UCIPEM Unione Consultori Italiani Prematrimoniali e Matrimoniali
NewsUCIPEM n. 735 – 06 gennaio 2019
Unione Consultori Italiani Prematrimoniali E Matrimoniali
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01 AMORIS LÆTIZIA Amoris Lætitia: ciò che è cambiato e ciò che resta da cambiare.
03 ASSEGNO DIVORZILE Addio all’assegno all’ex che si registra come coppia di fatto.
04 ASSEGNO MANTENIMENTO FIGLI Spese per i figli decise dai tribunali.
05 BIGENITORIALITÀ Proposta di parità.
06 CATECHESI Si può trasmettere la fede?
07 CENTRO GIOVANI COPPIE Tempi affollati. Io, noi, la felicità.
08 CHIESA CATTOLICA I capi dei vescovi contro gli scandali: la verità dal vertice.
08 La buona Italia da non umiliare.
10 E’ un’offesa alla coscienza cristiana la legge sui migranti.
10 Genio di poca fede: ipotesi su Leonardo.
12 CONFERENZA EPISCOPALE ITAL. Non proselitismo ma ascolto e confronto.
12 DALLA NAVATA Epifania de Signore – Anno C – 6 gennaio 2019.
12 Il dono più prezioso dei Magi? Il loro stesso viaggio.
13 Mons. Forte: ogni uomo, come i Magi, è alla ricerca di Dio.
14 DIRITTI Quale futuro per i diritti umani?
16 DIVORZIO Separato non vuole divorziare: che fare?
17 DONNE CHIESA MONDO Riforme non rivoluzione.
18 ENTI TERZO SETTORE Raddoppio Ires. Convocazione governo: segnale che attendevamo.
18 Enti locali ed enti del terzo settore: concessione di beni pubblici.
20 FAMIGLIA Guida ai bonus famiglia 2019.
21 FRANCESCO VESCOVO DI ROMA Il Papa indica una via d’uscita.
21 Se il papa dice meglio ateo che ipocrita.
22 GOVERNO Legge di bilancio 2019: tutte le novità in materia di famiglia.
24 Bonus mamma domani
26 REDDITO DI CITTADINANZA Spetta ai coniugi separati?
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AMORIS LÆTITIA
Amoris Lætitia: ciò che è cambiato e ciò che resta da cambiare
E’ apparso sull’ultimo numero di “Studia Moralia” del 2018 un mio contributo dal titolo: Amoris Lætitia: ciò che è cambiato e ciò che resta da cambiare. Pubblico qui il terzo paragrafo dell’articolo e le conclusioni.
3. La profezia dei canonisti: indissolubilità e adulterio da ripensare. Il secondo punto che desidero mettere a tema è anch’esso quasi paradossale: proprio il documento che ha segnato, 100 anni dopo il sorgere di un Codex Juris Canonici, un forte ridimensionamento della autorità canonica in campo matrimoniale – lavorando sia sulla procedura, sia aprendo lo spazio di un “foro pastorale” – esige, per la sua recezione, la profezia e la creatività dei canonisti. Senza il loro contributo, si potrà far poco.
A tal proposito, il libro di Walter Kasper [Il messaggio di Amoris Lætitia. Una discussione fraterna, Queriniana (GdT 406), Brescia, 2018.], pubblicato pochi mesi fa, presentando con grande pacatezza la rilevanza del testo di AL, pone alcune questioni intorno alla “indissolubilità” che possono bene legarsi alle parallele questioni sollevate da Jean-Paul Vesco qualche anno prima, durante il cammino sinodale [Ogni amore vero è indissolubile. Considerazioni in difesa dei divorziati risposati, Queriniana (GdT 374), Brescia, 2015], sulla nozione di “adulterio”. In questo campo, è bene ricordarlo, abbiamo bisogno di canonisti capaci di considerare non solo la “lex condita”, ma anche la “lex condenda”.
Un breve testo di Kasper ci è utile per entrare meglio nella questione che attende una soluzione nuova: “Il concetto di indissolubilità esprime solo in modo imperfetto questo carattere di dono del vincolo matrimoniale” [Kasper, Il messaggio di Amoris Lætitia, 44]. Bisogna domandarsi: questa affermazione che cosa significa? Credo che si debba rispondere così: che è compito del canonista studiare la “normativa” più adeguata per dar conto della indissolubilità/fedeltà e della sua infrazione, ossia dell’adulterio. Una elaborazione giuridica nuova intorno a questa coppia diventa un compito inaggirabile. E la elaborazione della “sanzione” implica la possibilità di concepire tale sanzione in modo anche diverso dalla scomunica.
In effetti, se osserviamo bene la condizione attuale, scopriamo di essere di fronte ad una falla del sistema, che AL ha generato e di cui non può essere considerata immediata responsabile. Proviamo a fotografarla in forma assai schematica, mettendo a raffronto il “prima” e il “dopo”:
Prima di AL la condizione del “battezzato divorziato risposato civilmente” poteva avere solo tre uscite verso la comunione: o chiedeva il riconoscimento della nullità del vincolo sacramentale, o sceglieva di vivere in continenza le seconde nozze, o si asteneva dalla comunione sacramentale per la vita intera.
Dopo AL: continuano, ovviamente, le tre opzioni precedenti anche se con carattere non più assolutamente vincolante, e si apre contemporaneamente una quarta opzione che potremmo però definire “incompiuta”. Ossia, in un cammino concepito prudenzialmente “in foro interno”, il soggetto può riconoscere lui – e veder riconosciuto sul piano pastorale – lo “stato di grazia” della propria esistenza in “seconde nozze”. Ma occorre domandarsi: questa condizione complessa, che la legge civile consente e riconosce, in quale rapporto si pone rispetto alla legge ecclesiale? In altri termini, come può la legge ecclesiale riconoscere la condizione “riconciliata” del soggetto civilmente risposato? La questione non può essere risolta soltanto “in foro interno”, perché il matrimonio e la famiglia inevitabilmente non si lasciano racchiudere soltanto nella “coscienza individuale”. In altri termini, AL introduce positivamente la “coscienza del soggetto” come livello necessario per la soluzione dei “casi difficili”, ma tale livello non è sufficiente ad una risposta piena alla questione, ossia deve trovare forme di riconoscimento “ecclesiale/comunitario/istituzionale” che garantiscano la “opponibilità ai terzi”, cosa di cui la coscienza è sempre sprovvista!
Questo punto, per essere davvero risolto, ha inevitabilmente bisogno di creatività giuridica, senza la quale l’ordinamento non avrebbe modo di riconoscere e di tutelare davvero soggetti che risulterebbero pastoralmente visibili, ma giuridicamente invisibili [Vorrei far notare come molte delle polemiche scaturite dopo la pubblicazione del testo trovano qui uno dei punti di emergenza. E’ facile, infatti, creare una contraddizione tra “comunione” e “scomunica”, senza concepire alcuna mediazione possibile. E può essere interessante e istruttivo considerare che questa difficoltà accomuna sia chi si oppone al testo, sia chi è favorevole. Intendo dire che, senza risolvere esplicitamente la questione della “forma giuridica dello status del divorziato risposato riconciliato”, non si darà una recezione duratura al testo di AL. E molte belle parole resteranno senza alcuna conseguenza concreta].
Ciò potrebbe avvenire almeno in due possibili direzioni:
- Considerando, in una certa analogia con le soluzioni dell’oriente cristiano, la “morte morale” del vincolo sacramentale e il riconoscimento del vincolo civile, anche se non di carattere sacramentale;
- Introducendo una specifica “dispensa”, con sospensione degli effetti del vincolo sacramentale e riconoscimento ecclesiale del vincolo civile.
Questo sviluppo, in altri termini, sta sicuramente “oltre” AL, ma è reso necessario dalla considerazione dello sviluppo che AL profeticamente ha introdotto e che occorre recepire sul piano pastorale.
In ultima analisi, potremmo dire che nel considerare i “limiti” della legge oggettiva, AL rilegge non soltanto la comprensione delle “seconde nozze”, ma permette di distinguerle in modo sempre più accurato dalla fattispecie dell’adulterio. Credo che nel cammino che va da Familiaris Consortio ad AL abbiamo assistito ad una graduale riconsiderazione della differenza tra “adulterio” e “seconde nozze”. Non solo perché la differenza che FC proponeva tra divorziato non risposato e divorziato risposato ha acquisito una sua plausibilità ecclesiale, per quanto limitata; ma anche perché il peccato di “adulterio” deve passare, dal punto di vista penale, dalla comprensione di “reato permanente” a quella di “reato istantaneo”. La stessa interpretazione del canone 915 del Codice di Diritto Canonico, in vigore dal 27 novembre 1983. [Non siano ammessi alla sacra comunione gli scomunicati e gli interdetti, dopo l’irrogazione o la dichiarazione della pena e gli altri che ostinatamente perseverano in peccato grave manifesto.]– come ostacolo invalicabile alla reintegrazione dei divorziati risposati – merita una profonda revisione, poiché, con la sua lettura in termini di “responsabilità oggettiva”, non tiene conto né della storia dei soggetti, né delle diverse modalità di accesso e di stabilità nelle seconde nozze. La “ostinazione” nel permanere nella condizione di peccato grave non può essere più semplicemente identificata con il sorgere oggettivo del nuovo vincolo civile. Questa pretesa, ribadita da FC e mantenuta sostanzialmente in vigore fino ad AL, non permette alcun discernimento: offre una soluzione facile, ma ingiusta. Ciò però dischiude una novità procedurale che, in vista di una maggiore giustizia, assicura tuttavia anche una maggiore difficoltà [La “certezza del diritto” è altamente raccomandabile, ma non è mai un valore assoluto. Se punissimo tutti i reati con la scomunica avremmo una grandissima certezza e un bassissima giustizia. Un sano equilibrio tra giustizia e certezza impone una creatività ai canonisti, di cui tuttavia essi stessi non sembrano consapevoli. Ho ascoltato un canonista protestare perché “dopo AL sulla sua scrivania era arrivata una grande confusione”. Ciò non esclude affatto che la precedente scrivania ordinata fosse un brutto segno di ingiustizia! La complicatezza della esperienza è anche “meravigliosa”: cfr. A. Grillo, Meravigliosa complessità. Riconoscere l’Amoris Lætitia nella società aperta, Cittadella, Assisi, 2017].
4. Conclusioni. Insomma, per concludere e per ricapitolare, lo spazio processuale che AL introduce nel rapporto tra Chiesa e soggetti cosiddetti “irregolari”, pur essendo stato pensato con le categorie del “foro interno” e quindi senza la esigenza di una traduzione giurisdizionale in “foro esterno”, deve necessariamente confrontarsi sia con un “fare penitenza” che non è mai riducibile alla invisibilità della contrizione, sia con una riconoscibilità del nuovo legame di grazia, che deve poter essere “opponibile ai terzi” non solo nel mondo civile, ma anche all’interno della Chiesa. Lavoro penitenziale dei soggetti e riconoscimento formale delle seconde nozze sono due “non detti” di AL che attendono la elaborazione e la sperimentazione da parte della recezione pastorale e comunitaria, per la quale occorre un contributo di una rinnovata disciplina sacramentale sulla penitenza e di una canonistica capace di accedere anche alla dimensione – assolutamente classica, ma divenuta quasi inaudita dopo la introduzione del Codex nel 1917 – di una lex condenda diversa dalla lex condita. Non bisogna mai dimenticare, infatti, che la recezione è parte integrante e qualificante del Magistero della Chiesa. Per la quale recezione occorre un lavoro specifico, sia di natura teorica, sia di natura pratica, che sta ampiamente non solo dietro, ma anche davanti a noi, in una Chiesa non solo retro, ma anche ante oculata. Verso questa nuova lungimiranza deve essere orientata una recezione responsabile e coraggiosa della profezia di AL.
Andrea Grillo blog: Come se non 5 gennaio 2019
www.cittadellaeditrice.com/munera/amoris-laetitia-cio-che-e-cambiato-e-cio-che-resta-da-cambiare
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ASSEGNO DIVORZILE
Addio mantenimento all’ex che si registra come coppia di fatto col nuovo partner
Corte di Cassazione, prima sezione civile, sentenza n. 32871, 12 dicembre 2018
www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_33033_1.pdf
Perde il mantenimento il coniuge separato che si registra con il nuovo partner al Comune come coppia di fatto per beneficiare degli assegni familiari. Infatti, anche in caso di separazione legale dei coniugi, e di formazione di un nuovo aggregato familiare di fatto a opera del coniuge beneficiario dell’assegno di mantenimento, indipendentemente dalla “risoluzione del rapporto coniugale” (assai più che probabile), si opera una rottura tra il preesistente tenore e modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale e il nuovo assetto fattuale avente rilievo costituzionale, in quanto espressamente cercato e voluto dal coniuge beneficiario della solidarietà coniugale, con il conseguente riflesso incisivo dello stesso diritto alla contribuzione periodica, facendola venire definitivamente meno.
Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, nella sentenza n. 32871/2018, respingendo il ricorso di una signora nei confronti del marito separato.
La Corte d’appello aveva revocato l’assegno di mantenimento corrisposto dall’ex marito nei confronti della moglie a seguito della separazione personale dei coniugi. In particolare, la revoca era giustificata dai giudici di merito in considerazione dell’instaurazione di una famiglia di fatto da parte della ex moglie, circostanza provata anche a mezzo di un certificato estratto dal registro delle coppie di fatto tenuto dal Comune ad uso assegni familiari.
Secondo la donna, invece, la Corte avrebbe sbagliato ad escludere l’assegno di mantenimento in ragione della prova di una sua convivenza more uxorio, che non presentava caratteri di stabilità, ma aveva natura precaria, senza aver accertato e valutato se dalla nuova convivenza la stessa traesse benefici economici idonei a giustificare la diminuzione o addirittura la revoca dell’assegno.
Gli Ermellini rammentano come la giurisprudenza abbia dato una lettura estensiva della causa estintiva degli assegni in favore dell’ex prevista dalla legge sul divorzio: si è ritenuto che questa ricomprendesse non solo il caso delle nuove nozze, ma anche quello della formazione di una famiglia di fatto.
A tale nuova ermeneutica, è seguito il problema della sopravvivenza dell’assegno di mantenimento non solo in caso di divorzio, ma a seguito della separazione coniugale quando non vi sia stata ancora la completa recisione del legame coniugale potendo questo astrattamente (anche se sempre più raramente, secondo l’id quod prelumque accidit [ciò che accade più spesso,]) risorgere in base alla scelta ripristinatoria dei separati.
Anche in un tal caso la giurisprudenza di legittimità ha risposto positivamente all’istanza di esclusione dell’obbligo attraverso l’enunciazione del seguente principio: in tema di separazione personale dei coniugi, la convivenza stabile e continuativa, intrapresa con altra persona, è suscettibile di comportare la cessazione o l’interruzione dell’obbligo di corresponsione dell’assegno di mantenimento che grava sull’altro, dovendosi presumere che le disponibilità economiche di ciascuno dei conviventi “more uxorio” siano messe in comune nell’interesse, del nuovo nucleo familiare.
Resta salva, peraltro, la facoltà del coniuge richiedente l’assegno di provare che la convivenza di fatto non influisce in melius sulle proprie condizioni economiche e che i propri redditi rimangono inadeguati (cfr. Cass. n. 16982/2018).
Separazione: la convivenza di fatto fa venir meno il mantenimento. Un principio che il Collegio ritiene di dover riaffermare, ponendovi ulteriori precisazioni: la cessazione dell’obbligo di contribuzione deve esser individuato, per il divorzio e anche per la separazione personale, nel principio di autoresponsabilità ossia nel compimento di una scelta consapevole e chiara, orgogliosamente manifestata con il compimento di fatti inequivoci, per aver dato luogo ad una unione personale stabile e continuativa che si è sovrapposta, con effetti di ordine diverso, al matrimonio, sciolto o meno che sia.
Secondo la Cassazione, tale impianto motivazionale non è scalfito dalla possibilità che i coniugi non divorziati possano astrattamente tornare a ricomporre la propria vita a seguito di un (improbabile) ripensamento. Anche in tal caso l’assegno, infatti, l’assegno non rivivrebbe, ma tornerebbe a operare il precedente assetto di vita caratterizzato dalla ripresa dalla convivenza. Giammai, dunque, tornerebbe a vivere il contributo che a suo tempo (prima delle operata opzione verso una nuova dimensione di aggregativa di fatto) era stato assegnato dal giudice.
Lucia Izzo Newsletter studio Cataldi e gennaio 2019
www.studiocataldi.it/articoli/33033-addio-mantenimento-all-ex-che-si-registra-come-coppia-di-fatto-col-nuovo-partner.asp
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ASSEGNO MANTENIMENTO PER I FIGLI
Spese per i figli decise dai tribunali
Sono sempre di più i tribunali che stipulano accordi che regolino, in modo preventivo, la divisione delle spese per i genitori. L’ultimo protocollo siglato dal tribunale di Avellino.
Le spese per i figli possono essere motivo di liti ed accanimento tra genitori separati. La conflittualità registrata sovente deriva dall’assenza di regole certe di carattere normativo. Per questo motivo sono sempre di più i tribunali che stipulano accordi che regolino, in modo preventivo, la divisione delle spese per i genitori.
In parte le indicazioni erano arrivate, dal Consiglio Nazionale Forense che, il 29 novembre 2017, ha pubblicato delle linee guida proprio per evitare l’insorgere di controversie, facendo «espresso invito alle parti e, per esse, ai relativi difensori, di riservare ampia trattazione, all’interno degli eventuali accordi di separazione e/o divorzio, alla disciplina delle spese straordinarie, con precisa e puntale elencazione delle spese che esulano dalla contribuzione ordinaria al mantenimento della prole». In modo che, quanto più un accordo sarà dettagliato e minuzioso, tanto meno si presterà a interpretazioni parziali e foriere di liti e incomprensioni.
www.studiocataldi.it/articoli/28427-mantenimento-figli-le-linee-guida-del-cnf-sulle-spese-ordinarie-e-straordinarie.asp
Molti tribunali si sono mossi con protocolli per regolamentare le spese e il mantenimento. Tra i primi Roma e Milano, con approcci in verità differenti.
www.studiocataldi.it/articoli/21985-mantenimento-dei-figli-tribunali-a-confronto.asp
Di recente, si è aggiunto il Tribunale di Avellino che ha stipulato un protocollo d’intesa tra magistrati e avvocati per regolamentare le spese per i figli nei procedimenti in materia di separazione, divorzio e in tutti gli altri nei quali detta regolamentazione possa trovare ingresso.
Ad Avellino, come riporta Ottopagine, il protocollo è stato siglato nell’ufficio del presidente del tribunale Vincenzo Beatrice, alla presenza del presidente dell’ordine degli Avvocati di Avellino Fabio Benigni e del Consigliere Segretario dell’Ordine, l’avvocato Biancamaria D’Agostino. Oggetto del protocollo la crisi familiare e tutti i procedimenti nei quali sia necessario o opportuno regolamentare il profilo economico dei rapporti tra genitori e figli. Nell’atto vengono individuate sia le voci di spesa che rientrano nell’assegno ordinario sia le spese extra assegno, che non vi rientrano. Il protocollo regolamenta le spese, indica le modalità di decisione e quindi la necessità o meno del preventivo accordo sulle spese extra.
Gabriella Lax Studio Cataldi 6 gennaio 2019
www.studiocataldi.it/articoli/33104-spese-per-i-figli-decise-dai-tribunali.asp
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BIGENITORIALITÀ
Proposta di parità
La maggioranza di governo fa evidentemente fatica a comprendere il concetto di “maternità”. Ne ha dato plateale dimostrazione con il Ddl Pillon, in cui padre e madre sono considerati perfettamente intercambiabili, genitore1 e genitore 2 in salsa eterosessuale, un Ddl inemendabile che speriamo venga ritirato.
Ma anche altri provvedimenti della maggioranza giallo-verde mostrano questa difficoltà concettuale. Per esempio la “libertà” delle donne di lavorare fino al nono mese di gravidanza, sancita nella manovra economica: un plateale esempio della totale incomprensione di cosa sia una gravidanza, quasi che il problema sia limitato a portare un peso in pancia, un peso che, se non dà problemi di salute, non dovrebbe impedire di lavorare.
Ma d’altra parte la maggioranza riflette un pensiero abbastanza diffuso, che emerge anche dai commenti che si leggono quando si spiegano i dati sulle separazioni, come quelli offerti da Linda Laura Sabbadini – nota e importante ricercatrice ISTAT – su La Stampa, qualche giorno fa: le separazioni impoveriscono tutti, uomini e donne, ma le donne generalmente stanno peggio. Non dovrebbe essere difficile capire perché: gli effetti economici delle separazioni sulla coppia sono più pesanti sul soggetto più debole economicamente, e di solito è la donna ad esserlo. E’ la donna che lavora di meno, è la donna che rinuncia al lavoro o alla carriera, o li penalizza per prendersi cura della famiglia: bambini innanzitutto, ma anche anziani.
Ma questa rinuncia e il lavoro di cura di cui le donne da sempre si fanno carico troppo spesso si danno per scontati, e sorprende leggere commenti in cui le donne che hanno fatto questa scelta vengono trattate da “mantenute”, più o meno esplicitamente: loro, insomma, stanno a casa, non lavorano.
I tempi paritetici con i figli e il mantenimento diretto dei figli dopo la separazione, due dei quattro pilastri del Ddl Pillon, nascono dalla cancellazione della differenza materna: sono proposte che funzionano solo se padre e madre sono esattamente pari nel lavoro fuori casa e in casa.
E per spiegarmi meglio, inizio l’anno nuovo con una proposta: diamo anche agli uomini la libertà di scegliere se stare a casa a prendersi cura dei figli, rinunciando al lavoro.
Cambiamo regime: lasciamo alla donna la possibilità di congedo da gravidanza e parto, da usufruirsi solo previa indicazione medica, fino al nono mese come adesso, allungando il periodo di congedo a dopo il parto solo per eventuali necessità mediche.
Cambiamo poi il congedo successivo, quello dopo la nascita, in congedo per “genitorialità” anziché per maternità, lasciando liberamente scegliere a uomini o donne di rinunciare al lavoro e stare a casa ad accudire il neonato, per i mesi necessari.
Se poi l’allattamento è visto solo come fornitura di alimento naturale, la donna potrà benissimo toglierselo per un po’ con il tiralatte, metterlo in frigo e lasciare che il suo compagno lo somministri con il biberon. E se non funziona, c’è sempre il latte artificiale, no?
Quando una buona percentuale di uomini, diciamo almeno il 50%, avrà scelto liberamente di rinunciare al lavoro per starsene a casa con i figli – e magari pure gli anziani -, o di riprendere con un part-time dopo un anno dalla nascita, lasciando le donne alla faticosa carriera lavorativa, allora potremo veramente parlare di tempi paritetici.
Aspetto di vedere file di padri ai colloqui scolastici, ad accompagnare le figlie a danza e imparare a infilare loro il tutù – d’altra parte se sono in grado di tirare avanti la famiglia saranno anche capaci di infilare un tutù – a fare l’inserimento al nido ai piccoli e a controllare i compiti a casa dei grandi, e via dicendo.
A quel punto potremo parlare di vera parità, e quindi tempi paritetici e mantenimento diretto avranno un senso.
Assuntina Morresi blog strano cristiano 2 gennaio 2019
https://stranocristiano.it/proposta-di-parita
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CATECHESI
Si può trasmettere la fede?
L’espressione trasmissione della fede è ambivalente. Essa può significare che la fede è resa possibile dal succedersi di una tradizione che risale alle origini e che ci è stata tramandata mediante l’istituzione ecclesiale, e in questa accezione risulta del tutto plausibile. Ma può anche significare — ed è questa l’accezione con cui l’espressione viene comunemente usata — che la fede è frutto di un processo comunicativo attraverso il quale si opera direttamente il passaggio dall’educatore a chi viene educato. In questo secondo caso l’espressione è impropria, perché sottende la possibilità di una consegna immediata di un bene che, in quanto è dono di Dio, può essere soltanto ricevuto dall’alto.
L’importanza delle precondizioni. Se questo è vero, non è meno vero che il dono della fede, che è di per sé offerto a tutti, suppone, per poter essere accolto, la presenza di alcune condizioni (o precondizioni), che costituiscono il terreno fertile nel quale il seme gettato può venire recepito e attecchire. In una società come quella del passato, caratterizzata dal regime di cristianità, queste condizioni erano offerte dalla cultura dominante e dalle istituzioni civili fortemente impregnate di valori cristiani o segnate dall’influenza del potere ecclesiastico, che esercitava una consistente pressione sulla conduzione della vita sociale e sulla legislazione che ne regolava lo sviluppo. La famiglia e le diverse agenzie educative risentivano di questo clima, che facilitava (e non poteva che facilitare) il compito della trasmissione delle verità cristiane e dei valori a esse connessi.
Oggi non è più così. Il fenomeno della secolarizzazione, che ha assunto proporzioni sempre più ampie fino a diventare secolarismo, ha intaccato l’ethos culturale di ispirazione cristiana, un tempo largamente condiviso, e le strutture tradizionali della vita civile che lo supportavano, introducendo criteri di lettura e di interpretazione della realtà che esulano, quando addirittura non si oppongono, a una visione religiosa dell’esistenza. La cultura scientifico-tecnica fa riferimento a indici di natura positivista, basati sul principio della verificabilità empirica — vero è ciò che è sensorialmente sperimentabile —; mentre, a sua volta, l’ideologia del mercato divenuto pensiero unico tende a ridurre la comprensione della realtà a parametri utilitaristi come l’efficienza produttiva e il consumo.
Ma c’è di più. La questione di Dio non è oggi soltanto accantonata in quanto non rientra nella logica soggiacente a questi parametri; è, più radicalmente, sottratta alla possibilità di qualsiasi considerazione, per il fatto che il mondo del divino è del tutto ignorato, in quanto considerato anacronistico e irrilevante.
Quale impegno educativo? A venir meno è dunque quel tessuto valoriale, che costituiva in passato l’insieme delle precondizioni della fede; o che rappresentava, in altre parole, il terreno fecondo nel quale il dono la fede poteva trovare accoglienza e svilupparsi. Valori come la gratuità, l’ascolto e l’apertura all’inedito e al non razionalizzabile sembrano essere del tutto accantonati: il che provoca un ottundimento delle coscienze, con l’impossibilità (o almeno con una consistente difficoltà) a disporsi a ricevere il dono della fede. Nella prospettiva cristiana, infatti, non siamo noi ad andare per primi incontro a Dio, ma è lui che per primo viene incontro a noi, e quello che conta è, di conseguenza, disporci a riceverlo, predisponendo le condizioni perché questo possa avvenire.
La fede cristiana è frutto dell’ascolto; ma perché si possa diventare uditori della Parola — come recita il titolo di un importante opera di Karl Rahner (1904-1984, gesuita tedesco, fra i principali teologi del suo tempo) — è necessaria la coltivazione di un’ascesi, fatta di povertà come abbandono dell’autosufficienza (e percezione della propria insufficienza), di silenzio, di ricettività — come già si è ricordato — che, lungi da1 dover essere ascritta — come oggi spesso avviene – all’area della passività, è un’attitudine estremamente attiva, che mobilita le energie più profonde dell’animo umano. Il compito educativo deve dunque avere come obiettivo la creazione dello spazio, perché queste attitudini possano essere ricuperate e producano in tal modo le premesse per l’accesso alla fede.
La necessità di un’attitudine misterica Ma l’attitudine che più di ogni altra esige di essere coltivata è il senso del mistero, una visione, cioè, aperta del mondo e della vita non circoscrivibile entro schemi predefiniti e onniavvolgenti. Come ci ha ripetutamente ricordato Gabriel Marcel (1889-1973, filosofo, esponente dell’esistenzialismo cristiano) due sono infatti gli atteggiamenti di fondo con i quali l’uomo si rapporta alla realtà: l’atteggiamento problematico e quello misterico.
Il primo, oggi prevalente, che ha le sue radici nella cultura positivista dominante, è caratterizzato dalla presunzione di poter dare una spiegazione totale di ogni fenomeno umano e naturale — il problema può non essere ancora risolto, ma è ritenuto in ogni caso risolvibile — mediante la sua riconduzione entro schemi razionali o sperimentali.
Il secondo implica, invece, un accostamento ai fenomeni ricordati sotto la forma della comprensione, cioè di una fusione di orizzonti diversi e inesauribili, la quale lascia aperta la porta a una ulteriorità, mai del tutto circoscrivibile.
Detto in altri termini, siamo qui di fronte — per usare le categorie di Emmanuel Lévinas (1906-1995, filosofo ebreo francese) —alla opposizione tra due forme di ragione: la ragione della Totalità e la ragione dell’Infinito. La prima è una ragione chiusa totalizzante — la razionalità ideologica che conduce ai totalitarismi e quella strumentale, per la quale la conoscenza si traduce in esercizio del potere manipolativo sulla realtà —; la seconda è una ragione aperta, che non pretende di esaurire in sé stessa il reale, ma rinvia costantemente oltre; è la ragione che fa spazio al mistero, e che apre dunque l’accesso alla trascendenza.
Il valore della testimonianza. La fede rimane dunque — è bene ribadirlo — una realtà intima e del tutto personale, che riguarda il rapporto dell’uomo con Dio e che implica pertanto una scelta esclusiva del soggetto, dalla quale discende uno stile particolare di vita. Questo significa che ciò che è possibile trasmettere non è dunque la fede; è, più semplicemente un insieme di valori e di modelli di comportamento, che dicono riferimento ai contenuti fondamentali del messaggio cristiano e che consentono di acquisire la conoscenza del «che cosa credere» (di quella che gli Scolastici definivano come la fides quale [il contenuto della fede che viene accolto]), ma non possono invece suscitare l’atteggiamento di fede (la fides qua [atto che assume il contenuto come vero]), il quale comporta un incontro con la persona Dei, che ha luogo nel sacrario della coscienza in maniera assolutamente irripetibile. La condizione che più di ogni altra può influenzare (ma mai determinare) tale libera opzione è la testimonianza. Le conoscenze cui si è accennato acquistano carattere esistenziale nella misura in cui vengono confermate dalla condotta di vita di chi le comunica.
Non è forse questo il segreto dell’educazione? Non si educa per quello che si dice, ma per come si agisce e, più radicalmente, per come si è. L’assimilazione dei valori è frutto di un processo profondo che mobilita tutte le energie della persona: i valori non basta saperli, occorre sentirli, percepirli cioè come indispensabili direttrici che conferiscono un senso all’esistenza.
Questo non vale soltanto per i valori morali naturali, ma anche per i valori evangelici, la cui bellezza diviene trasparente nei vissuti di persone — quelle più vicine in particolare — che trovano nella loro pratica la risposta alla propria realizzazione personale. La comunicazione di tali valori chiama in causa l’importanza del linguaggio — non solo di quello parlato, ma anche (e soprattutto) di quello gestuale — che esige di essere costantemente riattualizzato e risignificato. Le forme dell’ethos hanno immediatamente a che fare — come è risaputo — con la tradizione culturale e reclamano la disponibilità a un costante mutamento. Ma quello che conta è che non venga meno la forza del simbolo, che dà espressione alla verità senza la presunzione di possederla, ma rinviando costantemente oltre.
La rigenerazione di questo linguaggio, offuscato oggi dalla presenza di linguaggi chiusi e riduttivi, è, in definitiva, la condizione fondamentale per restituire piena credibilità — è questo l’apporto che i credenti e le comunità cristiane possono (devono) offrire a ogni uomo — all’annuncio evangelico.
Giannino Piana “Il Gallo” dicembre 2018
www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201901/190105piana.pdf
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CENTRO GIOVANI COPPIE
Tempi affollati. Io, noi, la felicità
All’interno del ciclo di conferenze 2018-19 “Un progetto che si chiama desiderio“, avrà luogo la Conferenza del 17 gennaio 2019 “Tempi affollati. Io, noi, la felicità”.
Non viene mai il sospetto di vivere in modo surreale, schiavi “dell’imperativo generale che ti porta a consumare e dunque a lavorare solo per il privilegio di consumare, tutti prigionieri di un sistema per cui lavori, produci, consumi” (Jean-Louis Kerouac)? Un sistema che non lascia scampo, che ti fa credere di poter essere libero e felice a comando, nei ritagli di tempo? Sistema che punta a consumare tutto, perfino se stessi, nella lotta eterna di tempi liberi e occupati? Dove tutto è travolto. Tutto si affolla e si riempie. Tutto si svuota e perde di significato, sia nell’obbligo di lavorare per consumare che in quello di consumare per lavorare.
Da una parte e dall’altra. Per il tempo occupato e per il tempo libero. Per il lavoro e per la festa. Per reggere, il sistema prevede di essere infelici di qua e di là. Nel lavoro manca la festa, nella festa il lavoro. Nella professione i rapporti, nei rapporti la professione. Nella razionalità l’affetto, nell’affetto la razionalità. Nella vita la morte, nella morte la vita senza però sapere più dove stiano, quali, cosa siano esattamente, vita e morte.
Finché c’è lavoro, finché c’è festa. Finché il lavoro è il contrario della festa e la festa il contrario del lavoro, l’essere occupati dell’essere liberi e viceversa. Finché responsabilità, solidarietà, e rapporti si rintanano in rifugi più o meno privati, più o meno amorevoli, più o meno liberi. Finché i tempi, le logiche restano opposte e incompatibili. Finché la festa e il rito accettano le gabbie di pause igieniche e funzionali, di valvole di sfogo e di recupero. Chissà poi di che cosa.
L’astuzia riesce. Finché tutto ruota intorno al perno dell’io, della sua felicità. Finché l’altro è ridotto – quando va bene – a un’appendice della propria felicità. Mentre però si resta infelici, in prima persona, da una parte e dall’altra.
Relatore: Franco Riva, filosofo – Università Cattolica Milano
www.centrogiovanicoppiesanfedele.it
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CHIESA CATTOLICA
I capi dei vescovi contro gli scandali: la verità dal vertice
Ci sono due appuntamenti nel 2019 che segneranno la storia del papato di Francesco e del cattolicesimo romano del secolo XXI. Il primo appuntamento è la riunione dei presidenti delle conferenze episcopali a fine febbraio, sulla pedofilia nel clero. Questa assemblea esprime una sinodalità dal basso (tranne in Italia i presidenti delle conferenze episcopali sono eletti) e un’autorevolezza unica. Necessaria per rompere un incantesimo. La crisi che ha flagellato la chiesa non è una crisi del clero, ma l’esito del comportamento di vescovi prima impotenti e poi illusi che bastasse ripetere frasi fatte come “tolleranza zero” e “vergogna” per guarire una piaga che non si poteva risolvere accentrando i processi a Roma, ma liberandosi del demone del clericalismo e della eresia di un “onore” chiesastico, che nel cristianesimo non esiste. Il rischio che quella assemblea si concentri su marchingegni giuridici è grande.
Papa Francesco ha indicato di recente una via, che è la sola compatibile con la giustizia necessaria e il perdono: consegnare senza esitazione i colpevoli e i sospetti alla giustizia civile, aver cura delle loro vittime. Se i vescovi seguiranno questa via, la crisi finirà. Se si perderanno alla ricerca della repressione “cattolica” di un crimine enorme, la crisi diventerà l’arma da usare prima, dentro e dopo il conclave del duemila chissà quando.
Il secondo appuntamento è il sinodo dell’Amazzonia convocato a Roma ad ottobre. La desolante furbizia dei grandi episcopati, la codardia dei teologi bisognosi di apprezzamento gerarchico e degli strateghi dei movimenti ecclesiali, ha fatto sì che di fronte al calo quantitativo e qualitativo del clero (che dura da quasi due secoli) tutti abbiano fatto finta di niente. Così a dire che l’eucaristia che è il perno della vita cristiana conta più del celibato toccherà ai vescovi dell’Amazzonia: e saranno loro a chiedere ed ottenere che i preti vengano scelti non solo fra chi ha una vocazione celibataria che forse andrebbe testata più a lungo, ma anche fra chi ha una vocazione coniugale.
Alberto Melloni la Repubblica 31 dicembre 2018
www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201812/181231melloni.pdf
La buona Italia da non umiliare
Per provare a comprendere un aspetto decisivo del dibattito politico dell’anno che si è appena concluso, occorre guardarlo da un punto di osservazione più alto e più distante dalla bagarre recente; e poi da lì tentare uno sguardo e una valutazione d’insieme.
L’incidente del Governo sulla tassazione delle organizzazioni del Terzo settore, non è una questione minore o solo fiscale. La serietà di quella distrazione risalta immediatamente non appena ci domandiamo: come mai i nostri governanti dichiarano di voler aiutare gli italiani poveri, o addirittura di voler sconfiggere la povertà, e poi pensano di complicare la vita a quelle organizzazioni che la povertà vera la combattono e riducono da decenni se non da secoli?
Questo (apparente) paradosso si svela se lo collochiamo accanto ad altri interventi e atteggiamenti collegati e coerenti tra di essi – quelli nei confronti delle cooperative e delle Ong (impegnate sulle rotte marine delle migrazioni), o la minaccia di riduzione del finanziamento ai giornali realizzati in cooperativa o da aziende non profit. E scorgiamo subito un tratto comune netto e significativo, che raggiunge anche il modo con cui è stato pensato (finora) il reddito di cittadinanza.
L’Italia e l’Europa hanno risposto alle loro crisi epocali generando, dal basso, realtà associative che curavano le povertà inserendole dentro tessuti sociali e comunitari diversi. Dalle Misericordie nate dalla società toscana nel Duecento, ai Monti di pietà dei Francescani all’alba della modernità, fino al movimento cooperativo, passando per le opere di welfare ante-litteram degli ordini religiosi tra Seicento e Novecento. Il genio italiano ha risposto alle povertà generando società civile organizzata, attivando le persone e i loro i capitali comunitari, relazionali e soprattutto i capitali narrativi (le prime cure di malattie sociali e di emarginazioni iniziavano quando, insieme, eravamo capaci di narrarci altre storie che illuminavano le povertà e spalancavano orizzonti capaci di vedere e aprire un altro cielo). E lo ha fatto fino a pochi decenni fa, quando siamo stati capaci di rispondere alla crisi dello Stato sociale dando vita a migliaia di cooperative sociali che hanno curato le nostre fragilità mettendo a sistema la vocazione comunitaria del nostro Paese. Ora, nell’età dei social – il cui nome camuffa una radicale deriva individualistica – la politica ha iniziato a pensare di poter servire il Bene comune saltando la mediazione del ‘civile’ per dar vita a un governo dei sondaggi e dei like dei ‘singoli’. Un mondo nuovo, dove però le povertà vere non si vedono, non si capiscono e quindi non si curano.
Un grande limite dell’attuale proposta del Reddito di cittadinanza è, infatti, l’assenza della mediazione della società civile. Si vorrebbe eliminare la povertà attivando un rapporto diretto Stato-individuo, mediato soltanto da organismi burocratici statali (i centri per l’impiego). Dimenticando, ancora una volta, che la prima indigenza dei ‘poveri’ è relazionale, è l’assenza di relazioni buone e/o la presenza di relazioni tossiche.
Insieme all’articolo 1 della nostra Costituzione, sta allora entrando profondamente in crisi anche l’articolo 2: «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale». Collegare i diritti inviolabili degli uomini e delle donne alle «formazioni sociali ove si svolge la loro personalità», fu un atto moralmente forte e profetico. L’umanesimo cristiano e laico che generò quella Carta sapeva che senza la mediazione dei corpi intermedi i diritti inviolabili non vengono né riconosciuti né garantiti, perché non c’è uomo più violabile e violato dell’uomo isolato e solo, come l’albero senza bosco quando arrivano le grandi tempeste.
Dietro l’articolo 2 ci sono, invisibili e realissimi, la Bibbia e tutto il Vangelo, molto pensiero greco e romano, Tommaso d’Aquino, Luigi Sturzo, Luigi Luzzatti, Antonio Gramsci, e la distruzione dei corpi intermedi perpetrata dal fascismo. Accanto a quelle parole c’era anche, scritta con inchiostro simpatico, una visione positiva della persona umana, uno sguardo buono e generoso sull’uomo che vedeva l’individuo capace di fiorire in pienezza solo diventando persona (individuo-in-relazione), quindi dentro famiglie, associazioni, partiti, cooperative, comitati editoriali, comunità spirituali e ideali. C’era l’etica delle virtù, la pietra miliare dell’antropologia occidentale, che vedeva gli esseri umani prima socievoli poi furbi, prima capaci di cooperare poi di evadere, prima buoni poi cattivi.
Quando si inverte questo ordine, torniamo all’antropologia del lupo, alla guerra di tutti contro tutti, alla paura e alla rabbia che diventano il collante di individui non persone; e immediatamente iniziamo a guardare il vicino di casa come un evasore potenziale o effettivo, a vedere chi arriva sull’uscio di casa non come una possibile benedizione ma come una sciagura certa. La società civile di oggi non è più quella lasciataci in eredità dal Novecento. È ferita, colpita al cuore dalla globalizzazione, dai nuovi mercati e dai loro princìpi utilitaristici, da una politica che l’ha manipolata e consumata senza rigenerarla. Ma da essa dobbiamo ripartire per immaginare un Paese migliore, iniziando prima a vederla, poi stimarla e quindi curarne le ferite.
Potremo – dobbiamo – riaprire i porti, perché ad accogliere non ci saranno soltanto il Governo, individui o la polizia: ieri e oggi la sola buona e sostenibile accoglienza è quella di comunità, di associazioni, chiese, fatte di persone che possono accogliere chi arriva dal mare perché ogni giorno si allenano nell’arte dell’accoglienza di persone in carne e ossa; perché sono esperti di corpi non di messaggi e di tastiere (e nella vita il corpo dice quasi tutto).
Dimenticare e violare l’articolo 2 della Costituzione significa, inoltre, negare altri due princìpi cardini dell’Italia e dell’Europa: il principio personalista e quello di sussidiarietà (che deriva dal primo). Se l’individuo matura diventando persona, per salire (o scendere) bene dal singolo allo Stato occorre necessariamente passare per i corpi intermedi che danno vita, sinfonicamente, alla società civile, attraversare le formazioni sociali – perché è in questi passaggi dove impariamo a praticare la democrazia e la pietas, che è fondamento di ogni convivenza umana. Col nuovo anno l’aumento di tassazione alle organizzazioni non-profit – quella che il presidente Mattarella ha chiamato «tassa sulla bontà» – sarà corretto. Tutti lo vogliamo. Ma non accontentiamoci di questo emendamento alla Manovra 2019.
Infine un augurio per l’anno che inizia. La stragrande maggioranza della società è composta di persone perbene. Magari restano silenziose nel loro posto di lavoro, nelle corsie degli ospedali, qualche volta anche nelle carceri. Non sempre frequentano i social perché frequentano altri luoghi umani. Sono spesso deluse e scoraggiate, ma restano – restiamo – persone per bene. Non dimentichiamolo, e non lo dimentichi chi ci rappresenta e ci governa.
Luigino Bruni Avvenire 3 gennaio 2019
www.avvenire.it/opinioni/pagine/la-buona-italia
E’ un’offesa alla coscienza cristiana la legge sui migranti.
Quelli che vogliono i crocifissi nelle scuole e in tutti gli edifici pubblici, quelli che esibiscono il rosario ed il Vangelo nei comizi sono gli stessi che brontolano contro papa Francesco perché parla di accoglienza nei confronti dei migranti, sono gli stessi che hanno dato uno schiaffo alla civiltà ed uno strappo alla nostra Costituzione con la legge “Sicurezza ed Immigrazione”.
Ma sta prendendo piede l’ipotesi della disobbedienza civile e dell’obiezione di coscienza di fronte agli effetti perversi della legge entrata in vigore come messaggio di “fraternità” alla vigilia di Natale. Tanti sindaci, consapevoli delle loro responsabilità, sono protagonisti di iniziative in questa direzione.
La strategia di alimentare e di creare paura verso i migranti e verso il “diverso” inizia a mostrare i suoi limiti. Molte realtà di base del mondo cattolico si stanno impegnando a favore di chi sarà penalizzato dalle nuove norme. E tutte le strutture della Chiesa, nessuna esclusa a partire dai vescovi e dai preti, in nome dell’universalismo cristiano, devono mobilitarsi, il silenzio non è tollerabile. Il quotidiano cattolico ha iniziato a farlo.
La destra “cattolica” che parla sempre con passione di “valori non negoziabili” a difesa della vita (ma gli “altri” sarebbero a favore della morte?) dica se sia negoziabile o sopportabile l’offesa che questa legge fa al bene comune e al precetto evangelico di accogliere lo “straniero”. Facciamo questa domanda da quando abbiamo saputo che il ministro Salvini è stato invitato ed accolto con “entusiastico consenso” all’assemblea nazionale del Forum delle Associazioni Familiari tenutasi a Roma il 24 novembre. Le centinaia di piccole e grandi associazioni che aderiscono al Forum, i loro aderenti e i preti che le animano sono tutti d’accordo?
Vittorio Bellavite coordinatore di Noi Siamo Chiesa Roma, 5 gennaio 2019
www.noisiamochiesa.org/?p=7272
Genio di poca fede: ipotesi su Leonardo
Venerdì 2 maggio 1519, a 67 anni (era nato il sabato 15 aprile 1452), moriva nel castello di Cloux, oggi Clos-Lucé presso Amboise, sulla riva sinistra della Loira nella Francia centrale, Leonardo da Vinci. Imponenti saranno nel 2019 le celebrazioni di questo genio che ha lasciato un’altrettanta imponente eredità artistica, scientifica, letteraria. Steve Jobs, il fondatore di Apple, non esitava a considerarlo come il modello più alto da seguire anche nei nostri giorni apparentemente così diversi, e la ragione sarebbe nel fatto che egli aveva saputo coniugare scienza e arte, cioè tecnica e umanesimo in un intreccio unico e creativo. Jobs lo definiva l’«ingegnere rinascimentale» e noi lo possiamo considerare come colui che ha risolto in anticipo il dibattito sulle «due culture», formalizzato nel 1959 dall’omonimo saggio di Charles Percy Snow, che in proprio era di professione chimico e romanziere.
Ovviamente non possiamo ora delineare un ritratto biografico del personaggio, per altro abbozzato in modo esemplare nel Leonardo di Carlo Vecce (1998), né percorrere la sua straordinaria produzione artistica o la sua suprema elaborazione scientifica e neppure inoltrarci nel suo eventuale pensiero sistematico come ha fatto in una nota conferenza fiorentina dell’aprile 1906 Benedetto Croce dedicandosi a Leonardo filosofo, testo raccolto poi da Laterza nell’opera Saggio su Hegel seguito da altri scritti di storia della filosofia. Né è possibile raccogliere la massa delle sue annotazioni, spesso aforistiche, di stampo etico. Eccone solo alcuni esempi: «Riprendi l’amico in segreto e lodalo in palese… Questo uomo ha una somma pazzia, che sempre ostenta per non stentare, e la vita a lui fugge sotto speranza di godere i beni con somma fatica acquistati… L’uomo ha grande discorso, del quale la più parte è vano e falso; gli animali l’hanno piccolo, ma utile e vero. È meglio la piccola certezza che la grande bugia… Felici fien quelli che presteranno orecchi alla parola dei morti: leggere le buone opere e osservarle… Chi poco pensa, molto erra… Chi non punisce il male comanda lo si faccia… Oh, miseria umana, di quante cose per danari ti fai serva! Chi semina virtù fama ricoglie».
E ancora, in particolare, sull’esistenza morale: «La vita bene spesa lunga è… Siccome una giornata bene spesa dà lieto dormire, così una vita bene spesa dà lieto morire… Chi non stima la vita non la merita… Quando io crederò imparare a vivere, e io imparerò a morire». Per concludere col celebre «Non si volta chi a stella è fiso». […]
Augusto Marinoni pubblicò su «Vita e Pensiero» (n. 1/1983) un articolo intitolato La religione di Leonardo, il tema a cui vorrei ora accennare, un soggetto sostanzialmente negletto dai leonardisti. Certo, c’è il saggio di Rodolfo Papa un po’ arditamente intitolato Leonardo teologo (2006). In realtà, però, si tratta dell’analisi dell’iconografia biblica dei suoi vari dipinti, essendo allora le Sacre Scritture il grande codice artistico fondamentale: si pensi solo all’Ultima cena milanese, all’Annunciazione e all’Adorazione dei Magi degli Uffizi, alla Vergine delle rocce, alla Sant’Anna Metterza del Louvre, all’incompiuto San Girolamo della Vaticana.
Ogni artista si confrontava allora con questi soggetti con una propria ermeneutica dalle molteplici iridescenze spirituali. Ma se volessimo identificare attraverso attestazioni autobiografiche la religiosità personale di Leonardo, la messe sarebbe esigua, al di là delle frequentazioni con uomini di Chiesa (pensiamo, ad esempio, al cardinale Luigi d’Aragona o allo stesso papa Leone X che lo ospitò in un appartamento del Belvedere tra il 1513 e il 1516). Prevale la convinzione che la visione “teologica” leonardiana fosse di stampo panteistico naturalistico, con una pratica religiosa tradizionale e comune. Al riguardo è significativa la narrazione della sua morte fatta dal Vasari nelle sue famose Vite de’ più eccellenti architetti, pittori e scultori italiani (1550). Eccone un estratto: «Finalmente, venuto vecchio, stette molti mesi ammalato; e vedendosi vicino alla morte, si volse diligentemente informare de le cose catoliche e della via buona e santa religione cristiana, e poi con molti pianti confesso e contrito, sebene e’ non poteva reggersi in piedi, sostenendosi nelle braccia di suoi amici e servi, volse divotamente pigliare il Santissimo Sacramento fuor del letto. Sopragiunse lì il re, che spesso et amorevolmente lo soleva visitare; per il che egli per riverenza rizzatosi a sedere sul letto, contando il mal suo e gli accidenti di quello, mostrava tuttavia quanto avea offeso Dio e gli uomini del mondo non avendo operato nell’arte come si conveniva».
Il racconto della morte pia, pur avendo un suo fondamento per la ragione sopra evocata dell’adesione alla fede comune, ha un aspetto celebrativo, come lo è l’introduzione fantasiosa del re Francesco I di Valois, tra le cui braccia regali Leonardo si sarebbe spento (il sovrano in realtà era allora in un castello presso Parigi). La sua vita era stata lambita da un’accusa di immoralità: nel 1476 aveva subito una denuncia per sodomia a Firenze ma l’indagine si era conclusa con un’assoluzione. Vasari lo riteneva un “eretico”, anche se nell’edizione successiva delle Vite (1568) tale definizione era stata omessa: «Fece ne l’animo un concetto sì eretico, che e’ non s’accostava a qualsivoglia religione, stimando per avventura assai più lo esser filosofo che cristiano».
Certo è, come notava un altro importante studioso vinciano, Carlo Pedretti, che quello della fede di Leonardo è «un problema scomodo, per non dire spinoso». La stessa frammentarietà e l’ecletticità dei suoi scritti rendono impossibile l’elaborazione di una visione unitaria in questo ambito che era da lui poco trattato rispetto ai temi scientifici o artistici che dominavano la sua ricerca. Proprio per questo ogni particolare filosofico-teologico delle sue annotazioni è stato soggetto a interpretazioni antitetiche e ipotetiche. Così, tanto per esemplificare, la sua stroncatura della credulità nei fantasmi ha fatto ipotizzare una sua negazione dell’immortalità, mentre la sua passione per la ricerca sperimentale («la meccanica è il paradiso delle scienze matematiche») è stata letta da alcuni come una opzione deterministica e materialistica.
Freud rappresentò Leonardo come un uomo svegliatosi troppo presto nella notte quando tutti gli altri dormivano ancora. Tuttavia è visibile in lui l’influsso di Marsilio Ficino, filosofo platonico toscano, suo contemporaneo, che lo conduce a scavare, sì, nella materia per isolarne il dinamismo energetico; ma questo moto immanente avrebbe la sua origine nel Primo Motore, Dio. Nell’essenza umana, invece, sarebbe l’anima a costituire questa energia che in noi è fulminea e metatemporale, espressa nella mente, nella conoscenza, nel desiderio di «ritornare al suo Mandatario», Dio, sorgente di questo dinamismo vitale e spirituale. Proprio in questa luce è da decifrare la sua definizione della pittura come «discorso mentale». La materia oppone la sua passività, ma è lo spirito a sommuoverla e a esprimersi con la sua potenza attraverso essa.
Come scienziato, Leonardo studia le leggi che regolano la materia; ma come artista cerca di cogliere l’intimo vibrare dell’anima che vivifica la materia. Osserva Marinoni nell’articolo citato apparso nella rivista: «Dio non è solo il Primo Motore che muove il mondo, ma anche sommo Maestro e “altore”, ossia l’artista che ha ideato la forma del cosmo, suo capolavoro». È in questa luce che, creando le sue opere artistiche, come scriveva Leonardo, «la mente del pittore si trasmuta in una similitudine di mente divina».
Possiamo, allora, concludere con una delle rare professioni di fede orante che egli ci ha lasciato, ove amore e timore s’incrociano in forma lapidaria: «Tu, o Iddio, ci vendi tutti li beni per prezzo di fatica… Io t’ubbidisco, Signore, prima per l’amore che ragionevolmente ti debbo, secondariamente che sai abbreviare le vite a li omini».
Gianfranco Ravasi Il Sole 24 Ore 6 gennaio 2019
www.cortiledeigentili.com/genio-poca-fede-ipotesi-leonardo
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CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA
Non proselitismo ma ascolto e confronto
Messaggio della Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana in vista della scelta di avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica nell’anno scolastico 2019-2020.
www.chiesacattolica.it/wp-content/uploads/sites/31/2019/01/02/Messaggio-Presidenza-CEI-per-la-scelta-dellIRC-2019.docx
Non uno spazio di proselitismo ma un’occasione di “ascolto” e “confronto serio e culturalmente fondato” sulle questioni centrali della vita e della fede. È questa l’opportunità offerta dall’insegnamento della religione cattolica che studenti e genitori nei prossimi giorni, come di consueto, saranno chiamati a scegliere in vista dell’iscrizione al nuovo anno scolastico. Nell’approssimarsi di questa importante scadenza la presidenza della Conferenza episcopale italiana (Cei) ha diffuso un messaggio ricordando specificità e rilevanza di un insegnamento che negli anni ha dimostrato di essere sempre largamente apprezzato dalla maggioranza delle famiglie.
L’insegnamento della religione cattolica (Irc) intende dunque essere, all’interno di tutto il mondo della scuola, sottolineano i vescovi, “un’occasione di ascolto delle domande più profonde e autentiche degli alunni, da quelle più ingenuamente radicali dei piccoli a quelle talora più impertinenti degli adolescenti”. In questo senso, viene specificato, “le indicazioni didattiche in vigore per l’Irc danno ampio spazio a queste domande; a loro volta, gli insegnanti di religione cattolica sono preparati all’ascolto, presupposto per sviluppare un confronto serio e culturalmente fondato”.
Nel richiamare i contenuti del Sinodo dei vescovi dello scorso ottobre, la Cei evidenzia come i giovani si siano dimostrati “sensibili alla figura di Gesù, quando viene presentata in modo attraente ed efficace”, e desiderosi di conoscerlo. L’Irc, si legge ancora nel messaggio dei vescovi italiani, “è il luogo più specifico in cui, nel rigoroso rispetto delle finalità della scuola, si può affrontare un discorso su Gesù. Come insegna Papa Francesco, non si tratta di fare proselitismo, ma di offrire un’occasione di confronto per lasciare che ognuno possa, nell’intimo della propria coscienza, trovare risposte convincenti”. Di qui l’auspicio che “anche quest’anno siano numerosi gli alunni che continueranno a fruire di tale offerta educativa, finalizzata ad accompagnare e sostenere la loro piena formazione umana e culturale”.
03 gennaio 2019
www.osservatoreromano.va/it/news/non-proselitismo-ma-ascolto-e-confronto
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DALLA NAVATA
Epifania de Signore – Anno C – 6 gennaio 2019
Isaia 60. 04. Alza gli occhi intorno e guarda: tutti costoro si sono radunati, vengono a te. I tuoi figli vengono da lontano, le tue figlie sono portate in braccio.
Salmo 71. 12. Perché egli libererà il misero che invoca e il povero che non trova aiuto. Abbia pietà del debole e del misero e salvi la vita dei miseri.
Efesini 03. 05. Esso non è stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come ora è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito.
Matteo 02. 06. “E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele”».
Il dono più prezioso dei Magi? Il loro stesso viaggio
Epifania, festa dei cercatori di Dio, dei lontani, che si sono messi in cammino dietro a un loro profeta interiore, a parole come quelle di Isaia. «Alza il capo e guarda». Due verbi bellissimi: alza, solleva gli occhi, guarda in alto e attorno, apri le finestre di casa al grande respiro del mondo. E guarda, cerca un pertugio, un angolo di cielo, una stella polare, e da lassù interpreta la vita, a partire da obiettivi alti. Il Vangelo racconta la ricerca di Dio come un viaggio, al ritmo della carovana, al passo di una piccola comunità: camminano insieme, attenti alle stelle e attenti l’uno all’altro. Fissando il cielo e insieme gli occhi di chi cammina a fianco, rallentando il passo sulla misura dell’altro, di chi fa più fatica.
Poi il momento più sorprendente: il cammino dei Magi è pieno di errori: perdono la stella, trovano la grande città anziché il piccolo villaggio; chiedono del bambino a un assassino di bambini; cercano una reggia e troveranno una povera casa. Ma hanno l’infinita pazienza di ricominciare. Il nostro dramma non è cadere, ma arrenderci alle cadute. Ed ecco: videro il bambino in braccio alla madre, si prostrarono e offrirono doni. Il dono più prezioso che i Magi portano non è l’oro, è il loro stesso viaggio.
Il dono impagabile sono i mesi trascorsi in ricerca, andare e ancora andare dietro ad un desiderio più forte di deserti e fatiche. Dio desidera che abbiamo desiderio di Lui. Dio ha sete della nostra sete: il nostro regalo più grande. Entrati, videro il Bambino e sua madre e lo adorarono. Adorano un bambino. Lezione misteriosa: non l’uomo della croce né il risorto glorioso, non un uomo saggio dalle parole di luce né un giovane nel pieno del vigore, semplicemente un bambino.
Non solo a Natale Dio è come noi, non solo è il Dio-con-noi, ma è un Dio piccolo fra noi. E di lui non puoi avere paura, e da un bambino che ami non ce la fai ad allontanarti. Informatevi con cura del Bambino e poi fatemelo sapere perché venga anch’io ad adorarlo! Erode è l’uccisore di sogni ancora in fasce, è dentro di noi, è quel cinismo, quel disprezzo che distruggono sogni e speranze.
Vorrei riscattare queste parole dalla loro profezia di morte e ripeterle all’amico, al teologo, all’artista, al poeta, allo scienziato, all’uomo della strada, a chiunque: Hai trovato il Bambino? Ti prego, cerca ancora, accuratamente, nella storia, nei libri, nel cuore delle cose, nel Vangelo e nelle persone; cerca ancora con cura, fissando gli abissi del cielo e gli abissi del cuore, e poi raccontamelo come si racconta una storia d’amore, perché venga anch’io ad adorarlo, con i miei sogni salvati da tutti gli Erodi della storia e del cuore.
padre Ermes Ronchi, OSM
www.qumran2.net/parolenuove/commenti.php?mostra_id=44851
Mons. Forte: ogni uomo, come i Magi, è alla ricerca di Dio
L’Epifania è il tempo in cui la luce di Dio abbraccia il mondo intero. È quanto sottolinea a Vatican News mons. Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto. Come i Magi – aggiunge – ogni uomo è alla ricerca di Dio: “anche quando, apparentemente, gli uomini si mostrano distratti, indifferenti e lontani – spiega il presule – noi credenti sappiamo che nel loro cuore c’è una sete di Dio”.
R. – Come dice il nome, “Epifania” significa manifestazione. È il momento in cui si mette in luce il fatto che Cristo, venuto nel mondo, è venuto per ogni essere umano, quale che sia il tempo e il luogo in cui vivrà. Dunque, è la manifestazione della luce di Cristo all’universo intero. Il Natale mette in luce la grazia dell’incarnazione in un clima di intimità in cui il mistero si rivela ai semplici, ai poveri, ai pastori oltre che naturalmente, nella capanna di Betlemme, a Maria e a Giuseppe. Nell’Epifania questa grazia, questo dono, è offerto, manifestato, proposto, al mondo intero. Dunque, è la festa dell’universalità del dono di Cristo e quindi anche, in un certo senso, della vocazione missionaria della Chiesa, per portare la luce di Cristo fino agli estremi confini della terra, a tutto l’uomo e ad ogni uomo.
Coloro che vanno verso questa luce sono i Magi. Cosa rappresentano i Magi e i loro doni?
R. – I Magi sono quelli che vengono da lontano, prima di tutto, e che hanno lasciato sicurezze per mettersi in un cammino, per tanti aspetti, impervio. Quindi, un primo messaggio è che il Signore si fa incontrare da quelli che lo cercano, da quelli che si mettono in discussione, che sanno lasciare le loro certezze per andare verso di Lui. In secondo luogo, i Magi sono guidati nella notte da una stella. Ora, noi sappiamo che la stella è la Parola di Dio. Il Signore si fa incontrare da quelli che nella notte del cuore, nella notte del tempo si lasciano illuminare e condurre dalla Parola di Dio. I Magi sono quelli che adorano il Signore e gli offrono i loro doni. E questo è anche un simbolo bello di scambio, tra Colui che è il dono di Dio per noi, e noi che gli offriamo ciò che siamo, ciò che possiamo. Ma quello che è molto importante è che dopo questo incontro, questa adorazione che riempie il loro cuore di gioia, i Magi fanno ritorno al loro paese. In altre parole, l’incontro con Cristo non ci rende estranei rispetto al nostro quotidiano, ma ci trasforma perché nella quotidianità possiamo portare la sua luce. Un ultimo particolare: l’incontro con Erode. Nel cammino di tutti verso l’incontro con Cristo c’è l’Erode di turno: chi cerca di depistare; chi in qualche modo, mosso da ambizione, gelosia o avidità umane, cerca di rendere difficile o di ostacolare l’accoglienza del Dio fatto uomo. Questo avviene anche ai Magi: loro sanno persistere nella loro scelta, nella loro decisione, e anche sanno, con saggezza, evitare il ritorno da Erode che sarebbe stato un ritorno certamente imprigionante o condizionante, per la loro libertà di testimoni, di quello che hanno visto e adorato.
Torniamo alle parole di Papa Francesco all’ultima udienza generale. Il Pontefice ha esortato ad emulare i Magi alzando lo sguardo al Cielo: “Solo così – ha detto il Papa – riusciremo a vedere la stella che ci invita a percorrere le strade del bene”. Questo è un mondo non troppo abituato a guardare verso il Cielo, spesso è distratto.
R. – Sì, siamo schiacciati, oltretutto da una continua massa di informazioni, da una continua forma di propaganda che ci viene propinata. Alzare lo sguardo, saper mirare in alto, saper prendere le distanze dall’immediato, dall’effimero, è un atto di libertà e di coraggio. E la voce di Francesco è certamente la voce più autorevole che possiamo ascoltare, per sentirci tutti richiamati a questo sguardo più alto, a quest’orizzonte più profondo, a questa bellezza che non va confusa con l’immediatezza dell’effimero e del consumismo.
I Magi sono dunque il simbolo di chi è alla ricerca di Dio. Come rispondere oggi alla sete del mondo di Dio?
R. – Il cristiano è convinto che il cuore umano è stato fatto per Dio. Lo dice Agostino in maniera stupenda all’inizio delle sue Confessioni: “hai fatto il nostro cuore per Te ed è inquieto finché non riposa in Te”. Quindi anche quando, apparentemente, gli uomini si mostrano distratti, indifferenti e lontani, noi credenti sappiamo che nel loro cuore c’è una nostalgia del totalmente altro, una sete di Dio che è costitutiva in quanto l’uomo è stato fatto a immagine e somiglianza di Dio. Quindi, la vera azione evangelizzatrice, nel momento in cui si propone il Vangelo, è anzitutto quella di suscitare le domande, le attese. In altre parole, di risvegliare questa sete che è nel cuore umano, per poi mostrare come a questa sete corrisponde in pienezza solo il dono di un amore infinito qual è quello che in Gesù Cristo ci è stato rivelato ed offerto. Questo vale per oggi come per ogni tempo ed anche per l’uomo di oggi in questa postmodernità inquieta: l’uomo del consumismo, l’uomo della globalizzazione, l’uomo per tanti aspetti anche distratto da una pluralità di messaggi (si pensi al condizionamento che oggi comporta il Web sulla psiche umana, specialmente dei giovani). Quest’uomo, nel profondo del cuore, è nostalgico di un Dio che illumini e dia senso ai giorni. Ecco perché il cristiano non si stancherà mai di proporre la bellezza di questo Dio. E, soprattutto, di accenderne la ricerca e il desiderio per un contagio da gioia a gioia, come testimoni credibili di una bellezza che dà gioia e che accende il desiderio in coloro che non l’hanno ancora incontrato.
Amedeo Lomonaco – Città del Vaticano Vatican News 4 gennaio 2019
www.vaticannews.va/it/chiesa/news/2019-01/epifania-mons-forte-uomini-ricerca-dio.html
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DIRITTI
Quale futuro per i diritti umani?
In occasione della celebrazione il 10 dicembre scorso del settantesimo anniversario della promulgazione della Carta dei diritti umani non sono mancati (anzi sono stati numerosi) i tentativi di tracciare un bilancio di quanto si è verificato in questo non lungo periodo di tempo, caratterizzato da rapide e profonde trasformazioni in tutti i settori della società mondiale. Il progresso scientifico-tecnico, gli sviluppi dell’economia e i cambiamenti intervenuti nell’ambito della geopolitica hanno inciso, in misura determinante, sulla conduzione della vita collettiva e sulle forme di convivenza all’interno delle nazioni e tra le nazioni.
Dopo i nefasti esiti prodotti dai regimi autoritari dell’ideologia nazifascista e dalla tragedia della guerra, la Carta si proponeva di avviare un processo di ricostruzione etica e civile, che accompagnasse la ricostruzione materiale dei Paesi andati soggetti a radicale devastazione. Dignità della persona, uguaglianza di tutti i cittadini, fratellanza, diritto alla vita e alla libertà di coscienza, di opinione, di parola e di movimento costituivano altrettanti capisaldi della vita civile, che affioravano come istanze ineludibili, al di là delle diversità delle fedi politiche e religiose, a cui la Dichiarazione delle Nazioni Unite ha dato piena espressione.
Luci e ombre di ieri e di oggi. Gli effetti benefici della Carta sottoscritta da 48 Paesi (8 astenuti e 2 non votanti) nel 1948 al Palais de Chaillot di Parigi, sono stati senz’altro altamente positivi, e le ragioni che ne hanno sollecitato la nascita conservano ancor oggi una viva attualità. Pur non avendo valore di legge ma solo di impegno morale, essa è divenuta – come sottolineano parecchi studiosi – un vero e proprio pilastro del diritto per consuetudine, con ricadute immediate sulla legislazione delle varie nazioni.
Molte sono le conquiste che, grazie alla sua influenza, sono state conseguite: dall’estendersi del sistema democratico anche in Paesi governati in passato da regimi assolutistici al diffondersi (almeno in Occidente) di un livello elevato di benessere; dal riconoscimento della dignità (e dei diritti) di categorie di persone emarginate o meno protette – si pensi alla classe operaia e, in epoca più recente, al mondo femminile – fino all’offerta a tutti, come conseguenza della nascita dello Stato sociale, della effettiva possibilità di accesso al lavoro, alla salute e all’istruzione.
Tuttavia – purtroppo – nell’ultimo decennio, a seguito soprattutto della crisi economico-finanziaria del 2008 e degli anni successivi – crisi che ha accentuato le diseguaglianze e aumentato il numero degli esclusi – le ombre sembrano nettamente prevalere sulle luci. Si è assistito (e si assiste) infatti ad un processo involutivo, che mette in serio pericolo il rispetto di alcuni fondamentali diritti umani. La presenza di dittature spietate in varie parti del mondo, il moltiplicarsi dei focolai di guerra e la diffusione del terrorismo, il respingimento dei migranti, l’uso dei gas tossici contro le popolazioni civili, lo sterminio delle minoranze di religioni diverse (e l’elenco potrebbe continuare) denunciano l’esistenza di una situazione di grave lesione dei valori che stanno alla base della Carta di Parigi.
A questo si aggiungono le complicazioni derivanti dallo sviluppo accelerato della tecnologia, sia nel campo della comunicazione, dove assume un ruolo di rilevante importanza la questione della privacy – basti ricordare la violazione del diritto alla libertà dovuta al controllo dei dati personali o la lesione del diritto alla verità causata dalla falsificazione dei dati (le cosiddette fake news) – sia nel campo della manipolazione dell’ambiente, in ragione dell’uso illimitato (e incontrollato) delle risorse e dell’aumento dell’inquinamento, con il conseguente attentato alla sostenibilità del sistema. Il quadro complessivo della situazione si presenta dunque particolarmente oscuro (e drammatico), perché ad essere pregiudicato non è soltanto il nostro futuro, ma è anche (e soprattutto) quello delle generazioni che verranno.
Il ritorno dei nazionalismi e del razzismo. Il fenomeno più allarmante, anche per l’ampiezza delle proporzioni assunte nell’ultimo decennio, è rappresentato, in definitiva, dalla reviviscenza dei nazionalismi. L’America di Donald Trump e vari Paesi dell’Est europeo, ma anche Paesi di antica tradizione europeista come l’Italia sono diventati appannaggio di regimi sovranisti, che non esitano a negare, in nome della tutela della sicurezza, alcune essenziali espressioni di libertà, con il pericolo di incorrere in un regime poliziesco. Sintomatico è il rifiuto di sottoscrivere da parte di alcuni di essi – Stati Uniti, Ungheria, Repubblica ceca, Slovacchia, Polonia, Austria, Bulgaria, Croazia, Israele, Cile, Australia – il Global Compact sulle migrazioni adottato a Marrakech in occasione dell’anniversario della Carta delle Nazioni Unite. Curiosa (e pilatesca) è stata la decisione assunta, in tale occasione, dal Governo italiano, su diktat del ministro Salvini, di non partecipare all’incontro, rinviando l’eventuale approvazione del testo al Parlamento, e questo dopo che il premier Conte lo aveva pubblicamente sottoscritto il 26 settembre scorso all’Assemblea generale delle Nazioni Unite.
Il rifiuto dei Paesi ricordati e il rinvio dell’Italia appaiono ancor più sconcertanti, se si considera che il testo, che si compone di 23 linee guida e che è stato approvato da 146 Paesi, contiene nel preambolo la distinzione tra migranti e rifugiati e ribadisce “il diritto sovrano degli Stati a determinare la loro politica migratoria”. Appare evidente anche da questo atto di diniego la distanza esistente dagli ideali della Carta, la quale, ricordando che “tutti gli esseri umani sono nati liberi e uguali nella dignità e nei diritti” (art. 1), bandisce con forza ogni forma di discriminazione basata su “razza, colore, sesso, lingua, religione, opinione politica o di altro genere, origine nazionale o sociale, proprietà, nascita o altro stato” (art. 2). E afferma all’art. 13 il diritto di ognuno “alla libertà di movimento e residenza all’interno dei confini di ogni Stato”.
Nazionalismi e sovranismi, oggi ampiamente diffusi, contraddicono apertamente queste istanze, confermate peraltro dalla nostra Carta costituzionale, proponendo un modello di società fondato sui semplici rapporti di forza e sulla netta distinzione (e contrapposizione) tra “noi” e “gli altri” – basti ricordare l’American first di Trump o il “prima i nostri” di Salvini -, mettendo perciò in radicale discussione la sollecitazione che viene dal testo del 1948 ad agire verso tutti gli uomini “in uno spirito di fratellanza”. È sorprendente (e amaro) constatare, dopo più di settant’anni di convivenza pacifica e di crescente benessere in Europa (e non solo), assicurati anche dallo spirito di solidarietà che ha animato la Carta delle Nazioni Unite, l’affermarsi di atteggiamenti soggettivi e la predisposizione di dispositivi legislativi, come il recente decreto sulla sicurezza, che segnano un ritorno ad un passato carico di pesanti ombre, che si riteneva del tutto superato.
L’importanza dei “diritti delle culture”. L’accelerazione del tempo sembra aver cancellato la memoria di eventi tragici, che hanno insanguinato la prima metà del “secolo breve”. Diviene dunque urgente una svolta radicale in difesa dei diritti e a sostegno della democrazia. Una svolta che non può non tener conto della situazione di crescente interdipendenza tra i popoli, provocata dal fenomeno della globalizzazione, e non prendere, di conseguenza, in seria considerazione i processi di multiculturalismo (e di multireligiosità) determinati da migrazioni sempre più massicce, dovute principalmente alla fuga dalla povertà o all’abbandono di territori in cui guerra e violenza mettono a serio repentaglio il diritto alla vita.
La rivendicazione dei diritti tradizionali allora non basta. Si fa strada la necessità di aprire un nuovo capitolo, quello dei “diritti delle culture”, che secondo Touraine, uno dei massimi sociologi francesi viventi, hanno acquisito oggi una rilevanza analoga a quella riscossa dai “diritti sociali” nell’immediato dopoguerra. Il riconoscimento della presenza di tradizioni culturali e religiose diverse sullo stesso territorio, rappresentate da un numero sempre maggiore di persone che vi aderiscono, non può risolversi nella semplice richiesta di integrazione. Alla doverosa accettazione da parte degli emigrati delle “regole di convivenza” proprie del Paese ospitante deve accompagnarsi l’impegno a dare vita a forme di interazione tra le culture, creando le condizioni per un confronto mutuamente arricchente.
L’attuazione di questo progetto comporta che si riconosca alle diverse culture (e religioni) la possibilità di una effettiva espressione pubblica, con spazi propri – si pensi alla questione dell’installazione delle moschee – e con la partecipazione diretta al dibattito politico e alle decisioni di carattere legislativo. Comporta, più radicalmente, l’esigenza di un ripensamento della stessa teoria fondativa dei diritti umani, la quale, radicandosi in un’antropologia individualista, considera la persona in modo del tutto neutro, scorporandola dalle sue appartenenze etniche, sociali, culturali e religiose e indulgendo in una visione astratta, che finisce per mutilarne la vera identità. La strada da imboccare è pertanto, da un lato, quella del riconoscimento della dignità di tutte le culture e del ruolo imprescindibile che esse esercitano nella costruzione della personalità dei singoli e nella produzione delle forme della convivenza civile; e, dall’altro, quella di fare spazio a una concezione personalista e relazionale dell’uomo che, oltre a consentire l’assunzione della persona nella sua concretezza, fornisce le basi per un dialogo tra le culture radicato nella natura profonda dell’umano.
La commemorazione dei settant’anni della Dichiarazione dei diritti umani diviene in tal modo un’importante occasione non solo per ricuperarne il profondo significato civile reagendo nei confronti delle attuali derive, ma anche per ripensarne i presupposti di fondo e per dilatarne lo spazio di applicazione alle nuove domande insorgenti, fornendo alla società la capacità di trasformarsi da società multiculturale e multireligiosa in società interculturale e interreligiosa.
Giannino Piana Rocca 1 gennaio 2019
www.rocca.cittadella.org/rocca/s2magazine/moduli/NEWSPAPER/PDF/non_abbonati/01012019/rocca1del2019pernonabbonati.pdf
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DIVORZIO
Separato non vuole divorziare: che fare?
Quando avete deciso di separarvi, tu e tuo marito avete preferito la via dell’accordo alla causa. Così avete trovato una linea comune sull’assegno di mantenimento e sulla divisione dei soldi residui sul suo conto corrente. Ora però gli hai chiesto il divorzio e un aumento del mantenimento: dopo sei mesi di “prova”, ti sei infatti resa conto di non riuscire a vivere con quell’importo minimo che ti ha versato sino ad oggi. Lui, che non ne vuol sapere di darti altri soldi, per tutta riposta ha minacciato di negarti il divorzio. Cosa significa questa sua affermazione e che effetti può avere su di te? In altri termini che fare con un separato non vuole divorziare? Cerchiamo di scoprirlo qui di seguito, in modo da consentire la giusta linea di difesa a chi si trova a dover confrontarsi con questo problema.
Il divorzio è obbligatorio? Partiamo dalle basi. Non si può divorziare senza prima separarsi. La separazione è il gradino anteriore e necessario se la coppia vuol dirsi addio. Dopo la separazione deve decorrere un certo lasso di tempo per poter divorziare: sei mesi se ci si separa in modo consensuale (anche se davanti al giudice), un anno se ci si separa con la causa in tribunale.
Una volta separati e decorso tale termine, marito e moglie possono passare al procedimento di divorzio. Lo possono fare, anche in questo caso, in modo consensuale (in accordo tra loro) o giudiziale (in causa).
L’accordo stretto in sede di separazione non è vincolante: per cui può essere “rimesso in gioco” con il divorzio. Ad esempio, la moglie che ha accettato un certo importo a titolo di mantenimento non è costretta a mantenere la medesima richiesta anche in sede di divorzio. Con la conseguenza che è ben possibile una separazione consensuale e un divorzio giudiziale.
Il divorzio non è obbligatorio. Ci sono molte coppie che sono rimaste separate fino alla morte. Perché mai? Ad esempio perché il coniuge separato mantiene i diritti ereditari e può anche percepire l’assegno di reversibilità dell’ex (si pensi a marito e moglie di età avanzata che mantengano dei rapporti cordiali). Senza contare poi il fenomeno delle separazioni simulate, solo per ottenere benefici fiscali o assistenziali.
www.laleggepertutti.it/230771_separarsi-per-finta-cosa-si-rischia
www.laleggepertutti.it/194782_conviene-divorziare-o-restare-separati
Se il coniuge non vuol concedere il divorzio che fare? Potrebbe succedere che uno dei due coniugi voglia divorziare e l’altro no. Oppure che l’uno voglia il divorzio a determinate condizioni e che l’altro invece non intenda concedergliele. Cosa succede in questi casi? In realtà la soluzione è meno complessa di quanto può apparire ed è la medesima prevista per il caso in cui lo stesso problema si verifichi in sede di separazione. Chi vuol divorziare può procedere anche “da solo”, o meglio senza il consenso dell’ex. Può cioè rivolgersi al tribunale presentando un ricorso e chiedere al giudice, anche a dispetto della volontà dell’ex, di pronunciare il divorzio.
La dichiarazione di divorzio, difatti, presuppone solo la richiesta di uno solo dei coniugi e la sussistenza degli altri due presupposti, ossia:
- La sentenza di separazione;
- Il decorso del termine (di 6 mesi, se si è trattato di separazione consensuale; di 1 anno, se si è trattato di separazione giudiziale).
Ma, concretamente, come avviene il divorzio se uno dei due coniugi si oppone? Ecco qual è l’iter.
Come funziona il divorzio giudiziale. Il coniuge propone la domanda di divorzio giudiziale con ricorso, da depositare al tribunale competente, attraverso il proprio avvocato.
Il coniuge ricorrente può formulare domande accessorie, relative ad esempio all’affidamento e al mantenimento dei figli, all’assegnazione della casa coniugale, alla misura e alla modalità dell’assegno di divorzio.
Tali domande non devono necessariamente essere formulate nel ricorso: possono essere proposte per la prima volta anche con la memoria integrativa.
È invece inammissibile la domanda di risarcimento del danno alla salute presentata dal coniuge vittima di continui tradimenti. È infatti necessario avviare un nuovo procedimento in tribunale.
Al ricorso per divorzio giudiziale devono essere allegati i seguenti documenti:
- Lo stato di famiglia e il certificato di residenza di entrambi i coniugi (in carta libera);
- L’estratto integrale dell’atto di matrimonio (in carta libera);
- Le dichiarazioni dei redditi presentate dal coniuge ricorrente, inerenti agli ultimi tre anni;
- Decorso un anno dalla separazione giudiziale: copia autentica della sentenza di separazione passata in giudicato;
- Decorsi sei mesi dalla separazione consensuale: copia autentica del verbale e del decreto di omologa;
- Decorsi sei mesi dalla negoziazione assistita: copia autentica dell’accordo autorizzato dal P.M. o con nullaosta rilasciato dallo stesso;
- Decorsi sei mesi dall’accordo davanti al sindaco: copia autentica dell’accordo.
Il presidente del tribunale fissa la data di una prima udienza in cui entrambi i coniugi dovranno comparire davanti a sé. Se all’udienza il coniuge convenuto non si presenta, il presidente sente solo il coniuge ricorrente e il suo difensore e dichiara fallita la conciliazione.
Il presidente con ordinanza può adottare i provvedimenti temporanei e urgenti (come l’assegno di mantenimento).
La causa poi prosegue presso altro giudice istruttore per la raccolta delle prove e l’emissione della sentenza definitiva.
Redazione La legge per tutti 1 Gennaio 2019
www.laleggepertutti.it/267738_separato-non-vuole-divorziare-che-fare
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DONNE CHIESA MONDO
Riforme non rivoluzione
Non è necessaria una rivoluzione per dare alle donne il posto che meritano nella Chiesa, non è indispensabile concedere loro il sacerdozio, e neppure il tanto sospirato, ma al tempo stesso temuto, diaconato. Bastano infatti un po’ di coraggio e la capacità profetica di guardare al futuro con occhi positivi, accettando cambiamenti che spesso sono già iscritti nell’ordine delle cose. In questo numero di «donne chiesa mondo» proviamo a proporre cambiamenti che potrebbero essere realizzati fin d’ora, senza toccare dogmi né codici di diritto canonico. Seguendo anche i suggerimenti tracciati al sinodo sui giovani dal cardinale Marx.
Il codice di diritto canonico del 1983 apre ai laici — e quindi alle donne — molte possibilità di partecipazione istituzionale, anche se certo poi, alla prova dei fatti, bisogna vincere le resistenze di chi, senza una ragione né un appoggio giuridico, cerca di escluderle dai ruoli più importanti. In questo caso, come in molti altri, gli impedimenti sono solo nel rifiuto di molti di rendere reale una parità altrimenti in teoria riconosciuta e accettata, ma mai concretamente messa in opera.
Certo un ostacolo non piccolo alla pratica di questa parità sta nella disparità di preparazione culturale delle religiose rispetto a quella riservata a religiosi e sacerdoti. Chi lo direbbe oggi che all’inizio del Novecento le religiose sono state fra le prime donne a laurearsi nelle università di stato, per insegnare nelle loro scuole, le prime ad aprire corsi per infermiere e scuole magistrali per le ragazze? Da avanguardie le religiose sono diventate il fanalino di coda.
Le donne — e in particolare le religiose — possono già essere invitate a partecipare a molti organismi, compreso il Consiglio di cardinali istituito da Francesco un mese esatto dopo la sua elezione, o a parlare nelle congregazioni che precedono il conclave.
Le organizzazioni di religiose già esistenti, che eleggono le loro rappresentanti, possono diventare valide interlocutrici delle istituzioni ecclesiastiche, venire consultate al momento delle decisioni e ascoltate nelle loro esperienze. È preferibile che la presenza femminile nella Chiesa sia quella espressa liberamente dalle associazioni, invece della pratica ora in vigore di scegliere singole figure femminili da parte della gerarchia. Si eviterebbe così un rapporto paternalistico nei confronti delle religiose e una selezione che rischia di premiare non le più competenti ma le più obbedienti.
Lucetta Scaraffia Osservatore Romano 02 gennaio 2019
www.osservatoreromano.va/it/news/riforme-non-rivoluzione
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ENTI TERZO SETTORE
Raddoppio Ires: Fiaschi (Forum Terzo Settore), “convocazione governo segnale che attendevamo.
Il 10 gennaio 2019 il premier Conte incontrerà i rappresentanti del Terzo settore
“Un segnale atteso ma non per questo meno incoraggiante. Per noi un incontro prezioso, non solo per concordare le opportune soluzioni all’insostenibile raddoppio dell’Ires, ma per costruire una agenda sui principali temi del Paese in cui il Terzo Settore italiano è ogni giorno in prima linea nelle comunità”: così la portavoce del Forum del Terzo Settore, Claudia Fiaschi, commenta la convocazione del tavolo a Palazzo Chigi fissata per il prossimo 10 gennaio.
“Siamo soddisfatti di questa tempestiva convocazione – spiega Fiaschi – , il Terzo Settore svolge un ruolo strategico nelle fondamenta delle nostre comunità e al fianco delle istituzioni”.
“È fondamentale – aggiunge la portavoce del Forum del Terzo Settore – accelerare il completamento della riforma del Terzo Settore con i provvedimenti attuativi ancora mancanti: linee guida per l’adozione dei modelli per la redazioni dei bilanci, Registro unico del Terzo Settore e l’insediamento della cabina di regia presso la Presidenza del Consiglio dei ministri che deve approvare provvedimenti importanti”.
“È evidente, insomma, che per noi questo tavolo è un primo passo fondamentale per correggere le misure su Ires, riprendere con passo spedito il completamento della riforma e aprire un dialogo costruttivo con il governo sui temi sociali che attraversano il Paese e le nostre comunità”, conclude Fiaschi.
Agenzia SIR 4 gennaio 2019
Enti locali ed enti del terzo settore: concessione di beni pubblici – D.lgs. n. 117, 3 luglio 2017
Codice del Terzo settore
www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2017/08/2/17G00128/sg
Il Dpr n. 296, 13 settembre 2005 stabilisce che gli enti locali che intendano concedere beni immobili devono espletare procedure di evidenza pubblica mediante pubblico incanto (art. 2, comma 1).
http://presidenza.governo.it/USRI/confessioni/norme/DPR_296-2005.pdf
Questo principio giuridico ammette una deroga (art. 11), qualora la concessione sia finalizzata al perseguimento di finalità di interesse pubblico connesse all’effettiva rilevanza degli scopi sociali perseguiti in funzione e nel rispetto delle esigenze primarie della collettività e in ragione dei principi fondamentali garantiti dalla Costituzione, a fronte dell’assunzione dei relativi oneri di manutenzione ordinaria e straordinaria. I beneficiari di tale disposizione sono cooperative sociali, associazioni, fondazioni e comitati.
In linea con questa previsione, gli artt. 70 e 71 del Codice del Terzo Settore delineano un quadro giuridico favorevole alla concessione di beni pubblici da parte degli enti locali agli Enti del terzo settore.
L’art. 70, comma 1, autorizza gli enti pubblici a prevedere forme e modi per l’utilizzazione non onerosa di beni mobili e immobili per manifestazioni temporanee degli enti del terzo settore. Il successivo comma 2 stabilisce che, nell’ambito di queste iniziative, gli organizzatori, previa SCIA [Segnalazione Certificata di Inizio Attività], possano somministrare alimenti e bevande, anche in deroga agli specifici requisiti previsti dalla normativa vigente in materia.
Una ulteriore disposizione favorevole alle attività e agli interventi degli enti del terzo settore è rappresentata dall’art. 71, che consente a questi ultimi, indipendentemente dalla destinazione urbanistica tipizzata negli strumenti generali di pianificazione, di poter ubicare la propria sede in qualsiasi parte del territorio comunale. L’unica condizione che è richiesta dall’articolo in parola è l’utilizzo della sede, che non deve essere di “tipo produttivo”.
Ne consegue che gli enti locali possono, per un periodo massimo di 30 anni, concedere in comodato beni mobili e immobili di proprietà (non necessari per lo svolgimento di fini istituzionali) agli enti del terzo settore, escludendo le imprese sociali, per lo svolgimento delle loro attività statutarie. Spetta agli enti concessionari l’obbligo di provvedere, a proprie cura e spese, alla manutenzione e agli altri interventi necessari a mantenere la funzionalità dell’immobile (art. 71, comma 2).
Un’altra previsione agevolativa è prevista dall’art. 71, comma 3 a favore di quegli enti del terzo settore che operano nell’ambito culturale. A questi possono essere dati in concessione i beni culturali immobili di proprietà pubblica “per l’uso dei quali attualmente non è corrisposto alcun canone e che richiedono interventi di restauro”, contro il pagamento di un canone agevolato. Al fine di poter fruire di questa specifica agevolazione, gli enti del terzo settore devono svolgere le seguenti attività:
- Interventi di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale e del paesaggio;
- Organizzazione e gestione di attività culturali, artistiche o ricreative di interesse sociale, di promozione e diffusione della culturale e della pratica del volontariato (anche mediante iniziative editoriali);
- Organizzazione e gestione di attività turistiche di interesse sociale, culturale o religioso;
- Riqualificazione di beni pubblici inutilizzati e o di beni confiscati alla criminalità organizzata.
E’ fatto obbligo agli enti concessionari di presentare un progetto che evidenzi come intenda riqualificare, gestire e riconvertire l’immobile tramite interventi di recupero, restauro e/o ristrutturazione. All’uopo, il Codice del Terzo settore che gli enti concessionari di terzo settore possono realizzare questi obiettivi anche con l’introduzione di nuove destinazioni d’uso finalizzate allo svolgimento delle attività indicate. I costi relativi dovranno essere detratti dal canone di concessione: per questo motivo, la durata della concessione deve prevedere la possibilità di raggiungere l’equilibrio economico-finanziario dell’iniziativa, ma non può comunque superare il periodo massimo di 50 anni.
Questo per quanto riguarda l’oggetto – per così dire – della concessione. Ma come deve avvenire la scelta del soggetto concessionario? Il riferimento contenuto nel CTS [Codice del Terzo Settore] è all’art. 151, comma 3, D. lgs. n. 50, 18 aprile 2016,
www.gazzettaufficiale.it/atto/serie_generale/caricaDettaglioAtto/originario?atto.dataPubblicazioneGazzetta=2016-04-19&atto.codiceRedazionale=16G00062
il quale, a sua volta, mediante il rinvio al comma 1 e all’art. 19, consente l’affidamento, per importi superiori ai 40 mila euro con la sola “previa pubblicazione sul sito internet della stazione appaltante, per almeno trenta giorni, di apposito avviso, con il quale si rende nota la ricerca di sponsor per specifici interventi, ovvero si comunica l’avvenuto ricevimento di una proposta di sponsorizzazione, indicando sinteticamente il contenuto del contratto proposto. Trascorso il periodo di pubblicazione dell’avviso, il contratto può essere liberamente negoziato, purché nel rispetto dei principi di imparzialità e di parità di trattamento fra gli operatori che abbiano manifestato interesse, fermo restando il rispetto dell’articolo 80”, che – si ricorda – dispone in ordine ai motivi di esclusione degli operatori economici dalla selezione.
Nel caso, invece, in cui l’ente di terzo settore intenda realizzare i lavori, prestare i servizi o le forniture direttamente a sua cura e spese, la stazione appaltante deve verificare il possesso dei requisiti degli esecutori. In questo caso, comunque, “non trovano applicazione le disposizioni nazionali e regionali in materia di contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, ad eccezione di quelle sulla qualificazione dei progettisti e degli esecutori” (cfr. art. 19, comma 2, Codice dei contratti pubblici). Rimane in capo all’ente concedente e proprietario dell’immobile culturale di impartire indicazioni prescrittive “in ordine alla progettazione, all’esecuzione delle opere e forniture e alla direzione dei lavori e collaudo degli stessi”.
Da ultimo, vale la pena ricordare che gli enti del terzo settore, al pari di qualsiasi soggetto privato, sono ammessi ad accedere a tutte le agevolazioni, in particolare al credito agevolato, previste per il finanziamento di programmi di costruzione, di recupero, di restauro, di adattamento, di adeguamento alle norme di sicurezza e di straordinaria amministrazione di strutture ed edifici da utilizzare per le finalità di interesse generale (non produttivo), nonché per la dotazione delle relative attrezzatture e per la loro gestione (art. 71, comma 4, D lgs. n. 117/3 luglio 2017).
A ben vedere, la riforma del terzo settore ha voluto individuare negli enti del terzo settore i soggetti privilegiati per utilizzare il patrimonio pubblico; e ciò proprio in ragione delle finalità di interesse collettivo che gli enti sono chiamati (obbligati) a realizzare, anche apportando risorse proprie. E’ questa una modalità di partnership tra enti del terzo settore ed enti locali che merita indubbiamente di essere maggiormente esplorata (rispetto a quelle più tradizionali) e che, dunque, richiede un approfondimento anche di carattere giuridico-legale, in specie nell’adozione di appositi regolamenti comunali che possano disciplinare l’uso degli immobili.
Alceste Santuari Persona&Danno 03 gennaio 2019
www.personaedanno.it/articolo/enti-locali-ed-enti-del-terzo-settore-concessione-di-beni-pubblici-d-lgs-117-17
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FAMIGLIA
Guida ai bonus famiglia 2019
La manovra 2019 prevede diverse misure per sostenere neo mamme, neo papà e famiglie con figli. Le donne potranno scegliere di lavorare fino al nono mese, i papà vedranno aumentare il proprio congedo di paternità di un giorno e chi è costretto per motivi di lavoro a portare i propri bimbi al nido potranno chiedere il bonus, che dal 2019 aumenta di 500 euro. Non solo. Previsti incentivi per chi acquista dispositivi d’allarme da posizionare nel seggiolino per avvisare i genitori della presenza dei bambini in auto. Chi decide di avvalersi dello smart working, dovrà dare precedenza a neo mamme e genitori di bimbi disabili. Terreni in comodato gratuito per almeno 20 anni a famiglie con almeno tre figli, destinatarie anche della carta famiglia per avere diritto a incentivi e sconti. Aumentano poi i fondi per le politiche dalla famiglia, per quelle giovanili e per i cargivers. Approvata infine, con il decreto fiscale, la proroga del bonus bebè con contributo che aumenta del 20% dal secondo figlio in poi.
Donne al lavoro fino al nono mese. Dal 2019 le donne potranno scegliere di continuare a lavorare fino al nono mese di gestazione per poi usufruire di 5 mesi di congedo di maternità dopo il parto, naturalmente se il medico ginecologo attesti che questa scelta non comporta rischi né per la salute della donna, né per quella del bambino.
Congedo paternità: un giorno in più. Il congedo di paternità viene confermato anche per il 2019 e, rispetto a quello previsto per il 2018, sale di un giorno. La misura, introdotta a partire dal 2013 e prevista inizialmente nella misura di un solo giorno, nel tempo è stata ampliata, tanto che a un certo punto il congedo è salito a due giorni, poi a tre e a quattro nel 2018. Non solo, confermata anche la possibilità di chiedere un giorno in più, per un totale di sei giorni, a condizione che questo ne sostituisca uno di congedo destinato alla mamma e che venga goduto entro cinque mesi dalla nascita.
Bonus asilo nido 2019. Confermato e incrementato il bonus per aiutare i genitori che, per motivi di lavoro e familiari, devono affrontare la spesa per la retta degli asili nido pubblici o privati. Da 1.000 passa a 1.500 euro all’anno, per tre anni, il bonus per aiutare a sostenere il costo degli asili nido pubblici e privati o per collaboratori in grado di dare assistenza e supporto a domicilio a bambini di età inferiore ai tre anni affetti da disabilità gravi. Al momento l’aumento del bonus di 500 euro è previsto per il triennio 2019 – 2021. Come per il bonus previsto dall’articolo 1, comma 355, legge 11 dicembre 2016, n. 232 il bonus asilo viene erogato dall’Inps, previa presentazione della documentazione da cui deve risultare l’iscrizione alla struttura pubblica o privata, il pagamento della retta prevista e tutta un’altra serie di requisiti previsti dalla legge.
Seggiolini auto incentivi per acquisto. Alla luce dei numerosi e tristissimi fatti di cronaca, che hanno avuto per protagonisti genitori super stressati e bambini “dimenticati” in auto, arrivano gli impianto di allarme sonori collegati ad un sensore, che avvisano il genitore della presenza del bambino all’interno dell’abitacolo. La manovra stanzia un fondo di un milione per il 2019 e di un altro milione per il 2020 per incentivare l’acquisto di questi dispositivi di sicurezza.
Smart working: prima le mamme e i genitori di bimbi disabili. Un ulteriore aiuto per le neo mamme riguarda lo smart working, forma di lavoro dipendente che non prevede vincoli orari o di spazio e che è organizzato in fasi, cicli e obiettivi. Nel momento in cui le aziende decideranno di avvalersi di questa nuova forma di lavoro, gli accordi dovranno dare la precedenza alle domande avanzate dalle lavoratrici nei tre anni che seguono il congedo di maternità o ai lavoratori, in questo caso sia mamme che papà, che hanno figli con disabilità,
Terreni in comodato per famiglie numerose. Per i genitori che nel corso del triennio 2019-2021 avranno il terzo figlio, è prevista la concessione gratuita di un terreno statale per un periodo di almeno 20 anni.
Carta famiglia per chi ha almeno 3 figli. La manovra finanzia 2019 prevede lo stanziamento di 1 milione per ogni anno del triennio 2019 – 2021 per la carta famiglia, una tessera con cui è possibile ottenere sconti sull’acquisto di determinati beni e servizi e riduzione di determinate tariffe per famiglia con un minimo di tre figli di età non superiore ai 26 anni.
Fondo per conciliare famiglia e lavoro. La manovra prevede lo stanziamento di 100 milioni annui per sostenere le politiche destinate alle famiglie, di cui una parte andrà ad incentivare il welfare aziendale per permettere ai lavoratori e alle lavoratrici dipendenti di conciliare al meglio vita privata e lavoro.
Fondo per le politiche giovanili. Incrementato di 30 milioni, a partire dall’anno nuovo, il fondo (Dl 223/2006) destinato a favorire la formazione culturale, professionale, ma anche l’inserimento dei giovani nella vita sociale, attraverso la concessione di agevolazioni per la casa e la richiesta di credito.
Più fondi per i caregiver familiari. Incrementato di 5 milioni all’anno per ogni anno del triennio 2019-2021 anche il fondo per sostenere i caregivers, che assistono familiari non autosufficienti.
Annamaria Villafrate Studio Cataldi 3 gennaio 2019
www.studiocataldi.it/articoli/33042-bonus-famiglia-2019.asp
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FRANCESCO VESCOVO DI ROMA
Il Papa indica una via d’uscita
http://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2019/01/03/0006/00019.html
Una Lettera ai vescovi statunitensi che traccia un sentiero per tutta la Chiesa. Così, nel suo editoriale, il direttore Andrea Tornielli: è nella risposta suggerita da Francesco che va ricercato il cuore della missiva.
La Lettera che Francesco ha inviato come segno della sua personale vicinanza ai vescovi statunitensi riuniti in ritiro spirituale a Chicago offre una chiave di lettura per comprendere il suo sguardo sulla crisi degli abusi anche in vista dell’incontro di febbraio in Vaticano. Nel discorso alla Curia romana dello scorso 21 dicembre 2018 il Papa si era espresso in modo diffuso, determinato e forte su questo tema. Ora, nel messaggio ai vescovi degli Stati Uniti, non si dilunga nell’esaminare il fenomeno degli abusi di potere, di coscienza e sessuali ai danni di minori e adulti vulnerabili, e va alla radice del problema indicando una via d’uscita.
«La credibilità della Chiesa – riconosce ancora una volta il Pontefice – si è vista fortemente messa in discussione e debilitata da questi peccati e crimini, ma specialmente dalla volontà di volerli dissimulare e nascondere». Ma è nella risposta suggerita che va ricercato il nodo centrale della Lettera. Francesco infatti mette in guardia dal confidare troppo in azioni che appaiono «utili, buone e necessarie», e persino «giuste», ma che non hanno «sapore di Vangelo» se tendono a ridurre la risposta al male soltanto a un problema organizzativo.
Non ha sempre «sapore di Vangelo» una Chiesa trasformata in «agenzia di risorse umane», che mette la propria fiducia soltanto nelle strategie, negli organigrammi, nelle best practices aziendali, invece di confidare innanzitutto nella presenza di Colui che da duemila anni la guida, nella forza salvifica della grazia, nell’opera silenziosa e quotidiana dello Spirito Santo.
Ormai da diversi anni i Pontefici hanno introdotto norme più adeguate e severe per contrastare il fenomeno degli abusi: altre indicazioni verranno dal confronto collegiale tra i vescovi di tutto il mondo uniti con Pietro. Ma il rimedio potrebbe risultare inefficace se non sarà accompagnato «dalla conversione della nostra mente (metanoia), del nostro modo di pregare, di gestire il potere e il denaro, di vivere l’autorità e anche di come ci relazioniamo tra noi e con il mondo».
La credibilità non si ricostruisce con le strategie di marketing. Potrà essere il frutto di una Chiesa che sa superare divisioni e contrapposizioni interne. Una Chiesa la cui azione scaturisce dal suo riflettere una luce che non le è propria ma le viene continuamente donata. Una Chiesa che non annuncia se stessa e la propria bravura, fatta di pastori e fedeli che, come afferma il Papa, si riconoscono peccatori e invitano alla conversione perché hanno sperimentato e sperimentano su di loro perdono e misericordia.
Andrea Tornielli Vaticannews 03 gennaio 2019,
https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2019-01/tornielli-vescovi-usa-lettera-papa.html
Se il papa dice meglio ateo che ipocrita
http://w2.vatican.va/content/francesco/it/audiences/2019/documents/papa-francesco_20190102_udienza-generale.html
Alcune espressioni forti di papa Francesco nell’udienza generale di ieri 2 gennaio 2019 hanno suscitato un audace paragone tra «cristiani ipocriti» e «atei». In realtà, il Papa ha insistito soprattutto sull’incoerenza di quanti «vanno in chiesa …e poi vivono odiando gli altri». È per loro che sarebbe «meglio non andare in chiesa: vivi così, come fossi ateo!». L’accento dell’esortazione papale non cade tanto sul comportamento più o meno retto da parte di chi si professa ateo e sul suo paragone con la coerenza di vita dei credenti, quanto piuttosto sull’intollerabile ipocrisia religiosa di chi «è capace di tessere preghiere atee, senza Dio». E si comprenda bene ciò che dice il Papa: c’è chi prega senza sentirsi davanti a Dio, senza ascoltare Dio, senza essere veramente toccato dalla presenza e dalla voce di Dio.
La condanna dell’ipocrisia, vizio tipico delle persone religiose di ogni tempo, è uno degli ammonimenti più presenti già nei profeti di Israele, mentre nei Vangeli è uno dei tratti più marcati della predicazione di Gesù. Per questo, il riprenderla oggi, applicandola ai comportamenti di chi non segue la fede che professa ma l’esteriorità delle apparenze, è semplice attualizzazione dell’insegnamento di Gesù. In quelle «preghiere atee» — espressione inedita, ma di rara efficacia — papa Francesco denuncia preghiere, liturgie, gesti religiosi in cui Dio è nominato e invocato, ma, in realtà, misconosciuto. E nel chiamare in causa l’ateo coerente con i suoi principi, con la sua coscienza, Francesco riconosce che chi si professa ateo e segue la sua coscienza è più retto di chi si dice cristiano, ma ha un cuore doppio e vive nell’ipocrisia.
Il duro ammonimento del Papa ricorda a tutti, a cominciare proprio da chi si professa cristiano, una dimensione costante della dottrina cattolica: principio ultimo resta la coscienza autentica, provata, confrontata di ciascuno, che è superiore a ogni autorità e ogni legge. Proprio per questo papa Francesco accosta così sovente l’ipocrisia alla corruzione: se altri peccati “chiamano” alla conversione, ipocrisia e corruzione tendono per loro natura a soffocare la coscienza, a farne tacere la voce, a violentarla nella sua dimensione più intima. È allora davvero motivo di “scandalo” l’atteggiarsi a persona di preghiera e poi non amare il prossimo, pretendere di dialogare nella preghiera con il «Dio che non si vede» e disprezzare «il fratello che si vede». Allora meglio vivere «come ateo», senza professare la fede cristiana, piuttosto che contraddire con il comportamento ciò che si professa con le labbra.
Papa ancora una volta confessa che i cristiani cadono in peccato come gli altri, riafferma che le beatitudini proclamate da Gesù non sono moralismo, ma buona notizia e rivelazione. Nella catechesi sul “Padre nostro”, papa Francesco non ha rivolto alcun invito all’ateismo, ma ha espresso nuovamente una forte condanna dell’ipocrisia di chi usa atteggiamenti e addirittura la preghiera cristiana come simboli da ostentare, come autocelebrazioni identitarie, ma resta incoerente con il messaggio del Vangelo, nutrendo in sé l’indifferenza se non l’astio per il povero e il sofferente, l’ostilità verso chi è diverso e straniero.
Ecco perché questa di papa Francesco è risultata un’esortazione appassionata e convincente per credenti e non credenti, per persone “pensanti” di qualsiasi o nessuna appartenenza religiosa. Papa Francesco ha semplicemente ridetto l’espressione del grande padre della chiesa Ignazio d’Antiochia: «Meglio essere cristiani senza dirlo ed esibirlo piuttosto che proclamarsi cristiani senza esserlo».
Enzo Bianchi La Repubblica 3 gennaio 2019
https://ricerca.repubblica.it/ricerca/repubblica?query=Se+il+papa+dice+megl&view=repubblica&ref=HRHS
http://www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201901/190103bianchi.pdf
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GOVERNO
Legge di bilancio 2019: tutte le novità in materia di famiglia
È stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 31 dicembre 2018 (supplemento ordinario n. 62) la legge recante il «Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021» (L. n. 145, 30 dicembre 2018). www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2018/12/31/18G00172/sg
Fondo per le politiche della famiglia. Vengono sostituiti i commi 1250, 1251 e 1251 dell’art. 1, Legge n. 296/2006 che disciplinano il Fondo per le politiche della famiglia (comma 482). Scopo del Fondo è il finanziamento di interventi in materia di politiche e misure di sostegno alla famiglia, alla natalità, alla maternità e alla paternità al fine di contrastare la crisi demografica oltre al sostegno della componente anziana dei nuclei familiari. In particolare, tale Fondo verrà utilizzato per finanziare:
- L’Osservatorio nazionale sulla famiglia prevedendo la rappresentanza paritetica delle amministrazioni statali e delle regioni, delle province autonome di Trento e Bolzano, degli enti locali, dell’associazionismo e del terzo settore, oltre all’Osservatorio per il contrasto della pedofilia e della pornografia minorile e l’Osservatorio nazionale per l’infanzia e l’adolescenza;
- L’elaborazione di un Piano nazionale per la famiglia che costituisca il quadro conoscitivo, promozionale e orientativo degli interventi relativi all’attuazione dei diritti della famiglia nonché l’acquisizione di proposte e indicazioni utili per il Piano stesso e per la verifica della sua efficacia attraverso la promozione e l’organizzazione con cadenza biennale di una Conferenza nazionale sulla famiglia;
- interventi per valorizzare il ruolo dei consultori familiari e dei centri per la famiglia;
- interventi volti ad assicurare adeguati percorsi di sostegno, anche economico, ai minori orfani per crimini domestici e alle loro famiglie affidatarie o adottive nonché progetti finalizzati alla protezione e alla presa in carico dei minori vittime di violenza assistita e interventi a favore delle famiglie in cui sono presenti tali minori;
- interventi a tutela dell’infanzia e dell’adolescenza (in particolare in caso di situazioni di vulnerabilità socio-economica e fenomeni di cyberbullismo), per il sostegno dei genitori separati e divorziati (anche tramite sviluppo del sistema territoriale dei servizi sociali) e per la diffusione della figura dell’assistente familiare;
- iniziative di conciliazione del tempo di vita e di lavoro oltre alla promozione del welfare familiare aziendale comprese le azioni di cui all’art. 9 l. n. 53/2000;
- interventi per favorire i nuclei familiari a rischio al fine di prevenire l’abbandono e consentire ai minori di crescere nell’ambito della propria famiglia;
- interventi in materia di adozione e affidamento volti a tutelare il superiore interesse del minore e sostenere le famiglia adottive o affidatarie anche al fine di sostenere il percorso successivo all’adozione.
Gli stanziamenti per il Fondo per le politiche della famiglia devono essere ripartiti dal Ministro per la famiglia e le disabilità con proprio decreto.
Caregiver familiare. Il Fondo per il sostegno del ruolo di cura e assistenza del caregiver familiare previsto dall’art. 1, comma 254, L. n. 205/2017 viene incrementato di 5 milioni di euro per ciascuno degli anni 2019, 2020 e 2021.
Congedo maternità e lavoro agile. Con l’introduzione dell’art. 16, comma 1.1, D.lgs. n. 151/2001 si prevede la possibilità per le lavoratrici di astenersi dal lavoro esclusivamente dopo l’evento del parto entro i cinque mesi successivi allo stesso, a condizione che il medico specialista del SSN o con esso convenzionato e il medico competente ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro attestino che tale opzione non arrechi pregiudizio alla salute della gestante e del nascituro.
Il nuovo comma 3-bis dell’art. 18 L. n. 81/2017 poi stabilisce che i datori di lavoro pubblici e privati che stipulano accordi per l’esecuzione della prestazione di lavoro in modalità agile sono tenuti in ogni caso a riconoscere priorità alle richieste formulate dalle lavoratrici nei tre anni successivi alla conclusione del periodo di congedo di maternità.
Carta della famiglia. Viene sostituito il comma 391 dell’art. 1 L. n. 208/2015 che istituisce la carta della famiglia. Destinatari di tale istituto sono ora le famiglie costituite da cittadini italiani ovvero appartenenti a Paesi membri dell’Unione europea regolarmente residenti nel territorio italiano con almeno tre figli conviventi di età non superiore ai 26 anni. La carta verrà rilasciata alle famiglie che ne facciano richiesta secondo criteri e modalità stabiliti con decreto dal Presidente del Consiglio ovvero dal Ministro per la famiglia di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze da emanare entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge.
Buoni asili nido. Rimane il buono per gli asili nido previsto dall’art. 1, comma 355, L. n. 232/2016. L’importo di 1.000 euro su base annua parametrato a undici mensilità per gli anni 2017, 2018 viene elevato a 1.500 euro su base annua per ciascuno degli anni 2019, 2020, 2021. L’importo del buono spettante a decorrere dall’anno 2022 verrà determinato, nel rispetto del limite di spesa programmato e in misura comunque non inferiore a 1.000 euro su base annua, con decreto del Presidente del Consiglio su proposta del Ministero per la famiglia di concerto con il Ministro del lavoro e dell’economia da adottare entro il 30 settembre 2021.
Indennizzo in favore dei familiari delle vittime di reati violenti. Con l’inserimento del comma 2-bis nell’art. 11 L. n. 122/2016 che prevede il diritto all’indennizzo in favore delle vittime di reati intenzionali violenti si stabilisce che in caso di morte della vittima in conseguenza del reato l’indennizzo deve essere corrisposto al coniuge superstite e ai figli. In mancanza di coniuge e figli l’indennizzo spetta ai genitori e in subordine ai fratelli e alle sorelle conviventi e a carico al momento della commissione del delitto. Al coniuge viene equiparata la parte dell’unione civile e il convivente di fatto che ha avuto prole dalla vittima o che vi ha convissuto nei tre anni precedenti alla data di commissione del delitto (per l’accertamento della qualità di convivente di fatto si applica l’art. 1, commi 36 e 37, L. n. 76/2016).
Concessione terreni ai nuclei familiari numerosi. Al fine di favorire la crescita demografica, una quota del 50% dei terreni di cui all’art. 66, comma 1, D.l. n. 1/2012 e una quota del 50% dei terreni di cui all’art. 3, comma 3, d.l. n. 91/2017 vengono concessi gratuitamente, per un periodo non inferiore a 20 anni, ai nuclei familiari con tre o più figli, almeno uno dei quali sia nato negli anni 2019, 2020 e 2021 ovvero a società costituite da giovani imprenditori agricoli che riservino a tali nuclei familiari una quota societaria pari almeno al 30%.
Per i nuclei familiari che accedono a tale misura viene concesso a richiesta un mutuo di importo fino a 200000 euro per la durata di venti anni a un tasso di interesse pari a zero per l’acquisto della prima casa in prossimità del terreno assegnato
Redazione scientifica il familiarista 3 gennaio 2019
http://ilfamiliarista.it/articoli/news/legge-di-bilancio-2019-tutte-le-novit-materia-di-famiglia
Bonus mamma domani
Il premio alla nascita, anche noto come bonus mamma domani, è una misura a sostegno delle future madri introdotta dalla legge di bilancio 2017. Il provvedimento rientra nel “pacchetto famiglia”, approvato dal governo Gentiloni nel 2017 con la legge di bilancio.
Cos’è il bonus mamma domani. A decorrere dal 1° gennaio 2017, è stato introdotto un premio alla nascita o all’adozione di minore, pari a 800 euro che viene corrisposto in un’unica soluzione dall’INPS. Si tratta di un aiuto concreto per sostenere economicamente le giovani famiglie e incentivare l’occupazione femminile: la peculiarità del “bonus mamma domani” è che si tratta di una misura strutturale, non una tantum.
Il premio alla nascita di 800 euro (bonus mamma domani) viene corrisposto dall’INPS per la nascita o l’adozione di un minore, a partire dal 1° gennaio 2017, su domanda della futura madre al compimento del settimo mese di gravidanza (inizio dell’ottavo mese di gravidanza) o alla nascita, adozione o affidamento preadottivo.
Le gestanti e madri, cittadine italiane, comunitarie o non comunitarie, devono essere regolarmente presenti e residenti in Italia. Il premio non concorre alla formazione del reddito complessivo di cui all’articolo 8 del Testo Unico delle imposte sui redditi.
A chi spetta il bonus mamma domani. Il beneficio è concesso in un’unica soluzione per ogni evento (gravidanza, parto, adozione o affidamento) e in relazione a ogni figlio nato, adottato o affidato. Inoltre, Nel dettaglio, la prestazione è rivolta alle donne in gravidanza o alle madri per uno dei seguenti eventi verificatisi dal 1° gennaio 2017:
- Compimento del settimo mese di gravidanza;
- Parto, anche se antecedente all’inizio dell’ottavo mese di gravidanza;
- Adozione nazionale o internazionale del minore, disposta con sentenza divenuta definitiva ai sensi della legge 4 maggio 1983, n. 184;
- Affidamento preadottivo nazionale disposto con ordinanza ai sensi dell’art. 22, c. 6, l. 184/1983 o affidamento preadottivo internazionale ai sensi dell’art. 34, l. 184/1983.
Bonus mamma domani: quanto spetta? L’importo dell’assegno è pari, per ogni evento per cui è riconosciuto, a 800 euro. Il versamento della somma potrà avvenire tramite: bonifico domiciliato presso ufficio postale; accredito su conto corrente bancario o su conto corrente postale; libretto postale; carta prepagata con IBAN.
Per tutti i pagamenti, eccetto bonifico domiciliato presso ufficio postale, è richiesto il codice IBAN. In caso di richiesta di accreditamento su coordinate IBAN è necessario inviare il modello SR163 online all’INPS attraverso il servizio dedicato.
Domanda bonus mamma domani. In sede di presentazione della domanda occorre specificare l’evento per il quale si richiede il beneficio e, con riferimento allo stesso minore, dovrà essere presentata un’unica domanda.
Se è stata già presentata la domanda in relazione all’evento compimento del 7° mese di gravidanza, non si dovrà quindi presentare ulteriore domanda in relazione all’evento nascita. Analogamente, il beneficio richiesto per l’affidamento preadottivo non può essere richiesto in occasione della successiva adozione dello stesso minore
Ove invece si tratti di parto plurimo la domanda, se già presentata al compimento del 7° mese, andrà presentata anche in esito alla nascita con l’inserimento delle informazioni di tutti i minori necessarie per l’integrazione del premio già richiesto, rispetto al numero dei nati.
Nei casi in cui sia prevista la presenza di un legale rappresentante (es. se la madre avente diritto è minorenne o incapace di agire per altri motivi) il PIN della richiedente viene fisicamente rilasciato al legale rappresentante, che effettuerà l’accesso al sistema con i dati identificativi della richiedente e procederà alla presentazione della domanda con i dati della stessa.
I chiarimenti del Tribunale di Milano. Con ordinanza n. 6019/2017 il Tribunale di Milano ha ordinato all’Inps di estendere il beneficio del premio alla nascita a tutte le future madri regolarmente presenti in Italia che ne facciano domanda e che si trovino nelle condizioni previste dall’articolo 1, comma 353, della Legge 232 del 2016.
L’istituto, infatti, aveva inizialmente limitato l’accesso al bonus solo ad alcune categorie di donne straniere e precisamente alle sole donne titolari della carta di soggiorno o carta di soggiorno permanente di cui agli articoli 10 e 17 del Decreto legislativo 30 del 2007.
Con il messaggio n. 661/2018 l’INPS ha dato seguito alle istruzioni dei giudici meneghini e implementato il tal senso la procedura online di compilazione della domanda. L’istituto ha altresì precisato che le domande presentate dalle cittadine straniere extracomunitarie, regolarmente presenti in Italia, in precedenza respinte, saranno oggetto di riesame.
La richiesta di riesame della domanda deve essere effettuata dall’interessata, utilizzando il modello in allegato al messaggio 13 febbraio 2018, n. 661, presso la struttura INPS territorialmente competente, che valuterà la sussistenza dei requisiti, sia con riferimento alla regolare presenza in Italia sia agli altri requisiti giuridico-fattuali richiesti dalla legge. I premi verranno corrisposti con riserva di ripetizione in esito all’appello della citata ordinanza.
Come fare domanda. Per beneficiare della prestazione, si richiede alle gestanti e madri, cittadine italiane, comunitarie o non comunitarie, la regolare presenza e residenza in Italia.
Le domanda andrà presentata all’INPS attraverso una delle seguenti modalità:
- Tramite servizi telematici accessibili direttamente dalla richiedente tramite PIN, attraverso il portale dell’Istituto;
- Tramite Contact Center (numero 803 164, gratuito da rete fissa, oppure 06 164 164 da rete mobile);
- Tramite enti di patronato, tramite i servizi telematici offerti dagli stessi.
Quando fare domanda. La domanda andrà presentata dopo il compimento del settimo mese di gravidanza corredata della certificazione sanitaria rilasciata dal medico del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) attestante la data presunta del parto. Per gli altri eventi (nascita, adozione o affidamento) il termine improrogabile da rispettare è quello di un anno dal verificarsi dell’evento stesso.
La domanda potrà essere presentata anche nell’ipotesi in cui la richiedente, pur avendo maturato i sette mesi di gravidanza alla data del 1 gennaio 2017, non abbia portato a termine la gravidanza a causa di un’interruzione della stessa. In questo caso, la domanda dovrà essere corredata della documentazione comprovante l’evento.
Nel caso in cui la domanda debba essere presentata da un legale rappresentante, questi dovrà essere in possesso del PIN della richiedente per effettuare l’accesso al sistema con i dati identificativi dell’interessata.
Nel caso di abbandono o affidamento esclusivo al padre, decadenza della potestà genitoriale o decesso della madre, il padre potrà presentare direttamente la domanda con le stesse modalità munendosi di PIN dispositivo.
Bonus mamma domani: i documenti da allegare alla domanda. Al fine di accertare lo stato di gravidanza e il compimento del 7° mese, la richiedente la prestazione dovrà corredare la domanda selezionando alternativamente una delle seguenti modalità di certificazione della gravidanza.
In primis, potrà presentare il certificato di gravidanza in originale o, nei casi consentiti dalla legge, in copia autentica direttamente allo sportello oppure spedita a mezzo raccomandata (art. 49 del D.P.R. 445/2000). Tale certificazione, a tutela della riservatezza dei dati sensibili in essa contenuti, sarà presentata in busta chiusa sulla quale sarà riportato il numero di protocollo e la seguente dicitura: “Documentazione domanda di Premio alla Nascita – certificazione medico sanitaria”.
In alternativa, potrà essere indicato il numero del protocollo telematico del certificato rilasciato dal medico SSN o medico convenzionato ASL. Ancora, sarò consentito indicare che il certificato è stato già trasmesso all’Inps per domanda relativa ad altra prestazione connessa alla medesima gravidanza.
Esclusivamente alle future madri non lavoratrici, in alternativa al certificato di gravidanza, sarà consentito indicare il numero identificativo a 15 cifre di una prescrizione medica emessa da un medico del SSN o con esso convenzionato, con indicazione del codice esenzione compreso tra M31 e M42 incluso. La veridicità di tale autocertificazione sarà verificata dall’INPS presso le competenti amministrazioni.
A parto avvenuto, la madre dovrà invece, autocertificare nella domanda la data del parto e le generalità del bambino (codice fiscale), ovvero le informazioni che si rendano necessarie per accedere al beneficio. In caso di parto plurimo è richiesta l’indicazione di più minori in quanto la prestazione è riconosciuta per ogni minore/evento;
Cittadine extracomunitarie. Le cittadine extracomunitarie regolarmente presenti in Italia che si trovano nelle condizioni giuridico-fattuali previste, dovranno indicare il possesso del permesso di soggiorno considerato valido ai fini dell’assegno di natalità ovvero di un titolo di soggiorno, inserendone gli estremi nella domanda telematica (numero identificativo attestazione; autorità che lo ha rilasciato; data di rilascio; termine di validità).
Adozione/affidamento nazionale e internazionale. Per attestare la data di adozione o affidamento/ingresso in famiglia è necessario indicare gli elementi indispensabili per il reperimento delle informazioni o dei dati presenti nel provvedimento di adozione o affidamento emesso dell’autorità competente. Sarà anche possibile allegare copia digitalizzata del provvedimento stesso al fine di consentire l’individuazione dei citati elementi.
Invece, per attestare la data di ingresso in Italia è necessario indicare, gli elementi sa indicare sono quelli per il reperimento delle informazioni o dei dati presenti nell’autorizzazione all’ingresso del minore in Italia rilasciata dalla Commissione per le Adozioni Internazionali – CAI (numero dell’autorizzazione; data dell’autorizzazione) ovvero il numero e la data dell’autorizzazione.
In alternativa si ha facoltà di allegare copia digitalizzata dell’autorizzazione stessa o la dichiarazione sostitutiva, al fine di consentire l’individuazione dei citati elementi. E’ possibile allegare dichiarazione sostitutiva dell’autorizzazione.
Per attestare la data di ingresso in famiglia si chiede di allegare copia digitalizzata del certificato dell’ente autorizzato a curare la procedura di adozione da cui risulti la data di effettivo ingresso in famiglia.
In caso di adozione pronunciata nello stato estero, al momento della domanda andranno indicati gli elementi indispensabili per il reperimento delle informazioni o dei dati presenti nel provvedimento di trascrizione nei registri dello stato civile del provvedimento di adozione emesso dallo stato estero (tipologia, numero, data del provvedimento e autorità che lo ha emesso) oppure ha facoltà di allegare copia digitalizzata del provvedimento stesso al fine di consentire l’individuazione dei citati elementi.
Abbandono/affido esclusivo al padre. In caso di abbandono o di affido esclusivo al padre sarà necessario indicare, al momento della domanda, gli elementi indispensabili per il reperimento delle informazioni o dei dati presenti nel provvedimento emesso dall’autorità competente (tipologia, numero, data, autorità che ha emesso il provvedimento). In alternativa è possibile allegare la copia digitalizzata del provvedimento stesso. Rimane ferma la possibilità di autocertificare la data di trascrizione del provvedimento e il comune nei cui registri di stato civile il provvedimento stesso è stato trascritto.
Lucia Izzo –Studio Cataldi 31 dicembre 2018
www.studiocataldi.it/articoli/33065-bonus-mamma-domani.asp
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REDDITO DI CITTADINANZA
Spetta ai coniugi separati?
C’è chi è disposto a simulare la separazione dal coniuge per avere un Isee più basso e beccarsi il reddito di cittadinanza. Ma l’aiuto spetta ai coniugi che si separano?
Disposti a tutto pur di accaparrarsi il reddito di cittadinanza. L’Inps ha già stanato migliaia di separazioni simulate e finti stati di disoccupazione, studiati ad arte per apparire più poveri e bisognosi di quello che si è in realtà. Insomma, gli italiani quanto a fantasia non hanno nulla da insegnare, peccato che a chi sta bene e può lavorare non importi che, in questo modo sottrae fondi a tutte quelle persone che del reddito di cittadinanza avrebbero veramente bisogno. Fatta questa doverosa premessa, la domanda è: conviene simulare una separazione dal coniuge esclusivamente per risultare idonei, dal punto di vista reddituale, a percepire il reddito di cittadinanza? Certamente no, non solo perché chi pensa di essere furbo deve fare i conti con chi lo è più di lui, ma anche perché, se dai controlli della Pubblica Amministrazione dovessero emergere false dichiarazioni sulle proprie condizioni solo per ottenere erogazioni e aiuti, come il reddito di cittadinanza, incorre nel reato di truffa aggravata ai danni dello Stato, che prevede la gattabuia fino a sette anni.
Reddito di cittadinanza: a chi spetta? L’Esecutivo, costretto a rinviare il reddito di cittadinanza, da mesi annuncia che questa misura sarà riconosciuta solo in presenza di determinate condizioni, primo tra tutti un ISEE non superiore a 9.360 euro. Il Ministro Di Maio, alle critiche di chi considera il reddito di cittadinanza come un mero sussidio, risponde che, in realtà, il riconoscimento dell’assegno è subordinato alla ricerca attiva di un impiego e all’adesione a un programma di formazione e riqualificazione professionale.
Reddito di cittadinanza: spetta ai coniugi che si separano? Premesso quindi che, nulla è ancora certo per quanto riguarda il reddito di cittadinanza, proviamo a capire che cosa potrebbe accadere alle coppie separate. Quando la separazione è ufficializzata dalla sentenza del Tribunale o dall’attestazione dell’ufficiale dello Stato civile del Comune, infatti il nucleo famigliare si separa, così come gli Isee, che di conseguenza diminuiscono di valore, ragion per cui, a fronte di redditi ridotti, non è così remota la possibilità per i coniugi di ottenere il reddito di cittadinanza.
Reddito di cittadinanza: chi si separa per ottenerlo commette reato. Stando alle considerazioni svolte quindi è sufficiente separarsi per avere diritto a questa erogazione, tanto è vero che, da quando si parla di reddito di cittadinanza, soprattutto nel Sud Italia le separazioni sono stranamente aumentate. Improvvisa consapevolezza di un rapporto di coppia che non funziona o tentativo, neanche troppo velato, di strumentalizzare la legge per trarne vantaggio? Si sa, gli italiani sono famosi e anche criticatissimi per la loro capacità di aggirare le leggi, peccato che questo aumento delle separazioni abbia già messo in allarme la PA.
Reddito di cittadinanza: i controlli stana furbetti della PA. La PA infatti è uno dei soggetti che, con le forse dell’ordine a ciò deputate, può disporre tutti i controlli necessari a verificare l’effettiva sussistenza dei requisiti richiesti dalla legge per ottenere le erogazioni statali. Questi controlli possono riguardare ad esempio la corrispondenza tra residenza dichiarata e dimora effettiva o le bollette delle utenze di gas e luce, visto che dai consumi è possibile desumere la presenza o l’assenza di soggetti all’interno di un’abitazione.
Per cui, attenti a dichiarare il falso, non solo perché è una condotta riprovevole, ma anche perché la legge punisce questo comportamento ai sensi dell’art 640 bis c.p. con la reclusione da due a sette anni.
Annamaria Villafrate news Studio Cataldi 2 gennaio 2018
www.studiocataldi.it/articoli/32977-reddito-di-cittadinanza-spetta-ai-coniugi-separati.asp
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