NewsUCIPEM n. 742 – 24 febbraio 2019

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Unione Consultori Italiani Prematrimoniali E Matrimoniali

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02 ABUSI                                                            L’audacia di Francesco.

03                                                                          La protezione dei minori nella Chiesa.

04                                                                          Diritto canonico e legislazione ecclesiastica sui casi di abuso.

05                                                                          Un summit necessario.

06                                                                          Il consigliere del Papa: «Distrutti i dossier sugli abusi nella Chiesa»

07                                                                         Chiederemo l’aiuto dei genitori nella nostra lotta.

08                                                                          Anche i laici vigileranno sugli abusi dei religiosi.

09                                                                          P. Lombardi: grazie a Papa e Onu per l’impegno contro gli abusi.

09                                                                          Ascoltiamo grido dei piccoli che chiedono giustizia. Una road map.

11                                                                          Lotta agli abusi: “collegialità” e “sinodalità”. Più spazio ai laici.

12                                                       Chiesa deve abbassarsi e toccare ferite minori che gridano giustizia.

13                                                       Pedofilia, il cardinale Stella: più psicologi dentro i seminari.

14                                                                          Mons Cancian nella Chiesa coniugare verità, giustizia, misericordia

16                                                       Dal Papa un nuovo motu proprio sulla protezione dei minori.

17                                                                          Tre donne “in cattedra” ricevono l’apprezzamento del Papa.

18                                                       Le parole del Papa sulla donna, la teologa Perroni: Svolta storica.

19 ADDEBITO                                                    Tradimento successivo alla crisi matrimoniale? Non incide.

21                                                                          No addebito separazione se la moglie non vuole rapporti intimi.

21 ADOZIONI                                                    Tra Tribunali e comunità. Adozioni, sempre meno al Sud.

23 ADOZIONI INTERNAZIONALI                               Repubblica Democratica Congo: ripartono ma, solo per la Francia.

23 ASSEGNO DIVORZILE                              La Cassazione “riabilita” il tenore di vita.

25 CENTRO INTERN. STUDI FAMIGLIA   Newsletter CISF – N. 7, 20 febbraio 2019.

26 CHIESA CATTOLICA                                  Le donne, il Papa e i movimenti per la vita.

27                                                                          Religioni, violenza, donne: nasce un osservatorio interreligioso.

29                                                                          Lo scisma.

30 COMM. ADOZIONI INTERNAZION.    Adottare oggi.

30                                                                          Rimborso spese.

31 Conferenza Episcopale Italiana   Lotta agli abusi. Bassetti: la Chiesa si sta purificando.

32                                                                          Al via una ricerca sugli abusi dei preti commessi in Italia.

33 CONSULTORI FAMILIARI CATTOLICI  È una sfida culturale, rilanciare i consultori familiari cattolici.

34 CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM      Pescara. Il consultorio familiare partecipa a “Famiglie al centro”.

35 DALLA NAVATA                                         7° Domenica del Tempo ordinarioAnno C – 24 febbraio 2019.

35                                                                          Il Signore elimina il concetto di nemico.

35 DEMOGRAFIA                                            Dove il domani ricomincia. La via è «occuparsi con» i giovani.

36                                                                          Il desiderio perduto. Figli, l’Italia è sempre meno pronta.

37                                                                          Scommettere sulla famiglia.

38 DIRITTO DI FAMIGLIA                             Trascrivibili atti nascita di due minori con omogenitori nati in Usa.

38 EDUCAZIONE ALLA SESSUALITÀ         Sesso, prima del come va spiegato il perché.

40 FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI    Allarme demografico.

41                                                                          Rafforzare il ruolo della famiglia come interlocutore privilegiato.

41 FRANCESCO VESCOVO DI ROMA       Pedofilia, il grido del Papa: nella rabbia della gente l’ira di Dio.

44 OMOFILIA                                                    Omosessualità e pedofilia. Spunti per capire.

45                                                                          Se, all’interno amicale, attuano valori umanamente significativi, …

47                                                                          Sacrificare la propria identità pur di abbracciare una vocazione, …

50                                                                          Situazione esistenziale omosessuali non è ostacolo insuperabile.

52 PARLAMENTO                                            Senato della Repubblica–Commissione Giustizia–Affido dei minori.

52 PATERNITÀ                                                  Il tempo dei padri.

53 SEPARAZIONE                                            Anche nel giudizio può essere nominato un curatore per i minori.

53 VOLONTARIATO                                        Italia tra i paesi con meno volontari; il più alto tasso di solitudine.

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ABUSI

L’audacia di Francesco

Inizia oggi la riunione dei presidenti delle Conferenze episcopali convocata in Vaticano per parlare della prevenzione degli abusi sui minori e sugli adulti vulnerabili. Un atto istituzionale delicatissimo, con pochissimi precedenti: i capi degli episcopati nazionali vengono raccolti per una inedita convocatio che costituisce al tempo stesso un pre-conclave e pesa come un mini-concilio, in cui Francesco si misura con audacia spirituale con un crimine di cui manca ancora una diagnosi adeguata al disastro che ha travolto la chiesa in tre paesi (Irlanda, Cile, Usa) e attende gli altri alle forche caudine.

La radice degli stupri dei chierici è molto lontana e sostanziale. Inizia quando, contro il messaggio di Gesù, la chiesa si adeguò alla cultura patriarcale e sacralizzò la subalternità della donna, espressa dal dovere di subire e veder subire in silenzio. Quando quel paradigma autoritario maschile inizia a vacillare sotto la pressione dei movimenti di liberazione femminile, nel magistero non accade nulla. Così quando negli anni Novanta si scoperchiò la piaga putrida della pedofilia clericale, ci si accontentò di un moralismo di maniera, come se gli abusi fossero figli del Sessantotto. Già allora la conferenza episcopale americana cercò di fare linee guida per aiutare vescovi immaturi e impreparati: ma la Congregazione per la dottrina della fede intervenne a bloccare quel passo in nome di una ecclesiologia universalista e rivendicando poi a Roma il diritto dovere di giudicare delle causæ maiores. La Sede Apostolica si trovò così caricata di peso non suo: ma assolta dalla colpa di aver scelto vescovi qualunque, purché conservatori, e di non aver colto il sapore dell’eresia in pastori che davanti alla ferocia dei maschi in talare trattavano i carnefici da figli e le vittime da figliastri.

Dopo la morte di Giovanni Paolo II non è stato più possibile nascondere gli orrori di un potere clericale. Perciò il papa ha deciso di rischiare un “grande dibattito pubblico” nella assemblea più rappresentativa della comunione cattolica. Rischio perché essa costituisce di fatto un preconclave che rimette in gioco l’elezione di Francesco e pregiudica quella dei successori.

In cui i peggiori fra i presidenti potrebbero cercare di darsi un profilo interessante: esibendo il proprio antibergoglismo come garanzia ai tradizionalisti o cercando mediazioni a basso costo. La chiesa ne uscirebbe a pezzi. Perché quel che serve ai nemici del cattolicesimo come comunione planetaria non è impedire l’elezione di questo o quel porporato: ma un’arma per poterlo azzoppare dieci secondi dopo la sua elezione. Ci provarono con Bergoglio, tirando fuori accuse inconsistenti sugli anni della dittatura argentina.

Oggi, con temi riguardanti gli abusi, non sarebbe così: e la chiesa si troverebbe un papa diminuito. L’assemblea però ha in sé l’audacia di un miniconcilio: che deve prendersi una responsabilità dottrinale. Tenuto conto di tutti – esperti, sopravvissuti, media – deve sapere che oggi ci sono ancora delitti impuniti e ci sono già innocenti accusati. E che per spezzare questa possessione servono tre decisioni, capitali ma in fondo semplici che Francesco ha enunciato con bergogliana nonchalance nelle scorse settimane.

  1. Uscire definitivamente dal mito costantiniano del foro ecclesiastico e consegnare i colpevoli di delitti alla giustizia civile.
  2. Stabilire che è il vescovo a dover farsi carico delle vittime. La paternità non si esaurisce arruolando psicologi o istituendo consultori, ma ascoltando e risarcendo l’irreparabile compiuto sui piccoli abusati dai chierici o dai parenti, senza distinzione.
  3. Dopo tutto, sradicata ogni omertà, bisognerà dire che il vangelo contiene una parola di perdono. Come la madre che denuncia il figlio diventato killer rimane madre del detenuto, anche il vescovo rimane padre di chi ha commesso crimini orrendi: e titolare di un comando evangelico difficile e necessario.

Alberto Melloni                       “la Repubblica” 21 febbraio 2019

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201902/190221melloni.pdf

 

La protezione dei minori nella Chiesa

Presentato in sala stampa vaticana il programma dell’incontro su “La protezione dei minori nella Chiesa”, in programma dal 21 al 24 febbraio. 190 i partecipanti, provenienti dai cinque continenti. Prima della “tre giorni” voluta da Papa Francesco per contrastare gli abusi nella Chiesa, il Comitato organizzativo ha previsto un incontro con un gruppo di rappresentanti delle vittime di diversi Paesi. Sabato sera la liturgia penitenziale e domenica mattina la Messa nella Sala Regia. Poi il discorso finale di Papa Francesco.

            “La negazione è un meccanismo primitivo, ma dobbiamo allontanarci dal codice del silenzio, spezzare la complicità, perché l’omertà non è accettabile”. E ancora: “Il Papa non si nasconde, non evita di affrontare la realtà”. Così mons. Charles J. Scicluna, arcivescovo di Malta, segretario aggiunto della Congregazione per la dottrina della fede e membro del Comitato organizzativo, ha sintetizzato l’atteggiamento di Francesco nel convocare – tramite un’iniziativa senza precedenti, nella lotta agli abusi commessi su minori da parte del clero – un incontro su “La protezione dei minori nella Chiesa”. A proposito del recente invito a non caricare troppo di aspettative l’evento, Scicluna ha commentato: “Non si possono risolvere tutti i problemi in tre giorni, sarebbe un’aspettativa irrazionale. Se invece ci aspettiamo un ‘follow up’ dopo l’incontro, l’aspettativa diventa ragionevole”. “Il coraggio delle vittime ci ha aiutato a portare avanti questo progetto”, ha rivelato il card. Blase Cupich, arcivescovo di Chicago e membro del Comitato organizzativo dell’incontro. Responsabilità, “accountability”, cioè “capacità di rendere conto di ciò che si fa”, e trasparenza: sono questi, ha ricordato padre Federico Lombardi, presidente della Fondazione vaticana “Joseph Ratzinger-Benedetto XVI” e moderatore dell’incontro, i rispettivi temi delle tre giornate, che si svolgeranno prevalentemente nell’Aula Nuova del Sinodo, dal 21 al 24 febbraio 2019.

            Il programma della “tre giorni”. Nove relazioni, tre per ogni giornata – alternate a lavori di gruppo e relazioni di sintesi sui medesimi – una liturgia penitenziale sabato sera e una messa sabato mattina, seguita dal discorso finale del Papa: questo l’intenso programma d’insieme, per i 190 partecipanti provenienti dai cinque continenti, che saranno impegnati dalla mattina alle 9 al pomeriggio intorno alle 19.20. “Dalla sera del sabato tutta l’Assemblea si trasferirà nella Sala Regia del Palazzo apostolico per una liturgia penitenziale presieduta dal Papa”, ha annunciato Lombardi: stesso luogo per la Messa della domenica mattina, concelebrata dai partecipanti con Francesco, che terrà un discorso finale. Lo schema di ogni giornata prevede una preghiera iniziale, alle 9, a cui segue la proiezione di un video con la testimonianza di alcune vittime. Poi una breve introduzione del Santo Padre – “di tipo metodologico, non un discorso lungo, impegnativo” – seguita da una prima relazione alle 9.30 e una seconda relazione alle 10.15, seguita a sua volta dai lavori di gruppo. Nel pomeriggio si riprende alle 16, con la terza relazione e le domande. Alle 17 circa, si ritorna in aula per il lavoro di gruppo e la presentazione dei lavori. La serata si conclude con una preghiera e la testimonianza di una vittima, “presente in sala ma riservata”, ha precisato il moderatore. Nove, nell’ordine, i relatori: il card. Tagle, mons. Scicluna, il card. Salazar Gomez, il card. Gracias, il card. Cupich, il card. Marx. Concludono l’elenco tre donne: Linda Ghisoni, sottosegretario del Dicastero per i laici, la famiglia e la vita, la decana dei vaticanisti, Valentina Alazraki, e Veronica Openibo, religiosa nigeriana. A tenere l’omelia, nella messa del 24 febbraio, presieduta dal Papa e conclusa dal suo discorso, sarà mons. Coleridge, presidente dei vescovi australiani.

Dei 190 partecipanti, i presidenti delle Conferenze episcopali sono 114: 36 dall’Africa, 18 all’Asia, 32 dall’Europa, 4 dall’Oceania. 14 i capi delle Chiese cattoliche orientali, 12 gli ordinari che non appartengono a nessuna Conferenza episcopale. Completano l’elenco 12 superiori generali (uomini), 10 superiori religiose (donne), 10 prefetti dei Dicasteri vaticani, 4 membri della Curia Romana, 5 membri del Consiglio dei cardinali, 5 tra organizzatori, moderatore e relatori.

            Il “prologo” con le vittime. Prima dell’inizio della “tre giorni” in Vaticano, ha annunciato il moderatore dell’incontro, “il Comitato organizzativo ha deciso di riunirsi con un gruppo di rappresentanti delle vittime di diversi Paesi, continenti e assicurazioni, per permettere loro di esprimere con libertà le loro opinioni, attese, desideri”. “Non è previsto né è stato pensato un incontro con il Santo Padre”, ha precisato Lombardi rispondendo alle domande dei giornalisti sull’incontro che fa da “prologo” alla “tre giorni”, e del quale non è stato comunicato né il luogo, né il tempo, né il nome dei partecipanti, “per garantire la serenità delle persone stesse”, ha spiegato il moderatore. “Orecchie aperte e disponibilità a ricevere tutti i messaggi che ci giungeranno in questi giorni”: così Lombardi ha sintetizzato l’atteggiamento di ascolto delle vittime, che è la priorità e il punto di partenza dell’iniziativa voluta dal Papa per contrastare gli abusi nella Chiesa.

Il sito ufficiale e il “contesto”. Già attivo il sito ufficiale dell’evento – www.pbc2019.org/it/homeche dopo il 24 febbraio rimarrà come “strumento per sviluppare le iniziative future”, ha detto padre Hans Zollner, presidente del Centro per la protezione dei minori della Pontificia Università Gregoriana, membro della Pontificia Commissione per la tutela dei minori e referente del Comitato organizzativo, illustrando il portale, che verrà regolarmente aggiornato. Riguardo al Questionario proposto ai partecipanti in vista dell’appuntamento in Vaticano, Zollner ha reso noto che ha ricevuto l’89% delle risposte, che consentono di fornire una sorta di “mappatura” del fenomeno degli abusi, visibile anche sul sito con le statistiche della distribuzione territoriale.

M. Michela Nicolais               Agenzia SIR   18 febbraio 2019      

https://agensir.it/chiesa/2019/02/18/incontro-su-abusi-in-vaticano-190-partecipanti-dai-5-continenti-prima-dellinizio-lincontro-con-le-vittime

 

Diritto canonico e legislazione ecclesiastica sui casi di abuso

Abusi sessuali nella Chiesa: cosa dicono il diritto canonico e la legislazione ecclesiastica? Quali sono le misure previste dalla Chiesa in tali situazioni? Quali le sanzioni?

Alla vigilia dell’Incontro nell’aula nuova del Sinodo, in Vaticano, tra il 21 e il 24 febbraio 2019 al microfono di Vatican News Bernard Callebat, specialista di Diritto canonico, insegnante e ricercatore presso la Facoltà di Diritto Canonico dell’Istituto Cattolico di Tolosa, si sofferma su diverse questioni giuridiche inerenti la delicata questione degli abusi su minori in ambito ecclesiastico a partire dal dettato del Diritto Canonico in materia.

R. – In linea generale, non è solo il Codice di diritto canonico, nel suo Libro VI, che condanna gli atti di violenza sessuale, ma è tutta la disciplina ecclesiale che regola i processi di repressione, ieri come oggi. Diverse indagini realizzate in Irlanda (rapporto Murphy e rapporto Ryan) e negli Stati Uniti (John Jay report) avevano lanciato il campanello d’allarme su numerosi scandali. Fino al 2001, i vescovi potevano trattare i casi di abusi compiuti su minori senza darne segnalazione alla Curia Romana. Questa procedura è stata estremamente dannosa, perché ha consentito ad alcuni vescovi di coprire atti di abuso, e di coprire loro stessi. Abbiamo dovuto aspettare il Motu Proprio Sacramentorum sanctitatis tutela di San Giovanni Paolo II per arrivare alla decisione che i vescovi avrebbero avuto il dovere di segnalare i crimini più gravi alla Congregazione per la Dottrina della Fede (CDF). In un Motu Proprio pubblicato il 4 giugno 2016, Papa Francesco si è spinto ancora più in là prospettando la negligenza dei superiori religiosi che potranno essere dimessi dalle loro funzioni. Oggi è stata istituita una Commissione pontificia al fine di affrontare tutte le questioni legate alla protezione dei minori.

In caso di segnalazione di abusi, qual è la procedura da seguire a livello locale?

R. – Il diritto che si applica è quello essenzialmente previsto dal testo romano del 2001. Ovvero, il vescovo o il superiore religioso, una volta informato del caso, deve innanzitutto esaminare le accuse di abuso sessuale che sarebbe stato commesso (presumibilmente) da parte di un chierico. In questo caso, è necessaria una grande prudenza al fine sia di valutare la sincerità degli accusanti sia di assicurarsi che non ci si trovi di fronte a delle false accuse. Se le accuse appaiono fondate, l’autorità ecclesiastica deve deferire il caso alla Congregazione per la Dottrina della Fede. Secondo quanto stabilito in alcuni strumenti di diritto civile, la stessa autorità ecclesiastica avrà anche il dovere di deferire il caso al rappresentante giudiziario dell’autorità statale.

Quali sono le pene possibili?

R. – Occorre verificare la natura del delitto o del crimine commesso. La sanzione può essere di un duplice ordine, ovvero la stessa può essere soggetta alla libera discrezionalità da parte del giudice penale, oppure può concretamente corrispondere ad una definizione già stabilita dalla legislazione penale. Questa doppia ipotesi prevista dal diritto ecclesiastico non differisce dalle modalità di interpretazione e di applicazione delle pene previste in altri ordinamenti giuridici. In linea generale, per gli atti più odiosi, la riduzione allo stato laicale sarà la sanzione più grave. In assenza di un potere coercitivo proprio, qualsiasi cosa possa essere prevista sul piano civile, il carcere non è prospettato. Sul piano ecclesiale, si può immaginare una forma particolare di reclusione in un monastero, una limitazione del ministero pubblico. L’interruzione di atti pubblici religiosi o di alcuni di essi potrà anche accompagnare il processo sanzionatorio. Nell’ipotesi di abusi sessuali esecrabili o di atti gravi commessi contro dei minori, occorre che le sanzioni siano proporzionate alla gravità del riconoscimento sociale del criminale che ha in maniera riprovevole abusato del suo status clericale. La questione relativa ai danni e agli interessi può anche essere trattata nel corso di queste procedure.

Cosa implicano le dimissioni dallo stato clericale? Esse annullano il Sacramento dell’ordine?

R. – La questione è importante perché la scelta delle parole alimenta gravi ambiguità nel pubblico. La dimissione dallo stato clericale si traduce generalmente con una formula, abbastanza impropria, di riduzione allo stato laicale. Certo, il chierico colpevole non può più svolgere il suo incarico, ma non è riportato allo stato precedente la sua ordinazione. Egli è dispensato dai propri obblighi clericali, sebbene non perda in maniera assoluta il diritto di celebrare, in alcuni casi, dei sacramenti, in maniera valida. Infatti lo stesso rimane, su un piano strettamente sacramentale, diacono, prete o vescovo. La dimissione dallo stato clericale differisce dunque da una dichiarazione di nullità dell’ordinazione che invece ha come conseguenza la scomparsa completa del legame diaconale, sacerdotale o episcopale.

E’ possibile presentare appello contro le decisioni della Congregazione per la Dottrina della Fede?

R.- In linea di principio, non è possibile ricorrere contro una decisione adottata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede. Resta comunque il fatto che gli accusanti godono sempre delle due facoltà per mezzo delle quali possono preservare i propri diritti di fedeli: la possibilità di adire il Tribunale Supremo della Segnatura apostolica che, nella sua funzione amministrativa, può verificare se la procedura seguita dal dicastero è stata rispettata. Lo scopo di questa procedura è quello di assicurarsi della conformità formale degli atti compiuti, tuttavia essa non dirime la decisione di fondo; e poi c’è la richiesta di grazia al Sommo Pontefice, sovrano assoluto in materia giudiziaria.

Quale statuto per le vittime, quale ruolo per queste nel processo canonico?

R. -Le vittime devono beneficiare dei diritti propri previsti dai testi sulla protezione dei fedeli, a titolo di spettanti diritto, parti in giudizio e vittime, dal momento in cui queste hanno deciso di avviare una procedura, sia essa una procedura amministrativa canonica o una procedura penale canonica. In via preliminare, le autorità ecclesiastiche avranno ricevuto con discernimento le accuse. A tale titolo, le autorità ecclesiastiche, tanto quelle gerarchiche quanto quelle giudiziarie, si assicureranno che le vittime saranno accompagnate da consiglieri e/o avvocati specializzati durante lo svolgimento delle diverse procedure. In ogni caso, le vittime saranno tutelate durante tutto il corso del processo giudiziario.

Una riforma del diritto canonico è possibile? Prospettabile? Se sì, in che senso?

R. – Per analogia con le procedure di nullità matrimoniale, per quanto concerne le incapacità psicologiche e psichiatriche (can. 1095, 3°), una delle riforme possibili sarebbe quella di dichiarare nulla l’ordinazione episcopale, sacerdotale o diaconale di coloro che hanno compiuto pratiche omosessuali o che hanno commesso violenze sessuali. La procedura esiste già, ma una sua più frequente messa in atto permetterebbe di escludere in maniera definitiva i soggetti maggiormente colpevoli. La questione è la seguente: i disordini dell’affettività dirimono in maniera incontestabile la facoltà di discernimento di coloro che si presentano per ricevere il Sacramento dell’ordine. Questa questione riguarda l’assenza di libertà interiore della cui presenza evidentemente occorre assicurarsi nel giorno dell’ordinazione. Questa riforma sopprimerebbe, lo ripetiamo, l’ambiguità della sanzione attuale, dettata della riduzione allo stato laicale, formula impropria perché il colpevole non è ridotto allo stato laicale: semplicemente esso è sospeso dai suoi doveri clericali, pur conservando il suo status clericale e la facoltà stessa, in caso di necessità o in pericolo di morte, di esercitare ancora un incarico religioso.

Manuella Affejee-                    Vaticannews 20 febbraio 2019

www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2019-02/diritto-canonico-legislazione-ecclesiastico-abusi-minori-vatiab.html

 

Un summit necessario

In attesa della liturgia e del discorso finale del papa di domenica, si può fare un primo provvisorio bilancio del summit in Vaticano sugli abusi sessuali nella chiesa.

  1. Un primo dato riguarda la necessità di un summit del genere, con la presenza di rappresentanti di chiese da tutto il mondo e di donne e di vittime. Gli storici della chiesa che scriveranno la storia della lotta della chiesa contro questa piaga inflitta alla chiesa dai suoi pastori si chiederanno perché un’iniziativa del genere non venne presa durante il pontificato di Giovanni Paolo II o di Benedetto XVI.

Per Giovanni Paolo II fu cecità di fronte al fenomeno – di quel papa fatto santo troppo in fretta, come di quasi tutti gli uomini di chiesa di quella generazione. Per Benedetto XVI, col quale la vera lotta agli abusi sessuali nella chiesa comincia, fu la paura di aprire la chiesa a momenti di confronto sinodale. Francesco non ha avuto paura, sebbene dopo qualche esitazione, di far convergere l’emergenza abusi nella chiesa con la sua enfasi sulla necessità di una chiesa sinodale – dove tutti i membri della chiesa sono coinvolti, a livelli diversi, nel processo che conduce alla presa di decisioni circa la vita della chiesa.

  1. Un secondo dato riguarda lo spettro delle questioni sottostanti all’emergenza. Con Francesco inizia la presa di coscienza di alcuni elementi importanti. Gli abusi sessuali nella chiesa non sono un problema soltanto di pedofilia o di efebofilia, ma anche contro le donne e contro le religiose. Gli abusi non sono solo un problema delle chiese occidentali alle prese con una crisi di civiltà al cui centro c’è la questione sessuale e biopolitica, ma sono un problema globale, e un problema più grave in quelle chiese (specialmente in Africa e in Asia, ma anche in Italia) in cui la questione è stata finora sottovalutata. Gli abusi non sono una questione di gestione di un fenomeno criminale, ma anche una questione teologica: dalla teologia dei sacramenti (specialmente l’ordinazione al sacerdozio) alle concezioni di chiesa, dal ruolo della donna nella chiesa al magistero sulla morale sessuale.

La questione più complicata riguarda le riforme strutturali richieste dalla diagnosi sul fenomeno, al cui centro c’è una pratica di chiesa clericale in cui il sacerdozio e l’episcopato spesso ancora significano onori ma senza le responsabilità che ne derivano. Lo spettro delle questioni da affrontare è ampio: in questo senso il grido per la “tolleranza zero” – che va ascoltato in silenzio quando viene dalle vittime – diventa uno slogan che non aiuta a capire la vastità delle questioni aperte. Per fare un paragone: il concilio di Trento nel secolo XVI non rispose alla Riforma protestante soltanto con un programma di pulizia dalla corruzione, ma anche con un ripensamento di alcune categorie teologiche.

Questo è un lavoro che per la chiesa è ancora nelle sue fasi iniziali, e non solo per responsabilità del Vaticano o delle gerarchie ecclesiastiche. Il paradosso è che lo scandalo ha colpito in maniera più forte nei paesi più lontani da Roma – lontani geograficamente e culturalmente, in cui la teologia è vitale (specialmente Australia e Stati Uniti) ma ha meno impatto sull’elaborazione delle politiche dottrinali e del magistero ufficiale della chiesa.

  1. Terzo e ultimo punto: la crisi degli abusi sessuali e gli Stati Uniti. Non si può comprendere la crisi senza comprendere il ruolo che essa ha avuto nella chiesa americana e senza comprendere il ruolo della chiesa americana nella chiesa globale. Il ritardo della chiesa globale nell’affrontare la questione degli abusi come fenomeno globale è un ritardo della chiesa nell’ascoltare le sue diverse articolazioni all’interno della chiesa (donne, laici) ma è anche un ritardo nell’ascoltare quanto stava accadendo e in maniera drammatica già durante i pontificati di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI. Con Francesco la questione è arrivata finalmente a Roma sotto forma di un incontro sinodale (in senso lato) grazie a quanto è successo tra 2017 e 2018 nelle sue propaggini più lontane: Cile, Australia e Stati Uniti. Ma il punto di svolta è negli Stati Uniti e nella crisi dell’estate 2018 – il caso dell’ex cardinale e ex prete Theodore McCarrick – che ha portato al tentativo di colpo di stato da parte dell’ex ambasciatore vaticano a Washington in agosto, supportato da settori politicamente, finanziariamente, e giornalisticamente influenti negli USA. L’estate del 2018 portò a tensioni senza precedenti nelle relazioni istituzionali tra Vaticano ed episcopato negli USA.

       Ora, la presenza degli americani al summit vaticano parla di una chiesa travolta dalla crisi: un episcopato in cui i leader eletti dai vescovi non hanno più autorità (il cardinale di Houston Daniel Di Nardo, presidente della conferenza episcopale), sono in via di uscita (il cardinale di Boston Sean O’Malley, presidente della Pontificia Commissione per la protezione dei minori), e quelli scelti da Francesco (cardinale di Chicago Blase Cupich, uno degli organizzatori del summit) non saranno mai eletti leader dai confratelli vescovi a causa della totale polarizzazione nelle stanze del potere del cattolicesimo USA. La chiesa americana che si fa sentire in Vaticano questa settimana è quella delle vittime, delle donne, dei giornalisti. Il che è, a suo modo, un’immagine di questo momento nella vita del cattolicesimo globale.

Massimo Faggioli            l’Huffington Post        24 febbraio 2019

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Il consigliere del Papa: «Distrutti i dossier sugli abusi nella Chiesa»

            «Ora cerco di concentrarmi sul mio diritto divino di essere vivo». Un giovane cileno che fu abusato da un prete racconta la sua storia, chiude gli occhi e imbraccia il violino, le note di Bach risuonano nel silenzio della Sala Regia e delle gerarchie ecclesiali di tutto il mondo riunite per la «celebrazione penitenziale» guidata da Francesco. Prima del mea culpa del Papa («dobbiamo dire, come il figlio prodigo: Padre, ho peccato») e di cardinali e vescovi («confessiamo che abbiamo protetto dei colpevoli e ridotto al silenzio chi ha subito del male»), il Pontefice ha invitato all’«esame di coscienza» spiegando che «si rendono necessarie azioni concrete per le chiese locali»: l’incontro mondiale sulla protezione dei minori finisce con la messa di oggi ma l’essenziale si vedrà da domani.

            La denuncia. La questione centrale è quella che ieri il cardinale Reinhard Marx, uno dei consiglieri più stretti del Papa, ha scandito senza perifrasi: «I dossier che avrebbero potuto documentare i terribili atti e indicare il nome dei responsabili sono stati distrutti o nemmeno creati. Invece dei colpevoli, a essere riprese sono state le vittime ed è stato imposto loro il silenzio. Le procedure e i procedimenti stabiliti per perseguire i reati sono stati deliberatamente disattesi, e anzi cancellati o scavalcati. I diritti delle vittime sono stati di fatto calpestati e lasciati all’arbitrio di singoli individui. Sono tutti eventi in netta contraddizione con ciò che la Chiesa dovrebbe rappresentare».

            Il cardinale, presidente dei vescovi tedeschi, ha spiegato più tardi che si riferiva in particolare a ciò che la Chiesa tedesca ha scoperto nella ricerca, durata tre anni, sugli abusi nelle sue diocesi. Ma «presumo che la Germania non sia un caso isolato», ha aggiunto. La denuncia di Marx è la premessa di una serie di riforme, a cominciare dall’abolizione o almeno revisione del «segreto pontificio», definito dal documento «Secreta continere» del 1974. Il cardinale Marx spiega che la «trasparenza» si deve accompagnare alla «tracciabilità» delle «procedure amministrative», in modo che chiunque possa sempre sapere «chi ha fatto che cosa, quando, perché e a quale fine, e che cosa è stato deciso, respinto o assegnato». E aggiunge: «Ogni obiezione basata sul segreto pontificio sarebbe rilevante solo se si potessero indicare motivi convincenti per cui il segreto pontificio si dovrebbe applicare al perseguimento di reati riguardanti l’abusi di minori. Allo stato attuale, io di questi motivi non ne conosco».

            Cambio di linea. In questi giorni si è parlato di «nuove strutture legali» di controllo — legate ai metropoliti (le diocesi più grandi) e composte anche da laici, donne e uomini — cui i vescovi debbano «rendere conto». E di centri di ascolto per raccogliere denunce in ogni conferenza episcopale e diocesi.

            Ma soprattutto sono state le donne a scuotere le gerarchie. Dalla canonista Linda Ghisoni alla suora nigeriana Veronica Openibo, che ieri ha parlato di «mediocrità e ipocrisia» e avvertito: «Questa tempesta non passerà. Spero e prego che alla fine di questa conferenza sceglieremo deliberatamente di spezzare ogni cultura del silenzio». Suor Veronica, parlando accanto al Papa, ha evocato il cambio di linea nello scandalo cileno, all’inizio sottovalutato: «La ammiro, fratel Francesco, per essersi preso del tempo, da vero gesuita, per discernere e per essere abbastanza umile da cambiare idea, chiedere scusa e agire: un esempio per tutti noi». La giornalista messicana Valentina Alazraki non l’ha mandata a dire, a cardinali e vescovi: «Vi aiuteremo a trovare le mele marce e a vincere le resistenze per allontanarle da quelle sane. Ma se voi non vi decidete in modo radicale a stare dalla parte dei bambini, delle mamme, delle famiglie, della società civile, avete ragione ad avere paura di noi, perché noi giornalisti, che vogliamo il bene comune, saremo i vostri peggiori nemici».

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Superiore e superiori generali (Uisg e Usg): “Chiederemo l’aiuto dei genitori nella nostra lotta”.

A pochi giorni dall’incontro su “La protezione dei minori nella Chiesa”, in programma dal 21 al 24 febbraio 2019 in Vaticano, l’Unione internazionale superiore generali e l’Unione superiori generali firmano una Dichiarazione dal titolo “L’abuso di bambini è un male ovunque e in ogni tempo: questo punto non è negoziabile”. Per i religiosi, sarà fatto “tutto il possibile per trovare una risposta efficace” lavorando insieme “per creare nuove strutture volte a garantire che i rischi siano ridotti al minimo”

Una richiesta di scuse per tutte le volte in cui “non ci siamo accorti di quanto stava accadendo” e quanti potevano intervenire “non hanno riconosciuto i segnali di allarme o non sono riusciti a prenderli in seria considerazione”. E un impegno a “fare tutto il possibile per trovare una risposta efficace” lavorando insieme “per creare nuove strutture volte a garantire che i rischi siano ridotti al minimo”. Sono i due punti contenuti nella Dichiarazione precedente all’incontro sulla protezione dei minori a Roma firmata da Uisg (Unione internazionale superiore generali) e Usg (Unione superiori generali) dal titolo “L’abuso di bambini è un male ovunque e in ogni tempo: questo punto non è negoziabile”. Le religiose e i religiosi provano “vergogna” per gli abusi che “si sono verificati nelle nostre Congregazioni e Ordini e nella nostra Chiesa” ma ritengono che “con i venti del cambiamento che soffiano nella nostra Chiesa e con la buona volontà da parte di tutti, possano essere avviati importanti processi e strutture di rendicontazione responsabile, mentre quelli già esistenti vengono rafforzati. Possono essere identificati nuovi passi in avanti e prese decisioni, la cui attuazione può aver luogo rapidamente e universalmente con il giusto rispetto per le diverse culture”.

Sono circa 1.900 le superiore generali della Uisg, in rappresentanza di circa 750mila religiose presenti in 110 Paesi. All’Usg, invece, fanno capo 220 superiori per un totale di 200mila membri. Un universo assai differenziato al suo interno che è accomunato, però, dalla diffusa vocazione a prestare servizio con i giovani e le persone vulnerabili. Basti pensare che sono oltre 62 milioni gli alunni minorenni che frequentano gli istituti di istruzione ed educazione gestiti dalla Chiesa nel mondo (72.826 scuole materne; 96.573 scuole primarie; 47.862 istituti secondari), ai quali si aggiungono 2 milioni e mezzo di studenti delle scuole superiori e 3 milioni di universitari.

A tutto ciò, si affianca l’opera negli istituti sanitari, di beneficenza e assistenza: 5.287 ospedali; 15.937 dispensari; 610 lebbrosari; 15.722 case per anziani, malati cronici e persone disabili; 11.758 giardini d’infanzia; 13.897 consultori matrimoniali; 3.506 centri di educazione o rieducazione sociale e 35.746 istituzioni di altro tipo. Di fronte a questi numeri, le superiore e i superiori generali si uniscono a Papa Francesco “nella sua missione di riconoscere umilmente e confessare gli errori fatti; sostenere i sopravvissuti; imparare da loro il modo in cui accompagnare coloro che sono stati abusati e come desiderano che ascoltiamo le loro storie. Da parte nostra, ci impegniamo a fare tutto il possibile per ascoltare meglio i sopravvissuti, riconoscendo umilmente che non è sempre stato così. Attueremo quanto deciso in questa conferenza in accordo col dovere di rendicontazione richiesto da coloro che sono in autorità”. Una linea d’azione scelta da Usg e Uisg è quella di coinvolgere i genitori nella nostra lotta contro gli abusi: “Essi hanno un istinto naturale per la protezione dei bambini che è indispensabile. In particolare, sottolineiamo il ruolo delle madri. È giusto affermare che se alle donne fosse stato chiesto un parere e un aiuto nella valutazione dei casi, sarebbe stata intrapresa un’azione più forte, più rapida e più efficace.

La nostra modalità di trattare le accuse sarebbe stata molto diversa e molta sofferenza sarebbe stata evitata alle vittime e alle loro famiglie”. Ed è proprio dalle strutture da loro gestite che i religiosi scelgono di ripartire: “tramite le scuole e gli ospedali che molti di noi gestiscono possiamo fare la differenza” perché “queste istituzioni hanno ora una maggiore consapevolezza della questione degli abusi e sono già in atto protocolli migliori e standard di protezione più elevati”; “integreremo la protezione dei minori e degli adulti vulnerabili nei nostri programmi di formazione, assicurando che, in ogni fase, siano impartite educazione e istruzione adeguate sia ai formatori che ai formandi”; “chiederemo ai nostri Centri di Spiritualità di sviluppare programmi speciali per accompagnare ogni persona, vittima di abuso, che desideri trovare aiuto nella difficoltà con la fede e col senso della vita”. D’altra parte, “le risorse sono sempre un problema” e “uno sguardo alle società che hanno messo in atto pratiche di protezione dei minori evidenzia che anche i servizi sanitari governativi hanno difficoltà a fornire risorse adeguate”. Per questo, “è necessario rafforzare la collaborazione, in modo che le risorse siano utilizzate in modo efficace ed efficiente”. A tal fine, la Uisg e la Usg “si adopereranno per assicurare che le Congregazioni lavorino insieme per accompagnare nel modo più efficace possibile i sopravvissuti nel loro cammino di guarigione”.

Infine, un messaggio per i sopravvissuti: “Vogliamo inviare un messaggio direttamente ai sopravvissuti e alle loro famiglie: riconosciamo che c’è stato un tentativo inadeguato di affrontare questo problema e una vergognosa incapacità di comprendere il vostro dolore.

Vi offriamo le nostre più sincere scuse e il nostro dolore. Vi chiediamo di credere nella nostra buona volontà e nella nostra sincerità. Vi invitiamo a lavorare con noi per creare nuove strutture volte a garantire che i rischi siano ridotti al minimo”. Inoltre, “vogliamo assicurare che coloro che generosamente si candidano per far parte di ordini religiosi o che sono formati nei seminari vivano in luoghi sicuri dove la loro vocazione sia alimentata e dove il loro desiderio di amare Dio e gli altri sia aiutato a crescere fino a maturità”.

Riccardo Benotti        Agenzia SIR   19 febbraio 2019

https://agensir.it/chiesa/2019/02/19/chiesa-e-abusi-superiore-e-superiori-generali-uisg-e-usg-chiederemo-laiuto-dei-genitori-nella-nostra-lotta-oltre-62-milioni-di-bambini-frequentano-le-scuole-cattoliche-nel-mondo

 

Anche i laici vigileranno sugli abusi dei religiosi

«Questa volta era la Chiesa stessa che parlava… Si tratta di pensare la Chiesa con le categorie di una donna». Francesco interviene alla fine della seconda giornata dell’incontro «sulla protezione dei minori nella Chiesa». Davanti a cardinali e vescovi ha parlato finalmente una donna, la professoressa Linda Ghisoni, canonista e sottosegretario del dicastero vaticano per i Laici, sposata e madre di due figlie.

La giornata è dedicata a un problema: a chi devono «rendere conto» i vescovi che ad esempio insabbiano gli abusi? Chi li controlla? Da qui uscirà una riforma: anche i fedeli laici, uomini e donne, potranno avere questo ruolo. In teoria, spiegava padre Hans Zollner, ogni vescovo rende conto al Papa «che dovrebbe controllarne 5.100, il che è impossibile». Si pensa a «nuove strutture legali» intermedie legate ai metropoliti (le diocesi più grandi) ma soprattutto composte anche da laici. Il cardinale di Chicago, Blase Cupich, parla di «sinodalità» e «corresponsabilità» di «tutti i battezzati». L’arcivescovo Charles Scicluna spiega: «I laici avranno un ruolo essenziale, senz’altro». Jean-Claude Hollerich, arcivescovo di Lussemburgo, sorride: «Non vedo nessuna ferita alla mia dignità episcopale nell’essere controllato anche da laici, è normale».

Linda Ghisoni parla di «agire insieme», suggerisce «consigli» e «commissioni» e «un modello di una sana collaborazione di laici, religiosi, chierici». Alla fine, le parole di Francesco: «Non si tratta di dare più funzioni alla donna nella Chiesa, sì, questo è buono, ma così non si risolve il problema, si tratta di integrare la donna come figura della Chiesa nel nostro pensiero»

Gian Guido Vecchi    Corriere della sera    23 febbraio 2019

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201902/190223vecchi.pdf

 

Padre Lombardi: “Grazie al Papa e all’Onu per il loro impegno contro gli abusi”

Un atto di omaggio al Papa e all’Onu per il loro impegno contro gli abusi sui minori commessi nella Chiesa ha aperto la seconda giornata del summit dei presidenti delle Conferenze episcopali di tutto il mondo sulla protezione dei minori.

            «Grazie Santo Padre per essere qui con tutto il suo cuore e la sua attenzione e per darci con la sua presenza il suo conforto e il suo insegnamento. Oggi tutta la Chiesa prega per il Santo Padre e per il suo servizio di insegnamento e di guida. Gli facciamo gli auguri di tutto cuore, a nome di tutta la Chiesa, e vi invito a fare un piccolo applauso», sono state le parole dell’ex portavoce vaticano, moderatore dei lavori, dopo la preghiera iniziale di oggi.

«Il Papa desiderava che tutti i presenti avessero a disposizione la documentazione ufficiale delle Nazioni Unite sui temi della lotta alla violenza contro i bambini», ha aggiunto p. Federico Lombardi SJ informando i 190 partecipanti che, per ciascuno di loro, sarà messo a disposizione un apposito materiale sull’argomento. 

«La violenza nei confronti dei bambini è nella grande maggioranza dei casi da parte di qualcuno che è familiare, vicino ai bambini», ha sottolineato il gesuita, spiegando che la lotta contro questo male «è uno degli obiettivi dello sviluppo globale delle Nazioni Unite e su cui c’è un’attività sistematica di tutti gli organismi internazionali. Il nostro impegno non è indifferente all’impegno delle Nazioni Unite e all’attività degli organismi internazionali».

Padre Lombardi ha anche rivelato che la settimana scorsa si è tenuto un incontro con la rappresentante ufficiale dell’Onu per la lotta alla violenza contro i bambini, Marta Santos Pais, che ha messo a disposizione dei partecipanti al summit vaticano l’ultimo rapporto Onu sul tema, dal titolo “A word free of violence”, ed anche una sintesi del Rapporto Unicef 2017 dal titolo “A familiar face”

A proposito di quest’ultimo, Lombardi ha sottolineato che era «desiderio del Papa che avessimo questo rapporto»: «Noi come Chiesa non siamo indifferenti all’azione delle Nazioni Unite in questo campo e le Nazioni Unite non sono indifferenti a quello che facciamo noi come Chiesa».

Il moderatore dei lavori del summit ha poi dato lettura del messaggio inviato ai vescovi dal rappresentante Onu: «Per me – si legge nel testo – è veramente un onore poter essere di appoggio per l’incontro importante della prossima settimana e voglio fare tutti i miei auguri per una fruttuosa riflessione e buoni risultati. Ho speranza che questo materiale che vi mando sia di appoggio per gli sforzi decisivi della Chiesa cattolica per accelerare il suo impegno in questa aerea importante, e sono impegnata ad appoggiare anche in seguito l’impegno dei vescovi della Chiesa cattolica e a collaborare con voi».

Redazione Vatican insider    22 febbraio 2019

www.lastampa.it/2019/02/22/vaticaninsider/padre-lombardi-grazie-al-papa-eallonu-per-il-loro-impegno-contro-gli-abusi-fofxnms8yw6hRyWpbva76I/pagina.html

 

Papa Francesco: “Ascoltiamo il grido dei piccoli che chiedono giustizia”. Una “road map” in 21 punti

            Un appello alla “concretezza”, declinato in 21 punti offerti ai 190 partecipanti come “punto di partenza” per affrontare, in modo sinodale, la piaga degli abusi. A rivolgerlo è stato il Papa, nella sua introduzione alla “tre giorni” in corso in Vaticano su “La protezione dei minori della Chiesa”. Il primo atto ecclesiale dell’iniziativa senza precedenti di Francesco: l’ascolto della testimonianza di cinque vittime dai cinque continenti.

 Le tre relazioni e il briefing [Breve riunione di lavoro, nel corso della quale vengono impartiti sintetici ordini operativi] della prima giornata.  “Ascoltiamo il grido dei piccoli che chiedono giustizia”.

“Ci vuole concretezza”. È la parola d’ordine dell’incontro in Vaticano su “La protezione dei minori della Chiesa”, e il Papa la usa subito, fin dalla sua introduzione di apertura, per chiamare a raccolta – con un’iniziativa senza precedenti – la Chiesa intera: 190 partecipanti, dai cinque continenti, per affrontare “armati della fede e dello spirito di massima parresia, di coraggio e concretezza” questo “male che affligge la Chiesa e l’umanità”. http://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2019/february/documents/papa-francesco_20190221_incontro-protezioneminori-apertura.html

Un crimine che assume i connotati di un mostro, se possibile, ancora più vergognoso quando miete vittime tra i più piccoli e indifesi. “Il popolo di Dio ci guarda e attende da noi non semplici e scontate condanne, ma misure concrete ed efficaci da predisporre”, dice Francesco, e consegna subito il contributo delle diverse Commissioni e Conferenze episcopali come “punto di partenza” e non certo di arrivo: 21 punti di riflessione per agire subito, senza indugi, all’insegna della sinodalità, per “trasformare questo male in un’opportunità di consapevolezza e di purificazione” e “cercare di curare le gravi ferite che lo scandalo della pedofilia ha causato sia nei piccoli sia nei credenti”.

www.vatican.va/resources/resources_puntidiriflessione-protezioneminori_20190221_it.html

Ma il primo atto di quelli che potremmo definire gli “Stati generali” della Chiesa per la lotta alla pedofilia – nella prima giornata di lavori, dedicata al tema della responsabilità – è l’ascolto: subito dopo le parole del Papa, e prima delle relazioni e dei gruppi di lavoro, cardinali, vescovi, sacerdoti, hanno assistito commossi e partecipi – come ha riferito durante il primo briefing il moderatore dell’incontro, padre Federico Lombardi – alla testimonianza di cinque vittime sopravvissute, in rappresentanza dei cinque continenti. Un grido unanime, crudo e brutale nella sua verità, un appello senza filtri che parte dalle ferite della carne e dell’anima per chiedere a tutta la comunità ecclesiale di farsi carico dell’orrore, perché solo insieme si può vincere la battaglia. Senza più chiudere gli occhi, con un “atto di forte responsabilità pastorale”, chiesto dal Papa durante l’Angelus pronunciato quattro giorni prima dell’incontro.

             “La mancanza di risposte da parte nostra alla sofferenza delle vittime, fino al punto di respingerle e di coprire lo scandalo al fine di proteggere gli abusatori e l’istituzione ha lacerato la nostra gente, lasciando una profonda ferita nel nostro rapporto con coloro ai quali siamo inviati per servirli”.

A denunciarlo è stato il card. Luis Antonio Tagle, arcivescovo di Manila e presidente di Caritas Internationalis, che ha tenuto la prima relazione. “Ognuno di noi ha la personale responsabilità di soccorrere le ferite nel corpo di Cristo e dobbiamo fare tutto ciò che è in nostro potere affinché i bambini e le persone vulnerabili si sentano al sicuro nelle nostre comunità”, l’appello di Tagle, secondo il quale “curare le ferite è un atto di fede”, soprattutto nei confronti degli “innocenti che soffrono”. Non bisogna cedere alla tentazione “di scegliere tra la vittima e l’abusatore”, bisogna aiutare entrambi coniugando giustizia e perdono.

www.pbc2019.org/fileadmin/user_upload/presentations/21feb/21_Feb_1_Cardinal_Tagle_PBC_ITA.pdf

“È nostro sacro dovere proteggere il nostro popolo e garantire la giustizia di quanti siano stati abusati”, ha ribadito mons. Charles Scicluna, arcivescovo di Malta e segretario aggiunto della Congregazione per la dottrina della fede, nella seconda relazione, in cui soffermandosi sui dettagli del processo canonico, sia giudiziario che amministrativo, ha invitato i vescovi e i superiori religiosi ad “affrontare i casi che si presentano in un contesto sinodale o collegiale, per raggiungere in modo pastorale le vittime, i sacerdoti accusati, la comunità di fedeli e persino la società in generale”.

https://agensir.it/quotidiano/2019/2/21/incontro-abusi-in-vaticano-mons-scicluna-denunciare-e-un-dovere-il-ruolo-del-vescovo-nel-processo-canonico

La pedofilia è una “cattiva condotta” che “è anche un reato in tutte le giurisdizioni degli Stati”: di qui la necessità di “uno spirito di collaborazione”, a beneficio sia della Chiesa sia della società in generale. Compito del vescovo o del superiore religioso è quello di “vigilare sull’attuazione e l’esecuzione delle legittime conseguenze dei procedimenti penali”, e anche di “informare la comunità sull’esito definitivo del processo”, sia in caso di colpevolezza – la cui sentenza e pena relativa vanno “attuate senza indugio” – sia in caso di innocenza dell’imputato, perché “è molto difficile risanare il buon nome di un sacerdote che potrebbe essere stato ingiustamente accusato”. Senza contare la “cura delle vittime che sono state tradite negli aspetti più fondamentali e spirituali della loro personalità e del loro essere” e delle loro relative famiglie. Sul versante della prevenzione, Scicluna ha auspicato “protocolli di salvaguardia” e ha chiesto “corresponsabilità” nella selezione e nella presentazione del candidato alla missione di vescovo.

I 21 punti consegnati dal Papa in apertura sono una “road map” per il presente e per il futuro, ha detto Scicluna nel primo briefing della “tre giorni”, annunciando che la Congregazione “sta lavorando ad un vademecum” sugli abusi, “accessibile, sullo schema domanda e risposta”, che sarà pubblicato anche sul sito www.pbc2019.org/it/home, inaugurato in occasione della “tre giorni” in corso ma disponibile anche per il “follow up” della lotta alla pedofilia.

“Prevedere nel futuro un ruolo più importante delle vittime, anche all’interno delle nostre procedure”, l’altra proposta di Scicluna, configurando la figura di una sorta di “curatore” dei loro “interessi”.

Alla radice degli abusi non ci sono solo “deviazioni o patologie sessuali”: c’è il clericalismo. Ne è convinto il card. Ruben Salazar Gomez, arcivescovo di Bogotá (Colombia), che nella terza e ultima relazione della prima giornata ha auspicato “un cambiamento di mentalità che si chiama conversione”.

www.vatican.va/resources/resources_card-salazar-protezioneminori_20190221_it.html

Un imperativo rivolto a tutta la Chiesa, ma in primo luogo ai suoi pastori.

M. Michela Nicolais                Agenzia SIR    21 febbraio 2019

https://agensir.it/chiesa/2019/02/21/papa-francesco-una-road-map-per-combattere-con-concretezza-un-male-che-affligge-la-chiesa-e-lumanita

 

Lotta agli abusi: “collegialità” e “sinodalità”. Più spazio ai laici

“Collegialità” e “sinodalità” sono le due parole-chiave della seconda giornata dell’incontro in Vaticano su “La protezione dei minori nella Chiesa”, dedicata all’“accountability” [capacità di rendere conto di ciò che si fa]. Gli auguri al Papa per la festa della Cattedra di Pietro e la distribuzione ai partecipanti del materiale Onu sulla lotta alla violenza contro i minori. L’obbligo di denuncia e la “tolleranza zero” tra gli argomenti del dibattito tra i 190 partecipanti.

 “Collegialità” e “sinodalità”. Risiede in queste due parole, raccomandate da Papa Francesco fin dall’inizio del pontificato per qualunque opera di riforma, soprattutto, nella Chiesa, il segreto della “accountability”, cioè il dover rendere conto – anzitutto di fronte alle vittime, ma poi davanti a tutta la comunità ecclesiale e alla società – delle atrocità degli abusi commessi dai membri del clero nei confronti di minori.

Se ne è parlato nella seconda giornata dell’incontro in Vaticano su “La protezione dei minori nella Chiesa”, cominciata con gli auguri al Santo Padre –in occasione della festa della cattedra di Pietro – dal moderatore dell’incontro, padre Federico Lombardi, e salutati da un fragoroso applauso dei 190 partecipanti.

Per volere del Papa, è stata messa a disposizione dei partecipanti la documentazione ufficiale delle Nazioni Unite sui temi della lotta alla violenza contro i bambini, e in particolare l’ultimo Rapporto Onu in materia, “Toward a world free from violence”, unitamente ad una sintesi dell’ultimo Rapporto Unicef 2017, “A familiar face”.

             “Nessun vescovo può dire a se stesso: ‘Questo problema di abuso nella Chiesa non mi riguarda’. Ognuno di noi è responsabile per l’intera Chiesa”. Così il card. Oswald Gracias, arcivescovo di Bombay e presidente della Conferenza episcopale indiana, ha introdotto il tema della “accountability”. “Non si può ignorare che nella Chiesa abbiamo avuto difficoltà ad affrontare la questione dell’abuso nel modo giusto”, ha ammesso il porporato, che a proposito dell’iter da seguire nei casi di abusi ha esortato a coniugare il “centralismo romano” con la necessità di “un confronto tra la Curia Romana e le nostre Conferenze episcopali”. Poi il mea culpa: “Dobbiamo pentirci e farlo insieme collegialmente, perché lungo il cammino abbiamo fallito”.

 “Tutti i meccanismi per presentare denuncia di abusi o maltrattamenti nei confronti di un vescovo dovrebbero essere trasparenti e ben noti ai fedeli”. È uno dei suggerimenti pratici del card. Blase Cupich, arcivescovo di Chicago e membro del Comitato organizzativo, insieme alla necessità di “rigettare categoricamente gli insabbiamenti” e alla proposta di creare “meccanismi di segnalazioni indipendenti” degli abusi, tramite una linea telefonica dedicata o un apposito portale web.

“Il coinvolgimento di esperti laici per offrire assistenza da ora in avanti diventa necessario per il bene del processo e il valore della trasparenza”, la tesi di Cupich, che per le Conferenze episcopali ha auspicato l’adozione di “norme speciali” e ha proposto l’istituzione di “un fondo comune a livello nazionale, regionale o provinciale per coprire i costi delle indagini dei vescovi”.

E sulla collaborazione tra vescovi, religiosi e laici, attraverso la corresponsabilità, si è soffermata anche Linda Ghisoni, sottosegretario per la Sezione dei laici del Dicastero per i laici, la famiglia e la vita, proponendo, tra l’altro, di creare “commissioni consultive indipendenti” e di “rivedere la normativa del segreto pontificio”.

“Creare una cultura della denuncia, anche con appositi referenti”. È uno degli argomenti su cui si sono confrontati i 190 partecipanti, ha riferito Paolo Ruffini, prefetto della Segreteria per la comunicazione della Santa Sede, durante il secondo briefing sui lavori. Interpellato dai giornalisti sulla diversità delle posizioni in merito all’obbligo di denuncia, nelle varie Conferenze episcopali, e sulla possibilità che tale atteggiamento venga considerato un’omissione, mons. Charles Scicluna, arcivescovo di Malta e segretario aggiunto della Congregazione per la dottrina della fede, ha risposto: “Dipende dalle leggi civili dei rispettivi Paesi. La questione della denuncia alle autorità civili è prioritaria”. A Malta, “c’è un’obbligatorietà in base alla quale, se non lo faccio, compio un delitto civile”.

Anche negli Usa, ha detto il card. Patrick O’Malley, arcivescovo di Boston, presidente del Commissione per la tutela dei minori e membro del Consiglio dei cardinali, “siamo impegnati a denunciare sempre: c’è un obbligo morale a condividere con le autorità civili il nostro impegno per la tutela della sicurezza dei bambini. La crisi terribile degli abusi è nata proprio perché per tanto tempo i casi non venivano denunciati”.

Non sono mancate, tra i giornalisti, domande sull’espressione “tolleranza zero”. Termine, questo, ha spiegato padre Lombardi, che “si riferisce a un modo d’intervenire, giustamente punitivo, nei confronti dei criminali”, ma che rappresenta “una parte molto limitata”, anche se “fondamentale”, dell’azione di contrasto agli abusi, di portata molto più vasta.

Ad una domanda su come si concili la prima parte del punto 15 affidato dal Papa alla riflessione dei partecipanti – che recita: “Osservare il tradizionale principio della proporzionalità della pena rispetto al delitto commesso. Deliberare che i sacerdoti e i vescovi colpevoli di abuso sessuale su minori abbandonino il ministero pubblico” – il card. O’Malley ha risposto facendo notare che, nelle stesse intenzioni del Santo Padre, “si tratta solo di un punto di partenza, non ho mai pensato che sia contrario alla tolleranza zero”.

A fare da sfondo, secondo O’Malley e secondo Scicluna, c’è l’affermazione pronunciata da Giovanni Paolo II il 23 aprile 2002: “La gente deve sapere che nel sacerdozio e nella vita religiosa non c’è posto per chi potrebbe far del male ai giovani”.

“Si tratta di un principio che deve animare ogni decisione, come principio fondamentale”, ha commentato Scicluna: “È una constatazione prudenziale e di urgenza, che non ha niente a che fare con la pena. La questione prudenziale dell’idoneità al ministero non è una questione primariamente penale. La pena può anche essere espiatoria: non tolgo una persona dal ministero sacerdotale per punirla, ma per proteggere il gregge”.

M. Michela Nicolais                Agenzia SIR    22 febbraio 2019

https://agensir.it/chiesa/2019/02/22/lotta-agli-abusi-collegialita-e-sinodalita-piu-spazio-ai-laici

 

Monda, “Chiesa deve abbassarsi e toccare le ferite dei minori che gridano giustizia”

La Chiesa “fedele a Gesù” deve “abbassarsi. Farlo sempre e soprattutto oggi di fronte ai minori abusati con le loro ferite che gridano giustizia”. Abbassarsi e toccarne le ferite. Lo afferma, nell’editoriale odierno de L’Osservatore Romano, il direttore Andrea Monda, ripercorrendo le due prime giornate dell’incontro su “La protezione dei minori nella Chiesa” in corso in Vaticano.

www.osservatoreromano.va/it/news/chinarsi-sulle-ferite

Monda ricorda l’intensa relazione del card. Antonio Tagle, arcivescovo di Manila e presidente di Caritas Internationalis, che ha affermato che “nessuno può dire ‘Mio Signore e mio Dio’, la più forte affermazione di fede di tutto il Vangelo, se non ha prima il coraggio di guardare e di toccare le ferite di Cristo”. “Chi per paura chiude gli occhi di fronte alle ferite – sostiene Monda – non può rivendicare il diritto di essere inviato ad annunciare il Vangelo. E le ferite di Cristo coincidono con quelle degli uomini, con quelle dei piccoli vittime delle violenze”.

Pertanto, senza questa dimensione, “pur portando alla messa a punto di strategie operative e di prassi concrete per rispondere alla crisi legata agli abusi sessuali”, l’incontro voluto dal Papa “risulterebbe un’operazione grandiosa quanto priva di senso” come “ha ribadito efficacemente nel suo intervento del secondo giorno il cardinale Cupich di Chicago: ‘Nessuno degli elementi strutturali che adottiamo come Chiesa sinodale, per quanto importanti, può guidarci fedelmente in Cristo a meno che non ancoriamo tutti i nostri provvedimenti al dolore penetrante di coloro che sono stati abusati e delle famiglie che hanno sofferto con loro”.

Per un cattolico, conclude Monda, “viene prima la metanoia, la conversione, e poi le procedure più o meno efficaci, altrimenti si cade nel rischio paventato da Papa Francesco” nel discorso ai vescovi del Centroamerica del “funzionalismo ecclesiale” che “rappresenta una caricatura e una perversione del ministero”.

Osservatore Romano              Agenzia SIR    22 febbraio 2019

https://agensir.it/quotidiano/2019/2/22/incontro-abusi-in-vaticano-monda-chiesa-deve-abbassarsi-e-toccare-le-ferite-dei-minori-che-gridano-giustizia

 

                                 Pedofilia, il cardinale Stella: più psicologi dentro i seminari

Intervista con il prefetto della Congregazione per il Clero: «Potranno essere utili tirocini in cui mettere i seminaristi a contatto con famiglie e donne», per «uno sguardo più ampio sulla realtà».

Nel piano del Papa per la lotta contro gli abusi un punto cruciale è la prevenzione. E in questi giorni al summit anti-pedofilia in Vaticano si discute anche di regole sui seminaristi, «programmi di formazione per consolidare la loro maturità umana, spirituale e psicosessuale», come pure «le loro relazioni interpersonali».

Ne abbiamo parlato con il cardinale Beniamino Stella, prefetto della Congregazione per il Clero, dunque il responsabile dei seminari di tutto il mondo.

Eminenza, quali sono le sue aspettative e speranze sul summit?

«Dal punto di vista della Congregazione per il Clero, l’auspicio principale dopo i lavori di questi giorni è che ci sia un rinnovato interesse di tutta la comunità ecclesiale – pastori e fedeli laici – per la formazione iniziale in Seminario, in modo da garantire per il futuro una più efficace prevenzione contro il rischio di abusi tramite una migliore selezione dei candidati al sacerdozio. Occorre comunque non farsi trascinare dai toni “apocalittici” di quanti pretenderebbero di “rivoluzionare” l’intero sistema della formazione in Seminario. A mio avviso, si tratta di farlo funzionare meglio, con la nomina da parte dei Vescovi di formatori preparati e pienamente dedicati a tale ministero, capaci, in un contesto di quotidiana vita comunitaria, di cogliere in un seminarista “stranezze” o “segni” che potrebbero indicare una affettività immatura, problematica o anche veri e propri “vizi”, o forme patologiche, così da poter intervenire tempestivamente con gli interventi stimati necessari per ogni caso (dimissione, percorsi alternativi, supporto specifico, etc.). In tale senso, quindi, è essenziale che si eviti la formazione “fai-da-te”, in Seminari con numeri troppo esigui (si potrebbe dire “quattro amici al bar”, più che una vera comunità), o addirittura nelle parrocchie, dovendosi preferire i Seminari interdiocesani, per la possibilità di una vita comunitaria con numeri adeguati e con formatori all’altezza del loro compito».

Nella sfida della prevenzione, si avverte la necessità di norme «riguardanti i seminaristi e i candidati al sacerdozio», come ha scritto il Papa nei 21 spunti di riflessione, con «programmi di formazione per consolidare la loro maturità umana, spirituale e psicosessuale»: Lei che cosa ne pensa? Quali bisogni urgenti avverte nel mondo dei seminari?

«Le norme e le linee formative di riferimento sono quelle della Ratio fundamentalis del 2016, un testo base per orientare le Conferenze Episcopali nella redazione della loro Ratio Nationalis; altre materie – come, ad esempio, i nuovi accessi in Seminario dopo una precedente uscita, o dimissione da esso – sono affidate dal Codice di Diritto Canonico alla valutazione e alla produzione normativa delle stesse Conferenze Episcopali. Circa i “programmi di formazione”, in una visione integrale di essa, la dimensione umana deve avere oggi una attenzione prioritaria, in considerazione dei contesti famigliari e sociali da cui in non pochi casi proviene il giovane candidato. La cura in special modo della formazione umana nel corso degli anni di Seminario costituisce una “palestra” in cui il seminarista, accompagnato dai formatori, si cimenta con la propria persona, scoprendo punti di forza, ma anche trovandosi di fronte a debolezze e precarietà; ciascuno è chiamato a un dialogo con il proprio passato e il proprio presente, per aiutare il seme della vocazione a crescere e, in prospettiva futura, gettare solide fondamenta per il ministero sacerdotale. Infatti, in Seminario si vive una prova della personalità, che permette al seminarista di prepararsi a una missione che lo impegnerà per tutta la vita.

In modo particolare, nell’ambito affettivo, occorrerà presentare sempre più e meglio il celibato nel suo valore relazionale e nella sua positività, aiutando i seminaristi a comprenderlo, interiorizzarlo e viverlo già prima di giungere all’ordinazione. Il tema del celibato, mi sembra, dovrebbe essere uno dei principali “capitoli” nell’ambito della direzione spirituale negli anni del Seminario; esso costituisce un vero “banco di prova” della tenuta spirituale di un giovane, in quanto un celibato serenamente vissuto produce stabilità emozionale, disciplina personale e un perseverante amore alla propria vocazione. Giova ricordare che, in passato, la stessa Congregazione dei Seminari richiedeva ai direttori spirituali un tempo comprovato di precisa osservanza della castità personale, indicandolo come un requisito indispensabile per quella “tenuta” successiva all’ordinazione che è imposta dalla promessa formale di celibato. Di fatto, invece, oggi in vari casi la direzione spirituale prescinde dal trattare queste tematiche affettive e di castità personale, rinunciando quindi a quell’esercizio di fedeltà alla continenza e, di fatto, alla propria vocazione, che conducono poi a sviluppare una vera paternità spirituale. In sintesi, quindi, riterrei di poter considerare “bisogni urgenti” per i Seminari la presenza di vere comunità, accompagnate da formatori preparati e disponibili, in cui la vita comunitaria abitui alla relazione e al servizio reciproco, e la direzione spirituale sappia guidare i giovani verso la maturità umana e vocazionale della conformazione a Cristo».

Si parla anche di una «valutazione psicologica», che per molti potrebbe essere un elemento di svolta positiva: che cosa ne pensa?

«Come ricorda la Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis del 2016, per la formazione nei Seminari è importante il contributo di esperti in psicologia/psichiatria che, al bisogno, possano offrire ai formatori elementi tecnici per inquadrare la personalità di un seminarista “strano”, “difficile”, “rigido”, e magari dare un nome scientifico a tale situazione, nell’interesse del candidato stesso e per una più corretta valutazione circa la possibilità che prosegua nel cammino formativo. Ovviamente, non è un test psicologico che decide della vocazione, ma esso può rivelarsi un utile sussidio per una più accurata comprensione della situazione interiore del seminarista, in alcuni casi sino a far emergere le problematiche più profonde. Più che una “svolta”, quindi, mi sembra che si tratti di uno strumento prezioso per i formatori, per contribuire al discernimento della vocazione e alla crescita umana del seminarista, con in più la possibilità di offrire a chi ne ha bisogno un accompagnamento specifico, un aiuto psicologico per situazioni pregresse non risolte, connesse magari con la famiglia di origine o con eventuali traumi della fanciullezza. In ogni caso, un sussidio psicologico potrà essere utile al momento dell’ammissione in Seminario e, successivamente, durante gli anni della formazione, quando lo esiga una situazione particolare, soprattutto in prossimità dell’ordinazione».

Come risponde all’accusa di chi dice che i seminari oggi non preparano i futuri sacerdoti a «stare nel mondo reale»?

«Io direi che oggi i seminaristi conoscono il mondo reale anche troppo bene, avendo vissuto in esso prima di entrare in Seminario, dal momento che spesso si tratta di vocazioni adulte, persone con titoli universitari ed esperienze nel mondo del lavoro, che si preparano al sacerdozio a partire da una maturità e da una visione del mondo diverse rispetto al passato. Posto in questi termini, quindi, mi sembra un problema non più attuale, fittizio, a meno che non si voglia pensare a giovani che fuggono il mondo e cercano un “porto sicuro” in Seminario, per non confrontarsi con la realtà e non assumere responsabilità. Tali giovani provengono spesso da fallimenti affettivi, o situazioni lavorative incompiute, e vedono nel Seminario un comodo “piano b”; si tratta ovviamente di persone non idonee a ricevere l’ordine sacro, che devono essere aiutate a maturare, per vivere da laici nel mondo la loro appartenenza ecclesiale. D’altra parte, è essenziale non fare del Seminario un ambiente chiuso, con dinamiche autoreferenziali e sganciate dalla vita concreta del popolo di Dio. A tal fine, si può profittare, ad esempio, dei tirocini pastorali per mettere i seminaristi a contatto con famiglie e con donne, in modo che possano imparare a relazionarsi non solo in un ambiente tutto maschile, spesso di soli coetanei, o quasi. Le problematiche vissute dalle famiglie e l’esempio da loro offerto costituiranno un arricchimento e una crescita per i seminaristi, mentre la sensibilità femminile potrà aiutarli ad avere uno sguardo più ampio sulla realtà. Per altro, il contatto con persone che vivono al di fuori del Seminario servirà anche a far emergere e a correggere quei tratti di “clericalismo” che potrebbero svilupparsi in un giovane che vivesse la formazione solo con altri preti e seminaristi».

Domenico Agasso jr                Vatican insider 24 febbraio 2019

www.lastampa.it/2019/02/24/vaticaninsider/pedofilia-il-cardinale-stella-pipsicologidentro-ai-seminari-LcOxvA293lisfRMEH5FWqL/pagina.html

                                                

Il vescovo Cancian: nella Chiesa coniugare verità, giustizia e misericordia

A colloquio con il presule teologo che accompagna i preti in difficoltà ed è referente umbro per la tutela dei minori. «La tolleranza zero non deve togliere la speranza a nessuno».

«Un’iniziativa molto opportuna, anzi necessaria». Il vescovo di Città di Castello Domenico Cancian guarda dall’Umbria all’incontro in Vaticano sulla tutela dei minori. Anche perché da anni lui è accanto ai preti segnati dalle fragilità umane e spirituali: prima nel santuario dell’Amore Misericordioso a Collevalenza, oggi da pastore di Città di Castello. Lo fa come Figlio dell’Amore Misericordioso, la congregazione fondata dalla beata spagnola Madre Speranza che proprio a Collevalenza aveva voluto quella speciale “casa” e che ha avuto una particolare cura verso i sacerdoti anziani, malati o in difficoltà. «La Chiesa sta facendo un significativo percorso di conversione – afferma commentando il summit Cancian, appena nominato dalla Conferenza episcopale umbra vescovo referente del Servizio regionale per la tutela dei minori –. Anche la Chiesa italiana ha bisogno di mettere in atto queste necessarie indicazioni, cercando di superare lassismo e legalismo, coniugando verità, giustizia e misericordia».

Eccellenza, come essere vicino a un sacerdote che “cade”?

Vorrei premettere che la gran parte dei preti e dei consacrati dà buona testimonianza, talvolta davvero profetica, e merita il riconoscimento che normalmente la gente dimostra. Giustamente la Chiesa, specialmente con Benedetto XVI e ora con papa Francesco, sta promuovendo un profondo rinnovamento di tutto il popolo di Dio. Le fragilità e gli scandali del clero sono affrontati in modo deciso, a partire dalla giustizia verso le vittime, che devono essere ascoltate. Nei confronti dei sacerdoti la prima cosa è quella di fare piena verità sull’entità della fragilità umana e spirituale. Un conto è il crimine della pedofilia o dell’abuso; altro gli atti omo o etero sessuali tra maggiorenni; altro ancora sono le dipendenze e l’uso scorretto del ministero. Nessuno di questi casi è accettabile, ma implicano responsabilità diverse.

Allora che cosa fare?

Non è facile aiutare l’abusatore a riconoscere la verità dei fatti, accettare la responsabilità penale, morale, psicologica, con l’eventuale processo canonico e civile, con la giusta pena. Le difese a volte sono pesanti (negazione, razionalizzazione, proiezione…) e sono parte del disturbo di personalità che lo psicoterapeuta deve saper leggere per iniziare la diagnosi attraverso adeguati strumenti oggi riconosciuti attendibili. Questo per risalire alla causa, alla dinamica e al tipo di personalità.

E poi?

Dalla diagnosi si passa agli incontri di psicoterapia a livello personale (anche di gruppo) per aiutare la presa di coscienza, accompagnata dal doloroso e necessario riconoscimento della colpa, e l’accettazione di un cammino (a volte di anni) per cercare di intervenire, per quanto possibile, sulla causa dell’abuso e del disturbo, quantomeno per controllarlo e gestirlo. Dipende naturalmente dalla gravità della situazione e dalla disponibilità alla revisione di vita e alla conversione. Oltre alla psicoterapia non è meno importante un accompagnamento spirituale adeguato, a livello personale e comunitario, convinti soprattutto in queste situazioni che c’è bisogno della grazia del Signore: “Senza di me non potete far nulla”. Il cammino si può positivamente concludere quando si ricava la certezza della non recidività.

Come legge la sua esperienza di accompagnamento sia a Collevalenza, sia a Città di Castello?

Devo dire che Madre Speranza ha trasmesso alla nostra Famiglia dell’Amore misericordioso una grande passione per i sacerdoti. Ci ha chiesto di essere vicini al loro ministero e in modo particolare nelle loro fragilità e debolezze (possibili a tutti). Dinanzi alla fragilità e all’abuso di un sacerdote, cerco di elaborare tre atteggiamenti.

a.       Anzitutto la massima attenzione alla giustizia riparativa nei confronti della vittima. Non è possibile nascondere, né sottovalutare nulla. Gesù è arrivato a dire che è meglio morire affogati con la macina di mulino al collo piuttosto che scandalizzare un piccolo.

b.      Secondo, aiutare l’abusatore a una profonda conversione umana ed evangelica, ritenendo che la salvezza è sempre possibile per tutti (vedi il ladrone pentito). La tolleranza zero non deve togliere la speranza a nessuno.

c.       Terzo, più che scandalizzarsi (chi può ritenersi migliore di un altro e permettersi di giudicarlo e condannarlo?) è molto meglio chiedersi: come si può essere espressione del Buon Samaritano misericordioso nei confronti di chi ha subìto la violenza e di chi l’ha perpetrata?

Che cosa si porta con sé?

Qualche sacerdote mi ha confidato con grandissima sofferenza: dopo quanto mi è successo sono stato allontanato come un lebbroso. Devo dire che ho visto talvolta disperazioni, ma anche risurrezioni vere e proprie, uomini nuovi. L’ideale sarebbe arrivare al perdono dopo un adeguato percorso, con tutte le sofferenze del caso, così come leggiamo nel libro di Daniel Pittet La perdono padre con la prefazione di papa Francesco.

Quali sono le fragilità che in Italia possono segnare la vita di un prete oggi?

La più grave è l’abuso di un minore o di un adulto vulnerabile, l’abuso di uomini e donne che venivano con fiducia a chiedere un aiuto spirituale a chi esercitava il ministero. Ho riscontrato che diverse fragilità si manifestano nell’area affettivo-sessuale, ma hanno origine di altro genere: nell’area dell’autonomia, della stima di sé, dell’aggressività. Provengono anche da disturbi o abusi dell’infanzia e dell’adolescenza. Ci può essere anche l’uso distorto e strumentale della fede, della spiritualità e della vocazione sacerdotale. Qualcuno ha affermato che nell’abuso c’è sempre una concezione di potere per cui si sfrutta una persona ritenuta inferiore. È gravissimo, soprattutto quando si tratta di una persona fragile e dura anni.

 E le vittime?

La vittima è letteralmente sconvolta e si porta ferite così profonde che possono rimarginarsi, ma non sempre, con enorme fatica. Questo vale anche per l’abusatore. L’onnipotenza della misericordia può superare anche questo, in tempi lunghi e dolorosi. A noi crederci e offrire l’aiuto giusto che favorisca tale “miracolo”. Diceva una vittima: «Un uomo di Chiesa mi ha ferito profondamente, altri uomini di fede e di Chiesa mi hanno aiutato a trovare la serenità».

Come la formazione in Seminario può essere fondamentale nella prevenzione?

I preti che abusano (in verità pochi) e quelli che si identificano nel ruolo e nel potere clericale (il Papa parla di burocrati, carrieristi, individualisti) ci interrogano sulla qualità della formazione in Seminario ma anche sulla formazione permanente. Oggi abbiamo due grandi aiuti: il magistero della Chiesa che ci offre documenti molto validi e precisi circa la formazione umana, cristiana, sacerdotale; abbiamo anche le scienze umane che possono essere in grado di individuare la presenza di disturbi non compatibili col ministero, ma anche utili per favorire la maturazione armonica ed equilibrata, tanto necessaria per le relazioni pastorali e per prevenire scorrette derive. Le domande sono: vengono usati questi strumenti? Come è impostata la formazione umana? Quale tipo di spiritualità viene proposta se poi di fatto passano quasi inavvertite pesanti contraddizioni? È chiaro che se c’è una buona formazione in Seminario che continua nella formazione permanente, otteniamo come risultato non solo la prevenzione, ma soprattutto la crescita e la santità del prete.

Giacomo Gambassi Avvenire           22 febbraio 2019

www.avvenire.it/chiesa/pagine/la-chiesa-chiamata-a-coniugare-verit-giustizia-e-misericordia

 

Dal Papa un nuovo motu proprio sulla protezione dei minori, creare “task force” nelle diocesi

Il vertice sugli abusi è finito ma il Vaticano è già al lavoro per il “dopo-summit”. Mentre gruppi di vittime in piazza San Pietro lamentano ai giornalisti grande «rabbia e delusione» perché un incontro conclusosi con «parole» e «nessuna misura concreta», nel quotidiano briefing nell’Istituto Augustinianum padre Federico Lombardi, moderatore dell’evento, annuncia tre «iniziative concrete» per il prossimo futuro finalizzate a mettere in pratica le indicazioni e le richieste emerse durante i quattro giorni di lavoro in Aula nuova del Sinodo.

  1. Si tratta anzitutto di «un nuovo motu proprio del Papasulla protezione dei minori e delle persone vulnerabili”, per rafforzare la prevenzione e il contrasto contro gli abusi nella Curia Romana e nello Stato della Città del Vaticano». Esso, la cui pubblicazione dovrebbe avvenire nei prossimi mesi, «accompagnerà una nuova legge dello Stato della Città del Vaticano e le linee guida per il Vicariato della Città del Vaticano sullo stesso argomento».
  2. 2.      È prevista poi la pubblicazione da parte della Congregazione per la Dottrina della Fede di «un vademecum che aiuterà i vescovi del mondo a comprendere chiaramente i loro doveri e i loro compiti».
  3. E infine «la creazione di task forces di persone competenti per aiutare le Conferenze episcopali e le diocesi che si trovino in difficoltà ad affrontare i problemi e realizzare le iniziative per la protezione dei minori».

«Non pensate che si rimandi chissà quanto», ha chiarito il gesuita. I due documenti e gli organismi diocesani vedranno la luce molto presto. La Chiesa ha fretta, infatti, di riparare ad errori del passato e – ha detto Lombardi, ripetendo le parole del Papa durante l’Angelus – «vogliamo assolutamente che tutte le attività pastorali della Chiesa cattolica e i luoghi dove esse si esercitano siano pienamente sicuri per i minori, per il rispetto della loro dignità e la loro crescita umana e spirituale».

Sempre l’ex portavoce vaticano ha riferito che domani mattina, i membri del comitato organizzatore si riuniranno i responsabili della Curia Romana che hanno partecipato all’incontro, in modo da impostare fin d’ora il lavoro necessario per dare seguito ai propositi e alle idee maturate nei giorni scorsi. Già oggi pomeriggio il comitato – ovvero Lombardi, Zollner, Scicluna e i due cardinali Cupich e Gracias – si rivedranno per stabilire i punti nella riunione di domani.

Sono tutti «primi passi segni di incoraggiamento», ha detto ancora padre Lombardi, che «ci accompagneranno nella nostra missione di servizio per tutti i bambini del mondo, sentendoci solidali con tutte le persone di buona volontà che vogliono abolire ogni forma di violenza e di abuso contro i minori». Il gesuita moderatore del summit ha ribadito anche la richiesta di sincero perdono alle vittime «per ciò che abbiamo fatto di male e per ciò che abbiamo mancato di fare». «Torniamo alle nostre diocesi e alle nostre comunità, sparse in tutto il mondo, con una comprensione più profonda di questo terribile scandalo e delle ferite che provoca nelle vittime e nell’intero popolo di Dio», ha aggiunto.

Parole ribadite anche dal prefetto del Dicastero della comunicazione, Paolo Ruffini, che ha aggiunto anche un ringraziamento «a nome del Dicastero» a tutti i media e i giornalisti per il loro lavoro «anche quando è scomodo per noi», perché «ci sprona ad essere a nostra volta scomodi e veri».

Da parte sua padre Zollner, il gesuita presidente del Centro per la protezione dei minori dell’Università Gregoriana, si è detto soddisfatto dei risultati del vertice dal punto di vista «qualitativo e quantitativo» perché ha dimostrato come, rispetto a 7-8 anni fa, «è stata fatta moltissima strada». In particolare è stato «confortante» sentire che vescovi provenienti da Africa e Asia, che fino a qualche giorno fa si mostravano vagamente interessati alla problematica perché poco rilevante nei loro Paesi schiacciati da altri drammi come guerre povertà, hanno riconosciuto a fine summit la gravità della questioni abusi, assicurando di intervenire sul problema una volta tornati nelle loro case.

Confortante, anche, è stato sentire le relazioni delle tre donne, in particolare quella della giornalista messicana Valentina Alazraki sul tema della trasparenza nella comunicazione, presente oggi alla conferenza. A dirlo questo è il cardinale di Bombay Oswald Gracias, presidente dei vescovi indiani, che ha esclamato: «Sono state le migliori, con tutto il rispetto per chi ha parlato incluso monsignor Scicluna! Ascoltare di più le donne dà una prospettiva più alta».

Sempre Gracias, interpellato a riguardo dai cronisti, ha affrontato la questione emerse nei scorsi giorni della revisione del segreto pontificio. «È sicuramente un argomento da trattare», ha detto, «finora veniva usato allo scopo di tutelare la riservatezza, ma se viene utilizzato per nascondere e causare danni dobbiamo capire qual è l’obiettivo ultimo». Inoltre, ha aggiunto il porporato, «se usato troppo ampiamente si fanno danni al sistema» e «può rivelarsi inefficiente».

D’accordo su questo punto l’arcivescovo Scicluna che ha affermato: «Non c’è necessità del segreto pontificio soprattutto per i casi di abusi sessuali. Quello che poteva essere utile anni fa ora è controproducente». Certo, si può applicare ad esempio per le indagini sui candidati che possono diventare vescovi e «a volte è necessario per proteggere la libertà della Chiesa e del Papa», ma nei casi di abusi no. E su questo quasi tutti i partecipanti al summit si sono trovati concordi.

In generale, uno dei più immediati risultati dell’evento vaticano è stato l’armonia e l’unità di intenti da parte degli episcopati mondiali. D’altronde su un tema del genere era difficile trovare elementi di dissonanza. In particolare Scicluna si è detto soddisfatto di vedere come si sia raggiunta una consapevolezza non scontata da parte di tutti: «Per decenni ci siamo concentrati sul crimine dell’abuso sui minori che è gravissimo, ma ora abbiamo capito tutti come l’insabbiamento è altrettanto grave. Non si può tornare indietro».

Il segretario aggiunto della Dottrina della fede ha poi descritto come fondamentale l’aver potuto ascoltare la voce delle vittime. «Continueremo a farlo, dobbiamo continuare a farlo perché si tratta di una esperienza importante. Se parliamo di discernimento questa è la via giusta: non possiamo non ascoltare» chi ha subito abusi. Perché va bene cambiare e aggiornare il Diritto canonico, ma la prima cosa che deve cambiare «è il cuore».

Solo così, infatti, è possibile scardinare certi atteggiamenti e sistemi di potere che hanno contribuire ad ampliare questa voragine degli abusi e dei loro occultamenti. Certo non è facile: «La Chiesa è una grande nave, per cambiare direzione ci vogliono molte energie», ha detto Zollner, ma «l’importante è non concentrarsi sui singoli casi, ma sul sistema degli insabbiamenti». Le promesse, quindi, sono alte: «La Chiesa vuole essere in prima linea nella difesa dei diritti dei bambini», ha detto il cardinale Gracias, «deve essere un modello per come agisce».

Salvatore Cernuzio                           Vatican Insider          24 febbraio 2019

www.lastampa.it/2019/02/24/vaticaninsider/dal-papa-un-nuovo-motu-proprio-sulla-protezione-die-minori-task-force-nelle-diocesi-in-aiuto-ai-vescovi-7sNe55isoUV6rewR15GwMI/pagina.html

 

Lotta agli abusi: tre donne “in cattedra” ricevono l’apprezzamento del Papa

Tre donne “in cattedra”: è successo, per la prima volta, all’incontro in Vaticano su “La protezione dei minori della Chiesa”, dove anche tra le vittime la testimonianza che più ha smosso i cuori è stata quella di una donna abusata da un sacerdote della sua parrocchia. Lo “stile femminile” comincia a fare breccia anche in una Chiesa dove spesso trova poco spazio. E Papa Francesco è il primo a tributargli omaggio

Il primo summit della Chiesa per l’azione di contrasto alla pedofilia non si è ancora concluso, ma sicuramente un risultato l’ha già raggiunto. Ha messo “in cattedra” le donne, non più da comparse ma da protagoniste: con il loro stile, inconfondibilmente diverso da quello dei loro colleghi maschi, se solo si dà loro l’occasione di declinarlo, magari davanti ad una platea d’eccezione. È un coro unanime, quello che si leva dalla terza giornata di lavori: delle nove relazioni ascoltate, quelle femminili sono state molto apprezzate, in primo luogo dai 190 partecipanti – come ha riferito padre Federico Lombardi nel briefing odierno – e poi dai giornalisti, che hanno tributato un omaggio sincero e commosso, con un applauso prolungato in sala stampa, a colei che poco prima li aveva rappresentati – tutti, donne e uomini – con esemplare dignità. E il momento più intenso della “tre giorni” che si conclude domani si è registrato ieri sera, quando cardinali, vescovi, sacerdoti, religiosi hanno ascoltato la testimonianza di una donna europea che ha raccontato la sua storia prolungata di abusi perpetrati su di lei, undicenne, per oltre cinque anni da un sacerdote della sua parrocchia.

Tre donne: una sottosegretaria di un dicastero Vaticano, una religiosa africana e una vaticanista di lungo corso al seguito di cinque Papi in 150 viaggi. Tre storie certamente diverse, ma a loro modo straordinarie. Ed il primo a riconoscerne la portata è stato proprio il Papa, nel suo unico intervento a braccio, subito dopo la prima delle tre relazioni al femminile: quella di Linda Ghisoni, che conteneva, con creatività, molte di quelle “azioni concrete” chieste da Bergoglio fin dall’inizio del summit in Vaticano.

 Poi è stata la volta della suora nigeriana, Veronica Openibo, che è entrata subito in argomento definendo “inquietante” la “scandalosa negligenza” mostrata troppe volte dalla Chiesa nella crisi degli abusi. Il suo, però – e questo è un tratto tipicamente femminile – non è stato un puntare il dito tirandosi fuori dalla mischia, o tantomeno ergendosi a moralizzatrice di un sistema a dominanza maschile, ma un centrare subito il bersaglio per esortare a togliersi le maschere e a pensare a soluzioni costruttive a fianco delle vittime, a partire dall’ascolto e dall’empatia con la loro condizione. “La tempesta non si è placata”, “non passerà”, e non possiamo stare tranquilli solo per evitare di sbagliare. “Non dire nulla è un errore terribile”.

E l’elenco non si ferma, dagli abusi suor Veronica passa alla necessità di fermare la tratta, di garantire “un’educazione chiara ed equilibrata sulla sessualità” nei seminari, e arriva fino all’urgenza di interrogarsi sull’esistenza di seminari minori. Lo sguardo della donna, come ci insegna Giovanni Paolo II nella Mulieris Dignitatem, è uno sguardo capace di puntare all’interezza dell’umano: è sempre a 360 gradi, non è mai settoriale o a compartimenti stagni, tende per sua natura ad uscire fuori dai ghetti e dai pregiudizi.

Come lo sguardo di Valentina Alazraki, che ha ripercorso i suoi 45 anni di professione rivendicando il suo ruolo di “rappresentante dei giornalisti, ma anche delle madri, delle famiglie, della società civile”. “Chi è il figlio più debole, più vulnerabile? Il sacerdote che ha abusato, il vescovo che ha abusato e coperto, o la vittima?”, la domanda stringente che parte da una concezione della maternità come cifra del femminile: non però in senso astratto, disincarnato o idealizzato, ma ancora una volta concreto, di quella squisita concretezza che ha il sapore del Vangelo. “Siete nemici di quanti commettono abusi o li coprono tanto quanto lo siamo noi? Noi abbiamo scelto da che parte stare. Voi lo avete fatto davvero, o solo a parole”.

Le conseguenze di questa presa di posizione non sono difficili da prevedere: “Se siete contro quanti commettono abusi o li coprono, allora stiamo dalla stessa parte. Possiamo essere alleati, non nemici. Ma se voi non vi decidete in modo radicale di stare dalla parte dei bambini, delle mamme, delle famiglie, della società civile, avete ragione ad aver paura di noi, perché noi giornalisti saremo i vostri peggiori nemici”. E ancora: “Gli abusi contro i minori non sono pettegolezzi né chiacchiere, sono crimini. Noi giornalisti non siamo né quelli che abusano né quelli che coprono”.

Non gioca in difesa, Valentina, gioca in attacco, e lo fa per difendere e restituire pregnanza a tutta la categoria dei giornalisti, uomini e donne insieme: perché la causa delle donne, se correttamente intesa al di là delle sterili rivendicazioni, non è mai divisiva, ma sempre inclusiva, all’insegna della “reciprocità”. Parola che, nella comunità ecclesiale, è ancora troppo volte sostituita dalla ben riduttiva “complementarità” tra uomini e donne.

Il primo goal che la Chiesa dovrebbe segnare, sostiene Alazraki da tifosa, è investire sull’informazione, giocando d’anticipo, dando per prima le notizie, anche quando sono scomode e vergognose come nel caso della pedofilia. La segretezza è legata all’abuso di potere, e oggi c’è ancora “molta resistenza a riconoscere che il problema degli abusi esiste e che occorre affrontarlo con tutti gli strumenti possibili”.

Per capire la portata di quello che è lo sguardo delle donne potremmo imparare, oltre che dalla “parresia” di Veronica e Linda, anche dal coraggio di suor Veronica, che chiamando il Papa “Fratel Francesco” lo ha ringraziato “per essersi preso del tempo per discernere e per essere abbastanza umile da cambiare idea, chiedere scusa e agire”, nel caso dei vescovi cileni. Le donne non puntano il dito. Hanno l’energia per cambiare le cose trasformando anche i momenti di crisi in opportunità. “Un esempio per tutti noi”: così la religiosa nigeriana ha definito Bergoglio. Lo sarà anche per tutti i suoi confratelli?

M. Michela Nicolais                Agenzia SIR    22 febbraio 2019

https://agensir.it/chiesa/2019/02/23/lotta-agli-abusi-tre-donne-in-cattedra

 

Le parole del Papa sulla donna, la teologa Perroni: “Svolta storica. Il clero si apra al mondo”

Marinella Perroni è biblista, fondatrice del Coordinamento Teologhe italiane.

Professoressa, il Papa ha detto che «tutti noi abbiamo parlato sulla Chiesa», ma ascoltando una donna, Linda Ghisoni, «ho sentito la Chiesa parlare di se stessa»: che cosa ne pensa?

«È molto bello che il Pontefice faccia capire che il rischio del linguaggio del clero è parlare “sulle cose”, anche “sulla Chiesa”. Le donne invece hanno imparato a parlare partendo da sé, dalla loro realtà, non in senso narcisistico, ma realistico».

È stato così importante che una donna abbia parlato al summit sugli abusi?

«Sì. Molte lo avevano richiesto e ci speravano. E sarà ancora più bello quando le donne in contesti ecclesiastici come questo non dovranno essere “invitate speciali”: dovrebbe essere un diritto la loro presenza, non conseguenza di un invito, una “concessione”. Non dovrà più fare notizia».

Ma il femminismo è un «machismo con la gonna»?

«Io credo che ci voglia ancora uno sforzo degli uomini di Chiesa per non equiparare il femminismo al machismo. Bisogna fare attenzione a evitare l’ideologia della sostituzione. Forse su questo ascoltare di più tante donne sarebbe utile e opportuno».

Bergoglio ha detto che bisogna integrare la donna «come figura della Chiesa nel nostro pensiero»: quali cambiamenti potrà portare questa affermazione?

«Se finora solo la maschilità ha fatto da modello per la Chiesa, l’idea che possa diventare figura della Chiesa anche la realtà delle donne mi sembra una prospettiva di ampio respiro, tutta da approfondire e rilanciare. E potrà essere una svolta».

E pensare la Chiesa «con le categorie di una donna»?

«Suppone la capacità di ripensare e far ripensare la Chiesa alle donne, attraverso le loro categorie, che sono molto più ricche e differenziate di quanto fin qui è stato percepito. Le donne sono madri, ma non solo madri, sono capaci di esprimere relazione e amore in molti modi. È l’altra componente della possibile svolta».

Che cosa non l’ha convinta delle parole del Papa di ieri sera?

«Quando nella Chiesa si comincerà a parlare non “della donna”, ma “delle donne”, significherà che quanto il Pontefice stesso chiede, cioè di pensare con categorie femminili, potrà diventare una dinamica piena di frutti positivi per tutti».

Ci spiega il motivo?

 «Perché parlare “della donna” è un’astrazione, mentre parlare “delle donne” vuol dire riconoscere le singole specificità concrete, che sono la realtà della vita e fanno la differenza».

Il tema dei ruoli: sono sempre poche le donne ai posti chiave nella Chiesa. È un limite?

«Su questo ha perfettamente ragione il Papa: non è che tutto si risolve con una nomina, che diventa solo lo specchietto per le allodole. Il problema della Chiesa è sistemico a livello di partecipazione. Il Concilio Vaticano II ha cominciato a far capire che c’era una questione da affrontare rispetto al ruolo dei laici, ma sulle donne non è che avesse particolari prospettive, e i prelati se ne rendevano conto. Immediatamente dopo, però, a quella dei laici si è andata a sommare la questione delle donne, delle religiose. Questa ebollizione che c’è da decenni è stata sempre un po’ silenziata».

Da questo punto di vista come descrive il pontificato di Bergoglio?

«Il magistero di Francesco sulle donne è attivo e attento, il Papa certamente ha toccato vari punti in diverse occasioni: per esempio, uno su tutti, quello dell’ingiustizia sul piano retributivo per il lavoro delle donne».

Che cosa consiglia al Pontefice?

«Io farei un Sinodo sui battezzati maschi e femmine. Aprirei la questione dei maschi, perché o i maschi accettano di essere una parte dell’umanità e allora si capiscono dentro l’umanità come parte di essa, oppure siamo sempre alla pretesa di parlare delle donne, sopportare le donne, aver pazienza che le donne facciano i loro percorsi».

Si parla molto delle riforme di Francesco: che cosa si augura?

«La riforma prima è quella delle coscienze, dei comportamenti. Ci aggiungerei una riforma del coraggio. Francesco lo dice: una Chiesa che si trincera, fa solo del male; c’è bisogno di stare nel mondo e di capirlo. Anche per ciò che riguarda la realtà “delle donne”».

Domenico Agasso jr                Vatican insider         23 febbraio 2019

www.lastampa.it/2019/02/23/vaticaninsider/le-parole-del-papa-sulla-donna-la-teologa-perroni-una-svolta-storicail-clero-si-apra-al-mondo-VjxciHlvBtM5O2K0XXHlZK/pagina.html

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ADDEBITO

Tradimento successivo alla crisi matrimoniale? Non incide sull’addebito

Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, ordinanza n. 1715, 23 gennaio 2019

www.quotidianogiuridico.it/~/media/Giuridico/2019/01/30/l-infedelta-non-determina-addebito-della-separazione-se-la-crisi-coniugale-e-gia-in-atto/1715%20pdf.pdf

Nel procedimento per separazione personale dei coniugi, il Tribunale di Sassari disponeva l’affidamento esclusivo del figlio della coppia alla moglie, ponendo a carico del marito un assegno mensile di 200 euro per il mantenimento della moglie, e di 300 euro per il mantenimento del figlio. Il Tribunale respingeva invece la domanda di addebito nei confronti della moglie per violazione del dovere di fedeltà coniugale.

            L’uomo impugna la sentenza e la Corte d’appello di Cagliari riforma il provvedimento soltanto in relazione all’affido esclusivo del figlio alla madre, ritenendo che i rapporti conflittuali tra i coniugi, oltre a non essere ostativi alla condivisione dell’affidamento, non abbiano intaccato la volontà del figlio di mantenere rapporti significativi con il padre.

            La Corte conferma invece la decisione circa l’addebito, ritenendo inesistente il nesso causale tra la separazione e la relazione extraconiugale della moglie intercorsa quando già il legame affettivo e la convivenza fra i coniugi erano entrati irreversibilmente in crisi.

            Conseguentemente conferma in favore di quest’ultima il contributo a titolo di mantenimento in considerazione dell’inesistenza di altri redditi da parte della beneficiaria.

            In Cassazione il marito denuncia la mancata ammissione della prova testimoniale dedotta in primo grado che avrebbe dimostrato la vera causa della crisi coniugale e la sua addebitabilità alla moglie.

            Inoltre il ricorrente contesta la rilevanza probatoria attribuita alle dichiarazioni da lui rese ai Servizi sociali e riversate in una relazione degli stessi Servizi, acquisita da un procedimento penale svolto a suo carico.

            Le pronunce del Tribunale e della Corte si sarebbero fondate solo su quelle dichiarazioni, con le quali si faceva riferimento a una precedente grave crisi del rapporto intercorsa nel 2007, che aveva indotto i coniugi a pensare di separarsi decidendo poi di continuare la loro convivenza se pure in un clima di persistente tensione.

            La moglie si difende nel giudizio di Cassazione con controricorso incidentale deducendo l’errata scelta di affidare congiuntamente il figlio a entrambi i genitori, nonostante il comportamento del padre che aveva omesso per lunghi periodi di corrispondere qualsiasi contributo al mantenimento del figlio e aveva esercitato in maniera discontinua e inadeguata il suo diritto di visita.

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza ha dichiarato entrambi i ricorsi inammissibili. Quanto al ricorso principale, in quanto si ripropone sostanzialmente una richiesta di prova testimoniale non ammessa dalla Corte di appello, perché non riproposta all’udienza di precisazione delle conclusioni e ritenuta irrilevante perché intesa a provare una relazione extra coniugale della moglie precedente alla rottura del rapporto.

            Sarebbe stata necessaria una prova volta a smentire le dichiarazioni dello stesso ricorrente circa la crisi che, già dal 2007, aveva costretto i coniugi a discutere della separazione.

            Correttamente la Corte territoriale, secondo la Cassazione, ha ritenuto che la crisi del matrimonio sia piuttosto da addebitare a un’incompatibilità caratteriale dei coniugi che nel tempo ha reso irreversibile la rottura del rapporto.

            Tale valutazione di merito, che non è sindacabile nel giudizio di legittimità, è comunque coerente con la giurisprudenza di legittimità, secondo cui la preesistenza di una crisi già irrimediabilmente in atto rende irrilevante la successiva violazione dell’obbligo di fedeltà coniugale ai fini della dichiarazione di addebito della separazione (cfr. Cass. Civ. n. 16859/2015). Anche il ricorso incidentale della moglie è stato dichiarato inammissibile.

Circa l’affidamento condiviso del figlio dei coniugi, sulla base delle osservazioni compiute dai Servizi sociali, la Corte di Cagliari ha accertato che l’affido condiviso corrisponde maggiormente all’esigenza del figlio di intrattenere una relazione significativa e paritaria con entrambi i genitori.

            Il comportamento inadempiente agli obblighi di mantenimento da parte del padre e la contestazione della madre sulle modalità di esercizio del diritto di visita, non sono stati ritenuti elementi rilevanti e decisivi ai fini della modifica del regime di affidamento, nell’interesse del minore.

            E’ stata in definitiva correttamente applicata la regola secondo cui all’affidamento condiviso dei figli può derogarsi solo se la sua applicazione risulta “pregiudizievole per l’interesse del minore”. La conflittualità fra i coniugi non può essere, di per sé, causa di esclusione dell’affidamento condiviso.

Nella giurisprudenza di legittimità è, infatti, costante l’orientamento secondo cui l’affidamento condiviso dei figli minori a entrambi i genitori (che non esclude che essi siano collocati presso uno di essi con previsione di uno specifico regime di visita con l’altro) rappresenta il regime ordinario di affidamento che non è impedito dall’esistenza di una conflittualità tra i coniugi, che spesso caratterizza i procedimenti di separazione. Si può derogare alla regola solo se tale regime sia pregiudizievole per l’interesse dei figli, e per il loro equilibrio e sviluppo psico-fisico.

            In queste situazioni la pronuncia di affidamento esclusivo deve essere puntualmente motivata non solo riguardo al danno potenzialmente arrecato ai figli, ma anche alla capacità del genitore affidatario e all’inidoneità educativa o sulla manifesta carenza dell’altro genitore (Cfr. Cass. Civ. n. 1777/2012 e Cass. Civ. n. 27/2017)

Giuseppina Vassallo  Altalex            20 febbraio 2019

www.altalex.com/documents/news/2019/02/04/tradimento-successivo-alla-crisi-matrimoniale-non-incide-sull-addebito

 

Cassazione: niente addebito separazione se la moglie non vuole rapporti intimi

Corte di cassazione, prima Sezione civile, ordinanza n. 4653, 15 febbraio 2019

www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_33650_1.pdf

Non si può addebitare la separazione alla moglie che rifiuta di avere rapporti intimi con il marito se è lui a creare un’atmosfera di tensione. L’ordinanza della Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un marito che, già in sede di appello, si era visto rigettare la domanda di addebito avanzata nei confronti della moglie. Secondo gli Ermellini il giudice di merito ha correttamente valutato i fatti di causa nel momento in cui ha respinto la richiesta d’addebito. Non si può addebitare la separazione alla moglie che, per una malattia alla vescica, ma soprattutto a causa dei comportamenti del marito, si rifiuta di avere rapporti intimi. Nel momento in cui il marito non presta assistenza morale alla moglie e crea un’atmosfera piena di tensione, non può pensare che questo possa favorire una normale vita di coppia.

In prima istanza il tribunale rigetta la domanda di addebito di un marito nei confronti della moglie, respinge la richiesta di assegnazione della casa coniugale e dispone in favore della donna un assegno di mantenimento di 700,00 euro. Il marito ricorre in appello, ma anche in questa sede vede rigettarsi la richiesta di addebito della separazione alla moglie. Il soccombente a questo punto ricorre in Cassazione. A suo giudizio la Corte ha commesso, nel valutare i fatti, alcuni “errori di percezione”.

La Corte di legittimità dichiara inammissibile il ricorso avanzato. Il ricorrente erra nel momento in cui ritiene che la corte d’appello abbia omesso di esaminare un fatto decisivo ai fini del decidere. Il fatto storico rilevante nella causa infatti è stato preso in considerazione dal giudice. La Corte nel momento in cui è stata chiamata a pronunciarsi sulla richiesta di addebito della separazione alla moglie, ha ritenuto che l’allontanamento della stessa dalla casa coniugale dipendesse da due ragioni:

  • la malattia alla vescica che l’aveva colpita;
  • l’atmosfera opprimente e di tensione che si era creata in casa, a causa dei comportamenti del marito.

La Corte ha quindi valutato correttamente i fatti di causa. Nel momento in cui in casa regna un’atmosfera negativa, è normale che ci sia un allontanamento tra i coniugi. La tensione e il nervosismo non possono agevolare i rapporti di coppia.

Annamaria Villafrate              Studio Cataldi          24 febbraio 2019

www.studiocataldi.it/articoli/33650-separazione-niente-addebito-se-la-moglie-non-vuole-rapporti-intimi.asp

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ADOZIONI

Tra Tribunali e comunità. Adozioni, sempre meno al Sud

Rimane lungo l’elenco dei ‘minori adottabili’ nei tribunali del Mezzogiorno. Ora il progetto ‘Donare futuro’ sostenuto da una cordata di associazioni punta a colmare il divario. Servizi sociali senza risorse, mancanza di reti d’accoglienza, associazionismo da rilanciare: ecco le cause di un problema che non si può più eludere Il presidente del Tavolo nazionale affido, Marco Giordano: siamo partiti in otto Regioni ma finora solo Lazio e Campania hanno avviato prassi concrete per sostenere i servizi alle famiglie fragili

La maggior parte dei minori adottabili ma non adottati e che quindi si trovano ancora parcheggiati in comunità e in case famiglia, in attesa di una mamma e di un papà a ‘tempo pieno’, vive al Centrosud. Il quadro emerge dall’ultima elaborazione del ministero della Giustizia con i dati forniti dai 29 Tribunali per i minorenni. Fragilità dei Servizi territoriali, impossibilità da parte dell’associazionismo di incidere in modo determinante, scarse risorse dei tribunali stessi ma anche, ridotte disponibilità all’adozione da parte delle famiglie, contribuiscono a tracciare ancora una volta il profilo di un Paese a due velocità.

            Se a Milano – secondo gli ultimi dati forniti dal ministero della Giustizia – c’è un solo minore dichiarato adottabile in attesa di una famiglia, a Firenze 3, a Brescia 5, a Bolzano 1, a Trento 4 e Genova addirittura nessuno, le cifre del Centrosud appaiono decisamente più preoccupanti. I minori sono 59 a Catania e a Napoli, 21 a Cagliari, 27 all’Aquila, 32 a Palermo, 34 a Roma. Certo, esistono anche al Sud isole felici come Taranto (3) e Salerno (1), mentre al Nord ci sono casi come Torino (20 minori in attesa) e Bologna (37) che sembrerebbero rimescolare le carte. Ma si tratta di eccezioni che confermano la regola. In totale nel nostro Paese sono 424 i minori in attesa di famiglia.

            Ogni anno sono circa un migliaio i piccoli abbandonati alla nascita, quasi dieci volte tanto le famiglie in attesa. Per la maggior parte i tribunali competenti provvedono a rilasciare in pochi giorni il decreto di adottabilità. Ma esistono situazioni più complesse, legate per esempio all’esistenza di patologie psicofisiche, sono i cosiddetti bambini special needs (con bisogni speciali), per i quali l’adozione non è così immediata. Ma può essere che al Nord questi piccoli riescano comunque a trovare una famiglia disponibile all’adozione e al Centrosud esistano tante difficoltà? Sarebbe ingiusto inventare una classifica geografica della generosità perché il dato nasce evidentemente da una complessità di cause che investono innanzi tutto la diversa efficienza dei servizi sociali, la possibilità di intervento delle amministrazioni, l’esistenza di reti di volontariato sul territorio in grado di supportare l’impegno degli enti. L’aspetto drammatico è che questo divario è noto da tempo.

            Di anno in anno i dati si modificano per poche unità, ma restano più o meno costanti. «Consapevoli di questa situazione – racconta Marco Giordano, presidente del Tavolo nazionale Affido – una cordata di una dozzina di sigle nazionali (Forum delle associazioni familiari, Cnca, Cncm, Associazione Giovanni XXIII, Anfaa, Cismai, Progetto Famiglia, ecc), ha dato vita quattro anni fa a ‘Donare futuro’, una campagna per la tutela del diritto dei bambini ad avere una famiglia».

            Obiettivo quello appunto di colmare un divario tra le diverse opportunità offerte ai ‘bambini adottabili’ tra Nord e Sud. Il progetto è partito con un esame approfondito degli indicatori ministeriali. Che hanno confermato, con il linguaggio inequivocabile dei numeri, ciò che era già noto per esperienza diretta. Le regioni più fragili erano e rimangono le otto del Centro-Sud, dal Lazio in giù, con una precarietà dei servizi di tutela alla famiglia – già mediocre in Italia rispetto al resto d’Europa – che diminuisce man mano che si scende verso il Meridione.

            Il dato più preoccupante è il rapporto tra numero di minori inseriti in affido e minori inserito in comunità. «Perché questo dato è indicativo? Perché l’esistenza di una comunità – riprende Giordano – non è merito di un servizio territoriale che ha organizzato e coordinato l’intervento. E in ogni caso la comunità, quando esiste ed è magari anche efficiente, è comunque risposta tardiva a un problema che non si è saputo prevedere». Sulla base di questi dati è stato tracciato un programma in cinque punti che è stato accettato dalle Regioni, in cui si punta a migliorare i servizi di tutela alla famiglia fragile, con particolare riguardo a tutto quanto ruota intorno all’adozione e all’affido.

            Purtroppo, quatto anni dopo, solo Lazio e Campania hanno fatto qualcosa. «Potrebbe sembrare un dato sconfortante ma – osserva ancora il presidente del Tavolo nazionale affido – il solo fatto di aver posto la questione e di aver raccolto il consenso delle Regioni rimane un punto di non ritorno». Perché in questi anni le manovre di incontro e di proposta per arrivare a fare passi in avanti non si sono mai interrotte. «Abbiamo costruito otto segreterie regionali che (sette perché in Basilicata non siamo riusciti ad attivare quasi nulla) che – riprende Giordano – sono incaricate di tenere i raccordi con le istituzioni. Qualche risultato è stato fatto, anche se l’unica Regione in cui qualcosa sta funzionando è il Lazio, dove è partito un corso intensivo rivolto a 100 operatori dei Servizi territoriali su come far partire e seguire l’affido familiare. Metà delle regioni si è attivata sull’aspetto dei tavoli, altre li hanno istituiti e poi mai convocati».

            Altra cosa positiva sta avvenendo in Campania e riguarda proprio l’adozione dei bambini con disabilità o con problematiche particolari. La Regione si è attivata con una delibera specifica che dovrebbe arrivare a giorni e istituisce un percorso sperimentale che mette insieme le associazioni specifiche e dice in sintesi: siete autorizzate a interagire con i servizi territoriali e con i tribunali per i minorenni affinché laddove ci sono bambini dichiarati adottabili ma non adottati da almeno sei mesi, si possano tentare strade più dirette per cercare famiglie disponibili, comprese le reti familiari, le associazioni, ma anche verificando le opportunità offerte da altri bacini. «Con questo primo atto – ricorda l’esperto – le associazioni potranno contare anche su risorse economiche per realizzare supporti specialistici di accompagnamento per questi bambini».

            Non saranno aiuti a pioggia ma interventi mirati alle famiglie accoglienti o alle reti familiari perché questi piccoli hanno tutta una serie di carichi di cura che difficilmente due genitori da soli potrebbero sostenere. «Se guardiamo la strada percorsa – conclude Marco Giordano – c’è tanto di positivo per quanto riguarda la progettualità delle associazioni, mentre per quanto riguarda le risposte concrete siamo solo all’inizio. Ma oggi in alcune realtà è già positivo mettere in evidenze le urgenze e ottenere il consenso delle istituzioni. E noi non ci arrendiamo».

Luciano Moia Avvenire 20 febbraio 2019

www.avvenire.it/attualita/pagine/adozioni-sempre-meno-al-sud

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ADOZIONI INTERNAZIONALIE

Repubblica Democratica del Congo: ripartono ma, al momento, solo per la Francia.

Nel 2018 ben 28 bambini congolesi sono stati adottati da famiglie francesi. Così dopo il blocco nel Paese africano ripartono le adozioni internazionali ma solo per la Francia. 28 adozioni che lo scorso anno hanno fatto dell’RDC l’ottavo Paese di provenienza di minori adottati in Francia, pari al 4,6% delle adozioni complessive realizzate.

            Due gli enti autorizzati interessati: Chemin Vers L’enfant con 8 bambini adottati e Vivre en Familie con 10. I restanti 10 bambini sono stati adottati attraverso procedure individuali non intermediate da enti, di cui due sono casi di adozione intrafamiliare.

            Il 69% dei minori adottati rientra nella categoria fratrie e il 96% ha più di 5 anni. Nel dettaglio 2 dei 28 bambini adottati hanno dai 3-5 anni, 20 rientrano nella fascia d’età 6-10 anni, 2 hanno più di 11 anni e 4 hanno dai 15 anni in su.

            Dopo la vicenda della moratoria sulle adozioni internazionali decisa dalla Repubblica Democratica del Congo il 25 settembre 2013 – quando, si ricorderà, centotrenta famiglie italiane rimasero lontani da quelli che erano già i loro figli fino al giugno 2016 – la Francia ha ripreso le procedure adottive nel paese africano.

            A luglio 2016 è, infatti, entrata in vigore nella Repubblica Democratica del Congo un’importante legge di modifica del Codice della Famiglia del 1987 che interessa anche le procedure di adozioni internazionali.

            In particolare la nuova normativa pone due precise condizioni per l’attuazione delle adozioni internazionali: l’adesione della RDC alla convenzione de L’Aja (in tal caso potranno adottare nel Paese africano tutti gli Stati aderenti alla Convenzione) oppure un accordo specifico con un Paese (quindi potranno adottare solo i Paesi firmatari di un accordo bilaterale).

            Nulla ostacola, dunque, anche l’Italia. In più occasioni gli enti autorizzati italiani hanno sollecitato la Commissione per le Adozioni Internazionali per l’avvio di un percorso diplomatico con la RDC che porti alla firma di un accordo bilaterale e alla ripresa della adozioni internazionali in un Paese, ove, a dette delle autorità locali preposte alla tutela dell’infanzia, i minori abbandonati sarebbero più di 8 milioni.

            Ma la Francia la spunta sull’Italia e in un anno realizza 28 adozioni.

News Ai. Bi.    18 febbraio 2019

www.aibi.it/ita/adozioni-congo-italia-francia/

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ASSEGNO DIVORZILE

Divorzio: la Cassazione “riabilita” il tenore di vita

Corte di cassazione, prima Sezione civile, ordinanza n. 4523, 14 febbraio 2019

www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_33584_1.pdf

La Suprema Corte “riabilita” una decisione ispiratasi al criterio del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, poiché giunge a conclusioni conformi alle recenti linee guida tracciate dalle Sezioni Unite.

Con l’ordinanza n. 4523/2019 la Corte di Cassazione ha eccezionalmente “riabilitato” una decisione del giudice a quo [il soggetto a partire dal quale inizia qualcosa] che, nel confermare l’assegno divorzile in favore dell’ex moglie, aveva deciso in base al criterio, non più attuale, del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.

            La motivazione di una simile riabilitazione si rintraccia nella circostanza che il giudice a quo ha seguito un percorso argomentativo “bilanciato”, guardando con prudenza al criterio del tenore di vita ed evitandone ogni forzatura, decidendo in sintonia con quanto stabilito dalla recente sentenza delle Sezioni Unite in materia (n. 18287/11 luglio 2018) che hanno rivendicato la natura composita del giudizio di accertamento del diritto alla percezione dell’assegno.

www.altalex.com/documents/altalex/massimario/cassazione-civile/2018/18287/matrimonio-e-divorzio-divorzio-assegno-di-divorzio

            La Corte d’appello aveva provveduto a liquidare l’assegno divorzile in favore della signora confermando, come già il primo giudice, anche nella determinazione del quantum, l’assunto che non potesse dubitarsi del diritto in capo alla donna a godere dell’assegno, essendo processualmente certo che la stessa non gode di alcun reddito e “ancor meno gode di un reddito adeguato a tenore di vita (molto elevato in ragione delle potenzialità economiche del coniuge) tenuto durante il matrimonio”.

            Nel dettaglio, i giudici avevano messo in luce le condizioni personali della resistente, prossima a compiere i 60 anni di età, disoccupata, priva di fonti di reddito alternative e con remote possibilità di inserirsi nel mondo del lavoro. Una conclusione che, in Cassazione, viene contestata dall’ex marito in quanto la Corte territoriale, nel confermare l’entità dell’assegno, si sarebbe appellata a un criterio smentito dalla recente sentenza n. 11504/10 maggio 2017.

www.ilsole24ore.com/pdf2010/Editrice/ILSOLE24ORE/ILSOLE24ORE/Online/_Oggetti_Embedded/Documenti/2017/05/11/11504.pdf

Questa, sostiene il ricorrente, avrebbe abbandonato il parametro del pregresso tenore di vita goduto dai coniugi in costanza di matrimonio per adottare quale “nuovo e differente parametro” quello impostato sul “raggiungimento dell’indipendenza economica del richiedente”, cui rapportare il giudizio sull’adeguatezza/inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge richiedente l’assegno di divorzio e sulla possibilità/impossibilità per ragioni oggettive dello stesso dli procurarseli.

Il nuovo orientamento inaugurato dalle Sezioni Unite. Secondo gli Ermellini, tuttavia, nonostante l’indirizzo interpretativo seguito dalla Corte d’Appello appaia superato, gli esiti a cui è pervenuto il decidente del grado appaiono coerenti e in linea con il più recente pensiero espresso dalle Sezioni Unite della Cassazione nella sentenza n. 18287/11 luglio 2018.

Il Supremo Consesso, rivisitando funditus [del tutto] la questione proprio a seguito dell’ampio clamore destato dalla sentenza n. 11504/10 maggio 2017, pur senza disperdere la fecondità culturale del nuovo approccio, ha ritenuto di dover abbandonare la rigida distinzione tra criteri attributivi e determinativi dell’assegno di divorzio, alla luce di un’interpretazione dell’art. 5, comma 6, L. n. 898/11 dicembre 1970 (nel testo novellato dall’art. 10 della L. n. 74/4 ottobre 1987), più coerente con il quadro costituzionale di riferimento costituito dagli artt. 2, 3 e 29 della Costituzione.

www.esteri.it/mae/normative/normativa_consolare/serviziconsolari/stato_civile/1970_legge_1.12.n%20898-disciplina_dei_casi_di_scioglimento_di_matrim-divorzio.pdf

Constatato che il parametro dell’adeguatezza enunciato dall’art. 5 ha carattere intrinsecamente relativo e che esso impone perciò una valutazione comparativa condotta in armonia con i criteri indicatori che figurano nell’incipit della norma, gli Ermellini hanno ritenuto che “la funzione assistenziale dell’assegno di divorzio si compone di un contenuto perequativo-compensativo che discende direttamente dalla declinazione costituzionale del principio di solidarietà”.

            Ciò “conduce al riconoscimento di un contributo che, partendo dalla comparazione delle condizioni economico-patrimoniali dei due coniugi, deve tener conto non soltanto del raggiungimento di un grado di autonomia economica tale da garantire l’autosufficienza, secondo un parametro astratto ma, in concreto, di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali ed economiche eventualmente sacrificate, in considerazione della durata del matrimonio e dell’età del richiedente“.

            Si è affermato, dunque, che il parametro sulla base del quale deve essere fondato l’accertamento del diritto alla percezione dell’assegno “ha natura composita, dovendo l’inadeguatezza dei mezzi o l’incapacità di procurarli per ragioni oggettive essere desunta dalla valutazione, del tutto equiordinata degli indicatori contenuti nella prima parte dell’art. 5, comma 6, in quanto rivelatori della declinazione del principio di solidarietà”.

Tenore di vita “riabilitato” se la decisione è coerente con i principi delle SS.UU. Tanto premesso, nel caso di specie, il Collegio ritiene che la Corte d’Appello, pur avendo orientato l’asse della propria decisione sul criterio del tenore di vita goduto dalla ex in costanza di matrimonio, abbia tuttavia proceduto nella direzione tracciata dalle Sezioni Unite, seguendo un percorso argomentativo che guarda con prudenza al criterio del tenore di vita e volutamente ne evita ogni forzatura, non a caso annotando che “esso concorre e va poi bilanciato, caso per caso, con tutti gli altri criteri indicati nel denunciato art. 5″.

            Nello stesso tempo, il giudice a quo non si è astenuto dal valorizzare i fattori che nel caso concreto sfavoriscono la signora rendendola il coniuge economicamente più debole nel rapporto con il marito. In conclusione, la Corte d’Appello non sembra perciò rifuggire da un’attenta ponderazione dei valori che la tematica dell’assegno divorzile, nei profili afferenti segnatamente al riconoscimento del diritto, mette in gioco secondo l’innovativa lettura delle SS.UU.

            Ancorché lo scenario ideale del suo ragionamento non sia più attuale, spiega la Cassazione, il giudizio che essa declina nel caso concreto si mostra in singolare sintonia con la “natura composita” che le SS.UU. hanno inteso rivendicare quale prius qualificante al parametro sulla base del quale procedere al riconoscimento del diritto.

            Anzi, laddove nell’accertamento del diritto della ex opera la diretta saldatura del criterio dell’adeguatezza agli altri indicatori, enunciati dalla norma, ne ricalca le linee, sia pur inconsapevolmente, assecondando una chiave di lettura dell’istituto non incoerente con quella delle SS.UU. e perciò non suscettibile della pretesa cassazione.

Lucia Izzo      studio Cataldi 18 febbraio 2019

www.studiocataldi.it/articoli/33584-divorzio-la-cassazione-riabilita-il-tenore-di-vita.asp

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CENTRO INTERNAZIONALE STUDI FAMIGLIA

Newsletter CISF – N. 7, 20 febbraio 2019

Like a bridge over troubled water. Nelle voci di Simon e Garnfunkel, questa canzone del 1970 conserva intatta tutta la sua carica emotiva. In questo video sono presenti preziosi sottotitoli in italiano. Quattro minuti che vale la pena di dedicare ad una pausa di bellezza, che può aiutarci a ricordare quando, a ciascuno di noi, è capitato di avere vicino qualcuno che, nei nostri momenti difficili, è diventato “come un ponte sopra acque tumultuose”, aiutandoci ad attraversarle. E magari anche qualche circostanza in cui siamo stati noi stessi ad essere, per qualcun altro, “like a bridge over troubled water”:                                             www.youtube.com/watch?v=OD8PdSOl5Rg

Migranti-UE. L’integrazione degli studenti con percorsi migratori nelle scuole europee: politiche e interventi a livello nazionale (Integrating Students from Migrant Backgrounds into Schools in Europe: National Policies and Measures). Report comparativo europeo di grande interesse, ricco di dati, tabelle e informazioni sui singoli Paesi, su uno dei temi centrali per poter costruire processi organici ed equilibrati di regolazione e di integrazione dei flussi migratori, al di là di ogni approccio ideologico. L’integrazione scolastica è infatti un potente strumento (non solo per i minori, ma spesso anche per le loro famiglie) per superare le difficoltà di processi che vanno governati, analiticamente, senza ipotizzare facili scorciatoie automatiche, ma anche senza costruire inutili e controproducenti muri.

https://eacea.ec.europa.eu/national-policies/eurydice/sites/eurydice/files/integrating_students_from_migrant_backgrounds_into_schools_in_europe_national_policies_and_measures.pdf

Migranti-USA. E’ etico piegare le regole a favore di pazienti migranti senza documenti o in altre situazioni (irregolari)? (Is It Ethical to Bend the Rules for Undocumented and Other Immigrant Patients?). Breve ma molto interessante riflessione di Nancy Berlinger sugli aspetti etici connessi alla presenza di regole restrittive in tema di immigrazione, che molti operatori “interpretano” o apertamente violano, per garantire l’accesso alle cure, “nelle pieghe della legge” (dal Journal of Ethics dell’AMA (American Medical Association)

https://journalofethics.ama-assn.org/article/it-ethical-bend-rules-undocumented-and-other-immigrant-patients/2019-01

Quota 100 e gli anziani. Vale la pena andare in pensione a 62 anni? Qualche riflessione eterodossa del geriatra Marco Trabucchi, a partire da un approccio che vede l’ultima fase della vita come un periodo di invecchiamento attivo, anziché di “ritiro dalla vita attiva”, per orientare positivamente l’uso del tempo e i progetti di vita, nel caso si decida di andare in pensione a 62 anni, a fronte della la realistica prospettiva di avere davanti altri 20-25 anni di vita, spesso in buone condizioni di salute. Dalla Newsletter della Fondazione Leonardo.                                                              www.fondazioneleonardo.it/adminpage/v6/scheda/id/9331

Manifesto Interreligioso dei Diritti nei Percorsi di Fine Vita. E’ il titolo di un manifesto firmato il 5 febbraio 2019, in nove punti, che definiscono i diritti e chiedono di garantire, oltre alle cure, il rispetto della dignità e il supporto religioso e spirituale per chi si trova nella fase finale della vita in strutture sanitarie. Il manifesto è frutto di particolare sensibilità nei confronti del dialogo interreligioso in ambito sanitario, dialogo spesso difficile e complesso, soprattutto su temi di rilevanza bioetica.

www.quotidianosanita.it/stampa_articolo.php?articolo_id=70669

Dalle case editrici

Confederazione Italiana Consultori Familiari di ispirazione cristiana, Il futuro nelle nostre radici, Atti del XVIII Convegno Nazionale – Roma, 14 aprile 2018, pp. 63 (s.i.p.). Quarant’anni non sono pochi, per qualunque organizzazione, ma se si pensa a quali e quanti cambiamenti, e con quale rapidità, sono intervenuti sia a livello familiare che per l’intera società italiana a partire dal 1978, comprendiamo l’importanza del Convegno intitolato “Il futuro nelle nostre radici”, con cui la Confederazione Italiana Consultori Familiari di ispirazione cristiana ha inteso celebrare il 40o anniversario della sua fondazione, di cui ora vengono pubblicati gli Atti. […] “La cultura diffusa tenta di inquinare addirittura le sorgenti dell’autentica comprensione dell’uomo e della donna[…] L’ascolto attento e competente offerto nei consultori familiari può molto contribuire a riarticolare il discorso familiare e la conversazione tra i coniugi e genitori” (don Edoardo Algeri, Presidente della Confederazione)     newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/attachments/newscisf0719_allegatolibri.pdf

Specializzarsi per la famiglia.

  • Università degli studi di Ferrara. Master a distanza “Tutela, diritti e protezione dei minori”. Il Master tratta tematiche strettamente collegate alla specificità della fase evolutiva del minore, con particolare attenzione alle situazioni di disfunzione familiare e/o di compromissione nella socializzazione con i pari. Il suo aspetto interdisciplinare garantisce allo studente l’acquisizione di competenze e di strumenti di valutazione dei contesti evolutivi e delle relazioni significative che li caratterizzano tali che gli consentiranno di effettuare idonei interventi riparativi, sia di matrice giuridica che terapeutica ed educativa. Gli indirizzi sono quattro: Giuridico – Psicologico – Sociale – Educativo. Iscrizioni entro il 26 marzo 2019.                                                                 www.tutelaminoriunife.it

Save the date

  • Nord: Primo festival italiano dei care leavers, promosso da Agevolando e CNCA in collaborazione con numerose altre realtà del terzo settore (con crediti formativi per assistenti sociali), Trento, 22 febbraio 2019.

www.agevolando.org/wp-content/uploads/2019/01/a3_evento_agevolando_2019interattivo.pdf

  • Nord: La continuità degli affetti nella tutela dei minori, intervento formativo promosso da CIAI (Centro Italiano Aiuti all’Infanzia) e CAM (Centro Ausiliario per i Problemi Minorili), richiesti crediti formativi ECM per psicologi, educatori ed assistenti sociali, Milano, 26 marzo 2019.

www.cam-minori.org/new/prossimo_corso.php

  • Centro: Invecchiamento e fragilità: il ruolo della sanità integrativa, primo appuntamento di una serie di incontri promossa da Mefop SpA (società per lo sviluppo del Mercato dei Fondi Pensione) e dalla School of Management del Politecnico di Milano, Roma, 5 marzo 2019.

www.mefop.it/cms/doc/22062/programma-5-marzo.pdf

  • Sud: L’inserimento In 3 Giorni Al Nido, Intervento Formativo Per Educatori/Operatori Dei Nidi, Promosso Da Percorsi Formativi 0-6, Napoli, 6 Aprile 2019.

Https://Percorsiformativi06.It/Linserimento-In-3-Giorni-Al-Nido-Roma

  • Sud: Da diversamente abili a diversamente felici, workshop all’interno del Progetto “Gli Orti del Mediterraneo”, promosso dall’ Osservatorio Mediterraneo Centro Studi e Formazione Onlus insieme ad altri partner e sostenuto dalla Fondazione Con il Sud, Misterbianco (CT), 24 febbraio 2019.

Www.Esperienzeconilsud.It/Gliortidelmediterraneo/Files/2019/02/Schermata-2019-02-11-Alle-20.18.19.Png

  • Estero: Sensibilisation à la médiation familiale, incontro di formazione sulla mediazione familiare promosso dall’Istituto di Scienze per la Famiglia dell’Università Cattolica di Lione, Lione, 15 marzo 2019.

http://newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/attachments/newscisf0719_allegato3.pdf 

Iscrizione                http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/newsletter-cisf.aspx

Archivio        http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/elenco-newsletter-cisf.aspx

http://newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/febbraio2019/5111/index.html

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CHIESA CATTOLICA

                                              Le donne, il Papa e i movimenti per la vita

Sembra impossibile ma papa Francesco riceve pesanti attacchi da una base tradizionalista che non gli perdona la “eccessiva” misericordia, lo ha sempre definito “comunista” e lo ha accusa di eresia per la politica di pacificazione religiosa anche con i paesi islamici.

Francesco è un papa forse perfino conservatore che sente la responsabilità di vivere nel 2019 e sa come è fatto un mondo in ritardo su trasformazioni evolutive che producono frammentazioni, rotture e ricomposizioni di civiltà. Ciò comporta il dovere di interpretare i suoi interventi, spesso contraddittori, come quando ha esteso la misericordia ai lefevriani che, per quel che ne pensava papa Woytjla, sono sicuramente eretici. Ma forse è un beneficio tattico agli oppositori.

Anche sull’aborto un papa cattolico, anche misericordioso, non potrebbe mai indulgere. E infatti Francesco ha condannato con estremo rigore; tuttavia la dottrina stabiliva che, mentre un omicida può accedere senza riserve al confessionale, una donna che ha abortito deve subire il rinvio a un vescovo. Chi era in Sicilia ai tempi del referendum del 1978 può testimoniare che qualche donna, non essendo sicura che alla confessione seguisse l’assoluzione, per paura della scomunica (che rendeva pubblica la sua condizione di peccatrice) non confessava l’aborto e prendeva la comunione sapendo di commettere anche sacrilegio. Non è più così: Francesco con una “lettera apostolica” ha esteso a tutti i sacerdoti la possibilità di assolvere affinché “nessun ostacolo si interponga tra la richiesta di riconciliazione e il perdono di Dio”. Non sembra lo stesso Bergoglio che aveva usato le parole atroci: “far fuori un essere umano, benché piccolo, per risolvere un problema è come affittare un sicario”.

Ancora più gravi le parole ai delegati del Forum delle Famiglie (che sono un po’ lefevriani) sugli aborti degli embrioni malformati: Il secolo scorso tutto il mondo si è scandalizzato per quello che facevano i nazisti. Oggi facciamo lo stesso ma con i guanti bianchi”.

Eppure, tornando da Panama (28.01.2019), Francesco nella solita conversazione con i giornalisti è tornato sull’aborto, lasciando da parte la dottrina: “Bisogna essere nel confessionale, e lì tu devi dare consolazione… Il problema non è dare il perdono, ma accompagnare una donna che ha preso coscienza di aver abortito. Sono drammi terribili… tante volte devono incontrarsi con il figlio. Io consiglio quando hanno questa angoscia: tuo figlio è in cielo, parla con lui, cantagli la ninna nanna che non hai potuto cantargli”. “Radio Spada”, uno dei luoghi in cui il papa viene irriso, avrà documentato un’altra eresia. Le donne non dimenticano le parole gravi, tanto più che, come tutti i maschi – laici o cattolici senza differenza – non ha mai pensato di condannare l’irresponsabilità del partner nell’atto in cui può contribuire a procreare una vita che la donna, se poi ricorre alla 194\1978, sicuramente non voleva. Tuttavia.

Tuttavia come cittadine sono preoccupate: a fine marzo i movimenti “a difesa della vita” terranno a Verona un Congresso mondiale delle famiglie che affronterà temi riguardanti la sessualità, la salute delle donne, l’educazione sessuale precoce, l’aborto, la formazione e il rafforzamento della famiglia: nel clima di regressione che oggi attenta da ogni parte le conquiste democratiche, in particolare femminili, anche avvalendosi dell’ideologia reazionaria cattolica. Conosciamo già le scelte dell’attuale governo dei Pillon, dei Fontana, dei Bussetti e del ministro dell’Interno Salvini che, con il rosario in mano, ha già prenotato un intervento al World Congress of Families.

Nessun interesse per la libertà femminile nemmeno nel reddito di cittadinanza e nelle pensioni, ma, in nome della difesa della famiglia, la maggioranza pensa di riportarci dentro casa a badare ai bambini, come auspica anche Orban. Il papa certamente manderà un messaggio a difesa della vita. Tuttavia, sempre tornando da Panama, ha già espresso un auspicio in controtendenza. L’urgenza di introdurre l’educazione sessuale nella scuole: “Io penso che nelle scuole bisogna fare educazione sessuale. Il sesso è un dono di Dio, non è un mostro, è il dono di Dio per amare. Che qualcuno lo usi per fare soldi, per sfruttare gli altri, è un problema diverso. Bisogna offrire un’educazione sessuale oggettiva, come è, senza colonizzazioni ideologiche…. Il sesso come dono di Dio deve essere educato… Il problema è nei responsabili dell’educazione, sia a livello nazionale che locale o di ogni unità scolastica: che maestri si trovano per questo, che libri di testo… Io ne ho viste di tutti i colori… Bisogna avere l’educazione sessuale per i bambini. L’ideale è che comincino a casa, con i genitori. Non sempre è possibile, per tante situazioni della famiglia, o perché non sanno come farlo. La scuola supplisce a questo, e deve farlo, altrimenti resta un vuoto che viene riempito da qualsiasi ideologia”. Uno schiaffo alla pedagogia dei movimenti per la vita.

Giancarla Codrignani           17 febbraio 2014

www.noidonne.org/articoli/le-donne-il-papa-e-i-movimenti-per-la-vita.php

 

Religioni, violenza, donne: nasce un osservatorio interreligioso

            La questione riguarda la sfida nelle Chiese – e nella società tutta – affinché cessi un’ingiustizia inaccettabile, ancor più odiosa, indegna e ingiustificabile quando ha come attori/attrici i battezzati e le battezzate.

            Uscire dal ruolo ancillare. Donna perché piangi? (Gv 20,15) è il titolo di un mio editoriale pubblicato in questo sito, con il quale lanciavo un appello (già pubblicato sulla rivista Esodo) affinché le donne cristiane cattoliche uscissero dallo stato di minorità ecclesiologica, dal ruolo “naturalmente” ancillare in cui erano confinate, dal loro servidumbre [servitù] – come ebbe a dire papa Francesco – e affermassero che la loro partecipazione ecclesiale doveva attuarsi nei termini di un servizio pieno, tanto quanto quello degli uomini.

            Se la koinonia [intimo legame] a cui la Chiesa si rifà è quella dell’Evangelo, essa deve ricordare che nel messaggio di Gesù (letto nella sua evoluzione storica e quindi nell’apertura al nuovo, come è stato argomentato nel Concilio Vaticano II) non c’è traccia dell’esilio simbolico che le donne subiscono, non c’è traccia dell’interdizione ad un camminare escatologico uno di fronte all’altro (Gen 2,18b), nell’orizzonte della sinodalità.

            La “differenza” delle donne – il cosiddetto genio femminile, per esempio – non può essere frutto del “pensiero” del magistero, di una realtà quindi che è cifra dell’esperienza esclusiva di uomini e del loro desiderio/dominio esercitato sulle donne, le quali poi pervasivamente introiettano tali immagini.

            Un sessismo subliminale. Nella tradizione del clero si annida un patrimonio in cui spiccano frasi come: «Dalla donna ha avuto inizio il peccato, per causa sua tutti moriamo» (Siracide 25, 24), o «L’uomo è nato dalla donna! Non c’è nulla di più abietto» (san Bernardo, Sermo in Feria IV Hebdamodae Sanctæ, 6, V, 60 (ma gli esempi sarebbero molteplici). Di un tale florilegio la Chiesa non ha fatto ammenda. Difficile negare che tali parole non siano segno della mentalità sessista che ha pervaso l’universo clericale, di cui tuttora c’è scarsissima consapevolezza.

            Delphine Horvilleur, rabbina di Parigi, in una recente intervista afferma: «Il femminile resta il nome di una sovversione che si tiene a distanza. La voce delle donne, il loro corpo e la loro erudizione rappresentano ancora una minaccia. È il nodo gordiano del pensiero religioso: finché non farà spazio al femminile, avrà un problema con l’alterità». (Si può restare in piedi solo se si è consapevoli dei propri punti deboli, in www.la-croix.com dell’8 febbraio 2019). Terminavo il mio articolo con le parole di auspicio: “Spero si esca dal silenzio”. Ma un silenzio cieco, quasi generale, sembrava esserne l’esito.

Un seme invisibile. Non sapevo allora che in altre stanze si stava elaborando qualcosa di molto rilevante, il cui contenuto era imparentato – seppur nella diversità – con le mie parole. Si trattava di qualcosa di unico nel suo genere: un documento ecumenico titolato Contro la violenza sulle donne: un appello alle chiese cristiane in Italia e firmato a Roma il 9 marzo 2015 dai rappresentanti di dieci Chiese cristiane. Atto assai significativo promosso dalle Chiese evangeliche.

Di quell’evento e della sua rilevanza, come spesso succede, per lo più non se ne conobbe nemmeno l’esistenza. Le ragioni di ciò sono tante e qui non le analizzerò. Il seme però c’era, era stato gettato, per quanto invisibile. E andava coltivato. Con l’appoggio del presidente del SAE (Segretariato attività ecumeniche) Piero Stefani, mi feci promotrice dentro il SAE bolognese – con la collaborazione del FSCIRE (Fondazione per le scienze religiose Giovanni XXIII) – di inaugurare le Tavole rotonde interreligiose su religioni e violenze sulle donne, affinché a quella scintilla ecumenica si desse eco e valore. Gli appuntamenti volevano inoltre coinvolgere donne e uomini di altre comunità religiose, e anche persone del mondo laico, perché la questione della violenza di genere – domestica e/o contro le donne in generale – è un vulnus, un torto, un’offesa di tale gravità che deve trovare l’attenzione di una rete di persone di ogni appartenenza/ associazione che si voglia impegnare in quest’impresa.

            Il piccolo seme germoglia… In queste occasioni, nacque la proposta di un Osservatorio interreligioso sulle violenze contro le donne: si avvertiva infatti la necessità di monitorare le ricadute dell’Appello e di diffonderlo; e però anche di irrobustirlo del sapere della teologia femminista e di ancoralo ad un organismo che fungesse da presidio dell’Appello stesso, che donne battezzate si autorizzavano ad esercitare.

            Nello stesso tempo si profilava l’esigenza di non confinare il tema nel perimetro delle Chiese cristiane, ma di estenderlo ad altre comunità religiose: tutte infatti pativano del “peccato d’origine”: una considerazione denigrante e mortificante della donna, filtrata in funzione dall’uomo.

            Ora, nel 2019, l’Osservatorio interreligioso sulle violenze contro le donne è giunto ad un punto di svolta. Lunga è stata la fase di gestazione, ma ora l’organismo è pronto per presentarsi pubblicamente con i suoi caratteri originali, che si possono condensare in questa sintesi: agire per un contrasto alla violenza di genere a partire dalle iniquità che le chiese/comunità religiose hanno esercitato (che esercitano), in forme differenti a seconda dei momenti e dei contesti. In queste pieghe (anche se non solo in queste) si annidano – come hanno sottolineato molte teologhe, teologi, esperti ed esperte agli appuntamenti delle tavole rotonde – i germi delle strutture di violenza.

            Il gruppo costituente si è dato un Protocollo d’Intesa, dove sono esplicitate le motivazioni di fondo, le ragioni del suo essere, gli intendimenti comuni e le linee progettuali.

…e produce un frutto. Il 14 marzo 2019 prossimo, nei locali della Fondazione per le scienze religiose Giovanni XXIII di Bologna, verranno apposte le firme al documento dalle 22 donne facenti parte del Gruppo Costituente (tra cui la sottoscritta); esse sono di religione ebraica, cristiana, musulmana, induista e buddista. La religione cristiana è rappresentata dalle componenti: evangelica (luterana, metodista, valdese, battista, avventista, pentecostale), cattolica (con esponenti di Gruppi donne Comunità cristiane di base), e ortodossa (declinazione romena).

            Nella stessa circostanza, avverrà una conferenza stampa e la presentazione del libro Non solo reato, anche peccato, religioni e violenza contro le donne (a cura di Paola Cavallari) edito da Effatà. Un libro collettaneo il cui sviluppo restituisce lo spirito e la vocazione delle stesse Tavole rotonde di cui sopra.

            Differenze riconciliate che danzano con differenze valorizzate. Un’ infinità di fili ci costituiscono: con l’aiuto del Signore potremo farne un tessuto? Rimarrà uno scampolo? Sarebbe motivo di giubilo comunque averne prefigurato l’affresco. O forse sarà un granello di senapa?

Paola Cavallari, Responsabile dell’Osservatorio interreligioso sulle violenze contro le donne.

Viandanti        23 febbraio 2019

www.viandanti.org/sito/?p=19692

Lo scisma

Care amiche ed amici, è un momento drammatico per la Chiesa; film libri e giornali l’accusano, vecchie storie e nuove denunce si affollano, mentre essa stessa, con la riunione oggi dei presidenti delle Conferenze episcopali a Roma insieme col papa fa una scelta di campo definitiva contro gli abusi sessuali, di coscienza e di potere del suo stesso clero, pur tra le proteste di qualche porporato riottoso. Ma dietro questa facciata c’è un’altra partita anche più seria che si sta giocando: è la partita di quanti mirano a uno scisma nella Chiesa, gli uni per distruggerla, gli altri per distaccarla dalla guida di papa Francesco.

Tra i primi ci sono gli officianti del pensiero unico, che ritengono ormai incompatibile la persistenza della predicazione evangelica con la volata finale di un mondo senza pensiero forgiato e governato dal denaro nella sua ultima forma globale di liberismo selvaggio. A questo fronte senza saperlo dà un notevole apporto la campagna della destra teologica che in nome della tradizione si oppone al rinnovamento dell’annuncio evangelico “in quella forma” – come chiedeva papa Giovanni – “che i nostri tempi esigono”; la lettera del cardinale Müller contro il magistero di papa Francesco ne è l’ultimo esempio.

Tra i secondi c’è un’area progressista e riformista che critica papa Francescoda sinistra”, accusando di immobilismo la sua Chiesa perché sono finora mancate riforme istituzionali, come la riforma della Curia, un’avanzata collegialità, una vera “democratizzazione”; ne è l’ultimo esempio il saggio di un professore di Bergamo, Marco Marzano su “Francesco e la rivoluzione mancata”, rilanciato dal “Fatto quotidiano” e anche da qualche sito cattolico.                                                             www.ilfattoquotidiano.it/blog/mmarzano

Esso invita “i progressisti a tentare la via della mobilitazione diretta” per denunciare la paralisi “imposta a un miliardo di fedeli cattolici da un élite di anziani maschi celibi” e “a minacciare, se persisterà l’assoluto immobilismo, l’abbandono della barca e l’approdo ad altri territori ecclesiali più sensibili e interessati ad un rapporto meno ostile con la modernità e i suoi valori”, ossia “il metodo di Lutero”. È superfluo sottolineare qui la catastroficità di tale posizione apparentemente “innovatrice”. Vogliamo solo dire quanto sia sbagliata e conservatrice l’analisi di chi concepisce il rinnovamento della Chiesa solo come un cambio di carattere istituzionale e non come una rigenerazione del suo annuncio e della sua più profonda identità, lo stesso errore dei tradizionalisti che hanno sempre ridotto la Chiesa alla sua dimensione giuridicistica e fattuale.

Al contrario la Chiesa è rinnovata dalla Parola. L’istituzione ne è determinata. E non si può negare che la grande rivoluzione portata da papa Francesco sia stata quella della Parola, fino a una nuova rivelazione di Dio, delle religioni e della Chiesa. Del resto questo non succede solo nella Chiesa. Ci sono discorsi, magari non subito seguiti dai fatti, che hanno cambiato il corso della storia. Si pensi al discorso di Gesù nella sinagoga di Nazaret, che introdusse una nuova ermeneutica selettiva dell’Antico Testamento, separò la misericordia di Dio dalla sua vendetta e introdusse una lettura non sionista, non nazionalista cioè, delle Scritture ebraiche. Si pensi al discorso di Paolo all’Areopago di Atene, che consegnò “il Dio ignoto” alle religioni e alle culture di tutti i popoli, senza rivendicarne l’esclusiva a una sola tradizione. Si pensi al discorso di Gregorio Magno ai fedeli di Roma, straziati dai Longobardi di Agilulfo: “perito il popolo, scomparsi i potenti, assente il Senato, la città vuota ed in fiamme”, eppure il papa guarda al mondo nuovo che comincia, all’ascesa dei popoli nuovi, e fonda l’Europa. E per venire a tempi più recenti, si pensi al discorso di Luigi Sturzo del 1905 a Caltagirone, che mutò l’identità dei cattolici italiani facendone non più sudditi del papa e araldi delle sue rivendicazioni temporali nella questione romana, ma cittadini dello Stato, fautori della democrazia, promotori della proporzionale e autonomi nelle loro scelte politiche, premessa necessaria del ruolo che essi avrebbero giocato dopo il fascismo.

Si pensi al discorso di Giovanni XXIII per l’inaugurazione del Concilio, nel quale attestò la Chiesa sulla frontiera della misericordia (“la medicina della misericordia invece delle armi del rigore”), l’attrezzò per l’”aggiornamento” dello stesso annuncio evangelico e sognò il sogno di una “Chiesa di tutti e soprattutto Chiesa dei poveri”. Si pensi al discorso di Palmiro Togliatti del 1963 a Bergamo sul “destino dell’uomo”, in cui il leader comunista riposizionava il suo partito, e l’idea stessa del comunismo, non più solo sul terreno delle lotte economiche e sociali, ma su quello di una nuova antropologia universalistica, per la quale la stessa coscienza religiosa, posta di fronte ai drammatici problemi del mondo contemporaneo, era chiamata in causa e poteva essere di stimolo al cambiamento della società.

Di papa Francesco non si può ancora dire quale sarà il discorso che farà storia, dopo il quale la Chiesa, tutt’altro che immobile, non sarà mai più quella di prima. Si potrebbe dire l’ “Evangelii gaudium” in cui questa nuova Chiesa è disegnata, la “Laudato sì” che coinvolge tutti gli abitanti del pianeta nella salvezza della Terra, i discorsi sulla misericordia che piantano il “Dio inedito” nel cuore di tutti gli uomini, oltre ogni diversità di religione, i discorsi ai movimenti popolari che esortano alla lotta, e non solo alla rivendicazione di un altro modo possibile, il discorso all’Europa per l’uscita dal regime di cristianità, i discorsi agli Stati per una rivoluzione degli ordinamenti che escludono e dell’economia che uccide, o il discorso con cui ha rovesciato fin nel catechismo una secolare dottrina che ammetteva la pena di morte. Più probabilmente, al di là di un singolo discorso, sarà il magistero globale di papa Francesco che avendo finalmente pensato la riforma della Chiesa a partire dalla riforma del papato (Santa Marta!) ha di fatto già realizzato quello che i suoi critici malevoli rifiutano, e che i suoi critici benevoli reclamano. Lo scisma è ormai fuori tempo. È chiaro che questo non può bastare; il governo non è solo profezia, è anche istituzione, e un papa “governa” la Chiesa. Ma ogni cosa ha i suoi tempi, e in tempi selvatici come questi non si possono fare corti circuiti e false partenze. Ma di certo, se la Chiesa rimarrà fedele, “l’istituzione seguirà”; forse non oggi le riforme che tutti noi abbiamo nel cuore, ma certamente domani.

Raniero La Valle       Viandanti        21 febbraio 2019

http://ranierolavalle.blogspot.com/2019/02/lo-scisma.html

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COMMISSIONE ADOZIONI INTERNAZIONALI

Adottare oggi

Recenti articoli di stampa e soprattutto certe immagini possono veicolare un’idea di adozione internazionale lontana dalla realtà. Nel corso degli ultimi anni si è assistito infatti a una radicale modifica delle tipologie di bambini che i Paesi esteri destinano all’adozione. Immagini di neonati con relativo cartellino del prezzo attaccato al polso esistono solo nelle fantasie di chi forse non ha mai rinunciato all’idea di un mercato dei bambini possibilmente piccoli e bianchi. 

            In realtà, l’età media dei bambini che entrano in adozione internazionale è di circa 8 anni. Di questi, la maggior parte è costituita da minori con special needs. I paesi di provenienza hanno attuato progressivamente politiche nazionali di protezione dell’infanzia, con il risultato che, sempre di più, l’adozione deve considerarsi uno strumento sussidiario e residuale. Inoltre, nessuna coppia può vantare un diritto ad adottare, configurandosi tutto l’iter adottivo come una mera disponibilità ad accogliere un minore in adozione, talché il mandato che si conferisce a un ente è di mezzo e non di risultato.

            Anche la tipologia delle coppie che intraprendono percorsi adottivi è mutata nel corso degli anni. Progressivamente, l’età media è abbastanza elevata già in partenza e certamente i tempi di attesa incidono ulteriormente sul dato anagrafico. Va ricordato, a questo proposito, che i tempi lunghi di attesa dipendono prevalentemente dalle procedure all’estero in quanto lo stato di provenienza è sovrano nel determinare quale bambino abbinare a una certa coppia, in comparazione con le coppie di tutto il mondo e nello stabilire i requisiti che questa deve possedere anche diversi e maggiormente stringenti rispetto a quelli previsti dalla nostra normativa. Può pertanto ragionevolmente verificarsi che in questa comparazione una coppia non venga mai presa in considerazione, poiché non è affatto scontato ne’ automatico che a ogni mandato corrisponda una proposta. Ciò nonostante, l’Italia ha il maggior numero di ingressi in Europa ed è seconda nel mondo in termini assoluti.

            Le coppie italiane mostrano grande disponibilità all’accoglienza anche di bambini grandicelli e con bisogni speciali diversamente da altri Paesi che progressivamente si stanno ritirando dall’adozione internazionale.

            Questa è una peculiarità del nostro Paese che va riconosciuta e valorizzata, indice di una generosità verso i bambini più svantaggiati che purtroppo non sempre emerge dal contenuto di certi articoli o trasmissioni che trattano l’adozione internazionale come dell’acquisto di un prodotto utile a soddisfare desideri e bisogni degli adulti e non quale prezioso strumento di tutela per l’infanzia abbandonata nel mondo.

CAI notizie     21 febbraio 2019

www.commissioneadozioni.it/notizie/adottare-oggi

 

Rimborso spese

La Segreteria Tecnica della CAI informa che l’esame delle istanze di rimborso delle spese per le adozioni si è concluso per il 2012 mentre quello del 2013 è in fase di completamento. Nel frattempo, è stata richiesta la riassegnazione in bilancio delle risorse necessarie per procedere alla liquidazione degli importi.  Non appena queste saranno disponibili, ne verrà data notizia su questo sito.

www.commissioneadozioni.it/notizie/info-rimborsi-2012-17

Per ulteriori informazioni si può contattare Linea CAI.                     ( 06.6779.3222

Informazioni: il lunedì e il venerdì dalle 10:00 alle 12:00                 lineacai@governo.it

Rimborsi: esclusivamente il mercoledì dalle 14:00 alle 16:00                       rimborsi.cai@governo.it

            Linea CAI è un servizio di informazione e consulenza su ogni aspetto dell’adozione internazionale come l’iter adottivo, i rapporti con gli enti autorizzati, i paesi di origine dei bambini e la fase post-adottiva. Si rivolge a coppie aspiranti all’adozione, coppie nella fase adottiva e post-adottiva, operatori dei servizi territoriali e dei Tribunali per i minorenni, enti autorizzati, ricercatori e studiosi e cittadini interessati esclusivamente alle tematiche dell’adozione internazionale. E’ possibile concordare un appuntamento telefonico.                                   CAI notizie     20 febbraio 2019

http://www.commissioneadozioni.it/linea-cai

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CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Lotta agli abusi. Bassetti: la Chiesa si sta purificando, più attenzione nei Seminari

Il presidente della Cei: la Chiesa italiana assicura massima collaborazione alla giustizia ordinaria. Chi ha subìto abusi può avere difficoltà ad aprirsi e va aiutato perché la giustizia possa agire. «La Chiesa ha preso coscienza della gravissima piaga degli abusi e si sta purificando. Come dimostra l’atto penitenziale che ha concluso la nostra terza giornata di lavori». Il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, è appena uscito dalla Sala Regia del Palazzo Apostolico che ha ospitato la liturgia per i 190 partecipanti all’incontro sulla tutela dei minori in Vaticano.

            L’arcivescovo di Perugia-Città della Pieve ha portato idealmente al summit l’intera Chiesa italiana che «sta già lavorando in maniera approfondita sulla protezione dei minori», spiega. «Il che significa non soltanto intervenire celermente sui casi che possono emergere ma soprattutto prevenirli», annuncia il porporato.

            Ecco quindi che la CEI sta tessendo una rete che va dai vertici della Conferenza episcopale alle diocesi, passando per le regioni ecclesiastiche. Una rete di salvaguardia che vedrà il ricorso a laici esperti nelle investigazioni sui delitti e nella prevenzione, un’«ampia collaborazione con la giustizia civile», dice il cardinale, e maggiore attenzione ai Seminari e alle famiglie religiose che si tradurrà in uno screening sulla personalità dei candidati. «Perché non accada più anche un solo episodio», afferma il presidente della Cei. E aggiunge: «Dopo il Venerdì Santo, c’è la Risurrezione. La Chiesa intende risorge dopo l’abisso in cui una parte dei sui membri, seppur con percentuali molto ridotte, l’ha trascinata».

            Eminenza, come leggere l’incontro che termina questa mattina?

Credo sia stato un atto di verità, di giustizia e di amore per la Chiesa che papa Francesco ha voluto per affrontare un problema che è angosciante per la comunità ecclesiale e che forse è più grande ed esteso nella società. Come ha detto il Pontefice nel suo intervento introduttivo, ci siamo messi in ascolto dello Spirito Santo e poi abbiamo ascoltato il grido dei piccoli e dei fragili che chiedono giustizia. Consapevoli del peso della responsabilità pastorale ed ecclesiale, abbiamo discusso su come affrontare questo male. Partendo appunto dalle testimonianze di chi è stato “trafitto” nel profondo dal punto di vista umano e cristiano. Non si è trattato, però, di commiserazione ma di un incontro con la carne ferita di Cristo. E, come sul corpo del Signore sono rimaste le cicatrici della croce anche dopo la Risurrezione, così chi è stato vittima di abusi porterà sempre con sé le conseguenze di questi dolori. Ascoltare, essere compartecipi, pregare insieme sono stati essenziali per avere consapevolezza di quanto accaduto e per agire di conseguenza.

            Vi siete commossi di fronte alle storie di violenza che sono state presentate?

Sicuramente. Perché abbiamo avvertito non solo le indicibili sofferenze delle vittime, ma anche la fatica a parlarne o i complessi di colpa che sono stati generati. Come pastore porto nel cuore le loro sofferenze e quelle di coloro che ho incontrato in prima persona alcuni giorni fa.

            Si può già ipotizzare un lascito del summit per la Chiesa italiana?

La nostra Chiesa è già impegnata a stabilire le linee guide sulla protezione dei minori che varranno per la Cei, per le regioni ecclesiastiche e per le singole diocesi della Penisola. I nuovi criteri passeranno al vaglio dell’Assemblea generale dei vescovi italiani e poi della Santa Sede. Perché, come insegna il Papa e come mostra l’incontro in Vaticano, è fondamentale la collegialità che porta a quel “camminare insieme” indispensabile in questo ambito. Nelle disposizioni è prevista, ad esempio, la partecipazione di esperti laici nelle investigazioni e nei diversi gradi del procedimento canonico sui casi di abuso. Con un’avvertenza.

            Quale?

Occorre salvaguardare il diritto alla difesa. È un principio anche canonistico quello della presunzione d’innocenza fino all’accertamento della colpevolezza. Pertanto va evitato che siano pubblicati gli elenchi degli accusati prima dell’indagine previa o della definitiva condanna.

            Avete discusso nel vertice anche sull’espressione “tolleranza zero”?

È un concetto che va chiarito. La “tolleranza zero” vale sempre nei confronti del crimine, mentre verso i colpevoli pentiti la giustizia e la verità vanno coniugate con la misericordia.

            La Cei sta affrontando la questione della denuncia alla magistratura da parte dell’autorità ecclesiastica?

Nel summit sono emerse le differenze sulle norme che regolano il diritto penale e la procedura penale nei vari Paesi del mondo. Non in tutti le nazioni vige lo stato di diritto. La Chiesa italiana assicura la massima collaborazione alla giustizia ordinaria. Aggiungo che chi ha subìto un abuso può avere difficoltà ad aprirsi e quindi va aiutato a compiere i debiti passi perché la giustizia possa fare il suo corso.

            Sta prendendo corpo il Servizio nazionale Cei per la tutela dei minori che è stato costituito durante il Consiglio permanente di un mese fa.

L’organismo nazionale ha già un presidente, l’arcivescovo Lorenzo Ghizzoni. Ed è appena stato nominato il consiglio di presidenza. Poi il Servizio avrà un’articolazione territoriale. In molte Chiese locali c’è già il referente diocesano che ciascun vescovo è tenuto a indicare. Nei cammini di prevenzione e tutela vanno coinvolte équipe di laici comprese le donne, soprattutto le madri.

            Come il periodo in Seminario può essere utile per evitare fatti che macchino la vita della Chiesa?

La nuova Ratio fundamentalis sui Seminari ci offre l’opportunità di approfondire le direttive sulla formazione per i seminaristi e per coloro che entrano in una comunità religiosa. Vanno favoriti percorsi per consolidare la maturità umana, spirituale, psicologica, come anche le relazioni interpersonali e i comportamenti. Occorre effettuare per i candidati al sacerdozio e alla vita consacrata una valutazione stringente anche da parte di esperti laici qualificati con l’apporto delle scienze umane. Inoltre è necessario essere rigidi – e le regole ci sono già – sul trasferimento di un seminarista o di un aspirante religioso da un Seminario all’altro o da una comunità all’altra: questi passaggi vanno fatti con estrema attenzione e nella verità. Infine, non può mancare un itinerario che illustri tutte le forme di abuso, ma soprattutto che aiuti a riconoscere i segni di abuso e che mostri come denunciare i casi sospetti.

            Bisogna anche avere più coraggio nel dire di “no” a qualche seminarista, benché manchino i preti?

Vale sempre un assunto: è meglio sbagliare nel dimettere, piuttosto che nel dubbio favorire l’ordinazione di qualcuno che può creare scandalo.

            Nel summit si è parlato del ruolo dei vescovi.

Chi ha la maggiore responsabilità è il vescovo. Come pastori non possiamo delegare ad altri le decisioni, anche se possiamo essere aiutati nel prenderle. Lo stesso vale per i superiori generali delle Congregazioni e degli Ordini religiosi.

Alle vittime che cosa dice?

A loro va il mio pensiero più caro. Sulle spalle portano una croce pesantissima. Le nostre comunità sono chiamate a stare loro vicino e ad accompagnarle. Ritengo che nelle diocesi vada creato un organismo di facile accesso per coloro che vogliano denunciare quanto hanno subìto.

            Giacomo Gambassi    Avvenire 23 febbraio 2019

www.avvenire.it/chiesa/pagine/bassetti-purificazione

 

«Al via una ricerca sugli abusi dei preti commessi in Italia»

Queste giornate saranno una salutare scossa a vincere ogni tiepidezza o resistenza davanti a un problema che si impone per serietà, urgenza e gravità.». Monsignor Stefano Russo è segretario generale della Cei dalla fine di settembre 2018. Per la prima volta parla di ciò che intende fare la Chiesa italiana nel prossimo futuro: una ricerca affidata a un’università per capire finalmente le dimensioni del fenomeno degli abusi in Italia, e un’«ampia consultazione» tra i vescovi sull’obbligo di denuncia alle autorità civili.

Eccellenza, che cosa si aspetta la Chiesa italiana da questo incontro?

«Papa Francesco ci sprona a fare i conti con il passato, a chiedere perdono per le colpe commesse e ad impegnarci a fondo per superare ogni condizione che permetta lo sviluppo dell’abuso. Dell’incontro mi convince anche il metodo sinodale: dal confronto alla risposta concorde».

Avete statistiche attendibili circa i casi di abusi su minori compiuti da sacerdoti?

«Dati precisi no, anche se le situazioni di abuso finora riscontrate sono motivo di preoccupazione fondata. Non mi riferisco soltanto all’abuso sessuale in quanto tale, ma all’abuso di potere e di coscienza, esercitato da preti che interpretano il loro ministero non come un servizio, ma come un potere».

Padre Hans Zollner, presidente del Centro di protezione dei minori dell’Università Gregoriana e tra gli organizzatori dell’incontro, diceva al «Corriere» che la Chiesa italiana dovrebbe fare come quella tedesca, che ha compiuto una ricerca durata tre anni in tutti gli archivi, altrimenti si troverà a dover rincorrere lo scandalo.

 «Stiamo pensando a nostra volta di affidare a un’università una ricerca a tutto campo, che restituisca le dimensioni del fenomeno nella Chiesa come negli altri ambiti della società. Attorno a questa tematica oggi si gioca la nostra credibilità: non ci sarà riforma, senza una piena fedeltà all’esperienza liberante del Vangelo: ne sono testimoni generazioni di santi educatori, di cui il Paese intero può a ragione andare fiero».

Rispondendo alla richiesta di Benedetto XVI, la Cei ha pubblicato nel 2012 e poi nel 2014 delle linee guida contro gli abusi: perché ne state preparando una nuova versione?

«L’intento è quello di contribuire a una cultura diffusa, che abbia a cuore la protezione del minore. Le linee guida del 2014 sono focalizzate su procedure giuridiche con cui affrontare i casi di abuso sessuale compiuti da chierici. Oggi c’è la volontà di non fermarsi alla reazione, per puntare alla prevenzione, coinvolgendo competenze diverse e mettendo a punto procedure chiare. Conoscere a fondo le cause e le circostanze che favoriscono l’abuso, esigere una selezione rigorosa dei candidati al ministero, coinvolgere l’intera comunità in processi di informazione e formazione: sono tasselli di un’azione che non consente ulteriori ritardi».

La Cei ha sempre ripetuto che un vescovo in Italia «non ha l’obbligo giuridico» di denunciare alle autorità civili un prete pedofilo. Per quale ragione non si dà da sé un tale obbligo?

«La collaborazione attiva con le autorità è necessaria per prendere di petto il problema degli abusi sui minori: va fatta secondo verità e giustizia, superando ogni atteggiamento di chiusura o nascondimento, altamente lesivo per la credibilità della Chiesa. Per questo, a mio parere, una volta valutata la verosimiglianza di una notizia di reato, occorrerebbe segnalarla all’autorità competente, nel rispetto della legge civile e della privacy della vittima e dei suoi familiari. Anche su questo nei prossimi mesi ci sarà un’ampia consultazione tra i vescovi».

Avete istituito un Servizio nazionale per la tutela dei minori: non vi figura alcuna vittima. Perché? Contate di ascoltarle?

«Le finalità del Servizio sono legate soprattutto ad assicurare un supporto al territorio, a partire dalle diocesi, con l’offerta di proposte che sollecitino e aiutino la costituzione in loco di referenti —uomini e donne — attenti a promuovere ambienti sani e sicuri. Diversi membri del Servizio, comunque, sono da anni impegnati nell’ascolto e nell’accompagnamento delle vittime».

C’è stato un tempo, lo diceva lo stesso papa Ratzinger, in cui si insabbiavano i crimini con l’idea di «difendere l’istituzione». Che cosa è mancato finora e cosa dovrà cambiare?

«Ogni volta che si è preferito occultare — illudendosi, ad esempio, che bastasse cambiare destinazione al colpevole — si è favorito il radicamento di questo reato. In questo modo, inoltre, si è contribuito a ferire ulteriormente le vittime, che si sono viste privare di ogni giustizia. Vanno recuperate responsabilità, capacità di chiamare le cose per nome e trasparenza»

Gian Guido Vecchi    Corriere della Sera    21 febbraio 2019

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201902/190221russovecchi.pdf

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CONSULTORI FAMILIARI CATTOLICI

                        Belletti: È una sfida culturale, rilanciare i consultori familiari cattolici    

Secondo il sociologo e direttore del Cisf (Centro internazionale studi famiglia) «il tema della denatalità non è un fatto privato e va affrontato anche a livello politico». «Dallo studio sulla fertilità escono dati preoccupanti e … una “bomba rivoluzionaria”, quella sulla sessualità dei più giovani ». È il giudizio di Francesco Belletti, direttore del Cisf.

Professore, dall’indagine risulta che un adolescente su tre ha avuto rapporti sessuali completi (il 35% dei maschi e il 28% delle femmine). Ma nella fascia tra i 16 e i 18 anni la percentuale sale addirittura all’80%. Che ne pensa?

Si tratta di un esercizio diffuso. Sono dati impressionanti che mettono in evidenza una superficialità da primo approccio. Non esiste più il senso del pudore né la tendenza all’approfondimento della relazione affettiva nella quale il corpo è considerato come un presidio da difendere e svelare un po’ per volta. Si banalizza la sessualità. Al di là dell’aspetto igienico-sanitario qui emerge un impoverimento del valore relazionale della sessualità. È una questione di maturità, ritengo. Una vera “bomba rivoluzionaria” che svuota di significato la relazione con l’altro proprio nella massima sfera di espressione della persona.

Quasi il 90% dei ragazzi dai 15 ai 17 anni dice di aver appreso delle problematiche relative alla salute sessuale e riproduttiva su Internet lasciando in secondo piano la famiglia e la scuola.

E questa è una grande responsabilità di tutti gli ambiti educativi. Un segnale sconfortante. Scegliere il web per conoscere e approfondire aspetti così importanti significa affidarsi a uno strumento di scarsa affidabilità e qualità. In questo caso la Rete è come un elefante che entra in un negozio di cristalli.

L’altra questione sollevata dalla ricerca è quella del desiderio di paternità: 8 intervistati su 10, ovvero l’80%, tra i 15 e i 25 anni affermano di desiderare un figlio, una percentuale che si dimezza, però, nell’età adulta. E inoltre il 7% degli adolescenti pensa di non avere figli nel suo futuro. Colpa della crisi economica e dell’incertezza che si vive oggigiorno?

I ragazzi percepiscono la bellezza dell’essere genitori. Ma il desiderio andando avanti con gli anni cala perché ci si rende conto che l’esperienza genitoriale comporta fatica e sacrificio, impegni che oggi si tendono a cancellare. È l’esito di un clima culturale, più che economico: ogni cosa che costa fatica diventa un’obiezione alla felicità. Perché il figlio è una scelta che vincola, significa essere al servizio di qualcuno, implica una totale donazione. Ecco allora la classica domanda: “chi me lo fa fare?”.

E quindi come intervenire?

Serve una sfida culturale. Se nel passaggio dalle scuole superiori all’università il progetto generativo di un giovane crolla vuol dire che c’è fragilità, che esiste un debito di speranza. C’è troppa solitudine. Ma il tema della denatalità non è un fatto privato e va affrontato anche a livello politico. È necessario dare più rilievo, per esempio, al lavoro che stanno facendo i consultori familiari cattolici, anche con le scuole. I consultori legati all’esperienza ecclesiastica stanno facendo un buon lavoro sul tema, lavorando sull’educazione integrale della persona, mentre i consultori pubblici, quando intervengono (e non sempre lo fanno), difficilmente escono da un ambito tecnico-sanitario.

Fulvio Fulvi avvenire 20 febbraio 2019

www.avvenire.it/attualita/pagine/belletti-una-sfida-culturale-rilanciare-i-consultori-familiari

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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM

Pescara. Il consultorio familiare partecipa a Famiglie al centro

Pescara. Voucher per combattere la povertà, favorire l’inclusione sociale e sostenere i nuclei familiari in situazioni di disagio. A garantirli è il progetto “Famiglie al centro”, realizzato dall’Ecad 15 Pescara, in qualità di capofila e in Associazione temporanea di scopo (ATS) con la Fondazione Caritas onlus, il Consultorio familiare del Centro italiano femminile provinciale, il Consultorio familiare Ucipem, “Amici del Consultorio” onlus di Pescara e Focus Srl impresa sociale.

            “Con questo progetto l’amministrazione comunale offre un supporto alle famiglie che si trovano in difficoltà sia dal punto di vista economico sia perché a forte rischio di esclusione sociale e che hanno all’interno bambini, adolescenti, anziani e soggetti non autosufficienti”, spiega l’assessore alle Politiche sociali Antonella Allegrino, “con l’erogazione dei voucher garantiremo, ad esempio,  un aiuto pratico e concreto ai caregiver, che spesso vivono una condizione di profondo stress emotivo che li porta all’isolamento. Ci sarà la possibilità di usufruire anche di attività destinate ai bambini come il doposcuola o il baby sitting. Sono tutti servizi e attività che offrono un sostegno alle famiglie in situazioni di povertà, ma anche a quelle costrette ad affrontare momentaneamente una condizione di disagio”.

            I finanziamenti per l’erogazione dei voucher, previsti dal progetto “Famiglie al centro”, sono stati concessi dalla Regione attraverso il bando denominato “Abruzzo CareFamily”, inserito nel Programma operativo del Fondo sociale europeo 2014-2020.

            Le famiglie beneficiarie saranno circa 58 e riceveranno voucher del valore mensile massimo di 345 euro e per un periodo massimo di dieci mesi e, comunque, entro la scadenza del progetto, sulla base delle effettive esigenze. L’erogazione consentirà di fruire dei servizi inseriti in un apposito catalogo, che verrà costituito tramite avviso pubblico. I contributi potranno essere utilizzati per servizi di care giver, di trasporto verso strutture socio-sanitarie, attività di doposcuola, assistenza domiciliare di tipo sociale e socio-educativa; percorsi individuali, di gruppo-psicologici, counseling, mediazione familiare; di assistenza scolastica educativa per studenti con disabilità; home visiting, accompagnamento alla nascita, contrasto alla povertà minorile, prevenzione del maltrattamento; centri ricreativi, ludici e sportivi aperti anche nei periodi di chiusura delle scuole; baby sitter; centri diurni, centri di accoglienza e similari; azioni per l’inclusione abitativa di nuclei familiari in situazione di povertà per  l’accompagnamento progressivo all’autonomia alloggiativa; asili nido, scuole materne, altri servizi innovativi e ricreativi o sperimentali per la prima infanzia. (…)

Redazione Cronaca   22 febbraio 2019

www.abruzzolive.it/combattere-la-poverta-favorire-linclusione-e-sostenere-nuclei-familiari-in-situazioni-di-disagio-pubblicato-avviso-pubblico-famiglie-al-centro

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DALLA NAVATA

7° Domenica del Tempo ordinario – Anno C – 24 febbraio 2019

1Samuele          26, 23.«Il Signore renderà a ciascuno secondo la sua giustizia e la sua fedeltà, dal momento che oggi il Signore ti aveva messo nelle mie mani e non ho voluto stendere la mano sul consacrato del Signore».

Salmo              102. 08. Misericordioso e pietoso è il Signore, lento all’ira e grande nell’amore.

1Corinzi           15, 49. E come eravamo simili all’uomo terreno, così saremo simili all’uomo celeste.

Luca                 06, 35. Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande e sarete figli dell’Altissimo, perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi.

 

Il Signore elimina il concetto di nemico

Gesù ha appena proiettato nel cielo della pianura umana il sogno e la rivolta del Vangelo. Ora pronuncia il primo dei suoi “amate”. Amate i vostri nemici. Lo farai subito, senza aspettare; non per rispondere ma per anticipare; non perché così vanno le cose, ma per cambiarle.

            La sapienza umana però contesta Gesù: amare i nemici è impossibile. E Gesù contesta la sapienza umana: amatevi altrimenti vi distruggerete. Perché la notte non si sconfigge con altra tenebra; l’odio non si batte con altro odio sulle bilance della storia. Gesù vuole eliminare il concetto stesso di nemico. Tutti attorno a noi, tutto dentro di noi dice: fuggi da Caino, allontanalo, rendilo innocuo. Poi viene Gesù e ci sorprende: avvicinatevi ai vostri nemici, e capovolge la paura in custodia amorosa, perché la paura non libera dal male.

            E indica otto gradini dell’amore, attraverso l’incalzare di verbi concreti: quattro rivolti a tutti: amate, fate, benedite, pregate; e quattro indirizzati al singolo, a me: offri, non rifiutare, dà, non chiedere indietro.

Amore fattivo quello di Gesù, amore di mani, di tuniche, di prestiti, di verbi concreti, perché amore vero non c’è senza un fare. Offri l’altra guancia, abbassa le difese, sii disarmato, non incutere paura, mostra che non hai nulla da difendere, neppure te stesso, e l’altro capirà l’assurdo di esserti nemico. Offri l’altra guancia altrimenti a vincere sarà sempre il più forte, il più armato, e violento, e crudele. Fallo, non per passività morbosa, ma prendendo tu l’iniziativa, riallacciando la relazione, facendo tu il primo passo, perdonando, ricominciando, creando fiducia. «A chi ti strappa la veste non rifiutare neanche la tunica», incalza il maestro, rivolgendosi a chi, magari, non possiede altro che quello. Come a dire: dà tutto quello che hai. La salvezza viene dal basso! Chi si fa povero salverà il mondo con Gesù. (Rosanna Virgili). Via altissima. Il maestro non convoca eroi nel suo Regno, né atleti chiamati a imprese impossibili. E infatti ecco il regalo di questo Vangelo: come volete che gli uomini facciano a voi così anche voi fate a loro. Ciò che desiderate per voi fatelo voi agli altri: prodigiosa contrazione della legge, ultima istanza del comandamento è il tuo desiderio. Il mondo che desideri, costruiscilo. «Sii tu il cambiamento che vuoi vedere nel mondo» (Gandhi).

Ciò che desideri per te, ciò che ti tiene in vita e ti fa felice, questo tu darai al tuo compagno di strada, oltre l’eterna illusione del pareggio del dare e dell’avere. È il cammino buona della umana perfezione. Legge che allarga il cuore, misura pigiata, colma e traboccante, che versa gioia nel grembo della vita.

Padre Ermes Ronchi, OSM

www.qumran2.net/parolenuove/commenti.php?mostra_id=45230

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DEMOGRAFIA

Dove il domani ricomincia. La via è «occuparsi con» i giovani

L’Italia sta erodendo il proprio futuro dalle basi, a causa degli squilibri demografici prodotti dalla persistente bassa natalità. Ma la bassa propensione ad avere figli è essa stessa il sintomo dell’offuscamento del nostro sguardo positivo verso il futuro. Da un lato, con sempre meno giovani, il Paese perde energia, slancio, vitalità, capacità di produrre benessere, rallenta la crescita e vede aumentare i costi previdenziali e sanitari di una popolazione sempre più anziana. Dall’altro i giovani stessi, pur partendo da desideri e obiettivi di vita simili ai coetanei europei, anziché essere ancor più incoraggiati a realizzarli si trovano a tenerli in sospeso e, via via con l’età, progressivamente a rinunciarvi. I dati dello “Studio Nazionale Fertilità” del Ministero della Salute mostrano che quasi l’80% dei giovani italiani immagina un proprio futuro con figli e che le intenzioni riproduttive vengano poi riviste al ribasso in età adulta.

            Questo “schiacciamento in difesa” da parte delle nuove generazioni ha alla base due fattori principali. Il primo è la difficoltà a credere fino in fondo ai propri desideri, trasformandoli in solidi progetti di vita e impegnandosi a realizzarli in pieno nonostante le difficoltà. Per gran parte della storia dell’umanità i figli sono stati il frutto naturale della vita, non erano una scelta. Ora, invece, diventare genitori è soprattutto una decisione che richiede consapevolezza e responsabilità, ma anche fiducia.

            Quello che manca oggi nel nostro Paese, più che in passato e più che in altri Paesi, è favorire le condizioni perché tale scelta possa compiersi con successo. Qui sta il secondo fattore. In un mondo complesso e in rapido cambiamento aumenta l’incertezza rispetto al proprio futuro. Tale incertezza tende a trasformarsi in insicurezza che paralizza le scelte se manca una educazione solida (non solo sulla “salute riproduttiva”) che aiuti a dar senso al proprio agire, e in carenza di politiche pubbliche in grado di sostenere, oggettivamente e simbolicamente, la capacità di essere, fare e generare valore delle nuove generazioni.

            Nel processo di transizione alla vita adulta tutte le tappe, dall’uscita dalla casa dei genitori alla formazione di una unione di coppia, passando per il lavoro, sono diventate reversibili, tranne la punta più avanzata di tale percorso che è l’arrivo di un figlio. Come mostrano i dati del “Rapporto giovani” dell’Istituto Toniolo le nuove generazioni desiderano far crescere i figli in un contesto di sicurezza, con la possibilità di fornire a essi adeguate cure e benessere. Ma se le aspirazioni sono cresciute, le prospettive sono diminuite. Le statistiche dell’Istat evidenziano come negli ultimi anni ad aumentare sia stata soprattutto la povertà delle famiglie con figli e persona di riferimento under 35. La situazione di precarietà e insicurezza porta allora, come suggerisce anche lo Studio ministeriale, a posticipare tutte le tappe dell’entrata nella vita adulta e a rendere i giovani ipercauti rispetto, appunto, a scelte irreversibili come quella di diventare genitori.

            La possibilità effettiva di realizzare tale scelta va quindi considerato come l’indicatore principale della capacità di una comunità di mettere le nuove generazioni nelle condizioni di andar oltre le difficoltà del presente e assumere oggi decisioni che impegnano positivamente verso il domani. I dati che abbiamo a disposizione mostrano come su questo cruciale terreno l’Italia stia perdendo la sua più importante battaglia per costruire un futuro più solido. Ripartire dai desideri delle nuove generazioni è ancora possibile, ma solo se la politica passa dal “preoccuparsi dei” giovani a “occuparsi con” i giovani di come dare un destino diverso a questo Paese.

Alessandro Rosina     Avvenire         20 febbraio 2019

www.avvenire.it/opinioni/pagine/dove-il-domani-ricomincia

 

            Il desiderio perduto. Figli, l’Italia è sempre meno pronta

Una ricerca del Ministero della salute sulla fertilità evidenzia i tanti ostacoli alla genitorialità. Il 55% degli adulti non vuole avere figli per problemi economici o di coppia.

            Nel primo Studio nazionale fertilità promosso dal ministero della Salute, sotto accusa anche i medici: infondato ottimismo sulla procreazione assistita.

Nell’Italia del gelo demografico, dove si perde una città all’anno nella paralisi totale di interventi istituzionali, c’è una sola idea chiara sul far figli. E viene dai ragazzi. Otto su dieci, a 16 o 17 anni, ne vorrebbero avere. Di più, li vorrebbero prima dei 30 anni. Come dovrebbe essere, come potrebbe essere se il nostro Paese suggerisse una strada per trasformare il desiderio in realtà. Non accade, e così appena qualche anno dopo, appena si cresce, più della metà degli italiani cambia idea. Perché?

Lo mette nero su bianco il primo Studio nazionale sulla fertilità, promossodal Ministero della Salute e coordinato dall’Istituto superiore di sanità, i cui risultati sono stati presentati ieri a Roma.

www.salute.gov.it/portale/news/p3_2_1_1_1.jsp?lingua=italiano&menu=notizie&p=dalministero&id=3480

Un quadro piuttosto sconfortante sullo stato delle conoscenze in tema di sessualità e “tempi biologici”, non soltanto tra i comuni cittadini ma anche tra gli specialisti che dovrebbero essere incaricati di diffondere le corrette informazioni in merito (medici di base, pediatri, ginecologi, ostetriche, andrologi). Segno che di denatalità l’Italia sta morendo anche per ragioni culturali ed educative.

Nessun aiuto. Il questionario voluto dal Ministero è stato somministrato a 4 campioni diversi di popolazione: adolescenti, universitari, adulti e medici (divisi tra medici di base e professionisti della salute riproduttiva). Impressionante – si diceva – la differenza di percezione del tema “figli” tra il campione degli adolescenti e quello dei giovani e dei giovani adulti. Al 7% appena di ragazzi che non vorrebbero averne (e il 79% che invece li desidera e prima dei 30 anni) risponde un 55% di adulti deciso a non fare famiglia, o comunque molto incerto. Un italiano su due. Le motivazioni sono chiarissime: fattori economici, lavorativi e assenza di sostegno alle famiglie determinano la decisione nel 40% dei casi.

Ma non è il solo dato a raccontare lo stato dell’arte del Paese in tema di fertilità. Gli italiani sono in generale impreparati e confusi sul tema, a cominciare dalle nozioni base: drammatico, per esempio, il fatto che 9 persone su 10 sappiano poco o nulla di fertilità maschile, ignorando per esempio che già la coppia in cui l’uomo ha superato i 35 anni ha più difficoltà ad avere figli (la lacuna accomuna studenti e adulti, in questo caso). E ancora: solo il 5% degli adulti si dice consapevole che le possibilità biologiche per una donna di avere figli iniziano a ridursi già dopo i 30 anni, mentre il 27% pensa che questo accada intorno ai 40 44 anni. Temi che non a caso avevano spinto la legislatura precedente ad affrontare il grande progetto di un Piano sulla fertilità che passasse anche attraverso campagne informative di massa, poi arenatesi tra leggerezze comunicative da parte del Ministero e polemiche ideologiche esageratamente alimentate dai social (si pensi alla pubblicità sull’orologio biologico delle donne che tanto aveva infiammato il mondo femminista).

Sessualità sconosciuta. Ignoranza e confusione. Cosa aspettarsi, d’altronde, innanzi alla mancanza totale di educazione alla sessualità fin dalla scuola? Alla necessità sottolineata appena qualche settimana fa niente meno che da papa Francesco, alla Gmg di Panama, di offrire una formazione ai più giovani sul tema rispondono seccamente i numeri del ministero. Assenti la famiglia e la scuola, l’80% dei ragazzi cerca risposte alle proprie domande sulla sessualità online, non ricevendole da nessun altro in carne ed ossa. A salire in cattedra su una questione così delicata – sembra un assurdo – è proprio quella Rete tanto temuta e demonizzata dal mondo adulto. Così il 94% dei ragazzi (si tratta di un plebiscito) vorrebbe che qualcuno parlasse di sesso, di salute, di riproduzione a scuola. E a questo bisogno fa fronte un numero sempre più alto di adolescenti che sperimenta la sessualità troppo presto e male: uno su tre ha già avuto un rapporto completo, il 23% non utilizza contraccettivi perché non sa a cosa servono e tra il 70 e l’80% ignora l’esistenza e la funzione dei consultori, o l’importanza di rivolgersi a un medico o a un professionista. Un punto su cui è intervenuta con forza la ministra della Salute, Giulia Grillo: «È tempo di promuovere nelle scuole una corretta educazione ai temi di salute, facendo sì che diventino materia di insegnamento trasversale, attraverso un’alleanza tra scuola e Ssn e un approccio scolastico globale».

La ferita dei medici. I risultati della ricerca diventano più allarmanti quando si entra nel capitolo dedicato ai medici e ai professionisti. Quelli, cioè, che dovrebbero contribuire a fare chiarezza sul tema della fertilità e che invece troppo spesso fanno confusione. Diverse le aree di criticità emerse per esempio tra ginecologi, ostetriche, andrologi proprio sul tema della fertilità maschile, su come trattarla. In particolare – ed è la prima volta che le autorità sanitarie mettono così in evidenza il problema – tra i medici specialisti è generalizzato «un infondato ottimismo sulle possibilità delle tecniche di Procreazione medicalmente assistita (Pma) di risolvere sempre i casi di infertilità». La tecnica, per essere più chiari ancora, viene consigliata ancora ai pazienti «in cui è evidentemente inutile, generando aspettative che procureranno frustrazione alle coppie». Un tema che dovrebbe far risalire subito in agenda, tra le priorità del ministero, la verifica sulla reale esigenza delle pratiche di fecondazione assistita sul territorio: un servizio che rientra nei Lea (Livelli essenziali di assistenza) anche per quanto riguarda l’eterologa, a fronte di percentuali di successo che non superano il 30%.

E, come dimostrano questi dati, di una sostanziale “sovrastima” di casi da parte dei ginecologi. Ma anche tra i professionisti c’è anche un’emergenza formazione: tra i medici del territorio (i primi a cui si rivolgono i cittadini disorientati sul tema), solo l’8% dei pediatri di libera scelta ed il 20% dei medici di medicina generale ha partecipato ad eventi di aggiornamento formativo in materia di tutela della fertilità e di salute riproduttiva. Troppo pochi.

Viviana Daloiso         Avvenire 20 febbraio 2019

www.avvenire.it/attualita/pagine/figli-litalia-sempre-meno-pronta-i-desideri-ora-invecchiano-con-let

 

Scommettere sulla famiglia

Siamo sempre di meno. E perseveriamo in questa diminuzione da anni. Da troppi anni. E nessuno, o quasi, muove un dito per fermare questa tendenza. Siamo sempre più vecchi. Le culle rimangono vuote, in maniera desolante, ma proseguiamo nel leggere dati allarmanti senza prendere coscienza della loro incidenza sugli anni a venire.

Su queste colonne lo abbiamo ricordato in un’infinità di occasioni. Le politiche familiari non si attuano nel giro di un semestre. Occorrono i decenni per invertire trend come quelli in atto da troppo tempo.

I numeri sono implacabili, ma è come se fossimo analfabeti in materia di politiche per la famiglia. In Italia, nel 2017 ci sono stati 1,32 figli per donna, con un totale delle nascite di poco superiore a 458mila. Nel 1964 furono più di un milione. In poco più di 50 anni si sono più che dimezzate e il primo saldo naturale negativo è del 1993. Da allora siamo sempre col segno meno. Anzi, siamo in profondo rosso.

Negli ultimi tempi nel nostro Paese si avverte un certo cambiamento. Meno nati al sud e di più nella punta più settentrionale, in Alto Adige. Perché questi mutamenti? La risposta è semplicissima: alcuni aiuti alle giovani coppie, come il famoso bonus bebè che in provincia di Bolzano è di 200 euro al mese, per ogni nato fino ai tre anni, di cui usufruisce il 90% delle famiglie.

Il parroco di San Pietro a Cesena, monsignor Walter Amaducci, mi ha fornito i suoi dati: su una popolazione di 3.846 abitanti, con 1.674 famiglie, nel 2018 ha celebrato cinque matrimoni e 15 battesimi e ha accompagnato al cimitero 44 defunti. Cifre tremende che si commentano da sole, di fronte alle quali bisognerebbe muoversi subito. Sono numeri che fanno gelare il sangue e che in prospettiva ci inchiodano a un declino obbligato.

Lo dice anche Filippo Pieri, neo segretario regionale della Cisl nell’intervista che proponiamo questa settimana, come anche lo aveva affermato a Cesena martedì della scorsa settimana il professor Leonardo Becchetti: avanti di questo passo, degli immigrati abbiamo bisogno per questioni economiche, di sopravvivenza.

La famiglia va incentivata, promossa, favorita, con robuste politiche fiscali e di effettivo sostegno. Ma non da domani. Da ieri. Andava già fatto. Invece nulla, perché la famiglia è sempre stata considerata una questione che riguardava i cattolici. Pazzesco. Nulla di più miope.

Il Reddito di cittadinanza non aiuterà in questa direzione. Anzi, c’è già chi pensa a finte separazioni legali per potervi accedere. L’Italia dei furbetti di corto respiro già si ingegna, anziché spendersi per chi sulla vita scommette a prescindere.

Francesco Zanotti, direttore “Corriere Cesenate”     Agenzia SIR   20 febbraio 2019

https://agensir.it/territori/2019/02/20/scommettere-sulla-famiglia

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DIRITTO DI FAMIGLIA

Trascrivibili gli atti di nascita di due minori con omo genitori nati negli Usa con tecniche di PMA

Tribunale di Milano, sentenza del 15 novembre 2018.

Il concetto di ordine pubblico nell’ordinamento italiano ha ampliamenti ed evoluzioni e lo stesso va considerato alla luce dell’ordine pubblico internazionale.  Il fatto di riconoscere a due minori due genitori dello stesso sesso, allo stesso modo, non viola alcun principio fondamentale, secondo il tribunale di Milano, non ravvisandosi nell’ordinamento alcun imprescindibile divieto al riconoscimento della genitorialità da parte di tali coppie.

La scelta del legislatore italiano nell’ambito della legge n. 76/2016 (c.d. Cirinnà) di non prevedere la c.d. stepchild adoption non può indurre a ritenere contraria all’ordine pubblico tale tipologia genitoriale dal momento che – come correttamente evidenziato nel ricorso – non solo all’estero la stessa è pacificamente prevista e tutelata, ma anche in Italia la genitorialità same sex ha ormai trovato riconoscimento in recenti pronunce giurisprudenziali che, sulla base dell’interesse del minore, hanno autorizzato l’adozione ex art. 44 comma 1 lett. d) della legge n. 184/1983 nell’ambito di coppie omosessuali: ciò a conferma dell’assenza di superiori, contrari e ineludibili principi di rango primario alla genitorialità da parte di coppie dello stesso sesso; non esistendo del resto dati scientifici che attestino la rilevanza dell’orientamento sessuale dei genitori sul benessere dei figli.

Osservatorio nazionale sul diritto di famiglia                     22 febbraio 2019

www.osservatoriofamiglia.it/contenuti/17508071/si-possono-trascrivere-gli-atti-di-nascita-di-due-minori-nati-negli-stati-uniti-.html

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EDUCAZIONE ALLA SESSUALITÀ

Sesso, prima del come va spiegato il perché

Qual è il momento giusto per fare sesso? La domanda è sempre la stessa e a farmela sono, puntualmente, gli studenti di terza media che incontro in giro per le scuole siciliane. Li guardi e ti rendi conto che dietro quella scorza di apparente durezza si nasconde una fragilità che spesso emerge alle prime vere difficoltà della vita. Fa pensare molto come a soli tredici anni – che a guardarli, molti di loro non hanno ancora smesso i panni da bambini – questi ragazzi ricevano sollecitazioni così pressanti da fissarsi troppo prematuramente su quello che sarà il loro primo rapporto sessuale. Una fissazione che molto spesso si traduce in un esercizio precoce della sessualità genitale.

Si tratta di un fenomeno che trova conferme anche nei dati della relazione del Ministero della Salute sull’attuazione della Legge 194\1978, resa pubblica poche settimane fa: i due principali contraccettivi di emergenza hanno avuto un incremento di vendite del 18% per EllaOne (la pillola ‘dei cinque giorni dopo’, passata dalle 189mila confezioni del 2016 alle 224mila del 2017) e addirittura del 56% per il Norlevo (la pillola ‘del giorno dopo‘, passata da 214mila confezioni del 2016 alle 335mila del 2017).

Sono dati che devono farci riflettere. Senza dubbio non possiamo sapere quanti di coloro che hanno fatto uso di questi farmaci siano minorenni o comunque persone giovani, ma non è improbabile che ci sia una consistente percentuale di giovanissimi che accedono a queste medicine. E dato che il numero di rapporti sessuali è ovviamente superiore a quello dei contraccettivi di emergenza venduti, è facile dedurre che ci troviamo davanti ad una gestione sempre più disordinata della propria sessualità da parte dei giovanissimi, anche a causa di una profonda mancanza di educazione specifica.

Mi occupo di educazione affettiva e sessuale nelle scuole ormai da molti anni e riscontro sempre un grande desiderio dei ragazzi di potersi confrontare con gli adulti su questo tema. «Abbiamo parlato di intimità, di noi stessi, dell’uso dei social network, cose di cui solitamente a scuola non si parla. Questi sono gli unici momenti in cui parliamo di noi», mi ha scritto qualche tempo fa una ragazza di sedici anni al termine di un incontro fatto nella sua scuola. E un’altra ha evidenziato come «per una volta a scuola si è parlato di noi stessi, del nostro essere e di amarci». La scuola può fare tanto.

Da pochi giorni ho iniziato un percorso di educazione alla pace in una scuola siciliana; la docente responsabile del progetto mi ha ricordato di parlare tanto della relazione, del dialogo, della comunicazione e molto, molto – ha sottolineato – di affettività. C’è un enorme bisogno di colmare una lacuna che dura da troppo tempo. I ragazzi ce lo chiedono, con le parole ma prima ancora con i fatti. «Nelle scuole bisogna fare educazione sessuale. Il sesso è un dono di Dio, non è un mostro, è il dono di Dio per amare», ha ricordato Papa Francesco ai giornalisti durante il volo di ritorno da Panama a fine gennaio. Proprio qualche giorno fa ho tenuto un corso in una terza media di una scuola emiliana dove poco tempo prima si era verificato un episodio di sexting [invio di testi o immagini sessualmente esplicite tramite Internet o telefono cellulare], un fenomeno che si sta diffondendo rapidamente tra gli adolescenti grazie all’uso di cellulari, social e connessioni sempre più potenti che consentono facilmente lo scambio di foto e video personali molto intimi ed espliciti. Episodi del genere purtroppo sono sempre più frequenti e richiedono un’urgente opera di prevenzione educativa.

            La scuola sta già facendo tanto ma può e deve fare molto di più. Si sa che, spesso, l’ostacolo allo svolgimento di queste attività è di tipo economico. Eppure la mia esperienza personale mi porta a pensare che prima ancora che dai costi, molto dipenda dalla lungimiranza dei docenti e soprattutto dei dirigenti scolastici che a volte sono capaci di tirar fuori risorse inaspettate per far fronte alla copertura economica delle attività. In molti dei progetti di educazione affettiva e sessuale che ho condotto personalmente nelle scuole, i dirigenti scolastici hanno chiesto e ottenuto il sostegno delle amministrazioni locali. In qualche scuola, inoltre, le iniziative formative sono state finanziate dalle famiglie stesse, nell’ottica di una virtuosa collaborazione tra scuola e famiglia in ambito educativo.

            «Ho imparato a guardare la sessualità e l’adolescenza con altri occhi. Quello che è stato detto sulla sessualità, in particolare, mi ha fatto cambiare idea: ho capito che non devo prenderla come scherzo ma seriamente». Così ha scritto un ragazzo di tredici anni al termine di un corso fatto nella sua scuola. «Il corso mi ha insegnato a conoscermi, ad accettarmi e a rispettare chi ho intorno», ha dichiarato un’altra ragazza di quattordici anni. E ancora: «Grazie a questi incontri ho imparato a fare amicizia con me stessa e ad apprezzare il mio corpo. Ora mi piaccio. Grazie!». Queste testimonianze, se ce ne fosse bisogno, sono la prova che la scuola ha un ruolo molto importante nella crescita dei nostri ragazzi, a patto però di non dimenticare mai che quando si parla di educazione dell’affettività e della sessualità il vero obiettivo rimane quello di educare all’amore.

E sottolineo la parola educare perché purtroppo in più di qualche caso ci si limita a presentare ai ragazzi una sorta di prontuario con le ‘istruzioni per l’uso e per evitare di fare danni’, che spiega cosa fare per non incorrere in gravidanze indesiderate e malattie sessuali. Interventi che si limitano ad un approccio del genere risultano riduttivi e i ragazzi stessi, non raramente, manifestano una certa delusione perché non li si aiuta a rispondere alle domande di senso e di significato che si fanno sulla sessualità: essi vogliono comprendere che senso ha l’amore prima ancora di sapere come si fa l’amore. La scuola può e deve fare molto, quindi. Ma senza dimenticare che se parliamo di educazione all’amore, ad occuparsene dovrebbero essere innanzitutto i genitori.

A meno che non ci siano motivi che lo rendano poco opportuno, l’educazione affettiva e sessuale è un compito che va attuato all’interno della famiglia. Qual è infatti quel luogo privilegiato dove, ordinariamente, noi impariamo ad amare a partire dall’esperienza di essere amati dai nostri genitori in maniera gratuita e disinteressata? I genitori sono i primi educatori dei figli e ciò vale a maggior ragione quando si parla di affettività, amore e sessualità. E questo anche quando l’amore che si respira in famiglia è accompagnato – come è normale che sia in ogni famiglia – da fragilità, miserie e debolezze personali.

            Quando incontro i genitori non smetto di ricordare loro che fare educazione affettiva e sessuale dei propri figli è una necessità imprescindibile, è un compito che, se svolto con la giusta consapevolezza dei limiti, può diventare una bella opportunità da valorizzare. Certo, è importante aiutare i genitori a svolgere bene questo compito. E un aiuto concreto può arrivare dalle parrocchie, dalla scuola stessa e dalle molte realtà formative capaci di promuovere una sana educazione affettiva e sessuale che, per usare ancora le parole del Papa, sia priva di quelle ‘colonizzazioni ideologiche’ che invece di farle maturare, distruggono le persone.

            Insomma, abbiamo davanti una bella sfida: quella di insegnare ai nostri ragazzi l’arte di amare. Ma per farlo è necessario che noi per primi ci sentiamo un po’ artisti. Artisti consapevoli che, alla fine del lavoro, se lo avremo fatto con fiducia e speranza, potremo avere tra le mani una bellissima opera d’arte: la vita pienamente realizzata dei nostri figli.

Saverio Sgroi riduzione da “Noi, famiglia&vita” n. 237, 24 febbraio 2019

www.aiutofamiglia.org/documenti/figli-genitori/sesso-come-perche

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                                                FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI

                                                               Allarme demografico

In Italia quasi l’80% degli adolescenti e dei giovani spera di avere figli, possibilmente entro i 30 anni, mentre oltre la metà degli adulti in età fertile non ha intenzione di averne. Lo rivela lo Studio nazionale fertilità del ministero della Salute presentato ieri a Roma.

www.salute.gov.it/portale/news/p3_2_1_1_1.jsp?lingua=italiano&menu=notizie&p=dalministero&id=3480

Per la vicepresidente del Forum delle associazioni familiari, Emma Ciccarelli, occorre restituire valore sociale alla maternità e sono urgenti misure fiscali e sostegni efficaci alle famiglie.

Orientare la programmazione di interventi a sostegno della fertilità in Italia è l’obiettivo del progetto “Studio nazionale fertilità” promosso dal ministero della Salute e presentato il 19 febbraio 2019, a Roma dalla titolare del dicastero, Giulia Grillo. L’indagine, coordinata dall’Istituto superiore di sanità (Iss) e alla quale hanno partecipato l’Università degli studi di Roma “La Sapienza”, l’Ospedale evangelico internazionale di Genova e l’Università degli studi di Bologna, è stata rivolta alla popolazione potenzialmente fertile (tre categorie: adolescenti, studenti universitari e adulti fino a 49 anni) e ai professionisti sanitari (pediatri di libera scelta, medici di medicina generale, ginecologi, andrologi, endocrinologi, urologi, ostetriche).

“La denatalità e l’invecchiamento della popolazione – ha spiegato il ministro -, stanno preoccupando molto il nostro Paese” che in Europa “è uno di quelli con il più basso tasso di fecondità”. Secondo l’Istat, infatti, nel 2017 sono nati solo 458.151 bambini, il numero più basso dall’unità d’Italia: 1,32 per donna. Tra i dati più interessanti emersi dall’indagine, il fatto che quasi l’80% degli adolescenti e dei giovani dichiara di volere in futuro dei figli, se possibile entro i 30 anni, mentre oltre la metà degli adulti intervistati (il 55%) afferma di non avere intenzione di averne. Tra i ragazzi di 16-17 anni, uno su tre ha già avuto rapporti completi e tra tutti i giovani appare diffuso l’impiego di contraccettivi. Manca però in ogni fascia di età la consapevolezza che la fertilità biologica diminuisce progressivamente con l’età anagrafica. Il ministro Grillo propone una campagna di informazione-sensibilizzazione (anche a scuola) e annuncia l’impegno per tentare di garantire a tutti l’accesso alla procreazione medicalmente assistita.

“Probabilmente è necessaria un’azione un po’ più ampia perché oggi l’educazione sessuale nelle scuole è orientata principalmente alla contraccezione e alla gestione della fecondità sganciata dalla generatività della persona, mentre i ragazzi non sono a conoscenza dei tempi della fertilità e immaginano si tratti di un eterno presente”, dice al Sir Emma Ciccarelli, vicepresidente nazionale del Forum delle associazioni familiari. “Bisogna pensare – afferma – ad una campagna di informazione e sensibilizzazione che parta da un principio condiviso da tutto il governo: restituire rilevanza e valore sociale alla maternità che invece continua a rimanere una scelta privata nella quale lo Stato interviene, o in caso di difficoltà, o con misure tampone, del tutto inadeguate a garantire e tutelare i genitori nel compito generativo o educativo”. Per Ciccarelli “in Italia è allarme rosso”; per questo “è necessaria una scelta coraggiosa che investa tutti i campi – anche quello lavorativo delle donne, quello dei tempi delle città e tanto altro -; occorre far uscire la maternità dal recinto del ‘privato’: non è una questione privata ma riguarda tutta la collettività”.

“Ogni coppia che mette al mondo un figlio assume una responsabilità e un impegno che devono essere premiati dallo Stato”. La vicepresidente del Forum avverte: “Non si possono più tollerare scelte inadeguate o misure spot legate ai bonus. I fatti concreti mostrano la progressiva riduzione negli ultimi anni dei finanziamenti alle politiche per la famiglia; il governo continua a tagliare le spese di Welfare e le risorse a questo comparto così strategico per il Paese”.

La settimana scorsa il Forum ha pubblicato “un questionario su essere mamma a Roma che ha evidenziato la difficoltà delle donne che vorrebbero figli – prosegue Ciccarelli – ma problemi economici, mancanza di equità fiscale e precarietà lavorativa non consentono questo investimento”. E il reddito di cittadinanza non aiuta: “Sarebbe stato meglio concentrarsi sulle politiche per il lavoro. Ciò che serve è un atto coraggioso: misure fiscali e sostegni efficaci alle famiglie con figli. Ribadisco che occorre riconoscere l’impegno economico di chi si fa carico di generare, crescere ed educare nuove vite affrontando una volta per tutte l’annosa questione dell’equità fiscale, ma sarebbe bene pensare anche ad un assegno fisso per i figli da 0 a 26 anni. Deve però trattarsi di una misura strutturale – chiarisce la vicepresidente -, non legata a bonus che non hanno continuità e non garantiscono tranquillità alle coppie costringendole ad abortire i loro sogni. Purtroppo il governo è ancora e sempre concentrato in campagna elettorale. Nel nostro Paese le campagne elettorali si succedono ogni sei mesi; non esce da questo loop, ma questa assenza di progettualità in materia di politiche demografiche sarà la causa del declino italiano e del resto dell’Europa”.

Intanto, in occasione di San Valentino, Eurostat ha diffuso i dati sui matrimoni nel continente e l’Italia è quasi fanalino di coda: con una media di 3,2 matrimoni ogni mille abitanti si classifica penultima precedendo solo la Slovenia. “Maternità e matrimoni in ribasso: non mi stupisco – il commento di Ciccarelli -. Le due cose non sono scollegate. Genitorialità e matrimonio richiedono un investimento a lungo termine: la voglia di scommettere sulla propria storia, l’avere una progettualità condivisa, molto difficile nell’attuale contesto di precarietà. Tuttavia il crollo dei matrimoni è anche frutto di una campagna culturale che ha visto in questo istituto un impedimento alla realizzazione della donna; pregiudizio che ha minato profondamente la relazione uomo-donna negli ultimi 50 anni e che va combattuto e sfatato”.

Giovanna Pasqualin Traversa                      Agenzia SIR   20 febbraio 2019

https://agensir.it/italia/2019/02/20/denatalita-ciccarelli-forum-famiglie-politiche-fiscali-eque-e-sostegni-efficaci-alla-maternita

 

Il neo Presidente del Forum Lazio: “Rafforzare il ruolo della famiglia come interlocutore privilegiato”

Qual è la situazione demografica nel Lazio?

La popolazione del Lazio nell’anno 2017, rispetto all’anno 2016, secondo gli ultimi dati ISTAT, ha subito un lieve calo demografico (da 5.898.124 a 5.896.693 abitanti), pari al –0,02%; Infatti, risulta che il tasso di crescita della Regione Lazio è sensibilmente basso (cioè pari al -0,2‰), collocandola al 6° posto su 20 regioni. In particolare, per quanto riguarda il numero delle nascite e quello dei decessi, nel rapporto tra il Lazio e le altre regioni si registra un tasso di natalità pari al 7,6‰ (ovvero 6° posto del Lazio su 20 regioni), mentre il tasso di mortalità è pari al 10,2‰ (ovvero 14° posto del Lazio su 20 regioni). Si può pertanto affermare che il Lazio segue il trend nazionale che vede una popolazione sempre più vecchia, dove la denatalità è un problema che occorre affrontare e con cui bisogna misurarsi per costruire delle buone politiche familiari e sociali.

Quale sarà la prima iniziativa di questo nuova presidenza?

La nuova Presidenza del Lazio parte dalla focalizzazione delle principali debolezze delle famiglie di oggi e da quanto emerso dall’importante sondaggio “essere mamme a Roma”, che è stato elaborato su un campione di 1000 mamme interpellate ed i cui risultati sono stati presentati in occasione delle elezioni di questo nuovo Direttivo; in particolare, le difficoltà maggiori riscontrate sono l’isolamento familiare, la povertà educativa e le criticità lavorative; per contrastarle occorre “fare rete”, sia internamente al Forum Lazio, coinvolgendo tutti i territori, sia esternamente al Forum, creando proficue alleanze, in un’ottica di sussidiarietà orizzontale, tra tutti i protagonisti del “sistema Famiglia”. Pertanto, le prime iniziative riguarderanno la messa in campo di strategie per stimolare il dialogo e il confronto, partendo dalle necessità concrete delle famiglie.

Che rapporto c’è tra il Forum regionale e le istituzioni del Lazio?

Obiettivo del nuovo Direttivo del Lazio, per i prossimi quattro anni, sarà quello di rafforzare il ruolo della famiglia come stakeholder-interlocutore privilegiato in ogni ambito, non solo istituzionale, ma anche ecclesiale, imprenditoriale, economico e lavorativo. Il Lazio e, in particolare, la città di Roma sono realtà oggettivamente complesse, sia da un punto di vista sociale che organizzativo, e, pertanto, principale compito del Forum sarà quello di accreditarsi nelle sedi deputate come soggetto competente e rappresentativo con lo scopo di poter apportare il proprio contributo alla realizzazione di buone politiche familiari e sociali.

                                                                   22 febbraio 2019

www.forumfamiglie.org/2019/02/22/il-neo-eletto-presidente-del-forum-lazio-rafforzare-il-ruolo-della-famiglia-come-interlocutore-privilegiato

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FRANCESCO VESCOVO DI ROMA

Pedofilia, il grido del Papa: nella rabbia della gente c’è l’ira di Dio

Francesco chiude il summit con un discorso duro: gli abusi sono una piaga diffusa, ma ciò «non diminuisce la sua mostruosità nella Chiesa», dove questa «disumanità è più grave e scandalosa». La promessa: anche un solo caso sarà affrontato con la massima serietà, senza più coperture. E lancia 8 linee guida, «adottando» le best practices dell’Oms

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2019/february/documents/papa-francesco_20190224_incontro-protezioneminori-chiusura.html

Gli abusi sono una piaga diffusa, ma questo non ne «diminuisce la mostruosità nella Chiesa». Anzi, nell’ambito ecclesiastico questa «disumanità» è «ancora più grave». Lo afferma il Papa nel suo discorso conclusivo dei quattro giorni di summit sulla protezione dei minori. Bergoglio esprime varie denunce e un forte grido: nella rabbia della gente c’è l’ira di Dio. Promette: anche un solo caso sarà affrontato con la massima serietà, senza più coperture. E lancia otto linee guida per l’itinerario legislativo, «adottando» le best practices dell’Organizzazione mondiale della Sanità.

Nella «Sala Regia» del Palazzo apostolico Vaticano, il Vescovo di Roma rivolge il suo discorso di cinque pagine e corredato da ben tre pagine di note davanti ai presidenti delle conferenze episcopali, ai capi delle Chiese Orientali, ai rappresentanti dell’Unione dei Superiori generali e dell’Unione internazionale delle Superiore generali, ai membri della Curia romana e del Consiglio di Cardinali che hanno partecipato all’incontro su «La Protezione dei Minori nella Chiesa», che si è svolto in Vaticano dal 21 febbraio a oggi, 24 febbraio 2019. Una prima volta nella storia.

            Francesco illustra i dati sulla diffusione del fenomeno nelle famiglie, scuole, nello sport, sul web, nel turismo sessuale. Ma «l’universalità di tale piaga – precisa – mentre conferma la sua gravità nelle nostre società, non diminuisce la sua mostruosità all’interno della Chiesa». Anzi, «la disumanità del fenomeno a livello mondiale diventa ancora più grave e più scandalosa nella Chiesa, perché in contrasto con la sua autorità morale e la sua credibilità etica».

            Il Papa avverte: «Il consacrato, scelto da Dio per guidare le anime alla salvezza, si lascia soggiogare dalla propria fragilità umana, o dalla propria malattia, diventando così uno strumento di satana. Negli abusi noi vediamo la mano del male che non risparmia neanche l’innocenza dei bambini».

            Ecco perché nella Chiesa «attualmente è cresciuta la consapevolezza di dovere non solo cercare di arginare gli abusi gravissimi con misure disciplinari e processi civili e canonici, ma anche affrontare con decisione il fenomeno sia all’interno sia all’esterno della Chiesa. Essa si sente chiamata a combattere questo male che tocca il centro della sua missione: annunciare il Vangelo ai piccoli e proteggerli dai lupi voraci».

            Il Papa desidera ripromettere «chiaramente: se nella Chiesa si rilevasse anche un solo caso di abuso – che rappresenta già di per sé una mostruosità – tale caso sarà affrontato con la massima serietà». Poi il suo grido: «Infatti nella rabbia, giustificata, della gente, la Chiesa vede il riflesso dell’ira di Dio, tradito e schiaffeggiato da questi disonesti consacrati».

            Ammonisce Francesco: «L’eco del grido silenzioso dei piccoli, che invece di trovare in loro paternità e guide spirituali hanno trovato dei carnefici, farà tremare i cuori anestetizzati dall’ipocrisia e dal potere. Noi – scandisce – abbiamo il dovere di ascoltare attentamente questo soffocato grido silenzioso».

È giunto il tempo «di collaborare insieme per sradicare tale brutalità dal corpo della nostra umanità, adottando tutte le misure necessarie già in vigore a livello internazionale e a livello ecclesiale».

            Ed è arrivata «l’ora di trovare il giusto equilibrio di tutti i valori in gioco e dare direttive uniformi per la Chiesa, evitando i due estremi di un giustizialismo, provocato dal senso di colpa per gli errori passati e dalla pressione del mondo mediatico, e di una autodifesa che non affronta le cause e le conseguenze di questi gravi delitti».

            Osserva quanto sia «difficile capire il fenomeno degli abusi sessuali sui minori senza la considerazione del potere, in quanto essi sono sempre la conseguenza dell’abuso di potere, lo sfruttamento di una posizione di inferiorità dell’indifeso abusato che permette la manipolazione della sua coscienza e della sua fragilità psicologica e fisica».

            Ribadendo poi di vedere nella pedofilia «la mano del male che non risparmia neanche l’innocenza dei piccoli», ha detto che «ciò mi porta a pensare all’esempio di Erode», che, «spinto dalla paura di perdere il suo potere, ordinò di massacrare tutti i bambini di Betlemme. Dietro a questo c’è satana», dice guardando negli occhi gli alti prelati.

Francesco esorta a «trasformare questo male in opportunità di purificazione», invitando a «liberarci dalla piaga del clericalismo, che è il terreno fertile per tutti questi abomini».

            Il risultato migliore «e la risoluzione più efficace che possiamo dare alle vittime, al Popolo della Santa Madre Chiesa e al mondo intero sono l’impegno per una conversione personale e collettiva, l’umiltà di imparare, di ascoltare, di assistere e proteggere i più vulnerabili».

            E in «tale contesto desidero menzionare le “Best Practices” formulate, sotto la guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, da un gruppo di dieci agenzie internazionali che ha sviluppato e approvato un pacchetto di misure chiamato INSPIRE, cioè sette strategie per porre fine alla violenza contro i bambini». Così, avvalendosi di queste «linee-guida, la Chiesa, nel suo itinerario legislativo, grazie anche al lavoro svolto negli anni scorsi dalla Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori e al contributo di questo nostro incontro, si concentrerà» su otto dimensioni.

  1. «La tutela dei bambini: l’obiettivo primario di qualsiasi misura è quello di proteggere i piccoli e impedire che cadano vittime di qualsiasi abuso psicologico e fisico».
  2. «Serietà impeccabile: vorrei qui ribadire che “la Chiesa non si risparmierà nel compiere tutto il necessario per consegnare alla giustizia chiunque abbia commesso tali delitti. La Chiesa non cercherà mai di insabbiare o sottovalutare nessun caso” (Discorso alla Curia Romana, 21 dicembre 2018)».
  3. «Una vera purificazione: nonostante le misure prese e i progressi fatti in materia di prevenzione degli abusi, occorre imporre un rinnovato e perenne impegno alla santità dei pastori, la cui configurazione a Cristo Buon pastore è un diritto del popolo di Dio».
  4. «La formazione: ossia le esigenze della selezione e della formazione dei candidati al sacerdozio con criteri non solo negativi, preoccupati principalmente di escludere le personalità problematiche, ma anche positivi nell’offrire un cammino di formazione equilibrato per i candidati idonei, proteso alla santità e comprensivo della virtù della castità».
  5. «Rafforzare e verificare le linee guida delle Conferenze Episcopali: ossia riaffermare l’esigenza dell’unità dei Vescovi nell’applicazione di parametri che abbiano valore di norme e non solo di orientamenti. Norme, non solo orientamenti. Nessun abuso deve mai essere coperto (così come era abitudine nel passato) e sottovalutato, in quanto la copertura degli abusi favorisce il dilagare del male e aggiunge un ulteriore livello di scandalo. In particolare sviluppare un nuovo approccio efficace per la prevenzione in tutte le istituzioni e gli ambienti delle attività ecclesiali».
  6. «Accompagnare le persone abusate: il male che hanno vissuto lascia in loro delle ferite indelebili che si manifestano anche in rancori e tendenze all’autodistruzione. La Chiesa ha il dovere dunque di offrire loro tutto il sostegno necessario avvalendosi degli esperti in questo campo. Ascoltare, mi permetto la parola: “perdere tempo” nell’ascolto. L’ascolto guarisce il ferito, e guarisce anche noi stessi dall’egoismo, dalla distanza, dal “non tocca a me”, dall’atteggiamento del sacerdote e del levita nella parabola del Buon Samaritano».
  7. «Il mondo digitale: la protezione dei minori deve tenere conto delle nuove forme di abuso sessuale e di abusi di ogni genere che li minacciano negli ambienti in cui vivono e attraverso i nuovi strumenti che usano. I seminaristi, i sacerdoti, i religiosi, le religiose, gli operatori pastorali e tutti devono essere consapevoli che il mondo digitale e l’uso dei suoi strumenti incide spesso più profondamente di quanto si pensi.

Si evidenziano qui le nuove norme “sui delitti più gravi” approvate dal Papa Benedetto XVI nel 2010, ove era stata aggiunta come nuova fattispecie di delitto “l’acquisizione, la detenzione o la divulgazione” compiuta da un membro del clero “in qualsiasi modo e con qualsiasi mezzo, di immagini pornografiche aventi ad oggetto minori”. Allora si parlava di “minori di anni 14”, ora pensiamo di dover innalzare questo limite di età per allargare la tutela dei minori e insistere sulla gravità di questi fatti».

            «Il turismo sessuale: per combattere il turismo sessuale occorre repressione giudiziaria, ma anche sostegno e progetti di reinserimento delle vittime di tale fenomeno criminale».

            Il Papa pronuncia peraltro anche «un sentito ringraziamento a tutti i sacerdoti e ai consacrati che servono il Signore fedelmente e totalmente e che si sentono disonorati e screditati dai comportamenti vergognosi di alcuni loro confratelli». Esclama: «Tutti – Chiesa, consacrati, Popolo di Dio e perfino Dio stesso – portiamo le conseguenze delle loro infedeltà». Dunque ringrazia, «a nome di tutta la Chiesa, la stragrande maggioranza dei sacerdoti che non solo sono fedeli al loro celibato, ma si spendono in un ministero reso oggi ancora più difficile dagli scandali di pochi (ma sempre troppi) loro confratelli. E grazie anche ai fedeli che ben conoscono i loro bravi pastori e continuano a pregare per loro e a sostenerli».

            Papa Francesco conclude il suo ampio intervento facendo «un sentito appello per la lotta a tutto campo contro gli abusi di minori, nel campo sessuale come in altri campi, da parte di tutte le autorità e delle singole persone, perché si tratta di crimini abominevoli che vanno cancellati dalla faccia della terra: questo – evidenzia il Pontefice – lo chiedono le tante vittime nascoste nelle famiglie e in diversi ambiti delle nostre società».

Domenico Agasso jr Vatican Insider          24 febbraio 2019

www.lastampa.it/2019/02/24/vaticaninsider/pedofilia-il-papa-nella-rabbia-della-gente-c-lira-di-dio-DiC6eozaRdS9x2oqKHl7WI/pagina.html

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OMOFILIA

Omosessualità e pedofilia. Spunti per capire

In un momento in cui il problema degli abusi sessuali da parte di esponenti del clero opprime in modo così pesante la vita e la coscienza della Chiesa, e sollecita papa Francesco a convocare un summit con i presidenti di tutte le Conferenze episcopali, riflettere sull’atteggiamento pastorale nei confronti delle persone omosessuali, va direttamente a uno dei cuori del problema. Si tratta di una riflessione importante per una serie di motivi, ciascuno rilevante per le varie implicazioni a cui rimanda. A cominciare dal rimbalzare del dubbio secondo cui si considera omosessualità e pedofilia comportamenti devianti frutto della stessa radice. Ecco perché distinguere non è solo opportuno. È doveroso per il rispetto della dignità delle persone.

            Papa Francesco l’ha espresso con chiarezza, riprendendo i due Sinodi sulla famiglia, in Amoris lætitia: «Ogni persona, indipendentemente dal proprio orientamento sessuale, va rispettata nella sua dignità e accolta con rispetto, con la cura di evitare ogni marchio di ingiusta discriminazione» (Al, 250). E al Sinodo sui giovani dello scorso ottobre, il tema è stato riproposto in tutta la sua complessità. Anzi, è stato detto con chiarezza che occorre favorire i cammini di accompagnamento per le persone omosessuali già avviati in alcune diocesi. Non solo, i vescovi hanno ammesso la necessità di un confronto con le diverse “inclinazioni sessuali”.

            Nel Documento finale si legge: «Esistono questioni relative al corpo, all’affettività e alla sessualità che hanno bisogno di una più approfondita elaborazione antropologica, teologica e pastorale, da realizzare nelle modalità e ai livelli più convenienti, da quelli locali a quello universale. Tra queste emergono in particolare quelle relative alla differenza e armonia tra identità maschile e femminile e alle inclinazioni sessuali». Approfondire, rielaborare, cercare di capire. Senza questo lavoro di introspezione, che dovrà essere tanto più sereno quanto complesso e imbarazzante, sarà impossibile pensare a come arginare gli episodi di violenza che hanno alla base la spinta di una sessualità patologica. Non basterà isolare e reprimere coloro che, dentro e fuori la Chiesa, si macchiano di questi crimini, se la teologia e la pastorale non si interrogheranno su questi temi. Si tratta di un’urgenza che investe da vicino il grande problema della sessualità, intreccia il rapporto irrisolto tra norma, coscienza e discernimento, tocca la questione di scelte che non possono più essere liquidate come “incidenti di percorso”.

            C’è il dovere di capire e quindi di interrogarsi e di interrogare chi può fornire spunti utili per approfondire un tema da cui nessuno, tra coloro che amano la Chiesa, può dirsi estraneo. C’è quindi, soprattutto, l’urgenza di andare in profondità nella grande e complessa questione dell’omosessualità. C’è, inoltre, l’esigenza di sgomberare il campo da ogni confusione a proposito del rapporto tra pedofilia, efebofilia e, appunto, omosessualità. Realtà che hanno talvolta punti di contatto ma anche, è bene dirlo subito con chiarezza, enormi ed esplicite divergenze.

            In questo sforzo occorre inquadrare in modo finalmente organico e coerente una pastorale per le persone con orientamento omosessuale. Ma sarebbe impossibile farlo se prima non si chiariscono alcune grandi questioni fondo. L’esigenza non nasce da oggi. Dopo Amoris lætitia, la Chiesa in Italia si sta interrogando su come impostare una pastorale specifica perché anche le persone con orientamento omosessuale possano «avere gli aiuti necessari per comprendere e realizzare pienamente la volontà di Dio nella loro vita» (Al 250).

            Ci sono stati alcuni incontri preliminari tra vescovi, operatori pastorali ed esperti, sono state stese una serie di indicazioni generali, ci sono alcune comunità (Torino, Civitavecchia, Cremona, Parma) che hanno avviato strutture diocesane per occuparsi stabilmente del tema, molte altre ci stanno pensando, ma in realtà non si sa bene come procedere. Fino a che punto spingere l’accoglienza? Accogliere non comporta il rischio di approvare anche implicitamente uno stile di vita? Quando si parla di dovere della castità cosa si intende? Rispetto, fedeltà e impegno di aiuto reciproco nella relazione o astinenza assoluta?

            Problema già complesso all’interno del matrimonio e per le coppie eterosessuali, terribilmente più aggrovigliato quando la coppia stabile, fedele, reciprocamente oblativa, è omosessuale. In questo caso sarebbe scontato intendere la castità come preclusiva di qualsiasi relazione sessuale. «La dottrina parla chiaro», direbbero coloro che usano le norme come pietre da scagliare nella vita delle persone. Già, ma quale norma? In Amoris lætitia – che rimane il più recente documento magisteriale sul tema – dopo aver ricordato l’esigenza della vicinanza pastorale alle persone omosessuali da parte della Chiesa, Francesco non aggiunge alcuna condanna etica, non ricorda il passaggio del Catechismo a proposito del «disordine morale oggettivo», come avevano fatto i precedenti documenti del magistero.

            Lo stesso per il Documento finale del Sinodo dei giovani. Una semplice dimenticanza? Difficile pensarlo. Forse potrebbe essere risultato prevalente il desiderio di leggere la questione con un’ottica diversa, di aprire il dibattito, di ascoltare il parere della base, nella convinzione che «non tutte le discussioni dottrinali, morali pastorali devono essere risolte con interventi del magistero». (Al, 3).

            Le domande potrebbero continuare a lungo ma le risposte al momento non ci sono, comunque non sono agevoli e, in ogni caso, c’è da dubitare che potranno arrivare tanto presto. Forse perché, a proposito dell’omosessualità e di tutto quanto ruota intorno a questo mondo dalle tante sfaccettature e tutt’altro che univoco – qualcuno sostiene che si dovrebbe parlare di omosessualità al plurale – le idee più ricorrenti sono spesso contraddittorie e confuse. E non solo all’interno della Chiesa. Anche nel mondo scientifico le posizioni sembrano spesso inconciliabili, lontane.

            Cosa intendiamo quando parliamo di omosessualità? Non ne conosciamo le cause, le origini, l’evoluzione. Non sappiamo se si tratti di una condizione permanente o fluttuante, come vorrebbero le cosiddette “teorie del gender”. Non sappiamo se si “nasce” omosessuali o si entra in questa condizione per una serie di motivi in cui influenze sociali e dati esistenziali si intrecciano a processi genetici e ormonali.

Luciano Moia             Avvenire 19 febbraio 2019

www.avvenire.it/chiesa/pagine/abusi-e-omosessualita

 

Tante ipotesi, nessuna certezza. Su questi temi abbiamo avviato nel novembre scorso un’inchiesta a puntate sul nostro mensile “Noi famiglia & vita”. Vi proponiamo tre interviste: a padre Maurizio Faggioni, don Stefano Guarinelli, don Pierdavide Guenzi.

 

Se due persone, all’interno della relazione amicale, attuano valori umanamente significativi, impossibile negare che quella relazione non produce del bene

            Chiesa e omosessualità, un lento, faticoso avvicinamento. Dalle condanne di Pio V (1504-1572), con la tristemente nota bolla in cui i “sodomiti” venivano accusati di essere più o meno il male del mondo, all’accoglienza dei nostri giorni in cui, «c’è il tentativo di guardare senza pregiudizi una situazione esistenziale conturbante per la sensibilità cristiana, ma che sarebbe ingiusto giudicare a priori assolutamente incapace di inverare valori umani e cristiani», osserva padre Maurizio Faggioni, teologo morale, medico e bioeticista, autore di numerosi studi sul tema.

            «Le apertura per un’accoglienza positiva delle persone omosessuali e delle loro qualità, e di valorizzazione di aspetti di una relazione omosessuale hanno suscitato comprensibile perplessità e riserve durante le discussioni del duplice Sinodo sulla famiglia 2014-2015. Amoris lætitia: alla fine, ribadisce il Magistero precedente sottolineando comunque aspetti importanti come la dignità di ogni persona “indipendentemente dall’orientamento sessuale”, l’impegno ad evitare “ogni marchio di ingiusta discriminazione” e “ogni forma di aggressione e violenza”, l’assicurazione di rispettoso accompagnamento alle famiglie “affinché coloro che manifestano la tendenza omosessuale possano avere gli aiuti necessari per comprendere e realizzare pienamente la volontà di Dio nella loro vita» (Al. 250).

            C’erano state aperture più significative nel corso del dibattito e negli altri documenti sinodali?

Rispetto alla Relazione finale, la Relazione dopo la discussione presentata come sintesi dei lavori della prima settimana del Sinodo straordinario del 2014, aveva un respiro pastorale più audace e si proponeva muoversi in una linea di continuità, ma anche di approfondimento rispetto al magistero precedente.

Il magistero post-conciliare ha abbandonato i toni punitivi della Tradizione, ha considerato l’orientamento omosessuale in sé non colpevole, ha rivendicato la dignità e i diritti delle persone omosessuali in quanto persone e figli di Dio. La Relazione dopo la discussione proponeva di valorizzare il ruolo delle persone omosessuali nella comunità cristiana e cercava cogliere gli elementi positivi che può contenere una relazione omoaffettiva.

E quali elementi metteva in luce?

Al n. 50 si affermava che «le persone omosessuali hanno doti e qualità da offrire alla comunità cristiana» e si chiedeva: «Siamo in grado di accogliere queste persone, garantendo loro uno spazio di fraternità nelle nostre comunità? Spesso esse desiderano incontrare una Chiesa che sia casa accogliente per loro. Le nostre comunità sono in grado di esserlo accettando e valutando il loro orientamento sessuale senza compromettere la dottrina cattolica su famiglia e matrimonio?».

            Eravamo comunque fermi a una serie di interrogativi.

Il Sinodo intercettava domande che emergono da alcune Chiese locali e accettava coraggiosamente la sfida, ma con grande prudenza perché qui è in gioco la comprensione cristiana dell’amore e della sessualità. La stessa Relazione, nei due punti seguenti (51e52), traeva le conseguenze di questa prospettiva spiegando che: «la questione omosessuale ci interpella in una seria riflessione su come elaborare cammini realistici di crescita affettiva e di maturità umana ed evangelica» e infine dava voce, a una apertura molto innovativa: «senza negare le problematiche morali connesse alle unioni omosessuali, si prende atto che vi sono casi in cui il mutuo sostegno fino al sacrificio costituisce un appoggio prezioso per la vita dei partner» (n. 52).

            Insomma, si diceva che anche l’amore omosessuale è degno di essere valorizzato in una prospettiva cristiana?

Potremmo dire così. Sarebbe difficile – per quanto io posso capire – sostenere la conciliabilità di una pratica omogenitale con il paradigma di antropologia ed etica sessuale cattolica, ma sarebbe ingiusto non apprezzare quanto di buono una relazione sostenuta da un affetto omosessuale potrebbe talora esprimere. Se due persone, all’interno della relazione amicale intensa e a motivo di questa relazione giungono ad attuare valori umanamente significativi, come la lealtà, la condivisione, la tenerezza, l’ascolto, l’aiuto, il servizio fino al sacrificio, come è possibile negare che quella relazione, nonostante tutto, possa produrre, per grazia di Dio, del bene?

            È questa oggi la posizione della teologia morale? Almeno di quella che sta faticosamente cercando un equilibrio tra tradizione e innovazione?

            La Chiesa che si confronta oggi con questa e con altre questioni scottanti ha bisogno di verità e di misericordia, di dialogo e di sapienza, tenendo fisso lo sguardo sull’ideale che riflette la gloria dell’imago, senza dimenticare che il fulgore della Luce si è nascosto nella kenosi [svuotamento]dell’Incarnazione. In una parte della teologia si registrano fughe in avanti verso posizioni morali che suonano troppo dissonanti rispetto all’ideale antropologico cristiano, ma il dibattito merita di essere comunque affrontato. Una domanda ineludibile è se siano possibili riletture e approfondimenti delle posizioni tradizionali cattoliche tali che permettano di restare fedeli al paradigma di etica sessuale cristiano, ma, nello stesso tempo, aprano a forme di integrazione e di valorizzazione delle sessualità per così dire “alternative” che si presentano più o meno difformi dall’ideale.

            Rimane però una grande attenzione a non fare confusione fra matrimonio sacramentale tra uomo e donna, e altri tipi di unione.

Qui anche Amoris lætitia pone una barriera insuperabile quando afferma che “non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia”. La visione dell’amore coniugale del Magistero cattolico – che condivido pienamente e che ritengo un dono per tutta l’umanità – ci porta ad escludere vincoli di natura anche solo analogicamente matrimoniale fra persone omosessuali. Mi sembra, tuttavia, ragionevole tenere una posizione più duttile verso alcuni diritti delle persone che vivono un legame esistenziale profondo e duraturo. Ci sono situazioni come, per esempio, una decisione medica per un paziente privo di conoscenza, nelle quali la parola di un compagno/a omosessuale può essere più espressiva della volontà del soggetto che non quella di un consanguineo. Ci sono aspetti patrimoniali che devono essere regolati con equità, come la eredità di una casa acquistata con i comuni sforzi di una coppia omosessuale o come la reversibilità della pensione per un compagno/a che si è preso cura per anni del compagno/a infermo. Potrebbe essere opportuno, insomma, per l’ordine sociale e la giustizia riconoscere una qualche rilevanza giuridica alla coppia omosessuale stabile, anche se questo non può portare al cosiddetto matrimonio omosessuale ovvero all’equivalente omosessuale del matrimonio, né dovrebbe essere fatto a scapito della famiglia naturale.

            Anche l’adozione per le coppie omosessuali rimane inaccettabile per l’antropologia cattolica. Quali sono i fondamenti che impediscono di prendere in considerazione questa possibilità?

La mancanza di fecondità della relazione omosessuale è una conseguenza della mancanza di differenza sessuale. Essa è segno, a ben guardare, della radicale incompiutezza della coppia omosessuale rispetto alla coppia coniugale. Nella coppia eterosessuale l’impossibilità fisica di generare ha un significato diverso che nella coppia omosessuale perché, anche se l’amore coniugale non riesce a incarnarsi concretamente nel figlio per un qualche ostacolo accidentale, tuttavia esso mantiene integra la sua apertura ad accogliere la vita: l’adozione del figlio permette alla coppia sterile di esprimere l’intrinseca fecondità del suo amore come capacità di accogliere una nuova vita. Nella coppia omosessuale, invece, non è anticipata l’apertura alla vita che è intrinseca all’amore coniugale. Per questo si teme che un bimbo eventualmente adottato – come è permesso in alcune legislazioni – non trovi nella coppia omosessuale il contesto antropologico di cui egli ha bisogno per uno sviluppo psicoaffettivo armonioso e sano. Il tema è molto controverso sia per la non univocità e incompletezza di dati empirici fin qui raccolti sia per l’impostazione del problema che si è ormai diffusa nella cultura giuridica secolare che tende a privilegiare più il diritto degli adulti ad adottare che non il miglior interesse del minore.

            Già oggi però ci sono coppie omogenitoriali presenti nelle nostre comunità. Chiedono i sacramenti per i loro figli, chiedono di essere valorizzate per quello che possono offrire. Difficile non affrontare il problema.

La possibilità di adozione in alcuni Paesi e la presenza di bambini affidati a coppie omosessuali solleva delicati problemi psicologici e pastorali che la Chiesa deve affrontare con coraggio e sapienza. Da una parte non possiamo equiparare la coppia omosessuale alla coppia coniugale, d’altra parte la Chiesa sente il dovere di cura e di accoglienza verso questi piccoli. Oggi parliamo di come accogliere i figli delle coppie omogenitoriali, ci interroghiamo sui nuovi paradigmi teologici.

            Quando sono cominciati i primi segnali di disgelo dopo le chiusure dei secoli scorsi?

Il magistero post-conciliare è intervenuto più volte sul tema dell’omosessualità senza distaccarsi, dal punto di vista del giudizio oggettivo, dall’atteggiamento negativo della tradizione, ma tenendo conto sia dei dati provenienti dalle scienze umane, sia della riflessione teologica, sia di un generale atteggiamento di rispetto verso le persone e le loro storie. Importante la distinzione introdotta fra atti omogenitali e orientamento omosessuale.

Gli atti omogenitali, da chiunque siano posti e in qualsiasi contesto, continuano ad essere giudicati inaccettabili per la morale cattolica che ha come modello la relazione sponsale uomo-donna. L’orientamento omosessuale, invece, ancorché disordinato rispetto al paradigma eterosessuale, non può essere giudicato come colpevole: c’è largo consenso, infatti, che l’orientamento omosessuale non derivi da una scelta e neppure da una abitudine conseguente il ripetersi di atti omogenitali, ma sia profondamente radicato nella persona fin da primi anni di vita, se non addirittura, in qualche misura, prima della nascita. Essere omosessuali, insomma, non è peccato, anche se l’orientamento omosessuale inclina a compiere atti sessuali che non conformi all’ideale etico cristiano. L’assoluzione dalla responsabilità morale della condizione omosessuale non risolve, tuttavia, la questione della vita affettiva e sessuale degli omosessuali che si vedono preclusa ogni possibilità di intimità sessuale legittima e che sono, pertanto, invitati alla continenza perpetua.

            Questo è destinato a rimanere un punto insuperabile o i diversi spiragli aperti da alcuni teologi finiranno per modificare questa norma morale?

Nella visione cristiana la sessualità è il linguaggio della comunione e dell’apertura all’alterità. Per costituire una relazione totalizzante come il matrimonio non basta, però, aprirsi semplicemente a un’altra persona, prescindendo dal suo sesso, come nella relazione amicale. Davanti a un uomo, solo una donna può costituire una piena alterità e viceversa.

Qui sta il limite intrinseco della relazione omosessuale: nella relazione omosessuale la persona non esce e non può uscire dal cerchio del sé per autotrascendersi e incontrare l’altro-da-sé che è anche un altro sessuale. Non basta, ovviamente, essere eterosessuali per realizzare automaticamente una comunione totale con l’altro coniuge, ma alla relazione omosessuale manca la possibilità stessa di diventare pienamente sponsale, così che anche la relazione omosessuale più intensa e significativa resta imperfetta rispetto all’ideale della coppia coniugale. In tale contesto l’unione sessuale, non potendo esprimere una comunione sponsale, totale e reciproca, si presenta in modo insuperabile come linguaggio ambiguo.

www.avvenire.it/chiesa/pagine/rileggere-il-paradisma-della-sessualita-cristiana

 

Sacrificare la propria identità pur di abbracciare una vocazione,

condurrebbe al paradosso di una vocazione che si realizza non donando se stessa

Parlare di tendenze omosessuali “profondamente radicate” oppure “espressione di un problema transitorio” quando si parla di giovani laici, ma anche di candidati al sacerdozio ha poco senso. Non solo perché l’omosessualità è ormai termine che definisce un arcipelago di situazioni complesse ma anche molto diverse tra loro, ma anche perché l’orientamento sessuale è solo un tratto della personalità, certo di grande rilievo, ma che non può definire complessivamente la persona, neppure dal punto di vista vocazionale.

È l’opinione di don Stefano Guarinelli, sacerdote e psicologo che si è occupato a lungo del tema soprattutto in riferimento ai seminaristi. L’ha fatto per esempio sulla “Scuola Cattolica” (Edizioni Àncora), la rivista teologica del Seminario di Milano, con due ampi articoli sulla “Formazione del seminarista con orientamento omosessuale” (n.3/2018 della rivista, pp.445-474 e n.4/2018 pp.503-533). Nella sua riflessione il sacerdote psicologo spiega tra l’altro che l’omosessualità è uno spazio vasto e in gran parte indefinito e vale più come “contenitore” di situazioni differenti alcune delle quali non rientrano nei criteri indicati dai documenti del magistero, eppure esigono un’interpretazione.

            Nel valutare la personalità dei candidati al sacerdozio o dei seminaristi lei scrive che “è doveroso affermare che l’orientamento omosessuale non è patognomonico”. Ma possiamo dire questo solo perché il Dsm (il Manuale diagnostico statistico dei disturbi mentali compilato dall’American psychiatric association) ha cancellato l’omosessualità dalle patologie o perché ne siamo veramente convinti?

            Il fatto che il Dsm abbia “derubricato” l’omosessualità rende quel sintomo non più significativo proprio in quanto sintomo. Evidenziare che il sintomo omosessuale non è patognomonico, invece, non significa renderlo insignificante. Significa riconoscere, piuttosto, che esso procede o può procedere da una costellazione complessa di dinamismi (individuali e sociali) al punto da ridurre il dato in se stesso a qualcosa di estremamente povero per le informazioni che porta. In altre parole: a coloro che affermano che l’omosessualità non sia un problema, noi non possiamo limitarci ad affermare che continuiamo a pensare che lo sia. Dovremmo dire, piuttosto, che quando parliamo di omosessualità, in realtà, stiamo parlando di cose molto diverse fra di loro, così che il solo riferimento al termine è vago al punto da risultare perfino poco rilevante.

Nel documento della Congregazione per l’educazione cattolica si parla di tendenze omosessuali “profondamente radicate” oppure “espressione di un problema transitorio”. Perché queste due definizioni rischiano di risultare entrambe imprecise?

Perché tutto ciò che si riferisce all’identità individuale (di cui il genere è comunque un elemento qualificante) non è espressione una mente isolata, ma procede sempre dall’interazione fra il dato biologico e quello culturale. La cultura, dunque, ha una parte importante nel plasmare e legittimare quei simboli che il soggetto individuo giungerà ad assumere come tratti della propria identità psicologica. Ciò è di grande rilievo, sia quando ci riferiamo a dinamismi che parrebbero radicati, sia quando ci riferiamo a dinamismi che parrebbero transitori.

Ad esempio: fino a non molti anni fa, una certa confusione riguardo alla propria identità di genere non era rara in adolescenza. La si considerava transitoria perché la cultura promuoveva in modo netto alcuni simboli che identificavano (appunto) il maschile e il femminile, e l’adolescente “sapeva” che lì doveva arrivare. Non sto qui a valutare se ciò derivasse dalla sola legittimazione di alcuni stereotipi, se fosse bene o se fosse male. Di fatto quei simboli “c’erano” ed erano piuttosto nitidi. Là dove i simboli diventano meno nitidi, meno condivisi, la transizione può prolungarsi nel tempo o, addirittura, stabilizzarsi come transizione. Evidentemente una transizione che si stabilizza non è più una transizione. In ogni caso, questo stato di cose svela che il soggetto individuo non è proprietario assoluto dei propri simboli identitari. Non è lui a sceglierli (non del tutto, perlomeno); non è lui il proprietario unico di quelle caratteristiche, anche se è convinto di esserlo. Ciò che vale per quanto è considerato “transitorio”, vale anche per ciò che è riconosciuto come “radicato”.

Secondo la dottrina anche una persona con tendenze omosessuali “profondamente radicate” deve cercare di “realizzare la volontà di Dio nella propria vita”, anche cercando di non essere quello che è. Qui non c’è contraddizione tra il teologicamente corretto e il bene umanamente possibile?

            A mio parere qui si trascura il fatto che all’interno della personalità ogni tratto (compreso dunque l’orientamento sessuale) partecipa dell’intero e non è, invece, un elemento irrelato. Il che significa che la persona che afferma di avere un orientamento omosessuale andrà conosciuta in quella complessità inedita di cui quel tratto è una parte, ma non il tutto, e che pure con quel tratto esprime qualcosa della propria umanità. Trascurare questo stato di cose conduce ad alcune derive, psicologiche ma pure teologiche. In primo luogo, isolare il tratto dicendo forse che quella persona è ok, tranne che per quella “stranezza”, significa non riconoscere che quella “stranezza”, sarà pure una stranezza, ma rende quella persona unica, con delle caratteristiche singolari, che sono anche al di là dell’orientamento sessuale in senso stretto. Se mi limito a considerare quella persona a partire dal solo tratto, sto facendo una lettura riduttiva, dunque irrispettosa di quanto quella persona nella sua ricchezza e complessità comunque esprime. E si badi bene: esprime proprio perché quel tratto “c’è”; e non, invece, “nonostante” quel tratto. A scanso di equivoci: tutto ciò non presuppone una valutazione positiva o negativa del tratto in se stesso. Proprio perché ogni singolo tratto non procede in modo isolato e isolabile, un talento, così come pure una vulnerabilità e perfino un difetto evolutivo, possono essere negativi o positivi a partire dal grado di integrazione della personalità. Una intelligenza non integrata può essere inutile e perfino disastrosa, così come una aggressività e una depressione bene integrate possono essere straordinariamente feconde.

Dire questo non mi costringe ad affermare che la depressione e l’aggressività siano buone. In questo senso, nemmeno l’intelligenza da sola, paradossalmente, lo è. Certo, dell’intelligenza si può dire che potenzialmente sia buona. Eppure, “potenzialmente” non esiste. Esiste nei fatti, cioè nei comportamenti. In secondo luogo, incorporare il tratto e chiedere il sacrificio come modo “vocazionale” di vivere, ad esempio, la propria omosessualità non è in sé una richiesta sbagliata, a patto che ciò non equivalga ad affermare che tutta la personalità deve “sacrificarsi”. Perché se il tratto non può essere isolato, ma del legame con gli altri tratti non ci si avvede a sufficienza, chiedere di sacrificare quel tratto è come esigere di prescindere da se stessi. Il che condurrebbe al paradosso di una vocazione che si realizza, non donando se stessi, ma prescindendo da se stessi. Le due espressioni non si equivalgono. Saremmo distanti dalla logica dell’Incarnazione, ma pure dal dono di sé cristiano: esso procede da un apprezzamento di sé, giacché non fa un dono colui che disprezza ciò che dona. E saremmo altrettanto distanti dalla logica dei carismi che è categoria chiave per comprendere ogni vocazione cristiana.

            Quando si parla di orientamento sessuale e di identità di genere spesso si rivendica una “pretesa teoretica” che quasi sempre risulta una semplice opinione oppure rimanda a un approccio culturale tutto da dimostrare. Il magistero non dovrebbe tener conto dell’estrema variabilità delle teorie a riguardo?

            È vero. La grande frammentazione delle psicologie rende l’interpretazione del “fenomeno umano” estremamente controversa, soprattutto là dove non si colgono le antropologie implicite che soggiacciono alla molteplicità delle prospettive. Il risultato non può che essere di grande confusione. Il che non è necessariamente un male, perché fa comprendere che, appunto, quel “fenomeno umano” è realtà di complessità ineguagliabile e che ogni interpretazione rappresenta una prospettiva, cioè l’osservazione a partire da un particolare punto di vista. La confusione non è perciò un problema, quando sollecita, prima di tutto, un atto di umiltà e, subito dopo, un rilancio della ricerca. Diventa un problema, invece, quando favorisce una via d’uscita che si erge con la pretesa di essere una sorta di prospettiva assoluta. Un punto di vista diventa “il” punto di vista. È indubbio che osservare le cose da una sola prospettiva “semplifichi” l’osservazione. Il guaio è che la rende meno reale. Nel caso dell’omosessualità accade qualcosa del genere, ad opera dei suoi molti “osservatori”, cultura, media, psicologia e Chiesa, compresi.

La questione della legittimità morale degli atti omosessuali è problema così teologicamente spinoso che ormai si preferisce lasciarlo alla coscienza della persona. Ora è vero che il magistero più recente –Amoris lætitia: – non si esprime a riguardo, ma davvero non possiamo dire nulla su questo punto?

            In realtà la valutazione della legittimità morale dei comportamenti non è semplicemente lasciata alla coscienza della persona: la dottrina, in questo, è chiara. Ciò non esime, tuttavia, dalla necessità di approfondire e capire, di più e meglio (cf il § 2 della lettera del 1986, della Congregazione per la Dottrina della Fede, sulla cura pastorale delle persone omosessuali).

Assistiamo, invece, a prese di posizione che hanno dell’assiomatico. La psicologia del Dsm, a mio parere, procede in questo modo e non interpreta il dato. Mi sento di dire, tuttavia, che la Chiesa spesso non fa di meglio. In questo senso, allora, la teologia, quale riflessione critica sul dato di fede, potrebbe essere di grande aiuto. Gli spazi di indagine sono diversi e andrebbero tutti percorsi. I problemi sorgono quando su questo tema si considera, ancora una volta, una sola prospettiva, sottovalutando di fatto la grande complessità che riveste. Nel senso comune viene imposta una linea che vede nella sola cultura lo spazio di costruzione dei simboli sessuali. Ritengo che l’intreccio natura-cultura sia assai più articolato, ove le due istanze non solo interagiscono, ma reciprocamente – come ci mostrano le neuroscienze – giungono a trasformarsi. Detto questo, tuttavia, una riflessione teologica dovrebbe considerare che la stessa rivelazione biblica mostra forme di amore imperfetto, eticamente distorto, in qualche caso perfino patologico, eppure capaci di esprimere qualcosa dell’amore di Cristo e per Cristo.

Come immagine, mi piace ricorrere al brano di Lc 7,36-50 [unzione profumata dei piedi a casa di Simone]: Gesù accoglie il gesto della prostituta, perché quel gesto, probabilmente, era il solo linguaggio che quella donna conosceva per avvicinarsi fisicamente ad un uomo. Gesù non approva la condotta della donna, eppure “si lascia fare”, riconoscendo che, comunque, attraverso quel linguaggio pure sbagliato, la donna sta esprimendo amore. Né saprebbe farlo diversamente. Se cerchiamo di giungere alla perfezione dei gesti e dei comportamenti, non giungiamo al Vangelo.

Il Vangelo è di più della somma delle perfezioni umanamente esprimibili. In questo è realmente Grazia. Certo, non dobbiamo essere ingenui al punto da ignorare che un gesto imperfetto, seppure nella Grazia del Signore, può condurre comunque a sofferenza, ma può perfino opporsi alla Grazia. Non si può dire, perciò, che “basta l’intenzione”! Ancora la teologia, con il contributo delle scienze umane, potrebbe fruttuosamente riflettere su quei dinamismi, fisici, psichici ed etici, che fanno prevalere gli ostacoli (dunque la sofferenza) all’azione della Grazia.

Ancora nel testo di Lc 7, Grazia e dolore sono ugualmente presenti. Voglio pensare che questi siano gli indicatori di un cammino. Far prevalere, per ingenuità, la bontà della sola intenzione rischierebbe di condurre a una vita distorta. Non accada, tuttavia, che per mancanza di fiducia nella Grazia del Signore, si vada alla ricerca di un umano “perfetto”, ponendo quella perfezione come condizione per l’esperienza di Lui. A nessuno – dico: a nessuno – questa può essere negata. L’imperfezione è di casa in moltissimi ambiti dell’umano: qui siamo ben oltre la questione dell’orientamento sessuale. Molti modi di essere eterosessuale sono imperfetti, come lo sono altrettanti modi di essere celibe, o single. Di nuovo: occorre interpretare il dato, ogni dato, così che ogni persona (perfetta o più probabilmente imperfetta) possa vivere e non ostacolare il dono dello Spirito Santo che è in lei.

www.avvenire.it/chiesa/pagine/abusi-nella-chiesa-3

 

La situazione esistenziale delle persone omosessuali non è un ostacolo insuperabile

nella vocazione all’amore

Il bene della persona non deriva soltanto dal rispetto della norma ma anche dalla qualità delle relazioni interpersonali. «Oggi siamo invitati a comprendere come la relazione nell’orizzonte della comunione delle persone rappresenti il bene cui tendere e che lo stesso legame uomo-donna non ne esaurisce tutte le forme umane di espressione, anche sotto il profilo affettivo». Nessun proposito di superare la bellezza della differenza sessuale, ma anche la consapevolezza che, all’interno di una relazione, la mancanza di questa differenza non appare né colpevole né patologica, «perché la condizione esistenziale delle persone omosessuali non è un ostacolo insuperabile nella vocazione all’amore». Sono parole che fanno riflettere quelle di don Pier Davide Guenzi, presidente dell’Associazione dei teologi morali e insegnante di teologia morale e di etica sociale alla Facoltà teologica dell’Italia settentrionale.

            Il n. 250 di Amoris lætitia, a proposito dell’aiuto pastorale che la Chiesa dovrebbe assicurare alle persone omosessuali, ribadisce che ciascuno “indipendentemente dal proprio orientamento sessuale, va rispettato nella sua dignità e accolto con rispetto”. E aggiunge che le persone omosessuali devono avere “gli aiuti necessari per comprendere e realizzare pienamente la volontà di Dio nella loro vita”. Queste sottolineature erano già presenti nel documento del 1986 sulla “Cura pastorale delle persone omosessuali”. Però, a differenza di quel testo, in Amoris lætitia, manca completamente la condanna etica dei gesti omosessuali. Come interpretare questa scelta?

In Amoris lætitia, Francesco, alla luce di una più profonda considerazione dei vissuti, talora difficili, delle persone, sviluppa un’operazione “ricostruttiva” sulla tradizione normativa della Chiesa e le argomentazioni sostenute, che avrebbero potuto mettere in ombra elementi imprescindibili nella valutazione dell’agire, come nel caso del discernimento personale e del giudizio di coscienza. Il testo della Congregazione della Fede del 1986 sottolinea l’atteggiamento fondamentale che deve guidare l’accoglienza e la valorizzazione delle persone omosessuali come elemento prioritario e contesto all’interno del quale aiutare e sostenere la persona a valutare il bene possibile da realizzare nella propria esistenza in riferimento alla propria condizione.

La legge viene dopo la priorità dell’amore accogliente. E se la tradizione della Chiesa non può essere espressa solo dalla norma morale (cfr.AL 305), il processo di discernimento sulle scelte personali può essere riconsiderato non solo per le cosiddette situazioni “irregolari” all’interno del matrimonio. Ciò è chiarito in AL 250 dove il Pontefice, sottolinea l’importanza di offrire tutti gli “aiuti necessari” perché le persone omosessuali, come del resto ogni fedele, possano aprirsi positivamente al bene della vita e della relazione con una attenta considerazione della propria situazione esistenziale. Questa non è vista solo come una difficoltà o un ostacolo insuperabile nei confronti della vocazione all’amore. Ne rappresenta il contesto reale all’interno della quale ciascuno è chiamato a decidere di sé come corrispondere personalmente all’amore di Dio.

Le parole chiave di Amoris lætitia, – accompagnare, discernere, integrare – valgono quindi anche per le persone omosessuali?

I tre verbi non devono essere riferiti solo al caso considerato nel capitolo VIII di AL. Che debbano estendersi anche su altre problematiche è espressamente chiarito da Francesco quando afferma, dopo aver ribadito la prospettiva di inclusione (e non di sospensione o di esclusione) come fondamentale atteggiamento ecclesiale, che tale “logica evangelica” è riferibile non solo “ai divorziati che vivono in una nuova unione, ma a tutti, in qualunque situazione si trovino” (AL 297).

In questa prospettiva è significativo come il Documento finale del Sinodo 2018 sui giovani al paragrafo 150 si richiami ai tre verbi di AL per suggerire pratiche ecclesiali di “accompagnamento nella fede” dove i credenti omosessuali sono aiutati “a leggere la propria storia; ad aderire con libertà e responsabilità alla propria chiamata battesimale; a riconoscere il desiderio di appartenere e contribuire alla vita della comunità”. Tale percorso risulta finalizzato a “discernere” le migliori forme per realizzare la propria vocazione personale ed ecclesiale da parte della persona omosessuale e a “integrare” “sempre più la dimensione sessuale nella propria personalità, crescendo nella qualità delle relazioni e camminando verso il dono di sé”. In questo senso non si limita alla sincera accoglienza, a un profondo percorso di discernimento sulla verità della propria persona, ma definisce un traguardo, con il verbo “integrare”, che si impone come esito di un percorso che non può essere interminabile, né senza sbocchi.

            A lungo la teologia morale ha radicato la sua condanna nei confronti dei gesti omosessuali con la legge naturale. Come mai oggi si sta rivedendo il rapporto tra natura e cultura?

Nel dibattito di questi anni abbiamo imparato che la legge naturale va continuamente ripensata. Ci sono dinamismi profondi propri di ciascun soggetto umano che domandano di essere rispettati in quanto inerenti la struttura antropologica. Ma esiste anche un governo della ragione nella realizzazione di tali dinamismi in accordo alla responsabilità personale e storico-concreta. Inoltre non dobbiamo dimenticare come il riferimento alla legge naturale è sviluppato all’interno di una lettura teologica della realtà che, cioè, fa riferimento al progetto di amore di Dio sulla creazione e sulle creature; non unicamente a evidenze di ragione che si impongono a prescindere da tale orizzonte complessivo. Una concezione non meramente “biologica” della natura è, pertanto, accessibile a partire dalle forme della cultura predisposte dalla retta ragione umana. Così l’idea di legge naturale funge da elemento critico per il discernimento di quanto nelle tradizioni umane consenta o meno l’apertura al compimento integrale e definitivo dell’uomo non astrattamente pensato, ma di ogni essere umano, nella singolare dignità che gli/le è propria.

            Quindi lei è d’accordo con quella teologia che sostiene l’urgenza di passare dal paradigma naturalistico a quello relazionale?

All’interno della teologia morale cattolica si è insistito per una migliore comprensione dell’affettività e della vita sessuale, non solo a partire dal dato espresso dalla “natura”, ma dall’elemento che la qualifica sotto il profilo umano, cioè la relazione intersoggettiva. Ciò ha consentito di mettere in luce potenzialità costruttive, ma anche limiti inerenti ai vissuti, ben più profondi rispetto al semplice rispetto della dimensione procreativa della sessualità. Così la relazione, che qualifica una specificità umana, comporta l’attenzione alle differenze personali chiamate a entrare in comunione per evidenziare l’unità fondamentale del genere umano come aspetto più radicale e decisivo rispetto alle stesse differenze. Sollecitati anche dai vissuti delle persone omosessuali credenti, oggi siamo invitati a comprendere come la relazione nell’orizzonte della comunione delle persone rappresenti il bene cui tendere e che lo stesso legame uomo-donna non ne esaurisce tutte le forme umane di espressione, anche sotto il profilo affettivo. In questa luce anche la relazione omosessuale esprime potenzialità e limiti inerenti ai legami umani di tipo affettivo, non solo in riferimento alla valutazione morale dei comportamenti, ma anche nel segno positivo di arricchimento reciproco delle persone impegnate in esse.

            I gesti affettivi delle persone omosessuali sarebbero eticamente negativi in quanto svuotati del valore della differenza. Anche questa è una sottolineatura che va rivista?

Abitualmente si afferma che la ricerca affettiva e sessuale dell’uguale a sé caratterizza la persona omosessuale. Tale prospettiva introduce l’idea di una mancanza nella percezione del valore della differenza del maschile e del femminile che renderebbe, prima ancora che non giustificabile sotto il profilo degli atti, non pienamente significativa o compiuta l’affettività omofiliaca. Tuttavia occorre riconoscere che tale esperienza della differenza non è ciò che fa prioritariamente problema, in quanto già la dimensione dell’”essere figlio”, comune a ogni essere umano, consente a ciascuno di sperimentare la differenza sessuale.

Semmai nella persona omosessuale non è sentita come promettente per la propria vita la relazione uomo-donna in quanto non radicata nella dimensione profonda del desiderio dell’altro/dell’altra. Tuttavia tale mancanza non è di per sé “colpevole” (e tantomeno patologica).

Rappresenta un elemento del proprio modo di essere al mondo che deve essere elaborata consapevolmente. La questione che può essere posta, ma che domanda di essere studiata meglio, è se tale “mancanza” possa limitare l’accesso alla relazione con l’altro o il percorso di presa di coscienza della propria identità, prima ancora che della moralità delle proprie singole azioni. Ogni essere umano, indipendentemente dal proprio orientamento sessuale, esperisce una mancanza alla propria radice. Il proprio essere situato nel mondo rappresenta non solo l’opportunità aperta al dischiudersi dell’esistenza, ma anche la riconduzione entro il limite esistenziale proprio di ciascuno; limite che è da abitare in quanto, appunto, condizione insuperabile per l’accesso al sé e alla costruzione delle buone relazioni con l’altro.

            Sullo sfondo rimane sempre quella definizione del Catechismo a proposito di una condizione omosessuale “moralmente disordinata”. Una posizione insuperabile?

L’affermazione, da ricondurre al testo della Congregazione per la dottrina della fede del 1986, non è priva di ambiguità in quanto considera la “condizione personale” come “una tendenza, più o meno forte, verso un comportamento intrinsecamente cattivo dal punto di vista morale” (n. 3) e, in un altro passaggio, lascia intendere come tale condizione sia, sotto il profilo etico, “disordinata” (cfr. n. 6). Il documento non si limita a stigmatizzare, come la tradizione precedente, l’immoralità dei singoli atti omosessuali perché “intrinsecamente disordinati”, ma, pur ammettendo la distinzione tra gli atti e la “condizione”, “tendenza” o “costituzione” (espressioni di fatto sinonimiche nei testi magisteriali) tende a comprenderla come situazione di permanente rischio di peccato. Non sono mancate reazioni critiche a questo inciso, nel quale sembra ampliarsi l’ambito del giudizio etico da quello specifico degli atti, all’identità della persona, fino ad accentuare la colpevolezza per tale condizione esistenziale.

Alla luce di questa valutazione occorre comprendere come, già all’interno dello stesso discernimento etico intra-ecclesiale, risulti di difficile composizione il principio del rispetto della dignità della persona con la considerazione della sua “inclinazione”, da ritenersi “oggettivamente disordinata”.

            Mi perdoni l’insistenza, ma quindi il problema rimane sempre quello della liceità degli atti omosessuali?

La posizione argomentata dalla tradizione è di evidenziare la possibilità di azioni che, in se stesse, rappresentano una deviazione rispetto alla regola morale degli atti sessuali. Va tuttavia distinto il piano descrittivo delle azioni rispetto a quello interpretativo, per il quale fondamentale è il rapporto tra l’intenzione del soggetto e il senso delle proprie azioni. A riguardo possono essere ritenuti “imperfetti” altri comportamenti sessuali anche all’interno della vita di una coppia stabile eterosessuale. Ci sono comportamenti che non raggiungono (o non tengono in considerazione in modo adeguato) il significato personale, inter-personale e generativo della sessualità umana, chiamando in causa l’esercizio responsabile della propria decisione più che il loro profilo oggettivo. In questo senso già nel 1975 il documento della Congregazione della fede Persona humana, riconoscendo la possibilità di una omosessualità radicata nella struttura personale, invitava a giudicare “con prudenza” la colpevolezza relativa agli atti sessuali di questo tipo e suggeriva la necessità di una lettura etica dell’azione non unicamente sulla base della sua descrizione fisica. La prudenza invocata non allude a un semplice atteggiamento di sospensione di ogni giudizio, ma sottolinea la necessità di considerare tutti gli aspetti rilevanti del problema per assicurare a ciascuna persona di poter vivere nella propria condizione i più alti valori umani e cristiani. La condizione personale non può essere considerata nell’ottica della prudenza una semplice attenuante alla responsabilità soggettiva circa il valore di atti oggettivi, ma è un elemento rilevante per la chiarificazione del senso integrale del proprio agire. Non bisogna dimenticare che la virtù e l’esercizio della prudenza resta nello sfondo, ma comunque è determinante, della descrizione che Francesco Amoris lætitia fa del percorso di discernimento personale ed ecclesiale delle situazioni personali complesse.

            In questi anni si è puntato spesso il dito contro la cosiddetta cultura gender, nella convinzione che si trattasse di un approccio teso a demolire la verità della differenza sessuale tra uomo e donna per privilegiare le rivendicazioni delle lobby lgbt. Una lettura corretta o una semplificazione che non contribuisce a far chiarezza?

Si tratta di un dibattito importante che ci insegna molte cose. Abbiamo imparato a governare il rischio dell’ideologia, a non semplificare in modo fazioso ragionamenti che non possono essere fuorvianti. Abbiamo imparato a scavare dentro la complessità, oltre l’ideologia che ignora sempre il confronto. Abbiamo imparato che ci può essere un percorso in cui si può imprigionare la riflessione sul genere, anche in ambito ecclesiale, in categorie che accentuano le problematicità, mettendo da parte il loro contributo positivo per la chiarificazione dello sviluppo della personalità che si svolge su più livelli psicologici, sociali e culturali e non semplicemente come sviluppo del dato biologico del maschile e del femminile. Ma abbiamo anche imparato che ci possono essere rischi connessi alla accentuazione del genere, là dove potrebbe condurre all’annullamento che il senso della differenza sessuale viene ad avere nella costruzione del sé personale e nelle dinamiche relazionali. E su questo non dobbiamo smettere di riflettere.

Luciano Moia                        Avvenire 19 febbraio 2019

www.avvenire.it/chiesa/pagine/abusi-nella-chiesa-4

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PARLAMENTO

Senato della Repubblica – Commissione Giustizia – Affido dei minori

4 dicembre 2018. L’Ufficio di Presidenza, integrato dai rappresentanti dei Gruppi, ha svolto alcune audizioni informali di Associazioni nell’ambito dell’esame dei Disegni di legge nn. 45, 118, 735, 768 e 837, in materia di affido di minori.

www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?          

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PATERNITÀ

Il tempo dei padri

Avere un figlio ti cambia la vita. Questo è senz’altro vero per le madri italiane, molto meno per i padri. La difficoltà della politica a rafforzare il congedo di paternità, la resistenza passiva dei datori di lavoro, la poca determinazione dei padri italiani a pretenderlo, sono una chiara conferma. Esiste qualche segnale dell’emergere di un nuovo ruolo paterno, all’interno però di un cambiamento ancora lento.

Il recente caso del trentenne chef stellato Matteo Metullio, che lascia provvisoriamente da parte una brillante carriera per dedicare il suo tempo al figlio, si pone sulla punta di un iceberg che ha ancora un’enorme parte sommersa. Alcune indicazioni interessanti dell’atteggiamento delle nuove generazioni sul rapporto tra lavoro e famiglia si possono trarre da un’indagine dell’Osservatorio giovani dell’Istituto Toniolo, condotta a gennaio su un campione rappresentativo di giovani tra i 20 e i 34 anni, fascia in cui rientra lo stesso Metullio. I dati evidenziano come per le giovani donne italiane sia fortemente sentito il tema della conciliazione tra carriera e figli, per la carenza di servizi per l’infanzia ma anche per la scarsa collaborazione dei padri. La preoccupazione principale è quella di mantenere il lavoro e le laureate sono quelle che maggiormente riescono a gestire i due ruoli. Sul fronte maschile, sono soprattutto coloro che hanno un titolo di studio basso a intensificare l’attività lavorativa quando arriva un figlio, per far fronte alle maggiori spese. Questo accade ancor di più se la madre non lavora o si trova a dover lasciare l’impiego. La bassa occupazione femminile e i bassi redditi da lavoro di ampie fasce sociali costituiscono un freno sia per la natalità, sia per il tempo dedicato ai figli da parte dei padri.

Esiste però anche un aspetto culturale, messo in evidenza dai dati sui giovani che non hanno ancora figli e a cui è stato chiesto che cosa deciderebbero di fare nel caso diventassero genitori avendo un lavoro a tempo pieno. Le donne laureate si dividono quasi equamente tra chi diminuirebbe e chi manterrebbe l’impegno lavorativo, mostrando un forte interesse a combinare la realizzazione in entrambi gli ambiti di vita. Le donne con basso titolo di studio in quasi due casi su tre opterebbero invece per una riduzione sul fronte occupazione. Dal lato maschile la situazione si ribalta, rendendo evidente anche come le scelte di conciliazione siano legate alle strategie di coppia, a loro volta dipendenti non solo da preferenze ma anche da mancanza di opportunità e vincoli presenti sul mercato del lavoro.

In particolare il 29,5% dei laureati afferma che aumenterebbe l’impegno lavorativo per incrementare il reddito, contro il 34,6%di chi ha titolo di studio basso. I primi nel 50,1% dei casi manterrebbero lo stesso carico di lavoro e il 20,4% lo ridurrebbe ” per dedicare più tempo alla famiglia”. I corrispondenti valori sono 48,5% e 16,9% per chi si è fermato alla scuola dell’obbligo. In sintesi, il tempo paterno continua a essere una risorsa scarsa per i bambini italiani. Per un cambiamento del ruolo dei padri è necessario che maturino nuovi modelli culturali, favoriti da esempi positivi come il caso dello chef stellato, ma serve anche che migliorino i redditi da lavoro delle fasce sociali medio-basse e che siano potenziati gli strumenti di conciliazione tra lavoro e famiglia. Si tratta di fattori che, nel loro insieme, agiscono positivamente sulla quantità delle nascite, particolarmente bassa in Italia, sull’occupazione femminile, sulla riduzione della povertà infantile, e sull’equilibrio dei rapporti di genere, oltre che sulla qualità del rapporto tra padri e figli. Con conseguenze positive di lungo periodo sul benessere economico e relazionale della famiglia.

Alessandro Rosina     la Repubblica             20 febbraio 2019

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201902/190220rosina.pdf

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                                                                   SEPARAZIONE

Anche nel giudizio di separazione può essere nominato un curatore per i minori coinvolti

Tribunale Torino, Decreto 21 dicembre 2018.

Il giudizio di separazione, nel quale vengono adottati provvedimenti che concernono il minore, non determina automaticamente, nel caso di rilevante conflittualità tra le parti in causa, una situazione di conflitto di interesse fra i genitori e figli, dovendo piuttosto ritenersi che tale conflitto possa determinarsi in concreto in relazione a comportamenti processuali delle parti che tendano a impedire al giudice una adeguata valutazione dell’interesse del minore ovvero a frapporsi alla libera prospettazione del punto di vista del minore in sede di ascolto da parte del giudice.

Si tratta, in questi casi, di una situazione di conflitto che richiede la nomina di un curatore speciale ma la cui individuazione è rimessa alla valutazione del giudice di merito (Cass. 24.5.2018 n. 12957). Nel caso di procedimento minorile, in cui già nominato un curatore, trasmesso al G.O. per competenza, l’originaria nomina della curatela va confermata, attesa la valutazione già fatta a suo tempo dal Tribunale per i minorenni.

Giuseppe Buffone       Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 21261 -. 20 febbraio 2019

Decreto                  http://divorzio.ilcaso.it/sentenze/ultime/21261/divorzio

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VOLONTARIATO

Italia tra i paesi con meno volontari. E con il più alto “tasso di solitudine”

Una rilevazione di Eurostat fornisce per la prima volta la classifica del volontariato nei 28 paesi dell’UE: siamo al 17° posto in quello formale e al 22° in quello informale. E abbiamo la maggiore quota (13,2%) di persone che non sanno a chi rivolgersi in caso di bisogno

            Dove si fa più volontariato in Europa? Fino ad oggi era molto difficile rispondere con dei dati univoci. Mancava infatti a livello statistico una risorsa capace di restituire i numeri del volontariato in maniera unitaria e coerente, poiché le numerose rilevazioni degli enti di ricerca dei singoli stati si servono spesso di standard e criteri differenti che rendono poco significativa la comparazione dei dati.

            Ma l’interesse per il volontariato a livello europeo sta crescendo. Sempre più spesso, ai livelli alti della politica comunitaria, vengono utilizzate parole quali solidarietà, volontariato e cittadinanza attiva. È proprio in questo rinnovato interesse dell’Europa per i temi sociali che si inscrive l’approfondimento che Eurostat, l’ufficio statistico dell’Unione Europea, ha dedicato alla “partecipazione sociale” all’interno della sua rilevazione EU-SILC su reddito e condizioni di vita. La fotografia che ne esce non è affatto scontata e fornisce importanti spunti su cui riflettere.

            Volontari formali e informali. La rilevazione di Eurostat – che confronta anche i livelli più generali di “cittadinanza attiva” e di utilizzo dei social network con il reddito e il livello culturale – considera riguardo al volontariato due modelli ben noti: quello definito “formale” ovvero inserito in un contesto organizzato, sia esso un ente religioso, un’associazione o un club; e quello “informale”, che si esprime autonomamente attraverso attività gratuite in favore di persone, di animali o dell’ambiente.

            I dati Eurostat, riferiti al 2015, dicono anzitutto che in Europa la media delle persone maggiori di 16 anni coinvolte in attività formali di volontariato è del 19% sul totale. Ma la ricchezza della pubblicazione è la possibilità di comparare i diversi contesti nazionali. Così, se vogliamo trovare la maggiore percentuale di volontari in Europa dobbiamo andare al nord, in Olanda, per la precisione, dove il 40,3% ha svolto attività di volontariato strutturata in favore degli altri. Nei paesi vicini le percentuali restano alte: Danimarca 38,7%, Lussemburgo 36,7, Svezia 35,5 e Finlandia 34,1.

            Italia diciassettesima. Pur con i suoi 5,5 milioni di volontari censiti dall’Istat, nella rilevazione Eurostat l’Italia è quasi in fondo dalla classifica: con un tasso di volontariato formale del 12% si colloca al diciassettesimo posto su 28; ma scende al ventiduesimo se ci riferiamo a chi sceglie di fare volontariato in maniera indipendente, con l’11,4% di cittadini. È interessante notare come per il nostro paese non si registri un significativo scarto tra i due modelli, al contrario di altre nazioni: in Olanda ad esempio la percentuale raddoppia, passando dal 40,3 all’82,5%, così come in Svezia dal 35,5 al 70,4, in Finlandia dal 34,1 al 74,2% o in Polonia dal 13,8 al 54,6%.

            Il tasso di volontariato formale comunque resta generalmente inferiore a quello informale (media europea 22,2%), con le due significative eccezioni di Germania e Gran Bretagna, dove i valori sono rispettivamente del 28,6 e 11,4%% e del 23,3 e 19,2%.

            Non sapere a chi chiedere aiuto. L’Italia un primato lo possiede e non è affatto positivo. Sempre secondo la rivelazione EU-SILC di Eurostat è il paese in Europa con la maggior percentuale di persone che dichiarano di non avere nessuno a cui rivolgersi – che siano parenti, amici, vicini di casa o conoscenti – per chiedere in caso di bisogno un aiuto di tipo morale o materiale. Questo valore, che potremmo denominare “tasso di solitudine”, in Italia tocca il 13,2% a fronte di una media europea del 5,9. Dall’altra parte della classifica, come esempi virtuosi troviamo Finlandia e Repubblica Ceca con 1,9%, e Slovacchia e Svezia rispettivamente 2,1 e 2,7%, seguiti dall’Ungheria e, prime nazioni mediterranee, Cipro e Spagna. Dati che possono sorprendere alla luce del “calore” e dell’ospitalità che la cultura comune attribuisce ai paesi del sud Europa rispetto a quelli del nord. Un argomento, insomma, che meriterebbe un ulteriore investimento nella ricerca. Eurostat nella stessa rilevazione aggiunge comunque ulteriori elementi, mostrando che tra le persone che dichiarano di non sapere a chi chiedere aiuto prevalgono quelle con un basso livello di scolarità e di reddito personale; forte anche il fattore età con una incidenza più alta, tra le persone “sole” di i quelle oltre i 75 anni.

            Il rapporto completo di Eurostat in

https://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php/Social_participation_and_integration_statistics#Formal_and_informal_voluntary_activities

Nicolò Triacca – CSVnet       21 febbraio 2019

www.csvnet.it/component/content/article/144-notizie/3237-italia-tra-i-paesi-con-meno-volontari-e-con-il-piu-alto-tasso-di-solitudine?Itemid=893

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