NewsUCIPEM n. 736 – 13 gennaio 2019

      NewsUCIPEM n. 736 – 13 gennaio 2019

Unione Consultori Italiani Prematrimoniali E Matrimoniali

ucipem@istitutolacasa.it                                         www.ucipem.com

“Notiziario Ucipem” unica rivista ufficiale – registrata Tribunale Milano n. 116 del 25.2.1984

Supplemento on line. Direttore responsabile Maria Chiara Duranti. Direttore editoriale Giancarlo Marcone

News gratuite si propongono di riprendere dai media e inviare informazioni, di recente acquisizione, che siano d’interesse per gli operatori dei consultori familiari e quanti seguono nella società civile e nelle comunità ecclesiali le problematiche familiari e consultoriali.

Sono così strutturate:

ü  Notizie in breve per consulenti familiari, assistenti sociali, medici, legali, consulenti etici ed altri operatori, responsabili dell’Associazione o dell’Ente gestore con note della redazione {…ndr}.

ü  Link diretti e link per download a siti internet, per documentazione.

I testi, anche se il contenuto non è condiviso, vengono riprese nell’intento di offrire documenti ed opinioni di interesse consultoriale, che incidono sull’opinione pubblica.

La responsabilità delle opinioni riportate è dei singoli autori, il cui nominativo è riportato in calce ad ogni testo.

Il contenuto delle news è liberamente riproducibile citando la fonte.

In ottemperanza alla direttiva europea sulle comunicazioni on-line (direttiva 2000/31/CE), se non desiderate ricevere ulteriori news e/o se questo messaggio vi ha disturbato, inviateci una e-mail all’indirizzo: newsucipem@gmail.com con richiesta di disconnessione.

Chi desidera connettersi invii a newsucipem@gmail.com la richiesta indicando nominativo e-comune d’esercizio d’attività, e-mail, ed eventuale consultorio di appartenenza.       [Invio a 1.533 connessi]

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02 ABORTO VOLONTARIO                           Se lui vuole farla abortire e la donna non vuole.

04                                                                          Lettera alla Presidente del MPV.

04 ADOZIONE INTERNAZIONALE              Le adozioni calano ma non crollano più: 1.394 ingressi nel 2018.

04                                                       Accoglienza in famiglia. Piccoli numeri (oltre la crisi).

05 ADOZIONI INTERNAZIONALI                               Bolivia. Riavviata la macchina delle adozioni internazionali.

06 AFFIDO CONDIVISO                         Talora il coordinatore genitoriale lo rende più esasperato e caotico

06 ANONIMATO                                             Torino, è abbandonato un bimbo al mese. Sono i figli della città.

07 CASA CONIUGALE                                    Separazione: la casa coniugale può andare al figli.

09 CENTRO INTERN. STUDI FAMIGLIA   Newsletter CISF – n. 1, 9 gennaio 2019.

11 CONSULENZA COPPIA E FAMIGLIA   Come può un minore chiedere aiuto ad uno psicologo?

14 CONSULTORI F.ISPIRAZ. CATTOLICA Latina, il Consultorio familiare entra nel Nucleo contro il bullismo.

14 CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM      Milano1-Ist. La casa- via Colletta 31 – Genitori e figli adolescenti.

15                                                                          Milano2. Consultorio Genitori Oggi. Foglio di informazione.

16                                                                          Pescara. Iniziative in programma.

16                                                                          Roma1-Assoc. Centro la famiglia. Corsi/seminari 2018 – 2019.5

17 CONVEGNI INCONTRI SEMINARI       Cittadella d’Assisi. 41° Seminario La comunicazione nella Coppia.

17                                                       Fossano. Incontri interdiocesani sul tema “Integrare”.

18 DALLA NAVATA                                         Battesimo del Signore – Anno C – 13 gennaio 2019.

18                                                                          Il cielo si apre. Siamo tutti figli di Dio nel Figlio.

18 DIRITTO DI FAMIGLIA                             Famiglia, relazioni affettive – Affidamento dei figli naturali.5

23 ENTI TERZO SETTORE                               Ires al non profit. Il governo: Abbiamo trovato una soluzione.

23                                                                          Lasciti testamentari è boom.

24                                                                          Adeguamento statuti degli enti di terzo settore, tutte le novità.

26 FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI    Documento Cnel: Povertà, disuguaglianze e inclusione.

26                                                                          Manovra 2019. I bonus non bastano. Servono riforme strutturali.

27                                                                          Reddito: «Per i figli minorenni preveda almeno 250€ al mese».

28 FRANCESCO VESCOVO DI ROMA       “I populismi una minaccia per i diritti”.

29 GENITORI                                                     E’ legittima la perizia sulla personalità dei genitori separati?

32 GOVERNO                                                   Dipartimento per le politiche della famiglia-

32 HUMANÆ VITÆ                                        Il paradosso dell’oblio del corpo femminile.

35 INPS                                                                               Contributo baby sitting\asili nido non è stato prorogato per il 2019

36 MIGRANTI                                                   Dati aggiornati. Quanti migranti sono arrivati nel 2018? Che fanno.

36                                                                          +1% di migranti secondo «Lancet» equivale a +2% di ricchezza.

38 PASTORALE                                                 Corso di Alta Formazione in Consulenza Familiare.

38 SEPARAZIONE                                            Procedura d’appello si propone non oltre 6 mesi da pubblicazione.

39 SESSUOLOGIA                                            Quanto è difficile parlare di sesso con i bambini.

40 TEOLOGIA                                                    Teologia e segni dei tempi: Francesco rilancia. E i teologi?

41 VIOLENZA                                                    È violenza sessuale anche se la vittima chiede il preservativo.

42                                                                         Contattare sui social la ex integra il reato di maltrattamenti.

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ABORTO VOLONTARIO

Se lui vuole farla abortire e la donna non vuole

Aborto: chi decide? Cosa succede se l’uomo è favorevole all’interruzione di gravidanza e la donna no? Chi decide se la donna è minorenne?         www.salute.gov.it/imgs/C_17_normativa_845_allegato.pdf

In Italia è ammessa (depenalizzata) l’interruzione di gravidanza, cioè l’aborto. Si tratta di una legge degli anni settanta che consente alla donna, in presenza di determinate condizioni, di interrompere la gestazione non solo quando vi sia pericolo per la propria salute o per quella del bambino, ma anche in altri casi, essenzialmente riconducibili alla mancata volontà di far fronte alla futura maternità. Con la legge n. 194, del 22 maggio 1978, quindi, è stata introdotta la distinzione tra aborto da farsi entro determinati limiti di tempo e aborto terapeutico: mentre il primo può effettuarsi solamente entro i primi tre mesi di gravidanza, il secondo è sempre possibile quando lo richiedono fondate ragioni di salute.

In estrema sintesi, la legge italiana consente di abortire entro un determinato lasso di tempo dal concepimento, superato il quale l’aborto è possibile solamente se giustificato dalle condizioni di salute della donna. Fuori da queste ipotesi, l’aborto costituisce reato; allo stesso modo, abortire al di fuori delle strutture sanitarie o con metodi non approvati costituisce ugualmente un illecito. Probabilmente sarai già a conoscenza di queste semplici nozioni; quello che forse non sai, però, è che la legge ha attribuito un ruolo di preminenza alla donna. Cosa significa? Vuol dire che, come ti spiegherò meglio nel corso di questo articolo, l’ultima parola in merito all’aborto ce l’ha la donna, non il suo compagno. La conseguenza di questa scelta è molto semplice: se lui vuole farla abortire e la donna non vuole, a prevalere è la volontà di quest’ultima. Una scelta radicale quella compiuta dalla legge, ma allo stesso tempo più che comprensibile: è la donna a dover affrontare il parto, con o senza l’uomo, ed è la sua salute, eventualmente, ad essere messa a rischio. Pertanto, il futuro papà può senz’altro avere voce in capitolo, ma la decisione sull’abortire o meno spetta sempre alla mamma. Se questo argomento ti interessa è il caso che tu prosegua nella lettura: vedremo cosa succede se lui vuole farla abortire e la donna non vuole.

Aborto: cos’è? Con questo articolo ti spiegherò cosa accade se lui vuole farla abortire e la donna non vuole; prima, però, è bene spendere qualche parola sull’aborto, nel caso in cui non avessi alcuna cognizione di questa legge. L’ordinamento giuridico italiano consente alla donna di abortire entro i primi novanta giorni dal concepimento se ella ritiene che vi siano circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione anche alle sue condizioni economiche, sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito.

In buona sostanza, la legge consente l’interruzione di gravidanza entro i primi novanta giorni non solo in presenza di problemi di salute, ma anche per ragioni economiche o sociali: nel primo caso, rientrano tutte le ipotesi riconducibili al tenore di vita della futura madre; nel secondo, invece, le circostanze di biasimo sociale che una gravidanza (se mai indesiderata) può comportare.

Aborto: chi decide? Per farti capire i diversi ruoli che la donna e l’uomo hanno all’interno della procedura di interruzione della gravidanza, e per farti comprendere, quindi, cosa accade se lui vuole farla abortire e la donna non vuole, ti riporto quello che dice la legge [articolo 4]: «Per l’interruzione volontaria della gravidanza entro i primi novanta giorni, la donna che accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito, si rivolge ad un consultorio pubblico istituito […], o a una struttura socio-sanitaria a ciò abilitata dalla regione, o a un medico di sua fiducia».

            Dalla lettura di questo semplice articolo capirai che, se lui vuole farla abortire e la donna non vuole, a prevalere sarà la volontà della futura mamma, non quella del padre. Possiamo tranquillamente dire, quindi, che la protagonista della legge sull’aborto è la donna.

Aborto: qual è il ruolo del padre? Il fatto che a decidere sull’interruzione di gravidanza sia la donna non significa che l’uomo non abbia alcuna voce in capitolo. Sebbene striminzita, la figura del padre è presente come sostegno alla donna. Ad esempio, la legge dice che [articolo 5] il consultorio o la struttura socio-sanitaria ove ci si rivolge per praticare l’aborto, oltre a dover garantire il sostegno medico, ha il compito di assistere moralmente la donna, specialmente quando la richiesta di interruzione della gravidanza sia motivata dall’incidenza delle condizioni economiche, sociali o familiari sulla salute della gestante. In questa ipotesi, la struttura ha il dovere di esaminare con la donna e con il padre del concepito (sempre che la donna lo consenta), nel rispetto della dignità e della riservatezza di entrambi, le possibili soluzioni dei problemi proposti, al fine di aiutarla a rimuovere le cause che la porterebbero alla interruzione della gravidanza, di metterla in grado di far valere i suoi diritti di lavoratrice e di madre, di promuovere ogni opportuno intervento atto a sostenere la donna, offrendole tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza sia dopo il parto.

            Come si evince da quanto appena detto, l’uomo può stare accanto alla sua donna nel percorso che la porterà, eventualmente, ad interrompere la gravidanza, ma soltanto se ella è d’accordo. In buona sostanza, la legge consente alla donna di estromettere l’uomo dal processo decisionale, cioè da una fase delicatissima, anzi determinante per le sorti della gestazione.

            Lo stesso accade quando la donna si reca dal proprio medico di famiglia: la legge dice che, quando si rivolge al medico di sua fiducia, questi compie gli accertamenti sanitari necessari, nel rispetto della dignità e della libertà della donna; valuta altresì con la donna stessa e con il padre del concepito, ove la donna lo consenta, le circostanze che la determinano a chiedere l’interruzione della gravidanza. Ancora una volta, la legge consente al padre di presenziare accanto alla madre, sempreché vi sia il consenso di quest’ultima.

            È chiaro, quindi, che se lui vuole farla abortire e la donna non vuole, quest’ultima non solo può decidere di proseguire la gravidanza, ma addirittura di recarsi presso consultori e strutture sanitarie chiedendo che l’uomo venga estromesso da ogni decisione a riguardo.

Minorenne: può abortire? Abbiamo capito che se lui vuole farla abortire e la donna non vuole, la futura madre può imporre la sua volontà senza possibilità che l’uomo possa opporsi. Tuttavia, è possibile che la decisione della donna incontri un altro ostacolo: quello dei genitori, nel caso in cui ella sia minorenne.  Chi decide se la donna è minorenne? Ebbene, la legge dice che se la donna non ha raggiunto i diciotto anni d’età, per l’aborto è richiesto l’assenso di chi esercita la responsabilità genitoriale o, in assenza, la tutela [articolo 12]. In poche parole, quindi, la minorenne non può decidere da sola senza il consenso dei genitori. Attenzione, però: il consenso è richiesto solamente se la donna ha già intenzione di abortire. Questo significa che, se la donna non vuole interrompere la gravidanza e i genitori, al contrario, sono favorevoli all’aborto, la gestazione proseguirà normalmente, secondo il volere della futura madre.

            Alla regola sopra enunciata, secondo la quale è necessario il consenso dei genitori della minorenne per praticare l’aborto voluto dalla donna, fanno seguito delle eccezioni: innanzitutto, nei primi novanta giorni, quando vi siano seri motivi che impediscano o sconsiglino la consultazione dei genitori, oppure questi, interpellati, rifiutino il loro assenso o esprimano pareri tra loro difformi, il consultorio, la struttura socio-sanitaria o il medico di fiducia presso cui si è rivolta la donna interpella il giudice tutelare territorialmente competente affinché prenda una decisione. Il giudice tutelare, entro cinque giorni, sentita la donna e tenuto conto della sua volontà, delle ragioni che adduce e della relazione trasmessagli dal consultorio o dalla struttura medica, può autorizzarla, a decidere per l’interruzione della gravidanza. In poche parole, se la madre ritenga non opportuno mettere a conoscenza dei propri genitori del suo stato di gravidanza, oppure se questi ultimi prendono decisioni contrastanti, sarà il giudice tutelare a decidere se accogliere o meno la richiesta di aborto.

            Qualora il medico accerti l’urgenza dell’intervento a causa di un grave pericolo per la salute della minore di diciotto anni, indipendentemente dall’assenso dei genitori e senza adire il giudice tutelare, certifica l’esistenza delle condizioni che giustificano l’interruzione della gravidanza. Tale certificazione costituisce titolo per ottenere in via d’urgenza l’intervento e, se necessario, il ricovero.

            Ai fini dell’interruzione della gravidanza dopo i primi novanta giorni, indipendentemente dall’assenso di chi esercita la responsabilità genitoriale o la tutela, alla minore degli anni diciotto può essere praticata l’interruzione di gravidanza quando vi sia un imminente pericolo di vita per la stessa.

            Di conseguenza, nel caso di donna minorenne, avremo queste situazioni:

  • Se i genitori (o, in loro assenza, colui che esercita la tutela sulla minore) sono d’accordo, allora si potrà procedere all’aborto;
  • Se i genitori non prestano il consenso oppure non vengono nemmeno informati per volontà della minore, allora il medico deve avvertire il giudice tutelare affinché decida;
  • Se l’aborto è giustificato da gravi motivi di salute, si procede indipendentemente dall’assenso dei genitori o del giudice tutelare;
  • Stessa cosa nel caso di aborto terapeutico, cioè aborto giustificato dalla salvaguardia della salute della donna incinta: si procede d’urgenza anche senza il consenso dei genitori o del giudice tutelare.

Mariano Acquaviva   La legge per tutti       7 gennaio 2019

www.laleggepertutti.it/260346_se-lui-vuole-farla-abortire-e-la-donna-non-vuole

Gentile sig.ra dr Marina Casini Bandini, presidente Movimento per la vita – MPV

Le allego l’estratto di NewsUcipem n.724.

Vi è una proposta per il mondo cattolico. Ne avevo già parlato a tratti con papà (on dr Carlo Casini), quando ero Presidente dell’UCIPEM. Possiamo confrontarci e poi trattare con la CEI?

Cordialmente                                     Giancarlo Marcone                 12 novembre 2018

file:///D:/Documenti/Dropbox/estratto%20di%20NewsUCIPEM%20n.%20724%20%2021%20ottobre%202018.pdf

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ADOZIONE INTERNAZIONALE

Le adozioni calano ma non crollano più: 1.394 ingressi nel 2018

I dati pubblicati dalla CAI (Commissione Adozioni Internazionali): la Federazione Russa rimane il Paese con il maggior numero di minori adottati (200), seguita dalla Colombia (169), dall’Ungheria (135), dalla Bielorussia (112) e dalla Cina (84). Ad oggi sono 26 su 55 gli enti che hanno pubblicato le statistiche relative agli ingressi del 2018

            Nel 2018 è stato autorizzato l’ingresso in Italia di 1.394 minori. Nel 2017 i minori adottati erano stati complessivamente 1.439, pertanto «nonostante la chiusura e il rallentamento di alcuni Paesi» le adozioni internazionali nel 2018 hanno sostanzialmente “tenuto”. Lo rende noto la Commissione Adozioni Internazionali. In particolare – scrive la CAI – i minori provenienti dall’Europa sono stati 640, dall’Africa 121, dall’America centrale e meridionale 330 e dall’Asia 303. La Federazione Russa rimane il Paese con il maggior numero di minori adottati (200), seguita dalla Colombia (169), dall’Ungheria (135), dalla Bielorussia (112) e dalla Cina (84). Si tratta di un -3% rispetto al 2017.

            Durante il giorno, come ogni inizio gennaio, anche noi eravamo andati a spulciare sito per sito le statistiche pubblicate dagli enti autorizzati, per capire come sono andate le adozioni internazionali nel 2018. Ad oggi, 7 gennaio 2019, sono 26 su 55 gli enti che hanno pubblicato un dato relativo al 2018, nella stragrande maggioranza dei casi aggiornato al 31 dicembre, in alcuni casi parziale. Sommando questi dati parziali risulta che sono certamente stati adottati in Italia non meno di 831 bambini: per 658 di essi gli enti contano i “bambini entrati”, a cui vanno aggiunte 173 “adozioni concluse” e come noto non è raro che una coppia adotti più di un bambino contemporaneamente. Rispetto ai singoli enti, sempre secondo i dati pubblicati online, Cifa risulta quello con più adozioni concluse nel 2018 con 137 minori entrati, seguito da NADIA (82 adozioni concluse), NAAA (67 minori e 58 adozioni), ASA (66 minori), AiBi (53 minori e 44 coppie), International Adoption (44 minori al 5 dicembre 2018). [Istituto La casa 14 (2 Bulgaria, 6 Cile, 6 Colombia)].

            Sara De Carli             Vita.it  7 gennaio 2019

www.vita.it/it/article/2019/01/07/le-adozioni-calano-ma-non-crollano-piu-1394-ingressi-nel-2018/150261

 

Accoglienza in famiglia. Le adozioni internazionali? Piccoli numeri (oltre la crisi)

Nuovi accordi bilaterali, razionalizzazione del sistema, accorpamento degli enti sono i punti chiave di un percorso che potrebbe consentire di reggere alla trasformazione del quadro internazionale

            Anno 2018, sono poco più di mille e trecento (1.394) i bambini diventati italiani grazie all’adozione internazionale. Erano stati 1.446 nel 2017. Più che dimezzati rispetto ai 3.154 del 2011, ma anche le coppie disposte ad adottare sono calate di circa 500 l’anno. Oggi, sulla base delle domande pendenti presso gli enti, le coppie in attesa risultano circa 3.700. Più o meno la metà riuscirà, nel giro di un paio d’anni, a regalare una famiglia a un bambino che non ce l’ha.

Piccoli numeri, certo rispetto agli oltre 5 milioni di coppie senza figli di cui una buona percentuale potrebbe, almeno sulla carta, essere interessata all’adozione. E, soprattutto, di fronte ai 140 milioni di bambini orfani nel mondo (dati Unicef 2016). Ma è inutile stracciarsi le vesti, pochissimi di questi minori arriveranno in futuro nel nostro Paese grazie al sistema dell’adozione internazionale. Sono tanti i motivi – da quelli culturali a quelli di politica internazionale – che sembrano congiurare contro la ripresa delle adozioni, del resto in calo in tutto il mondo, con flessioni ben più rilevanti che non nel nostro Paese. Di fronte a un crollo dell’80 per cento nel mondo occidentale dal 2004 al 2016, in Italia la decrescita si è fermata al 55%. Un calo comunque rilevante.

Così che un gesto d’amore straordinario e responsabile, capace di condensare in sé contenuti profondi di promozione umana e di responsabilità sociale, appare sempre più limitato ad ambiti ristretti, come i circuiti virtuosi dell’associazionismo familiare, dove l’arrivo di un figlio continua a rappresentare un dono e non un diritto. Tantomeno un ‘prodotto’ da acquistare. «In questi ultimi due anni – osserva Laura Laera, vicepresidente della Cai, Commissione per l’adozione internazionale – c’è stata una sostanziale tenuta. I circa 80 bambini in meno arrivati nel 2018 sono legati soprattutto alla decisione di sospendere le adozioni da parte di grandi Paesi come l’Etiopia e la Polonia. Nel frattempo abbiamo ripreso i contatti con la Bolivia. E in altri Paesi, come in Bielorussia, le attività si sono intensificate. Nel 2017 erano stati 29, nel 2018 sono diventati 112». In particolare i minori provenienti dall’Europa sono stati 640, dall’Africa 121, dall’America centrale e meridionale 330 e dall’Asia 303. La Federazione Russa rimane il Paese con il maggior numero di minori adottati (200), seguita dalla Colombia (169 piccolo aumento rispetto al 2017), dall’Ungheria (135), dalla Bielorussia, come detto, (112) e dalla Cina (84).

Piccoli spostamenti che confermano la sostanziale tenuta di una dinamica complessa, che dev’essere costruita e mantenuta efficiente grazie al sistema degli accordi bilaterali. Il prossimo 21 gennaio 2019 la Cai accoglierà una delegazione del Senegal che, dopo aver ratificato la convenzione dell’Aja qualche anno fa, ha messo in piedi anche la struttura per attuare pienamente il trattato e potrà quindi rappresentare uno sbocco interessante per i nostri enti autorizzati. Stesso discorso per il Benin. In aprile sarà la volta della Cambogia. «Il quadro delle adozioni internazionali è questo. Difficile immaginare – riprende la vicepresidente della Cai – che si possa tornare ai livelli di dieci anni fa».

Molti paesi decidono di fermare l’esodo dei minori verso l’estero. E non si tratta neppure di un problema politico. Il governo per ora sta tenendo fede agli impegni. Stanno arrivando i fondi per rimborsare per le spese sostenute dalle famiglie fino al 2017 e anche le strutture della Cai, dopo la stasi relativa al triennio 2014-2106, hanno ripreso a funzionare al meglio. Anche il presidente Conte, durante la sua visita in Etiopia, non ha esitato a ricordare il problema delle adozioni. Per il momento purtroppo senza esito. La Cai continua comunque a tessere la sua tela con contatti, progetti di cooperazione, scambi proficui. «Non credo sia possibile muoversi in altro modo. Siamo di fronte a un quadro internazionale in via di trasformazione – sottolinea Laura Laera – dove cresce il numero dei Paesi che ‘fanno da sé’, che cercano cioè di risolvere il problema dei minori abbandonati con l’adozione nazionale e con l’affido, come abbiamo fatto in Italia a partire dagli anni Settanta. Difficile immaginare cosa succederà in futuro, ma il calo demografico dell’Occidente lascia intravedere scenari abbastanza definiti». La vicepresidente della Commissione Cai da buon magistrato – fino al giugno 2017 era presidente del Tribunale dei minorenni di Firenze – non si abbandona a profezie, ma non è difficile immaginare quello che succederà.

Da una parte il calo delle nascite e quello dei matrimoni, dall’altra la ‘concorrenza’ della fecondazione assistita finirà per restringere sempre di più il numero delle coppie disponibili all’adozione. «Va ricordato che l’adozione non è un diritto – prosegue l’esperta – ma una disponibilità e, insieme un’avventura che può finire bene, e così succede nella maggior parte dei casi, ma può anche avere esiti problematici». Nel frattempo la Cai prosegue anche la sua opera di razionalizzazione degli Enti autorizzati che sono scesi a 55 e, probabilmente entro la fine dell’anno arriveranno sotto quota cinquanta. Un ridimensionamento inevitabile e uno sforzo importante per razionalizzare l’intero sistema.

Luciano Moia             Avvenire         11 gennaio 2019

https://www.avvenire.it/attualita/pagine/le-adozioni-internazionali-piccoli-numeri-oltre-la-crisi

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ADOZIONI INTERNAZIONALI

Bolivia. Riavviata la macchina delle adozioni internazionali

Dopo oltre 10 anni riprendono le adozioni internazionali nel paese sud americano e a Cochabamba una commissione istituzionale avvia un’indagine sulla situazione dei minori adottabili con il fine di ridurre i tempi dei procedimenti di adottabilità nei termini dei 4 mesi previsti per legge.

            Contrariamente a quanto previsto dal Codice del bambino, bambina e adolescente, le procedure di adottabilità richiedono mediamente due anni, fino a oltre 5 anni, come dimostra il caso del piccolo Gabriel esaminato dalla commissione. Arrivato in istituto a cinque mesi, oggi Gabriel ha 5 anni e otto mesi e il suo procedimento di adottabilità non è ancora terminato.

“Siamo intenzionati a verificare le procedure di adottabilità e capire qual è il collo della bottiglia; è necessario abbreviare i tempi burocratici che portano all’adottabilità dei minori in stato di abbandono” ha dichiarato Rociò Molina, presidente dell’Associazioni dei Municipi Boliviani (AMB).

            Diverse le cause del prolungarsi delle procedure di adottabilità individuate dalla Commissione: dall’accanimento nella ricerca dei genitori che hanno abbandonato i loro figli al continuo turnover tra i funzionari della Defensoria de la Niñez (istituzione che interviene nelle procedure di dichiarazione di adottabilità dei minori abbandonati) con gravi ripercussioni sui procedimenti di adottabilità in corso.

“Si perdono mesi nella ricerca dei genitori dei bambini abbandonati” – ribadisce Molina – “In questi casi, invece, le procedure andrebbero abbreviate perché si suppone che non vogliano farsi carico dei figli. Numerosi, poi, i procedimenti di adottabilità bloccati per motivi puramente burocratici mentre i tempo passa per i bambini accolti negli istituti senza che possano esercitare il loro diritto a vivere in famiglia. Un altro problema è il continuo turn over dei funzionari della Defensoria de la Niñez e di riavvio dei procedimenti in corso da zero ad ogni cambio di funzionario. Su 210 funzionari solo 10 sono inseriti stabilmente.”

            Un impegno quello della Commissione di Cochabamba che conferma che, dopo un decennio di fermo, in Bolivia la macchina delle adozioni internazionali si sta lentamente rimettendo in moto. Le prime pratiche depositate risalgono al 2016 e ad oggi già diverse coppie hanno completato l’iter entrando in Italia con i loro bambini.

News Ai. Bi.    7 gennaio 2019

www.aibi.it/ita/riaperte-le-adozioni-internazionali-dopo-ben-10-anni-al-lavoro-per-semplificare-le-procedure

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AFFIDO CONDIVISO

Talvolta il coordinatore genitoriale rende ancora più esasperato e caotico il conflitto fra i genitori.

Tribunale di Bologna Ordinanza 20 dicembre 2018

Nella gestione di rapporti fra genitori non coniugati di un figlio minore nato nel 2015, per individuazione e definizione di provvedimenti del giudice in favore della miglior gestione dello stesso prende atto una diatriba complessa e conflittuale nella quale in breve viene a determinarsi una potenziale confusione di ruoli e competenze che mal si presta al raggiungimento di una serena situazione fra le parti.

Secondo il giudice, la nomina anche di un coordinatore genitoriale, professionista non previsto nel quadro legislativo vigente, chiesta dalla parte ricorrente, sarebbe non determinante e potenzialmente dannosa perché moltiplicherebbe gli strumenti decisionali ingenerando confusione. Pertanto non viene disposta la nomina dello stesso.

Osservatorio nazionale sul diritto di famiglia         10 gennaio 2019

www.osservatoriofamiglia.it/contenuti/17507948/talvolta-il-coordinatore-genitoriale-rende-ancora-pi%C3%B9-esasperato-e-caotico-il-co.html

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ANONIMATO

Torino, viene abbandonato un bimbo al mese. Sono i «figli della città»

Nascono con il parto in anonimato, vengono affidati prima all’ospedale e poi al Comune. Ne sono nati 12 nell’anno appena concluso, soltanto a Torino. Bambini che vengono alla luce in ospedale, da madri che non possono o non vogliono riconoscerli. Sono loro i bimbi abbandonati del secondo millennio, che poi abbandonati davvero non sono. Nascono con il «parto in anonimato», uno strumento giuridico che permette alle madri di rimanere segrete. Donne che quasi mai cambiano idea al momento della nascita, anche se la legge consente di ripensarci, affidando di fatto il figlio prima all’ospedale e poi alla Città.

Ma non più costrette a partorire da sole e a lasciare il neonato chissà dove. Di qualunque nazionalità siano, il loro bambino è per definizione italiano ed è adottabile da subito non appena il Tribunale per i minorenni emana il provvedimento di adottabilità.

«Nello stesso momento in cui nasce un bambino non riconosciuto, il Comune ne assume in automatico la tutela e se ne occupa — spiega Enzo Genco, responsabile del servizio Minori e Famiglie della divisione Servizi sociali, che dal 1991 si occupa di questi bambini —. L’ospedale ne fa immediata segnalazione alla Procura presso il tribunale per i minorenni di Torino e al nostro ufficio, dopo di che parte una procedura ben precisa che termina con l’affidamento ad una famiglia per la sua adozione, di solito entro il 20esimo giorno di vita».

Ma prima di arrivare a questo punto, alle donne viene offerta un’altra possibilità. Il Piemonte è l’unica regione italiana ad aver previsto una legge, la n. 16, 2 maggio 2006, a tutela di chi è in gravidanza ed è ancora in dubbio se procedere con il parto in anonimato o riconoscere il nascituro. A volte l’aiuto viene accettato con l’inserimento presso una casa di ospitalità, altre no.

://arianna.consiglioregionale.piemonte.it/ariaint/TESTO?LAYOUT=PRESENTAZIONE&TIPODOC=LEGGI&LEGGEANNO=2006&LEGGE=016

            Chi arriva ad affidare un figlio all’ospedale ha sempre alle spalle una storia drammatica. Nel 30-40% dei casi sono italiane, per il resto arrivano dall’Est Europa, dal Nord Africa, dal Sud America. «Si tratta di donne maltrattate, abusate, ingannate, con malattie psichiatriche oppure minorenni o emigrate arrivate qui con la speranza di rifarsi una vita e poi sfruttate — racconta Enzo Genco —. Per fortuna i numeri in città non sono altissimi, anche se oscillano a seconda degli anni: nel 2012 sono stati 20 i bambini non riconosciuti, di cui 5 con gravissima disabilità, mentre nel 2015 sono stati 4».

Quando si manifesta o si conferma la volontà di non riconoscere, chi ha assistito al parto, l’ostetrica o il medico, va all’anagrafe e denuncia la nascita di un bambino nato da «donna che non vuole essere nominata»: figlio di n.n. L’ufficiale di stato civile sceglie per lui o per lei un nome di fantasia, che non deve in alcun modo essere rivelatore dello stato di abbandono. Non esistono più i «Diotallevi» o gli «Esposito», attribuiti un tempo ai trovatelli. Oggi il cognome si sceglie scorrendo, ad esempio, la rubrica del telefono, tanto è provvisorio. Nel momento stesso in cui il bambino sarà adottato, lo cambierà acquisendo il cognome della famiglia adottiva. Il nome di battesimo invece di solito resta, un nome il più possibile normale. Al Sant’Anna alcune bambine sono state chiamate Anna, l’importante è che non vi sia alcuna correlazione con le generalità della madre. Il Comune ha la loro tutela, sono figlie e figli della città.

L’assessora al Welfare Sonia Schellino è tutrice al momento di circa 3-400 ragazzini, tra minori non accompagnati o per diversi motivi senza la tutela dei genitori. Ma i «non riconosciuti» sono casi speciali e tutto va molto veloce perché hanno diritto ad una famiglia così come sancito dalle nostre leggi. La procura segnala la nascita al tribunale dei minori che chiede tutti gli accertamenti sanitari (indagini diagnostiche) previsti per queste situazioni, procede con il provvedimento di adottabilità e poi abbina il bambino con una coppia adottiva tra quelle della banca dati tenuta dall’ufficio adozioni del tribunale stesso. È questione di pochi giorni, poi la vita può cominciare con quella famiglia che diventerà la sua. Senza mai passare per la cesta lasciata, in altri tempi, davanti alla chiesa.

Chiara Sandrucci       Corriere della sera    gennaio 2019

https://torino.corriere.it/cronaca/19_gennaio_07/torino-viene-abbandonato-bimbo-mese-sono-figli-citta-5388d306-1257-11e9-8e32-62f2e5130e0b.shtml?refresh_ce-cp

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CASA CONIUGALE

Separazione: la casa coniugale può andare al figli

Ti sei appena separato e sta per iniziare la solita, triste battaglia sulla custodia del figlio. Vorresti che restasse con te ma, come prevedibile, anche il tuo ex coniuge pretende lo stesso. Se non riuscirai ad ottenere la piena custodia, ti auguri almeno che il giudice decida di affidarlo un po’ a ciascuno, in modo che il ragazzo non perda il contatto con nessuno. Questo, ovviamente, comporta per tuo figlio avere lo zainetto sempre pronto per passare un periodo di tempo in casa di ciascun genitore. Ora, però, le cose potrebbero ribaltarsi: ad avere la valigia piena potrebbero essere la mamma e il papà. A deciderlo, con una recente sentenza già definita negli ambienti legali «straordinaria», è stato il Tribunale di Matera, assegnando in un caso di separazione la casa coniugale al figlio. Che significa? Significa che il ragazzo non dovrà mai spostarsi dalla sua abitazione: saranno i genitori a fare la staffetta.

            La sentenza prevede anche la divisione al 50% delle spese, degli obblighi verso il minore ma anche dei diritti. Il tutto, ovviamente, in un contesto di separazione consensuale e di omologazione, cioè di un accordo tra le parti in cui si ritiene di privilegiare l’interesse del minorenne e non le esigenze dei grandi. Così, in caso di separazione, la casa coniugale può andare al figlio, il quale non perderà il punto di riferimento, per così dire, logistico e ambientale che ha sempre avuto. E non perderà nemmeno il contatto con i genitori: a turno, una settimana o 10 giorni ciascuno (quello che decideranno davanti al giudice) andranno nella casa dove fino a quel momento hanno vissuto tutti insieme per stare con il figlio. È quello che si chiama o che si vorrebbe chiamare – bigenitorialità perfetta, perseguita anche da un contestatissimo disegno di legge noto come Ddl Pillon sull’affido condiviso.

Separazione: casa coniugale al figlio e niente assegno. La sentenza del Tribunale di Matera, dunque, può cambiare il modo in cui oggi si decide l’affidamento dei minori ai genitori in caso di separazione. Ciò che è stato concordato, infatti, è che la casa coniugale resti al figlio e che siano i genitori a turno a trasferirsi in quell’abitazione per vivere con il ragazzo. In questo caso, ogni genitore dovrà passare una settimana con il proprio figlio. Sarà tenuto anche a pagare il suo 50% di spese e di costi per vivere (cibo, riscaldamento, corrente elettrica, tasse, vestiti, ecc.).

            Non sarà, dunque, il ragazzo a doversi spostare di qua e di là per trascorrere un po’ di tempo con papà e mamma ma dovranno essere questi ultimi a farsi un trolley una volta ogni 15 giorni ed a trasferirsi dal figlio per una settimana. E, soprattutto, dovranno cercarsi un posto dove vivere a settimane alterne.

            Siamo, infatti, abituati a vedere come i figli restano nella casa coniugale con uno dei genitori, quello collocatario. Il quale, proprio in virtù dell’affidamento che gli è stato fatto, acquisisce il diritto di restare in quell’abitazione con il ragazzo, anche se non è il proprietario dell’immobile. L’altro genitore può recarsi in quella casa a trovare il figlio in base ad un calendario di frequentazione oppure, sempre in base alle date stabilite, può prelevarlo e portarlo a casa sua per un periodo di tempo.

            Questa sentenza, invece, ribalta il concetto. La casa non viene assegnata al genitore collocatario ma al figlio. Entrambi i genitori, quindi, hanno gli stessi diritti di abitazione in quell’immobile. Solo che dovranno farlo a turno, mentre invece il ragazzo da lì non si sposta. Lo scopo dichiarato dal giudice è doppio: da una parte, permettere al figlio di sviluppare un rapporto armonico con i genitori e, dall’altra, ridurre se non addirittura evitare del tutto i conflitti sul diritto all’uso della casa coniugale. Metà per uno e non si discute.

            Con questa decisione si risolve anche il problema dell’assegno di mantenimento per il figlio. Ciascuno dei genitori con redditi equivalenti, infatti, nel periodo in cui vive con il figlio deve badare direttamente alle spese quotidiane. Quelle straordinarie, invece (la caldaia che si rompe o il vestiario del figlio), si dividono al 50%.

Come si diceva, c’è chi vede la sentenza del Tribunale di Matera come un’anticipazione del Ddl Pillon, il disegno di legge sull’affidamento condiviso presentato ad agosto alla commissione Giustizia del Senato dal parlamentare della Lega Simone Pillon e che ha suscitato molte polemiche con manifestazioni di protesta in più di 100 città italiane. Che cosa prevede questo Ddl in caso di separazione? E perché la sentenza che ha assegnato la casa coniugale al figlio anticipa in qualche modo questo provvedimento?

            Il disegno di legge mira a garantire l’affido condiviso, il mantenimento diretto del figlio e la bigenitorialità, attraverso la riforma del diritto di famiglia. Vediamo che cosa prevede.

Una delle riforme previste dal Ddl Pillon è quella dell’articolo 337-ter del Codice civile. Impone che, in caso di separazione, il figlio debba trascorrere lo stesso tempo con ciascuno dei genitori, tranne in quei casi in cui sia materialmente impossibile. Il minore, dunque, al di là del rapporto mantenuto dal padre e dalla madre, deve mantenere una relazione equilibrata e continuativa con entrambi. Gli viene riconosciuto il diritto a ricevere da ognuno di loro ed in modo paritetico la cura, l’educazione, l’istruzione e l’assistenza morale e materiale.

            A tal fine il figlio deve trascorrere almeno 12 giorni al mese, compresi i pernottamenti, con ciascuno dei genitori. A differenza da quanto stabilito dal Tribunale di Matera, però, il Ddl Pillon contempla senza alcuna deroga il doppio domicilio del figlio nelle case dei genitori e non l’assegnazione della casa coniugale al minore.

            Se la casa di famiglia è cointestata ai genitori, chi ci resta deve corrispondere un canone a chi se ne va. Oltretutto, non ci può vivere chi:

  • non è il proprietario dell’abitazione;
  • non ha uno specifico diritto di usufrutto, di uso, di abitazione, di comodato o di locazione;
  • non abita o cessa di abitare stabilmente nella casa coniugale;
  • contrae un nuovo matrimonio.

Il figlio, dunque, non avrà più la possibilità di scegliere con quale dei due genitori convivere e che cosa fare con loro, poiché sarà costretto a stare lo stesso tempo con entrambi e ad accettare le attività fissate dal piano genitoriale definito con il giudice. E questo è uno dei motivi di polemica sul testo del senatore leghista: la negazione di questo diritto sarebbe in contrasto con le convenzioni internazionali e con la Costituzione italiana, secondo cui il minore deve essere ascoltato circa le sue volontà.

Altra modifica introdotta dal Ddl Pillon sull’affido condiviso è quella che riguarda l’articolo 706 del Codice di procedura civile e, in particolare, l’obbligo di avviare un percorso di mediazione familiare in caso di separazione prima di arrivare da un giudice, anche in caso di violenza domestica e senza un avvocato. Il disegno di legge istituisce un apposito albo di mediatori privati Il che significa altre spese per chi decide di porre fine alla convivenza), i quali, insieme alla famiglia, stabiliscono il piano genitoriale per la gestione condivisa del figlio minorenne. Questo piano prevede i luoghi che il ragazzo può frequentare abitualmente, la scuola ed il percorso formativo, le attività extrascolastiche e le vacanze.

            Dicevamo delle maggiori spese. La mediazione, infatti, prevede che sia gratuita solo la prima seduta, mentre tutte gli altri appuntamenti dovranno essere a pagamento. Significa, secondo i detrattori del Ddl, che verrà meno il diritto sancito dalla Convenzione di Istanbul di vietare la mediazione con soluzioni alternative al tribunale. Inoltre, l’esclusione di un avvocato sarebbe equiparabile alla negazione del diritto alla difesa.

Su questo aspetto, il Ddl Pillon propone qualcosa di simile rispetto alla sentenza del Tribunale di Matera che ha assegnato la casa coniugale al figlio in un caso di separazione. In pratica, ed in virtù del tempo paritetico trascorso dal figlio con ciascun genitore, viene abolito l’assegno di mantenimento. Padre e madre dovranno farsi carico a parti uguali delle spese ordinarie e straordinarie in proporzione al reddito di ciascuno di loro e d’accordo con il piano genitoriale deciso insieme al mediatore.

Carlos Arija Garcia  La legge per tutti       9 gennaio 2019

www.laleggepertutti.it/260132_separazione-la-casa-coniugale-puo-andare-al-figlio

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CENTRO INTERNAZIONALE STUDI FAMIGLIA

Newsletter CISF – n. 1, 09 gennaio 2019

Progetto vela. Interventi a favore delle persone con disabilità. Convegno nazionale a Cuneo

https://vimeo.com/304332792

Sabato 1 dicembre 2018 la rete di Orizzonte Vela – gli enti gestori dei servizi socio-assistenziali e le aziende sanitarie locali, le associazioni di genitori e di volontariato, le cooperative sociali e la scuola polo per la disabilità della provincia di Cuneo – a pochi giorni dalla giornata internazionale delle persone con disabilità, ha raccontato il percorso realizzato in due anni di attività del progetto, promosso dalla Fondazione CRC, per rispondere alle esigenze delle persone con disabilità intellettiva e delle loro famiglie.

www.fondazionecrc.it/index.php/promozione-e-solidarieta-sociale/orizzonte-vela

Valutare l’impatto delle politiche familiari. Una proposta innovativa. Il 16 gennaio 2019 a Castelnuovo del Garda (Verona) verrà presentato al pubblico (h. 17.00-19.00) il recente volume Il Family Impact. Un approccio focalizzato sulla famiglia per le politiche e le pratiche (Vita e Pensiero, Milano, 2018, pp. 210, € 18,00, a cura di Belletti Francesco, Bramanti Donatella, Carrà Elisabetta).

http://newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/attachments/newscisf0119_allegato1.jpg

L’evento è organizzato dalla locale Amministrazione Comunale, in collaborazione con il Cisf, con il Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia dell’Università Cattolica. Nell’evento verranno presentate le principali caratteristiche di una metodologia di valutazione ampiamente consolidata negli Stati Uniti (il Family Impact Lens), sul tipo di impatto che le scelte politiche possono avere sul benessere delle famiglie. Oltre agli amministratori locali, interverranno Stefania Ridolfi, per il Forum delle associazioni familiari e per AFI (Associazione Famiglie Italiane), il Direttore del Cisf, Francesco Belletti, e la prof.ssa Donatella Bramanti, sociologa, professore ordinario dell’Università Cattolica e membro del Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia. In tale occasione verrà inoltre presentata una sperimentazione del Family Impact, che verrà avviata nel 2019 a Castelnuovo del Garda su alcune attività dell’Amministrazione Comunale, in collaborazione con Cisf e Centro di Ateneo Studi e ricerche sulla Famiglia dell’Università Cattolica.

www.sanpaolostore.it/family-impact-belletti-9788834336588.aspx?Referral=newsletter_cisf_20190109

Ufficio valutazione impatto del senato – prime attività. La cultura della valutazione dell’impatto delle politiche sta lentamente crescendo nel Paese.          www.senato.it/4783?testo_generico=1416

Nel 2015 (potremmo dire anche “solo nel 2015”) è stato istituito uno specifico Ufficio Valutazione Impatto presso il Senato della Repubblica, che ha recentemente pubblicato un Report sulle sue molteplici attività nei primi due anni. I materiali sembrano descrivere un impegno rilevante, per un supporto al policy making istituzionale di cui c’è certamente bisogno, per uscire da logiche solo burocratico- amministrative o ideologiche, e sviluppare una valutazione e una programmazione fondata sui fatti (“evidence-based”)

www.senato.it/application/xmanager/projects/leg18/attachments/documento/files/000/029/045/Report.pdf

Pallavolo, bellezza e disagio mentale. Un incrocio imprevisto. “Non ho mai più guardato allo sport con gli occhi di prima, dopo quei mesi. Avevo imparato che la bellezza di ciò che ci circonda incide sul nostro comportamento” (Mauro Berruto – Avvenire, 5 dicembre 2018).

www.avvenire.it/rubriche/pagine/la-miglior-lezionedalla-peggior-squadra

Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile                                    www.unric.org/it/agenda-2030

v  “È un programma d’azione per le persone, il pianeta e la prosperità sottoscritto nel settembre 2015 dai governi dei 193 Paesi membri dell’ONU. Essa ingloba 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile”. È utile, all’inizio del 2019, consentire la lettura diretta – alla fonte – del testo integrale della Risoluzione adottata dall’Assemblea Generale il 25 settembre 2015, 70/1, “Trasformare il nostro mondo: l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile”, con i 17 obiettivi indicati dall’Agenda in modo da poter comprendere meglio, nel dettaglio, a quale orizzonte valoriale e a quali priorità operative si fa riferimento quando si parla di Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, formula troppo spesso utilizzata come semplice slogan.                           www.unric.org/it/images/Agenda_2030_ITA.pdf

Cina: il matrimonio nudo (naked marriage).  L’espressione “matrimonio nudo” è diventata popolare negli ultimi tempi tra i Cinesi che navigano in rete, e vuole indicare chi si sposa senza una casa, senza un automobile, senza lo scambio degli anelli e senza una specifica cerimonia nuziale. “Bastano una foto e un certificato di matrimonio”

https://lifestyle.inquirer.net/318801/chinese-terminology-naked-marriage

Empori solidali in Italia, prima ricerca promossa da Caritas Italiana e da CSV-Net (rete nazionale dei Centri di Servizio per il Volontariato), dicembre 2018 su una forma innovativa di sostegno alle persone fragili. “Al 25 novembre 2018 è stato possibile rilevare la presenza di 178 empori solidali attivi in tutte le regioni Italiane, ad eccezione del Molise […] I dati complessivi raccolti sui beneficiari per tutto l’arco di attività, dall’apertura (il primo è stato aperto nel 1997, oltre 100 dal 2016 in poi) al 30 giugno 2018, e in particolare quelli relativi all’età delle persone aiutate, consentono di stimare che su oltre 325.200 persone assistite da 177 empori rispondenti, il 5,4% è costituito da neonati (entro l’anno d’età) e ben il 22% da minori di età compresa tra 1 e 15 anni”

www.csvnet.it/phocadownload/pubblicazioni/Rapporto%20empori%20solidali.pdf

“In SOStanza”. Un concorso nelle scuole superiori. Il progetto “La Bussola – Strumenti e risorse per navigare Informati”, realizzato con il contributo della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento delle politiche antidroga (Dpa), mira a far crescere la consapevolezza sui rischi connessi all’uso di internet in tema di dipendenze e acquisto online di sostanze.

www.labussolapernavigare.it/GetMedia.aspx?utm_source=newsletter&utm_medium=newsletter_cisf&utm_campaign=newsletter_cisf_09_01_2019&id=ade830d1238d4ba1b3ccaf5623593dcf&s=0

Attraverso il concorso si intende valorizzare le competenze e il “punto di vista” dei ragazzi, per favorire un dialogo sul tema di rischi insiti nei media digitali, in particolare nell’acquisto delle droghe online. Possono partecipare tutte le classi delle Scuole Secondarie di I grado e di II grado italiane, statali e paritarie, che potranno inviare un solo elaborato, scegliendo tra diversi strumenti: un breve video (musicale, di realtà, di animazione etc), app, galleria di immagini, e una presentazione (in PowerPoint o Prize). Scadenza per le iscrizioni: 15 febbraio 2019. Scadenza per la consegna degli elaborati: 28 febbraio 2019.

www.labussolapernavigare.it/page/a9126f70-e3da-4ee6-9d62-55dbf33aa618

Piacenza. Corso triennale di consulenza della coppia e della famiglia.

Inizia il 12-13 gennaio 2019 a Piacenza un corso triennale, promosso dal Centro di consulenza familiare psicopedagogica e relazionale di Bologna, in collaborazione con l’Associazione Nazionale Famiglie Numerose. “Il corso si propone a tre livelli: crescita personale, formazione al volontario socio educativo, conseguimento del diploma di consulente familiare. Corso riconosciuto AICCEF.

L’iscrizione può essere compilata e spedita via mail a: info@consulenzafamiglia.it.

Una dettagliata spiegazione delle caratteristiche e dei contenuti del percorso è contenuta nel video.

www.consulenzafamiglia.it/Multimedia/ANFN%20FORMAZIONE%205%20minuti%20Promozionale.mp4

Dalle case editrici

  • Vita e Pensiero, Il Family Impact. Un approccio focalizzato sulla famiglia per le politiche e le pratiche, Belletti F., Bramanti D., Carrà E. (a cura di)
  • Cantagalli, Perché non mi definisco gay. Come mi sono riappropriato della mia realtà sessuale e ho trovato la pace, Mattson D. C.
  • Astrolabio, Adolescenti in crisi, Quagliata E. (a cura di)
  • Servidori Alessandra, Maiani Barbara, Cafagna Anna, La conciliazione fra tempi di vita e di lavoro, Giuffrè Editore, Milano, 2017, pp. 245, € 25,00. […] il testo analizza le misure da mettere in campo affinché i provvedimenti da adottare rispondano alle reali esigenze dei lavoratori, delle famiglie, delle aziende e del mercato del lavoro, con particolare attenzione alla cosiddetta conciliazione (o meglio ancora bilanciamento tra i tempi di vita e di lavoro). […] Il volume dedica anche due capitoli per gettare uno sguardo agli altri Paesi europei e alle direttive comunitarie, nonché al potenziale impatto della legge sulle unioni civili (la cosiddetta “legge Cirinnà”).

http://newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/attachments/newscisf0119_allegatolibri.pdf

Save the date

  • Nord   Il corpo… ci arriva prima. Importanza della dimensione corporea nelle famiglie adottive, seminario per genitori adottivi, coppie in attesa di adozione ed operatori promosso dal CTA, Milano, 9 febbraio 2019. www.centrocta.it/il-corpo-ci-arriva-prima-seminario-cta-per-genitori-adottivi-e-operatori
  • Nord   Talenti senza età. Donne e uomini over50 e il lavoro, promosso da Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia,

 https://centridiateneo.unicatt.it/centro_di_ateneo_studi_e_ricerche_sulla_famiglia

in collaborazione con l’Associazione di Imprese Valore D,                                        https://valored.it/

Milano, 17 gennaio 2019.         http://newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/attachments/newscisf0119_allegato2.pdf

    • Centro Sono Adulto! Disabilità. Diritto alla scelta e progetto di vita, convegno internazionale proposto dal lavoro di un gruppo di esperti coordinato dalla Ricerca&Sviluppo Erickson, Rimini, 8-9 marzo 2019.
    • Sud      La Consulenza sociale integrata nelle crisi familiari, intervento formativo (VI edizione) proposto dall’’Istituto di Ricerche e Formazione Integrata L’Esperide, Reggio Calabria, 17 gennaio 2019.    www.cnoas.it/cgi-bin/cnoas/vfile.cgi?i=CCXCRCVLSSMCLCURYFFVSB&t=brochure&e=.pdf
  • Estero Embracing a changing culture: best practices for Arizona Families (Abbracciare una cultura in cambiamento: buone pratiche per le famiglie in Arizona), 38.a Conferenza Annuale dell’AFCC (Association of Family and Counciliation Courts), Sedona Bell Rocks – Arizona (USA), 25-27 gennaio 2019.         http://azafcc.rg/wp-content/uploads/2018/12/2019-Brochure_FINAL.pdf
  • Estero D’Œdipe à Télémaque: du Père au papa, figures et fonctions (Da Edipo a Telemaco: da padre a papà, immagini e funzioni), incontro con Jean-Pierre Durif-Varembont, Istituto di Scienze per la Famiglia, Università Cattolica di Lione, Lione, 25 gennaio 2019.

www.ucly.fr/agenda-de-l-ucly/conference-d-dipe-a-telemaque-du-pere-au-papa-figures-et-fonctions-225207.kjsp?RH=1442823158173

         http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/newsletter-cisf.aspx

Archivio        http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/elenco-newsletter-cisf.aspx

http://newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/gennaio2019/5105/index.html

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CONSULENZA COPPIA E FAMIGLIA

                                    Come può un minore chiedere aiuto ad uno psicologo?

Quando serve il consenso dei genitori per la consulenza di un professionista.

Come funziona l’assistenza nel consultorio familiare e a scuola.

            «Né carne né pesce», si diceva una volta dell’adolescente. Non è più un bambino ma nemmeno è adulto. Forse per questo la fase dell’adolescenza è una delle più difficili da attraversare per ogni giovane: si avverte che qualcosa è cambiato, ma non si riesce a dare la giusta dimensione a questo mutamento. E si ha la sensazione di non essere capiti dai grandi, neppure dai genitori. L’adolescenza è un periodo in cui si soffre per le prime cotte non sempre corrisposte, per non essere accettati dal gruppo come si vorrebbe, perché si è insoddisfatti del proprio corpo. O per la propria essenza, a volte difficile da comprendere anche per l’adolescente stesso. Tutto ciò porta, inevitabilmente, ad uno stato di sofferenza che, in alcuni casi, può portare ad una grave crisi esistenziale. Per uscire dalla quale qualche volta c’è bisogno di un intervento esterno. Ma come può un minore chiedere aiuto ad uno psicologo?

            Il problema (o uno dei problemi) è che non esiste una ricetta unica per curare il «mal d’adolescenza», se vogliamo chiamarlo così. Ogni giovane, infatti, reagisce a questa fase di cambiamento in maniera diversa. Ognuno, ad esempio, elabora a modo suo un lutto o la separazione dei genitori con l’inevitabile allontanamento fisico di uno di loro dalla famiglia. Così come vive a modo suo un fallimento a scuola o una situazione così particolare come una gravidanza inattesa. Se poi c’è un rapporto conflittuale con il padre e con la madre, per non sprofondare nella depressione e capire come recuperare sé stesso ha bisogno di un punto di riferimento esterno, come uno psicologo. E la domanda che si pone è sempre quella: come può un minore chiedere aiuto ad uno psicologo? La legge agevola in qualche modo l’approccio di un ragazzino ad un professionista di cui non sa nulla ma al quale raccontare i suoi problemi ed il suo stato d’animo? Ed il tutto senza che i genitori ne sappiano nulla?

            Perché anche questo è un problema non indifferente: come fare a convincere un adolescente a confidarsi con uno sconosciuto senza dire alcunché ai genitori? Lo può fare o ha bisogno del consenso di almeno uno dei due, anche se sono separati?

Chiedere aiuto allo psicologo: il consenso dei genitori. La normativa vigente sui minori prevede che un minore si possa rivolgere ad uno psicologo solo con il consenso di entrambi i genitori. La consulenza del professionista verso i ragazzini, infatti, viene considerata a tutti gli effetti un atto di straordinaria amministrazione. Pertanto, si richiede il consenso sia della madre sia del padre, cioè di chi ha la responsabilità genitoriale. Il Codice civile, infatti [Art. 337-ter cod. civ.], stabilisce che tale responsabilità è esercitata da entrambi i genitori. E che le decisioni di maggiore interesse per i figli devono essere prese di comune accordo, tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei ragazzi. In caso di conflitto, sarà un giudice a decidere eventualmente che la responsabilità genitoriale venga esercitata separatamente. Da ciò si deduce che se uno dei due ha perso per decisione di un giudice tale facoltà, spetta a chi l’ha mantenuta dare il proprio consenso affinché il minore possa chiedere aiuto allo psicologo.

            Questo concetto viene ribadito nel codice deontologico degli psicologi, come riporta il portale italiano di riferimento per la consulenza psicologica.                                                       www.psicologionline.net.

Questo codice, infatti, sancisce che «le prestazioni professionali a persone minorenni o interdette sono, generalmente, subordinate al consenso di chi esercita sulle medesime la potestà genitoriale o la tutela» [Art. 31 codice deontologico psicologi].

Le eccezioni al consenso genitoriale. Può capitare, però, che uno psicologo venga a conoscenza di una determinata e grave situazione che interessa un minore e che i genitori del ragazzo non vogliano dare il loro consenso per una consulenza. Che succede in questi casi?

            Il professionista che, comunque, ritiene necessario un intervento ed un trattamento nei confronti del giovane può farlo ma solo dopo averne informato l’autorità che tutela i minori.

            Non è necessario il consenso dei genitori per chiedere aiuto allo psicologo nemmeno quando la consulenza viene determinata da un giudice competente oppure quando avviene all’interno delle strutture predisposte dalla legge.

Che succede se i genitori sono separati? Il fatto che due genitori siano legalmente separati non esclude che debbano essere entrambi a dare il consenso quando il minore chiede aiuto allo psicologo. Non a caso, se – ad esempio – la madre si reca presso lo studio del professionista chiedendo una consulenza per il figlio, lo psicologo la inviterà a ritornare con il padre del ragazzo (se esercita ancora la potestà genitoriale su di lui) per acquisire il relativo consenso.

Se, invece, la consulenza è già iniziata ed uno dei due genitori manifesta successivamente il proprio dissenso, le sedute con il minore dovranno essere sospese.

            Può succedere, però, che uno dei due genitori sia impossibilitato, per vari motivi, a recarsi presso lo studio dello psicologo per fornire il proprio consenso. In questo caso, dovrà rivolgersi al giudice tutelare per ottenere la dovuta autorizzazione a procedere alla consulenza.

Per quanto riguarda le richieste di certificazione, invece, ciascuna dovrà essere firmata da entrambi i genitori. In caso di separazione legale, la documentazione dovrà essere rilasciata in duplice copia (una per ciascun genitore).

            La firma di entrambi viene richiesta anche sul consenso informato, che dovrà essere sottoscritto alla presenza del professionista a meno che ci sia una decisione di un giudice che stabilisca il contrario. Può capitare, infatti, che il magistrato competente autorizzi la consulenza psicologica nei confronti di un minore anche se uno dei due genitori ha manifestato il proprio dissenso.

Che succede in caso di affidamento? E se il minore che chiede aiuto allo psicologo non è figlio naturale dei genitori con cui vive ma è stato dato in affidamento esclusivo? Anche in questo caso la legge vuole l’intervento di entrambi, a tutela dell’interesse del ragazzino e del suo diritto di ricevere assistenza ed educazione da parte sia del padre sia della madre.

            Anche in questo caso, però, c’è un’eccezione e riguarda il cosiddetto «affidamento super esclusivo». Si tratta di quello che lascia nelle mani del genitore affidatario ogni potere decisionale riguardante il minore e che, quindi, toglie all’altro genitore la facoltà di deliberare alcunché. Se quest’ultimo, dunque, si oppone alla consulenza psicologica, lascerà il tempo che trova: la sua decisione non produrrà alcun effetto legale.

            Il consenso manifestato dai genitori può essere revocato in qualsiasi momento: significa che, in questo caso, lo psicologo dovrà sospendere la consulenza in mancanza dell’approvazione del padre o della madre.

Chiedere aiuto allo psicologo: che succede se uno dei genitori si oppone? Fin qui, dunque, abbiamo visto che (a meno di situazioni eccezionali in cui interviene un giudice) un minore può chiedere aiuto allo psicologo solo con il consenso di entrambi i genitori. Ma che succede se uno dei due si rifiuta, forse pensando che il figlio non ha bisogno di un estraneo per risolvere i suoi problemi?

            Ecco, la prima cosa da fare in questo caso è partire proprio da qui: dal fornire al genitore che rifiuta la consulenza il motivo per cui il minore chiede aiuto e la terapia si rende necessaria per il suo benessere fisico ed emotivo. Parlare, quindi, con il genitore che nega il consenso, dunque, è il punto di partenza per capire se è disposto a cambiare idea o, al contrario, se non sarà mai disposto a cedere.

            In quest’ultimo caso, cioè se il genitore dissenziente appare irremovibile, l’altro genitore può chiedere un parere ad un avvocato, per valutare l’opportunità di rivolgersi eventualmente all’autorità giudiziaria ed ottenere un provvedimento di autorizzazione a procedere. Come abbiamo visto prima, infatti, la decisione del giudice prevale sul mancato consenso di uno dei genitori.

Chiedere aiuto allo psicologo: il consultorio familiare. Quando un minore avverte la necessità di chiedere aiuto allo psicologo, non vuol dire che sia costretto a recarsi ogni volta nel suo studio che, magari, immagina troppo serioso, pieno di libri e con la classica poltrona sulla quale sdraiarsi per raccontare i suoi problemi. Ci sono delle alternative come il consultorio familiare, cioè l’ufficio messo a punto dalle Asl {e da Enti privati autorizzati art. 2, lettera b) L. n. 405, 29 luglio 1975} per accogliere chi ha bisogno di questo tipo di prestazione sanitaria (perché di quello si tratta: di una prestazione per migliorare uno stato di salute non per forza fisico). Per fare questo percorso in un consultorio familiare ci vuole, comunque, il consenso di entrambi i genitori.

Gli operatori della struttura, compreso lo psicologo, sono tenuti a mantenere il segreto professionale. Significa che nessuno verrà a sapere ciò che il minore racconterà al professionista, il che metterà il ragazzo maggiormente a suo agio.

Il minore può recarsi al consultorio da solo? Come abbiamo più volte ribadito, affinché il minore possa avere la consulenza di uno psicologo ci deve essere il consenso dei genitori. Ciò non impedisce al ragazzo, però, di recarsi al consultorio familiare la prima volta in maniera autonoma, cioè da solo, per avere un parere iniziale sulla sua situazione personale. Questo consulto è gratuito. Quindi, in assenza dei genitori, la legge prevede la possibilità per lo psicologo di effettuare una singola seduta di consulenza con il minore, considerando quest’ultima come un singolo atto di ordinaria amministrazione. Si tratta, infatti, di una previsione finalizzata a tutelare il ragazzino. Tuttavia, lo psicologo non potrà in quell’occasione somministrare al minore alcunché né redigere una relazione su quanto emerso nel corso della seduta: ciò è vietato in assenza di un consenso esplicito di entrambi i genitori. In altre parole, il professionista non può fare una relazione in assenza del consenso di entrambi o di uno solo dei genitori perché violerebbe il codice deontologico. Cosa che non farebbe, però, se utilizza in giudizio una relazione redatta in precedenza con il consenso di entrambi i genitori (anche se presentata soltanto da uno di loro).

            Lo psicologo può soltanto – e se richiesto – rilasciare una mera certificazione della singola seduta di consulenza nei confronti del minore, senza però esprimere dei pareri clinici o alcun tipo di diagnosi.

            Come accennato in precedenza, può succedere che il professionista avverta il rischio un grave danno per la salute psicologica del minore e ritenga necessarie delle prestazioni nei suoi confronti, ma non disponga del consenso di entrambi i genitori.

In questo caso può informare l’autorità tutoria competente, ovvero il giudice tutelare e il presidente del Tribunale per i minorenni. Si tratta di una possibilità residuale, che può essere utilizzata in via eccezionale e adottando un atteggiamento estremamente prudente.

Chiedere aiuto allo psicologo a scuola. L’altra alternativa per il minore che chiede aiuto allo psicologo è quella di avere una consulenza nell’ambiente che conosce di più: la scuola che frequenta. Qui, però, bisogna distinguere due situazioni diverse: che ci sia professionista all’interno dell’istituto scolastico o che non ci sia.

            Nel primo caso, lo psicologo viene inserito attraverso un progetto di psicologia scolastica, all’interno del quale si definiscono degli obiettivi da realizzare durante l’anno. Tale progetto (noto come Pof) viene comunicato ai genitori e da loro visionato e sottoscritto al momento dell’iscrizione a scuola del ragazzo.

Pertanto, quando il minore chiede aiuto allo psicologo si potrebbe escludere la necessità del consenso informato dei genitori. A patto, però, che l’intervento del professionista non interferisca con la sfera personale del minore.

            Se, invece, lo psicologo deve entrare direttamente in classe per lavorare con i ragazzi, il consenso dei genitori sarà obbligatorio, come ha stabilito la Corte di Cassazione [quinta Sezione penale, sentenza n. 40291, 5 settembre 2017].                                                                www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_27529_1.pdf

            Questo significa che tutte le attività degli psicologi a scuola devono essere comunicate preventivamente ai genitori, in modo da acquisire o meno il consenso, come qualsiasi altro progetto scolastico (e come, del resto, avviene nel caso della consulenza psicologica privata).

            Il consenso informato dei genitori, infine, è necessario anche per attivare lo sportello di ascolto psicologico individuale all’interno della scuola. Si tratta di una modalità particolare di consulenza, che permette allo psicologo di ascoltare individualmente un minore.

Ai sensi della normativa in vigore, peraltro, anche un primo colloquio con il minore dovrà essere sempre preceduto dal consenso informato, diversamente da quanto accade al consultorio familiare.

Carlos Arija Garcia La legge per tutti       10 gennaio 2019

www.laleggepertutti.it/269996_come-puo-un-minore-chiedere-aiuto-ad-uno-psicologo

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CONSULTORI FAMILIARI ISPIRAZIONE CATTOLICA

Diocesi: Latina, il Consultorio familiare entra nel Nucleo territoriale contro il bullismo

            Il Consultorio della diocesi di LatinaCrescere insieme” ha aderito al Protocollo d’intesa “Il coraggio è fuoco, il bullismo è fumo, insieme possiamo smontarlo”, un’iniziativa di cui fanno parte Prefettura e Questura di Latina, associazioni e organismi impegnati nel settore, coordinati dal Centro territoriale di supporto per le nuove tecnologie e la disabilità, gestito dall’Istituto comprensivo Frezzotti-Corradini per conto del Ministero dell’istruzione e guidato dalla dirigente scolastica Roberta Venditti.

Vincenzo Serra è presidente del Consultorio diocesano di Latina e motiva così l’adesione al Protocollo: “La Chiesa locale deve collaborare sul territorio con le forze che s’impegnano per prevenire e contrastare la devianza minorile”. E aggiunge: “Da sempre il Consultorio promuove nelle scuole incontri educativi per prevenire il disagio adolescenziale. Anche all’interno della nostra struttura, forniamo sostegno psicologico/pedagogico alle famiglie, grazie a professionisti ed esperti”.

Giustizia riparativa, mediazione e prevenzione della devianza minorile fanno parte da anni dell’attività del Consultorio di Latina, impegnato in un protocollo specifico con il Ministero della giustizia, in armonia con il piano pastorale diocesano: “Alla luce del Progetto 0-18, lanciato dal nostro vescovo mons. Mariano Crociata, per una formazione continua delle nuove generazioni, il contrasto al bullismo è una sfida che risponde concretamente all’invito del nostro Pastore”, conclude Serra.

Agenzia SIR               12 gennaio 2019

www.agensir.info/quotidiano/2019/1/12/diocesi-latina-il-consultorio-familiare-entra-nel-nucleo-territoriale-contro-il-bullismo/

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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM

Milano1-Ist. La casa- via Pietro Colletta 31 – Genitori e figli adolescenti

Quali genitori quali figli

All’interno del progetto Sbulla-Mi, di cui l’Istituto La Casa è stato partner, nato per prevenire e contrastare forme di bullismo e cyber bullismo, il dottor Matteo Ciconali, psicologo e psicoterapeuta del Consultorio familiare, ha condotto percorsi di gruppo per i genitori di ragazzi delle scuole medie e superiori.

www.istitutolacasa.it/showPage.php?template=news&id=182&id_field=news-eventi

A lui abbiamo posto alcune domande sulle preoccupazioni dei genitori alle prese con l’adolescenza dei figli.

Intervista di Elena D’Eredità

            In quest’anno di progetto hai incontrato nei gruppi oltre 200 genitori. Quale immagine emerge?

Ho potuto notare sostanzialmente due situazioni: i genitori attivamente preoccupati e i genitori che invece arrivavano agli incontri per informarsi e capire qualcosa di più. In generale, quello che è emerso dai partecipanti è stata l’importanza e la necessità di dedicare del tempo a riflettere e a confrontarsi. I percorsi prevedevano tre incontri e hanno anche creato l’occasione per un dialogo tra genitori stessi. Alcuni genitori sono arrivati con l’aspettativa, più o meno esplicita, di ricevere indicazioni univoche e sempre valide, di essere legittimati ad assumere un atteggiamento piuttosto che un altro. Questo ovviamente non è possibile. Le situazioni sono complesse e in continua evoluzione. Ad esempio si è partiti da una contestualizzazione, dal notare cioè come tutti, adulti compresi, siamo inseriti in un modo che è anche virtuale. L’uso di smartphone, Internet e Social è un’abitudine anche dei genitori. Occorre riflettere su come effettivamente le nuove tecnologie hanno introdotto delle modalità relazionali diverse rispetto al passato. Non è in sostanza un problema solo dei ragazzi.

Qual è la domanda che ti sei sentito fare più frequentemente?

Mi sono sentito dire molte volte dai genitori: “Mio figlio è sempre connesso a Internet, non so cosa fare!”. I genitori si trovano disorientati e in dubbio tra un atteggiamento più autoritario e uno più permissivo. Credo che sia importante riflettere sugli stili di comportamento che ogni famiglia ha al proprio interno. Certo l’utilizzo delle nuove tecnologie ha anche implicazioni specifiche, ma alla base resta comunque la questione educativa. Se in famiglia è tollerata l’intemperanza, l’alzare la voce, la mancanza di rispetto, allora i comportamenti dei figli tenderanno ad adeguarsi a questi modelli. Che la causa del comportamento sia il voler continuare la sfida di un videogioco o il restare fuori casa fino a tardi con amici “non virtuali” il risultato è lo stesso. Non possiamo demandare al mezzo (videogioco o Social che sia) la responsabilità delle condotte dei ragazzi. La trasmissione di condotte relazionali sane e positive è trasmessa dai genitori, dalla famiglia. A volte i genitori tendono a ingigantire la componente virtuale. Sentono spesso di muoversi su un terreno minato. Preoccupati da dinamiche che non conoscono, e che sono in continua evoluzione, scelgono spesso comportamenti punitivi ai quali poi non è sempre facile tenere fede. Riportare la riflessione sui modelli educativi può essere una buona strada per aiutarli a sentirsi adulti autorevoli e credibili.

Cosa è cambiato nei modelli educativi?

Quello che attualmente spesso si nota è la compresenza di figli sempre più fragili da una parte e genitori sempre più preoccupati dall’altra. Entrambi i poli s’influenzano, aggravandosi vicendevolmente. Lo stile educativo è mutato negli ultimi cinquant’anni. Da un modello patriarcale e autoritario, si è passati a un modello relazionale. I bambini sono diventati il centro delle attenzioni, del tempo, delle energie dei genitori. Quando i figli arrivano all’età della preadolescenza e adolescenza, i genitori spesso mutano atteggiamento, iniziando a pretendere dai figli comportamenti responsabili e coerenti proprio in un momento di maggiore difficoltà. I ragazzi si sentono disorientati da questo brusco cambiamento, faticano a reggere la noia e la frustrazione – alle quali non sono stati abituati – e sentono di deludere i genitori. I genitori davanti alle intemperanze, trasgressioni o regressioni dei figli faticano ad accettare che i loro bambini, prima quasi perfetti e speciali, diventino improvvisamente problematici.

Quanto sono informati i genitori in materia di Internet, Social, videogiochi?

Ho potuto notare un cambiamento durante l’anno di progetto. Negli incontri iniziali, quando presentavo nomi di videogiochi o applicazioni che i ragazzi utilizzano, i genitori erano poco informati. Già negli incontri svolti nella fase conclusiva del progetto la situazione è mutata. Dell’elenco che proponevo tutti i genitori ne conoscevamo tutti almeno cinque. Non è obbligatorio conoscere tutti i tipi di videogiochi o di applicazioni disponibili, l’importante è averne almeno una conoscenza minima per parlare con i ragazzi e capire cosa usano e quando.

Un’ultima domanda sui ragazzi in relazione a bullismo, cyber bullismo e Social. Che cosa puoi dirci?

Dal punto di vista delle informazioni i ragazzi sono a conoscenza del fenomeno del bullismo e cyber bullismo. Non sempre, ed è un lavoro continuo, sono del tutto consapevoli delle implicazioni e delle conseguenze delle loro azioni, anche per quanto riguarda l’uso dei Social Network in generale, non con intenti “da bulli”. Cognitivamente sanno, ma emotivamente non hanno lo stesso grado di maturità, per questo non sempre riescono ad assumere comportamenti coerenti, soprattutto quando c’è in gioco il loro bisogno di debuttare nel gruppo dei pari, di sentirsi inseriti e accolti tra i coetanei.

Elena D’Eredità         UCIPEM        9 gennaio 2019

www.ucipem.com/it/index.php?option=com_content&view=article&id=741:genitori-e-figli-adolescenti-quali-genitori-quali-figli&catid=10&Itemid=163

 

Milano 2. Consultorio Familiare Genitori Oggi. Foglio di informazione n. 106, gennaio 2019 passim

Cari amici, (…)  Fin dagli ultimi giorni di settembre ha preso l’avvio il corso di formazione-lavoro per le donne alla fine del percorso consultoriale con noi. Questa importante preparazione all’inserimento lavorativo è stata tenuta, come già annunciato, dall’Istituto ISMO, che ha continuato gli incontri fino a venerdì 21 dicembre 2018.

Affiancate da Antonella e Raffaella come tutor, le nostre mamme hanno potuto approfondire ed elaborare, incontrandosi quindicinalmente, temi come: il bilancio critico del passato e del presente; le dimensioni della motivazione nel lavoro e il rafforzamento dell’autostima; il mondo organizzativo: ruoli professionali, competenze richieste e cultura organizzativa; la ricerca attiva del lavoro: tecniche, metodi e come affrontare un colloquio di selezione; elaborazione guidata del proprio progetto professionale.

Le corsiste sono state entusiaste di questi momenti formativi, si sono sentite rinfrancate e maggiormente pronte ad inserirsi nel mondo del lavoro.

L’ultima giornata hanno fatto un brindisi al loro futuro, pronte a rifinire ciò che hanno imparato con la nostra amica Odile Robotti, presidente dell’associazione “Dress for Success”, nata per consentire alle donne di raggiungere l’indipendenza economica fornendo una rete di supporto e abbigliamento professionale, tutto ciò in vista di una loro migliore integrazione sociale.

Dopo questa prima esperienza ne seguiranno altre due fino all’arrivo della prossima estate. (…)

Citiamo in particolare il notaio Maria Nives Iannaccone, vicepresidente dell’ADR Notariato. La ringraziamo vivamente per la sua disponibilità, che ci fa sentire certi di operare correttamente circa la nuova Riforma del Terzo Settore.

Un altro appuntamento molto significativo è stato per la formulazione della richiesta di organizzare qualcosa di simile a ciò che già noi facciamo in Mangiagalli presso l’Ospedale di Niguarda. Un sogno! Infatti sarei felice di trovare il modo per ascoltare anche le donne che si rivolgono in quella struttura sanitaria, così che ancora più bambini possano nascere.

Spesso dico che la fantasia più sfrenata non sarebbe in grado di immaginare i fatti più strani che succedono al CAV. Infatti, più che mai pesce fuor d’acqua, mi sono trovata sul palco del Teatro San Babila, dove si è tenuto un incontro molto originale e interessante coordinato dal giornalista Filippo Grassia, per intervenire su Mythos: la donna 2.0. Non vi nascondo la mia consapevolezza di non poter dire niente di attinente al tema della serata, che voleva mettere in luce l’attività delle donne nello sport. Poi una lampadina si è accesa.  Io conosco due grandi sportivi: il bimbo, che durante la sua vita prenatale esercita il nuoto, i salti, le capriole più funamboliche e la donna gravida, la sua mamma, che gli dà la possibilità di poter esercitare tutte queste attività, occupandosi dei suoi muscoli, del suo respiro, della sua alimentazione, proprio come fanno gli sportivi. (…)

Abbiamo sempre tenuto d’occhio la parte istituzionale, cercando di coinvolgere per esempio il Comune di Milano, incontrando l’avv. Mario Vanni, Capo di Gabinetto del Sindaco. Inconsapevole della lunga lista di richieste che gli avremmo proposto, ci ha molto affettuosamente chiesto di esporgli le nostre necessità. Sembra che non si sia spaventato, visto che ci ha addirittura proposto di combinare un incontro di tipo assembleare anche con tutti gli altri assessori.

Nel mese di novembre non sono mancati interventi mediatici, infatti ho avuto più volte contatti con la stampa e addirittura con produttori di un piccolo cortometraggio che raccoglie interviste in tutto il mondo con le persone impegnate in prima linea sul fronte della Vita. Vedremo!

In tutto questo sono stati organizzati due importanti eventi, uno più serioso e l’altro più allegro. Così c’è stata la presentazione del mio libro “Per un bambino”, scritto per i 30 anni del CAV, presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Il testo vorrebbe essere una specie di memoria storica del nostro operato, oltre che una riflessione ad ampio raggio sul tema della negata-accoglienza alla vita nascente. Contiene anche storie di donne che rendono più incarnato questo particolare momento dell’esistenza femminile. Gli ospiti sono stati importanti: il padrone di casa Magnifico Rettore Franco Anelli, l’Arcivescovo Mario Delpini, il giornalista Giuliano Ferrara, la neuro psichiatra infantile e psicoterapeuta Mariolina Ceriotti Migliarese e la scrivente che, nei primi anni 80, ha pensato e sognato questo nostro servizio alla maternità.

La giovinezza di Francesco Migliarese ha legato il tutto con entusiasmo. L’evento è stato ripreso da “Comunicazione Emotiva” di cui Lorenzo e Luna sono i responsabili; siamo diventati amici e ci hanno regalato il loro lavoro.

L’evento più mondano e gioioso, eccezionale raccolta fondi, è stato invece quello organizzato da Adriana: l’intramontabile Peppino di Capri, al teatro San Babila, ci ha dedicato le sue canzoni più belle, sorprendendo in particolare gli spettatori più giovani che non le conoscevano. Gli spettatori meno giovani sono stati accompagnati da queste musiche nella rivisitazione di momenti rimasti forse indimenticabili, rivivendo così ricordi struggenti.

A volte mi sorprendo piacevolmente nel constatare come si può diventare amici in breve tempo. Questo è ciò che è accaduto a metà novembre al Centro Culturale Rosetum.

Eravamo un centinaio, ma il cuore uno solo.  La storia del CAV Mangiagalli ha commosso e interpellato tutti, ansiosi di entrare sempre di più nelle pieghe e nel mistero della Vita. (…)

Paola Marozzi Bonzi gennaio 2019

Dal 1984 il CAV Mangiagalli ha aiutato a nascere oltre 22.150 bambini, accompagnando le loro mamme con progetti di aiuto personalizzati, concreti, immediati.

Nel 2018 sono state accolte e sostenute 2.127 mamme

           

http://customer49827.img.musvc2.net/static/49827/documenti/1/LETTERA%20106%20gennaio%202019.pdf

 

Pescara. Iniziative in programma

  • Choros. Percorso per Coppie che vivono la difficoltà di avere figli
  • Corso pre-parto …a modo tuo. Corso di accompagnamento alla nascita per donne in gravidanza e/o coppie. Accompagniamo e mettiamo al centro i protagonisti di questa nuova avventura.
  • Gruppo di Parola è un luogo per lo scambio di esperienze e di sostegno tra bambini dai 6 ai 12 anni i cui genitori sono separati o divorziati.

www.ucipempescara.org

 

Roma1            Associazione centro la famiglia. Corsi/seminari 2018 – 2019

  • Amici del Giogo – Famiglie al Centro – Incontri per coppie e famiglie, con tema “Santità in cammino” sviluppato in incontri e visite dedicati/e di domenica.  Condotti da p. Alfredo Feretti.
  • Per-corso di crescita spirituale e consulenziale dedicato alle coppieDedicato a noi”, con tema “Sensi di coppia” Condotto da p. Alfredo Feretti e Veronica Rossi.
  • Achor – Porta di speranza, Giornate diocesane dedicate a persone in situazione di convivenza, separazione e divorzio; un particolare percorso di accompagnamento per coloro che, segnati dall’amore ferito e smarrito, ricercano speranza.     Condotte da p. Alfredo Feretti.
  • Consultorio. Meditazioni per Consulenti, interessante cammino di riflessione tramite il metodo consulenziale sui principi cardine della consulenza familiare. Condotto da Stefano Sancandi.
  • Corso per genitori con figli adolescenti, con tema “essere genitori di figli adolescentiRestare od uscire dal recinto?” Condotto da Daniela Campana e Sara Capriolo.
  • Corso di meditazione profonda ed autoconoscenza (8° edizione), un’esperienza concreta per liberarsi da conflitti ed impedimenti emotivi spesso inconsapevoli. Condotto da Marzia Pileri.
  • Atelier pedagogico esperienzialeNon sarebbe dovuta andare così……La frustrazione un’occasione d’oro per crescere !!!”. E’ aperto a tutti coloro che vogliono intraprendere un’avvincente esplorazione della propria interiorità per conoscere meglio se stessi ed instaurare una più fluida comunicazione e relazione con gli altri. Condotto da Consulenti familiari del Consultorio “Centro La Famiglia” e dai conduttori della Scuola Italiana di Formazione per Consulenti Familiari (SICOF).

www.ucipem.com/it/index.php?option=com_content&view=article&id=200:associazione-centro-la-famiglia-corsi-seminari-gennaio-febbraio-2015&catid=61&Itemid=203

www.centrolafamiglia.org

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CONVEGNI INCONTRI SEMINARI

Cittadella d’Assisi. 41° Seminario La comunicazione nella Coppia

2-5 maggio 2019

Tutto cambia al mondo. Noi assistiamo a trasformazioni di anime, di popoli e di religioni impensabili.

Bisogna che noi prepariamo più che opere, ponti; più che prediche, dialoghi; più che ricordi, nuove visioni di un avvenire di libertà, di pace, di giustizia.                               Don Giovanni Rossi fondatore della Pro Civitate Christiana

 

Sentieri dell’amore fecondo

“Il Creatore ha reso l’uomo e la donna strumenti del suo amore affidando alla loro responsabilità il futuro dell’umanità attraverso la trasmissione della vita umana” (Amoris Lætitia, 81)

Nella scelta del tema del prossimo Seminario Coppia ci siamo subito accorti di una certa ritrosia emotiva di fronte della parola “fecondità”, come se risvegliasse spiacevoli ricordi di mentalità opprimenti e moralistiche degne, giustamente, di essere archiviate.

Infatti, la risposta immediata di alcune coppie è consistita nel definire alquanto obsoleta la parola “fecondità”, affrettandosi a chiarire che non esiste unicamente quella biologica, poiché l’amore può essere fecondo in vari modi e la felicità non consiste solo nel procreare figli, ma anche nell’impegnarsi, per esempio, nell’umanizzare il mondo, oggi tanto travagliato e complesso.

 In stretta sintesi, il nostro tema intende unire alla riflessione sull’amore aperto allo stupore della vita nascente, quella, appunto, dell’amore diversamente fecondo, avendo cura di decifrare i mutamenti antropologici, sociali, culturali, scientifici e religiosi del nostro tempo.

Così non si potrà ignorare la crisi della fecondità femminile e maschile cui è certamente connessa la denatalità attuale; peraltro non si potrà non tenere conto della coppia che, quando irrompe in essa una vita, vive difficoltà, ansie, paure, di una differente caratura rispetto ai tempi delle passate generazioni.

Secondo la metodologia consolidata dei nostri seminari, si darà la parola per una testimonianza alle diverse esperienze di amore fecondo, accogliendo anche coloro che hanno fatto scelte non tradizionali.

Perché è sempre possibile, nell’autentico spirito del dialogo, ricevere stimoli e sollecitazioni per una maturazione più autentica dell’amore e della stessa esperienza di fede, anche da parte di coloro che presumiamo non siano sul “retto sentiero”.                                                        www.cittadella.org/seminario-coppia-2019

www.cittadelladiassisi.it

 

Incontri interdiocesani sul tema “Integrare”

www.forumfamigliecuneo.org/wp-content/uploads/2018/10/Interdiocesani2018-19.pdf

Domenica 20 gennaio 2019 si terrà a Fossano il 2° incontro interdiocesano per famiglie, che ha come tema “integrare”.

            Interverranno Alberto Pellai, psicoterapeuta dell’età evolutiva e ricercatore presso l’Università di Milano e la moglie Barbara Tamborini (sono autori di numerosi libri rivolti a genitori, insegnanti, bambini e ragazzi) che tratteranno il tema: «Il metodo famiglia felice: sentieri possibili per non perdersi di vista».

L’appuntamento è per le ore 9.30 al Centro diurno S. Chiara, in via Villafalletto 24, a Fossano.

www.forumfamigliecuneo.org/incontri-interdiocesani

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DALLA NAVATA

Battesimo del Signore – Anno C – 13 gennaio 2019

Isaìa                  40, 05. Allora si rivelerà la gloria del Signore e tutti gli uomini insieme la vedranno, perché la bocca del Signore ha parlato.

Salmo              103, 01. Sei tanto grande, Signore, mio Dio! Sei rivestito di maestà e di splendore.

Tito                   02, 11 E’ apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini.

Luca                 03, 15. Poiché il popolo era in attesa e tutti, riguardo a Giovanni, si domandavano in cuor loro se non fosse lui il Cristo.

 

Il cielo si apre. Siamo tutti figli di Dio nel Figlio

“Viene dopo di me colui che è più forte di me”.In che cosa consiste la forza di Gesù? Lui è il più forte perché parla al cuore. Tutte le altre sono voci che vengono da fuori, la sua è l’unica che suona in mezzo all’anima. E parla parole di vita.

«Lui vi battezzerà...» La sua forza è battezzare, che significa immergere l’uomo nell’oceano dell’Assoluto, e che sia imbevuto di Dio, intriso del suo respiro, e diventi figlio: a quanti l’hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio (Gv 1,12). La sua è una forza generatrice («sono venuto perché abbiano la vita in pienezza», Gv 10,10), forza liberante e creativa, come un vento che gonfia le vele, un fuoco che dona un calore impensato. «Vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco». Il respiro vitale e il fuoco di Dio entrano dentro di me, a poco a poco mi modellano, trasformano pensieri, affetti, progetti, speranze, secondo la legge dolce, esigente e rasserenante del vero amore. E poi mi incalzano a passare nel mondo portando a mia volta vento e fuoco, portando libertà e calore, energia e luce. Gesù stava in preghiera ed ecco, il cielo si aprì.

La bellezza di questo particolare: il cielo che si apre. La bellezza della speranza! E noi che pensiamo e agiamo come se i cieli si fossero rinchiusi di nuovo sulla nostra terra. Ma i cieli sono aperti, e possiamo comunicare con Dio: alzi gli occhi e puoi ascoltare, parli e sei ascoltato.

E venne una voce dal cielo: «Tu sei il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento». La voce annuncia tre cose, dette per Gesù e per ciascuno di noi:

“Figlio” è la prima parola: Dio è forza di generazione, che come ogni seme genera secondo la propria specie. Siamo tutti figli di Dio nel Figlio, frammenti di Dio nel mondo, specie della sua specie, abbiamo Dio nel sangue e nel respiro.

“Amato” è la seconda parola. Prima che tu agisca, prima di ogni merito, che tu lo sappia o no, ogni giorno ad ogni risveglio, il tuo nome per Dio è “amato”. Immeritato amore, incondizionato, unilaterale, asimmetrico. Amore che anticipa e che prescinde da tutto.

“Mio compiacimento” è la terza parola. Che nella sua radice contiene l’idea di una gioia, un piacere che Dio riceve dai suoi figli. Come se dicesse a ognuno: figlio mio, ti guardo e sono felice.

Se ogni mattina potessi immaginare di nuovo questa scena: il cielo che si apre sopra di me come un abbraccio, un soffio di vita e un calore che mi raggiungono, il Padre che mi dice con tenerezza e forza: figlio, amore mio, mia gioia, sarei molto più sereno, sarei sicuro che la mia vita è al sicuro nelle sue mani, mi sentirei davvero figlio prezioso, che vive della stessa vita indistruttibile e generante.

                                               Padre Ermes Ronchi, OSM

www.qumran2.net/parolenuove/commenti.php?mostra_id=44890

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DIRITTO DI FAMIGLIA

Famiglia, relazioni affettive – Affidamento dei figli naturali

Rilievi critici al DDL n. 735

Norme in materia di affido condiviso, mantenimento diretto e garanzia di genitorialità

Le norme in materia di Diritto di famiglia vanno sicuramente aggiornate alla luce sia della violenza sempre crescente che emerge nelle relazioni familiari e affettive in genere sia della normativa comunitaria relativa alla violenza di genere e intrafamiliare ed alla sua conseguenza più macroscopica che è il maltrattamento assistito.  Esso colpisce in modo automatico i minori ogni volta che il partner maschile agisce violenza sulla madre.  L’ultimo allarme di save the children è solo di luglio di quest’anno

Le norme in materia di Diritto di famiglia vanno sicuramente aggiornate alla luce sia della violenza sempre crescente che emerge nelle relazioni familiari e affettive in genere sia della normativa comunitaria relativa alla violenza di genere e intrafamiliare ed alla sua conseguenza più macroscopica che è il maltrattamento assistito. Esso colpisce in modo automatico i minori ogni volta che il partner maschile agisce violenza sulla madre. L’ultimo allarme di save the children è solo di luglio di quest’anno.

Ci dice l’Istat che le donne separate o divorziate subiscono violenze fisiche o sessuali in misura maggiore rispetto alle altre, il 51,4% contro il 31,5%2; secondo i dati forniti dall’Eures, se si osservano i dati degli omicidi di donne, si scopre che 7 su 10 avvengono in famiglia, e che quasi la metà di questi avviene nel lasso di tempo dei primi tre mesi dopo la rottura della relazione: tutte le statistiche sulla violenza domestica suggeriscono che la perdita di controllo sulle sue vittime rende l’uomo maltrattante incline a perpetrare violenze di maggiore intensità, motivo per il quale la separazione si configura come un fattore di rischio ulteriore di violenza domestica per le donne e i bambini, un momento nel quale le istituzioni abbisognano di avvalersi di norme che permettano loro di cogliere quei segnali che precedono eventi efferati e strumenti giuridici in grado di tutelare i soggetti vulnerabili, al fine di evitare esiti come la morte delle due sorelline di Cisterna di Latina, barbaramente uccise da un padre violento in cerca di vendetta sulla moglie che lo aveva lasciato.

Qualora il DDL 735 Pillon venisse approvato senza le necessarie modifiche richieste dalla normativa comunitaria andrebbe sicuramente incontro a censure da parte della Comunità europea.

www.senato.it/japp/bgt/showdoc/18/DDLPRES/0/1071882/index.html

Per taluni aspetti presenterebbe profili di incostituzionalità:

  1. Art 10, comma 1: L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute.
  2. Art. 117, comma 1: La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.

www.senato.it/documenti/repository/istituzione/costituzione.pdf

Inoltre verrebbe disapplicato in sede giudiziaria come da Sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite Penali: «L’obbligo di interpretazione conforme è ancora più pregnante riguardo alle norme elaborate nell’Unione Europea, atteso che il principio del primato del diritto comunitario impone al giudice nazionale l’obbligo di applicazione integrale per dare al singolo la tutela che quel diritto gli attribuisce, disapplicando di conseguenza la norma interna confliggente, sia anteriore che successiva a quella comunitaria. Ove sorgano questioni di conflitto con una norma interna, il giudice deve disapplicare la norma interna» (Sentenza 29 gennaio 2016 n. 10959).                   www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_28317_1.pdf

Se quindi le norme in materia di Diritto di famiglia vanno sicuramente aggiornate nel rispetto delle nuove norme internazionali non possono però partire da un assunto inteso come stravolgimento del potere giudiziario come messo in luce dalla lettera del 22 ottobre 2018 delle rappresentanti delle Nazioni Unite (Special Rapporteur dell’Onu sulla violenza contro le donne, Dubravka Šimonovic´, e la Presidente del Gruppo di Lavoro sulle discriminazione contro le donne, Ivana Radačić) che affermano parlando dell’art. 2 (obbligo di riservatezza): “Questa clausola è fonte di grave preoccupazione in quanto limita il potere dell’autorità giudiziaria di accedere a informazioni chiave per la determinazione in relazione al caso di separazione, limitando l’abilità del giudice di adempiere alle obbligazioni dello Stato riguardo la protezione della vittime/sopravvissute di violenza domestica”.

Senza entrare nel merito dei singoli articoli di questo DDL, prerogativa dei Senatori della Commissione Giustizia, si svolgono alcune considerazioni sui criteri ispiratori dello stesso.

  1. Mediazione civile obbligatoria per le questioni in cui siano coinvolti i figli minorenni. Prima di addentrarci però in questa tematica saliente del disegno di legge vogliamo soffermarci su una specifica criticità relativa all’aver messo all’art. 1 (Istituzione dell’albo nazionale per la professione di mediatore familiare) un aspetto che riguarda l’assetto giuridico- normativo di una nuova professione. Averlo posto al primo punto della legge induce a pensare che tutto l’assetto successivo della legge, che si sviluppa intorno all’inserimento di una prassi obbligatoria di mediazione tra i coniugi separandi, sia solo un modo per costruire una strada occupazionale forte ad una nuova classe di tecnici, in risposta alle esigenze di molteplici scuole di formazione che da alcuni anni si sono affacciate anche in Italia, ed ai cui interessi non è estraneo il senatore Pillon nella sua qualifica di avvocato e mediatore! A questo proposito si legge sul profilo dello studio legale Pillon (riportata dalla stampa nazionale, l’espresso – Repubblica) la seguente affermazione: “È in corso di approvazione una modifica al codice civile che conferirà grande rilievo all’attività di mediazione nel corso dei procedimenti per la separazione dei coniugi. In vista di ciò in molti Atenei italiani si stanno realizzando corsi di alta formazione (Master) finalizzati alla creazione del profilo di “mediatore familiare”.

In contrasto invece con il presupposto della obbligatorietà, sappiamo che il buon esito della mediazione familiare dipenda anche dalla volontarietà della scelta della coppia che affronta questo percorso, secondo quanto affermato dagli stessi mediatori familiari (cit. Linee guida A.I.Me.F per l’accesso alla Mediazione Familiare nel corso del procedimento di separazione e divorzio:                   www.aimef.it/statuto/linee-guida

 “Il ruolo e la funzione del mediatore familiare sono chiaramente delineati dalla Raccomandazione (98) /1 del 19.01.98 del Consiglio d’Europa, nonché dalla Raccomandazione 1639 del 25.11.03 dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa. In particolare, tali provvedimenti mettono in evidenza che:

    1. La mediazione dovrebbe essere autonoma e complementare rispetto al contesto giudiziario;
    2. il mediatore familiare dovrebbe avere una funzione esclusivamente di natura compositiva e non valutativa;
    3. La volontarietà della coppia al percorso di mediazione familiare è predittiva di un buon esito del medesimo”).

Forzare i genitori ad intraprendere una mediazione contro il loro desiderio comporta obbligarli a sostenere delle spese nella consapevolezza che un simile percorso molto probabilmente non li condurrà ad evitarsi le ulteriori spese di una causa in tribunale, contribuendo ad un ulteriore impoverimento oltre a quello già causato dalla separazione.

Sulla mediazione familiare vi è, inoltre, la questione pregiudiziale del divieto di ogni forma alternativa di risoluzione del conflitto familiare, tra cui la mediazione e la conciliazione, ricomprendendovi anche la coordinazione genitoriale, nei casi di violenza in famiglia (art. 48 della Convenzione di Istanbul 11 maggio 2011 www.gazzettaufficiale.it/do/atto/serie_generale/caricaPdf?cdimg=13A0578900000010110002&dgu=2013-07-02&art.dataPubblicazioneGazzetta=2013-07-02&art.codiceRedazionale=13A05789&art.num=1&art.tiposerie=SG,

Legge n. 77, 27 giugno 2013                         www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2013/07/01/13G00122/sg)

ovviamente l’abuso sessualesui minori rientra a pieno titolo nella violenza intra-familiare. E quando si parla di violenza si intende violenza fisica, violenza psicologica, violenza economica, violenza morale, ecc.

Nel DDL si parla di mediazione civile; è lo stesso Tribunale di Milano Sezione IX, che è la sezione specializzata per il diritto di famiglia, che circa la mediazione civile scrive: «È istituto che bene si attanaglia alle liti familiari aventi ad oggetto mere questioni economiche o patrimoniali (es., scioglimento di comunione legale; restituzione di bene; risarcimento del danno, etc.)».

La mediazione civile, per il Tribunale di Milano Sezione IX, non è adatta per affrontare questioni in cui siano coinvolti i figli minori ma solo conflitti su mere questioni economiche; chi ha scritto il DDL 735 ritiene il contrario e lo ritiene nella totale ignoranza delle prassi giudiziarie correnti.

Al di là del divieto di cui alla Convenzione di Istanbul, è ovvio che la mediazione familiare non possa essere applicata nei casi di violenza in famiglia, e quindi non possa essere resa obbligatoria. La mediazione è un processo che presuppone la parità delle due parti; nei casi di violenza in famiglia non vi è parità tra i due ex-coniugi ma vi è un coniuge violento che attraverso la violenza esercitata esprime la volontà di controllo e di potere sulla vita dell’altro coniuge e sui figli.

Oltre a ciò, la mediazione familiare “presuppone e richiede, per la propria buona riuscita, un clima di fiducia reciproca e collaborazione. Durante il percorso di Mediazione Familiare, tutti i procedimenti giudiziari e/o stragiudiziali nei quali i clienti del Mediatore Familiare siano avversari, vengono sospesi, su richiesta congiunta dei legali delle parti, fino al termine del percorso di Mediazione Familiare per favorirne il buon andamento”; questa “tregua legale” rende le eventuali accuse di abuso e maltrattamento, presentate prima e dopo la separazione, del tutto ininfluenti nella determinazione del cosiddetto piano genitoriale, aumentando il disequilibrio di potere a favore del soggetto maltrattante.

  1. Equilibrio tra entrambe le figure genitoriali e tempi paritari. Al proposito vengono richiamate nel DDL le esperienze di altri Paesi, europei ed extra-europei, come esempi da imitare. Questa purtroppo è una mistificazione; se infatti nei Paesi citati sono possibili quelle modalità di affido, collocamento, frequentazione, ecc., ciò non è dovuto alla legislazione più avanzata di quella italiana ma semplicemente al maggiore livello di civiltà di quei paesi nelle vicende separative oltre a una prassi che vede un maggiore coinvolgimento dei padri nella crescita dei figli già in corso di matrimonio.

Nel Codice civile di questi paesi non si trova alcuna norma che renda vincolanti e obbligatorie certe soluzioni post-separative in relazione ai figli minori, ma vi sono indicate delle possibilità che il Giudice valuta se applicabili o meno, caso per caso. Il codice civile dei paesi citati è rispettoso, e non potrebbe essere diversamente, dell’autonomia del Giudice nell’assumere le decisioni circa l’affidamento ecc. Le modifiche al Codice civile che si vorrebbero introdurre con il DDL non sono rispettose delle prerogative del Giudice.

Per esempio il codice civile francese prevede che:

  • Il giudice può adottare le misure che permettono di garantire la continuità e l’effettività del mantenimento dei legami tra il bambino e i suoi genitori” (art. 373-2-6);
  • “Il giudice omologa la convenzione salvo che constati che la stessa non preserva sufficientemente l’interesse dal bambino o che l’assenso dei genitori non è stata dato liberamente” (art. 373-2-7);
  • “La residenza del bambino può essere fissata in alternanza al domicilio di ciascuno dei genitori o al domicilio di uno di essi” (art. 373-2-8);
  • “… il giudice può proporre una misura di mediazione familiare … salvo che siano state commesse delle violenze da parte di un genitore sull’altro o sul bambino” (art. 373-2- 10);
  • “Quando si pronuncia sull’esercizio dell’autorità genitoriale il giudice prende in considerazione specialmente … la pratica che i genitori avevano seguito in precedenza … i sentimenti espressi dal bambino … le pressioni o violenze, a carattere fisico o psicologico, esercitate da un genitore sull’altro” (art. 373-2-11);
  • “Se uno dei genitori contesta le conclusioni dell’inchiesta dei servizi sociali, a sua richiesta può essere disposta una contro-inchiesta sociale” (art. 373-2-12).

Analogamente il codice civile belga stabilisce che: “In difetto di accordo … o se l’accordo gli sembra contrario all’interesse del bambino il tribunale di famiglia competente può conferire l’esercizio esclusivo dell’autorità genitoriale a uno dei genitori … in ogni caso il giudice determina le modalità di domicilio del bambino e il luogo ove è iscritto a titolo principale nei registri anagrafici” (art. 374).

In Svezia nel 1998 una riforma del diritto di famiglia rese possibile per il giudice stabilire l’affido condiviso anche contro il volere di uno dei genitori (quando entrambi sono contrari tale soluzione è sempre stata impraticabile); nel 2006 questa norma è stata ampliata con un paragrafo che stabilisce che “Nel valutare se la custodia debba essere condivisa o affidata a uno dei genitori, il tribunale attribuisce un’attenzione speciale alla capacità dei genitori di cooperare in questioni relative al minore”, un elemento – la capacità di cooperare – che il DDL 735 giudica ininfluente, affermando che il giudice non debba tener conto del “tenore dei rapporti” fra i genitori.

In Australia, dopo un attento monitoraggio degli esiti del Family Law Act del 2006, esso è stato modificato nel 2011 dal Family Law Legislativo Amendment (Family Violence and Other Measures) Act. Alla luce di tutte le ricerche condotte, oltre ad eliminare la friendly parent provision (o “criterio dell’accesso”, secondo il quale il bravo genitore è un genitore “friendly“, ovvero un genitore che -dopo la separazione – è capace di cooperare con l’altro genitore e di agire in modo da incoraggiare e favorire i contatti del minore con lui.), il Family Law Legislation Amendment (che come sottotitolo porta “misure riguardanti la violenza domestica”), ha modificato le definizioni di “violenza domestica” e “abuso”, imponendo che la priorità, quando si tratta di decidere per l’affidamento di un minorenne coinvolto in una separazione, debba essere la sua incolumità e non la bigenitorialità. La parola usata in inglese è “safety”, intesa come “freedom from risk” (libertà dal rischio). Il bambino deve essere innanzi tutto essere protetto da ciò che può costituire un rischio concreto per la sua vita e per il suo benessere. Questo perché, spiega il magistrato David Halligan in una guida alla riforma per gli operatori: “L’enfasi sulla bigenitorialità e sul concetto di “friendly parent” ha portato i tribunali a dare scarsa importanza e inadeguata attenzione al problema della violenza domestica e del maltrattamento dei bambini.”

Nel 2011 una proposta analoga venne avanzata in Gran Bretagna, con lo Shared Parenting Orders Bill; la risposta del Parlamento fu che “Il benessere del minore dovrebbe essere la principale preoccupazione della Corte, come previsto dal Children Act del 1989. Nessun cambiamento dovrebbe intervenire a compromettere questo principio e non dovrebbe essere introdotta nessuna legge volta ad introdurre o a creare la percezione dell’esistenza di un diritto dei genitori a pretendere un’equa divisione del tempo fra le due figure genitoriali”.

Nella relazione introduttiva viene citato il Québec come esempio di Paese che avrebbe già applicato quanto previsto dal DDL 735; ebbene nel Codice civile del Québec non vi è nulla del genere. Nei due articoli relativi (513 e 514) si limita ad affermare che la separazione non deve privare i bambini dei benefici che godevano in precedenza e viene rimessa al giudice la facoltà di statuire in merito all’affido, educazione, ecc, nel loro interesse e nel rispetto dei loro diritti, e tenendo conto degli accordi tra i genitori

Infine c’è da ricordare che in tutti i nostri riferimenti non si parla mai di diritto alla bi-genitorialità ma solo di diritto alle cure, alla sicurezza ed alla salute. Tali diritti per i minori devono essere garantiti da figure adulte, preferibilmente genitoriali, o dalle istituzioni in modo vicariante. Anche la CEDU all’art. 8 parla di diritto dell’individuo al rispetto alla vita familiare, ma sempre e solo se tale diritto non viene turbato e caducato da comportamenti contrari alla vita familiare. E tale concetto del diritto ad esercitare le funzioni genitoriali in tutte le convenzione che riguardano i minori è sub iudice, dovendosi valutare ogni volta in via preliminare se non vi siano (da parte del potenziale esercente di quel diritto) comportamenti che contravvengono ai diritti primari (best interest) dei minori e ovvero: sicurezza, salute, cura (materiale e socio-psicologica) educazione.

  1. Mantenimento in forma diretta senza automatismi. Anche a questo proposito valgono le considerazioni precedenti. Il genitore che con i suoi comportamenti violenti o abusanti ha provocato la separazione coniugale non può essere automaticamente ammesso al mantenimento diretto perché, in applicazione della Convenzione di Istanbul, è escluso dall’affidamento e dalla frequentazione dei figli.

Art. 26. 1. Le Parti adottano le misure legislative e di ogni altro tipo necessarie per garantire che siano debitamente presi in considerazione, nell’ambito dei servizi di protezione e di supporto alle vittime, i diritti e i bisogni dei bambini testimoni di ogni forma di violenza rientrante nel campo di applicazione della presente Convenzione.

art. 31. 1. Le Parti adottano misure legislative o di altro tipo necessarie per garantire che, al momento di determinare i diritti di custodia e di visita dei figli, siano presi in considerazione gli episodi di violenza che rientrano nel campo di applicazione della presente Convenzione.

2. Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie per garantire che l’esercizio dei diritti di visita o di custodia dei figli non comprometta i diritti e la sicurezza della vittima o dei bambini.

Parallelamente al mantenimento diretto il DDL propone anche, con l’art. 21, l’abrogazione dell’art. 570 bis del codice penale, che punisce la violazione degli obblighi di assistenza familiare; questo è irrazionale, perché tali obblighi persistono anche in caso di mantenimento diretto.

Particolarmente problematica si presenta la scelta del mantenimento diretto in situazioni di grande squilibrio di reddito fra i genitori; la scelta di definire “residuale” la scelta di stabilire un assegno di mantenimento non tiene minimamente conto dell’attuale situazione economica delle madri in Italia: come racconta l’ultimo rapporto di Save The Children sulla maternità in Italia, intitolato “Le Equilibriste”, essere madri, oggi, nel nostro paese, significa “raggiungere il punto più critico delle differenze di genere” poiché “la crescita dei figli viene vissuta oggi come un peso che grava esclusivamente sulle spalle delle donne”; l’asimmetria causata dal carico di lavoro domestico e di cura ha importanti ricadute sulla condizione occupazionale delle donne: se tra i 25-49enni risultano occupati il l’83,6% degli uomini senza figli e il 70,8% delle donne senza figli, la presenza di un bambino aumenta il divario di genere; risultano infatti occupati nella medesima fascia d’età l’88,5% dei padri e solo il 55,2% delle madri. Se si vuole trattare la questione con equità e giustizia, non si può parlare di parità di genere e di equa distribuzione dei compiti di cura dopo la separazione prima che questi obiettivi siano raggiunti dalla coppia genitoriale nella fase precedente della convivenza.

D) Contrasto dell’alienazione genitoriale. Già nel lontano 2012 il Ministro della Salute, acquisito il parere dell’Istituto Superiore di Sanità, che è il massimo organo scientifico del Paese, ha dichiarato che la sindrome di alienazione genitoriale, o più semplicemente alienazione genitoriale o parentale, non ha alcun fondamento scientifico. Nonostante questa pronuncia in molte vicende giudiziarie si continua a far uso di questi concetti antiscientifici; ma questo può rientrare, diciamo così, in una dialettica processuale, sia pure alquanto anomala. Ma arrivare addirittura a inserire in una legge dello Stato dei concetti già dichiarati privi di validità scientifica è contro ogni logica e buon senso.

Con l’espressione ‘alienazione parentale’ s’intende dare al rifiuto che il minore manifesta in alcune separazioni verso un genitore (di solito il padre) la motivazione che tale rifiuto sarebbe causato dalla manipolazione psicologica dell’altro genitore. Nella realtà, poiché il rifiuto del minore può essere causato anche da altre motivazioni e in particolare da comportamenti violenti del genitore rifiutato, quando non si tratti di abusi sessuali sul minore, le cause reali del rifiuto vanno ricercate caso per caso nel corso del processo trattandosi in entrambi i casi di comportamenti delittuosi da accertare sulla base di prove concrete, oggettive.

La PAS (Parental Alienation Syndrome) inoltre sancirebbe una giustificazione, illegale oltre che a-scientifica, ad un comportamento procedurale ampiamente sconfessato da tutta la nostra giurisprudenza nonché dalle Convenzioni internazionali. Infatti un ampio riconoscimento al diritto all’ascolto del minore è stato sancito dalle Convenzioni Internazionali (Conv. New York 1989, Conv. Strasburgo 1996), dagli articoli del codice civile 315bis e 336 bis (ascolto del minore), 337 octies (Poteri del giudice e ascolto del minore) e dalla Cassazione10.

Il Ddl 735, oltretutto, sancendo che “la condotta di un genitore” che “causa di grave pregiudizio ai diritti relazionali del figlio minore e degli altri familiari” consente al giudice di emanare ordini di protezione anche in caso di “assenza di evidenti condotte di uno dei genitori” è una vera sfida al ragionamento logico: se non vi è evidenza di una condotta, quali dovrebbero essere gli elementi sulla base dei quali motivare un provvedimento dell’autorità giudiziaria. [Corte Cassazione, Sezioni Unite, sentenza n. 2238, 21ottobre 2009

www.percorsi.giuffre.it/psixsite/Archivio%20Giurisprudenza/Civile/Cass.%20civ.,%20Sez.%20Un.,%20Sent.%2021%20ottobre%202009,%20n.%2022238_doc_psix/Cass.%20civ.,%20Sez.%20Un.,%20Sent.%2021%20ottobre%202009,%20n.%2022238.htm

Corte di Cassazione, prima sezione civile, Sentenza n. 7282, 26 marzo 2010

www.tribmin.reggiocalabria.giustizia.it/doc/GIURISPRUDENZA/Sez.%201%20Civile,%20Sentenza%20n.%207282%20del%2026%20Marzo%20%202010.pdf]

            10 note documentative

Andrea Mazzeo Fazio, Elvira Reale, Ida Grimaldi, Maria Serenella Pignotti,

Chiara Lo Scalzo, Stefania Cantatore                     Persona & Danno      13 gennaio 2019

www.personaedanno.it/articolo/rilievi-critici-al-ddl-n-735

www.personaedanno.it/dA/215fe4ccaa/allegato/2.%20Critiche-al-DDL-735.pdf

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ENTI TERZO SETTORE

Ires al non profit: il governo promette “Abbiamo trovato una soluzione”

Il governo ha trovato la copertura per ripristinare l’Ires al 12% per le organizzazioni non profit. Le rassicurazioni sono arrivate dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte e dal sottosegretario Durigon durante l’incontro di oggi a Palazzo Chigi con i rappresentanti delle associazioni e del Forum nazionale del terzo settore.

“Il Governo ha riconfermato la volontà di correggere in pochi giorni la manovra ripristinando lo status quo” ha dichiarato la portavoce del Forum Claudia Fiaschi nel comunicato diramato dopo l’incontro; secondo quanto riportato dalle agenzie Dire e Redattore sociale, l’aumento della tassazione è stato il frutto di un errore nella redazione della legge di bilancio e l’intervento normativo di rettifica avverrà o con un decreto ad hoc o con un emendamento del governo al Dl semplificazione, assicurando fonti alternative per l’incentivo che costa circa 400 milioni in tre anni, 118 dei quali a valere sul primo.

“Restiamo quindi in attesa dei dettagli dell’azione correttiva per valutarne la piena efficacia” sottolinea Fiaschi, che ha valutato l’incontro “positivo e costruttivo” anche per gli impegni assunti dal premier per un rapido completamento dei provvedimenti attuativi della riforma del terzo settore.

Si tratta della definizione di attività secondarie e strumentali previste dal codice del terzo settore, l’attivazione entro l’anno del registro unico del terzo settore, le linee guida per la raccolta fondi e per il bilancio sociale e le circolari sugli obblighi di pubblicità relativa ai contributi pubblici. Condivisa inoltre l’urgenza di completare e rafforzare le strutture di vigilanza sugli Enti di terzo settore che si aggiunge all’esigenza di un rapido insediamento della cabina di regia, la revisione della sua composizione, e l’attivazione dei tavoli interministeriali per l’armonizzazione normativa.

Forum Terzo Settore             10 gennaio 2019

www.csvnet.it/component/content/article/144-notizie/3194-ires-al-non-profit-il-governo-promette-abbiamo-trovato-una-soluzione?Itemid=893

 

Lasciti testamentari è boom

            In passato poco conosciuta nel nostro Paese, quella dei ‘testamenti solidali’ è una tendenza che, negli ultimi anni, si è diffusa in maniera crescente anche in Italia. Secondo i dati diffusi dall’ ultima Indagine sinottica di GFK Italia, nel nostro Paese gli ultracinquantenni che hanno già fatto, o sono orientati a fare, un lascito solidale sono, infatti, circa 1,3 milioni di persone, pari al 5% della popolazione over 50.

Un numero che, considerando un ulteriore 8% che prenderà probabilmente in considerazione l’idea di sostenere una organizzazione no profit attraverso un lascito testamentario, arriva a oltre 3,3 milioni di persone, mezzo milione in più rispetto al 2016. Dati che testimoniano una tangibile presa di coscienza collettiva su questo nobile e delicato tema se si pensa che cinque anni fa tale scelta veniva effettuata da appena il 2% della popolazione over 55.

            In realtà, questo tipo di scelta riguarda anche i più giovani, e non solo le persone di età particolarmente avanzata, il cui interesse nei confronti di questo testamento continua crescere.

            “Tra i dubbi più frequentemente sottoposti ai notai vi sono, quelli connessi all’ eventuale lesione dei diritti ereditari spettanti a determinati componenti del nucleo familiare –afferma il notaio Gianluca Abbate, Consigliere Nazionale del Notariato con delega al Sociale e al Terzo Settore – l’altro dubbio è quello sulla serietà degli enti a cui la liberalità è destinata e la perplessità è che, magari, queste eventuali elargizioni non vengano effettivamente destinate al fine cui la persona mira o si perdano nei meandri dell’ organizzazione burocratica delle varie associazioni benefiche».

Non è così per Ai. Bi., che destina i lasciti ricevuti alla creazione di una comunità mamma-bambino o di centri accoglienza per minori, intestando ogni opera alla perenne memoria del donatore, consentendo così che il suo gesto solidale venga ricordato sempre.

            L’importanza di un lascito testamentario non dipende dalla cifra, più o meno cospicua, di una donazione; lo stesso Abbate ha infatti ribadito l’importanza di incoraggiare i microlasciti, «perché è dalle piccole gocce che si crea il mare».

Il primo passo a compiere è dunque chiedere informazioni: richiedi la tua guida lasciti gratuitamente, per posta o per email, la guida ai lasciti testamentari di Amici dei Bambini è un manuale completo di informazioni, pronto a dissipare ogni dubbio o curiosità

News Ai. Bi.    9 gennaio 2019

www.aibi.it/ita/lasciti-testamentari-a-un-ente-non-profit

 

Adeguamento statuti degli enti di terzo settore, tutte le novità

Diffusa la circolare ministeriale che scioglie alcuni nodi riguardo le modifiche statutari previste dalla riforma del terzo settore. Definite le variazioni obbligatorie e quelle facoltative.

Arriva l’attesa circolare ministeriale che scioglie alcuni dei dubbi interpretativi sull’adeguamento degli statuti da parte degli Enti del terzo settore previsto dal Cts (Codice del terzo settore).

www.csvnet.it/phocadownload/leggi/Decreto%20Codice%20Terzo%20settore%20-%202017.pdf

Un lungo elenco di indicazioni per agire con maggiore sicurezza nel periodo transitorio in attesa dell’istituzione del Registro unico nazionale del terzo settore Runts (Registro unico del terzo settore).

            La circolare, già annunciata dal direttore generale Alessandro Lombardi lo scorso ottobre alla conferenza annuale di CSVnet (Centro Servizio Volontariato), contiene precisazioni utili a chiarire finalmente cosa dovranno contenere gli statuti degli Ets (Enti terzo settore) e le modalità di approvazione delle relative modifiche.

            Due le modalità possibili:

  1. “Semplificata”, applicando la maggioranza prevista per le deliberazioni ordinarie nello statuto di ciascun ente;
  2. “Non semplificata”, applicando invece le procedure e la maggioranza qualificata previste normalmente per le modifiche statutarie all’interno dello statuto.

La maggior parte delle variazioni statutarie, essendo obbligatorie, possono essere approvate in via semplificata. Il documento è da leggere in stretta relazione con la nota direttoriale diffusa lo scorso 29 dicembre 2017 dedicata alle Odv e alle Aps e all’orientamento espresso dall’Agenzia delle Entrate riguardo alle Onlus.

www.csvnet.it/images/documenti/DG-III-Settore-lettera-Regioni-questioni-diritto-transitorio.pdf

Nuovi enti ed enti già costituiti, cosa fare? Il ministero ribadisce ciò che aveva già indicato nella nota direttoriale di dicembre 2017: gli enti costituiti dopo il 3 agosto 2017 devono essere conformi alle disposizioni previste dal codice del terzo settore, ad esclusione di quelle che dipendono dall’operatività del Runts.

Il tempo di adeguamento degli statuti entro il 2 agosto 2019 (24 mesi dall’entrata in vigore del Cts) è previsto solo per gli enti preesistenti iscritti nei registri Odv (Organizzazioni di volontariato), Aps (Associazioni di promozione sociale riconosciute e non riconosciute, movimenti) e Onlus (Organizzazione non lucrative di utilità sociale).

            Le modifiche, se rispondono a un requisito obbligatorio previsto dal Codice terzo settore, possono essere adottate con forma semplificata. Lo statuto di un Ets deve necessariamente indicare la forma giuridica, i principi generali, le finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, l’assenza di scopo di lucro e la destinazione del patrimonio, le modalità di esercizio da parte degli associati e degli aderenti del diritto ad esaminare i libri sociali. Le altre indicazioni obbligatorie – e quindi adottabili con procedura semplificata – sono:

  1. Attività di interesse generale. Lo statuto di un Ets deve contenere obbligatoriamente l’elenco con specifico riferimento alla corrispondente lettera dell’articolo 5 comma 1. Per maggiore chiarezza, è utile riportare ulteriori dettagli sui contenuti delle attività stesse.
  2. Attività diverse. Se un Ets vuole esercitare attività secondarie e strumentali rispetto a quelle generali (che saranno definite da un apposito decreto attuativo) lo deve obbligatoriamente indicare nell’atto costitutivo o nello statuto, senza necessariamente riportare l’elenco specifico. Le attività diverse possono essere individuate successivamente a patto che nello statuto venga indicato l’organo di competenza che può operare questa scelta. Se nello statuto non è prevista la possibilità di esercitare attività diverse, la modifica può essere effettuata entro il 2 agosto 2019 ma con modalità non semplificata. Se lo statuto, invece, prevede già la possibilità di esercitare attività diverse, le indicazioni sulla loro funzione “secondaria e strumentale” e sull’organo demandato alla loro individuazione, possono essere inserite con modalità semplificata.
  1.  Destinazione del patrimonio e devoluzione in caso di estinzione o scioglimento. Lo statuto deve indicare l’eventuale destinazione ad altri Ets e quale organo dell’ente può operare questa scelta. L’eventuale devoluzione, però, sarà possibile solo dopo il parere favorevole dell’ufficio del Runts: nella fase transitoria, quindi, le Onlus e gli enti non commerciali dovranno ricevere il parere del Ministero del lavoro e delle politiche sociali secondo quanto previsto dalle precedenti normative.
  2. Denominazione sociale. La sigla Ets dovrà essere contenuta obbligatoriamente nello statuto ma l’obbligatorietà del suo utilizzo discende dall’iscrizione al Runts: per questo motivo, nello statuto si dovrà inserire una clausola che acquisti efficacia automatica di integrazione della denominazione successivamente all’iscrizione al registro. Nei casi di qualifiche specifiche, prevale l’utilizzo di quest’ultime. È obbligatorio, infatti, utilizzare le sigle Odv, Aps e Ente filantropico per le singole qualifiche. L’uso di queste locuzioni è prioritario rispetto a quello di Ets. Nel periodo transitorio, Odv e Aps iscritte ai registri territoriali, potranno continuare a utilizzare le loro locuzioni, inserendo negli statuti clausole integrative automatiche per l’utilizzo dell’acronimo Ets. Le reti associative, utilizzeranno la locuzione della singola sezione in cui sono iscritte. Se iscritte a più sezioni, dovranno utilizzare la sigla Ets. Gli “altri enti di terzo settore” dovranno usare la locuzione Ets. Le Onlus dovranno continuare a qualificarsi come tali e inserire negli statuti l’utilizzo dell’acronimo Ets attraverso clausole sospensive condizionate al rispetto dell’adeguamento stesso e all’iscrizione al registro. Gli enti costituiti secondo le norme del codice terzo settore dopo il 3 agosto 2017 devono inserire una clausola automatica integrativa per l’uso della locuzione Ets.
  3. Bilancio di esercizio e bilancio sociale. Bisogna indicare nello statuto, tra le competenze degli organi sociali, quelle relative alla predisposizione, approvazione e gli ulteriori adempimenti relativi al bilancio di esercizio e a quello sociale.
  4. Diritto di esaminare i libri sociali. Deve essere previsto il diritto degli associati e degli aderenti di esaminare i libri sociali, prevedendo in concreto le modalità con cui tale diritto può essere esercitato.
  5. Volontariato. Le disposizioni relative all’articolo 17 del codice del terzo settore, sono tutte già efficaci. Gli enti che si avvalgono della presenza di volontari, devono adeguare eventuali incongruenze nei propri statuti.
  6. Ammissione dei soci. Se un Ets vuole indicare eventuali deroghe di autonomia per l’ammissione di nuovi soci, ne deve definire le precise modalità nello statuto. Se decide di introdurre delle deroghe, deve indicare:
  1. L’organo che può ammettere nuovi soci, diverso da quello di amministrazione
  2. Il lasso di tempo entro cui l’ente può decidere dell’ammissione
  3. I requisiti di ammissione ai nuovi associati e la relativa procedura di ammissione

In ogni caso, questi requisiti non possono essere discriminatori e devono essere in linea con le finalità perseguite e le attività di interesse generale svolte. La circolare ribadisce che non sono derogabili, invece, la necessità di dare comunicazione all’interessato, l’annotazione sul libro soci, il principio secondo cui debba essere l’interessato a fare domanda di ammissione, non dare eventuale motivazione della deliberazione.

  1. Diritto di voto per i neo associati. Se si vuole derogare, è necessario inserire nello statuto il periodo minimo di iscrizione affinché un socio possa votare in assemblea. La deroga, però, può essere fatta solo in meglio e quindi riducendo – ma non aumentando – il periodo previsto di 3 mesi.

10. Competenze dell’assemblea. Si può derogare, indicandolo nello statuto, la gestione delle deleghe in assemblea e le competenze (per gli enti con almeno 500 associati).

11. Organo di amministrazione. Lo statuto deve contenere obbligatoriamente funzioni, composizione, funzionamento (se collegiale): queste modifiche, quindi, si possono adottare con procedura semplificata. Per le fondazioni del terzo settore, è necessario inserire la previsione di un organo di amministrazione.

12. Organo di controllo. Gli Ets obbligati ad avere l’organo di controllo (tutte le fondazioni e gli enti con patrimonio destinato e le associazioni che superino i limiti dimensionali previsti dall’art.30) devono disciplinare nel proprio statuto l’organo di controllo. Le associazioni che nel tempo acquisiscano i requisiti per cui diventi obbligatorio l’organo di controllo, possono prevedere nello statuto una clausola per cui le indicazioni diventino operative solo al verificarsi di determinate condizioni. L’attribuzione all’organo di controllo dei compiti di revisore legale dei conti è obbligatoria solo per gli enti con patrimonio destinato.

13. Odv, Aps, enti filantropici, reti associative: alcune specificità.

  • Per le Odv, è necessario indicare la forma associativa, le finalità e modalità di svolgimento delle attività specifiche (apporto prevalente di volontari), così come indicato nell’articolo 32 comma 1 del codice e l’articolo 34 sull’ordinamento e l’amministrazione.
  • Per le Aps è necessario specificare i destinatari delle attività di interesse generale e le modalità di svolgimento. Gli enti filantropici devono indicare nello statuto i principi ai quali attenersi in merito alla gestione del patrimonio, alla raccolta di fondi e risorse in genere, alla destinazione, alle modalità di erogazione delle risorse.
  • Le reti associative devono indicare obbligatoriamente nello statuto l’allineamento con la loro missione prevista dalla legge, le modalità di ordinamento interno nel rispetto di democraticità, pari opportunità, uguaglianza ed elettività e le eventuali deroghe in tema di diritto di voto, deleghe e competenze dell’assemblea.

14    Trasformazioni, fusioni e scissioni. Associazioni e fondazioni che vogliano derogare per escludere la possibilità di trasformazione, fusione o scissione (ad esclusione dei casi in cui i passaggi siano tra associazione non riconosciuta e riconosciuta e viceversa) possono prevederlo nelle forme semplificate. Rimangono facoltative – e quindi soggette a procedura non semplificata – le modifiche statutarie relative a raccolta fondi, patrimonio destinato per uno specifico affare, eventuali deroghe al potere di rappresentanza in assemblea, competenze dell’assemblea delle fondazioni, indicazioni sugli amministratori (requisiti, appartenenza, soggetti con diritto di nomina di uno o più amministratori).

Lara Esposito CSVnet           29 dicembre 2018

Link alla circolare    www.csvnet.it/images/documenti/circolare__adeguamentistatutari.pdf

Link alla tabella riassuntiva.

www.csvnet.it/images/documenti/circolare_adeguamenti_statutari.tabella_allegata.pdf

www.csvnet.it/component/content/article/144-notizie/3187-adeguamento-statuti-degli-enti-di-terzo-settore-tutte-le-novita?Itemid=893

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FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI

Documento Cnel Povertà, disuguaglianze e inclusione. Rischio di un ‘default’ del sistema di welfare”

 “Anche dal Cnel arriva forte l’appello alle istituzioni e all’universo politico ed economico a riforme strutturali e interventi coraggiosi di sostegno alle famiglie, alle donne e ai giovani, le realtà che da sempre tengono in piedi i nostro Paese nonostante difficoltà crescenti. I nuclei familiari non ce la fanno più, andando di questo passo rischiamo seriamente un ‘default’ del sistema di welfare”. Commenta così il presidente nazionale del Forum delle associazioni familiari, Gigi De Palo, il documento del Cnel di osservazioni e proposte su “Povertà, disuguaglianze e inclusione”, presentato oggi.

“L’adagio secondo cui ‘tanto la famiglia regge’ ci sembra purtroppo sempre meno realistico – prosegue De Palo -. Manca il necessario aiuto alle madri lavoratrici, che dopo aver messo al mondo un figlio sono costrette a nascondere il pancione per non essere licenziate”. Allo stesso modo, evidenzia il presidente del Forum, “i giovani sognano ancora di fare famiglia, ma lo spettro per cui mettere al mondo un figlio oggi rappresenta la seconda causa di povertà va combattuto con provvedimenti adeguati: non bastano i bonus per far ripartire la natalità e la fiducia nel futuro”.

“Non è dunque un caso se il documento del Cnel chiede più coraggio nelle politiche familiari e nelle iniziative di contrasto al disagio economico e sociale. Ribadisco l’urgenza di un Patto per la natalità che metta tutti intorno a un tavolo e riporti in primo piano la necessità di un fisco che tenga conto dei carichi familiari. O, in alternativa, di un assegno mensile per ogni figlio da zero a 26 anni”, conclude De Palo

Agenzia SIR   7 gennaio 2019

http://www.forumfamiglie.org/2019/01/07/poverta-de-palo-famiglie-donne-e-giovani-meritano-giustizia

 

Manovra 2019. Legge di bilancio e famiglia.

De Palo: “I bonus non bastano. Servono riforme strutturali e un patto per la natalità”

Bonus, agevolazioni e incentivi a sostegno della maternità e della famiglia. Li prevede la manovra finanziaria 2019 ma per Gigi de Palo, presidente Forum associazioni familiari, sono insufficienti per invertire l’inverno demografico che colpisce il nostro Paese. Mentre continua il dialogo con le istituzioni, De Palo avverte: “Le risposte strutturali possono essere solo due: o un fisco che tenga conto dei carichi familiari o un assegno mensile per ogni figlio da 0 a 26 anni”

“I bonus non bastano. Le famiglie chiedono riforme strutturali”. Non usa giri di parole il presidente nazionale del Forum delle associazioni familiari Gigi De Palo, al quale abbiamo chiesto di fare il punto sulle misure a sostegno di maternità e famiglia contenute nella Legge di bilancio 2019 varata a fine dicembre dal Parlamento.

“In una manovra di 31 miliardi di euro, alla famiglia viene destinato solo mezzo miliardo, meno di un sessantesimo”, premette. “Alcune misure sono state confermate – spiega -; ci sono state alcune migliorie e un cambiamento di linguaggio. Finalmente si parla di natalità in modo chiaro ma è mancato il coraggio di fare riforme strutturali.

Purtroppo si continua a perpetrare la logica del bonus con la quale non si va da nessuna parte”. Di fronte all’allarme natalità “lanciato dall’Istat, secondo il quale nel nostro Paese gli ottantenni superano i neonati, con le gravi conseguenze che ne deriveranno nel breve periodo” – avverte – “in Italia mettere al mondo un figlio rimane una delle prime cause di povertà”, mentre “per non essere licenziate molte donne sono ancora costrette a nascondere il pancione”. Facendo un confronto con l’andamento delle nascite degli anni precedenti, il presidente del Forum ne evidenzia il progressivo calo, a dimostrazione che “i bonus si sono dimostrati inefficaci per far ripartire la natalità”.

Inoltre, aggiunge, “sono difficili da esigere per la complessità delle procedure richieste, tanto che molti vi rinunciano. Alla famiglia bisogna semplificare la vita, non complicarla”.

Tra i segnali di attenzione del governo giallo-verde, evidenzia il presidente del Forum, “il rifinanziamento di 100 milioni, su nostra sollecitazione, del fondo per le politiche familiari istituito nel 2007, allora pari a 250 milioni, ridotti progressivamente all’osso fino a 4 milioni”. “Ma 100 milioni sono nulla”, osserva definendo “pari a nulla anche il milione previsto per la Carta famiglia per la quale”, aggiunge, “non è giusto averne escluso dall’accesso le famiglie immigrate regolari”.

Per De Palo, il grosso della manovra si è concentrato sulle pensioni con quota 100 e sul reddito di cittadinanza per i quali, “in base alle promesse elettorali, i soldi sono stati trovati”. Nonostante qualcuno affermi il contrario, il presidente del Forum precisa che il reddito di cittadinanza non ha nulla a che fare con la famiglia. “Non si tratta di politiche familiari ma assistenzialiste. Potremmo rivedere la nostra posizione qualora si riuscisse a calibrarlo con maggiore equità in base ai carichi familiari. C’è ancora un po’ di margine e a questo stiamo lavorando”. E assicura: “Continueremo a essere un pungolo, non polemico, ma costruttivo e dialogante, con il governo Conte al quale chiediamo di ragionare in termini di lungo periodo, anche se ci rendiamo conto che l’instabilità politica e la scarsa durata degli esecutivi non aiutano. E questo non solo per il pacchetto famiglia ma anche per le altre necessarie riforme in materia di economia e di lavoro”. Per De Palo è urgente un patto per la natalità che metta tutti intorno a un tavolo.

Quali allora, secondo il Forum, gli interventi strutturali necessari?

“Da tempo – la replica del presidente – chiediamo una riforma fiscale che tenga contro dei carichi familiari, il cosiddetto fattore famiglia, ma ci siamo resi conto che in questa fase è di fatto poco comprensibile sia per i cittadini sia per la politica”. Pertanto, “sulla scorta di quanto si verifica in diversi Paesi europei, chiediamo, in alternativa al fattore famiglia, di ragionare sull’eventualità di un assegno mensile per ogni figlio da zero a 26 anni.

Dobbiamo fare un salto di qualità – conclude – andando oltre l’Isee che si è rivelato iniquo e ingiusto perché non tiene conto in maniera seria della composizione familiare. I figli sono un bene comune. Per questo è urgente un progetto di futuro che faccia sentire alle famiglie l’attenzione, la fiducia e la volontà dello Stato di investire su di loro. Stiamo ancora aspettando che arrivi l’anno della famiglia. Ogni anno è il prossimo”.

Giovanna Pasqualin Traversa                     Agenzia SIR                               7 gennaio 2019

www.agensir.info/italia/2019/01/07/legge-di-bilancio-e-famiglia-de-palo-forum-i-bonus-non-bastano-servono-riforme-strutturali-e-un-patto-per-la-natalita

 

Reddito, Forum famiglie: «Per i figli minorenni preveda almeno 250 euro al mese»

            Il presidente De Palo: «È la metà di quanto viene valutato un single ma sarebbe quantomeno un segnale». Il provvedimento, denuncia, «penalizza i nuclei con figli, che sono 8 milioni». 250 euro al mese per ogni figlio minorenne a carico di una famiglia bisognosa, anziché i 100 euro mensili attuali. È la richiesta che arriva dal Forum famiglie in tema di reddito di cittadinanza: «È la metà di quanto viene valutato un single ma sarebbe quantomeno un segnale», afferma il presidente nazionale Gigi De Palo. Ancora, il Forum esprime anche l’auspicio che «venga rimosso il limite per cui, in un nucleo con mamma, papà e cinque figli minori, l’ultimo è di fatto escluso del tutto dal sostegno economico del reddito di cittadinanza».

Soffermandosi sui contenuti della bozza di decreto legge sul reddito di cittadinanza, De Palo osserva che «così com’è strutturato il provvedimento sembra pensato solo per i single e penalizza fortemente le famiglie con figli, che però sono 8 milioni in Italia. Quelle che magari hanno automobili o van di seconda o terza mano, acquistati per poter trasportare tutti i membri del nucleo, ma con cilindrata tale da far escludere la famiglia dal reddito». In ogni caso, denuncia, «6mila euro all’anno per un single, 7.560 euro per un pensionato e appena 1.200 euro annui per un figlio minorenne? Sono di fatto appena 100 euro al mese: troppo poco per riuscire a sostenere chi rappresenta il futuro del Paese».

Per il presidente del Forum quella contenuta nella bozza di decreto legge è una proposta «profondamente iniqua e insufficiente nei riguardi di chi ha avuto il coraggio di mettere al mondo dei figli e non aiuterà a invertire la rotta dell’inverno demografico».

Redazione on-line RomaSette                   10 gennaio 2019

www.romasette.it/reddito-forum-famiglie-per-i-figli-minorenni-preveda-almeno-250-euro-al-mese

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FRANCESCO VESCOVO DI ROMA

Papa Francesco: “I populismi una minaccia per i diritti”

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2019/january/documents/papa-francesco_20190107_corpo-diplomatico.html

 

 

Il ritorno dei populismi minaccia i diritti e la giustizia. E la pace universale. Per difendersi, le Nazioni devono puntare sul dialogo. In un discorso di nove pagine, tra le numerose questioni che affronta, il Papa avverte: oggi il sistema di gestione del mondo basato sulle relazioni multilaterali è indebolito dal riapparire di «propensioni nazionalistiche», come avvenne tra le due guerre mondiali. L’occasione è l’udienza al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, appuntamento annuale che spesso diventa strumento di decifrazione della geopolitica vaticana.

            Sono 183 gli Stati che intrattengono relazioni Oltretevere, più l’Unione europea e il Sovrano Militare Ordine di Malta. Ricevendo gli ambasciatori nella Sala Regia del Palazzo apostolico, Francesco tocca i temi che gli creano più preoccupazione: dal disarmo nucleare ai migranti, dal contrasto del riscaldamento globale alla lotta contro la pedofilia nella Chiesa, fino al tema del lavoro e agli equilibri internazionali. Il Pontefice rilancia la sua visione del multilateralismo come «innegabile opportunità per le Nazioni di incontrarsi e di ricercare soluzioni comuni», in un momento in cui populismi e nazionalismi «stanno insidiando la tenuta delle principali Organizzazioni internazionali».

            La mancanza di fiducia. Bergoglio ricorda che negli anni tra i due conflitti planetari del secolo scorso «le propensioni populistiche e nazionalistiche prevalsero sull’azione della Società delle Nazioni»: e la ricomparsa e diffusione odierna «di tali pulsioni sta indebolendo il sistema multilaterale», con l’esito di una «generale mancanza di fiducia», una crisi «di credibilità della politica internazionale» oltre a una penalizzazione dei più deboli. Per il Vescovo di Roma è pericoloso questo «riemergere delle tendenze a far prevalere i singoli interessi nazionali» senza ricorrere agli strumenti del diritto internazionale.

            Il Papa peraltro riconosce che le idee neo-nazionaliste sono anche causate dalla «reazione di quanti sono chiamati a responsabilità di governo dinanzi a un malessere che sempre più si sta sviluppando tra i cittadini». La gente infatti percepisce «le dinamiche e le regole che governano la comunità internazionale come lente, astratte» e «lontane dalle effettive necessità». Perciò è necessario e urgente che i politici «ascoltino le voci dei propri popoli» e «ricerchino soluzioni concrete per favorirne il maggior bene». Ma senza risultati emotivi e affrettati, che forse fanno crescere il «consenso di breve respiro», ma non risolvono i «problemi più radicali».

            Bergoglio parla anche dell’anniversario del 1989 e della caduta del Muro di Berlino, invitando l’Europa, in un contesto «in cui prevalgono nuove spinte centrifughe e la tentazione di erigere nuove cortine», a non perdere «la consapevolezza dei benefici – primo fra tutti la pace – apportati dal cammino di avvicinamento tra i popoli intrapreso nel secondo dopoguerra».

Le migrazioni. Sul fenomeno globale delle migrazioni richiama a contrastare anche le cause che spingono milioni di persone ad abbandonare la propria famiglia e nazione, sottolineando come «a una questione così universale non si possano dare soluzioni parziali». Francesco – ribadendo la validità dei due Global Compact (Patto mondiale delle Nazioni Unite) – chiede alla comunità internazionale di tutelare rifugiati e migranti, e fa appello ai governi «affinché si presti aiuto a quanti sono dovuti emigrare a causa di povertà, violenza, catastrofi naturali e sconvolgimenti climatici». Esorta inoltre a facilitare «le misure che permettono la loro integrazione sociale nei Paesi d’accoglienza».

            Invoca poi risoluzioni «condivise e durature» dei conflitti in corso: in particolare in Ucraina, Siria, Medio Oriente – «riprenda il dialogo fra Israeliani e Palestinesi» – Africa, Yemen, Coree, Nicaragua e Venezuela. Inoltre si augura che l’accordo di settembre tra Santa Sede e Cina sulla nomina dei vescovi «contribuisca a risolvere le questioni aperte».

Domenico Agasso Jr  Città del vaticano      08 gennaio 2019

www.lastampa.it/2019/01/08/italia/papa-francesco-i-populismi-una-minaccia-per-i-diritti-KxbIflkvVPmWgTsHtBqygN/pagina.html

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GENITORI

E’ legittima la perizia sulla personalità dei genitori separati?

Il concetto di “idoneità genitoriale” deriva dalla Legge n. 183/1984 (affidamento e adozione) in cui sono previsti, per gli adottanti, l’esame della personalità, l’idoneità affettiva e la capacità di educare e istruire il minore, la situazione personale ed economica, la salute, l’ambiente familiare.

Cos’è l’idoneità genitoriale? Il termine “idoneità”, invece, non compare nell’ambito delle separazioni e affidamento dove, al contrario, non è previsto alcun esame di personalità per i genitori separati.

            La Costituzione all’art. 30 utilizza il termine “incapacità” facendo riferimento al dovere e al diritto dei genitori di “mantenere, istruire ed educare i figli”.

            Tuttavia, è l’art. 337-ter co. 1 del Codice Civile che sembra declinare il concetto di idoneità genitoriale come la capacità del genitore di rispettare il diritto del figlio “di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con l’altro genitore, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi i genitori e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale”.

            Alla luce di queste preliminari osservazioni è pacifico ritenere che il concetto giuridico (non psicologico) di idoneità genitoriale richiami i diritti del figlio, sempre soccombenti a quelli dei genitori.

            L’attuale prassi nei Tribunali italiani. Attualmente, in Italia, è prassi molto diffusa servirsi delle Consulenze Tecniche di Ufficio (CTU) per compiere indagini tecniche, di natura psicologica/medica, al fine di valutare l’idoneità dei genitori separati.

            Anche tra gli addetti ai lavori sembra essere assente una definizione unanime del concetto di “idoneità genitoriale”. Taluni richiamano la letteratura scientifica straniera, altri quella italiana.

            In generale, si tende a confondere il costrutto psicologico con il concetto giuridico. Il primo si basa essenzialmente sulla personalità del genitore e sulle sue determinate capacità psicologiche di svolgere la funzione genitoriale; il secondo, come sopra esposto, richiama esclusivamente la capacità del genitore di rispettare i diritti del figlio nei casi di disgregazione familiare.

            Nelle CTU, troppo spesso, si assiste ad una vera e propria valutazione della personalità di entrambi i genitori (corredata da diagnosi medica/psicologica), anche attraverso l’utilizzo di test psicologici di personalità. Tali indagini peritali sembrano essere quasi esclusivamente concentrate sui genitori e poco sul figlio, sostenendo, tramite un ragionamento circolare, che la personalità dei genitori genera il conflitto coniugale che, a sua volta, genera un pregiudizio sul figlio.

            Le CTU, che ormai potremmo provocatoriamente definire TSU (Trattamenti Sanitari d’Ufficio), sembrano insistere sull’esame approfondito della personalità dei genitori secondo la convinzione che, rilevando un eventuale disturbo di personalità, si possa arrivare ad una conclusione di idoneità o non idoneità genitoriale. Il rischio è concreto e di facile comprensione: il disturbo di personalità potrebbe corrispondere ad un’automatica incapacità genitoriale.

            Altra prassi molto diffusa nei Tribunali italiani è la cura della salute dei genitori. Richiamando il ragionamento circolare già esposto, potremmo completarlo in questo modo: la personalità dei genitori genera il conflitto coniugale che, a sua volta, genera un pregiudizio sul figlio, per cui, per evitare il conflitto, è necessario curare i genitori intervenendo sulla loro personalità.

            La maggior parte delle CTU, infatti, si conclude con un suggerimento al Giudice di “invitare” (prescrivere/ordinare) i genitori ad intraprendere un trattamento sanitario di tipo psicologico, il più delle volte un sostegno psicologico alla genitorialità e/o una psicoterapia. Per cui, entrambi i genitori dovrebbero: modificare il loro comportamento, andare d’accordo, cambiare.

Su questa convinzione, un noto Tribunale italiano nel 2017 ordinò un intervento psicologico in capo alla madre per modificarle il distorto convincimento sull’ex compagno.

Un sistema, questo, che sembra rimanere sempre complessivamente concentrato sui genitori e poco sul figlio, quasi sempre sullo sfondo.

            Il Tribunale può curare i genitori? Giungiamo, così, al focus dell’articolo. L’art. 32 della Costituzione sancisce un diritto fondamentale dell’individuo: nessun soggetto può subire un trattamento sanitario contro la propria volontà, se non disposto per legge.

            Concetto richiamato da un’importante sentenza della Cassazione Civile (n. 13506/2015) e da numerosi articoli del Codice Deontologico degli Psicologi.  (cfr. “Documento sulle prestazioni sanitarie etero-determinate: diritto alla salute e libertà di scelta” a cura dell’Ordine degli Psicologi della Calabria).

www.osservatoriofamiglia.it/moduli/17507032__Documento-ord-Psicologi-Calabria.pdf

Per tal motivo, non è possibile imporre alcun trattamento sanitario in capo ai genitori, neanche laddove il loro conflitto venga ritenuto (in che modo?) pregiudizievole per la salute psicofisica del figlio, partendo dal presupposto che in nessun modo si potrebbe garantire un “cambiamento” dei genitori (che si intende per cambiamento?) e che, in ogni caso, mentre i genitori cercano di cambiare in modo “spintaneo” (spinti dal Tribunale ad intraprendere in modo spontaneo un intervento psicologico), i diritti del figlio continuerebbero ad essere violati.

            Anche in presenza di un consenso informato sottoscritto da entrambi i genitori, sarebbe da ritenere non valido perché viziato dalla prescrizione del magistrato che, in caso di insuccesso o di mancata adesione, potrebbe adottare provvedimenti limitativi della responsabilità genitoriale di uno o di entrambi. Un messaggio del Tribunale che potrebbe essere così sintetizzato: “o vi curate o verranno presi provvedimenti” prevedendo un’imposizione-minaccia che non sembra garantire al figlio il “cambiamento” dei genitori su cui pende la loro responsabilità genitoriale.

            Se il Tribunale non può curare perché deve diagnosticare? Ma se il Tribunale non può occuparsi della generica cura della salute dei genitori, come mai nelle CTU l’obiettivo delle indagini sembra essere quasi esclusivamente l’esame della loro personalità?

            Subentra, a questo punto, un nodo complesso legato al consenso informato. Con l’introduzione, quasi contemporanea, delle Leggi n. 3/2018 e 219/2017 appare illegittima qualsiasi attività di tipo sanitario sui genitori (non sul figlio) nei casi di separazione e affidamento.

La prima Legge (n. 3/11 gennaio 2018) decreta all’art. 9, il passaggio definitivo della professione di Psicologo sotto l’egida del Ministero della Salute: dal 2018 lo Psicologo è a tutti gli effetti una Professione Sanitaria.                                                             www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2018/1/31/18G00019/sg

La seconda Legge (n. 219/22 dicembre 2017) introduce, all’art. 1, finalmente, il concetto di consenso informato a cui tutte le professioni sanitarie (in particolare Medici e Psicologi) devono attenersi in ambito sanitario-clinico.                                        www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2018/1/16/18G00006/sg

            Per quanto riguarda lo Psicologo, sono vigenti anche alcune norme del Codice Deontologico in tema di consenso informato (artt. 4, 6, 18, 24, 25).         www.psy.it/codice-deontologico-degli-psicologi-italiani

A questo punto, potremmo iniziare a porci dei quesiti:

    1. È lecito effettuare una diagnosi clinica sui genitori (per diagnosi qui si intende qualsiasi accertamento/rilievo di natura sanitaria) all’interno di un contesto giudiziario (CTU) in cui non è prevista per legge?
    2. È legittimo ricorrere ad attività sanitarie (esame di personalità e somministrazione test psicologici) sui genitori per indagare sulle loro generiche (e non specifiche) capacità genitoriali che, in realtà, richiamano un concetto giuridico?
    3. Se il genitore o entrambi i genitori esplicitassero al CTU di non volersi sottoporre ad un accertamento diagnostico, quali potrebbero essere le ripercussioni sull’esercizio della loro responsabilità genitoriale?

Per qualsiasi attività sanitaria è necessario il consenso informato. La legge, perciò, stabilisce che per qualsiasi trattamento sanitario è necessario il consenso informato del soggetto, orientamento confermato anche dalla giurisprudenza di legittimità.

            Per trattamento sanitario si intende qualsiasi attività del CTU di tipo sanitaria, quale diagnosi psicologica, esame di personalità, somministrazione di test di personalità ecc.

            Naturalmente, come illustrato, sarebbe impensabile richiedere il consenso informato ai genitori in CTU per cui, inevitabilmente, si pongono delle perplessità:

  • È legittimo effettuare una diagnosi psicologia sui genitori in CTU?
  • Perché diagnosticare se il Tribunale non può curare?
  • È un diritto del genitore (soggetto adulto) di scegliere liberamente il professionista sanitario di fiducia per eventualmente sottoporsi ad un trattamento sanitario di tipo psicologico?
  • È un diritto del genitore rifiutare l’attività sanitaria del CTU anche in presenza di quesiti peritali volti alla diagnosi psicologica, esame di personalità e somministrazione di test?
  • È un diritto del CTU, eventualmente, rifiutare quesiti peritali che contengano richieste di indagini sanitarie sui genitori?
  • È un diritto del professionista successivamente incaricato (pubblico o privato) rifiutare l’attività sanitaria imposta dal Tribunale?

È pacifico ritenere, inoltre, che neanche in caso di psicopatologia del genitore al CTU sarebbe consentita l’indagine sanitaria in quanto, anche in questo caso, verrebbe probabilmente leso il diritto del genitore sancito dall’art. 32 della Costituzione [La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge].

            Questioni complesse che devono necessariamente trovare una risposta.

            Conclusioni e proposte. In sintesi potremmo affermare che:

  • Nelle CTU non sarebbe possibile compiere alcuna attività peritale di tipo sanitaria sui genitori;
  • Il Tribunale non può occuparsi della cura della salute dei genitori, ma dovrebbe tutelare i diritti dei cittadini (adulti e minorenni).

Alla luce di queste osservazioni, è necessario compiere un cambio di prospettiva: dai genitori al figlio. E’ su quest’ultimo che le indagini peritali dovrebbero essenzialmente essere rivolte con l’obiettivo di indagare sul suo punto di vista, sui suoi bisogni e sulla sua salute psicofisica. E’ dal figlio che bisognerebbe partire per giungere ad una conclusione di idoneità genitoriale.

            Secondo una recente sentenza della Cassazione (Civile, sez. VI-1, ordinanza n. 16738/2018), il Tribunale deve effettuare un giudizio prognostico sulle capacità genitoriali di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione determinata dalla disgregazione dell’unione.

www.studiolegalepoli.org/wp-content/uploads/2018/07/Corte-di-Cassazione-ord.del-26.06.2018-n.-16738.pdf

Nello specifico, i giudici di primo grado devono valutare:

  • Il modo in cui i genitori hanno precedentemente svolto i propri compiti;
  • Le rispettive capacità di relazione affettiva, attenzione, comprensione, educazione, disponibilità ad un assiduo rapporto;
  • La personalità dei genitori;
  • Le consuetudini di vita e dell’ambiente sociale e familiare che i genitori sono in grado di offrire al figlio.

Se provassimo ad effettuare un cambio di prospettiva, spostando il figlio dallo sfondo al centro dell’indagine peritale, i giudici di primo grado dovrebbero valutare:

  • Il modo in cui il figlio è stato cresciuto ed educato;
  • La capacità del figlio (in base alla sua età e alla sua capacità di discernimento) di relazione affettiva con entrambi i genitori, comprensione, autodeterminazione, disponibilità ad un assiduo rapporto con entrambi i genitori;
  • Lo stato di salute psicofisica del figlio;
  • Le consuetudini di vita e dell’ambiente sociale e familiare del figlio.

Secondo questa differenziazione, il figlio sarebbe centrale e non più periferico all’interno delle indagini peritali che dovrebbero avere esclusivamente l’obiettivo di indagare le condotte, eventualmente pregiudizievoli, dei genitori e le dinamiche relazionali tra i membri della famiglia divisa.

            Ciò che dovrebbe interessare al Tribunale non è il motivo delle condotte pregiudizievoli del genitore, ma la loro presenza e le relative ricadute psicologiche sul figlio. Potremmo sintetizzare affermando che al Tribunale non dovrebbe interessare il “perché” di un determinato comportamento di un genitore, ma “come” quel determinato comportamento possa essere lesivo dei diritti del figlio, compiendo in CTU un cambiamento sostanziale: non indagare la personalità del genitore, ma le loro condotte pregiudizievoli.

            Non è, quindi, il disturbo di personalità che andrebbe rilevato, ma i comportamenti dei genitori, le loro modalità comunicative, le dinamiche relazionali e le relative ricadute psicologiche sul figlio.

Di seguito degli esempi:

  • Di fronte ad un genitore che impedisce l’accesso del figlio all’altro genitore, al Tribunale non dovrebbe interessare il motivo alla base di quel comportamento, ma sostanzialmente se lo adotta, per poi prendere relativi provvedimenti giudiziali (non sanitari);
  • Se un genitore denuncia il rifiuto immotivato del figlio perché dovrebbe essere sottoposto ad indagine di personalità con successiva prescrizione di cura?
  • Se un CTU rileva un importante disturbo di personalità in capo ad un genitore, dovrebbe mettere in rilievo non tanto gli aspetti sanitari legati al disturbo, ma gli effetti psicologici e relazionali dei comportamenti del genitore sul figlio, nello specifico “come sta il figlio con quel genitore?” piuttosto di “come sta il genitore con quel figlio?”.

Queste sintetiche osservazioni rappresentano solo uno spunto preliminare di un dibattito molto più complesso e articolato che sicuramente a breve sarà avviato dagli addetti ai lavori.

Dott. Marco Pingitore, Psicologo-Psicoterapeuta,    Studio Cataldi            10 gennaio 2019

www.studiocataldi.it/articoli/33136-e-legittima-la-perizia-sulla-personalita-dei-genitori-separati.asp

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GOVERNO.

Dipartimento per le politiche della famiglia

“Sono soddisfatto per una manovra che investe quasi 3 miliardi di euro per la famiglia e le disabilità”. Così il Ministro Lorenzo Fontana, che spiega: “In questa legge di bilancio abbiamo ottenuto il potenziamento degli incentivi per gli asili nido (che si aggiungono a quelli ottenuti in legge fiscale per la natalità), abbiamo creato il fondo famiglia da 100 milioni di euro, a regime, sono stati incrementati e resi strutturali tutti i principali fondi della disabilità, è stata rilanciata la carta famiglia. Abbiamo introdotto nuove misure per favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, l’estensione del congedo di paternità, la maggiore flessibilità per le madri. E’ stato creato il fondo per le politiche antidroga. E ora, tramite lo strumento del reddito di cittadinanza, arriverà anche l’aumento delle pensioni di inabilità”.

Comunicato stampa 7 gennaio 2019

www.politichefamiglia.it/it/notizie/notizie/notizie/manovra-ministro-fontana-soddisfatto-quasi-3-miliardi-per-famiglia-e-disabilita

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HUMANÆ VITÆ

Il paradosso dell’oblio del corpo femminile

Una riflessione sul valore profetico dell’«Humanæ vitæ»

In che cosa risiede l’elemento “sconveniente” che tutt’oggi risuona nell’enciclica Humanæ vitæ di papa Paolo VI, uscita in quell’anno inquietante che fu il 1968? Nella frase «che qualsiasi atto matrimoniale deve rimanere aperto alla trasmissione della vita» (Humanæ vitæ, 11). E ancora, che questa dottrina si fonderebbe «sulla connessione inscindibile, che Dio ha voluto e che l’uomo non può rompere di sua iniziativa, tra i due significati dell’atto coniugale: il significato unitivo e il significato procreativo» (ibidem 12). Frasi davvero esplosive. Anche se non nuove, nell’atmosfera surriscaldata della rivoluzione sessuale del 1968 ebbero un effetto non soltanto antiquato, ma chiaramente provocatorio. Il rigetto quasi senza eccezioni della tesi secondo cui amore e procreazione apparterrebbero inscindibilmente l’uno all’altra sarebbe stato avvalorato entro breve tempo dallo sviluppo medico della fecondazione extracorporea, anche se la prima “figlia in provetta”, Louise Brown [sposata, due figli maschi], sarebbe nata in Inghilterra soltanto nel 1978.

            L’enciclica è consapevole della sua sfida allo spirito del tempo e alla sua prassi indiscussa. Si presentano tuttavia due importanti obiezioni che occorre ponderare.

  1. La prima è di tipo psicologico e tocca l’unità complessiva del matrimonio che non è composto certo da singoli atti, ma è retto da un atteggiamento di base di reciproco affetto. Per questo è lecito domandare se davvero ogni singolo atto abbia in sé un’importanza tanto straordinaria. L’intero è sempre più delle sue parti; il matrimonio è più della somma dei rapporti sessuali. Ciò vale soprattutto quando è presente una volontà di massima di procreare, testimoniata nella promessa di matrimonio.
  2. La seconda obiezione è di tipo empirico. La “natura” stessa separa l’uno dall’altra amore e procreazione: nei giorni infecondi della donna o durante la gravidanza o nel caso di una naturale sterilità maschile e comunque nella vecchiaia, dove i due ultimi fattori non rappresentano un ostacolo al matrimonio. Per questo motivo i matrimoni non volutamente infecondi non possono essere sciolti. La seconda obiezione pertanto afferma: amore e procreazione non sono irrevocabilmente saldati insieme, dato che il Creatore stesso ha allentato il legame tra i due.

Tuttavia, l’enunciazione dottrinale del Papa conserva l’enfasi originaria per cui ogni singolo atto sarebbe abbinato a un duplice orientamento: alla passione amorosa e alla volontà procreativa. È ovvio che sia la brevità del documento sia il permesso di “utilizzare” i giorni per natura infecondi non rispondano in dettaglio e neppure rimuovano del tutto i dubbi sollevati. Soprattutto ripiegare sui giorni infecondi veicola di per sé l’intenzione di escludere la procreazione. In alternativa, si procederebbe con modalità manipolative o chimiche (ad esempio, con la pillola). Ma cosa differenzia le due intenzioni?

            Si può rinviare al fatto che, nel caso dell’infertilità periodica, viene mantenuto il dialogo fiducioso tra i coniugi e si tiene in considerazione il ritmo femminile, mentre nella contraccezione chimica un simile dialogo viene meno e il motto «Sempre pronta!» impone alla donna una costante disponibilità, con l’esito di una possibile strumentalizzazione del corpo femminile, per non parlare del continuo stress fisico dovuto alla pillola. Permettere l’“utilizzo” dei giorni infecondi può invece condurre a un rapporto dall’atmosfera più umana tra i coniugi e ha decisamente riguardo per la donna, apprezzando il suo ritmo naturale e accrescendo anche l’attesa reciproca.

            Tuttavia, anche in questo caso, è in gioco l’intenzione. Probabilmente, però, siamo di fronte a una di quelle questioni che non possono essere decise in modo soddisfacente con le nostre categorie e per le quali non sono sufficienti i distinguo razionali. Perciò questa difficoltà, invece di essere indagata a partire dall’“intenzione”, potrebbe essere illuminata da un’altra angolazione: che effetto provoca sulla donna se amore e fertilità vengono separati? Non potrebbe forse emergere una comprensione della corporeità femminile posta in una luce degna di riflessione dall’enciclica? La donna (mulier) viene testualmente menzionata soltanto due volte nel documento, altrimenti si parla di coniugi o genitori. Tuttavia, il ragionamento dell’enciclica attribuisce indirettamente alla donna una rilevanza maggiore che all’uomo, poiché la ragionevole pianificazione dei figli coinvolge il suo ciclo mensile.

            Già solo la considerazione della corporeità finemente differenziata della donna è un evidente guadagno nell’intera questione. Lo si può chiaramente constatare nel caso contrario, ossia laddove la fertilità della donna venga interrotta chimicamente o fisicamente (ad esempio, da una spirale). In un tempo come il nostro di esaltazione della “natura”, resta incomprensibile il motivo per cui giovani donne debbano sopprimere per due o tre decenni il loro ciclo mensile, iniziando purtroppo molto presto, a volte già nella pubertà quando l’organismo non è ancora adulto. Esperienze ginecologiche e psicologiche (frigidità), come si può dimostrare, parlano contro questa pratica. Inoltre, l’interruzione manipolativa dell’atto sessuale non consente che si sperimenti l’intimo convenire di uomo e donna nel fine accordo tra i loro organi, ma turba la loro appartenenza proprio nel punto culminante. La donna poi viene davvero fisicamente ferita da pratiche associate, come la pillola del giorno dopo o addirittura l’aborto. E una ferita fisica comporta sempre una ferita psichica. Da un punto di vista psicologico, la costante sterilizzazione del ciclo femminile conduce a blocchi che varrebbe la pena approfondire in ricerche a lungo termine. Ricerche che pare evidente non siano auspicate per ragioni ideologiche.

            In questo senso la persistente neutralizzazione e “messa a disposizione” del corpo femminile può essere vista anche come un colpo di grazia al femminismo. L’emancipazione ottenuta a spese soprattutto della corporeità femminile è un’emancipazione dal proprio corpo, dalle sue esigenze e delle sue gioie, a vantaggio di una sottomissione celata e inconfessabile all’uomo. L’enciclica parla di una riduzione del corpo femminile a «strumento di godimento» (Humanæ vitæ 17), dunque di una classica reificazione.

            Tali dubbi valgono, in senso contrario, anche per l’obbligo di procreazione. Certamente l’enciclica non propone alcuna argomentazione dettagliata al riguardo, ma cinquant’anni dopo si possono sentire gli effetti della separazione della procreazione dall’amore: banche di ovuli e di seme con allegato foglietto illustrativo genetico, procreazioni anonime in laboratorio; donatori di seme retribuiti piuttosto che padri (alcuni con più di cinquanta figli, come nel caso del francese n. 5010, raccontato dalla «Neue Zürcher Zeitung» nel luglio/agosto 2018); sul lato femminile: madri donatrici d’ovulo, madri in affitto, madri surrogate piuttosto che semplici madri. Come madre in affitto, la donna viene evidentemente ridotta a mero “utero”, per dirlo con un’espressione molto cruda, come “macchina da parto”, una vergognosa commercializzazione del basso ventre femminile (come anche della vita emotiva della donna durante la gravidanza). E il bambino diventa strumento dell’appagamento di un desiderio o, in ultimo, dello sfogo di “istinti” genitoriali; ma può anche venire “restituito” nel caso in cui non corrisponda all’“ordinazione”, se addirittura non si procede con l’aborto. I bambini vengono “fatti” e non generati.

            Nel 1968 non era ovviamente possibile prevedere queste estreme riduzioni dell’umano, tuttavia l’enciclica formula in modo fondamentalmente corretto la logica di una procreazione separata dall’amore. Essa si colloca in un contesto storico-culturale di ammonimento — non soltanto interno al cattolicesimo — che avrebbe dovuto da tempo suscitare attenzione. Rainer Maria Rilke già negli anni Venti vedeva in atto un oblio profondo dell’origine biologica: «I padri, che come macerie di monte ci restano sul fondo, (…) il greto asciutto delle madri di un tempo (…) l’intero muto paesaggio» (Terza Elegia Duinese). Padri e madri sono venuti meno ai viventi e vanno perduti per la memoria, sebbene, dice l’elegia, la loro forza nutra gli uomini di oggi. Ancora, Brave New World (eccellente mondo nuovo), l’utopia negativa di Aldous Huxley, presentava nel 1932 l’immagine spaventosa di un’umanità costituita e manipolata in modo puramente biologistico, in cui gli esseri umani venivano generati con metodi industriali ed educati collettivamente. In questo mondo una parola era radicalmente vietata: “madre”. Dopo lavaggi del cervello ben riusciti, essa suscitava sensazioni disgustose. L’uomo nuovo non doveva intendersi come generato e nato, ma come prodotto, soltanto come un factum, né genitum né natum. Doveva credere di essere debitore di tutto soltanto alla società tecnicizzata e a nessun altro, a nessun Tu personale più maturo — oppure, in ultimo, a un Dio. Del resto, la parola “padre” non ricorreva comunque più, evidentemente era stata ancora più semplice da eliminare di “madre”.

            Nell’ambito della Chiesa (cattolica) è sempre stata presente la difesa della genitorialità e in particolare della maternità, ma ciò è rimasto senza effetto sul discorso femminista. Secondo il saggio “classico” Il secondo sesso (1949) di Simone de Beauvoir, si possono ammettere soltanto domande strutturali (come si diventa una donna?) e non domande essenziali (che cosa è una donna?). Questo perché, per Beauvoir, la femminilità è un’invenzione dell’astuzia maschile per accollare alle donne compiti scomodi. Pertanto, la categoria del “femminile” sarebbe radicalmente da bandire in quanto repressiva, e di questo cadrebbe vittima anche la maternità. Ci sarebbero due “casi” di femminilità: una legata al figlio e una all’uomo; ed entrambi ricondurrebbero a una volontà vincolante e quindi a doveri permanenti. Soprattutto il figlio rappresenterebbe, a causa della sua dipendenza psico-fisica, la “catena” naturale della donna. Il corpo femminile dovrebbe allora essere “trasceso” e neutralizzato dal livellamento chimico del bioritmo, nel peggiore dei casi dall’aborto. La femminilità resterebbe così definita soltanto dall’astratta autonomia del sé. È stato questo femminismo egualitario («la donna deve diventare uomo») a dominare fino a oggi il discorso.

            Con la teoria del gender ha prevalso un oblio ancora più profondo del corpo, che certo parla di donne e uomini, ma sostituendo le costanti biologiche con costrutti sociali (cfr. H.-B. Gerl-Falkovitz, Frau–Männin–Menschin. Zwischen Feminismus und Gender, Kevelaer, 2016). In questo caso, il corpo vivo viene ridotto a corpo neutrale e la maternità viene trattata principalmente nel quadro di una fertilità tecnicamente realizzabile. Il fatto che un uomo transessuale allatti suo figlio (in gravidanza era ancora una donna) viene celebrato come un grande passo avanti. Ma è una follia, poiché dimostra soltanto che è ancora una donna.

            Su un profondo oblio del corpo si fondano poi, ad esempio, le influenti teorie del corpo di Judith Butler e Donna Haraway, nel solco di Simone de Beauvoir. In esse si arriva (involontariamente? in ogni caso in modo implicito) a una svalutazione del corpo femminile, nella sua mascolinizzazione in Beauvoir o nella sua derealizzazione (deontologizzazione) in Butler o anche nella sua tecnicizzazione illimitata (snaturalizzazione) in Haraway. Il corpo è in ogni caso il “punto cieco” dell’attuale emancipazione. Piace accusare il cristianesimo di ostilità verso il corpo e le donne. Ma entrambe le modalità si possono oggi rinvenire in modo evidente sia nel femminismo radicale sia nella tendenza gender dominante.

            L’enciclica verrebbe senz’altro sottovalutata se la si leggesse soltanto a partire da ciò che è assente nella sua considerazione — sarebbe un trionfo troppo amaro. Pertanto torniamo ancora una volta alle dichiarazioni di merito sulla donna. Se davvero ogni atto coniugale includesse passione e fecondità, ciò significherebbe per la donna e per l’uomo la capacità di giungere a un linguaggio in grado di rendere possibile un reciproco armonizzarsi. L’impegno fisico molto più profondo della donna verso il proprio figlio implica chiaramente un’asimmetria tra i sessi.

            E questa deve condurre sempre di nuovo a dialogare sulla resilienza della donna in occasione del parto, sulla divisione dei compiti, sulla scelta di soluzioni congiunte — al posto di una mera scelta automatica di infertilità. L’esistenza è corporeità — con diverse implicazioni rispettivamente per la donna e per l’uomo. È un aspetto che si può ulteriormente approfondire da un punto di vista teologico. Nel cristianesimo l’incarnazione di Dio diventa una nuova posta in gioco e una sfida: come può Dio assumere un corpo e un sesso? Questo andare contro qualsiasi idealizzazione di una divinità incorporea segna la vera differenza da tutte le altre tradizioni religiose, persino dall’ebraismo. Caro cardo — la carne è il cardine. L’incarnazione di Dio pone l’intero fenomeno della corporeità sotto una luce nuova, inesauribile — non meno della risurrezione del corpo a una vita immortale.

            Anche la Chiesa viene vista come corpo, e il rapporto di Cristo con la Chiesa come quello con una sposa (Efesini 5, 25), mentre il matrimonio si trasforma in sacramento, segno della presenza reale di Dio in coloro che si amano. È questo rinvio del sesso, nelle sue possibilità centrifughe, all’essere umano nella sua interezza ciò che la Scrittura rende presente: in modo che l’intero essere umano trascenda se stesso, senza che la sua biologia o il suo spirito cerchino di distaccarsi in un vuoto privo del tu.

            Resta importante sottolineare che, se la buona riuscita della sessualità non può essere garantita né dal sacramento né da altre benedizioni, l’enciclica indica tuttavia gli elementi in base ai quali il difficile equilibrio può riuscire: riconoscere il corpo a) nel suo sesso e b) nella sua disposizione prestabilita alla procreazione.

In altre parole: rimanere nella finitezza e nel sesso, non accontentarsi di “morire” nel figlio. Non si tratta più di una concezione ingenua della natura, ma della trasposizione creativa della natura stessa in una natura raffinata, accettata, finita. Tuttavia, e proprio per questo, essa si colloca nello spazio del trascendimento e non in un piatto materialismo. Anche l’eros c) viene posto nell’ambito del sacro: nel sacramento.

E ugualmente lo sono la procreazione e la nascita, quali doni conferiti in Paradiso (Genesi 1, 28). Dal cristianesimo (e dall’ebraismo) non viene mai glorificata la mera natura primitiva: occorre piuttosto elevarla nello spazio del divino, elaborarla rendendola libera. Una bella frase di Ildegarda di Bingen afferma che uomo e donna sarebbero «l’uno opera per mezzo dell’altro» (unum opus per alterum). Proprio il figlio mostra quanto una simile opera sia profondamente ancorata nel corporeo. «La corporeità è il compimento delle opere di Dio», affermava il pietista Friedrich Christoph Oetinger. «La fecondità è il compimento delle opere di Dio», si potrebbe riformulare in questo contesto, in senso corporale e spirituale.

            Al di là di tutte le dottrine morali, poco convincenti, si può forse oggi rinnovare quella visione secondo cui nell’entrare in relazione con l’altro sesso si esprime una tensione divina, una fecondità vitale e la necessità di una comunità asimmetrica? Un’alterità creatrice, concessa, corporea sul terreno di una comune dotazione divina di fondo — con il volto di donna o uomo: questa è la proposta dell’Humanae vitae contro ogni decostruzione, neutralizzazione, reificazione del sesso.

Hanna-Barbara Gerl-Falkovitz        L’Osservatore romano         10 gennaio 2019

www.osservatoreromano.va/it/news/il-paradosso-delloblio-del-corpo-femminile

Articolo nel prossimo numero di «Vita e Pensiero», intitolato La dignità della donna e l’Humanæ Vitæ.

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INPS

Contributo baby sitting o asili nido non è stato prorogato per il 2019

Pertanto, a far data dal 1° gennaio 2019 non è più possibile presentare domanda per accedere a tale contributo (…)

Da gennaio 2018 il voucher per l’acquisto di servizi di baby-sitting è stato rinominato “contributo per l’acquisto di servizi di baby-sitting” e viene erogato secondo le modalità previste per il Libretto Famiglia.

Comunicato    10 gennaio 2019

www.inps.it/nuovoportaleinps/default.aspx?itemdir=50575

Nell’ambito degli interventi normativi a sostegno del reddito delle famiglie, l’articolo 1, comma 355, legge 11 dicembre 2016, n. 232 ha disposto che ai figli nati dal 1° gennaio 2016 spetta un contributo di massimo 1.000 euro, per il pagamento di rette per la frequenza di asili nido pubblici e privati e di forme di assistenza domiciliare in favore di bambini con meno di tre anni affetti da gravi patologie croniche.

L’art.1, comma 488, della legge n. 145 del 30 dicembre 2018 ha elevato l’importo del buono a 1500 euro su base annua per ciascuno degli anni 2019, 2020 e 2021. Il premio è corrisposto direttamente dall’INPS su domanda del genitore.                      www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2018/12/31/18G00172/sg

Comunicato    10 gennaio 2019

www.inps.it/nuovoportaleinps/default.aspx?itemdir=51105

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MIGRANTI

Dati aggiornati. Quanti migranti sono arrivati nel 2018? Che fanno?

Secondo i dati Unhcr, tra il 1 gennaio e il 31 dicembre 2018 sono sbarcate in Italia 23.371 persone, quasi centomila in meno rispetto al 2017. Si tratta di una chiara svolta rispetto agli anni scorsi, svolta che era stata avviata a luglio 2017 con i primi accordi dell’ex Ministro dell’Interno Minniti e poi resa ancora più evidente con l’insediamento del nuovo governo a giugno 2018.

https://data2.unhcr.org/en/situations/mediterranean

            Tra i paesi di provenienza (dato aggiornato al 30 novembre 2018) il più rappresentato è la Tunisia (5.000 persone, 23% del totale) seguito da Eritrea (3,3 mila persone, 15%), Iraq (8,5%), Sudan e Pakistan (7%). Seguono Nigeria, Algeria e Costa d’Avorio.

            Il 72% delle persone arrivate sulle coste italiane è di sesso maschile, le donne sono il 10%, i minori il 18% – in buona parte minori non accompagnati.

            1.311 persone sono morte tentando di attraversare il Mediterraneo centrale nel 2018. Erano state 2.872 nel 2017, ma con molte più partenze.

Fabio Colombo          7 gennaio 2019                      estratto                 www.lenius.it/migranti-2018

Gli immigrati sono l’8,3% della popolazione https://www.lenius.it/migranti-2018/ italiana, circa 5 milioni, e contribuiscono per 127 miliardi al Pil, ovvero l’8,6% del totale. Versano 7 miliardi di Irpef e 11 miliardi di contributi previdenziali: di fatto pagano le pensioni di 640 mila italiani.

            Corsera 7 gennaio 2019

 

+1% di migranti secondo la rivista «Lancet» equivale a +2% di ricchezza

Che gruppi di individui o interi popoli decidano di lasciare le loro terre e migrare altrove non è certo una novità; tutti noi siamo figli di migranti e la nostra «identità nazionale» è di fatto «identità» di gente che ha lasciato le proprie terre per via del clima divenuto sfavorevole oppure per conflitti. Oggi però questo fenomeno è particolarmente sentito, con prese di posizione anche molto forti da parte di chi ha responsabilità di governo in diverse regioni del mondo — dagli Stati Uniti all’Europa all’Australia. C’è chi vorrebbe limitarla, l’immigrazione, o impedirla del tutto con due grandi argomenti, usati probabilmente anche in buona fede: «I migranti ci costano; non solo, ma gravano sul bilancio dei nostri sistemi sanitari». E ancora: «I migranti diffondono malattie».

È davvero così? Il «Lancet» — la più grande rivista di medicina dell’Europa — ha voluto vederci chiaro e ha lanciato un’iniziativa molto speciale: l’hanno chiamata Commission on Migration and Health, si trattava di individuare venti esperti fra sociologi, economisti, studiosi di salute pubblica e di diritto internazionale, umanisti e antropologi da almeno 13 Paesi diversi — che poi si sarebbero incontrati in varie occasioni — con l’obiettivo di studiare questo problema in ogni possibile dettaglio e arrivare a un documento condiviso che potesse eventualmente essere utilizzato da chi ha responsabilità di governo per orientare le proprie scelte.

Il risultato di questo lavoro è un rapporto di quasi 50 pagine, pieno di tabelle, figure, numeri che è appena stato pubblicato online (ma presto avremo anche la versione cartacea ancora più completa) con una quantità impressionante di informazioni. È di fatto il più grande sforzo che sia mai stato concepito per valutare gli effetti delle migrazioni sull’economia e sulla salute di chi ospita gente costretta a lasciare il proprio Paese.

Un dato per cominciare: le persone che nel 2018 hanno deciso di muoversi o che lo stanno facendo sono un miliardo, e la maggior parte di loro se ne va da Paesi poverissimi per raggiungere regioni un po’ meno povere o appena un po’ più sicure. I «migranti internazionali» — quelli di cui di questi tempi tutti parlano — sono stati invece 258 milioni, non molto di più di quanto è sempre successo da trent’anni a questa parte. Sull’intera popolazione mondiale i «migranti internazionali» rappresentavano il 2,9% nel 1990 e sono stati il 3,4% nel 2017.

Di questi il 65% migra per trovare lavoro, mentre i richiedenti asilo sono relativamente pochi, non solo; i dati del «Lancet» indicano che il numero globale di rifugiati dal 1990 al 2011 è diminuito e che i migranti che si muovono all’interno di uno stesso Paese per via di siccità o di guerre sono comunque molti di più dei rifugiati o richiedenti asilo (coloro appunto che vengono considerati «migranti internazionali»). È vero che i Paesi industrializzati hanno avuto più «migranti internazionali» degli altri ma sono soprattutto studenti e lavoratori ed è ormai stabilito da diversi studi — e la “Lancet Commission” lo conferma — che questi ultimi contribuiscono alla crescita economica dei Paesi verso cui migrano. Chi ha più «migranti internazionali» è l’Asia (80 milioni) seguita dall’Europa (78 milioni) e dal Nord America (58 milioni).

In generale, e nonostante in questi calcoli siano compresi anche i rifugiati, lo studio del «Lancet» dimostra che ciascun aumento dell’1% nella popolazione adulta di migranti in una certa area geografica aumenta il Prodotto interno lordo (Pil) di quella regione del 2%. Per quanto il dibattito sia tuttora molto vivace, i più sono convinti del fatto che i migranti ricevano di più in contributi assistenziali di quanto non contribuiscano con le tasse all’economia di chi li ospita, ma l’analisi di tutti i dati disponibili lascia pochi dubbi: restituiscono più di quanto prendono, e migliorano il mercato del lavoro anche per gli altri. Non solo: i migranti contribuiscono al benessere globale in modo determinante, solo nel 2017 hanno spedito alle loro famiglie 613 miliardi di dollari che è molto di più — tre volte tanto a essere precisi — di quanto tutti i Paesi industrializzati messi insieme fanno nell’ambito della cooperazione internazionale a favore dei Paesi poveri. In Nepal e Liberia, tanto per fare due esempi, un terzo del Pil viene da quanto mandano i migranti ai loro cari e questo ha avuto un impatto estremamente favorevole sulla qualità di vita di quei due Paesi.

Sul fatto invece che le cure ai migranti sottraggano risorse ai servizi di salute dei Paesi che li ospitano nessuno pare avere dubbi, ma nemmeno questo è sostenuto dai dati della letteratura. Invero i migranti rappresentano una risorsa importante per qualunque sistema sanitario del mondo occidentale, si pensi anche solo all’assistenza agli ultraottantenni fragili e non autosufficienti. Ma c’è di più, i migranti sono parte integrante dello staff di molti ospedali a vario titolo, ed è così da anni almeno per i servizi più umili — le pulizie, per esempio, e lo smaltimento dei rifiuti — ma lo è sempre più anche nelle funzioni apicali (basti pensare che nel Regno Unito il 37% dei medici non ha una laurea inglese, si sono laureati nell’Europa dell’Est, in India, in Africa o nel Sud-Est dell’Asia). Non solo: un nuovo studio condotto su 15,2 milioni di persone provenienti da 92 Paesi ha dimostrato che i migranti muoiono di meno di malattie cardiovascolari, digestive, respiratorie, nervose, mentali della popolazione generale; muoiono meno anche di tumori e — cosa davvero sorprendente — muoiono meno degli altri anche di eventi traumatici. Per le malattie del sangue e per quelle muscolo-scheletriche non ci sono differenze fra migranti e non, mentre di epatiti virali, tubercolosi e Hiv si ammalano e muoiono di più i migranti. Nonostante ciò, il rischio che i richiedenti asilo trasmettano queste malattie ai residenti è molto basso (niente a che vedere, per intenderci, con le terribili epidemie che gli europei hanno portato in America ai tempi della colonizzazione) e i dati disponibili dimostrano che la trasmissione è soprattutto da migrante a migrante e vale anche per la tubercolosi, incluse le forme resistenti. Insomma: l’idea che i migranti portino infezioni non è sostenuta dalle evidenze disponibili in letteratura.

Pochi invece sembrano preoccuparsi del fatto che batteri e virus oggi viaggiano soprattutto in aereo e che le infezioni che importiamo dall’estero vengono dai viaggi intercontinentali, dal turismo di massa e dalle attività commerciali più che dai migranti. È da quei rischi che i sistemi sanitari di tutto il mondo devono imparare a difendersi e farlo per tempo, ma pensare di essere protetti perché si nega l’accesso a chi richiede asilo sarebbe un errore.

«Ma i migranti hanno tanti figli e questo potrebbe mettere a rischio i bambini degli altri — penserà qualcuno di voi — o non è vero nemmeno questo?». I dati finora disponibili dimostrano che quanto a fertilità i migranti acquisiscono le caratteristiche dei residenti (meno di 2,1 nascite per donna per chi è migrato in Francia, Germania, Spagna, Svizzera, Svezia e Regno Unito) e qualche volta hanno addirittura meno figli di chi li ospita e la tendenza è a diminuire ancora, con l’unica eccezione delle donne che vengono dalla Turchia; e non basta, i migranti interni — dell’India e dell’Etiopia per esempio — ricorrono più spesso a misure di contraccezione degli indigeni.

Non è detto che questo si applichi ai migranti clandestini e a quelli di cui non c’è documentazione; per loro non ci sono evidentemente abbastanza dati per fare analisi statistiche accurate. Nonostante tutto, però — scrive il «Lancet» —, la paura che i migranti o i loro bambini portino malattie e possano rappresentare fonte di contagio per i residenti ha favorito quasi dappertutto il diffondersi di misure restrittive che rasentano la detenzione. Questo non solo non ci protegge ma paradossalmente aumenta il rischio di contagio per loro e per noi. La Commissione del «Lancet» su questo punto prende una posizione molto chiara: «Sono le condizioni igieniche precarie che rendono vulnerabili i richiedenti asilo, bisogna esserne consapevoli e sviluppare politiche che tengano conto delle conoscenze scientifiche e della complessità dei problemi». Non si dovrebbero mai improvvisare soluzioni sull’onda delle emozioni.

A questo punto il «Lancet» ha chiesto ai più illustri membri della Commissione di provare a interpretare le diverse realtà locali alla luce dei dati raccolti in questi tre anni di lavoro. Secondo Ibrahim Abubakar, che lavora a Londra, i migranti sono più sani degli inglesi, contribuiscono in modo sostanziale al funzionamento del servizio sanitario e all’economia del Paese «ma questo — scrive Abubakar — i politici non lo riconoscono, creano un ambiente ostile verso i rifugiati, negano loro le cure e questo ha un effetto negativo anche sui servizi che il Regno Unito potrebbe offrire ai suoi cittadini». Terry McGovern, che è professore di Salute pubblica alla Columbia University di New York, sostiene che i migranti sono parte essenziale della stabilità sociale e del benessere degli Stati Uniti. E aggiunge: «Deportarli o metterli in carcere li condanna a contrarre malattie che non avrebbero, ci sono almeno 38 studi che lo dimostrano e che enfatizzano le gravi conseguenze di queste scelte anche sulla salute mentale, messa a dura prova anche dal fatto di separare i bambini dai genitori». E Bernadette Kumar dell’Istituto norvegese di Salute pubblica aggiunge che nel Nord Europa le discriminazioni etniche hanno un effetto negativo sulla coesione sociale e rallentano il progresso. Il commento più interessante è forse quello di Nyovani Madise dell’Istituto africano per le politiche di sviluppo (lui lavora in Kenya ed è uno dei membri più influenti della Commissione): «Gli africani sono in generale molto mobili — dice —. I dati della “Lancet Commission” dimostrano che i migranti all’interno dell’Africa contribuiscono all’economia delle regioni verso cui migrano. Ma non solo, restituiscono soldi alle regioni da cui provengono, e questo aiuta il continente intero. E che dire dei dati che dimostrano come i migranti siano accolti meglio nelle aree più vicine a loro, che di solito hanno risorse limitate, mentre i Paesi ricchi che avrebbero certamente meno problemi tendono sempre di più a respingerli?».

Chissà, forse è venuto il tempo di chiedersi davvero se l’umanità non debba cogliere l’opportunità offerta dalle migrazioni per migliorare i propri servizi a vantaggio di tutti e specialmente di chi, se no, è destinato a restare ai margini della società senza poter portare il proprio contributo (che invece potrebbe essere prezioso) alla crescita globale.

Una volta conclusi i lavori della «Commissione» il direttore del «Lancet» che l’ha fortemente voluta, Richard Horton, ha rilasciato un’intervista bellissima: «Con sempre più aspirazioni da parte delle nuove generazioni a poter migliorare il proprio futuro, il fenomeno delle migrazioni non passerà ed è chiaro che chi lascia il proprio Paese contribuisce all’economia di chi li accoglie più di quanto costi. Dipende da noi prenderne vantaggio con la consapevolezza che il futuro delle nostre società e il benessere dei nostri figli dipenderà sempre di più dal modo con cui sapremo affrontare e governare questa emergenza: non c’è nulla di più importante in questo momento al mondo».

È verissimo. Anche perché negli anni a venire i cambiamenti del clima indurranno ancora più persone a muoversi (da qui al 2050 per esempio saranno 143 milioni quelli che lasceranno le loro case per trasferirsi altrove, anche solo all’interno del loro Paese, nessuno lo fa volentieri e va detto che i migranti del clima non sono protetti da nessuna legge). Un dramma? Forse, oppure il modo con cui l’umanità saprà adattarsi a circostanze climatiche diverse, a patto che tutto questo possa essere sostenuto da politiche di sviluppo e investimenti adeguati. E questa è responsabilità di tutti. I Paesi ricchi — scrive il «Lancet» — non possono lavarsene le mani.

Giuseppe Remuzzi     in “la Lettura” del 13 gennaio 2019

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201901/190113remuzzi.pdf

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PASTORALE

Corso di Alta Formazione in Consulenza Familiare

Il Corso di Alta Formazione in Consulenza Familiare con specializzazione pastorale si svolgerà, per le due settimane estive, a La Thuile (AO) In Valle D’Aosta dal 7 al 21 luglio 2109

Il corso è aperto a sposi, sacerdoti e seminaristi, religiosi/e, anche se non in possesso di una Laurea, docili nell’accogliere «vino nuovo in otri nuovi» (Mc 2,22). È destinato a formare i formatori e si rivolge a coloro che, sotto la guida dei propri Pastori, desiderano nella più piena gratuità mettersi al servizio di una «Chiesa in uscita» (cfr. EG 24), animando sul proprio territorio l’annuncio del Vangelo del matrimonio e della famiglia.

Il corso si sviluppa in due settimane intensive per tre estati consecutive. A questo periodo intensivo e residenziale, si aggiungono due week-end ogni anno dislocati sul territorio (nord, centro e sud Italia).

Due weekend nord-centro-sud Italia: 14/15 dicembre 2019; 07/08 marzo 2020

L’intero progetto del corso triennale è scaricabile sul sito

https://famiglia.chiesacattolica.it/wp-content/uploads/sites/23/2018/11/12/ALTA-FORMAZIONE2019.pdf

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SEPARAZIONE

La procedura di appello avverso la sentenza si propone non oltre i 6 mesi dalla pubblicazione.

Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, ordinanza n. 403, 10 gennaio 2019

Dichiarato inammissibile l’appello avverso la sentenza del giudice di prime cure che aveva pronunciato la sentenza di separazione giudiziale dal marito. L’appello andava proposto con il deposito del relativo ricorso nel termine di sei mesi dalla pronuncia della sentenza ex art 325 327 c.p.c. Detto termine è perentorio.

Osservatorio nazionale sul diritto di famiglia         10 gennaio 2019

www.osservatoriofamiglia.it/contenuti/17507952/la-procedura-di-appello-avverso-la-sentenza-di-separazione-si-propone-non-oltre-.html

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SESSUOLOGIA

Quanto è difficile parlare di sesso con i bambini

Fin troppo presto i nostri figli smettono di essere dei bambini. Le prime cotte, i primi innamoramenti, le ragazze crescono e gli interessi cambiano. Il genitore si trova davanti a un compito importante. Parlare di sesso. Già, ma come farlo? Come affrontare l’argomento? Non è un compito che può essere trascurato, il nostro quotidiano, e il loro, è sommerso da immagini che richiamano la sfera sessuale e i bambini cominciano a “farsene un’idea” già molto presto. Lasciare che sia solo il rumore di fondo e internet a modellare la loro fantasia rischia di dare un’idea del sesso lontana dal reale, eccessivamente idealizzata. Sarebbe come imparare a riconoscere la realtà dai film di Superman.

Secondo la psicologa Anna Oliverio Ferraris, direttrice della rivista Psicologia contemporanea, i genitori sono ancora in una posizione di frontiera. “Non è ancora obbligatorio, in Italia un corso di educazione alla salute sessuale, come invece avviene in molti altri paesi occidentali. Per questo è necessario che il discorso sia affrontato in famiglia”.

Non è mai troppo presto per cominciare a parlarne. In Danimarca consigliano alle famiglie di iniziare già verso i 4 anni, ma è naturale tenere in considerazione le necessità tipiche di ogni età. “Si può cominciare già prima che raggiungano l’età di andare a scuola, quando i bambini scoprono le differenze anatomiche tra maschi e femmine, si informano su dove erano prima di nascere e come sono venuti al mondo. Con i bambini piccoli è meglio adoperare termini vicini al loro linguaggio. A questa età – aggiunge la psicologa –  è importante che rispettino le differenze, abbiano un’immagine positiva del proprio corpo e ne apprezzino le funzioni. Devono imparare a distinguere le diverse emozioni, a parlare dei sentimenti e delle differenze tra comportamenti pubblici e privati. Via via che i ragazzi crescono le tematiche aumentano e il linguaggio può diventare più scientifico”.

In casa, le occasioni per affrontare l’argomento non mancano. La vita quotidiana è pervasa da messaggi sessuali, a partire dalle pubblicità. “Tuttavia per molti genitori è difficile affrontare determinati temi. Alcuni possono trovarsi a loro agio nel parlare ai figli di 7-8 anni delle differenze tra corpo maschile e femminile, della gravidanza e della parità di genere, ma non sanno come rispondere a domande sulla sessualità degli adulti. Altri non hanno difficoltà nel parlare con i figli adolescenti delle mestruazioni, dell’innamoramento, dei sentimenti, ma si sentono a disagio nell’affrontare tematiche come la masturbazione, la prostituzione, gli anticoncezionali, la pornografia, l’omosessualità o l’Aids – osserva la psicologa – d’altro canto, i figli adolescenti possono avvertire come intrusivi quei genitori che invadono la loro intimità. Ecco allora che un terzo di rincalzo, uno specialista esterno alla famiglia e preparato a trattare questi argomenti consente al ragazzo di affrontare aspetti della sessualità su cui in casa si sorvola. Il “terzo” può essere il medico di famiglia, la ginecologa oppure la scuola. Quest’ultima ha il vantaggio di raggiungere tutti i ragazzi, anche quelli che non trovano in famiglia o presso un medico questo tipo di formazione”.

            Alcuni genitori hanno il timore che sdoganare determinati discorsi possa portare a un avvicinamento precoce dei giovani al sesso e incentivare l’adozione di stili di vita sregolati. Ma non è così. “Un discorso di educazione alla salute ben condotto serve a mettere ordine tra i numerosi messaggi e stimoli sessuali. Succede spesso che oggi un ragazzo abbia un ricco immaginario sessuale prima ancora di avere avuto esperienze dirette. Il facile accesso alla pornografia può dare a un ragazzino una visione deviata della sessualità, generare un’ipererotizzazione ma anche insicurezze e false aspettative – mette in guardia – secondo i sessuologi sono sufficienti poche settimane di frequentazione di siti e materiale pornografico hard perché un ragazzino associ il sesso alla violenza, minimizzi lo stupro e pensi di non dover prendere precauzioni durante un rapporto sessuale”.

Una buona educazione sessuale è un processo informativo più complesso. Non si tratta solo di rispondere a curiosità anatomiche ma di affrontare anche questioni più sentimentali. “Una buona educazione sessuale non consiste soltanto nell’apprendere una serie di informazioni anatomiche e tecniche, ma anche nel riflettere sugli impulsi, sul piacere e sui sentimenti propri e altrui, sulle conseguenze cui può dare origine l’atto sessuale, sulla relazione con il partner, su ciò che si trova sui social, adescatori compresi”.

L’importanza del compito e la sensibilità del tema fanno sì che sia molto difficile decidersi ad affrontare finalmente l’argomento. Ferraris dà qualche suggerimento per affrontare l’ingrato compito. “La prima cosa è parlare degli argomenti su cui ci si sente sereni e delegare ad altri la comunicazione di temi che imbarazzano. Non è necessario fare confidenze sulla propria sessualità. Le famiglie possono anche spingere le scuole a dare il via a un progetto di educazione sessuale. Si può cominciare con il chiedere al Dirigente scolastico di organizzare un corso di educazione sessuale sentimentale per i ragazzi condotto da personale esperto”.

Diana Tartaglia         La repubblica 10 gennaio 2019

www.repubblica.it/salute/medicina-e-ricerca/2019/01/10/news/educazione_sessuale_parlarne_con_i_bambini-215823262/?ref=RHPPBT-VU-I0-C4-P27-S1.4-T1

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TEOLOGIA

Teologia e segni dei tempi: Francesco rilancia. E i teologi?

Da qualche tempo rifletto su un paradosso davvero curioso. Abbiamo un tradizione recentissima che offre uno spettacolo interessante. Un papa che, sulla base di una teologia pienamente conciliare, chiede una nuova e strutturale “apertura” alla Chiesa. Accanto a lui e intorno a lui, oltre all’entusiasmo popolare e alla larga collaborazione pastorale e accademica, diversi pastori e teologi hanno paura della loro ombra e alzano barriere per evitare ogni apertura. Vorrei provare a interpretare meglio questo paradosso.

  1. Il Papa e i “segni dei tempi”. Dire che la teologia di papa Francesco è “conciliare” può essere solo uno slogan. Come tale sarebbe solo dannosa. A me pare, invece, che la conciliarità di Francesco risieda in un “approccio” che potremmo definire con una parola che ha accompagnato profondamente il percorso di elaborazione del Concilio Vaticano II: ossia la percezione di un rapporto della Chiesa con i “segni dei tempi”. E’ questa una delle intuizioni più feconde di Giovanni XXIII, che viene espressa con chiarezza nell’ultima sua enciclica “Pacem in terris”. Con questa espressione papa Giovanni indica “esperienze del mondo moderno” da cui la Chiesa ha qualcosa di decisivo da imparare. Nel testo giovanneo si parla delle condizioni dei lavoratori, delle donne e dei popoli, che si sono manifestate nel XX secolo, e su cui la Chiesa deve trarre decisivi insegnamenti. Potremmo dire che Francesco sa che la Chiesa deve essere, contemporaneamente, docente e discente. Può trarre dagli sviluppi economici, dai nuovi diritti della donna e dalla emancipazione politica dei popoli comprensioni più profonde del Vangelo.
  2. L’approccio “napoleonico” dei teologi e dei canonisti. Ma, mentre Francesco cammina sicuro per questa via, una parte consistente del corpo ecclesiale, al centro come in periferia, in campo pastorale e teologico, nelle curie e nelle accademie, resta ferma a rappresentazioni vecchie e a pratiche superate. Continua a ritenere che la chiesa possa e debba “blindarsi” in un corpus completo e immodificabile di “leggi” e di “dottrine” che il Codice e il Magistero custodiscono gelosamente. Che abbia solo da insegnare e nulla da imparare. Che possa gestire dall’interno ogni questione, senza dover mai rendere conto “a terzi”; che possa costruire una “logica parallela” che alimenta la indifferenza: leggi diverse, tribunali diversi, comportamenti diversi, intesi non come “trascendenza escatologica”, ma come “alternativa istituzionale”. Accanto alla “Chiesa in uscita” di Francesco vediamo esprimersi una Chiesa “con le porte blindate”. Una tale idea di Chiesa applica ad essa l’ideale illuminista e napoleonico della “legge universale e astratta”, garantita dal centro.
  3. La “libertà” della teologia secondo Francesco. Che cosa può fare, in questo ambito, la teologia? E’ evidente che, nella prospettiva di Francesco e dei “segni dei tempi”, un pensiero teologico vivo e acuto, capace di riflessione e di preghiera, è uno degli strumenti essenziali per “aprire” la Chiesa. Lo ha proposto in molte occasioni, il papa, questo racconto. Il racconto di una teologia che non sta “al balcone” o “alla scrivania”, ma “in strada”. E lo ha espresso, nel famoso discorso al Collegio degli scrittori della Civiltà cattolica, come una “teologia” delle tre “i”: una teologia della inquietudine, una teologia della incompletezza e una teologia della immaginazione. Sono le tre “i” che all’inizio di “Tempi difficili” di Charles Dickens vengono messe sul banco degli imputati dalla nuova cultura “generale e astratta”. In un certo senso possiamo dire che gli ideali del “sistema istituzionale” guardano con preoccupazione ad ogni manifestazione di inquietudine, di incompletezza e di immaginazione. Il “sistema ecclesiale” esige totale completezza, tranquilla autosufficienza, rigoroso principio di realtà. E rischia, il sistema, di pretendere questo anche da quei “funzionari” che si chiamano teologi. Che dovrebbero soltanto giustificare lo status quo, non introdurre elementi di inquietudine e di turbamento e semplicemente ripetere ciò che il codice e il magistero ha storicamente affermato: come se la storia fosse finita e la Chiesa potesse essere solo “retro oculata”.
  4. La incompatibilità tra Veritatis Gaudium I e Veritatis Gaudium II. Questa condizione paradossale appare in tutta la sua lacerazione nel testo di Veritatis gaudium, che è la nuova Costituzione Apostolica sugli studi ecclesiastici.

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/apost_constitutions/documents/papa-francesco_costituzione-ap_20171208_veritatis-gaudium.html

Sarebbe difficile immaginare un più forte contrasto tra un Proemio, la cui apertura è davvero impressionante, e il successivo “articolato normativo”, di cui impressiona altamente la chiusura.  Se davvero l’assetto degli studi ecclesiastici deve assumersi il compito di un “cambio di paradigma” e di una “rivoluzione culturale”, dall’articolato successivo sembra che questo sia possibile solo ad una Chiesa in cui questo compito sia affidato soltanto al papa, e poi tutti i teologi possano ripetere una dottrina già compiuta e perfettamente coerente, che ricevono dall’alto e alla quale obbediscono senza reticenze. La storia della Chiesa, però, dimostra che le cose non hanno mai funzionato così. E si deve dire, con grande chiarezza, che dare forma agli studi ecclesiastici secondo la mens di VG 1-6 non può in nessun caso seguire le normative stabilite da quanto segue. Anzi alla dottrina di una “chiesa in uscita” segue una normativa di una “chiesa senza uscite”. Il titolo riguarda i primi 6 numeri. Tutti gli altri dovrebbero intitolarsi Veritatis Angor! [angoscia, dolore] Non vorrei che i teologi dovessero essere costretti a reagire con una “obiezione di coscienza” nei confronti della parte normativa, in fedeltà alle intenzioni del Proemio.

  1. Il monito di W. Boeckenfoerde e il silenzio imposto. Una chiesa realmente capace di “imparare anche dalla storia contemporanea” ha bisogno di un’altra libertà di pensiero e di un’altra struttura di relazioni accademiche e istituzionali. Lo aveva già segnalato, molto lucidamente, il giurista tedesco Wolfgang Boeckenfeorde quando aveva denunciato la maggiore chiusura della normativa sulla “libertà teologica” del codice del 1983 rispetto al codice del 1917. Ho presentato nel dettaglio la posizione del grande canonista tedesco in un precedente post:

www.cittadellaeditrice.com/munera/roma-ha-parlato-la-discussione-e-aperta-sul-rapporto-tra-magistero-autorevole-e-liberta-teologica-nel-postconcilio

La trasformazione della normativa “negativa” del 1917, a quella “positiva” del 1983 ha ridotto pesantemente lo spazio di manovra della libera ricerca teologica. La imposizione del “silenzio” negli ambiti che meritano una discussione competente costituisce un segno di pericolosa “autoreferenzialità” su cui la normativa di VG accentua ulteriormente la mano. E’ davvero paradossale che ad un Proemio in cui, per la prima volta nella storia della Chiesa, si acquisiscono prospettive di apertura e di libertà davvero consolanti e promettenti, corrisponda una normativa che risulta meno aperta rispetto a quella del 1917 e del 1983! Occorre dirlo con chiarezza: senza una modifica radicale della normativa, le parole del Proemio corrono il rischio di essere intese come una verniciata ideologica senza radice. Che non impediscono al papa di essere profeta, ma che, secondo quanto segue, lo proibiscono recisamente a tutti i soggetti diversi da lui. E non sarebbe proprio un bel modo di onorare i “segni dei tempi”.

Andrea Grillo blog: Come se non     12 gennaio 2019

www.cittadellaeditrice.com/munera/teologia-e-segni-dei-tempi-francesco-rilancia-e-i-teologi

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VIOLENZA

Cassazione: è violenza sessuale anche se la vittima chiede il preservativo

                    Corte di Cassazione, terza Sezione penale, sentenza n. 727, 9 gennaio 2019

www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_33164_1.pdf

Per gli Ermellini conta che l’imputato sia consapevole del consenso viziato della vittima che ha richiesto il preservativo solo per tentare di ridurre le conseguenze negative dell’atto non voluto. La richiesta da parte della vittima dell’uso del preservativo non costituisce di per sé consenso putativo al rapporto sessuale, potendo rappresentare solo il tentativo della vittima di elidere o ridurre le conseguenze negative dell’atto non voluto.

È l’interpretazione fornita dalla Corte di Cassazione, nel respingere il ricorso di un uomo condannato per violenza sessuale. Il reato era stato commesso nei confronti di una quattordicenne che l’imputato aveva conosciuto online dichiarandole di essere un poliziotto. La violenza si era poi consumata nell’auto di lui, in un terreno di sua proprietà in aperta campagna e nonostante la ragazza avesse fermamente opposto un rifiuto al rapporto sessuale, non rispettato dall’uomo.

In Cassazione, l’imputato cerca di scardinare l’impianto argomentativo evidenziando il pregresso rapporto di conoscenza e frequentazione con la vittima, finalizzato all’inizio di una relazione sentimentale, e sostenendo che la stessa fosse matura e consenziente al rapporto senza che lui avesse abusato della sua presunta incapacità di resistenza per indurla a compiere atti sessuali. Anzi, nel dettaglio, l’uomo denuncia che il giudice non avrebbe adeguatamente valutato la circostanza che la ragazza lo avesse invitato a utilizzare il preservativo, dalla quale egli avrebbe tratto la ragionevole convinzione di agire con il consenso della ragazza.

In realtà, all’esito dell’istruttoria e dell’audizione della vittima, i giudici di merito evidenziavano come la spoliazione degli indumenti era avvenuta con lucida e deliberata azione con la quale l’imputato aveva superato progressivamente i reiterati dinieghi della ragazza, resi in un clima di comprensibile intimità, ma pur sempre esplicitati in modo circostanziato e fermo.

L’imputato aveva soggiogato la persona offesa, contando sull’evidente differenza di età e maturità, capacità di determinazione ed esperienza, sino a indurla ad arrendersi alla propria iniziativa. Avendo perso il controllo della situazione, la vittima, di fronte all’atteggiamento risoluto ed irreversibile dell’uomo, si era limitata a soggiacere chiedendo l’uso del preservativo.

L’abuso delle condizioni di inferiorità psicofisica. Il Collegio ritiene che la motivazione resa dai Giudici di merito sull’induzione all’atto sessuale con abuso delle condizioni d’inferiorità psicofisica della vittima al momento del fatto sia ampia, accurata e immune dai vizi censurati: in tali condizioni di inferiorità rientrano anche quelle che, prescindendo da patologie mentali, siano tali da determinare una posizione particolarmente vulnerabile della vittima. In particolare, la condizione di inferiorità psichica richiesta dall’articolo 609-bis, secondo comma, n. 1, del codice penale, si verifica nei casi in cui il soggetto passivo versi in una condizione, genetica o sopraggiunta, permanente o transitoria, di incapacità, totale o parziale, di resistere all’altrui opera di persuasione, condizione che non permette di esprimere un valido consenso alla prestazione sessuale.

Oltre alla verifica dell’induzione con abuso delle condizioni d’inferiorità della vittima, è altresì necessario che il giudice apprezzi l’elemento psicologico dell’agente di consapevolezza di tale stato e di volontà del relativo approfittamento, ottenendo un consenso che, in una situazione di «normalità», gli sarebbe stato negato.

Nel caso di merito, i giudici hanno verificato la sussistenza di tutte le condizioni all’uopo necessarie_ non solo hanno valorizzato la notevole differenza d’età (trent’anni l’uomo, quattordici la ragazza), ma anche l’inganno sull’età e sulla professione esercitata, l’inesperienza e immaturità della ragazza, la ripetuta insistenza nel cercare il rapporto sessuale, pur a fronte delle resistenze della persona offesa, il contesto creato per raggiungere lo scopo (auto condotta in zona appartata e coazione fisica della ragazza che era rimasta impietrita). In questo contesto, anche un eventuale consenso risulterebbe viziato perché strumentalizzato dall’induzione.

Neppure, inoltre, può avere fondamento la tesi difensiva del consenso putativo desumibile dalla richiesta dell’uso del preservativo, avendo ben spiegato il senso dell’invito da parte della ragazza che aveva pensato di elidere o ridurre le conseguenze negative dell’atto non voluto.

Peraltro, la ragazza ha raccontato di aver ripetutamente espresso il dissenso al rapporto, di aver cercato di sottrarvisi, ottenendone il rifiuto dell’uomo perché era arrivato il momento culminante per la soddisfazione della sua cupidigia, e quindi di essere rimasta pietrificata alla consumazione dell’atto della cui portata non aveva avuto piena consapevolezza come dimostrato anche nel racconto al pronto soccorso.

Lucia Izzo      Studio Cataldi            13 gennaio 2019

www.studiocataldi.it/articoli/33164-cassazione-e-violenza-sessuale-anche-se-la-vittima-chiede-il-preservativo.asp

 

Anche il contattare sui social la ex dalla quale si aveva l’ordine di stare lontani integra il reato di maltrattamenti in famiglia.

Corte di Cassazione, sesta Sezione penale. Sentenza n. 57870. 20 dicembre 2018

L’imputazione per reato ex art 572 c.p. aveva determinato nei suoi confronti la misura di divieto di dimora e di avvicinamento alle parti offese, nella specie la ex compagna e la figlia. Dato che l’uomo perpetrava la condotta violenta anche tramite utilizzo di social network infamando la ex e mettendola in condizione di grave disagio, a nulla valgono le considerazione dell’uomo di non aver violato alcuna disposizione del tribunale per non aver incontrato la donna.

La  Corte di Cassazione secondo cui la trasgressione al divieto di comunicazione con le parti offese, inglobato nel provvedimento di divieto di dimora, autorizza la configurazione di una delle manifestazioni dei maltrattamenti aggravati, potendo la prova di esse desumersi dal complesso degli elementi fattuali altrimenti acquisiti e dalla condotta stessa dell’agente che ha rivolto alle vittime messaggi vocali minacciosi e messaggi dai contenuti infamanti pubblicati su Facebook, conferma la pena custodiale.

Osservatorio nazionale sul diritto di famiglia         11 gennaio 2019

www.osservatoriofamiglia.it/contenuti/17507950/anche-il-contattare-sui-social-la-ex-dalla-quale-si-aveva-l-ordine-di-stare-lont.html

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