UCIPEM Unione Consultori Italiani Prematrimoniali e Matrimoniali
NewsUCIPEM n. 737 – 20 gennaio 2019
Unione Consultori Italiani Prematrimoniali E Matrimoniali
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02 ABORTO VOLONTARIO Relazione sull’attuazione della Legge 194/1978: dati definitivi 2017
03 Meno aborti, più Ru486. E l’obiezione non è un problema.
04 ABUSI Vaticano:riunione episcopale su protezione minori nella Chiesa.
05 Facoltà Teologica IC, corso x contrastarli ai formatori dei seminari.
05 Una petizione per stroncare le reti omosessuali nella Chiesa.
06 ACCADEMIA DELLA VITA Il Papa: serve una nuova bioetica “globale” nell’era della robotica.
08 Fare globale la bioetica.
08 Conferenza su Assemblea “Roboetica. Persone, macchine e salute”
08 Testi di Vincenzo Paglia, Renzo Pegoraro, Paolo Benanti, Laura Palazzani.
12 ADOZIONE INTERNAZIONALE La vera crisi dell’adozione? Disinteresse politico e culturale.
12 La causa della crisi? La fecondazione assistita.
13 AFFIDAMENTO PREADOTTIVO Procedimento e formule utili.
14 ANONIMATO Il dibattito. «Madri segrete, a rischio il diritto all’anonimato».
15 ASSEGNO DIVORZILE Cassazione: per l’assegno di divorzio vale il reddito netto dell’ex.
16 BIBBIA Tre rotte per navigare nelle Sacre Scritture.
18 CENTRO INTERN. STUDI FAMIGLIA Newsletter CISF – n. 2, 16 gennaio 2019.
20 CENTRO ITALIANO SESSUOLOGIA Master Criminologia e Psicopatologia Comportamento Sessuale.
20 CHIESA CATTOLICA Il peccato dell’Ecclesia Dei si chiama Summorum Pontificum.
22 CONFERENZA EPISCOPALE ITAL. Card. Bassetti: “Noi cattolici non disertiamo le sfide impegnative”
23 Tutela dei minori, approvato il Regolamento. Comunicato finale
23 CONSULENZA COPPIA E FAMIGLIA Nuove regole per il Patrocinio AICCeF.
24 CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM Pescara. Sportello scolastico di ascolto e intervento psicologico.
24 Vittorio Veneto. Lutto nel Centro per don Giacinto Padoin.
25 COUNSELING Cos’è il counseling.
27 DALLA NAVATA 2° Domenica del Tempo ordinario – Anno C – 20 gennaio 2019
27 Cana, i nostri cuori come anfore da riempire
28 DIACONATO Magistero, teologia e la donna nello spazio ecclesiale.
31 DIRITTO DI FAMIGLIA Ragioni a sostegno della riforma Pillon.
40 ENTI TERZO SETTORE Terzo settore obbligo trasparenza: la circolare ministeriale.
41 FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI Reddito di Cittadinanza: «testo insoddisfacente per le famiglie».
41 Sabato 26 gennaio il Forum rilancia il valore di adozione e affido
42 GOVERNO Stop al bonus baby sitter, ma più supporto per la rata dell’asilo.
43 HUMANÆ VITÆ La libertà negata alla coppia.
46 NONNI Madre, padri e nonni. Secondo appuntamento con la scuola.
47 PARLAMENTO Senato.2°C. Affido dei minori; costrizione matrimoniale minori.
47 PASTORALE Civitavecchia, percorso per coppie in difficoltà e “dal cuore ferito”.
47 PSICOLOGIA DI COPPIA Caro, sono infelice ma non ti mollo. Resto con te per altruismo.
49 SESSUOLOGIA Totalitarismo vuole il controllo su origini vita: il sesso e la famiglia.
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ABORTO VOLONTARIO
Relazione del Ministro della Salute sull’attuazione della Legge 194/1978. Dati definitivi 2017
La Relazione è stata trasmessa al Parlamento il 18 gennaio 2019.
ü In totale nel 2017 sono state notificate 80.733 IVG, confermando il continuo andamento in diminuzione del fenomeno, in misura leggermente maggiore rispetto a quello osservato nel 2016 (meno 4.9% rispetto al dato del 2016 e meno 65.6% rispetto al 1982, anno in cui si è osservato il più alto numero di IVG in Italia pari a 234.801 casi).
ü Diminuzioni percentuali particolarmente elevate si osservano in Liguria, Umbria, Abruzzo e PA di Bolzano, mentre la PA di Trento è l’unica con un lieve aumento di interventi.
ü Tutti gli indicatori confermano il trend in diminuzione: il tasso di abortività (n. IVG rispetto a 1000 donne di 15-49 anni residenti in Italia), che rappresenta l’indicatore più accurato per una corretta valutazione della tendenza del ricorso all’IVG, è risultato pari a 6.2‰ nel 2017, con un decremento del 3.3% rispetto al 2016 e con una riduzione del 63.6% rispetto al 1982. Il dato italiano rimane tra i valori più bassi a livello internazionale
ü Il rapporto di abortività (n. IVG rispetto a 1.000 nati vivi) nel 2017 è risultato pari a 177,1‰ nati vivi (o 17.7% nati vivi), con una riduzione del 2.9% rispetto al 2016 e del 53.4% rispetto al 1982. E’ da considerare che in questi ultimi anni anche i nati della popolazione presente sul territorio nazionale sono diminuiti di 9.643 unità.
Relazione al Parlamento IVG 2017, dati 2017 (completa di allegati)
www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_2807_allegato.pdf
Attività dei consultori familiari per l’IVG estratto pag. 53
Anche per il 2017 è stata effettuata la rilevazione dell’attività dei consultori familiari per l’IVG, e sono stati raccolti i dati per l’85% dei consultori. E’ stato richiesto, come gli anni precedenti, il numero di donne che hanno effettuato il colloquio previsto dalla Legge 194/1978, il numero di certificati {documenti nel testo della legge: il certificato è usato solo per le urgenze – vedi art. 5} rilasciati, il numero di donne che hanno effettuato controlli post IVG (in vista della prevenzione di IVG ripetute).
Non è stato ritenuto utile rilevare il numero di ginecologi obiettori di coscienza in quanto il dato rilevato negli anni precedenti non aveva rilevato criticità.
La raccolta dati è stata particolarmente difficoltosa, considerando anche la grande difformità territoriale dell’organizzazione dei consultori stessi, che mutano spesso di numero a causa di accorpamenti e distinzioni tra sedi principali e distaccate, la cui differenziazione spesso non è chiara e risponde a criteri diversi fra le diverse regioni. Inoltre è emerso che molte sedi di consultorio familiare sono servizi per l’età evolutiva o dedicati agli screening dei tumori femminili pertanto non svolgono attività connesse al servizio IVG.
Ciò è determinato dal fatto che la codifica delle strutture prevede una sola specifica per la funzione consultoriale che non permette di distinguere tra le diverse tipologie di servizi offerti. Anche questo ambito di rilevazione conferma la grande variabilità tra le Regioni, in questo caso nel ricorso al consultorio per le attività collegate all’IVG.
Al fine di aggiornare la mappatura delle sedi e dell’attività svolta dai Consultori familiari nel 2018 è stato avviato uno specifico progetto CCM [Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie] coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità.
Dai dati raccolti, come negli altri passati emerge un numero di colloqui IVG superiore al numero di certificati rilasciati (48.769 colloqui vs 34.800 certificati rilasciati), ciò potrebbe indicare l’effettiva azione per aiutare la donna “a rimuovere le cause che la porterebbero all’interruzione della gravidanza” (art. 5 L.194/1978). Per quanto riguarda i controlli post IVG risulta un numero minore rispetto a quello dei certificati rilasciati, in parte ciò è dovuto al fatto che il colloquio post IVG viene registrato, in molti consultori, nei flussi informativi come generica visita di controllo e quindi alcune regioni hanno fornito un dato parziale. Tuttavia ciò è anche un segnale che è necessario ancora puntare su una migliore integrazione ospedale-territorio.
Negli ospedali in cui si sono effettuate le IVG è efficace il suggerimento per un colloquio post – IVG in consultorio, più adeguato rispetto alle strutture ospedaliere a effettuare azioni di sostegno e counselling personalizzato e costante, nel tempo. La consulenza post – IVG è una buona occasione di promozione per una procreazione responsabile, pertanto sarebbe importante promuoverla e implementarla ulteriormente.
Tabelle IVG 2017
www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_2807_ulterioriallegati_ulterioreallegato_0_alleg.pdf
Ministero della salute 18 gennaio 2019
www.salute.gov.it/portale/donna/dettaglioPubblicazioniDonna.jsp?lingua=italiano&id=2807
I dati sulla legge 194. Meno aborti, più Ru486. E l’obiezione non è un problema
80mila aborti: sempre tanti, troppi, ma il 4,9% in meno in un solo anno, mentre cresce l’incidenza di quelli farmacologici e gli obiettori restano stabili. Sono i dati ministeriali sulla 194 nel 2017.
L’obiezione di coscienza? Non è un problema, anche perché il tasso di medici obiettori è sempre uguale e gli aborti sono in rapido calo. L’affermazione non è di qualche associazione pro-life ma del Ministero della Salute, che confermando le rilevazioni condotte dal 2013 e basate su parametri di calcolo specifici (i carichi di lavoro settimanale per medico obiettore e la diffusione dei “punti Ivg” rispetto ai “punti nascita”) ha concluso che «non si evidenziano particolari criticità nei servizi» di interruzione volontaria di gravidanza. La constatazione è uno dei dati salienti dell’annuale relazione al Parlamento sull’attuazione della legge 194\1978 depositata in Parlamento il 18 gennaio – con solo qualche giorno di ritardo rispetto all’anno precedente – dal Ministero della Salute.
Ed è tanto più significativa visto che la relazione sui dati completi del 2017 è la prima firmata dal nuovo ministro Giulia Grillo (M5s), di orientamento e sensibilità diversi rispetto a colei che l’ha preceduta, Beatrice Lorenzin. La conferma che gli obiettori non sono “troppi”, come insiste a dire una tenace campagna d’opinione, arriva dunque dalla fonte più autorevole, e insieme a un dato medio nazionale stabile (al 68,4% tra i ginecologi) dovrebbe chiudere la polemica che però intanto ha già legittimato la decisione da parte di alcune Regioni come di singole Asl di spostare l’aborto farmacologico dalla gestione con ricovero a quella in day hospital, e persino cause in sede europea e l’indizione di concorsi per ginecologi ospedalieri riservati ai soli medici non obiettori.
Cresce l’uso della pillola abortiva. Il nesso con la somministrazione della Ru486 è evidente, tanto più che – altro dato significativo della relazione ministeriale – il metodo farmacologico sta guadagnando rapidamente terreno rispetto a quello chirurgico attestandosi nel 2017 al 17,8% dei casi (5% in più in soli tre anni, per una pratica entrata negli ospedali italiani solo nel 2010).
Meno nascite, meno aborti. Un’incidenza dunque in rapida crescita su un numero totale di aborti in continuo calo: con le 80.733 interruzioni di gravidanza del 2017 (-4,9% sul 2016) si è toccato il nuovo minimo storico (stiamo comunque parlando della popolazione di una città italiana di medie dimensioni come Varese), ma con nascite che seguono lo stesso trend ribassista (458.151, e come sappiamo l’inverno demografico sta continuando a colpire). Da considerare però anche due altri dati significativi: il tasso di abortività (interruzioni per mille donne in età fertile) diminuisce ma meno del dato assoluto (la cifra è di 6,2‰, pari a un calo del 3,3%); un andamento assai simile al rapporto di abortività (interruzioni per mille nati vivi), pari a 177,1‰ con una diminuzione in un anno del 2,9%.
Boom dei “contraccettivi d’emergenza”. Sul calo degli aborti, conferma il Ministero, ha inciso la crescente e ormai massiccia diffusione della cosiddetta “contraccezione d’emergenza”, della quale sono note – ma largamente misconosciute, e dunque negate – le potenzialità abortive su concepimenti appena avvenuti: si tratta, spiega la relazione, di «Levonorgestrel (Norlevo) – pillola del giorno dopo – e Ulipistral acetato (ellaOne) – pillola dei 5 giorni dopo, che non hanno più l’obbligo di prescrizione medica per le maggiorenni, e quindi richiedono una maggiore informazione alle donne per evitarne un uso inappropriato», annotazione quest’ultima molto significativa e sulla quale c’è dunque da attendersi una maggiore sensibilità delle autorità sanitarie rispetto alle citate decisioni in sede regionale che vanno invece nella direzione di diffondere semmai più largamente farmaci comunque dall’elevato contenuto ormonale e con effetti deresponsabilizzanti sulle condotte in particolare dei più giovani.
Tante straniere, poche minorenni. Gli aborti di donne non italiane sono ormai stabilmente attorno a un terzo del totale (30,3% di tutte le interruzioni contro il 30% del 2016) ma con un tasso di abortività in calo (15,5%), comunque più del doppio del dato globale e il triplo rispetto alle sole donne italiane. Si conferma anche la scarsa incidenza rispetto ad altre realtà europee e occidentali degli aborti di minorenni, diminuiti fino a 2,7‰ casi per ragazze (un punto in meno in soli tre anni). L’eccezione italiana viene annotata anche dal Ministero, un elemento che andrebbe ricordato quando Regioni e istituzioni scolastiche introducono i contraccettivi gratis per i ragazzi lamentando una dilagante piaga di gravidanze indesiderate e conseguenti aborti.
Obiettori stabili. I dati sull’obiezione di coscienza – 1,2 interruzioni a settimana per medico non obiettore – si combinano con la diminuzione dei tempi di attesa tra rilascio del certificato e intervento: l’Ivg è stata effettuata entro 14 giorni nel 68,8% dei casi rispetto al 66,3% del 2016 (e ben 10 punti in più in soli 6 anni), con quasi la metà degli aborti entro le prime 8 settimane (48,9%, due punti percentuali in più in un solo anno e ben 7 in cinque anni) mentre il 5,6% oltre la 12esima equivale a un lieve aumento che conferma il trend degli ultimi anni (3,8% nel 2013).
La metà di chi abortisce lavora. Un quarto delle donne che abortisce aveva già attraversato questa drammatica esperienza nel suo passato (ma il dato è in diminuzione), mentre la classe di età nella quale si registra la maggiore incidenza di aborti è tra i 25 e i 34 anni. Il profilo socio-demografico si completa con le cifre che riguardano il titolo di studio (il 46,7% delle italiane ha licenza media superiore), l’occupazione (sempre tra le italiane il 46,9% lavora, contro il 37% delle straniere), lo stato civile (il 59,4% delle italiane è nubile) e maternità (il 44% delle italiane non aveva figli).
Ora “aborto zero”. Il Ministero della Salute, infine, si impegna a «identificare i determinanti di natura sociale» che inducono ancora ad abortire e «a sostenere la donna e/o la coppia nella scelta consapevole, nella eventuale riconsiderazione delle motivazioni alla base della sua scelta, aiutarla nel percorso Ivg ed a evitare future gravidanze indesiderate ed il ricorso all’Ivg». È la consapevolezza che occorre lavorare per ridurre a zero gli aborti. Farlo a partire da una condivisa verità dei fatti è la premessa indispensabile per un obiettivo che non può non stare a cuore a tutti rispetto a quella che resta una scelta drammatica.
Francesco Ognibene Avvenire 19 gennaio 2019
www.avvenire.it/famiglia-e-vita/pagine/meno-aborti-e-l-obiezione-non-e-un-problema
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ABUSI
Tra un mese dalla riunione episcopale in Vaticano sulla protezione dei minori nella Chiesa
http://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2019/01/16/0035/00083.html
Le grandi aspettative sull’incontro non sono una sfida alla Chiesa e al Papa. Sono invece una speranza e rivelano alla fine fiducia e sostegno.
In pratica manca un mese all’importante incontro in Vaticano, voluto da Papa Francesco, con tutti i Presidenti delle Conferenze episcopali dei cinque continenti, 130 circa, e altri suoi collaboratori, dal 21 al 24 febbraio, sulla “protezione dei minori nella Chiesa”, ossia, in altre parole più familiari all’opinione pubblica mondiale, sugli abusi sessuali da parte del clero su minori e persone vulnerabili.
La decisione del Santo Padre, che ha voluto fortemente questa riunione, è arrivata alla fine di un anno, il 2018, piuttosto drammatico e sconvolgente in questa materia, in particolare per via delle vicende di due chiese particolari in grave crisi: quella del Cile e quella degli Stati Uniti.
L’incontro pur essendo inedito sotto ogni punto di vista sarà molto simile ad un Sinodo, ovviamente minimo, una sorta di “sinodo bonsai”. Da settimane un agguerrito gruppo di esperti, grandi conoscitori della questione, lavora intensamente per preparare l’assemblea che in pratica lavorerà, in plenarie e gruppi minori o circoli, durante tre giorni: giovedì 21, venerdì 22 e sabato 23 febbraio. Si prevedono 7 ore di lavoro al giorno (4 al mattino e 3 al pomeriggio), quindi in un totale di 21 ore i partecipanti, con l’aiuto dei Relatori e delle Relazioni (che saranno pubblicate), dovranno arrivare alle conclusioni “operative” alle quali ha fatto riferimento giorni fa un comunicato della Santa Sede.
https://ilsismografo.blogspot.com/2019/01/vaticano-comunicazione-del-direttore-ad.html
http://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2018/12/18/0950/02059.html
Questa Nota, molto chiara e puntuale, con riferimento ai desideri, progetti e intenzioni di Francesco, sottolinea: il Santo Padre “vuole che l’Incontro sia una riunione di Pastori, non un convegno di studi. Un incontro di preghiera e discernimento, catechetico e operativo. Per il Santo Padre, è fondamentale che tornando nei loro Paesi, nelle loro diocesi, i vescovi venuti a Roma siano consapevoli delle regole da applicare e compiano così i passi necessari per prevenire gli abusi, per tutelare le vittime, e per far sì che nessun caso venga coperto o insabbiato.”
Questo passaggio sulla consapevolezza delle “regole da applicare “ e quindi sul bisogno (perentorio e non più discrezionale) di eseguire “i passi necessari per prevenire gli abusi, per tutelare le vittime, e per far sì che nessun caso venga coperto o insabbiato “, non ha fatto altro – giustamente – che accrescere le aspettative sulla riunione di febbraio.
E su queste aspettative non ha senso discutere o polemizzare poiché è pacifico che la complessa e tragica realtà degli abusi sessuali nella Chiesa, nel passato ma anche oggi, è del massimo interesse per tutti, per la comunità ecclesiale anzitutto ma anche per chi non fa parte della Chiesa Cattolica. Gli abusi sono un dramma dell’intera società umana e la chiesa, colpita in modo terribile da questo flagello, nella sua lotta contro questa piaga — che con successi e fallimenti va avanti da almeno 15 anni — può essere di grande aiuto al mondo e alle sue diversi società nell’ambito del contrasto e della prevenzione.
Le grandi aspettative sull’incontro non sono una sfida alla Chiesa e al Papa. Sono invece una speranza e rivelano alla fine fiducia e sostegno. Dunque al posto di accrescere artificiosamente il profilo della riunione, oppure di abbassarlo, la cosa più lungimirante e intelligente è una sola: far sì che l’incontro si concluda con una sorta di Vademecum anti-pedofilia che contenga nero su bianco le risposte urgenti, inderogabili e necessarie che la Chiesa ha dato in questi anni, sta dando oggi e che deve dare nel futuro.
Come evidenzia il comunicato sopracitato, per il Papa, e per tutta la chiesa pellegrina nei cinque continenti, gli obiettivi sono precisi, circoscritti e non negoziabili:
- Prevenire gli abusi,
- Tutelare le vittime
- Far sì che nessun caso venga coperto o insabbiato.
Luis Badilla e Roberto Calvaresi ilsismografoblogspot.com 20 gennaio 2019
http://ilsismografo.blogspot.com/2019/01/vaticano-un-mese-dalla-riunione.html#more
Abusi: Facoltà Teologica Italia Centrale, un corso per contrastarli rivolto ai formatori dei seminari
Si è svolto oggi nella Facoltà teologica dell’Italia centrale il corso su “Valutazione psicologica e accompagnamento psicologico: integrazione nei percorsi di formazione umana dei seminari e istituti religiosi”. Un’iniziativa delle diocesi toscane per prevenire, individuare e contrastare gli abusi sessuali e altre forme di violenza nei confronti dei minori.
Per la prima volta psicologi, psichiatri e consulenti si riuniscono per un evento formativo sostenuto dalla Conferenza episcopale toscana, con il contributo della Pontificia Università Gregoriana e la partecipazione anche dei rettori e formatori dei seminari. “Un momento per affrontare in modo scientifico le specificità, le caratteristiche e le necessità psicologiche e di ascolto relative ai contesti di formazione religiosa e per garantire standard adeguati ed efficaci di consulenza e accompagnamento psicologico durante tutto il percorso di vita religiosa e presbiterale”, si legge in una nota.
Ad aprire la conferenza l’arcivescovo di Firenze, il card. Giuseppe Betori. “La diocesi di Firenze – ha detto il porporato – si è organizzata in merito alla prevenzione investendo sulla formazione, aderendo alla strutturazione di un’equipe regionale per la formazione umana della Regione Ecclesiastica della Toscana che opera attraverso un programma di valutazione e formazione specifica nell’anno propedeutico e negli anni successivi dei seminari”. Il cardinale ha poi ricordato il “programma formativo riguardante le tematiche dell’abuso, fragilità, sessualità e sostegno alle vittime rivolto ai sacerdoti, con particolare attenzione ai più giovani (entro i 10 anni dall’ordinazione)”.
“È stato poi inaugurato un corso per la prevenzione degli abusi sessuali sui minori basato sul programma e-learning del Centre for Child Protection della Pontificia Università Gregoriana e sono stati introdotti nella didattica della Facoltà Teologica dell’Italia Centrale corsi interdisciplinari sui temi dell’abuso e della tutela dei minori”.
Agenzia Sir 19 gennaio 2019
Una petizione per stroncare le reti omosessuali nella Chiesa
Fare tutti i passi necessari per fermare le reti omosessuali nella Chiesa cattolica, in particolare quelle connesse con gli abusi recentemente venuti alla luce. È quanto chiede una petizione lanciata da Pro Ecclesia, organizzazione cattolica laica svizzera, in vista dell’incontro dei capi delle conferenze episcopali di tutto il mondo, chiamati a raccolta da Francesco il prossimo mese in Vaticano per discutere la questione degli abusi.
All’iniziativa aderiscono fra gli altri John Smeaton, The Society for the Protection of Unborn Children (Regno Unito); Markus Büning (Germania); Riccardo Cascioli, La Nuova Bussola Quotidiana (Italia); Christian Spaemann (Germania); Pedro L. Llera (Spagna); Anna Silvas (Australia); Donna F. Bethell (Stati Uniti); Peter A. Kwasniewski (Stati Uniti).
Anche in questo sito abbiamo più volte sottolineato come esista un collegamento statisticamente chiaro tra la crisi degli abusi sessuali nella Chiesa e la condotta omosessuale, una connessione segnalata autorevolmente, fra gli altri, dai cardinali Gerhard Müller, Walter Brandmüller e Raymond Burke.
Come scrive Riccardo Cascioli, la petizione chiede misure drastiche per punire il clero responsabile di abusi sessuali e di atti omosessuali, nonché l’applicazione severa delle norme che vietano l’ordinazione di preti con tendenze omosessuali. La petizione, spiega Cascioli, «nasce dalla constatazione che c’è un tentativo di evitare di affrontare il problema alla base di gran parte degli abusi sessuali, ovvero l’omosessualità. Anzi, c’è un chiaro tentativo da parte di una lobby gay, sempre più potente nella Chiesa, di approfittare della crisi degli abusi sessuali addirittura per legittimare l’omosessualità, anche nel clero. Per questo è necessario che dal vertice vaticano arrivi un messaggio inequivocabile, visto che i dati dimostrano che l’80% degli abusi sessuali da parte del clero sono in realtà atti omosessuali di cui sono vittime adolescenti e giovani adulti vulnerabili».
La petizione, che coinvolge anche Lifesitenews e Infovaticana, chiede in particolare la reintroduzione del canone 2359 §2 del Codice di diritto canonico del 1917 che stabiliva esplicitamente per i chierici responsabili di atti sodomiti la rimozione dall’ufficio, la privazione di qualsiasi privilegio e, nei casi più gravi, la riduzione allo stato laicale. Tale norma esplicita rivolta agli uomini ordinati è scomparsa nel nuovo Codice di diritto canonico, del 1983.
«Inoltre – spiega Riccardo Cascioli – nella petizione si chiede che il Pontificio consiglio per i testi legislativi si pronunci per chiarire che, sempre in riferimento al canone suddetto, quando si parla di “chierici” si comprendono anche vescovi e cardinali».
«Gli altri punti riguardano la richiesta al Papa di rimuovere dall’ufficio ogni vescovo che abbia coperto i sacerdoti abusatori; l’applicazione severa della Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis (2016) che vieta l’ordinazione sacerdotale di uomini con tendenze omosessuali; che la riparazione ed espiazione per le ferite alle vittime degli abusi, sia minori che adulti, sia fatta in modo credibile, “sia con lo spirito che con le azioni”; che vengano sanzionati anche quei preti, vescovi e cardinali che promuovono l’omosessualità o le reti omosessuali».
Spesso quando si parla degli abusi nella Chiesa si fa riferimento alla pedofilia, ignorando che nella stragrande maggioranza dei casi gli abusi sono commessi da omosessuali nei confronti di adolescenti e giovani uomini. E, circa le cause, si parla genericamente di «infedeltà», «clericalismo» e «abuso di potere», senza specificare in quale terreno affondano queste radici malate.
Dunque «con questa petizione si va finalmente al cuore della vicenda “abusi sessuali” con delle misure semplici e chiare, in assenza delle quali si continuerà a camminare nell’ambiguità, malgrado le roboanti dichiarazioni. È evidente infatti che mentre da una parte si proclama la “tolleranza zero”, dall’altra si evita accuratamente di affrontare il nodo omosessualità, che è alla radice degli abusi sessuali. Addirittura, l’attuale direttore editoriale dei media vaticani, Andrea Tornielli, ha sostenuto che nemmeno nel caso del cardinale Theodore McCarrick si può parlare di omosessualità. E questo malgrado sia ormai più che documentato che abbia avuto rapporti omosessuali con seminaristi per molti anni. La tesi che si vuol fare prevalere è che in tutti i casi si tratti di clericalismo, abuso di potere. Non a caso nella lunga lettera ai vescovi statunitensi dello scorso 1 gennaio 2019, papa Francesco solo due volte ha menzionato gli “abusi sessuali”, ma in entrambi i casi in coda all’espressione “abusi di potere e di coscienza”».
http://w2.vatican.va/content/francesco/it/letters/2019/documents/papa-francesco_20190101_lettera-vescovi-usa.html
«Dall’altra parte, invece, sono stati i cardinali Walter Brandmüller, Gerhard Müller e Raymond Burke in recenti interviste a riportare il discorso sul problema omosessualità, sottolineando come nel caso degli abusi sessuali dei sacerdoti questo sia un tema inevitabile.
Blog by Aldo Maria Valli
www.aldomariavalli.it/2019/01/17/una-petizione-per-stroncare-le-reti-omosessuali-nella-chiesa
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ACCADEMIA DELLA VITA
Il Papa: serve una nuova bioetica «globale» nell’era della robotica
Il rilancio dell’umanesimo cristiano per un’antropologia all’altezza delle sfide globali su scienza e nuove tecnologie applicate all’uomo. È la consegna del Papa alla Pontificia Accademia per la Vita.
Una «nuova prospettiva etica universale, attenta ai temi del creato e della vita umana», con l’obiettivo di «rilanciare con forza l’umanesimo della vita che erompe dalla passione di Dio per la creatura umana»: è l’impegno culturale al quale papa Francesco chiama la Pontificia Accademia per la Vita, a 25 anni dalla sua fondazione per opera di san Giovanni Paolo II su impulso del grande genetista Jerome Lejeune, del quale è in corso il processo di canonizzazione. In una lettera al presidente dell’Accademia monsignor Vincenzo Paglia, il Santo Padre indica tre fondamentali obiettivi ai quali l’istituzione deve puntare nel suo futuro per animare il dibattito bioetico, sapendo «elaborare argomentazioni e linguaggi che siano spendibili in un dialogo interculturale e interreligioso, oltre che interdisciplinare».
http://w2.vatican.va/content/francesco/it/letters/2019/documents/papa-francesco_20190106_lettera-accademia-vita.html
- La bioetica globale. Il criterio di riferimento per la tutela e la promozione della vita umana, secondo il Pontefice, è oggi la ricostruzione di un umanesimo, che «in tanti decenni» è stato invece logorato e confuso «con una qualsiasi ideologia della volontà di potenza», ideologia che oggi «si avvale dell’appoggio convinto del mercato e della tecnica» e che è da «contrastare». La «differenza della vita umana – spiega Francesco – è un bene assoluto, degno di essere eticamente presidiato, prezioso per la cura di tutta la creazione». Questo nuovo «orizzonte umanistico», da «riaprire» anche «in seno alla Chiesa» e fondato sulla visione cristiana dell’uomo come creatura a immagine del Padre, è in grado di produrre una «sintesi antropologica all’altezza di questa sfida epocale». Si tratta infatti di «rendere la riflessione su questi temi sempre più attenta al contesto contemporaneo, in cui il ritmo crescente dell’innovazione tecno-scientifica e la globalizzazione moltiplicano le interazioni, da una parte, tra culture, religioni e saperi diversi, dall’altra, tra le molteplici dimensioni della famiglia umana e della casa comune che essa abita». La risposta a questo scenario è la «bioetica globale, con la sua visione ampia e l’attenzione all’impatto dell’ambiente sulla vita e sulla salute».
- Le manipolazioni dell’umano. La riflessione bioetica della Chiesa deve puntare sulle «nuove tecnologie oggi definite “emergenti e convergenti”. Esse – spiega il Papa – includono le tecnologie dell’informazione e della comunicazione, le biotecnologie, le nanotecnologie, la robotica». Evidente la preoccupazione di Francesco: «Avvalendosi dei risultati ottenuti dalla fisica, dalla genetica e dalle neuroscienze, come pure della capacità di calcolo di macchine sempre più potenti, è oggi possibile intervenire molto profondamente nella materia vivente. Anche il corpo umano è suscettibile di interventi tali che possono modificare non solo le sue funzioni e prestazioni, ma anche le sue modalità di relazione, sul piano personale e sociale, esponendolo sempre più alle logiche del mercato. Occorre quindi anzitutto comprendere le trasformazioni epocali che si annunciano su queste nuove frontiere, per individuare come orientarle al servizio della persona umana, rispettando e promuovendo la sua intrinseca dignità».
- Diritti umani e fraternità. La bioetica come riflessione sulla vita umana a partire da una riconoscibile visione dell’uomo non può prescindere secondo il Papa da una chiara visione della «giustizia che mostri il ruolo irrinunciabile della responsabilità nel discorso sui diritti umani e la loro stretta correlazione con i doveri, a partire dalla solidarietà con chi è maggiormente ferito e sofferente». Questa premessa rende possibile affermare che «la medicina e l’economia, la tecnologia e la politica che vengono elaborate al centro della moderna città dell’uomo, devono rimanere esposte anche e soprattutto al giudizio che viene pronunciato dalle periferie della terra». Giustizia e diritti umani parlano la lingua degli esclusi, anche dal progresso: «Di fatto, le molte e straordinarie risorse messe a disposizione della creatura umana dalla ricerca scientifica e tecnologica – spiega il Papa – rischiano di oscurare la gioia della condivisione fraterna e la bellezza delle imprese comuni, dal cui servizio ricavano in realtà il loro autentico significato. Dobbiamo riconoscere che la fraternità rimane la promessa mancata della modernità. Il respiro universale della fraternità che cresce nel reciproco affidamento – all’interno della cittadinanza moderna, come fra i popoli e le nazioni – appare molto indebolito. La forza della fraternità, che l’adorazione di Dio in spirito e verità genera fra gli umani, è la nuova frontiera del cristianesimo».
Il Papa ricorda anche il grande impegno dell’Accademia lungo un quarto di secolo «per la promozione e la tutela della vita umana in tutto l’arco del suo svolgersi, la denuncia dell’aborto e della soppressione del malato come mali gravissimi, che contraddicono lo Spirito della vita e ci fanno sprofondare nell’anti-cultura della morte. Su questa linea – aggiunge – occorre certamente continuare, con attenzione ad altre provocazioni che la congiuntura contemporanea offre per la maturazione della fede, per una sua più profonda comprensione e per più adeguata comunicazione agli uomini di oggi». Francesco chiede però anche di prestare attenzione alla «distanza fra l’ossessione per il proprio benessere e la felicità dell’umanità condivisa», che «sembra allargarsi» sino «a far pensare che fra il singolo e la comunità umana sia ormai in corso un vero e proprio scisma». Uno sguardo umanistico ed esistenziale che allarga l’orizzonte dell’Accademia e la stessa frontiera della bioetica senza negare nulla di ciò che ha segnato il suo percorso storico ma espandendo a tutto campo l’energia della passione per l’uomo figlio di Dio.
Francesco Ognibene Avvenire 15 gennaio 2019
www.avvenire.it/famiglia-e-vita/pagine/il-papa-bioetica-globale-per-l-accademia-per-la-vita
Fare globale la bioetica
La lettera (intitolata Humana Communitas) che papa Francesco ha inviato all’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita in occasione del XXV anniversario della sua istituzione (11 febbraio 1994) è di singolare importanza, almeno sotto due profili.
In primo luogo, perché tramite essa viene confermato il mandato che san Giovanni Paolo II, dietro suggerimento del grande scienziato Jérôme Lejeune, che ne fu il primo presidente, diede all’Accademia: quello di sviluppare iniziative di studio, di formazione e di riflessione per non cedere al misoneismo di coloro che ritengono che i progressi di scienza e tecnica non contribuiscano al bene integrale dell’uomo e non siano conformi al progetto divino di salvezza: un impegno, questo, che richiede la ferma convinzione che ogni forma di sapere (e quello bio-tecnologico in particolare) richiede un impegno irremovibile a favore del servizio alla persona umana e dei suoi diritti fondamentali.
Ma anche sotto un secondo profilo, forse prevalente, la lettera Humana Communitas andrebbe studiata e meditata. Nel testo della lettera manca infatti ogni accenno di generico e irenico ottimismo. Il Papa sottolinea come l’impegno per la difesa e la promozione della vita viva oggi all’interno di un autentico paradosso, che sta sotto gli occhi di tutti: proprio nel momento storico (quello odierno) in cui lo sviluppo economico e tecnologico ci permetterebbe di prenderci efficacemente cura della casa comune e dei diritti umani, proprio oggi si manifestano divisioni, lacerazioni, conflitti, che producono demoralizzazione e disorientamento: viviamo in un’atmosfera che per molti è di un dilagante «avvilimento spirituale» (queste le esatte parole del Papa). Di qui, l’appello a un lucido impegno dei cristiani nel mondo, un impegno consapevole, rapido e soprattutto sollecito «prima che sia troppo tardi».
Diverse sono le indicazioni, tutte molto calibrate, che Francesco dà all’Accademia per la Vita perché possa operare efficacemente in tal senso. Ne raccolgo due: una di carattere storico-culturale, l’altra di carattere evangelico-pastorale.
- A livello storico-culturale il Papa rivolge ai suoi lettori una domanda davvero ruvida: siamo ancora in grado, noi cristiani, di insistere sull’unità della famiglia umana o ne abbiamo perso di vista la centralità «anteponendo le ambizioni della nostra egemonia spirituale sul governo della città secolare… alla cura della comunità locale, aperta all’ospitalità evangelica per i poveri e i disperati»? La questione è sintetizzata dallo stesso papa Francesco in modo efficace: «Dobbiamo riconoscere che la fraternità rimane la promessa mancata della modernità». È un tema sul quale la Pontificia Accademia per la Vita dovrà impegnarsi strenuamente.
- Si noti però che questo forte accenno di Francesco alla crisi della fraternità, che caratterizza il nostro tempo, non possiede soltanto un carattere storico-culturale, ma implica l’indicazione di un impegno evangelico-pastorale. E un impegno a evangelizzare il mondo di oggi, esortandolo a cogliere il senso della vita indicando nella dinamica della generazione l’esperienza fondamentale di riferimento. Il Papa è chiarissimo al riguardo: la vita non va ridotta a concetto solamente biologico o ad un universale astratto dalle relazioni e dalla storia. Vivere significa ricevere il mondo da chi ci ha generato e trasmetterlo, in una logica di amore, valori, orientamenti di senso a chi verrà dopo di noi, in modo da rendere concreta l’espressione «famiglia umana».
Di qui il nuovo rilievo che sta assumendo la «bioetica globale», che pone la tutela della salute umana sullo stesso piano della tutela dell’ambiente, che per i cristiani corrisponde né più né meno all’ordine stesso della creazione.
A questa lettera, la Pontificia Accademia per la Vita dovrà rispondere, insiste il Papa, elaborando «argomentazioni e linguaggi che siano spendibili in un dialogo interculturale e interreligioso, oltre che interdisciplinare». Un compito arduo, ma esaltante e urgente di cui l’Accademia, e chi la guida, è perfettamente consapevole.
Francesco D’Agostino Avvenire 17 gennaio 2019
www.avvenire.it/opinioni/pagine/fare-globale-la-bioetica
Conferenza Stampa di presentazione della Lettera del Santo Padre Francesco
al Presidente della Pontificia Accademia per la Vita in occasione del 25mo di fondazione
e della prossima Assemblea Generale su “Roboetica. Persone, macchine e salute”.
Interventi
S.E. Mons. Vincenzo Paglia, Presidente della Pontificia Accademia per la Vita
L’11 febbraio 2019 ricorre il 25° anniversario della fondazione della Pontificia Accademia per la Vita. Per questa occasione Papa Francesco ha voluto inviare una lettera non semplicemente celebrativa all’Accademia per ringraziare tutti i membri per il lavoro che hanno svolto negli anni passati e per incoraggiarla ad affrontare con rinnovato impegno il compito che indirizza il suo futuro. Il titolo della lettera (Humana communitas) indica esattamente il punto focale di questo impegno.
Mentre siamo nel mezzo delle questioni relative alla custodia del creato, si affaccia all’umanità una nuova e ben più profonda problematica relativa alla famiglia umana. Insomma, l’attenzione sul creato come “casa comune” è entrata tra le frontiere che decidono il futuro del pianeta. Oggi, si fa sempre più urgente, anche per gli straordinari progressi della tecnica, una rinnovata attenzione a chi abita quella casa, ossia alla famiglia umana nella sua interezza. Ed è qui che il Papa vuole richiamare l’attenzione anche dell’Accademia per la Vita, sino a invitare ad un allargamento semantico. La “vita” non è un concetto universale astratto: è l’uomo nella sua storia, è l’intera famiglia umana nella trama dei suoi legami.
Il Papa rileva l’indebolimento dei legami che costituiscono la fraternità: “Dobbiamo riconoscere che la fraternità rimane la promessa mancata della modernità. Il respiro universale della fraternità che cresce nel reciproco affidamento – all’interno della cittadinanza moderna, come fra i popoli e le nazioni – appare molto indebolito. La forza della fraternità, che l’adorazione di Dio in spirito e verità genera fra gli umani, è la nuova frontiera del cristianesimo”. È una sfida che riguarda l’intero pianeta. L’indebolimento della fraternità – lo si voglia o no – contamina tutte le scienze dell’uomo e della vita.
Nella Lettera appare chiaramente l’attenzione del papa al grido che si leva dalla sofferenza dei popoli, perché tutti ce ne accorgiamo. Non si attarda però solo sul momento della diagnosi. Egli si interroga anche sulla missione della Chiesa. E si chiede se come credenti abbiamo dato un contributo adeguato alla costruzione di un umanesimo che non sia solo confinato nel contesto ecclesiale, ma capace di ispirare, motivare e attuare nel mondo una convivenza civile più fraterna. Cosa ci dice il paradosso clamoroso di una tecnoscienza che con i suoi strumenti potrebbe consentire che l’intera umanità viva in condizioni molto migliori, mentre invece alimenta disuguaglianze e, più profondamente, “la malinconia di una vita che non trova destinazione all’altezza della sua qualità spirituale” (n. 3).
La Lettera non si limita a riflessioni solo sul piano generale. Entra anche nel vivo degli argomenti. Ne accenno solo a qualcuno. C’è il tema della bioetica globale. I processi della globalizzazione collegano sempre più strettamente le questioni che riguardano la vita e la salute alle condizioni sociali e ambientali. Quindi mettono in gioco la pratica della giustizia. Data la pluralità di culture e di saperi scientifici che interagiscono sempre più strettamente nel nostro mondo, occorre elaborare criteri operativi universalmente condivisibili che siano incisivi sulla determinazione delle politiche nazionali e internazionali. I diritti umani sono per molti aspetti il terreno su cui avviene questo confronto e occorre quindi favorire una loro corretta interpretazione, che, come ci diceva papa Benedetto XVI trovi un giusto equilibrio con i doveri.
Ci sono poi da aggiungere le cosiddette Tecnologie emergenti e convergenti, ossia le nanotecnologie, le biotecnologie, le tecnologie dell’informazione e le scienze cognitive. Esse dilatano in modo straordinario la nostra capacità di intervento sulla materia vivente, aprendo nuovi spazi alla nostra responsabilità. Questo vale per le terapie, ma anche per le ipotesi di potenziamento degli organismi viventi. Quello di cui è importante rendersi conto è che non si tratta solo di rendere più efficienti singole funzioni dell’organismo o di trasferirle su supporti artificiali; più profondamente è in gioco un nuovo rapporto con il mondo. Nuovi dispositivi informatici si annidano con crescente pervasività in vari ambiti di realtà, incluso il nostro corpo, che si trova sempre più esposto alle dinamiche della amministrazione secondo criteri della tecnoscienza (tecnocrazia). È una delle forme di quella che si suole chiamare biopolitica. Occorre quindi partecipare alla discussione e favorire una più ampia partecipazione possibile di tutti i soggetti coinvolti, in modo che lo sviluppo e l’impiego di queste straordinarie risorse sia orientato alla promozione della dignità della persona e al bene più universale. Insomma dobbiamo essere avvertiti nell’evitare sia il rischio del riduzionismo dell’umano, sia l’altro ancor più pericoloso di sostituzione dell’umano.
L’utopia tecnocratica, per questa via, prepara la strada ad un potenziamento funzionale del quale ci immaginiamo padroni, mentre ne diventiamo schiavi. Il Papa esorta, quindi, l’Accademia ad entrare nei territori della tecnica e a percorrerli con audacia e creatività e con attento discernimento. Il che significa non avere risposte prefabbricate perché dedotte da una teoria astratta precostituita, ma mettersi anzitutto in attento ascolto dei fenomeni nella loro complessità e impegnarsi in un serio lavoro di interpretazione per comprendere in che modo i nuovi ritrovati della scienza e della tecnica incidono sulla nostra umanità. Ed elaborare quindi criteri di valutazione che ci consentano di promuovere la dignità di ogni persona e di tutte le popolazioni che abitano il pianeta. È un lavoro che mette in gioco la coscienza morale, intesa non tanto come una funzione applicativa delle norme, ma come cuore della persona globalmente intesa, in cui non va separata la dimensione etica da quella spirituale.
La fede nella risurrezione incoraggia tutti, anche i non credenti, a non cedere sulla profondità dei nostri affetti e dei nostri legami, respingendo soluzioni di compromesso. La nostra vita comune – incantata e vulnerabile com’è – deve essere tema di alleanza per il riscatto per l’umano, non merce di scambio per il post-umano. La data in cui la lettera del Papa è stata siglata è la festa dell’Epifania. Essa porta in sé un simbolo che ci può ispirare. Il vangelo cerca l’alleanza dei popoli, non la chiusura della comunità. I Magi sono il simbolo della condivisione dell’umano e della convergenza della sua sapienza intorno al Figlio eternamente generato di Dio, che si fa uomo e destinazione dell’uomo, per sempre. Essi sono in qualche modo accademici e ambasciatori dell’umano: scrutano i segni del cielo e della vita, si sottraggono alla complicità di Erode e sono lieti di donare le loro ricchezze al Bambino di Betlemme, Signore del cielo e della vita.
Mons. Renzo Pegoraro Cancelliere della medesima Pontificia Accademia
La Pontificia Accademia per la Vita è stata istituita da S. Giovanni Paolo II in data 11 febbraio 1994, con il Motu proprio “Vitae Mysterium”, dietro suggerimento del grande genetista Jérôme Lejeune. Di fronte al progresso della scienza della tecnologia in ambito bio-medico, con straordinarie possibilità di intervento sulla vita umana in ogni fase del suo sviluppo, è emersa la necessità di studiare, informare, e formare per approfondire i valori e i principi etici che garantiscano il bene integrale della persona umana e la tutela della vita.
Alla luce della Rivelazione cristiana e dell’esperienza umana, della ragione e della tradizione morale, l’Accademia ha studiato ed offerto le sue riflessioni su temi come: le nuove frontiere della genetica, l’embrione umano, e le tecnologie riproduttive, la qualità della vita, ed etica della salute, l’invecchiamento e la disabilità, accompagnamento del morente e cure palliative, biotecnologie animali e vegetali. Ma sempre nuove prospettive si aprono e stimolano la ricerca e le varie attività dell’Accademia. Questo ha portato anche ad un aggiornamento dello Statuto (18 ottobre 2016), che ha impresso ulteriore impulso all’Accademia, con un approccio sempre più interdisciplinare, e con dialogo e collaborazione con diverse tradizioni religiose, ampliando gli orizzonti geografici e culturali per affrontare le questioni etiche che interpellano la vita umana. Riprendendo le indicazioni di papa Francesco, l’attuale Statuto (Art. 1, § 3) ricorda che: «L’Accademia ha un compito di natura prevalentemente scientifica, per la promozione e difesa della vita umana. In particolare studia i vari aspetti che riguardano la cura della dignità della persona umana nelle diverse età dell’esistenza, il rispetto reciproco fra generi e generazioni, la difesa della dignità di ogni singolo essere umano, la promozione di una qualità della vita umana che integri il valore materiale e spirituale, nella prospettiva di un’autentica “ecologia umana”, che aiuti a ritrovare l’equilibrio originario della Creazione tra la persona umana e l’intero universo». E da qui i recenti studi: il ruolo e l’impatto della tecnologia sulla vita umana e la salute, la bioetica globale, in particolare nell’area materno-infantile; le questioni legate alla robotica e all’intelligenza artificiale; le neuroscienze; l’ingegneria genetica. Sono attivi dei gruppi di lavoro operanti su questi temi, per offrire dei reports di valore scientifico ed etico, importanti per la Chiesa e l’intera società civile, giuridica, politica.
Attualmente l’Accademia è costituita da 151 membri: 45 ordinari, 88 corrispondenti, 14 della categoria Giovani Accademici e 4 onorari. Tra tutti loro vi sono medici, scienziati (un premio Nobel per la medicina), teologi, docenti e ricercatori nelle scienze fisiche, biologiche, naturali e scienze umane. Sono rappresentati tutti i cinque Continenti. Infine la Pontificia Accademia ha un sito internet (www.academyforlife.va), ed è attiva sui social con un profilo Twitter, un canale YouTube, e Instagram.
Prof. Padre Paolo Benanti, Terzo ordine regolare di San Francesco
Docente di Teologia Morale ed Etica delle Tecnologie nella Pontificia Università Gregoriana
Intelligenze artificiali, robot e sfide etiche. L’avvento della ricerca digitale, dove tutto viene trasformato in dati numerici porta alla capacità di studiare il mondo secondo nuovi paradigmi gnoseologici. Quello che appare come esito di questa nuova rivoluzione è il dominio dell’informazione, un labirinto concettuale la cui definizione più diffusa è basata sull’altrettanto problematica categoria di dati. L’evoluzione tecnologica dell’informazione e del mondo compreso come una serie di dati si concretizza nelle intelligenze artificiali (AI) e nei robot: siamo in grado di costruire macchine che possono prendere decisioni autonome e coesistere con l’uomo. Si pensi alle macchine a guida autonoma che Uber, il noto servizio di trasporto automobilistico privato, già utilizza in alcune città come Pittsburgh, o a sistemi di radio chirurgia come il Cyberknife o i robot destinati al lavoro affianco all’uomo nei processi produttivi in fabbrica.
Le AI (intelligenze artificiali), queste nuove tecnologie, sono pervasive. Stanno insinuandosi in ogni ambito della nostra esistenza. Tanto nei sistemi di produzione, incarnandosi in robot, quanto nei sistemi di gestione sostituendo i server egli analisti. Ma anche nella vita quotidiana i sistemi di Ai sono sempre più pervasivi. Nello sviluppo delle intelligenze artificiali (AI) la divulgazione dei successi ottenuti da queste macchine è sempre stata presentata secondo un modello competitivo rispetto all’uomo. Queste comparse mediatiche delle AI potrebbero farci pensare che questi sono sistemi che competono con l’uomo e che tra Homo sapiens e questa nuova machina sapiens/macchina autonoma si sia instaurata una rivalità di natura evolutiva che vedrà un solo vincitore e condannerà lo sconfitto a una inesorabile estinzione. In realtà queste macchine non sono mai state costruite per competere con l’uomo ma per realizzare una nuova simbiosi tra l’uomo e i suoi artefatti: (homo+machina) sapiens.
Esistono sfide estremamente delicate nella società contemporanea in cui la variabile più importante non è l’intelligenza ma il poco tempo a disposizione per decidere e le macchine cognitive trovano qui grande interesse applicativo. Si aprono a questo livello tutta una serie di problematiche etiche su come validare la cognizione della macchina alla luce proprio della velocità della risposta che si cerca di implementare e ottenere. Tuttavia il pericolo maggiore non viene dalle AI in se stesse ma dal non conoscere queste tecnologie e dal lasciare decidere sul loro impiego a una classe dirigente assolutamente non preparata a gestire il tema. Se l’orizzonte di esistenza delle persone nel prossimo futuro – in realtà già del nostro presente – è quello di una cooperazione tra intelligenza umana e intelligenza artificiale e tra agenti umani e agenti robotici autonomi diviene urgente cercare di capire in che maniera questa realtà mista, composta da agenti autonomi umani e agenti autonomi robotici, possa coesistere. Il cuore della questione sulla gestione e lo sviluppo delle intelligenze artificiali è un ampio spazio di discernimento etico che deve tener conto dell’effetto potenzialmente dirompente di queste tecnologie legato al loro potenziale di innovazione tecnologica.
Prof.ssa Laura Palazzani, docente di Biogiuridica e Filosofia del Diritto nella LUMSA
La robotica ha fatto straordinari progressi: i robot da oggetti meccanici e statici, passivi, ripetitivi ed esecutivi, stanno oggi divenendo enti ‘autonomi’, in grado di muoversi ed interagire con l’ambiente, con capacità di apprendimento e adeguazione all’ambiente, di percezione, analisi, ragionamento, decisione, espressione. Molteplici gli ambiti di applicazione sociale: civile (uso domestico, ludico, medico-sanitario, educativo, ambientale) e militare. L’accelerazione degli sviluppi recenti della robotica e dell’intelligenza artificiale, nel contesto delle c.d. tecnologie emergenti e convergenti, solleva complessi quesiti etici che esigono una riflessione interdisciplinare auspicabilmente, almeno su alcuni punti fondamentali, condivisa a livello internazionale in vista di una regolamentazione e una ‘governance’ delle nuove tecnologie.
Molti gli organismi internazionali (generalmente consultivi in vista di una regolazione) che hanno approvato pareri e documenti sull’argomento. In particolare la World Commission on the Ethics of Scientific Knowledge and Technology (COMEST) dell’Unesco ha emanato un parere su Robotics ethics nel 2017 (https://unesdoc.unesco.org/ark:/48223/pf0000253952); l’European Group on Ethics in Science and New Technologies (EGE) presso la Commissione europea ha pubblicato uno Statement on artificial intelligence, robotics and ‘autonomous systems’ (https://ec.europa.eu/research/ege/pdf/ege_ai_statement_2018.pdf) e un parere su Future of work, future of society nel 2018; il Comitato Nazionale per la Bioetica e Comitato per la Biosicurezza, Biotecnologie e Scienze della vita, ha approvato un documento su Roboetica nel 2017.
I temi centrali oggetto di discussione nel contesto internazionale con riferimento a robotica e intelligenza artificiale sono: la tutela della integrità fisica e della dignità dell’uomo con l’applicazione del principio di beneficenza, non maleficenza, proporzionalità (con il bilanciamento rischi/benefici, minimizzazione dei danni per l’uomo nella progettazione, sperimentazione e uso dei robot); i limiti della c.d. “autonomia” dei robot e IA (robot come agenti morali e statuto morale dei robot); il problema della interazione uomo/macchina (per evitare la sostituzione e valorizzare la capacità umane insostituibili; evitare la dipendenza tecnologica e psicologica dalle machine); il ripensamento della responsabilità (introduzione della nozione di responsabilità ‘condivisa’ tra costruttore, progettista, disegnatore, venditore, utente); la giustizia (evitare il ‘robotic devide’, garantendo equo accesso alle opportunità aperte dalla tecnologia); informazione e formazione dei cittadini, con la promozione democratica di un dibattito pubblico; governance condivisa e trasparente delle nuove tecnologie.
Il convegno intende, nel contesto della discussione internazionale, identificare la specificità del pensiero cattolico sull’argomento con particolare attenzione al concetto di persona ‘elettronica’ e al valore e ai limiti della autonomia e della responsabilità dell’uomo nell’era della artificializzazione del corpo e della intelligenza.
Zenit 15 gennaio 2019
https://it.zenit.org/articles/conferenza-stampa-di-presentazione-della-lettera-del-santo-padre-francesco-al-presidente-della-pontificia-accademia-per-la-vita-in-occasione-del-25mo-di-fondazione-e-della-prossima-assemblea-generale
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ADOZIONE INTERNAZIONALE
La vera crisi dell’adozione internazionale? Disinteresse politico e culturale
Continua il dibattito sui piccoli numeri dell’adozione internazionale. “È arrivato il momento di superare la crisi?” oggi ospitiamo un contributo del nostro direttore Marco Griffini “Solo un vero interesse politico e un nuovo approccio culturale permetteranno di superare la crisi dell’adozione”
I primi numeri diffusi dalla Commissione per le Adozioni Internazionali (CAI) all’andamento delle adozioni internazionali nell’annualità 2018, dimostrano che le difficoltà di cui soffre l’universo adottivo in Italia non sono assolutamente superate.
Restano le stesse criticità che erano state denunciate lo scorso 15 febbraio2018, nel corso di una Conferenza in Senato sul tema ‘Adozioni internazionali: un bene per tutti’, da 20 Enti Autorizzati. E’ stato chiesto a gran voce il sostegno del mondo politico verso quest’alta forma di genitorialità che, tuttavia, a differenza di tutte le altre, ancora non è riconosciuta e promossa in concreto come tale dallo Stato.
La svolta per un rilancio delle adozioni internazionali in Italia risiede necessariamente in nuovo interesse politico al tema, completamente assente nelle agende politiche dei governi degli ultimi anni.
E’ questa la vera causa della crisi delle adozioni internazionali in Italia: il disinteresse della politica.
Un Paese che crede veramente nell’adozione internazionale dovrebbe iniziare ad inserirla come tema irrinunciabile nella proprio politica estera. L’Italia è il paese che in assoluto ha sottoscritto il maggior numero di accordi bilaterali per l’adozione internazionale con i paesi di origine (da qui il grande numero di adozioni realizzate negli anni d’oro): ora è da più di sei anni che non viene firmato un nuovo accordo, eppure vi sono paesi che sarebbero disponibili ad iniziare o riprendere collaborazioni con l’Italia per la loro infanzia in difficoltà familiare.
A ciò si unisce un errato approccio culturale al tema della adozione internazionale, che colpisce i vari paesi del mondo. L’abbandono dei minori non viene considerato – ad iniziare dalla stessa UNICEF – una vera emergenza umanitaria, pertanto, non degno di monitoraggio.
Così mentre sappiamo con esattezza – perché ogni anno ce lo ricordano i report delle varie organizzazioni umanitarie internazionali – quanti sono i minori afflitti dalle varie malattie, quelli denutriti, quanti non vanno a scuola, quanti sono costretti a lavorare, quanti vengono arruolati dai vari eserciti africani, nulla sappiamo su quanti siano i minori costretti a vivere in istituti e orfanotrofi o per le strade delle varie metropoli del mondo.
Di abbandono non si muore! Comunque, in un modo o nell’altro altro si sopravvive: perché dunque considerarla una emergenza umanitaria?
Per un minore abbandonato è sufficiente una “buona” assistenza: più sicura e meno “pericolosa” dell’adozione internazionale.
Così mentre, secondo le varie stime, i minori fuori famiglia aumentano in ogni paese, le adozioni sia nazionali che internazionali diminuiscono
News Ai. Bi. 14 gennaio 2019
www.aibi.it/ita/crisi-politico-culturale-adozione-internazionale-disinteresse
La causa della crisi dell’adozione internazionale? La fecondazione assistita
La causa della crisi delle adozioni internazionali risiederebbe principalmente nell’aumentato ricorso alle pratiche di fecondazione assistita oltre che nelle lungaggini degli iter adottivi. L’allarme “sempre meno italiani si fanno carico degli orfani” arriva da uno dei più stimati statistici italiani, Roberto Volpi.
Nell’articolo “C’era una volta l’adozione internazionale”, pubblicato nella rivista Vita e Pensiero, Roberto Volpi insieme al collega Enrico Moretti svelano un dato abbastanza sconcertante: tra il 2004 e il 2015, a livello mondiale, le adozioni internazionali hanno subito un calo spaventoso. Nel 2004 questi bambini adottati erano 45.483. Nel 2015 sono scesi a 12.201. Significa – spiegano i due studiosi – che c’è stata una perdita “in undici anni, di oltre 33.000 adottati, pari a un 73% in meno: in pratica, di quattro adottati con adozioni internazionali nel 2400, nel 2015 ne era rimasto soltanto uno”. Nel 2004, nei soli Stati Uniti si adottavano quasi 23.000 bambini, mentre un altro 30% delle adozioni (13.000) riguardava solo tre Paesi europei: Spagna, Francia e Italia. In tutti questi Stati, i dati mostrano una diminuzione gigantesca. Solo in Italia c’è stato un calo del 35%, che negli USA ha raggiunto -75%, in Francia -80%, in Spagna addirittura -85%.
http://rivista.vitaepensiero.it/scheda-articolo_digital/enrico-moretti-roberto-volpi/cera-una-volta-ladozione-internazionale-888888_2018_0006_0127-348082.html
Sebbene la crisi sia mondiale, il crollo delle adozioni tocca particolarmente il nostro Paese. “l’Italia è il secondo Paese per numero assoluto di adozioni internazionali dopo gli Stati Uniti (2.216 contro 5.648) – ricordano Volpi e Moretti – e il primo per numero di adozioni in rapporto agli abitanti (37 adozioni internazionali annue per milione di abitanti contro le 17 degli Usa)”. E’ opinione condivida, dunque, che gli italiani sono disposti, più di altri, a prendere con sé e amare bambini che arrivano dall’altra parte del globo. Il problema, però, è che queste famiglie rischiano di scomparire.
Le pratiche di procreazione medicalmente assistita, compreso dunque l’utero in affitto, ma pure la fecondazione eterologa, hanno contribuito in maniera decisiva al calo delle adozioni.
“Con riferimento all’Italia, la caduta delle adozioni comincia soltanto nel 2012, l’anno in cui più pesantemente si fa sentire la crisi economico-finanziaria, ma altresì quello del grande boom della Pma, alla quale si sottopongono, nel 2016, quasi 78 mila coppie – si legge nell’analisi di Volpi e Moretti -. Numeri così importanti già suggeriscono, da soli, come il terreno dell’adozione, nazionale e internazionale, finisca per essere occupato dalle nuove possibilità di avere un bambino, e un bambino proprio, con tecniche sempre più sofisticate di Pma che già oggi forniscono un numero annuo di bambini (più di 12.000 pari a sei volte quelli ottenuti con l’adozione internazionale”. Fonte La Verità
www.laverita.info/con-la-fecondazione-assistita-sono-precipitate-le-adozioni-2625904413.html
News Ai. Bi. 16 gennaio 2019
www.aibi.it/ita/causa-dozione-internazionale-fecondazione-assistita
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AFFIDAMENTO PREADOTTIVO
Affidamento preadottivo: procedimento e formule utili
L. 4 maggio 1983, n. 184 Diritto del minore ad una famiglia
www.camera.it/_bicamerali/leg14/infanzia/leggi/legge184%20del%201983.htm
Con l’affidamento preadottivo gli adottanti ottengono l’affidamento sperimentale con il minore. Siffatto affidamento costituisce un presupposto necessario dell’adozione, in quanto l’affidamento definitivo del minore nella nuova realtà familiare pretende la prova concreta che detto affidamento si possa verificare nel beneficio del minore.
Il procedimento di affidamento preadottivo viene espletato con rito camerale e pertanto non richiede specifiche formalità. Nel corso del procedimento devono comunque essere uditi il pubblico ministero e gli ascendenti dei richiedenti, se presenti, e, qualora abbia capacità di discernimento o compiuto il dodicesimo anno di età, anche lo stesso minore. Qualora questi abbia compiuto il quattordicesimo anno di età, la legge richiede il suo consenso.
Il Tribunale per i minorenni dispone l’affidamento attraverso un decreto motivato, che ha la natura sostanziale dell’attribuzione di un ufficio familiare. Tale decreto deve essere comunicato al pubblico ministero, ai richiedenti e al tutore, oltre al fatto che deve essere trascritto entro dieci giorni, che decorrono dal momento in cui esso diventa definitivo. Infatti, il decreto di affidamento è soggetto a impugnazione. Tale impugnazione si propone con ricorso alla Sezione minorile della Corte d’appello. I legittimati a proporre l’impugnazione sono il pubblico ministero e il tutore. Al pari del provvedimento di affido preadottivo, anche l’impugnazione è decisa in camera di consiglio con decreto motivato. In questo caso devono essere ascoltati il PM, il tutore e “ove occorra” i destinatari del provvedimento impugnato ai sensi dell’art. 24 l. adoz.
Il Tribunale può stabilire modalità particolari nell’affidamento e sul suo controllo, soprattutto nelle modalità in cui esso viene svolto dalla nuova famiglia. Tale attività di vigilanza può essere effettuata tanto attraverso la nomina di un giudice tutelare quanto attraverso un incarico ai servizi locali. Nel caso in cui l’affidamento presenti difficoltà, il Tribunale deve indagarne le cause attraverso l’ascolto, anche separato, del minore e dei suoi affidatari, anche attraverso la consulenza di uno psicologo. È compito del Tribunale predisporre le misure appropriate di sostegno tanto psicologico quanto sociale ai sensi dell’art. 22 l. adoz.
Il procedimento camerale per l’adozione di un minore, in casi particolari, assume natura informale per espresso dettato normativo ex art. 313 c.c., richiamato dall’art. 56, comma 4, L. n. 184/1983. Il principio innanzi espresso determina l’assenza di particolari vincoli di rigida priorità temporale tra i vari atti della procedura, unicamente permanendo la esigenza di tutelare il superiore interesse del minore, la cui indiscutibile prevalenza porta a negare la sussistenza di qualsivoglia interruzione processuale, non giustificata da incompatibilità di disciplina, tra le due procedure camerali per la dichiarazione dello stato di adottabilità e per l’adozione in casi particolari. Ciò rilevato, non possono ritenersi sussistenti preclusioni normative alla prestazione dell’assenso del genitore non appena si prefiguri la possibilità di ricorrere all’adozione in casi particolari, come nella specie avvenuto per la constatata impossibilità dell’affidamento preadottivo, motivata dalla Corte territoriale con il forte legame affettivo oramai sussistente tra la minore ed i futuri genitori adottivi, la cui recisione avrebbe provocato profondi traumi nella psiche della medesima
Corte di cassazione, prima Sezione civile, Sentenza n. 260, 12 gennaio 2010
www.comparazionedirittocivile.it/prova/files/ng_adozione_20100112.pdf
L’annullamento, da parte della Corte d’appello, del provvedimento, del Tribunale per i minorenni, di revoca di un affido preadottivo non comporta automaticamente il riaffido del minore a quello degli affidatari in preadozione che mostri di volersene prendere cura per procedere poi alla sua adozione, dal momento che l’adozione da parte di persona singola conserva, nel nostro ordinamento, carattere eccezionale, sicché spetta al Tribunale per i minorenni scegliere la soluzione più confacente all’interesse del minore procedendo ad una comparazione della disponibilità dell’affidatario e delle “chances” da lui offerte con la disponibilità e le “chances” di altra coppia aspirante all’adozione. Corte d’Appello di Napoli, 15 maggio 1996.
Giurisprudenza. La immediata declaratoria dello stato di adottabilità del minore è, in ragione dell’uso della locuzione “a meno che” insita nella disposizione di cui all’art. 11 della L. n. 184/1983, espressamente condizionata all’assenza di una richiesta di sospensione che provenga da chi, affermando di essere uno dei genitori, e dunque anche la madre biologica che abbia optato per l’anonimato, chieda termine per provvedere al riconoscimento del minore. La formulazione della richiesta di sospensione, dunque, la quale non è suscettibile di preventiva e definitiva rinuncia stragiudiziale, non è soggetta a termini processuali di decadenza, sicché ben può intervenire durante tutta la pendenza del procedimento abbreviato di primo grado, purché prima della sua definizione, posto anche che il comma sette della richiamata disposizione priva di efficacia il riconoscimento solo se attuato dopo l’intervenuta dichiarazione di adottabilità e l’affidamento preadottivo.
Corte di cassazione, prima Sezione civile, Sentenza n. 2802, 7 febbraio 2014
www.neldiritto.it/appgiurisprudenza.asp?id=10221#.XEbp4M17mno
L’adozione in casi particolari, di cui all’art. 44, comma 1, lett. d), L. n. 184/1983, c.d. “mite”, presuppone la constatata impossibilità di diritto, e non solo di fatto, di affidamento preadottivo, posto che, a differenza dell’adozione c.d. legittimante, non presuppone una situazione di abbandono dell’adottando, sicché non rappresenta una extrema ratio, né comporta la recisione dei rapporti del minore con la famiglia d’origine, in quanto risponde, piuttosto, all’esigenza di assicurare il rispetto del preminente interesse del minore, e va disposta al fine di salvaguardare, in concreto, la continuità affettiva ed educativa dei legami in atto dello stesso con i soggetti che se ne prendono cura (nella specie, la Suprema Corte ha confermato la decisione di merito che aveva disposto tale forma di adozione nei riguardi di un minore ormai preadolescente, in favore della coppia che ne era affidataria da circa due anni, atteso, da un lato, che i genitori erano stati dichiarati decaduti dalla responsabilità con provvedimento definitivo, e ne era stata comunque accertata la perdurante inidoneità, e, dall’altro, che il minore aveva instaurato un solido e positivo rapporto con gli adottanti)
Corte di cassazione, prima Sezione civile, Sentenza n. 9373, 16 aprile 2018
www.neldiritto.it/appgiurisprudenza.asp?id=15705#.XEbqxM17mno
L’affidamento preadottivo rappresenta una fase necessaria del procedimento di adozione, non surrogabile dall’affidamento provvisorio o di mero fatto; tuttavia, laddove l’interesse del minore lo richieda, il periodo di affidamento preadottivo può essere inferiore a dodici mesi e sommarsi al periodo di affidamento provvisorio (nella specie, discutendosi dell’adozione di un minore di diciassette anni e due mesi – con conseguente preclusione dell’adozione legittimante nell’ipotesi in cui fosse stato disposto l’affidamento preadottivo per il periodo di un anno – è stata ammessa la possibilità di sommare il periodo di affidamento preadottivo all’affidamento provvisorio alla vigilia del compimento del diciottesimo anno di età da parte dell’adottando) Tribunale Minorenni, L’Aquila, 6 marzo 2002.
Allegato un testo della Domanda di affidamento preadottivo
Elena Falletti In Pratica Famiglia 14 gennaio 2019 Altalex, 14 gennaio 2019
www.altalex.com/documents/biblioteca/2019/01/14/affidamento-preadottivo
www.altalex.com/famiglia-e-successioni
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ANONIMATO
Il dibattito. «Madri segrete, a rischio il diritto all’anonimato»
Contestati dalle associazioni alcuni punti del disegno di legge (primi firmatari Pillon-Urraro) che permette ai figli adottivi non riconosciuti alla nascita di ricostruire la propria identità.
www.senato.it/japp/bgt/showdoc/18/DDLPRES/0/1083655/index.html?part=ddlpres_ddlpres1
Non piace ad alcune associazioni del Forum delle famiglie il Ddl sul riconoscimento delle origini biologiche delle persone adottate. Perplessità arrivano anche da Anfaa, Aibi e da un’esperta come Rosa Rosnati, docente di psicologia delle adozioni alla Cattolica di Milano.
La possibilità di cercare le proprie origini naturali è principio ormai difficilmente contestabile. Da una parte ci sono tre sentenze importanti che vanno tutte nella stessa direzione (Corte europea dei diritti dell’uomo 2012, Corte costituzionale 2013, Cassazione 2016), dall’altra la prassi ormai consolidata nella maggior parte dei tribunali italiani dove le richieste delle persone adottate vengono regolarmente accolte ed esaminate. Ma se (quasi) nessuno mette più in dubbio il diritto dei figli adottivi non riconosciuti alla nascita di risalire alle proprie origini naturali, non c’è uniformità di giudizio su alcuni passaggi del disegno di legge 922/2018 presentato dai senatori Pillon (Lega) e Urraro (M5S), presentato in data 7 novembre 2018 «Norme in materia di diritto alla conoscenza delle proprie origini biologiche», assegnato alla 2ª Commissione permanente (Giustizia) in sede redigente l’11 dicembre 2018, (non ancora iniziato l’esame). [La sua votazione sui singoli articoli del progetto di legge assume carattere di definitività, e il testo che viene presentato alla Camera sarà votato nella sua interezza (senza quindi procedere alla votazione articolo per articolo)].
Secondo Donata Nova Micucci, presidente Anfaa, non sono sufficienti le precauzioni proposte dal testo: «Queste donne potranno essere rintracciate secondo una procedura che comporterà inevitabilmente la violazione dello stesso anonimato. Particolarmente negativa e disumana è poi – aggiunge – la disposizione in base alla quale tale accesso sarà immediato in tutti i casi in cui la donna è deceduta, privandola cosi della possibilità di scegliere se revocare o meno l’anonimato, di motivare la sua scelta e difendere la vita che si è costruita successivamente».
Giudizio negativo anche per quanto riguarda l’obbligo di ribadire la volontà dell’anonimato trascorsi 18 anni dal parto. «Ma dovrà andare a confermare la sua decisione all’Ufficiale di stato civile del proprio Comune – sottolinea l’esperta – in barba alla tutela del suo anonimato e della sua riservatezza».
Ma l’aspetto forse più problematico riguarda la proposta di abbassare da 25 a 18 anni il momento in cui un figlio adottato può presentare domanda di interpello. Un’età in cui oggi i ragazzi fluttuano ancora nei dubbi identitari dell’adolescenza e in cui c’è il rischio che la sovrapposizione tra la figura dei genitori adottivi e quella della madre naturale possa causare più danni che benefici. «A 18 anni – spiega Rosa Rosnati – i ragazzi sono ancora in piena adolescenza. Se fosse concessa già a quell’età la possibilità di risalire alle proprie origini si potrebbero aprire pagine anche molto dolorose e che forse potrebbero risultare difficilmente gestibili».
Da qui la necessità di un accompagnamento puntuale di cui però nel Ddl non si trova traccia. Sulla stessa lunghezza d’onda Cristina Riccardi, Aibi (Associazione nazionale amici dei Bambini) che rappresenta all’interno del Forum il mondo dell’associazionismo impegnato sul fronte delle adozioni. «Riteniamo inoltre molto grave – riprende Donata Nova Micucci – che questo Ddl estenda la possibilità di interpello a fratelli e consanguinei. Ma in tal modo, di fatto l’accesso viene ‘liberalizzato’ a tutti». Una scelta che a parere dell’Anfaa va considerata negativamente perché occorre tenere presente «che la segretezza del parto in anonimato prevista dal legislatore italiano non impedisce già ora la conoscibilità delle notizie sanitarie riguardanti l’adottato, purché le stesse vengano rilasciate omettendo di rivelare l’identità della donna»
Luciano Moia Avvenire 19 gennaio 2019
www.avvenire.it/attualita/pagine/madri-segrete-a-rischio-il-diritto-allanonimato
{L’anonimato è anche uno strumento per prevenire l’aborto volontario. Ndr}
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ASSEGNO DIVORZILE
Cassazione: per l’assegno di divorzio vale il reddito netto dell’ex
Corte di cassazione, prima Sezione civile, ordinanza n. 651, 14 gennaio 2019
www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_33211_1.pdf
La Suprema Corte rammenta come risulta affievolito il parametro del tenore di vita, ma chiarisce che l’eventuale contributo va calcolato in base ai redditi netti (e non lordi) dei coniugi. In relazione ai parametri finalizzati a stabilire l’importo dell’assegno di divorzio, il contributo va calcolato sulla base dei redditi netti di ciascun coniuge e dell’apporto del partner debole alla realizzazione della vita familiare. Infatti, a seguito dell’intervento delle Sezioni Unite risulta affievolito il parametro del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.
Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso di un ex marito. La Corte d’appello aveva dichiarato la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto tra il ricorrente e la moglie, ponendo a carico dell’uomo un assegno divorzile di 200 euro mensili, comparate le condizioni economiche degli ex coniugi. In particolare, la Corte territoriale aveva rilevato che, dalla documentazione prodotta, emergeva la disparità di condizioni economiche dei tra i due avendo la moglie subito diverse riduzioni delle ore lavorative con contestuale riduzione dello stipendio in precedenza goduto.
Secondo i giudici, invece, l’uomo non solo non aveva dimostrato la copertura della riduzione stipendiale con gli ammortizzatori sociali, ma godeva di una situazione più stabile e florida avendo addirittura potuto acquistare una casa, dopo la separazione personale dei coniugi. Tale conclusione viene contestata dall’ex marito secondo cui la disparità reddituale tra i coniugi sarebbe stata fondata su circostanze non vere, smentite dagli atti prodotti, tra l’altro comparando il reddito “lordo” percepito dal marito in luogo di quello netto.
Riconoscendo la fondatezza delle censure, gli Ermellini prendono le mosse dai “nuovi criteri” elaborati e stabiliti dalle Sezioni Unite (cfr. sent. n. 18287/11 luglio 2018) in materia di assegno di divorzio alla luce della sentenza “Grilli”.
In particolare, il Supremo Consesso ha chiarito che “il riconoscimento dell’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale e, in pari misura, compensativa e perequativa ai sensi dell’art. 5. comma 6, della L. n. 898/1970, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno”.
Il giudizio, ha poi soggiunto la Cassazione, dovrà essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa, delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi in relazione alla durata del matrimonio e all’età dell’avente diritto.
Ancora, la funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostruzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi.
Nel caso in esame, la decisione impugnata ha incentrato il giudizio, ai fini della fissazione dell’assegno divorzile, in assenza di una valutazione del tenore di vita coniugale, sul solo dato rappresentato dalla disparità economica tra i due coniugi valutata alla luce delle risultanze documentali.
Le censure dell’uomo sono fondate con riguardo alla non omogeneità dei dati messi in comparazione al fine di valutare la situazione economico-patrimoniale dei due coniugi. Nel caso in esame, infatti, mentre per quanto riguarda il reddito della donna si è fatto riferimento a quello netto, il reddito esaminato del marito è stato espressamente quello lordo.
Come chiarito dalla Cassazione (cfr. sent. n. 9719/23 aprile 2010 e 13954/31 maggio 2018), invece, sia pure in tema di separazione, la valutazione in ordine alle capacità economiche del coniuge obbligato ai fini del riconoscimento e della determinazione dell’assegno a favore dell’altro coniuge non può che essere operato sul reddito netto e non già su quello lordo, poiché in costanza di matrimonio la famiglia fa riferimento al reddito netto e ad esso rapporta ogni possibilità di specie.
Inoltre, nel caso esaminato, la Corte d’appello, dopo aver dato atto che l’ex marito si era accollato la rata del mutuo contratto per l’acquisto dell’appartamento ove è andato ad abitare dopo la separazione, non ha tenuto conto di tale onere, affermando però che l’acquisto dell’immobile denotava una sua capacità di spesa maggiore di quella della ex moglie. Alla luce di tali elementi il ricorso va accolto e la sentenza cassata con rinvio.
Lucia Izzo News StudioCataldi.it – 18 gennaio 2019
www.studiocataldi.it/articoli/33211-cassazione-per-l-assegno-di-divorzio-vale-il-reddito-netto-dell-ex.asp
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BIBBIA
Tre rotte per navigare nelle Sacre Scritture
L’edizione critica delle opere di Lutero, nota come Weimarer Ausgabe (dalla città tedesca di Weimar, importante centro culturale della Turingia, ove furono pubblicate), comprende ben 127 volumi per un totale di circa ottantamila pagine. Ora, ben sei di quei tomi raccolgono i Tischreden, cioè i suoi «discorsi a tavola», spesso molto vivaci, liberi e puntuti, trascritti da diversi testimoni diretti. Recentemente la Claudiana di Torino ha selezionato, ad opera di Beata Ravasi e Fulvio Ferrario, una «microscopica» selezione di quegli interventi conviviali. In uno di essi – che però non abbiamo trovato in questa silloge minima – il riformatore ironizzava: «In Italia la Sacra Scrittura è così dimenticata che rarissimamente si trova una Bibbia». Ebbene, se dovesse oggi visitare la nostra patria, si stupirebbe perché non solo i testi biblici sono molteplici e presenti in molte case ma anche per il numero enorme di pubblicazioni esegetiche, scientifiche o divulgative, che incessantemente approdano in libreria.
Proprio per questo, non di rado colmiamo lo spazio domenicale che abbiamo a disposizione con segnalazioni bibliografiche legate alla Bibbia, che non è solo «lampada per i passi» del credente nel cammino della vita ma anche il «grande codice» della cultura occidentale, come spesso amiamo ribadire. Naturalmente possiamo solo attingere, nella costante ondata cartacea che colma la nostra scrivania, a qualche esempio emblematico. Questa volta vorremmo optare per una triade che rappresenta altrettanti gradi di approccio al testo sacro: quello storico-critico, l’intermedio e il divulgativo-spirituale, generi tutti necessari per aprire ai diversi lettori l’orizzonte così ampio dei 73 libri che compongono la Bibbia, vocabolo che è basato sul plurale greco biblia, cioè «libri/libretti».
Ebbene, proprio il primo genere che proponiamo, quello strettamente filologico, smentisce la tesi di Lutero e un’opinione abbastanza diffusa secondo la quale fu solo con la Riforma protestante che la Bibbia fu messa a disposizione del volgo attraverso le versioni in «volgare» (celebri la traduzione tedesca di Lutero e l’italiana protestante di Diodati). Ora, la sempre ammirevole Fondazione Ezio Franceschini offre un catalogo delle Traduzioni italiane della Bibbia nel Medioevo. Si tratta di ben 134 manoscritti ora distribuiti in diverse biblioteche, a partire da Firenze (una sessantina tra la Laurenziana, la Nazionale Centrale e la Riccardiana), per passare poi a Venezia, Siena, Roma, Parigi, Vaticano, Oxford e qualche altra città. Il panorama delineato è veramente suggestivo e lo diventa ancor di più quando lo specialista (ma anche chi è curioso di penetrare in questi fogli cartacei o pergamenacei spesso ornati di miniature) esamina le singole schede e penetra nei dettagli di una simile «galassia testuale» antica.
Naturalmente i contenuti sono solitamente parziali, presentano cioè solo alcuni libri biblici dei quali nel volume si trascrivono, ad esempio, gli incipit o gli explicit [conclusione], spesso interessanti per assaporare il linguaggio talora pittoresco nella morfologia lessicale e grammaticale. Abbastanza scontata è la predominanza della Toscana come regione d’origine, anche se cospicua è la genesi veneziana di altri (circa un quarto del totale), così come è curiosa la tipologia variegata dei copisti che si firmano.
Essi comprendono vari religiosi, ma pure due donne, un avvocato, due notai e persino un funzionario della pretura di Caravaggio. Rilevante è, poi, l’impegno dei curatori nell’identificare anche la qualità e il peso delle traduzioni: sorprendente è il successo del Cantico dei cantici accanto al più ovvio libro dei Salmi, a causa del suo uso orante; significativa è l’incidenza dell’Apocalisse, attraente per la sua accesa simbologia e la temperie [momento storico] consona ai tempi. Naturalmente l’archetipo da cui si traduce è, a sua volta, una versione, cioè la latina Vulgata.
Lasciamo questo gioiello bibliografico per procedere nell’immenso campo degli studi biblici intermedi. Si tratta di commenti o sintesi a finalità didattica. Scegliamo un piccolo esempio dell’esegeta pugliese Giacomo Lorusso. Lo facciamo per il soggetto preso in esame, cioè l’apostolo Paolo, una delle figure capitali nella teologia neotestamentaria. Su di lui e sulla sua opera esistono imponenti biografie storico-critiche e colossali commentari al suo epistolario. Qui, invece, ci troviamo di fronte a un profilo introduttorio essenziale sia della persona – le cui vicende sono registrate dagli Atti degli apostoli e dagli ammiccamenti nelle sue Lettere – sia della sua teologia.
Quest’ultima, come è noto, rivela un’articolazione che condizionerà il pensiero di tutti i secoli cristiani. La centralità di Cristo e della Chiesa si ramificano in una sequenza di temi che hanno ottenuto la loro codificazione di base proprio nel dettato paolino: giustificazione, grazia, fede, carne, glorificazione, Chiesa come corpo di Cristo, carismi, nuova creazione, libertà, espiazione, pneuma, e così via.
Tutto questo viene puntualizzato da Lorusso con rigore, ma anche con quella tecnica didascalica che consegna al lettore l’attrezzatura per inerpicarsi poi nella scalata dei percorsi di altura degli scritti paolini. Non si dimentichi che – se stiamo all’attuale partizione in versetti (numerati da un certo Sante Pagnini nel 1528 in una Bibbia pubblicata a Lione) – su un totale di 5621 versetti neotestamentari ben 2003 sono quelli assegnati alle tredici Lettere attribuite a Paolo, sia pure con diverse gradazioni di paternità.
Ma è giunto il momento di accedere al terzo genere, quello più divulgativo. Sia subito precisato che questo termine non dev’essere inteso in senso spregiativo. Certo, divulgare è sempre un po’ approssimare, ma saper comunicare contenuti alti a un pubblico che non possiede una strumentazione specifica è un’operazione che richiede competenza raffinata e capacità di selezione e di sintesi. Questo non esclude che nel genere s’infiltrino ciarlatani di successo e questo non è solo un rischio della religione ma anche delle scienze.
Ora, tra i tanti prodotti biblici divulgativi con finalità spirituali, pastorali o catechetiche ne scegliamo uno significativo non solo per il contenuto ma anche per l’autore. Monsignor Luigi Bettazzi, 95 anni, è uno dei pochi testimoni viventi del Concilio Vaticano II a cui ha partecipato come vescovo. Ancor oggi è una presenza vivace e creativa nel panorama ecclesiale italiano come uomo del dialogo (molti ricordano ancora la sua Lettera a Berlinguer in tempi non facili per il confronto). Egli, che ha alle spalle una fitta bibliografia, si confronta ora con un libro biblico emozionante com’è l’Apocalisse le cui pagine sono un intarsio continuo di simboli, una vera e propria palinodia [scritto nel quale si ritrattano opinioni già professate, illustrando i motivi del cambiamento] per soli, coro e orchestra e una sequenza quasi filmica di scene (non per nulla Ingmar Bergman vi ha attinto per il suo film (1957) Settimo sigillo).
Monsignor Bettazzi insegue questo scritto proteiforme attraverso tre livelli di lettura classici nella tradizione cristiana: la lettura esplicativa dei vari capitoli, la riflessione esistenziale sul loro messaggio e, infine, la loro trasfigurazione orante. Sfilano, così, i quattro settenari delle lettere alle Chiese, dei sigilli infranti collegati al rotolo della storia umana, delle trombe che squillano e delle coppe versate del giudizio divino. Ma la vera meta dell’itinerario dell’Apocalisse, drammatico e striato di sangue com’è quello che l’umanità sempre vive, è nel quadro terminale luminoso, ove di scena è la Gerusalemme nuova. In essa la morte, il lutto, il lamento e l’ansia scompaiono. Per questo giustamente l’autore sottotitola il suo commento così: Messaggio di Speranza. Così anche il grande regista russo Andrej Arsen’evič Tarkovskij aveva definito questo libro biblico al quale voleva dedicare un film che però non ha mai potuto realizzare.
Luigi Bettazzi, Apocalisse. Messaggio di Speranza, Guaraldi, Rimini, pagg. 196, € 14
Gianfranco Ravasi, cardinale, arcivescovo “Il Sole 24 Ore” 20 gennaio 2019
www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201901/190120ravasi.pdf
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CENTRO INTERNAZIONALE STUDI FAMIGLIA
Newsletter CISF – n. 2, 16 gennaio 2019
v L’altra faccia dell’arcobaleno: la voce dei figli di coppie omosessuali (The other side of the Rainbow. The Voice of Children of Homosexual Couples). Potente e pacata testimonianza di Millie Fontana, che racconta (Melbourne, 2015) la sua storia di figlia di una coppia di donne, con un “padre donatore” rimasto a lei sconosciuto fino agli 11 anni. Tredici minuti di appassionato e commovente racconto, di una “storia inaudita”, oltre ogni ideologia
www.youtube.com/watch?v=BFdtSVmQHkg&feature=youtu.be&fbclid=IwAR3D-D_tgi2SQ07p4rIER4hRcBJx_DdL3xst4dO8XjSJCIxEA0TSxnehRIU
v Famiglie e minori rifugiati e migranti (Refugee and Migrant Children and Families). 65.a Conferenza Internazionale ICCFR. L’ICCFR (International Commission of Family and Couple Relationships), in collaborazione con il CISF, organizza a Roma dal 15 al 17 novembre la propria 65.a Conferenza internazionale, dedicata quest’anno ad un tema di rilevanza globale, che interpella ogni Paese del mondo: i movimenti migratori di persone, famiglie e bambini. Verrà dedicata particolare attenzione alla dimensione e alla rilevanza familiare dei movimenti migratori, in considerazione delle specificità dei due enti, che alla famiglia e alle sue relazioni interne dedicano la propria attenzione istituzionale (cfr. anche il Rapporto Cisf 2014, “Le famiglie di fronte alle sfide dell’immigrazione”).
http://cisf.famigliacristiana.it/cisf/rapporti-sulla-famiglia/dossierCISF/le-famiglie-di-fronte-alle-sfide-dell-immigrazione-comunicato-stampa/indice-del-volume_732831.aspx?utm_source=newsletter&utm_medium=newsletter_cisf&utm_campaign=newsletter_cisf_16_01_2019
La prima Conferenza ICCFR risale al 1953 (Lisbona), https://iccfr.org/conference-archive/conferences-1953-2011
e da allora diversi Paesi e nazioni dei vari continenti sono stati coinvolti in questa stimolante opportunità di confronto tra esperti di diverse culture, professioni, provenienza. L’ultima Conferenza ICCFR si è tenuta a Malta a febbraio 2018 (La relazione di coppia nel 21.o Secolo: contesti in mutamento e significati emergenti)
https://iccfr.org/conference-2018-malta/
La recente collaborazione tra ICCFR e CISF si è avviata nella 63.a Conferenza ICCFR, sul tema “Famiglie forti, Comunità forti” (Trento, giugno 2016) – https://iccfr.org/conference-2016-trento-italy
[Atti in italiano del convegno www.trentinofamiglia.it/tags/view/Anno+di+pubblicazione/2016
riprendendo una partnership già operante nel 1985, a Milano, per la Conferenza ICCFR – CISF su “Sposarsi oggi. Aspettative e conflitti delle giovani coppie” (con interventi di Pierpaolo Donati, Liliana Zani, Penny Mansfield (Uk), Don Conroy (Usa).
v Tucum: un progetto innovativo per “l’economia sospesa”. Tucum (www.tucum.it),è un «app per dispositivi mobili che permette di redistribuire microdonazioni – da un minimo di 20 centesimi a un massimo di 10 euro – per l’acquisto di prodotti di prima necessità in favore delle persone più bisognose
[www.famigliacristiana.it/articolo/giandonato-salvia-linventore-della-carita-elettronica.aspx?utm_source=newsletter&utm_medium=newsletter_cisf&utm_campaign=newsletter_cisf_16_01_2019].
Una possibilità di compiere l’elemosina non più solo con il contante, ma anche attraverso la moneta elettronica, limitando così tutti gli abusi legati ai falsi poveri e al racket dell’elemosina: il negozio o il bar dove si lascia il “panino sospeso”, per fare un esempio, lo destinerà a chi lo chiede avendo spesso un rapporto personale, diretto, con la persona che ne ha bisogno». Progetto figlio di una grande tradizione di Napoli, il “caffé sospeso” (qualche mese fa ho avuto occasione di offrirlo anche io, un caffè sospeso, nel prestigioso e lussuoso Gambrinus di Piazza del Plebiscito: ci si sente meglio, dopo….). realizzato da Giandonato Salvia, autore del volume L’economia sospesa. Il Vangelo (è) ingegnoso (Edizioni San Paolo).
www.sanpaolostore.it/economia-sospesa-silvia-giandonato-9788892216327.aspx?Referral=newsletter_cisf_20190116
v Famiglia in Europa. Famiglia e finanza: un’alleanza possibile? (Family and finance: a possible alliance?). Interessante il sintetico report con i principali temi trattati nel convegno organizzato da FAFCE e Fondazione Sallux a Bruxelles il 16 ottobre 2018. Come ha ricordato il Prof. Dembinski, “le famiglie non sono solo produttori di capitale – capitale umano – ma producono anche beni e servizi, cura, e rigenerano energie essenziali per qualsiasi attività economica” (“Families are not only producers of capital – human capital – but also of goods and services, providers of care, and regenerators of energies essential for any productive activity”)
https://sallux.eu/2018%2010%2016%20FAFCE%20EESC%20Policy%20Briefing%20REPORT%20-%20background%20note.pdf
v Minori migranti il diritto di essere ascoltati (un’indagine via sms dell’UNICEF) (a right to be heard. Listening to children and young people on the move). Indagine realizzata dall’Unicef tramite U-Report, un sistema gratuito di messaggistica usato in tutto il mondo (oltre 6 milioni di iscritti). “Quasi il 40% delle persone migranti e rifugiate tra i 14 e i 24 anni affermano di non aver avuto alcun aiuto durante il loro tragitto – circa il 40% ha dichiarato di aver viaggiato da solo […]”. Così si può dare voce a persone che difficilmente riescono a farsi sentire
www.unicef.org/publications/files/UNICEF_Listening_to_children_and_young_people_on_the_move.pdf
v CNEL: “Povertà, disuguaglianze e inclusione”. Osservazioni e proposte [vai al testo – 22 pp.]. Sulla base del proprio mandato costituzionale (rimasto operativo, nonostante le varie proposte di chiusura), il CNEL offre al Parlamento le proprie “Osservazioni e proposte” sulla povertà, tema diventato decisivo nel dibattito politico. Ovviamente le analisi si fermano al REI (Reddito di Inclusione Sociale) e non comprendono, le proposte di “Reddito di cittadinanza”, approvate solo il 30 dicembre 2018 nell’ultima Legge di stabilità (e di cui ancora sono da rendere definitivi i decreti attuativi e i meccanismi operativi). Il documento è esito del consueto processo elaborativo del CNEL, che vede coinvolti i propri membri, commissioni di studio, oltre che audizioni di esperti e referenti della società civile. Impressionanti i dati di confronto sull’incidenza della povertà assoluta tra il 2005 e il 2017 (tabella a p. 2): si è passati dal 3,6% al 6,9% sul totale complessivo (quasi raddoppiata). Il dato è ancora peggiore se si considerano le famiglie con figli minori: l’incidenza della povertà assoluta passa dal 2,8% nel 2005 al 10,5% nel 2017 (quasi quadruplicata).
www.cnel.it/Portals/0/CNEL/Pronunce%20dell’Assemblea/2018/testi%20con%20copertina/STP_OSP%20povert%C3%A0.pdf?ver=2019-01-03-131536-283
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v Movimento Lavoratori di Azione Cattolica. “Lavoro di generazione in generazione”. Festa di San Giuseppe 2019. Un concorso fotografico su Instagram. La Festa di San Giuseppe è un appuntamento importante nella vita del Movimento Lavoratori di AC. “Per il 2019, il MLAC propone di realizzare la Festa di San Giuseppe in prossimità di domenica 17 marzo, a seconda delle proprie preferenze. […] Il tema della Festa di San Giuseppe 2019 è “Lavoro di generazione in generazione”. Il tema si inserisce nel cammino del secondo anno del triennio associativo, poiché desideriamo renderci disponibili a generare ovvero «apprendere la virtù dell’incontro» (Vittorio Bachelet), accogliere l’invito a primerear (prendere l’iniziativa) e ad uscire fuori da sé per farsi prossimi e accompagnare i passaggi dell’esistenza di ciascuno curandone la vita spirituale”
http://mlac.azionecattolica.it/sites/default/files/Linee%20guida%20Festa%20San%20Giuseppe%202019%20agg.20181216.pdf
v Dalle Case editrici.
- Fondazione Turati, La solitudine del Caregiver. Politiche e strumenti innovativi per prendersi cura di chi cura, Lucia Pugliese Editore -Il Pozzo di Micene, Firenze 2018, pp. 56, €. 9,00.
Questo agile volume, frutto di un convegno tenutosi a Pistoia il 21 marzo 2016, merita una specifica segnalazione già a partire dal titolo, che evidenzia uno dei nodi decisivi per i caregiver: la sensazione (e troppo spesso anche l’esperienza) di essere da soli di fronte al gravoso compito di assistere persone anziane (di solito i propri genitori) sempre più bisognose di supporto continuativo. Un piccolo segnale di speranza, rispetto ai temi trattati dal volume, lo ha dato la Legge 205 del 2017 (Legge di Bilancio del 2018), che istituì, al comma 254, presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali il Fondo per il sostegno del ruolo di cura e di assistenza del “caregiver” familiare (20 milioni di Euro annui per tre anni), e anche l’ulteriore finanziamento (sia pure per soli 5 milioni annui, dal 2019 al 2021) nell’ultima Legge di stabilità, approvata dall’attuale Governo. Fondi che serviranno per progettare meccanismi e interventi capaci di sostenere l’insostituibile lavoro dei circa 3 milioni di persone che quotidianamente, nelle nostre famiglie, si fanno carico dei propri cari fragili. Per fare questo, però, manca ancora la legge nazionale (in Parlamento sono già presenti diversi disegni di legge in merito).
v Save the date
- Nord: Di generazione in generazione, ciclo di tre incontri promosso da Nonni 2.0, Milano, 28 gennaio, 27 febbraio, 25 marzo 2019.
www.nonniduepuntozero.eu/wp-content/uploads/2018/12/Volantino.jpg
- Centro: Rimodulazione e sospensione delle cure: competenze per curare e prendersi cura, convegno regionale SICP (Società Italiana Cure Palliative), Umbria, Spoleto (PG), 12 marzo 2019.
https://planning.it/files/EventDocuments/Programma%20CONVEGNO%20SICP%20UMBRIA%20SPOLETO%20-%20preliminare%20r6%20x%20sito_67309.pdf
- Sud: Leggere le fatiche dei bambini al Nido e alla Scuola dell’infanzia, intervento formativo per educatori/operatori dei nidi, promosso da Percorsi formativi 0-6, Palermo, 2 febbraio 2019.
http://percorsiformativi06.it/fatiche-bambini-palermo
- Estero: Global Strategies and Political Committments for All Children in Migration, terza edizione del programma Lost in migration, promosso da Missing Children Europe and dalla President’s Foundation for the Well-Being of Society di Malta, Valletta (Malta), 20-22 febbraio 2019.
http://lostinmigration.eu/?utm_source=email&utm_campaign=eNB_What_is_your_wish_for_children_in_2019&utm_medium=email
Iscrizione a newsletter http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/newsletter-cisf.aspx
Archivio http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/elenco-newsletter-cisf.aspx
http://newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/gennaio2019/5106/index.html
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CENTRO ITALIANO SESSUOLOGIA
Master in Criminologia e Psicopatologia del Comportamento Sessuale
La Scuola del Centro Italiano di Sessuologia, in collaborazione col Servizio di Sessuologia del Dipartimento dell’Università di Bologna, attiva nell’anno 2019, il III° Master in Criminologia e Psicopatologia del Comportamento Sessuale.
Il corso avrà inizio l’8 Marzo 2019; è composto da due moduli, con possibilità di iscriversi ad un singolo modulo o al master completo.
La sede di svolgimento è a Bologna, presso il Villaggio del Fanciullo, Via Scipione dal Ferro, 4.
Il corso intende fornire strumenti di intervento per affrontare le particolari situazioni in cui la psicopatologia sessuale diventa crimine perseguibile.
Calendario 2019 Modulo I – 48 ore – perversioni e parafilie
Modulo II – 48 ore – abusi e violenze
www.cisonline.net/scuola-di-sessuologia/master/criminologia-e-psicopatologia-del-comportamento-sessuale
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CHIESA CATTOLICA
Il peccato dell’Ecclesia Dei si chiama Summorum Pontificum
http://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/it/motu_proprio/documents/hf_ben-xvi_motu-proprio_20070707_summorum-pontificum.html
Con la soppressione della Commissione Ecclesia Dei, la Chiesa cattolica ha rimosso un elemento di scandalo all’interno della Curia romana. Tuttavia, se guardiamo con attenzione alla storia degli ultimi 12 anni, vediamo che lo scandalo era dovuto alla citata Commissione solo in quanto “strumento”, ma il cuore della questione e il principio della distorsione era costituito dal “Motu proprio” Summorum pontificum, che ha introdotto un parallelismo di forme rituali all’interno della vita della Chiesa, con la pretesa di non toccarne la dottrina e di non minare la riforma liturgica.
Le parole con cui viene motivata la soppressione della Commissione chiariscono bene un dato sul quale vorrei soffermarmi: ossia che le questioni di cui la Commissione avrebbe dovuto occuparsi, e che ora le sono state sottratte, non erano di carattere disciplinare, ma di carattere dottrinale. Questo, a mio avviso, determina la esigenza di riconsiderare con urgenza la disciplina distorta e contraddittoria introdotta nel 2007 da Summorum pontificum.
Una doppia ferita. Con quel documento, infatti, si ripristinava l’uso del Messale di Giovanni XXIII (1962), come “forma straordinaria” del rito romano. Questa ipotesi, dopo 12 anni, appare viziata da due errori gravi, sia di carattere dottrinale, sia di carattere giuridico.
- Sul piano dottrinale, era chiaro, già 12 anni fa, che il tentativo di separare la “forma rituale” dalla Riforma liturgica e dalla Chiesa conciliare era votato al fallimento. L’azzardo voluto da papa Benedetto XVI non avrebbe né avvicinato le posizioni dei lefebvriani, né assicurato la fedeltà dei cattolici tradizionalisti.
E dopo 12 anni abbiamo potuto costatare proprio questo esito. Ed è giusto riconoscere che la causa di tutto questo non è tanto la gestione della Commissione Ecclesia Dei – che pure aveva assunto il ruolo di testa di ponte tradizionalista nel cuore della Curia romana – quanto la normativa distorta e contraddittoria di Summorum Pontificum che, di fatto, rende superflua la riforma liturgica per coloro che aderiscono al Vetus Ordo, ossia:
- Non riconosce il dettato di SC sulla necessità di riforma dell’Ordo Missæ, permettendo di celebrare come se il Concilio non ci fosse mai stato;
- Scavalca la autorità episcopale in materia liturgica, rendendo irrilevante il discernimento “in loco” e sostituendolo con quello della curia romana;
- Contraddice la ecclesiologia conciliare, perpetuando una logica clericale e priva di partecipazione attiva.
2. L’adagio lex orandi lex credendi. In secondo luogo, Summorum Pontificum, introducendo una “forma straordinaria” dello stesso rito romano, capovolgeva la relazione tra dottrina e liturgia, ipotizzando che la stessa “dottrina ecclesiale” potesse esprimersi in forme rituali di cui una era la correzione dell’altra. In tal modo presumeva di far dipendere la identità cattolica da una “definizione astratta”, che risultava indifferente rispetto alla forma rituale e che poteva quindi esprimersi indifferentemente nel NO (Novus Ordo Missæ) o nel VO (Vetus Ordo).
Ora dobbiamo riconoscere, anche in base a questo nuovo Motu Proprio del 19 gennaio 2018, che vi è in tutto questo una questione dottrinale decisiva, e che non può essere disattesa. La pretesa che diverse comunità cattoliche possano essere fedeli al Concilio Vaticano II e celebrare la liturgia secondo il VO non può più essere risolta né con una decisione universale come Summorum Pontificum, né attraverso il discernimento interessato di una Commissione come Ecclesia Dei.
Se si ritiene che una comunità possa, per ragioni contingenti, far uso di forme rituali diverse dall’unico rito romano vigente, questa decisione deve essere presa dal Vescovo locale competente, che può eventualmente concedere un “indulto”.
La soluzione “universale”, introdotta con una forzatura dottrinale e giuridica da Summorum Pontificum, genera una chiesa non “universa”, ma “introversa” e contraddice gravemente le decisioni del Concilio Vaticano II, che ha chiesto esplicitamente la riforma di quel rito che Summorum Pontificum vorrebbe rendere universalmente accessibile. Questo è il vero nodo della questione.
Qui sta il peccato che ha portato alla soppressione di Ecclesia Dei. E che dovrà condurre ad una ridefinizione della disciplina, che restituisca alla questione dottrinale la sua centralità e ai vescovi diocesani la competenza per ogni decisione che faccia eccezione alla vigenza di un’unica forma del rito romano, così come voluta dal Concilio Vaticano II e dalla Riforma liturgica ad esso successiva, che deve essere riconosciuta “irreversibile” tanto sul piano dottrinale quanto sul piano disciplinare.
Andrea Grillo Come se non 20 gennaio 2019
www.cittadellaeditrice.com/munera/il-peccato-dellecclesia-dei-si-chiama-summorum-pontificum
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CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA
Card. Bassetti: “Noi cattolici non disertiamo le sfide impegnative”
www.chiesacattolica.it/cei-questione-di-metodo
www.chiesacattolica.it/wp-content/uploads/sites/31/2019/01/14/Bassetti-Introduzione-CEP.docx
Non tralascia i temi politici del momento il card. Gualtiero Bassetti introducendo il primo Consiglio episcopale permanente del 2019. Arrivare all’assemblea di maggio “con un progetto condiviso”, l’obiettivo, per “mostrare al Paese che noi cattolici non disertiamo le sfide di questo nostro tempo”. Un doppio ringraziamento – agli abitanti di Torre di Melissa per la “solidarietà corale” verso i migranti – e “quanti – non da ultimo le testate giornalistiche – si sono adoperati per evitare il raddoppio della tassazione sugli Enti che svolgono attività non profit”. A 100 anni dall’appello di don Sturzo, l’esortazione a lavorare insieme per l’unità del Paese. Ai vescovi: “Ripartiamo da questo stile sinodale”. Tra le proposte: dare più voce alle Conferenze episcopali regionali
“Vorrei arrivare all’Assemblea di maggio con un progetto condiviso, così che si possa dire: la Chiesa italiana non si lamenta, ma si prepara a fare di più e meglio”. È la proposta lanciata dal card. Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve e presidente della Cei, nell’introduzione al Consiglio episcopale permanente, dedicata tra l’altro ad alcuni temi politici del momento.
“Vorrei che sapessimo mostrare al Paese che noi cattolici non disertiamo le sfide impegnative di questo nostro tempo, convinti come siamo che possono essere affrontate e superate”, l’auspicio del cardinale, che dice un “grazie” agli abitanti di Torre di Melissa, la piccola cittadina calabrese che ha saputo esprimere una “solidarietà corale” verso quella cinquantina di migranti in balia delle onde, esempio di accoglienza in controtendenza rispetto al dibattito attuale sulle migrazioni.
“Sui poveri non ci è dato di dividerci, né di agire per approssimazione”, il monito di Bassetti: “La stessa posizione geografica del nostro Paese e, ancor più, la nostra storia e la nostra cultura, ci affidano una responsabilità nel Mediterraneo come in Europa”.
Il secondo ringraziamento del presidente della Cei è riservato “a quanti – non da ultimo le testate giornalistiche – si sono adoperati per evitare il raddoppio della tassazione sugli enti che svolgono attività non profit”. “Il mondo del Terzo settore riveste nella società italiana un ruolo determinante”, sottolinea il presidente della Cei a proposito dell’Ires: “Più di ieri c’è bisogno di questa società civile organizzata, c’è bisogno dei corpi intermedi, di quella sussidiarietà che risponde alle povertà e ai bisogni con la forza dell’esperienza e della creatività, della professionalità e delle buone relazioni”.
“Governare il Paese significa servirlo e curarlo come se lo si dovesse riconsegnare in ogni momento”, l’appello finale, a 100 anni dall’appello di don Luigi Sturzo. “Ai liberi e forti di oggi – l’attualizzazione di Bassetti – dico: lavorate insieme per l’unità del Paese, fate rete, condividete esperienza e innovazione”. “Come Chiesa assicuro che faremo la nostra parte con pazienza e coraggio, senza cercare interessi di bottega, per meritarci fino in fondo la considerazione e la stima del nostro popolo”, garantisce il presidente della Cei.
“Portiamo nel cuore le fatiche e le speranze della nostra gente, delle nostre Chiese e dei nostri territori, coinvolti come siamo dalla loro domanda di vita: domanda che ci interpella in prima persona, rispetto alla quale avvertiamo la responsabilità di non far mancare il contributo sostanziale di quell’esperienza cristiana che passa dall’annuncio credente e dalla testimonianza credibile del Vangelo”.
Comincia con questo sguardo di condivisione l’introduzione del card. Bassetti al primo Consiglio episcopale permanente del 2019. Di fronte a “venti che disperdono, provocando in molti confusione e smarrimento, ripiegamento e chiusura, dobbiamo impegnarci a lavorare meglio”, il primo appello ai cattolici: “Se la confusione è grande, non dobbiamo essere noi ad aumentarla; se ci sentiamo provocati o criticati, dobbiamo cercare di capirne le ragioni; se siamo ignorati, dobbiamo tornare a bussare con rispetto e convinzione; se veniamo tirati per la giacca, dobbiamo riflettere prima di acconsentire e fare”.
No, allora, allo scoraggiamento e alla sfiducia, a quella forma di male che, travestito da indifferenza, “si impadronisce delle paure per trasformarle in rabbia”: “Temo l’astuzia che si serve dell’ignoranza. Temo la vanità che avvelena gli arrivisti. Temo l’orizzonte angusto dei luoghi comuni, delle risposte frettolose, dei richiami gridati”. “La relazione cristiana non è un galateo o una lezione di buone maniere”: bisogna “pensare meglio e agire con discernimento e concretezza”, come ci esorta a fare il Papa.
“Quando il popolo è confuso, il modo migliore per rispondere al nostro dovere non è quello di proporre facili rassicurazioni, lasciando capire che poi tutto s’aggiusta o che, comunque, altri sono quelli che devono pensarci”. Ai cattolici, il presidente della Cei chiede di confrontarsi con franchezza e “assumere con determinazione le scelte necessarie, così da essere non solo più efficienti, ma soprattutto più chiari e uniti”, senza limitarsi alle critiche. L’improvvisazione o il pressappochismo non fanno parte del patrimonio del cattolicesimo politico, la tesi del cardinale: “Non possiamo limitarci a rincorrere l’attualità con comunicati e interviste; non possiamo perdere la capacità di costruire autonomamente la nostra agenda, aperti a ciò che accade – a partire dalle emergenze che bussano ogni giorno alla porta – ma fedeli a un nostro programma pastorale, che è poi il Vangelo di nostro Signore, incarnato in questo tempo”.
“Le nostre decisioni – spiega – devono seguire un metodo, supportato da un’idea forte e da continue verifiche, da un luogo di elaborazione culturale che non sia semplicemente una vetrina per proporre se stessi. Ci serve metodo anche per utilizzare al meglio le risorse materiali e finanziarie che i cittadini e i fedeli mettono a disposizione della Chiesa; ci serve metodo per interagire con le Istituzioni, in modo distinto e collaborativo; ci serve metodo per guardare avanti con fiducia e impegno”.
Dare più voce alle Conferenze episcopali regionali, una delle proposte: non per “grandi riforme”, ma per renderle maggiormente protagoniste e “maturare quell’arte del governo che rende tutti responsabili e gratifica chi compie al meglio il proprio dovere”. “Ripartiamo da questo stile sinodale, viviamolo sul campo, tra la gente, per consigliare, sostenere, consolare”, l’esortazione indirizzata ai vescovi: “Sarà, allora, più facile distinguere le buone idee dalle cattive, adottare i provvedimenti più incisivi, scegliere i collaboratori più validi”.
M. Michela Nicolais Agenzia SIR 14 gennaio 2019
https://agensir.it/chiesa/2019/01/14/card-bassetti-noi-cattolici-non-disertiamo-le-sfide-impegnative
Tutela dei minori, approvato il Regolamento.
Comunicato finale
www.chiesacattolica.it/wp-content/uploads/sites/31/2019/01/16/Comunicato-finale-CEP-16-gennaio-2019.docx
Metodo di lavoro, protagonismo delle Conferenze Episcopali Regionali, stile sinodale, contenuti significativi, fiducia nella possibilità di riuscire insieme ad affrontare e superare le sfide del tempo presente. Il confronto su questi punti ha aperto la sessione invernale del Consiglio Permanente, riunito a Roma da lunedì 14 a mercoledì 16 gennaio 2019 sotto la guida del Card. Gualtiero Bassetti, Arcivescovo di Perugia – Città della Pieve. I Vescovi hanno avviato un lavoro di ascolto, verifica e confronto, volto ad accompagnare la conclusione della parabola decennale degli Orientamenti pastorali dedicati alla domanda educativa. Tra le proposte, è stato condiviso un percorso di preparazione ed approfondimento in vista di un evento, in programma nel marzo 2020, dal titolo: Educare ancora. La riflessione del Consiglio ha iniziato anche a raccogliere indicazioni ed elaborare proposte strutturali e contenutistiche per nuovi Orientamenti pastorali.
Ampio spazio è stato dedicato al confronto sulle Linee guida per la tutela dei minori e degli adulti vulnerabili nella Chiesa, con l’approvazione del Regolamento, che istituisce il Servizio nazionale, e la nomina del suo Presidente.
I membri del Consiglio Permanente hanno rilanciato la raccomandazione del Papa per la promozione di un’iniziativa che aiuti a celebrare, conoscere e diffondere la Bibbia; hanno individuato il tema principale della prossima Assemblea Generale della CEI (Roma, 20-23 maggio 2019); hanno approvato, a livello di proposta, tre temi concernenti l’argomento su cui impostare la prossima Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi (2021).
I Vescovi, nell’esprimere vicinanza e solidarietà alle Diocesi sicule colpite dal terremoto, hanno espresso la preoccupazione per i ritardi nella ricostruzione in Italia Centrale.
Nel corso dei lavori sono state affrontate alcune questioni relative agli Istituti diocesani per il sostentamento del clero; sono stati approvati i nuovi parametri per l’edilizia di culto per il 2019; è stata fissata la data del prossimo Congresso Eucaristico Nazionale (Matera, 16-19 settembre 2021).
Fra gli adempimenti, il Consiglio Permanente ha provveduto ad alcune nomine. Infine, sono stati approvati provvedimenti relativi allo statuto di un’Associazione di fedeli.
www.chiesacattolica.it/tutela-dei-minori-approvato-il-regolamento
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CONSULENZA COPPIA E FAMIGLIA
Nuove regole per il Patrocinio AICCeF
Il Patrocinio rappresenta una forma di adesione e una manifestazione di apprezzamento dell’A.I.C.C.e F. ad iniziative di carattere scientifico, culturale e formativo ritenute aderenti ai principi e ai valori dell’AICCEF e della Consulenza familiare.
Il Consiglio Direttivo ha recentemente modificato le modalità di richiesta del Patrocinio dell’AICCeF e del logo ed ha stabilito che la concessione può essere sia a titolo gratuito e sia a titolo oneroso, approvando un apposito Regolamento per disciplinarla, approvato dal Consiglio Direttivo il 21 settembre 2018.
www.aiccef.it/downloads/files/2018%20Regolamento%20per%20la%20%20concessione%20Patrocinio%20e%20Logo%20AICCeF.pdf
A titolo gratuito il patrocinio viene concesso ai Soci ed alle Scuole di formazione riconosciute, per eventi che l’AICCeF considera di particolare rilevanza culturale, scientifica e professionale.
A titolo oneroso viene concesso a Consultori, Associazioni e altre organizzazioni, pubbliche e private, e viene previsto un contributo economico di € 30,00, da versare all’Associazione a mezzo bonifico bancario.
In ambedue i casi la concessione del Patrocinio autorizza le organizzazioni, gli enti, le persone fisiche promotrici di un evento o di una manifestazione ad usare l’acronimo e il logo dell’Associazione su tutte le pubblicazioni relative all’evento.
Le richieste di patrocinio, sia a titolo gratuito che oneroso, vanno effettuate almeno 30 giorni prima dell’evento da patrocinare, attraverso l’invio del modulo online, predisposto nel sito www.aiccef.it, canale tematico: Patrocinio e CFP.
Ad ogni evento patrocinato verranno riconosciuti i Crediti formativi professionali secondo le regole attuali.
Il Regolamento è entrato in vigore dal 1 gennaio del 2019 e si applica a tutte le richieste che sono state presentate da quella data in poi
I nuovi moduli aggiornati si trovano nel Canale tematico: Richieste di patrocinio e crediti formativi.
www.aiccef.it/ricerca.php?termine=Richieste+di+patrocinio+e+crediti+formativi.&lingue_id=1
Comunicato 14 gennaio 2019
www.aiccef.it/it/news/nuove-regole-per-il-patrocinio-aiccef.html
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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM
Pescara. Sportello scolastico di ascolto e intervento psicologico – a.s. 2018/2019
Nel corrente anno scolastico l’Istituto Comprensivo Pescara 6 intende offrire, come previsto dal PTOF, ai Genitori, agli Alunni e al Personale scolastico, il servizio “Sportello di Ascolto” a titolo gratuito, curato da professionisti volontari che operano nell’ambito del Consultorio Familiare UCIPEM di Pescara. (Dott.sse Giuseppina Piermattei e Serena Carotenuto).
Si tratta di uno spazio di scambio e di supporto finalizzato a:
- Incrementare il benessere personale degli alunni e del gruppo classe;
- Prevenire e/o contenere situazioni di disagio sia a livello individuale che relazionale;
- Conoscere e definire eventuali difficoltà educative del singolo alunno, estendendo l’indagine agli aspetti problematici più ampi, quali le dinamiche del gruppo classe;
- Favorire e incentivare le relazioni interpersonali, al fine di ottimizzare le risorse e le competenze professionali presenti nelle scuole;
- Migliorare le relazioni comunicative tra la scuola e le famiglie, offrendo anche opportunità informative/formative.
L’intervento delle psicologhe sarà rivolto, a seconda dei casi, ai singoli alunni, ai gruppi classe, ai docenti e alle famiglie degli alunni coinvolti nel progetto, nel rispetto della normativa afferente alla privacy. Si precisa che il progetto è legato ad attività di consulenza limitata alle problematiche relative all’ambito scolastico e non consiste in interventi terapeutici.
https://comprensivopescara6.edu.it/sportello-di-ascolto-e-intervento-psicologico-a-s-2018-2019
Vittorio Veneto. Lutto nel Centro di Consulenza Familiare per don Giacinto Padoin
Il gruppo Direttivo del Consultorio comunica, ricordandolo con affetto e tenerezza, che domenica mattina, don Giacinto Padoin ha aperto gli occhi al cielo.
A Lui si deve prima l’idea e poi tutto il lavoro necessario alla fondazione e strutturazione del nostro Centro di Consulenza Familiare-Consultorio CFSE UCIPEM di Vittorio Veneto.
Ci auguriamo di essere buoni testimoni della sua eredità morale e umana della nostra attività.
La carezza del suo sorriso e della sua benevolenza sarà sempre con noi.
Certi di farvi cosa gradita nel portarvi a conoscenza del nostro lutto, ringraziamo anticipatamente i partecipanti sia fisicamente che con il pensiero.
Il “Centro di Consulenza Familiare” di Vittorio Veneto ha iniziato la sua attività nel 1994, ad opera di un gruppo di professionisti e volontari che si proponevano di dare risposta alle richieste e ai bisogni provenienti dal tessuto territoriale.
E’ fratello del Vescovo emerito della diocesi di Pozzuoli, mons. Silvio Padoin.
www.ucipem.info
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COUNSELING
Cos’è il counseling
E’ noto che i termini inglesi sono sempre più utilizzati anche in Italia. Tuttavia l’uso di questi termini è spesso improprio e non tutti sanno realmente cosa significano queste parole, anche quando ne fanno utilizzo. Una di queste parole è Counseling. Ma quanti sanno realmente cos’è il counseling e a cosa serve? Quanti sono realmente consapevoli di come si diventa counselor di professione (counselor è la parola usata per definire il professionista del counseling) e quali sono gli sbocchi professionali e gli ambiti nei quali il counselor può operare? In linea generale occorre premettere che nella nostra società si assiste ad una continua proliferazione di professionalità che nascono per aiutare gli altri a fare qualcosa, a raggiungere qualche risultato. In effetti viviamo in una società sempre più veloce e frenetica ma anche più egoistica e i rapporti sociali ne risentono negativamente. Inoltre, la società ci spinge ad una sempre maggiore competizione tra di noi. Tutto questo fa nascere, molto spesso, l’esigenza di essere supportati, spinti, di ricevere motivazione ed entusiasmo. Da queste premesse nasce il counseling. In questo articolo cercheremo di darti maggiori informazioni sull’argomento.
Qual è la definizione di counseling? Se volessimo esprimere il concetto di counseling in pochissime e semplici parole potremmo affermare che il counseling è quella attività umana che si pone l’obiettivo di rendere migliore la qualità della vita delle persone, lavorando dunque sul profondo dell’individuo.
In una società in cui rischia di emergere sempre di più il pessimismo e molte persone rischiano di non credere in sé stesse e di scoraggiarsi, le tecniche di counseling sono state pensate proprio per favorire l’assunzione di atteggiamenti proattivi e propositivi da parte degli individui, esaltando e valorizzando i punti di forza e le attitudini personali nonché tirando fuori da ognuno la propria capacità di scelta e di cambiamento.
L’obiettivo principale che si propongono le attività di counseling è di consentire all’individuo di superare momentanei periodi di difficoltà che possono essere determinati da momenti di passaggio e di cambiamento, stati di crisi personale o famigliare, processi evolutivi.
Tutti noi, durante il corso della nostra esistenza, possiamo attraversare delle fasi di difficoltà che possono mettere in discussione la nostra fiducia in noi stessi. Si pensi ad una persona che perde improvvisamente il lavoro oppure che subisce una forte ferita emotiva in famiglia.
Sono molti gli effetti positivi legati al counseling e in particolare con queste tecniche l’individuo può:
- Migliorare le proprie competenze di comunicazione e di relazione con gli altri;
- Maturare e sviluppare una maggiore e più profonda conoscenza di sé stesso;
- Acquisire una maggiore capacità di gestire lo stress;
- Superare e lasciarsi alle spalle dei periodi transitori di difficoltà;
- Mettere da parte delle problematiche che non abbiano i caratteri delle patologie psichiche;
- Soprattutto se c’è una forte insicurezza di fondo, maturare una maggiore capacità di assumere decisioni consapevoli.
In cosa consiste l’attività del counselor? L’attività di counseling, per come l’abbiamo descritta fin ora, potrebbe sembrare fumosa e scarsamente comprensibile. Cerchiamo di capire come opera concretamente un professionista esperto di counseling detto anche counselor.
Il counselor ha in mente un obiettivo chiaro: cercare di usare tutta la sua abilità per spronare l’individuo che si è rivolto a lui a conoscere meglio e più nel profondo sé stesso, attraverso percorsi che possiamo definire di autoesplorazione e un’autoanalisi approfondite.
Le persone, molto spesso, hanno molte risorse dentro di loro ma non riescono ad esprimerle. Lo scopo del counselor è proprio quello di sviluppare nel cliente una forte determinazione che passa necessariamente per la consapevolezza delle proprie capacità. Solo così l’individuo potrà trovare da solo le risposte ai propri problemi. Il counselor è chiamato in particolare ad ascoltare, senza mai giudicare o mettersi sul piedistallo a dare consigli.
Diventare counselor. Per diventare counselor non ci si può improvvisare ma è assolutamente consigliabile seguire un percorso di studi e di formazione che ti consenta di diventare un esperto delle relazioni di aiuto.
In Italia, infatti, non esiste una specifica regolamentazione di questa attività professionale ma per svolgere efficacemente questa professione e anche per essere credibili sul mercato è preferibile seguire un apposito corso o master. Seguendo questi master chi aspira a diventare counselor può:
- Acquisire le capacità professionali che servono per operare come counselor professionale;
- Allenare ed assumere maggiori capacità comunicative e relazionali;
- Ricevere delle nozioni di psicologia che consentono di approcciare al meglio i diversi tipi psicologici;
- Comprendere in profondità l’essere umano;
- Operare e cooperare in considerazione delle qualità personali di ogni singolo individuo.
Quali materie si studiano nei corsi di counseling? Come abbiamo detto non esiste una normativa che regolamenta la professione del counselor. Da ciò consegue che non esiste nemmeno una regolamentazione dei corsi di counseling che imponga l’insegnamento di alcune materie piuttosto che di altre.
Osservando la realtà dei corsi di counseling in circolazione si può tuttavia, affermare che le materie più frequentemente presenti in questi percorsi formativi sono:
- La nozione di counseling, la sua storia e la sua regolamentazione normativa;
- La capacità di comunicazione come elemento fondamentale nelle relazioni di aiuto;
- Le varie forme di comunicazione: il linguaggio, l’ascolto, l’empatia, l’osservazione, la comprensione, il conflitto, la negazione;
- Cenni di psicologia generale (i modelli psicologici, psicologia dello sviluppo, antropologia culturale, psicologia sociale;
- Lo sviluppo psicologico dell’individuo
Gli sbocchi professionali. Vi basterà osservare un social network come Linkedin o Facebook per rendervi conto che negli ultimi anni si sono diffusi professionisti che vendono ad aziende e privati dei servizi professionali che si fondano sulla capacità di queste persone di motivare gli altri, di far assumere agli altri un atteggiamento positivo, reattivo ed orientato al futuro. Vengono chiamati e si autodefiniscono in diversi modi ma l’esplosione di questo settore è innegabile.
E’ del tutto evidente che una simile capacità non è importante solo per il singolo individuo che sta attraversando un momento di crisi e di scoraggiamento ed ha dunque bisogno di essere spronato e incentivato ma è molto importante anche per le aziende, le associazioni e qualsiasi formazione sociale che voglia motivare i propri membri a lottare per un determinato obiettivo.
Nelle aziende, in particolare, soprattutto quelle ad alto capitale umano in cui è la persona a fare la differenza è fondamentale tirare fuori da ogni collaboratore il meglio di sé, la voglia di fare, l’iniziativa e indirizzare queste energie verso l’interesse dell’impresa.
E’ per questo che diventare esperti counselor significa oggi potersi inserire in un settore estremamente promettente dal punto di vista occupazionale.
Perché il counseling è in crescita? La società attuale, lo si dice spesso, tende a lasciare le persone sempre più sole con i propri problemi. In questa società le persone devono apparire sempre vincenti, di successo e sembra non esserci spazio per chi invece si trova in difficoltà. Ecco dunque che, date queste premesse, per l’individuo è fondamentale trovare qualcuno che lo ascolta, senza giudicare, e lo comprende.
Il counseling ha esattamente queste caratteristiche, in quanto il counselor è la figura giusta per dare risposta a due dei principali bisogni che ha creato nell’uomo la società attuale: il bisogno di essere compreso ed ascoltato.
Queste esigenze si esprimono a tutti i livelli: le esprime il singolo individuo, le esprime la famiglia nel suo insieme, le esprime l’azienda, l’associazione e qualsiasi altra formazione sociale.
Proprio per questo possiamo dire che il counselor ha oggi un’ampia rosa di possibilità di fronte a sé potendo agire nei più svariati contesti sociali, dalla coppia, alla famiglia, sino all’azienda, alla scuola, agli ospedali. Ovunque ci sia umanità, il counselor può esprimere le sue competenze.
In particolare, il counselor può esprimere pienamente il suo valore nei seguenti ambiti:
ü Scuola: possono essere sviluppati dei progetti specifici, pensati per dare risposta a bisogni specifici segnalati dai bambini, oppure dagli adolescenti, dai giovani, dai genitori e dagli insegnanti;
ü Sanità: affrontare un periodo di malattia e magari di ricovero ospedaliero non è affatto facile e in quei contesti è facile perdere la fiducia in sé stessi e mollare. Molto difficile è anche la sfida a cui sono chiamati gli operatori della sanità, siano essi medici, infermieri, etc. Per questo anche nell’ambito sanitario il counselor può lavorare per tirare fuori il meglio dalle persone in una fase spesso delicata della propria esistenza;
ü Famiglia: le statistiche ci dicono che le famiglie italiane durano sempre di meno. La vita frenetica, le difficoltà economiche, la perdita di valori sono tutti fattori che mettono in crisi moltissime coppie. Spesso la fine dei rapporti avviene solo alla fine di periodi molto lunghi di litigi, tensioni che minano l’equilibrio di tutti i famigliari. Per questo il counselor cerca di lavorare per il benessere dei membri della famiglia, nessuno escluso. A tal fine il counselor spinge i famigliari ad assumere atteggiamenti pazienti, positivi, non conflittuali.
ü Sociale: spesso anche il disagio sociale deriva dalla crisi dell’individuo, della sua fiducia in sé e della sua capacità di lottare giorno dopo giorno per migliorare la propria condizione. Su tutti questi aspetti lavora il professionista del counseling.
La Legge per tutti 14 gennaio 2019
www.laleggepertutti.it/262451_cose-il-counseling
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DALLA NAVATA
2° Domenica del Tempo ordinario – Anno C – 20 gennaio 2019
Isaìa 62, 01. Per amore di Sion non tacerò, per amore di Gerusalemme non mi concederò riposo, finché non sorga come aurora la sua giustizia e la sua salvezza non risplenda come lampada.
Salmo 95, 07 Date al Signore, o famiglie dei popoli, date al Signore gloria e potenza, date al Signore la gloria del suo nome.
1Corinzi 12, 04 Fratelli, vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti.
Giovanni 02, 05. Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela».
Cana, i nostri cuori come anfore da riempire
C’è una festa grande, in una casa di Cana di Galilea: le porte sono aperte, come si usa, il cortile è pieno di gente, gli invitati sembrano non bastare mai alla voglia della giovane coppia di condividere la festa, in quella notte di fiaccole accese, di canti e di balli. C’è accoglienza cordiale perfino per tutta la variopinta carovana che si era messa a seguire Gesù, salendo dai villaggi del lago.
Il Vangelo di Cana coglie Gesù, nelle trame festose di un pranzo nuziale, in mezzo alla gente, mentre canta, ride, balla, mangia e beve, lontano dai nostri falsi ascetismi. Non nel deserto, non nel Sinai, non sul monte Sion, Dio si è fatto trovare a tavola. La bella notizia è che Dio si allea con la gioia delle sue creature, con il vitale e semplice piacere di esistere e di amare: Cana è il suo atto di fede nell’amore umano. Lui crede nell’amore, lo benedice, lo sostiene. Ci crede al punto di farne il caposaldo, il luogo originario e privilegiato della sua evangelizzazione.
Gesù, inizia a raccontare la fede come si racconterebbe una storia d’amore, una storia che ha sempre fame di eternità e di assoluto. Il cuore, secondo un detto antico, è la porta degli dei. Anche Maria partecipa alla festa, conversa, mangia, ride, gusta il vino, danza, ma insieme osserva ciò che accade attorno a lei. Il suo osservare attento e discreto le permette di vedere ciò che nessuno vede e cioè che il vino è terminato, punto di svolta del racconto: (le feste di nozze nell’Antico Testamento duravano in media sette giorni, cfr. Tb 11,20, ma anche di più). Non è il pane che viene a mancare, non il necessario alla vita, ma il vino, che non è indispensabile, un di più inutile a tutto, eccetto che alla festa o alla qualità della vita.
Ma il vino è, in tutta la Bibbia, il simbolo dell’amore felice tra uomo e donna, tra uomo e Dio. Felice e sempre minacciato. Non hanno più vino, esperienza che tutti abbiamo fatto, quando ci assalgono mille dubbi, e gli amori sono senza gioia, le case senza festa, la fede senza slancio.
Maria indica la strada: qualunque cosa vi dica, fatela. Fate ciò che dice, fate il suo Vangelo, rendetelo gesto e corpo, sangue e carne. E si riempiranno le anfore vuote del cuore. E si trasformerà la vita, da vuota a piena, da spenta a felice. Più Vangelo è uguale a più vita. Più Dio equivale a più io. Il Dio in cui credo è il Dio delle nozze di Cana, il Dio della festa, del gioioso amore danzante; un Dio felice che sta dalla parte del vino migliore, del profumo di nardo prezioso, che sta dalla parte della gioia, che soccorre i poveri di pane e i poveri di amore. Un Dio felice, che si prende cura dell’umile e potente piacere di vivere. Anche credere in Dio è una festa, anche l’incontro con Dio genera vita, porta fioriture di coraggio, una primavera ripetuta.
padre Ermes Ronchi, OSM
www.qumran2.net/parolenuove/commenti.php?mostra_id=44963
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DIACONATO
Magistero, teologia e la donna nello spazio ecclesiale. Discussione sul diaconato femminile
“La donna vista come unica e sempre uguale…in fondo non esiste” (Karl Rahner)
Le parole dialogiche intrecciate con alcuni interlocutori sul tema “Donna e ministero della Chiesa” hanno fatto emergere questioni sulle quali posso presentare un resoconto, forse utile per il dibattito comune. Mi riferisco ad alcune obiezioni, venute da diversi interlocutori attenti, cui cerco di rispondere con buone argomentazioni, almeno con le migliori che riesco a formulare.
- Premessa storica e sistematica. Una prima riserva che mi è stata rivolta mi rimprovera una “metodologia teologica problematica circa l’influsso della Modernità nella interpretazione del Vangelo”. Questa valutazione a me pare discendere da una impostazione che impedisce di comprendere la questione della “autorità femminile” e dalla quale dipende, in sostanza, la mia difficoltà centrale nei confronti di una interpretazione estensiva di Ordinatio sacerdotalis. Un documento può legittimamente intendersi come definitivo. Ma ciò che è in gioco, a mio avviso, non è solo la “assistenza divina” assicurata al Magistero, su cui non vi è dubbio, ma anche la assistenza divina che si manifesta nel ruolo della donna nella cultura, nella società e nella Chiesa, che è radicalmente cambiato da quando abbiamo dismesso gli abiti mentali che hanno segnato la cultura comune – cristiana e non cristiana – dalle origini antiche fino al XIX secolo. Qualora non si riconosca questa novità – che Giovanni XXIII aveva già visto con acume 56 anni fa nella Enciclica Pacem in terris – non si riesce ad affrontare realmente il problema del “riconoscimento della autorità femminile nella Chiesa”. La tarda-modernità muta i termini della questione, senza essere sopravvalutata. Rispondere a questa sfida ripetendo gli schemi antichi, scolastico-medievali e moderno-tridentini, è un modo non adeguato di rispondere con risposte vecchie a domande nuove, e che può convincere solo chi non prende sul serio la questione. Occorre elaborare altri schemi, su cui la teologia è professionalmente chiamata a lavorare e a fare la sua parte. Sono schemi e ipotesi che partono da una nuova evidenza: ossia la parità di autorità di maschio e femmina nella famiglia, nella società e nella Chiesa. Ciò è il frutto del lento sviluppo degli ultimi 200 anni. Il che non significa affatto negare la differenza tra uomo e donna, omologare le diversità, appiattire le cose, ma impone di pensare la differenza con schemi nuovi e più adeguati, che non “privatizzino” la donna e non le attribuiscano sul piano pubblico una strutturale irrilevanza o “deminutio capitis”. Cavarsela con un riferimento al principio mariano e al principio petrino – come nuovi criteri di giustificazione della mancanza di autorità riservata alla donna – non porta ad altro che a riverniciare con una pittura brillante i vecchi mobili di casa, che non funzionano più. In questo senso, con tutta la comprensione per le preoccupazioni del magistero, la teologia ha il compito di segnalare, con modestia, ma anche con audacia, il circolo vizioso delle argomentazioni classiche. Se, come si dice in Donum veritatis “l’insegnamento del Magistero – grazie all’assistenza divina – vale al di là della argomentazione” – e questo è vero e va difeso dalla tentazione di ridurre il Magistero alle sue argomentazioni – ciò nondimeno quando il Magistero rinuncia del tutto alle argomentazioni, senza perdere per questo alcuna autorità, come avviene nel caso di Ordinatio sacerdotalis, deve essere accuratamente delimitato a ciò di cui il documento si occupa – ossia la “ordinazione sacerdotale” – e così apre inevitabilmente fronti di riflessione che devono essere considerati e riconosciuti, e che non possono risolversi semplicemente nella autorevolezza di un pronunciamento che si assume e si riconosce come definitivo. Dice infatti, S. Tommaso d’Aquino, nel Commentario alle Sentenze, “Se noi risolviamo i problemi della fede col metodo della sola autorità, possediamo certamente la verità, ma in una testa vuota”.
A ciò va aggiunta una seconda avvertenza, che prendo da Romano Guardini, in particolare da un suo scritto giovanile che risulta della massima importanza per affrontare la nostra questione. Si tratta di Ueber die systematische Methode in der Liturgiewissenschaft, “Jahrbuch fuer Liturgiewissenschaft”, 1(1921), 97-108, testo in cui Guardini formula una importantissima distinzione tra “scienza storica” e “scienza sistematica”. Egli opera tale differenziazione per meglio comprendere la liturgia, ma si tratta di un insegnamento prezioso per l’intero campo della teologia. Egli dice: la storia ci dice ciò che è stato, ma solo la sistematica può dirci ciò che deve essere. Anche per il nostro tema, possiamo attingere dalla storia un grande patrimonio di prassi, di decisioni e di parole, ma ciò che la Chiesa può e deve fare nel presente e nel futuro non si riduce a ripetere il passato. I “segni dei tempi” – tra cui il nuovo profilo autorevole e pubblico della donna – possono e debbono suggerire nuove strade e nuove acquisizioni, purché accettiamo che questi “segni” abbiano qualcosa da insegnarci, e che non siamo immuni da una visione ancora limitata della donna e della storia. Con gradualità e con senso del limite, queste possibilità vanno esplorate con coraggio, non giudicate incompatibili con una identità dedotta solo dal passato. In questa direzione, nella riflessione sul ministero diaconale femminile, mi sembra si muova anche, assai di recente, il testo di Giancarlo Pani, La donna e il diaconato, “La Civiltà Cattolica”, 3999/2017, 209-221.
- La questione del Magistero nel post-concilio. Sulla base di quanto premesso, io non dico affatto che il Magistero non possa assumere una posizione irreformabile: questo fa parte della concezione cattolica che non intendo affatto negare. Nemmeno affermo che non possa mai farlo, come se ciò fosse una regola generale del Magistero. Dico invece che nel caso specifico la forma particolare – una dichiarazione di “assenza di autorità” – riguarda esclusivamente la ordinazione sacerdotale e non vincola in alcun modo circa la ipotesi di ordinazione diaconale della donna. Anche le importanti espressioni di Veritatis gaudium di papa Francesco, sulla capacità del Magistero di dialogare e di “imparare” dalla cultura e di disporsi ad una “rivoluzione culturale”, non può certo essere utilizzata per “negare al Magistero il potere di definire una dottrina”, né io l’ho mai intesa in questo senso, ma piuttosto è volta a mostrare la debolezza di posizioni che, affermando una “assenza di potere”, semplicemente perpetuano relazioni, comprensioni e correlazioni che ormai risultano distorte e inadeguate. Ho citato papa Francesco per recuperare l’orizzonte conciliare che comprende la relazione “originaria” tra Vangelo ed esperienza. Se invece si pensa di risolvere la “questione della autorità femminile” semplicemente in un rimando al passato, all’interno di una semplice “assenza di competenza sulla materia”, si finisce facilmente per imboccare un vicolo cieco. Tale vicolo cieco, attraverso una dichiarazione di “incompetenza”, in realtà mantiene tutte le “competenza classiche”, senza metterle in discussione. Di fatto, assolutizza una dichiarazione che è stata formulata solo nel XX secolo, e che si basa su una “prassi pacifica” fino allora – quella della esclusione della donna da ogni ordinazione – ma che rimane condizionata strutturalmente da una comprensione culturale ed ecclesiale inadeguata della donna. In questo senso ho parlato, in altri testi, di “dispositivo Ratzinger”, come di un meccanismo che negli ultimi 30 anni ha frustrato stabilmente ogni possibile riforma della Chiesa. Non vi è pertanto nessun “abuso” da parte mia, nel citare le parole di papa Francesco: lo faccio non per negare competenze possibili e necessarie del Magistero, ma per ricondurne l’azione al suo orizzonte più proprio, che non di rado può risultare dimenticato.
- Le singole domande. Secondo alcuni, nei miei testi sul ministero femminile io “non offrirei argomenti nuovi”. Debbo precisare che questo è del tutto ovvio, perché è buona regola quella secondo cui sta a chi “nega” l’autorità femminile proporre argomenti convincenti, non a chi la afferma. Io penso che la donna non abbia alcun “impedimento” ad assumere autorità ecclesiale a livello di diaconato. Sta a chi la nega offrire impedimenti argomentati e solidi e non solo “precedenti”. Tuttavia da questa obiezione scaturiscono altre discussioni, che brevemente riprendo qui sotto:
- Gli elementi che qualificano un sacramento sono frutto di una istituzione originaria e di una lunga elaborazione ecclesiale. Perché mai io dovrei sostenere che i sacramenti non sono né più né meno di 7? Non discuto né la affermazione tridentina, né la sua attualità oggi. La logica di Lutero, tuttavia, è stata recepita anche dai Padri tridentini, perché anch’essi, come Lutero, anche se in modo diverso da lui, hanno voluto distinguere tra sacramenta maiora e tutti gli altri. Questa distinzione, senza la quale c’è anatema, ci rende liberi di un discernimento storico lungimirante. Ieri come oggi. E se i padri tridentini hanno usato la argomentazione sulla “sostanza del sacramento” per poter salvaguardare una prassi di “comunione sotto una solo specie”, che si differenziava dal comando esplicito e verbale del Signore – che parla di due specie e non di una sola – perché mai noi dovremmo far rientrare nella “sostanza del sacramento” il sesso maschile, se su questo il Signore non ha detto nulla? Di ciò che ha detto, assumiamo una versione riduttiva, mentre di ciò che ha fatto assumiamo una versione tassativa. Perché le sue parole su due specie si riducono ad una, mentre la sua azione con un solo genere non può estendersi anche all’altro? Perché mai questo potrebbe impedirci di arrivare ad ordinare donne al grado del diaconato, non essendovi su ciò alcuna parola esplicita di divieto? Qui mi pare che la fragilità di comprensione della tradizione sacramentale non sia la mia, ma quella che presume di aver risolto tutte le questioni sulla base di un pregiudizio, mentre in tal modo contribuisce solo a complicarli, perché non li affronta e pretende che nessuno ne parli. Questo può accadere in un luogo senza libertà, mentre la Chiesa è luogo in cui lo Spirito continua a soffiare.
- Certamente lo sviluppo liturgico e rituale fa parte della intelligenza ecclesiale e anche della dottrina. Tale sviluppo è avvenuto fino al XIX secolo in un contesto che non conosceva pienamente la libertà del soggetto, né il pieno rispetto della coscienza del singolo, soprattutto se di sesso femminile. Queste novità, che abbiamo imparato a chiamare “partecipazione attiva” solo dopo il Concilio Vaticano II, cambiano profondamente la concezione del rito e le forme della partecipazione. E non escludono affatto che anche la donna possa “servire all’altare”, “proclamare la parola”, “distribuire la comunione”, “presiedere la preghiera comune”. Tutto questo prima era quasi inconcepibile e oggi può essere acquisito come tradizione e dottrina ecclesiale. Per farlo occorre riconoscere, con la dovuta gradualità, che è possibile una integrazione della donna all’interno del ministero ordinato. La “mediazione di Cristo” non è riservata soltanto ad un sesso. E la “esperienza creaturale originaria” non corrisponde mai ad un assetto dei rapporti di potere/servizio tra uomini e donne. In tal modo si userebbe la S. Scrittura per confermare lo status quo dell’ordine pubblico, sociale, antropologico ed ecclesiale di un’epoca limitata e diversa dal compimento escatologico. E diversa anche dalla nostra.
- In un terzo punto alcune affermazioni da me ascoltate nel dibattito mostrano di fraintendere gravemente non quanto ho scritto io, ma quanto si è sviluppato sul piano liturgico ed ecclesiale dopo il Concilio Vaticano II. Ne è una chiara spia il modo con cui viene formulata una domanda retorica che qui riporto: “dovrebbe ad esempio la Chiesa ripensare chi sia il ministro della celebrazione eucaristica, dato il ruolo nuovo dei laici promosso dal Concilio Vaticano II?”. Proprio questo è un punto qualificante del Concilio Vaticano II, che a me pare sia pesantemente frainteso nella discussione. Il Concilio e la Riforma liturgica che ne è seguita ha chiesto esattamente questo: ripensare la definizione del “ministro”. Ogni eucaristia, dopo la riforma liturgica, ha almeno “tre ministri”, perché ha tre libri. Vi è una Presidenza, vi è un ministero della Parola e vi è un ministero del canto. Ciò che la tradizione ha riscoperto, negli ultimi 60 anni è che la nostra definizione “stretta” di ministero, che identifica l’unico ministro con il Presidente, ha impoverito la tradizione e ha determinato una grave deriva clericale. Così come una “ospitalità eucaristica” non può mai essere smentita dalla natura “iniziatica” della Eucaristia. Il gesto simbolico con cui papa Francesco, proprio nella Messa in Cœna Domini, ossia nel cuore della intimità iniziatica, ha introdotto la abitudine di “fare comunione” con non cristiani, condannati al carcere e per di più anche con donne, è una profezia di senso irriducibile alle sempre possibili chiusure di ogni rito su se stesso e sulle proprie meticolose rubriche da farmacisti.
- Circa il Magistero implicato in Ordinatio sacerdotalis, trovo “surreale” – utilizzando la curiosa terminologia impiegata da alcune osservazioni dei lettori – che mi si attribuisca ciò che non ho mai affermato. Io non dico, e lo ripeto, che Ordinatio sacerdotalis affermi che la ordinazione femminile sarà sempre una possibilità aperta per la Chiesa. Affermo invece che Ordinatio sacerdotalis esprime, con un alto grado di autorevolezza, la assenza di potere della Chiesa nella possibilità di ordinazione sacerdotale di soggetti femminili. Il che non esclude in nessun modo, e per principio, la possibilità di ordinazione diaconale di soggetti femminili, e dunque un loro accesso, per quanto parziale, al ministero ordinato. Essendo un documento che esclude una fattispecie – la ordinazione sacerdotale, appunto – di esso non è ammessa alcuna interpretazione analogica, estensiva dell’oggetto del divieto, secondo un principio di diritto comune. La mancanza di potere della Chiesa riguarda, nella Dichiarazione, esclusivamente la “ordinazione sacerdotale”, non la “ordinazione al diaconato”.
Anche in presenza di una legge canonica diversa – che parla appunto in generale di “ordinazione” di cui sarebbe “sostanza” il senso maschile (CJC 1025, §1) – sarà la legge a cambiare, non la interpretazione di Ordinatio sacerdotalis. Ciò dipenderà da una inclusione o esclusione del “sesso maschile” rispetto alla sostanza del grado più basso del sacramento dell’ordine. Cosa su cui la Chiesa potrebbe riconoscere di non avere radicalmente potere se vi fosse una parola esplicita del Signore che lo impedisse. Così come accade, ad es., per il matrimonio, su cui la “assenza di potere” sulla scioglimento dipende da una parola esplicita e inaggirabile del Signore. Ma in assenza di una tale parola, che non può essere sostituita da azioni compiute dal Signore, la determinazione non avviene anzitutto mediante un giudizio storico, che avrebbe in questo caso un oggetto indefinito, ma attraverso un giudizio sistematico, che non può mai essere risolto soltanto con riferimento ai “precedenti”. D’altra parte di tratta certo di una “prassi risalente”, ma che è diventata proposizione esplicita e giuridica solo nel XX secolo. La determinazione del “sesso maschile” come parte della “sostanza del sacramento” è quindi definizione ecclesiale positiva, che si può definire canonicamente “diritto divino positivo” solo con un uso molto spregiudicato – e direi anche poco responsabile – delle categorie giuridiche che vengono messe in campo. Sulla base di queste categorie imprecise non è possibile escludere la ordinazione diaconale femminile sulla base di Ordinatio sacerdotalis. Anzi, una ostinata persistenza in questa lettura “estensiva”, proposta soprattutto da alcuni canonisti, potrebbe rischiare di confondere una “posizione ufficiale” con una “invincibile misoginia clericale”.
La ratio di questa “apertura al diaconato” non sta dunque in una contestazione della “autorità del Magistero”, ma piuttosto nella rigorosa obbedienza al suo dettato, unita ad una riflessione sulla natura stessa del tema su cui il Magistero si pronuncia: infatti la “autorità femminile” non è soltanto un “dato creaturale e naturale”, che sarebbe a disposizione di una comprensione diretta e dottrinale, ma è un “dato storico e spirituale” che non può essere compreso una volta per tutte, neppure dal Magistero della Chiesa. Il quale resta al servizio della libertà con cui lo Spirito Santo guida la storia: esso parla con “segni” che devono essere sempre giudicati con discernimento e cautela, non pregiudicati con diffidenza e timore. Leggere “in Cristo” il maschile e il femminile significa riconoscere una differenza, ma non farla dipendere dal pregiudizio umano, dalle convenzioni sociali, o dalle diverse culture, ma solo dal giudizio di Dio a da ciò che lo Spirito mostra, sorprendentemente, lungo la storia aperta del rapporto tra Dio, uomo e donna. Questo è un giudizio capace di sorprendere e che non si preoccupa di predeterminare le identità prima che la storia le faccia fiorire del tutto, cosa che, appunto, non è anticipabile in nessun caso da una dottrina rigida, con cui il Magistero ha avuto sempre la sapienza di non identificarsi.
4. Brevi conclusioni. Non vi è dubbio che il punto su cui i miei interlocutori hanno avvertito maggiori difficoltà risulta il rapporto tra Vangelo e esperienza. In sostanza essi riconducono anche la esperienza degli uomini “alla sua profondità originaria, secondo il piano del Creatore”, e la predeterminano in un quadro statico: in tal modo non si espongono ad alcun “segno dei tempi”, ma sanno già il contenuto della esperienza, prima ancora di incontrarla. Per loro i “segni dei tempi” sono solo un’altra occasione con cui la Chiesa esplica la sua funzione docente: non riconoscono di avere nulla da imparare. Questa lettura semplicistica dei “segni dei tempi” rivela la pretesa che sta dietro alla negazione di ogni autorità alla donna: poter ricondurre il fenomeno di trasformazione “tardo moderna” della identità femminile ai pregiudizi che la storia ha proiettato sul “defectus eminentiæ gradus” del sesso femminile. In tal modo, io credo, restando in questa logica della autosufficienza maschile, non si rende un servizio alla Chiesa. La tensione tra Vangelo ed esperienza non è riducibile ad un accordo previo, già disponibile in una dottrina teologica immutabile, ma deve essere onorata fino in fondo, in tutta la sua “meravigliosa complicatezza”, nel corso della storia, accettando che vi siano “segni” da cui imparare e che prima erano sconosciuti. Questo è un compito del magistero e della teologia, in dialogo e senza censure. La nuova figura di autorità che la donna ha assunto gradualmente negli ultimi 200 anni, nella cultura comune di gran parte del mondo e anche parzialmente all’interno della Chiesa, attende un riconoscimento ecclesiale cattolico che la integri nel ministero ordinato. Ciò dovrà avvenire all’interno del quadro, nei limiti in cui lo consente, ma senza reticenze, ambiguità o ipocrisie. Soprattutto senza usare la storia come uno schermo, su cui proiettare tutte le proprie paure, o come un rifugio o come un via di fuga dal reale.
L’autorità delle donne, assunta come “segno dei tempi” è luogo di espressione dello Spirito, che la Chiesa deve imparare a riconoscere. Se essa pretendesse di farne a meno, spostando addirittura su Dio tale deliberazione, si priverebbe di un organo fondamentale e cadrebbe in una condizione di minorità. Uscire dallo stato di minorità diventa, per il futuro, un compito inaggirabile: uscire dallo stato di minorità ecclesiale, dovuto al mantenimento della donna in condizione di minorità nella Chiesa. Ognuno deve svolgere tale compito nei limiti delle proprie responsabilità: da un lato il magistero dei pastori, dall’altro il magistero dei teologi. Ciascuno con le sue competenze e senza alcuna possibilità che l’uno possa fare a meno dell’altro o – e sarebbe molto peggio – che l’uno pretenda di ridurre l’altro al silenzio.
Resta, alla fine, un rapporto molto serio, ma anche molto sereno, con il riconoscimento di una “auctoritas” di cui la Chiesa ha bisogno. E che non può essere risolta sulla base di stereotipi del femminile che la storia ha faticosamente superato. Perché dobbiamo ammettere, con le parole sapienti di Karl Rahner, che “la donna vista come unica e sempre uguale…in fondo non esiste”. Se questo è vero, molte cose potranno e dovranno cambiare. Non per disattendere il Vangelo, ma per comprenderlo meglio.
Andrea Grillo Come se non 20 gennaio 2019
www.cittadellaeditrice.com/munera/magistero-teologia-e-la-donna-nello-spazio-ecclesiale-discussione-sul-diaconato-femminile
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DIRITTO DI FAMIGLIA
Affido condiviso: ragioni a sostegno della riforma Pillon
Questo documento è stato redatto dal prof. Pierluigi Mazzamuto (docente di diritto civile presso l’Università di Palermo), dall’avv. Carlo Piazza (familiarista), dall’avv. Marcello Adriano Mazzola (familiarista) e dal dott. Vittorio Vezzetti (pediatra), con il coordinamento e la supervisione del prof. Arturo Maniaci (docente di Istituzioni di diritto privato e di diritto minorile presso l’Università degli Studi di Milano), contenente osservazioni in replica al documento redatto in data 30 ottobre 2018 dagli avv.ti Daniela Bianchini, Margherita Prandi Borgoni e Eva Sala per conto del Centro Studi Livatino.
www.centrostudilivatino.it/affido-condiviso-profili-critici-e-ragioni-di-contrarieta/#more-5967
Il disegno di legge Atto S. 735 (di iniziativa di nove senatori dell’attuale maggioranza parlamentare, fra cui l’on. Simone Pillon, che ne risulta primo firmatario), comunicato alla Presidenza del Senato il 1° agosto 2018, che ha già formato oggetto di ampia e accesa discussione presso gli organi di stampa, si propone come riforma che innova profondamente il diritto di famiglia, segnatamente per quanto concerne la disciplina della crisi di coppie (coniugate o non coniugate o non più coniugate) con figli. Le questioni maggiormente dibattute e i principali contenuti del disegno di legge riguardano gli strumenti di attuazione del principio di bigenitorialità nel contesto della crisi della coppia genitoriale, fra cui i mezzi alternativi di risoluzione delle controversie in materia giusfamiliare (mediazione familiare e coordinazione genitoriale), le modalità e i tempi di frequentazione dei figli, il mantenimento diretto della prole, la sorte della casa familiare, la lotta al fenomeno dell’alienazione parentale, nonché altri istituti, a tutela del minore.
Relazione, disegno di legge www.senato.it/japp/bgt/showdoc/18/DDLPRES/0/1071882/index.html
Dossier www.senato.it/japp/bgt/showdoc/18/DOSSIER/0/1074687/index.html?part=dossier_dossier1-sezione_sezione11
Documenti acquisiti www.senato.it/leg/18/BGT/Schede/Ddliter/documenti/50388_documenti.htm
Trattazione in 2°Commissione www.senato.it/leg/18/BGT/Schede/Ddliter/comm/50388_comm.htm
1. La mediazione familiare e la coordinazione genitoriale.
1.1 In generale. È ormai da tempo acclarato, in ambito nazionale, europeo e internazionale, che la mediazione familiare svolge un ruolo di fondamentale importanza nella gestione delle situazioni di crisi della famiglia, con riguardo sia agli aspetti relazionali sia agli aspetti economico-patrimoniali, favorendo una pacifica, condivisa ed equa regolamentazione sia dei rapporti tra coniugi, ex coniugi o conviventi, sia, soprattutto, tra questi e i loro figli.
Il mediatore familiare, infatti, quale professionista terzo e imparziale, assiste e coadiuva i componenti della coppia genitoriale nella ricerca di un accordo per la risoluzione della controversia familiare, aiutandoli a ripristinare i canali di comunicazione interrottisi e responsabilizzandoli a ricercare liberamente un accordo volto alla miglior cura e protezione dei figli, senza mai assumere decisioni in luogo delle parti.
Il disegno di legge Atto S. n. 735 (in seguito, per brevità, “Ddl”) si fa apprezzare nel suo lodevole tentativo di introdurre una disciplina organica della mediazione familiare, sia quale professione che necessita (e da lungo tempo si era in attesa) di idonea regolamentazione normativa, sia quale strumento di risoluzione dei conflitti familiari che opera all’esterno e/o all’interno dei procedimenti di separazione e di divorzio, specialmente in presenza di coppie con figli minori. Anzi, il mediatore viene additato dal futuro legislatore come la figura più idonea ad aiutare i genitori nella redazione del “piano genitoriale”, e cioè del progetto relativo alle future scelte educative della prole (cfr. art. 13 Ddl).
La tutela dell’interesse del minore e del suo fondamentale diritto alla bigenitorialità è, infatti, uno dei principali obiettivi che l’istituto della mediazione familiare si prefigge nel gestire il conflitto in atto tra i genitori, in linea con i principi consacrati nelle più importanti convenzioni internazionali e sovranazionali, in primis la Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza del 1989 (ratificata dall’Italia nel 1991) e la Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei minori del 1996 (ratificata dall’Italia nel 2003).
1.2. L’obbligatorietà della mediazione familiare. Il Ddl intende colmare un’evidente lacuna del legislatore italiano, che, nonostante le direttive e raccomandazioni dell’Unione europea in materia di mediazione civile, ha fino ad oggi incomprensibilmente omesso di prevedere l’obbligatorietà del primo incontro informativo di mediazione in materia di diritto di famiglia, settore che coinvolge la vita delle persone in modo molto più incisivo che in altri settori e nel quale si rendono necessari strumenti di soluzione del conflitto proprio a tutela dei soggetti più deboli, in primo luogo i minori, i quali per lo più subiscono passivamente le conseguenze pregiudizievoli delle crisi conflittuali tra i propri genitori, con gravi ripercussioni sul loro equilibrio psico-fisico.
Il percorso di mediazione familiare ha pertanto come obiettivo (cfr. art. 3 Ddl) il raggiungimento di un accordo tra i genitori che sia il più possibile rispettoso dell’interesse dei figli minori, dei loro bisogni e diritti fondamentali, fra cui, anzitutto, quello alla bigenitorialità, ossia a mantenere una relazione equilibrata e continuativa con il proprio padre e con la propria madre, anche dopo la separazione o il divorzio: un accordo rispettoso delle esigenze primarie dei minori, giacché il mediatore familiare aiuta le parti a comprendere l’importanza dei propri distinti e complementari ruoli genitoriali, avendo speciale riguardo agli interessi della prole.
La mediazione familiare, di cui dunque viene reso obbligatorio il primo incontro informativo, diviene pertanto uno strumento necessario e ineludibile nei procedimenti di separazione e divorzio, al fine di prevenire, elidere o attenuare la conflittualità tra le parti, trasformandola in una rinnovata capacità di raggiungere accordi e di collaborare quali genitori responsabili dell’educazione, della crescita equilibrata e della salute psico-fisica dei propri figli.
Rendendo obbligatorio solo ed esclusivamente il primo incontro informativo (peraltro, caratterizzato da gratuità: v. art. 4 Ddl), viene così salvaguardata sia la corretta funzionalità dell’istituto sia libertà da condizionamenti, posto che i genitori sono liberi di intraprendere o proseguire tale percorso (il cui limite temporale è fissato dall’art. 3, comma 4, Ddl: massimo 6 mesi), avendo ciascuno di essi la facoltà di porvi fine in qualsiasi momento (v. art. 3, comma 3, Ddl).
Le critiche mosse nel documento del Centro Studi Livatino sono, quindi, infondate, posto che il Ddl in esame non impone affatto di seguire l’intero percorso di mediazione, ma di partecipare al primo incontro informativo e gratuito.
Non è sostenibile neppure la critica in ordine all’aver fatto assurgere il primo incontro di mediazione al rango di condizione di procedibilità, visto che, in mancanza di una sanzione processuale, sarebbe molto semplice per le parti omettere l’adempimento e vanificare il senso della riforma.
In relazione alle situazioni di particolare gravità, poi, come nelle ipotesi di violenza endofamiliare o abusi (che sono comunque residuali, considerato che ogni giorno si registrano in Italia 480 separazioni e divorzi, cui si aggiungono almeno 150 separazioni di coppie di fatto, e che sono comunque contemplate dal Ddl come causa di esclusione dell’affidamento condiviso), in cui la mediazione non è praticabile, come previsto dall’art. 48 della Convenzione di Istanbul dell’11 maggio 2011, ferme le tutele penali e quelle parapenali rappresentate dagli ordini di protezione della vittima, sarà dovere del mediatore non avviare o interrompere il procedimento di mediazione, certificando la non mediabilità della coppia per la sussistenza di violenze domestiche o abusi in famiglia o comunque assicurando (come avviene, ad esempio, in Austria) che non avvenga un incontro fra la vittima e l’autore della violenza o dell’abuso. Del resto, è significativo che, anche dopo la ratifica ed esecuzione della Convezione di Istanbul da parte dell’Italia (con L. n. 77/27 giugno 2013), www.altalex.com/documents/leggi/2013/07/04/violenza-sulle-donne-la-convenzione-di-istanbul-e-legge
non sia venuto meno il tentativo di conciliazione che l’art. 708 cod. proc. civ.
www.altalex.com/documents/news/2014/11/17/dei-procedimenti-speciali-procedimenti-in-materia-di-famiglia-e-stato-delle-persone#art708
e l’art. 4 L. n. 898/1 dicembre 1970
https://www.altalex.com/documents/leggi/2012/06/27/disciplina-dei-casi-di-scioglimento-del-matrimonio#art4
impongono come incombente obbligatorio a carico del giudice nei giudizi di separazione e di divorzio.
In ogni caso, nella grande maggioranza dei casi, destinati ulteriormente ad aumentare per effetto dell’applicazione del principio della pariteticità dei tempi di frequentazione dei figli (che scoraggia episodi di violenza familiare), la previsione del passaggio della mediazione familiare quale condizione di procedibilità del giudizio costituirà, per un verso, un efficace deterrente all’instaurarsi e/o protrarsi indefinito di conflitti tra i genitori e, per altro verso, l’occasione, ancor oggi pressoché sconosciuta alla maggioranza delle famiglie italiane, per affrontare la controversia in modo riservato e pacifico, con l’ausilio di un esperto dei conflitti, il quale aiuterà i genitori a raggiungere un accordo che realmente soddisfi gli interessi di entrambi e, in special modo, quelli della prole.
È, peraltro, evidente che l’alta conflittualità e le violenze domestiche potrebbero essere spesso prevenute proprio grazie al tempestivo utilizzo della mediazione familiare, quale percorso che educa o rieduca le parti al dialogo e al rispetto reciproco della persona e del ruolo genitoriale (materno o paterno) che le compete: circostanza di cui i redattori del Ddl mostrano consapevolezza (v. art. 1, comma 2, lett. i, punto 2, Ddl).
Anzi, nell’ambito della famiglia, l’obbligatorietà del passaggio della mediazione, già prevista in vari ordinamenti stranieri [Fra i quali spiccano: Australia e Norvegia, in cui, in presenza di un figlio di età fino a 16 anni, è obbligatorio un percorso di mediazione; Croazia, Regno Unito e Ungheria, in cui è obbligatoria almeno una sessione informativa sulla mediazione], si rende più necessaria che nella mediazione dei rapporti civili e commerciali, già disciplinata dal D.lgs. n. 28/4 marzo 2010, in quanto è coinvolta direttamente la vita e la salute delle persone che in essa esprimono la loro personalità, ed è del tutto evidente come da questo punto di vista l’ordinamento italiano sia rimasto indietro rispetto a molti Paesi europei ed extraeuropei, dove la mediazione familiare è da decenni una prassi consolidata.
www.altalex.com/documents/leggi/2013/11/04/mediazione-civile-il-testo-aggiornato-del-d-lgs-28-2010
E ciò, in quanto è meglio evitare, finché sia possibile, di intraprendere o proseguire un giudizio, con tutte le conseguenze negative, in termini di costi economici ma soprattutto umani, che questo può comportare per la famiglia e in particolare per i soggetti più deboli, ossia i minori, che troppo spesso finiscono per diventare oggetto di contesa e di continue rivendicazioni tra i genitori in perenne conflitto tra loro per via della consolidata prassi, potenzialmente dannosa per la salute psico-fisica dei figli, di affrontare la controversia a suon di ricorsi e controricorsi giudiziari, che non contribuiscono a quella serena e pacifica riorganizzazione delle relazioni familiari che soltanto un percorso riservato di mediazione familiare può garantire.
Non solo. Ma tutte le volte in cui, grazie alla capacità del mediatore di favorire un clima di dialogo costruttivo e responsabile, la controversia si definisca con un accordo, scelto liberamente dalle parti e soddisfacente per entrambe e per i propri figli, i tempi e i costi complessivi del conflitto genitoriale, lungi dal dilatarsi e rispettivamente aumentare, conosceranno piuttosto una drastica riduzione, portando significativi benefici anche in termini di serenità familiare e di collaborazione proficua tra genitori, nell’interesse preminente dei figli, i quali potranno anche così vedere soddisfatto il loro fondamentale diritto alla bigenitorialità.
Il Ddl istituisce, poi, l’albo professionale dei mediatori familiari, facendo assurgere al rango di professione protetta (o riservata) un’attività già riconosciuta come professione non regolamentata, ai sensi e per gli effetti di cui alla L. n. 4/14 gennaio 2013, dalla norma nazionale UNI 11644, approvata il 30 agosto 2016, cui la suddetta legge (v. artt. 5, comma 2, lett.e e 6, comma 2) rinvia.
www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2013/01/26/13G00021/sg
Il Ddl intende, quindi, valorizzare la formazione, la competenza e le abilità della figura del mediatore familiare (caratterizzata da terzietà e imparzialità rispetto alle parti, e la cui attività è conseguentemente presidiata da autonomia, segreto professionale e obblighi di informazione).
L’attribuzione di tale qualifica, di cui si riconosce espressamente la «funzione sociale» (art. 1, comma 1, Ddl), anche agli avvocati in possesso di specifici requisiti si giustifica sia in considerazione della funzione sociale riconosciuta espressamente all’attività svolta dagli avvocati (arg. ex artt. 1, comma 2, 3, comma 2 e 8 L. n. 247/31 dicembre 2012),
www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2013/01/18/13G00018/sg
sia in virtù dell’esperienza professionale maturata nel campo del diritto di famiglia e minorile (v. art. 1, comma 2, lett. c Ddl).
1.3. La coordinazione genitoriale. Nel contesto dei mezzi alternativi di risoluzione delle controversie in materia giusfamiliare, è da salutare con favore anche l’istituzione della figura del “coordinatore genitoriale”, definito dall’art. 5 Ddl come «esperto qualificato con funzione mediativa, dotato di formazione specialistica in coordinazione genitoriale» (a norma dell’art. 5, comma 2, Ddl, possono esercitare la funzione di coordinatore genitoriale psichiatri, neuropsichiatri, psicoterapeuti, psicologi, assistenti sociali, avvocati e mediatori familiari), con il compito di gestire e dirimere in via stragiudiziale le controversie eventualmente sorte tra i genitori di prole minorenne in sede di esecuzione del piano genitoriale (eventualmente e auspicabilmente concordato dalle parti in mediazione), e quindi dopo il perfezionamento di un accordo di mediazione ovvero dopo l’emanazione di provvedimenti giudiziali riguardanti la prole minorenne.
www.studiocataldi.it/articoli/30301-il-coordinatore-genitoriale.asp
Si tratta di una figura (diversa dal mediatore, in quanto il ricorso alla stessa è eventuale, subordinato alla volontà delle parti e a titolo oneroso, e in quanto si tratta di professionista già iscritto in un albo di una delle professioni già regolamentate) che si affianca al giudice e al mediatore familiare a garanzia della tutela dei minori, specialmente nei casi di «alto livello di conflitto» (art. 5, comma 3, lett. a), e che la nostra giurisprudenza ha già avuto occasione di valorizzare, sottolineando altresì come il suo operato sia sempre subordinato al controllo, preventivo o successivo, del giudice, il cui potere decisorio rimane in ogni caso integro.
I compiti, le modalità di nomina e revoca dell’incarico, nonché le tariffe professionali potranno essere specificati nella futura legge stessa o in un successivo decreto attuativo.
Per le ragioni esposte appaiono, pertanto, prive di pregio le critiche contenute nel documento del Centro Studi Livatino in ordine alla figura del coordinatore genitoriale, il ricorso alla quale, peraltro, è già ampiamente e da tempo collaudato negli Stati Uniti con l’esperienza di Debora Carter, e introdotta in avanzata fase sperimentale presso i Tribunali di Milano, Monza, Mantova, Civitavecchia e altri.
2. L’equilibrio tra le figure dei genitori
2.1. La condivisione dell’intenzione del Ddl di garantire la bigenitorialità. Il cuore pulsante è rappresentato – come suggerisce il titolo del Ddl – dal principio di bigenitorialità, la cui effettività il Ddl intende garantire e tutelare: il figlio (ogni figlio) ha il diritto di instaurare e soprattutto di mantenere una relazione triadica (e cioè sia con la madre sia con il padre), indipendentemente dalla sussistenza di una relazione o dal tipo di relazione che si instaura fra i genitori (v. art. 11, comma 1, Ddl).
In attuazione dell’art. 30 della Costituzione italiana, che attribuisce ad entrambi i genitori il diritto-dovere di istruire, educare e mantenere i figli, in conformità alle indicazioni del Consiglio d’Europa (Risoluzione n. 2079/2015), www.figlipersempre.com/res/site39917/res699388_TRADUZIONE2.pdf
in ottemperanza al monito proveniente dalla Corte EDU che ha in più occasioni condannato l’Italia per violazione del diritto alla bigenitorialità e alla genitorialità, garantiti dall’art. 8 della CEDU [Convenzione Europea Diritti dell’Uomo], www.echr.coe.int/Documents/Convention_ITA.pdf
e preso atto della mancata o erronea applicazione della L. n. 54/8 febbraio 2006 in materia di affidamento condiviso, www.camera.it/parlam/leggi/06054l.htm
il Ddl detta regole relative ai tempi di frequentazione tra il figlio e ciascuno dei genitori in caso di crisi della coppia genitoriale.
L’attuale disparità tra le figure genitoriali dopo tale crisi ha, infatti, sinora relegato l’Italia agli ultimi posti fra i Paesi occidentali in tema di bigenitorialità.
Un affidamento paritetico riguarda il 2-3% dei minori e per accordo fra le parti, mentre chi eccezionalmente lo ottiene in giudizio sale spesso agli onori delle cronache. [Ad esempio il caso (recentissimo) di Tribunale di Firenze, 2 novembre 2018, n. 2945, che significativamente è stato additato come il precedente giurisprudenziale che “anticipa” quanto previsto dal Ddl 735].
www.francocrisafi.it/web_secondario/sentenze%202018/tribunale%20Firenze%20sentenza%202945%2018.pdf
Un affidamento materialmente condiviso (in un range 35-65%) riguarda circa il 3-4% dei casi, mentre un affidamento materialmente esclusivo (al di fuori di questo range) è la sorte che spetta, di prassi, agli altri minori italiani, con una media teorica di 6 pernottamenti al mese per il genitore non collocatario della prole versus i 24 al mese, di spettanza del genitore collocatario.
Il tasso di affidamento esclusivo della prole al padre è il più basso al mondo (<0,7%), oltre dieci volte meno di quello alla madre (8,9% secondo l’ISTAT), a dimostrazione di una giurisprudenza gender oriented, che infatti non ha remore a teorizzare un criterio presuntivo basato sulla «mother preference» [Corte di Cassazione, prima Sezione civile, sentenza n. n 18087, 14 settembre 2016].
www.altalex.com/documents/news/2016/09/16/affidamento-di-figli-in-eta-scolare-vale-la-maternal-preference
o a parlare di un diritto del minore «di avere una relazione significativa e costante con il genitore collocatario» [Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, ordinanza , n. 25418, 17 dicembre 2016]
www.personaedanno.it/dA/7d919a9910/allegato/cass.%2025418.2015.pdf
2.2. Interesse del minore o dell’adulto? Il documento del Centro Studi Livatino accusa la riforma contenuta nel Ddl di adultocentrismo, facendo leva su una presunta rigidità delle previsioni ivi contenute.
La critica contro la fissazione di rigidi tempi di frequentazione genitori/figli non è fondata, considerato che oggi si registra una standardizzazione pressoché assoluta, basata su una indimostrata nocività dell’affidamento materialmente condiviso (come dimostrato dalla circolazione in molti tribunali italiani di moduli prestampati, che stabiliscono a priori i tempi di frequentazione, cui basta aggiungere semplicemente i dati delle parti), e considerato che l’analisi dei Paesi esteri depone nel senso che, là dove viene concretamente il principio di affidamento materialmente condiviso, si registra una maggiore diversificazione dei provvedimenti.
Nel testo vi sono le seguenti figure:
- figura 1 (numeri dell’affidamento minorile in Europa e nel mondo)
- figura 2 (distribuzione dei pernottamenti in Danimarca)
L’analisi delle ricerche scientifiche internazionali e dei modelli esteri ha poi fatto emergere che tale sperequazione, priva di substrato scientifico, porta a diverse conseguenze, e cioè:
- a un forte rischio di perdita del legame di uno dei genitori con la prole a distanza di pochi anni dalla separazione della coppia genitoriale (anche qui, con il 25-30% di minori che perdono contatto con uno dei genitori siamo agli ultimi posti, ben lontani dal 12,1% della Danimarca e dal 13% della Svezia);
- a un aumento della conflittualità (i Paesi che, come la Svezia, hanno iniziato ad utilizzare una presunzione di affidamento materialmente condiviso hanno registrato un progressivo calo della conflittualità genitoriale).
Precisiamo, poi, che sia la perdita genitoriale sia la forte conflittualità rappresentano alcune fra le più gravi “childhood adversity”, con tale espressione intendendosi nella nomenclatura pediatrica quelle situazioni che possono causare gravi danni organici lungolatenti (deficit ormonali, deficit cromosomici, malattie neoplastiche, malattie infiammatorie croniche, malattie cardiovascolari, malattie psichiatriche come la depressione, et cetera).
Alla luce di tali risultati medico-scientifici, e al precipuo scopo di preservare un sano ed equilibrato sviluppo del minore, il Ddl ha, quindi, fissato un limite tendenziale minimo di permanenza del figlio con uno dei genitori, pari almeno a 12 giorni in ragione di mese (v. art. 11, comma 2, Ddl), che rappresenta una sorta di “soglia di sicurezza” per la salute psico-fisica del minore.
E si tratta di una regola, di carattere eminentemente puerocentrico (o paidocentrico), che rappresenta l’approssimazione maggiormente rispondente agli scopi della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza del 1989, ratificata dall’Italia con L. n. 176/27 maggio 1991 e al relativo commento generale ONU n. 14 del 29 maggio 2013 (che, con riguardo al “best interest of the child”, recita: «For collective decisions – such as by the legislator –, the best interests of children in general must be assessed and determined in light of the circumstances of the particular group and/or children in general»).
www.minori.it/minori/diritti-dei-minori-i-commenti-del-comitato-onu
In ogni caso, non è una regola così rigida e automatica, come finora si è voluto indurre a ritenere sulla base di una lettura superficiale del testo del Ddl, considerato che è lo stesso Ddl a far salvi sia gli eventuali diversi accordi fra i genitori, sia quelle situazioni in cui sussiste un serio pericolo di pregiudizio per la salute psico-fisica del minore idoneo a giustificare una deroga a quella regola, come nelle ipotesi di violenza o abuso sessuale (v. art. 11, comma 2, Ddl).
2.3. La ripartizione dei tempi di frequentazione dei genitori. È interessante notare che il documento del Centro studi Livatino riconosca la necessità della presenza di entrambi i genitori nella vita del figlio, salvo poi – con un salto logico di difficile comprensione – scindere i tempi dalla genitorialità. È, invece, indispensabile, per una corretta ed equilibrata crescita del minore, garantire che la bigenitorialità possa esprimersi non solo in linea di principio ma anche con tempi congrui ed adeguati, da trascorrere con l’uno e con l’altro genitore.
Una suddivisione paritaria o paritetica dei tempi di permanenza del figlio presso la casa di ciascun genitore (scilicet [cioè], presso due diversi habitat domestici) non è, peraltro, destinata a provocare traumi o stress peggiori di quelli provocati dagli spostamenti fisici che sino ad oggi hanno comportato separazioni e divorzi con figli. Anzi, un affidamento condiviso della prole che contempli settimane alterne per ciascun genitore (50%, salvi i periodi delle vacanze, in cui l’alternanza può essere anche per un tempo maggiore, per esempio ogni mese) comporterebbe 49 spostamenti all’anno per il minore, laddove l’attuale prassi, basata su due fine settimana alterni e sei contatti infrasettimanali al mese, comporta spostamenti del minore superiori di circa tre volte (179), come mostra il seguente schema:
D’altronde, la realtà osservata depone nel senso che i figli di hostess, dottoresse, infermiere o assistenti sanitarie, che spesso per ragioni lavorative non pernottano a casa, non subiscono conseguenze peggiori per il fatto di pernottare con il papà. E ciò, a tacer dei bimbi delle popolazioni nomadi (come i beduini, i tuareg o i mongoli), che presentano parametri di salute mentale migliore dei bambini o ragazzini delle società occidentali (le cui notorie “protesi tecnologiche” sono destinate ad incidere negativamente sulla loro stabilità mentale in misura ben superiore rispetto a quanto possa incidere il semplice spostamento fisico da una casa ad un’altra).
Inoltre, la partecipazione dei figli alla elaborazione del piano genitoriale non viene esclusa, perché, nel caso dei figli maggiorenni non economicamente indipendente, tale partecipazione è addirittura edittale [attinente alla legge] (v. art. 15 Ddl); con riguardo, invece, ai figli minori, entrambi i genitori – anche mercé l’eventuale e auspicabile aiuto di un esperto qualificato, quale è il mediatore familiare – redigono il rispettivo piano genitoriale (suscettibile per sua natura di revisione), tenendo conto, anzitutto (v. art. 11, comma, 7, Ddl), delle esigenze del minore, il cui interesse campeggia sempre prima dell’adozione dei provvedimenti del giudice, sotto forma di diritto all’ascolto, riconosciuto a tutti i minori ultradodicenni, ovvero, se infradodicenni, ai minori che abbiano capacità di discernimento (v. art. 16 Ddl).
Va soggiunto che la mancata redazione del piano genitoriale da parte di uno dei genitori [Di cui è prevista l’obbligatorietà in molti Paesi, come il Canada, l’Olanda, la Catalogna, l’Australia.], sebbene causa di nullità dell’atto introduttivo del giudizio di separazione o di divorzio (ricorso o memoria difensiva), “si converte” automaticamente nell’accoglimento del piano genitoriale dell’altro genitore, il cui contenuto verrà a sua volta sottoposto al vaglio del giudice, che è sempre tenuto a valutarne la congruità e la rispondenza all’interesse della prole (v. art. 18 Ddl).
Il Ddl non si astiene, ovviamente, dal considerare e contemplare ipotesi di spostamento fisico del minore che sarebbero fonte di pregiudizio psico-fisico a carico del minore ovvero accentuerebbero il trauma della separazione: lo sradicamento dal luogo in cui era abituato a vivere (ad es. trasferimento in altra città e quindi in altro istituto scolastico), infatti, richiede il consenso di entrambi i genitori o, in mancanza, l’autorizzazione del giudice tutelare (v. art. 14 Ddl).
Infine, il Ddl valorizza, oltre che la relazione tra il figlio ed entrambe le figure genitoriali, anche un’altra relazione “verticale”, e cioè quella fra il minore e i nonni di entrambi i rami genitoriali: recependo un orientamento diffuso presso la dottrina e presso una parte della giurisprudenza di merito, il Ddl consente l’intervento (sia principale, sia adesivo) degli ascendenti nei giudizi di separazione e di divorzio (in ciò, il Ddl intende probabilmente operare un’abrogazione tacita parziale dell’art. 38, 1° comma, disp. att. cod. civ., che prevede sul punto una competenza funzionale del tribunale dei minorenni e che sotto tale profilo è stato già sospettato di illegittimità costituzionale, anche per eccesso di delega).
Si tratta, però, di una mera facoltà processuale, destinata non già ad acuire la conflittualità, ma a rendere effettivo il diritto iure proprio degli ascendenti a mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni, già attribuito dall’attuale art. 317-bis cod. civ. e, soprattutto, a consentire la piena attuazione del piano genitoriale, attesa la riconosciuta e spesso insostituibile presenza dei nonni nella vita dei nipoti.
Va da sé che l’eventuale intervento processuale degli ascendenti nei giudizi di separazione o divorzio promossi dai genitori non soggiacerebbe all’onere di attivazione del procedimento di mediazione familiare, sia perché l’intervento si esplicherebbe in un giudizio già in corso, sia perché, in assenza di indicazioni da parte del legislatore, si deve escludere la sussistenza di una condizione di procedibilità, quale sarebbe, secondo il Ddl, la mediazione familiare.
3. Il mantenimento dei figli in forma diretta. Il Ddl prevede, come forma privilegiata di mantenimento (conseguenziale alla suddivisione paritaria o paritetica dei tempi di cura e accudimento della prole), il mantenimento diretto dei figli di genitori separati o divorziati, che si contrappone alla modalità di mantenimento in forma indiretta, e cioè attraverso la corresponsione di una somma periodica di denaro da un genitore in favore dell’altro (c.d. assegno di mantenimento), che nel testo del Ddl assume carattere residuale ed eccezionale (v. art. 11, comma 7 e 9, Ddl).
Va ricordato che la forma diretta di mantenimento della prole è già prevista dall’attuale legislatore come quella prioritaria: il quarto comma dell’attuale art. 337-ter cod. civ. prevede, infatti, che ciascuno dei genitori «provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito» e che il giudice stabilisce, ma soltanto «ove necessario», la corresponsione di «un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità». La disposizione si salda con quella del primo comma del medesimo articolo, secondo cui ciascun genitore deve assumere una parte dei compiti di cura, educazione, istruzione e assistenza morale dei figli, restando obbligato a sacrificare parte del proprio tempo per provvedere direttamente ai loro bisogni.
Le osservazioni del Centro Studi Livatino in ordine a un presunto deficit di solidarietà del Ddl sono certamente da approfondire; tuttavia, va ricordato che il testo del Ddl non abdica, affatto, a una prospettiva solidaristica, che anzi viene valorizzata.
Il Ddl si propone di rendere effettiva la regola del mantenimento diretto, stabilendo che ciascun genitore provvede direttamente al pagamento delle spese necessarie ai bisogni del figlio, per capitoli di spesa: soluzione, quest’ultima, che responsabilizza maggiormente i genitori, sia perché il mantenimento diretto esplica una funzione educativa, relazionale e psicologicamente gratificante (per non fare che un esempio: altro è acquistare un vestito per il figlio, con la sua partecipazione alla scelta dell’acquisto e con una percezione diretta di attenzione alle sue reali esigenze da parte del genitore accudente; altro è delegare “in bianco” l’altro genitore, erogando la provvista destinata a soddisfare genericamente esigenze del figlio), sia perché favorisce una più corretta osservanza degli obblighi di mantenimento, diminuendo conseguente il tasso di potenziale conflittualità (ogni genitore è più propenso a soddisfare direttamente i bisogni del figlio che a versare all’altro, da cui è separato, una somma di denaro della cui effettiva destinazione non ha né può avere alcuna contezza, attesa l’insussistenza di qualsivoglia obbligo od onere di rendiconto a carico del genitore percettore dell’assegno).
In ogni caso, il Ddl si preoccupa dell’esigenza per cui, nel mantenimento diretto dei figli, che realizza “in natura” le effettive esigenze di questi, venga sempre osservato il principio di proporzionalità alla situazione reddituale ed economica complessiva di ciascuno dei genitori, di cui anche il piano genitoriale è espressione; tant’è che, nelle situazioni di più forte squilibrio reddituale ed economico fra genitori, trova ancora ingresso lo strumento (residuale) dell’assegno periodico a carico di uno dei genitori in favore dell’altro (v. art. 11, comma 9, Ddl), salvo sempre il diritto del genitore economicamente più debole di chiedere all’altro il mantenimento per sé (aspetto su cui il Ddl non incide).
Ciò non toglie, ovviamente, che sia tuttora sentita l’esigenza di garantire una pari opportunità lavorativa effettiva fra uomini e donne: ma tale obiettivo non può essere perseguito e realizzato attraverso un disegno di legge in materia di diritto di famiglia.
4. L’alienazione genitoriale. L’ultimo pilastro su cui regge l’impalcatura del Ddl è rappresentato dalla lotta all’alienazione genitoriale.
Al di là della terminologia utilizzabile e della questione dell’inquadramento di tale inquietante fenomeno, il contrasto di esso è corollario dell’esigenza di tutelare in via prioritaria l’interesse del minore, che non deve essere escluso dalla relazione affettiva con una delle figure genitoriali sol perché l’altra o altri abbiano posto in essere una condotta volta ad allontanare il minore dalla vita di un genitore.
Il Ddl valorizza a tal fine sia l’istituto dell’ascolto del minore, prevedendo modalità idonee a garantire l’autenticità e la genuinità della volontà manifestata (art. 16 Ddl), sia l’istituto degli ordini di protezione previsti dagli artt. 342-bis e 342-ter cod. civ., volto a interdire condotte genitoriali che, sia nel corso del giudizio di separazione sia successivamente, si rivelino lesive dei “diritti relazionali” del minore, ostacolando rapporti familiari, parentali e affettivi (v. artt. 17 e 18 Ddl).
E ciò, allo scopo di sopperire alla mancata efficacia o effettività dello strumento sanzionatorio previsto dall’art. 709-ter cod. proc. civ., che è stato finora scarsamente utilizzato dai giudici per contrastare inadempimenti o comportamenti pregiudizievoli per il minore e che dal Ddl esce comunque rinforzato (v. art. 9 Ddl).
Preme sottolineare che le condotte ostacolanti o dirette ad ostacolare, allontanare o rimuovere la figura dell’altro genitore (ovvero di parenti di quest’ultimo, come i nonni) dal rapporto con il figlio sono numerose, poiché corrispondono a migliaia di casi registrati ogni anno.
Va, peraltro, precisato che l’alienazione genitoriale, che viene integrata da fatti illeciti ovvero da inadempimenti di accordi genitoriali o di provvedimenti giudiziali, non può e non deve essere confusa con la c.d. PAS (acronimo, che sciolto diventa “Sindrome da Alienazione Parentale”, ovverossia un disturbo, e quindi una patologia), ancorché la c.d. PAS (tuttora oggetto di discussione nella comunità medico-scientifica) possa essere una conseguenza di condotte alienanti. [Corte di cassazione, prima Sezione civile, ordinanza n. 651, 14 gennaio 2019]. www.altalex.com/documents/massimario/2016/05/26/affidamento-minori-e-famiglia
L’alienazione genitoriale rimane ancora oggi un serio e grave problema di salute pubblica, che compromette l’equilibrio psico-fisico della persona del minore, con gravi disagi interpersonali e verso l’intera collettività. Come detto, il Ddl si propone di contrastarla, in modo efficace.
In particolare, l’art. 17 del Ddl prevede che si possa intervenire quando «la condotta di un genitore è causa di grave pregiudizio ai diritti relazionali del figlio minore e degli altri familiari, ostacolando il mantenimento di un rapporto equilibrato e continuativo con l’altro genitore e la conservazione rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale», consentendo al giudice, «su istanza di parte», di «adottare con decreto uno o più dei provvedimenti di cui agli artt. 342-ter e 342-quater (…) nell’esclusivo interesse del minore, anche quando, pur in assenza di evidenti condotte di uno dei genitori, il figlio minore manifesti comunque rifiuto, alienazione o estraniazione con riguardo ad uno di essi».
Dalla piana lettura del testo della disposizione de qua si desume che non sussiste alcun automatismo, posto che:
- La lotta al fenomeno dell’alienazione genitoriale presuppone l’esercizio di un potere discrezionale del giudice;
- L’esercizio di tale potere è subordinato ad una istanza di parte;
- Devono essere accertate almeno due condizioni (un grave pregiudizio per i diritti relazionali del figlio; una condotta ostacolante un rapporto equilibrato e continuativo con l’altro genitore o rapporti significativi con gli ascendenti);
- Per la fattispecie che contempla la «assenza di evidenti condotte di uno dei genitori», si richiede comunque una forma manifesta di alienazione passiva.
Non è, quindi, sufficiente lamentare un’asserita condotta di alienazione genitoriale per ottenere un intervento da parte del Giudice, ma è necessario allegare e documentare una situazione rappresentata da condotte che siano fonte di alienazione genitoriale.
Il Ddl si preoccupa, poi, di contrastare l’alienazione genitoriale con la previsione di ulteriori strumenti, e cioè attraverso un ordine, rivolto al genitore che abbia tenuto una condotta pregiudizievole per il minore, di cessazione della condotta medesima, un provvedimento d’urgenza con cui si dispone la limitazione o sospensione della responsabilità genitoriale, ovvero «l’inversione della residenza abituale del figlio minore presso l’altro genitore», oppure la limitazione dei «tempi di permanenza del minore presso il genitore inadempiente», ovvero, in via del tutto residuale, «il collocamento provvisorio del minore presso apposita struttura specializzata previa redazione da parte dei Servizi Sociali o degli operatori della struttura di uno specifico programma per il pieno recupero della bigenitorialità del minore» (art. 18 Ddl).
La previsione è da salutare con favore, attesa l’impunità che ancora oggi fomenta il fenomeno dell’alienazione genitoriale, con conseguente violazione sia del diritto alla bigenitorialità (del figlio alienato) sia del diritto alla genitorialità (di uno dei genitori e/o degli ascendenti).
Infatti, la giurisprudenza (tanto i tribunali ordinari quanto i tribunali per i minorenni) fa per solito trascorrere un lungo periodo di tempo (in termini di anni) prima di decidere casi del genere, in tal modo consolidando e rafforzando le gravi condotte alienanti, ascrivibili quasi sempre al genitore c.d. collocatario (figura che dopo l’approvazione del Ddl è destinata a dissolversi), sino alla rimozione definitiva della relazione figlio/genitore, il cui best interest rischia di essere irreversibilmente compromesso.
5. Varie
5.1. L’eliminazione dell’ammonimento. Fra le sanzioni che l’art. 709-ter, 2° comma, cod. proc. civ. contempla come conseguenza di gravi inadempienze o violazioni di doveri familiari è annoverata l’ammonimento, di cui il Ddl propone l’abrogazione.
Come anche chiarito nella Relazione illustrativa del Ddl, l’abolizione di tale sanzione è giustificata dal fatto di essersi rivelata nella prassi totalmente inefficace e inidonea a scongiurare condotte pregiudizievoli per il minore, le quali, lungi dal cessare, si perpetuavano, consolidando in modo ancor più deleterio il pregiudizio, sicché il Ddl intende porre fine a questa paradossale eterogenesi dei fini. [Per una conferma in sede giurisprudenziale, (vedi Corte di Cassazione, prima Sezione civile, Sentenza n. 3810, 25 febbraio 2015) che ha peraltro precisato che tale provvedimento non è impugnabile (in cassazione), in quanto sarebbe privo dei caratteri della decisorietà e della definitività.]
www.altalex.com/documents/news/2015/03/09/cassazione-civile-sez-i-sentenza-25-02-2015-n-3810
5.2. La riduzione dei termini processuali
Nell’ottica della celerità del giudizio di separazione o di divorzio, il Ddl prevede la riduzione del termine entro cui deve essere fissata l’udienza presidenziale di comparizione delle parti per l’assunzione dei provvedimenti temporanei ed urgenti: da 90 giorni a 40 giorni dalla data di deposito del ricorso per separazione o per divorzio (v. artt. 7 e 22 Ddl).
Certamente, tale modifica influisce sul termine di difesa per la parte resistente, la quale avrà però avuto già il tempo sufficiente per predisporre la documentazione necessaria e di elaborare la propria difesa durante la fase della mediazione familiare, benché quest’ultima si possa esaurire anche in un solo incontro informativo.
5.3. Le disposizioni sui figli maggiorenni. Il Ddl modifica il regime del mantenimento dei figli maggiorenni, contemplando la possibilità di concordare un piano genitoriale fra genitori e figlio maggiorenne che non sia economicamente indipendente e portatore di grave disabilità, fermo il potere del giudice di disporre in favore di quest’ultimo, su sua richiesta, il pagamento di un assegno periodico a carico di entrambi i genitori, da versare direttamente al figlio, e prevedendo un limite all’obbligo di mantenimento del maggiorenne non portatore di grave disabilità, che in ogni caso si estingue al compimento del venticinquesimo anno di età da parte del figlio (v. art. 15 Ddl).
La disposizione intende responsabilizzare sia il figlio maggiorenne sia i genitori, da un lato prevenendo il rischio di una rendita parassitaria del figlio ai danni dei genitori, che si è di frequente verificato nei casi in cui il figlio prolungasse sine die l’ingresso nel mondo del lavoro, anche rifiutando offerte di lavoro vantaggiose; dall’altro lato, evitando condotte speculative del genitore coabitante stabilmente con il figlio maggiorenne, che, essendo munito (per pacifica giurisprudenza) della legittimazione a richiedere in via autonoma all’altro genitore l’assegno di mantenimento del figlio, disincentivi quest’ultimo ad intraprendere un percorso lavorativo o, nei casi peggiori, occulti (o induca il figlio ad occultare) all’altro genitore la situazione lavorativa del figlio medesimo.
La predeterminazione di un limite di età, superato il quale cessa automaticamente l’obbligo giuridico di mantenimento del figlio maggiorenne, che comunque risponde all’esigenza di porre un argine alla discrezionalità dei giudici italiani (che in alcuni casi è tralignata nella condanna dei genitori o di uno di essi a mantenere figli ultratrentacinquenni o financo quarantenni), non preclude, tuttavia, ai genitori o a uno di essi di continuare a fornire un sostegno economico per la prosecuzione degli studi o della formazione post universitaria, configurandosi in questo caso l’adempimento spontaneo di un’obbligazione naturale, salva, ovviamente, sussistendone i presupposti, la facoltà del figlio ultraventicinquenne di richiedere ai genitori gli alimenti.
5.4. L’eliminazione dell’addebito e di sanzioni penali. Al fine di sottrarre al giudizio di separazione la trattazione e istruzione della questione dell’addebito, in chiave non solo di celerità del giudizio, ma di diminuzione della conflittualità nell’interesse della prole, l’art. 19 del Ddl propone l’eliminazione dell’istituto dell’addebito, di cui già la dottrina più autorevole proponeva da tempo l’abrogazione.
Come noto, infatti, la domanda di addebito:
- Richiede accertamenti lunghi e complessi, nonché il coinvolgimento nei giudizi di separazione di terzi soggetti (soprattutto familiari e amici di uno dei coniugi) nella veste di testimoni;
- Ha statisticamente scarsissime chance di accoglimento (perché la giurisprudenza richiede presupposti sempre più rigorosi e stringenti);
- Il suo eventuale accoglimento presenta comunque vantaggi assai limitati se a proporla è il coniuge economicamente più debole, consistenti sostanzialmente nella perdita dei principali diritti successori da parte del coniuge economicamente più forte.
L’art. 21 del Ddl, infine, propone l’abrogazione dell’art. 570-bis cod. pen., introdotto nel 2018, semplicemente perché il presupposto della condotta ivi incriminata è rappresentata dall’assegno di mantenimento, che come visto il Ddl intende circoscrivere ad ipotesi eccezionali.
In ogni caso, per la violazione degli obblighi familiari, rimangono in vigore tutte le altre misure e tutele (penali, parapenali, risarcitorie) già previste dall’ordinamento giuridico, che il Ddl fa implicitamente salve.
Arturo Maniaci, Pierluigi Mazzamuto, Marcello Adriano Mazzola, Carlo Piazza e Vittorio Vezzetti
Altalex n. 6030, 15 gennaio 2019. 18 note
www.altalex.com/documents/news/2019/01/15/affido-condiviso-ragioni-a-sostegno-della-riforma-pillon
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ENTI TERZO SETTORE
Terzo settore obbligo trasparenza: la circolare ministeriale
Circolare n. 2\2019 sugli obblighi di pubblicità e trasparenza negli enti del Terzo settore
www.fiscoetasse.com/upload/ML-Circolare-2-11012019.pdf
Il Ministero del lavoro, direzione generale terzo settore, ha emanato lo scorso 11 gennaio 2019 la circolare n. 2\2019, in tema di adempimento degli obblighi di pubblicità e trasparenza negli enti del Terzo settore.
Posto che l’art. 1, commi 125-129, della Legge 4 agosto 2017 n. 124 (Legge annuale per il mercato e la concorrenza) ha introdotto alcuni obblighi di pubblicità e trasparenza a carico di una pluralità di soggetti che intrattengono rapporti economici con le PP. AA., con altri soggetti pubblici. In particolare si evidenzia l’obbligo di rendere pubblici tutti i finanziamenti ricevuti per le proprie attività e si precisa che tali obblighi coinvolgono anche la platea degli enti del Terzo settore, a partire dal 28 febbraio 2019.
La circolare precisa che “le disposizioni in commento pongono a carico dei soggetti percettori un obbligo di informazione, che va distinto dagli obblighi di rendicontazione del vantaggio ricevuto, ai quali gli stessi sono tenuti nei confronti della P.A. che ha attribuito l’ausilio finanziario o strumentale, in forza del titolo legittimante l’attribuzione medesima.
Tali obblighi esulano dall’applicazione delle disposizioni in oggetto indicate. In tale prospettiva rientrano nel predetto obbligo di informazione anche le somme percepite a titolo di cinque‰, in quanto l’obbligo in parola è diverso, per contenuti e modalità, rispetto ai vigenti obblighi di rendicontazione previsti dall’articolo 11-bis del D.P.C.M. 23 aprile 2010, come modificato ed integrato dal D.P.C.M. 7luglio 2016.
Pertanto, ai fini che rilevano in questa sede, le informazioni da pubblicare, preferibilmente in forma schematica e di immediata comprensibilità per il pubblico, dovranno avere ad oggetto i seguenti elementi:
a) denominazione e codice fiscale del soggetto ricevente;
b) denominazione del soggetto erogante;
c) somma incassata (per ogni singolo rapporto giuridico sottostante);
d) data di incasso;
e) causale.
Tali elementi informativi, per i soggetti obbligati, diversi dalle imprese, devono essere pubblicati sui siti internet o sui portali digitali degli enti percipienti l’ausilio pubblico: in mancanza del sito internet, il riferimento ai portali digitali rende possibile l’adempimento degli obblighi di pubblicità e di trasparenza anche attraverso la pubblicazione dei dati in questione sulla pagina Facebook dell’ente.”
Se l’ente non ha a disposizione alcun portale digitale, la pubblicazione delle informazioni “potrà avvenire anche sul sito internet della rete associativa alla quale l’ente del Terzo settore aderisce”
www.fiscoetasse.com/rassegna-stampa/26237-terzo-settore-obbligo-trasparenza-la-circolare-ministeriale.html?utm_campaign=Rassegna+Giornaliera&utm_medium=email&utm_source=Rassegna+quotidiana+&utm_content=Rassegna+Giornaliera+2019-01-17
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FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI
Reddito di Cittadinanza: «testo insoddisfacente per le famiglie»
Gigi De Palo, presidente: «Il Reddito di cittadinanza così com’è stato approvato è una misura studiata scientificamente per i single, non prendendo nemmeno in esame i bisogni delle famiglie».
Il Reddito di cittadinanza? «Le bozze di decreto che come Forum Famiglie abbiamo avuto modo di visionare, non vanno assolutamente a favore della fiscalità familiare»: appena terminata la conferenza stampa di presentazione del decreto oggi approvato dal Consiglio dei Ministri, è questo il commento del Presidente nazionale del Forum delle Associazioni Familiari, Gigi De Palo.
«Le famiglie – aggiunge il presidente del Forum – sono costrette ancora una volta a pagare scelte politiche dal respiro corto. Per far fronte alle minori risorse destinate al Reddito, si è deciso di calcolarlo in base ai valori di spesa dei single, non prendendo nemmeno in esame i bisogni delle famiglie. I limiti sia degli importi assegnati sia del patrimonio mobiliare, penalizzano i nuclei familiari, soprattutto quelli numerosi».
«Questa è una misura tarata su scale di equivalenza peggiorative rispetto a quelle già discutibili dell’ISEE: perché questa scelta? In sostanza, il Reddito di cittadinanza così com’è stato approvato è una misura studiata scientificamente per i single e ancora una volta si è persa l’occasione per risollevare il sistema-Italia investendo sulle famiglie, anziché far pagare loro i costi di una misura assistenziale. Con queste modalità non riusciremo mai a far fare all’Italia il salto di qualità atteso da tempo».
Redazione Vita.it 17 gennaio 2019
www.vita.it/it/article/2019/01/17/reddito-di-cittadinanza-testo-insoddisfacente-per-le-famiglie/150372
Sabato 26 gennaio con #Dònàti il Forum Famiglie rilancia il valore di adozione e affido
Venti eventi in contemporanea in ciascuna regione italiana per rilanciare il tema dell’accoglienza familiare e del valore morale, sociale ed economico che l’incontro tra infanzia abbandonata e coppie sposate senza figli può generare attraverso l’adozione o l’affido, restituendo un papà e una mamma ad almeno parte dei 15mila minori fuori famiglia attualmente ospiti di strutture di accoglienza in Italia; una scelta che produce enormi effetti di sussidiarietà economica e conferma il ruolo imprescindibile della famiglia come più importante ‘ammortizzatore sociale’ del Paese: è tutto questo e molto di più #Dònàti: fatti un dono, dona una famiglia a chi non l’ha, progetto promosso dal Forum delle Associazioni Familiari che vedrà i Forum Famiglie regionali protagonisti sabato 26 gennaio, dalle ore 15 alle 17, nello storytelling della bellezza possibile della scelta adottiva o affidataria.
Un incontro che almeno parte dei 5 milioni di coppie sposate senza figli nel nostro Paese sarebbe assai disposta a fare, se solo sapesse come, che cosa comporta e quali effetti benefici schiude. Ecco il perché della formula delle testimonianze dirette di chi questa scelta l’ha compiuta. Non solo: attraverso l’hashtag #donati, tutte le famiglie e le associazioni che hanno a cuore il destino dei bambini costretti a vivere lontano dalla loro famiglia d’origine potranno partecipare, anche indirettamente, alla Campagna sui social networks, raccontando quanto è bello, utile e possibile scegliere l’adozione o l’affido per restituire il sorriso a un bambino abbandonato.
“Non ci stancheremo di seminare frutti di speranza per l’infanzia abbandonata – sottolinea Gigi De Palo, presidente nazionale del Forum delle Associazioni Familiari – perché siamo convinti che solo la testimonianza concreta della scelta di diventare genitori adottivi o affidatari, portata dalle famiglie del Paese reale, potrà generare nuovi nuclei familiari decisi a fare altrettanto, restituendo la dignità di figli a tanti minori senza famiglia e svolgendo, nel contempo, un servizio utile alla collettività”.
Sabato 26 gennaio saremo tutti insieme nelle piazze e sulla Rete per sensibilizzare i territori e il Paese intero, con il sogno di vedere moltiplicarsi, nel prossimo futuro, il numero di coppie che scelgono la meraviglia di un figlio adottivo o affidatario: perché ogni bambino, nel mondo, merita di crescere accanto a una mamma e un papà.
Locandine di Ancona, Ascoli Piceno, Brescia, Cagliari, Catania, Milano, Parma, Potenza, Roma, Salerno, Teramo, Termoli, Trento, Verona
www.forumfamiglie.org/2019/01/24/sabato-26-gennaio-con-donati-il-forum-famiglie-rilancia-il-valore-di-adozione-e-affido/
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GOVERNO.
Stop al bonus baby sitter, ma più supporto per la rata dell’asilo
Il “bonus nido” sale a 1.500 euro e potrà esser richiesto attraverso il sito dell’Inps dalle 10 di lunedì 28 gennaio 2019. Fine corsa per il contributo “baby-sitting o asilo nido”, con il quale le madri lavoratrici potevano pagare la retta dell’asilo pubblico o il supporto di una persona alla cura dei figli, rinunciando in cambio al congedo parentale. L’anno nuovo, e la nuova Manovra finanziaria, hanno portato con sé la variazione delle prestazioni di sostegno alla maternità che nelle ultime leggi di Bilancio si erano via via stratificate.
Stop ai 600 euro per baby sitting e asilo nido. Cercando di mettere ordine alla materia complessa, si parte dal tasto dolente. Come conferma il portale dell’Inps, infatti, “il contributo baby sitting o asilo nido non è stato prorogato per il 2019. Pertanto, a far data dal 1° gennaio 2019 non è più possibile presentare domanda per accedere a tale contributo”. Si trattava di una misura che lo stesso istituto incasellava alla voce delle “alternative al congedo parentale”, ovvero alla maternità.
Introdotto come esperimento nel triennio 2013-2015, poi via via prorogato, dava la possibilità alla madre lavoratrice di “richiedere, al termine del congedo di maternità ed entro gli 11 mesi successivi, in alternativa al congedo parentale, voucher per l’acquisto di servizi di baby sitting oppure un contributo per fare fronte agli oneri della rete pubblica dei servizi per l’infanzia o dei servizi privati accreditati, per un massimo di sei mesi”.
In sostanza, era un buono da 600 euro mensili (da ricalcolare in caso di part-time) per le madri che scegliessero di rientrare al lavoro invece di sfruttare il congedo parentale, la maternità comunemente nota come ‘facoltativa’. Soldi che in passato venivano girati direttamente agli asili nido accreditati all’Inps, oppure da trasformare in “libretti famiglia” (i discendenti dei voucher per il lavoro occasionale) per pagare il servizio di baby sitting.
Il limite per sfruttare il supporto – pensato per facilitare il reinserimento delle donne nel percorso lavorativo, oltre che per supportare i casi dove questo è necessario per ragioni economiche – era fissato a sei mesi per le dipendenti o iscritte alla Gestione separata, in tre mesi per le autonome o imprenditrici.
Il Bonus nido sale a 1.500 euro. Misura confermata, ma modificata, dalla legge di bilancio per il 2019 è il cosiddetto “bonus asilo nido”, per il quale le nuove richieste potranno essere inoltrate all’Inps dalle 10 del prossimo lunedì 28 gennaio. Rispetto alla formula introdotta nel 2016, si tratta di un cambiamento migliorativo per gli utenti: il contributo per il pagamento delle rette di asili nido pubblici e privati – o di forme di assistenza domiciliare (in caso di gravi patologie) – per i bimbi sotto i tre anni (nati dal 1° gennaio 2016) sale da 1.000 a 1.500 euro. Resterà tale dal 2019 al 2021 (la legge di Bilancio ha aumentato di 40 milioni la dotazione sul 2020). Essendo erogato su 11 mensilità (in caso di frequenza all’asilo per questi mesi), arriva a un massimo di 136,37 euro al mese.
Per presentare la domanda nei prossimi giorni, i genitori dovranno allegare sul portale Inps la documentazione che testimoni il pagamento almeno della retta relativa al primo mese di frequenza. Per l’assistenza domiciliare invece si richiede l’attestazione da parte di un pediatra. L’Istituto ha pronta l’app per facilitare l’invio della documentazione di avvenuto pagamento delle rette, in base alla quale viene mensilmente erogato il contributo. Chi accede a questa forma di contributo, è bene ricordarlo, non potrà portare in detrazione fiscale le spese legate alla frequenza degli asili nido (il 19% di quanto speso fino a 630 euro). Teoricamente, non era neppure cumulabile con il voucher baby-sitting, che però non è stato rinnovato.
Assegno di natalità (bonus bebè) più generoso dal secondo figlio. Anche il cosiddetto bonus bebè (propriamente è l’assegno di natalità) resta in piedi, con la novità di una maggiorazione del 20% del sostegno a partire dal secondo figlio in avanti, per la quale l’Istituto sta aggiornando i sistemi di erogazione. Questo contributo – da richiedere entro 90 giorni dalla nascita del figlio o dall’ingresso nel nucleo familiare di un bambino o una bambina affidati o adottati – è collegato al reddito. In caso di un ISEE minorenni inferiore ai 7mila euro, la misura è di 1.920 euro e scende invece a 960 euro in caso di indicatore del reddito equivalente fino a 25mila euro. Il pagamento dell’assegno è mensile.
Premio alla nascita e congedo per i papà. Tra le altre forme di supporto, si possono ricordare infine una ulteriore conferma e una modifica. Il bonus “mamma domani”, il premio alla nascita da 800 euro destinata alle donne al settimo mese di gravidanza o alle adozioni e affidamenti, resta in vigore. Per quanto riguarda invece il congedo per i papà (anche in questo caso, non si parla solo di nascita ma anche di adozioni e affidi), sale da quattro a cinque giorni e resta ferma la sua fruibilità entro i cinque mesi di vita del figlio. Confermata la possibilità di fruire di un giorno di congedo facoltativo, in alternativa a quelli della madre
Raffaele Ricciardi La Repubblica 15 gennaio 2019
www.repubblica.it/economia/2019/01/15/news/inps_bonus_bebe_-216613035/
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HUMANÆ VITÆ
Proseguiamo nella linea del precedente articolo di Giannino Piana (A cinquant’anni dall’Humanæ Vitæ – Riflessioni a distanza, Matrimonio n. 3, settembre 2018) cercando il più possibile di far parlare il testo, poiché dubitiamo che sia veramente conosciuto: certi elogi in generale, e soprattutto la sottolineatura del suo carattere profetico derivano anche da questa mancata conoscenza parlare il testo, poiché dubitiamo che sia veramente conosciuto: certi elogi in generale, e soprattutto la sottolineatura del suo carattere profetico derivano anche da questa mancata conoscenza.
https://w2.vatican.va/content/paul-vi/it/encyclicals/documents/hf_p-vi_enc_25071968_humanae-vitae.html
newsUCIPEM n. 726, 4 XI 2018, pag. 22 www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201810/181031piana.pdf
La parte migliore dell’enciclica del 1968 per quanto riguarda la regolazione delle nascite, si trova all’inizio (Primo punto: Aspetti nuovi del problema e competenza del magistero) in cui si pone correttamente la questione in un linguaggio moderno: “Tale stato di cose fa sorgere nuove domande. Se, date le condizioni della vita odierna e dato il significato che le relazioni coniugali hanno per l’armonia tra gli sposi e per la loro mutua fedeltà, non sia forse indicata una revisione delle norme etiche finora vigenti, soprattutto se si considera che esse non possono essere osservate senza sacrifici talvolta eroici Ancora: “Se estendendo a questo campo l’applicazione del cosiddetto “principio di totalità”, non si possa ammettere che l’intenzione di una fecondità meno esuberante, ma più razionalizzata, trasformi l’intervento materialmente sterilizzante in una lecita e saggia regolazione della natalità. Se non si possa ammettere cioè che la finalità procreativa appartenga all’insieme della vita coniugale, piuttosto che ai suoi singoli atti. Si chiede anche se, dato l’accresciuto senso di responsabilità dell’uomo moderno, non sia venuto per lui il momento di affidare alla sua ragione e alla sua volontà, più che ai ritmi biologici del suo organismo, il compito di trasmettere la vita” (§3).
Paolo VI ha ceduto, Francesco resiste. A tutte le suddette domande bastava con coraggio rispondere sì! E questo in nome del principio moderno dell’autonomia, secondo il quale, se non c’è di mezzo il male procurato ad altri o eventuali ingiustizie (elementi assolutamente assenti nella contraccezione), il bene è scelto dalla persona (coppia) e non imposto in modo eteronomo dall’alto dei cieli già dal Dio creatore in un piano, progetto, disegno che non può in nessun modo essere trasgredito (legge morale naturale).
Ma Papa Montini non se l’è sentita di abbandonare l’impianto dell’eteronomia [eteros nomos (altra legge); legge che viene da (un) altro, da fuori, dall’alto della suprema autorità e volontà divina], poiché avrebbe sconfessato un predecessore andando in rotta di collisione con la Casti connubii di Pio XI (31 dicembre 1930), nella quale Papa Ratti aveva condannato con invettive pesanti la trasgressione della legge naturale: “Qualsivoglia uso del matrimonio, in cui per l’umana malizia l’atto sia destituito della sua naturale virtù procreatrice, va contro la legge di Dio, e gli sposi operano contro natura compiendo un’azione turpe e intrinsecamente disonesta, rendendosi perciò rei di colpa grave. Quindi non meraviglia se la Maestà divina abbia in sommo odio tale delitto nefando, e l’abbia talvolta castigato con la pena di morte, come ricorda Sant’Agostino: “Così operava Onan, e per tal motivo Dio lo tolse di vita” Gen., 38, 8-10” (Casti Connubii II, 1). http://w2.vatican.va/content/pius-xi/it/encyclicals/documents/hf_p-xi_enc_19301231_casti-connubii.html
Appunto, nell’AT Dio è colui che più di qualsiasi altro fa morire: nel nostro caso Onan (per il coito interrotto con Tamar, non per autoerotismo [Genesi 38, 9] e prima di lui il fratello Er (primo marito di Tamar) per altre ragioni a Dio odiose [Genesi 38, 6-10].
{Onan aveva violato la regola della tradizione jahvista relativa alle origini della tribù di Giuda – nota alla Bibbia di Gerusalemme. Ndr}.
Il quinto comandamento è scritto in una particolare forma verbale (tipica dell’ebraico, riecheggiante grosso modo il “Non assassinare”) che consente due eccezioni: si può ammazzare in guerra (nell’antichità duello più che assassinio) e per il resto solo Dio può uccidere (il che costituiva un certo deterrente per l’omicidio perpetrato dall’uomo).
Lo spauracchio di una deriva autonoma. Quattro cardinali di Curia, tra i quali Alfredo Ottaviani, che erano sempre stati diffidenti nei suoi confronti, gli espressero di persona e con durezza la loro catastrofica convinzione: toccare questo punto della dottrina voleva dire rovesciare del tutto la credibilità del Magistero papale e della tradizione cattolica. La situazione è molto simile a quella odierna in cui quattro Cardinali hanno sottoscritto le dure critiche nei confronti dell’Amoris Lætitia (E più in generale su Papa Bergoglio). Ma le scelte sono state diametralmente opposte: mentre Paolo VI ha accolto le riserve degli ultraconservatori e ha continuato a rivendicare l’autorità magisteriale anche sull’etica (legge) naturale, Papa Francesco resiste alle critiche accusatorie dei conservatori e non rivendica più alcuna autorità magisteriale sull’etica naturale, semmai solo su quella evangelica, ma anche qui senza l’autoritarismo dei Sommi Pontefici.
Paolo VI è rimasto invischiato nello pseudo-problema della verità immutabile, legalistica e astorica (il contrario della profezia), per cui non può diventare lecito quello che è stato severamente condannato mezzo secolo prima. Sarebbe la dissoluzione della “divina” autorità del romano pontefice; invece il magistero non solo è rivedibile su singoli punti/temi, ma deve essere globalmente rivisto alla luce del principio della beneficità autonoma, che non è una deriva modernistica peccaminosa (la libertà umana non è una svista di Dio). Esattamente come abbiamo rivisto il fatto che Dio uccida nell’AT, ove sono più di mille i passi sulla sua violenza, certo non sempre omicida, ma neppur sempre castigante, comunque senza misericordia, o peggio ancora con una misericordia “partigiana”; perdona e risparmia la vita al re Davide, ma (per bocca del profeta Natan) sentenzia: “Poiché con quest’azione hai insultato il Signore, il figlio che ti è nato dovrà morire” (2 Samuele 12,14), ossia il primogenito di Davide e Betsabea, mentre il Signore amerà il secondogenito Salomone.
Penso che nessuno oggi si sognerebbe di mantenere tale antica dottrina affermando che il Dio d’Israele sia stato un killer violento sino al punto di far morire un neonato innocente. Quando capiremo finalmente che la Bibbia non è parola di Dio tout court, bensì la storia della ricerca umana su Dio nel rapporto bilaterale col Dio d’Israele e di Gesù? Se è rivedibile la Scrittura, figuriamoci il magistero.
La posta in gioco non era la pillola. Nel 1968 si è rimasti in pieno creazionismo, senza minimamente incamerare il metodo storico-critico per l’esegesi di Genesi 1-11. La posta in gioco andò ben al di là del preservativo o di una pillola anticoncezionale, poiché si volle mantenere il mondo mitico eteronomo, in cui è fondamentale la fedeltà al (presunto) disegno di Dio: ciò che Dio ha voluto [sin dagli inizi in quanto creatore] l’uomo non può rompere di sua iniziativa.
Nel compito di trasmettere la vita, gli sposi non sono quindi liberi di procedere a proprio arbitrio, come se potessero determinare in modo del tutto autonomo le vie oneste da seguire, ma, al contrario, devono conformare il loro agire all’intenzione creatrice di Dio, espressa nella stessa natura del matrimonio e dei suoi atti. (§10). Infatti, come l’esperienza attesta, non da ogni incontro coniugale segue una nuova vita. Dio ha sapientemente disposto leggi e ritmi naturali di fecondità che già di per sé distanziano il susseguirsi delle nascite. Ma, richiamando gli uomini all’osservanza delle norme della legge naturale, interpretata dalla sua costante dottrina, la chiesa insegna che qualsiasi atto matrimoniale deve rimanere aperto alla trasmissione della vita” (§11). “Tale dottrina, più volte esposta dal magistero della chiesa, è fondata sulla connessione inscindibile, che Dio ha voluto e che l’uomo non può rompere di sua iniziativa, tra i due significati dell’atto coniugale: il significato unitivo e il significato procreativo” (§12).
Il permanere di un creazionismo ingenuo [“Dio avrebbe sapientemente disposto leggi e ritmi naturali di fecondità…”] è una pietra tombale sulla scienza evoluzionistica; si ammette l’evoluzione solo a parole vaghe, a partire dall’Humani Generis di Pio XII nel 1950 ma poi si ragiona in termini creazionistici continuando a parlare di un Dio creatore come se fosse l’artefice diretto della biologia e dei ritmi fecondativi umani. Pio XII aveva timidamente e con cautela aperto la via all’evoluzionismo per l’origine del corpo umano, rivendicando solo la creazione immediata da parte di Dio delle anime, ma aveva sbarrato decisamente la strada al poligenismo (più coppie, più popolazioni all’origine dell’Homo sapiens, come di fatto è avvenuto a partire dagli ominidi precedenti) poiché solo il monogenismo (una sola coppia umana all’origine) garantisce la trasmissione del peccato originale a tutta la progenie.
Superare il creazionismo non significa negare la creazione. Guardando alla natura esistente coi suoi meccanismi, non voluta da Dio così come di fatto si è probabilisticamente strutturata, non si può dedurre alcunché né in chiave laica né in chiave religiosa. La sterminata moltitudine delle specie non è il frutto di uno “stampo” divino ideato e preordinato sin dall’inizio; ad es. gli stimati nove milioni di specie degli insetti (di cui solo un sesto conosciute e catalogate) non sono immediatamente riconducibili alla volontà del Dio vivente, Signore e donatore di vita in senso lato, non l’ideatore degli organismi specifici coi loro ritmi di fecondità. La natura biologica quindi, così come esiste nelle sue diverse peculiarità sviluppatesi nell’ultimo mezzo miliardo di anni [considerando solo gli organismi pluricellulari a partire dal Cambriano], non è il risultato di una preveggente decisione divina; essa non può perciò essere usata né pro né contro certe scelte in campo etico-sessuale, e men che meno idealizzata e sacralizzata in maniera astorica.
Il che tuttavia non significa che Dio abbia giocato a dadi, per il semplice motivo che essi, al pari della roulette o del lotto, non esistono in natura, ma sono tipici solo dei giochi costruiti dall’uomo (probabilità indipendenti, esterne, unicamente artificiali, e futili). In natura invece abbiamo le vere probabilità, dipendenti e interne, in cui ciò che succede prima influenza ciò che viene dopo (l’esatto contrario dei giochi umani, in cui il singolo lancio o estrazione non ha nessuna relazione né col precedente né col successivo). Ne consegue che certe probabilità si alzano notevolmente col passare dei miliardi di anni, sino a sfiorare il 100% per quanto concerne la probabilità della comparsa di un essere personale su almeno un pianeta (non necessariamente dalla linea dei primati). Spalmata com’è la natura nei miliardi di armi dell’evoluzione, è pressoché impossibile inquadrarla come un tutt’uno; certo esistono le leggi della scienza, ma non è un caso che di quelle strettamente matematizzate (in equazioni) ce ne siano tante in fisica, poche in chimica e nessuna in biologia. Non esiste una legge naturale rilevabile ed alla quale attingere, dato il suddetto tempo profondo di evoluzione fisica, chimica, biologica, e poi tecnico-scientifica, questo vale anche per la contraccezione; in tal modo la natura è indissolubilmente e inestricabilmente connessa e legata alla cultura.
Siamo stati desiderati Ma, al di là dei calcoli e dei numeri, la cosa più importante è che non siamo stati gettati nell’esistenza da una forza anonima, bensì siamo il frutto di una decisione divina, il dato centrale ineliminabile (non demitizzabile) dei primi capitoli della Bibbia, compatibile con le probabilità contingenti (che non c’entrano nulla col caso). Un’accoppiata illuminante per un credente, che poi può, anzi deve demitizzare (reinterpretando) quasi tutto il resto. Siamo stati sì desiderati e voluti in quanto esseri personali (conformemente alla Genesi biblica), ma non necessariamente come esattamente e concretamente siamo; l’evoluzione poteva intraprendere altre strade, nel qual caso saremmo stati pur sempre umani ma fisicamente e biologicamente diversi: potevamo venire da altre linee evolutive con tutt’altri processi di fecondazione. Dio non ha stabilito nulla circa i ritmi biologici del futuro essere umano; non rientrano nella sua decisione iniziale.
Per dirla con le parole audaci di Padre George Coyne, ex direttore della specola (osservatorio astronomico) vaticana: “Dio sperò nell’alba dell’uomo, avendo davanti come dei cataloghi di aspettazione”; tuttavia la suddetta probabilità massima (100%) significa che Dio non è…uno sprovveduto.
Creazionismo paternalista. Tornando all’enciclica, leggiamo: “Infatti, per la sua intima struttura, l’atto coniugale, mentre unisce con profondissimo vincolo gli sposi, li rende atti alla generazione di nuove vite, secondo leggi iscritte nell’essere stesso dell’uomo e della donna. Salvaguardando ambedue questi aspetti essenziali, unitivo e procreativo, l’atto coniugale conserva integralmente il senso di mutuo e vero amore ed il suo ordinamento all’altissima vocazione dell’uomo alla paternità. Noi pensiamo che gli uomini del nostro tempo sono particolarmente in grado di afferrare quanto questa dottrina sia consentanea alla ragione umana” (§12).
“Così, chi ben riflette dovrà anche riconoscere che un atto di amore reciproco, che pregiudichi la disponibilità a trasmettere la vita che Dio creatore di tutte le cose secondo particolari leggi vi ha immesso, è in contraddizione sia con il disegno divino, a norma del quale è costituito il coniugio, sia con il volere dell’Autore della vita umana. Usare di questo dono divino distruggendo, anche soltanto parzialmente, il suo significato e la sua finalità è contraddire alla natura dell’uomo come a quella della donna e del loro più intimo rapporto, e perciò è contraddire anche al piano di Dio e alla sua santa volontà” (§13).
Sarà consentanea forse alla ragione eteronoma, ma la ragione autonoma e scientifica, illuminata dalla fede, ragiona diversamente. E proseguendo nell’eteronomia creazionista:
“È perciò esclusa ogni azione che, o in previsione dell’atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali, si proponga, come scopo o come mezzo, di impedire la procreazione. È quindi errore pensare che un atto coniugale, reso volutamente infecondo, e perciò intrinsecamente non onesto, possa essere coonestato dall’insieme di una vita coniugale feconda” (§ 14).
I vari tentativi, peraltro nobili e apprezzabili, dell’episcopato tedesco e francese di lenire o di derogare dal divieto, vanno a sbattere contro questo muro invalicabile.
“La chiesa è coerente con se stessa, sia quando ritiene lecito il ricorso ai periodi infecondi, sia quando condanna come sempre illecito l’uso dei mezzi direttamente contrari alla fecondazione, anche se ispirato da ragioni che possano apparire oneste e gravi” (§16).
L’etica della situazione è sempre stata indigesta al magistero romano (che la respingeva come “relativismo morale”), massimamente interessato alla propria coerenza nei secoli; Ma l’uomo moderno non riuscirà mai a comprendere (e ad accettare) come mai nella morale cattolica la differenza tra regolazione della natalità con metodi cosiddetti naturali e quella con metodi artificiali (contraccettivi), sia una scelta tra bene e male. Dato che il fine è lo stesso in entrambi i casi, è sintomatico e paradossale che la distinzione/differenza sia negata anche da alcuni ultra-conservatori eteronomi, nel senso che anche i metodi naturali, se vi è intenzionalità, sarebbero illeciti…
A tutto ciò si aggiunge anche il paternalismo, come nel punto sulle Gravi conseguenze dei metodi di regolazione artificiale della natalità: “Gli uomini retti potranno ancora meglio convincersi della fondatezza della dottrina della chiesa in questo campo, se vorranno riflettere alle conseguenze dei metodi di regolazione artificiale delle nascite. Considerino, prima di tutto, quale via larga e facile aprirebbero così alla infedeltà coniugale ed all’abbassamento generale della moralità. Non ci vuole molta esperienza per conoscere la debolezza umana e per comprendere che gli uomini – i giovani specialmente, così vulnerabili su questo punto – hanno bisogno d’incoraggiamento a essere fedeli alla legge morale e non si deve loro offrire qualche facile mezzo per eluderne l’osservanza. Si può anche temere che l’uomo, abituandosi all’uso delle pratiche anticoncezionali, finisca per perdere il rispetto della donna e, senza più curarsi del suo equilibrio fisico e psicologico, arrivi a considerarla come semplice strumento di godimento egoistico e non più come la sua compagna, rispettata e amata” (§17).
E nel punto seguente su La chiesa garante degli autentici valori umani: “A dir vero, questa [la chiesa] non si meraviglia di essere fatta, a somiglianza del suo divin fondatore, “segno di contraddizione”, ma non lascia per questo di proclamare con umile fermezza tutta la legge morale, sia naturale, che evangelica. Di essa la chiesa non è stata autrice, né può, quindi, esserne arbitra; ne è soltanto depositaria e interprete, senza mai poter dichiarare lecito quel che non lo è, per la sua [dell’illecito] intima e immutabile opposizione al vero bene dell’uomo” (§18). Ma l’autonomia significa anche che il vero bene deve essere scelto dalla persona medesima; se non c’è scelta, ma costrizione od obbedienza coatta ecc., non è più il suo vero bene.
La consapevolezza del nostro ruolo. È il solito ritornello: “Non ci possiamo fare niente…; non possiamo cambiare perché di diritto divino”.
Tuttavia gli esegeti e i teologi (da dentro, dall’interno, non ad opera di miscredenti da fuori), hanno smontato e demolito tutto il suddetto impianto. La situazione sarebbe peggiore se non avessimo Francesco che parla come uno di noi, come un primus inter pares (un primo fra pari, alla pari); come vescovo di Roma; egli sta facendo di tutto perché scocchi la scintilla ecclesiale, nella quale gli uomini accettano di lasciarsi fare dalla parola di Dio e la logica della comunione ricompone la dialettica istituzione-carisma, tradizione-profezia, in modo che tutte le funzioni del kerigma (annuncio) e della diakonia (servizio) siano recuperate. Certo si tratta di un recupero non facile, poiché si snoda attraverso peripli spesso sofferti per il gioco aggrovigliato di santità e peccato, fedeltà e tradimento.
Non possiamo rendere vana [questa è la nostra responsabilità] la testimonianza di intere generazioni di credenti che hanno giocato la propria vita per la crescita di questa nostra chiesa: gli umili operai della vigna, i santi rimasti sconosciuti, gli “eroi” della carità, ma anche i “ribelli per amore della verità”.
Il nodo cruciale è l’eteronomia da superare: proprio gli eteronomi (come in alcune recenti puntate della trasmissione radiofonica Prima pagina) vogliono che si parli del Dio celeste da glorificare, dei santi, della Madonna, degli angeli e soprattutto del demonio, dell’al di là, del mondo di sopra da cui discende copiosa la grazia sanante e santificante tramite i sacramenti…, e non dei poveri di questo mondo (definito in maniera sprezzante pauperismo).
Emblematico come possa essere inteso dalla religione borghese l’amare il prossimo: (sempre nelle stesse puntate di “Prima pagina“) prossimo è il familiare, il vicino di casa, il concittadino .., non chi abita o viene da lontano. Per la religione messianica invece il futuro del cristianesimo si gioca sì nella maggior gloria di Dio (ad maiorem Dei gloriam), ma la sua crescita gloriosa consiste “nell’uomo che vive” (Gloria Dei vivens homo di sant’Ireneo) o secondo la traduzione della chiesa latino-americana nel vivens pauper (nel “povero che vive”), oppure nella situazione attuale il vivens migrans, ossia coloro che, come già scriveva Giulio Cesare più di 2000 anni fa, “emigrando dalla propria casa-patria, vanno in cerca di altre terre e dimore remote, tentando la sorte qualunque cosa accada”.
Mauro Pedrazzoli “Matrimonio” n. 4, dicembre 2018
http://rivista-matrimonio.org/
www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201901/190119pedrazzoli.pdf
p://www.ilfoglio.info/default.asp?id=24&ACT=5&content=751&mnu=24
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NONNI
Madre, padri e nonni. Secondo appuntamento con la scuola genitori figli
Con l’arrivo dei nipoti la maggior parte dei nonni sono disposti a cambiare le loro abitudini di vita per adeguarsi alle necessità del nuovo membro della famiglia, e soprattutto ad aiutare la mamma e il papà, che spesso lavorano fuori casa.
E allora si inizia a parlare di orari, dell’organizzazione della giornata e del week end. Chi si prenderà cura del bambino prima che vada all’asilo? Chi lo andrà a prendere a scuola?
Qual è il ruolo dei nonni, quale quello della mamma e del papà? I ruoli di nonni e genitori vanno mantenuti distinti, ma non è semplice. E allora?
Presso il Centro Servizi alla Famiglia Beniamino della Cooperativa Sociale AIBC, in Via dei Pioppi 4, 20098 Pedriano di San Giuliano Milanese (MI), nell’ambito dell’iniziativa “Scuola Genitori” offerta dalla cooperativa sociale AIBC, si parlerà proprio del rapporto genitori e nonni. Insieme ad una psicologa genitori con figli da 0 a 10 anni affronteranno il primo modulo formativo “Madre, padre e nonni”.
Il ciclo “Scuola Genitori” proposto da AIBC prevede 12 appuntamenti riservati a genitori con figli da 0 a 10 anni per affrontare sei temi che riguardano da vicino genitori e figli e continuerà fino a maggio:
- “Madre, padre e nonni”
- “I sentimenti e le emozioni dei bambini”
- “Rimproveri e lodi, come utilizzarli”
- “Amore per sé, la coppia e i figli: un equilibrio difficile”
- “Separazioni, divorzi e famiglie ricostituite: come parlarne”
http://www.senato.it/leg/18/BGT/Schede/Ddliter/comm/50388_comm.htmNews Ai. Bi. 15 gennaio 2019
www.aibi.it/ita/madre-padri-nonni-scuola-genitori-figli
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PARLAMENTO
Senato della Repubblica – Comm. Giustizia – Affido dei minori e costrizione matrimoniale di minori
15 gennaio 2019. L’Ufficio di Presidenza, integrato dai rappresentanti dei Gruppi, ha svolto alcune audizioni informali di Associazioni nell’ambito dell’esame dei Disegni di legge nn. 45, 118, 735, 768 e 837, in materia di affido di minori. www.senato.it/leg/18/BGT/Schede/Ddliter/comm/50388_comm.htm
16 gennaio 2019. Con la relazione del sen. Emanuele Pellegrini, ha incardinato, in sede redigente, gli A.S. nn. 174 e 662, sull’introduzione nel codice penale dei reati di costrizione al matrimonio di persona minorenne e ha deliberato di svolgere un ciclo di audizioni.
www.senato.it/leg/18/BGT/Schede/Ddliter/comm/49168_comm.htm
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PASTORALE
Civitavecchia, da domenica un percorso per coppie in difficoltà e “dal cuore ferito”
“Percorso di fede nella crisi matrimoniale” è il titolo di un’iniziativa della diocesi di Civitavecchia-Tarquinia, organizzata dall’Ufficio di pastorale familiare e rivolta a coniugi separati, divorziati e in nuove unioni, in programma da domenica 20 gennaio 2019 nella parrocchia della Santissima Trinità a Civitavecchia.
Don Federico Boccacci è vicario episcopale per la pastorale e direttore dell’Ufficio famiglia. “Gli incontri sono frutto di un percorso nato da diversi anni dalle sollecitazioni ricevute da papa Francesco, che con l’Amoris lætitia ha dato indicazioni su come accogliere e accompagnare le coppie ‘dal cuore ferito’ – spiega al Sir – La novità di quest’anno è che il cammino è aperto anche a coppie che stanno facendo esperienza della crisi, ampliando così il raggio delle situazioni che incontriamo”. Far sentire a queste persone che sono dentro un cammino di santificazione, in cui devono crescere nell’amore del Signore è l’obiettivo principale della proposta, che per ogni incontro prevede un momento di riflessione su un brano della Parola e poi un tempo di risonanza in piccoli gruppi.
“Come diocesi diamo un contributo che si concentra su due appuntamenti annuali, che hanno finora avuto un buon riscontro e favorito momenti belli di confronto e scambio. Il lavoro maggiore è però quello nelle parrocchie, con un accompagnamento continuo e personale delle situazioni di difficoltà, grazie all’impegno di parroci e operatori di pastorale familiare” conclude don Boccacci.
Agenzia SIR 19 gennaio 2019
https://agensir.it/quotidiano/2019/1/19/diocesi-civitavecchia-da-domenica-un-percorso-per-coppie-in-difficolta-e-dal-cuore-ferito
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PSICOLOGIA DI COPPIA
Caro, sono infelice ma non ti mollo. Resto con te per altruismo
Sono infelice ma non ti mollo: su questo tema la letteratura e il cinema hanno fatto fortuna, e a tutte noi è capitato di raccogliere le confidenze di qualche amica in crisi. Ma perché spesso restiamo in una relazione pur non essendo felici?
Se lo sono chiesti, tra gli altri, i ricercatori dell’Università dello Utah. Gli esperti hanno compiuto uno studio su 1.348 persone coinvolte in una relazione di coppia, seguendole per 10 settimane e poi osservando per due mesi 500 di loro mentre decidevano di mettere fine alla loro relazione. Il risultato dello studio pubblicato sul Journal of Personality and Social Psychology sostiene che molte persone tendono a rimanere in una relazione infelice per non far soffrire il partner. Dunque, per altruismo. La ricerca ha fatto emergere che le persone infelici nella coppia, ma che ritenevano il proprio partner dipendente dalla relazione o più coinvolto di loro, fossero meno disposte ad avviare una rottura. Questo, appunto, per proteggere il partner.
https://psycnet.apa.org/doiLanding?doi=10.1037%2Fpspi0000139
Abbiamo esaminato la questione con Giulio Nicolò Meldolesi, psichiatra e psicoterapeuta, presidente della Fondazione Neurone Onlus, per lo studio e la ricerca in neuro-psico-biologia e neuroscienze cliniche.
Dottor Meldolesi, ritiene plausibile che alcune persone possano rimanere in una relazione in cui sono infelici per altruismo?
È possibile che alcune persone siano motivate a rimanere con il partner solo per altruismo, ossia per quell’atteggiamento disinteressato di cura per gli altri quale principio della propria azione. Ma la maggior parte delle persone non resta con il proprio partner per altruismo. Al contrario, spesso rimane con l’altra persona per una condizione di dipendenza affettivo-relazionale, di incapacità di costruire un rapporto centrato sull’amore e sulla libertà. Molti comportamenti che appaiono altruistici sono in realtà generati da altre motivazioni, come l’interesse personale o il principio della reciprocità (l’obbligo di ricambiare un favore con un favore).
Può farci qualche esempio concreto?
Se la tua compagna ti garantisce una buona posizione sociale, e tu non la lasci per questo motivo, non si può parlare di altruismo; oppure, se lui è tanto gentile con i tuoi genitori, e tu non lo lasci per questo, anche qui non si tratta di altruismo.
Quali sono i segnali per capire che non si tratta di altruismo?
Rabbia e senso di colpa sono due spie che permettono di differenziare un comportamento tendenzialmente altruistico e maturo da un comportamento tendenzialmente immaturo e dipendente. Ad esempio, quando il partner non condiscende alle nostre aspettative, possiamo sentirci arrabbiati; oppure, nel caso in cui siamo noi a non piegarci alle sue aspettative, ci sentiamo in colpa.
Da dove nasce il senso di colpa nell’essere umano?
Si sviluppa in tenera età, all’incirca tra i 3 e i 5 anni, ossia quando il bambino entra nell’età del gioco. Lo sviluppo motorio consente una vasta sperimentazione e il bambino inizia a “testare i limiti” della sua nuova capacità: la sua attività diventa così vigorosa e invadente, soprattutto a livello fisico. Per lo psicologo e psicoanalista Erik Erikson, la risoluzione di questa fase di crescita consente lo sviluppo della coscienza, insieme a un senso di responsabilità e fiducia in se stesso, autodisciplina e indipendenza. Questo stadio è quindi cruciale per la formazione del “Super-Io”, basato sull’introiezione di ideali e proibizioni, in particolare dei genitori. La risoluzione infruttuosa di questa fase di crescita fornisce la base per un Super-Io duro, rigido, moralista e auto-punitivo che funge da generatore di un senso fondamentale di colpa.
Il senso di colpa nasce dunque all’interno della dinamica di rapporto tra genitore e bambino?
Esatto. Se il bambino si comporta in un modo che viene ritenuto sbagliato da parte del genitore, il genitore spesso applica un castigo, ossia una punizione imposta allo scopo di correggere o di ammonire, riconducendo il bambino al rispetto di un’autorità superiore. Durante il castigo il bambino prova uno stato d’animo spiacevole, di rabbia, dolore, tristezza e ansia. Queste emozioni si producono perché il bambino percepisce la minaccia di un aumento di distanza dal genitore, sia essa fisica (ad esempio è messo nella sua stanza con la porta chiusa) o emotiva (il genitore mette il muso).
Come si manifesta il senso di colpa?
Per non soffrire la distanza, il bambino si auto-rimprovera, si sente in colpa per il suo comportarsi nel modo “sbagliato” (cioè ritenuto sbagliato dal genitore). Il senso di colpa si manifesta, interiormente, sotto forma di autoaccusa: ci si assume la responsabilità di un’azione o di un fatto, anche inesistente o commesso da altri.
Cosa comporta questo da adulti?
Secondo la teoria dell’attaccamento dello psicologo e psicoanalista John Bowlby, una volta diventato adulto, il bambino tende a replicare con il proprio partner lo schema della relazione che ha avuto con il genitore. Una persona che sperimenta rabbia o senso di colpa nel rapporto con il compagno non è una persona altruista. Potremmo definirla, piuttosto, come una persona emotivamente dipendente, dal genitore prima e dal partner poi.
Perché dipendente?
La paura di soffrire porta la persona a rimanere in un rapporto, a non allontanarsi, per timore di provare sofferenza. Non si tratta dunque di una libera scelta: questa persona è soggetta all’autorità del partner proprio come in passato sottostava all’imposizione delle regole da parte dei genitori. Chi rimane in una relazione in cui è infelice spesso non è altruista ma egocentrico: subordina a sé, e al vantaggio emotivo di non soffrire, il valore alto dell’amore disinteressato e dei principi di libertà e di rispetto reciproco.
Cosa pensa dunque dell’esito della ricerca pubblicata sul Journal of Personality and Social Psychology? La ricerca sottolinea l’aspetto pro-sociale delle relazioni umane, che è un aspetto fondamentale: ossia la nostra lotta affinché le persone che amiamo, il partner, il genitore, nostro figlio, possa riuscire a stare bene, e con loro anche noi. Tuttavia, non credo si tratti di altruismo, che è frutto di una disciplina cosciente. In tal senso, sono sicuramente più in linea con queste considerazioni dell’autrice Samantha Joel: “A volte la percezione di una persona dei bisogni del proprio partner potrebbe essere fuorviata, si può sopravvalutare quanto sia impegnato nella relazione e quanto soffrirebbe per la rottura”.
In questi casi, ad essere fuorviata non è solo la percezione dei bisogni del partner, ma anche di sé. Prendiamo ad esempio un caso estremo, ossia un uomo che non lascia la compagna perché lei minaccia di suicidarsi. Una situazione di questo tipo comporta alti livelli di angoscia per entrambi i partner. Chi si sente costretto dal ricatto del partner tenderà a ritagliarsi relazioni parallele come sfogo e compensazione per l’oppressione subita. Racconta a se stesso di essere altruista, ma in realtà è dipendente dal dispiacere che può provocare nell’altro e in sé stesso: la prova sta nell’irrequietezza, nel nervosismo e nella ricerca di una via di fuga.
Eleonora Giovinazzo La repubblica online 16 gennaio 2019
https://d.repubblica.it/life/2019/01/16/news/bisogna_imparare_a_lasciarsi_perche_rimanere_insieme_quando_non_ci_si_ama_piu_psicologia_coppia-4244267/?ref=RHPPBT-VD-I0-C4-P27-S1.4-T1
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SESSUOLOGIA
Ogni totalitarismo vuole il controllo sulle origini della vita: il sesso e la famiglia
Nel romanzo “Noi” viene descritta una società futura in cui il sesso è diventato un bisogno fisico uguale agli altri e non serve più a procreare. A partire da qui si sviluppa il totalitarismo perfetto, quello in cui ognuno fin dalla nascita è sotto il potere assoluto dello Stato.
«Il principio della famiglia è il sesso», scrive senza pruderie Fabrice Hadjadj. Non è una posizione estremista. È proprio così. La funzione primaria della famiglia, la caratteristica che la differenzia nettamente da altre comunità umane, consiste nel fatto che essa possiede la potenza procreativa. La famiglia prima di tutto è il luogo in cui nascono gli esseri umani.
Avere il pieno controllo sulla vita e sulle sue origini. È il desiderio profondo di ogni ideologia totalitaria. Ciò spiega l’avversione per la famiglia che ha sempre contraddistinto i regimi totalitari, rossi o neri che fossero. Hitler fu il più ingegnoso. Col progetto Lebensborn («Fonte di vita») cercò di creare un sostituto della famiglia per espropriarne la funzione procreativa. Cosa avrebbe potuto fare con le biotecnologie oggi a disposizione?
Ma se volete una rappresentazione plastica dell’odio totalitario per la famiglia allora dovete leggere il romanzo Noi (My, nell’originale), l’utopia negativa dello scrittore russo Evgenij Zamjatin (1884-1937) che illustra alla perfezione la marginalizzazione della famiglia e il monopolio legale della fecondità agognate dai regimi totalitari. Nel racconto di Zamjatin, pubblicato nel 1922, la storia si svolge nel contesto di una città perfettamente organizzata i cui membri, isolati dal mondo esterno e dalla natura da un muro verde, trascorrono la propria esistenza in trasparenti abitazioni di vetro, dando così corpo all’ideale di controllo totale adombrato nel Panopticon di Jeremy Bentham.
Noi è ambientato nel futuro, la datazione è fissata al 2500. Il mondo è governato da uno Stato Unico retto da un Benefattore, perfetta congiunzione del potere totalitario e di una scienza destinata all’addomesticazione delle masse. Il mondo di Noi si struttura come una società del Controllo integrale, dove a contare è unicamente un onnipresente Collettivo (il titolo del libro allude alla norma che vincola tutti al pensiero collettivo: si deve ragionare solo in termini di prima persona plurale), amministrata secondo un modello fordistico di efficienza e precisione industriale. L’Orario delle Ferrovie è considerato il più grande monumento della letteratura antica, il corpus di scritti precedente cioè la rivoluzione fordiana.
Una tecnica disumanizzante ha totalmente asservito gli uomini, facendone semplici ingranaggi di una macchina. L’essere umano è stato totalmente meccanizzato: nelle sue abitudini, nel comportamento, nel movimento e perfino nella voce. In questa prigione meccanizzata il dilemma tra felicità e libertà posto nella leggenda del Grande Inquisitore di Dostoevskij è stato risolto a favore del primo polo dell’alternativa.
La felicità, è questa la conclusione, è possibile solo senza l’intralcio della libertà. Quanto si auspica di garantire a tutti gli abitanti – identificati non da nomi, bensì da numeri – è una felicità matematicamente esatta. La Scienza, elevata a paradigma supremo della realtà, detta norme etiche fondate «sull’addizione, divisione, sottrazione, moltiplicazione». Il Benefattore viglia attraverso i suoi guardiani sull’applicazione del sistema di etica scientifica e controlla che nessuno manifesti un pensiero dissenziente. Libertà e delinquenza sono reputate un binomio indissociabile, i sogni considerati una seria malattia mentale, la fantasia rimossa con un intervento chirurgico.
Inutile dire che nel mondo descritto in Noi, analogamente al Mondo nuovo di Aldous Huxley, la famiglia è stata soppressa allo scopo di sottomettere direttamente l’individuo all’autorità dello Stato, al quale i figli sono immediatamente affidati per la «puericultura». Nella distopìa [immaginaria società spaventosa] di Zamjatin lo Stato Unico considera il sesso soltanto un bisogno fisico come un altro. Il sesso, scrive il protagonista del libro nel suo diario, «che per gli antichi era fonte di innumerevoli stupidissime tragedie, da noi è stato ricondotto ad una armonica, piacevole ed utile funzione dell’organismo allo stesso modo del sonno, del lavoro fisico, dell’alimentazione, della defecazione e simili».
La medesima organizzazione coercitiva su base matematico-scientifica abbraccia la vita sessuale dei cittadini, ai quali è concesso l’esercizio di una sessualità infeconda e medicalizzata, regolata da una lex sexualis che prevede accoppiamenti secondo una «tabella dei giorni sessuali» fissata dai medici. Nel dispositivo che regolamenta la lex sexualis, si legge che «ognuno dei numeri ha diritto, come prodotto sessuale, a un altro numero a fini sessuali. Il resto è soltanto una questione di tecnica».
Il processo di banalizzazione dell’eros corrisponde a un modello di società totalmente amministrata. Il sesso è diventato un banale esercizio contabile. Ogni cittadino-numero deve periodicamente recarsi per una visita nei laboratori dell’Ufficio Sessuale, dove viene determinato il contenuto degli «ormoni del sesso» presenti nel sangue e di conseguenza stabilita per lui la tabella dei «giorni sessuali». Per usufruirne occorre presentare una richiesta all’ufficio competente, dove si riceve un corrispondente libretto rosa provvisto di talloncini.
La rivoluzionaria russa Aleksandra Kollontaj (1872-1952), una delle prime apostole della liberazione sessuale, aveva formulato a questo proposito la teoria del «bicchiere d’acqua». Se l’esercizio del sesso non è altro che un bisogno fisiologico come un altro, allora impegnarsi in una relazione sessuale equivale a bere un semplice bicchiere d’acqua.
Vi sembrano teorie astruse, lontane dalla realtà? Non siatene così sicuri. Quella che ieri poteva apparire come la fantasia di uno scrittore visionario oggi viene predicata come verità indiscussa dai pulpiti massmediatici, impegnati a propagandare il sesso come pura attività di intrattenimento. Quanto alla “numerificazione” dell’uomo, il pensiero corre immediatamente alla “numerazione parentale” applicata da diverse burocrazie pubbliche (genitore 1 – genitore 2). E che dire dei corsi di “educazione sessuale” dove l’esercizio della sessualità è equiparato a un bisogno fisiologico, nella cornice di un semplice problema “tecnico”? Per non parlare delle teorie del gender avallate da presunti “studi scientifici”. Mancano ancora le tabelle sessuali e il libretto coi talloncini, ma possiamo stare certi che qualcuno sta già lavorando per “Noi”
Emiliano Fumaneri segnalato da Aleteia 15 gennaio 2019
www.pepeonline.it/se-il-sesso-diventa-un-bicchiere-dacqua-fresca-siamo-fregati/
https://it.aleteia.org/2019/01/15/totalitarismo-famiglia-sesso-controllo-nascite-noi-distopia/?utm_campaign=NL_it&utm_source=daily_newsletter&utm_medium=mail&utm_content=NL_it
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NewsUCIPEM n. 737 – 20 gennaio 2019
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02 ABORTO VOLONTARIO Relazione sull’attuazione della Legge 194/1978: dati definitivi 2017
03 Meno aborti, più Ru486. E l’obiezione non è un problema.
04 ABUSI Vaticano:riunione episcopale su protezione minori nella Chiesa.
05 Facoltà Teologica IC, corso x contrastarli ai formatori dei seminari.
05 Una petizione per stroncare le reti omosessuali nella Chiesa.
06 ACCADEMIA DELLA VITA Il Papa: serve una nuova bioetica “globale” nell’era della robotica.
08 Fare globale la bioetica.
08 Conferenza su Assemblea “Roboetica. Persone, macchine e salute”
08 Testi di Vincenzo Paglia, Renzo Pegoraro, Paolo Benanti, Laura Palazzani.
12 ADOZIONE INTERNAZIONALE La vera crisi dell’adozione? Disinteresse politico e culturale.
12 La causa della crisi? La fecondazione assistita.
13 AFFIDAMENTO PREADOTTIVO Procedimento e formule utili.
14 ANONIMATO Il dibattito. «Madri segrete, a rischio il diritto all’anonimato».
15 ASSEGNO DIVORZILE Cassazione: per l’assegno di divorzio vale il reddito netto dell’ex.
16 BIBBIA Tre rotte per navigare nelle Sacre Scritture.
18 CENTRO INTERN. STUDI FAMIGLIA Newsletter CISF – n. 2, 16 gennaio 2019.
20 CENTRO ITALIANO SESSUOLOGIA Master Criminologia e Psicopatologia Comportamento Sessuale.
20 CHIESA CATTOLICA Il peccato dell’Ecclesia Dei si chiama Summorum Pontificum.
22 CONFERENZA EPISCOPALE ITAL. Card. Bassetti: “Noi cattolici non disertiamo le sfide impegnative”
23 Tutela dei minori, approvato il Regolamento. Comunicato finale
23 CONSULENZA COPPIA E FAMIGLIA Nuove regole per il Patrocinio AICCeF.
24 CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM Pescara. Sportello scolastico di ascolto e intervento psicologico.
24 Vittorio Veneto. Lutto nel Centro per don Giacinto Padoin.
25 COUNSELING Cos’è il counseling.
27 DALLA NAVATA 2° Domenica del Tempo ordinario – Anno C – 20 gennaio 2019
27 Cana, i nostri cuori come anfore da riempire
28 DIACONATO Magistero, teologia e la donna nello spazio ecclesiale.
31 DIRITTO DI FAMIGLIA Ragioni a sostegno della riforma Pillon.
40 ENTI TERZO SETTORE Terzo settore obbligo trasparenza: la circolare ministeriale.
41 FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI Reddito di Cittadinanza: «testo insoddisfacente per le famiglie».
41 Sabato 26 gennaio il Forum rilancia il valore di adozione e affido
42 GOVERNO Stop al bonus baby sitter, ma più supporto per la rata dell’asilo.
43 HUMANÆ VITÆ La libertà negata alla coppia.
46 NONNI Madre, padri e nonni. Secondo appuntamento con la scuola.
47 PARLAMENTO Senato.2°C. Affido dei minori; costrizione matrimoniale minori.
47 PASTORALE Civitavecchia, percorso per coppie in difficoltà e “dal cuore ferito”.
47 PSICOLOGIA DI COPPIA Caro, sono infelice ma non ti mollo. Resto con te per altruismo.
49 SESSUOLOGIA Totalitarismo vuole il controllo su origini vita: il sesso e la famiglia.
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ABORTO VOLONTARIO
Relazione del Ministro della Salute sull’attuazione della Legge 194/1978. Dati definitivi 2017
La Relazione è stata trasmessa al Parlamento il 18 gennaio 2019.
ü In totale nel 2017 sono state notificate 80.733 IVG, confermando il continuo andamento in diminuzione del fenomeno, in misura leggermente maggiore rispetto a quello osservato nel 2016 (meno 4.9% rispetto al dato del 2016 e meno 65.6% rispetto al 1982, anno in cui si è osservato il più alto numero di IVG in Italia pari a 234.801 casi).
ü Diminuzioni percentuali particolarmente elevate si osservano in Liguria, Umbria, Abruzzo e PA di Bolzano, mentre la PA di Trento è l’unica con un lieve aumento di interventi.
ü Tutti gli indicatori confermano il trend in diminuzione: il tasso di abortività (n. IVG rispetto a 1000 donne di 15-49 anni residenti in Italia), che rappresenta l’indicatore più accurato per una corretta valutazione della tendenza del ricorso all’IVG, è risultato pari a 6.2‰ nel 2017, con un decremento del 3.3% rispetto al 2016 e con una riduzione del 63.6% rispetto al 1982. Il dato italiano rimane tra i valori più bassi a livello internazionale
ü Il rapporto di abortività (n. IVG rispetto a 1.000 nati vivi) nel 2017 è risultato pari a 177,1‰ nati vivi (o 17.7% nati vivi), con una riduzione del 2.9% rispetto al 2016 e del 53.4% rispetto al 1982. E’ da considerare che in questi ultimi anni anche i nati della popolazione presente sul territorio nazionale sono diminuiti di 9.643 unità.
Relazione al Parlamento IVG 2017, dati 2017 (completa di allegati)
www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_2807_allegato.pdf
Attività dei consultori familiari per l’IVG estratto pag. 53
Anche per il 2017 è stata effettuata la rilevazione dell’attività dei consultori familiari per l’IVG, e sono stati raccolti i dati per l’85% dei consultori. E’ stato richiesto, come gli anni precedenti, il numero di donne che hanno effettuato il colloquio previsto dalla Legge 194/1978, il numero di certificati {documenti nel testo della legge: il certificato è usato solo per le urgenze – vedi art. 5} rilasciati, il numero di donne che hanno effettuato controlli post IVG (in vista della prevenzione di IVG ripetute).
Non è stato ritenuto utile rilevare il numero di ginecologi obiettori di coscienza in quanto il dato rilevato negli anni precedenti non aveva rilevato criticità.
La raccolta dati è stata particolarmente difficoltosa, considerando anche la grande difformità territoriale dell’organizzazione dei consultori stessi, che mutano spesso di numero a causa di accorpamenti e distinzioni tra sedi principali e distaccate, la cui differenziazione spesso non è chiara e risponde a criteri diversi fra le diverse regioni. Inoltre è emerso che molte sedi di consultorio familiare sono servizi per l’età evolutiva o dedicati agli screening dei tumori femminili pertanto non svolgono attività connesse al servizio IVG.
Ciò è determinato dal fatto che la codifica delle strutture prevede una sola specifica per la funzione consultoriale che non permette di distinguere tra le diverse tipologie di servizi offerti. Anche questo ambito di rilevazione conferma la grande variabilità tra le Regioni, in questo caso nel ricorso al consultorio per le attività collegate all’IVG.
Al fine di aggiornare la mappatura delle sedi e dell’attività svolta dai Consultori familiari nel 2018 è stato avviato uno specifico progetto CCM [Centro nazionale per la prevenzione e il controllo delle malattie] coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità.
Dai dati raccolti, come negli altri passati emerge un numero di colloqui IVG superiore al numero di certificati rilasciati (48.769 colloqui vs 34.800 certificati rilasciati), ciò potrebbe indicare l’effettiva azione per aiutare la donna “a rimuovere le cause che la porterebbero all’interruzione della gravidanza” (art. 5 L.194/1978). Per quanto riguarda i controlli post IVG risulta un numero minore rispetto a quello dei certificati rilasciati, in parte ciò è dovuto al fatto che il colloquio post IVG viene registrato, in molti consultori, nei flussi informativi come generica visita di controllo e quindi alcune regioni hanno fornito un dato parziale. Tuttavia ciò è anche un segnale che è necessario ancora puntare su una migliore integrazione ospedale-territorio.
Negli ospedali in cui si sono effettuate le IVG è efficace il suggerimento per un colloquio post – IVG in consultorio, più adeguato rispetto alle strutture ospedaliere a effettuare azioni di sostegno e counselling personalizzato e costante, nel tempo. La consulenza post – IVG è una buona occasione di promozione per una procreazione responsabile, pertanto sarebbe importante promuoverla e implementarla ulteriormente.
Tabelle IVG 2017
www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_2807_ulterioriallegati_ulterioreallegato_0_alleg.pdf
Ministero della salute 18 gennaio 2019
www.salute.gov.it/portale/donna/dettaglioPubblicazioniDonna.jsp?lingua=italiano&id=2807
I dati sulla legge 194. Meno aborti, più Ru486. E l’obiezione non è un problema
80mila aborti: sempre tanti, troppi, ma il 4,9% in meno in un solo anno, mentre cresce l’incidenza di quelli farmacologici e gli obiettori restano stabili. Sono i dati ministeriali sulla 194 nel 2017.
L’obiezione di coscienza? Non è un problema, anche perché il tasso di medici obiettori è sempre uguale e gli aborti sono in rapido calo. L’affermazione non è di qualche associazione pro-life ma del Ministero della Salute, che confermando le rilevazioni condotte dal 2013 e basate su parametri di calcolo specifici (i carichi di lavoro settimanale per medico obiettore e la diffusione dei “punti Ivg” rispetto ai “punti nascita”) ha concluso che «non si evidenziano particolari criticità nei servizi» di interruzione volontaria di gravidanza. La constatazione è uno dei dati salienti dell’annuale relazione al Parlamento sull’attuazione della legge 194\1978 depositata in Parlamento il 18 gennaio – con solo qualche giorno di ritardo rispetto all’anno precedente – dal Ministero della Salute.
Ed è tanto più significativa visto che la relazione sui dati completi del 2017 è la prima firmata dal nuovo ministro Giulia Grillo (M5s), di orientamento e sensibilità diversi rispetto a colei che l’ha preceduta, Beatrice Lorenzin. La conferma che gli obiettori non sono “troppi”, come insiste a dire una tenace campagna d’opinione, arriva dunque dalla fonte più autorevole, e insieme a un dato medio nazionale stabile (al 68,4% tra i ginecologi) dovrebbe chiudere la polemica che però intanto ha già legittimato la decisione da parte di alcune Regioni come di singole Asl di spostare l’aborto farmacologico dalla gestione con ricovero a quella in day hospital, e persino cause in sede europea e l’indizione di concorsi per ginecologi ospedalieri riservati ai soli medici non obiettori.
Cresce l’uso della pillola abortiva. Il nesso con la somministrazione della Ru486 è evidente, tanto più che – altro dato significativo della relazione ministeriale – il metodo farmacologico sta guadagnando rapidamente terreno rispetto a quello chirurgico attestandosi nel 2017 al 17,8% dei casi (5% in più in soli tre anni, per una pratica entrata negli ospedali italiani solo nel 2010).
Meno nascite, meno aborti. Un’incidenza dunque in rapida crescita su un numero totale di aborti in continuo calo: con le 80.733 interruzioni di gravidanza del 2017 (-4,9% sul 2016) si è toccato il nuovo minimo storico (stiamo comunque parlando della popolazione di una città italiana di medie dimensioni come Varese), ma con nascite che seguono lo stesso trend ribassista (458.151, e come sappiamo l’inverno demografico sta continuando a colpire). Da considerare però anche due altri dati significativi: il tasso di abortività (interruzioni per mille donne in età fertile) diminuisce ma meno del dato assoluto (la cifra è di 6,2‰, pari a un calo del 3,3%); un andamento assai simile al rapporto di abortività (interruzioni per mille nati vivi), pari a 177,1‰ con una diminuzione in un anno del 2,9%.
Boom dei “contraccettivi d’emergenza”. Sul calo degli aborti, conferma il Ministero, ha inciso la crescente e ormai massiccia diffusione della cosiddetta “contraccezione d’emergenza”, della quale sono note – ma largamente misconosciute, e dunque negate – le potenzialità abortive su concepimenti appena avvenuti: si tratta, spiega la relazione, di «Levonorgestrel (Norlevo) – pillola del giorno dopo – e Ulipistral acetato (ellaOne) – pillola dei 5 giorni dopo, che non hanno più l’obbligo di prescrizione medica per le maggiorenni, e quindi richiedono una maggiore informazione alle donne per evitarne un uso inappropriato», annotazione quest’ultima molto significativa e sulla quale c’è dunque da attendersi una maggiore sensibilità delle autorità sanitarie rispetto alle citate decisioni in sede regionale che vanno invece nella direzione di diffondere semmai più largamente farmaci comunque dall’elevato contenuto ormonale e con effetti deresponsabilizzanti sulle condotte in particolare dei più giovani.
Tante straniere, poche minorenni. Gli aborti di donne non italiane sono ormai stabilmente attorno a un terzo del totale (30,3% di tutte le interruzioni contro il 30% del 2016) ma con un tasso di abortività in calo (15,5%), comunque più del doppio del dato globale e il triplo rispetto alle sole donne italiane. Si conferma anche la scarsa incidenza rispetto ad altre realtà europee e occidentali degli aborti di minorenni, diminuiti fino a 2,7‰ casi per ragazze (un punto in meno in soli tre anni). L’eccezione italiana viene annotata anche dal Ministero, un elemento che andrebbe ricordato quando Regioni e istituzioni scolastiche introducono i contraccettivi gratis per i ragazzi lamentando una dilagante piaga di gravidanze indesiderate e conseguenti aborti.
Obiettori stabili. I dati sull’obiezione di coscienza – 1,2 interruzioni a settimana per medico non obiettore – si combinano con la diminuzione dei tempi di attesa tra rilascio del certificato e intervento: l’Ivg è stata effettuata entro 14 giorni nel 68,8% dei casi rispetto al 66,3% del 2016 (e ben 10 punti in più in soli 6 anni), con quasi la metà degli aborti entro le prime 8 settimane (48,9%, due punti percentuali in più in un solo anno e ben 7 in cinque anni) mentre il 5,6% oltre la 12esima equivale a un lieve aumento che conferma il trend degli ultimi anni (3,8% nel 2013).
La metà di chi abortisce lavora. Un quarto delle donne che abortisce aveva già attraversato questa drammatica esperienza nel suo passato (ma il dato è in diminuzione), mentre la classe di età nella quale si registra la maggiore incidenza di aborti è tra i 25 e i 34 anni. Il profilo socio-demografico si completa con le cifre che riguardano il titolo di studio (il 46,7% delle italiane ha licenza media superiore), l’occupazione (sempre tra le italiane il 46,9% lavora, contro il 37% delle straniere), lo stato civile (il 59,4% delle italiane è nubile) e maternità (il 44% delle italiane non aveva figli).
Ora “aborto zero”. Il Ministero della Salute, infine, si impegna a «identificare i determinanti di natura sociale» che inducono ancora ad abortire e «a sostenere la donna e/o la coppia nella scelta consapevole, nella eventuale riconsiderazione delle motivazioni alla base della sua scelta, aiutarla nel percorso Ivg ed a evitare future gravidanze indesiderate ed il ricorso all’Ivg». È la consapevolezza che occorre lavorare per ridurre a zero gli aborti. Farlo a partire da una condivisa verità dei fatti è la premessa indispensabile per un obiettivo che non può non stare a cuore a tutti rispetto a quella che resta una scelta drammatica.
Francesco Ognibene Avvenire 19 gennaio 2019
www.avvenire.it/famiglia-e-vita/pagine/meno-aborti-e-l-obiezione-non-e-un-problema
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ABUSI
Tra un mese dalla riunione episcopale in Vaticano sulla protezione dei minori nella Chiesa
http://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2019/01/16/0035/00083.html
Le grandi aspettative sull’incontro non sono una sfida alla Chiesa e al Papa. Sono invece una speranza e rivelano alla fine fiducia e sostegno.
In pratica manca un mese all’importante incontro in Vaticano, voluto da Papa Francesco, con tutti i Presidenti delle Conferenze episcopali dei cinque continenti, 130 circa, e altri suoi collaboratori, dal 21 al 24 febbraio, sulla “protezione dei minori nella Chiesa”, ossia, in altre parole più familiari all’opinione pubblica mondiale, sugli abusi sessuali da parte del clero su minori e persone vulnerabili.
La decisione del Santo Padre, che ha voluto fortemente questa riunione, è arrivata alla fine di un anno, il 2018, piuttosto drammatico e sconvolgente in questa materia, in particolare per via delle vicende di due chiese particolari in grave crisi: quella del Cile e quella degli Stati Uniti.
L’incontro pur essendo inedito sotto ogni punto di vista sarà molto simile ad un Sinodo, ovviamente minimo, una sorta di “sinodo bonsai”. Da settimane un agguerrito gruppo di esperti, grandi conoscitori della questione, lavora intensamente per preparare l’assemblea che in pratica lavorerà, in plenarie e gruppi minori o circoli, durante tre giorni: giovedì 21, venerdì 22 e sabato 23 febbraio. Si prevedono 7 ore di lavoro al giorno (4 al mattino e 3 al pomeriggio), quindi in un totale di 21 ore i partecipanti, con l’aiuto dei Relatori e delle Relazioni (che saranno pubblicate), dovranno arrivare alle conclusioni “operative” alle quali ha fatto riferimento giorni fa un comunicato della Santa Sede.
https://ilsismografo.blogspot.com/2019/01/vaticano-comunicazione-del-direttore-ad.html
http://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2018/12/18/0950/02059.html
Questa Nota, molto chiara e puntuale, con riferimento ai desideri, progetti e intenzioni di Francesco, sottolinea: il Santo Padre “vuole che l’Incontro sia una riunione di Pastori, non un convegno di studi. Un incontro di preghiera e discernimento, catechetico e operativo. Per il Santo Padre, è fondamentale che tornando nei loro Paesi, nelle loro diocesi, i vescovi venuti a Roma siano consapevoli delle regole da applicare e compiano così i passi necessari per prevenire gli abusi, per tutelare le vittime, e per far sì che nessun caso venga coperto o insabbiato.”
Questo passaggio sulla consapevolezza delle “regole da applicare “ e quindi sul bisogno (perentorio e non più discrezionale) di eseguire “i passi necessari per prevenire gli abusi, per tutelare le vittime, e per far sì che nessun caso venga coperto o insabbiato “, non ha fatto altro – giustamente – che accrescere le aspettative sulla riunione di febbraio.
E su queste aspettative non ha senso discutere o polemizzare poiché è pacifico che la complessa e tragica realtà degli abusi sessuali nella Chiesa, nel passato ma anche oggi, è del massimo interesse per tutti, per la comunità ecclesiale anzitutto ma anche per chi non fa parte della Chiesa Cattolica. Gli abusi sono un dramma dell’intera società umana e la chiesa, colpita in modo terribile da questo flagello, nella sua lotta contro questa piaga — che con successi e fallimenti va avanti da almeno 15 anni — può essere di grande aiuto al mondo e alle sue diversi società nell’ambito del contrasto e della prevenzione.
Le grandi aspettative sull’incontro non sono una sfida alla Chiesa e al Papa. Sono invece una speranza e rivelano alla fine fiducia e sostegno. Dunque al posto di accrescere artificiosamente il profilo della riunione, oppure di abbassarlo, la cosa più lungimirante e intelligente è una sola: far sì che l’incontro si concluda con una sorta di Vademecum anti-pedofilia che contenga nero su bianco le risposte urgenti, inderogabili e necessarie che la Chiesa ha dato in questi anni, sta dando oggi e che deve dare nel futuro.
Come evidenzia il comunicato sopracitato, per il Papa, e per tutta la chiesa pellegrina nei cinque continenti, gli obiettivi sono precisi, circoscritti e non negoziabili:
- Prevenire gli abusi,
- Tutelare le vittime
- Far sì che nessun caso venga coperto o insabbiato.
Luis Badilla e Roberto Calvaresi ilsismografoblogspot.com 20 gennaio 2019
http://ilsismografo.blogspot.com/2019/01/vaticano-un-mese-dalla-riunione.html#more
Abusi: Facoltà Teologica Italia Centrale, un corso per contrastarli rivolto ai formatori dei seminari
Si è svolto oggi nella Facoltà teologica dell’Italia centrale il corso su “Valutazione psicologica e accompagnamento psicologico: integrazione nei percorsi di formazione umana dei seminari e istituti religiosi”. Un’iniziativa delle diocesi toscane per prevenire, individuare e contrastare gli abusi sessuali e altre forme di violenza nei confronti dei minori.
Per la prima volta psicologi, psichiatri e consulenti si riuniscono per un evento formativo sostenuto dalla Conferenza episcopale toscana, con il contributo della Pontificia Università Gregoriana e la partecipazione anche dei rettori e formatori dei seminari. “Un momento per affrontare in modo scientifico le specificità, le caratteristiche e le necessità psicologiche e di ascolto relative ai contesti di formazione religiosa e per garantire standard adeguati ed efficaci di consulenza e accompagnamento psicologico durante tutto il percorso di vita religiosa e presbiterale”, si legge in una nota.
Ad aprire la conferenza l’arcivescovo di Firenze, il card. Giuseppe Betori. “La diocesi di Firenze – ha detto il porporato – si è organizzata in merito alla prevenzione investendo sulla formazione, aderendo alla strutturazione di un’equipe regionale per la formazione umana della Regione Ecclesiastica della Toscana che opera attraverso un programma di valutazione e formazione specifica nell’anno propedeutico e negli anni successivi dei seminari”. Il cardinale ha poi ricordato il “programma formativo riguardante le tematiche dell’abuso, fragilità, sessualità e sostegno alle vittime rivolto ai sacerdoti, con particolare attenzione ai più giovani (entro i 10 anni dall’ordinazione)”.
“È stato poi inaugurato un corso per la prevenzione degli abusi sessuali sui minori basato sul programma e-learning del Centre for Child Protection della Pontificia Università Gregoriana e sono stati introdotti nella didattica della Facoltà Teologica dell’Italia Centrale corsi interdisciplinari sui temi dell’abuso e della tutela dei minori”.
Agenzia Sir 19 gennaio 2019
Una petizione per stroncare le reti omosessuali nella Chiesa
Fare tutti i passi necessari per fermare le reti omosessuali nella Chiesa cattolica, in particolare quelle connesse con gli abusi recentemente venuti alla luce. È quanto chiede una petizione lanciata da Pro Ecclesia, organizzazione cattolica laica svizzera, in vista dell’incontro dei capi delle conferenze episcopali di tutto il mondo, chiamati a raccolta da Francesco il prossimo mese in Vaticano per discutere la questione degli abusi.
All’iniziativa aderiscono fra gli altri John Smeaton, The Society for the Protection of Unborn Children (Regno Unito); Markus Büning (Germania); Riccardo Cascioli, La Nuova Bussola Quotidiana (Italia); Christian Spaemann (Germania); Pedro L. Llera (Spagna); Anna Silvas (Australia); Donna F. Bethell (Stati Uniti); Peter A. Kwasniewski (Stati Uniti).
Anche in questo sito abbiamo più volte sottolineato come esista un collegamento statisticamente chiaro tra la crisi degli abusi sessuali nella Chiesa e la condotta omosessuale, una connessione segnalata autorevolmente, fra gli altri, dai cardinali Gerhard Müller, Walter Brandmüller e Raymond Burke.
Come scrive Riccardo Cascioli, la petizione chiede misure drastiche per punire il clero responsabile di abusi sessuali e di atti omosessuali, nonché l’applicazione severa delle norme che vietano l’ordinazione di preti con tendenze omosessuali. La petizione, spiega Cascioli, «nasce dalla constatazione che c’è un tentativo di evitare di affrontare il problema alla base di gran parte degli abusi sessuali, ovvero l’omosessualità. Anzi, c’è un chiaro tentativo da parte di una lobby gay, sempre più potente nella Chiesa, di approfittare della crisi degli abusi sessuali addirittura per legittimare l’omosessualità, anche nel clero. Per questo è necessario che dal vertice vaticano arrivi un messaggio inequivocabile, visto che i dati dimostrano che l’80% degli abusi sessuali da parte del clero sono in realtà atti omosessuali di cui sono vittime adolescenti e giovani adulti vulnerabili».
La petizione, che coinvolge anche Lifesitenews e Infovaticana, chiede in particolare la reintroduzione del canone 2359 §2 del Codice di diritto canonico del 1917 che stabiliva esplicitamente per i chierici responsabili di atti sodomiti la rimozione dall’ufficio, la privazione di qualsiasi privilegio e, nei casi più gravi, la riduzione allo stato laicale. Tale norma esplicita rivolta agli uomini ordinati è scomparsa nel nuovo Codice di diritto canonico, del 1983.
«Inoltre – spiega Riccardo Cascioli – nella petizione si chiede che il Pontificio consiglio per i testi legislativi si pronunci per chiarire che, sempre in riferimento al canone suddetto, quando si parla di “chierici” si comprendono anche vescovi e cardinali».
«Gli altri punti riguardano la richiesta al Papa di rimuovere dall’ufficio ogni vescovo che abbia coperto i sacerdoti abusatori; l’applicazione severa della Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis (2016) che vieta l’ordinazione sacerdotale di uomini con tendenze omosessuali; che la riparazione ed espiazione per le ferite alle vittime degli abusi, sia minori che adulti, sia fatta in modo credibile, “sia con lo spirito che con le azioni”; che vengano sanzionati anche quei preti, vescovi e cardinali che promuovono l’omosessualità o le reti omosessuali».
Spesso quando si parla degli abusi nella Chiesa si fa riferimento alla pedofilia, ignorando che nella stragrande maggioranza dei casi gli abusi sono commessi da omosessuali nei confronti di adolescenti e giovani uomini. E, circa le cause, si parla genericamente di «infedeltà», «clericalismo» e «abuso di potere», senza specificare in quale terreno affondano queste radici malate.
Dunque «con questa petizione si va finalmente al cuore della vicenda “abusi sessuali” con delle misure semplici e chiare, in assenza delle quali si continuerà a camminare nell’ambiguità, malgrado le roboanti dichiarazioni. È evidente infatti che mentre da una parte si proclama la “tolleranza zero”, dall’altra si evita accuratamente di affrontare il nodo omosessualità, che è alla radice degli abusi sessuali. Addirittura, l’attuale direttore editoriale dei media vaticani, Andrea Tornielli, ha sostenuto che nemmeno nel caso del cardinale Theodore McCarrick si può parlare di omosessualità. E questo malgrado sia ormai più che documentato che abbia avuto rapporti omosessuali con seminaristi per molti anni. La tesi che si vuol fare prevalere è che in tutti i casi si tratti di clericalismo, abuso di potere. Non a caso nella lunga lettera ai vescovi statunitensi dello scorso 1 gennaio 2019, papa Francesco solo due volte ha menzionato gli “abusi sessuali”, ma in entrambi i casi in coda all’espressione “abusi di potere e di coscienza”».
http://w2.vatican.va/content/francesco/it/letters/2019/documents/papa-francesco_20190101_lettera-vescovi-usa.html
«Dall’altra parte, invece, sono stati i cardinali Walter Brandmüller, Gerhard Müller e Raymond Burke in recenti interviste a riportare il discorso sul problema omosessualità, sottolineando come nel caso degli abusi sessuali dei sacerdoti questo sia un tema inevitabile.
Blog by Aldo Maria Valli
www.aldomariavalli.it/2019/01/17/una-petizione-per-stroncare-le-reti-omosessuali-nella-chiesa
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ACCADEMIA DELLA VITA
Il Papa: serve una nuova bioetica «globale» nell’era della robotica
Il rilancio dell’umanesimo cristiano per un’antropologia all’altezza delle sfide globali su scienza e nuove tecnologie applicate all’uomo. È la consegna del Papa alla Pontificia Accademia per la Vita.
Una «nuova prospettiva etica universale, attenta ai temi del creato e della vita umana», con l’obiettivo di «rilanciare con forza l’umanesimo della vita che erompe dalla passione di Dio per la creatura umana»: è l’impegno culturale al quale papa Francesco chiama la Pontificia Accademia per la Vita, a 25 anni dalla sua fondazione per opera di san Giovanni Paolo II su impulso del grande genetista Jerome Lejeune, del quale è in corso il processo di canonizzazione. In una lettera al presidente dell’Accademia monsignor Vincenzo Paglia, il Santo Padre indica tre fondamentali obiettivi ai quali l’istituzione deve puntare nel suo futuro per animare il dibattito bioetico, sapendo «elaborare argomentazioni e linguaggi che siano spendibili in un dialogo interculturale e interreligioso, oltre che interdisciplinare».
http://w2.vatican.va/content/francesco/it/letters/2019/documents/papa-francesco_20190106_lettera-accademia-vita.html
- La bioetica globale. Il criterio di riferimento per la tutela e la promozione della vita umana, secondo il Pontefice, è oggi la ricostruzione di un umanesimo, che «in tanti decenni» è stato invece logorato e confuso «con una qualsiasi ideologia della volontà di potenza», ideologia che oggi «si avvale dell’appoggio convinto del mercato e della tecnica» e che è da «contrastare». La «differenza della vita umana – spiega Francesco – è un bene assoluto, degno di essere eticamente presidiato, prezioso per la cura di tutta la creazione». Questo nuovo «orizzonte umanistico», da «riaprire» anche «in seno alla Chiesa» e fondato sulla visione cristiana dell’uomo come creatura a immagine del Padre, è in grado di produrre una «sintesi antropologica all’altezza di questa sfida epocale». Si tratta infatti di «rendere la riflessione su questi temi sempre più attenta al contesto contemporaneo, in cui il ritmo crescente dell’innovazione tecno-scientifica e la globalizzazione moltiplicano le interazioni, da una parte, tra culture, religioni e saperi diversi, dall’altra, tra le molteplici dimensioni della famiglia umana e della casa comune che essa abita». La risposta a questo scenario è la «bioetica globale, con la sua visione ampia e l’attenzione all’impatto dell’ambiente sulla vita e sulla salute».
- Le manipolazioni dell’umano. La riflessione bioetica della Chiesa deve puntare sulle «nuove tecnologie oggi definite “emergenti e convergenti”. Esse – spiega il Papa – includono le tecnologie dell’informazione e della comunicazione, le biotecnologie, le nanotecnologie, la robotica». Evidente la preoccupazione di Francesco: «Avvalendosi dei risultati ottenuti dalla fisica, dalla genetica e dalle neuroscienze, come pure della capacità di calcolo di macchine sempre più potenti, è oggi possibile intervenire molto profondamente nella materia vivente. Anche il corpo umano è suscettibile di interventi tali che possono modificare non solo le sue funzioni e prestazioni, ma anche le sue modalità di relazione, sul piano personale e sociale, esponendolo sempre più alle logiche del mercato. Occorre quindi anzitutto comprendere le trasformazioni epocali che si annunciano su queste nuove frontiere, per individuare come orientarle al servizio della persona umana, rispettando e promuovendo la sua intrinseca dignità».
- Diritti umani e fraternità. La bioetica come riflessione sulla vita umana a partire da una riconoscibile visione dell’uomo non può prescindere secondo il Papa da una chiara visione della «giustizia che mostri il ruolo irrinunciabile della responsabilità nel discorso sui diritti umani e la loro stretta correlazione con i doveri, a partire dalla solidarietà con chi è maggiormente ferito e sofferente». Questa premessa rende possibile affermare che «la medicina e l’economia, la tecnologia e la politica che vengono elaborate al centro della moderna città dell’uomo, devono rimanere esposte anche e soprattutto al giudizio che viene pronunciato dalle periferie della terra». Giustizia e diritti umani parlano la lingua degli esclusi, anche dal progresso: «Di fatto, le molte e straordinarie risorse messe a disposizione della creatura umana dalla ricerca scientifica e tecnologica – spiega il Papa – rischiano di oscurare la gioia della condivisione fraterna e la bellezza delle imprese comuni, dal cui servizio ricavano in realtà il loro autentico significato. Dobbiamo riconoscere che la fraternità rimane la promessa mancata della modernità. Il respiro universale della fraternità che cresce nel reciproco affidamento – all’interno della cittadinanza moderna, come fra i popoli e le nazioni – appare molto indebolito. La forza della fraternità, che l’adorazione di Dio in spirito e verità genera fra gli umani, è la nuova frontiera del cristianesimo».
Il Papa ricorda anche il grande impegno dell’Accademia lungo un quarto di secolo «per la promozione e la tutela della vita umana in tutto l’arco del suo svolgersi, la denuncia dell’aborto e della soppressione del malato come mali gravissimi, che contraddicono lo Spirito della vita e ci fanno sprofondare nell’anti-cultura della morte. Su questa linea – aggiunge – occorre certamente continuare, con attenzione ad altre provocazioni che la congiuntura contemporanea offre per la maturazione della fede, per una sua più profonda comprensione e per più adeguata comunicazione agli uomini di oggi». Francesco chiede però anche di prestare attenzione alla «distanza fra l’ossessione per il proprio benessere e la felicità dell’umanità condivisa», che «sembra allargarsi» sino «a far pensare che fra il singolo e la comunità umana sia ormai in corso un vero e proprio scisma». Uno sguardo umanistico ed esistenziale che allarga l’orizzonte dell’Accademia e la stessa frontiera della bioetica senza negare nulla di ciò che ha segnato il suo percorso storico ma espandendo a tutto campo l’energia della passione per l’uomo figlio di Dio.
Francesco Ognibene Avvenire 15 gennaio 2019
www.avvenire.it/famiglia-e-vita/pagine/il-papa-bioetica-globale-per-l-accademia-per-la-vita
Fare globale la bioetica
La lettera (intitolata Humana Communitas) che papa Francesco ha inviato all’arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita in occasione del XXV anniversario della sua istituzione (11 febbraio 1994) è di singolare importanza, almeno sotto due profili.
In primo luogo, perché tramite essa viene confermato il mandato che san Giovanni Paolo II, dietro suggerimento del grande scienziato Jérôme Lejeune, che ne fu il primo presidente, diede all’Accademia: quello di sviluppare iniziative di studio, di formazione e di riflessione per non cedere al misoneismo di coloro che ritengono che i progressi di scienza e tecnica non contribuiscano al bene integrale dell’uomo e non siano conformi al progetto divino di salvezza: un impegno, questo, che richiede la ferma convinzione che ogni forma di sapere (e quello bio-tecnologico in particolare) richiede un impegno irremovibile a favore del servizio alla persona umana e dei suoi diritti fondamentali.
Ma anche sotto un secondo profilo, forse prevalente, la lettera Humana Communitas andrebbe studiata e meditata. Nel testo della lettera manca infatti ogni accenno di generico e irenico ottimismo. Il Papa sottolinea come l’impegno per la difesa e la promozione della vita viva oggi all’interno di un autentico paradosso, che sta sotto gli occhi di tutti: proprio nel momento storico (quello odierno) in cui lo sviluppo economico e tecnologico ci permetterebbe di prenderci efficacemente cura della casa comune e dei diritti umani, proprio oggi si manifestano divisioni, lacerazioni, conflitti, che producono demoralizzazione e disorientamento: viviamo in un’atmosfera che per molti è di un dilagante «avvilimento spirituale» (queste le esatte parole del Papa). Di qui, l’appello a un lucido impegno dei cristiani nel mondo, un impegno consapevole, rapido e soprattutto sollecito «prima che sia troppo tardi».
Diverse sono le indicazioni, tutte molto calibrate, che Francesco dà all’Accademia per la Vita perché possa operare efficacemente in tal senso. Ne raccolgo due: una di carattere storico-culturale, l’altra di carattere evangelico-pastorale.
- A livello storico-culturale il Papa rivolge ai suoi lettori una domanda davvero ruvida: siamo ancora in grado, noi cristiani, di insistere sull’unità della famiglia umana o ne abbiamo perso di vista la centralità «anteponendo le ambizioni della nostra egemonia spirituale sul governo della città secolare… alla cura della comunità locale, aperta all’ospitalità evangelica per i poveri e i disperati»? La questione è sintetizzata dallo stesso papa Francesco in modo efficace: «Dobbiamo riconoscere che la fraternità rimane la promessa mancata della modernità». È un tema sul quale la Pontificia Accademia per la Vita dovrà impegnarsi strenuamente.
- Si noti però che questo forte accenno di Francesco alla crisi della fraternità, che caratterizza il nostro tempo, non possiede soltanto un carattere storico-culturale, ma implica l’indicazione di un impegno evangelico-pastorale. E un impegno a evangelizzare il mondo di oggi, esortandolo a cogliere il senso della vita indicando nella dinamica della generazione l’esperienza fondamentale di riferimento. Il Papa è chiarissimo al riguardo: la vita non va ridotta a concetto solamente biologico o ad un universale astratto dalle relazioni e dalla storia. Vivere significa ricevere il mondo da chi ci ha generato e trasmetterlo, in una logica di amore, valori, orientamenti di senso a chi verrà dopo di noi, in modo da rendere concreta l’espressione «famiglia umana».
Di qui il nuovo rilievo che sta assumendo la «bioetica globale», che pone la tutela della salute umana sullo stesso piano della tutela dell’ambiente, che per i cristiani corrisponde né più né meno all’ordine stesso della creazione.
A questa lettera, la Pontificia Accademia per la Vita dovrà rispondere, insiste il Papa, elaborando «argomentazioni e linguaggi che siano spendibili in un dialogo interculturale e interreligioso, oltre che interdisciplinare». Un compito arduo, ma esaltante e urgente di cui l’Accademia, e chi la guida, è perfettamente consapevole.
Francesco D’Agostino Avvenire 17 gennaio 2019
www.avvenire.it/opinioni/pagine/fare-globale-la-bioetica
Conferenza Stampa di presentazione della Lettera del Santo Padre Francesco
al Presidente della Pontificia Accademia per la Vita in occasione del 25mo di fondazione
e della prossima Assemblea Generale su “Roboetica. Persone, macchine e salute”.
Interventi
S.E. Mons. Vincenzo Paglia, Presidente della Pontificia Accademia per la Vita
L’11 febbraio 2019 ricorre il 25° anniversario della fondazione della Pontificia Accademia per la Vita. Per questa occasione Papa Francesco ha voluto inviare una lettera non semplicemente celebrativa all’Accademia per ringraziare tutti i membri per il lavoro che hanno svolto negli anni passati e per incoraggiarla ad affrontare con rinnovato impegno il compito che indirizza il suo futuro. Il titolo della lettera (Humana communitas) indica esattamente il punto focale di questo impegno.
Mentre siamo nel mezzo delle questioni relative alla custodia del creato, si affaccia all’umanità una nuova e ben più profonda problematica relativa alla famiglia umana. Insomma, l’attenzione sul creato come “casa comune” è entrata tra le frontiere che decidono il futuro del pianeta. Oggi, si fa sempre più urgente, anche per gli straordinari progressi della tecnica, una rinnovata attenzione a chi abita quella casa, ossia alla famiglia umana nella sua interezza. Ed è qui che il Papa vuole richiamare l’attenzione anche dell’Accademia per la Vita, sino a invitare ad un allargamento semantico. La “vita” non è un concetto universale astratto: è l’uomo nella sua storia, è l’intera famiglia umana nella trama dei suoi legami.
Il Papa rileva l’indebolimento dei legami che costituiscono la fraternità: “Dobbiamo riconoscere che la fraternità rimane la promessa mancata della modernità. Il respiro universale della fraternità che cresce nel reciproco affidamento – all’interno della cittadinanza moderna, come fra i popoli e le nazioni – appare molto indebolito. La forza della fraternità, che l’adorazione di Dio in spirito e verità genera fra gli umani, è la nuova frontiera del cristianesimo”. È una sfida che riguarda l’intero pianeta. L’indebolimento della fraternità – lo si voglia o no – contamina tutte le scienze dell’uomo e della vita.
Nella Lettera appare chiaramente l’attenzione del papa al grido che si leva dalla sofferenza dei popoli, perché tutti ce ne accorgiamo. Non si attarda però solo sul momento della diagnosi. Egli si interroga anche sulla missione della Chiesa. E si chiede se come credenti abbiamo dato un contributo adeguato alla costruzione di un umanesimo che non sia solo confinato nel contesto ecclesiale, ma capace di ispirare, motivare e attuare nel mondo una convivenza civile più fraterna. Cosa ci dice il paradosso clamoroso di una tecnoscienza che con i suoi strumenti potrebbe consentire che l’intera umanità viva in condizioni molto migliori, mentre invece alimenta disuguaglianze e, più profondamente, “la malinconia di una vita che non trova destinazione all’altezza della sua qualità spirituale” (n. 3).
La Lettera non si limita a riflessioni solo sul piano generale. Entra anche nel vivo degli argomenti. Ne accenno solo a qualcuno. C’è il tema della bioetica globale. I processi della globalizzazione collegano sempre più strettamente le questioni che riguardano la vita e la salute alle condizioni sociali e ambientali. Quindi mettono in gioco la pratica della giustizia. Data la pluralità di culture e di saperi scientifici che interagiscono sempre più strettamente nel nostro mondo, occorre elaborare criteri operativi universalmente condivisibili che siano incisivi sulla determinazione delle politiche nazionali e internazionali. I diritti umani sono per molti aspetti il terreno su cui avviene questo confronto e occorre quindi favorire una loro corretta interpretazione, che, come ci diceva papa Benedetto XVI trovi un giusto equilibrio con i doveri.
Ci sono poi da aggiungere le cosiddette Tecnologie emergenti e convergenti, ossia le nanotecnologie, le biotecnologie, le tecnologie dell’informazione e le scienze cognitive. Esse dilatano in modo straordinario la nostra capacità di intervento sulla materia vivente, aprendo nuovi spazi alla nostra responsabilità. Questo vale per le terapie, ma anche per le ipotesi di potenziamento degli organismi viventi. Quello di cui è importante rendersi conto è che non si tratta solo di rendere più efficienti singole funzioni dell’organismo o di trasferirle su supporti artificiali; più profondamente è in gioco un nuovo rapporto con il mondo. Nuovi dispositivi informatici si annidano con crescente pervasività in vari ambiti di realtà, incluso il nostro corpo, che si trova sempre più esposto alle dinamiche della amministrazione secondo criteri della tecnoscienza (tecnocrazia). È una delle forme di quella che si suole chiamare biopolitica. Occorre quindi partecipare alla discussione e favorire una più ampia partecipazione possibile di tutti i soggetti coinvolti, in modo che lo sviluppo e l’impiego di queste straordinarie risorse sia orientato alla promozione della dignità della persona e al bene più universale. Insomma dobbiamo essere avvertiti nell’evitare sia il rischio del riduzionismo dell’umano, sia l’altro ancor più pericoloso di sostituzione dell’umano.
L’utopia tecnocratica, per questa via, prepara la strada ad un potenziamento funzionale del quale ci immaginiamo padroni, mentre ne diventiamo schiavi. Il Papa esorta, quindi, l’Accademia ad entrare nei territori della tecnica e a percorrerli con audacia e creatività e con attento discernimento. Il che significa non avere risposte prefabbricate perché dedotte da una teoria astratta precostituita, ma mettersi anzitutto in attento ascolto dei fenomeni nella loro complessità e impegnarsi in un serio lavoro di interpretazione per comprendere in che modo i nuovi ritrovati della scienza e della tecnica incidono sulla nostra umanità. Ed elaborare quindi criteri di valutazione che ci consentano di promuovere la dignità di ogni persona e di tutte le popolazioni che abitano il pianeta. È un lavoro che mette in gioco la coscienza morale, intesa non tanto come una funzione applicativa delle norme, ma come cuore della persona globalmente intesa, in cui non va separata la dimensione etica da quella spirituale.
La fede nella risurrezione incoraggia tutti, anche i non credenti, a non cedere sulla profondità dei nostri affetti e dei nostri legami, respingendo soluzioni di compromesso. La nostra vita comune – incantata e vulnerabile com’è – deve essere tema di alleanza per il riscatto per l’umano, non merce di scambio per il post-umano. La data in cui la lettera del Papa è stata siglata è la festa dell’Epifania. Essa porta in sé un simbolo che ci può ispirare. Il vangelo cerca l’alleanza dei popoli, non la chiusura della comunità. I Magi sono il simbolo della condivisione dell’umano e della convergenza della sua sapienza intorno al Figlio eternamente generato di Dio, che si fa uomo e destinazione dell’uomo, per sempre. Essi sono in qualche modo accademici e ambasciatori dell’umano: scrutano i segni del cielo e della vita, si sottraggono alla complicità di Erode e sono lieti di donare le loro ricchezze al Bambino di Betlemme, Signore del cielo e della vita.
Mons. Renzo Pegoraro Cancelliere della medesima Pontificia Accademia
La Pontificia Accademia per la Vita è stata istituita da S. Giovanni Paolo II in data 11 febbraio 1994, con il Motu proprio “Vitae Mysterium”, dietro suggerimento del grande genetista Jérôme Lejeune. Di fronte al progresso della scienza della tecnologia in ambito bio-medico, con straordinarie possibilità di intervento sulla vita umana in ogni fase del suo sviluppo, è emersa la necessità di studiare, informare, e formare per approfondire i valori e i principi etici che garantiscano il bene integrale della persona umana e la tutela della vita.
Alla luce della Rivelazione cristiana e dell’esperienza umana, della ragione e della tradizione morale, l’Accademia ha studiato ed offerto le sue riflessioni su temi come: le nuove frontiere della genetica, l’embrione umano, e le tecnologie riproduttive, la qualità della vita, ed etica della salute, l’invecchiamento e la disabilità, accompagnamento del morente e cure palliative, biotecnologie animali e vegetali. Ma sempre nuove prospettive si aprono e stimolano la ricerca e le varie attività dell’Accademia. Questo ha portato anche ad un aggiornamento dello Statuto (18 ottobre 2016), che ha impresso ulteriore impulso all’Accademia, con un approccio sempre più interdisciplinare, e con dialogo e collaborazione con diverse tradizioni religiose, ampliando gli orizzonti geografici e culturali per affrontare le questioni etiche che interpellano la vita umana. Riprendendo le indicazioni di papa Francesco, l’attuale Statuto (Art. 1, § 3) ricorda che: «L’Accademia ha un compito di natura prevalentemente scientifica, per la promozione e difesa della vita umana. In particolare studia i vari aspetti che riguardano la cura della dignità della persona umana nelle diverse età dell’esistenza, il rispetto reciproco fra generi e generazioni, la difesa della dignità di ogni singolo essere umano, la promozione di una qualità della vita umana che integri il valore materiale e spirituale, nella prospettiva di un’autentica “ecologia umana”, che aiuti a ritrovare l’equilibrio originario della Creazione tra la persona umana e l’intero universo». E da qui i recenti studi: il ruolo e l’impatto della tecnologia sulla vita umana e la salute, la bioetica globale, in particolare nell’area materno-infantile; le questioni legate alla robotica e all’intelligenza artificiale; le neuroscienze; l’ingegneria genetica. Sono attivi dei gruppi di lavoro operanti su questi temi, per offrire dei reports di valore scientifico ed etico, importanti per la Chiesa e l’intera società civile, giuridica, politica.
Attualmente l’Accademia è costituita da 151 membri: 45 ordinari, 88 corrispondenti, 14 della categoria Giovani Accademici e 4 onorari. Tra tutti loro vi sono medici, scienziati (un premio Nobel per la medicina), teologi, docenti e ricercatori nelle scienze fisiche, biologiche, naturali e scienze umane. Sono rappresentati tutti i cinque Continenti. Infine la Pontificia Accademia ha un sito internet (www.academyforlife.va), ed è attiva sui social con un profilo Twitter, un canale YouTube, e Instagram.
Prof. Padre Paolo Benanti, Terzo ordine regolare di San Francesco
Docente di Teologia Morale ed Etica delle Tecnologie nella Pontificia Università Gregoriana
Intelligenze artificiali, robot e sfide etiche. L’avvento della ricerca digitale, dove tutto viene trasformato in dati numerici porta alla capacità di studiare il mondo secondo nuovi paradigmi gnoseologici. Quello che appare come esito di questa nuova rivoluzione è il dominio dell’informazione, un labirinto concettuale la cui definizione più diffusa è basata sull’altrettanto problematica categoria di dati. L’evoluzione tecnologica dell’informazione e del mondo compreso come una serie di dati si concretizza nelle intelligenze artificiali (AI) e nei robot: siamo in grado di costruire macchine che possono prendere decisioni autonome e coesistere con l’uomo. Si pensi alle macchine a guida autonoma che Uber, il noto servizio di trasporto automobilistico privato, già utilizza in alcune città come Pittsburgh, o a sistemi di radio chirurgia come il Cyberknife o i robot destinati al lavoro affianco all’uomo nei processi produttivi in fabbrica.
Le AI (intelligenze artificiali), queste nuove tecnologie, sono pervasive. Stanno insinuandosi in ogni ambito della nostra esistenza. Tanto nei sistemi di produzione, incarnandosi in robot, quanto nei sistemi di gestione sostituendo i server egli analisti. Ma anche nella vita quotidiana i sistemi di Ai sono sempre più pervasivi. Nello sviluppo delle intelligenze artificiali (AI) la divulgazione dei successi ottenuti da queste macchine è sempre stata presentata secondo un modello competitivo rispetto all’uomo. Queste comparse mediatiche delle AI potrebbero farci pensare che questi sono sistemi che competono con l’uomo e che tra Homo sapiens e questa nuova machina sapiens/macchina autonoma si sia instaurata una rivalità di natura evolutiva che vedrà un solo vincitore e condannerà lo sconfitto a una inesorabile estinzione. In realtà queste macchine non sono mai state costruite per competere con l’uomo ma per realizzare una nuova simbiosi tra l’uomo e i suoi artefatti: (homo+machina) sapiens.
Esistono sfide estremamente delicate nella società contemporanea in cui la variabile più importante non è l’intelligenza ma il poco tempo a disposizione per decidere e le macchine cognitive trovano qui grande interesse applicativo. Si aprono a questo livello tutta una serie di problematiche etiche su come validare la cognizione della macchina alla luce proprio della velocità della risposta che si cerca di implementare e ottenere. Tuttavia il pericolo maggiore non viene dalle AI in se stesse ma dal non conoscere queste tecnologie e dal lasciare decidere sul loro impiego a una classe dirigente assolutamente non preparata a gestire il tema. Se l’orizzonte di esistenza delle persone nel prossimo futuro – in realtà già del nostro presente – è quello di una cooperazione tra intelligenza umana e intelligenza artificiale e tra agenti umani e agenti robotici autonomi diviene urgente cercare di capire in che maniera questa realtà mista, composta da agenti autonomi umani e agenti autonomi robotici, possa coesistere. Il cuore della questione sulla gestione e lo sviluppo delle intelligenze artificiali è un ampio spazio di discernimento etico che deve tener conto dell’effetto potenzialmente dirompente di queste tecnologie legato al loro potenziale di innovazione tecnologica.
Prof.ssa Laura Palazzani, docente di Biogiuridica e Filosofia del Diritto nella LUMSA
La robotica ha fatto straordinari progressi: i robot da oggetti meccanici e statici, passivi, ripetitivi ed esecutivi, stanno oggi divenendo enti ‘autonomi’, in grado di muoversi ed interagire con l’ambiente, con capacità di apprendimento e adeguazione all’ambiente, di percezione, analisi, ragionamento, decisione, espressione. Molteplici gli ambiti di applicazione sociale: civile (uso domestico, ludico, medico-sanitario, educativo, ambientale) e militare. L’accelerazione degli sviluppi recenti della robotica e dell’intelligenza artificiale, nel contesto delle c.d. tecnologie emergenti e convergenti, solleva complessi quesiti etici che esigono una riflessione interdisciplinare auspicabilmente, almeno su alcuni punti fondamentali, condivisa a livello internazionale in vista di una regolamentazione e una ‘governance’ delle nuove tecnologie.
Molti gli organismi internazionali (generalmente consultivi in vista di una regolazione) che hanno approvato pareri e documenti sull’argomento. In particolare la World Commission on the Ethics of Scientific Knowledge and Technology (COMEST) dell’Unesco ha emanato un parere su Robotics ethics nel 2017 (https://unesdoc.unesco.org/ark:/48223/pf0000253952); l’European Group on Ethics in Science and New Technologies (EGE) presso la Commissione europea ha pubblicato uno Statement on artificial intelligence, robotics and ‘autonomous systems’ (https://ec.europa.eu/research/ege/pdf/ege_ai_statement_2018.pdf) e un parere su Future of work, future of society nel 2018; il Comitato Nazionale per la Bioetica e Comitato per la Biosicurezza, Biotecnologie e Scienze della vita, ha approvato un documento su Roboetica nel 2017.
I temi centrali oggetto di discussione nel contesto internazionale con riferimento a robotica e intelligenza artificiale sono: la tutela della integrità fisica e della dignità dell’uomo con l’applicazione del principio di beneficenza, non maleficenza, proporzionalità (con il bilanciamento rischi/benefici, minimizzazione dei danni per l’uomo nella progettazione, sperimentazione e uso dei robot); i limiti della c.d. “autonomia” dei robot e IA (robot come agenti morali e statuto morale dei robot); il problema della interazione uomo/macchina (per evitare la sostituzione e valorizzare la capacità umane insostituibili; evitare la dipendenza tecnologica e psicologica dalle machine); il ripensamento della responsabilità (introduzione della nozione di responsabilità ‘condivisa’ tra costruttore, progettista, disegnatore, venditore, utente); la giustizia (evitare il ‘robotic devide’, garantendo equo accesso alle opportunità aperte dalla tecnologia); informazione e formazione dei cittadini, con la promozione democratica di un dibattito pubblico; governance condivisa e trasparente delle nuove tecnologie.
Il convegno intende, nel contesto della discussione internazionale, identificare la specificità del pensiero cattolico sull’argomento con particolare attenzione al concetto di persona ‘elettronica’ e al valore e ai limiti della autonomia e della responsabilità dell’uomo nell’era della artificializzazione del corpo e della intelligenza.
Zenit 15 gennaio 2019
https://it.zenit.org/articles/conferenza-stampa-di-presentazione-della-lettera-del-santo-padre-francesco-al-presidente-della-pontificia-accademia-per-la-vita-in-occasione-del-25mo-di-fondazione-e-della-prossima-assemblea-generale
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ADOZIONE INTERNAZIONALE
La vera crisi dell’adozione internazionale? Disinteresse politico e culturale
Continua il dibattito sui piccoli numeri dell’adozione internazionale. “È arrivato il momento di superare la crisi?” oggi ospitiamo un contributo del nostro direttore Marco Griffini “Solo un vero interesse politico e un nuovo approccio culturale permetteranno di superare la crisi dell’adozione”
I primi numeri diffusi dalla Commissione per le Adozioni Internazionali (CAI) all’andamento delle adozioni internazionali nell’annualità 2018, dimostrano che le difficoltà di cui soffre l’universo adottivo in Italia non sono assolutamente superate.
Restano le stesse criticità che erano state denunciate lo scorso 15 febbraio2018, nel corso di una Conferenza in Senato sul tema ‘Adozioni internazionali: un bene per tutti’, da 20 Enti Autorizzati. E’ stato chiesto a gran voce il sostegno del mondo politico verso quest’alta forma di genitorialità che, tuttavia, a differenza di tutte le altre, ancora non è riconosciuta e promossa in concreto come tale dallo Stato.
La svolta per un rilancio delle adozioni internazionali in Italia risiede necessariamente in nuovo interesse politico al tema, completamente assente nelle agende politiche dei governi degli ultimi anni.
E’ questa la vera causa della crisi delle adozioni internazionali in Italia: il disinteresse della politica.
Un Paese che crede veramente nell’adozione internazionale dovrebbe iniziare ad inserirla come tema irrinunciabile nella proprio politica estera. L’Italia è il paese che in assoluto ha sottoscritto il maggior numero di accordi bilaterali per l’adozione internazionale con i paesi di origine (da qui il grande numero di adozioni realizzate negli anni d’oro): ora è da più di sei anni che non viene firmato un nuovo accordo, eppure vi sono paesi che sarebbero disponibili ad iniziare o riprendere collaborazioni con l’Italia per la loro infanzia in difficoltà familiare.
A ciò si unisce un errato approccio culturale al tema della adozione internazionale, che colpisce i vari paesi del mondo. L’abbandono dei minori non viene considerato – ad iniziare dalla stessa UNICEF – una vera emergenza umanitaria, pertanto, non degno di monitoraggio.
Così mentre sappiamo con esattezza – perché ogni anno ce lo ricordano i report delle varie organizzazioni umanitarie internazionali – quanti sono i minori afflitti dalle varie malattie, quelli denutriti, quanti non vanno a scuola, quanti sono costretti a lavorare, quanti vengono arruolati dai vari eserciti africani, nulla sappiamo su quanti siano i minori costretti a vivere in istituti e orfanotrofi o per le strade delle varie metropoli del mondo.
Di abbandono non si muore! Comunque, in un modo o nell’altro altro si sopravvive: perché dunque considerarla una emergenza umanitaria?
Per un minore abbandonato è sufficiente una “buona” assistenza: più sicura e meno “pericolosa” dell’adozione internazionale.
Così mentre, secondo le varie stime, i minori fuori famiglia aumentano in ogni paese, le adozioni sia nazionali che internazionali diminuiscono
News Ai. Bi. 14 gennaio 2019
www.aibi.it/ita/crisi-politico-culturale-adozione-internazionale-disinteresse
La causa della crisi dell’adozione internazionale? La fecondazione assistita
La causa della crisi delle adozioni internazionali risiederebbe principalmente nell’aumentato ricorso alle pratiche di fecondazione assistita oltre che nelle lungaggini degli iter adottivi. L’allarme “sempre meno italiani si fanno carico degli orfani” arriva da uno dei più stimati statistici italiani, Roberto Volpi.
Nell’articolo “C’era una volta l’adozione internazionale”, pubblicato nella rivista Vita e Pensiero, Roberto Volpi insieme al collega Enrico Moretti svelano un dato abbastanza sconcertante: tra il 2004 e il 2015, a livello mondiale, le adozioni internazionali hanno subito un calo spaventoso. Nel 2004 questi bambini adottati erano 45.483. Nel 2015 sono scesi a 12.201. Significa – spiegano i due studiosi – che c’è stata una perdita “in undici anni, di oltre 33.000 adottati, pari a un 73% in meno: in pratica, di quattro adottati con adozioni internazionali nel 2400, nel 2015 ne era rimasto soltanto uno”. Nel 2004, nei soli Stati Uniti si adottavano quasi 23.000 bambini, mentre un altro 30% delle adozioni (13.000) riguardava solo tre Paesi europei: Spagna, Francia e Italia. In tutti questi Stati, i dati mostrano una diminuzione gigantesca. Solo in Italia c’è stato un calo del 35%, che negli USA ha raggiunto -75%, in Francia -80%, in Spagna addirittura -85%.
http://rivista.vitaepensiero.it/scheda-articolo_digital/enrico-moretti-roberto-volpi/cera-una-volta-ladozione-internazionale-888888_2018_0006_0127-348082.html
Sebbene la crisi sia mondiale, il crollo delle adozioni tocca particolarmente il nostro Paese. “l’Italia è il secondo Paese per numero assoluto di adozioni internazionali dopo gli Stati Uniti (2.216 contro 5.648) – ricordano Volpi e Moretti – e il primo per numero di adozioni in rapporto agli abitanti (37 adozioni internazionali annue per milione di abitanti contro le 17 degli Usa)”. E’ opinione condivida, dunque, che gli italiani sono disposti, più di altri, a prendere con sé e amare bambini che arrivano dall’altra parte del globo. Il problema, però, è che queste famiglie rischiano di scomparire.
Le pratiche di procreazione medicalmente assistita, compreso dunque l’utero in affitto, ma pure la fecondazione eterologa, hanno contribuito in maniera decisiva al calo delle adozioni.
“Con riferimento all’Italia, la caduta delle adozioni comincia soltanto nel 2012, l’anno in cui più pesantemente si fa sentire la crisi economico-finanziaria, ma altresì quello del grande boom della Pma, alla quale si sottopongono, nel 2016, quasi 78 mila coppie – si legge nell’analisi di Volpi e Moretti -. Numeri così importanti già suggeriscono, da soli, come il terreno dell’adozione, nazionale e internazionale, finisca per essere occupato dalle nuove possibilità di avere un bambino, e un bambino proprio, con tecniche sempre più sofisticate di Pma che già oggi forniscono un numero annuo di bambini (più di 12.000 pari a sei volte quelli ottenuti con l’adozione internazionale”. Fonte La Verità
www.laverita.info/con-la-fecondazione-assistita-sono-precipitate-le-adozioni-2625904413.html
News Ai. Bi. 16 gennaio 2019
www.aibi.it/ita/causa-dozione-internazionale-fecondazione-assistita
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AFFIDAMENTO PREADOTTIVO
Affidamento preadottivo: procedimento e formule utili
L. 4 maggio 1983, n. 184 Diritto del minore ad una famiglia
www.camera.it/_bicamerali/leg14/infanzia/leggi/legge184%20del%201983.htm
Con l’affidamento preadottivo gli adottanti ottengono l’affidamento sperimentale con il minore. Siffatto affidamento costituisce un presupposto necessario dell’adozione, in quanto l’affidamento definitivo del minore nella nuova realtà familiare pretende la prova concreta che detto affidamento si possa verificare nel beneficio del minore.
Il procedimento di affidamento preadottivo viene espletato con rito camerale e pertanto non richiede specifiche formalità. Nel corso del procedimento devono comunque essere uditi il pubblico ministero e gli ascendenti dei richiedenti, se presenti, e, qualora abbia capacità di discernimento o compiuto il dodicesimo anno di età, anche lo stesso minore. Qualora questi abbia compiuto il quattordicesimo anno di età, la legge richiede il suo consenso.
Il Tribunale per i minorenni dispone l’affidamento attraverso un decreto motivato, che ha la natura sostanziale dell’attribuzione di un ufficio familiare. Tale decreto deve essere comunicato al pubblico ministero, ai richiedenti e al tutore, oltre al fatto che deve essere trascritto entro dieci giorni, che decorrono dal momento in cui esso diventa definitivo. Infatti, il decreto di affidamento è soggetto a impugnazione. Tale impugnazione si propone con ricorso alla Sezione minorile della Corte d’appello. I legittimati a proporre l’impugnazione sono il pubblico ministero e il tutore. Al pari del provvedimento di affido preadottivo, anche l’impugnazione è decisa in camera di consiglio con decreto motivato. In questo caso devono essere ascoltati il PM, il tutore e “ove occorra” i destinatari del provvedimento impugnato ai sensi dell’art. 24 l. adoz.
Il Tribunale può stabilire modalità particolari nell’affidamento e sul suo controllo, soprattutto nelle modalità in cui esso viene svolto dalla nuova famiglia. Tale attività di vigilanza può essere effettuata tanto attraverso la nomina di un giudice tutelare quanto attraverso un incarico ai servizi locali. Nel caso in cui l’affidamento presenti difficoltà, il Tribunale deve indagarne le cause attraverso l’ascolto, anche separato, del minore e dei suoi affidatari, anche attraverso la consulenza di uno psicologo. È compito del Tribunale predisporre le misure appropriate di sostegno tanto psicologico quanto sociale ai sensi dell’art. 22 l. adoz.
Il procedimento camerale per l’adozione di un minore, in casi particolari, assume natura informale per espresso dettato normativo ex art. 313 c.c., richiamato dall’art. 56, comma 4, L. n. 184/1983. Il principio innanzi espresso determina l’assenza di particolari vincoli di rigida priorità temporale tra i vari atti della procedura, unicamente permanendo la esigenza di tutelare il superiore interesse del minore, la cui indiscutibile prevalenza porta a negare la sussistenza di qualsivoglia interruzione processuale, non giustificata da incompatibilità di disciplina, tra le due procedure camerali per la dichiarazione dello stato di adottabilità e per l’adozione in casi particolari. Ciò rilevato, non possono ritenersi sussistenti preclusioni normative alla prestazione dell’assenso del genitore non appena si prefiguri la possibilità di ricorrere all’adozione in casi particolari, come nella specie avvenuto per la constatata impossibilità dell’affidamento preadottivo, motivata dalla Corte territoriale con il forte legame affettivo oramai sussistente tra la minore ed i futuri genitori adottivi, la cui recisione avrebbe provocato profondi traumi nella psiche della medesima
Corte di cassazione, prima Sezione civile, Sentenza n. 260, 12 gennaio 2010
www.comparazionedirittocivile.it/prova/files/ng_adozione_20100112.pdf
L’annullamento, da parte della Corte d’appello, del provvedimento, del Tribunale per i minorenni, di revoca di un affido preadottivo non comporta automaticamente il riaffido del minore a quello degli affidatari in preadozione che mostri di volersene prendere cura per procedere poi alla sua adozione, dal momento che l’adozione da parte di persona singola conserva, nel nostro ordinamento, carattere eccezionale, sicché spetta al Tribunale per i minorenni scegliere la soluzione più confacente all’interesse del minore procedendo ad una comparazione della disponibilità dell’affidatario e delle “chances” da lui offerte con la disponibilità e le “chances” di altra coppia aspirante all’adozione. Corte d’Appello di Napoli, 15 maggio 1996.
Giurisprudenza. La immediata declaratoria dello stato di adottabilità del minore è, in ragione dell’uso della locuzione “a meno che” insita nella disposizione di cui all’art. 11 della L. n. 184/1983, espressamente condizionata all’assenza di una richiesta di sospensione che provenga da chi, affermando di essere uno dei genitori, e dunque anche la madre biologica che abbia optato per l’anonimato, chieda termine per provvedere al riconoscimento del minore. La formulazione della richiesta di sospensione, dunque, la quale non è suscettibile di preventiva e definitiva rinuncia stragiudiziale, non è soggetta a termini processuali di decadenza, sicché ben può intervenire durante tutta la pendenza del procedimento abbreviato di primo grado, purché prima della sua definizione, posto anche che il comma sette della richiamata disposizione priva di efficacia il riconoscimento solo se attuato dopo l’intervenuta dichiarazione di adottabilità e l’affidamento preadottivo.
Corte di cassazione, prima Sezione civile, Sentenza n. 2802, 7 febbraio 2014
www.neldiritto.it/appgiurisprudenza.asp?id=10221#.XEbp4M17mno
L’adozione in casi particolari, di cui all’art. 44, comma 1, lett. d), L. n. 184/1983, c.d. “mite”, presuppone la constatata impossibilità di diritto, e non solo di fatto, di affidamento preadottivo, posto che, a differenza dell’adozione c.d. legittimante, non presuppone una situazione di abbandono dell’adottando, sicché non rappresenta una extrema ratio, né comporta la recisione dei rapporti del minore con la famiglia d’origine, in quanto risponde, piuttosto, all’esigenza di assicurare il rispetto del preminente interesse del minore, e va disposta al fine di salvaguardare, in concreto, la continuità affettiva ed educativa dei legami in atto dello stesso con i soggetti che se ne prendono cura (nella specie, la Suprema Corte ha confermato la decisione di merito che aveva disposto tale forma di adozione nei riguardi di un minore ormai preadolescente, in favore della coppia che ne era affidataria da circa due anni, atteso, da un lato, che i genitori erano stati dichiarati decaduti dalla responsabilità con provvedimento definitivo, e ne era stata comunque accertata la perdurante inidoneità, e, dall’altro, che il minore aveva instaurato un solido e positivo rapporto con gli adottanti)
Corte di cassazione, prima Sezione civile, Sentenza n. 9373, 16 aprile 2018
www.neldiritto.it/appgiurisprudenza.asp?id=15705#.XEbqxM17mno
L’affidamento preadottivo rappresenta una fase necessaria del procedimento di adozione, non surrogabile dall’affidamento provvisorio o di mero fatto; tuttavia, laddove l’interesse del minore lo richieda, il periodo di affidamento preadottivo può essere inferiore a dodici mesi e sommarsi al periodo di affidamento provvisorio (nella specie, discutendosi dell’adozione di un minore di diciassette anni e due mesi – con conseguente preclusione dell’adozione legittimante nell’ipotesi in cui fosse stato disposto l’affidamento preadottivo per il periodo di un anno – è stata ammessa la possibilità di sommare il periodo di affidamento preadottivo all’affidamento provvisorio alla vigilia del compimento del diciottesimo anno di età da parte dell’adottando) Tribunale Minorenni, L’Aquila, 6 marzo 2002.
Allegato un testo della Domanda di affidamento preadottivo
Elena Falletti In Pratica Famiglia 14 gennaio 2019 Altalex, 14 gennaio 2019
www.altalex.com/documents/biblioteca/2019/01/14/affidamento-preadottivo
www.altalex.com/famiglia-e-successioni
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ANONIMATO
Il dibattito. «Madri segrete, a rischio il diritto all’anonimato»
Contestati dalle associazioni alcuni punti del disegno di legge (primi firmatari Pillon-Urraro) che permette ai figli adottivi non riconosciuti alla nascita di ricostruire la propria identità.
www.senato.it/japp/bgt/showdoc/18/DDLPRES/0/1083655/index.html?part=ddlpres_ddlpres1
Non piace ad alcune associazioni del Forum delle famiglie il Ddl sul riconoscimento delle origini biologiche delle persone adottate. Perplessità arrivano anche da Anfaa, Aibi e da un’esperta come Rosa Rosnati, docente di psicologia delle adozioni alla Cattolica di Milano.
La possibilità di cercare le proprie origini naturali è principio ormai difficilmente contestabile. Da una parte ci sono tre sentenze importanti che vanno tutte nella stessa direzione (Corte europea dei diritti dell’uomo 2012, Corte costituzionale 2013, Cassazione 2016), dall’altra la prassi ormai consolidata nella maggior parte dei tribunali italiani dove le richieste delle persone adottate vengono regolarmente accolte ed esaminate. Ma se (quasi) nessuno mette più in dubbio il diritto dei figli adottivi non riconosciuti alla nascita di risalire alle proprie origini naturali, non c’è uniformità di giudizio su alcuni passaggi del disegno di legge 922/2018 presentato dai senatori Pillon (Lega) e Urraro (M5S), presentato in data 7 novembre 2018 «Norme in materia di diritto alla conoscenza delle proprie origini biologiche», assegnato alla 2ª Commissione permanente (Giustizia) in sede redigente l’11 dicembre 2018, (non ancora iniziato l’esame). [La sua votazione sui singoli articoli del progetto di legge assume carattere di definitività, e il testo che viene presentato alla Camera sarà votato nella sua interezza (senza quindi procedere alla votazione articolo per articolo)].
Secondo Donata Nova Micucci, presidente Anfaa, non sono sufficienti le precauzioni proposte dal testo: «Queste donne potranno essere rintracciate secondo una procedura che comporterà inevitabilmente la violazione dello stesso anonimato. Particolarmente negativa e disumana è poi – aggiunge – la disposizione in base alla quale tale accesso sarà immediato in tutti i casi in cui la donna è deceduta, privandola cosi della possibilità di scegliere se revocare o meno l’anonimato, di motivare la sua scelta e difendere la vita che si è costruita successivamente».
Giudizio negativo anche per quanto riguarda l’obbligo di ribadire la volontà dell’anonimato trascorsi 18 anni dal parto. «Ma dovrà andare a confermare la sua decisione all’Ufficiale di stato civile del proprio Comune – sottolinea l’esperta – in barba alla tutela del suo anonimato e della sua riservatezza».
Ma l’aspetto forse più problematico riguarda la proposta di abbassare da 25 a 18 anni il momento in cui un figlio adottato può presentare domanda di interpello. Un’età in cui oggi i ragazzi fluttuano ancora nei dubbi identitari dell’adolescenza e in cui c’è il rischio che la sovrapposizione tra la figura dei genitori adottivi e quella della madre naturale possa causare più danni che benefici. «A 18 anni – spiega Rosa Rosnati – i ragazzi sono ancora in piena adolescenza. Se fosse concessa già a quell’età la possibilità di risalire alle proprie origini si potrebbero aprire pagine anche molto dolorose e che forse potrebbero risultare difficilmente gestibili».
Da qui la necessità di un accompagnamento puntuale di cui però nel Ddl non si trova traccia. Sulla stessa lunghezza d’onda Cristina Riccardi, Aibi (Associazione nazionale amici dei Bambini) che rappresenta all’interno del Forum il mondo dell’associazionismo impegnato sul fronte delle adozioni. «Riteniamo inoltre molto grave – riprende Donata Nova Micucci – che questo Ddl estenda la possibilità di interpello a fratelli e consanguinei. Ma in tal modo, di fatto l’accesso viene ‘liberalizzato’ a tutti». Una scelta che a parere dell’Anfaa va considerata negativamente perché occorre tenere presente «che la segretezza del parto in anonimato prevista dal legislatore italiano non impedisce già ora la conoscibilità delle notizie sanitarie riguardanti l’adottato, purché le stesse vengano rilasciate omettendo di rivelare l’identità della donna»
Luciano Moia Avvenire 19 gennaio 2019
www.avvenire.it/attualita/pagine/madri-segrete-a-rischio-il-diritto-allanonimato
{L’anonimato è anche uno strumento per prevenire l’aborto volontario. Ndr}
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ASSEGNO DIVORZILE
Cassazione: per l’assegno di divorzio vale il reddito netto dell’ex
Corte di cassazione, prima Sezione civile, ordinanza n. 651, 14 gennaio 2019
www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_33211_1.pdf
La Suprema Corte rammenta come risulta affievolito il parametro del tenore di vita, ma chiarisce che l’eventuale contributo va calcolato in base ai redditi netti (e non lordi) dei coniugi. In relazione ai parametri finalizzati a stabilire l’importo dell’assegno di divorzio, il contributo va calcolato sulla base dei redditi netti di ciascun coniuge e dell’apporto del partner debole alla realizzazione della vita familiare. Infatti, a seguito dell’intervento delle Sezioni Unite risulta affievolito il parametro del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio.
Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso di un ex marito. La Corte d’appello aveva dichiarato la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto tra il ricorrente e la moglie, ponendo a carico dell’uomo un assegno divorzile di 200 euro mensili, comparate le condizioni economiche degli ex coniugi. In particolare, la Corte territoriale aveva rilevato che, dalla documentazione prodotta, emergeva la disparità di condizioni economiche dei tra i due avendo la moglie subito diverse riduzioni delle ore lavorative con contestuale riduzione dello stipendio in precedenza goduto.
Secondo i giudici, invece, l’uomo non solo non aveva dimostrato la copertura della riduzione stipendiale con gli ammortizzatori sociali, ma godeva di una situazione più stabile e florida avendo addirittura potuto acquistare una casa, dopo la separazione personale dei coniugi. Tale conclusione viene contestata dall’ex marito secondo cui la disparità reddituale tra i coniugi sarebbe stata fondata su circostanze non vere, smentite dagli atti prodotti, tra l’altro comparando il reddito “lordo” percepito dal marito in luogo di quello netto.
Riconoscendo la fondatezza delle censure, gli Ermellini prendono le mosse dai “nuovi criteri” elaborati e stabiliti dalle Sezioni Unite (cfr. sent. n. 18287/11 luglio 2018) in materia di assegno di divorzio alla luce della sentenza “Grilli”.
In particolare, il Supremo Consesso ha chiarito che “il riconoscimento dell’assegno di divorzio in favore dell’ex coniuge, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale e, in pari misura, compensativa e perequativa ai sensi dell’art. 5. comma 6, della L. n. 898/1970, richiede l’accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi dell’ex coniuge istante e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell’assegno”.
Il giudizio, ha poi soggiunto la Cassazione, dovrà essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa, delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare e alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi in relazione alla durata del matrimonio e all’età dell’avente diritto.
Ancora, la funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch’essa assegnata dal legislatore all’assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostruzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi.
Nel caso in esame, la decisione impugnata ha incentrato il giudizio, ai fini della fissazione dell’assegno divorzile, in assenza di una valutazione del tenore di vita coniugale, sul solo dato rappresentato dalla disparità economica tra i due coniugi valutata alla luce delle risultanze documentali.
Le censure dell’uomo sono fondate con riguardo alla non omogeneità dei dati messi in comparazione al fine di valutare la situazione economico-patrimoniale dei due coniugi. Nel caso in esame, infatti, mentre per quanto riguarda il reddito della donna si è fatto riferimento a quello netto, il reddito esaminato del marito è stato espressamente quello lordo.
Come chiarito dalla Cassazione (cfr. sent. n. 9719/23 aprile 2010 e 13954/31 maggio 2018), invece, sia pure in tema di separazione, la valutazione in ordine alle capacità economiche del coniuge obbligato ai fini del riconoscimento e della determinazione dell’assegno a favore dell’altro coniuge non può che essere operato sul reddito netto e non già su quello lordo, poiché in costanza di matrimonio la famiglia fa riferimento al reddito netto e ad esso rapporta ogni possibilità di specie.
Inoltre, nel caso esaminato, la Corte d’appello, dopo aver dato atto che l’ex marito si era accollato la rata del mutuo contratto per l’acquisto dell’appartamento ove è andato ad abitare dopo la separazione, non ha tenuto conto di tale onere, affermando però che l’acquisto dell’immobile denotava una sua capacità di spesa maggiore di quella della ex moglie. Alla luce di tali elementi il ricorso va accolto e la sentenza cassata con rinvio.
Lucia Izzo News StudioCataldi.it – 18 gennaio 2019
www.studiocataldi.it/articoli/33211-cassazione-per-l-assegno-di-divorzio-vale-il-reddito-netto-dell-ex.asp
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BIBBIA
Tre rotte per navigare nelle Sacre Scritture
L’edizione critica delle opere di Lutero, nota come Weimarer Ausgabe (dalla città tedesca di Weimar, importante centro culturale della Turingia, ove furono pubblicate), comprende ben 127 volumi per un totale di circa ottantamila pagine. Ora, ben sei di quei tomi raccolgono i Tischreden, cioè i suoi «discorsi a tavola», spesso molto vivaci, liberi e puntuti, trascritti da diversi testimoni diretti. Recentemente la Claudiana di Torino ha selezionato, ad opera di Beata Ravasi e Fulvio Ferrario, una «microscopica» selezione di quegli interventi conviviali. In uno di essi – che però non abbiamo trovato in questa silloge minima – il riformatore ironizzava: «In Italia la Sacra Scrittura è così dimenticata che rarissimamente si trova una Bibbia». Ebbene, se dovesse oggi visitare la nostra patria, si stupirebbe perché non solo i testi biblici sono molteplici e presenti in molte case ma anche per il numero enorme di pubblicazioni esegetiche, scientifiche o divulgative, che incessantemente approdano in libreria.
Proprio per questo, non di rado colmiamo lo spazio domenicale che abbiamo a disposizione con segnalazioni bibliografiche legate alla Bibbia, che non è solo «lampada per i passi» del credente nel cammino della vita ma anche il «grande codice» della cultura occidentale, come spesso amiamo ribadire. Naturalmente possiamo solo attingere, nella costante ondata cartacea che colma la nostra scrivania, a qualche esempio emblematico. Questa volta vorremmo optare per una triade che rappresenta altrettanti gradi di approccio al testo sacro: quello storico-critico, l’intermedio e il divulgativo-spirituale, generi tutti necessari per aprire ai diversi lettori l’orizzonte così ampio dei 73 libri che compongono la Bibbia, vocabolo che è basato sul plurale greco biblia, cioè «libri/libretti».
Ebbene, proprio il primo genere che proponiamo, quello strettamente filologico, smentisce la tesi di Lutero e un’opinione abbastanza diffusa secondo la quale fu solo con la Riforma protestante che la Bibbia fu messa a disposizione del volgo attraverso le versioni in «volgare» (celebri la traduzione tedesca di Lutero e l’italiana protestante di Diodati). Ora, la sempre ammirevole Fondazione Ezio Franceschini offre un catalogo delle Traduzioni italiane della Bibbia nel Medioevo. Si tratta di ben 134 manoscritti ora distribuiti in diverse biblioteche, a partire da Firenze (una sessantina tra la Laurenziana, la Nazionale Centrale e la Riccardiana), per passare poi a Venezia, Siena, Roma, Parigi, Vaticano, Oxford e qualche altra città. Il panorama delineato è veramente suggestivo e lo diventa ancor di più quando lo specialista (ma anche chi è curioso di penetrare in questi fogli cartacei o pergamenacei spesso ornati di miniature) esamina le singole schede e penetra nei dettagli di una simile «galassia testuale» antica.
Naturalmente i contenuti sono solitamente parziali, presentano cioè solo alcuni libri biblici dei quali nel volume si trascrivono, ad esempio, gli incipit o gli explicit [conclusione], spesso interessanti per assaporare il linguaggio talora pittoresco nella morfologia lessicale e grammaticale. Abbastanza scontata è la predominanza della Toscana come regione d’origine, anche se cospicua è la genesi veneziana di altri (circa un quarto del totale), così come è curiosa la tipologia variegata dei copisti che si firmano.
Essi comprendono vari religiosi, ma pure due donne, un avvocato, due notai e persino un funzionario della pretura di Caravaggio. Rilevante è, poi, l’impegno dei curatori nell’identificare anche la qualità e il peso delle traduzioni: sorprendente è il successo del Cantico dei cantici accanto al più ovvio libro dei Salmi, a causa del suo uso orante; significativa è l’incidenza dell’Apocalisse, attraente per la sua accesa simbologia e la temperie [momento storico] consona ai tempi. Naturalmente l’archetipo da cui si traduce è, a sua volta, una versione, cioè la latina Vulgata.
Lasciamo questo gioiello bibliografico per procedere nell’immenso campo degli studi biblici intermedi. Si tratta di commenti o sintesi a finalità didattica. Scegliamo un piccolo esempio dell’esegeta pugliese Giacomo Lorusso. Lo facciamo per il soggetto preso in esame, cioè l’apostolo Paolo, una delle figure capitali nella teologia neotestamentaria. Su di lui e sulla sua opera esistono imponenti biografie storico-critiche e colossali commentari al suo epistolario. Qui, invece, ci troviamo di fronte a un profilo introduttorio essenziale sia della persona – le cui vicende sono registrate dagli Atti degli apostoli e dagli ammiccamenti nelle sue Lettere – sia della sua teologia.
Quest’ultima, come è noto, rivela un’articolazione che condizionerà il pensiero di tutti i secoli cristiani. La centralità di Cristo e della Chiesa si ramificano in una sequenza di temi che hanno ottenuto la loro codificazione di base proprio nel dettato paolino: giustificazione, grazia, fede, carne, glorificazione, Chiesa come corpo di Cristo, carismi, nuova creazione, libertà, espiazione, pneuma, e così via.
Tutto questo viene puntualizzato da Lorusso con rigore, ma anche con quella tecnica didascalica che consegna al lettore l’attrezzatura per inerpicarsi poi nella scalata dei percorsi di altura degli scritti paolini. Non si dimentichi che – se stiamo all’attuale partizione in versetti (numerati da un certo Sante Pagnini nel 1528 in una Bibbia pubblicata a Lione) – su un totale di 5621 versetti neotestamentari ben 2003 sono quelli assegnati alle tredici Lettere attribuite a Paolo, sia pure con diverse gradazioni di paternità.
Ma è giunto il momento di accedere al terzo genere, quello più divulgativo. Sia subito precisato che questo termine non dev’essere inteso in senso spregiativo. Certo, divulgare è sempre un po’ approssimare, ma saper comunicare contenuti alti a un pubblico che non possiede una strumentazione specifica è un’operazione che richiede competenza raffinata e capacità di selezione e di sintesi. Questo non esclude che nel genere s’infiltrino ciarlatani di successo e questo non è solo un rischio della religione ma anche delle scienze.
Ora, tra i tanti prodotti biblici divulgativi con finalità spirituali, pastorali o catechetiche ne scegliamo uno significativo non solo per il contenuto ma anche per l’autore. Monsignor Luigi Bettazzi, 95 anni, è uno dei pochi testimoni viventi del Concilio Vaticano II a cui ha partecipato come vescovo. Ancor oggi è una presenza vivace e creativa nel panorama ecclesiale italiano come uomo del dialogo (molti ricordano ancora la sua Lettera a Berlinguer in tempi non facili per il confronto). Egli, che ha alle spalle una fitta bibliografia, si confronta ora con un libro biblico emozionante com’è l’Apocalisse le cui pagine sono un intarsio continuo di simboli, una vera e propria palinodia [scritto nel quale si ritrattano opinioni già professate, illustrando i motivi del cambiamento] per soli, coro e orchestra e una sequenza quasi filmica di scene (non per nulla Ingmar Bergman vi ha attinto per il suo film (1957) Settimo sigillo).
Monsignor Bettazzi insegue questo scritto proteiforme attraverso tre livelli di lettura classici nella tradizione cristiana: la lettura esplicativa dei vari capitoli, la riflessione esistenziale sul loro messaggio e, infine, la loro trasfigurazione orante. Sfilano, così, i quattro settenari delle lettere alle Chiese, dei sigilli infranti collegati al rotolo della storia umana, delle trombe che squillano e delle coppe versate del giudizio divino. Ma la vera meta dell’itinerario dell’Apocalisse, drammatico e striato di sangue com’è quello che l’umanità sempre vive, è nel quadro terminale luminoso, ove di scena è la Gerusalemme nuova. In essa la morte, il lutto, il lamento e l’ansia scompaiono. Per questo giustamente l’autore sottotitola il suo commento così: Messaggio di Speranza. Così anche il grande regista russo Andrej Arsen’evič Tarkovskij aveva definito questo libro biblico al quale voleva dedicare un film che però non ha mai potuto realizzare.
Luigi Bettazzi, Apocalisse. Messaggio di Speranza, Guaraldi, Rimini, pagg. 196, € 14
Gianfranco Ravasi, cardinale, arcivescovo “Il Sole 24 Ore” 20 gennaio 2019
www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201901/190120ravasi.pdf
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CENTRO INTERNAZIONALE STUDI FAMIGLIA
Newsletter CISF – n. 2, 16 gennaio 2019
v L’altra faccia dell’arcobaleno: la voce dei figli di coppie omosessuali (The other side of the Rainbow. The Voice of Children of Homosexual Couples). Potente e pacata testimonianza di Millie Fontana, che racconta (Melbourne, 2015) la sua storia di figlia di una coppia di donne, con un “padre donatore” rimasto a lei sconosciuto fino agli 11 anni. Tredici minuti di appassionato e commovente racconto, di una “storia inaudita”, oltre ogni ideologia
www.youtube.com/watch?v=BFdtSVmQHkg&feature=youtu.be&fbclid=IwAR3D-D_tgi2SQ07p4rIER4hRcBJx_DdL3xst4dO8XjSJCIxEA0TSxnehRIU
v Famiglie e minori rifugiati e migranti (Refugee and Migrant Children and Families). 65.a Conferenza Internazionale ICCFR. L’ICCFR (International Commission of Family and Couple Relationships), in collaborazione con il CISF, organizza a Roma dal 15 al 17 novembre la propria 65.a Conferenza internazionale, dedicata quest’anno ad un tema di rilevanza globale, che interpella ogni Paese del mondo: i movimenti migratori di persone, famiglie e bambini. Verrà dedicata particolare attenzione alla dimensione e alla rilevanza familiare dei movimenti migratori, in considerazione delle specificità dei due enti, che alla famiglia e alle sue relazioni interne dedicano la propria attenzione istituzionale (cfr. anche il Rapporto Cisf 2014, “Le famiglie di fronte alle sfide dell’immigrazione”).
http://cisf.famigliacristiana.it/cisf/rapporti-sulla-famiglia/dossierCISF/le-famiglie-di-fronte-alle-sfide-dell-immigrazione-comunicato-stampa/indice-del-volume_732831.aspx?utm_source=newsletter&utm_medium=newsletter_cisf&utm_campaign=newsletter_cisf_16_01_2019
La prima Conferenza ICCFR risale al 1953 (Lisbona), https://iccfr.org/conference-archive/conferences-1953-2011
e da allora diversi Paesi e nazioni dei vari continenti sono stati coinvolti in questa stimolante opportunità di confronto tra esperti di diverse culture, professioni, provenienza. L’ultima Conferenza ICCFR si è tenuta a Malta a febbraio 2018 (La relazione di coppia nel 21.o Secolo: contesti in mutamento e significati emergenti)
https://iccfr.org/conference-2018-malta/
La recente collaborazione tra ICCFR e CISF si è avviata nella 63.a Conferenza ICCFR, sul tema “Famiglie forti, Comunità forti” (Trento, giugno 2016) – https://iccfr.org/conference-2016-trento-italy
[Atti in italiano del convegno www.trentinofamiglia.it/tags/view/Anno+di+pubblicazione/2016
riprendendo una partnership già operante nel 1985, a Milano, per la Conferenza ICCFR – CISF su “Sposarsi oggi. Aspettative e conflitti delle giovani coppie” (con interventi di Pierpaolo Donati, Liliana Zani, Penny Mansfield (Uk), Don Conroy (Usa).
v Tucum: un progetto innovativo per “l’economia sospesa”. Tucum (www.tucum.it),è un «app per dispositivi mobili che permette di redistribuire microdonazioni – da un minimo di 20 centesimi a un massimo di 10 euro – per l’acquisto di prodotti di prima necessità in favore delle persone più bisognose
[www.famigliacristiana.it/articolo/giandonato-salvia-linventore-della-carita-elettronica.aspx?utm_source=newsletter&utm_medium=newsletter_cisf&utm_campaign=newsletter_cisf_16_01_2019].
Una possibilità di compiere l’elemosina non più solo con il contante, ma anche attraverso la moneta elettronica, limitando così tutti gli abusi legati ai falsi poveri e al racket dell’elemosina: il negozio o il bar dove si lascia il “panino sospeso”, per fare un esempio, lo destinerà a chi lo chiede avendo spesso un rapporto personale, diretto, con la persona che ne ha bisogno». Progetto figlio di una grande tradizione di Napoli, il “caffé sospeso” (qualche mese fa ho avuto occasione di offrirlo anche io, un caffè sospeso, nel prestigioso e lussuoso Gambrinus di Piazza del Plebiscito: ci si sente meglio, dopo….). realizzato da Giandonato Salvia, autore del volume L’economia sospesa. Il Vangelo (è) ingegnoso (Edizioni San Paolo).
www.sanpaolostore.it/economia-sospesa-silvia-giandonato-9788892216327.aspx?Referral=newsletter_cisf_20190116
v Famiglia in Europa. Famiglia e finanza: un’alleanza possibile? (Family and finance: a possible alliance?). Interessante il sintetico report con i principali temi trattati nel convegno organizzato da FAFCE e Fondazione Sallux a Bruxelles il 16 ottobre 2018. Come ha ricordato il Prof. Dembinski, “le famiglie non sono solo produttori di capitale – capitale umano – ma producono anche beni e servizi, cura, e rigenerano energie essenziali per qualsiasi attività economica” (“Families are not only producers of capital – human capital – but also of goods and services, providers of care, and regenerators of energies essential for any productive activity”)
https://sallux.eu/2018%2010%2016%20FAFCE%20EESC%20Policy%20Briefing%20REPORT%20-%20background%20note.pdf
v Minori migranti il diritto di essere ascoltati (un’indagine via sms dell’UNICEF) (a right to be heard. Listening to children and young people on the move). Indagine realizzata dall’Unicef tramite U-Report, un sistema gratuito di messaggistica usato in tutto il mondo (oltre 6 milioni di iscritti). “Quasi il 40% delle persone migranti e rifugiate tra i 14 e i 24 anni affermano di non aver avuto alcun aiuto durante il loro tragitto – circa il 40% ha dichiarato di aver viaggiato da solo […]”. Così si può dare voce a persone che difficilmente riescono a farsi sentire
www.unicef.org/publications/files/UNICEF_Listening_to_children_and_young_people_on_the_move.pdf
v CNEL: “Povertà, disuguaglianze e inclusione”. Osservazioni e proposte [vai al testo – 22 pp.]. Sulla base del proprio mandato costituzionale (rimasto operativo, nonostante le varie proposte di chiusura), il CNEL offre al Parlamento le proprie “Osservazioni e proposte” sulla povertà, tema diventato decisivo nel dibattito politico. Ovviamente le analisi si fermano al REI (Reddito di Inclusione Sociale) e non comprendono, le proposte di “Reddito di cittadinanza”, approvate solo il 30 dicembre 2018 nell’ultima Legge di stabilità (e di cui ancora sono da rendere definitivi i decreti attuativi e i meccanismi operativi). Il documento è esito del consueto processo elaborativo del CNEL, che vede coinvolti i propri membri, commissioni di studio, oltre che audizioni di esperti e referenti della società civile. Impressionanti i dati di confronto sull’incidenza della povertà assoluta tra il 2005 e il 2017 (tabella a p. 2): si è passati dal 3,6% al 6,9% sul totale complessivo (quasi raddoppiata). Il dato è ancora peggiore se si considerano le famiglie con figli minori: l’incidenza della povertà assoluta passa dal 2,8% nel 2005 al 10,5% nel 2017 (quasi quadruplicata).
www.cnel.it/Portals/0/CNEL/Pronunce%20dell’Assemblea/2018/testi%20con%20copertina/STP_OSP%20povert%C3%A0.pdf?ver=2019-01-03-131536-283
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v Movimento Lavoratori di Azione Cattolica. “Lavoro di generazione in generazione”. Festa di San Giuseppe 2019. Un concorso fotografico su Instagram. La Festa di San Giuseppe è un appuntamento importante nella vita del Movimento Lavoratori di AC. “Per il 2019, il MLAC propone di realizzare la Festa di San Giuseppe in prossimità di domenica 17 marzo, a seconda delle proprie preferenze. […] Il tema della Festa di San Giuseppe 2019 è “Lavoro di generazione in generazione”. Il tema si inserisce nel cammino del secondo anno del triennio associativo, poiché desideriamo renderci disponibili a generare ovvero «apprendere la virtù dell’incontro» (Vittorio Bachelet), accogliere l’invito a primerear (prendere l’iniziativa) e ad uscire fuori da sé per farsi prossimi e accompagnare i passaggi dell’esistenza di ciascuno curandone la vita spirituale”
http://mlac.azionecattolica.it/sites/default/files/Linee%20guida%20Festa%20San%20Giuseppe%202019%20agg.20181216.pdf
v Dalle Case editrici.
- Fondazione Turati, La solitudine del Caregiver. Politiche e strumenti innovativi per prendersi cura di chi cura, Lucia Pugliese Editore -Il Pozzo di Micene, Firenze 2018, pp. 56, €. 9,00.
Questo agile volume, frutto di un convegno tenutosi a Pistoia il 21 marzo 2016, merita una specifica segnalazione già a partire dal titolo, che evidenzia uno dei nodi decisivi per i caregiver: la sensazione (e troppo spesso anche l’esperienza) di essere da soli di fronte al gravoso compito di assistere persone anziane (di solito i propri genitori) sempre più bisognose di supporto continuativo. Un piccolo segnale di speranza, rispetto ai temi trattati dal volume, lo ha dato la Legge 205 del 2017 (Legge di Bilancio del 2018), che istituì, al comma 254, presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali il Fondo per il sostegno del ruolo di cura e di assistenza del “caregiver” familiare (20 milioni di Euro annui per tre anni), e anche l’ulteriore finanziamento (sia pure per soli 5 milioni annui, dal 2019 al 2021) nell’ultima Legge di stabilità, approvata dall’attuale Governo. Fondi che serviranno per progettare meccanismi e interventi capaci di sostenere l’insostituibile lavoro dei circa 3 milioni di persone che quotidianamente, nelle nostre famiglie, si fanno carico dei propri cari fragili. Per fare questo, però, manca ancora la legge nazionale (in Parlamento sono già presenti diversi disegni di legge in merito).
v Save the date
- Nord: Di generazione in generazione, ciclo di tre incontri promosso da Nonni 2.0, Milano, 28 gennaio, 27 febbraio, 25 marzo 2019.
www.nonniduepuntozero.eu/wp-content/uploads/2018/12/Volantino.jpg
- Centro: Rimodulazione e sospensione delle cure: competenze per curare e prendersi cura, convegno regionale SICP (Società Italiana Cure Palliative), Umbria, Spoleto (PG), 12 marzo 2019.
https://planning.it/files/EventDocuments/Programma%20CONVEGNO%20SICP%20UMBRIA%20SPOLETO%20-%20preliminare%20r6%20x%20sito_67309.pdf
- Sud: Leggere le fatiche dei bambini al Nido e alla Scuola dell’infanzia, intervento formativo per educatori/operatori dei nidi, promosso da Percorsi formativi 0-6, Palermo, 2 febbraio 2019.
http://percorsiformativi06.it/fatiche-bambini-palermo
- Estero: Global Strategies and Political Committments for All Children in Migration, terza edizione del programma Lost in migration, promosso da Missing Children Europe and dalla President’s Foundation for the Well-Being of Society di Malta, Valletta (Malta), 20-22 febbraio 2019.
http://lostinmigration.eu/?utm_source=email&utm_campaign=eNB_What_is_your_wish_for_children_in_2019&utm_medium=email
Iscrizione a newsletter http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/newsletter-cisf.aspx
Archivio http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/elenco-newsletter-cisf.aspx
http://newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/gennaio2019/5106/index.html
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CENTRO ITALIANO SESSUOLOGIA
Master in Criminologia e Psicopatologia del Comportamento Sessuale
La Scuola del Centro Italiano di Sessuologia, in collaborazione col Servizio di Sessuologia del Dipartimento dell’Università di Bologna, attiva nell’anno 2019, il III° Master in Criminologia e Psicopatologia del Comportamento Sessuale.
Il corso avrà inizio l’8 Marzo 2019; è composto da due moduli, con possibilità di iscriversi ad un singolo modulo o al master completo.
La sede di svolgimento è a Bologna, presso il Villaggio del Fanciullo, Via Scipione dal Ferro, 4.
Il corso intende fornire strumenti di intervento per affrontare le particolari situazioni in cui la psicopatologia sessuale diventa crimine perseguibile.
Calendario 2019 Modulo I – 48 ore – perversioni e parafilie
Modulo II – 48 ore – abusi e violenze
www.cisonline.net/scuola-di-sessuologia/master/criminologia-e-psicopatologia-del-comportamento-sessuale
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CHIESA CATTOLICA
Il peccato dell’Ecclesia Dei si chiama Summorum Pontificum
http://w2.vatican.va/content/benedict-xvi/it/motu_proprio/documents/hf_ben-xvi_motu-proprio_20070707_summorum-pontificum.html
Con la soppressione della Commissione Ecclesia Dei, la Chiesa cattolica ha rimosso un elemento di scandalo all’interno della Curia romana. Tuttavia, se guardiamo con attenzione alla storia degli ultimi 12 anni, vediamo che lo scandalo era dovuto alla citata Commissione solo in quanto “strumento”, ma il cuore della questione e il principio della distorsione era costituito dal “Motu proprio” Summorum pontificum, che ha introdotto un parallelismo di forme rituali all’interno della vita della Chiesa, con la pretesa di non toccarne la dottrina e di non minare la riforma liturgica.
Le parole con cui viene motivata la soppressione della Commissione chiariscono bene un dato sul quale vorrei soffermarmi: ossia che le questioni di cui la Commissione avrebbe dovuto occuparsi, e che ora le sono state sottratte, non erano di carattere disciplinare, ma di carattere dottrinale. Questo, a mio avviso, determina la esigenza di riconsiderare con urgenza la disciplina distorta e contraddittoria introdotta nel 2007 da Summorum pontificum.
Una doppia ferita. Con quel documento, infatti, si ripristinava l’uso del Messale di Giovanni XXIII (1962), come “forma straordinaria” del rito romano. Questa ipotesi, dopo 12 anni, appare viziata da due errori gravi, sia di carattere dottrinale, sia di carattere giuridico.
- Sul piano dottrinale, era chiaro, già 12 anni fa, che il tentativo di separare la “forma rituale” dalla Riforma liturgica e dalla Chiesa conciliare era votato al fallimento. L’azzardo voluto da papa Benedetto XVI non avrebbe né avvicinato le posizioni dei lefebvriani, né assicurato la fedeltà dei cattolici tradizionalisti.
E dopo 12 anni abbiamo potuto costatare proprio questo esito. Ed è giusto riconoscere che la causa di tutto questo non è tanto la gestione della Commissione Ecclesia Dei – che pure aveva assunto il ruolo di testa di ponte tradizionalista nel cuore della Curia romana – quanto la normativa distorta e contraddittoria di Summorum Pontificum che, di fatto, rende superflua la riforma liturgica per coloro che aderiscono al Vetus Ordo, ossia:
- Non riconosce il dettato di SC sulla necessità di riforma dell’Ordo Missæ, permettendo di celebrare come se il Concilio non ci fosse mai stato;
- Scavalca la autorità episcopale in materia liturgica, rendendo irrilevante il discernimento “in loco” e sostituendolo con quello della curia romana;
- Contraddice la ecclesiologia conciliare, perpetuando una logica clericale e priva di partecipazione attiva.
2. L’adagio lex orandi lex credendi. In secondo luogo, Summorum Pontificum, introducendo una “forma straordinaria” dello stesso rito romano, capovolgeva la relazione tra dottrina e liturgia, ipotizzando che la stessa “dottrina ecclesiale” potesse esprimersi in forme rituali di cui una era la correzione dell’altra. In tal modo presumeva di far dipendere la identità cattolica da una “definizione astratta”, che risultava indifferente rispetto alla forma rituale e che poteva quindi esprimersi indifferentemente nel NO (Novus Ordo Missæ) o nel VO (Vetus Ordo).
Ora dobbiamo riconoscere, anche in base a questo nuovo Motu Proprio del 19 gennaio 2018, che vi è in tutto questo una questione dottrinale decisiva, e che non può essere disattesa. La pretesa che diverse comunità cattoliche possano essere fedeli al Concilio Vaticano II e celebrare la liturgia secondo il VO non può più essere risolta né con una decisione universale come Summorum Pontificum, né attraverso il discernimento interessato di una Commissione come Ecclesia Dei.
Se si ritiene che una comunità possa, per ragioni contingenti, far uso di forme rituali diverse dall’unico rito romano vigente, questa decisione deve essere presa dal Vescovo locale competente, che può eventualmente concedere un “indulto”.
La soluzione “universale”, introdotta con una forzatura dottrinale e giuridica da Summorum Pontificum, genera una chiesa non “universa”, ma “introversa” e contraddice gravemente le decisioni del Concilio Vaticano II, che ha chiesto esplicitamente la riforma di quel rito che Summorum Pontificum vorrebbe rendere universalmente accessibile. Questo è il vero nodo della questione.
Qui sta il peccato che ha portato alla soppressione di Ecclesia Dei. E che dovrà condurre ad una ridefinizione della disciplina, che restituisca alla questione dottrinale la sua centralità e ai vescovi diocesani la competenza per ogni decisione che faccia eccezione alla vigenza di un’unica forma del rito romano, così come voluta dal Concilio Vaticano II e dalla Riforma liturgica ad esso successiva, che deve essere riconosciuta “irreversibile” tanto sul piano dottrinale quanto sul piano disciplinare.
Andrea Grillo Come se non 20 gennaio 2019
www.cittadellaeditrice.com/munera/il-peccato-dellecclesia-dei-si-chiama-summorum-pontificum
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CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA
Card. Bassetti: “Noi cattolici non disertiamo le sfide impegnative”
www.chiesacattolica.it/cei-questione-di-metodo
www.chiesacattolica.it/wp-content/uploads/sites/31/2019/01/14/Bassetti-Introduzione-CEP.docx
Non tralascia i temi politici del momento il card. Gualtiero Bassetti introducendo il primo Consiglio episcopale permanente del 2019. Arrivare all’assemblea di maggio “con un progetto condiviso”, l’obiettivo, per “mostrare al Paese che noi cattolici non disertiamo le sfide di questo nostro tempo”. Un doppio ringraziamento – agli abitanti di Torre di Melissa per la “solidarietà corale” verso i migranti – e “quanti – non da ultimo le testate giornalistiche – si sono adoperati per evitare il raddoppio della tassazione sugli Enti che svolgono attività non profit”. A 100 anni dall’appello di don Sturzo, l’esortazione a lavorare insieme per l’unità del Paese. Ai vescovi: “Ripartiamo da questo stile sinodale”. Tra le proposte: dare più voce alle Conferenze episcopali regionali
“Vorrei arrivare all’Assemblea di maggio con un progetto condiviso, così che si possa dire: la Chiesa italiana non si lamenta, ma si prepara a fare di più e meglio”. È la proposta lanciata dal card. Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve e presidente della Cei, nell’introduzione al Consiglio episcopale permanente, dedicata tra l’altro ad alcuni temi politici del momento.
“Vorrei che sapessimo mostrare al Paese che noi cattolici non disertiamo le sfide impegnative di questo nostro tempo, convinti come siamo che possono essere affrontate e superate”, l’auspicio del cardinale, che dice un “grazie” agli abitanti di Torre di Melissa, la piccola cittadina calabrese che ha saputo esprimere una “solidarietà corale” verso quella cinquantina di migranti in balia delle onde, esempio di accoglienza in controtendenza rispetto al dibattito attuale sulle migrazioni.
“Sui poveri non ci è dato di dividerci, né di agire per approssimazione”, il monito di Bassetti: “La stessa posizione geografica del nostro Paese e, ancor più, la nostra storia e la nostra cultura, ci affidano una responsabilità nel Mediterraneo come in Europa”.
Il secondo ringraziamento del presidente della Cei è riservato “a quanti – non da ultimo le testate giornalistiche – si sono adoperati per evitare il raddoppio della tassazione sugli enti che svolgono attività non profit”. “Il mondo del Terzo settore riveste nella società italiana un ruolo determinante”, sottolinea il presidente della Cei a proposito dell’Ires: “Più di ieri c’è bisogno di questa società civile organizzata, c’è bisogno dei corpi intermedi, di quella sussidiarietà che risponde alle povertà e ai bisogni con la forza dell’esperienza e della creatività, della professionalità e delle buone relazioni”.
“Governare il Paese significa servirlo e curarlo come se lo si dovesse riconsegnare in ogni momento”, l’appello finale, a 100 anni dall’appello di don Luigi Sturzo. “Ai liberi e forti di oggi – l’attualizzazione di Bassetti – dico: lavorate insieme per l’unità del Paese, fate rete, condividete esperienza e innovazione”. “Come Chiesa assicuro che faremo la nostra parte con pazienza e coraggio, senza cercare interessi di bottega, per meritarci fino in fondo la considerazione e la stima del nostro popolo”, garantisce il presidente della Cei.
“Portiamo nel cuore le fatiche e le speranze della nostra gente, delle nostre Chiese e dei nostri territori, coinvolti come siamo dalla loro domanda di vita: domanda che ci interpella in prima persona, rispetto alla quale avvertiamo la responsabilità di non far mancare il contributo sostanziale di quell’esperienza cristiana che passa dall’annuncio credente e dalla testimonianza credibile del Vangelo”.
Comincia con questo sguardo di condivisione l’introduzione del card. Bassetti al primo Consiglio episcopale permanente del 2019. Di fronte a “venti che disperdono, provocando in molti confusione e smarrimento, ripiegamento e chiusura, dobbiamo impegnarci a lavorare meglio”, il primo appello ai cattolici: “Se la confusione è grande, non dobbiamo essere noi ad aumentarla; se ci sentiamo provocati o criticati, dobbiamo cercare di capirne le ragioni; se siamo ignorati, dobbiamo tornare a bussare con rispetto e convinzione; se veniamo tirati per la giacca, dobbiamo riflettere prima di acconsentire e fare”.
No, allora, allo scoraggiamento e alla sfiducia, a quella forma di male che, travestito da indifferenza, “si impadronisce delle paure per trasformarle in rabbia”: “Temo l’astuzia che si serve dell’ignoranza. Temo la vanità che avvelena gli arrivisti. Temo l’orizzonte angusto dei luoghi comuni, delle risposte frettolose, dei richiami gridati”. “La relazione cristiana non è un galateo o una lezione di buone maniere”: bisogna “pensare meglio e agire con discernimento e concretezza”, come ci esorta a fare il Papa.
“Quando il popolo è confuso, il modo migliore per rispondere al nostro dovere non è quello di proporre facili rassicurazioni, lasciando capire che poi tutto s’aggiusta o che, comunque, altri sono quelli che devono pensarci”. Ai cattolici, il presidente della Cei chiede di confrontarsi con franchezza e “assumere con determinazione le scelte necessarie, così da essere non solo più efficienti, ma soprattutto più chiari e uniti”, senza limitarsi alle critiche. L’improvvisazione o il pressappochismo non fanno parte del patrimonio del cattolicesimo politico, la tesi del cardinale: “Non possiamo limitarci a rincorrere l’attualità con comunicati e interviste; non possiamo perdere la capacità di costruire autonomamente la nostra agenda, aperti a ciò che accade – a partire dalle emergenze che bussano ogni giorno alla porta – ma fedeli a un nostro programma pastorale, che è poi il Vangelo di nostro Signore, incarnato in questo tempo”.
“Le nostre decisioni – spiega – devono seguire un metodo, supportato da un’idea forte e da continue verifiche, da un luogo di elaborazione culturale che non sia semplicemente una vetrina per proporre se stessi. Ci serve metodo anche per utilizzare al meglio le risorse materiali e finanziarie che i cittadini e i fedeli mettono a disposizione della Chiesa; ci serve metodo per interagire con le Istituzioni, in modo distinto e collaborativo; ci serve metodo per guardare avanti con fiducia e impegno”.
Dare più voce alle Conferenze episcopali regionali, una delle proposte: non per “grandi riforme”, ma per renderle maggiormente protagoniste e “maturare quell’arte del governo che rende tutti responsabili e gratifica chi compie al meglio il proprio dovere”. “Ripartiamo da questo stile sinodale, viviamolo sul campo, tra la gente, per consigliare, sostenere, consolare”, l’esortazione indirizzata ai vescovi: “Sarà, allora, più facile distinguere le buone idee dalle cattive, adottare i provvedimenti più incisivi, scegliere i collaboratori più validi”.
M. Michela Nicolais Agenzia SIR 14 gennaio 2019
https://agensir.it/chiesa/2019/01/14/card-bassetti-noi-cattolici-non-disertiamo-le-sfide-impegnative
Tutela dei minori, approvato il Regolamento.
Comunicato finale
www.chiesacattolica.it/wp-content/uploads/sites/31/2019/01/16/Comunicato-finale-CEP-16-gennaio-2019.docx
Metodo di lavoro, protagonismo delle Conferenze Episcopali Regionali, stile sinodale, contenuti significativi, fiducia nella possibilità di riuscire insieme ad affrontare e superare le sfide del tempo presente. Il confronto su questi punti ha aperto la sessione invernale del Consiglio Permanente, riunito a Roma da lunedì 14 a mercoledì 16 gennaio 2019 sotto la guida del Card. Gualtiero Bassetti, Arcivescovo di Perugia – Città della Pieve. I Vescovi hanno avviato un lavoro di ascolto, verifica e confronto, volto ad accompagnare la conclusione della parabola decennale degli Orientamenti pastorali dedicati alla domanda educativa. Tra le proposte, è stato condiviso un percorso di preparazione ed approfondimento in vista di un evento, in programma nel marzo 2020, dal titolo: Educare ancora. La riflessione del Consiglio ha iniziato anche a raccogliere indicazioni ed elaborare proposte strutturali e contenutistiche per nuovi Orientamenti pastorali.
Ampio spazio è stato dedicato al confronto sulle Linee guida per la tutela dei minori e degli adulti vulnerabili nella Chiesa, con l’approvazione del Regolamento, che istituisce il Servizio nazionale, e la nomina del suo Presidente.
I membri del Consiglio Permanente hanno rilanciato la raccomandazione del Papa per la promozione di un’iniziativa che aiuti a celebrare, conoscere e diffondere la Bibbia; hanno individuato il tema principale della prossima Assemblea Generale della CEI (Roma, 20-23 maggio 2019); hanno approvato, a livello di proposta, tre temi concernenti l’argomento su cui impostare la prossima Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi (2021).
I Vescovi, nell’esprimere vicinanza e solidarietà alle Diocesi sicule colpite dal terremoto, hanno espresso la preoccupazione per i ritardi nella ricostruzione in Italia Centrale.
Nel corso dei lavori sono state affrontate alcune questioni relative agli Istituti diocesani per il sostentamento del clero; sono stati approvati i nuovi parametri per l’edilizia di culto per il 2019; è stata fissata la data del prossimo Congresso Eucaristico Nazionale (Matera, 16-19 settembre 2021).
Fra gli adempimenti, il Consiglio Permanente ha provveduto ad alcune nomine. Infine, sono stati approvati provvedimenti relativi allo statuto di un’Associazione di fedeli.
www.chiesacattolica.it/tutela-dei-minori-approvato-il-regolamento
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CONSULENZA COPPIA E FAMIGLIA
Nuove regole per il Patrocinio AICCeF
Il Patrocinio rappresenta una forma di adesione e una manifestazione di apprezzamento dell’A.I.C.C.e F. ad iniziative di carattere scientifico, culturale e formativo ritenute aderenti ai principi e ai valori dell’AICCEF e della Consulenza familiare.
Il Consiglio Direttivo ha recentemente modificato le modalità di richiesta del Patrocinio dell’AICCeF e del logo ed ha stabilito che la concessione può essere sia a titolo gratuito e sia a titolo oneroso, approvando un apposito Regolamento per disciplinarla, approvato dal Consiglio Direttivo il 21 settembre 2018.
www.aiccef.it/downloads/files/2018%20Regolamento%20per%20la%20%20concessione%20Patrocinio%20e%20Logo%20AICCeF.pdf
A titolo gratuito il patrocinio viene concesso ai Soci ed alle Scuole di formazione riconosciute, per eventi che l’AICCeF considera di particolare rilevanza culturale, scientifica e professionale.
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In ambedue i casi la concessione del Patrocinio autorizza le organizzazioni, gli enti, le persone fisiche promotrici di un evento o di una manifestazione ad usare l’acronimo e il logo dell’Associazione su tutte le pubblicazioni relative all’evento.
Le richieste di patrocinio, sia a titolo gratuito che oneroso, vanno effettuate almeno 30 giorni prima dell’evento da patrocinare, attraverso l’invio del modulo online, predisposto nel sito www.aiccef.it, canale tematico: Patrocinio e CFP.
Ad ogni evento patrocinato verranno riconosciuti i Crediti formativi professionali secondo le regole attuali.
Il Regolamento è entrato in vigore dal 1 gennaio del 2019 e si applica a tutte le richieste che sono state presentate da quella data in poi
I nuovi moduli aggiornati si trovano nel Canale tematico: Richieste di patrocinio e crediti formativi.
www.aiccef.it/ricerca.php?termine=Richieste+di+patrocinio+e+crediti+formativi.&lingue_id=1
Comunicato 14 gennaio 2019
www.aiccef.it/it/news/nuove-regole-per-il-patrocinio-aiccef.html
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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM
Pescara. Sportello scolastico di ascolto e intervento psicologico – a.s. 2018/2019
Nel corrente anno scolastico l’Istituto Comprensivo Pescara 6 intende offrire, come previsto dal PTOF, ai Genitori, agli Alunni e al Personale scolastico, il servizio “Sportello di Ascolto” a titolo gratuito, curato da professionisti volontari che operano nell’ambito del Consultorio Familiare UCIPEM di Pescara. (Dott.sse Giuseppina Piermattei e Serena Carotenuto).
Si tratta di uno spazio di scambio e di supporto finalizzato a:
- Incrementare il benessere personale degli alunni e del gruppo classe;
- Prevenire e/o contenere situazioni di disagio sia a livello individuale che relazionale;
- Conoscere e definire eventuali difficoltà educative del singolo alunno, estendendo l’indagine agli aspetti problematici più ampi, quali le dinamiche del gruppo classe;
- Favorire e incentivare le relazioni interpersonali, al fine di ottimizzare le risorse e le competenze professionali presenti nelle scuole;
- Migliorare le relazioni comunicative tra la scuola e le famiglie, offrendo anche opportunità informative/formative.
L’intervento delle psicologhe sarà rivolto, a seconda dei casi, ai singoli alunni, ai gruppi classe, ai docenti e alle famiglie degli alunni coinvolti nel progetto, nel rispetto della normativa afferente alla privacy. Si precisa che il progetto è legato ad attività di consulenza limitata alle problematiche relative all’ambito scolastico e non consiste in interventi terapeutici.
https://comprensivopescara6.edu.it/sportello-di-ascolto-e-intervento-psicologico-a-s-2018-2019
Vittorio Veneto. Lutto nel Centro di Consulenza Familiare per don Giacinto Padoin
Il gruppo Direttivo del Consultorio comunica, ricordandolo con affetto e tenerezza, che domenica mattina, don Giacinto Padoin ha aperto gli occhi al cielo.
A Lui si deve prima l’idea e poi tutto il lavoro necessario alla fondazione e strutturazione del nostro Centro di Consulenza Familiare-Consultorio CFSE UCIPEM di Vittorio Veneto.
Ci auguriamo di essere buoni testimoni della sua eredità morale e umana della nostra attività.
La carezza del suo sorriso e della sua benevolenza sarà sempre con noi.
Certi di farvi cosa gradita nel portarvi a conoscenza del nostro lutto, ringraziamo anticipatamente i partecipanti sia fisicamente che con il pensiero.
Il “Centro di Consulenza Familiare” di Vittorio Veneto ha iniziato la sua attività nel 1994, ad opera di un gruppo di professionisti e volontari che si proponevano di dare risposta alle richieste e ai bisogni provenienti dal tessuto territoriale.
E’ fratello del Vescovo emerito della diocesi di Pozzuoli, mons. Silvio Padoin.
www.ucipem.info
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COUNSELING
Cos’è il counseling
E’ noto che i termini inglesi sono sempre più utilizzati anche in Italia. Tuttavia l’uso di questi termini è spesso improprio e non tutti sanno realmente cosa significano queste parole, anche quando ne fanno utilizzo. Una di queste parole è Counseling. Ma quanti sanno realmente cos’è il counseling e a cosa serve? Quanti sono realmente consapevoli di come si diventa counselor di professione (counselor è la parola usata per definire il professionista del counseling) e quali sono gli sbocchi professionali e gli ambiti nei quali il counselor può operare? In linea generale occorre premettere che nella nostra società si assiste ad una continua proliferazione di professionalità che nascono per aiutare gli altri a fare qualcosa, a raggiungere qualche risultato. In effetti viviamo in una società sempre più veloce e frenetica ma anche più egoistica e i rapporti sociali ne risentono negativamente. Inoltre, la società ci spinge ad una sempre maggiore competizione tra di noi. Tutto questo fa nascere, molto spesso, l’esigenza di essere supportati, spinti, di ricevere motivazione ed entusiasmo. Da queste premesse nasce il counseling. In questo articolo cercheremo di darti maggiori informazioni sull’argomento.
Qual è la definizione di counseling? Se volessimo esprimere il concetto di counseling in pochissime e semplici parole potremmo affermare che il counseling è quella attività umana che si pone l’obiettivo di rendere migliore la qualità della vita delle persone, lavorando dunque sul profondo dell’individuo.
In una società in cui rischia di emergere sempre di più il pessimismo e molte persone rischiano di non credere in sé stesse e di scoraggiarsi, le tecniche di counseling sono state pensate proprio per favorire l’assunzione di atteggiamenti proattivi e propositivi da parte degli individui, esaltando e valorizzando i punti di forza e le attitudini personali nonché tirando fuori da ognuno la propria capacità di scelta e di cambiamento.
L’obiettivo principale che si propongono le attività di counseling è di consentire all’individuo di superare momentanei periodi di difficoltà che possono essere determinati da momenti di passaggio e di cambiamento, stati di crisi personale o famigliare, processi evolutivi.
Tutti noi, durante il corso della nostra esistenza, possiamo attraversare delle fasi di difficoltà che possono mettere in discussione la nostra fiducia in noi stessi. Si pensi ad una persona che perde improvvisamente il lavoro oppure che subisce una forte ferita emotiva in famiglia.
Sono molti gli effetti positivi legati al counseling e in particolare con queste tecniche l’individuo può:
- Migliorare le proprie competenze di comunicazione e di relazione con gli altri;
- Maturare e sviluppare una maggiore e più profonda conoscenza di sé stesso;
- Acquisire una maggiore capacità di gestire lo stress;
- Superare e lasciarsi alle spalle dei periodi transitori di difficoltà;
- Mettere da parte delle problematiche che non abbiano i caratteri delle patologie psichiche;
- Soprattutto se c’è una forte insicurezza di fondo, maturare una maggiore capacità di assumere decisioni consapevoli.
In cosa consiste l’attività del counselor? L’attività di counseling, per come l’abbiamo descritta fin ora, potrebbe sembrare fumosa e scarsamente comprensibile. Cerchiamo di capire come opera concretamente un professionista esperto di counseling detto anche counselor.
Il counselor ha in mente un obiettivo chiaro: cercare di usare tutta la sua abilità per spronare l’individuo che si è rivolto a lui a conoscere meglio e più nel profondo sé stesso, attraverso percorsi che possiamo definire di autoesplorazione e un’autoanalisi approfondite.
Le persone, molto spesso, hanno molte risorse dentro di loro ma non riescono ad esprimerle. Lo scopo del counselor è proprio quello di sviluppare nel cliente una forte determinazione che passa necessariamente per la consapevolezza delle proprie capacità. Solo così l’individuo potrà trovare da solo le risposte ai propri problemi. Il counselor è chiamato in particolare ad ascoltare, senza mai giudicare o mettersi sul piedistallo a dare consigli.
Diventare counselor. Per diventare counselor non ci si può improvvisare ma è assolutamente consigliabile seguire un percorso di studi e di formazione che ti consenta di diventare un esperto delle relazioni di aiuto.
In Italia, infatti, non esiste una specifica regolamentazione di questa attività professionale ma per svolgere efficacemente questa professione e anche per essere credibili sul mercato è preferibile seguire un apposito corso o master. Seguendo questi master chi aspira a diventare counselor può:
- Acquisire le capacità professionali che servono per operare come counselor professionale;
- Allenare ed assumere maggiori capacità comunicative e relazionali;
- Ricevere delle nozioni di psicologia che consentono di approcciare al meglio i diversi tipi psicologici;
- Comprendere in profondità l’essere umano;
- Operare e cooperare in considerazione delle qualità personali di ogni singolo individuo.
Quali materie si studiano nei corsi di counseling? Come abbiamo detto non esiste una normativa che regolamenta la professione del counselor. Da ciò consegue che non esiste nemmeno una regolamentazione dei corsi di counseling che imponga l’insegnamento di alcune materie piuttosto che di altre.
Osservando la realtà dei corsi di counseling in circolazione si può tuttavia, affermare che le materie più frequentemente presenti in questi percorsi formativi sono:
- La nozione di counseling, la sua storia e la sua regolamentazione normativa;
- La capacità di comunicazione come elemento fondamentale nelle relazioni di aiuto;
- Le varie forme di comunicazione: il linguaggio, l’ascolto, l’empatia, l’osservazione, la comprensione, il conflitto, la negazione;
- Cenni di psicologia generale (i modelli psicologici, psicologia dello sviluppo, antropologia culturale, psicologia sociale;
- Lo sviluppo psicologico dell’individuo
Gli sbocchi professionali. Vi basterà osservare un social network come Linkedin o Facebook per rendervi conto che negli ultimi anni si sono diffusi professionisti che vendono ad aziende e privati dei servizi professionali che si fondano sulla capacità di queste persone di motivare gli altri, di far assumere agli altri un atteggiamento positivo, reattivo ed orientato al futuro. Vengono chiamati e si autodefiniscono in diversi modi ma l’esplosione di questo settore è innegabile.
E’ del tutto evidente che una simile capacità non è importante solo per il singolo individuo che sta attraversando un momento di crisi e di scoraggiamento ed ha dunque bisogno di essere spronato e incentivato ma è molto importante anche per le aziende, le associazioni e qualsiasi formazione sociale che voglia motivare i propri membri a lottare per un determinato obiettivo.
Nelle aziende, in particolare, soprattutto quelle ad alto capitale umano in cui è la persona a fare la differenza è fondamentale tirare fuori da ogni collaboratore il meglio di sé, la voglia di fare, l’iniziativa e indirizzare queste energie verso l’interesse dell’impresa.
E’ per questo che diventare esperti counselor significa oggi potersi inserire in un settore estremamente promettente dal punto di vista occupazionale.
Perché il counseling è in crescita? La società attuale, lo si dice spesso, tende a lasciare le persone sempre più sole con i propri problemi. In questa società le persone devono apparire sempre vincenti, di successo e sembra non esserci spazio per chi invece si trova in difficoltà. Ecco dunque che, date queste premesse, per l’individuo è fondamentale trovare qualcuno che lo ascolta, senza giudicare, e lo comprende.
Il counseling ha esattamente queste caratteristiche, in quanto il counselor è la figura giusta per dare risposta a due dei principali bisogni che ha creato nell’uomo la società attuale: il bisogno di essere compreso ed ascoltato.
Queste esigenze si esprimono a tutti i livelli: le esprime il singolo individuo, le esprime la famiglia nel suo insieme, le esprime l’azienda, l’associazione e qualsiasi altra formazione sociale.
Proprio per questo possiamo dire che il counselor ha oggi un’ampia rosa di possibilità di fronte a sé potendo agire nei più svariati contesti sociali, dalla coppia, alla famiglia, sino all’azienda, alla scuola, agli ospedali. Ovunque ci sia umanità, il counselor può esprimere le sue competenze.
In particolare, il counselor può esprimere pienamente il suo valore nei seguenti ambiti:
ü Scuola: possono essere sviluppati dei progetti specifici, pensati per dare risposta a bisogni specifici segnalati dai bambini, oppure dagli adolescenti, dai giovani, dai genitori e dagli insegnanti;
ü Sanità: affrontare un periodo di malattia e magari di ricovero ospedaliero non è affatto facile e in quei contesti è facile perdere la fiducia in sé stessi e mollare. Molto difficile è anche la sfida a cui sono chiamati gli operatori della sanità, siano essi medici, infermieri, etc. Per questo anche nell’ambito sanitario il counselor può lavorare per tirare fuori il meglio dalle persone in una fase spesso delicata della propria esistenza;
ü Famiglia: le statistiche ci dicono che le famiglie italiane durano sempre di meno. La vita frenetica, le difficoltà economiche, la perdita di valori sono tutti fattori che mettono in crisi moltissime coppie. Spesso la fine dei rapporti avviene solo alla fine di periodi molto lunghi di litigi, tensioni che minano l’equilibrio di tutti i famigliari. Per questo il counselor cerca di lavorare per il benessere dei membri della famiglia, nessuno escluso. A tal fine il counselor spinge i famigliari ad assumere atteggiamenti pazienti, positivi, non conflittuali.
ü Sociale: spesso anche il disagio sociale deriva dalla crisi dell’individuo, della sua fiducia in sé e della sua capacità di lottare giorno dopo giorno per migliorare la propria condizione. Su tutti questi aspetti lavora il professionista del counseling.
La Legge per tutti 14 gennaio 2019
www.laleggepertutti.it/262451_cose-il-counseling
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DALLA NAVATA
2° Domenica del Tempo ordinario – Anno C – 20 gennaio 2019
Isaìa 62, 01. Per amore di Sion non tacerò, per amore di Gerusalemme non mi concederò riposo, finché non sorga come aurora la sua giustizia e la sua salvezza non risplenda come lampada.
Salmo 95, 07 Date al Signore, o famiglie dei popoli, date al Signore gloria e potenza, date al Signore la gloria del suo nome.
1Corinzi 12, 04 Fratelli, vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti.
Giovanni 02, 05. Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela».
Cana, i nostri cuori come anfore da riempire
C’è una festa grande, in una casa di Cana di Galilea: le porte sono aperte, come si usa, il cortile è pieno di gente, gli invitati sembrano non bastare mai alla voglia della giovane coppia di condividere la festa, in quella notte di fiaccole accese, di canti e di balli. C’è accoglienza cordiale perfino per tutta la variopinta carovana che si era messa a seguire Gesù, salendo dai villaggi del lago.
Il Vangelo di Cana coglie Gesù, nelle trame festose di un pranzo nuziale, in mezzo alla gente, mentre canta, ride, balla, mangia e beve, lontano dai nostri falsi ascetismi. Non nel deserto, non nel Sinai, non sul monte Sion, Dio si è fatto trovare a tavola. La bella notizia è che Dio si allea con la gioia delle sue creature, con il vitale e semplice piacere di esistere e di amare: Cana è il suo atto di fede nell’amore umano. Lui crede nell’amore, lo benedice, lo sostiene. Ci crede al punto di farne il caposaldo, il luogo originario e privilegiato della sua evangelizzazione.
Gesù, inizia a raccontare la fede come si racconterebbe una storia d’amore, una storia che ha sempre fame di eternità e di assoluto. Il cuore, secondo un detto antico, è la porta degli dei. Anche Maria partecipa alla festa, conversa, mangia, ride, gusta il vino, danza, ma insieme osserva ciò che accade attorno a lei. Il suo osservare attento e discreto le permette di vedere ciò che nessuno vede e cioè che il vino è terminato, punto di svolta del racconto: (le feste di nozze nell’Antico Testamento duravano in media sette giorni, cfr. Tb 11,20, ma anche di più). Non è il pane che viene a mancare, non il necessario alla vita, ma il vino, che non è indispensabile, un di più inutile a tutto, eccetto che alla festa o alla qualità della vita.
Ma il vino è, in tutta la Bibbia, il simbolo dell’amore felice tra uomo e donna, tra uomo e Dio. Felice e sempre minacciato. Non hanno più vino, esperienza che tutti abbiamo fatto, quando ci assalgono mille dubbi, e gli amori sono senza gioia, le case senza festa, la fede senza slancio.
Maria indica la strada: qualunque cosa vi dica, fatela. Fate ciò che dice, fate il suo Vangelo, rendetelo gesto e corpo, sangue e carne. E si riempiranno le anfore vuote del cuore. E si trasformerà la vita, da vuota a piena, da spenta a felice. Più Vangelo è uguale a più vita. Più Dio equivale a più io. Il Dio in cui credo è il Dio delle nozze di Cana, il Dio della festa, del gioioso amore danzante; un Dio felice che sta dalla parte del vino migliore, del profumo di nardo prezioso, che sta dalla parte della gioia, che soccorre i poveri di pane e i poveri di amore. Un Dio felice, che si prende cura dell’umile e potente piacere di vivere. Anche credere in Dio è una festa, anche l’incontro con Dio genera vita, porta fioriture di coraggio, una primavera ripetuta.
padre Ermes Ronchi, OSM
www.qumran2.net/parolenuove/commenti.php?mostra_id=44963
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DIACONATO
Magistero, teologia e la donna nello spazio ecclesiale. Discussione sul diaconato femminile
“La donna vista come unica e sempre uguale…in fondo non esiste” (Karl Rahner)
Le parole dialogiche intrecciate con alcuni interlocutori sul tema “Donna e ministero della Chiesa” hanno fatto emergere questioni sulle quali posso presentare un resoconto, forse utile per il dibattito comune. Mi riferisco ad alcune obiezioni, venute da diversi interlocutori attenti, cui cerco di rispondere con buone argomentazioni, almeno con le migliori che riesco a formulare.
- Premessa storica e sistematica. Una prima riserva che mi è stata rivolta mi rimprovera una “metodologia teologica problematica circa l’influsso della Modernità nella interpretazione del Vangelo”. Questa valutazione a me pare discendere da una impostazione che impedisce di comprendere la questione della “autorità femminile” e dalla quale dipende, in sostanza, la mia difficoltà centrale nei confronti di una interpretazione estensiva di Ordinatio sacerdotalis. Un documento può legittimamente intendersi come definitivo. Ma ciò che è in gioco, a mio avviso, non è solo la “assistenza divina” assicurata al Magistero, su cui non vi è dubbio, ma anche la assistenza divina che si manifesta nel ruolo della donna nella cultura, nella società e nella Chiesa, che è radicalmente cambiato da quando abbiamo dismesso gli abiti mentali che hanno segnato la cultura comune – cristiana e non cristiana – dalle origini antiche fino al XIX secolo. Qualora non si riconosca questa novità – che Giovanni XXIII aveva già visto con acume 56 anni fa nella Enciclica Pacem in terris – non si riesce ad affrontare realmente il problema del “riconoscimento della autorità femminile nella Chiesa”. La tarda-modernità muta i termini della questione, senza essere sopravvalutata. Rispondere a questa sfida ripetendo gli schemi antichi, scolastico-medievali e moderno-tridentini, è un modo non adeguato di rispondere con risposte vecchie a domande nuove, e che può convincere solo chi non prende sul serio la questione. Occorre elaborare altri schemi, su cui la teologia è professionalmente chiamata a lavorare e a fare la sua parte. Sono schemi e ipotesi che partono da una nuova evidenza: ossia la parità di autorità di maschio e femmina nella famiglia, nella società e nella Chiesa. Ciò è il frutto del lento sviluppo degli ultimi 200 anni. Il che non significa affatto negare la differenza tra uomo e donna, omologare le diversità, appiattire le cose, ma impone di pensare la differenza con schemi nuovi e più adeguati, che non “privatizzino” la donna e non le attribuiscano sul piano pubblico una strutturale irrilevanza o “deminutio capitis”. Cavarsela con un riferimento al principio mariano e al principio petrino – come nuovi criteri di giustificazione della mancanza di autorità riservata alla donna – non porta ad altro che a riverniciare con una pittura brillante i vecchi mobili di casa, che non funzionano più. In questo senso, con tutta la comprensione per le preoccupazioni del magistero, la teologia ha il compito di segnalare, con modestia, ma anche con audacia, il circolo vizioso delle argomentazioni classiche. Se, come si dice in Donum veritatis “l’insegnamento del Magistero – grazie all’assistenza divina – vale al di là della argomentazione” – e questo è vero e va difeso dalla tentazione di ridurre il Magistero alle sue argomentazioni – ciò nondimeno quando il Magistero rinuncia del tutto alle argomentazioni, senza perdere per questo alcuna autorità, come avviene nel caso di Ordinatio sacerdotalis, deve essere accuratamente delimitato a ciò di cui il documento si occupa – ossia la “ordinazione sacerdotale” – e così apre inevitabilmente fronti di riflessione che devono essere considerati e riconosciuti, e che non possono risolversi semplicemente nella autorevolezza di un pronunciamento che si assume e si riconosce come definitivo. Dice infatti, S. Tommaso d’Aquino, nel Commentario alle Sentenze, “Se noi risolviamo i problemi della fede col metodo della sola autorità, possediamo certamente la verità, ma in una testa vuota”.
A ciò va aggiunta una seconda avvertenza, che prendo da Romano Guardini, in particolare da un suo scritto giovanile che risulta della massima importanza per affrontare la nostra questione. Si tratta di Ueber die systematische Methode in der Liturgiewissenschaft, “Jahrbuch fuer Liturgiewissenschaft”, 1(1921), 97-108, testo in cui Guardini formula una importantissima distinzione tra “scienza storica” e “scienza sistematica”. Egli opera tale differenziazione per meglio comprendere la liturgia, ma si tratta di un insegnamento prezioso per l’intero campo della teologia. Egli dice: la storia ci dice ciò che è stato, ma solo la sistematica può dirci ciò che deve essere. Anche per il nostro tema, possiamo attingere dalla storia un grande patrimonio di prassi, di decisioni e di parole, ma ciò che la Chiesa può e deve fare nel presente e nel futuro non si riduce a ripetere il passato. I “segni dei tempi” – tra cui il nuovo profilo autorevole e pubblico della donna – possono e debbono suggerire nuove strade e nuove acquisizioni, purché accettiamo che questi “segni” abbiano qualcosa da insegnarci, e che non siamo immuni da una visione ancora limitata della donna e della storia. Con gradualità e con senso del limite, queste possibilità vanno esplorate con coraggio, non giudicate incompatibili con una identità dedotta solo dal passato. In questa direzione, nella riflessione sul ministero diaconale femminile, mi sembra si muova anche, assai di recente, il testo di Giancarlo Pani, La donna e il diaconato, “La Civiltà Cattolica”, 3999/2017, 209-221.
- La questione del Magistero nel post-concilio. Sulla base di quanto premesso, io non dico affatto che il Magistero non possa assumere una posizione irreformabile: questo fa parte della concezione cattolica che non intendo affatto negare. Nemmeno affermo che non possa mai farlo, come se ciò fosse una regola generale del Magistero. Dico invece che nel caso specifico la forma particolare – una dichiarazione di “assenza di autorità” – riguarda esclusivamente la ordinazione sacerdotale e non vincola in alcun modo circa la ipotesi di ordinazione diaconale della donna. Anche le importanti espressioni di Veritatis gaudium di papa Francesco, sulla capacità del Magistero di dialogare e di “imparare” dalla cultura e di disporsi ad una “rivoluzione culturale”, non può certo essere utilizzata per “negare al Magistero il potere di definire una dottrina”, né io l’ho mai intesa in questo senso, ma piuttosto è volta a mostrare la debolezza di posizioni che, affermando una “assenza di potere”, semplicemente perpetuano relazioni, comprensioni e correlazioni che ormai risultano distorte e inadeguate. Ho citato papa Francesco per recuperare l’orizzonte conciliare che comprende la relazione “originaria” tra Vangelo ed esperienza. Se invece si pensa di risolvere la “questione della autorità femminile” semplicemente in un rimando al passato, all’interno di una semplice “assenza di competenza sulla materia”, si finisce facilmente per imboccare un vicolo cieco. Tale vicolo cieco, attraverso una dichiarazione di “incompetenza”, in realtà mantiene tutte le “competenza classiche”, senza metterle in discussione. Di fatto, assolutizza una dichiarazione che è stata formulata solo nel XX secolo, e che si basa su una “prassi pacifica” fino allora – quella della esclusione della donna da ogni ordinazione – ma che rimane condizionata strutturalmente da una comprensione culturale ed ecclesiale inadeguata della donna. In questo senso ho parlato, in altri testi, di “dispositivo Ratzinger”, come di un meccanismo che negli ultimi 30 anni ha frustrato stabilmente ogni possibile riforma della Chiesa. Non vi è pertanto nessun “abuso” da parte mia, nel citare le parole di papa Francesco: lo faccio non per negare competenze possibili e necessarie del Magistero, ma per ricondurne l’azione al suo orizzonte più proprio, che non di rado può risultare dimenticato.
- Le singole domande. Secondo alcuni, nei miei testi sul ministero femminile io “non offrirei argomenti nuovi”. Debbo precisare che questo è del tutto ovvio, perché è buona regola quella secondo cui sta a chi “nega” l’autorità femminile proporre argomenti convincenti, non a chi la afferma. Io penso che la donna non abbia alcun “impedimento” ad assumere autorità ecclesiale a livello di diaconato. Sta a chi la nega offrire impedimenti argomentati e solidi e non solo “precedenti”. Tuttavia da questa obiezione scaturiscono altre discussioni, che brevemente riprendo qui sotto:
- Gli elementi che qualificano un sacramento sono frutto di una istituzione originaria e di una lunga elaborazione ecclesiale. Perché mai io dovrei sostenere che i sacramenti non sono né più né meno di 7? Non discuto né la affermazione tridentina, né la sua attualità oggi. La logica di Lutero, tuttavia, è stata recepita anche dai Padri tridentini, perché anch’essi, come Lutero, anche se in modo diverso da lui, hanno voluto distinguere tra sacramenta maiora e tutti gli altri. Questa distinzione, senza la quale c’è anatema, ci rende liberi di un discernimento storico lungimirante. Ieri come oggi. E se i padri tridentini hanno usato la argomentazione sulla “sostanza del sacramento” per poter salvaguardare una prassi di “comunione sotto una solo specie”, che si differenziava dal comando esplicito e verbale del Signore – che parla di due specie e non di una sola – perché mai noi dovremmo far rientrare nella “sostanza del sacramento” il sesso maschile, se su questo il Signore non ha detto nulla? Di ciò che ha detto, assumiamo una versione riduttiva, mentre di ciò che ha fatto assumiamo una versione tassativa. Perché le sue parole su due specie si riducono ad una, mentre la sua azione con un solo genere non può estendersi anche all’altro? Perché mai questo potrebbe impedirci di arrivare ad ordinare donne al grado del diaconato, non essendovi su ciò alcuna parola esplicita di divieto? Qui mi pare che la fragilità di comprensione della tradizione sacramentale non sia la mia, ma quella che presume di aver risolto tutte le questioni sulla base di un pregiudizio, mentre in tal modo contribuisce solo a complicarli, perché non li affronta e pretende che nessuno ne parli. Questo può accadere in un luogo senza libertà, mentre la Chiesa è luogo in cui lo Spirito continua a soffiare.
- Certamente lo sviluppo liturgico e rituale fa parte della intelligenza ecclesiale e anche della dottrina. Tale sviluppo è avvenuto fino al XIX secolo in un contesto che non conosceva pienamente la libertà del soggetto, né il pieno rispetto della coscienza del singolo, soprattutto se di sesso femminile. Queste novità, che abbiamo imparato a chiamare “partecipazione attiva” solo dopo il Concilio Vaticano II, cambiano profondamente la concezione del rito e le forme della partecipazione. E non escludono affatto che anche la donna possa “servire all’altare”, “proclamare la parola”, “distribuire la comunione”, “presiedere la preghiera comune”. Tutto questo prima era quasi inconcepibile e oggi può essere acquisito come tradizione e dottrina ecclesiale. Per farlo occorre riconoscere, con la dovuta gradualità, che è possibile una integrazione della donna all’interno del ministero ordinato. La “mediazione di Cristo” non è riservata soltanto ad un sesso. E la “esperienza creaturale originaria” non corrisponde mai ad un assetto dei rapporti di potere/servizio tra uomini e donne. In tal modo si userebbe la S. Scrittura per confermare lo status quo dell’ordine pubblico, sociale, antropologico ed ecclesiale di un’epoca limitata e diversa dal compimento escatologico. E diversa anche dalla nostra.
- In un terzo punto alcune affermazioni da me ascoltate nel dibattito mostrano di fraintendere gravemente non quanto ho scritto io, ma quanto si è sviluppato sul piano liturgico ed ecclesiale dopo il Concilio Vaticano II. Ne è una chiara spia il modo con cui viene formulata una domanda retorica che qui riporto: “dovrebbe ad esempio la Chiesa ripensare chi sia il ministro della celebrazione eucaristica, dato il ruolo nuovo dei laici promosso dal Concilio Vaticano II?”. Proprio questo è un punto qualificante del Concilio Vaticano II, che a me pare sia pesantemente frainteso nella discussione. Il Concilio e la Riforma liturgica che ne è seguita ha chiesto esattamente questo: ripensare la definizione del “ministro”. Ogni eucaristia, dopo la riforma liturgica, ha almeno “tre ministri”, perché ha tre libri. Vi è una Presidenza, vi è un ministero della Parola e vi è un ministero del canto. Ciò che la tradizione ha riscoperto, negli ultimi 60 anni è che la nostra definizione “stretta” di ministero, che identifica l’unico ministro con il Presidente, ha impoverito la tradizione e ha determinato una grave deriva clericale. Così come una “ospitalità eucaristica” non può mai essere smentita dalla natura “iniziatica” della Eucaristia. Il gesto simbolico con cui papa Francesco, proprio nella Messa in Cœna Domini, ossia nel cuore della intimità iniziatica, ha introdotto la abitudine di “fare comunione” con non cristiani, condannati al carcere e per di più anche con donne, è una profezia di senso irriducibile alle sempre possibili chiusure di ogni rito su se stesso e sulle proprie meticolose rubriche da farmacisti.
- Circa il Magistero implicato in Ordinatio sacerdotalis, trovo “surreale” – utilizzando la curiosa terminologia impiegata da alcune osservazioni dei lettori – che mi si attribuisca ciò che non ho mai affermato. Io non dico, e lo ripeto, che Ordinatio sacerdotalis affermi che la ordinazione femminile sarà sempre una possibilità aperta per la Chiesa. Affermo invece che Ordinatio sacerdotalis esprime, con un alto grado di autorevolezza, la assenza di potere della Chiesa nella possibilità di ordinazione sacerdotale di soggetti femminili. Il che non esclude in nessun modo, e per principio, la possibilità di ordinazione diaconale di soggetti femminili, e dunque un loro accesso, per quanto parziale, al ministero ordinato. Essendo un documento che esclude una fattispecie – la ordinazione sacerdotale, appunto – di esso non è ammessa alcuna interpretazione analogica, estensiva dell’oggetto del divieto, secondo un principio di diritto comune. La mancanza di potere della Chiesa riguarda, nella Dichiarazione, esclusivamente la “ordinazione sacerdotale”, non la “ordinazione al diaconato”.
Anche in presenza di una legge canonica diversa – che parla appunto in generale di “ordinazione” di cui sarebbe “sostanza” il senso maschile (CJC 1025, §1) – sarà la legge a cambiare, non la interpretazione di Ordinatio sacerdotalis. Ciò dipenderà da una inclusione o esclusione del “sesso maschile” rispetto alla sostanza del grado più basso del sacramento dell’ordine. Cosa su cui la Chiesa potrebbe riconoscere di non avere radicalmente potere se vi fosse una parola esplicita del Signore che lo impedisse. Così come accade, ad es., per il matrimonio, su cui la “assenza di potere” sulla scioglimento dipende da una parola esplicita e inaggirabile del Signore. Ma in assenza di una tale parola, che non può essere sostituita da azioni compiute dal Signore, la determinazione non avviene anzitutto mediante un giudizio storico, che avrebbe in questo caso un oggetto indefinito, ma attraverso un giudizio sistematico, che non può mai essere risolto soltanto con riferimento ai “precedenti”. D’altra parte di tratta certo di una “prassi risalente”, ma che è diventata proposizione esplicita e giuridica solo nel XX secolo. La determinazione del “sesso maschile” come parte della “sostanza del sacramento” è quindi definizione ecclesiale positiva, che si può definire canonicamente “diritto divino positivo” solo con un uso molto spregiudicato – e direi anche poco responsabile – delle categorie giuridiche che vengono messe in campo. Sulla base di queste categorie imprecise non è possibile escludere la ordinazione diaconale femminile sulla base di Ordinatio sacerdotalis. Anzi, una ostinata persistenza in questa lettura “estensiva”, proposta soprattutto da alcuni canonisti, potrebbe rischiare di confondere una “posizione ufficiale” con una “invincibile misoginia clericale”.
La ratio di questa “apertura al diaconato” non sta dunque in una contestazione della “autorità del Magistero”, ma piuttosto nella rigorosa obbedienza al suo dettato, unita ad una riflessione sulla natura stessa del tema su cui il Magistero si pronuncia: infatti la “autorità femminile” non è soltanto un “dato creaturale e naturale”, che sarebbe a disposizione di una comprensione diretta e dottrinale, ma è un “dato storico e spirituale” che non può essere compreso una volta per tutte, neppure dal Magistero della Chiesa. Il quale resta al servizio della libertà con cui lo Spirito Santo guida la storia: esso parla con “segni” che devono essere sempre giudicati con discernimento e cautela, non pregiudicati con diffidenza e timore. Leggere “in Cristo” il maschile e il femminile significa riconoscere una differenza, ma non farla dipendere dal pregiudizio umano, dalle convenzioni sociali, o dalle diverse culture, ma solo dal giudizio di Dio a da ciò che lo Spirito mostra, sorprendentemente, lungo la storia aperta del rapporto tra Dio, uomo e donna. Questo è un giudizio capace di sorprendere e che non si preoccupa di predeterminare le identità prima che la storia le faccia fiorire del tutto, cosa che, appunto, non è anticipabile in nessun caso da una dottrina rigida, con cui il Magistero ha avuto sempre la sapienza di non identificarsi.
4. Brevi conclusioni. Non vi è dubbio che il punto su cui i miei interlocutori hanno avvertito maggiori difficoltà risulta il rapporto tra Vangelo e esperienza. In sostanza essi riconducono anche la esperienza degli uomini “alla sua profondità originaria, secondo il piano del Creatore”, e la predeterminano in un quadro statico: in tal modo non si espongono ad alcun “segno dei tempi”, ma sanno già il contenuto della esperienza, prima ancora di incontrarla. Per loro i “segni dei tempi” sono solo un’altra occasione con cui la Chiesa esplica la sua funzione docente: non riconoscono di avere nulla da imparare. Questa lettura semplicistica dei “segni dei tempi” rivela la pretesa che sta dietro alla negazione di ogni autorità alla donna: poter ricondurre il fenomeno di trasformazione “tardo moderna” della identità femminile ai pregiudizi che la storia ha proiettato sul “defectus eminentiæ gradus” del sesso femminile. In tal modo, io credo, restando in questa logica della autosufficienza maschile, non si rende un servizio alla Chiesa. La tensione tra Vangelo ed esperienza non è riducibile ad un accordo previo, già disponibile in una dottrina teologica immutabile, ma deve essere onorata fino in fondo, in tutta la sua “meravigliosa complicatezza”, nel corso della storia, accettando che vi siano “segni” da cui imparare e che prima erano sconosciuti. Questo è un compito del magistero e della teologia, in dialogo e senza censure. La nuova figura di autorità che la donna ha assunto gradualmente negli ultimi 200 anni, nella cultura comune di gran parte del mondo e anche parzialmente all’interno della Chiesa, attende un riconoscimento ecclesiale cattolico che la integri nel ministero ordinato. Ciò dovrà avvenire all’interno del quadro, nei limiti in cui lo consente, ma senza reticenze, ambiguità o ipocrisie. Soprattutto senza usare la storia come uno schermo, su cui proiettare tutte le proprie paure, o come un rifugio o come un via di fuga dal reale.
L’autorità delle donne, assunta come “segno dei tempi” è luogo di espressione dello Spirito, che la Chiesa deve imparare a riconoscere. Se essa pretendesse di farne a meno, spostando addirittura su Dio tale deliberazione, si priverebbe di un organo fondamentale e cadrebbe in una condizione di minorità. Uscire dallo stato di minorità diventa, per il futuro, un compito inaggirabile: uscire dallo stato di minorità ecclesiale, dovuto al mantenimento della donna in condizione di minorità nella Chiesa. Ognuno deve svolgere tale compito nei limiti delle proprie responsabilità: da un lato il magistero dei pastori, dall’altro il magistero dei teologi. Ciascuno con le sue competenze e senza alcuna possibilità che l’uno possa fare a meno dell’altro o – e sarebbe molto peggio – che l’uno pretenda di ridurre l’altro al silenzio.
Resta, alla fine, un rapporto molto serio, ma anche molto sereno, con il riconoscimento di una “auctoritas” di cui la Chiesa ha bisogno. E che non può essere risolta sulla base di stereotipi del femminile che la storia ha faticosamente superato. Perché dobbiamo ammettere, con le parole sapienti di Karl Rahner, che “la donna vista come unica e sempre uguale…in fondo non esiste”. Se questo è vero, molte cose potranno e dovranno cambiare. Non per disattendere il Vangelo, ma per comprenderlo meglio.
Andrea Grillo Come se non 20 gennaio 2019
www.cittadellaeditrice.com/munera/magistero-teologia-e-la-donna-nello-spazio-ecclesiale-discussione-sul-diaconato-femminile
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DIRITTO DI FAMIGLIA
Affido condiviso: ragioni a sostegno della riforma Pillon
Questo documento è stato redatto dal prof. Pierluigi Mazzamuto (docente di diritto civile presso l’Università di Palermo), dall’avv. Carlo Piazza (familiarista), dall’avv. Marcello Adriano Mazzola (familiarista) e dal dott. Vittorio Vezzetti (pediatra), con il coordinamento e la supervisione del prof. Arturo Maniaci (docente di Istituzioni di diritto privato e di diritto minorile presso l’Università degli Studi di Milano), contenente osservazioni in replica al documento redatto in data 30 ottobre 2018 dagli avv.ti Daniela Bianchini, Margherita Prandi Borgoni e Eva Sala per conto del Centro Studi Livatino.
www.centrostudilivatino.it/affido-condiviso-profili-critici-e-ragioni-di-contrarieta/#more-5967
Il disegno di legge Atto S. 735 (di iniziativa di nove senatori dell’attuale maggioranza parlamentare, fra cui l’on. Simone Pillon, che ne risulta primo firmatario), comunicato alla Presidenza del Senato il 1° agosto 2018, che ha già formato oggetto di ampia e accesa discussione presso gli organi di stampa, si propone come riforma che innova profondamente il diritto di famiglia, segnatamente per quanto concerne la disciplina della crisi di coppie (coniugate o non coniugate o non più coniugate) con figli. Le questioni maggiormente dibattute e i principali contenuti del disegno di legge riguardano gli strumenti di attuazione del principio di bigenitorialità nel contesto della crisi della coppia genitoriale, fra cui i mezzi alternativi di risoluzione delle controversie in materia giusfamiliare (mediazione familiare e coordinazione genitoriale), le modalità e i tempi di frequentazione dei figli, il mantenimento diretto della prole, la sorte della casa familiare, la lotta al fenomeno dell’alienazione parentale, nonché altri istituti, a tutela del minore.
Relazione, disegno di legge www.senato.it/japp/bgt/showdoc/18/DDLPRES/0/1071882/index.html
Dossier www.senato.it/japp/bgt/showdoc/18/DOSSIER/0/1074687/index.html?part=dossier_dossier1-sezione_sezione11
Documenti acquisiti www.senato.it/leg/18/BGT/Schede/Ddliter/documenti/50388_documenti.htm
Trattazione in 2°Commissione www.senato.it/leg/18/BGT/Schede/Ddliter/comm/50388_comm.htm
1. La mediazione familiare e la coordinazione genitoriale.
1.1 In generale. È ormai da tempo acclarato, in ambito nazionale, europeo e internazionale, che la mediazione familiare svolge un ruolo di fondamentale importanza nella gestione delle situazioni di crisi della famiglia, con riguardo sia agli aspetti relazionali sia agli aspetti economico-patrimoniali, favorendo una pacifica, condivisa ed equa regolamentazione sia dei rapporti tra coniugi, ex coniugi o conviventi, sia, soprattutto, tra questi e i loro figli.
Il mediatore familiare, infatti, quale professionista terzo e imparziale, assiste e coadiuva i componenti della coppia genitoriale nella ricerca di un accordo per la risoluzione della controversia familiare, aiutandoli a ripristinare i canali di comunicazione interrottisi e responsabilizzandoli a ricercare liberamente un accordo volto alla miglior cura e protezione dei figli, senza mai assumere decisioni in luogo delle parti.
Il disegno di legge Atto S. n. 735 (in seguito, per brevità, “Ddl”) si fa apprezzare nel suo lodevole tentativo di introdurre una disciplina organica della mediazione familiare, sia quale professione che necessita (e da lungo tempo si era in attesa) di idonea regolamentazione normativa, sia quale strumento di risoluzione dei conflitti familiari che opera all’esterno e/o all’interno dei procedimenti di separazione e di divorzio, specialmente in presenza di coppie con figli minori. Anzi, il mediatore viene additato dal futuro legislatore come la figura più idonea ad aiutare i genitori nella redazione del “piano genitoriale”, e cioè del progetto relativo alle future scelte educative della prole (cfr. art. 13 Ddl).
La tutela dell’interesse del minore e del suo fondamentale diritto alla bigenitorialità è, infatti, uno dei principali obiettivi che l’istituto della mediazione familiare si prefigge nel gestire il conflitto in atto tra i genitori, in linea con i principi consacrati nelle più importanti convenzioni internazionali e sovranazionali, in primis la Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza del 1989 (ratificata dall’Italia nel 1991) e la Convenzione europea sull’esercizio dei diritti dei minori del 1996 (ratificata dall’Italia nel 2003).
1.2. L’obbligatorietà della mediazione familiare. Il Ddl intende colmare un’evidente lacuna del legislatore italiano, che, nonostante le direttive e raccomandazioni dell’Unione europea in materia di mediazione civile, ha fino ad oggi incomprensibilmente omesso di prevedere l’obbligatorietà del primo incontro informativo di mediazione in materia di diritto di famiglia, settore che coinvolge la vita delle persone in modo molto più incisivo che in altri settori e nel quale si rendono necessari strumenti di soluzione del conflitto proprio a tutela dei soggetti più deboli, in primo luogo i minori, i quali per lo più subiscono passivamente le conseguenze pregiudizievoli delle crisi conflittuali tra i propri genitori, con gravi ripercussioni sul loro equilibrio psico-fisico.
Il percorso di mediazione familiare ha pertanto come obiettivo (cfr. art. 3 Ddl) il raggiungimento di un accordo tra i genitori che sia il più possibile rispettoso dell’interesse dei figli minori, dei loro bisogni e diritti fondamentali, fra cui, anzitutto, quello alla bigenitorialità, ossia a mantenere una relazione equilibrata e continuativa con il proprio padre e con la propria madre, anche dopo la separazione o il divorzio: un accordo rispettoso delle esigenze primarie dei minori, giacché il mediatore familiare aiuta le parti a comprendere l’importanza dei propri distinti e complementari ruoli genitoriali, avendo speciale riguardo agli interessi della prole.
La mediazione familiare, di cui dunque viene reso obbligatorio il primo incontro informativo, diviene pertanto uno strumento necessario e ineludibile nei procedimenti di separazione e divorzio, al fine di prevenire, elidere o attenuare la conflittualità tra le parti, trasformandola in una rinnovata capacità di raggiungere accordi e di collaborare quali genitori responsabili dell’educazione, della crescita equilibrata e della salute psico-fisica dei propri figli.
Rendendo obbligatorio solo ed esclusivamente il primo incontro informativo (peraltro, caratterizzato da gratuità: v. art. 4 Ddl), viene così salvaguardata sia la corretta funzionalità dell’istituto sia libertà da condizionamenti, posto che i genitori sono liberi di intraprendere o proseguire tale percorso (il cui limite temporale è fissato dall’art. 3, comma 4, Ddl: massimo 6 mesi), avendo ciascuno di essi la facoltà di porvi fine in qualsiasi momento (v. art. 3, comma 3, Ddl).
Le critiche mosse nel documento del Centro Studi Livatino sono, quindi, infondate, posto che il Ddl in esame non impone affatto di seguire l’intero percorso di mediazione, ma di partecipare al primo incontro informativo e gratuito.
Non è sostenibile neppure la critica in ordine all’aver fatto assurgere il primo incontro di mediazione al rango di condizione di procedibilità, visto che, in mancanza di una sanzione processuale, sarebbe molto semplice per le parti omettere l’adempimento e vanificare il senso della riforma.
In relazione alle situazioni di particolare gravità, poi, come nelle ipotesi di violenza endofamiliare o abusi (che sono comunque residuali, considerato che ogni giorno si registrano in Italia 480 separazioni e divorzi, cui si aggiungono almeno 150 separazioni di coppie di fatto, e che sono comunque contemplate dal Ddl come causa di esclusione dell’affidamento condiviso), in cui la mediazione non è praticabile, come previsto dall’art. 48 della Convenzione di Istanbul dell’11 maggio 2011, ferme le tutele penali e quelle parapenali rappresentate dagli ordini di protezione della vittima, sarà dovere del mediatore non avviare o interrompere il procedimento di mediazione, certificando la non mediabilità della coppia per la sussistenza di violenze domestiche o abusi in famiglia o comunque assicurando (come avviene, ad esempio, in Austria) che non avvenga un incontro fra la vittima e l’autore della violenza o dell’abuso. Del resto, è significativo che, anche dopo la ratifica ed esecuzione della Convezione di Istanbul da parte dell’Italia (con L. n. 77/27 giugno 2013), www.altalex.com/documents/leggi/2013/07/04/violenza-sulle-donne-la-convenzione-di-istanbul-e-legge
non sia venuto meno il tentativo di conciliazione che l’art. 708 cod. proc. civ.
www.altalex.com/documents/news/2014/11/17/dei-procedimenti-speciali-procedimenti-in-materia-di-famiglia-e-stato-delle-persone#art708
e l’art. 4 L. n. 898/1 dicembre 1970
https://www.altalex.com/documents/leggi/2012/06/27/disciplina-dei-casi-di-scioglimento-del-matrimonio#art4
impongono come incombente obbligatorio a carico del giudice nei giudizi di separazione e di divorzio.
In ogni caso, nella grande maggioranza dei casi, destinati ulteriormente ad aumentare per effetto dell’applicazione del principio della pariteticità dei tempi di frequentazione dei figli (che scoraggia episodi di violenza familiare), la previsione del passaggio della mediazione familiare quale condizione di procedibilità del giudizio costituirà, per un verso, un efficace deterrente all’instaurarsi e/o protrarsi indefinito di conflitti tra i genitori e, per altro verso, l’occasione, ancor oggi pressoché sconosciuta alla maggioranza delle famiglie italiane, per affrontare la controversia in modo riservato e pacifico, con l’ausilio di un esperto dei conflitti, il quale aiuterà i genitori a raggiungere un accordo che realmente soddisfi gli interessi di entrambi e, in special modo, quelli della prole.
È, peraltro, evidente che l’alta conflittualità e le violenze domestiche potrebbero essere spesso prevenute proprio grazie al tempestivo utilizzo della mediazione familiare, quale percorso che educa o rieduca le parti al dialogo e al rispetto reciproco della persona e del ruolo genitoriale (materno o paterno) che le compete: circostanza di cui i redattori del Ddl mostrano consapevolezza (v. art. 1, comma 2, lett. i, punto 2, Ddl).
Anzi, nell’ambito della famiglia, l’obbligatorietà del passaggio della mediazione, già prevista in vari ordinamenti stranieri [Fra i quali spiccano: Australia e Norvegia, in cui, in presenza di un figlio di età fino a 16 anni, è obbligatorio un percorso di mediazione; Croazia, Regno Unito e Ungheria, in cui è obbligatoria almeno una sessione informativa sulla mediazione], si rende più necessaria che nella mediazione dei rapporti civili e commerciali, già disciplinata dal D.lgs. n. 28/4 marzo 2010, in quanto è coinvolta direttamente la vita e la salute delle persone che in essa esprimono la loro personalità, ed è del tutto evidente come da questo punto di vista l’ordinamento italiano sia rimasto indietro rispetto a molti Paesi europei ed extraeuropei, dove la mediazione familiare è da decenni una prassi consolidata.
www.altalex.com/documents/leggi/2013/11/04/mediazione-civile-il-testo-aggiornato-del-d-lgs-28-2010
E ciò, in quanto è meglio evitare, finché sia possibile, di intraprendere o proseguire un giudizio, con tutte le conseguenze negative, in termini di costi economici ma soprattutto umani, che questo può comportare per la famiglia e in particolare per i soggetti più deboli, ossia i minori, che troppo spesso finiscono per diventare oggetto di contesa e di continue rivendicazioni tra i genitori in perenne conflitto tra loro per via della consolidata prassi, potenzialmente dannosa per la salute psico-fisica dei figli, di affrontare la controversia a suon di ricorsi e controricorsi giudiziari, che non contribuiscono a quella serena e pacifica riorganizzazione delle relazioni familiari che soltanto un percorso riservato di mediazione familiare può garantire.
Non solo. Ma tutte le volte in cui, grazie alla capacità del mediatore di favorire un clima di dialogo costruttivo e responsabile, la controversia si definisca con un accordo, scelto liberamente dalle parti e soddisfacente per entrambe e per i propri figli, i tempi e i costi complessivi del conflitto genitoriale, lungi dal dilatarsi e rispettivamente aumentare, conosceranno piuttosto una drastica riduzione, portando significativi benefici anche in termini di serenità familiare e di collaborazione proficua tra genitori, nell’interesse preminente dei figli, i quali potranno anche così vedere soddisfatto il loro fondamentale diritto alla bigenitorialità.
Il Ddl istituisce, poi, l’albo professionale dei mediatori familiari, facendo assurgere al rango di professione protetta (o riservata) un’attività già riconosciuta come professione non regolamentata, ai sensi e per gli effetti di cui alla L. n. 4/14 gennaio 2013, dalla norma nazionale UNI 11644, approvata il 30 agosto 2016, cui la suddetta legge (v. artt. 5, comma 2, lett.e e 6, comma 2) rinvia.
www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2013/01/26/13G00021/sg
Il Ddl intende, quindi, valorizzare la formazione, la competenza e le abilità della figura del mediatore familiare (caratterizzata da terzietà e imparzialità rispetto alle parti, e la cui attività è conseguentemente presidiata da autonomia, segreto professionale e obblighi di informazione).
L’attribuzione di tale qualifica, di cui si riconosce espressamente la «funzione sociale» (art. 1, comma 1, Ddl), anche agli avvocati in possesso di specifici requisiti si giustifica sia in considerazione della funzione sociale riconosciuta espressamente all’attività svolta dagli avvocati (arg. ex artt. 1, comma 2, 3, comma 2 e 8 L. n. 247/31 dicembre 2012),
www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2013/01/18/13G00018/sg
sia in virtù dell’esperienza professionale maturata nel campo del diritto di famiglia e minorile (v. art. 1, comma 2, lett. c Ddl).
1.3. La coordinazione genitoriale. Nel contesto dei mezzi alternativi di risoluzione delle controversie in materia giusfamiliare, è da salutare con favore anche l’istituzione della figura del “coordinatore genitoriale”, definito dall’art. 5 Ddl come «esperto qualificato con funzione mediativa, dotato di formazione specialistica in coordinazione genitoriale» (a norma dell’art. 5, comma 2, Ddl, possono esercitare la funzione di coordinatore genitoriale psichiatri, neuropsichiatri, psicoterapeuti, psicologi, assistenti sociali, avvocati e mediatori familiari), con il compito di gestire e dirimere in via stragiudiziale le controversie eventualmente sorte tra i genitori di prole minorenne in sede di esecuzione del piano genitoriale (eventualmente e auspicabilmente concordato dalle parti in mediazione), e quindi dopo il perfezionamento di un accordo di mediazione ovvero dopo l’emanazione di provvedimenti giudiziali riguardanti la prole minorenne.
www.studiocataldi.it/articoli/30301-il-coordinatore-genitoriale.asp
Si tratta di una figura (diversa dal mediatore, in quanto il ricorso alla stessa è eventuale, subordinato alla volontà delle parti e a titolo oneroso, e in quanto si tratta di professionista già iscritto in un albo di una delle professioni già regolamentate) che si affianca al giudice e al mediatore familiare a garanzia della tutela dei minori, specialmente nei casi di «alto livello di conflitto» (art. 5, comma 3, lett. a), e che la nostra giurisprudenza ha già avuto occasione di valorizzare, sottolineando altresì come il suo operato sia sempre subordinato al controllo, preventivo o successivo, del giudice, il cui potere decisorio rimane in ogni caso integro.
I compiti, le modalità di nomina e revoca dell’incarico, nonché le tariffe professionali potranno essere specificati nella futura legge stessa o in un successivo decreto attuativo.
Per le ragioni esposte appaiono, pertanto, prive di pregio le critiche contenute nel documento del Centro Studi Livatino in ordine alla figura del coordinatore genitoriale, il ricorso alla quale, peraltro, è già ampiamente e da tempo collaudato negli Stati Uniti con l’esperienza di Debora Carter, e introdotta in avanzata fase sperimentale presso i Tribunali di Milano, Monza, Mantova, Civitavecchia e altri.
2. L’equilibrio tra le figure dei genitori
2.1. La condivisione dell’intenzione del Ddl di garantire la bigenitorialità. Il cuore pulsante è rappresentato – come suggerisce il titolo del Ddl – dal principio di bigenitorialità, la cui effettività il Ddl intende garantire e tutelare: il figlio (ogni figlio) ha il diritto di instaurare e soprattutto di mantenere una relazione triadica (e cioè sia con la madre sia con il padre), indipendentemente dalla sussistenza di una relazione o dal tipo di relazione che si instaura fra i genitori (v. art. 11, comma 1, Ddl).
In attuazione dell’art. 30 della Costituzione italiana, che attribuisce ad entrambi i genitori il diritto-dovere di istruire, educare e mantenere i figli, in conformità alle indicazioni del Consiglio d’Europa (Risoluzione n. 2079/2015), www.figlipersempre.com/res/site39917/res699388_TRADUZIONE2.pdf
in ottemperanza al monito proveniente dalla Corte EDU che ha in più occasioni condannato l’Italia per violazione del diritto alla bigenitorialità e alla genitorialità, garantiti dall’art. 8 della CEDU [Convenzione Europea Diritti dell’Uomo], www.echr.coe.int/Documents/Convention_ITA.pdf
e preso atto della mancata o erronea applicazione della L. n. 54/8 febbraio 2006 in materia di affidamento condiviso, www.camera.it/parlam/leggi/06054l.htm
il Ddl detta regole relative ai tempi di frequentazione tra il figlio e ciascuno dei genitori in caso di crisi della coppia genitoriale.
L’attuale disparità tra le figure genitoriali dopo tale crisi ha, infatti, sinora relegato l’Italia agli ultimi posti fra i Paesi occidentali in tema di bigenitorialità.
Un affidamento paritetico riguarda il 2-3% dei minori e per accordo fra le parti, mentre chi eccezionalmente lo ottiene in giudizio sale spesso agli onori delle cronache. [Ad esempio il caso (recentissimo) di Tribunale di Firenze, 2 novembre 2018, n. 2945, che significativamente è stato additato come il precedente giurisprudenziale che “anticipa” quanto previsto dal Ddl 735].
www.francocrisafi.it/web_secondario/sentenze%202018/tribunale%20Firenze%20sentenza%202945%2018.pdf
Un affidamento materialmente condiviso (in un range 35-65%) riguarda circa il 3-4% dei casi, mentre un affidamento materialmente esclusivo (al di fuori di questo range) è la sorte che spetta, di prassi, agli altri minori italiani, con una media teorica di 6 pernottamenti al mese per il genitore non collocatario della prole versus i 24 al mese, di spettanza del genitore collocatario.
Il tasso di affidamento esclusivo della prole al padre è il più basso al mondo (<0,7%), oltre dieci volte meno di quello alla madre (8,9% secondo l’ISTAT), a dimostrazione di una giurisprudenza gender oriented, che infatti non ha remore a teorizzare un criterio presuntivo basato sulla «mother preference» [Corte di Cassazione, prima Sezione civile, sentenza n. n 18087, 14 settembre 2016].
www.altalex.com/documents/news/2016/09/16/affidamento-di-figli-in-eta-scolare-vale-la-maternal-preference
o a parlare di un diritto del minore «di avere una relazione significativa e costante con il genitore collocatario» [Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, ordinanza , n. 25418, 17 dicembre 2016]
www.personaedanno.it/dA/7d919a9910/allegato/cass.%2025418.2015.pdf
2.2. Interesse del minore o dell’adulto? Il documento del Centro Studi Livatino accusa la riforma contenuta nel Ddl di adultocentrismo, facendo leva su una presunta rigidità delle previsioni ivi contenute.
La critica contro la fissazione di rigidi tempi di frequentazione genitori/figli non è fondata, considerato che oggi si registra una standardizzazione pressoché assoluta, basata su una indimostrata nocività dell’affidamento materialmente condiviso (come dimostrato dalla circolazione in molti tribunali italiani di moduli prestampati, che stabiliscono a priori i tempi di frequentazione, cui basta aggiungere semplicemente i dati delle parti), e considerato che l’analisi dei Paesi esteri depone nel senso che, là dove viene concretamente il principio di affidamento materialmente condiviso, si registra una maggiore diversificazione dei provvedimenti.
Nel testo vi sono le seguenti figure:
- figura 1 (numeri dell’affidamento minorile in Europa e nel mondo)
- figura 2 (distribuzione dei pernottamenti in Danimarca)
L’analisi delle ricerche scientifiche internazionali e dei modelli esteri ha poi fatto emergere che tale sperequazione, priva di substrato scientifico, porta a diverse conseguenze, e cioè:
- a un forte rischio di perdita del legame di uno dei genitori con la prole a distanza di pochi anni dalla separazione della coppia genitoriale (anche qui, con il 25-30% di minori che perdono contatto con uno dei genitori siamo agli ultimi posti, ben lontani dal 12,1% della Danimarca e dal 13% della Svezia);
- a un aumento della conflittualità (i Paesi che, come la Svezia, hanno iniziato ad utilizzare una presunzione di affidamento materialmente condiviso hanno registrato un progressivo calo della conflittualità genitoriale).
Precisiamo, poi, che sia la perdita genitoriale sia la forte conflittualità rappresentano alcune fra le più gravi “childhood adversity”, con tale espressione intendendosi nella nomenclatura pediatrica quelle situazioni che possono causare gravi danni organici lungolatenti (deficit ormonali, deficit cromosomici, malattie neoplastiche, malattie infiammatorie croniche, malattie cardiovascolari, malattie psichiatriche come la depressione, et cetera).
Alla luce di tali risultati medico-scientifici, e al precipuo scopo di preservare un sano ed equilibrato sviluppo del minore, il Ddl ha, quindi, fissato un limite tendenziale minimo di permanenza del figlio con uno dei genitori, pari almeno a 12 giorni in ragione di mese (v. art. 11, comma 2, Ddl), che rappresenta una sorta di “soglia di sicurezza” per la salute psico-fisica del minore.
E si tratta di una regola, di carattere eminentemente puerocentrico (o paidocentrico), che rappresenta l’approssimazione maggiormente rispondente agli scopi della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza del 1989, ratificata dall’Italia con L. n. 176/27 maggio 1991 e al relativo commento generale ONU n. 14 del 29 maggio 2013 (che, con riguardo al “best interest of the child”, recita: «For collective decisions – such as by the legislator –, the best interests of children in general must be assessed and determined in light of the circumstances of the particular group and/or children in general»).
www.minori.it/minori/diritti-dei-minori-i-commenti-del-comitato-onu
In ogni caso, non è una regola così rigida e automatica, come finora si è voluto indurre a ritenere sulla base di una lettura superficiale del testo del Ddl, considerato che è lo stesso Ddl a far salvi sia gli eventuali diversi accordi fra i genitori, sia quelle situazioni in cui sussiste un serio pericolo di pregiudizio per la salute psico-fisica del minore idoneo a giustificare una deroga a quella regola, come nelle ipotesi di violenza o abuso sessuale (v. art. 11, comma 2, Ddl).
2.3. La ripartizione dei tempi di frequentazione dei genitori. È interessante notare che il documento del Centro studi Livatino riconosca la necessità della presenza di entrambi i genitori nella vita del figlio, salvo poi – con un salto logico di difficile comprensione – scindere i tempi dalla genitorialità. È, invece, indispensabile, per una corretta ed equilibrata crescita del minore, garantire che la bigenitorialità possa esprimersi non solo in linea di principio ma anche con tempi congrui ed adeguati, da trascorrere con l’uno e con l’altro genitore.
Una suddivisione paritaria o paritetica dei tempi di permanenza del figlio presso la casa di ciascun genitore (scilicet [cioè], presso due diversi habitat domestici) non è, peraltro, destinata a provocare traumi o stress peggiori di quelli provocati dagli spostamenti fisici che sino ad oggi hanno comportato separazioni e divorzi con figli. Anzi, un affidamento condiviso della prole che contempli settimane alterne per ciascun genitore (50%, salvi i periodi delle vacanze, in cui l’alternanza può essere anche per un tempo maggiore, per esempio ogni mese) comporterebbe 49 spostamenti all’anno per il minore, laddove l’attuale prassi, basata su due fine settimana alterni e sei contatti infrasettimanali al mese, comporta spostamenti del minore superiori di circa tre volte (179), come mostra il seguente schema:
D’altronde, la realtà osservata depone nel senso che i figli di hostess, dottoresse, infermiere o assistenti sanitarie, che spesso per ragioni lavorative non pernottano a casa, non subiscono conseguenze peggiori per il fatto di pernottare con il papà. E ciò, a tacer dei bimbi delle popolazioni nomadi (come i beduini, i tuareg o i mongoli), che presentano parametri di salute mentale migliore dei bambini o ragazzini delle società occidentali (le cui notorie “protesi tecnologiche” sono destinate ad incidere negativamente sulla loro stabilità mentale in misura ben superiore rispetto a quanto possa incidere il semplice spostamento fisico da una casa ad un’altra).
Inoltre, la partecipazione dei figli alla elaborazione del piano genitoriale non viene esclusa, perché, nel caso dei figli maggiorenni non economicamente indipendente, tale partecipazione è addirittura edittale [attinente alla legge] (v. art. 15 Ddl); con riguardo, invece, ai figli minori, entrambi i genitori – anche mercé l’eventuale e auspicabile aiuto di un esperto qualificato, quale è il mediatore familiare – redigono il rispettivo piano genitoriale (suscettibile per sua natura di revisione), tenendo conto, anzitutto (v. art. 11, comma, 7, Ddl), delle esigenze del minore, il cui interesse campeggia sempre prima dell’adozione dei provvedimenti del giudice, sotto forma di diritto all’ascolto, riconosciuto a tutti i minori ultradodicenni, ovvero, se infradodicenni, ai minori che abbiano capacità di discernimento (v. art. 16 Ddl).
Va soggiunto che la mancata redazione del piano genitoriale da parte di uno dei genitori [Di cui è prevista l’obbligatorietà in molti Paesi, come il Canada, l’Olanda, la Catalogna, l’Australia.], sebbene causa di nullità dell’atto introduttivo del giudizio di separazione o di divorzio (ricorso o memoria difensiva), “si converte” automaticamente nell’accoglimento del piano genitoriale dell’altro genitore, il cui contenuto verrà a sua volta sottoposto al vaglio del giudice, che è sempre tenuto a valutarne la congruità e la rispondenza all’interesse della prole (v. art. 18 Ddl).
Il Ddl non si astiene, ovviamente, dal considerare e contemplare ipotesi di spostamento fisico del minore che sarebbero fonte di pregiudizio psico-fisico a carico del minore ovvero accentuerebbero il trauma della separazione: lo sradicamento dal luogo in cui era abituato a vivere (ad es. trasferimento in altra città e quindi in altro istituto scolastico), infatti, richiede il consenso di entrambi i genitori o, in mancanza, l’autorizzazione del giudice tutelare (v. art. 14 Ddl).
Infine, il Ddl valorizza, oltre che la relazione tra il figlio ed entrambe le figure genitoriali, anche un’altra relazione “verticale”, e cioè quella fra il minore e i nonni di entrambi i rami genitoriali: recependo un orientamento diffuso presso la dottrina e presso una parte della giurisprudenza di merito, il Ddl consente l’intervento (sia principale, sia adesivo) degli ascendenti nei giudizi di separazione e di divorzio (in ciò, il Ddl intende probabilmente operare un’abrogazione tacita parziale dell’art. 38, 1° comma, disp. att. cod. civ., che prevede sul punto una competenza funzionale del tribunale dei minorenni e che sotto tale profilo è stato già sospettato di illegittimità costituzionale, anche per eccesso di delega).
Si tratta, però, di una mera facoltà processuale, destinata non già ad acuire la conflittualità, ma a rendere effettivo il diritto iure proprio degli ascendenti a mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni, già attribuito dall’attuale art. 317-bis cod. civ. e, soprattutto, a consentire la piena attuazione del piano genitoriale, attesa la riconosciuta e spesso insostituibile presenza dei nonni nella vita dei nipoti.
Va da sé che l’eventuale intervento processuale degli ascendenti nei giudizi di separazione o divorzio promossi dai genitori non soggiacerebbe all’onere di attivazione del procedimento di mediazione familiare, sia perché l’intervento si esplicherebbe in un giudizio già in corso, sia perché, in assenza di indicazioni da parte del legislatore, si deve escludere la sussistenza di una condizione di procedibilità, quale sarebbe, secondo il Ddl, la mediazione familiare.
3. Il mantenimento dei figli in forma diretta. Il Ddl prevede, come forma privilegiata di mantenimento (conseguenziale alla suddivisione paritaria o paritetica dei tempi di cura e accudimento della prole), il mantenimento diretto dei figli di genitori separati o divorziati, che si contrappone alla modalità di mantenimento in forma indiretta, e cioè attraverso la corresponsione di una somma periodica di denaro da un genitore in favore dell’altro (c.d. assegno di mantenimento), che nel testo del Ddl assume carattere residuale ed eccezionale (v. art. 11, comma 7 e 9, Ddl).
Va ricordato che la forma diretta di mantenimento della prole è già prevista dall’attuale legislatore come quella prioritaria: il quarto comma dell’attuale art. 337-ter cod. civ. prevede, infatti, che ciascuno dei genitori «provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito» e che il giudice stabilisce, ma soltanto «ove necessario», la corresponsione di «un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità». La disposizione si salda con quella del primo comma del medesimo articolo, secondo cui ciascun genitore deve assumere una parte dei compiti di cura, educazione, istruzione e assistenza morale dei figli, restando obbligato a sacrificare parte del proprio tempo per provvedere direttamente ai loro bisogni.
Le osservazioni del Centro Studi Livatino in ordine a un presunto deficit di solidarietà del Ddl sono certamente da approfondire; tuttavia, va ricordato che il testo del Ddl non abdica, affatto, a una prospettiva solidaristica, che anzi viene valorizzata.
Il Ddl si propone di rendere effettiva la regola del mantenimento diretto, stabilendo che ciascun genitore provvede direttamente al pagamento delle spese necessarie ai bisogni del figlio, per capitoli di spesa: soluzione, quest’ultima, che responsabilizza maggiormente i genitori, sia perché il mantenimento diretto esplica una funzione educativa, relazionale e psicologicamente gratificante (per non fare che un esempio: altro è acquistare un vestito per il figlio, con la sua partecipazione alla scelta dell’acquisto e con una percezione diretta di attenzione alle sue reali esigenze da parte del genitore accudente; altro è delegare “in bianco” l’altro genitore, erogando la provvista destinata a soddisfare genericamente esigenze del figlio), sia perché favorisce una più corretta osservanza degli obblighi di mantenimento, diminuendo conseguente il tasso di potenziale conflittualità (ogni genitore è più propenso a soddisfare direttamente i bisogni del figlio che a versare all’altro, da cui è separato, una somma di denaro della cui effettiva destinazione non ha né può avere alcuna contezza, attesa l’insussistenza di qualsivoglia obbligo od onere di rendiconto a carico del genitore percettore dell’assegno).
In ogni caso, il Ddl si preoccupa dell’esigenza per cui, nel mantenimento diretto dei figli, che realizza “in natura” le effettive esigenze di questi, venga sempre osservato il principio di proporzionalità alla situazione reddituale ed economica complessiva di ciascuno dei genitori, di cui anche il piano genitoriale è espressione; tant’è che, nelle situazioni di più forte squilibrio reddituale ed economico fra genitori, trova ancora ingresso lo strumento (residuale) dell’assegno periodico a carico di uno dei genitori in favore dell’altro (v. art. 11, comma 9, Ddl), salvo sempre il diritto del genitore economicamente più debole di chiedere all’altro il mantenimento per sé (aspetto su cui il Ddl non incide).
Ciò non toglie, ovviamente, che sia tuttora sentita l’esigenza di garantire una pari opportunità lavorativa effettiva fra uomini e donne: ma tale obiettivo non può essere perseguito e realizzato attraverso un disegno di legge in materia di diritto di famiglia.
4. L’alienazione genitoriale. L’ultimo pilastro su cui regge l’impalcatura del Ddl è rappresentato dalla lotta all’alienazione genitoriale.
Al di là della terminologia utilizzabile e della questione dell’inquadramento di tale inquietante fenomeno, il contrasto di esso è corollario dell’esigenza di tutelare in via prioritaria l’interesse del minore, che non deve essere escluso dalla relazione affettiva con una delle figure genitoriali sol perché l’altra o altri abbiano posto in essere una condotta volta ad allontanare il minore dalla vita di un genitore.
Il Ddl valorizza a tal fine sia l’istituto dell’ascolto del minore, prevedendo modalità idonee a garantire l’autenticità e la genuinità della volontà manifestata (art. 16 Ddl), sia l’istituto degli ordini di protezione previsti dagli artt. 342-bis e 342-ter cod. civ., volto a interdire condotte genitoriali che, sia nel corso del giudizio di separazione sia successivamente, si rivelino lesive dei “diritti relazionali” del minore, ostacolando rapporti familiari, parentali e affettivi (v. artt. 17 e 18 Ddl).
E ciò, allo scopo di sopperire alla mancata efficacia o effettività dello strumento sanzionatorio previsto dall’art. 709-ter cod. proc. civ., che è stato finora scarsamente utilizzato dai giudici per contrastare inadempimenti o comportamenti pregiudizievoli per il minore e che dal Ddl esce comunque rinforzato (v. art. 9 Ddl).
Preme sottolineare che le condotte ostacolanti o dirette ad ostacolare, allontanare o rimuovere la figura dell’altro genitore (ovvero di parenti di quest’ultimo, come i nonni) dal rapporto con il figlio sono numerose, poiché corrispondono a migliaia di casi registrati ogni anno.
Va, peraltro, precisato che l’alienazione genitoriale, che viene integrata da fatti illeciti ovvero da inadempimenti di accordi genitoriali o di provvedimenti giudiziali, non può e non deve essere confusa con la c.d. PAS (acronimo, che sciolto diventa “Sindrome da Alienazione Parentale”, ovverossia un disturbo, e quindi una patologia), ancorché la c.d. PAS (tuttora oggetto di discussione nella comunità medico-scientifica) possa essere una conseguenza di condotte alienanti. [Corte di cassazione, prima Sezione civile, ordinanza n. 651, 14 gennaio 2019]. www.altalex.com/documents/massimario/2016/05/26/affidamento-minori-e-famiglia
L’alienazione genitoriale rimane ancora oggi un serio e grave problema di salute pubblica, che compromette l’equilibrio psico-fisico della persona del minore, con gravi disagi interpersonali e verso l’intera collettività. Come detto, il Ddl si propone di contrastarla, in modo efficace.
In particolare, l’art. 17 del Ddl prevede che si possa intervenire quando «la condotta di un genitore è causa di grave pregiudizio ai diritti relazionali del figlio minore e degli altri familiari, ostacolando il mantenimento di un rapporto equilibrato e continuativo con l’altro genitore e la conservazione rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale», consentendo al giudice, «su istanza di parte», di «adottare con decreto uno o più dei provvedimenti di cui agli artt. 342-ter e 342-quater (…) nell’esclusivo interesse del minore, anche quando, pur in assenza di evidenti condotte di uno dei genitori, il figlio minore manifesti comunque rifiuto, alienazione o estraniazione con riguardo ad uno di essi».
Dalla piana lettura del testo della disposizione de qua si desume che non sussiste alcun automatismo, posto che:
- La lotta al fenomeno dell’alienazione genitoriale presuppone l’esercizio di un potere discrezionale del giudice;
- L’esercizio di tale potere è subordinato ad una istanza di parte;
- Devono essere accertate almeno due condizioni (un grave pregiudizio per i diritti relazionali del figlio; una condotta ostacolante un rapporto equilibrato e continuativo con l’altro genitore o rapporti significativi con gli ascendenti);
- Per la fattispecie che contempla la «assenza di evidenti condotte di uno dei genitori», si richiede comunque una forma manifesta di alienazione passiva.
Non è, quindi, sufficiente lamentare un’asserita condotta di alienazione genitoriale per ottenere un intervento da parte del Giudice, ma è necessario allegare e documentare una situazione rappresentata da condotte che siano fonte di alienazione genitoriale.
Il Ddl si preoccupa, poi, di contrastare l’alienazione genitoriale con la previsione di ulteriori strumenti, e cioè attraverso un ordine, rivolto al genitore che abbia tenuto una condotta pregiudizievole per il minore, di cessazione della condotta medesima, un provvedimento d’urgenza con cui si dispone la limitazione o sospensione della responsabilità genitoriale, ovvero «l’inversione della residenza abituale del figlio minore presso l’altro genitore», oppure la limitazione dei «tempi di permanenza del minore presso il genitore inadempiente», ovvero, in via del tutto residuale, «il collocamento provvisorio del minore presso apposita struttura specializzata previa redazione da parte dei Servizi Sociali o degli operatori della struttura di uno specifico programma per il pieno recupero della bigenitorialità del minore» (art. 18 Ddl).
La previsione è da salutare con favore, attesa l’impunità che ancora oggi fomenta il fenomeno dell’alienazione genitoriale, con conseguente violazione sia del diritto alla bigenitorialità (del figlio alienato) sia del diritto alla genitorialità (di uno dei genitori e/o degli ascendenti).
Infatti, la giurisprudenza (tanto i tribunali ordinari quanto i tribunali per i minorenni) fa per solito trascorrere un lungo periodo di tempo (in termini di anni) prima di decidere casi del genere, in tal modo consolidando e rafforzando le gravi condotte alienanti, ascrivibili quasi sempre al genitore c.d. collocatario (figura che dopo l’approvazione del Ddl è destinata a dissolversi), sino alla rimozione definitiva della relazione figlio/genitore, il cui best interest rischia di essere irreversibilmente compromesso.
5. Varie
5.1. L’eliminazione dell’ammonimento. Fra le sanzioni che l’art. 709-ter, 2° comma, cod. proc. civ. contempla come conseguenza di gravi inadempienze o violazioni di doveri familiari è annoverata l’ammonimento, di cui il Ddl propone l’abrogazione.
Come anche chiarito nella Relazione illustrativa del Ddl, l’abolizione di tale sanzione è giustificata dal fatto di essersi rivelata nella prassi totalmente inefficace e inidonea a scongiurare condotte pregiudizievoli per il minore, le quali, lungi dal cessare, si perpetuavano, consolidando in modo ancor più deleterio il pregiudizio, sicché il Ddl intende porre fine a questa paradossale eterogenesi dei fini. [Per una conferma in sede giurisprudenziale, (vedi Corte di Cassazione, prima Sezione civile, Sentenza n. 3810, 25 febbraio 2015) che ha peraltro precisato che tale provvedimento non è impugnabile (in cassazione), in quanto sarebbe privo dei caratteri della decisorietà e della definitività.]
www.altalex.com/documents/news/2015/03/09/cassazione-civile-sez-i-sentenza-25-02-2015-n-3810
5.2. La riduzione dei termini processuali
Nell’ottica della celerità del giudizio di separazione o di divorzio, il Ddl prevede la riduzione del termine entro cui deve essere fissata l’udienza presidenziale di comparizione delle parti per l’assunzione dei provvedimenti temporanei ed urgenti: da 90 giorni a 40 giorni dalla data di deposito del ricorso per separazione o per divorzio (v. artt. 7 e 22 Ddl).
Certamente, tale modifica influisce sul termine di difesa per la parte resistente, la quale avrà però avuto già il tempo sufficiente per predisporre la documentazione necessaria e di elaborare la propria difesa durante la fase della mediazione familiare, benché quest’ultima si possa esaurire anche in un solo incontro informativo.
5.3. Le disposizioni sui figli maggiorenni. Il Ddl modifica il regime del mantenimento dei figli maggiorenni, contemplando la possibilità di concordare un piano genitoriale fra genitori e figlio maggiorenne che non sia economicamente indipendente e portatore di grave disabilità, fermo il potere del giudice di disporre in favore di quest’ultimo, su sua richiesta, il pagamento di un assegno periodico a carico di entrambi i genitori, da versare direttamente al figlio, e prevedendo un limite all’obbligo di mantenimento del maggiorenne non portatore di grave disabilità, che in ogni caso si estingue al compimento del venticinquesimo anno di età da parte del figlio (v. art. 15 Ddl).
La disposizione intende responsabilizzare sia il figlio maggiorenne sia i genitori, da un lato prevenendo il rischio di una rendita parassitaria del figlio ai danni dei genitori, che si è di frequente verificato nei casi in cui il figlio prolungasse sine die l’ingresso nel mondo del lavoro, anche rifiutando offerte di lavoro vantaggiose; dall’altro lato, evitando condotte speculative del genitore coabitante stabilmente con il figlio maggiorenne, che, essendo munito (per pacifica giurisprudenza) della legittimazione a richiedere in via autonoma all’altro genitore l’assegno di mantenimento del figlio, disincentivi quest’ultimo ad intraprendere un percorso lavorativo o, nei casi peggiori, occulti (o induca il figlio ad occultare) all’altro genitore la situazione lavorativa del figlio medesimo.
La predeterminazione di un limite di età, superato il quale cessa automaticamente l’obbligo giuridico di mantenimento del figlio maggiorenne, che comunque risponde all’esigenza di porre un argine alla discrezionalità dei giudici italiani (che in alcuni casi è tralignata nella condanna dei genitori o di uno di essi a mantenere figli ultratrentacinquenni o financo quarantenni), non preclude, tuttavia, ai genitori o a uno di essi di continuare a fornire un sostegno economico per la prosecuzione degli studi o della formazione post universitaria, configurandosi in questo caso l’adempimento spontaneo di un’obbligazione naturale, salva, ovviamente, sussistendone i presupposti, la facoltà del figlio ultraventicinquenne di richiedere ai genitori gli alimenti.
5.4. L’eliminazione dell’addebito e di sanzioni penali. Al fine di sottrarre al giudizio di separazione la trattazione e istruzione della questione dell’addebito, in chiave non solo di celerità del giudizio, ma di diminuzione della conflittualità nell’interesse della prole, l’art. 19 del Ddl propone l’eliminazione dell’istituto dell’addebito, di cui già la dottrina più autorevole proponeva da tempo l’abrogazione.
Come noto, infatti, la domanda di addebito:
- Richiede accertamenti lunghi e complessi, nonché il coinvolgimento nei giudizi di separazione di terzi soggetti (soprattutto familiari e amici di uno dei coniugi) nella veste di testimoni;
- Ha statisticamente scarsissime chance di accoglimento (perché la giurisprudenza richiede presupposti sempre più rigorosi e stringenti);
- Il suo eventuale accoglimento presenta comunque vantaggi assai limitati se a proporla è il coniuge economicamente più debole, consistenti sostanzialmente nella perdita dei principali diritti successori da parte del coniuge economicamente più forte.
L’art. 21 del Ddl, infine, propone l’abrogazione dell’art. 570-bis cod. pen., introdotto nel 2018, semplicemente perché il presupposto della condotta ivi incriminata è rappresentata dall’assegno di mantenimento, che come visto il Ddl intende circoscrivere ad ipotesi eccezionali.
In ogni caso, per la violazione degli obblighi familiari, rimangono in vigore tutte le altre misure e tutele (penali, parapenali, risarcitorie) già previste dall’ordinamento giuridico, che il Ddl fa implicitamente salve.
Arturo Maniaci, Pierluigi Mazzamuto, Marcello Adriano Mazzola, Carlo Piazza e Vittorio Vezzetti
Altalex n. 6030, 15 gennaio 2019. 18 note
www.altalex.com/documents/news/2019/01/15/affido-condiviso-ragioni-a-sostegno-della-riforma-pillon
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ENTI TERZO SETTORE
Terzo settore obbligo trasparenza: la circolare ministeriale
Circolare n. 2\2019 sugli obblighi di pubblicità e trasparenza negli enti del Terzo settore
www.fiscoetasse.com/upload/ML-Circolare-2-11012019.pdf
Il Ministero del lavoro, direzione generale terzo settore, ha emanato lo scorso 11 gennaio 2019 la circolare n. 2\2019, in tema di adempimento degli obblighi di pubblicità e trasparenza negli enti del Terzo settore.
Posto che l’art. 1, commi 125-129, della Legge 4 agosto 2017 n. 124 (Legge annuale per il mercato e la concorrenza) ha introdotto alcuni obblighi di pubblicità e trasparenza a carico di una pluralità di soggetti che intrattengono rapporti economici con le PP. AA., con altri soggetti pubblici. In particolare si evidenzia l’obbligo di rendere pubblici tutti i finanziamenti ricevuti per le proprie attività e si precisa che tali obblighi coinvolgono anche la platea degli enti del Terzo settore, a partire dal 28 febbraio 2019.
La circolare precisa che “le disposizioni in commento pongono a carico dei soggetti percettori un obbligo di informazione, che va distinto dagli obblighi di rendicontazione del vantaggio ricevuto, ai quali gli stessi sono tenuti nei confronti della P.A. che ha attribuito l’ausilio finanziario o strumentale, in forza del titolo legittimante l’attribuzione medesima.
Tali obblighi esulano dall’applicazione delle disposizioni in oggetto indicate. In tale prospettiva rientrano nel predetto obbligo di informazione anche le somme percepite a titolo di cinque‰, in quanto l’obbligo in parola è diverso, per contenuti e modalità, rispetto ai vigenti obblighi di rendicontazione previsti dall’articolo 11-bis del D.P.C.M. 23 aprile 2010, come modificato ed integrato dal D.P.C.M. 7luglio 2016.
Pertanto, ai fini che rilevano in questa sede, le informazioni da pubblicare, preferibilmente in forma schematica e di immediata comprensibilità per il pubblico, dovranno avere ad oggetto i seguenti elementi:
a) denominazione e codice fiscale del soggetto ricevente;
b) denominazione del soggetto erogante;
c) somma incassata (per ogni singolo rapporto giuridico sottostante);
d) data di incasso;
e) causale.
Tali elementi informativi, per i soggetti obbligati, diversi dalle imprese, devono essere pubblicati sui siti internet o sui portali digitali degli enti percipienti l’ausilio pubblico: in mancanza del sito internet, il riferimento ai portali digitali rende possibile l’adempimento degli obblighi di pubblicità e di trasparenza anche attraverso la pubblicazione dei dati in questione sulla pagina Facebook dell’ente.”
Se l’ente non ha a disposizione alcun portale digitale, la pubblicazione delle informazioni “potrà avvenire anche sul sito internet della rete associativa alla quale l’ente del Terzo settore aderisce”
www.fiscoetasse.com/rassegna-stampa/26237-terzo-settore-obbligo-trasparenza-la-circolare-ministeriale.html?utm_campaign=Rassegna+Giornaliera&utm_medium=email&utm_source=Rassegna+quotidiana+&utm_content=Rassegna+Giornaliera+2019-01-17
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FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI
Reddito di Cittadinanza: «testo insoddisfacente per le famiglie»
Gigi De Palo, presidente: «Il Reddito di cittadinanza così com’è stato approvato è una misura studiata scientificamente per i single, non prendendo nemmeno in esame i bisogni delle famiglie».
Il Reddito di cittadinanza? «Le bozze di decreto che come Forum Famiglie abbiamo avuto modo di visionare, non vanno assolutamente a favore della fiscalità familiare»: appena terminata la conferenza stampa di presentazione del decreto oggi approvato dal Consiglio dei Ministri, è questo il commento del Presidente nazionale del Forum delle Associazioni Familiari, Gigi De Palo.
«Le famiglie – aggiunge il presidente del Forum – sono costrette ancora una volta a pagare scelte politiche dal respiro corto. Per far fronte alle minori risorse destinate al Reddito, si è deciso di calcolarlo in base ai valori di spesa dei single, non prendendo nemmeno in esame i bisogni delle famiglie. I limiti sia degli importi assegnati sia del patrimonio mobiliare, penalizzano i nuclei familiari, soprattutto quelli numerosi».
«Questa è una misura tarata su scale di equivalenza peggiorative rispetto a quelle già discutibili dell’ISEE: perché questa scelta? In sostanza, il Reddito di cittadinanza così com’è stato approvato è una misura studiata scientificamente per i single e ancora una volta si è persa l’occasione per risollevare il sistema-Italia investendo sulle famiglie, anziché far pagare loro i costi di una misura assistenziale. Con queste modalità non riusciremo mai a far fare all’Italia il salto di qualità atteso da tempo».
Redazione Vita.it 17 gennaio 2019
www.vita.it/it/article/2019/01/17/reddito-di-cittadinanza-testo-insoddisfacente-per-le-famiglie/150372
Sabato 26 gennaio con #Dònàti il Forum Famiglie rilancia il valore di adozione e affido
Venti eventi in contemporanea in ciascuna regione italiana per rilanciare il tema dell’accoglienza familiare e del valore morale, sociale ed economico che l’incontro tra infanzia abbandonata e coppie sposate senza figli può generare attraverso l’adozione o l’affido, restituendo un papà e una mamma ad almeno parte dei 15mila minori fuori famiglia attualmente ospiti di strutture di accoglienza in Italia; una scelta che produce enormi effetti di sussidiarietà economica e conferma il ruolo imprescindibile della famiglia come più importante ‘ammortizzatore sociale’ del Paese: è tutto questo e molto di più #Dònàti: fatti un dono, dona una famiglia a chi non l’ha, progetto promosso dal Forum delle Associazioni Familiari che vedrà i Forum Famiglie regionali protagonisti sabato 26 gennaio, dalle ore 15 alle 17, nello storytelling della bellezza possibile della scelta adottiva o affidataria.
Un incontro che almeno parte dei 5 milioni di coppie sposate senza figli nel nostro Paese sarebbe assai disposta a fare, se solo sapesse come, che cosa comporta e quali effetti benefici schiude. Ecco il perché della formula delle testimonianze dirette di chi questa scelta l’ha compiuta. Non solo: attraverso l’hashtag #donati, tutte le famiglie e le associazioni che hanno a cuore il destino dei bambini costretti a vivere lontano dalla loro famiglia d’origine potranno partecipare, anche indirettamente, alla Campagna sui social networks, raccontando quanto è bello, utile e possibile scegliere l’adozione o l’affido per restituire il sorriso a un bambino abbandonato.
“Non ci stancheremo di seminare frutti di speranza per l’infanzia abbandonata – sottolinea Gigi De Palo, presidente nazionale del Forum delle Associazioni Familiari – perché siamo convinti che solo la testimonianza concreta della scelta di diventare genitori adottivi o affidatari, portata dalle famiglie del Paese reale, potrà generare nuovi nuclei familiari decisi a fare altrettanto, restituendo la dignità di figli a tanti minori senza famiglia e svolgendo, nel contempo, un servizio utile alla collettività”.
Sabato 26 gennaio saremo tutti insieme nelle piazze e sulla Rete per sensibilizzare i territori e il Paese intero, con il sogno di vedere moltiplicarsi, nel prossimo futuro, il numero di coppie che scelgono la meraviglia di un figlio adottivo o affidatario: perché ogni bambino, nel mondo, merita di crescere accanto a una mamma e un papà.
Locandine di Ancona, Ascoli Piceno, Brescia, Cagliari, Catania, Milano, Parma, Potenza, Roma, Salerno, Teramo, Termoli, Trento, Verona
www.forumfamiglie.org/2019/01/24/sabato-26-gennaio-con-donati-il-forum-famiglie-rilancia-il-valore-di-adozione-e-affido/
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GOVERNO.
Stop al bonus baby sitter, ma più supporto per la rata dell’asilo
Il “bonus nido” sale a 1.500 euro e potrà esser richiesto attraverso il sito dell’Inps dalle 10 di lunedì 28 gennaio 2019. Fine corsa per il contributo “baby-sitting o asilo nido”, con il quale le madri lavoratrici potevano pagare la retta dell’asilo pubblico o il supporto di una persona alla cura dei figli, rinunciando in cambio al congedo parentale. L’anno nuovo, e la nuova Manovra finanziaria, hanno portato con sé la variazione delle prestazioni di sostegno alla maternità che nelle ultime leggi di Bilancio si erano via via stratificate.
Stop ai 600 euro per baby sitting e asilo nido. Cercando di mettere ordine alla materia complessa, si parte dal tasto dolente. Come conferma il portale dell’Inps, infatti, “il contributo baby sitting o asilo nido non è stato prorogato per il 2019. Pertanto, a far data dal 1° gennaio 2019 non è più possibile presentare domanda per accedere a tale contributo”. Si trattava di una misura che lo stesso istituto incasellava alla voce delle “alternative al congedo parentale”, ovvero alla maternità.
Introdotto come esperimento nel triennio 2013-2015, poi via via prorogato, dava la possibilità alla madre lavoratrice di “richiedere, al termine del congedo di maternità ed entro gli 11 mesi successivi, in alternativa al congedo parentale, voucher per l’acquisto di servizi di baby sitting oppure un contributo per fare fronte agli oneri della rete pubblica dei servizi per l’infanzia o dei servizi privati accreditati, per un massimo di sei mesi”.
In sostanza, era un buono da 600 euro mensili (da ricalcolare in caso di part-time) per le madri che scegliessero di rientrare al lavoro invece di sfruttare il congedo parentale, la maternità comunemente nota come ‘facoltativa’. Soldi che in passato venivano girati direttamente agli asili nido accreditati all’Inps, oppure da trasformare in “libretti famiglia” (i discendenti dei voucher per il lavoro occasionale) per pagare il servizio di baby sitting.
Il limite per sfruttare il supporto – pensato per facilitare il reinserimento delle donne nel percorso lavorativo, oltre che per supportare i casi dove questo è necessario per ragioni economiche – era fissato a sei mesi per le dipendenti o iscritte alla Gestione separata, in tre mesi per le autonome o imprenditrici.
Il Bonus nido sale a 1.500 euro. Misura confermata, ma modificata, dalla legge di bilancio per il 2019 è il cosiddetto “bonus asilo nido”, per il quale le nuove richieste potranno essere inoltrate all’Inps dalle 10 del prossimo lunedì 28 gennaio. Rispetto alla formula introdotta nel 2016, si tratta di un cambiamento migliorativo per gli utenti: il contributo per il pagamento delle rette di asili nido pubblici e privati – o di forme di assistenza domiciliare (in caso di gravi patologie) – per i bimbi sotto i tre anni (nati dal 1° gennaio 2016) sale da 1.000 a 1.500 euro. Resterà tale dal 2019 al 2021 (la legge di Bilancio ha aumentato di 40 milioni la dotazione sul 2020). Essendo erogato su 11 mensilità (in caso di frequenza all’asilo per questi mesi), arriva a un massimo di 136,37 euro al mese.
Per presentare la domanda nei prossimi giorni, i genitori dovranno allegare sul portale Inps la documentazione che testimoni il pagamento almeno della retta relativa al primo mese di frequenza. Per l’assistenza domiciliare invece si richiede l’attestazione da parte di un pediatra. L’Istituto ha pronta l’app per facilitare l’invio della documentazione di avvenuto pagamento delle rette, in base alla quale viene mensilmente erogato il contributo. Chi accede a questa forma di contributo, è bene ricordarlo, non potrà portare in detrazione fiscale le spese legate alla frequenza degli asili nido (il 19% di quanto speso fino a 630 euro). Teoricamente, non era neppure cumulabile con il voucher baby-sitting, che però non è stato rinnovato.
Assegno di natalità (bonus bebè) più generoso dal secondo figlio. Anche il cosiddetto bonus bebè (propriamente è l’assegno di natalità) resta in piedi, con la novità di una maggiorazione del 20% del sostegno a partire dal secondo figlio in avanti, per la quale l’Istituto sta aggiornando i sistemi di erogazione. Questo contributo – da richiedere entro 90 giorni dalla nascita del figlio o dall’ingresso nel nucleo familiare di un bambino o una bambina affidati o adottati – è collegato al reddito. In caso di un ISEE minorenni inferiore ai 7mila euro, la misura è di 1.920 euro e scende invece a 960 euro in caso di indicatore del reddito equivalente fino a 25mila euro. Il pagamento dell’assegno è mensile.
Premio alla nascita e congedo per i papà. Tra le altre forme di supporto, si possono ricordare infine una ulteriore conferma e una modifica. Il bonus “mamma domani”, il premio alla nascita da 800 euro destinata alle donne al settimo mese di gravidanza o alle adozioni e affidamenti, resta in vigore. Per quanto riguarda invece il congedo per i papà (anche in questo caso, non si parla solo di nascita ma anche di adozioni e affidi), sale da quattro a cinque giorni e resta ferma la sua fruibilità entro i cinque mesi di vita del figlio. Confermata la possibilità di fruire di un giorno di congedo facoltativo, in alternativa a quelli della madre
Raffaele Ricciardi La Repubblica 15 gennaio 2019
www.repubblica.it/economia/2019/01/15/news/inps_bonus_bebe_-216613035/
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HUMANÆ VITÆ
Proseguiamo nella linea del precedente articolo di Giannino Piana (A cinquant’anni dall’Humanæ Vitæ – Riflessioni a distanza, Matrimonio n. 3, settembre 2018) cercando il più possibile di far parlare il testo, poiché dubitiamo che sia veramente conosciuto: certi elogi in generale, e soprattutto la sottolineatura del suo carattere profetico derivano anche da questa mancata conoscenza parlare il testo, poiché dubitiamo che sia veramente conosciuto: certi elogi in generale, e soprattutto la sottolineatura del suo carattere profetico derivano anche da questa mancata conoscenza.
https://w2.vatican.va/content/paul-vi/it/encyclicals/documents/hf_p-vi_enc_25071968_humanae-vitae.html
newsUCIPEM n. 726, 4 XI 2018, pag. 22 www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201810/181031piana.pdf
La parte migliore dell’enciclica del 1968 per quanto riguarda la regolazione delle nascite, si trova all’inizio (Primo punto: Aspetti nuovi del problema e competenza del magistero) in cui si pone correttamente la questione in un linguaggio moderno: “Tale stato di cose fa sorgere nuove domande. Se, date le condizioni della vita odierna e dato il significato che le relazioni coniugali hanno per l’armonia tra gli sposi e per la loro mutua fedeltà, non sia forse indicata una revisione delle norme etiche finora vigenti, soprattutto se si considera che esse non possono essere osservate senza sacrifici talvolta eroici Ancora: “Se estendendo a questo campo l’applicazione del cosiddetto “principio di totalità”, non si possa ammettere che l’intenzione di una fecondità meno esuberante, ma più razionalizzata, trasformi l’intervento materialmente sterilizzante in una lecita e saggia regolazione della natalità. Se non si possa ammettere cioè che la finalità procreativa appartenga all’insieme della vita coniugale, piuttosto che ai suoi singoli atti. Si chiede anche se, dato l’accresciuto senso di responsabilità dell’uomo moderno, non sia venuto per lui il momento di affidare alla sua ragione e alla sua volontà, più che ai ritmi biologici del suo organismo, il compito di trasmettere la vita” (§3).
Paolo VI ha ceduto, Francesco resiste. A tutte le suddette domande bastava con coraggio rispondere sì! E questo in nome del principio moderno dell’autonomia, secondo il quale, se non c’è di mezzo il male procurato ad altri o eventuali ingiustizie (elementi assolutamente assenti nella contraccezione), il bene è scelto dalla persona (coppia) e non imposto in modo eteronomo dall’alto dei cieli già dal Dio creatore in un piano, progetto, disegno che non può in nessun modo essere trasgredito (legge morale naturale).
Ma Papa Montini non se l’è sentita di abbandonare l’impianto dell’eteronomia [eteros nomos (altra legge); legge che viene da (un) altro, da fuori, dall’alto della suprema autorità e volontà divina], poiché avrebbe sconfessato un predecessore andando in rotta di collisione con la Casti connubii di Pio XI (31 dicembre 1930), nella quale Papa Ratti aveva condannato con invettive pesanti la trasgressione della legge naturale: “Qualsivoglia uso del matrimonio, in cui per l’umana malizia l’atto sia destituito della sua naturale virtù procreatrice, va contro la legge di Dio, e gli sposi operano contro natura compiendo un’azione turpe e intrinsecamente disonesta, rendendosi perciò rei di colpa grave. Quindi non meraviglia se la Maestà divina abbia in sommo odio tale delitto nefando, e l’abbia talvolta castigato con la pena di morte, come ricorda Sant’Agostino: “Così operava Onan, e per tal motivo Dio lo tolse di vita” Gen., 38, 8-10” (Casti Connubii II, 1). http://w2.vatican.va/content/pius-xi/it/encyclicals/documents/hf_p-xi_enc_19301231_casti-connubii.html
Appunto, nell’AT Dio è colui che più di qualsiasi altro fa morire: nel nostro caso Onan (per il coito interrotto con Tamar, non per autoerotismo [Genesi 38, 9] e prima di lui il fratello Er (primo marito di Tamar) per altre ragioni a Dio odiose [Genesi 38, 6-10].
{Onan aveva violato la regola della tradizione jahvista relativa alle origini della tribù di Giuda – nota alla Bibbia di Gerusalemme. Ndr}.
Il quinto comandamento è scritto in una particolare forma verbale (tipica dell’ebraico, riecheggiante grosso modo il “Non assassinare”) che consente due eccezioni: si può ammazzare in guerra (nell’antichità duello più che assassinio) e per il resto solo Dio può uccidere (il che costituiva un certo deterrente per l’omicidio perpetrato dall’uomo).
Lo spauracchio di una deriva autonoma. Quattro cardinali di Curia, tra i quali Alfredo Ottaviani, che erano sempre stati diffidenti nei suoi confronti, gli espressero di persona e con durezza la loro catastrofica convinzione: toccare questo punto della dottrina voleva dire rovesciare del tutto la credibilità del Magistero papale e della tradizione cattolica. La situazione è molto simile a quella odierna in cui quattro Cardinali hanno sottoscritto le dure critiche nei confronti dell’Amoris Lætitia (E più in generale su Papa Bergoglio). Ma le scelte sono state diametralmente opposte: mentre Paolo VI ha accolto le riserve degli ultraconservatori e ha continuato a rivendicare l’autorità magisteriale anche sull’etica (legge) naturale, Papa Francesco resiste alle critiche accusatorie dei conservatori e non rivendica più alcuna autorità magisteriale sull’etica naturale, semmai solo su quella evangelica, ma anche qui senza l’autoritarismo dei Sommi Pontefici.
Paolo VI è rimasto invischiato nello pseudo-problema della verità immutabile, legalistica e astorica (il contrario della profezia), per cui non può diventare lecito quello che è stato severamente condannato mezzo secolo prima. Sarebbe la dissoluzione della “divina” autorità del romano pontefice; invece il magistero non solo è rivedibile su singoli punti/temi, ma deve essere globalmente rivisto alla luce del principio della beneficità autonoma, che non è una deriva modernistica peccaminosa (la libertà umana non è una svista di Dio). Esattamente come abbiamo rivisto il fatto che Dio uccida nell’AT, ove sono più di mille i passi sulla sua violenza, certo non sempre omicida, ma neppur sempre castigante, comunque senza misericordia, o peggio ancora con una misericordia “partigiana”; perdona e risparmia la vita al re Davide, ma (per bocca del profeta Natan) sentenzia: “Poiché con quest’azione hai insultato il Signore, il figlio che ti è nato dovrà morire” (2 Samuele 12,14), ossia il primogenito di Davide e Betsabea, mentre il Signore amerà il secondogenito Salomone.
Penso che nessuno oggi si sognerebbe di mantenere tale antica dottrina affermando che il Dio d’Israele sia stato un killer violento sino al punto di far morire un neonato innocente. Quando capiremo finalmente che la Bibbia non è parola di Dio tout court, bensì la storia della ricerca umana su Dio nel rapporto bilaterale col Dio d’Israele e di Gesù? Se è rivedibile la Scrittura, figuriamoci il magistero.
La posta in gioco non era la pillola. Nel 1968 si è rimasti in pieno creazionismo, senza minimamente incamerare il metodo storico-critico per l’esegesi di Genesi 1-11. La posta in gioco andò ben al di là del preservativo o di una pillola anticoncezionale, poiché si volle mantenere il mondo mitico eteronomo, in cui è fondamentale la fedeltà al (presunto) disegno di Dio: ciò che Dio ha voluto [sin dagli inizi in quanto creatore] l’uomo non può rompere di sua iniziativa.
Nel compito di trasmettere la vita, gli sposi non sono quindi liberi di procedere a proprio arbitrio, come se potessero determinare in modo del tutto autonomo le vie oneste da seguire, ma, al contrario, devono conformare il loro agire all’intenzione creatrice di Dio, espressa nella stessa natura del matrimonio e dei suoi atti. (§10). Infatti, come l’esperienza attesta, non da ogni incontro coniugale segue una nuova vita. Dio ha sapientemente disposto leggi e ritmi naturali di fecondità che già di per sé distanziano il susseguirsi delle nascite. Ma, richiamando gli uomini all’osservanza delle norme della legge naturale, interpretata dalla sua costante dottrina, la chiesa insegna che qualsiasi atto matrimoniale deve rimanere aperto alla trasmissione della vita” (§11). “Tale dottrina, più volte esposta dal magistero della chiesa, è fondata sulla connessione inscindibile, che Dio ha voluto e che l’uomo non può rompere di sua iniziativa, tra i due significati dell’atto coniugale: il significato unitivo e il significato procreativo” (§12).
Il permanere di un creazionismo ingenuo [“Dio avrebbe sapientemente disposto leggi e ritmi naturali di fecondità…”] è una pietra tombale sulla scienza evoluzionistica; si ammette l’evoluzione solo a parole vaghe, a partire dall’Humani Generis di Pio XII nel 1950 ma poi si ragiona in termini creazionistici continuando a parlare di un Dio creatore come se fosse l’artefice diretto della biologia e dei ritmi fecondativi umani. Pio XII aveva timidamente e con cautela aperto la via all’evoluzionismo per l’origine del corpo umano, rivendicando solo la creazione immediata da parte di Dio delle anime, ma aveva sbarrato decisamente la strada al poligenismo (più coppie, più popolazioni all’origine dell’Homo sapiens, come di fatto è avvenuto a partire dagli ominidi precedenti) poiché solo il monogenismo (una sola coppia umana all’origine) garantisce la trasmissione del peccato originale a tutta la progenie.
Superare il creazionismo non significa negare la creazione. Guardando alla natura esistente coi suoi meccanismi, non voluta da Dio così come di fatto si è probabilisticamente strutturata, non si può dedurre alcunché né in chiave laica né in chiave religiosa. La sterminata moltitudine delle specie non è il frutto di uno “stampo” divino ideato e preordinato sin dall’inizio; ad es. gli stimati nove milioni di specie degli insetti (di cui solo un sesto conosciute e catalogate) non sono immediatamente riconducibili alla volontà del Dio vivente, Signore e donatore di vita in senso lato, non l’ideatore degli organismi specifici coi loro ritmi di fecondità. La natura biologica quindi, così come esiste nelle sue diverse peculiarità sviluppatesi nell’ultimo mezzo miliardo di anni [considerando solo gli organismi pluricellulari a partire dal Cambriano], non è il risultato di una preveggente decisione divina; essa non può perciò essere usata né pro né contro certe scelte in campo etico-sessuale, e men che meno idealizzata e sacralizzata in maniera astorica.
Il che tuttavia non significa che Dio abbia giocato a dadi, per il semplice motivo che essi, al pari della roulette o del lotto, non esistono in natura, ma sono tipici solo dei giochi costruiti dall’uomo (probabilità indipendenti, esterne, unicamente artificiali, e futili). In natura invece abbiamo le vere probabilità, dipendenti e interne, in cui ciò che succede prima influenza ciò che viene dopo (l’esatto contrario dei giochi umani, in cui il singolo lancio o estrazione non ha nessuna relazione né col precedente né col successivo). Ne consegue che certe probabilità si alzano notevolmente col passare dei miliardi di anni, sino a sfiorare il 100% per quanto concerne la probabilità della comparsa di un essere personale su almeno un pianeta (non necessariamente dalla linea dei primati). Spalmata com’è la natura nei miliardi di armi dell’evoluzione, è pressoché impossibile inquadrarla come un tutt’uno; certo esistono le leggi della scienza, ma non è un caso che di quelle strettamente matematizzate (in equazioni) ce ne siano tante in fisica, poche in chimica e nessuna in biologia. Non esiste una legge naturale rilevabile ed alla quale attingere, dato il suddetto tempo profondo di evoluzione fisica, chimica, biologica, e poi tecnico-scientifica, questo vale anche per la contraccezione; in tal modo la natura è indissolubilmente e inestricabilmente connessa e legata alla cultura.
Siamo stati desiderati Ma, al di là dei calcoli e dei numeri, la cosa più importante è che non siamo stati gettati nell’esistenza da una forza anonima, bensì siamo il frutto di una decisione divina, il dato centrale ineliminabile (non demitizzabile) dei primi capitoli della Bibbia, compatibile con le probabilità contingenti (che non c’entrano nulla col caso). Un’accoppiata illuminante per un credente, che poi può, anzi deve demitizzare (reinterpretando) quasi tutto il resto. Siamo stati sì desiderati e voluti in quanto esseri personali (conformemente alla Genesi biblica), ma non necessariamente come esattamente e concretamente siamo; l’evoluzione poteva intraprendere altre strade, nel qual caso saremmo stati pur sempre umani ma fisicamente e biologicamente diversi: potevamo venire da altre linee evolutive con tutt’altri processi di fecondazione. Dio non ha stabilito nulla circa i ritmi biologici del futuro essere umano; non rientrano nella sua decisione iniziale.
Per dirla con le parole audaci di Padre George Coyne, ex direttore della specola (osservatorio astronomico) vaticana: “Dio sperò nell’alba dell’uomo, avendo davanti come dei cataloghi di aspettazione”; tuttavia la suddetta probabilità massima (100%) significa che Dio non è…uno sprovveduto.
Creazionismo paternalista. Tornando all’enciclica, leggiamo: “Infatti, per la sua intima struttura, l’atto coniugale, mentre unisce con profondissimo vincolo gli sposi, li rende atti alla generazione di nuove vite, secondo leggi iscritte nell’essere stesso dell’uomo e della donna. Salvaguardando ambedue questi aspetti essenziali, unitivo e procreativo, l’atto coniugale conserva integralmente il senso di mutuo e vero amore ed il suo ordinamento all’altissima vocazione dell’uomo alla paternità. Noi pensiamo che gli uomini del nostro tempo sono particolarmente in grado di afferrare quanto questa dottrina sia consentanea alla ragione umana” (§12).
“Così, chi ben riflette dovrà anche riconoscere che un atto di amore reciproco, che pregiudichi la disponibilità a trasmettere la vita che Dio creatore di tutte le cose secondo particolari leggi vi ha immesso, è in contraddizione sia con il disegno divino, a norma del quale è costituito il coniugio, sia con il volere dell’Autore della vita umana. Usare di questo dono divino distruggendo, anche soltanto parzialmente, il suo significato e la sua finalità è contraddire alla natura dell’uomo come a quella della donna e del loro più intimo rapporto, e perciò è contraddire anche al piano di Dio e alla sua santa volontà” (§13).
Sarà consentanea forse alla ragione eteronoma, ma la ragione autonoma e scientifica, illuminata dalla fede, ragiona diversamente. E proseguendo nell’eteronomia creazionista:
“È perciò esclusa ogni azione che, o in previsione dell’atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali, si proponga, come scopo o come mezzo, di impedire la procreazione. È quindi errore pensare che un atto coniugale, reso volutamente infecondo, e perciò intrinsecamente non onesto, possa essere coonestato dall’insieme di una vita coniugale feconda” (§ 14).
I vari tentativi, peraltro nobili e apprezzabili, dell’episcopato tedesco e francese di lenire o di derogare dal divieto, vanno a sbattere contro questo muro invalicabile.
“La chiesa è coerente con se stessa, sia quando ritiene lecito il ricorso ai periodi infecondi, sia quando condanna come sempre illecito l’uso dei mezzi direttamente contrari alla fecondazione, anche se ispirato da ragioni che possano apparire oneste e gravi” (§16).
L’etica della situazione è sempre stata indigesta al magistero romano (che la respingeva come “relativismo morale”), massimamente interessato alla propria coerenza nei secoli; Ma l’uomo moderno non riuscirà mai a comprendere (e ad accettare) come mai nella morale cattolica la differenza tra regolazione della natalità con metodi cosiddetti naturali e quella con metodi artificiali (contraccettivi), sia una scelta tra bene e male. Dato che il fine è lo stesso in entrambi i casi, è sintomatico e paradossale che la distinzione/differenza sia negata anche da alcuni ultra-conservatori eteronomi, nel senso che anche i metodi naturali, se vi è intenzionalità, sarebbero illeciti…
A tutto ciò si aggiunge anche il paternalismo, come nel punto sulle Gravi conseguenze dei metodi di regolazione artificiale della natalità: “Gli uomini retti potranno ancora meglio convincersi della fondatezza della dottrina della chiesa in questo campo, se vorranno riflettere alle conseguenze dei metodi di regolazione artificiale delle nascite. Considerino, prima di tutto, quale via larga e facile aprirebbero così alla infedeltà coniugale ed all’abbassamento generale della moralità. Non ci vuole molta esperienza per conoscere la debolezza umana e per comprendere che gli uomini – i giovani specialmente, così vulnerabili su questo punto – hanno bisogno d’incoraggiamento a essere fedeli alla legge morale e non si deve loro offrire qualche facile mezzo per eluderne l’osservanza. Si può anche temere che l’uomo, abituandosi all’uso delle pratiche anticoncezionali, finisca per perdere il rispetto della donna e, senza più curarsi del suo equilibrio fisico e psicologico, arrivi a considerarla come semplice strumento di godimento egoistico e non più come la sua compagna, rispettata e amata” (§17).
E nel punto seguente su La chiesa garante degli autentici valori umani: “A dir vero, questa [la chiesa] non si meraviglia di essere fatta, a somiglianza del suo divin fondatore, “segno di contraddizione”, ma non lascia per questo di proclamare con umile fermezza tutta la legge morale, sia naturale, che evangelica. Di essa la chiesa non è stata autrice, né può, quindi, esserne arbitra; ne è soltanto depositaria e interprete, senza mai poter dichiarare lecito quel che non lo è, per la sua [dell’illecito] intima e immutabile opposizione al vero bene dell’uomo” (§18). Ma l’autonomia significa anche che il vero bene deve essere scelto dalla persona medesima; se non c’è scelta, ma costrizione od obbedienza coatta ecc., non è più il suo vero bene.
La consapevolezza del nostro ruolo. È il solito ritornello: “Non ci possiamo fare niente…; non possiamo cambiare perché di diritto divino”.
Tuttavia gli esegeti e i teologi (da dentro, dall’interno, non ad opera di miscredenti da fuori), hanno smontato e demolito tutto il suddetto impianto. La situazione sarebbe peggiore se non avessimo Francesco che parla come uno di noi, come un primus inter pares (un primo fra pari, alla pari); come vescovo di Roma; egli sta facendo di tutto perché scocchi la scintilla ecclesiale, nella quale gli uomini accettano di lasciarsi fare dalla parola di Dio e la logica della comunione ricompone la dialettica istituzione-carisma, tradizione-profezia, in modo che tutte le funzioni del kerigma (annuncio) e della diakonia (servizio) siano recuperate. Certo si tratta di un recupero non facile, poiché si snoda attraverso peripli spesso sofferti per il gioco aggrovigliato di santità e peccato, fedeltà e tradimento.
Non possiamo rendere vana [questa è la nostra responsabilità] la testimonianza di intere generazioni di credenti che hanno giocato la propria vita per la crescita di questa nostra chiesa: gli umili operai della vigna, i santi rimasti sconosciuti, gli “eroi” della carità, ma anche i “ribelli per amore della verità”.
Il nodo cruciale è l’eteronomia da superare: proprio gli eteronomi (come in alcune recenti puntate della trasmissione radiofonica Prima pagina) vogliono che si parli del Dio celeste da glorificare, dei santi, della Madonna, degli angeli e soprattutto del demonio, dell’al di là, del mondo di sopra da cui discende copiosa la grazia sanante e santificante tramite i sacramenti…, e non dei poveri di questo mondo (definito in maniera sprezzante pauperismo).
Emblematico come possa essere inteso dalla religione borghese l’amare il prossimo: (sempre nelle stesse puntate di “Prima pagina“) prossimo è il familiare, il vicino di casa, il concittadino .., non chi abita o viene da lontano. Per la religione messianica invece il futuro del cristianesimo si gioca sì nella maggior gloria di Dio (ad maiorem Dei gloriam), ma la sua crescita gloriosa consiste “nell’uomo che vive” (Gloria Dei vivens homo di sant’Ireneo) o secondo la traduzione della chiesa latino-americana nel vivens pauper (nel “povero che vive”), oppure nella situazione attuale il vivens migrans, ossia coloro che, come già scriveva Giulio Cesare più di 2000 anni fa, “emigrando dalla propria casa-patria, vanno in cerca di altre terre e dimore remote, tentando la sorte qualunque cosa accada”.
Mauro Pedrazzoli “Matrimonio” n. 4, dicembre 2018
http://rivista-matrimonio.org/
www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201901/190119pedrazzoli.pdf
p://www.ilfoglio.info/default.asp?id=24&ACT=5&content=751&mnu=24
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NONNI
Madre, padri e nonni. Secondo appuntamento con la scuola genitori figli
Con l’arrivo dei nipoti la maggior parte dei nonni sono disposti a cambiare le loro abitudini di vita per adeguarsi alle necessità del nuovo membro della famiglia, e soprattutto ad aiutare la mamma e il papà, che spesso lavorano fuori casa.
E allora si inizia a parlare di orari, dell’organizzazione della giornata e del week end. Chi si prenderà cura del bambino prima che vada all’asilo? Chi lo andrà a prendere a scuola?
Qual è il ruolo dei nonni, quale quello della mamma e del papà? I ruoli di nonni e genitori vanno mantenuti distinti, ma non è semplice. E allora?
Presso il Centro Servizi alla Famiglia Beniamino della Cooperativa Sociale AIBC, in Via dei Pioppi 4, 20098 Pedriano di San Giuliano Milanese (MI), nell’ambito dell’iniziativa “Scuola Genitori” offerta dalla cooperativa sociale AIBC, si parlerà proprio del rapporto genitori e nonni. Insieme ad una psicologa genitori con figli da 0 a 10 anni affronteranno il primo modulo formativo “Madre, padre e nonni”.
Il ciclo “Scuola Genitori” proposto da AIBC prevede 12 appuntamenti riservati a genitori con figli da 0 a 10 anni per affrontare sei temi che riguardano da vicino genitori e figli e continuerà fino a maggio:
- “Madre, padre e nonni”
- “I sentimenti e le emozioni dei bambini”
- “Rimproveri e lodi, come utilizzarli”
- “Amore per sé, la coppia e i figli: un equilibrio difficile”
- “Separazioni, divorzi e famiglie ricostituite: come parlarne”
http://www.senato.it/leg/18/BGT/Schede/Ddliter/comm/50388_comm.htmNews Ai. Bi. 15 gennaio 2019
www.aibi.it/ita/madre-padri-nonni-scuola-genitori-figli
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PARLAMENTO
Senato della Repubblica – Comm. Giustizia – Affido dei minori e costrizione matrimoniale di minori
15 gennaio 2019. L’Ufficio di Presidenza, integrato dai rappresentanti dei Gruppi, ha svolto alcune audizioni informali di Associazioni nell’ambito dell’esame dei Disegni di legge nn. 45, 118, 735, 768 e 837, in materia di affido di minori. www.senato.it/leg/18/BGT/Schede/Ddliter/comm/50388_comm.htm
16 gennaio 2019. Con la relazione del sen. Emanuele Pellegrini, ha incardinato, in sede redigente, gli A.S. nn. 174 e 662, sull’introduzione nel codice penale dei reati di costrizione al matrimonio di persona minorenne e ha deliberato di svolgere un ciclo di audizioni.
www.senato.it/leg/18/BGT/Schede/Ddliter/comm/49168_comm.htm
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PASTORALE
Civitavecchia, da domenica un percorso per coppie in difficoltà e “dal cuore ferito”
“Percorso di fede nella crisi matrimoniale” è il titolo di un’iniziativa della diocesi di Civitavecchia-Tarquinia, organizzata dall’Ufficio di pastorale familiare e rivolta a coniugi separati, divorziati e in nuove unioni, in programma da domenica 20 gennaio 2019 nella parrocchia della Santissima Trinità a Civitavecchia.
Don Federico Boccacci è vicario episcopale per la pastorale e direttore dell’Ufficio famiglia. “Gli incontri sono frutto di un percorso nato da diversi anni dalle sollecitazioni ricevute da papa Francesco, che con l’Amoris lætitia ha dato indicazioni su come accogliere e accompagnare le coppie ‘dal cuore ferito’ – spiega al Sir – La novità di quest’anno è che il cammino è aperto anche a coppie che stanno facendo esperienza della crisi, ampliando così il raggio delle situazioni che incontriamo”. Far sentire a queste persone che sono dentro un cammino di santificazione, in cui devono crescere nell’amore del Signore è l’obiettivo principale della proposta, che per ogni incontro prevede un momento di riflessione su un brano della Parola e poi un tempo di risonanza in piccoli gruppi.
“Come diocesi diamo un contributo che si concentra su due appuntamenti annuali, che hanno finora avuto un buon riscontro e favorito momenti belli di confronto e scambio. Il lavoro maggiore è però quello nelle parrocchie, con un accompagnamento continuo e personale delle situazioni di difficoltà, grazie all’impegno di parroci e operatori di pastorale familiare” conclude don Boccacci.
Agenzia SIR 19 gennaio 2019
https://agensir.it/quotidiano/2019/1/19/diocesi-civitavecchia-da-domenica-un-percorso-per-coppie-in-difficolta-e-dal-cuore-ferito
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PSICOLOGIA DI COPPIA
Caro, sono infelice ma non ti mollo. Resto con te per altruismo
Sono infelice ma non ti mollo: su questo tema la letteratura e il cinema hanno fatto fortuna, e a tutte noi è capitato di raccogliere le confidenze di qualche amica in crisi. Ma perché spesso restiamo in una relazione pur non essendo felici?
Se lo sono chiesti, tra gli altri, i ricercatori dell’Università dello Utah. Gli esperti hanno compiuto uno studio su 1.348 persone coinvolte in una relazione di coppia, seguendole per 10 settimane e poi osservando per due mesi 500 di loro mentre decidevano di mettere fine alla loro relazione. Il risultato dello studio pubblicato sul Journal of Personality and Social Psychology sostiene che molte persone tendono a rimanere in una relazione infelice per non far soffrire il partner. Dunque, per altruismo. La ricerca ha fatto emergere che le persone infelici nella coppia, ma che ritenevano il proprio partner dipendente dalla relazione o più coinvolto di loro, fossero meno disposte ad avviare una rottura. Questo, appunto, per proteggere il partner.
https://psycnet.apa.org/doiLanding?doi=10.1037%2Fpspi0000139
Abbiamo esaminato la questione con Giulio Nicolò Meldolesi, psichiatra e psicoterapeuta, presidente della Fondazione Neurone Onlus, per lo studio e la ricerca in neuro-psico-biologia e neuroscienze cliniche.
Dottor Meldolesi, ritiene plausibile che alcune persone possano rimanere in una relazione in cui sono infelici per altruismo?
È possibile che alcune persone siano motivate a rimanere con il partner solo per altruismo, ossia per quell’atteggiamento disinteressato di cura per gli altri quale principio della propria azione. Ma la maggior parte delle persone non resta con il proprio partner per altruismo. Al contrario, spesso rimane con l’altra persona per una condizione di dipendenza affettivo-relazionale, di incapacità di costruire un rapporto centrato sull’amore e sulla libertà. Molti comportamenti che appaiono altruistici sono in realtà generati da altre motivazioni, come l’interesse personale o il principio della reciprocità (l’obbligo di ricambiare un favore con un favore).
Può farci qualche esempio concreto?
Se la tua compagna ti garantisce una buona posizione sociale, e tu non la lasci per questo motivo, non si può parlare di altruismo; oppure, se lui è tanto gentile con i tuoi genitori, e tu non lo lasci per questo, anche qui non si tratta di altruismo.
Quali sono i segnali per capire che non si tratta di altruismo?
Rabbia e senso di colpa sono due spie che permettono di differenziare un comportamento tendenzialmente altruistico e maturo da un comportamento tendenzialmente immaturo e dipendente. Ad esempio, quando il partner non condiscende alle nostre aspettative, possiamo sentirci arrabbiati; oppure, nel caso in cui siamo noi a non piegarci alle sue aspettative, ci sentiamo in colpa.
Da dove nasce il senso di colpa nell’essere umano?
Si sviluppa in tenera età, all’incirca tra i 3 e i 5 anni, ossia quando il bambino entra nell’età del gioco. Lo sviluppo motorio consente una vasta sperimentazione e il bambino inizia a “testare i limiti” della sua nuova capacità: la sua attività diventa così vigorosa e invadente, soprattutto a livello fisico. Per lo psicologo e psicoanalista Erik Erikson, la risoluzione di questa fase di crescita consente lo sviluppo della coscienza, insieme a un senso di responsabilità e fiducia in se stesso, autodisciplina e indipendenza. Questo stadio è quindi cruciale per la formazione del “Super-Io”, basato sull’introiezione di ideali e proibizioni, in particolare dei genitori. La risoluzione infruttuosa di questa fase di crescita fornisce la base per un Super-Io duro, rigido, moralista e auto-punitivo che funge da generatore di un senso fondamentale di colpa.
Il senso di colpa nasce dunque all’interno della dinamica di rapporto tra genitore e bambino?
Esatto. Se il bambino si comporta in un modo che viene ritenuto sbagliato da parte del genitore, il genitore spesso applica un castigo, ossia una punizione imposta allo scopo di correggere o di ammonire, riconducendo il bambino al rispetto di un’autorità superiore. Durante il castigo il bambino prova uno stato d’animo spiacevole, di rabbia, dolore, tristezza e ansia. Queste emozioni si producono perché il bambino percepisce la minaccia di un aumento di distanza dal genitore, sia essa fisica (ad esempio è messo nella sua stanza con la porta chiusa) o emotiva (il genitore mette il muso).
Come si manifesta il senso di colpa?
Per non soffrire la distanza, il bambino si auto-rimprovera, si sente in colpa per il suo comportarsi nel modo “sbagliato” (cioè ritenuto sbagliato dal genitore). Il senso di colpa si manifesta, interiormente, sotto forma di autoaccusa: ci si assume la responsabilità di un’azione o di un fatto, anche inesistente o commesso da altri.
Cosa comporta questo da adulti?
Secondo la teoria dell’attaccamento dello psicologo e psicoanalista John Bowlby, una volta diventato adulto, il bambino tende a replicare con il proprio partner lo schema della relazione che ha avuto con il genitore. Una persona che sperimenta rabbia o senso di colpa nel rapporto con il compagno non è una persona altruista. Potremmo definirla, piuttosto, come una persona emotivamente dipendente, dal genitore prima e dal partner poi.
Perché dipendente?
La paura di soffrire porta la persona a rimanere in un rapporto, a non allontanarsi, per timore di provare sofferenza. Non si tratta dunque di una libera scelta: questa persona è soggetta all’autorità del partner proprio come in passato sottostava all’imposizione delle regole da parte dei genitori. Chi rimane in una relazione in cui è infelice spesso non è altruista ma egocentrico: subordina a sé, e al vantaggio emotivo di non soffrire, il valore alto dell’amore disinteressato e dei principi di libertà e di rispetto reciproco.
Cosa pensa dunque dell’esito della ricerca pubblicata sul Journal of Personality and Social Psychology? La ricerca sottolinea l’aspetto pro-sociale delle relazioni umane, che è un aspetto fondamentale: ossia la nostra lotta affinché le persone che amiamo, il partner, il genitore, nostro figlio, possa riuscire a stare bene, e con loro anche noi. Tuttavia, non credo si tratti di altruismo, che è frutto di una disciplina cosciente. In tal senso, sono sicuramente più in linea con queste considerazioni dell’autrice Samantha Joel: “A volte la percezione di una persona dei bisogni del proprio partner potrebbe essere fuorviata, si può sopravvalutare quanto sia impegnato nella relazione e quanto soffrirebbe per la rottura”.
In questi casi, ad essere fuorviata non è solo la percezione dei bisogni del partner, ma anche di sé. Prendiamo ad esempio un caso estremo, ossia un uomo che non lascia la compagna perché lei minaccia di suicidarsi. Una situazione di questo tipo comporta alti livelli di angoscia per entrambi i partner. Chi si sente costretto dal ricatto del partner tenderà a ritagliarsi relazioni parallele come sfogo e compensazione per l’oppressione subita. Racconta a se stesso di essere altruista, ma in realtà è dipendente dal dispiacere che può provocare nell’altro e in sé stesso: la prova sta nell’irrequietezza, nel nervosismo e nella ricerca di una via di fuga.
Eleonora Giovinazzo La repubblica online 16 gennaio 2019
https://d.repubblica.it/life/2019/01/16/news/bisogna_imparare_a_lasciarsi_perche_rimanere_insieme_quando_non_ci_si_ama_piu_psicologia_coppia-4244267/?ref=RHPPBT-VD-I0-C4-P27-S1.4-T1
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SESSUOLOGIA
Ogni totalitarismo vuole il controllo sulle origini della vita: il sesso e la famiglia
Nel romanzo “Noi” viene descritta una società futura in cui il sesso è diventato un bisogno fisico uguale agli altri e non serve più a procreare. A partire da qui si sviluppa il totalitarismo perfetto, quello in cui ognuno fin dalla nascita è sotto il potere assoluto dello Stato.
«Il principio della famiglia è il sesso», scrive senza pruderie Fabrice Hadjadj. Non è una posizione estremista. È proprio così. La funzione primaria della famiglia, la caratteristica che la differenzia nettamente da altre comunità umane, consiste nel fatto che essa possiede la potenza procreativa. La famiglia prima di tutto è il luogo in cui nascono gli esseri umani.
Avere il pieno controllo sulla vita e sulle sue origini. È il desiderio profondo di ogni ideologia totalitaria. Ciò spiega l’avversione per la famiglia che ha sempre contraddistinto i regimi totalitari, rossi o neri che fossero. Hitler fu il più ingegnoso. Col progetto Lebensborn («Fonte di vita») cercò di creare un sostituto della famiglia per espropriarne la funzione procreativa. Cosa avrebbe potuto fare con le biotecnologie oggi a disposizione?
Ma se volete una rappresentazione plastica dell’odio totalitario per la famiglia allora dovete leggere il romanzo Noi (My, nell’originale), l’utopia negativa dello scrittore russo Evgenij Zamjatin (1884-1937) che illustra alla perfezione la marginalizzazione della famiglia e il monopolio legale della fecondità agognate dai regimi totalitari. Nel racconto di Zamjatin, pubblicato nel 1922, la storia si svolge nel contesto di una città perfettamente organizzata i cui membri, isolati dal mondo esterno e dalla natura da un muro verde, trascorrono la propria esistenza in trasparenti abitazioni di vetro, dando così corpo all’ideale di controllo totale adombrato nel Panopticon di Jeremy Bentham.
Noi è ambientato nel futuro, la datazione è fissata al 2500. Il mondo è governato da uno Stato Unico retto da un Benefattore, perfetta congiunzione del potere totalitario e di una scienza destinata all’addomesticazione delle masse. Il mondo di Noi si struttura come una società del Controllo integrale, dove a contare è unicamente un onnipresente Collettivo (il titolo del libro allude alla norma che vincola tutti al pensiero collettivo: si deve ragionare solo in termini di prima persona plurale), amministrata secondo un modello fordistico di efficienza e precisione industriale. L’Orario delle Ferrovie è considerato il più grande monumento della letteratura antica, il corpus di scritti precedente cioè la rivoluzione fordiana.
Una tecnica disumanizzante ha totalmente asservito gli uomini, facendone semplici ingranaggi di una macchina. L’essere umano è stato totalmente meccanizzato: nelle sue abitudini, nel comportamento, nel movimento e perfino nella voce. In questa prigione meccanizzata il dilemma tra felicità e libertà posto nella leggenda del Grande Inquisitore di Dostoevskij è stato risolto a favore del primo polo dell’alternativa.
La felicità, è questa la conclusione, è possibile solo senza l’intralcio della libertà. Quanto si auspica di garantire a tutti gli abitanti – identificati non da nomi, bensì da numeri – è una felicità matematicamente esatta. La Scienza, elevata a paradigma supremo della realtà, detta norme etiche fondate «sull’addizione, divisione, sottrazione, moltiplicazione». Il Benefattore viglia attraverso i suoi guardiani sull’applicazione del sistema di etica scientifica e controlla che nessuno manifesti un pensiero dissenziente. Libertà e delinquenza sono reputate un binomio indissociabile, i sogni considerati una seria malattia mentale, la fantasia rimossa con un intervento chirurgico.
Inutile dire che nel mondo descritto in Noi, analogamente al Mondo nuovo di Aldous Huxley, la famiglia è stata soppressa allo scopo di sottomettere direttamente l’individuo all’autorità dello Stato, al quale i figli sono immediatamente affidati per la «puericultura». Nella distopìa [immaginaria società spaventosa] di Zamjatin lo Stato Unico considera il sesso soltanto un bisogno fisico come un altro. Il sesso, scrive il protagonista del libro nel suo diario, «che per gli antichi era fonte di innumerevoli stupidissime tragedie, da noi è stato ricondotto ad una armonica, piacevole ed utile funzione dell’organismo allo stesso modo del sonno, del lavoro fisico, dell’alimentazione, della defecazione e simili».
La medesima organizzazione coercitiva su base matematico-scientifica abbraccia la vita sessuale dei cittadini, ai quali è concesso l’esercizio di una sessualità infeconda e medicalizzata, regolata da una lex sexualis che prevede accoppiamenti secondo una «tabella dei giorni sessuali» fissata dai medici. Nel dispositivo che regolamenta la lex sexualis, si legge che «ognuno dei numeri ha diritto, come prodotto sessuale, a un altro numero a fini sessuali. Il resto è soltanto una questione di tecnica».
Il processo di banalizzazione dell’eros corrisponde a un modello di società totalmente amministrata. Il sesso è diventato un banale esercizio contabile. Ogni cittadino-numero deve periodicamente recarsi per una visita nei laboratori dell’Ufficio Sessuale, dove viene determinato il contenuto degli «ormoni del sesso» presenti nel sangue e di conseguenza stabilita per lui la tabella dei «giorni sessuali». Per usufruirne occorre presentare una richiesta all’ufficio competente, dove si riceve un corrispondente libretto rosa provvisto di talloncini.
La rivoluzionaria russa Aleksandra Kollontaj (1872-1952), una delle prime apostole della liberazione sessuale, aveva formulato a questo proposito la teoria del «bicchiere d’acqua». Se l’esercizio del sesso non è altro che un bisogno fisiologico come un altro, allora impegnarsi in una relazione sessuale equivale a bere un semplice bicchiere d’acqua.
Vi sembrano teorie astruse, lontane dalla realtà? Non siatene così sicuri. Quella che ieri poteva apparire come la fantasia di uno scrittore visionario oggi viene predicata come verità indiscussa dai pulpiti massmediatici, impegnati a propagandare il sesso come pura attività di intrattenimento. Quanto alla “numerificazione” dell’uomo, il pensiero corre immediatamente alla “numerazione parentale” applicata da diverse burocrazie pubbliche (genitore 1 – genitore 2). E che dire dei corsi di “educazione sessuale” dove l’esercizio della sessualità è equiparato a un bisogno fisiologico, nella cornice di un semplice problema “tecnico”? Per non parlare delle teorie del gender avallate da presunti “studi scientifici”. Mancano ancora le tabelle sessuali e il libretto coi talloncini, ma possiamo stare certi che qualcuno sta già lavorando per “Noi”
Emiliano Fumaneri segnalato da Aleteia 15 gennaio 2019
www.pepeonline.it/se-il-sesso-diventa-un-bicchiere-dacqua-fresca-siamo-fregati/
https://it.aleteia.org/2019/01/15/totalitarismo-famiglia-sesso-controllo-nascite-noi-distopia/?utm_campaign=NL_it&utm_source=daily_newsletter&utm_medium=mail&utm_content=NL_it
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