse”.  È il giudizio del professor Ernesto Caffo, fondatore del Telefono Azzurro e membro della Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori.

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“Il Papa ha parlato della lotta dell’umanità contro il male degli abusi su minori. Prima di tutto ci ha presentato il contesto mondiale, non per diminuire la gravità del fenomeno nella Chiesa ma per dare un contesto di urgenza”. Così mons. Charles J. Scicluna commenta il discorso pronunciato da Papa Francesco a conclusione dell’incontro su “La protezione dei minori nella Chiesa”. Secondo il presule maltese, “Francesco ha parlato di questo fenomeno come esperienza dolorosa che ci deve impegnare in una lotta per il bene contro il male e ci ha dato otto punti che guardano in avanti”.

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Il cardinale Luis Antonio Tagle: “Daremo una risposta decisa contro la piaga degli abusi e stabiliremo degli organismi o regole, leggi. Tutte sono importanti (…) ma la strada è che noi siamo chiamati a essere la Chiesa di Gesù Cristo. Per me è questa la cosa importante. E il dolore, le grida di dolore delle vittime e dei poveri, loro sono la voce che ci sta dicendo: siate sinceri, veri, nei riguardi della vostra chiamata”.

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Padre Hans Zollner, è convinto che il vertice vaticano produrrà frutti sostanziosi, concreti. E a chi critica l’incontro definendolo solo una vetrina di parole e niente azioni, risponde con pacatezza: bisogna avere la pazienza di aspettare; comunque non siamo all’anno zero, la Chiesa è già da tempo impegnata a combattere gli abusi.

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Editoriali di Andrea Tornielli. Il direttore editoriale del Dicastero per la Comunicazione, nel presentare l’incontro sulla protezione dei minori, osserva che si tratta di un evento “destinato a lasciare il segno. Prima ancora che per l’approfondimento sulle indispensabili indicazioni concrete su ciò che va fatto di fronte alla piaga degli abusi, a lasciare il segno sarà la presa di coscienza da parte di tutta la Chiesa delle conseguenze drammatiche e incancellabili provocate sui minori che li hanno subiti”. Con questo appuntamento la Chiesa indica “una strada non soltanto alle proprie gerarchie e alle proprie comunità, ma offre pure una sofferta testimonianza e un impegno preciso a tutta la società. Perché la protezione dei minori è questione che riguarda tutti, come dimostrano le impressionanti cifre sui minori abusati nel mondo”.

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Nel commento conclusivo, Tornielli afferma che l’incontro “non è stato soltanto un pugno nello stomaco che ha reso i partecipanti più coscienti della devastante azione del male e del peccato e dunque della necessità di chiedere perdono invocando l’aiuto della grazia divina. Il summit attesta anche la ferma volontà di dare concretezza a quanto emerso fin dai prossimi giorni, con scelte operative efficaci. Perché la coscienza della gravità del peccato, e il costante appello al Cielo per implorare aiuto che hanno caratterizzato l’incontro in Vaticano, vanno di pari passo con un impegno rinnovato e operativo, per far sì che gli ambienti ecclesiali siano sempre più sicuri per i minori e per gli adulti vulnerabili. Nella speranza che questo impegno possa contagiare anche tutti gli altri settori delle nostre società”.

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Il cammino della Chiesa nella lotta agli abusi. L’incontro non rappresenta certo il primo passo della Santa Sede, né delle Conferenze episcopali in questa direzione. È una tappa storica di un cammino che la Chiesa cattolica intraprende da più di trent’anni in paesi come il Canada, gli Stati Uniti, l’Irlanda e l’Australia e da circa dieci anni in Europa. Cammino che proseguirà anche dopo il nuovo meeting. Il rinnovamento delle norme canoniche sui casi di abuso su minori da parte di membri del clero comincia in Vaticano già diciotto anni fa. Mentre negli ultimi vent’anni sono innumerevoli i gesti, i discorsi e i documenti che i Papi hanno dedicato al doloroso tema. A volte, la pubblicazione di norme e protocolli non ha prodotto subito il cambio di mentalità necessario per combattere gli abusi. Ma non si può parlare certo di “anno zero” nell’impegno della Chiesa nella protezione dei minori.

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Sergio Centofanti – Città del Vaticano       Vatican news   25 febbraio 2019

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In Vaticano riunione dei capi Dicastero dopo il summit: ora misure concrete contro gli abusi

Il comitato organizzatore insieme a superiori della Segreteria di Stato e responsabili di Curia insieme all’indomani della chiusura del vertice. All’indomani della conclusione del summit in Vaticano sugli abusi del Papa con i presidenti delle Conferenze episcopali del mondo, si è svolta questa mattina, dalle 9 alle 13, nella Sala Bologna del Palazzo Apostolico vaticano, una riunione interdicasteriale ristretta incentrata sul tema della protezione dei minori.

Tale riunione rappresenta un primo concreto effetto del summit di ieri, spiega il direttore ad interim della Sala Stampa vaticana, Alessandro Gisotti. All’incontro, assieme ad alcuni superiori della Segreteria di Stato e ai capi dei Dicasteri di Curia che sono particolarmente impegnati sul tema, hanno preso parte il comitato organizzativo e il moderatore del vertice, padre Federico Lombardi, che si è soffermato sullo svolgimento, sulle prime reazioni all’incontro e sul follow up [serie di controlli periodici e programmati].

«È stato innanzitutto e unanimemente messo l’accento su quanto fosse necessario tale incontro, fortemente voluto da Papa Francesco», sottolinea Gisotti. «Si è inoltre evidenziato che tale evento deve ora essere seguito da misure concrete come richiesto con forza dal Popolo di Dio. In tale contesto sono stati illustrati i principi fondamentali che ispirano i documenti e le task force [formazione di persone costituita, per singoli scopi (o attività) definite], annunciati nella conferenza stampa conclusiva dell’Incontro. Tali iniziative, è stato affermato, dovranno essere comunicate nel modo più chiaro, tempestivo e dettagliato possibile».

Negli interventi liberi i capi Dicastero, si legge nella dichiarazione del portavoce vaticano, hanno ribadito «il proprio impegno a seguire l’esempio di Papa Francesco nella lotta agli abusi» ed hanno «messo l’accento sulla necessità dell’ascolto delle vittime come punto di partenza di questo impegno». Altri punti sottolineati sono stati: «il maggior coinvolgimento dei laici su questo fronte e la necessità di investire nella formazione e nella prevenzione avvalendosi di realtà con una consolidata esperienza in questo campo».

Infine è stato evidenziato che «è opportuno verificare con riunioni a livello interdicasteriale il progresso del follow up dell’incontro nel segno della sinodalità e della sinergia».

Redazione       Vatican insider news  25 febbraio 2019

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Il Papa prepara un Motu proprio contro chi copre i preti pedofili

Per difendere i bambini dalla pedofilia il Vaticano lancerà tre «iniziative concrete»:

  1. Un Motu proprio del Papa,
  2. Un vademecum per i vescovi
  3. Task force nelle diocesi.

Lo annuncia, a conclusione del summit per la protezione dei minori, il portavoce padre Federico Lombardi SJ. Poche ore prima il Pontefice ha riconosciuto che, anche se la piaga degli abusi è diffusa in vari ambiti, nella Chiesa diventa ancora più «mostruosa» e «scandalosa».

Secondo l’arcivescovo di Malta monsignor Charles J. Scicluna, simbolo della lotta alla pedofilia, «l’abuso è un crimine gravissimo, ma anche il suo insabbiamento. E su questo non si può più tornare indietro». Per decenni «ci siamo concentrati sul crimine: ora abbiamo capito che l’insabbiamento è altrettanto importante». E questo aspetto, oltre ai temi della responsabilità e della trasparenza, saranno affrontati nelle imminenti misure normative.

            Si tratta anzitutto di un «nuovo Motu proprio (documento decisionale, ndr) del Papa “sulla protezione dei minori e delle persone vulnerabili”, per rafforzare la prevenzione e il contrasto contro gli abusi». È prevista poi la pubblicazione da parte della Congregazione per la Dottrina della Fede di «un vademecum [vademecum” significa “vieni con me”, con il significato figurativo ti do una mano] che aiuterà i vescovi del mondo a comprendere chiaramente i loro doveri e i loro compiti».

            E infine Francesco vuole «la creazione di task force di persone competenti» per aiutare le diocesi ad affrontare «i problemi e realizzare le iniziative».

            Il Papa promette con forza: «Se nella Chiesa si rilevasse anche un solo caso di abuso – che rappresenta già di per sé una mostruosità – sarà affrontato con la massima serietà». Poi il suo grido: «Nella rabbia, giustificata, della gente, la Chiesa vede il riflesso dell’ira di Dio, tradito e schiaffeggiato».

            Bergoglio indica inoltre un percorso in otto punti, direttive che partono anche dalle «Best Practicedell’Organizzazione mondiale della Sanità. Tra questi, la «Serietà impeccabile», ribadendo che «la Chiesa non si risparmierà nel compiere tutto il necessario per consegnare alla giustizia chiunque abbia commesso tali delitti». Senza più coperture.

            Tutto ciò peraltro non basta ai gruppi di vittime che in piazza San Pietro lamentano «rabbia e delusione», perché il convegno si sarebbe concluso solo con «parole» e «nessun fatto concreto». Secondo Francesco Zanardi, presidente della Rete L’Abuso (https://retelabuso.org), «molti vescovi sarebbero dovuti uscire senza abito talare».

Domenico Agasso jr  Vatican insider news  25 febbraio 2019

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Le suore: soddisfatte dal vertice vaticano, più voce alle donne

Le religiose che guidano l’Unione Internazionale delle Superiore Generali (Uisg) ed hanno partecipato al vertice sugli abusi sessuali sui minori presieduto dal Papa in Vaticano con i presidenti delle Conferenze episcopali di tutto il mondo (21-24 febbraio) hanno espresso soddisfazione per il clima di «ascolto» reciproco maturato dopo le prime «resistenze» ed auspicano che anche in futuro la voce femminile sia maggiormente valorizzata, ad esempio introducendo il diritto di voto per le donne al Sinodo.

Alla conferenza stampa, che si è svolta presso la sede dell’Uisg ed è stata moderata da suor Bernadette Reis (Stati Uniti), assistente del direttore «ad interim» della Sala Stampa vaticana Alessandro Gisotti, hanno partecipato la presidente suor Carmen Sammut (Malta), la segretaria generale suor Pat Murray (Irlanda), e poi quattro delle superiori che fanno parte del comitato direttivo: suor Aurora Torres (Messico), suor Maria Theresia Hornamann (Germania), suor Monica Joseph (India) e suor Veronica Openibo (Nigeria), una delle tre donne intervenute all’assemblea plenaria del vertice sugli abusi. Presenti tra i cronisti che hanno seguito la conferenza stampa, peraltro, anche un’altra delle tre relatrici, la giornalista messicana Valentina Alazraki.

            «Quando sono entrata la prima volta nell’aula dove si svolgevano i lavori del mio gruppo di lavoro mi sono domandata: come andrà? Io, unica donna, e gli altri, cardinali e vescovi, a parlare di questo argomento?», ha raccontato suor Hornamann. «All’inizio non sapevo bene dove ero. E il primo giorno non ho parlato. Non avevo mai visto in vita mia tanti vescovi insieme… Poi, però, nei giorni successivi ho potuto dire la mia, e sono stata ascoltata». Suor Openibo ha detto di aver percepito che «alcuni vescovi non sono stati felici» del suo intervento in plenaria, dove ha chiaramente detto che quello degli abusi è un problema anche in Africa e Asia, sottolineando però l’importanza capitale che lei attribuisce alla tutela dei minori dato che «ne va della credibilità della Chiesa». Le culture, ha detto, vanno rispettate, ma anche «evangelizzate».

Nel gruppo di lavoro, ha poi raccontato, alcuni vescovi e cardinali le hanno chiesto quel che «alcuni cardinali e vescovi sono venuti a chiedermi di spiegare meglio cosa intendevo dire nel mio discorso, ad esempio quando ho detto che a mio avviso i seminari minori andrebbero chiusi perché i ragazzini sono troppo giovani per fare una scelta del genere». Alla fine, ha detto la religiosa nigeriana con una risata, nel suo gruppo linguistico, dove sedevano anche due cardinali, lei è stata soprannominata «il terzo cardinale». Suor Joseph, anche lei unica donna nel suo gruppo di lavoro, ha detto di essere stata «felice» di partecipare e di aver registrato «grande apertura» nelle discussioni, pur aggiungendo: «Mi sarebbe piaciuto ci fossero più donne…».

            Suor Sammut ha rilevato che nel suo gruppo linguistico c’era «una enorme differenza tra i vescovi, alcuni a capo di centinaia di vescovi e altri praticamente senza una Conferenza episcopale, alcuni con grande esperienza nel campo della tutela dei minori e altri senza: c’era grande desiderio di insegnare e di imparare, grande disponibilità a condividere e molto aiuto reciproco. Io – ha detto – sono molta fiduciosa che le cose possano andare avanti». E suor Murray si è detta «impressionata dal desiderio mostrato dai partecipanti di imparare e di andare avanti. All’inizio c’era un po’ di resistenza, alcuni tendevano a dire “questo problema nella mia parte del mondo non c’è”, poi però tutti dicevano: “Non posso dire che non c’è, forse ancora non è emerso”».

            Per la religiosa irlandese, che ha sottolineato il «lungo viaggio di sofferenza» vissuto dalla Chiesa irlandese, religiose comprese, per gli abusi perpetrati per decenni nei confronti dei bambini e delle ragazze, al vertice vaticano c’era «reale gratitudine» per la presenza della voce femminile. Anche suor Torres ha registrato una «atmosfera di grande ascolto» nel suo gruppo ed ha voluto sottolineare che essa rispecchia il fatto che la Chiesa con Papa Francesco vuole affrontare il problema degli abusi «non solo collegialmente, con il coinvolgimento di tutti i vescovi, ma sinodalmente, con la partecipazione di vescovi, religiosi, laici».

            Sottolineando che il comitato direttivo dell’Uisg è stato invitato tutto a partecipare al vertice vaticano, a differenza dei Sinodi nei quali alle donne religiose sono riservati solo tre posti, e aggiungendo che l’organizzazione è «fiera» dell’intervento di suor Openido, suor Sammut ha espresso la speranza che «il vertice sia un esempio per il futuro, di modo che le donne abbiano maggiore voce nei Sinodi e negli altri incontri vaticani». La religiosa maltese ha confermato che la speranza è che si arrivi a far votare le donne al Sinodo dei vescovi: «Noi speriamo che un giorno si arrivi a quel punto, al diritto di voto, sebbene non sappiamo quando», ha detto, precisando che «i religiosi uomini ci stanno sostenendo su questa strada».

            Suor Hornamann, da parte sua, ha detto di non ritenere che ciò accadrà al prossimo Sinodo sull’Amazzonia (6-27 ottobre prossimi), raccontato che nel corso dell’incontro sugli abusi un vescovo le ha detto che non sapeva che le suore non votano al Sinodo: «Abbiamo davanti a noi una lunga strada…», ha chiosato la religiosa tedesca.

            Le superiore, tutte molto colpite dalle video-testimonianze di cinque vittime di tutti i continenti che hanno aperto la prima giornata, così come delle testimonianze di alcune vittime intervenute a porte chiuse la sera di ognuno dei tre giorni di lavoro, hanno raccontato che anche il tema della violenza nei confronti delle religiose è stato menzionato nel corso dell’incontro, ma, come ha spiegato suor Openibo, «il focus dell’incontro era sugli abusi contro i minori». Suor Murray ha riferito che «non ci sono numeri» circa questo fenomeno, ma piuttosto «racconti verbali», ed ha sottolineato che non si tratta solo di abusi sessuali, ma di diversi tipi di «molestie, bullismo, svilimento delle funzioni». Un tema sul quale, ha detto, è necessario un impegno a tutti i livelli nella educazione e nella sensibilizzazione, ha detto la segretaria generale dell’Uisg, ricordando la nota con la quale l’organizzazione ha recentemente invitato le religiose che hanno subito abusi a denunciarli apertamente.

            Le religiose hanno sottolineato che il lavoro per la tutela dei minori e il contrasto degli abusi continua dopo il vertice vaticano: se le associazioni di vittime non sono soddisfatte dal risultato del summit vaticano, «ci sono episcopati, come negli Stati Uniti, in Canada, in Irlanda, in Germania e Austria, dove la Chiesa ha fatto molto» e comunque «i vescovi ora si sono impegnati e dovranno rendere conto», ha detto suor Openibo, sottolineando: «Dobbiamo essere persone di speranza e risurrezione».

            A chi domandava un commento sull’affermazione del Papa, secondo la quale il femminismo rischia di essere un «maschilismo in gonnella», la religiosa nigeriana ha risposto: «Il Papa è un uomo argentino, anzi italo-argentino, ha fatto tutti i livelli della Chiesa… forse a volte le parole che usa sono diverse da quelle che ci piacciono, ma bisogna dire che con lui nella Chiesa il cambiamento è una realtà. Fratel Francesco – ha proseguito utilizzando l’appellativo che aveva usato nel suo intervento in plenaria per rivolgersi al Papa gesuita – bravo! Amen».

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            L’Unione Internazionale delle Superiore Generali conta più di 1.850 membri, rappresentando più di 600mila religiose di vita apostolica a livello mondiale. All’incontro vaticano hanno partecipato le otto superiori che siedono nel comitato direttivo Uisg, e inoltre la segretaria generale suor Murray, e la superiora delle salesiane, Yvonne Reungoat. La Uisg ha pubblicato due dichiarazioni sul tema della protezione dei minori e degli adulti vulnerabili: una il 25 novembre 2018 dal titolo “Contro ogni forma di abuso” e un’altra il 19 febbraio 2019, insieme con l’Unione Internazionale Superiori generali (Usg), dal titolo “L’abuso di bambini è un male ovunque e in ogni tempo: questo punto non è negoziabile”. A ridosso dell’assemblea plenaria che si svolgerà dal 6 al 10 maggio prossimi, l’Uisg organizzerà a Roma due workshop, uno sulle nuove tendenze degli orfanatrofi e uno sulla protezione dei minori.

Iacopo Scaramuzzi    Vatican insider news  25 febbraio 2019

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L’Incontro ecclesiale di Roma.

Quanto abbiamo visto accadere nella Chiesa di Roma in questi giorni colpisce profondamente. Assistere ad una liturgia penitenziale nei Palazzi del “potere” terreno e celeste del Vaticano, celebrata verso sé stessi da chi ne è normalmente ministro per il popolo di Dio, è affatto inusuale. Sacerdoti posti dalla parte dei penitenti, come i laici, come i peccatori. Un fatto che assume un valore di portata storica. Dalle stanze dirigenti e docenti del Vaticano, spesso, in passato, velate o chiuse, esce un ossigeno di libertà, un’aria profumata di verità. Non di una verità dogmatica, che scende dalle cattedre di cui i Vescovi sono titolari, ma che viene dalla realtà, dai “piedi” della Chiesa, dalla voce di chi non ha voce e che vede riconosciuto al suo immenso silenzio il diritto alla parola e all’ascolto.

L’immagine evangelica che splendidamente esprime questo rapporto è quella della peccatrice di Luca (cf Lc 7,36-50). Mentre il Fariseo la vede e la ignora e giudica – per la condanna – sia lei, sia Gesù; Gesù la indica come la vera maestra della legge e dell’amore, costringendo Simone a guardarla e ad imparare dai suoi gesti e dalle sue lacrime. Noi non sappiamo se il Fariseo si fosse, poi, convertito, ma abbiamo visto che i Padri assembleari di questi giorni, rappresentanti di tutti i Vescovi del mondo, l’hanno fatto. Con la mitezza di un orecchio attento e di un cuore nudo; con l’umiltà dell’accoglienza della verità, con il silenzio della vergogna e la pena delle lacrime. Per noi, laici cattolici, è stata la prima volta in cui abbiamo assistito ad un clero contrito, non impegnato, innanzitutto, nell’esercizio dei suoi munera, ma dentro l’atto della fede proprio di ogni semplice battezzato: l’ascolto, la conversione e l’“eccomi”. Fondamento, del resto, di ogni credibile ministero e magistero; condizione per evitare di essere dei meri “funzionari” delle strutture religiose, o amministratori del sacro e proprietari dei suoi profitti. Per questo quanto è accaduto non è solo una “pietra miliare” nella vita della Chiesa, (Jerry O’Connor) ma anche una grande festa.

C’è un secondo aspetto di non minore importanza, quello del metodo: la celebrazione pubblica di questa “liturgia penitenziale”. La Comunità cristiana intera ne è stata informata e testimone. Le pubbliche relazioni dei lavori dell’assemblea hanno coinvolto i cristiani, in modo che potessero parteciparvi; del resto la Chiesa è la famiglia di tutti, alla cui salute tutti debbono collaborare condividendo le responsabilità, le fatiche, il peccato, la grazia e la sapienza delle analisi e delle decisioni. Certo, l’attore principale è stato ancora una volta il clero, ma un clero che presenta sé stesso al cospetto della “rabbia” di Dio, espressa dalle vittime – com’ha detto il Papa – e che rinuncia a difendersi corporativamente, ma si espone al giudizio e al confronto. Un clero che “accusa sé stesso” mostrando così timor di Dio, invece di accusare gli altri, sempre secondo le parole di Francesco. La trasparenza dell’assemblea fa di questa riunione una pagina degli Atti degli Apostoli, dove pubblicamente e in assemblea plenaria si discuteva sulle questioni essenziali della fede evangelica.

Il terzo grande merito di questa assemblea è il rapporto che ha voluto stabilire con le società civili di ogni nazione in cui la Chiesa è attendata. L’alleanza è, innanzitutto, con chi lotta contro gli abusi sui minori e si impegna, in vario modo, contro ogni violenza di tal genere. È così che l’atto penitenziale celebrato si trasforma in vera conversione, vale a dire non solo nel proponimento di cambiare rotta, ma nel diventare parte della soluzione. Vuol dire prendere impegni precisi e tassativi su cosa fare nel presente- futuro contro la “guerra” che, in tutto il mondo, viene portata, ogni giorno, ai bambini e ai ragazzi, alle donne e ai più deboli. Una conversione che è, del resto, un tutt’uno con la vocazione cristiana, la cui pura identità è dettata a Gesù: “Lo Spirito del Signore è su di me; mi ha inviato a portare il vangelo ai poveri, ai prigionieri la liberazione, ai ciechi la vista, a rimettere in libertà gli oppressi” (Lc 4,18). Proprio dai piccoli, dagli inermi, dagli esclusi, Gesù ha avuto la gioia più grande, poiché a loro il Padre ha rivelato il mistero del Regno dei cieli. Se la Chiesa non fosse leale nell’annuncio al mondo di questa Buona Notizia, non solo non resisterebbe, ma non avrebbe neppure ragione di esistere. Per questi ed altri aspetti qualcuno ha parlato di inizio di Riforma della Chiesa cattolica. Noi ci speriamo e ci crediamo fermamente.

La potenza del male. Nel suo discorso conclusivo Papa Francesco ha definito gli abusi sui bambini il segno tangibile del male. Criticando la debolezza dell’ermeneutica positivistica, ha affermato con forza che per una simile mostruosità non c’è spiegazione, né, tanto meno, giustificazione “umana”, poiché l’orrore supera l’uomo, al punto che dobbiamo ricorrere all’opera di Satana. Per chi avesse visto concretamente la devastazione degli abusi sulla carne dei piccoli questa idea non sarebbe affatto peregrina. Vedere neonati di un mese sfregiati con coltelli da cucina sull’inguine, o bruciati da mozziconi di sigarette spenti sulle parti più delicate e sensibili del corpo; bambini di meno di un anno letteralmente scotennati con geometrica cura; piccoli di quattro o cinque anni costretti a ingoiare pastiglie per fare cose che mai potrebbero fare, in condizioni di normalità, sul corpo del carnefice; beh queste e altre migliaia di fantasie del genere non possono davvero venire che dal Maligno. Tanto sembrano superare un livello di male compatibile col termine: “umano”.

La pedofilia, o l’infantofilia, – e quanto è terribile l’equivoco linguistico! – non è fatta – ahimè! – di carezze, ma di violenza inaudita, mortifera, diabolica davvero, nel suo calcolo, nella sua programmazione, nella sua reiterazione, nel suo compiacimento della repressione e della sofferenza della vittima, nella malvagità del veder distruggere il germoglio dell’umano. Vale a dire di sé stessi! Quanto rende inevitabile l’interrogazione a Dio: com’è possibile che l’uomo sia capace di tanto? Una pagina della Bibbia risponde: “Io pongo dinanzi a te la vita e il bene, la morte e il male” (Dt 30,15). Dio ha dato all’uomo, in effetti, la facoltà di fare il bene, così come di fare il male. L’essere umano può volere e fare il male. Proprio per questo Gesù dirà sulla Croce: “perdona loro, perché non sanno quello che fanno”. Non conoscono la potenza del male, lo sfregio sul corpo degli innocenti, che Gesù ha conosciuto. Per questo la guarigione dal male dei pedofili potrà venire non dalla loro eventuale, riscoperta virtù, ma dalla grazia delle loro vittime.

Vittime e carnefici. Ciò che sorprende nel fenomeno della pedofilia è, ancora, l’elemento degli ambienti nei quali si consuma: la famiglia, innanzitutto, poi la scuola, la palestra e la chiesa. I luoghi in cui non solo i bambini, ma tutti noi viviamo e i nostri figli crescono fidandosi e affidandosi. E qui si impone il tema delle donne e delle madri. Com’è possibile che le madri non vedano o non sappiano, non si accorgano, o non denuncino, non sottraggano i loro figli ai mariti e padri, agli zii e nonni? Che succede alle madri? Se pure le cinghiale diventano aggressive e capaci di sbranare chiunque si accosti ai loro neonati, perché le madri dei bambini violati, anche fin da piccolissimi, non sempre si rivoltano ai loro congiunti o agli altri che ne approfittassero? In quali condizioni versano le madri dei bambini e dei ragazzi che subiscono stupri o violenze pedofile? Spesso violentate esse stesse, vivono nel terrore. Ricattate e senza lavoro, non possono pensare di liberarsi dai loro uomini feroci. Spesso private da ragioni antiche di consapevolezza, di forza interiore, sottomesse nelle coscienze al potere maschile ed ai suoi arbìtri. Sole e senza dignità, né parola, né alcuna facoltà di agire. Ho conosciuto donne nate da stupri – consumati da uomini vecchi su membra poco più che bambine– stigmatizzate e isolate – anche fisicamente – nelle scuole religiose come “figlie del peccato”. Un fatto che appartiene al passato, quando nessuno denunciava simili cose, ma che ci fa capire come sia verosimile che il crimine del pedofilo diventi, paradossalmente, l’origine del senso di colpa che schiaccerà il cuore della vittima.

Il pensiero delle donne. Accanto a queste povere donne e madri, ci sono state, però, e ci sono in numero sempre crescente, le donne che gridano contro queste mostruosità, che denunciano, che mettono in pieno il loro impegno, la loro forza e il loro coraggio, la loro cura per trarre dal magma dell’orrore, sia i figli, sia le madri; sia le bambine, sia le donne. Statisticamente, nella famiglia, come nella Chiesa, così come in altri ambiti della società civile, la pedofilia è praticata in grandissima parte da uomini per cui, oltre alla conversione degli stessi – di cui vediamo, oggi, promettenti esempi – dovranno essere le donne a far da muro critico e di protezione tra padri e figli/e, tra vecchi e bambine/i; tra neonati di ogni sesso e maschi adulti malati o in cerca di affermare la loro smania di potere. Un “muro” che si traduca in una strada per fare esperienza di relazioni sane e mature; che assuma parole e compiti di educazione e formazione della persona, affinché si diventi capaci, tutti insieme, di autentici rapporti umani, che non possono prescindere dall’affettività, dalla moralità e dalla spiritualità. Che porti a reclamare la paternità degli uomini, sempre più spesso disertata o rifiutata dagli stessi, attratti dal mito di un’eterna adolescenza. Il delitto della pedofilia è il delitto dei padri che rapinano la vita ai propri figli, e, nella Chiesa, il peccato che rende il mondo orfano di Dio e sospetta anche la Sua paternità. Noi donne di ogni fede e cultura, non dobbiamo renderci complici dell’omertà, ma dobbiamo combatterla con decisione e radicalità; dobbiamo superare la paura maturata in secoli di sottomissione, ricatto, violenza e dipendenza che ci hanno fatto “snaturare” persino l’identità femminile e materna, al punto di indurci, talvolta, anche a una tragica e passiva connivenza.

A proposito della pedofilia nella Chiesa, lo storico Alberto Melloni ha dato un’origine molto chiara, ponendola, proprio, nel silenzio delle donne che venne loro imposto, pochi anni dopo la nascita del Cristianesimo, contro la logica evangelica (cf Repubblica 20 febbraio 2019). Papa Francesco ha pronunciato parole preziose a proposito della donna, dopo la relazione di Linda Ghisoni: “dare più funzioni alla donna è buono, ma dobbiamo valorizzare il suo pensiero”, ha detto. Sì la Chiesa cattolica ha bisogno di un “pensiero femminile” che aiuti a liberare e promuovere un fecondo pensiero maschile, così da farsi interprete, con esso, di quel “pros tò simpheron pros tò simpheron” “quel bene di tutti” che è la costruzione del “corpo” della Chiesa (cf. 1Corinzi 12,7). L’integrità e la comunione della Chiesa è, infatti, l’unica, autentica testimonianza del Corpo del Signore: insultato, violato, flagellato, ucciso, come tante delle nostre povere creature, ma poi Risorto. E proprio ai fini della testimonianza della Resurrezione, indispensabile è il pensiero e l’esserci appieno della donna, sentinella che veglia nella notte, sospingendo la luce sull’alba del Risorto, proprio come hanno fatto le donne dei Vangeli.

Rosanna Virgili                       “www.chiesadituttichiesadeipoveri.it”        26 febbraio 2019

www.chiesadituttichiesadeipoveri.it/contro-la-guerra-ai-bambini

 

«Sono necessarie riforme di grande portata”

Intervista a Jean-Marc Sauvé, Presidente della commissione indipendente d’inchiesta sugli abusi nella Chiesa cattolica. Al termine del summit sugli abusi sessuali che si è tenuto a Roma dal 21 al 24 febbraio 2019, l’ex vice-presidente del Consiglio di Stato rileva che la Chiesa ha fatto un nuovo passo avanti sulla “strada di una rottura radicale” con gli abusi.

Cosa rileva d’importante nel summit che si è appena tenuto a Roma?

Osservo che c’è uno scarto tra le attese di una parte del pubblico e i risultati di questo incontro. Ma credo anche che a Roma sia avvenuta una presa di coscienza e che ci sia stata una presa di posizione nuova e spettacolare sulla questione degli abusi sessuali. Sono intollerabili e devono essere fermamente sanzionati e sradicati.

Ancor più che in agosto con la Lettera al popolo di Dio di papa Francesco, la Chiesa cattolica sembra essersi impegnata sulla strada di una rottura radicale con un aspetto oscuro della sua storia. Ma al di là della presa di coscienza di questo male e dell’imperativo della tolleranza zero, dovrebbe impegnarsi ad andare fino in fondo in una vera riforma complessiva. La posizione della Chiesa deve essere assolutamente chiara. Non si può dire che il problema degli abusi sessuali si ritrova identico in altre istituzioni. Questo è sicuramente vero, ma non è un argomento sostenibile, perché tutti sentono bene, e in primo luogo i cristiani, che la Chiesa si riconosce o piuttosto ha ricevuto una missione speciale, che è assolutamente ineguagliabile nella nostra società. Il papa lo ha ripetuto domenica.

In che modo la Commissione da lei presieduta può contribuire al lavoro della Chiesa?

Il mandato della commissione è di redigere un esame della situazione degli abusi sessuali commessi nella Chiesa dal 1950, di esaminare come sono stati trattati o non trattati, di fare una diagnosi su tale situazione e di fare delle raccomandazioni il più possibile concrete e operative per metter fine a questa piaga. La nostra commissione dispone a tal fine di un periodo che va dai diciotto ai ventiquattro mesi. È stato anche detto inizialmente che tale durata non era sufficiente vista la vastità del compito. In Germania e in Australia, ad esempio, il solo lavoro di definizione dei fatti è durato quattro-cinque anni. Ma c’è anche l’urgenza di agire. La nostra scadenza non rinvia alle calende greche la pubblicazione dei risultati e delle proposte.

Come può la Chiesa affrontare la sua perdita di credibilità?

Per uscire dall’epoca del sospetto generalizzato, sono necessarie misure di grande portata. Per far questo, la Chiesa deve prima di tutto contare su se stessa e affrontare gli abusi di potere e di coscienza di cui gli abusi sessuali sono una conseguenza, come ha chiaramente detto papa Francesco l’agosto scorso. Ma essa non può condurre da sola le riforme indispensabili e deve accettare di essere aiutata da persone di buona volontà, credenti o non credenti. Il fatto che da alcune parti, come in Francia, dia mandato ad organismi esterni indipendenti e voglia basarsi sulle loro riflessioni o sulla loro competenza, è di buon augurio.

Bisogna riuscire a tener conto delle procedure, delle competenze e delle esperienze ecclesiastiche e civili per uscire positivamente dalla crisi attuale, perché gli abusi sessuali sono un male grave, un peccato dal punto di vista della morale cristiana, ma sono anche un crimine sul piano della giustizia umana. Bisogna quindi che i dispositivi di prevenzione (reclutamento e formazione dei preti e dei religiosi…) e di sanzione messi in atto a tutti i livelli siano completi, credibili e pertinenti in entrambi gli ambiti, quello della Chiesa e quello del mondo. Per restaurare la fiducia, bisogna essere in grado di rispondere in maniera globale ad una problematica globale ed evitare anche la trappola del clericalismo.

Marie Malzacin         “La Croix” 8 febbraio 2019            (traduzione: www.finesettimana.org)

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201902/190228sauvemalzac.pdf

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ASSEGNO DI MANTENIMENTO PER I FIGLI

È reato non versare il mantenimento al figlio naturale

Corte di cassazione, sesta sezione penale, sentenza n. 8297, 25 febbraio 2019

www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_33753_1.pdf

Può configurarsi il reato di cui all’art. 570-bis del codice penale anche qualora la violazione degli obblighi di assistenza familiare si verifichi nei confronti dei figli nati fuori dal formale vincolo del matrimonio. Lo ha ribadito la Corte di Cassazione, pronunciandosi sul ricorso di un uomo ritenuto colpevole del reato di cui all’art. 3 della L. n. 54/8 febbraio 2006 per aver violato gli obblighi di natura economica nei confronti dei figli nati da una relazione more uxorio.

            In Cassazione, l’imputato ritiene che l’entrata in vigore del D. lgs. n. 21/1 marzo 2018 abbia comportato l’abrogazione delle norme (artt. 12 sexies della L. n. 898/1 dicembre 1970 e 3 della L. n. 54/2006) in forza delle quali lo stesso ricorrente era stato incriminato.

            Inoltre, ritiene che la relativa condotta non possa essere ricompresa nella fattispecie di cui all’art. 570-bis c.p. che fa riferimento alla qualità di coniuge, mentre lui era in una coppia convivente e non unita in matrimonio.

Gli Ermellini chiariscono che il delitto previsto dall’art. 570-bis c.p., introdotto dal D.lgs. 21/1 marzo 2018, è configurabile anche in caso di violazione degli obblighi di natura patrimoniale stabiliti nei confronti di figli minori nati da genitori non legati da vincolo formale di matrimonio (cfr. Cassazione, n. 55744/12 dicembre 2018).

www.neldiritto.it/public/pdf/Cass.,%20Sez.%20VI,%20n.%2055744%20del%2012.12.2018.pdf

Si ribadisce la validità dell’orientamento di legittimità alla stregua del quale, in tema di reati contro la famiglia, è configurabile il reato di cui all’art. 3, legge 54/2006, anche in caso di omesso versamento, da parte di un genitore, dell’assegno periodico disposto dall’autorità giudiziaria in favore dei figli nati fuori dal matrimonio (cfr. Cass. n. 14731/30 marzo 2018).

A tale conclusione si giunge anche alla luce dell’interpretazione sistematica della disciplina sul tema delle unioni civili e della responsabilità genitoriale nei confronti dei figli (L. 76/20 maggio 2016 (Cirinnà) e D.lgs. 154/ 28 dicembre 2013) che ha inserito l’art. 337-bis. c.c., e, quindi, di una rilettura dell’art. 4, comma secondo, legge n. 54/8 febbraio 2006, tutt’ora in vigore, in base al quale le disposizioni introdotte da tale legge si applicano anche ai procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati e, pertanto, agli inadempimenti degli obblighi fissati dal tribunale dei minori nei loro confronti.

            Tale assetto non risulta superato dalla novella introdotta con l’art. 570-bis c.p., in esecuzione della delega conferita con la legge n. 103/q23 giugno 2017 di natura meramente compilativa che autorizzava la traslazione delle figure criminose già esistenti nel corpus del codice, senza contemplare alcuna modifica sostanziale delle stesse.

Secondo la giurisprudenza, l’esegesi letterale dell’art. 570-bis c.p., che distingue tra la posizione dei figli nati da genitori conviventi rispetto alla prole nata in costanza di matrimonio, si pone in netta antitesi con la piena equiparazione realizzata nell’ambito del diritto civile (artt. 337-bis e ss. c.c.).

            In sostanza, gli obblighi dei genitori, che nascono dal rapporto di filiazione, non subiscono alcuna modifica a seconda che sia o meno intervenuto il matrimonio, in conformità, del resto, alla previsione dell’art. 30, comma 3, della Costituzione.

            In tale contesto normativo, la Cassazione conclude ritenendo che l’unica interpretazione sistematicamente coerente e costituzionalmente compatibile e orientata, è quella che porta ad applicare l’art. 570-bis c.p. anche alla violazione degli obblighi di natura economica che riguardano i figli nati fuori del matrimonio.

Lucia Izzo      studio Cataldi 3 marzo 2019

www.studiocataldi.it/articoli/33753-e-reato-non-versare-il-mantenimento-al-figlio-naturale.a

 

Cassazione: fare la spesa non esonera il padre dal mantenere i figli

Corte di Cassazione, sesta sezione penale, sentenza n. 8047, 22 febbraio 2019

www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_33670_1.pdf

Il genitore che omette di versare l’assegno di mantenimento nei confronti dei figli minori non sfugge alla condanna per violazione degli obblighi di assistenza familiare, anche se questi rappresenta di aver fatto la spesa per la prole per alcuni mesi.

            L’acquisto mensile di generi alimentari per qualche mese successivo alla separazione, infatti, non esonera dalla corresponsione dell’assegno mantenimento e dal doversi occupare anche di altre esigenze e bisogni essenziali dei figli.

Lo ha chiarito la Corte di Cassazione dichiarando inammissibile il ricorso di un uomo condannato a 4 mesi di reclusione e 400€ di multa per il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare (art. 570 c.p.)

            L’uomo tenta di difendersi evidenziando che la condotta inadempiente si era protratta per poco tempo poiché, per diversi mesi dopo la separazione, aveva fatto mensilmente la spesa, per un valore di circa 100 euro ogni mese, così contribuendo al mantenimento dei figli e all’acquisto dei viveri per loro. Pertanto, contesta al giudice di appello di non aver indicato esattamente i mesi in cui la violazione sarebbe avvenuta.

            Tale censura, precisano gli Ermellini, si fonda sull’erronea individuazione dell’epoca di commissione del reato, che il ricorrente circoscrive a soli quattro mesi anziché al ben più ampio arco temporale di protrazione della condotta.

Da tale premessa erronea fa discendere l’insussistenza del reato, in quanto la stessa madre dei ragazzi aveva ammesso che, per i primi quattro mesi dopo la separazione di fatto, l’imputato aveva provveduto a fare la spesa per un valore di circa 100 euro mensili e a fornire beni alimentari ai figli, senza poi corrispondere più nulla, pur continuando a lavorare presso una palestra.

            Tuttavia, come evidenziato in sentenza, la donna, lavorando saltuariamente, non era stata in grado di provvedere ai bisogni dei tre figli minori, tanto da dover ricorrere all’aiuto di enti assistenziali.

            Facendo corretta applicazione dei principi in materia di violazione degli obblighi di assistenza familiare, i giudici hanno ritenuto che la minore età dei discendenti, destinatari dei mezzi di sussistenza, rappresenta “in re ipsa” una condizione soggettiva dello stato di bisogno, che obbliga entrambi i genitori a contribuire al loro mantenimento, assicurando loro i mezzi di sussistenza (Sez. 6, n. 53607 del 20/11/ 2014, Rv. 261871).

            Inoltre, era emerso che alle esigenze dei figli provvedeva esclusivamente la madre e che, a parte acquistare, solo a volte, prodotti alimentari per i figli, l’imputato non si era occupato di altre loro esigenze o bisogni essenziali, anche per cure mediche.

            Ritenuto provato lo stato di bisogno dell’ex coniuge, rinvenendone la conferma proprio nella necessità della stessa dì ricorrere a lavori saltuari e all’aiuto di terzi per provvedere alle esigenze dei figli, i giudici hanno di conseguenza e in modo del tutto coerente, ritenuto sussistente il reato contestato. Il ricorso va dunque respinto.

Lucia Izzo      studio Cataldi 25 febbraio 2019

www.studiocataldi.it/articoli/33670-cassazione-fare-la-spesa-non-esonera-il-padre-dal-mantenere-i-figli.asp

 

Cassazione: l’art. 570-bis c.p. si applica anche in caso di figli nati fuori dal matrimonio

Corte di Cassazione, sesta sezione penale, sentenza n. 8297, 25 febbraio 2019

ilfamiliarista.it/articoli/news/cassazione-l-art-570-bis-cp-si-applica-anche-caso-di-figli-nati-fuori-dal-matrimonio

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CENTRO GIOVANI COPPIE SAN FEDELE

Conferenza “Coppia e denaro. Le sfide dell’oggi”

All’interno del ciclo di conferenze 2018-19 “Un che si chiama desiderio”, avrà luogo la Conferenza “Coppia e denaro. Le sfide dell’oggi”. Giovedì 21 marzo 2019, Ore 21 Piazza San Fedele, 4 – Milano

            L’intervento si propone di mettere in evidenza la rilevanza che il denaro ha nella coppia. La nostra società rileva sì, drammaticamente in tempo di crisi, l’importanza del denaro, ma si è effettuata una scissione, come se ci fossero due territori non comunicanti. Ci sono gli esperti dell’economia e della finanza, a cui sembra sconosciuto il linguaggio degli affetti, e gli esperti di relazioni affettive, per cui l’argomento denaro entra poco, e viene subito rimandato altrove.

Se esaminiamo il percorso di una coppia durante il ciclo di vita, all’inizio è molto diffusa la scissione: in amore non si conta. L’amore romantico non può essere sporcato con banali discorsi di soldi. Con il matrimonio, la convivenza, l’acquisto della casa, il denaro entra da protagonista, ma spesso la prevalenza dell’amore impedisce di notare cose che, se l’amore non ci fosse, potrebbero essere problemi. L’aiuto delle famiglie d’origine spesso contribuisce a mantenere sottili legami di potere e controllo.

Nelle separazioni conflittuali, quando l’amore non c’è più, il denaro diventa spesso arma di ricatto e di vendetta, coinvolgendo anche i figli.

Le questioni di valore nelle relazioni familiari e affettive sono spesso legate a questioni di potere che condizionano le scelte e le vite delle persone. Se i soldi stanno in sintonia con le scelte di vita, allora l’equilibrio è salvo.

La nostra società rileva sì, drammaticamente in tempo di crisi, l’importanza del denaro, ma si è effettuata una scissione, come se ci fossero due territori non comunicanti. Ci sono gli esperti dell’economia e della finanza, a cui sembra sconosciuto il linguaggio degli affetti, e gli esperti di relazioni affettive, per cui l’argomento denaro entra poco, e viene subito rimandato altrove.

            Relatrice: Valeria Fassi, psicologa psicoterapeuta. Ha lavorato nei servizi pubblici di Milano dal 1975 alla fine del 2007, dando vita negli anni ’90 a uno dei primi centri pubblici di Psicoterapia familiare in Italia, di cui è stata responsabile. Ora lavora nel Servizio di Psicologia Clinica per la Coppia e la Famiglia dell’Università Cattolica di Milano, è Docente nei Corsi di Mediazione Familiare del Centro Milanese di Terapia della Famiglia.

Ingresso libero              www.centrogiovanicoppiesanfedele.it/events/coppia-e-denaro-le-sfide-delloggi

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CENTRO INTERNAZIONALE STUDI FAMIGLIA

Newsletter CISF – n. 8, 27 febbraio 2019

Chiavi per la bioetica (Keys to Bioethics). Un breve video (meno di due minuti) che introduce, con efficaci immagini e testi molto semplici, alcune delle grandi domande della bioetica oggi: “L’embrione è solo un grumo di cellule? Le tecniche di diagnosi prenatale sono accettabili? Chi giudica il valore di una vita? La riproduzione assistita è l’unica alternativa in caso di sterilità? Cosa sono i metodi naturali? Cosa significa morire con dignità?” Informazioni, spiegazioni scientifiche, riflessioni etiche e testimonianze in merito a tutti questi interrogativi sono raccolte in “Keys to bioethics”, manuale virtuale di bioetica per giovani realizzato dal Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, in collaborazione con la Fondazione Jérôme Lejeune, presentato nel corso della GMG di Panama. App gratuita in italiano, inglese e spagnolo.

www.youtube.com/watch?v=wyndw1don1M&feature=youtu.be

Indagine del ministero della salute sulla fecondità in Italia.  “Davvero preziosa l’indagine “Studio Nazionale Fertilità]”, promossa dal Ministero della Salute, con decine di migliaia di interviste a ragazzi (15-17 anni), studenti universitari, popolazione adulta e ad un campione di medici (pediatri e medici di famiglia).                                              www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_2823_allegato.pdf

v  Finalmente si può riflettere su un argomento così sensibile (idee e stili di vita rispetto alla sessualità, atteggiamento verso i figli, progetti di fertilità) non a partire da ideologie, ma sulla base di dati seri ed affidabili.” Due riflessioni del Direttore del Cisf (F.Belletti), su Avvenire.it e Famiglia cristiana.it.

www.avvenire.it/attualita/pagine/belletti-una-sfida-culturale-rilanciare-i-consultori-familiari?fbclid=IwAR3Ax5gl63hvKnwOLbCclTGhfPenPOZWsDa90Rs3eYiN0Ix6c0m00qu6MJw

www.famigliacristiana.it/articolo/indagine-nazionale-sulla-fertilita-del-ministero-della-salute-pensiamoci-seriamente.aspx?utm_source=newsletter&utm_medium=newsletter_cisf&utm_campaign=newsletter_cisf_27_02_2019

UK Workparent. Offrire soluzioni e dignità per ogni genitore che lavora. Interessante esperienza di una società in Gran Bretagna (a scopo di lucro) che intende promuovere la condizione dei genitori al lavoro, evidenziando le soluzioni organizzative e le strategie personali attraverso cui riuscire a migliorare le proprie attività in entrambi gli ambiti di vita: il contesto lavorativo e la vita familiare/genitoriale.

www.workparent.com/about-us/

Rapporto ONU sui giovani e gli obiettivi 2030 per lo sviluppo sostenibile (youth and the 2030 agenda for sustainable development). Ricco di documentazione e di indicatori comparativi tra Paesi ed aree geografiche, il Rapporto Giovani 2030 dell’ONU (World Youth Report) confronta la condizione dei giovani con il perseguimento dei 17 obiettivi per lo sviluppo sostenibile al 2030, evidenziando la possibilità che i giovani siano “motore attivo” per tali obiettivi, e non destinatari passivi delle azioni di governi, NGO, o altri organismi nazionali e internazionali.

www.un.org/development/desa/youth/wp-content/uploads/sites/21/2018/12/WorldYouthReport-2030Agenda

L’anello debole. XIII edizione del premio per video/ audio/ cortometraggi. È stato pubblicato il bando della tredicesima edizione del premio internazionale L’anello debole, assegnato dalla Comunità di Capodarco ai migliori video e audio cortometraggi, giornalistici o di finzione, su tematiche sociali e ambientali. Scadenza di consegna delle opere: 25 marzo 2019. Le sezioni del concorso e i relativi premi sono 4: a) audio cortometraggi (da 3’ a 25’); b) video cortometraggi della realtà (da 3’ a 25’); c) video cortometraggi di fiction (da 3’ a 25’); d) video cortissimi (entro 3’).

Dalle case editrici

  • Osvaldo Poli, Aiuto, ho un figlio impossibile. Come sono i caratteri difficili e come si gestiscono, San Paolo, Cinisello B. (MI), 2019, pp. 155, € 14,50.

Non ubbidiscono a prescindere, sono polemici e litigiosi, oppositivi, mai disposti a chiedere scusa, vendicativi, pronti a manipolare e prevaricare gli altri, insofferenti di fronte a qualsiasi limite. Per chi ha la fortuna di avere figli docili, è davvero difficile immaginare cosa significa convivere con un figlio con un temperamento così estremo.

Questo volume è dedicato ad un’analisi serrata dei problemi quotidiani che questi genitori incontrano, con l’obiettivo di aiutare mamme e papà a sgombrare il campo da inutili sensi di colpa e dalla condanna del “determinismo educativo”. L’autore – noto psicologo e psicoterapeuta –  ai genitori che non ce la fanno più e che si sentono impotenti offre piuttosto un percorso per cercare di rivedere il proprio modo di essere educatori, trasformando la rabbia e l’insistenza in serena accettazione di ciò che non si può cambiare. «Non si può fare il genitore di chi si rifiuta di riconoscersi figlio. Eppure, esiste un modo di amarli, nonostante tutto, dentro il dolore dell’impotenza … Si può essere sereni anche nel dolore, perché la serenità non dipende dagli esiti (quelli dipendono dal figlio), ma dal proprio dovere compiuto fino in fondo. Invece di corrergli dietro, ci si dispone ad attenderlo, nella speranza sempre viva che le circostanze della vita lo aiutino a capire ciò che non ha voluto apprendere. C’è molto amore nell’attesa».

Specializzarsi per la famiglia.

  • Corso di mediazione familiare. CTA Milano. “Il corso si rivolge a psicologi, medici, avvocati, assistenti sociali, e ai professionisti che si trovano a dover gestire situazioni di conflitto nella propria pratica lavorativa che abbiano i requisiti previsti dallo statuto e dal regolamento AIMS. Gli obiettivi principali del corso sono di formare operatori esperti in mediazione in grado di sostenere la riorganizzazione delle relazioni familiari in situazioni di conflitto, in vista o a seguito di separazione e divorzio. Il corso, riconosciuto AIMS, si pone l’obiettivo di formare operatori esperti in mediazione in grado di progettare la riorganizzazione delle relazioni familiari in situazioni di conflitto, in vista o a seguito di separazione o divorzio, coinvolgendo tutti i membri della famiglia, compresi i bambini”

www.centrocta.it/scuola-biennale-cta-di-mediazione-familiare-sistemica-delleta-evolutiva-2

Save the date

  • Nord: 2040: ripopolare l’Europa. Natalità, invecchiamento, flussi migratori, all’interno del ciclo “Un’Europa per i giovani”, promosso da Fondazione Ambrosianeum, Milano, 11 marzo 2019.

www.ambrosianeum.org/2040-ripopolare-l-europa–natalita—invecchiamento–flussi-migratori

  • Nord: Cercare un nuovo inizio (LS 207). Per una pastorale sociale capace di futuro: Lavoro – Giovani – Sostenibilità, 4. Seminario Nazionale di pastorale sociale e lavoro, Treviso, 13-16 marzo 2019.

banchedati.chiesacattolica.it/cci_new/appuntamenti_cei/2019-02/13-36/Depliant-Treviso2019.pdf

  • Centro:L’aggressività nelle relazioni tra adolescenti (come individuare il confine tra scherzo e violenza, Strategie di prevenzione nei confronti dell’abuso), promosso da Pianeta Charlie e altri enti,Pontedera (PI), 28 febbraio 2019.                     http://cds.redattoresociale.it/File/Allegato/621170.jpg
  • Centro: Cyberbullismo: dal fenomeno alle strategie di contrasto, promosso da Unione Giuristi Cattolici Italiani – Unione Romana, LUMSA e Associazione “Tutela dei diritti”, con crediti formativi ordinari, Roma, 1 marzo 2019.       http://cds.redattoresociale.it/File/Allegato/621170.jpg
  • Sud: pediatria vulcanica 3.0, evento promosso da Idea Congress, con crediti Ecm, Catania, 9 marzo 2019                  www.ideacpa.com/pdf/congressi/programma_26_10_1540549262.pdf
  • Estero: How EU policies and funding can support national governments to ensure quality alternative care for children in migration (Come sostenere i governi nazionali con scelte politiche e finanziamenti dell’Unione Europea per garantire servizi di cura alternativa di qualità ai minori migranti), incontro promosso da Eurochild, Forum Foster Care for Unaccompanied Migrant Children, Socialisti e Democratici Europei, Bruxelles, 3 aprile 2019

www.eurochild.org/fileadmin/public/02_Events/2019/forum_event.pdf

Iscrizione                http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/newsletter-cisf.aspx

Archivio        http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/elenco-newsletter-cisf.aspx

newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/febbraio2019/5112/index.html

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CHIESA CATTOLICA

                             “Figli dei sacerdoti, il criterio da seguire è il bene dei bambini”

Quello dei “figli dei preti” è un tema rimasto per lungo tempo tabù, con la conseguenza spesso, soprattutto nel passato, che questi bambini crescevano senza avere un padre conosciuto e riconosciuto. Si tratta comunque di un problema distinto da quello affrontato la settimana scorsa in Vaticano, centrato sugli abusi commessi ai danni di minori. Negli ultimi giorni è stato presente a Roma lo psicoterapeuta Vincent Doyle, figlio di un prete cattolico irlandese e fondatore di “Coping International” (www.copinginternational.com), un’associazione per la difesa dei diritti dei figli di preti cattolici in tutto il mondo. Doyle vuole far «uscire dall’anonimato» e aiutare psicologicamente «le tante persone nate da una relazione fra una donna e un prete» in varie parti del mondo.

Lo psicoterapeuta irlandese in recenti interviste su diversi media ha parlato di un documento della Congregazione per il Clero – di fatto, di uso interno, impropriamente definito “segreto” – riguardante l’atteggiamento da tenere in questi casi. L’esistenza di queste linee guida interne, conosciute dallo stesso Doyle sin dal 2017, e il criterio generale riguardante la protezione dei bambini sono stati confermati dal direttore ad interim della Sala Stampa della Santa Sede Alessandro Gisotti. Ne parliamo con il cardinale Beniamino Stella, Prefetto della Congregazione del Clero, il Dicastero che si occupa di tale aspetto della vita dei sacerdoti.

            Eminenza, quali sono i criteri che guidano le decisioni da prendere nel caso di sacerdoti con figli?

R. – Il Dicastero segue una prassi fin dai tempi in cui era Prefetto il Cardinale Claudio Hummes – da una decina di anni – il quale per primo aveva portato all’attenzione del Santo Padre, all’epoca Benedetto XVI, i casi di sacerdoti minori di 40 anni con prole, proponendo di far loro ottenere la dispensa senza attendere il compimento del quarantesimo anno come previsto dalle norme di quel tempo. Una tale decisione aveva, e ha, come obiettivo principale quello di salvaguardare il bene della prole, il diritto cioè dei bambini ad avere accanto a sé un padre oltre che una madre. Anche Papa Francesco, che già si era espresso in questo senso da cardinale arcivescovo di Buenos Aires durante un dialogo con il rabbino Abraham Skorka pubblicato nel libro «Il cielo e la terra», è stato categorico: l’attenzione prioritaria da parte del sacerdote deve essere nei riguardi della prole.

Che cosa si intende con “attenzione”?

R. – Certamente non ci si riferisce soltanto al pur necessario sostentamento economico. Ciò che deve accompagnare la crescita di un figlio è soprattutto l’affetto dei genitori, una adeguata educazione, di fatto tutto ciò che comporta un effettivo e responsabile esercizio della paternità, soprattutto nei primi anni della vita.

            Può dire in che cosa consiste il documento interno di cui si è parlato?

R. – Si tratta di un testo intitolato “Nota relativa alla prassi della Congregazione per il Clero a proposito dei chierici con prole”, che raccoglie e sistematizza la prassi in vigore da anni nel Dicastero. Come è stato spiegato, si tratta di uno strumento di lavoro a cui fare riferimento quando si presenta una situazione del genere, un testo “tecnico” per i collaboratori del Dicastero, da cui farsi guidare. Solo per questo non è stato pubblicato. Consta per altro che il signor Doyle abbia potuto prenderne visione due anni fa. Questo testo viene abitualmente presentato e commentato dalla Congregazione alle Conferenze Episcopali e a singoli Vescovi, che trattano il tema e chiedono come procedere.

Può spiegare come si comporta oggi il Dicastero che lei presiede di fronte a questi casi?

R. – La presenza dei figli nei dossier relativi alle dispense sacerdotali è stata trattata, di fatto, come una causa praticamente “automatica” per una presentazione celere del caso al Santo Padre ai fini della concessione della dispensa stessa. Si cerca dunque di fare il possibile perché la dispensa dagli obblighi dello stato clericale sia ottenuta nel più breve tempo possibile – un paio di mesi – così che il prete possa rendersi disponibile accanto alla madre nel seguire la prole. Una situazione di questo genere è considerata “irreversibile” e richiede che il sacerdote abbandoni lo stato clericale anche qualora egli si ritenga idoneo al ministero. Un calcolo approssimativo sulle richieste di dispensa fa emergere che circa 1’80% di queste comporta la presenza di prole, benché spesso concepita dopo l’abbandono del ministero stesso.

            Questa regola viene applicata sempre e comunque? La si applica anche nel caso in cui i preti con figli non vogliano chiedere la dispensa dal ministero?

            R. – A volte capita che i Vescovi e i Superiori religiosi presentino la situazione di sacerdoti che non intendono chiedere la dispensa, anche di fronte alla presenza di figli, soprattutto quando è cessata la relazione affettiva con la loro madre. In tali casi ci sono, purtroppo, Vescovi e Superiori i quali pensano che, dopo aver sistemato economicamente la prole, o dopo aver trasferito il sacerdote, il chierico possa continuare a esercitare il ministero. Le incertezze in questa materia, quindi, nascono dalla resistenza dei sacerdoti a chiedere la dispensa, dall’assenza di una relazione affettiva con la donna e a volte dal desiderio di alcuni Ordinari di offrire al sacerdote pentito e ravveduto una nuova opportunità ministeriale. Quando, secondo la valutazione del Vescovo o del Superiore responsabile, la situazione richiede che il sacerdote si faccia carico delle responsabilità derivanti dalla paternità, ma non vuole chiedere la dispensa, il caso viene presentato alla Congregazione per la dimissione del chierico dallo stato clericale. Ovviamente, un figlio è sempre un dono di Dio, comunque sia stato generato. La perdita dello stato clericale si dà perché la responsabilità genitoriale crea una serie di obblighi permanenti che nella legislazione della Chiesa latina non prevedono l’esercizio del ministero sacerdotale.

            Questa regola è generale e sempre valida, oppure ogni caso viene affrontato in modo diverso?

R. – Ovviamente, ogni caso va esaminato nel merito e nella propria specificità. Le eccezioni sono in realtà molto rare. Ad esempio, si dà il caso di un neonato, figlio di un sacerdote, che per determinate situazioni entra a far parte di una famiglia già consolidata, in cui un altro genitore assume nei suoi confronti il ruolo di padre. Oppure quando si tratta di sacerdoti avanti con gli anni, con figli in età già “matura”, di 20-30 anni. Preti che hanno avuto in gioventù dolorose vicende affettive e che hanno poi provveduto ai figli con accompagnamento economico, morale e spirituale, e oggi esercitano il loro ministero con zelo e impegno, dopo aver superato le fragilità affettive precedenti. In queste situazioni, il Dicastero non obbliga i Vescovi a invitare i preti a chiedere la dispensa. Si tratta, mi pare, di casi in cui il Dicastero consiglia un più flessibile discernimento all’interno di una prassi e di linee guida rigorose per la Congregazione.

            Che cosa può rispondere a quanti sostengono che la presenza dei figli dei sacerdoti è un argomento per l’introduzione del celibato facoltativo per i sacerdoti della Chiesa latina?

R. – Il fatto che alcuni preti abbiano vissuto delle relazioni e abbiano messo al mondo dei figli non tocca il tema del celibato sacerdotale che rappresenta un dono prezioso per la Chiesa latina, sul cui valore sempre attuale si sono espressi gli ultimi Pontefici, da san Paolo VI fino a Papa Francesco. Così come l’esistenza di casi di abbandono del tetto coniugale e della prole ovviamente non tocca il valore sempre attuale del matrimonio cristiano. L’importante è che il sacerdote di fronte a questa realtà sia in grado di comprendere qual è la sua responsabilità di fronte al figlio: il suo bene e la sua cura devono essere al centro dell’attenzione della Chiesa perché non manchino alla prole non soltanto il necessario per vivere, ma soprattutto il ruolo educativo e l’affetto di un padre.

www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2019-02/card-stella-figli-sacerdoti-criterio-bene-bambini.html

 

Il Vaticano sapeva degli abusi del sacerdote Maciel dal 1943. Una “mafia” l’ha protetto per 63 anni

Il Vaticano sapeva dei reati di pedofilia del fondatore dei Legionari di Cristo, Marcial Maciel Degollado, dal 1943. Non si è proceduto contro di lui perché «coloro che lo proteggevano erano una mafia, non erano Chiesa». È quello che ha detto il prefetto della Congregazione per gli Istituti di Vita consacrata (la Congregazione per i religiosi), il card. João Braz de Aviz in un servizio del settimanale cattolico spagnolo Vida nueva pubblicato nel numero del 15 novembre 2018. Se è riemerso dalle brume della disattenzione (anche di Adista, confessiamo) è per merito del quotidiano El País che ne riferisce il 2 gennaio 2019, trovando eco su molti media in varie parti del mondo.

            Il prefetto si trovava a Madrid perché aveva assistito all’Assemblea generale della Confederazione dei religiosi spagnoli (13-15/11/2018). Il settimanale riporta le risposte, tutte interessanti e su vari temi, del cardinal prefetto in un libero scambio con i religiosi, e certo la sua affermazione su Maciel, quella che abbiamo virgolettato all’inizio, è quella che, infine e a ragione, ha fatto maggior chiasso. Peraltro corredata da qualche breve considerazione: «Ho l’impressione – ha detto – che le denunce di abusi cresceranno, perché siamo solo all’inizio. Sono 70 anni di insabbiamento, e questo è stato un tremendo errore». Proprio «il problema attuale ci indica che molte cose nel passato si sono fatte male», «si mentiva». «A quelli della mia generazione – ha lamentato – nessuno parlava di sessualità e questo oggi va ripensato nel quadro della formazione».

            È El País a ricostruire con maggiori dettagli il percorso tortuoso e inefficace (fu sotto indagine per ben due volte, nel 1956 e nel 1959) delle denunce contro Maciel, che il quotidiano descrive come «amico di vari papi e il maggiore predatore sessuale della storia recente della Chiesa», «presentato per anni da Giovanni Paolo II come apostolo della gioventù e coccolato da innumerevoli vescovi e cardinali, molti dei quali spagnoli», condannato nel 2006 sotto Benedetto XVI – «mesi dopo la morte del pontefice polacco» – a ritirarsi in Messico dedicando il resto della vita «alla penitenza e alla preghiera», e morto «senza chiedere perdono due anni più tardi, quando una commissione di indagine aveva già portato alla luce senza ombra di dubbio le sue attività delittuose e una vita di bagordi tollerata dal Vaticano» (ebbe anche vari figli da diverse donne). E tuttavia, pur togliendo a p. Maciel il diritto di esercitare il suo ministero di sacerdote, il dicastero vaticano comunicava (v. Adista Notizie n. 29/11) di aver deciso, dopo «attento studio», di «rinunciare ad un processo canonico», adducendo a motivi ufficiali l’età avanzata e la cagionevole salute di Maciel che all’epoca aveva 86 anni. Un ulteriore riguardo, insomma, dopo un annosissimo immobilismo criminale che ha permesso all’abusatore di continuare a delinquere.

            «Le denunce delle sue innumerevoli vittime [di pedofilia], alle quali si aggiunsero più tardi quelle delle donne con le quali il sacerdote Maciel aveva avuto figli», seguita El País, «gravarono sulla situazione fino a renderla insopportabile per il Vaticano», ma, «nessuno prese misure. “Non si processa un amico del papa”, argomentavano quelli che dovevano intervenire, in primo luogo il card. Joseph Ratzinger, oggi papa emerito. Maciel era anche amico suo, oltre che confessore del papa polacco in più occasioni».

            Ricorda il quotidiano che «appena una settimana prima che Ratzinger [ancora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede] notificasse l’apertura di un’indagine [a carico di Maciel], il celebre fondatore dei Legionari festeggiò i suoi 60 anni di sacerdozio con un atto al quale assistettero il papa [Giovanni Paolo II] e il suo segretario di Stato, cardinal Angelo Sodano». Il papa polacco, un santo.

Eletta Cucuzza           Madrid-Adista                       3 gennaio 2019

www.adista.it/articolo/60475

 

Francesco deve correggere la cultura di copertura degli abusi che Giovanni Paolo II ha reso possibile

Lo sfacelo degli insabbiamenti nella chiesa lo si deve in gran parte a Giovanni Paolo II. Nel 1979, appena un anno dopo esser diventato papa, Giovanni Paolo II visitò la sua nativa Polonia e scese in campo contro il regime comunista con forti omelie sulla libertà. Quasi da un giorno all’altro, divenne una forza nella politica globale nell’era della guerra fredda. Svolse un ruolo catalizzatore nel collasso dell’impero sovietico nel 1989 quando crollò il Muro di Berlino.

Nel novembre 1989, con Giovanni Paolo II trionfante sulla scena mondiale, i vescovi USA reagirono ad un’ondata crescente di cause per abuso mandando un gruppo di canonisti a Roma, per cercare di ottenere per i vescovi l’autorità di spretare i predatori di minori. I vescovi americani stavano già mandando molti abusatori in strutture di trattamento dirette dalla chiesa; volevano avere il potere di cacciare i peggiori di loro. Giovanni Paolo II rifiutò. Per anni, mi sono chiesto perché.

La sua biografia di Jonathan Kwitny Man of the Century: The Life and Times of Pope John Paul II (L’uomo del secolo: la vita e l’epoca di papa Giovanni Paolo II) descrive come, da cardinale di Cracovia, Karol Wojtyla, sostenuto da una chiesa unita, era il leader dell’opposizione del partito comunista. Da papa, il suo lungo indugiare nel firmare documenti per dispensare i preti dai loro voti rifletteva la visione di Giovanni Paolo II secondo cui, diventando prete, un uomo cambia ontologicamente, diventa un essere completamente nuovo. I preti potrebbero peccare, ma riprendersi e andare avanti. L’idea di una criminalità sessuale sommersa nella vita clericale era al di là della sua comprensione.

Come sarebbero andate le cose se i vescovi avessero ottenuto nel 1989 il potere di spretare i criminali sessuali senza dover attendere a lungo dopo aver inviato i dossier ai tribunali vaticani? Se alcuni vescovi avessero preso l’iniziativa, “licenziando” i preti peggiori, affidandoli a luoghi di trattamento, de facto case rifugio, le tattiche disoneste per aiutare un Lane Fontenot o un Gary Berthiaume, avrebbero potuto finire prima.

Il diritto canonico permette ai tribunali interni alla chiesa di valutare la colpa di un prete prima di mandare il dossier a Roma, chiedendo che sia dimesso dallo stato clericale. I vescovi americani erano riluttanti ad usare quel processo canonico senza un giudizio veloce; perché in quel caso i dossier offrivano sempre più il fianco a mandati di comparizione richiesti da avvocati che facevano ricorso. Un prete riconosciuto colpevole da parte di un tribunale ecclesiastico segreto avrebbe fatto aumentare la posta finanziaria in gioco per un accordo o un verdetto, in particolare se il vescovo stava aspettando una risposta da Roma.

Sono venuto a sapere di più su quella situazione di impasse in un uggioso pomeriggio a Roma nel 2002. Un canonista influente parlò con me a condizione di non essere identificato. Era seduto in una sala riunioni spartana in un edificio più vecchio della maggior parte degli stati americani. La Santa Sede era ben consapevole dei costi crescenti delle cause nel 1989, mi disse. “C’era più preoccupazione per lo scandalo che avrebbe danneggiato il lavoro della chiesa. In quanti casi hanno applicato le procedure penali, cioè si sono rivolti ai tribunali ecclesiali? Ebbene, in nessun caso”. Si piegava in avanti, con gli occhi spalancati. “Gli Stati Uniti hanno il più esteso sistema di tribunali del mondo. Dire che le persone non erano qualificate per seguire l’argomento. I tribunali degli Stati Uniti violarono grandiosamente – terribilmente – gli annullamenti di matrimonio”.

Ero sbalordito. “Che cosa hanno a che fare gli annullamenti di matrimonio con i pedofili?”, chiesi. “C’era un ragione molto valida per non concedere speciali norme sui pedofili”, dichiarò. Le percentuali dei divorzi erano aumentate negli anni ˊ70; il Vaticano aveva permesso alcune eccezioni per facilitare gli annullamenti. “Invece, successe l’opposto… lassismo sugli annullamenti”, ha aggiunto, indignato. “In America, la conferenza episcopale aveva una macchina che autorizzava le dispense (matrimoniali). Questo fu molto criticato a Roma. Questa esperienza con i vescovi americani provocò una resistenza alla concessione di norme speciali per rimuovere i pedofili”.

Come cresceva la crisi, papa Giovanni Paolo II lo sentì direttamente dai vescovi nelle loro visite ad limina (incontri ogni cinque anni per informare il papa su una certa diocesi). Nel 1993 il vescovo Ronald Mulkearns di Ballarat, Australia, parlò del suo incubo durato 18 mesi a causa di Gerald Ridsdale, un prete con tantissime vittime, prima che fosse mandato in prigione per diversi anni. “Molto male è stato inflitto a tanta gente”, disse Mulkearns a Giovanni Paolo II. Come ha riferito in una lettera pastorale: “Ho detto al Santo Padre che lo scorso anno è stato tra i peggiori nella mia esperienza come vescovo. Il papa era interessato e preoccupato per tutti questi problemi e mi ha ricordato le esperienze di Cristo e dello stress da lui sofferto nel Getsemani e che “essendo in agonia pregava ancora di più”. Sentivo che questa non era una trita risposta, né una devota banalità, ma il successore di Pietro con queste parole confermava uno dei suoi fratelli nell’episcopato”.

Poi – il vescovo George Pell accompagnò Ridsdale al processo. Quando Ridsdale entrò in prigione nel 1994, il Vaticano lo aveva dimesso dallo stato clericale, il che fa pensare che Mulkearns avesse ottenuto qualcosa dal suo incontro con Giovanni Paolo II. Ma l’interesse che Giovanni Paolo II possa aver avuto per “tutti questi problemi”, non fornì a Mulkearns sufficiente assistenza. Nel 1997 diede le dimissioni sommerso dalle critiche per aver solo spostato altri predatori. Il passato perseguitava Mulkearns. Nel febbraio 2016, la Commissione Reale Australiana per le Risposte istituzionali all’abuso su minori aveva ricevuto informazioni di accuse a carico di Mulkearns di distruzione di documenti nel dossier di Ridsdale e obbligò Mulkearns a testimoniare in un collegamento video dalla sua casa di riposo. Resistette 90 minuti, scusandosi, affermando che non poteva ricordare quei dettagli. Morì due mesi dopo.

Pell divenne cardinale e sotto Francesco assunse un importante ruolo nelle finanze vaticane, per poi essere obbligato ad andarsene nel 2017, trascinato dallo scandalo australiano sempre più profondo. L’Australia ha circa 4.400 casi di abusi sessuali su minori perpetrati da 1.800 persone, tra il 1950 e il 2010 – il 7% del clero nazionale, secondo La Croix International. Pell è stato recentemente dichiarato colpevole di abuso sessuale, benché con le arcane leggi australiane sulla stampa, i dettagli chiave non siano stati resi pubblici. Pell è bloccato in un gelido limbo.

Giovanni Paolo II non volle mai ammettere la realtà. Nel 1995, il cardinale austriaco Hans Hermann Groër, che era stato scelto direttamente dal papa come vescovo (impressionato per la sua devozione ad un santuario mariano) diede le dimissioni da arcivescovo di Vienna, accusato di fare delle avance a degli ex seminaristi benedettini. A differenza di McCarrick, Groër se ne andò impunito. Quando Giovanni Paolo II visitò l’Austria nel 1998, Groër era uno scandalo nazionale, dato che i vescovi che lo difendevano avevano fatto marcia indietro. Giovanni Paolo II non nominò Groër nei suoi eventi pubblici, frustrando i 500.000 membri dell’associazione appena sorta “Noi siamo Chiesa”, che cercavano risposte.

L’alter ego di Giovanni Paolo II nella crisi degli abusi fu il cardinale Angelo Sodano, che, dopo 13 anni in Cile dove aveva avuto ampio potere nella scelta dei vescovi, divenne segretario di Stato nel 1990. “La curia è una fratellanza”, disse una volta Sodano al New York Times. Sodano, ora novantunenne e decano del Collegio cardinalizio, è stato un impareggiabile fautore di insabbiamento in quella fratellanza. Nel 2010, il cardinale austriaco Christoph Schönborn disse ai giornalisti austriaci che Sodano aveva convinto Giovanni Paolo II a tacere su Groër. Sodano persuase il cardinale Joseph Ratzinger a non indagare su Groër.

Sodano usò forza ancora maggiore dopo un caso canonico scioccante arrivato nel 1998 al tribunale della Congregazione della dottrina della fede di Ratzinger. A quel punto, la passività di Giovanni Paolo II si trasformò in diffidenza. Otto ex Legionari di Cristo (compreso un prete diocesano della Florida), presentarono accuse di abuso riguardanti i loro anni di seminario contro il fondatore, padre Marcial Maciel Degollado. In quel momento, Maciel, come alcuni dei peggiori politici della sporca Chicago o della Luisiana profonda, aveva mandato giovani Legionari con del denaro per corrompere funzionari di curia. Accuse contro Maciel arrivarono negli uffici del Vaticano molto prima del report dell‘Hartford Courant del 1997, scritto da Gerald Renner e da chi scrive, sulle otto vittime di Maciel, e sul caso canonico del 1998 che presentarono.

Nel 1994, il cardinale Eduardo Martinez Somalo, prefetto spagnolo della Congregazione per gli ordini religiosi – nei cui archivi restavano ferme le accuse contro Maciel – sentì un lieve bussare alla sua porta. Un giovane prete inviato da Maciel con una busta con 90.000 dollari, mi disse anni dopo: “Non ho battuto ciglio, sono solito all’appartamento, gli ho dato la busta e ho detto arrivederci”. Somalo non ha mai risposto alla mia richiesta di intervista.

E non ha risposto neppure Sodano, un “sostenitore della Legione”, come mi disse un prete ex Legionario. “Era venuto a fare una conferenza a Natale e gli avevano dato 10 000 dollari”. Un altro ricordava una donazione di 5 000 dollari a Sodano, che rifiutò di fare alcun commento al mio resoconto del 2012. E neanche NCR ebbe una risposta nel 2010 quando delle domande tradotte in polacco arrivarono a Cracovia all’ufficio del cardinale Stanislaw Dziwisz, che rispose che “non aveva tempo per un’intervista”.

Mons. Dziwisz fu per molto tempo assistente di Giovanni Paolo, e in quel periodo ricevette donazioni in denaro, in un caso di 50.000 dollari, da parte di giovani Legionari, perché mandasse dei sostenitori di Maciel alle messe private del papa nella cappella del palazzo apostolico. Uno dei preti definì i fondi dati a Dziwisz “un modo elegante per pagare una mazzetta”.

Tutti quei soldi! Tutto quel “ben di Dio” distribuito sotto Maciel, il più grande raccoglitore di fondi per la chiesa e allo stesso tempo il suo più grande criminale. William Casey, direttore della CIA al tempo del presidente Ronald Reagan, e sua moglie, fecero una donazione di una cifra a sette zeri per la costruzione di un edificio della Legione a Cheshire, nel Connecticut, i loro nomi sono scritti su una targa commemorativa. Anche un singolo evento dà un’idea della trama di coperture, ma ci troviamo di fronte ad un ciclo riproduttivo, una strategia di inganni che a loro volta ne generano altri. Così lo scandalo fa spuntare nuove facce, come le teste dell’idra greca, ognuna delle quali si getta avidamente sul pezzo con una nuova lurida storia da raccontare.

Ratzinger, il teologo della Congregazione per la dottrina della fede che perseguì gli intellettuali della chiesa che mettevano in discussione la dottrina morale sul controllo delle nascite e altri temi, era un purista di legge e ordine. Dopo un discorso al collegio dei Legionari, rifiutò la busta con i soldi. Ma non riuscì a convincere Giovanni Paolo II a cambiare idea su Maciel, come lo stesso papa Francesco rivelò cripticamente sull’aereo di ritorno da Abu Dhabi: “Su Papa Benedetto vorrei sottolineare che è un uomo che ha avuto il coraggio di fare tante cose su questo. C’è un aneddoto: lui aveva tutte le carte, tutti i documenti, su un’organizzazione religiosa che aveva corruzione al suo interno, sessuale ed economica. Lui [da Cardinale] andava e c’erano dei filtri, e non poteva arrivare. Alla fine il Papa [S. Giovanni Paolo II], con l’intento di capire la verità, ha fatto una riunione, e Joseph Ratzinger è andato lì con la cartella e tutte le sue carte. E quando è tornato ha detto al suo segretario: “Mettila nell’archivio, ha vinto l’altra parte”.

Chi poteva essere l’altra parte se non Sodano? La determinazione di Ratzinger era notevole, ma alla fine il Vaticano si ritrovò impantanato nel lascito di Maciel.

Nel 2001, Ratzinger persuase Giovanni Paolo ad accorpare al suo tribunale il potere di dimettere dallo stato clericale i sex offenders [autori di reati sessuali], una cosa che nessun altro nella Curia voleva. Tuttavia nel 2002, quando Giovanni Paolo convocò a Roma i cardinali americani per una riunione d’emergenza sulla crisi, Ratzinger non seppe cosa rispondere quando il reporter di ABC Brian Ross lo avvicinò per chiedergli di Maciel. “Venga da me quando sarà il momento”, scattò, colpendo la mano di Ross. “Non è ancora il momento!”

Il momento arrivò nel novembre del 2004. Sodano fece in modo che un morente Giovanni Paolo, che ormai parlava farfugliando per i disturbi neurologici, celebrasse il sessantesimo anniversario di presbiterato di Maciel in una sfarzosa cerimonia in Vaticano. Il papa lodò il pedofilo accusato da molto tempo per la sua “formazione integrale della persona”. Ratzinger non partecipò; inoltre il papa diede all’ordine di Maciel autorità sul Pontificio Istituto Notre Dame del Jerusalem Center, un elegante complesso per conferenze e ospitalità alberghiera, il massimo per un ordine religioso di meno di 1.200 preti, ma che aveva un bilancio di 650 milioni di dollari e un miliardo di dollari di attivo sotto forma di scuole privati, seminari e università in America Latina, in Europa e in Nord America, come riferì il Wall Street Journal.

Sodano era riconoscente per il denaro. Anche Andrea Sodano, suo nipote, un ingegnere edile a Roma, che era socio di un noto promoter italiano, Raffaello Follieri, che mise su bottega a Manhattan per comperare le chiese delle parrocchie statunitensi che i vescovi stavano dismettendo per raccogliere denaro, dato che i risarcimenti per gli abusi salivano. Comperare per pochi soldi e rivendere a un prezzo più alto. Il segretario di Stato Sodano prestò la sua presenza per il lancio di una società nel 2005 nella città delle città, prima che Follieri fosse accusato di frodare gli investitori. Fermo a Roma, Andrea rifiutò una richiesta fatta con mandato di comparizione per testimoniare, Follieri fu rinchiuso in un carcere federale.

Sodano era machiavellico, i mezzi giustificano il potere; Ratzinger, che era un moralista, capì che con Giovanni Paolo morente, chiunque i cardinali avessero scelto come nuovo papa avrebbe ereditato un disastro se il caso Maciel non fosse stato affrontato. Ordinò ad un canonista, Mons. Scicluna, di indagare.

Scicluna stava raccogliendo testimonianze a New York quando Giovanni Paolo morì nel 2005. Alcuni giorni dopo, Ratzinger divenne papa Benedetto XVI. Alcuni mesi dopo, quando Scicluna presentò il suo grave rapporto – in cui risultava aver trovato “più di 20 ma meno di 100 vittime”, raccontò in seguito John L. Allen Jr. allora al NCR,  che lo era venuto a sapere da una fonte non rivelata (chi se non Scicluna?) – papa Benedetto aveva altro di  cui occuparsi.

Aspettando la firma del papa, il dossier presso la Congregazione per le cause dei santi approvava la canonizzazione del vescovo Rafael Guizar Valencia, uno dei defunti zii messicani di Maciel, candidato anni prima, indovinate da chi. Come poté il Vaticano organizzare la cerimonia di canonizzazione con Maciel in bella mostra, tutto sorrisi, un simbolo vivente delle coperture dei pedofili, esibito per un ghiotto notiziario?

Il 19 maggio 2006, il Vaticano ordinò a Maciel “una vita di preghiera e penitenza”. Il linguaggio del comunicato manipolato da Sodano lodava i Legionari e non riconosceva vittime. (La cerimonia per Guizar e per altri tre santi avvenne quell’ottobre).

Maciel, 86 anni, lasciò Roma per la sua nativa Catija in Messico, e per una riunione con una delle sue precedenti amanti e la loro figlia ventitreenne, il cui mantenimento in Spagna era stato pagato con i fondi della Legione. Il Vaticano aveva saputo della progenie di Maciel già nel 2005, come mi disse il cardinale in pensione Franc Rodé – successore del cardinal Martinez Somalo, quello dei 90.000 dollari – in un’intervista nel 2012. Rodé aveva visto un video di Maciel e di sua figlia avuto da un Legionario, uno dei tanti che stavano per abbandonare la nave. Rodé disse di averlo raccontato a Scicluna, ma di non aver affrontato Maciel, perché “non era il suo confessore”.

Senza la presenza di Maciel, la lunga difesa di Maciel da parte dei Legionari si spostò su uno strano controllo degli effetti, giurando fedeltà al papa e raccontando ai sostenitori che Maciel era accusato ingiustamente, come Gesù, ma che accettava la sua sorte con “tranquillità di coscienza”. Si può considerare la tolleranza di Benedetto delle frodi su frodi della Legione (nessuna ammissione che Maciel avesse abusato qualcuno), come l’atteggiamento di un patriarca che aspetta l’illuminazione del figliol prodigo; o il comportamento di un papa che si trovava davanti una cosa più grande di lui. Alla morte di Maciel nel 2008, la Legione annunciò che era in paradiso. Tredici medi dopo, le autorità della Legione annunciavano la loro “scoperta” che aveva una figlia, scioccando i sostenitori conservatori tradizionalisti. Solo allora, 12 anni dopo che le accuse di pedofilia riferite dal Hartford Courant, la Legione finalmente presentò pubbliche scuse alle vittime. Questo avvenne tra anni dopo le dimissioni forzate di Maciel da parte di Roma, quando l’ordine chiuse il suo sito web attaccando le vittime di Maciel, Gerald Renner e me.

Nel 2010 Benedetto definì Maciel “al di là dei confini morali… una vita sprecata, perversa”. Voleva salvare le vocazioni dei preti e dei seminaristi della Legione, che erano stati abituati a credere che Maciel fosse un santo vivente, e deformati da un culto della personalità con il voto di non criticare mai né lui né i loro superiori, né riferire a nessuno ciò che faceva – (spionaggio ricompensato come fede). “Investigare” divenne la cosa principale. Benedetto nominò un canonista vaticano, il cardinale Velasio De Paolis, supervisore dell’ordine. De Paolis diresse la riscrittura degli statuti della Legione, eliminando il voto del segreto, come se questo annullasse generazioni di lavaggio del cervello. Poi De Paolis ordinò un nuovo gruppo di seminaristi della Legione, siccome molti Legionari se ne stavano andando. Nel “riformare” la Legione, De Paolis fallì nell’ottenere il controllo del labirinto delle finanze dell’ordine che erano alla base della vita sfarzosa di Maciel fino alla sua morte a 87 anni.

Invece di accordarsi perché tutti gli uomini si sottoponessero a sedute di terapia e consulenza (per chiarire) se desideravano diventare o restare preti, chiudere l’ordine e stabilire un periodo di transizione per le sue scuole e collegi durante il quale essi dovevano essere gestiti dalle diocesi o da organizzazioni cattoliche non profit, il “rinnovamento” sotto Benedetto risultò a favore dell’operazione finanziaria che Maciel aveva messo a punto per sei decenni. La “vita depravata” del fondatore obbligò la Legione a svendere diversi milioni di beni immobili americani, chiudere scuole private e una università in Sacramento tra estenuanti battaglie legali contro i figli di Maciel, i presunti figli di altri preti e querelanti che sostenevano che i loro anziani parenti erano stati ingannati per fare grandi donazioni a Maciel, santo vivente. Maciel “coltivava” alcune delle persone più ricche dell’America Latina per avere sostegno.

Dionisio Garza Medina, a lungo CEO di Alfa, l’azienda di Monterrey, in Messico, fondata da suo nonno, raccontò al Wall Street Journal nel 2004: “La Legione è l’unica multinazionale messicana in ambito religioso”. Togliete la parola “messicana” e avrete la Legione come l’aveva immaginata Maciel, una multinazionale che raccoglieva fondi di beneficenza per continuare a far soldi. Con Maciel finito, come capolavoro di raccolta fondi, la Legione si spostò su un progetto in Israele che nessun romanziere avrebbe mai saputo inventare. Siccome l’ordine godeva di un atteggiamento ossequioso della stampa al Pontificio Istituto Notre Dame del Centro di Gerusalemme, ottenuto per gentile concessione di Giovanni Paolo II e di Sodano nel 2004, i Legionari si misero in azione, individuando credenti facoltosi per un progetto sotto padre Juan Solano. Quando papa Benedetto benedisse la prima pietra di un complesso sul mare di Galilea nel 2009, la Legione aveva raccolto 20 milioni di dollari per un ritiro chiamato “Magdala Center”, secondo un articolo sul Smithsonian Magazine del 2016. Nel 2014, un funzionario della Legione disse a NCR che avevano raccolto 40 milioni di dollari. Quaranta milioni sono un mucchio di dollari, aggiunti a qualsiasi cosa abbiano raccolto da allora, in uno di quegli incredibili misteri finanziari della chiesa.

Il Vaticano non ha nessuna supervisione della macchina da soldi della Legione? Il progetto nel 2014 era per un hotel di lusso. Quanti ordini religiosi costruiscono alberghi? Solano, secondo l’articolo di Ariel Sabar sul Smithsonian del 2016, “comperò quattro appezzamenti adiacenti sul litorale. Aveva ottenuto i permessi per la costruzione di una cappella e una Guesthouse [casa per ospiti] di più di 100 camere. Tutto ciò che rimaneva ora era un fastidioso passaggio di burocrazia: uno “scavo di salvataggio”, cioè uno scavo di routine da parte del governo israeliano per assicurarsi che non ci fossero rovine importanti sotto il sito proposto per l’edificio”. Invece ci fu la scoperta di una sinagoga del primo secolo nel villaggio che si crede sia il luogo di nascita di Maria Maddalena.

Sospesi nel loro paese, i Legionari di Cristo avevano trovato redenzione come multinazionale religiosa. Il lavoro degli archeologi e degli studiosi di antichità continua. Solano scrive sul sito di Magdala: “La costruzione della Guesthouse continua, e anche se non sappiamo esattamente quando saremo in grado di ricevere il primo gruppo, ci stiamo preparando”. Mentre la macchina finanziaria della Legione continua ad andare avanti, finalmente libera, chissà che Maciel, pur in ambienti ribollenti, non stia sorridendo?

Riflessioni conclusive. Mentre i capi dell’episcopato si riuniscono a Roma, la pubblicazione delle liste di abusatori (perfino del Messico, dove Maciel per anni ebbe il favore assicurato del cardinale Norberto Rivera Carrera) è un incoraggiante segno di cambiamento. Ma perché un programma di riforme abbia successo, Francesco ha bisogno di attuare una politica relativamente al problema che ha ben identificato con una retorica talvolta “ustionante”: il clericalismo, il perseguimento del potere da parte della cultura clericale a spese dei laici. La struttura di potere cristallizzata di maschi che coprono altri maschi non cambierà da sola. Un modo per dare avvio a quel cambiamento è inserire riformatori donne nel Collegio cardinalizio, quindi rompere con i gerarchi italiani che hanno controllato la curia romana per generazioni.

Il papa ha il potere di elevare le donne a cardinali, se sceglie di farlo; Giovanni Paolo II offrì un posto a Madre Teresa, che declinò l’offerta. Questo è un potere che papa Francesco dovrebbe usare energicamente. L’altra strada è cambiare la norma del celibato obbligatorio. Non è il celibato che provoca l’abuso degli uomini sui bambini, non più di quanto l’incesto possa essere biasimato nel matrimonio. Ma la cultura clericale che ha perso un enorme numero di uomini a partire dall’enciclica di Paolo VI nel 1967 che elogiava il celibato come il “brillante gioiello” della chiesa, si è trasformata in un enorme contenitore per maschi gay. Molti sono i preti onesti che servono lealmente la chiesa; ma i problemi di maturità psicosessuale di molti altri, che li portano ad abusare di ragazzi adolescenti, sono un elemento chiave della crisi. Spostare l’equilibrio del potere verso un clero sposato potrà essere fatto in tempi lunghi, ma in ultima analisi spingerà per una svolta verso una genuina teologia della famiglia, estremamente necessaria. Papa Francesco è circondato da una cultura di maschi che proteggono maschi, una cultura densa di modelli di comportamenti sessuali, che mantiene nascosti dei segreti e in molti casi i crimini sessuali e finanziari di questa struttura di potere. Ciò che manca disperatamente in questa strana specie di silenzio politico è la grazia materna – la saggezza delle madri che hanno partorito e allevato i figli – e la grazia femminile di sorelle e figlie, escluse per motivi di genere dai loro ruoli di diritto nel ricostruire l’onestà e l’integrità istituzionale.

A questo riguardo, il massimo atto di copertura da parte di Giovanni Paolo II fu la dichiarazione del 1994, Ordinatio Sacerdotalis, in cui insisteva che era intenzione di Gesù che, per il resto del tempo umano, solo maschi potessero essere preti. Il papa non aveva la prova. La Scrittura non dice che Gesù “ordinò” i suoi apostoli, e neanche che escluse le donne, che erano molto presenti e fondamentali nella sua vita pubblica. Sedici mesi dopo aver dichiarato che la chiesa “non ha il potere di conferire l’ordinazione presbiterale alle donne”, Giovanni Paolo II si ritirò nella sua tomba di silenzio tra le accuse contro il cardinal Groër a Vienna. I cambiamenti strutturali ottengono consensi molto lentamente, ma l’impatto può essere piuttosto rapido, come nel 1989 quando cadde il Muro di Berlino. Per ora, l’avanguardia del cambiamento è l’informazione che affiora dalle coperture saltate, e la rara volontà di un papa di riconoscere la verità quando la vede. Il dubbio maggiore è se Francesco ha o meno la capacità di disgregare quei modelli di governance della chiesa e se i semplici cattolici possono aiutarlo a farlo.

Jason Berry   “www.ncronline.org” 21 febbraio 2019 (traduzione: www.finesettimana.org)

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201902/190225berry.pdf

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COMMISSIONE ADOZIONI INTERNAZIONALI

Esiste nel diritto internazionale un diritto del minore a crescere in famiglia?

Durante un recente seminario organizzato dalla Commissione per le adozioni internazionali sul tema “L’accoglienza di bambini in stato di abbandono nel mondo: strumenti giuridici a confronto” (Istituto degli Innocenti, Firenze, 18 ottobre 2018) un autorevole relatore straniero ha disorientato gli astanti dichiarando a chiare lettere che “non esiste nel diritto internazionale alcun diritto del minore a crescere in famiglia”. La ragione dello sconcerto che ha accolto l’affermazione nasce dal fatto che costituisce per gli operatori italiani una convinzione consolidata che ogni persona di età minore abbia non solo un interesse, ma un vero e proprio “diritto all’appartenenza a un gruppo familiare”.

Così del resto proclama in modo inequivocabile il titolo della legge 4 maggio 1983 n.184, modificato dalla legge 28 marzo 2001, n.149 in “Diritto del minore a una famiglia” proprio per offrire a questo principio una collocazione altamente simbolica. Ne è poi riprova tutto l’impianto della legge n.184/1983. Nel suo articolo iniziale infatti questo testo normativo riconosce il diritto di ogni minore di “crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia” e impone allo Stato, alle regioni e agli enti locali di sostenere i nuclei familiari a rischio, al fine di prevenire l’abbandono e di consentire al minore di essere educato nell’àmbito della propria famiglia (art. 1 commi 1° e 2° legge n.184/1983).

Nel prosieguo si prevede che il minore “privo di un ambiente familiare idoneo” possa essere allontanato e collocato in un’altra famiglia: se l’inadeguatezza della famiglia di origine è valutata risolvibile entro un periodo di tempo ritenuto conforme all’interesse del minore, si tratterà di una famiglia affidataria o, ove non sia possibile, di una comunità che comunque deve essere “di tipo familiare” (art. 2 comma 1° legge n.184/1983); se invece la difficoltà della famiglia di origine è giudicata grave e definitiva, il collocamento sarà in una famiglia adottiva (artt. 7 e 8 legge n.184/1983).

Assodato dunque che il diritto del minore a una famiglia costituisce tratto caratterizzante dell’ordinamento giuridico italiano, occorre approfondire la tesi che ne nega l’esistenza nel diritto internazionale. E ciò non perché accertare l’assenza del principio nel diritto internazionale imporrebbe una modifica dell’ordinamento italiano: è infatti perfettamente legittimo che uno stato sovrano adotti strumenti atti a offrire quella che, secondo la propria prospettiva, è una migliore tutela del minore (così del resto si esprime l’art. 41 n.1 della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza). L’interesse per tale approfondimento nasce piuttosto dalla volontà di capire la diffusione di tale opinione nel contesto internazionale, nonché quali possano esserne le motivazioni alla luce del fatto che tale tesi riecheggia almeno in parte argomenti utilizzati per contestare l’adozione in sé.

Si tratta, in effetti, di un’opinione che il medesimo autore ha ripreso in pubblicazioni scientifiche (…) e che ha così argomentato: “Si afferma comunemente che ogni minorenne ha “diritto” a una famiglia, e di conseguenza, inter alia, a essere adottato…. Questa affermazione è priva di fondamento. Al contrario, “i bambini hanno diritto in forza di una serie di convenzioni al rispetto della vita familiare e alla protezione contro le interferenze illecite nella famiglia, ma i bambini, come gli adulti, non hanno un diritto a una famiglia in sé secondo il diritto internazionale”. (…) Secondo la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia, il minore ha “per quanto possibile, il diritto di conoscere e di essere accudito dai suoi genitori, non a essere accudito da “genitori” in generale (Conv. ONU, art. 7). Certamente, assicurare un’assistenza familiare stabile è un obiettivo di politica sociale benvenuto e positivo quando i genitori non possono prendersi cura dei bambini, e il preambolo della CRC afferma che “per lo sviluppo pieno e armonioso della sua personalità, [il bambino] dovrebbe crescere in un ambiente familiare, in un’atmosfera di felicità, amore e comprensione”. E’ tuttavia fuorviante e persino pericoloso interpretare questa affermazione valida come un “diritto”, tanto più per invocare questo presunto diritto come base per procedere all’adozione” (…)

Insomma: tradurre l’interesse del minore “a crescere in famiglia” (family environment) di cui all’art. 20 Conv. ONU sui diritti dell’infanzia in termini di “diritto” umano fondamentale (fundamental human right) “ad avere dei genitori” produrrebbe effetti deleteri. Interpretare in modo restrittivo la locuzione “family environment” limitandola alle cure genitoriali ostacolerebbe infatti l’implementazione del principio della sussidiarietà dell’adozione in quanto svaluterebbe il ruolo che la famiglia allargata può svolgere anche in via informale nella cura del minore che non possa essere cresciuto dai “genitori”. Inoltre, l’uso del termine “diritto” porterebbe a escludere in modo rigido e preconcetto che possa essere considerato nell’interesse di un minore allontanato dai genitori fruire di strumenti di protezione diversi dal “trapianto” in un’altra famiglia tramite gli istituti “canonici” dell’affidamento familiare o dell’adozione. Al contrario, non si dovrebbe invece escludere che circostanze concrete (ivi compresa l’opinione stessa del ragazzo capace di discernimento) possano indicare come maggiormente rispondere all’interesse del minore l’inserimento dello stesso in un’adeguata “struttura residenziale”.

Pur concordando che un’adeguata accoglienza residenziale possa in alcune situazioni meglio rispondere alle specifiche esigenze di un minore e pur volendo stigmatizzare prassi distorte di utilizzo dell’adozione come strumento di ingegneria sociale per rispondere alla domanda di adulti autocentrati e per togliere i figli a famiglie in condizioni di degrado socio-economico, si ritiene qui di aderire all’interpretazione secondo cui la persona di età minore ha diritto a crescere in una famiglia, la propria o, ove ciò non sia possibile perché la stessa manca o perché pregiudica o rischia di pregiudicare con la sua condotta l’interesse della prole, una famiglia sostitutiva, affidataria o adottiva. Tale pare peraltro essere l’opinione maggioritaria se anche il Parlamento europeo ha esplicitamente affermato che “tutte le convenzioni internazionali sulla protezione dei diritti dei bambini riconoscono il diritto dei bambini abbandonati e degli orfani di avere una famiglia” (Risoluzione del Parlamento europeo del 16 gennaio 2008 su una strategia dell’Unione europea sui diritti dei minori, par.109).

A favore di questa interpretazione mi pare deponga l’analisi letterale, sistematica e teleologica del diritto internazionale positivo e, in particolare della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (Convention on the Rights of the Child). L’art. 20 di questa infatti, in modo esplicito nelle versioni francese e spagnola (“Tout enfant… a droit”; “Los niños… tendrán derecho“) ed implicitamente nella versione inglese, (“A child… shall be entitled”) qualifica in termini di “diritto” l’aspettativa del minorenne privato del suo ambiente familiare a “una protezione ed aiuti speciali dello Stato…” che si possano concretizzare “per mezzo dell’affidamento familiare, della kafala di diritto islamico, dell’adozione o, in caso di necessità, del collocamento in adeguati istituti per l’infanzia”.

E’ certamente vero che la norma stessa afferma che gli Stati membri provvedono a questa “protezione sostitutiva” conformemente al loro diritto nazionale (art. 20 comma 2°) e che l’elencazione degli strumenti di protezione non è tassativa (nella versione inglese si dice esplicitamente “inter alia”). Tuttavia, un’analisi sistematica dell’art. 20 commi 2° e 3°, anche alla luce del Preambolo della Convenzione, pare indicare la configurabilità del “diritto” del minore privo o privato nel suo interesse della famiglia di origine all’accoglienza in una famiglia. Il comma 2° della norma, infatti, elenca quale scelta preferenziale la protezione mediante strumenti (affidamento familiare, kafala e adozione) che hanno il comune denominatore di offrire al minore “temporaneamente o definitivamente privato del suo ambiente familiare oppure che non può essere lasciato in tale ambiente nel suo proprio interesse” cure paragenitoriali (art. 20 comma 3°), cioè erogate da (almeno) un adulto coabitante, accudente e punto di riferimento emotivo. Il comma 3° afferma poi esplicitamente la natura sussidiaria (in “casi di necessità”) del “collocamento in adeguati istituti per l’infanzia”, che si distingue da predetti strumenti di protezione proprio per il diverso contesto (environment, milieu) delle cure.

Entrambe le disposizioni, inoltre, vanno collocate alla luce del Preambolo della Convenzione stessa secondo cui il minore “deve crescere in un ambiente familiare in un clima di felicità, di amore e di comprensione”: e tale “ambiente familiare (“family setting”) pare infatti doversi intendere, anche grazie al riferimento successivo al “clima di felicità, di amore e di comprensione” (che valorizzano la componente “spirituale” sulle cure materiali), come un ambiente socialmente identificato dalla presenza, accanto a una persona di età minore, di (almeno) un adulto che si rapporti al minore come a un figlio.

A favore di questa lettura paiono potersi richiamare le parole del Comitato delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza secondo cui “qualora sia necessario il collocamento del minore fuori dalla famiglia di origine, lo strumento che più probabilmente può offrire risultati positivi per i bambini e i ragazzi è l’accoglienza tempestiva in una famiglia o in un ambiente familiare. Gli Stati parte sono incoraggiati a investire e sostenere forme di assistenza alternativa che garantiscano sicurezza, continuità dell’accudimento e affetti, e l’opportunità per i minori con sviluppare attaccamenti a lungo termine basati su fiducia e rispetto reciproci, per esempio attraverso l’affidamento, l’adozione e il sostegno per membri delle famiglie allargate” (Committee on the Rights of the Child, General Comment No. 7,2005, CRC/C/GC/7/Rev.1, para. 36).

Pare peraltro evidente che affermare il diritto del minore “abbandonato” a una famiglia non significa escludere che possano esservi situazioni in cui sia nell’interesse del minore una collocazione residenziale rispetto a un collocamento familiare: pensiamo a un giovane adulto allontanato dalla sua famiglia o a un minore straniero non accompagnato prossimi alla maggiore età che rifiutino scientemente un affidamento familiare/adozione. In tali situazioni è lo stesso principio dei best interests of the child di cui all’art. 3 della Convenzione a imporre di effettuare una scelta diversa da quella che per legge è presunta essere quella migliore per il minore (il meccanismo è lo stesso che, per esempio, porta a derogare al diritto del minore a essere allevato dai genitori: quando si ravvisi che gliene deriverebbe un grave pregiudizio non altrimenti eliminabile, il minore deve essere allontanato).

La medesima impostazione pare del resto condivisa, per esempio, dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità stabilisce che “Gli Stati Parti si impegnano, qualora la famiglia di appartenenza non sia in condizioni di prendersi cura di un bambino con disabilità, a non trascurare alcuno sforzo per fornire cure alternative all’interno della famiglia allargata e, ove ciò non sia possibile, all’interno della comunità in un ambiente familiare” (art. 23 comma 5°). Anche qui, malgrado la mancanza del riferimento testuale al “diritto”, l’intento pare essere quello di affermare che ogni minore con disabilità che non possa rimanere nella famiglia di origine debba essere preferibilmente collocato presso un’altra famiglia. Al contrario, negando il diritto del minore a “una” famiglia, si finirebbe mi pare per delegittimare culturalmente e legalmente l’adozione e l’affidamento familiare. La “famiglia” del minore sarebbe e rimarrebbe infatti essenzialmente quella di origine. Risulterebbero svalutati gli effetti riparativi che l’accoglienza in una nuova famiglia può produrre rispetto a situazioni di minori gravemente traumatizzati all’interno del contesto di origine e sarebbero dunque sempre più difficili gli allontanamenti, pur in situazioni di grave inadeguatezza della famiglia di origine. Si ammetterebbe, inoltre, l’equivalenza tout court dell’adozione rispetto al collocamento in una struttura residenziale anche per un lungo periodo, pur essendo ben conosciute le conseguenze negative e di lunga durata della privazione di cure individualizzate di tipo familiare sullo sviluppo psicologico, fisico ed emotivo delle persone di età minore. Nella pratica questo significherebbe inevitabilmente favorire il ricorso al collocamento residenziale, essendo indubbio che per tutti i soggetti coinvolti (famiglia di origine, ma anche autorità pubbliche) l’interruzione di rapporti giuridici e di solito anche di fatto sia assai più complessa da accettare e gestire di un prolungamento a tempo indeterminato dell’accoglienza in una struttura residenziale.

Joëlle Longé, consulente giuridico della CAI e ricercatrice presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Torino.

C. A. I.                                  27 febbraio 2019

www.commissioneadozioni.it/notizie/esiste-nel-diritto-internazionale-un-diritto-del-minore-a-crescere-in-famiglia

www.commissioneadozioni.it/media/1558/diritto-del-minore-a-crescere-in-famiglia_long.pdf

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CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Italia – Violenze sui minori: cosa fanno le diocesi

Contribuire a diffondere nelle comunità ecclesiali una cultura della tutela dei minori, per rafforzare la sicurezza dei luoghi ecclesiali, formando gli operatori pastorali e prevenendo ogni forma di violenza e abuso. Con queste finalità stanno nascendo in Italia Servizi regionali e inter-diocesani che dovranno lavorare in sinergia con il Servizio nazionale per la tutela dei minori e degli adulti vulnerabili della CEI, presieduto dal vescovo di Ravenna, mons. Lorenzo Ghizzoni.

Il regolamento di questo servizio – che lavorerà collaborando con la Pontificia commissione per la tutela dei minori –– è stato approvato nel corso dell’ultimo Consiglio permanente della CEI (14-16 gennaio 2019).                                                 www.ilregno.it/articles/Regno-documenti-3-2019-118-bv96y8.pdf

Alcune diocesi hanno attivato organismi di tutela o diffuso linee guida e – per lo più – promosso convegni e incontri di formazione, in sinergia con istituzioni e associazioni locali. In alcune regioni pastorali sono stati predisposti percorsi di formazione che permetteranno di avere in ogni diocesi alcuni referenti (generalmente laici) per la formazione, la prevenzione e la tutela dei minori. Mancano all’appello diocesi importanti. Anche di questo probabilmente si parlerà al prossimo vertice in Vaticano.

            Bolzano-Bressanone è stata la prima diocesi a reagire. Dopo aver istituito nel 2010 uno sportello e designato un incaricato per raccogliere le testimonianze e le denunce da parte delle vittime di abusi e violenze, la diocesi ha istituito un tavolo di esperti – psicologi, psicoterapeuti, avvocati, pedagogisti, psichiatri e operatori pastorali – per verificare i casi denunciati e, in particolare, per offrire un sostegno a chi aveva scelto di rompere il silenzio sulle molestie subite.

«Alle 12 persone che si sono rivolte inizialmente a questo sportello è stata offerta la disponibilità a raccogliere una denuncia formale per i fatti avvenuti in passato. Il più delle volte le vittime hanno mostrato solamente il bisogno di raccontare, di essere ascoltate e prese sul serio. La diocesi ha contribuito a rompere il silenzio su questo tema e i media ci hanno sostenuto in modo positivo sin dall’inizio: tutto questo ha permesso di creare un clima di apertura», ci ha detto don Gottfried Ugolini, sacerdote e psicologo, responsabile del Servizio specialistico per la prevenzione e la tutela dei minori da abusi sessuali e da altre forme di violenza.

            Bergamo. Il Servizio diocesano tutela minori (SDTM), recentemente attivato in diocesi, ha tra i suoi compiti – oltre alla recezione di eventuali segnalazioni, alla prevenzione e alla formazione degli operatori pastorali – quello di studiare e approfondire gli aspetti attinenti alla sicurezza del minore relativi ai vari settori della pastorale e di svolgere consulenza in singoli casi. «Il servizio – ci spiegano dalla diocesi – vuole presentarsi non come strumento inquisitorio, ma come alleato e sostenitore degli sforzi delle parrocchie e degli enti ecclesiali per delineare, per esempio, buone prassi che mettono più in sicurezza l’ambiente parrocchiale e diventare un punto di supporto affidabile nella gestione e nell’accompagnamento di situazioni critiche». Il SDTM affianca anche gli educatori in seminario e chi si occupa della formazione dei sacerdoti, soprattutto di quelli entro i primi 10 anni di ordinazione. Bergamo ha poi redatto il vademecum Buone prassi di prevenzione e tutela dei minori in parrocchia (pubblicato in Regno-doc. 3,2019,118), che contiene indicazioni sulla scelta dei collaboratori parrocchiali, sulla formazione e informazione dei volontari e dei catechisti, sulla cura degli ambienti e gli spazi parrocchiali e sull’utilizzo degli strumenti tecnologici.

www.ilregno.it/documenti/2019/3/buone-prassi-di-tutela-dei-minori-in-parrocchia-servizio-tutela-minori-diocesi-di-bergamo

Milano. La diocesi più grande del mondo ha avviato dal settembre 2018 una Commissione diocesana per la tutela dei minori – ci ha detto il vicario generale mons. Franco Agnesi che la presiede – che proprio in questi giorni (11 febbraio 2019) l’arcivescovo ha ufficializzato.

www.chiesadimilano.it/wp-content/uploads/2019/02/Minori.pdf

Compito della commissione – che ha tra i componenti donne e uomini con competenze teologiche, psicologiche, pedagogiche, giuridiche e pastorali – è suggerire «quanto è necessario od opportuno introdurre in diocesi per la più efficace prevenzione (mediante iniziative formative e di sensibilizzazione, protocolli di comportamento e tutto quanto risulterà utile ai fini preventivi) di abusi sui minori o sugli adulti che hanno un uso imperfetto della ragione e che possono essere compiuti dagli adulti con compiti educativi nelle realtà diocesane (in primo luogo in parrocchie, oratori, associazioni cattoliche e scuole cattoliche o di ispirazione cristiana): ministri ordinati, consacrati, consacrate, laici e laiche con compiti di responsabilità nell’educazione».

Sulle orme del cammino intrapreso da Bolzano-Bressanone, anche a Trento è in cantiere – e verrà tra qualche tempo presentato ufficialmente – un Servizio di tutela per i minori.

La Conferenza episcopale dell’Emilia-Romagna ha recentemente promosso un corso di formazione per prevenire le violenze sessuali sui minori [inizio 13 ottobre 2018], al quale hanno partecipato da tutte le diocesi della regione 24 persone con differenti professionalità, già impegnati nei consultori familiari.

https://agensir.it/quotidiano/2018/10/13/abusi-su-minori-bologna-nel-seminario-un-corso-sulla-prevenzione/

A Natale è stato inaugurato a Noto (SR) l’Ufficio pastorale per le fragilità [primo in Italia], diretto da don Fortunato Di Noto, da anni impegnato nella lotta contro la pedofilia e la tutela dell’infanzia e fondatore dell’associazione METER. L’ufficio «si occuperà dell’ascolto e dell’accoglienza per coloro che si trovano in situazioni di sofferenza legate a abusi sessuali, fisici, maltrattamento, nuove dipendenze e problemi nelle relazioni familiari», e fornirà assistenza spirituale e professionale oltre ad orientare gli utenti verso competenze e strutture appropriate – afferma un comunicato ufficiale –.

www.diocesinoto.it/diocesi_di_noto/la_curia/00026354_Ufficio_Fragilita.html

Infine due iniziative in Sardegna. La diocesi di Tempio Ampurias (OT) ha realizzato una struttura per accogliere minori vittime di molestie; mentre a Cagliari è attivo dal 2015 uno sportello per l’ascolto di minori vittime di violenze.

Paolo Tomassone       Regno Attualità, 4/2019, 15 febbraio 2019, pag. 82

www.ilregno.it/attualita/2019/4/italia-violenze-sui-minori-cosa-fanno-le-diocesi-paolo-tomassone

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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM

Mantova. I Lions a fianco del Consultorio Ucipem

Affettività, sessualità, disturbi alimentari nei giovani.

Tra i principali service di quest’anno c’è il sostegno al Centro di Consulenza Familiare – Consultorio Ucipem di MN: il club contribuisce a un progetto rivolto alle scuole mantovane. Ospiti e relatori il dott. Gabrio Zacchè (presidente), l’avv. Andrea Gementi (direttore) e la dott.ssa Cinzia Chesi (psicologa/psicoterapeuta) che hanno trattato di affettività e sessualità; la dott. Debora Bussolotti ha affrontato invece il tema dei disturbi nei comportamenti alimentari nei giovani, tema di studio nazionale Lions.

Pochi sanno che i comportamenti di questo tipo, che interessano soprattutto adolescenti afflitte da anoressia e patologie correlate (i ragazzi sono solo il 5% dei soggetti coinvolti) sono la seconda causa di morte per le ragazze, dopo gli incidenti stradali. Si tratta di problematiche drammaticamente interconnesse e, con questo service, i Lions sono in prima linea per affrontare un disagio sempre più diffuso.

www.lionsclubmantovahost.it/2019/02/09/12-febbraio-il-consultorio-ucipem-su-affettivita-sessualita-e-disturbi-alimentari-nei-giovani

 

Etica Salute & Famiglia – Anno XXIII – n° 2 – marzo 2019

  • Educazione sessuale. Il ruolo della scuola Armando Savignano.
  • La gestione del conflitto. L’esperienza del conflitto all’interno della famiglia Aldo Basso.
  • Le comunicazioni sociali. Dal messaggio di papa Francesco all’intervento del nostro vescovo Marco. Gabrio Zacchè.
  • Consultorio e bisogni della società. Gabrio Zacchè, Giuseppe Cesa, Andrea Gementi.
  • Allattamento al seno: facciamo al meglio. Alessandra Venegoni, ostetrica
  • Sull’evoluzione della burocrazia e della tecnologia. Giuseppe Cesa, psicologo
  • Accanto a chi soffre. don Cesare Lodeserto, missionario

www.consultorioucipemmantova.it/consultorio/index.php/pubblicazioni/etica-salute-famiglia/142-etica-salute-famiglia-annoxxii-n-2-febbraio-marzo-2019

 

Portogruaro. Quando lo stress colpisce

  1. Che cos’è lo stress e che cosa ci “stressa”?
  2. I nostri punti di forza e nostri punti deboli.
  3. Proviamo a gestire efficacemente lo stress.

Conduce la psicologa e psicoterapeuta dr Laura Del Maschio.

0re 20.30- 22.30         27 marzo, 3 e 10 aprile 2019

Contributi pubblici 2018        www.consultoriofamiliarefondaco.it/?page_id=1454

www.consultoriofamiliarefondaco.it

 

Trento. Contributi sovvenzioni e introiti percepiti nel corso del 2018

Di seguito la documentazione relativa ai contributi sovvenzioni e introiti percepiti nel corso dell’esercizio precedente ai fini del rispetto della nuova legge 124 articolo1, comma 125-129 in materia di Trasparenza e pubblicità e anti concorrenza.

www.ucipem-tn.it/wp-content/uploads/ProspettoTrasparenza2018.pdf

http://www.ucipem-tn.it/adempimenti-trasparenza

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CONTRACCEZIONE

Cassazione: il medico paga il mantenimento per il figlio non voluto

            Corte di cassazione, terza Sezione civile, sentenza n. 4738, 19 febbraio 2019

www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_33680_1.pdf

Condannato a risarcire i danni da nascita indesiderata il medico di base che prescrive un farmaco non adatto alla contraccezione nonostante le richieste della paziente. Di recente, la Corte di cassazione ha pronunciato una sentenza relativa all’interpretazione del contratto di assicurazione stipulato da un sanitario, convenuto in giudizio per un’ipotesi di responsabilità medica.

            Si tratta della pronuncia numero 4738/2019 che, al di là degli aspetti relativi alla manleva [obbligazione assunta verso altri di sollevarli dalle conseguenze patrimoniali negative di un dato evento] della Compagnia assicuratrice, rileva anche indirettamente perché dalla stessa emerge la significativa pronuncia del Tribunale di primo grado, in materia di danni da nascita indesiderata.

Farmaco non idoneo alla contraccezione. La vicenda alla base della pronuncia della Corte riguardava infatti una coppia di genitori che aveva citato in giudizio il medico di base della donna, chiedendo il risarcimento per i danni da nascita indesiderata che erano derivati dal fatto che il sanitario, al contrario di quanto gli era stato richiesto, aveva prescritto un farmaco non idoneo alla contraccezione, tanto che i due avevano, appunto, generato un figlio.

Spese per il mantenimento. Accogliendo la domanda dei due, il Tribunale aveva quindi condannato il medico di base a risarcire il danno patrimoniale cagionato dalla sua condotta e rappresentato dalle spese per il mantenimento della minore, quantificate in 116.237 euro oltre interessi legali.

Sì alla manleva. A portare la questione sino all’attenzione della Corte di cassazione è stata la decisione del Tribunale di rigettare la domanda di manleva proposta dal medico nei confronti della propria compagnia, poi confermata anche dalla Corte d’appello. Per la Corte, però, le argomentazioni addotte dai giudici del merito a sostegno del diniego di manleva non sono condivisibili, con la conseguenza che il medico va quindi garantito dalla propria compagnia di assicurazione rispetto alla condanna che gli è stata inflitta.

Applicazione delle norme ermeneutiche. Si segnala che, nel giungere a tale conclusione, la Cassazione ha enunciato un principio importante, valido in questo come in altri ambiti.

            In particolare, per i giudici, “l’applicazione delle norme ermeneutiche di cui agli articoli 1362 ss. c.c. è un’operazione di diritto, che peraltro non è affidata a una potestà dispositiva delle parti coinvolte, id est [cioè] non dipende da specifiche argomentazioni della parte interessata. Questa deve portare il fatto all’esame del giudice e poi jura novit curia“[il giudice conosce le leggi].

Valeria Zeppilli                      Studio Cataldi                        26 febbraio 2019

www.studiocataldi.it/articoli/33680-cassazione-il-medico-paga-il-mantenimento-per-il-figlio-non-voluto.asp

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CONVEGNI SEMINARI

Convegno Vita: curare nella fragilità

“Yes to Life!” è il titolo del Convegno internazionale organizzato dal Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita dal 23 al 25 maggio 2019 prossimi, in collaborazione con la Fondazione “Il Cuore in una Goccia”.

“La medicina perinatale offre straordinarie opportunità di assistenza alla vita nascente, ma pone, al tempo stesso, importanti quesiti nell’accompagnamento concreto delle coppie e delle famiglie che vivono l’esperienza della nascita di un figlio. In particolare, le sfide poste dalla nascita di bambini affetti da gravi patologie ci sollecitano ad offrire un momento di formazione e informazione scientifica e pastorale, per promuovere una cultura autenticamente accogliente della vita nascente in condizione di grande sofferenza e disabilità. In ogni situazione la vita è un dono e una “opportunità per crescere nell’amore, nell’aiuto reciproco e nell’unità” (Amoris Lætitia, 47).

 E’ il passaggio significativo della lettera di invito, a firma del cardinale Kevin Farrell, Prefetto del Dicastero, indirizzata a rappresentanti delle Chiese locali e ad associazioni che operano nella pastorale e nel campo della promozione della vita. Tra i relatori, su temi di natura scientifica e pastorale, medici ed esperti delle cure perinatali e della psicologia familiare. La possibilità di iscriversi, entro il 31 marzo (fino ad esaurimento posti) attraverso il modulo allegato e l’invio all’indirizzo events@laityfamilylife.va.

www.laityfamilylife.va/content/dam/laityfamilylife/Eventi/Yes%20to%20life/Yes%20to%20Life%20-%20Programma%20ITA.pdf

www.laityfamilylife.va/content/laityfamilylife/it/news/2019/curare-nella-fragilita.html

 

Un ponte possibile fra i diversi ambiti e settori d’intervento

Giornata di studio su équipe interdisciplinari

Brescia Centro Paolo VI – 22 marzo 2019 ore 10.00 – 17.30

Nell’ambito delle iniziative programmate per il World Social Work Day del 19 marzo 2019, il CROASinsieme al CIPRA (Coordinamento Italiano Professionisti della Relazione d’Aiuto, a cui l’Aiccef è iscritta) e a Co.Me.Te. promuovono una giornata di riflessione sul valore delle équipe multi e interdisciplinari e di condivisione di pratiche professionali, portando valide esperienze nel campo della relazione d’aiuto – passate e future.

Le attuali tendenze legislative evidenziano come il sistema di welfare-state italiano è sottoposto a forti tensioni evolutive che ne stanno trasformando la natura e la struttura organizzativa. Nel sistema socio-sanitario e sociale locale, tre settori si ritrovano ad operare negli stessi ambiti e necessitano di trovare una collaborazione sostanziale, che richiede un’accurata e costante opera di tessitura di relazioni che non nascono spontanee, ma necessitano di una volontà precisa d’integrazione: pubblico, privato sociale e privato. Nel panorama dei servizi alla persona, accanto alle figure di assistente sociale, psicologo ed educatore oggi troviamo nuovi professionisti che interagiscono nel processo della relazione di aiuto quali, ad esempio, consulenti familiari, counselor professionisti, avvocati familiaristi, mediatori familiari. Quest’offerta è sicuramente una risorsa, ma è presente il rischio che i singoli professionisti rimangano sempre più isolati e il lavoro nella relazione d’aiuto si fossilizzi in una pratica che appare parcellizzata, dove i diversi ambiti – sociale, sanitario, educativo, legale – vengono sempre più distinti e frammentati e il terzo settore fatica a rimanere a fianco delle strutture pubbliche.                     Obiettivi della Giornata

  • Riflettere sulle risorse e i vincoli di pratiche collaborative fra i diversi settori e ambiti e le varie professioni;
  • Valorizzare e mettere a fuoco il ruolo delle singole professioni all’interno delle équipe;
  • Dialogare con gli amministratori locali, che devono avere accesso con uno sguardo interno per prendere decisioni e “fare i conti con i tagli di bilancio”.

Nella giornata di studio verranno presentati progetti, buone pratiche e modelli di lavoro interdisciplinare in alcuni degli ambiti della relazione d’aiuto, talvolta ben identificati (come il sociale) e altri meno definibili, “a cavallo” tra il sanitario, il sociale, l’educativo. La giornata dedicherà anche uno spazio conclusivo di dibattito fra professionisti e amministratori locali di Brescia. 

Destinatari: Assistenti sociali, educatori professionali socio-pedagogici e socio-sanitari, pedagogisti, psicologi, psicoterapeuti, counselor, mediatori familiari, consulenti familiari, avvocati familiaristi, e tutti quei professionisti che si trovano a lavorare nei o con i servizi sociali, la tutela minori, i servizi di affido e adozione, il servizio migrazione, servizi per le dipendenze, il terzo settore e nel privato.

  • Saluti: Marco Fenaroli – Assessore ai Servizi sociali Comune di Brescia

Maria Ruggeri – Consigliere CROAS

  • Il valore dell’interdisciplinarietà, la cultura dell’inclusione e del pluralismo

Cecilia Edelstein – Presidente CIPRA

  • L’équipe interdisciplinare nei progetti di affido familiare

Bertelli e Cristina Bo – assistenti sociali

  • Un’intersettorialità possibile tra pubblico e privato sociale

Sara Modora – counselor, mediatrice familiare

Lorenza Turra – assistente sociale

  • Progetto Orthos: la figura del counselor e l’équipe interdisciplinare nell’ambito delle dipendenze

Giovanna Puntellini – Gestalt Counselor

  • L’urgenza psicologica (ovvero emergenza antropologica) e la rete dei servizi

Anna Barracco – psicoanalista, Alessandra Balena – psicologa e psicoterapeuta

  • Deistituzionalizzazione e salute mentale territoriale: un progetto sperimentale interdisciplinare europeo per giovani adulti

Anna Consiglio – psicologa, psicoterapeuta, mediatrice familiare e counselor

  • Presa in carico interculturale di famiglie con minori

Mara Bontempi e Francesca Giugno – assistenti sociali

  • L’équipe interdisciplinare come occasione di operatività riflessiva: quale impatto e rilevanza etica-deontologica per i professionisti e le persone

Michela Gargioni – assistente sociale

  • L’avvocato familiarista e la rete dei servizi

Federica Tucci – avvocato

  • Lavorare in équipe: ricchezza e risorsa della Consulenza Familiare,

Stefania Sinigaglia e Rita Roberto – consulenti familiari

  • Tavola rotonda. Il valore dell’interdisciplinarietà nella complessità delle relazioni d’aiuto e nella costruzione dei Servizi: professionisti e amministratori locali a confronto.

Moderano: Mauro Cecchetto – segretario CIPRA e Maria Ester Paltrinieri – segretario CROAS Partecipano: AssoCounseling, A.I.M.S., AICCeF, AIAF, Comune di Brescia e ASST.

Ingresso libero. Per motivi organizzativi, vi preghiamo di iscrivervi a: eventi@cipraweb.it

www.cipraweb.it/cms/images/Programma_evento_CROAS-CIPRA-Co.Me.Te._22_marzo_2019_def.pdf

www.aiccef.it/it/news/a-brescia-il-convegno-cipra-sulle-equipe-interdisciplinari.html

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COPPIA E FAMIGLIA

“Torno a casa”: gruppo terapeutico e di sostegno alla genitorialità per padri detenuti in fase di reinserimento

01 Introduzione. Durante una pena detentiva, risulta difficile per i detenuti mantenere una relazione positiva con la propria compagna e i propri figli: molti genitori scelgono di non far entrare i minori in carcere, perché ritengono che possa essere spaventante, o possa creare confusione. Molti preferiscono raccontare di dover fare un particolare lavoro, o di dover andare all’estero, ricorrendo alle sole brevi telefonate concesse o alle lettere, fornendo agli operatori spiegazioni che comunque attengono ai bisogni del bambino e spesso inerenti l’inadeguatezza della situazione in cui si svolgono i colloqui (Shlafer & Poehlmann, 2010; Mumola, 2000).

            La condizione di minore con almeno un genitore detenuto accomuna un numero superiore ai due milioni di bambini nei Paesi del Consiglio d’Europa e 100.000 in Italia (alcuni dei quali vivono in carcere con la madre) e determina la necessità di vivere il rapporto con quelle che dovrebbero essere le principali figure di riferimento secondo regole, orari e modalità che non rispettano le loro naturali esigenze (Bambini senza sbarre, 2006). Circa la metà di questi bambini viveva con il genitore prima dell’inizio della carcerazione, subendo di conseguenza il trauma della separazione dal caregiver [familiare assistente], cambiamenti nel proprio stile di vita e, spesso, il pregiudizio sociale rispetto alla situazione che vivono queste famiglie (Murray, 2012). Peraltro, a tal proposito si ricorda il concetto di “profezia che si autoavvera”, descritta dal celebre esperimento di Rosenthal sull’Effetto Pigmalione, ossia come il comportamento delle persone tenda a conformarsi all’immagine che altri hanno di loro, sia in senso positivo che negativo: possiamo solo immaginare la portata potenziale che un fenomeno simile può avere su questi bambini.

            Secondo la ricerca “Paternità senza sbarre” del 2014, il 41% dei detenuti intervistati vede i figli una volta al mese o meno, il 22% non li vede (il 43% di questi ultimi non ricorre neppure alle telefonate, o perché straniero e quindi impossibilitato, o perché non le ritiene una modalità idonea), la quasi totalità del campione scrive molto spesso delle lettere. Se la compagna o moglie costituisce un importante sostegno in tal senso, vengono spesso ostacolati i rapporti con i figli quando è avvenuta una separazione. Questo studio ha peraltro portato alla luce come, a fronte di una svalutazione, passività, deresponsabilizzazione generale della propria persona in seguito all’ingresso in istituto, quello della genitorialità è un tema attivante e spesso “terreno fertile di empowerment”[processo di crescita, sia dell’individuo sia del gruppo, basato sull’incremento della stima di sé, dell’autoefficacia e dell’autodeterminazione per far emergere risorse latenti e portare l’individuo ad appropriarsi consapevolmente del suo potenziale].                       (…)

10. Conclusioni e progetti futuri. Da un punto divista qualitativo, i partecipanti si sono mostrati soddisfatti dell’esperienza, che si è rivelata utile sia rispetto alla gestione dei figli che per la loro qualità di vita. Molti hanno dichiarato la volontà di prendere contatto con servizi specifici e uno di loro ha frequentato un gruppo sulla regolazione emotiva con la stessa terapeuta (da libero, in regime di libertà vigilata).In considerazione dell’attuale presenza di un gruppo sul parenting all’interno della Casa Circondariale condotto dalla stessa terapeuta, per il futuro si auspica la possibilità di attuare un percorso più strutturato e collegato tra il momento della detenzione e quello del reinserimento, in modo da facilitare l’aggancio già in fase intramuraria e favorire un calo ulteriore delle recidive.

Sommario: 1. Introduzione. –2. Il Progetto. –3. Perché fare un gruppo? (e non continuare con colloqui individuali). –4. Considerazioni preliminari sull’alleanza terapeutica. –5. Obiettivi del progetto. –6. Materiali e metodi: strutturazione del progetto di gruppo terapeutico e sostegno alla genitorialità. –7. I risultati. –8. Follow up qualitativo. –9. Discussione. –10. Conclusioni e progetti futuri. –11. Ringraziamenti. –12. Citazioni e bibliografia

Chiara Paris   psicologa Giurisprudenza Penale Web, 2019, 2-bis – ISSN 2499-846X    13 febbraio 2019

www.giurisprudenzapenale.com/wp-content/uploads/2019/02/16-paris_gp_2019_2bis.p

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DALLA NAVATA

8° Domenica del Tempo ordinario – Anno C – 3 marzo 2019

Siracide          27, 08. Non lodare nessuno prima che abbia parlato, poiché questa è la prova degli uomini.

Salmo              91.16. Nella vecchiaia daranno ancora frutti, saranno verdi e rigogliosi, per annunciare quanto è retto il Signore, mia roccia: in lui non c’è malvagità.

1Corinzi         15, 58. Perciò, fratelli miei carissimi, rimanete saldi e irremovibili, progredendo sempre più nell’opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore.

Luca               06, 45. L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal cuore sovrabbonda».

 

La fecondità è la prima legge di un albero

L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene. Il buon tesoro del cuore: una definizione così bella, così piena di speranza, di ciò che siamo nel nostro intimo mistero. Abbiamo tutti un tesoro buono custodito in vasi d’argilla, oro fino da distribuire. Anzi il primo tesoro è il nostro cuore stesso: «un uomo vale quanto vale il suo cuore» (Gandhi).

            La nostra vita è viva se abbiamo coltivato tesori di speranza, la passione per il bene possibile, per il sorriso possibile, la buona politica possibile, una “casa comune” dove sia possibile vivere meglio per tutti. La nostra vita è viva quando ha cuore. Gesù porta a compimento la religione antica su due direttrici: la linea della persona, che viene prima della legge, e poi la linea del cuore, delle motivazioni profonde, delle radici buone.

            Accade come per gli alberi: l’albero buono non produce frutti guasti. Gesù ci porta alla scuola della sapienza degli alberi. La prima legge di un albero è la fecondità, il frutto. Ed è la stessa regola di fondo che ispira la morale evangelica: un’etica del frutto buono, della fecondità creativa, del gesto che fa bene davvero, della parola che consola davvero e guarisce, del sorriso autentico. Nel giudizio finale (Matteo 25), non tribunale ma rivelazione della verità ultima del vivere, il dramma non saranno le nostre mani forse sporche, ma le mani desolatamente vuote, senza frutti buoni offerti alla fame d’altri. Invece gli alberi, la natura intera, mostrano come non si viva in funzione di se stessi ma al servizio delle creature: infatti ad ogni autunno ci incanta lo spettacolo dei rami gonfi di frutti, un eccesso, uno scialo, uno spreco di semi, che sono per gli uccelli del cielo, per gli animali della terra, per gli insetti come per i figli dell’uomo.

            Le leggi profonde che reggono la realtà sono le stesse che reggono la vita spirituale. Il cuore del cosmo non dice sopravvivenza, la legge profonda della vita è dare. Cioè crescere e fiorire, creare e donare. Come alberi buoni. Ma abbiamo anche una radice di male in noi. Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio di tuo fratello? Perché ti perdi a cercare fuscelli, a guardare l’ombra anziché la luce di quell’occhio? Non è così lo sguardo di Dio. L’occhio del Creatore vide che l’uomo era cosa molto buona! Dio vede l’uomo molto buono perché ha un cuore di luce. L’occhio cattivo emana oscurità, diffonde amore per l’ombra.

            L’occhio buono è come lucerna, diffonde luce. Non cerca travi o pagliuzze o occhi feriti, i nostri cattivi tesori, ma si posa su di un Eden di cui nessuno è privo: «con ogni cura veglia sul tuo cuore perché è la sorgente della vita» (Proverbi 4,23).

Padre Ermes Ronchi, OSM

www.qumran2.net/parolenuove/commenti.php?mostra_id=45278

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DIRITTO DI FAMIGLIA

Quali prospettive per il Ddl Pillon sul tema della bigenitorialità e dei minori.

Ne parliamo con il giudice e pedagogista Raffaele Focaroli

Dal piano genitoriale alla fissa dimora dei figli che viene cancellata, fino all’obbligo di ricorso alla mediazione familiare: sul Ddl Pillon, ancora fermo al Senato in attesa di essere discusso ed emendato, da mesi giuristi, psicologi e esperti di famiglia si confrontano sull’opportunità di un provvedimento che intende riscrivere i rapporti di coppia partendo dall’assunto molto controverso e per alcuni addirittura “ideologico” della tutela “forzata” dell’unità familiare.          www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/01071882.pdf

A spiegare alcuni nodi del Ddl è Raffaele Focaroli, pedagogista, Giudice Onorario del Tribunale dei Minorenni di Roma e segretario dell’Associazione Nazionale Magistrati Minori e Famiglia sezione di Roma.

Giudice Focaroli, uno dei temi più contestati del Ddl Pillon è il tentativo di “complicare” le separazioni. E’ così?

Pillon, a supporto della sua Legge, cita Arturo Carlo Jemolo, giurista e storico cattolico secondo cui ‘la famiglia è un’isola che il diritto può solo lambire, essendo organismo normalmente capace di equilibri e bilanciamenti che la norma giuridica deve saper rispettare quanto più possibile‘. Ma al di là delle citazioni, a supporto del Disegno di Legge 735, tutto è ancora da definire in un clima di contestazione generale i cui protagonisti sono le diverse categorie professionali che si occupano di diritto di famiglia”.

Uno dei punti salienti del Ddl è quello della mediazione familiare. Che idea si è fatto?

“Sappiamo che i conflitti di coppia, salvo rare eccezioni, hanno come destino quello di essere discussi presso un’aula di Tribunale. In Italia, però, in modo ancora non ben definito, anche in relazione alla scarsa chiarezza sulle specifiche professionalità da coinvolgere e, di conseguenza, sulla formazione richiesta, da tempo si parla di Adr (Alternative Dispute Resolution), e cioè di un sistema stragiudiziale quale quello della mediazione familiare considerata nel Ddl come obbligatoria. C’è chi vede in questa novità la possibile risoluzione alle stressanti dinamiche conflittuali, tipiche della fine di un rapporto di coppia e chi, al contrario, un inutile dispendio di energia e soldi che, inevitabilmente, allungherebbe le tempistiche dei Tribunali appesantendo, ancora di più, il lavoro dei magistrati”.

Un altro elemento distintivo del Ddl è quello del “piano genitoriale”. Cosa ne pensa?

“L’art. 11 del Ddl specifica che, al di là della relazione tra le figure genitoriali, il minore è nel diritto di preservare “un rapporto equilibrato e continuativo con il padre e la madre, a ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambe le figure genitoriali e a trascorrere con ciascuno dei genitori tempi adeguati, paritetici ed equipollenti, salvi i casi di impossibilità materiale”. Nel contenuto della proposta si riportano, in modo puntuale, le tempistiche dei pernotti (dodici giorni presso ciascun genitore) e la particolarità del doppio domicilio a garanzia di una bigenitorialità perfetta sotto il profilo della norma”.

            Non le sembra che in tal modo i figli rischierebbero di perdere la cognizione della propria fissa dimora?

“Su questo già si sono espressi diversi psicologi e pedagogisti richiamando al trauma emotivo di un figlio che finirebbe per non avere più punti di riferimento stabili. Rimangono le eccezioni alla norma sui casi di ‘indisponibilità del genitore e sulla inadeguatezza degli spazi predisposti per la vita del minore’ su cui è chiamato ad esprimersi il Giudice e su cui, inevitabilmente, le eccezioni rischiano di essere diverse e, allo stesso tempo, disorientanti in termini, non solo giuridici, ma, anche educativi”.

Veniamo al mantenimento dei figli. Cosa prevede il Ddl su questo argomento?

“È un dovere preciso di entrambi i genitori e, questa volta, avviene in modo diretto. Mamma e papà, ciascuno nel periodo di frequentazione, farà fronte alle spese dei figli specificando, ovviamente, le spese straordinarie ed ordinarie. Il Ddl, al di là del contenuto, potremmo dire, schematico considera, nella sua applicazione, “le esigenze del minore, il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori, i tempi di permanenza presso ciascun genitore, le risorse economiche di entrambi i genitori e la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore”. Anche nell’ottica dell’assegnazione della casa, il genitore autorizzato a risiedervi dovrà corrispondere all’altro “un indennizzo pari al canone di locazione computato sulla base dei correnti prezzi di mercato”. Altro elemento non trascurabile è la disposizione in base alla quale cessa il mantenimento dei figli quando questi raggiungono il venticinquesimo anno di vita. Anche qui, se in linea di principio il contenuto della ipotetica Legge richiama ad una precisa assunzione di responsabilità da parte dei figli dall’altro non si può non tener conto della difficile epoca e della forte crisi economico – occupazionale dei giovani in cui sono rari i casi di impiego lavorativo per un giovane di quella età”.

            Il Ddl interviene anche a definire i casi di cosiddetta alienazione parentale.

“Al di là del riconoscimento o meno della comunità scientifica di un fenomeno quale quello del “Parental Alienation” è innegabile che per il minore questo comporti “un grave fattore di rischio evolutivo per lo sviluppo psicoaffettivo”. Su questo il Ddl cerca di correre ai ripari, in particolar modo con gli artt. 17 e 18, in cui si specifica che se un figlio rifiuta uno dei genitori, in assenza di “evidenti condotte di uno dei due” sta al magistrato intervenire attraverso lo strumento della limitazione o sospensione della responsabilità genitoriale fino, addirittura, all’allontanamento dal nucleo e collocamento in struttura”.

            Cosa si aspetta se il Ddl dovesse diventare legge?

“Non lo sappiamo e, tra l’altro, è piuttosto difficile prevederne gli effetti in termini applicativi a situazioni, che sono sempre specifiche e sulle quali non è possibile alcuna generalizzazione. Di una cosa siamo certi, l’evolversi di una società non può non essere supportato da una evoluzione dell’attuale quadro normativo”.

Daniele Piccinin         StudioCataldi.it – 27 febbraio 2019

          www.studiocataldi.it/articoli/33699-affido-condiviso-e-bigenitorialita-quali-prospettive-per-il-ddl-pillon.asp

 

La legge Pillon sull’affido condiviso vuole solo “punire” le donne

            Il disegno di legge Pillon sull’affido condiviso dei figli in seguito a separazione va respinto in toto. È una reazione punitiva nei confronti delle donne, della loro libertà crescente, della loro volontà di autodeterminazione che calpesta i figli, piccoli e grandi, svantaggia anche i padri. Madri e padri per legge dovranno dividersi il bambino al 50%, non ha importanza se vivono lontani, né se il bimbo è molto piccolo. La legge è legge. Non ammette eccezioni. Non importa se i bambini avranno difficoltà a frequentare i loro amichetti lontani. Non importa se diventeranno dei fagottelli tra una casa e l’altra senza una abitazione principale e con due residenze.

Non ci interessa questa falsa parità ma il benessere dei bambini e anche dei padri e delle madri, la condivisione non si misura col bilancino dei tempi, ma con una diversa capacità di relazionarsi in nome del benessere del proprio figlio. Ci sono alcuni numeri che inchiodano Pillon e il suo disegno di legge.

  • 64%: sono i bambini che vivono in famiglie in cui il padre fa violenza alla madre e assistono alla violenza. Se il bambino si rifiuta di vedere il padre, perché deve essere punita la madre e il figlio senza prove come si afferma nel disegno Pillon, quando molti bambini vedono il padre picchiarla?
  • 88%: sono le donne che non hanno denunciato la violenza subita dal partner. La convenzione di Istanbul proibisce per loro l’utilizzo della mediazione familiare obbligatoria, perché metterebbe a rischio di vita le donne vittime di violenza. Ma ciò a Pillon non interessa e istituisce la mediazione familiare obbligatoria e anche a pagamento.
  • 15%: sono i giovani di 25-29 anni studenti, 18% il tasso di disoccupazione dei 25-34enni. I figli dei separati dopo i 25 anni saranno fortemente penalizzati perché perderanno il diritto al mantenimento da parte dei genitori al contrario dei figli dei coniugati. Quindi avranno meno possibilità di svolgere studi post-universitari e maggiori criticità se disoccupati.
  • 43%: è il tasso di povertà ed esclusione sociale delle donne separate, 31% quello degli uomini. Le donne stanno peggio degli uomini secondo Eurostat, l’eliminazione dell’assegno di mantenimento dei figli le renderebbe ancora più povere.
  • 30%: sarebbe il tasso di povertà assoluta delle madri attuali separate se fosse loro tolto l’assegno di mantenimento dei figli. E il reddito medio delle madri diventerebbe la metà di quello dei padri.
  • 30%: le donne in coppia con figli che vivono in una abitazione in proprietà della famiglia ma che non hanno intestata l’abitazione contro il 17% degli uomini. Il carico del pagamento dell’affitto si aggiungerebbe alla più difficile condizione economica delle separate. Invece che impoverire le donne separate perché la legge non si occupa dei 2.000 padri separati homeless e delle 500 madri homeless?

Questi sono i numeri principali che inchiodano Pillon. Numeri che parlano da soli e ci dicono che bisogna rigettare il disegno di legge Pillon perché penalizza oltre le madri, i figli, e gli stessi padri. Numeri che si rivoltano contro lo stesso Pillon che dovrebbe sapere che le coppie coniugate con figli sono una minoranza delle famiglie in Italia, il 30,7% e sono in diminuzione. Se dovesse passare il suo disegno di legge non crescerebbero i matrimoni indissolubili ma diminuirebbero i matrimoni e con loro le nascite, perché le giovani generazioni preferiranno non sposarsi a fronte di una separazione così complicata.

Linda Laura Sabbadini         “La Stampa” 1° marzo 2019

www.lastampa.it/2019/03/01/cultura/la-legge-pillon-sullaffido-condiviso-vuole-solo-punire-le-donne-Tr3hSWSGFyMrNCpRp5ODmO/premium.html

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ENTI TERZ0 SETTORE

Rendicontazione del 5 per 1000

Gli obblighi di rendicontazione del 5‰ e di pubblicazione della rendicontazione sono quelli fissati dagli articoli 12 e 12 bis del Dpcm 23 aprile 2010, che ha introdotto l’obbligo di rendicontazione (da inviare all’amministrazione in caso di contributo superiore a 20,999 euro) come modificato dal Dpcm 7.7.2016, che ha eliminato l’obbligo per gli enti di rinnovare ogni anno l’iscrizione al 5‰.

www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2010/06/08/10A07158/sg

Il decreto legislativo 111/2017 sul 5‰ parte della Riforma del Terzo Settore, infatti, manca ancora del decreto attuativo necessario. Lo chiarisce una nota del Ministero del Lavoro del 26 febbraio 2019

www.lavoro.gov.it/notizie/pagine/5-per-mille-nota-obblighi-rendicontazione-dlgs-111-2017.aspx/

www.lavoro.gov.it/documenti-e-norme/normative/Documents/2019/Nota-n-2106-del-26022019-Obblighi-di-rendicontazione-5×1000.pdf

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                                               FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI

Elezioni europee: un decalogo per la famiglia. Patto per la natalità, lavoro, giustizia fiscale

In occasione dell’avvio della campagna elettorale per il rinnovo del Parlamento Ue, la Fafce (Federazione delle associazioni familiari cattoliche presenti nei Paesi dell’Unione europea) lancia un documento in dieci punti sui quali chiede l’adesione dei candidati. “Family mainstreaming”, inclusione, equilibrio tra vita professionale e domestica, ruolo dei genitori nella cura ed educazione dei figli.

“Incoraggiare i candidati alle elezioni al Parlamento europeo a impegnarsi per promuovere politiche favorevoli alle famiglie (family mainstreaming)”: è l’obiettivo dichiarato della campagna “Vote for the Family” lanciato dalla Fafce, la Federazione delle associazioni familiari cattoliche presenti nei Paesi dell’Unione europea (Federation of Catholic Family Associations in Europe). In vista delle elezioni del 23-26 maggio 2019 la Fafce – sede a Bruxelles, presieduta da Antoine Renard, raccoglie una quindicina di associazioni – ha prodotto un vero e proprio “decalogo”: ogni famiglia e associazione è invitata “ad alzare la voce per chiedere politiche favorevoli alla famiglia”, sulle quali impegnare i futuri eurodeputati, nella consapevolezza che “le decisioni assunte dall’Ue influenzano la vita quotidiana di ogni famiglia” in tutto il continente. Il manifesto sarà presentato a Bruxelles il prossimo 2 aprile.

Inverno demografico. “In qualità di candidato alle elezioni europee, mi impegno a riconoscere il valore del volontariato e del lavoro domestico svolto dai padri e dalle madri di famiglia, come fondamentali contributi di coesione sociale”: inizia così la dichiarazione che i candidati all’Euroassemblea sono invitati a sottoscrivere on line. All’atto di prendere decisioni politiche, il deputato si impegnerebbe su 10 punti.

  1. Il “patto europeo per la natalità”: “L’inverno demografico – si legge – è una silenziosa emergenza che riguarda tutti gli Stati europei. All’Europa occorre una primavera demografica. I figli sono il nostro principale bene comune. Mi impegno ad aumentare la consapevolezza in merito al declino demografico dell’Europa, proponendo provvedimenti e strumenti concreti volti a mutare gli attuali orientamenti”.
  2. Il “family mainstreaming” è il secondo punto: “La famiglia è la pietra angolare della società. L’Ue deve tener conto delle famiglie europee in tutte le sue decisioni, rispettando il principio di sussidiarietà”. Da qui l’impegno a promuovere il concetto di valutazione d’impatto familiare per ogni politica settoriale.
  3. Giustizia fiscale. Sostenere le voci delle famiglie è il terzo elemento sottolineato: “Le associazioni familiari sono la voce delle famiglie articolandone autenticamente i fabbisogni e aumentando il loro impegno nella società civile”. Ne consegue la necessità di far riconoscere “il contributo e il ruolo dell’associazionismo familiare nella definizione e nello sviluppo dei programmi europei”.
  4. L’ “economia al servizio della famiglia”, considerando che essa è “fonte di resilienza per la società e un aiuto nell’alleviare le difficoltà delle finanze pubbliche”. In questo senso servono “politiche pubbliche che riconoscano la dignità della famiglia e il suo ruolo economico fondamentale per il bene comune, lavorando a favore della giustizia fiscale e promuovendo buone pratiche come la ‘Carta europea della famiglia’”.
  5. Lavoro, inclusione sociale. Il “lavoro dignitoso per ogni famiglia” è il quinto nodo da dipanare, perché la famiglia “è il naturale attore-chiave per promuovere l’inclusione sociale”. Ed ecco la richiesta di politiche che “considerino il mercato del lavoro non solo in termini di economia e di finanza, ma che si focalizzino innanzitutto sui talenti personali, come attiva modalità di partecipazione al bene comune e strumento di prevenzione della povertà”. Esplicita poi la richiesta di riconoscere il valore del lavoro casalingo e del volontariato “come fondamentali contributi di coesione sociale”.
  6. Una delle tradizionali “battaglie” della Fafce e delle associazioni ad essa affiliate – è l’equilibrio tra vita familiare e impegno professionale: la famiglia, spiega il manifesto steso per le prossime elezioni, “dovrebbe essere un punto da cui partire per la definizione delle condizioni lavorative, per offrire modi di vita e di condivisione del tempo tali da garantire il mantenimento di dinamiche demografiche positive e contribuire così alla coesione sociale”. Ai politici di tutti i Paesi dell’Unione si chiede di “favorire una migliore articolazione dell’equilibrio tra vita familiare e vita professionale per il bene della famiglia, includendo la domenica come giorno di riposo settimanale per tutti”.
  7. Motore di generatività. Riconoscere la complementarietà donna-uomo è il settimo argomento sollevato: “La famiglia è motore primario di generatività di tutta la società”. L’impegno è a “riconoscere la complementarietà tra uomo e donna, rifiutando ogni tentativo di cancellare le differenze sessuali attraverso politiche pubbliche”.
  8. Ne consegue il paragrafo successivo: “rispettare e promuovere l’istituto matrimoniale”. Il documento afferma: “Vincoli familiari più forti contribuiscono a migliorare il benessere individuale. L’Unione europea e gli Stati membri sono tenuti a rispettare l’istituto del matrimonio e a promuovere le migliori pratiche per prevenire fallimenti matrimoniali”. Alla luce del principio di sussidiarietà, i candidati sono chiamati a contrastare “qualsivoglia interferenza dell’Unione europea nella definizione legale del matrimonio”.
  9. Rispetto della vita: “rispettare la dignità umana della vita dal suo inizio al suo naturale compimento”. Torna uno dei temi-cardine della presenza cattolica nello spazio pubblico europeo: “La famiglia è il luogo naturale dove ogni singola vita è benvenuta. Mi impegno a rispettare – si legge – la dignità della vita umana in tutte le sue fasi, dal concepimento alla morte naturale. Sosterrò tutte le buone pratiche e le politiche volte al prendersi cura di tutti i bambini, prima e dopo la nascita, e delle loro madri, nonché delle loro famiglie adottive o di affido”.
  10. Non da ultimo il ruolo dei genitori: “padre e madre primi e principali educatori dei figli”. Le famiglie “hanno sempre favorito una prospettiva di più lungo termine, preparando un futuro più sostenibile”. Ne deriva l’impegno affinché l’Unione europea in tutti i programmi educativi rivolti ai giovani “rispetti e promuova i diritti dei genitori a educare i propri figli secondo le proprie tradizioni culturali, morali e religiose, tese a favorire il bene e la dignità di ciascun figlio”.

Gianni Borsa Agenzia SIR                       25 febbraio 2019

https://agensir.it/europa/2019/02/25/elezioni-europee-un-decalogo-per-la-famiglia-patto-per-la-natalita-lavoro-giustizia-fiscale/

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FRANCESCO VESCOVO DI ROMA

La Chiesa sinodale di papa Francesco è una scelta politica

 

A pochi giorni dalla chiusura del summit straordinario contro la pedofilia in Vaticano, una riflessione del professor Massimo Faggioli, collaboratore della rivista Jesus, sulla visione del futuro della Chiesa espressa da Jorge Mario Bergoglio.

 

La parola che sintetizza la proposta di papa Francesco per la Chiesa e la società nella crisi della globalizzazione è sinodalità. In un momento in cui la dinamica politica in occidente si trova di fronte all’apparente e falsa alternativa tra appelli al popolo da una parte e difesa dello status quo con tutte le sue ingiustizie e ineguaglianze sociali ed economiche dall’altra parte, la Chiesa cattolica tenta di sottrarsi a questo vicolo cieco con una proposta che è teologica ma anche “politica” in senso alto. In una concezione di chiesa in cui il popolo è al centro, la sinodalità esprime un’idea di comunità ecclesiale ma anche umana, che si basa su alcuni valori non estranei al pensiero politico moderno: l’eguaglianza, ma soprattutto la fraternità – la promessa mancata della Rivoluzione francese.

Tipico della visione di Chiesa e di società di papa Francesco è il rigetto di tutti gli elitismi e i particolarismi. Ma la sinodalità necessita di forme concrete di elaborazione, formazione, ed espressione della partecipazione alla vita della comunità – forme che oggi stentano a concretizzarsi. È uno dei paradossi del pontificato di Francesco.

In questi ultimi sei anni la chiesa cattolica ha vissuto i suoi momenti più intensi e decisivi per il proprio futuro nei Sinodi dei Vescovi convocati da papa Bergoglio: nel 2014-2015 su matrimonio e famiglia, nel 2018 sui giovani, nel 2019 sull’Amazzonia. Ma di natura sinodale sono stati anche in altri momenti, come la riunione straordinaria dei presidenti delle conferenze episcopali in Vaticano per la crisi degli abusi sessuali nella chiesa del 21-24 febbraio 2019 scorso.

Allo stesso tempo, i ripetuti inviti di Francesco alle chiese locali di aprire nuove vie verso una chiesa sinodale hanno trovato pochi vescovi e poche conferenze episcopali pronte ad accettare la sfida. Lo ha fatto, notevole eccezione, la chiesa cattolica in Australia, che dall’anno scorso è impegnata nella preparazione di un concilio plenario (nazionale) che verrà celebrato tra 2020 e 2021.

In altre chiese, come in quella tedesca, i meccanismi di vita sinodale sono da sempre più forti che altrove. Quanto al nostro paese, è da qualche settimana che si discute dell’ipotesi di un sinodo nazionale per la chiesa italiana: con vistoso ritardo, a ben sei anni dall’inizio del pontificato sotto l’insegna della sinodalità.

È come se la tradizione della chiesa semper reformanda – sempre bisognosa di riforma – si fosse bloccata sul livello del riformismo, che è una categoria politica e non teologica, e tanto meno spirituale. Il problema non è, come è stato durante i pontificati di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, l’opposizione o lo scetticismo del Vaticano, che oggi con i suoi organi di elaborazione intellettuale – dai gesuiti di Civiltà Cattolica a L’Osservatore Romano – non teme di sponsorizzare la proposta.

Il problema è una chiesa che stenta a ricollegarsi all’ultima stagione sinodale a livello nazionale, quella degli anni settanta, sotto Paolo VI e sulla scia del Vaticano II. Un sinodo sarebbe la risposta più alta possibile della chiesa alla crisi politica e morale che attraversa l’Italia. Ma vorrebbe anche dire riprendere in mano un filo spezzato, quello dei momenti più generosi della storia dei cattolici italiani verso il proprio paese.

 

Massimo Faggioli       Famiglia cristiana on line      28 febbraio 2019

www.famigliacristiana.it/articolo/la-chiesa-sinodale-di-papa-francesco-e-una-scelta-politica.aspx?utm_source=newsletter&utm_medium=newsletter+fc&utm_content=primopiano&utm_campaign=fc1909

 

Francesco e le donne nella Chiesa

Chiesa come donna, genio femminile, machismo in gonna [eccessiva esposizione]: al summit sulla tutela dei minori il papa ha commentato l’intervento della sottosegretaria del Dicastero per i laici, la famiglia e la vita con parole importanti, tra le quali però non mancano punti problematici.

            All’Incontro sulla tutela dei minori nella Chiesa, dopo la relazione articolata e ricca di spunti tenuta da Linda Ghisoni, papa Francesco ha reagito a caldo con una riflessione che sostanzialmente ripropone luoghi già noti e ricorrenti nelle sue espressioni. Egli ha sottolineato con vigore l’importanza che a parlare fosse stata una donna, riconoscendo in questo il fatto che quando parla una donna, parla la Chiesa stessa. Non è quindi un parlare sulla Chiesa, nella Chiesa, ma è il parlare della Chiesa che si esprime attraverso il dire della donna.

Il rischio di una gerarchia ribaltata. Simili affermazioni vanno ricondotte certamente a una riconosciuta importanza della presenza della donna nella Chiesa, anzi esse esaltano ancora di più il ruolo della donna, facendola diventare soggetto ecclesiale in una maniera del tutto particolare. Le implicazioni ecclesiologiche di questo pensiero sono importanti, feconde, trasformatrici. Tuttavia esse aprono un orizzonte che richiede una seria riflessione sull’insieme del soggetto ecclesiale. Chissà come avranno recepito queste affermazioni tutti gli altri partecipanti al summit, per la stragrande maggioranza maschi, chierici di diverso ordine e grado.

            Si può ripensare al soggetto ecclesiale secondo una linea di distinzione tra maschile e femminile? Cosa ne è del rischio di ribaltare la scala di importanza, senza rimettere mano alla dinamica di appartenenza in un contesto di comunione tra soggetti?

Donna-Chiesa: i limiti di un’analogia e di un’esclusione. Ma c’è di più: quando si va alla ricerca della radice per cui quando parla la donna parla la Chiesa, il rimando alla figura della Chiesa e della donna sotto la triplice connotazione di donna, sposa e madre può tenere ancora?

            Certo sul peso di questa raffigurazione simbolica e sull’analogia delle funzioni sponsali-materne tra la Chiesa e la donna non c’è da farsi illusioni. Esse hanno il loro senso, ma solo se messe nel quadro di riferimento giusto.

            Il punto nevralgico è quello di far passare la linfa dell’analogia attraverso la figura delle connotazioni e delle funzioni corporee della donna. Questo ha un suo prezzo e non è privo di rischi, se si pensa a tutta la lunga tradizione che nel contesto religioso in generale, e in quello cristiano-cattolico in particolare, ha significato la negazione della sfera corporea.

Ora, se le parole del papa a tale riguardo possano e debbano costituire un punto di avanzamento, lo si misura sia sulle intenzioni – che a lui non possono essere riconosciute che sincere e positive – che sulle scelte concrete. E qui i cerchi si stringono in una morsa di consapevolezza rigorosa e consequenziale.

            Oltre all’accennato problema del soggetto ecclesiale in contesto di comunione, si apre un versante nuovo del tema della piena partecipazione della donna a tutte le espressioni del vivere ecclesiale, ivi compreso il ministero ordinato.

            Difatti, se la donna è soggetto sostanziale-sostanziante la Chiesa, come si giustifica la sua esclusione dal quella ministerialità che sostanzialmente caratterizza la Chiesa? O si riconosce a questa ministerialità la caratteristica di essere una “funzione”? E allora come la si mette con il discorso della comprensione “sostanziale” del ministero ordinato?

            Qui si capisce la complessità delle questioni che vengono ad aprirsi e che le parole estemporanee, sicuramente dettate da animo positivo di papa Francesco, mettono sotto gli occhi di tutti.

Il machismo con la gonna. Tra le espressioni certamente più incisive del papa c’è quella nella quale dice: «Ogni femminismo è un “machismo con la gonna”». Questo è un modo di dire non nuovo di papa Francesco, una specie di ritornello che a più riprese ritorna.

            C’è seriamente da pensare che il tema gli sia presente in maniera parziale, forse debitrice di condizionamenti culturali d’altra latitudine e altro segno. In questo l’auspicio è che ci siano voci competenti, oneste, costruttive intorno a lui per rappresentargli in tutta la sua ampiezza la questione del rapporto tra sfera maschile e sfera femminile come espressioni antropologiche. I femminismi – seppure si vuole usare questa dicitura problematica – sono tanti e vanno inquadrati, distinti, elaborati.

            I giudizi sommari non giovano, e fanno perdere di credibilità a quella intenzione cosi feconda e profonda di riforma di cui si parlava sopra. Le approssimazioni giocano un cattivo ruolo; servono per alimentare sovrastrutture ideologiche.

            Le espressioni del papa hanno trovato spazio all’interno di un summit che già di per sé è carico di importanza e speriamo anche di forza risolutiva della piaga della pedofilia nella Chiesa. Ora sarebbe un peccato che l’attenzione venisse distolta da questa problematica originaria che ha visto coraggiosamente chiamare a raccolta esponenti qualificati del corpo ecclesiale.

            Anche altri ci stanno provando, come quei tutori dell’ordine dottrinale che non desistono dalla volontà di affermare il nesso causale tra pedofilia e omosessualità. Un carico da cento sulla seconda, forse per abbassare il livello di guardia sulla prima? Chi lo sa?

Antonio Autiero         Regno Attualità         1 marzo 2019

www.ilregno.it/regno-delle-donne/blog/francesco-e-le-donne-nella-chiesa-antonio-autiero?utm_source=newsletter-mensile&utm_medium=email&utm_campaign=201901

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MATRIMONI

I dati europei. L’Italia ultima per matrimoni. Le scelte forti fanno più paura

Ogni mille abitanti solo 3,2 si sposano: in Europa soltanto la Slovenia fa peggio A pesare il sistema economico e fiscale ma anche un’eccessiva idealizzazione. In molti Paesi europei il matrimonio continua a essere una scelta importante. In uno studio Eurostat che prende in esame il numero di matrimoni per mille abitanti in 30 nazioni si scopre che in Lituania (7,5) e in Romania (7,3) il desiderio dei giovani di costruire una vita insieme rimane elevato. Su livelli appena inferiori Cipro e Lettonia (6,8). Poi, dopo l’eccezione di Malta (6,3), tanti Paesi del Nord e dell’Est europeo in cui le percentuali di giovani che scelgono di sposarsi rimangono rilevanti. Nei Paesi mediterranei di tradizione cattolica i numeri diventano invece più esigui. Quasi in fondo alla classifica dei Paesi presi in esame da Eurostat c’è l’Italia (3,2). Peggio di noi (3,1) solo la Slovenia.

            Sono dati che non sorprendono, ma che allarmano e amareggiano perché confermano il vuoto di prospettive che schiaccia i giovani, il timore del futuro, la fatica di assumere decisioni definitive, ma anche la solitudine. Non stupisce perché, se in una società tutto sembra congegnato per smantellare il valore del far famiglia e per svuotare di significato la scelta di sposarsi, è poi inevitabile che il numero dei matrimoni arrivi a quote irrilevanti. Meno matrimoni, meno nascite, meno prospettive di crescita vuol dire tracciare il profilo di una società ingrigita, che non riesce più a rigenerarsi e sembra quindi destinata all’autoestinzione. L’Italia senza fiori d’arancio diventa anche l’espressione di una società matrigna, in cui i giovani sono costretti ad andare all’estero – 86mila nel 2018 – per trovare lavoro ma anche condizioni più favorevoli alla costruzione di nuove relazioni.

            Guardando la situazione dei Paesi che ci superano nella classifica dei matrimoni (quasi tutti, come detto) si vede che esistano aree segnate positivamente da un fervore di rinnovamento sociale come i Paesi baltici, dove l’entusiasmo dei giovani è direttamente proporzionale alla voglia di futuro delle istituzioni.

            E poi altre aree che appaiono espressione di un welfare consolidato (Danimarca, Svezia, Finlandia, Germania, Austria) dove gli interventi dello Stato sociale convincono i giovani a uscire di casa, a scommettere sulla possibilità di farcela da soli, a sposarsi con percentuali che sono anche doppie rispetto all’Italia. Un’autonomia che è innanzi tutto un dato culturale diffuso, frutto di scelte familiari prima che di programmi statali. Certo, poi in quei Paesi anche i tassi di divorzio sono molto più elevati, ma la propensione al rischio non viene meno per il timore del fallimento.

            E cosa fare per il declino italiano? «Serve un patto per rilanciare il matrimonio», commenta Gigi De Palo, presidente del Forum delle associazioni familiari, da mesi già impegnato nel diffondere le buone ragioni del ‘Patto per la natalità’. Due aspetti che vanno evidentemente in coppia. «I figli nascono per lo più all’interno del matrimonio e in ogni caso – riprende De Palo – per crescere in modo equilibrato hanno bisogno del clima rassicurante di una famiglia. Per noi il matrimonio rimane evidentemente centrale anche se tutto oggi sembra svuotarlo di significato, dalle unioni civili alla proposta sui patti prematrimoniali per finire con il reddito di cittadinanza».

            Pochi giorni fa su ‘Avvenire’ (articolo di Massimo Calvi sul Reddito di Cittadinanza) abbiamo ricordato come in Italia sistema fiscale e parte del welfare siano pensati per disincentivare il matrimonio, favorire le convivenze e premiare la separazione, secondo una logica folle che privilegia la precarietà delle relazioni rispetto a chi continua a perseguire scelte coerenti di responsabilità e di dedizione fedele agli impegni assunti.

            Anche grazie a questa deriva masochistica oggi non a caso ci troviamo in fondo alla classifica dei matrimoni. Il messaggio sta arrivando forte e chiaro: da noi sposarsi paradossalmente non ‘conviene’ più. E, in assenza di consenso sociale e di sostegni fiscali, meglio convivere in modo libero, senza legami burocratici. Ma meglio per chi? «Oggi il sistema economico in Italia sembra emarginare chi si sposa – conferma l’avvocato Vincenzo Bassi, vicepresidente della Federazione associazioni familiari cattoliche (Fafce) – e forse dovremmo fare un po’ di mea culpa anche noi perché, evidentemente, non siamo stati in grado di spiegare che la famiglia viene prima di tutto, e non come oggi è intesa, esattamente all’opposto».

            Solo il fatto che nel nostro Paese esistano coppie che trovano vantaggiosa una separazione fittizia per aggirare una tariffa o per piazzarsi meglio nella classifica dei genitori in attesa di un posto al nido, lascia capire come il sistema sia pensato in modo deleterio e comunque in una logica anti-famiglia. Siamo arrivati al paradosso di una società che non solo evita di premiare il matrimonio come scelta di bene comune, ma addirittura lo trasforma in decisione da penalizzare.

            «Un tempo – riprende Bassi – ci si sposava per avere un riconoscimento sociale, oggi si è costretti a separarsi per strappare vantaggi fiscali. Non è solo un’ingiustizia. Si tratta proprio di un vero abominio giuridico». Motivi importanti, ma che non bastano ancora a penetrare un quadro di grande complessità. Per comprendere davvero in profondità le ragioni di questa fuga italiana dal matrimonio, non possiamo evitare di indagare anche il progressivo distacco dall’appartenenza ecclesiale. Perché non possiamo nascondere il fatto che, nel crollo dei numeri dei matrimoni, quelli religiosi siano in più rapido assottigliamento. Il dato non emerge dalla statistica di Eurostat che non fa distinzione tra matrimoni civili e nozze celebrate in chiesa, ma è noto che esistano previsioni statistiche che, per quanto riguarda l’Italia, fissano al 2020 l’anno del sorpasso tra nozze civile e nozze religiose.

            Non si tratta di indovinare quando succederà davvero, ma di chiedercene le ragioni. Perché questo ‘gelo’ tocca da vicino proprio l’Italia dove l’attenzione al matrimonio, con tante esperienze significative di accompagnamento e di preparazione, è da sempre un tratto caratteristico dell’impegno ecclesiale? Come mai le valanghe di documenti, di iniziative, di proposte pastorali non sono mai scese dai vertici alla base? Come mai non hanno inciso sulle scelte affettive dei giovani? Il Papa in Amoris lætitia, invita la Chiesa all’autocritica: troppo spesso abbiamo presentato il matrimonio come un ideale teologico troppo astratto «lontano dalla situazione concreta e dalle effettive possibilità delle famiglia così come sono» (n. 35). Siamo caduti in un’idealizzazione eccessiva, abbiamo insistito su «questioni dottrinali, bioetiche e morali» (n. 37) dimenticando il valore della grazia e ignorando il fatto che il matrimonio è un percorso dinamico, in cui si cresce insieme.

            «Da noi i dati risultano peggiori che altrove – fa osservare Pietro Boffi, responsabile del settore documentazione del Cisf (Centro internazionale studi famiglia) – proprio perché il matrimonio è connesso con una scelta di tipo religioso. Nel Nord Europa, e specialmente nei Paesi protestanti, è invece scelta laica. Da noi rimane gesto forte, caricato di una valenza che investe scelte definitive (il ‘per sempre’), mentre all’estero non è così. E, visto che oggi queste scelte definitive fanno sempre più paura, il matrimonio da noi crolla, mentre in altri Paesi le percentuali rimangono più elevate perché si tratta di una scelta intesa spesso a tempo determinato, con scarso coinvolgimento sociale».

            Insomma, se il matrimonio light modello Europa del Nord trova ancora ampi consensi, quello all’italiana connotato da un importante apparato ideale e spirituale – e forse anche da cerimonie molto costose – finisce per essere scelta residuale. Sarà. Ma rassegnarsi al declino della più significativa tra le relazioni vuol dire accettare una società in cui i legami rischieranno di essere meno coesi, meno solidali, meno intensi. Una società più fragile. È questo che vogliamo?

Luciano Moia Avvenire 27 febbraio 2019

www.avvenire.it/opinioni/pagine/litalia-ultima-per-matrimoni-le-scelte-forti-fanno-pi-paura

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MIGRANTI

Protezione umanitaria: il decreto Salvini non è retroattivo

Corte di cassazione, prima sezione civile, sentenza n. 4890, 19 febbraio 2019

www.personaedanno.it/dA/14123bae07/allegato/cass_4890_2019.pdf

Lo scorso 19 febbraio è stata depositata una sentenza della Corte di Cassazione dedicata all’istituto della protezione umanitaria, di fatto cancellato alla fine del 2018 dall’approvazione del cosiddetto “decreto Salvini”, poi convertito in legge lo scorso 28 novembre.

La Corte era stata interrogata su un aspetto in particolare, ovvero la retroattività delle norme in questione: l’abrogazione di fatto della protezione umanitaria si applica anche alle domande presentate prima dell’entrata in vigore del decreto, ovvero il 5 ottobre 2018, oppure soltanto alle procedure successive? La risposta data dalla Cassazione è stata la più prevedibile, confermando le sentenze di Tribunali e Corti d’appello emesse in questi mesi. Gianfranco Schiavone, giurista e vicepresidente di Asgi, l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione, spiega che «era una sentenza attesa: la norma non può avere un’applicazione retroattiva, la legge riguarda ciò che avverrà e non ciò che è avvenuto. Eventuali eccezioni in campo civile sono soggette a limitazioni molto precise e comunque andavano disciplinate per legge, cose che il decreto 113 e la legge di conversione in legge 132/2018 non faceva affatto. La Cassazione non ha fatto altro che ribadire il principio generale della non retroattività».

            Oltre a questo principio generale, affermato all’articolo 11 del Codice civile e derogabile soltanto in modo esplicito, la questione è orientata anche da considerazioni più specifiche: l’esame della domanda di protezione è tecnicamente ricognitivo, quindi non è la decisione amministrativa o giudiziale a costituire il diritto alla protezione internazionale o al permesso per motivi umanitari. Le commissioni territoriali o il tribunale, insomma, non costituiscono un diritto, ma accertano che quando la persona ha fatto la domanda di protezione aveva diritto a che gli fosse riconosciuta. «Non è un cavillo come magari qualcuno potrebbe pensare – racconta Schiavone – perché il diritto è costituito quando la persona ha fatto la domanda e aveva il diritto di vedersi esaminata la domanda con la normativa che vigeva in quel momento. Il mero ritardo della pubblica amministrazione nell’esaminare le domande non può costituire un motivo per poi esaminare la medesima domanda con una legge diversa solo perché nel periodo di attesa è intervenuta una nuova legge. Prendiamo due richiedenti asilo che hanno fatto la domanda nel gennaio del 2018: magari una persona è stata chiamata prima del 5 di ottobre e si è vista esaminare la domanda anche alla luce della nozione della protezione umanitaria, mentre l’altra no, perché nel frattempo è cambiata la legge. Si tratterebbe di una palese ingiustizia, perché introduce un diritto in una sorta di gioco. Proprio per questo la Cassazione ha ricordato che tutte le domande che erano state introdotte prima del 5 ottobre 2018 vanno esaminate secondo la normativa che c’era allora».

            La sentenza della Cassazione si inserisce in un contesto che nella pratica si era già trasformato prima del “decreto sicurezza”: nell’estate del 2018, infatti, una circolare del ministero dell’Interno raccomandava alle commissioni territoriali di valutare in forma più restrittiva i requisiti per la protezione umanitaria, disincentivandone di fatto il riconoscimento. Per valutare le domande d’asilo alla luce della sentenza della Cassazione è inevitabile tenere conto anche di questo orientamento, che per Schiavone è «sostanzialmente in disapplicazione della legge [allora] vigente e quindi illegittimo». La posizione di chi non ha visto esaminare la propria domanda prima del 5 ottobre è quella più delicata, sia che questa domanda sia pendente sia che sia stata presa in esame dopo quella data. In questo secondo caso, poi, è possibile che alcune commissioni abbiano ritenuto che la fattispecie giuridica della protezione umanitaria non fosse assolutamente più esistente, e quindi neppure presa in considerazione. «È evidente – chiarisce Schiavone – che la pubblica amministrazione adesso deve rivedere il proprio orientamento ed esaminare le domande ancora pendenti in maniera corretta». Inoltre, spiega ancora il giurista, «dovrebbe accogliere le domande anche in autotutela a rivedere tutte le proprie decisioni nelle quali ha ritenuto di non esaminare affatto la domanda sotto il profilo della protezione umanitaria. Se non lo fa rischia un numero enorme di contenziosi chiaramente fondati, che determinerebbero non soltanto un enorme ritardo nell’esame delle domande, ma anche una spesa pubblica dilatata e un danno erariale».

            Nella sentenza, la Cassazione cita esplicitamente la Costituzione, affermando la connessione della protezione umanitaria con il diritto d’asilo costituzionale, definito “diritto soggettivo perfetto appartenente al catalogo dei diritti umani, di diretta derivazione costituzionale e convenzionale”. «Le conseguenze operative di questo ulteriore orientamento della Cassazione – chiarisce ancora Gianfranco Schiavone – sono che la domanda va esaminata alla luce della protezione umanitaria e quindi nel momento in cui la commissione fa questo non ci sono spazi nuovi per eccepire una incostituzionalità della norma, perché la norma ancora previgente deve essere applicata».

            Tuttavia, la questione costituzionale si pone di fronte a un altro ambito, quello delle domande di protezione presentate dopo il 5 ottobre, che vanno correttamente esaminate secondo il decreto Salvini. In questo senso, il pronunciamento della Cassazione si potrebbe leggere, secondo Schiavone, «come un’anticipazione della sostanziale eccezione di costituzionalità sulla norma che credo ci sia in maniera fortissima, proprio perché l’abrogazione della protezione umanitaria rende incompleto l’articolo 10 comma 3 della Costituzione che oggi era disciplinato nelle tre forme. Su questo ci sono orientamenti diversi, ma tutti sono d’accordo sul fatto che il diritto d’asilo in Italia non si può limitare alla sola protezione internazionale. Quindi quando la protezione umanitaria non ci sarà più a tutti gli effetti, il problema della legittimità costituzionale verrà immediatamente alla luce».

Marco Magnano                               26 febbraio 2019

https://riforma.it/it/articolo/2019/02/26/protezione-umanitaria-il-decreto-salvini-non-e-retroattivo?utm_source=newsletter&utm_medium=email

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OMOFILIA

Prete e omosessuale: perché? come?

Sono preti, e omosessuali. E devono resistere davanti alla valanga di scandali che infangano la Chiesa. La CCBF (Conférence Catholique des baptisés francophones), facendo sentire la loro testimonianza, afferma con forza di essere al loro fianco. Il libro-inchiesta sull’omosessualità nella Chiesa, Sodoma, aiuterà quest’ultima a rivedere il suo discorso sulla sessualità? Lo spero, perché questo discorso provoca la collera e fa pesare la vergogna su chi rientra in questa realtà. Aggiungiamo che, in dicembre, il libro intervista La forza della vocazione, di papa Francesco, nella sua parte sull’omosessualità risveglia questo dolore, mentre il papa aveva dato molteplici segni di speranza per un’accoglienza più rispettosa delle persone omosessuali.

Sono prete e omosessuale. È il desiderio di far conoscere Cristo, sorgente di felicità, che mi ha messo in cammino. Ho sempre sentito che il mio sguardo si rivolgeva verso gli uomini senza essere alla ricerca di un partner. Entrato in seminario, ne ho parlato al mio accompagnatore spirituale che mi ha invitato ad essere autentico e mi ha detto che se non avevo il desiderio di qualcuno, dovevo vivere il percorso di discernimento e di formazione: studi, ministero e vita affettiva equilibrata. In nessun momento del mio percorso ho avuto il desiderio di incontrare un partner. Ma sono testimone che un gran numero di persone omosessuali sono venute a parlarmi di quello che vivevano, sollecitando un ascolto e delle parole che calmassero le loro tensioni. Ho continuato il mio cammino con una congregazione per vivere un ministero con le mie aspirazioni di servizio e aperto ad una vita di comunità: luogo di equilibrio della mia affettività. Ordinato prete, ho continuato ad essere testimone presso molti giovani e meno giovani omosessuali che mi chiedevano di fare un percorso con loro. Come se Dio mi dicesse: “Tu ascolterai le tue sorelle e i tuoi fratelli omosessuali affinché mi sentano e continuino a camminare in mia compagnia”. Alcune esperienze di ascolto mi hanno turbato: particolarmente quelle di fratelli preti che mi esprimevano la loro situazione affettiva e il loro desiderio di una vita affettiva aperta ad una relazione stabile.

Preghiera liturgica, orazione, accompagnamento spirituale, ministero e vita comunitaria sono stati il crogiuolo dei miei primi anni di ministero. Poco tempo dopo la mia ordinazione, ritrovando un habitat solitario, il mio equilibrio affettivo si rompe, durante una prima crisi. Seguo allora un percorso in psicoanalisi, con l’idea di continuare la mia strada nel celibato. Ho imparato a non offrire più la mia perfezione, ma la mia realtà al Signore. Poiché le nostre relazioni umane sono frazionate ed individualiste, alcuni anni dopo, l’incontro di una persona ha rimesso in discussione il mio celibato. Ho cercato di attingere luce negli insegnamenti della Chiesa. Non avevo mai avuto vergogna della mia omosessualità, mi costituiva, ma le parole del catechismo mi hanno ferito: “Un numero non trascurabile di uomini e di donne presenta tendenze omosessuali profondamente radicate. Questa inclinazione è oggettivamente disordinata (CCC 2358). Quando sento “disordinato”, interpreto “sporco”, “oscuro”, che ha a che vedere con il peccato.

Non riconoscere una sensibilità affettiva equivale a dire che alcuni ricevono alla nascita, per la loro esistenza, delle bussole alterate. Come accettare questo, se si crede in un Dio giusto e buono? Il testo afferma anche che “le persone sposate sono chiamate a vivere la castità coniugale; le altre persone praticano la castità nella continenza” (CEC 2349). Questo significherebbe che, non essendo naturale, l’omosessualità dovrebbe condurre alla continenza. Ma la genitalità, pur essendo solo una piccola parte della vita affettiva, è costitutiva della vita umana. Chiedere di cancellare questa parte dell’essere non sembra adatto a tutti… ma io aveva questa vocazione alla continenza, era la chiamata specifica che avevo ricevuto. È la tenerezza di coloro (donne e uomini) che mi erano vicini nel ministero e nella vita comunitaria che mi ha fatto ritrovare il mio posto. Avevo ritrovato la gioia della mia consacrazione.

Nel 2005, la Chiesa pubblica un testo che torna ad aprire la mia ferita. Questa volta chiede che non siano più ordinati uomini omosessuali. Mi rimette in crisi sentir dire: “Il candidato al ministero ordinato deve raggiungere la maturità affettiva. Tale maturità lo renderà capace di porsi in una corretta relazione con uomini e donne, sviluppando in lui un vero senso della paternità spirituale nei confronti della comunità ecclesiale che gli sarà affidata” (art. 1, Istruzione della Congregazione per l’educazione cattolica, novembre 2005). Si può seriamente credere che un uomo omosessuale ordinato prete non può più essere in grado di rappresentare la Chiesa perché è immaturo? Affermare questo è offensivo e ingiusto. Conosco molti preti omosessuali che sono fedeli ai loro impegni. Durante questi anni movimentati, sono i fratelli e le sorelle segnati dall’homo-sensibilità, laici o preti, che mi hanno permesso di amare questa parte di me, al fine di lasciare che Gesù occupasse di nuovo il posto che è suo nella mia esistenza. Hanno permesso che questa “colorazione” del mio essere non mi allontanasse dal dono nel celibato consacrato e che fosse il vero segno di una disponibilità per tutte le sorelle e tutti i fratelli compagni nel cammino.

Termino con l’incontro di Gesù risorto con Pietro sulla riva del lago. A Pietro, deluso per la sua diserzione durante la passione, Gesù chiede non la contrizione, né il rammarico, ma del pesce. Gli chiede quello che sa fare. Gesù lo rimette nella sua vocazione primaria. Poi lo sollecita due volte sul suo amore-agape (amore-passione), ma Pietro è capace solo di amore-filia. Quindi è l’amore-filia (amore d’amicizia) che Gesù gli chiederà. Non gli chiede l‘amore-agape (l’amore-oblazione), non sa offrirlo. Chiede l’amore-filia, quello solo che è capace di dare. È così che Pietro sarà testimone, sarà perfino pastore della Chiesa. Possa la Chiesa non dimenticarlo mai, accogliendo e parlando dei suoi preti omosessuali, se non vuole abbandonare la strada del suo Signore.

Père Bernardin          “www.baptises.fr” 28 febbraio 2019 (traduzione: www.finesettimana.org)

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201902/190228perebernard.pdf

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PASTORALE

Fidanzati oggi, i nuovi catecumeni

Una coppia “anomala” firma a quattro mani un corposo testo dedicato alla preparazione al matrimonio in libreria dalle ultime settimane dello scorso anno per i tipi delle Edizioni del Messaggero di Padova. Il motivo di una coppia – non di sposi come ci si potrebbe aspettare, bensì di un prete e una laica coniugata, madre e nonna – è spiegato dagli obiettivi, stile e contenuti del volume che raccoglie il lavoro di un Laboratorio di discernimento pastorale all’interno di un ciclo di licenza in teologia pastorale presso la Facoltà Teologica del Triveneto nell’anno 2016/17.

Curatori don Francesco Pesce della diocesi di Treviso, docente presso l’Issr “Giovanni Paolo I” del Veneto orientale e presidente del Centro Famiglia, Istituto di cultura e pastorale della sua diocesi (autore anche di “Una lettera d’amore. L’Amoris lætitia letta in famiglia” prefazione di Paolo Gentili, Edb 2018) e Assunta Steccanella, docente presso l’Issr A. Onisto di Vicenza e incaricata di teologia pastorale presso il ciclo di licenza della Fttr a Padova.

Con l’obiettivo di realizzare “un saggio e realistico discernimento pastorale” il Laboratorio – articolato a livello interdisciplinare, come testimoniano i contributi dei diversi esperti i cui contributi fanno parte integrante del testo – spazia dall’ascolto della realtà (coniugi Claudia Catani e Renzo Boldrini della diocesi di Adria-Rovigo e delegati della Cet per il matrimonio e la famiglia fino al 2016) alle sfide e le opportunità del contesto socio-culturale (Maria Castiglioni, dipartimento di Scienze statistiche all’università di Padova), dal ruolo fondamentale delle relazioni (Mariolina Ceriotti Migliarese, neuropsichiatra e psicoterapeuta a Milano) alle origini evangeliche del matrimonio (Gianattilio Bonifacio, docente di Sacra Scrittura allo Studio teologico di San Zeno a Verona). Più che significativi lo sguardo antropologico-liturgico derivato dal Nuovo Rito del matrimonio cristiano (dal 2004 e curato da Francesco Scanziani docente di Antropologia teologica al Seminario di Venegono e all’Issr di Milano) e l’excursus di carattere storico sulla preparazione al matrimonio nel magistero post-conciliare a firma di Oliviero Svanera, docente di teologia morale, sessuale e familiare presso l’Istituto di Sant’Antonio Dottore a Padova.

Sullo sfondo, ad oltre un anno dalla pubblicazione, l’esortazione apostolica (Amoris lætitia) di Papa Francesco al termine dei due Sinodi sulla famiglia, che costituisce il filo rosso del Laboratorio nel suo complesso. Così mons. Enrico Solmi, vescovo di Parma e delegato Cei ai Sinodi sulla famiglia, aiuta a riflettere sull’immagine, il ruolo e la vocazione della famiglia nella Chiesa e nella società secondo i Padri sinodali, Gilfredo Marengo – ordinario di Antropologia teologica al Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per studi sul Matrimonio e la famiglia di Roma – propone, sulla lunghezza d’onda dei Sinodi, una “traccia per camminare verso il matrimonio cristiano” e monsignor Sergio Nicolli, già direttore dell’Ufficio nazionale Famiglia della Cei (2002-2009) e oggi parroco e decano a Rovereto, forte della sua esperienza anche di delegato per la Pastorale Famiglia della diocesi di Trento (fino al 2002) e della formazione degli animatori di pastorale familiare (a partire dai primi anni ’90), presenta contenuti e metodo di quello che oggi viene definito un nuovo “catecumenato” in preparazione al matrimonio.

Chiude il volume una panoramica di “voci dalle Chiese locali” a cura di don Giuseppe Pellizzaro, teologo morale e Assunta Steccanella, con particolare riferimento alla realtà veneta, e alcune proposte di carattere pratico in prospettiva catecumenale peraltro già sperimentate in alcune diocesi del Nord-Est.

Un’espressione quella di “catecumenato” che, come ricorda don Pesce, ricorre per il terzo (ora anche quarto) anno consecutivo nel tradizionale discorso di papa Bergoglio all’inaugurazione dell’anno giudiziario della Rota romana. Ma che significa – in un contesto come quello di oggi che registra un calo dei matrimoni, soprattutto religiosi, e una pratica religiosa che si ferma agli anni dei sacramenti dell’iniziazione cristiana – parlare di “catecumenato” in preparazione al matrimonio? Un percorso che non tiene conto della quantità di contenuti (rischio di ogni struttura che assume il nome di “corso”, termine di solito usato per indicare i cicli di incontri prematrimoniali), bensì viene declinato nella logica del “far rivivere la coscienza cristiana” come indica Papa Bergoglio anche nell’ambito di Amoris lætitia: in quest’ottica il cammino in preparazione al matrimonio diventa un’occasione per “svegliare, formare e accompagnare la coppia”, scrive don Pesce che aggiunge come la preparazione alle nozze cristiane possa essere intesa anche come “un tempo per acquisire strumenti”.

Il tradizionale “corso” prematrimoniale, croce e delizia di fidanzati (sempre più spesso conviventi e pure genitori e quindi più “maturi” per una scelta consapevole) e parroci, alle prese con certificati e attestati rispettivamente da presentare e raccogliere, si trasforma così in una sorta di “cassetta degli attrezzi” per comprendere meglio la propria vocazione alla famiglia con l’aiuto stabile di coppie di sposi appositamente formate all’animazione degli adulti e la collaborazione di un prete per indicare la varietà dei carismi. Perché l’annuncio del Vangelo non è qualcosa di estraneo, calato sui due che si amano, bensì “l’annuncio di Dio sull’amore umano” e la loro esperienza d’amore diventa un sacramento, segno efficace della salvezza stessa.

“Un itinerario siffatto, nella partecipazione alla vita della comunità cristiana – scrive don Nicolli – sostiene la coppia nel maturare, nella riscoperta di Cristo e della Chiesa, l’incontro con il Dio vivente”. A patto di prestare attenzione ai destinatari e al contesto culturale in cui vivono, individuare contenuti significativi ed essenziali e una metodologia (mai abbastanza studiata) adatta a suscitare interesse rispetto ai contenuti proposti: nello specifico il Lezionario per la Messa degli Sposi, il Nuovo Rito del Matrimonio, il Direttorio di Pastorale familiare e gli Orientamenti pastorali del 2012 costituiscono una miniera cui attingere per elaborare un percorso efficace cui potrà seguire la proposta di continuare all’interno di un Gruppo Famiglia (un’esperienza attivata in alcune diocesi da oltre 40 anni) per una formazione permanente curata dalle coppie in prima persona, così come accaduto nel percorso in vista del “giorno del sì”. Senza dimenticare la valenza missionaria in quanto incontri di questo tipo si rivelano essere “un momento favorevole per far conoscere un Dio diverso da quello di cui si sono sbarazzati quando hanno fatto la Cresima, un Dio che ama l’amore umano perché ne è la radice e la garanzia … un momento favorevole per far conoscere una chiesa che non è quella che hanno lasciato pensando che non sia cosa per adulti, una Chiesa che non interviene su una storia d’amore tanto per porre divieti o limiti, ma che si stupisce dell’esperienza degli innamorati, che la percepisce come ricchezza…”. E questo è l’annuncio di oggi, in tempo di nuova evangelizzazione.

“Verso il matrimonio cristiano. Laboratorio di discernimento pastorale”,

a cura di Francesco Pesce – Assunta Steccanella – Edizioni Messaggero Padova 2018, pp. 266 € 19

Maria Teresa Pontara Pederiva, Trento                 Vatican insider recensioni     25 febbraio 2019

www.lastampa.it/2019/02/25/vaticaninsider/fidanzati-oggi-i-nuovi-catecumeni-dnEBmx79xesZ6KQ0XYIaMO/pagina.html

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PEDAGOGIA

Come rafforzare l’autostima nei bambini

Credere in se stessi è il primo passo per poter vincere qualsiasi sfida: per questo è essenziale lavorare sull’autostima fin da quando i bambini sono piccoli.

Il lavoro che scegli, gli amici di cui ti circondi, perfino la persona con cui decidi di passare la vita dipendono molto dalla visione che hai di te stesso/a, da quello che pensi di meritare. Un buon livello di autostima determina le scelte degli individui fin dall’infanzia: chissà quanti da piccoli hanno abbandonato uno sport perché avevano paura di non essere bravi, da giovani non hanno mai rivelato a quella ragazza o a quel ragazzo i loro sentimenti perché non si sentivano “all’altezza”, da adulti non hanno viaggiato perché in un imprecisato momento del loro cammino si sono convinti che non erano fatti per le lingue straniere, cambiando così i loro destini. Come rafforzare l’autostima nei bambini? Questo articolo è rivolto a genitori ed educatori che abbiano voglia di fermarsi a riflettere sull’importanza di un buon lavoro sull’autostima nei piccoli fin dalla più tenera età, attraverso “le 10 A dell’autostima”. Non tanto per poter avere dei campioni in miniatura, ma per poter gettare presto le basi per crescere dei bimbi emotivamente sani, felici, in grado di non avere troppa paura delle sfide e delle avversità, di amare se stessi in modo equilibrato e di pretendere lo stesso amore e rispetto dagli altri.

Cos’è l’autostima e da cosa viene influenzata? L’autostima è la valutazione positiva che il soggetto ha delle proprie capacità, la percezione di essere in grado di risolvere problemi in modo autonomo, di “potercela fare”. Un buon livello di autostima porta indubbiamente un soggetto ad essere indipendente, a cogliere opportunità nuove, ad adattarsi in modo flessibile alle situazioni, contribuendo a formare tutto ciò che, comunemente, viene definito “ottimismo”.

Per la psicologia dell’età evolutiva, infatti, un’autostima adeguata è il cardine di un buon adattamento socio-emozionale. Essa è influenzata soprattutto dalla famiglia, primo ente formativo dei bambini, successivamente dalla resa scolastica e dal contesto sociale-relazionale.

Quando si sviluppa l’autostima? L’autostima inizia a svilupparsi fin dalla nascita e nel corso della vita assume significati diversi a seconda degli stadi delle età.

Sotto i due anni si può parlare solo di serenità del bambino, che si sente accudito e al sicuro quando qualcuno lo ama e si prede cura di lui. Dai 2 anni in poi, il piccolo diventa più consapevole della propria forza, sente di essere in grado muoversi e far muovere il corpo e gli oggetti, padroneggiandoli secondo la propria volontà, iniziando a formare quel senso di autoefficacia che crea le basi dell’autostima.

E’ però solo dai 4, 5 anni che il bambino inizia ad avere pensieri più articolati su come dovrebbe essere e come invece è in realtà: il confronto con gli altri permette ai bimbi di capire istintivamente quali sono i loro limiti, dando forza o decostruendo l’immagine ideale che hanno di se stessi. Dai 6 anni in poi, con la scolarità, il processo di sviluppo della fiducia nelle proprie capacità uscirà dal nucleo della famiglia e continuerà anche sui banchi di scuola, andando avanti per molto tempo fino all’adolescenza, momento particolarmente delicato nel quale avranno un peso determinante anche le relazioni con i pari.

Cosa sono “le 10 A dell’autostima”? Nonostante l’ampiezza e la delicatezza del tema, quella che viene presentata è una sintesi delle azioni più efficaci da intraprendere per rafforzare l’autostima nei bambini. L’autrice, grande estimatrice delle teorie educative del noto psicologo clinico Thomas Gordon, propone tale sintesi mediante 10 parole chiave che iniziano con la A per facilitare la lettura e la memorizzazione. Eccole di seguito.

  1. Amore (totale e incondizionato). Questo è in assoluto il punto di partenza di qualsiasi azione verso i bambini: un amore incondizionato. Usa tutta la forza e il tempo che hai per far sempre sentire i bimbi amati ed accettali per quello che sono, con i loro difetti e i loro limiti, senza mai mettere in discussione il sentimento profondo che provi per loro. Non pesare le forme d’affetto che utilizzi temendo di essere troppo sdolcinato/a: il tempo dei baci, degli abbracci, delle coccole non è infinito, usa al meglio gli anni che hai a disposizione. Non risparmiare nessuna “parola d’amore”: tutte quelle che utilizzerai per raccontare le tue emozioni aiuteranno il/la tuo/a bambino a formare un proprio linguaggio emotivo, aspetto che potrà risultare fondamentale da adulto per aiutarlo a spiegare come sta e ad esternare ciò che prova.
  2. Attenzione. Nell’epoca degli smartphone e dei social questa è forse la componente più urgente: usa il cellulare quando sei solo/a, sbriga i doveri nell’orario lavorativo, ma quando sei con tuo/a figlio/a cerca di essere completamente a sua disposizione. Non perdere il contatto visivo mentre parla, fai domande che dimostrino interesse. Avere il tuo sguardo e sentire che la tua attenzione è completamente focalizzata su di lui/lei lo/la farà sentire estremamente importante, meritevole di stima e affetto, e ti porterà a forgiare la chiave che apre tutte le porte del cuore: un dialogo vero e profondo.
  3. Ascolto. Questa parola è fortemente correlata con la precedente: non c’è attenzione senza ascolto, non c’è vero ascolto senza attenzione, sono interdipendenti. Focalizzarsi su un interlocutore significa aprirgli completamente il tuo cuore, concentrarsi su ciò che sta dicendo in silenzio. Nulla ci fa sentire importanti e capiti come qualcuno che ci ascolta. Dunque, se il bambino sta provando a spiegarti qualcosa che per lui è importante, dagli ascolto ed attenzione perché ha bisogno di sentire che ti importa di lui e dei suoi sentimenti e non lo giudichi né lo prendi in giro per ciò che prova.
  4. 4.      Autorevolezza. Le regole, nell’infanzia, hanno lo stesso ruolo che per alcuni tipi di pianta ha il bastone che i primi tempi le sorregge: solo grazie ad esse ci si sente guidati, protetti, al riparo. Il giusto numero di limiti non tarpa le ali del bambino, ma lo rassicura e lo fa sentire più sicuro di sé. Il problema è che sentiamo spesso parlare dell’importanza delle norme, ma mai abbastanza di quanto sia fondamentale, per gli educatori, dare regole coerenti tra loro, farle rispettare sempre nel tempo e seguirle in prima persona dando il buon esempio. Solo questo rende l’adulto veramente autorevole e in grado di farsi ascoltare. Non scordare mai che i bimbi sono grandi osservatori.
  5. Autodisciplina. Molte volte sgridiamo i bimbi in modo troppo “astratto”.  Proviamo ad andare “dritti al sodo”: quale delle azioni del bimbo è quella sbagliata e merita un rimprovero? Puntiamo su quella e lui capirà velocemente perché siamo così seri. “Hai rotto il gioco del tuo amichetto, hai sbagliato”. E’ essenziale che la sgridata sia breve, considerata la poca capacità di attenzione dei più piccoli, e che venga immediatamente dopo la loro “colpa”: il bimbo vive in un costante qui ed ora.
  6. 6.      Autoanalisi. La parola sembra difficile visto che parliamo di bambini piccoli, ma qui viene utilizzata in un senso pratico molto semplice: attraverso un linguaggio appropriato fai sempre riflettere i bambini sulle conseguenze delle loro azioni, facendo in modo che se ne assumano la responsabilità senza dire bugie. E’ importante che capiscano fin da piccoli che ogni gesto ha delle conseguenze, che quelli corretti sono premiati e a quelli sbagliati corrisponde una sgridata.
  7. 7.      Autonomia. Incoraggia il bambino a fare da solo, a fare sempre cose un po’ più difficili di quelle che sa fare, a sperimentare da solo anche se col rischio di sbagliare. Non metterlo sotto una campana di vetro per la paura che si faccia male o che affronti dei fallimenti, ma anzi dategli piccoli compiti di responsabilità che gli facciano capire che ti fidi di lui/lei e della sua capacità di portare a termine un compito. La volontà di proteggerlo ci sarà sempre, ma dovrai sempre bilanciarla con la spinta a farlo esplorare, provare attività nuove, conoscere nuovi amici. Supportalo essendo per lui dei punto di riferimento costante, ma senza sostituirsi a lui/lei. Il vero aiuto è quello di chi “tifa” per te nonostante i tuoi insuccessi e riesce a farti capire cos’hai sbagliato e cosa puoi fare per migliorare.
  8. 8.      Apprezzamento. Hai mai sentito parlare della “profezia che si auto-adempie”? In sociologia è una previsione che diventa reale per il solo fatto di essere stata espressa. Ricorda che questo succede anche con gli esseri umani: se tratterai tuo/a figlio/a come un bambino autonomo e intelligente sarà molto più facile che lo diventi. Fagli capire sempre che credi in lui, che riponi fiducia nelle sue capacità, incoraggialo. Nulla crea fiducia in se stessi più della fiducia ricevuta. Devi essere il/la primo/a “fan” dei tuoi figli, dei supporter instancabili che, pur non elogiando senza meriti, cercano sempre di sottolineare i loro progressi. Far capire che sei fiero/a di loro e fermamente convinto/a che potranno farcela li porterà a sentirsi apprezzati, amati e a credere in se stessi.
  9. 9.      Accettazione delle avversità. Insegna al/alla bambino/a che nessuno è perfetto, che tutti possono sbagliare, incontrare delle difficoltà, avere giornate “no”, ma è proprio vedendo come reagisci con soluzioni nuove alle avversità della vita che gli insegnerai a credere nelle sue forze e nella sua capacità di risollevarsi. “Non è bravo chi non cade ma chi sa rialzarsi”, dice un detto: lascia che il/la bambino/a provi a rialzarsi da solo: i bimbi devono imparare ad affrontare delusioni e sconfitte. Se ce la fanno a risolvere un problema da soli, è normale che la loro autostima cresca, così come il loro desiderio di cimentarsi di nuovo in futuro nella soluzione di altri problemi.
  10. Asilo nido. Molte mamme che devono tornare al lavoro si sentono in colpa a mandare i piccoli al nido, ma bando a qualsiasi senso di colpa: sappi che per i bambini sperimentare figure diverse dalla madre può avere invece effetti positivi. Il nido e la scuola dell’infanzia offrono ai bambini una grande quantità di stimoli che permettono loro di venire a contatto con diversi stili educativi, imparare a destreggiarsi in gruppo, allenare le loro capacità sociali.

Laura Bertaglia                         La legge per tutti 22 febbraio 2019

www.laleggepertutti.it/262599_come-rafforzare-lautostima-nei-bambini

 

                                I bambini di “Bim bum bam”? Genitori fragili e iperemotivi

I genitori di oggi? Hanno una fragilità educativa mai vista prima nella storia. «Non ci sono colpevoli, noi siamo dalla parte dei genitori e lo dichiariamo. Non c’è nemmeno nostalgia dei genitori di una volta, perché non è vero che quelli erano migliori… Il punto però è che la storia in questo momento ci pone dinanzi al fatto che i genitori sono molto fragili: non è una questione di responsabilità individuale ma di storia. C’è quindi la necessità di aiutare i genitori, perché con tutto quello che oggi sappiamo, è possibile fare molto meglio in campo educativo». A parlare così è Daniele Novara, pedagogista, fondatore e direttore del Centro PsicoPedagogico per l’educazione e la gestione dei conflitti. L’appuntamento con il convegno annuale del CPP, dal titolo “Dalla parte dei genitori”, è per il 13 aprile 2019 a Piacenza.

Qual è la ragione di questa fragilità educativa dei genitori trentenni?È generazionale. I genitori di oggi sono i bambini degli anni Ottanta, i primi ad aver avuto un’infanzia completamente diversa rispetto a tutte le generazioni precedenti: per la prima volta nella storia la televisione ha preso il posto del gioco spontaneo con i coetanei. I bambini degli anni ’80, che sono i genitori trentenni di oggi, sono la prima generazione ad aver avuto un’infanzia non infantile, cioè non basata sul gioco, sulla natura e sul gruppo. Queste tre cose sono state per millenni i pilastri dell’infanzia: anche in termini etologici, di studio del comportamento degli animali, cosa accade? Che i cuccioli fanno vita sperata dagli adulti e agiscono una componente sociale specifica basata sul gioco. Negli anni ‘80, improvvisamente, tutto questo si è interrotto e i bambini sono stati fatti rientrare in casa, tolti “alla cucciolata”, cioè al gruppo spontaneo di amici e cugini, per “bloccarli” davanti alla tv commerciale. Tutti i bambini degli anni 80 si sono fatti due ore al giorno davanti alla tv. I bambini degli anni ’80, che sono i genitori trentenni di oggi, sono la prima generazione ad aver avuto un’infanzia non infantile, cioè non basata sul gioco, sulla natura e sul gruppo. Tutti i bambini di allora si sono fatti due ore al giorno davanti alla Tv.

Siamo genitori fragili perché siamo stati troppo davanti alla tv?

Non ho detto questo, ovviamente è più complesso. La tv è stato lo strumento, ma la tendenza sociologica è stata quella del ritiro del figlio dentro casa, del narcisismo che da malattia è divenuto uno stato psicologico collettivo, una dimensione sociale. Questo, dal punto di vista neurocognitivo, ha creato nei bambini una situazione di gravi carenze sul piano emotivo, in particolare nell’autoregolazione emotiva. Parliamo di una generazione che ha avuto un’infanzia meno attiva e più passiva, con molte meno esperienze di quelle relazioni spontanee con altri bambini che permettono lo sviluppo delle capacità autoregolative, specialmente sul piano emotivo. Due cose quindi: si è persa la fiducia nell’autoregolazione dei bambini e i bambini sono stati sottratti alla dimensione sociale, alla comunità educativa, per una privatizzazione del figlio, diventato una proprietà assoluta. La tv negli anni ’80 piuttosto che il tablet o lo smartphone oggi sono lo strumento per esercitare questa proprietà. I genitori di oggi, avendo avuto grossi deficit nella propria infanzia, gestiscono i figli secondo una logica che non corrisponde ai bisogni infantili semplicemente perché gli manca la memoria di cos’è l’infanzia.

Quindi in realtà il problema dei genitori di oggi è che ci è stata sottratta l’infanzia.

E a fronte di questa mancanza c’è stato un eccesso di immedesimazione emotiva, una mancanza di quella distanza che invece permette di educare un figlio. Oggi i litigi fra bambini generano un inedito allarme emotivo nei genitori. Abbiamo ogni giorno la mamma che chiede “chi ha graffiato mio figlio?”, “chi gli ha preso la gomma?”. I genitori oggi urlano, tutti, ma urlare è legato a un eccesso emotivo: tu vuoi che tuo figlio ti ascolti, che però è una richiesta impropria perché nessun figlio ascolterà mai del tutto un genitore, e allora tu urli. Il tema è l’autoregolazione. Per secoli i genitori si sono fidati dell’autoregolazione infantile, mentre a un certo punto – l’ha analizzato Neil Postman ne La scomparsa dell’infanzia – è venuta meno la fiducia nella capacità autoregolativa dei bambini tant’è che oggi i genitori si sostituiscono continuamento a loro. Ma queste mosse sbagliate generano patologie, come è evidente a tutti. Se non ti fidi dell’autoregolazione emotiva ti sostituisci, ma siccome questo meccanismo è fallimentare, il bambino si blocca, riduce la sua autostima e le sue potenzialità e finisce nelle braccia del neuropsichiatra infantile. Per questo occorre restituire ai genitori la fiducia nell’autoregolazione dei bambini, ad esempio con le regole educative. Si è persa la fiducia nell’autoregolazione dei bambini e i bambini sono stati sottratti alla dimensione sociale, alla comunità educativa, per una privatizzazione del figlio, che è diventato una proprietà assoluta. I genitori di oggi, avendo avuto grossi deficit nella propria infanzia, gestiscono i figli secondo una logica che non corrisponde ai bisogni infantili semplicemente perché gli manca la memoria di cos’è l’infanzia.

Ci fa tre esempi della fragilità educativa di noi genitori di oggi? Far dormire il figlio nel lettone dopo i 3 anni: è la supposizione che il bambino non sappia avere autoregolazione in una autonomia di base come il sonno, mette in discussione l’autostima del bambino. A Milano c’è questa meravigliosa iniziativa di “Scuola Natura”, promossa dal Comune: lo sa che tanti bambini di terza elementare non ci vanno perché le mamme sostengono che non sono in grado di addormentarsi da soli? Se legge un po’ le chat [conversazione] vedrà che questo tema sta diventando un tabù, come se fosse un diritto della mamma quello di tenersi il figlio nel lettone e noi tecnici non ne potessimo parlare. Poi i litigi, il pensare che i litigi fra bambini siano una violenza mentre i bambini sono benissimo in grado di gestirli fra loro. E le autonomie: che ci fa un bambino di 4 anni nel passeggino? Che senso ha il passeggino con lo spazio per il tablet [tavoletta elaboratrice]?

Perché la condivisione dell’esperienza educativa dei figli è importante?

Perché a volte i genitori per il figlio sono impegnativi. Il fatto che il figlio possa essere “condiviso” gli permette di avere sponde, altre possibilità che non sia solo l’inquietante dominanza possessiva dei genitori. La condivisione funziona come riduzione dell’incombenza narcisistica genitoriale, la diluisce. C’è una sensibilità positiva, ma non è lineare. Si cercano tante informazioni ma si trovano anche tante informazioni sbagliate. Sono rari i genitori che seguono una linea pedagogica, più che altro sono sballottati a destra e sinistra tra una suggestione e l’altra, agiscono su una base emotiva sostenuta da informazione sbagliate. C’è il rischio del genitore-fai-da-te.

C’è da dire però che questa generazione di genitori sembra più sensibile, più interessata ai temi educativi. C’è tutto un fiorire di serate e corsi per essere genitori, di blog dedicati.

È vero, però è una sensibilità contraddittoria. È positiva, ma non è lineare. Si cercano tante informazioni ma si trovano anche tante informazioni sbagliate, se una trentenne che segue un’influencer pensa di imparare lì a fare la mamma, si trova nei guai. C’è una sensibilità, ma sono rari i genitori che seguono una linea pedagogica, più che altro sono sballottati a destra e sinistra tra una suggestione e l’altra, agiscono su una base emotiva sostenuta da informazione sbagliate. C’è il rischio del genitore-fai-da-te.

Cosa troveremo al convegno?

Il convegno è una necessità, come le scuole genitori e gli sportelli di consulenza pedagogica. L’esperienza del CPP in questo campo ci aiuta ad avere fiducia nella possibilità di liberare le risorse che ogni genitore ha, di ritrovare il proprio compito educativo. Non è impossibile, però serve una organizzazione educativa.

Il convegno Dalla parte dei genitori si svolgerà a Piacenza sabato 13 aprile 2019, dalle 10 alle 17, nel Teatro Politeama (via San Siro 7).

https://cppp.it/convegno/pagine/2019-aprile/programma-del-convegno-dalla-parte-dei-genitori-piacenza-2019

https://cppp.it/convegno/Locandina_Aprile_2019_sito.jpg

Relatori durante la giornata saranno Daniele Novara, Silvia Vegetti Finzi, Alberto Pellai, Michele Zappella, Susanna Mantovani, Paolo Ragusa, Bruno Tognolini, Marta Versiglia, Paola Cosolo Marangon, Lorella Boccalini, Emanuela Cusimano, Elisa Mendola.

Sara De Carli vita.it  26 febbraio 2019

www.vita.it/it/article/2019/02/26/i-bambini-di-bim-bum-bam-genitori-fragili-e-iperemotivi/150786

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SALUTE

Salute sessuale e riproduttiva, i risultati dello “Studio Nazionale Fertilità”

“È tempo di promuovere nelle scuole una corretta educazione ai temi di salute facendo sì che la salute diventi materia di insegnamento trasversale in tutte le scuole, in linea con gli insegnamenti dell’OMS e attraverso un’alleanza tra scuola e SSN, tenendo conto degli obiettivi, dei soggetti, delle risorse dei saperi umanistici e scientifici e delle relazioni che li legano, per così dire, attraverso un approccio scolastico globale”.

Così il ministro della Salute Giulia Grillo ha aperto i lavori del convegno “Risultati dello Studio Nazionale Fertilità”, che si è tenuto il 19 febbraio 2018 presso l’Auditorium di Lungotevere Ripa. Il Progetto CCM “Studio Nazionale Fertilità”, si è concluso alla fine dell’anno 2018 e ha avuto l’obiettivo generale di raccogliere informazioni sulla salute sessuale e riproduttiva per orientare e sostenere la programmazione di interventi a sostegno della fertilità in Italia.

Durante il convegno, cui ha preso parte anche il sottosegretario alla Salute Armando Bartolazzi, è stato presentato il report Principali risultati del Progetto “Studio Nazionale Fertilità” con i risultati finali delle quattro indagini condotte e che forniscono una fotografia delle conoscenze, dei comportamenti e degli atteggiamenti in ambito sessuale e riproduttivo delle diverse fasce della popolazione, a partire dai giovanissimi, e un focus sulle conoscenze e comportamenti dei professionisti sanitari.

Alcuni dei dati emersi dalle quattro indagini

1.         La maggior parte dei ragazzi e degli studenti universitari cerca le informazioni in ambito sessuale e riproduttivo su internet (solo 1 su 4 in famiglia), ma quasi tutti (94%) ritengono che la scuola dovrebbe garantire l’informazione su sessualità e riproduzione. La conoscenza dei fattori di rischio per la salute riproduttiva non sempre è adeguata e evidenzia un gradiente di conoscenze che peggiora dal Nord al Sud su diversi aspetti indagati.

2.         Anche se l’uso della contraccezione tra i giovani è abbastanza diffuso, principalmente il preservativo, l’accesso ai consultori familiari da parte dei giovani è basso.

3.         Riguardo la volontà di avere dei figli, quasi l’80% dei ragazzi immagina un proprio futuro con figli, tuttavia tale percentuale diminuisce notevolmente tra gli adulti. Infatti quasi la metà degli adulti intervistati (44%) dichiara di non essere intenzionato ad avere figli e le motivazioni sono legate principalmente a fattori economici e lavorativi e all’assenza di sostegno alle famiglie con figli, e alla sfera personale e della vita di coppia.

4.         I professionisti sanitari, in generale, hanno buone conoscenze (3 su 4 hanno risposto correttamente nella maggioranza dei casi). Tuttavia si evidenziano bisogni formativi su alcune aree e sulla relativa comunicazione agli assistiti. È generalizzata, sia nella popolazione che tra i professionisti, una sovrastima sulle possibilità delle tecniche di PMA di risolvere sempre i casi di infertilità.

Ministero della salute. I risultati dello “Studio Nazionale Fertilità” 27 febbraio 2019

www.salute.gov.it/portale/news/p3_2_1_1_1.jsp?lingua=italiano&menu=notizie&p=dalministero&id=3649

 

Studio nazionale Fertilità: cosa emerge dalle indagini su giovani e adulti

Offrire una fotografia delle conoscenze, della attitudini e dei comportamenti in ambito sessuale e riproduttivo di diverse fasce di popolazione e tra i professionisti sanitari al fine di orientare e sostenere la programmazione di interventi a sostegno della fertilità in Italia. Questo l’obiettivo principale del progetto “Studio nazionale fertilità”, coordinato dall’Istituto superiore di sanità (Iss) e terminato a fine 2018. Lo Studio – i cui risultati sono stati presentati il 19 febbraio 2019 in un convegno organizzato dal ministero della Salute – ha realizzato indagini rivolte sia alla popolazione potenzialmente fertile (adolescenti, studenti universitari e adulti in età fertile), sia ai professionisti sanitari (pediatri di libera scelta, medici di medicina generale, ginecologi, andrologi, endocrinologi, urologi, ostetriche). Sotto il coordinamento dell’Iss, il progetto ha coinvolto come unità operative anche “Sapienza” Università di Roma, l’Ospedale evangelico internazionale di Genova e l’Università degli Studi di Bologna e ha giovato del grande supporto offerto dalle Regioni (sia a livello sanitario che scolastico).

La popolazione potenzialmente fertile. Due delle cinque indagini dello Studio nazionale fertilità (quella sulla adolescenti e quella sulla popolazione adulta) sono state sviluppate direttamente dall’Iss insieme alle Regioni e hanno permesso di evidenziare alcuni aspetti interessanti che possono risultare un utile supporto per i decisori.

             L’indagine sugli adolescenti ha coinvolto più di 16 mila studenti di 16-17 anni e 482 scuole distribuite su tutto il territorio nazionale. Il campione così costituito risulta quindi rappresentativo a livello nazionale (e in alcuni casi anche regionale) sia per la metodologia utilizzata per il campionamento e sia per l’elevata percentuale di ragazzi che hanno partecipato all’indagine (tasso di rispondenza pari all’80%). Ciò consente di estendere i risultati all’intera popolazione di 16-17 anni.

            Anche nel caso della survey [sondaggio] sugli adulti (18-49 anni di età), realizzata all’interno del sistema di sorveglianza Passi grazie al grande lavoro dei professionisti impegnati nella conduzione di questa sorveglianza, il campione è rappresentativo della popolazione nazionale e regionale, ha portato al coinvolgimento di oltre 20 mila persone (tasso di risposta pari all’86%).

Dai dati emerge che gli adolescenti italiani hanno delle conoscenze generali sulla fertilità e riproduzione, anche se vi sono spazi di miglioramento sulla conoscenza di alcuni fattori di rischio (primo fra tutti l’avanzare dell’età) e sulle infezioni trasmesse per via sessuale. Sebbene più dell’80% dei giovani si rivolge a internet per avere informazioni, più della metà ha partecipato a incontri su queste tematiche, specialmente grazie al lavoro fatto dalle scuole.

E alla scuola i ragazzi riconoscono un ruolo formativo fondamentale anche su questi temi, 2 su 3 già a partire dalla scuola primaria o secondaria. Che la salute, in tutti i suoi aspetti, diventi materia di insegnamento trasversale nelle nostre scuole è essenziale, come ha sottolineato anche il Ministro della Salute ed è quanto già si verifica in altri Paesi. La famiglia, come nel passato, rimane un luogo in cui difficilmente si affrontano argomenti quali “sviluppo sessuale e fisiologia della riproduzione”, “infezioni/malattie sessualmente trasmissibili” e “metodi contraccettivi”. Il 30% dei ragazzi ha avuto rapporti sessuali completi, con un uso frequente di contraccettivi (il 10% dei giovani intervistati non usa alcun metodo contraccettivo). Tutte queste informazioni sono in linea con quanto ritrovato nell’indagine sugli studenti universitari.

Anche i dati sul desiderio riproduttivo concordano con quanto trovato in varie indagini e dall’Istat: molti ragazzi (80%) pensano di avere figli in un futuro e nel 70% dei casi ritiene che l’età giusta per averli sia entro i 30 anni. Tuttavia questa percentuale diminuisce leggermente tra gli studenti universitari e notevolmente tra gli adulti. Infatti fra le persone senza figli, quasi 1 su 3 dichiara con certezza di non volerne o di non avere alcuna intenzione di averli o di non averci ancora pensato.

La motivazione più frequentemente riportata per non volere figli, o per rinviare in futuro la decisione di averne, riguarda aspetti legati a fattori economici o lavorativi, come il costo per accudire un figlio, la paura di perdere il lavoro, la carenza di servizi alle famiglie, o la mancanza di un aiuto adeguato alle famiglie con bambini.

È importante che tutti gli organi politici, come ha sottolineato anche il Ministro della salute, garantiscano a tutte le persone la possibilità e il sostegno necessario per realizzare pienamente il loro potenziale in materia di salute (e benessere) sessuale e riproduttiva e che possano sorvegliare affinché i diritti umani siano rispettati, garantiti e soddisfatti come sancito a settembre 2016 durante la 66ema Sessione del Comitato Regionale Europeo dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) quando i Paesi della Regione europea Oms hanno approvato una Risoluzione con cui si sono impegnati ad attuare il “Piano d’azione per la salute sessuale e riproduttiva”, che prevede tre traguardi strettamente connessi l’uno all’altro:

  1. Rendere le persone in grado di prendere decisioni consapevoli in merito alla loro salute sessuale e riproduttiva e assicurare che i loro diritti umani vengano rispettati, protetti e soddisfatti;
  2. Assicurare che tutte le persone possano godere del più alto livello di salute sessuale e riproduttiva e di benessere;
  3. Garantire l’accesso universale alla salute sessuale e riproduttiva ed eliminare le diseguaglianze.

www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_2823_allegato.pdf

Angela Spinelli, Maria Masocco, Valentina Minardi, Paola Nardone, Enrica Pizzi

Centro nazionale per la prevenzione delle malattie e la promozione della salute, Iss

www.epicentro.iss.it/materno/studio-nazionale-fertilita-fasce-popolazione?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=21febbraio2019

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SEPARAZIONE

Assegna il gatto al resistente ed il cane ad entrambe le parti a settimane alterne

Tribunale ordinario di Sciacca, 19 febbraio 2019.

(…) rilevato che in mancanza di accordi condivisi e sul presupposto che il sentimento per gli animali costituisce un valore meritevole di tutela, anche in relazione al benessere dell’animale stesso, assegna il gatto (**) (**) al resistente che dalla sommaria istruttoria appare assicurare il miglior sviluppo possibile dell’identità dell’animale ed il cane (**), indipendentemente dall’eventuale intestazione risultante nel microchip, ad entrambe le parti, a settimane alterne, con spese veterinarie e straordinarie al 50%.

Redazione Il Caso.it              28 febbraio 2019

news.ilcaso.it/news_6001?https://news.ilcaso.it/?utm_source=newsletter&utm_campaign=solo%20news&utm_medium=email

https://www.laleggepertutti.it/276406_a-chi-va-lanimale-domestico-dopo-la-separazione

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SESSUOLOGIA

Giovanissimi iniziano sul web, inibiti nella vita reale

Da videogiochi sparatutto stile Fortnite a video hot, sexting e App per cybersex. I ragazzi oggi sono più liberi ma, forse, l’abbuffata multimediale sta nuocendo all’interesse per il sesso reale. E questo è vero soprattutto per i giovani maschi”, leoni dietro lo schermo di pc o smartphone, ma “piuttosto inibiti nella vita reale, a differenza delle ragazze”.

A spiegarlo all’AdnKronos Salute è Carlo Foresta, ordinario di Endocrinologia all’Università degli Studi di Padova e componente del nuovo Consiglio superiore di sanità, in vista del 34esimo convegno di Medicina della riproduzione che si tiene ad Abano Terme da giovedì 28 febbraio a sabato 2 marzo 2019

Foresta e il suo team monitorano da anni la sessualità dei ragazzi italiani. “Il virtuale ha portato a cambiamenti importanti nella scoperta della sessualità: ci troviamo di fronte a maschi molto disinvolti sul web ma sempre più inibiti nella vita reale, e a ragazze più disinvolte e pronte a cercare rapporti reali, come ci hanno dimostrato gli studi sui giovanissimi effettuati a Padova e Lecce, mentre sono in arrivo i dati di Napoli”.

            Altra caratteristica di una parte dei giovanissimi italiani è “il disinteresse nei confronti dell’idea di un figlio: il modello di famiglia tradizionale manca o non è più un riferimento, e spesso non scatta l’imitazione”, dice Foresta. Almeno fino a quando non si fa sentire l’orologio biologico.

            “Quando le coppie programmano un figlio e scoprono di non riuscire a concepire – osserva l’esperto – questa incapacità viene vissuta come una tragedia soprattutto da parte degli uomini, tale da mettere in crisi la famiglia”.

            “Il desiderio di paternità in questi anni tutto sommato sembra essersi rafforzato, e l’infertilità mette in crisi profondamente l’uomo.

            Anche per questo è bene prevenire problemi futuri e preoccuparsi della salute andrologica fin da giovani, per intervenire in tempo e tutelare la fertilità dei giovani”, conclude lo specialista.

AdnKronos Salute     26 febbraio 2019

www.lasaluteinpillole.it/salute.asp?id=50925

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TRIBUNALI ECCLESIASTICI

Apertura anno giudiziario

            Sarà monsignor Juan Ignacio Arieta Occhia de Chinchetru ad aprire il primo anno giudiziario del Tribunale diocesano di Pescara-Penne. Il segretario del Pontificio Consiglio per i testi legislativi interverrà domani, lunedì 4 marzo 2019, sul tema “L’Applicazione del motu proprio Mitis Iudex Dominus Iesus e il ruolo del vescovo”, mettendo in risalto la riforma del processo canonico voluta da papa Francesco e il ruolo necessario del giudice unico sotto la responsabilità del vescovo diocesano: «È sempre più importante la presenza di un tribunale nel territorio della chiesa locale – spiega don Maurizio Buzzelli, presidente del tribunale diocesano di Pescara-Penne – per andare incontro a quelle persone che sono ferite da un matrimonio fallito e cercano serenità. La finalità della Chiesa nel riconoscere l’eventuale invalidità di quell’evento che non ha costruito comunione, ma dolore e delusione, è proprio quella di riportare nelle coscienze pace e voglia di ricominciare».

Nei primi sette mesi di attività il tribunale diocesano di Pescara ha registrato l’ingresso di 27 cause, due delle quali già concluse: «Anche le altre cause – specifica don Buzzelli – sono molto avanti per le procedure. La maggior parte delle coppie che si sono rivolte a noi chiedono la nullità matrimoniale per grave difetto di discrezione di giudizio, per mancanza di libertà interiore o per immaturità affettiva. Per stabilire una vera comunione matrimoniale, infatti, occorre un grado di maturità che sia capace di accogliere l’altro e di donare la propria vita».

Tribunale diocesano: “Vicino, celere e accogliente. Comunità soddisfatta”. “È una bella responsabilità – commenta l’arcivescovo Tommaso Valentinetti – emanare sentenze che in alcuni casi sono apparentemente chiare. Alcune, infatti, le ho rimandate al processo ordinario perché la certezza morale che quei matrimoni fossero davvero nulli non l’ho avuta e, in questi casi, devo ringraziare la figura del difensore del vincolo che ha saputo mettere in evidenza delle dimensioni che non erano precedentemente emerse”

È stata aperto dal moderatore del Tribunale diocesano di Pescara-Penne l’arcivescovo monsignor Tommaso Valentinetti, alla presenza delle autorità civili e militari nonché degli avvocati del Foro di Pescara con i colleghi rotali, il primo anno giudiziario del nuovo organo giuridico istituito nel giugno 2018 in applicazione del Motu proprio Mitis Iudex Dominus Iesus, varato da Papa Francesco nel 2015, che ha autorizzato i vescovi diocesani all’avvio delle cause brevi di nullità matrimoniale, emettendo direttamente la sentenza.

Dallo scorso ottobre, inoltre, il Tribunale diocesano di Pescara-Penne ha una sede ubicata in via Vespucci 188, che lavora a pieno regime: «Le attività giudiziarie svolte nel secondo semestre del 2018 – illustra don Maurizio Buzzelli, vicario giudiziale del Tribunale diocesano -, dimostrano che sono state accolte 17 cause di nullità matrimoniale, 3 delle quali di processo breve, mentre le restanti 14 sono state trattate con il processo ordinario. In questo periodo, è stata già definita e pronunciata una sentenza con processo breve e conclusa la fase istruttoria del secondo processo breve incardinato. Il numero dei gratuiti patrocini richiesti è pari a 4 e le rogatorie sono in numero di 3».

Tra le motivazioni più frequenti, per le quali viene concessa la nullità matrimoniale, una è la più ricorrente: «Il difetto di discrezione di giudizio – precisa don Buzzelli -. I restanti capi sono, essenzialmente, per esclusione degli elementi e delle proprietà essenziali del sacramento».

Ad oggi, tra l’altro, sono 27 le cause in totale introdotte al Tribunale diocesano, di cui i parroci e la comunità diocesana pescarese hanno accolto favorevolmente l’istituzione: «A motivo della vicinanza – sottolinea il vicario giudiziale – per l’effettiva celerità dei tempi, l’accoglienza riservata ai fedeli che quotidianamente frequentano la struttura, trovando in essa un clima sereno e professionale».

Ad illustrare la riforma del processo canonico è stato il segretario del Pontificio Consiglio per i testi legislativi, monsignor Juan Ignacio Arrieta Ochoa de Chinchetru: «Essa – sottolinea il presule spagnolo – si fonda sulla potestà del vescovo diocesano che, nella volontà del Papa, è posto come garante del principio di indissolubilità del matrimonio. Quindi, il vescovo ha l’obbligo di esercitare il processo breve. Del resto, questa organizzazione dei tribunali è stata concepita proprio per avvicinarli ai fedeli, risolvendo i loro problemi con la concretezza e la certezza necessaria»

Davide De Amicis      la porzione     3 e 5 marzo 2019

www.laporzione.it/2019/03/03/domani-lapertura-del-primo-anno-giudiziario-del-tribunale-diocesano

www.laporzione.it/2019/03/05/tribunale-diocesano-vicino-celere-e-accogliente-comunita-soddisfatta

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WELFARE

Voucher baby sitting 2019: è ancora in vigore?

Il contributo per servizi all’infanzia baby sitting o asilo nido introdotto dalla legge Fornero prevedeva 600 euro mensili per servizi per l’infanzia in alternativa al congedo parentale. Il cd Voucher baby sitting/asilo nido per i servizi all’infanzia è stato introdotto dall’articolo 4, comma 24, lettera b), della legge n. 92, 28 giugno 2012 (Riforma Fornero) e prevedeva un contributo economico di 600 euro alle madri lavoratrici dipendenti, per l’acquisto di servizi di baby sitting oppure per il pagamento della retta dell’asilo nido pubblico o privato, per un massimo di sei mesi. Successivamente tale beneficio è stato esteso alle lavoratrici autonome iscritte alla Gestione separata e alle imprenditrici (per un massimo di 3 mesi). E’ stato prorogato fino al biennio 2017-2018.

La misura era sperimentale e alternativa alla fruizione del congedo parentale facoltativo per cui chi optava per questa soluzione non poteva assentarsi dal lavoro dopo il congedo obbligatorio per maternità di 5 mesi, per il corrispondente numero di mesi per i quali riceveva il contributo economico.

L’utilizzo poteva anche parziale, per alcuni mesi (interi) sui 6 totali (ad esempio se una lavoratrice autonoma aveva usufruito di un mese e un giorno di congedo parentale poteva accedere al beneficio per un solo mese. I residui 29 giorni andavano utilizzati solo come congedo parentale. Analogamente, se una lavoratrice dipendente aveva fruito di cinque mesi e un giorno di congedo parentale non avrà più mesi di congedo a cui rinunciare per ottenere il beneficio, ma soltanto usufruire dei 29 giorni di congedo parentale residui).

Per le lavoratrici autonome e per le imprenditrici, invece, il contributo era erogato per un periodo massimo di tre mesi.

            Il contributo baby sitting /asilo nido non è stato prorogato per il 2019. Pertanto, a far data dal 1° gennaio 2019 non è più possibile presentare domanda per accedere a tale misura.

Fisco e tasse    febbraio 2019

www.fiscoetasse.com/domande-e-risposte/11799-a-quale-normativa-si-fa-riferimento-per-il-voucher-baby-sitting.html?utm_campaign=Rassegna+Giornaliera&utm_medium=email&utm_source=Rassegna+quotidiana+&utm_content=Rassegna+Giornaliera+2019-02-27

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