UCIPEM Unione Consultori Italiani Prematrimoniali e Matrimoniali
NewsUCIPEM n. 732 –16 dicembre 2018
Unione Consultori Italiani Prematrimoniali E Matrimoniali
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02 ABORTO VOLONTARIO Francesco, l’aborto e i sicari.
02. Pillola abortiva, day hospital o no? Ospedali in ordine sparso.
03 ABUSI P. Lombardi: Chiesa affronti fino in fondo la questione degli abusi.
04 ADDEBITO Marito dispotico: separazione con addebito.
05 ADOZIONE Pubblicati gli atti del convegno scuola-adozione a Perugia.
06 I single possono adottare un bambino?
07 ADOZIONE INTERNAZIONALE Brasile. Crollo delle adozioni internazionali.
07 Cina. Su 410mila orfani riconosciuti, nel 2017 solo 19mila adozioni.
08 AFFIDO CONDIVISO I genitori separati devono trascorrere lo stesso tempo coi figli?
09 Responsabilità genitoriale e giurisdizione. Pronuncia la Cassazione.
09 ASSEGNO MANTENIMENTO FIGLI Mantenimento figli e perdita lavoro.
11 BIGENITORIALITÀ quali sono gli elementi di cui deve tener conto il giudice.
12 BIOLOGIA La placenta, organo condiviso che ci dà la vita.
13 CENTRO INTERN. STUDI FAMIGLIA Newsletter CISF – N. 41, 12 dicembre 2018
14 CHIESA CATTOLICA “Amoris Lætitia” secondo “Coco”.
16 COMM.ADOZIONI INTERNAZ. Laura Laera confermata vicepresidente della CAI.
16 CORTE COSTITUZIONALE Unioni civili, cognome comune non modifica la scheda anagrafica.
17 DALLA NAVATA III Domenica d’Avvento – Anno C – 16 dicembre 2018.
17 Convertirsi partendo da un solo verbo: dare.
18 Commento laico.
18 DIRITTI 70° Dichiarazione universale dei diritti umani.
19 Diritti violati.
20 Diritti umani, ora serve fare memoria.
21 Fondare lo sviluppo sostenibile sui diritti inalienabili della persona
22 Diritti umani: per le donne, un obiettivo e una responsabilità.
23 DIRITTO DI FAMIGLIA Ddl Pillon – aggiornamenti.
24 Cassazione. La bigenitorialità non si misura in giorni!
24 Il diritto di famiglia e la nostalgia del modello monogenitoriale.
25 La bigenitorialità non si misura in giorni!
27 DIRITTO DI VISITA Il nonno non biologico può vederlo per i nipoti acquisiti?
29 DIVORZIO Diritti della moglie in caso di separazione e divorzio.
31 I diritti del marito in caso di separazione e divorzio.
33 ENTI TERZO SETTORE Codice del Terzo Settore: le modifiche nel Decreto Fiscale.
34 FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI Presidente Casellati segnali importanti d’attenzione alla natalità.
34 FRANCESCO VESCOVO DI ROMA Il Papa: diritti umani al centro, anche andando controcorrente.
35 Papa: queste persone non dovrebbero entrare in seminario.
36 MIGRANTI Non porre ostacoli, anche di natura legislativa, all’accoglienza.
36 Affido familiare è soluzione migliore per inclusione sociale di minori
36 MINORI Tutela dei minori e pragmatismo dei giudici.
37 OSPITALTÀ A Betlemme con Maria incinta di Gesù.
38 PARLAMENTO Senato della Repubblica–Commissione Giustizia–Affido dei minori.
38 PSICOLOGIA Psicologo o psicoterapeuta: a chi rivolgersi?
40 SEPARAZIONE Finta separazione consensuale.
42 TEOLOGIA Indagini continue su Dio.
44 UCIPEM Augusta. Celebrato don Paolo Liggeri nell’auditorium a lui dedicato.
44 UNIONI CIVILI Le crisi nelle unioni civili
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ABORTO VOLONTARIO
Francesco, l’aborto e i sicari
Papa Francesco durante la catechesi del 14 ottobre 2018 sul “non uccidere” ha detto che l’aborto equivale a far fuori qualcuno assumendo un sicario. Credo che l’interruzione volontaria della gravidanza non sia un “diritto” della donna (che ha molti altri diritti ancora non rispettati), ma che vada guardata in tutta la sua complessità. Credo che il concepito sia una vera vita umana (salvo – forse – i primissimi giorni? {ore. Ndr}). Anche la vita dei nati e di noi adulti e vecchi è sempre in formazione, in cammino, incompiuta, ed è sempre sostenuta o minacciata dagli altri. Nessuna persona è un’isola. Non c’è diritto del padre sulla vita del figlio, del marito sulla vita e libertà della moglie, del governo sui diritti dei cittadini, della donna sul concepito. Non c’è diritto di una vita sull’altra. Il problema da riconoscere è che la donna è così totalmente implicata nella maternità, che diventa praticamente impossibile giudicare sulla sua possibilità o impossibilità di portarla avanti.
Mi sembra chiaro che un aborto di comodo è omicidio. Mi sembra chiaro che l’incoscienza? dell’uomo come della donna? nel concepire è grave irresponsabilità, a pregiudizio di un’altra persona umana. Se l’aborto è oggettivamente un omicidio, il suo aspetto soggettivo è ingiudicabile, perché di fatto nessuno può mettersi al posto della madre. La legge ha stabilito che non è punibile, e ha anche concesso che sia assistito medicalmente per evitare altri mali. Ha disposto pure che la società dia alla donna tutto l’aiuto per prevenirlo, e questo aspetto sembra poco applicato. La legge non definisce la sostanza delle azioni, ma la loro gestione sociale possibile, a riduzione del danno. E tiene conto della situazione personale: il naufrago che si attacca all’unica tavola e così lascia che un altro affondi, non è un eroe, ma va forse giudicato dalla legge come responsabile della morte dell’altro? Così, chi fugge da un incendio senza tornare a cercare di salvare un altro, va forse giudicato come colpevole?
Enrico Peyretti Il foglio (edito da alcuni cristiani di Torino) n. 456, novembre 2018
PS – In un proseguimento di discussione ho affermato di condividere l’idea che il concepito è vera persona umana in evoluzione, anche perché comunica in modi dapprima molto elementari, poi sempre più intensi, già prima di nascere, con la madre.
Ru486. Pillola abortiva, day hospital o no? Ospedali in ordine sparso
A nove anni ormai dall’ingresso nella lista dei farmaci in commercio nel nostro Paese, l’utilizzo della pillola abortiva avviene in modo del tutto disomogeneo sul territorio nazionale, non senza casi di profonda confusione, discrepanze tra le regioni e rischi per la salute delle donne.
La Ru486 è una preparazione farmacologica a base di mifepristone, un ormone steroideo in grado di bloccare l’azione dei recettori progestinici sulla mucosa e la muscolatura dell’utero e di favorire il distacco e l’eliminazione della mucosa uterina. L’aborto farmacologico è una procedura medica, distinta in più fasi, che si basa sull’assunzione di almeno due principi attivi diversi: il mifepristone e una prostaglandina, a distanza di 48 ore l’uno dall’altro. Il mifepristone, interessando i recettori del progesterone, necessari per il mantenimento della gravidanza, causa la cessazione della vitalità dell’embrione, mentre il secondo farmaco ne determina l’espulsione.
Inventata negli anni Ottanta, dopo molte controversie medico-legali la pillola abortiva è stata ammessa in Italia dal 10 dicembre 2009, con la pubblicazione del via libera all’immissione in commercio sulla Gazzetta ufficiale. Le disposizioni prevedono che l’aborto chimico non possa essere indotto oltre i primi 49 giorni di gravidanza e, sulla base dei pareri del Consiglio superiore di sanità, il Ministero della Salute ha emanato nel 2010 le Linee di indirizzo per rendere omogenee le modalità d’uso. Nel documento si ribadisce più volte la necessità di «compatibilità e di coerenza con i princìpi e i parametri di sicurezza posti dalla legge 194 del 1978», quella sull’aborto, mentre dal punto di vista clinico si afferma in modo perentorio che «i rischi connessi all’interruzione farmacologica della gravidanza si possono considerare equivalenti all’interruzione chirurgica solo se l’interruzione di gravidanza avviene in ambito ospedaliero», considerando anche «la non prevedibilità del momento in cui avviene l’aborto» e «il rispetto della legislazione vigente che prevede che l’aborto avvenga in àmbito ospedaliero». Questo anche perché l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) «ha ammesso il mifepristone soltanto a dispensazione ospedaliera, prevedendone l’assunzione in ospedale o in struttura sanitaria prevista dalla normativa e di fronte al medico, che deve accertarsi che la paziente ingoi la compressa».
Le “Linee di indirizzo” stracciate. La procedura farmacologica, quindi, non va considerata meno rischiosa ma valutata in tutti i suoi potenziali rischi per la salute della donna, visto che con l’assunzione del farmaco «si innesca un processo di non ritorno, perché si va incontro non solo all’interruzione della gravidanza, ma anche, dato e concesso che possa fallire il tentativo di aborto, a effetti teratogeni importanti e imprevedibili». Nel documento si richiedeva che «per le donne straniere si debba accertare l’avvenuta comprensione linguistica della procedura e dei sintomi che la donna stessa deve valutare autonomamente (intensità del dolore, sanguinamento, ecc.)» e si definiva «sconsigliabile» l’aborto farmacologico per le minorenni. Le Linee di indirizzo prevedono il pieno consenso informato della donna per un atto farmacologico che «si articola in un percorso temporale piuttosto lungo, quasi mai inferiore ai tre giorni» e con «implicazioni estremamente importanti dal punto di vista psicologico sulla donna che ha deciso di seguire questo difficile e doloroso percorso». Il ricovero ordinario è quindi doveroso ed essenziale per poter monitorare ogni fase ed è «fortemente sconsigliata la dimissione volontaria contro il parere dei medici prima del completamento di tutta la procedura perché in tal caso l’aborto potrebbe avvenire fuori dall’ospedale e comportare rischi anche seri per la salute della donna». Eppure, malgrado le chiare raccomandazioni delle Linee guida (elaborate da una commissione di esperti) e tre netti pareri contrari da parte del Consiglio superiore di sanità di composizione diversa (e in tre diverse legislature) rispetto all’ipotesi di aborto al di fuori delle strutture ospedaliere, la situazione in Italia si presenta ben diversa, con enormi differenze enormi tra regione e regione.
Una pratica in continuo aumento. L’uso dell’aborto farmacologico, come si legge nella relazione del Ministro della Salute sull’attuazione della 194\1978, è in aumento: «Nel 2016 il mifepristone con successiva somministrazione di prostaglandine è stato adoperato nel 15,7% dei casi, rispetto al 15,2% del 2015 e al 12,9% del 2014. Il ricorso all’aborto farmacologico varia molto fra le regioni». Con il nuovo anno anche in Lombardia e Umbria la pillola Ru486 potrà essere somministrata in regime di day hospital, come già avviene in Piemonte, Emilia Romagna, Toscana, Puglia, Lazio e Liguria. In alcuni ospedali di altre regioni il vincolo viene spesso aggirato e si ricorre al cosiddetto “doppio ricovero”: la donna assume il primo farmaco e poi firma le dimissioni volontarie, formalmente «contro il parere dei medici», come se fosse una sua scelta personale. Torna a casa e si ripresenta in ospedale dopo circa due giorni per assumere il secondo farmaco, seguendo esattamente la procedura che in realtà era «fortemente sconsigliata» dalle Linee guida ministeriali. Il vantaggio in termini di meri costi è evidente a tutti, perché vengono liberati posti letto in corsia, ma la donna viene di fatto lasciata completamente sola anche davanti a eventuali rischi, come emorragie, infezioni o aborti incompleti (con il distacco dell’embrione però non espulso). Una misura di salvaguardia per la salute della donna che viene lentamente accantonata, mentre c’è chi pensa addirittura al farmaco abortivo distribuito direttamente nei consultori familiari e nei poliambulatori, come il governo della Regione Lazio.
Danilo Poggio Avvenire 13 dicembre 2018
www.avvenire.it/famiglia-e-vita/pagine/ru486-regioni-e-ospedali-in-ordine-sparso
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ABUSI
P. Lombardi: Chiesa affronti fino in fondo la questione degli abusi
In un articolo sull’ultimo numero di Civiltà Cattolica, padre Federico Lombardi SJ ripercorre la questione degli abusi sessuali nella Chiesa, in vista dell’incontro dei Vescovi sulla protezione dei minori, convocato dal Papa in Vaticano il prossimo febbraio 2019.
L’incontro di febbraio sulla protezione dei minori non parte dal “punto zero”, ma è “certamente un evento inedito che si propone di dare una forte spinta per nuovi urgenti passi in avanti”. E’ quanto sottolinea padre Federico Lombardi sull’ultimo numero di Civiltà Cattolica in un lungo articolo intitolato “Verso l’incontro dei vescovi sulla protezione dei minori”. A volte, avverte il gesuita, “ci si continua a illudere che si tratti di un problema principalmente occidentale, oppure americano o anglofono”, in realtà “non deve sfuggirne la presenza talvolta ancora latente ma tale da rendere possibili in futuro eruzioni drammatiche”. Per questo, è il suo monito, “bisogna guardare in faccia la realtà”.
Sminuire la questione degli abusi è la strada sbagliata. Talvolta, scrive Lombardi, “anche in ambienti della Chiesa si sente dire che è ora di cambiare argomento, che non è giusto dare troppo peso a questo tema, perché se ne resta oppressi e la questione viene ingigantita. Ma questa è una strada sbagliata”. Se la questione “non viene affrontata fino in fondo nei suoi diversi aspetti – prosegue – la Chiesa continuerà a trovarsi davanti a una crisi dopo l’altra”, sarà “ferita” la credibilità dei sacerdoti e, “soprattutto, ne soffrirà la sostanza della sua missione di annuncio evangelico e di lavoro educativo per l’infanzia e la gioventù”.
L’emergere della questione dopo il 2000: il caso di Boston. Padre Lombardi ripercorre dunque la storia della questione degli abusi nella Chiesa, rammentando che la prima grande crisi avviene dopo l’anno 2000 negli Stati Uniti e viene affrontata da San Giovanni Paolo II nei suoi ultimi anni di Pontificato. Le “grandi lezioni” di quanto successo nell’arcidiocesi di Boston, scrive il gesuita, sono “piuttosto chiare, anche se sono state comprese e accettate con fatica”. Innanzitutto, “la selezione e la formazione dei candidati al sacerdozio” va ripensata “con cura e con rigore”. E’ inoltre “indifendibile” il modo in cui le autorità ecclesiastiche hanno occultato la verità per vitare gli scandali, “trascurando la gravità delle sofferenze delle vittime”. Ancora, il ruolo dei media richiede di rispondere all’esigenza di trasparenza, infine è necessaria una collaborazione con le autorità civili.
Già nella parte finale del Pontificato di Karol Wojtyla, il prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, cardinale Joseph Ratzinger, s’impegna con particolare forza ad affrontare la questione. Uno sforzo che si amplifica una volta che il cardinale tedesco viene eletto Papa. Benedetto XVI vara una serie di nuove “Norme sui delitti più gravi” a cui fa seguito, nel 2011, l’importante Lettera alle Conferenze episcopali di tutto il mondo per aiutarle a preparare delle Linee guida per il trattamento dei casi di abuso sessuale di minori da parte di chierici. Linee che, scrive Lombardi, “diventano così il documento di riferimento necessario per la conversione e il rinnovamento della comunità ecclesiale a partire dalla drammatica esperienza degli abusi”. L’impegno personale assunto da Benedetto XVI in questa drammatica vicenda, annota, è “messo in luce anche dai suoi ripetuti incontri con le vittime in diversi viaggi apostolici in vari Paesi”.
Francesco contro gli abusi sessuali, di potere e di coscienza. Francesco, si legge su Civiltà Cattolica, continua con decisione “sulla via tracciata dal suo Predecessore”. Anche lui si è “coinvolto personalmente, incontrando vittime di abusi sessuali”. Un atto importante, scrive Lombardi, è la costituzione – pochi mesi dopo l’elezione alla Cattedra di Pietro – della nuova Pontificia Commissione per la tutela dei minori (dicembre 2013), presieduta dal cardinale Sean O’Malley. Un organismo che ottiene in particolare tre risultati, secondo il quindicinale dei gesuiti: il modello offerto per le “Linee Guida”, i corsi di formazione per i vescovi di nuova nomina, la proposta di una Giornata di preghiera per le vittime di abusi. Padre Lombardi mette poi l’accento su due documenti approvati da Francesco: il Rescritto del 2014 e il motu proprio del 2016 “Come una madre amorevole”. Due documenti che rafforzano l’accountability [responsabilità] delle autorità ecclesiastiche. Particolarmente significativa anche la Lettera al popolo di Dio, del 20 agosto di quest’anno 2018. Francesco, ormai, “non parla più semplicemente di abusi sessuali” ma pure “di potere e di coscienza”. E chiede con forza che, per affrontare questo scandalo, tutti i fedeli si sentano corresponsabili del “cammino sinodale della Chiesa” e che “ogni forma di clericalismo vada decisamente combattuta”.
www.vatican.va/resources/index_it.htm
Alessandro Gisotti – Città del Vaticano 14 ottobre 2018
www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2018-12/lombardi-chiesa-affronti-fino-in-fondo-abusi.html
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ADDEBITO
Marito dispotico: separazione con addebito
Corte di Cassazione, prima Sezione civile, ordinanza n. 31901, 10 dicembre 2018
Violazione degli obblighi di reciproca assistenza e rispetto: il marito che umilia la moglie ed esercita violenze morali e psicologiche è responsabile.
Hai un marito padrone. In casa fa prevalere sempre le sue decisioni e non ti lascia margine di scelta. È lui che decide dove andare, cosa acquistare, se e quando fare le ferie, da chi passare le feste, ecc. Puntualmente ti mette sempre davanti a decisioni già prese, di cui vieni a conoscenza a cose già fatte. Le poche volte che hai provato a ribellarti ti ha intimidito, maltrattato e umiliata. Ti ha fatto sentire inutile, un oggetto. Anche se non ha mai avuto atteggiamenti violenti, né ti ha mai picchiato, è a tutti gli effetti ciò che si definisce un marito dispotico. Ed ora che mediti di separati da lui vorresti che il giudice attribuisse a lui tutta la responsabilità per la fine del matrimonio. Questo non avrà ripercussioni sull’assegno di mantenimento che, comunque, ti dovrà essere versato in ogni caso atteso il tuo reddito più basso (è sempre per colpa sua, peraltro, che non hai potuto lavorare). Ma servirà, quantomeno da un punto di vista morale, a restituirti la dignità persa in tutti questi anni.
A stabilire la possibilità di separazione con addebito al marito dispotico è stata una recente ordinanza della Cassazione.
Cos’è l’addebito. Il più delle volte il matrimonio finisce per colpa o volere di uno dei due coniugi. Laddove la separazione sia stata determinata dalla violazione di una delle regole del matrimonio commessa dal marito o dalla moglie, il responsabile viene condannato dal giudice al cosiddetto addebito. Vuol dire che il giudice attribuisce la colpa della separazione al soggetto che, ad esempio, ha tradito l’altro, ha rifiutato di prestare all’altro l’assistenza morale o materiale o che se n’è andato di casa per non tornare più. Il semplice venir meno dell’innamoramento non è considerato causa di addebito; così dire «non ti amo più» è lecito e non implica addebito, ma non altrettanto nel caso «non ti amo più perché mi sono innamorata di un altro uomo».
Sotto il profilo pratico, però, l’addebito non comporta una sanzione vera e propria né l’obbligo del risarcimento. L’unica conseguenza dell’addebito è, per il soggetto responsabile:
- l’impossibilità di chiedere il mantenimento anche se ha un reddito più basso;
- la perdita dei diritti di successione in caso di morte dell’ex prima del divorzio.
La famiglia è fondata su scelte condivise. Un atteggiamento dispotico (tanto da parte dell’uomo che della donna) è contrario ai doveri del matrimonio. Il codice civile, in linea con la funzione della famiglia, impone scelte condivise sia in merito alla gestione della vita coniugale che all’educazione e crescita dei figli. Anche la scelta della residenza è una scelta che deve essere condivisa e non può invece essere imposta da uno dei due. Il coniuge che umilia l’altro imponendo le proprie decisioni viola uno dei doveri del matrimonio e, come tale, subisce l’addebito.
Che fare in caso di marito dispotico? Affinché il giudice dichiari l’addebito a carico del marito dispotico è necessario innanzitutto dimostrare gli atteggiamenti prevaricatori e, se sussistenti, violenti. La prova potrà essere costituita da qualsiasi elemento, anche testimonianze offerte da parenti o amici. Finanche le registrazioni sono entrate ormai nel processo di separazione dei coniugi.
Bisogna poi dimostrare che è proprio dall’atteggiamento prevaricatore che è derivata la fine del matrimonio ossia che questo è stato la causa della rottura dell’unione. Non vi devono essere cause pregresse. Se, ad esempio, l’uomo dovesse essere divenuto dispotico dopo aver scoperto il tradimento della moglie, l’addebito sarà imputato a quest’ultima se risulta che è stata proprio l’infedeltà ad aver determinato il cambio di rotta nell’altro coniuge.
Le violenze morali valgono quanto quelle fisiche. Detto ciò la Cassazione ricorda la regola secondo cui le reiterate violenze fisiche e morali, inflitte da un coniuge all’altro, costituiscono violazioni talmente gravi dei doveri nascenti dal matrimonio da fondare, di per sé sole, non solo la pronuncia di separazione, in quanto cause determinanti la intollerabilità della convivenza, ma anche «la dichiarazione della sua addebitabilità all’autore di quelle violenze».
E, aggiungono i Magistrati della Cassazione, «il loro accertamento esonera il giudice di merito dal dovere di procedere alla comparazione col comportamento del coniuge che sia vittima delle violenze, trattandosi di atti che, in ragione della loro estrema gravità, sono comparabili solo con comportamenti omogenei».
Redazione La Legge per tutti 12 dicembre 2018
Ordinanza www.laleggepertutti.it/263493_marito-dispotico-separazione-con-addebito#Che_fare_in_caso_di_marito_dispotico
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ADOZIONE
Pubblicati gli atti del convegno scuola-adozione a Perugia
CARE – Coordinamento delle Associazioni familiari adottive e affidatarie in Rete
Sono disponibili gli atti del Convegno “Prendersi cura dell’adozione a scuola” organizzato il 19 novembre 2018 dal Tavolo Regionale Scuola-Adozione (USR, Regione, CARE e Servizi territoriali).
www.youtube.com/user/CoordinamentoCare
I single possono adottare un bambino?
Le coppie che lo desiderano possono adottare un bambino al fine di crescerlo ed educarlo come se fosse il loro figlio naturale a tutti gli effetti. Ciò è possibile grazie all’istituto dell’adozione di minori, regolato in Italia da una legge emanata nel 1983 e tuttora in vigore. Il procedimento che consente di giungere all’adozione, però, non è così semplice: la legge ha previsto un iter burocratico abbastanza lungo e complesso, volto a verificare che gli adottandi siano effettivamente in grado di offrire una famiglia al minore adottato. Ora, se è pacifico che una coppia di persone possa chiedere di adottare un bambino, lo stesso può fare anche un single, cioè una persona che viva da sola? La risposta non è così scontata: l’opinione più diffusa è che l’adozione sia un istituto posto a beneficio solamente degli individui che vivono insieme; come ti dirò nel corso di questo articolo, non è proprio così. Posso anticiparti sin d’ora che, sicuramente, la regola è che il minore sia affidato ad una coppia; eccezionalmente, però, l’adottante può essere anche una sola persona.
Adozione bambini: cos’è? L’adozione dei bambini è un istituto giuridico che consente di crescere ed educare un minore come se fosse un proprio figlio a tutti gli effetti: l’adottato, infatti, acquisisce lo status di figlio proprio come se fosse il discendente biologico degli adottanti. L’adozione, in altre parole, è una filiazione giuridica che si affianca a quella naturale: secondo la legge, il figlio adottato ha gli stessi diritti e gli stessi doveri del figlio biologico, cioè del minore concepito dalla coppia.
Quando si può adottare un bambino? La legge italiana [n. 184, 4 maggio 1983] consente di adottare un bambino solamente a determinate condizioni. Come anticipato nell’introduzione, i parametri fissati dal legislatore sono molto rigidi, nel senso che la famiglia adottante deve garantire con certezza la possibilità di crescere ed educare il minore. L’interesse primario è proprio quello del bambino ad essere accolto all’interno di una famiglia che possa essere in grado di dargli tutto ciò di cui ha bisogno.
La legge permette di adottare un bambino solamente se gli adottanti rispettano particolari requisiti; di seguito i principali:
- la coppia deve essere sposata da almeno tre anni o da meno di tre anni ma, in questo caso, con almeno un triennio di convivenza alle spalle. Non sono ammessi, negli ultimi tre anni, periodi di separazione.
- l’età dei genitori deve essere superiore di almeno di 18 anni e al tempo stesso non può superare i 45 anni quella del minore. È permesso a uno solo dei coniugi andare oltre, di non più di dieci anni, l’età massima consentita.
- la coppia, oltre che sposata, deve essere considerata idonea moralmente e materialmente a crescere un bambino.
Quale bambino si può adottare? Per adottare un bambino non occorre solamente che i futuri genitori rispettino i criteri visti nel paragrafo precedente; è altresì necessario che il minore stesso si trovi in una condizione di “adottabilità”. In pratica, non tutti i minori possono essere adottati, ma solamente coloro che si trovino in stato di abbandono, dovendosi per tale intendere il bambino privo del sostegno morale e materiale di genitori e parenti, non per cause temporanee o di forza maggiore, ma in via definitiva.
Adottare un bambino: come si fa? Se sussistono tutte le condizioni sopra viste, la coppia sposata può adottare un bambino in stato di abbandono. L’iter è molto lungo: occorre innanzitutto presentare apposita domanda di adozione al tribunale territorialmente competente; l’autorità giudiziaria informerà i servizi sociali, i quali, entro il termine di quattro mesi, faranno le opportuni indagini sulla famiglia per verificarne l’idoneità all’adozione.
Se il giudizio è positivo, il tribunale rilascia l’idoneità e i futuri genitori vengono messi in lista d’attesa. Dopodiché, segue un periodo di pre-affido (o meglio, di affido preadottivo) di durata pari a un anno, durante il quale il minore verrà inserito nella famiglia sotto la costante supervisione dei servizi minorili. Al termine dell’anno di prova, sentite tutte le parti (bambino compreso), il tribunale emette la sua sentenza, che può essere a favore dell’adozione o meno. Se il giudice decreta l’adozione, il minore sarà considerato dalla legge un figlio della coppia a tutti gli effetti, con tutto ciò che ne discende in punto di diritti (all’educazione, al mantenimento, alla successione, ecc.) e di doveri (al rispetto dei genitori, alla loro assistenza in caso di bisogno, ecc.).
I single possono adottare? La risposta è positiva, sebbene con delle specificazioni. Le persone che vivono sole possono adottare un minore, solamente che la loro adozione non è equiparabile a quella delle coppie sposate (che segue l’iter visto nei paragrafi precedenti). In pratica, il minore adottato dal single non diventa, per la legge, un vero e proprio figlio; inoltre, le condizioni richieste per l’adozione sono diverse.
Quando i single possono adottare un bambino? I single possono adottare un bambino solamente al ricorrere di queste particolari situazioni:
In queste ipotesi, anche se il minore non sia abbandonato, la persona non coniugata può chiedere di adottare un bambino il quale, lo si ripete, non diverrà suo figlio, ma continuerà a mantenere il rapporto di filiazione giuridica con i genitori naturali. In tutti i casi appena visti, l’adottante deve comunque superare di almeno diciotto anni l’età di colui che intende adottare.
Mariano Acquaviva La legge per tutti 10 dicembre 2018
www.laleggepertutti.it/256637_i-single-possono-adottare-un-bambino
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ADOZIONE INTERNAZIONALE
Brasile. Crollo delle adozioni internazionali
Per fare il punto sulla situazione delle adozioni internazionali, l’ACAF – Autorità Centrale Amministrativa Federale per le adozioni in Brasile, ha convocato tutte gli enti autorizzati internazionali accreditati nel Paese. L’incontro, alla presenza anche di Ai.Bi. – Amici dei Bambini, si è tenuto lunedì 3 dicembre 2018 alla presenza dell’intera squadra ACAF, tra cui il Coordinatore Generale Nathalia Camba e il Coordinatore delle adozioni internazionali, Paula Alburquerque.
Ne è emerso un quadro sconfortante. Sono infatti state segnalate all’autorità le criticità che attualmente il sistema delle adozioni internazionali affronta in Brasile, con un calo sensibile dei numeri. Le organizzazioni si sono fatte avanti spiegando all’ACAF la differenza tra quante adozioni hanno potuto fare in passato e quante ne fanno attualmente e le motivazioni di queste difficoltà.
Bisogna pensare che in Brasile ci sono organizzazioni che non concludono adozioni da più di due anni e altre che quest’anno sono riuscite solo a concludere una o addirittura nessuna adozione. Ma quali sono le ragioni di un calo tanto sentito delle adozioni internazionali? In realtà ce ne sono molte, tra cui il cambio di profilo degli adottanti brasiliani, il ritardo dei processi di decadenza della potestà genitoriale, oltre a un diffuso pregiudizio delle autorità giudiziarie contro l’adozione internazionale.
L’ACAF e le agenzie internazionali stanno tuttavia pensando a strategie per invertire la tendenza. Le nuove linee guida dell’ACAF – Autorità Centrale Amministrativa Federale per le adozioni in Brasile, saranno pubblicate entro dicembre. L’autorità centrale brasiliana ha però voluto presentare a gli organismi stranieri registrati per l’adozione internazionale i nuovi regolamenti, la cui revisione è stata completata venerdì 30 novembre 2018 e inviata al Consiglio consultivo del Ministero della Giustizia e che quindi non è stata restituita per la pubblicazione ufficiale.
Al di là di qualche modifica sul rinnovo dell’accreditamento per le organizzazioni, che prevederà procedure digitali, le variazioni saranno minime. Tutte le scadenze sono state mantenute: rapporto mensile, relazioni annuali, ri-registrazione biennale, invio di documenti al termine di ogni adozione e rapporti di adozione ogni sei mesi per un periodo di due anni e infine consegna di certificati di nascita e cittadinanza prima della scadenza due anni. Il mancato rispetto di queste regole genererà una sospensione e quindi l’esclusione delle organizzazioni
News Ai. Bi. 13 dicembre 2018
www.aibi.it/ita/brasile-crollo-delle-adozioni-internazionali-lacaf-vuole-invertire-la-tendenza/
Cina. Su 410mila orfani riconosciuti, nel 2017 solo 19mila adozioni
Solo 19.000 bambini, sui 410.000 orfani riconosciuti, sono stati adottati in Cina l’anno scorso, tra cui 2.228, poco meno del 12%, sono stati accolti da famiglie che vivono in altri Paesi, secondo un rapporto annuale del Ministero degli Affari Civili, riportato in un articolo di Chinadaily.com. Nel medesimo articolo un ricercatore ha affermato che la ragione per cui un minor numero di famiglie straniere sta adottando orfani cinesi è dovuta alle migliori condizioni di vita della nazione, il che significa che un minor numero di genitori sta abbandonando i propri figli e, in generale, ci sono meno situazioni di grave difficoltà familiare.
Il numero delle adozioni internazionali è diminuito del 42% dal 2011, quando il Ministero ne ha registrate 3.845. In Cina – spiega ancora Chinadaily – solo i bambini registrati nelle case di assistenza sociale possono essere adottati legalmente. L’anno scorso, questi rifugi ospitavano circa 86.000 bambini, il 21% dei 410.000 orfani del paese in tutto il paese, ha detto il ministero. Tuttavia, ciò rappresenta una diminuzione di oltre il 20% rispetto al 2011, quando erano 108.000.
Tong Xiaojun, capo del Children’s Research Institute of China, parte dell’Università della Chinese Academy of Social Sciences, ha spiegato inoltre che: “Dato che le famiglie possono adottare solo bambini provenienti da agenzie di welfare, con il numero di orfani delle agenzie di welfare in calo di anno in anno, le adozioni straniere vengono naturalmente colpite“.
Questa situazione è aggravata dai genitori cinesi che hanno priorità nel processo di candidatura. “È considerato migliore per i bambini se possono essere allevati in un ambiente a loro familiare“, ha spiegato. “Così il governo dà preferenza alle famiglie cinesi quando si tratta di adozione, e le famiglie internazionali devono aspettare più a lungo“.
Le famiglie locali hanno adottato più di 15.000 bambini l’anno scorso, oltre l’80% del totale. Tradizionalmente, una grande percentuale dei bimbi abbandonati in Cina sono disabili o comunque con special needs. Tong ha detto che le famiglie cinesi preferiscono adottare bambini sani e in buona salute, e poiché queste famiglie hanno priorità, le famiglie straniere hanno spesso accesso solo alle adozioni di bimbi con special needs
News Ai. Bi. 10 dicembre 2018
www.aibi.it/ita/cina-su-410mila-orfani-riconosciuti-nel-2017-solo-19mila-adozioni
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AFFIDO CONDIVISO
I genitori separati devono trascorrere lo stesso tempo coi figli?
Corte di Cassazione, prima Sezione civile, ordinanza n. 31902,10 dicembre 2018
Ti stai per separare da tuo marito. Vi siete messi d’accordo su tutto, tranne sui giorni di visita per vostro figlio. Il papà vorrebbe vederlo tutti i giorni, almeno per tre ore. Tu invece rifiuti una soluzione di questo tipo che pregiudicherebbe l’organizzazione delle vostre giornate: il bambino verrà a vivere da te ed è giusto – almeno così ritieni – che il tempo che passerete assieme sia superiore. Prevedere una perfetta ripartizione dei giorni e delle ore finirebbe per rendere tutto più macchinoso e pregiudicherebbe anche lo stesso piccolo nei compiti di scuola e nella frequentazione dei compagni di classe. Chi di voi ha ragione? I genitori separati devono trascorrere lo stesso tempo coi figli? La questione è stata chiarita stamane dalla Cassazione con una ordinanza che ribadisce un principio abbastanza noto nella pratica.
Cos’è l’affidamento condiviso. Salvo che non vi siano particolari ragioni ostative che rendano un genitore inadeguato a prendersi cura del figlio (ad esempio un grave stato di tossicodipendenza o un’attitudine violenta), il giudice stabilisce il cosiddetto affidamento condiviso: in pratica, entrambi i genitori partecipano alle decisioni essenziali alla crescita del minore; hanno quindi pari diritti e pari doveri.
Cos’è la collocazione del figlio. Accanto all’affidamento, il giudice decide la collocazione, ossia presso quale dei due genitori il figlio andrà a vivere e fisserà la sua residenza abituale. Finché i figli sono in età prescolare, vengono quasi sempre collocati presso la madre (c’è effettivamente quella che la Cassazione chiama una “preferenza”). L’altro genitore però ha il diritto – ma anche il dovere – di andare a trovare i figli, vederli, partecipare alla loro crescita e alle tappe che questa comporta. Il tutto secondo un calendario di visite che, se non viene determinato di comune accordo tra i genitori, viene fissato dal giudice. Anche se in quest’ultimo caso, però, madre e padre sono sempre liberi di accordarsi di volta in volta diversamente (sempre se c’è l’accordo di entrambi).
Nel decidere la collocazione il giudice sente il parere del minore se ha almeno 12 anni. I figli con almeno 18 anni decidono con quale dei due genitori vivere.
Cos’è il mantenimento del figlio. Il genitore presso cui vanno a vivere i figli riceve il mantenimento per le loro spese di ordinaria amministrazione (cibo, vestiti e quant’altro serve nell’arco della normale giornata). Il mancato versamento del mantenimento non può essere giustificato neanche in caso di perdita di lavoro. Il padre condannato a versare il mantenimento è tenuto ad adempiere anche per i periodi in cui i figli vanno a stare da lui (si pensi al mese estivo). Il mantenimento viene versato sempre nelle mani della madre e solo dopo il compimento dei 18 anni può essere erogato direttamente al ragazzo, ma solo se è quest’ultimo a chiederlo.
Cos’è l’assegnazione della casa. Chiude il quadro l’assegnazione della ex casa coniugale. Quando il giudice che la coppia ha un figlio minorenne o anche maggiorenne ma non ancora indipendente o portatore di handicap, assegna al genitore con cui i figli andranno a vivere (quindi di norma la madre) la casa dove la famiglia ha principalmente vissuto anche se appartiene all’altro genitore o se è in affitto. Questo provvedimento viene emesso in favore dei figli, per garantire loro di continuare a crescere nello stesso habitat domestico. Pertanto il giudice assegna la casa alla madre anche se ha un reddito elevato e non percepirà il mantenimento o se a lei viene addebitata la separazione (ad esempio per aver tradito il marito).
Quanto tempo i figli hanno diritto a passare coi genitori? Secondo la Cassazione i genitori separati non hanno diritto a trascorrere la stessa quantità di tempo con i figli. Non sussiste infatti una perfetta ripartizione a metà della giornata o della settimana: pur rispettando l’affido condiviso il bambino passerà più giorni con chi ha una relazione affettiva e un ambiente sociale più consoni. Il che significa, nella gran parte dei casi, la madre. E questo proprio perché è lei che vive nella casa coniugale e quindi questo è il luogo più adatto per passare gran parte della giornata.
Ancora oggi dunque i genitori separati non hanno diritto a trascorrere la stessa quantità di tempo con i figli. Passerà più giorni con il bambino chi è in grado di instaurare un legame affettivo molto forte e di farlo crescere nel luogo “caldo” qual è l’ambiente domestico.
Il principio di bigenitorialità si traduce nel diritto di ciascun genitore a essere presente in maniera significativa nella vita del figlio nel reciproco interesse, ma ciò non comporta l’applicazione di una proporzione matematica in termini di parità dei tempi di frequentazione del minore in quanto l’esercizio del diritto deve essere armonizzato in concreto con le complessive esigenze di vita del figlio e dell’altro genitore. Ciò anche perché, ricordano i Supremi giudici, «in tema di affidamento dei figli minori, il giudizio che il giudice, nell’esclusivo interesse morale e materiale della prole, deve operare circa le capacità dei genitori di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione determinata dalla disgregazione dell’unione, va formulato tenendo conto, in base ad elementi concreti, del modo in cui i genitori hanno precedentemente svolto i propri compiti, delle rispettive capacità di relazione affettiva, attenzione, comprensione, educazione e disponibilità a un assiduo rapporto, nonché della e familiare che è in grado di offrire al minore. Resta fermo, in ogni caso, il rispetto del principio della bigenitorialità, da intendersi quale presenza comune dei genitori nella vita del figlio, idonea a garantirgli una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi, i quali hanno il dovere di cooperare nella sua assistenza, educazione ed istruzione».
Redazione La legge per tutti 10 dicembre 2018 Ordinanza
www.laleggepertutti.it/263042_i-genitori-separati-devono-trascorrere-lo-stesso-tempo-coi-figli
Responsabilità genitoriale e giurisdizione: si pronuncia la Cassazione
Corte di Cassazione, Sezioni unite civili, sentenza n. 32359, 13 dicembre 2018.
www.neldiritto.it/appgiurisprudenza.asp?id=16363#.XBqB5c17loB
Se la minore si trasferisce in un altro Stato acquisendo legittimamente una nuova residenza non si configura un’ipotesi di sottrazione internazionale di minori. Di conseguenza, è esclusa la competenza del giudice italiano a favore di quella dei giudici dello Stato estero in cui la minore ormai vive.
La vicenda ha al centro la separazione di due coniugi e l’affidamento della figlia minorenne nata in Italia. La bambina era stata affidata congiuntamente ai due genitori. Con l’autorizzazione del giudice, la donna e la bambina si erano trasferite nel Principato di Monaco. La madre, in seguito, aveva chiesto al giudice monegasco che la bambina incontrasse il padre in un ambiente protetto. A fronte del via libera del giudice del Principato, però, il giudice italiano aveva disposto l’affidamento esclusivo della figlia al padre.
La battaglia giudiziaria era continuata fino alla pronuncia della Corte di appello, sezione per i minorenni, che aveva ritenuto sussistente la giurisdizione italiana. Per la Corte, infatti, non poteva essere applicato l’articolo 5 della Convenzione dell’Aja del 5 ottobre 1961, ratificata e resa esecutiva con legge 24 ottobre 1980 n. 742 in quanto la residenza all’estero era stata ammessa solo per un periodo transitorio e, dopo la revoca, era conseguenza di un illecito della madre.
Una tesi non condivisa dalla Corte di Cassazione. Per la Suprema Corte, infatti, va applicato l’articolo 5 della Convenzione dell’Aja, rivisitata da quella del 19 ottobre 1996, ratificata e resa esecutiva con legge 18 giugno 2015 n. 101, che attribuisce la competenza al giudice dello Stato contraente di residenza abituale del minore, salvo nei casi di cui all’art. 7 in cui si tiene conto del mancato ritorno illecito del minore. Ed invero, nel caso in esame, la madre si era spostata con autorizzazione del tribunale italiano.
La Cassazione, inoltre, considera che “l’accertamento della residenza abituale della minore implica l’esame della relativa quaestio facti, con valutazione da svolgersi anche in chiave prognostica”, con un apprezzamento che non esula dalle competenze della stessa Cassazione. Il trasferimento della minore – osservano i giudici – non poteva essere considerato illecito e la permanenza della minore all’estero era legittima, con la conseguenza che non poteva configurarsi un’ipotesi di illecito mancato ritorno. A ciò si aggiunga che la minore era del tutto integrata nel nuovo Paese e che, sentita dalle autorità competenti, aveva mostrato di essere felice di vivere all’estero con la madre. Così, per la Cassazione, si può ritenere che la residenza abituale fosse nel Principato di Monaco. Di qui l’assenza di giurisdizione del giudice italiano in base all’art. 5 della Convenzione dell’Aja del 1966.
Marina Castellaneta 14 dicembre 2018
www.marinacastellaneta.it/blog/responsabilita-genitoriale-e-giurisdizione-si-pronuncia-la-cassazione-the-italian-court-of-cassation-on-parental-responsibility-and-jurisdiction.html
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ASSEGNO DI MANTENIMENTO PER I FIGLI
Mantenimento figli e perdita lavoro
Corte di Cassazione, sesta Sezione penale, sentenza n. 54647, 6 dicembre 2018.
www.slpt.it/mantenimento-per-il-figlio-minore-la-disoccupazione-non-e-una-giustificazione
Se il padre sostiene di essere in difficoltà economiche perché disoccupato o per aver subito una riduzione dello stipendio non può omettere di pagare l’assegno di mantenimento all’ex moglie per i figli.
Sulle possibilità dell’uomo di versare il mantenimento per l’ex moglie e per i figli se ne dicono di cotte e di crude. E tutti probabilmente hanno ragione visto che ogni situazione è diversa dalle altre. La Cassazione si trova a dover fissare principi validi sia per quei padri che, pur di non versare un euro alla ex, si dimettono spontaneamente dal lavoro (e magari mantengono il posto in nero) e quelli che, invece, vengono licenziati a causa della crisi; per quelli che, nonostante hanno perso il posto, si stravaccano sul divano e aspettano la manna dal cielo e quelli che, al contrario, si disperano per guadagnare qualcosa e non far mancare nulla ai figli. Insomma, ogni realtà è a sé stante. E non è facile per i giudici, che sono costretti a giudicare i fatti solo sulla base di carte e di qualche testimone, andare a ricostruire vicende a cui non hanno mai assistito in prima persona. Ecco perché è difficile trovare una sentenza della Cassazione che accontenti tutti, uomini e donne. L’ultima pronuncia è di qualche giorno fa. La Corte è tornata sull’annoso problema del bilanciamento tra il mantenimento dei figli e la perdita di lavoro.
Se però volessimo tracciare un principio generale, una sorta di massima che sintetizzi in un’unica frase tutte le svariate situazioni, potremmo dire che lo stato di disoccupazione non esonera il padre dal versare il mantenimento, a meno che questi non dimostri una «oggettiva impossibilità». Ed è proprio sulla maggiore o minore ampiezza di questa sorta di “giustificazione” che si decidono i singoli casi.
Tanto per fare un esempio: un uomo che cerca lavoro e non lo trova, ma che tuttavia ha un immobile di proprietà, anche sfitto, non può essere giustificato dell’omesso versamento dell’assegno ai figli visto che ben potrebbe vendere la proprietà e procurarsi i soldi necessari a far fronte ai suoi doveri di genitore.
Questo è solo uno dei tanti esempi con cui la Corte ha cercato di far capire che lo stato di impossibilità a mantenere i figli, che si accompagna alla disoccupazione, deve essere assoluto, accompagnato per di più dalla prova di aver cercato lavoro e di non averlo mai trovato. La precisa formula usata dai giudici è la seguente: l’inadempimento deve avere i caratteri di «assoluta, persistente, oggettiva ed incolpevole indisponibilità di introiti».
Ma come si fa a dimostrare l’impossibilità di non mantenere i figli? L’aspetto giuridicamente più complesso per i padri disoccupati è appunto dimostrare di versare in una assoluta e oggettiva impossibilità a far fronte al mantenimento. La momentanea difficoltà non basta. Il fatto, ad esempio, che il datore di lavoro abbia ritardato il pagamento dello stipendio o sia in arretrato con qualche busta paga non è sufficiente. Stando infatti ad alcune pronunce, il genitore, in tali situazioni, dovrebbe ricorrere al credito esterno pur di rimanere in linea con i doveri di padre.
Commette reato anche il padre che, a fronte di un momento di difficoltà, riduce l’assegno per più mensilità (il singolo ritardo di qualche giorno è perdonato) oppure, al posto di versare l’assegno, compra ai figli i vestiti e il cibo di cui hanno bisogno: non si può cioè trasformare il denaro in beni a proprio piacimento.
L’obbligo di versare il mantenimento spetta anche nei periodi in cui i figli vivono con il padre (ad esempio durante il mese estivo) visto che l’assegno si considera annuale e solo per facilitare i rapporti tra le parti viene scomposto in 12 mensilità.
Ad esempio la Cassazione ha confermato la sentenza di condanna dell’imputato, accusato di aver fatto mancare i mezzi di sussistenza alla moglie, ai figli minori e al figlio maggiorenne, non versando o versando in modo parziale e non puntuale l’assegno di mantenimento, allorché sia emerso che l’imputato, pur essendo formalmente disoccupato e invalido civile, aveva sempre lavorato presso il negozio di mobili del fratello, ricevendone un congruo reddito, tanto da poter aiutare economicamente il padre che versava in pessime condizioni e, tuttavia, non aveva versato per lunghi periodi alla moglie ed ai figli i necessari mezzi di sussistenza [Cassazione penale 31 marzo 2015 n. 20133].
In un altro caso, il giudice ha assolto l’imputato, il quale, pur avendo omesso, per un breve periodo, il pagamento dell’assegno di mantenimento, aveva costantemente corrisposto una somma mensile (segnatamente, le rate del mutuo della casa gravante anche sulla coniuge legalmente separata) superiore a quella stabilita a titolo di mantenimento [Trib. Napoli 15 aprile 2015 n. 6356].
Che deve fare l’uomo per non essere condannato? Non è neanche una valida giustificazione il fatto di aver subito una riduzione dell’orario di lavoro da parte dell’azienda ed essere magari passato da full time a part time. In tale ipotesi, infatti, prima di rendersi inadempiente, l’uomo dovrebbe adire il tribunale e chiedere una riforma della sentenza di separazione o divorzio con un ricalcolo dell’assegno di mantenimento. In buona sostanza non è l’uomo a poter decidere se ce la può fare o meno ma è il giudice che deve modificare il suo precedente provvedimento. Quindi chi viene licenziato o chi subisce una decurtazione dello stipendio deve immediatamente preoccuparsi di presentare ricorso al giudice e chiedere una rivisitazione dell’ammontare del mantenimento ai figli.
Lo stato di indigenza deve essere involontario e incolpevole, come nel caso del sopraggiungere di una malattia che incida sulle capacità di produzione di reddito. L’imputato deve provare in maniera rigorosa la concreta impossibilità di adempiere, e il giudice deve valutarla severamente, specie quando il beneficiario dell’obbligo di assistenza è un minore. In mancanza di prove la condotta del padre non può essere perdonata; è insufficiente anche il formale stato di disoccupazione, il fallimento o la chiusura dell’attività di impresa.
Ad esempio il genitore commette reato se dichiara di essere stato in difficoltà finanziarie senza però provare l’incapacità di adempiere all’obbligo di assistenza o se si limita a comunicare il suo stato di disoccupazione senza provare adeguati elementi utili a comprovare la presenza di difficoltà economiche tali da tradursi in un vero e proprio stato di indigenza economica.
Che succede in caso di coppia non sposata? La giurisprudenza è giunta ad affermare che il reato previsto per la sottrazione agli obblighi di assistenza familiare [Art. 3 L. n. 54/2006 abrogato però dal nuovo art. 570-bis cod. pen.] si configuri anche nell’ipotesi di omesso versamento della somma stabilita dal giudice per il mantenimento di figli nati fuori dal matrimonio – ossia da una coppia di fatto – e a seguito della cessazione di un rapporto di convivenza tra i genitori. Senonché tale norma, prima contenuta in una legge speciale, è stata abrogata e inserita nel codice penale. La nuova disposizione si riferisce solo alle coppie sposate. Ciò non consente di estendere la portata della sanzione a chi non sia o non sia stato “coniuge”. Logica conseguenza è che la norma non sanziona penalmente l’omissione degli obblighi a favore di figli nati da genitori non coniugati.
Questo non vuol dire però che non commette più reato chi è stato parte di un’unione di fatto, ossia abbia semplicemente convissuto. Secondo quanto previsto dall’articolo 570 del codice penale, è punito chi, abbandonando il domicilio domestico o comunque serbando una condotta contraria all’ordine e alla morale delle famiglie, si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla responsabilità genitoriale. Tra i soggetti attivi del reato in discorso rientra anche il genitore non coniugato e, dal punto di vista oggettivo, vi rientra anche la violazione degli obblighi di assistenza materiale del figlio posti a carico del genitore dalle norme del codice civile, tra cui, nello specifico, la condotta di chi non corrisponde l’assegno di mantenimento fissato dal tribunale.
I brevi ritardi fanno scattare il reato di omesso versamento? Secondo una sentenza della Cassazione non fa scattare il reato di omesso versamento del mantenimento al figlio qualche semplice ritardo nel versamento dell’assegno [Cass. sent. n. 25596/2012].
Altri casi. Invece non c’è reato se il padre sospende di versare l’assegno per essere venuto a conoscenza di non essere il padre del minore ed essendo in attesa di una pronuncia del tribunale sulla paternità [Cass. sent. n. 19761/2013].
Ancora è stato ritenuto responsabile il padre che omette di versare l’assegno di mantenimento per i figli dopo aver formato un nuovo nucleo familiare. Anche in questo caso l’uomo doveva prima ricorrere al giudice per far modificare la precedente decisione [C. App. Trento sent. 5.04.2012].
Per la Cassazione, la grave ristrettezza economica non è una valida giustificazione per non versare gli alimenti ai figli [Cass. sent. 15.11.2012].
Redazione La legge per tutti 10 dicembre 2018
www.laleggepertutti.it/263016_mantenimento-figli-e-perdita-lavoro
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BIGENITORIALITÀ
Principio di bigenitorialità: quali sono gli elementi di cui deve tener conto il giudice
Corte di Cassazione, prima Sezione civile, Ordinanza n. 31902, 10 dicembre 2018
https://news.avvocatoandreani.it/allegati/cassazione/Cassazione-civile-sentenza-31902-2018.pdf
Con l’ordinanza, la Corte di Cassazione torna ad occuparsi delle modalità e dei termini in cui deve esplicarsi il principio di bigenitorialità nel rapporto tra genitori e figli a seguito della separazione.
Il caso: I.G. propone ricorso per cassazione avverso il decreto della Corte di Appello di Roma reso in controversia vertente ai sensi degli artt. 316 e 337 bis c.c., riferita all’esercizio della genitorialità, al regime di frequentazione e alla ripartizione delle spese per il mantenimento della figlia minore. In particolare, il ricorrente, con il secondo motivo di ricorso, denuncia la violazione dell’art. 316 c.c. per manifesta contraddittorietà della decisione e violazione del principio di parità tra i genitori, criticando la statuizione della Corte di appello, che, modificando la regolamentazione del diritto di visita paterno, aveva ridotto il pernotto infrasettimanale presso il padre.
La Suprema Corte, nel ritenere infondata la doglianza in quanto sollecita inammissibilmente una rivalutazione delle emergenze istruttorie con esito favorevole al ricorrente, coglie l’occasione per chiarire cosa debba intendersi per “bigenitorialità”:
- il principio di bigenitorialità si traduce nel diritto di ciascun genitore ad essere presente in maniera significativa nella vita del figlio, nel reciproco interesse, ma ciò non comporta l’applicazione di una proporzione matematica in termini di parità dei tempi di frequentazione del minore, in quanto l’esercizio del diritto deve essere armonizzato in concreto con le complessive esigenze di vita del figlio e dell’altro genitore;
- in tema di affidamento dei figli minori, il giudizio prognostico che il giudice, nell’esclusivo interesse morale e materiale della prole, deve operare circa le capacità dei genitori di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione determinata dalla disgregazione dell’unione, va formulato tenendo conto, in base ad elementi concreti:
a) del modo in cui i genitori hanno precedentemente svolto i propri compiti,
b) delle rispettive capacità di relazione affettiva, attenzione, comprensione, educazione e disponibilità ad un assiduo rapporto, nonché
c) della personalità del genitore, delle sue consuetudini di vita e dell’ambiente sociale e familiare che è in grado di offrire al minore;
d) in ogni caso, resta fermo il rispetto del principio della bigenitorialità, da intendersi quale presenza comune dei genitori nella vita del figlio, idonea a garantirgli una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi, i quali hanno il dovere di cooperare nella sua assistenza, educazione ed istruzione.
Avv. Anna Andreani 14 dicembre 2018
news.avvocatoandreani.it/articoli/principio-bigenitorialita-quali-sono-gli-elementi-cui-deve-tener-conto-giudice-104870.html
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BIOLOGIA
La placenta, organo condiviso che ci dà la vita.
Sapevate che è un prodotto dell’embrione? Comune a madre e bambino, la placenta ha una durata di nove mesi. È molto importante perché aiuta il feto a respirare, a metabolizzare il cibo e a espellere i prodotti di scarto. Le ricerche ci svelano le sue più segrete funzioni.
Gli ormoni placentari governano la gravidanza dal terzo mese fino al momento di promuovere il parto e la produzione del latte. Quello più in evidenza è la gonadotropina corionica. La sua secrezione inizia al terzo mese di gestazione e dà il via a una produzione di estrogeni la cui concentrazione nel sangue continua ad aumentare nei mesi successivi per poi crollare con il parto e l’espulsione della placenta, il cui distacco è causato dalla rapida riduzione della superficie dell’utero conseguente all’espulsione del feto. Vitamine e anticorpi sono anch’essi mediati dalla placenta, oltre, ovviamente, all’ossigeno necessario alla respirazione dei tessuti. La maggior parte degli anticorpi è fissata alle gammaglobuline, il cui passaggio attraverso la placenta è stato ampiamente dimostrato.
Buon funzionamento placentare e un ambiente interno ed esterno sano: premesse per la riuscita della gravidanza. La riuscita di una gravidanza, in definitiva, dipende principalmente dal buon funzionamento della placenta e dall’influsso epigenetico dell’ambiente interno ed esterno al sacco amniotico. La formazione del cervello del neonato è di una importanza cruciale: alla nascita, il cervello pesa solo 350 grammi ed è del tutto immaturo, il 75% della sua rete neuronale deve ancora essere costruito. Eppure, il neonato riesce già a riconoscere voci e musiche ascoltate durante la gravidanza, e ha già un gusto orientato dalle abitudini alimentari della madre. Sindromi di iperattività e deficit di attenzione, spesso, risalgono a stress della gestazione e allo stile di vita della madre.
Il neuroscienziato olandese Dick Swaab riferisce uno studio recente nel suo libro Il cervello creativo. Come l’uomo e il mondo si plasmano a vicenda, appena pubblicato da Castelvecchi (401 pagine, 35 euro). «Alcuni bambini di sette anni», scrive Swaab, «sono stati sottoposti a risonanza magnetica con tensore di diffusione (Mri-Dti), una tecnica che rende visibili le connessioni tra aree cerebrali. Gli eventi stressanti risalenti alla gravidanza mostrano una correlazione con le modifiche strutturali delle connessioni tra l’amigdala e la corteccia prefrontale. In seguito a quelle esperienze, quei bambini reagiranno in modo diverso all’ansia e alle situazioni paurose», di cui l’amigdala è sede. Insomma: la placenta, organo a durata limitata, lascia tracce che si allungano su tutta la vita.
Aleteia BenEssere 13 dicembre 2018
https://it.aleteia.org/2018/12/13/lplacenta-organo-condiviso-embrione-epigenetica-sviluppo/?utm_campaign=NL_it&utm_source=daily_newsletter&utm_medium=mail&utm_content=NL_it
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CENTRO INTERNAZIONALE STUDI FAMIGLIA
Newsletter CISF – N. 41, 12 dicembre 2018
Questa newsletter è dedicata in modo monografico ad un importante progetto di indagine a livello internazionale, che il Cisf realizza in partnership con l’istituto Giovanni Paolo II di Roma e con l’Università cattolica di Murcia (Ucam), Spagna.
Di seguito alcune informazioni dal sito e dalla Conferenza stampa di lancio, tenutasi il 6 dicembre 2018 a Roma, presso la Sala Stampa Vaticana. Il primo piano operativo, su “famiglia e povertà”, impegnerà i prossimi tre anni, fino a maggio 2021.
Tutte le notizie ed iscrizione a newsletter su www.familymonitor.net
Video integrale della conferenza stampa di presentazione dell’osservatorio internazionale sulla famiglia – family international monitor. Roma, Sala stampa Vaticana, 6 dicembre 2018
Intervento di Mons. Vincenzo Paglia, Cancelliere dell’Istituto Giovanni Paolo II, dall’inizio; intervento del Prof. Jose Mendoza, Presidente Ucam (in spagnolo): dal minuto 06′.35″; intervento del dr. Francesco Belletti, direttore Cisf, dal minuto 14′.20″; dal minuto 22′.00″ in poi domande dei giornalisti e risposte dei tre relatori.
Un flusso costante di informazioni da tutto il mondo. Tra le attività strategiche dell’Osservatorio Internazionale sulla Famiglia parte essenziale è l’avvio di un costante scambio di informazioni tra i diversi partner del progetto, con dati e notizie da tutte le parti del mondo, che verranno inserite sul sito (nelle tre lingue di riferimento, italiano, inglese e spagnolo), immesse nei profili social, e inviate tramite una Newsletter, che almeno a cadenza mensile terrà informati tutti coloro che sono interessati.
v Rassegna stampa/press review
Vedi anche, nelle edizioni on line delle due testate, gli articoli pubblicati il 7 dicembre 2018 su Avvenire e sull’Osservatore Romano.
https://cruxnow.com/vatican/2018/12/07/vatican-aims-to-get-concrete-on-family-support-with-new-observatory
www.youtube.com/watch?v=M3mV3eD01Ww
www.youtube.com/watch?v=YgLLi_dFj8E
www.toscanaoggi.it/Vita-Chiesa/Famiglia-mons.-Paglia-nasce-ufficialmente-l-Osservatorio-internazionale
https://agensir.it/quotidiano/2018/12/6/famiglia-mons-paglia-figlio-unico-problema-enorme-per-litalia-qualsiasi-politica-di-aiuto-e-benvenuta
www.agensir.it/quotidiano/2018/12/6/famiglia-belletti-cisf-non-solo-numeri-ma-anche-lettura-della-realta-la-prima-indagine-e-sulla-poverta
www.farodiroma.it/uno-strumento-per-una-riflessione-non-autoreferenziale-monsignor-paglia-annuncia-la-nascita-dellosservatorio-internazionale-sulla-famiglia
www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2018-12/famiglia-osservatorio-ricerca-globale.html
www.lastampa.it/2018/12/06/vaticaninsider/famiglia-in-vaticano-nasce-un-osservatorio-internazionale-in-aiuto-di-chi-in-difficolt-gA4HhL9jkWKp5piwQKJ3MP/pagina.html
www.vaticannews.va/pt/vaticano/news/2018-12/observatorio-familiar-vincenzo-paglia.html
www.radioinblu.it/2018/12/06/paglia-famiglia-risorsa-della-societa-a-cui-dedicare-piu-attenzione
www.vaticannews.va/de/vatikan/news/2018-12/vatikan-familie-wissenschaft-paglia.html
www.kath.ch/newsd/vatikan-ruft-forschungsstelle-fuer-familien-ins-leben/
www.vaticannews.va/fr/vatican/news/2018-12/observatoire-international-famille-mgr-paglia.html
www.la-croix.com/Religion/Catholicisme/Pape/Le-Vatican-lance-Observatoire-international-famille-2018-12-07-1200988081
www.vaticannews.va/es/vaticano/news/2018-12/vaticano-observatorio-internacional-familia-pobreza-relaciones.html
www.abc.es/sociedad/abci-vaticano-crea-observatorio-internacional-familia-para-tener-pies-tierra-201812061342_noticia.html
www.infocatolica.com/?t=noticia&cod=33746
https://kosciol.wiara.pl/doc/5205314.Watykan-Powstalo-Obserwatorium-poswiecone-Rodzinie
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CHIESA CATTOLICA
“Amoris Lætitia” secondo “Coco”: interdetto, carpe diem e memoria della famiglia felice
Il dono di una collega teologa – un film di animazione, visto poi in famiglia – ha suscitato in me una serie di riflessioni che considero di un certo interesse. Il film è “Coco”, della Walt Disney.
La storia è molto semplice, anche se presenta articolazioni e dettagli tutt’altro che banali e che vale la pena recuperare con una certa precisione: il piccolo Miguel, 12enne, nel giorno dei morti, il 2 novembre, che in Messico è sentito come “giorno di doni ai defunti e di riunione familiare tra vivi e defunti”, fa esperienza bruciante dell’interdetto della sua famiglia. Non può suonare la chitarra, non può fare né ascoltare musica. Questo interdetto musicale corrisponde, nelle immagini iniziali del film, ad un altro interdetto relazionale, legato alla vista e non all’udito. Al “culmen et fons” delle “imagines” che compongono il “sacrario di famiglia” sta una fotografia della “coppia di origine”, i trisavoli, in cui alla madre (Imelda) e alla piccola figlia (Coco), raffigurate sorridenti, corrisponde un padre “senza volto”, la cui testa è stata strappata via dalla fotografia. Ecco il secondo interdetto: al divieto della musica corrisponde il divieto di vedere e di riconoscere il “trisavolo”. Nelle scene iniziali questi due interdetti sono paralleli e correlati. Si capisce anche la narrazione che li sostiene: il trisavolo era scappato e aveva abbandonato moglie e figlia per essere libero di cantare e suonare. Così, ora, la tradizione di famiglia rifiuta la musica perché si è sentita rifiutata dal musicista. Dopo il rifiuto, la moglie ha iniziato a produrre scarpe: i Rivera sono calzolai e non musicisti. Questo deve valere anche per il giovane Miguel. E tutto ciò avviene di fronte alla silenziosa presenza della vecchia Coco, l’unica ad essere presente nelle “imagines”, ma ancora viva, con più di 100 anni, quasi immobile ma non insensibile.
Miguel si ribella all’interdetto e disobbedisce. Coltiva una passione per la chitarra, ascolta in modo quasi ossessivo le canzoni del grande “Ernesto de la Cruz”, e impara a suonare la chitarra. Ma di nascosto, nel chiuso di una soffitta, dove solo un cane, Dante, viene ammesso. Ma quando la decisione di infrangere l’interdetto è presa e il ragazzo decide di partecipare, contro il parere della famiglia, ad un concorso di chitarra, per un errore fa cadere la cornice con la fotografia “mutilata” del volto del trisavolo. E scopre, con sua grande sorpresa, che la fotografia, liberata dalla cornice, presenta una parte nascosta e ripiegata, dove appare, accanto all’uomo senza volto, una chitarra. Quella chitarra che lui ha visto tante volte nei filmati del grande eroe, Ernesto. Chitarra che è appesa sopra la tomba dell’eroe della canzone, nel cimitero della città. Ma la famiglia scopre Miguel, davanti alla cornice infranta, con la chitarra in mano. E per punizione la nonna sfonda la chitarra, con violenza, davanti ai suoi occhi. Qui avviene la rottura, la piena disobbedienza: Miguel rinnega la famiglia e corre verso il concorso nel giorno dei morti. Ma non ha più la sua chitarra. Prega i vivi di averne una, ma invano. Allora medita di rivolgersi all’eroe, ad Ernesto, che dalla immagine nascosta ha ritenuto di riconoscere come il suo trisavolo! Corre al cimitero, sfonda la finestra e si precipita all’interno della cappella, facendo sua la chitarra di Ernesto.
Qui il film salta di dimensione: e introduce Miguel nel mondo dei morti. Qui egli trova tutta la sua famiglia di progenitori, che lo riconoscono e lo vogliono restituire alla terra, con una benedizione, perché permetta a tutti loro di tornare a casa, per la festa; a ciò però subordinano, allo stesso modo dei familiari vivi, il divieto di suonare. Così Miguel inutilmente torna sulla terra: perché appena afferra la chitarra di Ernesto per correre al concorso, si ritrova nell’aldilà, al punto di prima. Ecco allora che, insieme ad Hector, un defunto che non può tornare sulla terra non avendo più nessuno che esponga la sua immagine, Miguel prova ad arrivare direttamente a Ernesto, che anche nell’aldilà è campione di musica e uomo di successo. Hector lo aiuta con la promessa che, una volta di nuovo tra i vivi, Miguel esporrà la foto che ha ricevuto in consegna, permettendogli di visitare anche lui il mondo dei vivi, in occasione della festa dei morti e ricevere doni da parte loro.
Alla fine Miguel incontra Ernesto, gli rivela di essere il suo pro-pronipote e resta per qualche tempo con lui. Ma proprio quando sta per ricevere la benedizione da lui, ecco che Hector entra in scena e rivela il suo rapporto con Ernesto. In vita collaboravano in modo molto stretto, ma quando Hector aveva deciso di tornare dalla sua famiglia, Ernesto, vistosi perduto, lo aveva avvelenato e si era impadronito di tutte le sue canzoni. Ernesto, di fronte a questa rivelazione, reagisce in modo malvagio e fa gettare entrambi, Hector ed Miguel, in una cisterna.
Qui si comprende che il trisavolo di Miguel non è Ernesto, ma Hector! Il problema, però, è che Coco sta ormai perdendo la memoria e si avvicina alla morte. Se lei morirà, anche Hector perderà ogni consistenza e si dissolverà. I “defunti”, infatti, mantengono una sussistenza solo se i vivi si ricordano di loro. Se vengono totalmente dimenticati, svaniscono. Dopo una prima morte c’è dunque una seconda morta, definitiva e piena. L’unico giudizio è la memoria del prossimo. Non vi è un giudizio ultimo diverso dalla memoria del prossimo. Così Miguel, dopo aver perduto la fotografia di Hector, per l’ultima malvagia azione di Ernesto, torna con la benedizione dei trisavoli sulla terra. Dove ritrova tutta la famiglia che vuole impedirgli di suonare. Ma, vinte le resistenze, corre dalla bisnonna, che pare assorta, distante, quasi assente. Allora tenta l’ultima carta: canta “Ricordami”, quella canzone che il trisavolo aveva scritto per la figlioletta Coco e che Hector aveva rievocato nella cisterna, al colmo della disperazione. E mentre Miguel canta “ricordami”, la vecchia Coco si rianima, socchiude gli occhi, canta le ultime parole della canzone e dal cassetto del comodino trae il frammento mancante della fotografia: Hector, Imelda e Coco, di nuovo insieme, in effigie e in comunione. E il film si chiude, l’anno successivo, di nuovo il 2 novembre, con il giorno dei morti: nella casa dei Rivera la tradizione familiare è cambiata. La musica non è più un interdetto e la immagine dell’origine è tornata “simbolo”. Le parti divise si sono riunite. E si è aggiunto il ritratto di Coco, defunta durante l’anno, e tutti i cari accompagnano la festa dei vivi, intorno ad una tavola, con cibi e bevande.
Occorreva descrivere nel dettaglio la trama del film per scoprirne la densa tessitura simbolica. Proviamo a commentarne i tratti più interessanti.
a) Interdetto in apertura. All’inizio del film, come in molti libri e films, un “divieto” diventa il motore della azione. Dal racconto della creazione, ai Promessi sposi, a “Tempi difficili”, una “cosa vietata” mette in moto l’azione. Può essere un albero di cui non mangiare, un matrimonio da non fare o una cultura da non avere (niente immaginazione e niente fantasia è l’interdetto che apre Hard Times di Dickens), tutto questo fa bene al racconto e dà a pensare. E ci si chiede: ma perché Miguel non deve suonare o cantare? E si capisce che la identità della famiglia Rivera si è costruita – difensivamente ma aggressivamente – sul “rifiuto di un rifiuto”. Questo è, nella sua assolutezza, un limite della tradizione, familiare, comunitaria, ed anche ecclesiale. Il limite della tradizione è la “unilateralità del giudizio”. Come per la famiglia Rivera, un discernimento ulteriore può mutare il giudizio, riconciliare con il trisavolo e con la musica, rimuovere l’interdetto quando non è per la comunione, ma per la divisione. Per questa “rilettura” occorre una alleanza sorprendente: quella tra chi non c’è più e chi “non c’è ancora”. Giovani e defunti collaborano per aprire le strutture tradizionali degli adulti.
b) Obbedisci alla famiglia e “cogli l’attimo”. Miguel, come Edipo, cerca il proto-padre. In realtà cerca se stesso nel trisavolo. E all’inizio lascia la famiglia per il trisavolo. Agli occhi della famiglia, “diventa come lui” e li abbandona. Risuona nel film il tema del “cogli l’attimo”, del carpe diem, con tutta la sua carica di tentazione. Ma solo abbandonando la famiglia può riconciliarsi con essa e può riconciliarla con se stessa. Nella storia di Miguel 4 generazioni sono in gioco. E l’ultima generazione può restituire alla prima la sua verità, nascosta e bloccata da un interdetto parziale e unilaterale. La vera storia di Hector, il vero trisavolo, appare solo “superando la morte”. Lo sguardo di Miguel, che attraversa i tempi, può “rendere giustizia” ai singoli e alle famiglie. Cogli l’attimo, nella sua inevitabile necessità, non garantisce la verità, tanto quanto l’interdetto. Ma è passaggio inevitabile per ristabilire la verità. La “tentazione” è prova di verità. E’ evidente come la “somiglianza con Dio” dell’uomo produca una situazione di “prova” perché l’interdetto di Dio non è uguale agli interdetti degli uomini, Il primo è per la comunione, i secondi, certamente orientati alla comunione, generano divisione, oppressione, ingiustizia. Il discernimento tra gli interdetti è la “prova” a cui siamo sottoposti. La prova non è “se” obbedire, ma “quando” obbedire e “a chi” obbedire.
c) L’esercizio della memoria e la riconciliazione complessa. Come si esercita la memoria? La memoria dei vivi tiene “vivi” i defunti. Ma far memoria vera dei defunti, con tutta la sua complessità, mantiene in vita i posteri. Essere “cavalieri” con i morti non è facile. Infatti fare memoria non è solo osservare le tradizioni, ma anche rileggerle, tradurle, risignificarle. Le nuove generazioni non sono semplicemente un “rischio” per la tradizione, ma una opportunità. Possono introdurre nuovi criteri di lettura e nuove narrazioni del passato. Possono uscire dagli equivoci. “Decipimur specie recti”: siamo ingannati dall’apparenza del bene. Ogni tradizione è impastata di questa ambiguità. Senza un atto di libertà, che può sempre apparire come “lacerazione”, la tradizione rischia di confermarsi nelle sue distorsioni. Miguel, senza averne la piena intenzione, ristabilisce la “sana tradizione” dei Rivera. Non li condanna più ad essere “calzolai nemici della musica”. Apre ad una narrazione diversa, che riconciliando col passato apre ad un futuro pieno.
d) La perdita della ingenuità e la verità della generazione. L’interdetto non è solo “divieto arbitrario”. E’ anche possibilità di rapporto. Senza interdetti non si cresce. Ma non si cresce solo di interdetti. Il film, nella sua elementare linearità, recupera il bisogno di legame che costituisce ogni uomo e ogni donna. Nelle scene finali si assiste, col miracolo del cinema, ad una duplice rievocazione. Hector che canta “Remember me” alla Coco di 3 anni, un secolo prima, e il piccolo Miguel che canta, di nuovo, a Coco, 100 anni dopo, la stessa canzone. E così restituisce vita e comunione alla anziana bisnonna. I padri danno tradizione alle figlie, ma anche i pronipoti restituiscono tradizione alle bisnonne. Senza “assunzione di libertà” non c’è autorità. Ma senza riconoscimento di autorità non c’è libertà.
Nel film è scritta, in modo elegante, la storia della tradizione familiare ed ecclesiale. Le ferite, di cui sono piene le famiglie domestiche ed ecclesiali, non si curano con le lacerazioni o con gli irrigidimenti. L’atto simbolico di ricomposizione, di riconciliazione passa attraverso la “prova della verità”. Verità di sé e verità dell’altro. Miguel è, allo stesso tempo, tentato come Adamo e messo alla prova come Gesù. Come il primo Adamo si illude di trovare se stesso “senza la famiglia”. Come il secondo, nel rapporto con il Padre nascosto, umiliato ed emarginato, trova se stesso e rende possibile agli altri una vera comunione, in una famiglia diversa, riabilitata, riconciliata. E alla fine tutti mangiano lieti il pane di vita e di comunione.
Vedere il film permette di guardare alla famiglia – domestica ed ecclesiale – con uno sguardo molto simile a quello espresso nel testo di Amoris lætitia, quando, nell’ultimo numero, dice: “nessuna famiglia è una realtà perfetta e confezionata una volta per sempre, ma richiede un graduale sviluppo della propria capacità di amare” (325). E non è affatto detto che, nel trovare questo graduale sviluppo, la interpretazione migliore della “verità” della famiglia non venga proprio da una sorprendente alleanza tra i più giovani e chi non c’è più. Con tutti i falsi interdetti da superare e con tutti gli apparenti “carpe diem” da smascherare.
Andrea Grillo blog: Come se non 10 dicembre 2018
www.cittadellaeditrice.com/munera/amoris-laetitia-secondo-coco-interdetto-carpe-diem-e-memoria-della-famiglia-felice
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COMMISSIONE ADOZIONI INTERNAZIONALI
Laura Laera confermata vicepresidente della CAI fino alla fine del mandato
Il presidente del Consiglio dei ministri, Giuseppe Conte, ha confermato con Decreto del 21 novembre 2018 l’incarico di vicepresidente della Commissione Adozioni Internazionali alla dottoressa Laura Laera.
La dottoressa Laera aveva assunto l’incarico dal precedente esecutivo guidato dal presidente Paolo Gentiloni il 9 maggio del 2017, con nomina di durata triennale. Con questo nuovo decreto la dottoressa Laera viene confermata fino alla “scadenza naturale” del suo incarico, ossia fino al 2020.
“Apprendiamo – commenta il presidente di Ai.Bi. – Amici dei Bambini, Marco Griffini – la notizia del rinnovo dell’incarico alla dottoressa Laera. E’ positivo che sia stato messo, dall’esecutivo, almeno un punto fermo sulla gestione della CAI. Tuttavia ci preme ribadire che, a questo punto, un rilancio dell’attività della Commissione non è più rinviabile. Le adozioni internazionali attraversano un periodo di difficoltà anche in Paesi storicamente floridi, come la Cina. Inoltre è da ben sei anni che non si apre un nuovo Paese e nemmeno per le nuove accoglienze, come ad esempio le vacanze preadottive, è stata presa alcuna decisione. Urge una riflessione. La recente attenzione mostrata dal ministro dell’Interno e vicepremier, Matteo Salvini, al tema delle adozioni è comunque un segnale positivo”.
News Ai. Bi. 11 dicembre 2018
www.aibi.it/ita/laura-laera-confermata-vicepresidente-della-cai-fino-alla-fine-del-mandato
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CORTE COSTITUZIONALE
Unioni civili, il cognome comune non modifica la scheda anagrafica
Sentenza n. 212, 22 novembre 2018
www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2018/11/28/T-180212/s1
Il cognome comune assunto nel corso dell’unione civile non modifica la scheda anagrafica. La conferma arriva dalla Corte costituzionale, che ribadisce la legittimità del Dlgs n. 5/2017 che ha «adeguato» l’Ordinamento dello stato civile dopo la legge 76/2016 (sulla regolamentazione delle unioni civili). Per la Consulta dunque sono in parte inammissibili (art. 22 Cost.) ed in parte infondate (artt. 2, 3, 11, 76 e 117 Cost., 8 Cedu) le questioni poste dal Tribunale di Ravenna. Con la sentenza n. 212 del 2018 il Giudice delle leggi ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 3, lett. c), n. 2), e 8 del d.lgs. 19 gennaio 2017, n. 5, per violazione degli artt. 2, 3, 11, 76 e 117, comma 1, Cost., quest’ultimo in relazione all’art. 8 della CEDU e agli artt. e 7 della CDFUE, nella parte in cui rispettivamente prevedono che le schede relative alle parti dell’unione civile devono essere intestate al cognome posseduto prima dell’unione civile e che l’ufficiale dello stato civile, con la procedura di correzione, annulla l’annotazione relativa alla scelta del cognome comune avvenuta nelle more, poiché:
a) l’esclusione della valenza anagrafica del cognome comune rappresenta il coerente sviluppo dei principi posti dalla legge di delega, e in particolare dell’esigenza di adeguamento alla norma di cui alla legge sull’unione civile, secondo cui la durata del cognome comune è limitata alla durata dell’unione;
b) la tutela del diritto al nome non si identifica con la valenza anagrafica del cognome comune, restando comunque fermo il valore d’uso del cognome comune eventualmente individuato, così come avviene per le coppie unite in matrimonio, anche con riguardo alla sua posizione, quale garanzia adeguata dell’identità della coppia unita civilmente;
c) la previsione del procedimento di correzione, volto ad ottenere la caducazione delle annotazioni effettuate medio tempore, non lede il ragionevole affidamento delle parti, in quanto l’effetto modificativo della scheda anagrafica rivestiva la medesima natura provvisoria, e garantisce, in ogni caso, il contraddittorio degli interessati, seppure differito.
www.quotidianogiuridico.it/documents/2018/11/27/unioni-civili-per-le-schede-anagrafiche-vale-il-vecchio-cognome
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DALLA NAVATA
III Domenica d’Avvento – Anno C – 16 dicembre 2018
Sofonìa 0317. Il Signore, tuo Dio, in mezzo a te è un salvatore potente. Gioirà per te, ti rinnoverà con il suo amore, esulterà per te con grida di gioia.
Isaia 12. 02. Ecco, Dio è la mia salvezza; io avrò fiducia, non avrò timore, perché mia forza e mio canto è il Signore; egli è stato la mia salvezza.
Filippesi 04. 04 Fratelli, siate sempre lieti nel Signore, ve lo ripeto: siate lieti. La vostra amabilità sia nota a tutti. Il Signore è vicino!
Luca 03. 10. In quel tempo, le folle interrogavano Giovanni, dicendo: «Che cosa dobbiamo fare?».
Convertirsi partendo da un solo verbo: dare
«Esulterà, si rallegrerà, griderà di gioia per te, come nei giorni di festa». Sofonia racconta un Dio che esulta, che salta di gioia, che grida: «Griderà di gioia per te», un Dio che non lancia avvertimenti, oracoli di lamento o di rimprovero, come troppo spesso si è predicato nelle chiese; che non concede grazia e perdono, ma fa di più: sconfina in un grido e una danza di gioia. E mi cattura dentro. E grida a me: tu mi fai felice! Tu uomo, tu donna, sei la mia festa.
Mai nella Bibbia Dio aveva gridato. Aveva parlato, sussurrato, tuonato, aveva la voce interiore dei sogni; solo qui, solo per amore, Dio grida. Non per minacciare, ma per amare di più. Il profeta intona il canto dell’amore felice, amore danzante che solo rende nuova la vita: «Ti rinnoverà con il suo amore».
Il Signore ha messo la sua gioia nelle mie, nelle nostre mani. Impensato, inaudito: nessuno prima del piccolo profeta Sofonia aveva intuito la danza dei cieli, aveva messo in bocca a Dio parole così audaci: tu sei la mia gioia. Proprio io? Io che pensavo di essere una palla al piede per il Regno di Dio, un freno, una preoccupazione. Invece il Signore mi lancia l’invito a un intreccio gioioso di passi e di parole come vita nuova. Il profeta disegna il volto di un Dio felice, Gesù ne racconterà il contagio di gioia (perché la mia gioia sia in voi, Giovanni 15,11).
Il Battista invece è chiamato a risposte che sanno di mani e di fatica: «E noi che cosa dobbiamo fare?». Il profeta che non possiede nemmeno una veste degna di questo nome, risponde: «Chi ha due vestiti ne dia uno a chi non ce l’ha». Colui che si nutre del nulla che offre il deserto, cavallette e miele selvatico, risponde: «Chi ha da mangiare ne dia a chi non ne ha». E appare il verbo che fonda il mondo nuovo, il verbo ricostruttore di futuro, il verbo dare: chi ha, dia!
Nel Vangelo sempre il verbo amare si traduce con il verbo dare. La conversione inizia concretamente con il dare. Ci è stato insegnato che la sicurezza consiste nell’accumulo, che felicità è comprare un’altra tunica oltre alle due, alle molte che già possediamo, Giovanni invece getta nel meccanismo del nostro mondo, per incepparlo, questo verbo forte: date, donate. È la legge della vita: per stare bene l’uomo deve dare.
Vengono pubblicani e soldati: e noi che cosa faremo? Semplicemente la giustizia: non prendete, non estorcete, non fate violenza, siate giusti. Restiamo umani, e riprendiamo a tessere il mondo del pane condiviso, della tunica data, di una storia che germogli giustizia. Restiamo profeti, per quanto piccoli, e riprendiamo a raccontare di un Dio che danza attorno ad ogni creatura, dicendo: tu mi fai felice.
padre Ermes Ronchi, OSM
www.qumran2.net/parolenuove/commenti.php?mostra_id=44666
Commento laico
Giovanni Battista annuncia la venuta alla gente che chiede che cosa si deve fare: la risposte riguardano la vita civile (“se hai due tuniche, danne una” ecc.). Anche se lo pensa non in nome di Dio, anche se dice che arriverà con la pala a fare piazza pulita – brucerà con fuoco inestinguibile – dell’aia (è Gesù che non è venuto per castigare ma per redimere).
Poi una cosa che non sapevo: Giovanni non è degno di slacciargli i calzari. Usanza ebraica del Levirato: se una donna restava vedova, il cognato (levar) deve metterla incinta perché il figlio avrebbe portato il nome del padre e gli avrebbe dato vita ulteriore. Se il cognato rifiutava, entrava nel diritto il parente gerarchicamente più prossimo e per subentrare scioglieva il calzare del legittimo cognato per simbolizzare che subentrava…… (non diciamo che cosa pensava, se poteva pensare, la vedova)
blog Giancarla Codrignani
http://giancodri.women.it/vangelo-domenica
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DIRITTI
70° Dichiarazione universale dei diritti umani.
https://www.ohchr.org/EN/UDHR/Documents/UDHR_Translations/itn.pdf
https://it.wikipedia.org/wiki/Dichiarazione_universale_dei_diritti_umani
“I diritti umani e la Dichiarazione universale in particolare, non sono destinati ad essere usati come armi per far avanzare ordini politici, economici, militari o culturali contrari ai diritti umani fondamentali”.
È questa la convinzione che ha guidato la Missione della Santa Sede presso l’Onu di New York nel dibattito con cui si è voluto inaugurare le celebrazioni del 70° anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.
Al centro del confronto, le sfide e i rischi con cui i 30 articoli si devono costantemente misurare, soprattutto quando gli attori in campo cercano di modificarne il significato e il raggio di azione a seconda degli scopi da soddisfare, incuranti delle conseguenze. Il discorso di indirizzo preparato dal nunzio apostolico mons. Bernardito Auza e letto da mons. Grysa, suo vice, poiché il nunzio si trovava alla conferenza sui cambiamenti climatici, ha voluto evidenziare tre presupposti fondamentali nella Dichiarazione che oggi risultano particolarmente sotto pressione: l’universalità, l’obiettività, l’unità.
a) “L’universalità è sfidata dall’idea che la Dichiarazione non formuli diritti validi in ogni epoca, luogo e cultura, ma sia frutto di idee occidentali e quindi l’etica che contengono è relativa ad un contesto e a gruppi che di fatto violano altri diritti”, spiega mons. Auza.
b) L’obiettività, invece, è messa in crisi da intese soggettivistiche o relativistiche che “eccedono nell’uso della parola diritto e trascurano la parola umano che ne è il presupposto, così che si discute sull’esistenza di una natura oggettivamente condivisa da tutti i membri della razza umana che ne determina la loro umanità” e si frammenta per sfruttare.
c) L’unitarietà della Dichiarazione “non va letta come un menù di diritti da cui scelgo quelli che soddisfano un interesse nazionale o particolare”, perché per la missione della Santa Sede “se un diritto diventa opzionale e non legato ad altri, dopo si rischia di far accadere di tutto”.
Inquietudini sul futuro della Dichiarazione sono state espresse da Michael Farris, presidente e direttore esecutivo dell’Alleanza internazionale per la difesa della libertà. Farris si è focalizzato sul riconoscimento di nuovi diritti all’interno della Carta, i quali ne stanno ridisegnando l’immagine rendendola “totalmente incompatibile con quella originale” e molto fragile sul piano internazionale. Un esempio citato è la recente approvazione di un commento all’articolo 6 sul diritto alla vita, nel quale si sottolinea che il diritto alla vita non si può separato dal diritto all’aborto e all’eutanasia. Si ricorda poi quando nel 2014 il Comitato sui diritti dell’infanzia stabilì che il diritto alla vita non poteva applicarsi ai non nati e venne chiesto alla Santa Sede di emendare il diritto canonico relativo all’aborto “al fine di identificare le circostanze in cui i servizi di accesso all’aborto possano essere autorizzati”.
È stato compito dell’ex ambasciatrice Usa presso il Vaticano, Mary Anne Glendon, ritornare alle radici storiche e al contesto che incoraggiò la nascita della dichiarazione, che pur “legalmente non vincolante si è rivelata moralmente giudicante poiché ha sfidato l’idea che la sovranità fosse lo scudo dietro cui gli Stati potevano mascherare le angherie sulla loro gente”.
Glendon elogia gli autori di questa impalcatura valoriale spiegando che pur restando aperte tante domande sul progetto dei diritti umani, restano validi i principi di universalità, dove tutti possono riconoscersi anche se questo non suppone l’omogeneità poiché culture diverse danno pesi diversi al diritto. Il principio di sussidiarietà chiede che ci sia un discernimento comunitario per l’attuazione a più livelli dei diritti umani e quindi la palla passa ai cittadini, attori nelle leggi e nelle istituzioni che li governano.
La difesa del diritto alla vita e alla libertà religiosa è stato è stato uno dei nodi cruciali dell’intervento di Robert George, docente di diritto a Princeton e direttore di diversi istituti che lavorano sul rapporto tra istituzioni e idealità. “La religione è un aspetto irriducibile della realizzazione umana e va considerato un bene umano fondamentale – ha ribadito George -.
La giusta relazione con il divino implicita in una religione consente alla persona di ordinare la propria vita e di partecipare di una comunità che condivide quei valori. E una fede è libera quando suppone il rispetto della persona e per questo è un diritto da salvaguardare anche da un punto di vista razionale”. Il professore ha citato anche Martin Luther King come esempio di persona che, forte della sua fede, ha saputo anche ribellarsi a leggi ritenute inique e in contraddizione con il suo credo.
“Chi controlla i controllori dei diritti umani?”. O, ancora, “l’istituzionalizzazione dei diritti umani attraverso commissioni ed agenzie è stato un successo o al contrario ha reso inefficace il loro lavoro allontanandoli dalla gente?”. Paolo Carozza, docente di legge all’università di Notre Dame e direttore dell’istituto di studi internazionali Kellogg provoca i presenti sul “lato oscuro” e sui limiti delle istituzioni di salvaguardia dei diritti umani, talvolta “impantanate in processi lontanamente rappresentativi della vastità delle società o dominate da un piccolo numero di gruppi ideologicamente orientati o da una burocrazia permanente dei corpi istituiti”. Carozza offre alcune proposte di soluzione che si focalizzano sul rafforzamento dello stato di diritto interno, della democrazia e delle istituzioni; sul necessario pluralismo, sulla incondizionata trasparenza e sul ruolo ineludibile della politica perché “la politica non ci salverà, ma senza la politica non c’è vita comune” e i populismi potrebbero avere l’ultima parola.
Maddalena Maltese (da New York) Agenzia SIR 10 dicembre 2018
agensir.it/mondo/2018/12/10/70-della-dichiarazione-universale-dei-diritti-umani-mons-auza-nunzio-onu-le-sfide-della-universalita-obiettivita-e-unita
Diritti violati
I diritti umani, a partire da quelli che riteniamo fondamentali, sono oggi spesso violati, calpestati da un capitalismo disumano che bada solo al profitto in barba ad ogni rispetto della dignità della persona umana. I buoni propositi della Dichiarazione firmata 70 anni fa sono venuti man mano scemando e negli ultimi decenni abbiamo assistito a forme di involuzione ed anche di capovolgimenti.
Il 10 dicembre 1948, a Parigi, rappresentanti di 48 nazioni del mondo firmavano la “Dichiarazione universale dei diritti umani”. Un avvenimento che ha segnato la nostra storia e che si è verificato nel contesto di un’assemblea della organizzazione delle Nazioni Unite, giovane di appena tre anni. Il documento, unico per tutto il globo terrestre, voleva collocarsi storicamente come “ideale comune da raggiungersi da tutti i popoli e da tutte le Nazioni, al fine che ogni individuo ed ogni organo della società, avendo costantemente presente questa Dichiarazione, si sforzi di promuovere, con l’insegnamento e l’educazione, il rispetto di questi diritti e di queste libertà e di garantirne, mediante misure progressive di carattere nazionale e internazionale, l’universale ed effettivo riconoscimento e rispetto tanto fra i popoli degli stessi Stati membri, quanto fra quelli dei territori sottoposti alla loro giurisdizione”.
Questo preambolo introduce ai 30 articoli che compongono la Dichiarazione e che vanno a sancire i principi fondamentali che devono regolare l’agire umano. Il periodo storico nel quale si colloca questo evento è particolarmente significativo in quanto si era giunti ad una situazione di pace dopo due guerre e dopo dure esperienze di totalitarismi.
Quest’anno celebriamo il settantesimo anniversario di questa storica firma e vorremmo tanto che questa celebrazione non si limitasse a coreografie belle ed importanti, ma limitate al fuoco del momento. Questi trenta articoli sono di una forte attualità in quanto questo “ideale comune” dichiarato nel preambolo è ben lontano dall’essere raggiunto. I diritti umani, a partire da quelli che riteniamo fondamentali, sono oggi spesso violati, calpestati da un capitalismo disumano che bada solo al profitto in barba ad ogni rispetto della dignità della persona umana. Lo stesso Papa Francesco ha usato parole dure nel suo messaggio inviato alla Conferenza internazionale sul tema “I diritti umani nel mondo contemporaneo: conquiste, omissioni, negazioni”, organizzata dal Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale e dalla Pontificia Università Gregoriana, in occasione della celebrazione di questo storico evento. Il Papa ha ribadito che “è opportuno non solo celebrare la memoria di quello storico evento, ma anche impostare una riflessione approfondita sulla sua attuazione e sullo sviluppo della visione dei diritti umani nel mondo odierno”.
I buoni propositi di questa Dichiarazione sono venuti man mano scemando e negli ultimi decenni abbiamo assistito a forme di involuzione ed anche di capovolgimenti. “Persistono oggi nel mondo – afferma Papa Francesco – numerose forme di ingiustizia, nutrite da visoni antropologiche riduttive e da un modello economico fondato sul profitto, che non esita a sfruttare, a scartare e perfino ad uccidere l’uomo … Mentre parte dell’umanità vive nell’opulenza, un’altra parte vede la propria dignità disconosciuta, disprezzata o calpestata e i suoi diritti fondamentali ignorati o violati”.
Alle parole del Papa fanno eco le denunce di Amnesty International che ci dicono delle migliaia di morti nelle note e poco note guerre che infestano diverse parti del nostro pianeta (tra il 2017 e il 2018 in Africa, Asia e Medio Oriente sono morte circa 193.000 persone). È sempre il Rapporto di Amnesty a ricordarci che sono appena 67 le persone che posseggono la stessa ricchezza di metà del mondo e che l’1% della popolazione mondiale possiede la stessa ricchezza del restante 99%. Ed ancora: ben 3 miliardi di persone vivono con meno di 2,5 dollari al giorno. Negli ultimi anni, in modo particolare, si è fortemente allargata la forbice dei pochi sempre più ricchi e di tutti gli altri sempre più poveri. Tornando a Papa Francesco ed al suo messaggio per questa ricorrenza, leggiamo: “Penso, tra l’altro, ai nascituri a cui è negato il diritto di venire al mondo; a coloro che non hanno accesso ai mezzi indispensabili per una vita dignitosa; a quanti sono esclusi da un’adeguata educazione; a chi è ingiustamente privato del lavoro e costretto a lavorare come uno schiavo; a coloro che sono detenuti in condizioni disumane, che subiscono torture o ai quali è negata la possibilità di redimersi; alle vittime delle sparizioni forzate e alle loro famiglie”.
Papa Francesco con fermezza denuncia anche “quanti subiscono molteplici violazioni dei loro diritti fondamentali nel tragico contesto dei conflitti armati, mentre mercanti di morte senza scrupoli si arricchiscono al prezzo del sangue dei loro fratelli e sorelle”. Parole vere, ma dure, che non possono non farci riflettere per poi passare all’azione nella concretezza del nostro quotidiano.
Salvatore Coccia, direttore “L’Araldo Abruzzese” (Teramo-Atri) 14 dicembre 2018
https://agensir.it/territori/2018/12/14/diritti-violati/
Diritti umani, ora serve fare memoria
Si fa memoria in questi giorni dei 70 anni dalla promulgazione della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, oggi in un tempo in cui sono violati globalmente con un accanimento sconcertante.
- L’articolo 1 parla del dovere di “agire in spirito di fraternità vicendevole”,
- l’art. 3 del “diritto alla vita, alla libertà, alla sicurezza della persona;
- l’art. 13 del diritto di “circolare liberamente”
- l’art.14 “di cercare asilo e di beneficiare dell’esilio in altri paesi”.
Eppure chi ha ancora il coraggio di riflettere ed evidenziare le abissali contraddizioni in cui viviamo, non può non denunciare come spudoratamente questi diritti fondamentali sono oggi negati e anche improvvisamente cancellati a livello istituzionale, attraverso il recente ” decreto sicurezza”, che toglie la protezione umanitaria. L’Alto commissario delle nazioni Unite per i rifugiati, Filippo Grandi, in un recente intervento, indicava come assimilare sicurezza e immigrazione in un unico decreto “favorisce una percezione della migrazione e dei movimenti di rifugiati come minacce alla sicurezza pubblica.” Questo è profondamente fuorviante, aggiungeva, “specialmente nel caso di rifugiati, che sono persone che fuggono da persecuzioni e violenza. Semmai è proprio la mancanza di adeguate vie legali per i richiedenti asilo uno dei principali motivi per cui sono costretti a utilizzare modi irregolari e rischiosi per raggiungere l’Europa.” E concludeva ricordando che ” i rifugiati portano con loro esperienza, talento, capacità e coraggio. Bisogna che l’accoglienza dia loro spazio e li valorizzi, per facilitarne l’integrazione.
Indebolire o eliminare il sistema Sprar è una decisione che rischia di avere un impatto negativo, anche perché è nelle grandi strutture – promosse dal decreto – che si sono riscontrati i casi più gravi di cattiva gestione..” Dunque un forte richiamo da chi per ruolo ha uno sguardo ampio, profondo e massima competenza su un argomento di cui invece responsabili politici, seguiti da una pubblica opinione disinformata, parlano troppo spesso a sproposito. A livello territoriale si sono fatti dei passi da cui non possiamo e non dobbiamo tornare indietro, se valgono ancora accordi internazionali, come la Dichiarazione di 70 anni fa, che sono alla base di una successiva crescita di un cammino di pace di cui anche noi nel nostro piccolo siamo corresponsabili.
Per aiutarci a leggere il cammino di questi ultimi anni in Trentino Alto Adige riguardo a profughi e migranti, può esserci utile un prezioso libro di Vincenzo Passerini e Giorgio Romagnoni, uscito nello scorso aprile con Il Margine, “La solitudine di Omran“, cronache di una rivoluzione. Non è un fenomeno, non è un problema, ma è una rivoluzione, si legge nella prefazione, “tutto il mondo ne è messo sottosopra, tutte le società, tutte le coscienza. Una valle alpina ne è scossa come un’oasi del deserto o la periferia di una metropoli… A muoverla è la speranza. Le vittime viventi delle guerre e delle povertà hanno deciso di non subire immobili il loro destino.”
In questa raccolta di diversi articoli di Vincenzo Passerini, pubblicati nel corso degli ultimi tre anni, troviamo puntuale e corretta informazione e sconcerto, a partire dall’immagine di Omran, che ha fatto il giro del mondo, il bambino di cinque anni salvato da un bombardamento ad Aleppo, seduto su un ambulanza con il volto coperto di sangue e di polvere e lo sguardo immobile. Quell’immagine ha suscitato forti emozioni, come l’immagine del piccolo profugo Aylan, morto su una spiaggia della Turchia, che però sono svanite presto. Forse allora un modo per fare memoria della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo può essere la lettura di questo testo, che con l’aiuto dei disegni di Giorgio Romagnoni può aiutare adulti e ragazzi a riflettere, a guardare un mondo vicino a cui non sentirsi estranei, a riscoprire l’empatia.
Gina Abbate “Trentino” 10 dicembre 2018
Fondare lo sviluppo sostenibile sui diritti inalienabili della persona
Assieme alla diseguaglianza, tra gli elementi che caratterizzano il mondo contemporaneo c’è senz’altro quello relativo ai conflitti che attraversano il pianeta. Si tratta di due fenomeni strettamente legati: le diseguaglianze sono una delle più importanti fonti di tensione e di conflitto nelle società; e i conflitti stessi sono a loro volta fattore di inasprimento delle polarizzazioni esistenti, dei fenomeni di diseguaglianza e marginalizzazione
L’orizzonte dell’Agenda 2030, approvata nel settembre 2015 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, degli ‘Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile’, è lo scenario entro cui porre oggi la ricorrenza del 70° della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’uomo. Si tratta di 17 traguardi articolati in 169 ‘targets’ e 232 indicatori, cioè un meccanismo articolato e complesso, che già ora sta dimostrando limiti e incongruenze.
Il rischio è quello di ‘contare quello che non conta’ e ‘non contare quello che conta veramente’. Basta però leggere la Dichiarazione che introduce l’Agenda 2030 per trovare alcuni elementi di grande rilevanza, e purtroppo non pienamente rappresentati negli obiettivi di sviluppo sostenibile che seguono. E’ il caso dei diritti umani, la cui Dichiarazione Universale venne adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre di settant’anni fa, e che rappresenta la prospettiva su cui fondare una riflessione veramente ‘trasformativa’ sul mondo attuale; anche su quei fenomeni di diseguaglianza crescente che ne rappresentano una delle principali chiavi di lettura.
Proprio una riflessione sui temi della disuguaglianza va in primo luogo radicata nel riconoscimento dei diritti economici e sociali, i quali impongono agli stati di affrontare e/o prevenire la diseguaglianza, nella misura in cui essa costituisce un ostacolo al pieno godimento dei diritti umani.
Non si può naturalmente assumere che la disciplina internazionale dei diritti umani possa imporre delle azioni specifiche o dettare particolari condizioni nella distribuzione del reddito e della ricchezza; tuttavia, se si considerano le implicazioni in termini di equità nella realizzazione dei diritti economici e sociali, si identificano dei chiari vincoli nelle condizioni in termini di disuguaglianza, nel caso in cui alcuni membri della società non possono godere di tali diritti mentre altri membri della società si trovano in una condizione di sovrabbondanza.
Visto in questa prospettiva, non si può certo confinare il tema della diseguaglianza nell’obiettivo 10 dell’Agenda 2030, con indicazioni relative in massima parte alla disuguaglianza di reddito. Deve invece rappresentare una preoccupazione assai più trasversale, in grado di evidenziare gli elementi di concentrazione del potere sociale e politico che rendono la voce dei più poveri e dei più vulnerabili sempre più marginale nei processi di presa delle decisioni.
È infatti la diseguaglianza in termini di voce e rappresentanza ad essere per certi aspetti alla radice delle sue manifestazioni concrete (in termini economici, o di accesso ai servizi).
Fondare lo sviluppo sostenibile sui diritti inalienabili della persona umana implica anteporre questi diritti a ogni scelta di merito, anche se essi entrano in rotta di collisione con interessi magari meglio rappresentati. In chiave di Agenda 2030, significa tra l’altro necessariamente interpretare il principio del ‘non lasciare indietro nessuno’, come ‘non lasciare indietro la voce di nessuno’.
Assieme alla diseguaglianza, tra gli elementi che caratterizzano il mondo contemporaneo c’è senz’altro quello relativo ai conflitti che attraversano il pianeta. Si tratta di due fenomeni strettamente legati: le diseguaglianze sono una delle più importanti fonti di tensione e di conflitto nelle società; e i conflitti stessi sono a loro volta fattore di inasprimento delle polarizzazioni esistenti, dei fenomeni di diseguaglianza e marginalizzazione. Secondo varie fonti, la situazione attuale del conflitto nel mondo è segnata da un peggioramento di tutti gli indicatori, con un aumento dei livelli di spesa militare, di commercio di armi, del numero di confitti violenti. E’ proprio il ruolo del commercio delle armi nel mondo contemporaneo, la situazione dei conflitti e la percezione di queste tematiche da parte delle generazioni più giovani a essere al centro del nuovo volume ‘Il peso delle armi’, frutto della collaborazione di Caritas Italiana con Avvenire, Famiglia Cristiana, e il Ministero dell’università e della ricerca. Per costruire un mondo realmente sostenibile occorre infatti riflettere e affrontare con serietà il tema dell’economia di morte: un’alternativa è possibile, si basa sullo sviluppo umano integrale, un riferimento definito dalla Dottrina Sociale della Chiesa rispettoso della dignità umana delle attuali e delle future generazioni
Paolo Beccegato Agenzia Sir 15 dicembre 2018
10 dicembre 1948-2018 / Diritti umani: per le donne, un obiettivo e una responsabilità
A 70 anni dalla proclamazione della Dichiarazione universale appare sempre più evidente che i diritti non sono universali se non si concretizzano in tutti i luoghi del quotidiano; è quindi a partire dal quotidiano, soprattutto oggi, che bisogna insegnarli e difenderli.
Eleaonor Roosevelt scriveva, nel 1958, che i diritti universali iniziano «in piccoli posti vicino casa, così vicini e così piccoli che essi non possono essere visti su nessuna mappa del mondo. Ma essi sono il mondo di ogni singola persona; il quartiere dove si vive, la scuola frequentata, la fabbrica, fattoria o ufficio dove si lavora. Questi sono i posti in cui ogni uomo, donna o bambino cercano uguale giustizia, uguali opportunità, eguale dignità senza discriminazioni. Se questi diritti non hanno significato lì, hanno poco significato da altre parti. In assenza di interventi organizzati di cittadini per sostenere chi è vicino alla loro casa, guarderemo invano al progresso nel mondo più vasto. Quindi noi crediamo che il destino dei diritti umani è nelle mani di tutti i cittadini (e cittadine, ndr) in tutte le nostre comunità».
Diritti da difendere e… da insegnare. Quanto spesso dimentichiamo questa grande verità: quei diritti che chiamiamo “universali” sono innanzitutto “individuali”, ci riguardano in prima persona, nei luoghi in cui stiamo. Ci appartengono, ci definiscono facenti parte di una categoria più grande, l’essere umano. Ed è per questo che siamo chiamati noi, tutte e tutti, a esserne primi difensori in quei piccoli posti che sono le nostre case e scuole, i luoghi di lavoro e i quartieri. Luoghi in cui esprimiamo quotidianamente chi siamo, dimenticando che quella espressione è politica; e della politica dovrebbe essere la parte più nobile. Perché è dall’unione di tutti quegli “io” che si determina l’identità di una comunità, di un popolo.
Ma per essere riconosciuti e difesi, questi diritti, devono essere innanzitutto insegnati. Perché si abbia coscienza e conoscenza che quel che ci spetta, a tutti e tutte, sin dall’infanzia, non è un privilegio, ma un qualcosa che nasce da un comune principio di eguaglianza che va difeso.
Questo insegnamento, che passa inizialmente, come ogni cosa che doniamo durante l’infanzia, attraverso l’oralità e l’esempio, richiama a una responsabilità primaria noi donne, che spesso di questi diritti siamo prive proprio a partire da quei piccoli contesti in cui abitiamo. Le case, dove si registra il maggior numero dei 106 femminicidi avvenuti finora quest’anno (viene uccisa una donna ogni 72 ore), dove la divisione dei ruoli continua a essere iniqua e la cura nostro esclusivo appannaggio.
I luoghi di lavoro, dove continuano diseguaglianze, discriminazioni e molestie: per il gender gap retributivo, noi, dal 3 di novembre, è come se lavorassimo gratis rispetto ai colleghi; e sono quasi 9 milioni le donne, tra i 15-60 anni, che nel nostro paese hanno subito molestie sul luogo di lavoro.
Le strade, dove ancora oggi la violenza è qualcosa che ha a che fare con il nostro modo di vestire, da qui i processi in cui continuiamo a essere oggetto di dibattito e non soggetto. Le chiese, dove vige ancora un impedimento di genere che disconosce un protagonismo femminile antico che camminava accanto al Cristo.
Dalla consapevolezza delle differenze al ritorno della responsabilità civile. Noi, che spesso ci troviamo a insegnare le prime piccole grandi parole ai nostri figli e figlie, a spiegare cosa è giusto e sbagliato, i diritti e i doveri, il rispetto delle regole, purtroppo spesso siamo le prime a non aver acquisito la consapevolezza di quanto la differenza si segni in quel piccolo contesto. Noi – che sentiamo l’esigenza di contribuire a generare un mondo differente, che abbia un passo diverso, di chi accompagna e cammina accanto – dobbiamo declinare parole inclusive di un genere che non viene ancora declinato, il nostro, a partire dalle nostre case e scuole; pretendere e difendere ruoli paritari, essere il primo esempio concreto di un’eguaglianza quotidiana.
Dobbiamo essere coscienti che l’individualità di quel diritto universale ci appartiene, facendo risuonare, ancora e ancora, il monito di Eleaonor Roosevelt.
Ecco perché si deve partire dal piccolo per abbracciare il grande, soprattutto in questo triste anniversario dei 70 anni della Dichiarazione dei diritti umani, che vede i diritti restringersi, diventare privilegio di un numero sempre più esiguo di persone. Ma è proprio quando i diritti vanno in sottrazione, quando, cambiando natura, vestono l’abito delle concessioni o della carità, e chi li difende viene tacciato di buonismo, perché la solidarietà viene criminalizzata o peggio si trasforma in invidia sociale, che occorre riavvolgere il nastro della storia.
Tornare alle parole e al significato di quella Dichiarazione che, proclamando universali i diritti, ha tagliato in due il corso storico dell’umanità, vuol dire riappropriarsi del grande ideale dell’uguaglianza e di una responsabilità civile che sembriamo aver smarrito.
Jessica Cugini Il Regno delle donne 10 dicembre 2018
www.ilregno.it/regno-delle-donne/blog/10-dicembre-1948-2018-diritti-umani-per-le-donne-un-obiettivo-e-una-responsabilita-jessica-cugini
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DIRITTO DI FAMIGLIA
Ddl Pillon – aggiornamenti
Il Disegno di legge Pillon sarà modificato, ma i quattro punti del contratto di governo resteranno: tempi paritari, mediazione obbligatoria, mantenimento diretto, alienazione parentale. Di seguito, l’agenzia che lo spiega. Allora, ridiciamolo: quel testo va ritirato, ed è inemendabile, proprio perché ci sono i quattro punti del contratto di governo. Se la Lega e Cinque Stelle pensano di fare aggiustamenti, continuando con un Ddl profondamente anticattolico, noi continueremo la nostra battaglia a difesa della famiglia e della maternità, e quindi contro questo Ddl, e ne faremo oggetto di discussione nonché criterio per scegliere chi votare alle prossime elezioni europee.
Il disegno di legge sull’affido condiviso dei figli minorenni delle coppie separate, terminate le audizioni in commissione, porterà ad un testo unificato che “tenga conto dei miglioramenti proposti e dei diversi disegni di legge, nel rispetto del superiore interesse dei minori seguendo i punti previsti dal contratto di governo”. Lo spiega il primo firmatario del provvedimento, il senatore Simone Pillon (Lega).
In queste settimane la commissione Giustizia al Senato sta svolgendo le audizioni in merito al Ddl sulle “norme in materia di affido condiviso, mantenimento diretto e garanzia di bigenitorialità”. Martedì scorso (4 dicembre 1918), da ultimo, sono state sentite le associazioni di padri separati e di altre associazioni di categoria che si occupano di diritto di famiglia. Adesso è prevedibile che le audizioni sul Ddl riprendano a gennaio, concluso il lavoro sugli altri provvedimenti incardinati nella stessa commissione e conclusa la pausa natalizia. “Terminate le audizioni”, spiega il senatore Pillon ad Askanews, “lavoreremo sul testo unificato che – secondo quanto previsto dal regolamento del Senato – tenga conto dei miglioramenti proposti e dei diversi disegni di legge, nel rispetto del superiore interesse dei minori seguendo i punti previsti dal contratto di governo”.
Quattro, in particolare, i criteri dettati dal contratto di governo siglato a inizio legislatura da Lega e movimento cinque stelle che il disegno di legge persegue, come si legge nella presentazione del provvedimento:
a) mediazione civile obbligatoria per le questioni in cui siano coinvolti i figli minorenni;
b) equilibrio tra entrambe le figure genitoriali e tempi paritari;
c) mantenimento in forma diretta senza automatismi;
d) contrasto dell’alienazione genitoriale.
Assuntina Morresi Blog strano cristiano di 05 dicembre
https://stranocristiano.it/ddl-pillon-aggiornamenti
Cassazione: bigenitorialità non vuol dire tempi uguali coi figli
Corte di Cassazione, prima Sezione civile, ordinanza n. numero 31902, 10 dicembre 2018
www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_32845_1.pdf
Per i giudici della Corte bisogna considerare le esigenze di vita del minore e dell’altro genitore e non procedere a meri calcoli matematici. Mentre il Ddl Pillon sta percorrendo la strada che lo potrebbe portare a sancire il principio della “bigenitorialità perfetta”, i giudici si schierano in maniera non propriamente conforme a quanto previsto dal disegno di legge.
Da un lato, infatti, vi è l’articolo 11 del Ddl, che sancisce tra le altre cose che i minori hanno “il diritto di trascorrere con ciascuno dei genitori tempi paritetici o equipollenti, salvi i casi di impossibilità materiale”; dall’altro lato vi è invece la Corte di cassazione, per la quale il principio di bigenitorialità “non comporta l’applicazione matematica in termini di parità di tempi di frequentazione del minore”.
Esigenze di vita di figlio e genitore. Lo si legge nell’ordinanza nella quale i giudici hanno spiegato che il predetto principio deve piuttosto essere inteso come “diritto di ciascun genitore ad essere presente in maniera significativa nella vita del figlio nel reciproco interesse”.
Ciò posto, occorre considerare le esigenze di vita del minore e dell’altro genitore e, quindi, il modo in cui la madre e il padre svolgevano i propri compiti prima della disgregazione della loro unione.
Cosa si intende per bigenitorialità. Per la Corte di cassazione insomma – come del resto già affermato nella sentenza numero 18817/2015 – la bigenitorialità deve essere intesa come presenza comune di mamma e papà nella vita dei figli, tenendo però conto delle consuetudini di vita di entrambi i genitori, delle rispettive capacità di relazione affettiva, attenzione, comprensione, educazione e disponibilità a mantenere un rapporto assiduo.
Valeria Zeppilli Studio Cataldi 12 dicembre 2018
Il diritto di famiglia e la nostalgia del modello monogenitoriale
Un nuovo intervento della Suprema Corteconferma le simpatie di buona parte del sistema legale per il vecchio regime di affidamento.
Corte di Cassazione, Prima Sezione civile, ordinanza n. 31902, 10 dicembre 2018
www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_32845_1.pdf
Facendo riferimento e confermando un proprio precedente intervento, la Cassazione documenta convincentemente che il sistema legale, soprattutto ai più alti livelli, non ha ancora accolto la riforma del 2006 e le sue chiare indicazioni a favore di una applicazione fedele dei principi di cui all’art. 30 della Costituzione.
Legge n. 54, 8 febbraio 2006 www.camera.it/parlam/leggi/06054l.htm
Si fa notare, anzitutto, l’aspetto sostanziale della scelta, che è quella di respingere la richiesta di un genitore di essere maggiormente presente e partecipe della crescita e dell’educazione della figlia, di per sé sempre auspicabile e da premiare. A maggior ragione, visto che si sostiene frequentemente l’inopportunità di disporre affidamenti di pari impegno a padri e madri per la carenza di candidature di genere maschile. Un diniego aggravato dalla circostanza che l’intervento contestato, aveva addirittura contratto il numero di pernottamenti precedentemente fissati.
Occorre riconoscere, tuttavia, che anche la richiesta non era supportata da motivazioni e premesse ineccepibili. Il ricorso, infatti, presenta quale primo motivo “non avere individuato il genitore più idoneo a curare l’interesse della figlia”. Una contestazione che evidentemente appartiene alla filosofia dell’affidamento esclusivo e nulla ha a che vedere con i fondamenti della bigenitorialità. Uno spunto iniziale, dunque, che indebolisce fortemente la successiva nota critica, che invoca la “violazione del principio di parità tra i genitori”. Si direbbe, dunque, che i fondamenti della riforma del 2006 siano poco chiari anche a chi contesta le decisioni del merito su quei medesimi principi.
Purtroppo, nemmeno la Suprema Corte dimostra di ben aderire alle circostanze sulle quali si fonda l’affidamento condiviso in alternativa all’affidamento esclusivo a uno solo dei genitori o all’affidamento ai Servizi Sociali. Fornisce, difatti, subito in partenza una sua definizione della bigenitorialità che non può non lasciare perplessi: “il principio di bigenitorialità si traduce nel diritto di ciascun genitore ad essere presente in maniera significativa nella vita del figlio”.
La prima osservazione – di non piccolo rilievo – è che così procedendo intesta il diritto in capo ai genitori e non ai figli, esattamente capovolgendo sia lo spirito che la lettera della norma (art. 337-ter, comma I c.c.). Erra d’altra parte, così facendo, anche nella misura, sia perché il diritto indisponibile della prole attiene sia alla quantità che ai contenuti della citata “presenza” dei genitori. La misura non è “significativa”, ma “equilibrata e continuativa”; ovvero alla definizione del legame dell’avente diritto con i genitori è stato sostituito quello con gli ascendenti e gli altri parenti, declassando i primi. Inoltre, viene ignorata completamente la seconda parte del diritto, ovvero quello a ricevere “cura”, e non semplicemente e riduttivamente “mantenimento economico”, da ciascuno dei genitori. Il che porta ad esaminare la serie di argomentazioni con le quali si sostiene l’inesistenza di un diritto alla “parità” dei tempi della frequentazione.
Un diniego che chi scrive considera ragionevole verso chi pretendesse la parità sempre e comunque, ma non altrettanto ove si assumesse la necessità sempre e comunque dell’opposto, ovvero di un “genitore collocatario”: che è appunto ciò che la Cassazione più o meno velatamente si propone di fare. Il riferimento alla precedente decisione appare rivelatore. Il “giudizio prognostico che il giudice, nell’esclusivo interesse morale e materiale della prole, deve operare circa le capacità dei genitori di crescere ed educare il figlio nella nuova situazione” a null’altro assomiglia che alla ricerca del genitore più idoneo ad essere l’affidatario, come si usava prima della riforma del 2006. Non a caso, “va formulato tenendo conto, in base ad elementi concreti, del modo in cui i genitori hanno precedentemente svolto i propri compiti … fermo restando, in ogni caso, il rispetto del principio della bigenitorialità, da intendersi quale presenza comune dei genitori nella vita del figlio, idonea a garantirgli una stabile consuetudine di vita e salde relazioni affettive con entrambi,”(Cass. n. 18817 del 23/09/2015). Dove è evidente che la stabilità non è intesa come regolarità di abitudini, ma come netta prevalenza di un contesto abitativo e di un maggior potere decisionale di un genitore rispetto all’altro.
Si evidenzia, dunque, un problema interpretativo, con tutta probabilità di matrice culturale, ovvero il rischio di un rigetto sistematico di qualsiasi normativa che ponga i genitori in condizioni paritetiche. Un rischio davvero pesante, perché l’equilibrio, o meglio sapere di essere in condizioni di pari opportunità in un giudizio legale ne allontana l’eventualità e accresce la probabilità di adesione a percorsi di mediazione e la loro probabilità di successo.
Pertanto, se un modello di approccio può, sommessamente, suggerirsi al sistema legale è quello di porre i genitori in condizioni assolutamente paritetiche sotto il profilo giuridico-formale, quale necessaria condizione di partenza per assicurare ai figli pari opportunità al fine di ricevere, anche asimmetricamente, dall’uno e dall’altra ciò che ad essi maggiormente serve in quel momento, in una sorta di equilibrio statistico, mediamente bilanciato E sempre compatibilmente con le oggettive circostanze di fatto, ma non in dipendenza di opinabili convinzioni pseudo-sociologiche.
Si osserva, viceversa, una visione chiaramente adultocentrica, come dimostra il modo di gestire la parte economica nella pressoché totale giurisprudenza, sistematicamente ancorata alla forma indiretta, a dispetto delle prescrizioni di legge, che privilegiano il mantenimento diretto. In effetti sul punto nulla può essere rimproverato alla Suprema Corte nel caso in esame, poiché la stessa parte ricorrente aveva limitato i propri rilievi alla misura e non alla forma del contributo (anche se realmente 800 € mensili sono cifra adeguata per uno studente universitario fuori sede, non per mantenere una bimbetta).
Una omissione che dimostra ulteriormente quanto sia estesa per la legge 54\2006 la scarsa comprensione soprattutto delle norme sul mantenimento, a dispetto dei numerosi e concordi interventi della dottrina (ex pluris, C.M. Bianca, T. Auletta, B. De Filippis, M.Sesta, L. Rossi Carleo e C. Caricato, E. Quadri, G. Frezza, G. Giacobbe, A. Morace-Pinelli, G. Ballarani, A. Arceri, A. Costanzo etc.). E soprattutto manca la capacità di riconoscere alla forma del mantenimento la sua immensa valenza relazionale, sulla quale qui non insiste, rimandando, ad es., alle linee guida del Tribunale di Brindisi, una delle poche eccezioni. Preme, tuttavia evidenziare una delle principali distorsioni interpretative, legata alla presunta necessità di ancorare il mantenimento diretto alla vicinanza geografica dei genitori, dimenticando che ai capitoli di spesa non legati alla convivenza (dall’affitto della casa alle spese per l’istruzione, dai mezzi di trasporto alle attività ricreative e sportive e perfino all’abbigliamento) si può benissimo provvedere anche dal Canada, visto che comunque dei contatti continuano ad esserci, anche se concentrati in determinati periodi dell’anno. Anzi, proprio nel caso di genitori che abitano a grandi distanze appare decisamente consigliabile che il soddisfacimento dei bisogni non quotidiani sia attribuito al genitore che è forzatamente escluso dalla quotidianità.
Allo stesso modo se, come nel caso presente, si ricorre all’affidamento ai Servizi Sociali per limitare contatti tra i genitori che possano essere fonte di conflitto, visto che necessariamente in questi casi c’è un collocamento prevalente presso uno dei due, ci si dovrebbe rammentare che si crea il terreno più fertile perché abbiano effetto sul bambino quelle sottili manipolazioni che inducono in lui una crescente distanza affettiva, fino al rifiuto.
Dovrebbero, quindi, essere incentivate, se non prescritte, tutte quelle forme di contatto oggi disponibili, come Skype e WhatsApp, che mantengano vivo il rapporto. Tutto questo quando il danno non si sia già manifestato: nel qual caso indubbiamente l’esempio da seguire sarebbe quello fornito recentemente dal tribunale di Brescia (ord. 19 novembre 2018), ovvero togliere drasticamente potere al genitore alienante.
Marino Maglietta Studio Cataldi 14 dicembre 2018
www.studiocataldi.it/articoli/32891-il-diritto-di-famiglia-e-la-nostalgia-del-modello-monogenitoriale.asp
La bigenitorialità non si misura in giorni!
Le brevi considerazioni che espongo, non certo esaustive ma semplici spunti di riflessione, si fondano sulla mia esperienza ultra ventennale come Consulente Tecnico di Ufficio e di parte in ambito di diritto di famiglia e diritto minorile, oltre che sulla pratica clinica con minori e genitori.
Noi psicologi abbiamo il dovere etico e deontologico di tutelare il benessere psicologico dei minori e la corretta crescita psicoaffettiva nei casi di separazione, e di contrastare ogni proposta legislativa che vada contro questo obiettivo, quale è il DDL Pillon.
In primo luogo voglio sottolineare con forza che il diritto alla bigenitorialità è un diritto dei bambini, e non dei genitori, i quali, invece, hanno il dovere di garantire tale diritto ai figli, permettendo reciprocamente lo svolgimento del ruolo parentale.
Ogni bambino ha il diritto, e il bisogno, di mantenere e poter sviluppare il legame affettivo e una relazione significativa con entrambi i genitori, anche quando c’è una separazione. Questo è indispensabile per il suo corretto sviluppo psichico e la strutturazione della identità.
Si tratta di un diritto, ricordiamo, già sancito dalla legge 54/2006, che prevede l’affido condiviso per i figli, come modalità da applicare in caso di separazione, salvo gravi motivi che la rendano pregiudizievole per i minori stessi.
La disposizione dell’affido condiviso, a distanza 12 anni dalla sua entrata in vigore, è ormai consolidata tanto da coprire oltre il 90 % dei casi. I tempi di frequentazione del genitore non collocatario, disposti dal Tribunale di Torino nella stragrande maggioranza dei casi, prevedono solitamente non meno 12 pernottamenti mensili. Ma tali previsioni si basano sempre sulla valutazione dei singoli casi, e secondo il principio dell’interesse del minore.
Il DDL Pillon 735 invece interpreta il diritto alla bigenitorialità in una ottica adultocentrica, e pretende di realizzarlo in modo rigidamente standardizzato, unico per tutte le separazioni.
Vediamo in particolare gli articoli del disegno di legge che contengono disposizioni riguardanti direttamente i minori:
- tempi di frequentazione con ciascun genitore – art 11
- interventi nel caso di rifiuto di frequentare un genitore – art 18
L’art. 11 prevede tempi paritetici o equipollenti di frequentazione del figlio con i genitori. Viceversa noi psicologi forensi ben sappiamo che la attenzione alla singolarità e alla specificità dei singoli individui è imprescindibile. Ogni bambino, ogni genitore, ogni famiglia ha una sua unicità e specificità, una sua storia, ed è indispensabile conoscerla e tenerne conto, per poter valutare il modo migliore con cui quei genitori e quei bambini possono realizzare la bigenitorialità, ovvero permettere al bambino di mantenere e poter sviluppare il legame affettivo e una relazione significativa con entrambi i genitori.
E’ necessaria una attenta valutazione – quella che i giudici richiedono ai CTU psicologi – del livello psico-evolutivo del bambino, la qualità del legame con ciascun genitore, le competenze genitoriali di papà e mamma, le risorse e le criticità di ciascuno, i fattori di protezione e i fattori di rischio presenti nell’ambiente, le abitudini familiari pregresse, le effettive disponibilità, anche di tempo, dei due genitori , per poter fare delle scelte rispetto alla collocazione abitativa dei minori e alle modalità di frequentazione con ciascun genitore, che siano adeguate, “su misura” per il caso specifico. Inoltre oggi ci sono tanti tipi di famiglie, il concetto tradizionale di famiglia, formata da papà, mamma e bambini è superato, ed è indispensabile tener conto delle molteplici nuove realtà familiari.
Il Documento Congiunto AIP e CPA ricorda che la Risoluzione 2079 del 2015 dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa sottolinea la importanza dei “diritti ed esigenze specifiche di bambini e bambine in diverse fasce di età”, conformemente alle Linee guida del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa sulla giustizia a misura di bambino (Art. 5.10), e dunque indica una personalizzazione del tempo con ciascun genitore. Il Documento ben evidenzia che.al contrario il DDL è centrato sugli interessi degli adulti, tanto che le possibilità per il Giudice di derogare alla norma del pari-tempo, o 12 giorni minimi riguardano solo condizioni dei genitori.
Art 18: in merito alle misure per contrastare la cosiddetta alienazione parentale. L’articolo prevede il collocamento del figlio presso il genitore che da lui rifiutato oppure in una comunità, senza alcuna valutazione tecnica, ispirandosi ad una visione semplicistica, dicotomica di genitore buono/genitore cattivo. La sindrome da alienazione parentale è un concetto a tutt’oggi molto discusso in ambito scientifico, ma vi è convergenza nel ritenere che si tratti di un complesso disturbo relazionale, che coinvolge il minore ed entrambi i genitori e spesso anche i contesti familiari estesi.
In tutte le situazioni di rifiuto da parte di un figlio di frequentare un genitore è indispensabile una attenta valutazione psicologica dei singoli soggetti e delle dinamiche relazionali del nucleo familiare, per comprendere esattamente il significato intrapsichico e relazionale del rifiuto, e se possa configurare un fenomeno di alienazione parentale.
Quand’anche questa venisse accertata, la “soluzione” semplicistica e drastica proposta dal DDL contrasta con le indicazioni derivanti dalle ricerche scientifiche e dalla pratica clinica, che raccomandano la necessità di individuare caso per caso l’intervento più tutelante per il minore, e potrebbe addirittura compromettere gravemente il suo sviluppo psichico.
Meritano attenzione anche altri articoli che, se pure indirettamente, hanno ricadute importanti sulle decisioni relative ai minori.
- istituzione della figura professionale del mediatore – art. 1
- previsione di mediazione obbligatoria nei casi di separazione – art 3
- introduzione del coordinatore genitoriale – art. 5
Art 1: Istituzione dell’albo nazionale per la professione di mediatore familiare. Sorprende che sia il primo articolo del DDL. Suscita molta preoccupazione che la figura del “mediatore” acquisisca lo status di figura professionale autonoma, prevedendo che sia in possesso di una laurea specialistica in discipline assai differenti “sociali, psicologiche, giuridiche, mediche o pedagogiche ” e di una successiva “formazione specifica , certificata da idonei titoli quali master universitari ovvero specializzazioni o perfezionamenti presso enti di formazione riconosciuti dalle regioni, aventi durata biennale e di almeno 350 ore” (comma a).
Al comma b) si prospetta addirittura una sanatoria, per chi ha già conseguito la qualifica di mediatore entro il 31.12.2018.
Il comma g) definisce le competenze professionali del mediatore in modo generico, appiattendole peraltro al livello di “tecniche di mediazione”.
L’articolo contiene molte criticità: la disomogeneità delle formazioni di base rende ibrida la figura del mediatore, questa ibridazione viene risolta attraverso l’attribuzione di competenze tecniche, senza definire le molteplici aree in cui il conflitto si articola, e dunque i molteplici oggetti e obiettivi del processo di mediazione. Da qui risulta pressoché impossibile definire gli iter formativi adeguati, e di fatto non è prevista una regolamentazione relativa ai requisiti e contenuti formativi dei master o percorsi di perfezionamento e ai criteri di riconoscimento degli enti di formazione.
Si rileva che le competenze professionali psicologiche sono indispensabili nella gestione di un conflitto relazionale con complesse implicazioni emotivo/affettive, quale è quello separativo, e che pertanto la mediazione familiare dovrebbe configurarsi come una area di specializzazione degli psicologi.
Art. 3: Procedimento di mediazione familiare. Il comma 3, pur dichiarando che il procedimento di mediazione familiare è “volontariamente scelto dalle parti e può essere interrotto in qualsiasi momento”, sancisce che l’esperimento della mediazione sia “condizione di procedibilità” nel caso in cui nella causa di separazione siano coinvolti siano presenti minori. Dunque di fatto la coppia è obbligata ad accedere alla mediazione. E’ noto che uno dei principi basilari affinché un intervento di mediazione possa essere efficace è quello della volontarietà, ovvero che le persone lo affrontino autenticamente motivate a superare il conflitto;
In mancanza di questo requisito non si inizia neppure un percorso di mediazione.
Nei casi di forte conflittualità un percorso di mediazione si ritiene impraticabile. Se poi il percorso è vincolato al riferire al giudice il suo esito – ovvero l’accordo raggiunto, in presenza dei legali – è già inquinato in partenza, nel senso che sussiste il rischio che le persone lo affrontino in modo strumentale, e non con un’autentica disponibilità di realizzare una negoziazione del loro conflitto.
Art. 5: Coordinatore genitoriale. Anche se a questa figura non viene attribuita uno status di professione autonoma, si ripropongono criticità analoghe a quelle rilevate per il mediatore. Gli obiettivi del suo intervento, peraltro, rimandano alle competenze della professione psicologica.
Note
- Documento Congiunto AIP (Associazione Italiana di Psicologia) e CPA (Conferenza della Psicologia Accademica) sulla proposta DDL 735 – 17.9.2018.
https://aipass.org/sites/default/files/Documento%20congiunto%20AIP-CPA%20pillon%20settembre%202018.pdf
- Carta dei Diritti dei figli nelle separazioni dei genitori- Garante Nazionale dell’Infanzia, settembre 2018
www.garanteinfanzia.org/landing2/diritti-dei-figli-nelle-separazioni.html
- Risoluzione 2079 del 2015 dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa
www.figlipersempre.com/res/site39917/res699388_TRADUZIONE2.pdf
dott.ssa Laura Recrosio, psicologa, psicoterapeuta e Consulente del Giudice
www.senonoraquando-torino.it/2018/12/08/la-bigenitorialita-non-si-misura-in-giorni-di-laura-recrosio
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DIRITTO DI VISITA
Il nonno non biologico può vedersi riconosciuto il diritto di visita ai nipoti acquisiti?
Alla luce dei principi desumibili dall’art. 8 CEDU, dall’art. 24, comma 2, Carta di Nizza e dagli artt. 2 e 30 Cost., il diritto degli ascendenti, azionabile anche in giudizio, di instaurare e mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni, previsto dall’art. 317 bis c.c., cui corrisponde lo speculare diritto del minore di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti, ai sensi dell’art. 315 bis c.c., non va riconosciuto ai soli soggetti legati al minore da un rapporto di parentela in linea retta ascendente, ma anche ad ogni altra persona che affianchi il nonno biologico del minore, sia esso il coniuge o il convivente di fatto, e che si sia dimostrato idoneo ad instaurare con il minore medesimo una relazione affettiva stabile, dalla quale quest’ultimo possa trarre un beneficio sul piano della sua formazione e del suo equilibrio psico-fisico.
I rapporti con gli ascendenti. L’art. 337- ter, comma 1, c.c. ribadisce il diritto del figlio di mantenere, anche a seguito della separazione e del divorzio, rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale. Secondo la tesi maggioritaria, la posizione degli ascendenti e dei parenti non può essere qualificata alla stregua di diritto soggettivo, posto che il beneficiario della situazione giuridica soggettiva tutelata dalla norma è il minore (App. Milano, 11 febbraio 2008, in Fam. e dir., 2008, 357).
In questa prospettiva gli ascendenti ed i parenti sono titolari di un interesse giuridicamente tutelato a frequentare il minore, sempre che il rapporto che li lega ad esso possa ritenersi “significativo”.
Si ritiene che il giudice possa anche d’ufficio pronunciarsi relativamente alle modalità di frequentazione del minore con parenti e ascendenti. La precisazione delle modalità di frequentazione degli ascendenti e dei parenti risulta peraltro assai opportuna ogniqualvolta il genitore non affidatario non è in grado, per cause indipendenti dalla sua volontà, di assicurare una frequentazione assidua tra gli ascendenti ed il figlio affidato all’altro coniuge. Per converso, è stata ritenuta immune da censure la sentenza che non avesse regolato espressamente i rapporti del minore con gli ascendenti ritenendo idonea a realizzare l’interesse del minore la possibilità di vedere i nonni in occasione delle visite al genitore (Cass., 11 agosto 2011, n. 17191).
La giurisprudenza maggioritaria nega la possibilità in capo agli ascendenti ed ai parenti di intervenire – con intervento autonomo o litisconsortile – nel procedimento relativo all’affidamento affinché sia garantita l’effettività dei loro rapporti con il minore (Trib. min. Milano, 25 marzo 2001; Trib. Bari, 27 gennaio 2009, in Fam. e dir., 2009, 457; Trib. Reggio Emilia 17 maggio 2007. In senso contrario solo Trib. Firenze 22 aprile 2006).
Occorre tuttavia precisare come i parenti, e dunque anche gli ascendenti, siano legittimati ex artt. 333-336 c.c. ad adire il Tribunale per i minorenni al fine di ottenere un provvedimento de potestate nei confronti del genitore (o dei genitori) che si rifiuti ingiustificatamente di consentire loro di frequentare i nipoti, sempre che non sussistano ragioni tali da indurre a ritenere che siffatto rapporto sia contrario all’interesse del minore, che comunque deve essere ascoltato ai sensi del nuovo testo del comma 2 dell’art. 336 c.c. modificato con l’entrata in vigore del D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154 Il comportamento del genitore che impedisca al figlio di intrattenere rapporti con i nonni, in definitiva, si presume, fino a prova contraria, pregiudizievole al figlio ai sensi dell’art. 333 c.c., di guisa che il giudice adito può assumere i provvedimenti convenienti per ovviare al pregiudizio ai sensi dell’art. 336 c.c.
Sebbene la disciplina relativa all’affidamento dei figli minori attualmente in vigore, diversamente dalla precedente, non contempli espressamente la possibilità di affidamento degli stessi a soggetti diversi dai genitori, deve ritenersi consentito anche attualmente l’affidamento dei minori a terzi soggetti (nel caso di specie alla nonna) in caso di incapacità dei genitori ad assolvere ai loro compiti e ciò in forza del disposto dell’art. 155, comma 2, c.c., norma applicabile anche al giudizio di divorzio, a mente del quale il giudice può adottare “ogni altro provvedimento relativo alla prole” (Trib. Mantova, 2 febbraio 2010).
L’affidamento dei minori a terzi. Ancorché si discuta circa l’implicita abrogazione ad opera della riforma dell’art. 6, L. 1° dicembre 1970, n. 898, dottrina e giurisprudenza maggioritarie sono concordi nel ritenere che, laddove conforme all’interesse del minore, il giudice possa disporre che il minore sia affidato o collocato presso terze persone.
L’affidamento a terzi era invero contemplato, con differente disciplina, tanto nell’art. 155, comma 6, c.c.- il quale consentiva al giudice per gravi motivi di ordinare che la prole fosse collocata presso una terza persona o, nell’impossibilità, in un istituto di educazione – quanto nell’art. 6, comma 8, L. 1° dicembre 1970, n. 898, il quale compiva un richiamo all’affidamento eterofamiliare del minore ai sensi dell’art. 2, della legge stessa.
In dottrina, era stato sostenuto che tale forma di affidamento, ancorché non espressamente recepita nel testo normativo seguente la riforma del 2006, potesse trovare applicazione ai sensi del previgente art. 155-bis, comma 2, c.c., laddove si fa salva l’adozione da parte del giudice di ogni provvedimento conveniente nell’interesse della prole (in giurisprudenza Cass., 10 dicembre 2010, n. 24996). Tuttavia, l’intervenuto D.Lgs. 28 dicembre 2013, n. 154 ha espressamente abrogato il già menzionato comma 8, ed ha inserito una norma in tutto analoga a quella, ovvero l’art. 337-ter. c.c. In dottrina si afferma che laddove, temporaneamente, nessuno dei genitori sia in grado di assicurare al minore un ambiente familiare idoneo, il giudice possa affidarlo ad un’altra famiglia, possibilmente con figli minori, oppure ad una persona singola, in grado di assicurargli il mantenimento, l’educazione, l’istruzione e le relazioni affettive di cui egli ha bisogno, vigente l’art. 6, L. 1° dicembre 1970, n. 898.
L’affidamento a terzi si giustifica ogniqualvolta si ritenga che nessuno dei genitori sia in grado o si renda disponibile a prendersi cura della prole o tra loro sussista un alto livello di conflittualità tale da renderli incapaci di gestire congruamente il coaffido (Trib. min. L’Aquila, 15 maggio 2007; App. Catania, 14 aprile 2008, che ha mantenuto la collocazione della minore presso la madre). Con riferimento a quest’ultima ipotesi, nella prassi è assai frequente – come una sorta di sanzione a fronte dell’elevata conflittualità tra i genitori – l’affidamento del minore al Comune di residenza o ai servizi sociali, ancorché mantenendo la collocazione presso uno dei genitori (App. Milano, 30 marzo 2001, in Famiglia e diritto, 2002, 177; Trib. Napoli, 18 aprile 2008).
In tema di sottrazione di persone incapaci, l’affidamento del minore ai servizi sociali con collocamento presso una famiglia, non priva i genitori, non dichiarati decaduti dalla potestà, del diritto di querela. (Fattispecie relativa a tentativo del delitto previsto dall’art. 574 c.p. commesso dall’altro genitore) (Cass. pen., sez. VI, 22 novembre 2013, n. 49063).
Una recente pronuncia di merito ha affermato che vada affidato ai servizi sociali il minore oggetto di alienazione parentale da parte del padre verso la madre, con collocamento presso la casa paterna. In particolare, pur in assenza di un’espressa previsione legislativa, il giudice ha il potere-dovere di disporre tale forma di affidamento, rientrando la stessa nei provvedimenti che il giudice ha il potere-dovere di adottare, ai sensi dell’art. 337-ter, comma 1, c.c. con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale del minore (Trib. Cosenza, 18 ottobre 2017).
L’affidamento alternato. È dibattuta l’applicabilità, anche a seguito della riforma operata con L. 8 febbraio 2006, n. 54, dell’affidamento alternato dei figli, consistente nell’affidamento turnario per periodi di tempo prefissati e di norma prolungati del figlio a ciascuno dei genitori, i quali per tale periodo esercitano la potestà in via esclusiva.
Secondo l’orientamento che ne ammette l’applicabilità, tale forma di affidamento favorirebbe un armonico sviluppo dei rapporti genitori-figli in quanto consente a ciascun genitore di prendersi cura della prole in maniera esclusiva per tempi paritari (Trib. Palermo, 27 marzo 2007, in Famiglia Persone Successiono, 2007, 758).
In tali casi, al fine di evitare continui spostamenti di residenza del minore, si prevede l’assegnazione turnaria della casa (Trib. Palermo, 27 marzo 2007, in Fam. Pers. Succ., 2007, 758; Trib. Roma, 12 maggio 1987).
In ogni caso, tale forma di affidamento pare praticabile solo a fronte dell’accordo tra i genitori, i cui rapporti non siano conflittuali.
Secondo l’orientamento maggioritario, al contrario, l’affidamento alternato è foriero di cagionare nei minori, costretti a continui cambi di residenza e di “gestione del quotidiano” (Cass., 9 ottobre 2007, 21099, in Fam. Pers. Succ., 2008, 10), la perdita dei necessari punti di riferimento, e come tale, non garantisce un regime di vita razionale per i figli e per i genitori (Trib. Napoli, 22 dicembre 1995, in Fam. e dir., 1996, 459).
Recentemente, la Suprema Corte ha negato al padre l’affidamento alternato o comunque un regime di affido con tempi paritetici. Secondo la Suprema Corte il minore deve trovare stabilità nell’habitat domestico in cui vive e mantenere un rapporto il più possibile continuativo con il genitore collocatario (Cass., ord. 17 dicembre 2015, n. 25418).
Rassegna giurisprudenziale (…) omissis
Elena Falletti In Pratica Famiglia Altalex 10 dicembre 2018
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DIVORZIO
Diritti della moglie in caso di separazione e divorzio
Quando la coppia va in crisi si rischia, a volte, lo scontro per questioni di puro principio. La migliore separazione è quella che si fa di comune accordo in tribunale, anche perché, con o senza il consenso dell’altro coniuge, il giudice dichiarerà ugualmente la fine del matrimonio stabilendo quali saranno, per il futuro, i diritti e i doveri delle parti. Non è quindi con una pretestuosa opposizione che ci si può sottrarre all’applicazione della legge. Può succedere però che il naufragio delle trattative derivi dalla convinzione – spesso errata – di uno dei due coniugi di ottenere, in tribunale, qualcosa in più rispetto a quello che l’altro gli offre. Dall’altro lato c’è spesso chi non intende garantire all’ex ciò che invece gli compete. E siccome il fulcro della battaglia si concentra quasi sempre su ciò che spetta alla donna, abbiamo voluto elencare in questo articolo tutti i diritti della moglie in caso di separazione e divorzio.
Conoscendo questo elenco non c’è modo di sollevare scuse pretestuose per non rispettare gli impegni che l’ordinamento prevede in caso di scioglimento del matrimonio.
Cosa comporta la separazione. Per comprendere quali sono i diritti della moglie in caso di separazione e quelli dopo il successivo divorzio è bene spiegare qual è la differenza tra queste due condizioni. Proprio da ciò dipende infatti una diversa elencazione. Ecco allora cosa devi sapere in termini pratici e concreti.
Con la separazione cessano alcuni tipici obblighi del matrimonio come ad esempio la fedeltà e la convivenza. Ne restano in piedi altri, come ad esempio il dovere di assistenza materiale, ragion per cui – come vedremo a breve – bisogna continuare a garantire il mantenimento all’ex secondo lo stesso tenore di vita di cui questi godeva quando ancora la coppia era unita.
Cosa comporta il divorzio. Con il divorzio invece si scioglie definitivamente ogni legame tra marito e moglie. L’unico vincolo che residua è quello collegato all’assegno divorzile, che ha una funzione assistenziale, rivolta a sostenere il coniuge che non è in grado di badare a se stesso o che, in ragione dell’attività prestata per la famiglia durante il matrimonio, non ha coltivato una carriera lavorativa.
Insomma, la differenza tra separazione e divorzio è che, nel primo caso, alcuni rapporti restano in piedi mentre cessano con il successivo passo.
Si tenga infine conto che la coppia può anche decidere di rimanere separata a vita senza procedere al divorzio, non essendo quest’ultimo obbligatorio.
Diritti della moglie in caso di separazione. Il fatto che con la separazione il matrimonio non sia ancora completamente sciolto fa sì che i diritti della donna siano in parte più forti. In particolare, alla moglie separata spettano i seguenti diritti:
- l’assegno di mantenimento: il mantenimento deve tendere a garantire alla donna lo stesso tenore di vita che aveva finché è rimasta in casa con l’uomo, tenendo comunque in considerazione le effettive possibilità economiche di quest’ultimo per le maggiori spese che andrà ad affrontare (come nel caso in cui sia costretto ad abbandonare la casa). Alla moglie non spetta il mantenimento se il giudice ritiene che la colpa della fine del matrimonio sia a lei attribuibile per aver violato uno dei doveri del matrimonio: fedeltà, coabitazione, assistenza morale e materiale. Ad esempio, viene meno il mantenimento per la moglie adultera (a meno che risulti che il tradimento sia avvenuto quando già la coppia era in crisi e non aveva più rapporti), per la moglie che è andata via di casa senza più volervi tornare, per la moglie che ha abbandonato il marito malato, ecc.. Il mantenimento viene meno se la moglie inizia una relazione stabile con un altro uomo;
- la casa coniugale: alla donna spetta continuare a vivere nella casa coniugale – anche se di proprietà del marito o in comunione o in affitto – solo a condizione che il giudice abbia collocato presso di lei i figli. In una coppia senza figli o con figli grandi e autonomi, la casa resta al proprietario. Poiché l’assegnazione della casa viene disposta per tutelare i figli, essa spetta anche in presenza di addebito alla moglie;
- l’affidamento condiviso per i figli: salvo che la madre non si riveli palesemente incapace di accudire e badare ai figli, su di lei gravano gli stessi obblighi, ma anche gli stessi diritti, per quanto attiene alla crescita dei figli, alle scelte più importanti per la loro educazione e formazione. Tanto viene detto «affidamento condiviso». L’alternativa è l’affidamento esclusivo;
- la collocazione dei figli presso di sé: con la separazione o il divorzio, i figli minorenni vanno quasi sempre a stare con la madre per via della preferenza in favore di quest’ultima anche da parte della giurisprudenza. In ogni caso i figli con più di 12 anni vengono sempre sentiti e il loro parere può essere determinante nella decisione del giudice;
- il mantenimento per i figli: se i figli dovessero essere allocati presso la madre, il padre deve versare a quest’ultima un assegno periodico per le spese ordinarie oltre a una percentuale (di norma il 50%) sulle spese straordinarie. Valgono le stesse regole che vedremo nel successivo paragrafo relativo ai diritti della moglie dopo il divorzio;
- i diritti successori: se il marito dovesse morire prima del divorzio, la moglie sarebbe sua erede secondo le regole generali. Per cui, in assenza di figli, sarebbe erede universale, altrimenti è tenuta a dividere con questi il patrimonio (metà in presenza di un figlio, il 33% in caso di due o più figli). In ogni caso ha l’usufrutto legale sulla casa vita natural durante;
- la pensione di reversibilità dell’ex marito: la reversibilità è una misura che spetta al coniuge, anche se separato, in caso di morte dell’ex. Non sono previste condizioni. Non spetta la reversibilità se la moglie ha subito l’addebito;
- la possibilità di iniziare una nuova relazione e di venir meno al vincolo della fedeltà.
Se il marito dovesse andare in pensione prima del divorzio, alla moglie separata non spetta la quota del Tfr che invece le spetterebbe dopo il divorzio.
Diritti della moglie in caso di divorzio. Con il divorzio, il matrimonio cessa per sempre. Molti dei diritti della moglie che abbiamo visto con la separazione vengono meno. E difatti da questo momento in poi alla donna spetta:
- l’assegno divorzile che non deve più garantire lo stesso tenore di vita che aveva la donna in costanza del matrimonio ma solo l’autosufficienza economica. Con la conseguenza che se questa ha già un lavoro o comunque una forma di sostentamento decoroso non può rivendicare nulla. Se tuttavia la donna, durante il matrimonio, ha rinunciato alla carriera per badare alla casa, perdendo così il contatto con il mondo del lavoro, l’assegno divorzile deve essere proporzionato a tale contributo da lei offerto alla famiglia;
- l’affidamento condiviso dei figli come con la separazione;
- la collocazione dei figli fino a che non diventano maggiorenni e possono decidere da sé, come anticipato nel paragrafo della separazione;
- il mantenimento per i figli finché questi non diventano autosufficienti e, di solito, non oltre i 35 anni. Il figlio divenuto maggiorenne può chiedere che l’assegno venga versato direttamente nelle sue mani e non più alla madre, ma se tale richiesta non viene effettuata il padre dovrà comunque bonificare l’importo all’ex moglie;
- una quota del Tfr: all’ex coniuge divorziato spetta una quota del Tfr (di norma il 40%) solo se: a) titolare dell’assegno di mantenimento e sempre che detto mantenimento non sia stato pagato con un’unico assegno (cosiddetta «una tantum»); b) non risposatosi; c) il Tfr deve essere stato liquidato dall’azienda dopo la sentenza di divorzio, ma deve essere il frutto del lavoro svolto (anche solo in parte) quando la coppia era ancora sposata;
- la possibilità di risposarsi.
Con il divorzio cessano quindi i diritti successori e il diritto alla reversibilità.
Redazione La legge per tutti 16 dicembre 2018
www.laleggepertutti.it/264191_diritti-della-moglie-in-caso-di-separazione-e-divorzio
I diritti del marito in caso di separazione e divorzio
Se sei un marito e/o un padre, e hai già letto il precedente, avrai probabilmente sospirato quello che è un luogo comune di tutte le coppie separate e divorziate: «la legge tutela solo le donne». Se anche in astratto non è così – la normativa non fa differenza di genere – e se anche esistono padri che, pur avendo le disponibilità economiche, fanno mancare ai propri figli il necessario per vivere, nei fatti non possiamo negare che la donna si trovi spesso in una situazione di vantaggio. Ecco perché elencare i diritti del marito in caso di separazione e divorzio può essere più complicato di quello che si pensi. Sebbene infatti, in astratto, agli uomini spettino gli stessi diritti delle donne – per cui si potrebbe prendere l’elenco dei diritti previsti per le mogli e coniugarlo al maschile – a conti fatti, non appena si parla di collocamento dei figli e (conseguente) assegnazione della casa coniugale, il marito viene messo al bando.
Cosa significa in termini pratici? È molto semplice (e apparentemente ingiusto). Cerchiamo di spiegarlo in modo semplice. Anche se la legge non lo prevede espressamente, la Cassazione ha sposato il principio della cosiddetta maternal preference: in pratica, a parità di condizioni e di merito tra marito e moglie, i figli minorenni devono andare a convivere con la madre. E ciò anche se quest’ultima è disoccupata e non ha un appartamento dove abitare. A fondamento di tale scelta c’è una ragione di carattere biologico: la nascita dal ventre materno rende il figlio maggiormente attaccato alla mamma e, all’atto pratico, più bisognoso di questa.
I maggiorenni possono comunque decidere con quale genitore convivere, mentre quelli con almeno 12 anni devono essere sentiti dal giudice e, in quella sede, potrebbero esprimere una preferenza diversa rispetto alla regola generale.
La collocazione del figlio implica una conseguenza fondamentale nei diritti del marito in caso di separazione e divorzio: la casa coniugale viene sempre assegnata al genitore con cui vanno a vivere i figli, a conti fatti la madre. E ciò anche se la donna subisce l’addebito per aver colpevolmente decretato la fine del matrimonio.
Facciamo qualche esempio, immaginando una coppia con uno o più figli minorenni, sposata in regime di separazione dei beni, con una casa di proprietà del marito:
- se la donna dichiara all’uomo di non amarlo più, il giudice pronuncia la separazione senza addebito (non c’è colpa nel non essere più innamorati) e assegna la casa alla moglie con tutti i figli;
- se la donna tradisce il marito, il tribunale dichiara la separazione con addebito alla moglie, tuttavia le assegna ugualmente casa e figli;
- se la donna va via di casa sul più bello e lascia il marito da solo, il giudice pronuncia anche in questo caso la separazione con addebito alla moglie ma le assegna ugualmente la casa e i figli.
Come mai questo trattamento di favore? L’addebito – ossia la dichiarazione di responsabilità per il naufragio del matrimonio – ha come unica conseguenza la perdita del diritto al mantenimento. Al contrario, la casa coniugale (quella cioè ove la coppia ha prevalentemente vissuto finché è stata insieme) viene assegnata al coniuge presso i cui i figli andranno a vivere nell’esclusivo interesse di questi ultimi, affinché non abbiano a soffrire, oltre allo shock della separazione, anche la perdita dell’ambiente domestico e delle proprie abitudini.
Dunque, nel primo dei tre esempi, la donna con un reddito basso e insufficiente per mantenersi, avrà diritto:
a) al mantenimento per sé;
b) al mantenimento per i figli;
c) a vivere con i figli;
d) alla casa coniugale.
Invece negli ultimi due esempi la donna perde solo il mantenimento per sé mentre conserva tutti gli altri diritti. Insomma, tra i diritti del marito in caso di separazione e divorzio non c’è purtroppo quello di riprendersi la casa propria se la coppia ha avuto figli. In assenza di figli, invece, l’immobile resta nella proprietà del titolare o, in caso di comunione legale, va diviso (se ciò non è possibile, va venduto e il ricavato spartito al 50%).
L’uomo ha diritto al mantenimento? Al momento della separazione, potrebbe ben essere che l’uomo abbia diritto al mantenimento se disoccupato o con un reddito inferiore a quello della moglie. Tale assegno deve consentirgli di mantenere lo stesso tenore di vita che la moglie gli garantiva quando ancora i due stavano insieme.
Al momento del divorzio, invece, il mantenimento deve essere rivolto solo a consentire l’autosufficienza economica. Ciò significa che non basta la sproporzione tra i due redditi per avere il contributo mensile; deve al contrario risultare anche che l’uomo non è in grado di mantenersi da solo. Se durante il matrimonio – cosa improbabile secondo i nostri costumi – ha svolto le funzioni di “casalingo”, rinunciando alla propria carriera pur di badare al ménage domestico.
L’uomo ha diritto alla casa? L’uomo può rivendicare la casa coniugale solo se la coppia non ha avuto figli e sempre che l’immobile sia di sua proprietà. In tal caso riprenderà ciò che è suo e la moglie dovrà fare le valigie.
Un altro caso, seppur improbabile, in cui all’uomo spetta l’appartamento è quello in cui i figli vengono collocati presso di lui: improbabile perché, attesa la preferenza della madre (di cui abbiamo parlato in premessa), egli può sperare di convivere con i bambini solo se la donna dovesse risultare incapace e pericolosa per la crescita dei bambini.
Qualora la casa venga assegnata alla moglie, all’uomo spetta il diritto di prendere la propria roba entro un congruo tempo necessario al trasferimento.
L’uomo ha diritto a vedere i figli? Quando i figli vanno a vivere con la madre, l’uomo può rivendicare il suo diritto di visita dei figli cui la moglie non può mai opporsi. La donna che ostacola gli incontri tra padre e figli può perdere tanto la collocazione dei minori quanto il loro affidamento.
Il calendario delle visite dei figli, con i relativi orari, se non concordato dai genitori, viene fissato dal giudice. Come abbiamo già spiegato in I genitori separati devono trascorrere lo stesso tempo coi figli, la definizione delle visite del padre non implica per quest’ultimo il diritto di stare coi bambini tutti i giorni o comunque un numero di ore pari a quello dell’ex moglie.
L’uomo può decidere sulle questioni dei figli? La regola vuole che la gestione dei figli avvenga in base al cosiddetto affidamento condiviso: entrambi i genitori hanno gli stessi diritti e doveri sui figli. Il che significa che devono prendere insieme le scelte più importanti per la loro crescita, educazione ed istruzione. Se la madre dovesse rivelarsi pericolosa per la crescita dei bambini il padre ha diritto a chiedere l’affidamento esclusivo.
Il padre ha diritto a decidere le spese straordinarie per i figli? Quando si tratta di fissare l’assegno di mantenimento per i figli, il giudice impone al padre una somma mensile per le spese ordinarie, più la partecipazione al 50% di quelle straordinarie. Le spese straordinarie sono quelle mediche, per le gite scolastiche e per tutti gli eventi imprevedibili. Se le spese straordinarie sono urgenti o comunque necessarie (ad esempio una visita dentistica) la moglie può presentare direttamente il conto al marito chiedendogli la sua parte; per quelle invece non necessarie (ad esempio l’iscrizione a un’università privata piuttosto che a quella pubblica), l’uomo ha diritto di manifestare il proprio consenso alla scelta. In caso di disaccordo, ci si rivolge al giudice che stabilirà quale delle due decisioni è più conforme al bene del minore.
Il marito può iniziare una nuova relazione? Il marito può iniziare una nuova relazione già dopo la sentenza di separazione. Avviare una nuova famiglia è un suo diritto che non gli può essere negato o ostacolato. Sicché, scendo la Cassazione, avere altre persone da mantenere può implicare una riduzione dell’assegno di mantenimento da versare all’ex moglie. La nascita di un nuovo figlio può accentuare questo diritto del padre.
Il marito può chiedere una riduzione del mantenimento? L’uomo condannato a versare all’ex o ai figli il mantenimento può sempre chiedere la riduzione dell’importo ma solo se sopravvengono fatti nuovi e imprevisti rispetto al momento in cui è stata emessa la sentenza di divorzio. Il caso tipico è la riduzione dell’orario di lavoro, il licenziamento, una malattia che abbia ridotto la capacità lavorativa.
Un altro caso in cui il marito può chiedere la cessazione del mantenimento all’ex moglie è quando questa inizia una relazione stabile di convivenza con un altro uomo.
Il marito è erede dell’ex moglie? Se la moglie dovesse morire dopo la separazione e prima del divorzio, il marito sarebbe suo erede universale. Se la coppia ha avuto un figlio al marito spetta il 50% del patrimonio dell’ex; la percentuale si riduce al 33% in presenza di due o più figli.
Il marito non è erede se ha subìto l’addebito ossia la dichiarazione di responsabilità per la cessazione del matrimonio (ad esempio ha tradito la moglie).
Se invece la moglie dovesse morire dopo il divorzio, il marito non sarebbe mai suo erede.
La pensione di reversibilità dell’ex moglie. Al marito spetta la pensione di reversibilità se la moglie muore prima del divorzio. La reversibilità è una misura che spetta al coniuge, anche se separato, in caso di morte dell’ex. Non sono previste condizioni. Non spetta la reversibilità se il marito ha subito l’addebito.
Redazione La legge per tutti 16 dicembre 2018
www.laleggepertutti.it/264671_i-diritti-del-marito-in-caso-di-separazione-e-divorzio
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ENTI TERZO SETTORE
Codice del Terzo Settore: le modifiche nel Decreto Fiscale
http://documenti.camera.it/leg18/pdl/pdf/leg.18.pdl.camera.1408.18PDL0036030.pdf
- È stato approvato il 13 dicembre 2018 alla Camera il Decreto fiscale collegato alla Legge di Bilancio, senza modifiche rispetto a quanto uscito dal Senato. Nuove modifiche al Codice del Terzo Settore, uno dei decreti legislativi della Riforma del Terzo Settore. Ad apportare le modifiche è il Decreto Fiscale, che il 13 dicembre 2018 è stato convertito in legge, con l’articolo 24/ter. Le modifiche riguardano:
- modalità di autofinanziamento delle organizzazioni di volontariato
- titoli di solidarietà, uno strumento di finanza sociale
- distinzione tra attività commerciali e non commerciali
“Siamo soddisfatti – dichiara Claudia Fiaschi portavoce del Forum del Terzo Settore – perché l’articolo 24-ter introduce alcune modifiche al Codice del Terzo settore, come avevamo auspicato.” “La questione della possibilità di autofinanziamento delle organizzazioni di volontariato viene risolta.” Così commenta la portavoce. “Le Odv potranno autofinanziarsi utilizzando le proprie strutture e l’impegno dei volontari per attività anche diverse da quelle di “interesse generale” purché con queste connesse.”
“Un altro aspetto importante – prosegue Fiaschi – è quello che riguarda le erogazioni liberali in denaro al volontariato e all’associazionismo e la loro deducibilità. La modifica introdotta conferma il meccanismo di incentivi fiscali per chi fa donazioni in denaro, e alza al 35% la detraibilità degli oneri per chi ha fatto erogazioni liberali in natura alle associazioni di volontariato. Un importante incentivo alle donazioni per un Paese che già si distingue per la sua generosità.
Viene infine estesa la possibilità di usufruire dei titoli di solidarietà anche alle imprese sociali non profit, organizzazioni dotate di importanti attrattive per gli operatori finanziari che vorranno intervenire con questo innovativo strumento di sviluppo. “Queste modifiche – conclude Fiaschi – segnano un ulteriore passo in avanti nel percorso di riforma, tuttavia il quadro legislativo avviato nel 2017 non è ancora completo. L’auspicio è che si accelerino i tempi, in particolare per la realizzazione del Registro Unico del Terzo settore e l’approvazione del decreto sulle cosiddette “attività diverse”. Il Forum darà, come sempre, il suo contributo a Governo e Parlamento per favorire il miglior cammino della riforma.”
www.forumterzosettore.it/2018/12/17/il-decreto-fiscale-diventa-legge-dello-stato
Il professor Antonio Fici, Università del Moliseillustra cosa cambia per il non profit
www.vita.it/it/article/2018/12/14/approvato-il-decreto-fiscale-ecco-cosa-cambia-per-il-terzo-settore/150
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FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI
De Palo: “Da presidente Casellati segnali importanti di attenzione alla natalità”
“L’incontro avuto con la presidente del Senato Casellati è stato particolarmente significativo, perché ha confermato l’interesse istituzionale e personale che la seconda carica dello Stato ha nei riguardi dei temi della natalità e delle politiche fiscali che rendano giustizia alle famiglie: è anche da queste premesse che si può iniziare a ricostruire una cultura, una politica e un sistema economico che restituiscano la giusta importanza alle politiche familiari. Siamo grati all’onorevole Casellati, perché si sta spendendo di persona per mettere al centro dell’agenda politica il tema della natalità, da sempre caro al Forum Famiglie”
Così il presidente nazionale del Forum delle Associazioni Familiari, Gigi De Palo, a margine dell’incontro di oggi, in Senato, con la Presidente dell’Assemblea di Palazzo Madama, Maria Elisabetta Alberti Casellati.
“L’inverno demografico – prosegue De Palo – è un tema pienamente istituzionale. Ecco perché urge un Patto per la Natalità che coinvolga tutte le realtà del Paese con l’obiettivo di modificare lo status quo e restituire fiducia alle giovani generazioni che oggi faticano ad arrivare alla fine del mese, alle coppie con lavori a termine che, pur sognando di metter su una famiglia con due o più figli, sono sempre più spaventate dalle conseguenze a cui questo potrebbe portarle. In tal senso, il Forum è al servizio del Paese per cercare di invertire la rotta”.
Comunicato stampa 12 dicembre 2018
www.forumfamiglie.org/2018/12/12/famiglia-de-palo-da-presidente-casellati-segnali-importanti-di-attenzione-alla-natalita
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FRANCESCO VESCOVO DI ROMA
Il Papa: diritti umani al centro, anche andando controcorrente
Papa Francesco rivolge un “accorato appello” a quanti “hanno responsabilità istituzionali, chiedendo loro di porre i diritti umani al centro di tutte le politiche, incluse quelle di cooperazione allo sviluppo, anche quando ciò significa andare controcorrente”. Lo fa in un messaggio inviato ai partecipanti alla Conferenza internazionale su “I diritti umani nel mondo contemporaneo: conquiste, omissioni, negazioni” promossa a Roma dal Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale e dalla Pontificia Università Gregoriana, in occasione del 70° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, e letto dal cardinale Peter Appiah Turkson, prefetto del dicastero.
Agli ambasciatori degli Stati presso la Santa Sede, ai rappresentanti delle istituzioni delle Nazioni Unite, del Consiglio d’Europa, delle Commissioni episcopali Giustizia e Pace e di quelle per la pastorale sociale, del mondo accademico e delle organizzazioni della società civile che partecipano all’incontro, fino all’11 dicembre alla Gregoriana, il Papa ricorda che con la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 10 dicembre 1948 e con la Dichiarazione e il Programma d’azione di Vienna, del 10 dicembre 1993, “la famiglia delle Nazioni ha voluto riconoscere l’eguale dignità di ogni persona umana, dalla quale derivano diritti e libertà fondamentali” che sono “universali, indivisibili, interdipendenti e interconnessi”.
Attenzione ai più vulnerabili. Diritti ma anche doveri, perché la Dichiarazione del 1948 riconosce che “ogni individuo ha dei doveri verso la comunità, nella quale soltanto è possibile il libero e pieno sviluppo della sua personalità”. E in quest’anno di anniversari, il Papa auspica che la necessaria “riflessione approfondita sul fondamento e il rispetto dei diritti dell’uomo nel mondo contemporaneo” porti ad un “rinnovato impegno in favore della difesa della dignità umana, con speciale attenzione per i membri più vulnerabili della comunità”.
Osservando infatti le nostre società, prosegue Francesco nel suo messaggio, e le loro contraddizioni, ci si chiede se davvero “l’eguale dignità di tutti gli esseri umani, solennemente proclamata 70 anni or sono, sia riconosciuta, rispettata, protetta e promossa in ogni circostanza”. Perché purtroppo “persistono oggi nel mondo numerose forme di ingiustizia, nutrite da visioni antropologiche riduttive e da un modello economico fondato sul profitto, che non esita a sfruttare, a scartare e perfino ad uccidere l’uomo”. Così mentre una parte dell’umanità “vive nell’opulenza, un’altra parte vede la propria dignità disconosciuta, disprezzata o calpestata e i suoi diritti fondamentali ignorati o violati”.
I violati: dai nascituri abortiti agli schiavi. E qui il pensiero di Papa Francesco va “ai nascituri a cui è negato il diritto di venire al mondo; a coloro che non hanno accesso ai mezzi indispensabili per una vita dignitosa; a quanti sono esclusi da un’adeguata educazione; a chi è ingiustamente privato del lavoro o costretto a lavorare come uno schiavo; a coloro che sono detenuti in condizioni disumane, che subiscono torture o ai quali è negata la possibilità di redimersi; alle vittime di sparizioni forzate e alle loro famiglie”.
I discriminati per razza e le vittime dei mercanti di morte. Ma vittime di ingiustizia, chiarisce il Papa, sono anche coloro che “vivono in un clima dominato dal sospetto e dal disprezzo, che sono oggetto di atti di intolleranza, discriminazione e violenza in ragione della loro appartenenza razziale, etnica, nazionale o religiosa”, e anche quanti subiscono violazioni dei loro diritti fondamentali nei conflitti armati “mentre mercanti di morte senza scrupoli si arricchiscono al prezzo del sangue dei loro fratelli e sorelle”.
Ingiustizie che alimentano conflitti. Questi gravi fenomeni, prosegue Francesco, ci chiamano tutti in causa, perché quando i diritti fondamentali sono violati, o se ne privilegiano solo alcuni, oppure ancora “vengono garantiti solamente a determinati gruppi”, allora “si verificano gravi ingiustizie, che a loro volta alimentano conflitti” nelle Nazioni e nei rapporti fra di esse. Quindi tutti siamo chiamati a contribuire “al rispetto dei diritti fondamentali di ogni persona, specialmente di quelle ‘invisibili’: di tanti che hanno fame e sete, che sono nudi, malati, stranieri o detenuti, che vivono ai margini della società o ne sono scartati”.
Giustizia e solidarietà: il Vangelo e i cristiani. Il Papa infine ricorda che per noi cristiani “questa esigenza di giustizia e di solidarietà riveste un significato speciale”, il Vangelo infatti “ci invita a rivolgere lo sguardo verso i più piccoli”, a muoverci a compassione “e ad impegnarci concretamente per alleviare le loro sofferenze”. E dopo l’appello a chi ha responsabilità istituzionali, il Pontefice conclude auspicando che “queste giornate di riflessione possano risvegliare le coscienze e ispirare iniziative volte a tutelare e promuovere la dignità umana”.
Alessandro Di Bussolo – Vaticannews 10 dicembre 2018
Papa Francesco: queste persone non dovrebbero entrare in seminario
Per chi soffre di disturbi nevrotici o è omosessuale non sono adatti né sacerdozio, né vita consacrata. Nella formazione dei futuri sacerdoti, chi deve essere escluso? Papa Francesco pone dei limiti. E lo dice chiaramente in “La forza della vocazione” (Dehoniane)
- Chi è affetto da nevrosi o forti squilibri. «Quando vi sono candidati con nevrosi e squilibri forti – afferma – difficili da poter incanalare anche con l’aiuto terapeutico, non li si deve accettare né al sacerdozio né alla vita consacrata. Bisogna aiutarli perché facciano altri percorsi, senza abbandonarli. Occorre orientarli, ma non li dobbiamo ammettere». «Ricordiamo – prosegue il Papa – sempre che sono persone che vivranno al servizio della Chiesa, della comunità cristiana, del popolo di Dio. Non dimentichiamo questa prospettiva. Dobbiamo fare attenzione a che siano psicologicamente e affettivamente sani».
- Gli omosessuali. Altro nodo quelli dei candidati omosessuali. «E’ qualcosa che mi preoccupa, perché forse a un certo punto non è stato affrontato bene. (…) Nella formazione dobbiamo curare molto la maturità umana e affettiva. Dobbiamo discernere con serietà e ascoltare anche la voce dell’esperienza che ha la Chiesa. Quando non si cura il discernimento in tutto questo, i problemi crescono». Il Papa avverte: «Capita che (i problemi ndr) forse al momento non siano evidenti, ma si manifestano in seguito. Quella dell’omosessualità è una questione molto seria, che occorre discernere adeguatamente fin dall’inizio con i candidati, se è il caso. Dobbiamo essere esigenti. Nelle nostre società sembra addirittura che l’omosessualità sia di moda e questa mentalità, in qualche modo, influisce anche sulla vita della Chiesa».
Il vescovo scandalizzato. Poi Bergoglio racconta un episodio che gli è capitato. «Ho avuto da me un vescovo abbastanza scandalizzato, che mi ha raccontato di essersi reso conto che nella sua diocesi, una diocesi molto grande, vi erano vari sacerdoti omosessuali, e che aveva dovuto affrontare tutto questo, intervenendo, prima di tutto, sulla formazione, per formare un altro clero diverso. È una realtà che non possiamo negare».
“Non c’è posto per questo tipo di affetti”. «Neanche nella vita consacrata sono mancati dei casi», prosegue il Papa. «Un religioso mi raccontava che, mentre era in visita canonica a una delle province della sua congregazione, era rimasto sorpreso. Vedeva che bravi giovani studenti e anche alcuni religiosi già professi erano gay. Egli stesso aveva dubbi sulla cosa e mi ha domandato se in questo vi era qualcosa di male. “In definitiva – diceva – non è tanto grave; è soltanto un’espressione di affetto”. Nella vita consacrata e in quella sacerdotale – sentenzia Bergoglio – non c’è posto per questo tipo di affetti».
“Meglio che lascino il ministero o la vita consacrata”. Per questa ragione, ricorda ancora il Papa, «la Chiesa raccomanda che le persone con questa tendenza radicata non siano accettate al ministero né alla vita consacrata. Il ministero o la vita consacrata non sono il loro posto. I sacerdoti, i religiosi e le religiose omosessuali vanno spinti a vivere integralmente il celibato e, soprattutto, a essere perfettamente responsabili, cercando di non creare mai scandalo nelle proprie comunità né nel santo popolo fedele di Dio vivendo una doppia vita. È meglio che lascino il ministero o la vita consacrata piuttosto che vivano una doppia vita.».
Aleteia Gelsomino Del Guercio 11 dicembre 2018
https://it.aleteia.org/2018/12/11/papa-francesco-dice-non-devono-frequentare-seminario-omosessuali-e-persone-con-nevrosi/?utm_campaign=NL_it&utm_source=daily_newsletter&utm_medium=mail&utm_content=NL_it
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MIGRANTI
Card. Bassetti, “non porre ostacoli, anche di natura legislativa, all’accoglienza e al primo aiuto”
Europa: “non rinnegarla, ma non può ridursi a parametri, bilanci e decisioni varate a tavolino”
“La Chiesa cattolica, da sempre, si prende cura dei poveri, degli ‘scarti’ e degli ultimi. I poveri, anche quelli forestieri di cui non sappiamo nulla, appartengono alla Chiesa ‘per diritto evangelico’ come disse Paolo VI. Ed è in virtù di questo ‘diritto evangelico’ che la Chiesa italiana si muove con cura e compassione verso coloro che scappano dalla povertà, da guerre, carestie, fame, persecuzioni”. Lo dice il presidente della Cei, il card. Gualtiero Bassetti, in un’intervista rilasciata ad Avvenire.
“Accogliere un profugo significa salvare una vita – aggiunge il porporato -. Pertanto, in nome del Vangelo chiediamo di non porre ostacoli, anche di natura legislativa, all’accoglienza e al primo aiuto dei migranti che bussano alle nostre porte o che giungono nelle nostre coste, magari salvati in mezzo al mare”. Il presidente della Cei sottolinea che “l’accoglienza va fatta con carità, grande responsabilità e, come ha sottolineato il Papa, secondo le possibilità effettive che possono essere garantite”. “Mi dicevano alcuni vescovi africani durante il Sinodo sui giovani che le continue partenze svuotano i loro Paesi di molte potenzialità. Per questo motivo – conclude -, vanno incentivate, e non ridotte, le forme di cooperazione internazionale”.
Agenzia SIR 10 dicembre 2018
https://agensir.it/quotidiano/2018/12/10/migranti-card-bassetti-non-porre-ostacoli-anche-di-natura-legislativa-allaccoglienza-e-al-primo-aiuto
Riatti (Unicef): affido familiare è soluzione migliore per inclusione sociale di minori migranti e rifugiati
“L’impegno di Unicef in Italia, alla luce delle esigenze di oggi, si concentra soprattutto sui ragazzi migranti e rifugiati”: è quanto affermato da Anna Riatti, coordinatrice Unicef per il programma sui minorenni migranti e rifugiati in Italia, intervenuta all’iniziativa “Ragazzi al centro”, meeting nazionale organizzato dall’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza che si sta svolgendo a Roma.
Riatti ha presentato U-Report, “un progetto di Unicef in 40 Paesi con 6 milioni di ragazzi e ragazze reporter che partecipano alla piattaforma. È una piattaforma digitale: i ragazzi e le ragazze si parlano tra loro e con noi usando i social media (in alcuni Paesi, anche telefono ed sms). Ascoltiamo bisogni e paure di questi ragazzi”. Rispetto all’attuazione del progetto in Italia, Riatti ha raccontato di “un sondaggio lanciato insieme con l’Autorità garante sulla conoscenza della Convenzione per i diritti dei ragazzi e degli adolescenti. Abbiamo scoperto che molti ragazzi migranti e rifugiati conoscono poco i contenuti della Convenzione e dunque i propri diritti. Molti vorrebbero vivere in famiglia, un diritto sancito dalla Convenzione. Per questo, il nostro impegno è supportare forme di accoglienza diverse da quelle dei centri di accoglienza. Portiamo avanti il discorso dell’affido familiare – ha concluso – per una maggiore inclusione sociale
Agenzia SIR 10 dicembre 2018
https://agensir.it/quotidiano/2018/12/10/minori-riatti-unicef-affido-familiare-e-soluzione-migliore-per-inclusione-sociale-di-minori-migranti-e-rifugiati/
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MINORI
Tutela dei minori e pragmatismo dei giudici
Verso il riconoscimento delle «nuove» forme di filiazione e genitorialità?
- Premessa – 1.2 La mancata regolamentazione dell’omogenitorialità nella legge sulle unioni civili
- Prima i bambini: i tre principali filoni giurisprudenziali in materia di riconoscimento delle «nuove» forme di genitorialità – 2.1 La «stepchild adoption» o, per meglio dire, l’adozione in casi particolari – 2.2 La trascrivibilità nei registri dello stato civile dell’atto di nascita con due genitori dello stesso sesso – 2.2.1 L’interpretazione costituzionalmente conforme della legge n.40 del 2004: un’ulteriore apertura a favore del riconoscimento dell’omogenitorialità – 2.3 La trascrivibilità nei registri dello stato civile delle sentenze straniere di adozione a favore di coppie omosessuali
- L’intervento della Corte costituzionale e le altre ordinanze di rimessione
- Osservazioni conclusive
Premessa. Sempre più spesso, oggi, si avverte la difficoltà – se non addirittura il timore – di confrontarsi con le «nuove» parole necessarie a descrivere e regolare la complessa fenomenologia che caratterizza la famiglia, la riproduzione e le relazioni affettive. È una difficoltà che si trasforma in evidente incapacità, e a volte manifesta riluttanza, nel caso del legislatore italiano, il quale sembra aver abdicato al suo ruolo di decisore politico lasciando al giudice il compito di supplire alla mancanza di un quadro giuridico di riferimento, all’interno del quale disciplinare lo scarto sempre più vistoso tra realtà sociale e realtà giuridica.
Omogenitorialità, procreazione medicalmente assistita e gestazione per altri sono quelle «nuove» parole che spaventano il legislatore – per ragioni legate alla necessità di acquisire il consenso politico e la maggioranza in Parlamento, ma anche per ragioni etiche e culturali –, e che invece interrogano sempre più di frequente il giudice.
La vita, infatti, procede oltre il diritto, specialmente quando questo si dimostra statico e inadeguato a fronteggiare l’incessante evoluzione della società, della tecnologia e della cultura. I rapidi avanzamenti delle possibilità offerte dalle tecniche mediche e, accanto ad essi, la veloce trasformazione della società mostrano l’arretratezza delle leggi e, viceversa, il ruolo decisivo assunto dalla giurisprudenza, sia essa costituzionale o ordinaria. Tuttavia, se al legislatore è «consentito», per quanto criticabilmente, attendere e rinviare, al giudice invece no. Il giudice non può rifiutare di decidere. E nella inevitabile tensione tra discrezionalità legislativa e tutela dei diritti fondamentali, che una tale incertezza giuridica è venuta creare, non si può certo «biasimare» l’attivismo dei giudici che si sono trovati a dover colmare veri e propri vuoti normativi, «inventando» (nel senso del latino «invenire», ossia «trovare») soluzioni giuridiche adeguate.
In questo quadro anche il contributo della giurisprudenza europea è stato fondamentale non solo per i contenuti sostanziali delle pronunce ma anche per aver favorito il mutamento della coscienza sociale e stimolato l’emergere di una maggior sensibilità, nell’opinione pubblica e nel mondo politico, verso la condizione delle persone gay e lesbiche e delle loro famiglie. Il riconoscimento dei diritti per via giurisprudenziale, in un ordinamento di civil law come quello italiano, non può che procedere per piccole tappe e, non necessariamente, in modo lineare. Portare alla luce, quindi, le tecniche e i principi che stanno guidando l’opera di ricostruzione del diritto vigente da parte delle corti italiane è estremamente utile, anche alla luce della progressiva intensificazione dei canali di interazione tra i diversi ordinamenti e tra i giudici delle Corti supreme nazionali e straniere in un dialogo indotto dall’esigenza di dare esecuzione a principi e norme di diritto internazionale o sovranazionale ma anche dall’osmosi tra culture giuridiche la cui vocazione transfrontaliera e multiculturale si è resa sempre più concreta. È, dunque, una tutela di tipo giurisdizionale quella che è stata ottenuta dalle famiglie omogenitoriali con riguardo a taluni provvedimenti emessi in tema di affidamento di minori a coppie lesbiche e gay, di adozione coparentale a favore del partner omosessuale o di trascrizione dell’atto di nascita del minore con due genitori dello stesso sesso. (…) omissis
Luca Giacomelli Osservatorio costituzionale fascicolo 3/2018 10 dicembre 2018
L’Osservatorio costituzionale è una rivista quadrimestrale di attualità costituzionale, fondata nel 2013 dall’Associazione Italiana dei Costituzionalisti
www.osservatorioaic.it/images/rivista/pdf/39-Giacomelli_definitivo.pdf
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OSPITALTÀ
A Betlemme con Maria incinta di Gesù
Siamo ormai alle soglie del Natale, una festa che ha necessariamente un’impronta femminile. Noi stiamo seguendo in modo libero il Vangelo di Luca proprio secondo un’angolatura particolare: quella delle donne che si incrociano con la storia del protagonista per eccellenza del suo racconto evangelico, il Cristo. In due tappe – in questo e nel prossimo numero – ricomporremo la presenza della madre di Gesù, Maria. Certo, ci sono due antefatti che la riguardano: l’annunciazione di quella nascita straordinaria e la visita all’altra madre che abbiamo già incontrato, Elisabetta. Noi, però, riserviamo questi due eventi alle rispettive cadenze del calendario liturgico, il 25 marzo e il 31 maggio del prossimo anno.
Seguiamo, dunque, questa giovane incinta che con il suo sposo Giuseppe giunge a Betlemme, la patria del re Davide. Secondo i calcoli cronologici degli studiosi, siamo attorno al 6 a.C., mentre sulla Palestina regnava Erode che morirà nel 4 a.C. e sull’Impero romano Augusto (30 a.C.-14 d.C.), che controllava quest’area attraverso un governatore di stanza in Siria, Quirinio. È noto che l’errore di datazione è imputabile ai calcoli di un monaco della Scizia, Dionigi il Piccolo, ma non è il caso di entrare ora in questa disputa. Sta di fatto che si sta eseguendo uno dei molteplici censimenti che i Romani imponevano ai loro sudditi per ragioni fiscali.
Spesso queste operazioni esigevano che i censiti si registrassero nella sede di origine del loro clan familiare. E così, Giuseppe, «figlio di Davide» (Matteo 1,20), cioè appartenente alla genealogia del celebre re ebraico, è costretto con la sua sposa incinta a scendere dalla regione settentrionale di Galilea fino alla meridionale Giudea, nella «città di Davide chiamata Betlemme proprio perché apparteneva al casato della famiglia di Davide» (Luca 2,4). Si può immaginare come sia stato faticoso questo trasferimento per una donna incinta, ormai prossima a partorire, come era allora Maria.
Appena entrati in Betlemme, ecco l’affannosa ricerca di un’ospitalità, impegno reso difficile dall’affollarsi di altri più o meno reali discendenti di Davide confluiti in quel villaggio per il censimento. Luca sottolinea che quella coppia povera non trovò posto nel katályma. Questo vocabolo greco ha vari significati possibili: locanda, casa, alloggio, soggiorno, stanza. Prevalente è, però, l’idea della stanza di una casa, come si ha nel racconto dell’ultima cena, quando i discepoli devono chiedere, su indicazione di Gesù, a un cittadino gerosolimitano: «Dov’è la stanza (katályma) in cui posso mangiare la Pasqua con i miei discepoli?» (Lc 22,11).
Perciò, è probabile che i parenti di Giuseppe non avessero più a disposizione una stanza per lui e la sposa incinta. Gli offrirono, allora, uno spazio collegato alle residenze di allora, ove erano ospitati gli animali di notte e d’inverno e ove spesso si riuniva la famiglia nelle serate fredde. È san Girolamo che visse per decenni a Betlemme a evocare questo riparo offerto da una grotta naturale o scavata nella roccia, addossata o inglobata nella casa di una famiglia. Si spiega, così, la mangiatoia che funge da culla per il neonato Gesù. Infatti, come narra Luca, là «si compirono per Maria i giorni del parto e diede alla luce il suo figlio primogenito» (2,7). Ma su questa nascita ritorneremo la prossima settimana, ormai nell’imminenza della solennità del Natale, tenendo sempre puntato il nostro sguardo sulla mamma di Gesù.
Gianfranco Ravasi, Cardinale arcivescovo e biblista 13 dicembre 2018
www.famigliacristiana.it/blogpost/a-betlemme-con-maria-incinta-di-gesu.aspx?utm_source=newsletter&utm_medium=newsletter+fc&utm_content=blog&utm_campaign=fc1850
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PARLAMENTO
Senato della Repubblica – Commissione Giustizia – Affido dei minori
4 dicembre 2018. L’Ufficio di Presidenza, integrato dai rappresentanti dei Gruppi, ha svolto alcune audizioni informali di Associazioni nell’ambito dell’esame dei Disegni di legge nn. 45, 118, 735, 768 e 837, in materia di affido di minori.
www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=SommComm&leg=18&id=1084082
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PSICOLOGIA
Psicologo o psicoterapeuta: a chi rivolgersi?
Quando hai bisogno di un supporto psicologico molto spesso il quesito che ti poni è: a chi mi rivolgo? Per scegliere bene è importante capire innanzitutto la differenza tra psicologo e psicoterapeuta.
Scegliere un professionista, di qualunque ambito si tratti, non è mai facile. Trovare poi quello giusto quando la problematica è di natura psicologica è ancora più difficile. Ti senti fragile, senza energie, bisognoso di qualcuno che entri in sintonia con te e che ti capisca senza quello sforzo che sei costretto a fare con tutte le altre persone con cui ti relazioni. A volte, avresti solo bisogno di parlare, aprirti, scoprirti, essere ascoltato senza giudizio ma con accoglimento ed apertura. Poi però devi fare i conti con la vastità di professionisti che ti promettono tutto questo. Devi cioè saper scegliere quello che realmente possa aiutare te. Psicologo o psicoterapeuta: a chi rivolgersi? Ti rivolgo questa domanda perché c’è una sostanziale differenza tra le due professionalità ed è bene conoscerle se sei alla ricerca un supporto psicologico. Questo articolo ti aiuterà a capire proprio questo. Avrai sentito parlare infatti di queste due figure più e più volte e magari avrai visitato la loro pagina facebook o il loro sito e avrai notato tante similitudini e ti sarai chiesta: come faccio a scegliere? Ma soprattutto: qual è la differenza? Ecco, questo articolo ti aiuterà proprio in questo. A fare chiarezza su due professioni, apparentemente simili, che possono o meno coincidere con la stessa persona ma che concretamente operano su tematiche diverse, così da poter restringere la tua ricerca e trovare con più facilità la persona giusta che possa supportarti. Inizierò con il parlarti dei due criteri principali con i quali oggi scegliamo lo specialista giusto, così da accrescere la tua consapevolezza sui punti di forza o meno che li caratterizzano.
Criteri con cui scegliamo un professionista. Inizio con il dirti che non sarà un curriculum a determinare la scelta di chi ti aiuterà, né tanto meno i master o i titoli che su carta un professionista può annoverare. La statistica ci dice il primo criterio di selezione è quello dell’antico quanto spesso efficace passaparola. Pensaci, quando hai un dolore fisico che non sai spiegarti oppure quando sei preoccupata per una patologia che conosci ma di cui vuoi una diagnosi più precisa, generalmente cosa fai per prima cosa? Pensi a tutta la tua rete di conoscenze ed inizi a scervellarti finché non ti viene in mente qualcuno che possa aiutarti fornendoti un canale di accesso preferenziale alle informazioni di cui necessiti.
Se da un punto di vista fisico sei molto più abituato a chiedere assistenza ed informazioni, nel campo psicologico al contrario è ancora diffusa purtroppo la cultura della vergogna e del “dovercela fare per forza da solo”. Questo per dirti che la rete di consiglio amicale in questa sfera è ancora più importante ed utilizzata. Devi trovare, infatti, non solo qualcuno che ti aiuti ma che ti chiede in cambio apertura ed impegno nel mettere in luce la sfera più intima di te.
Se poi nelle tue conoscenze più strette nessuno ti convince o propone qualcuno di fiducia la seconda opzione è il medico, generalmente quello di base o di cui ti fidi di più. Analizzando i pro e contro di questo criterio di selezione ritengo che abbia senza dubbio il vantaggio di esporti ad un minor rischio circa la serietà e affidabilità del professionista a fronte di un’esperienza positiva vissuta da terzi ma il rischio è quello di fidarti troppo a scapito di un ulteriore approfondimento che comunque ti serve per capire se fa al tuo caso.
Un altro canale oggi in seconda posizione per scegliere uno psicologo è il web. Riesci a contare le volte in cui fino ad oggi hai aperto Google per cercare un professionista, soffermandoti in modo particolare sulle sue recensioni o su ciò che egli stesso scrive? Non credo. Saranno infinite le volte in cui ti sarà capitato.
Oggi il mondo digitale ha preso piede in modo estremamente consistente nelle tue decisioni, anche quelle che riguardano la tua salute.
Per ciò che concerne uno psicologo sicuramente ciò che aiuta è anche la sua presenza nel mondo dei social network. Sto parlando di un profilo professionale su Facebook, Instagram, Twitter o Linkedin ad esempio, poiché condividendo idee e pensieri, avrai modo di entrare in connessione con lui, osservarlo, darti tempo e modo di comprendere meglio se il suo mondo professionale possa sposarsi con i tuoi bisogni. Rispetto a questo secondo criterio i pro e i contro si invertono rispetto al precedente. Cioè se in questo caso, per timore di incappare nella persona sbagliata, hai reperito un grande numero di informazioni sulla persona perché non hai conoscenze in comune con lui al contrario il rischio potrebbe essere quello di non avere garanzie effettive sulla sua affidabilità.
Questo perché anche a fronte di commenti positivi, le persone che recensiscono non le conosci e non sai chi ti sta consigliando.
Concludendo, noterai che la credibilità nei confronti di qualcuno che si occupa della tua salute viaggia di pari passo con tua stima nei confronti di chi già conosci e la fama che gli viene riconosciuta nel mondo virtuale. Sarebbe ottimale integrare i due criteri così da poter ottenere il meglio. Dopo aver compreso i pro e contro dei canali da poter attivare nella ricerca del professionista è bene andare a fondo sulle caratteristiche e le differenze delle due figure principali che ti potrebbero proporre o che tu stesso troverai sul Web: lo psicologo e lo psicoterapeuta.
Differenze tra psicologo e psicoterapeuta. C’è molta confusione, anche tra gli stessi professionisti, su ciò che distingue uno psicologo da uno psicoterapeuta. Il rischio è quello di assimilare uno all’altro o di ignorarne totalmente le differenze o il margine di azione. Mi è capitato di ascoltare il racconto di molte persone che dopo anni di terapia hanno deciso di cambiare repentinamente professionista o hanno concluso autonomamente il percorso senza dare spiegazioni.
Molte di queste volte sicuramente i motivi prescindevano le competenze del terapeuta, ma in altri casi le ragioni erano date dall’ignoranza del cliente e/o paziente alla base della scelta, intesa come carenza di informazioni sul professionista e sul percorso cui sarebbe andato incontro.
Ovviamente, la trasparenza dovrebbe appartenere primariamente al professionista che detiene l’effettiva conoscenza del suo lavoro, ma poiché non sai chi avrai di fronte devi tutelarti approfondendo al massimo delle tue possibilità.
Psicologo e psicoterapeuta sembrano per molti la stessa figura, mentre invece operano con strumenti diversi perché si occupano di ambiti differenti. La premessa è che uno psicoterapeuta per ovvi motivi sarà necessariamente anche uno psicologo ma non è detto che si verifichi il contrario. Questo è dato dal fatto che entrambi hanno conseguito una laurea in psicologia e si sono iscritti all’Albo degli Psicologi, ma la scuola di psicoterapia che succede la laurea non è obbligatoria e soprattutto non è sempre necessaria.
La scelta del professionista, di frequentarla o meno, dipenderà dal target di utenza che vorrà trattare e dalle tematiche in cui si specializzerà in virtù degli interessi sviluppati dopo la laurea. Potrai quindi trovarti nella situazione di leggere la dicitura “psicologo” oppure “psicologo e psicoterapeuta”. Scopri con me le differenze di applicazione.
Differenze di applicazione. Lo psicologo lavora con il disagio psicologico e quindi con la persona che ha una personalità strutturata e le capacità per poter autonomamente fronteggiare le sue difficoltà. Lo psicologo servirà lui per mettere in luce tutto ciò che ha già dentro di sé, per ampliare i suoi orizzonti, per favorire una rilettura della realtà attraverso la ricerca, la mobilitazione ed il potenziamento di risorse utili di cui non ha consapevolezza. Ne consegue che ipoteticamente chiunque può avvalersi di un supporto psicologico in questo senso perché chiunque può attraversare periodi di crisi, decisioni difficili da prendere, momenti di forte conflittualità interna, tutti noi nell’arco della vita sperimentiamo il disagio psicologico.
Ci saranno ovviamente livelli diversi di gravità così come di supporto di cui ognuno nella vita gode e questo, associato ad altri fattori come la nostra esperienza di vita ed educazione familiare, farà la differenza nella decisione di chiedere o no un aiuto esterno. Lo psicologo non ha una funzione terapeutica. Non cura cioè una malattia perché non si rapporta con la patologia. È un esperto della salute e fa interventi mirati alla prevenzione, diagnosi, riabilitazione e sostegno. Si occupa del tuo benessere psicofisico e crescita personale, interviene per risolvere situazioni conflittuali e per migliorare le tue relazioni attraverso ad esempio una migliore gestione della comunicazione.
Lo psicoterapeuta, invece, è necessariamente anche uno psicologo ma ciò che lo caratterizza è che lavora con il disturbo. Avrà per questo una funzione terapeutica e disporrà di strumenti differenti atti a trattare la patologia. Ogni psicoterapeuta seguirà un approccio differente in riferimento alla scuola che ha frequentato ed è ad esempio utile, in questo caso, documentarti su quale sia quello seguito dalla persona a cui ti stai rivolgendo per capire quali sono le peculiarità che lo caratterizzano.
Ti faccio un esempio per capire meglio a livello pratico come si traduce ciò di cui ti ho parlato finora. Hai un attacco di panico. Da chi devi andare? Per un primo consulto puoi rivolgerti sia ad uno psicologo che ad uno psicoterapeuta, nel caso infatti in cui si stia parlando di un episodio isolato o di un primo episodio, il cosiddetto “attacco di panico inatteso”, la situazione è ancora da definire e la materia può essere di competenza di entrambi. Nel caso in cui tu invece soffra di attacchi di panico ricorrenti sviluppando un vero e proprio disturbo da panico potrà seguirti esclusivamente uno psicoterapeuta.
Riassumendo. È importante dunque, a fronte di tutto ciò che hai letto, documentarti innanzitutto su chi si occuperà della tua salute e poi non avere timore di fare domande sul percorso che andrai ad iniziare. Ti consiglio anche di chiedere sempre più di un parere da professionisti diversi. È normale che tu non abbia le competenze per fare un’autodiagnosi ma è fondamentale non andare alla cieca dal primo specialista che ti consigliano perché è “bravo”. La problematica della tua amica potrebbe non avere nulla a che vedere con la tua situazione, oppure un particolare tipo di approccio che va bene per lei potrebbe non aiutare te. Informarsi non è sfiducia bensì un atto di cura verso di te ed il primo passo per poter scegliere con consapevolezza.
Pamela Maiuri Salute e benessere 14 Dicembre 2018
www.laleggepertutti.it/254236_psicologo-o-psicoterapeuta-a-chi-rivolgersi
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SEPARAZIONE
Finta separazione consensuale
Tribunale di Cagliari – Sezione civile – Sentenza n. 1628, 6 giugno 2018
Simulare uno stato di disoccupazione o una separazione col proprio coniuge pur di ottenere sussidi pubblici non è una situazione nuova per gli italiani. Solo nell’ultimo anno, l’Inps ha stanato ben 6.400 separazioni fittizie necessarie ad abbassare l’Isee e a ottenere pensioni e assegni sociali. Peccato che le coppie continuavano a vivere, di fatto, sotto lo stesso tetto nonostante la falsa residenza collocata altrove. E che dire dei falsi licenziamenti per giusta causa solo per truffare le casse dell’Inps e percepire l’assegno di disoccupazione (la Naspi) mentre il rapporto di lavoro prosegue in nero? Secondo la Cgia di Mestre tale fenomeno sarebbe cresciuto del 26,5% solo nel 2016.
Insomma i furbetti della “nullatenenza” – condizione necessaria per eludere il fisco, scacciare il recupero crediti o per ottenere sussidi e prestazioni assistenziali – non è affatto una novità. Chiaramente si tratta di comportamenti che costituiscono reato, una truffa ai danni dello Stato e chi viene scoperto (non sono in pochi) è condannato non solo a restituire tutti gli importi sottratti all’erario ma deve fare i conti anche con un processo penale e la macchia sulla fedina penale.
Poco meno di un matrimonio su tre naufraga. La statistica è stata elaborata sulla base dei procedimenti di separazione approdati in tribunale o al Comune. I dati però non tengono conto di una consistente fetta di casi dietro cui si nasconde solo un intento simulatorio: la separazione consensuale è a volte solo fittizia, rivolta a ottenere benefici assistenziali, fiscali o a sottrarsi al recupero crediti.
Il fenomeno della finta separazione consensuale ha preso una dimensione inaspettata nel nostro Paese un po’ per la crisi, un po’ per la pressione fiscale, un po’ per l’ormai nota “aspirazione” di molti a ottenere benefici non dovuti. Ragion per cui anche le amministrazioni si sono attrezzate per scovare i furbetti attraverso una serie di controlli incrociati. Di tanto parleremo a breve: spiegheremo cioè cos’è e come si fa una finta separazione consensuale, quali documenti sono necessari, quanto dura e quanto costa la procedura, quali sono i vantaggi ma anche i rischi.
Ogni coppia si può separare liberamente. Ciascuna coppia è libera di separarsi quando vuole, anche se continua a vivere insieme. La legge stabilisce il diritto di ogni coniuge di ricorrere al tribunale, con o senza il consenso dell’altro, per far sciogliere il legame matrimoniale. Il presupposto è ovviamente l’intollerabilità della convivenza, ma il giudice non accerta la reale sussistenza di tale presupposto limitandosi a dar per buona la dichiarazione della parte che vi si rivolge. Non è quindi necessario, per separarsi, dimostrare di litigare con il coniuge o di non amarlo più. Questo significa che ogni coppia può, in qualsiasi momento, e al di là dell’effettiva esistenza di una crisi in atto, separarsi.
Se marito e moglie sono d’accordo su tutti gli aspetti del distacco (assegno di mantenimento, divisione dei beni, ecc.), la separazione si risolve in un’udienza sola con la ratifica dell’intesa da questi prospettata al giudice e redatta con un ricorso da un avvocato. Si parla a riguardo di separazione consensuale. Se la coppia non ha figli o questi sono indipendenti economicamente e se, nello stesso tempo, gli accordi di separazione non prevedono il trasferimento di beni (eccezion fatta solo per l’assegno di mantenimento), la procedura di separazione può avvenire in Comune, senza così bisogno di avvocati e di spese processuali.
Non è detto che le parti debbano necessariamente stabilire un mantenimento, ben potendo il coniuge più “povero” rinunciarvi. Non si può però escludere il mantenimento in favore dei figli, al quale ciascun genitore è obbligato. Se invece i coniugi non raggiungono un accordo, si va in causa. Si parla a riguardo di separazione giudiziale.
Come fare una separazione consensuale. Fare una separazione consensuale è davvero molto semplice. Esistono tre vie diverse.
- La prima è la separazione consensuale in tribunale. Entrambi i coniugi possono nominare un proprio avvocato o averne uno che li difenda congiuntamente (così risparmiando sulle spese legali). Il legale recepisce in un atto il contenuto della volontà dei coniugi: dall’eventuale presenza di un assegno di mantenimento alla assegnazione della casa coniugale, dall’affidamento dei figli minori agli orari di visita, ecc. Il ricorso viene così depositato in tribunale con allegati l’atto di matrimonio, lo stato di famiglia e di residenza dei coniugi. Il giudice fissa un’udienza (di solito dopo 4 mesi) e, alla stessa, “ratifica” l’accordo. Da quel momento i coniugi possono vivere separatamente, si spezza l’obbligo di fedeltà e iniziano a decorrere i sei mesi per poter poi divorziare. Per il divorzio è necessario un procedimento ulteriore, del tutto uguale a quello della separazione. Il costo della procedura è di circa 42 euro più ovviamente la parcella degli avvocati.
- La seconda via per separarsi è la negoziazione assistita. Del tutto uguale alla precedente fase per quanto riguarda la redazione dell’atto di separazione. Non c’è però l’udienza in tribunale: l’atto viene convalidato direttamente dagli avvocati che poi si preoccupano di depositarlo in tribunale per una sorta di “nulla osta” finale.
- La terza via è la separazione in Comune senza bisogno di avvocati e completamente gratuita. A questa procedura però possono accedere solo le coppie che non hanno figli, o i cui figli maggiorenni (purché non portatori di handicap) hanno raggiunto l’indipendenza economica e sempre a condizione che, negli accordi di separazione, non sia prevista la divisione di beni, mobili o immobili. In ogni caso l’accordo di separazione può prevedere la corresponsione dell’assegno di mantenimento.
Separazione consensuale fittizia. Come fare a distinguere una separazione reale da una fittizia? A prima vista è impossibile. Bisognerebbe entrare in casa dei coniugi e verificare se davvero l’armonia familiare si è spezzata. Ma, come detto, la legge non richiede una verifica di tale presupposto: il fatto stesso che uno o entrambi i coniugi si presentino dal giudice a chiedere la sentenza separazione è elemento più che sufficiente per presumere che l’amore sia finito.
Premesso che ci si può ben separare anche se ci si ama ancora (e, del resto, tante coppie lo fanno pur continuando ad avere un ottimo rapporto e a frequentarsi quotidianamente), ciò che la legge vieta è l’intento fraudolento. Se però lo scopo della separazione fittizia è tentare di aggirare un’azione legale di un privato le uniche sanzioni saranno di carattere civile (con la dichiarazione di simulazione della separazione o con la revocatoria della stessa). Viceversa, se scopo della separazione fittizia è frodare lo Stato allora si possono accompagnare anche le sanzioni penali. Facciamo qualche esempio.
Separazione per non pagare i creditori. Spesso marito e moglie decidono di separarsi solo per dividere i propri patrimoni (prima uniti per via della comunione legale). In questo modo, chi dei due ha contratto debiti (magari per un’attività d’impresa) trasferisce all’altro, in ottemperanza agli accordi di separazione consensuale, case, altri immobili e conti correnti. Ad esempio, il marito cede alla moglie la casa a fronte della sua rinuncia all’assegno di mantenimento. Risultato: i creditori del primo non potranno più pignorare i beni trasferiti all’altra.
È comunque necessario che il creditore riesca a dimostrare che, dietro la separazione, si nasconde uno scopo simulatorio. Come? Ad esempio se la coppia continua a vivere nella stessa dimora anche dopo la separazione, nonostante il cambio di residenza di uno dei due, e anche il coniuge non debitore è pienamente consapevole delle difficoltà economiche dell’altro (per cui risulta che ha “partecipato” attivamente al suo intento fraudolento) il creditore può pignorare i beni a quest’ultimo trasferiti.
Sono già numerose le sentenze che hanno revocato la separazione fittizia. Secondo il tribunale di Cagliari, di recente espressosi sull’argomento, l’atto di trasferimento di beni immobili in favore del figlio maggiorenne, disposto a seguito degli accordi raggiunti in sede di separazione personale, è suscettibile di revocatoria, qualora, più che far fronte agli obblighi di mantenimento, sia finalizzato a provocare per il creditore maggiori difficoltà o incertezze nella esazione del credito.
Innanzitutto, il giudice ricorda come pacificamente la giurisprudenza di legittimità ritiene che tra gli atti di disposizione del patrimonio del debitore, che possono diminuire la garanzia patrimoniale di quest’ultimo, rientrano anche i trasferimenti effettuati in adempimento degli accordi presi in sede di separazione per il mantenimento del coniuge o dei figli, in quanto ai fini dell’azione revocatoria non rileva lo «scopo ulteriore, avuto di mira dal debitore». Pertanto, anche nei confronti degli «atti aventi un profondo valore etico e morale» sussiste la possibilità di esperire l’azione revocatoria. Tali trasferimenti, poi, hanno una «tipicità propria», nel senso che, a seconda delle circostanze di fatto, possono presentarsi come atti onerosi piuttosto che gratuiti.
Ciò posto, nel caso di specie, per il Tribunale si è trattato di un atto a titolo gratuito, in quanto l’entità e le caratteristiche del compendio immobiliare trasferito e la differenza di trattamento della figlia rispetto agli altri fratelli «non pongono in condizioni di reciprocità e di corrispettività l’adempimento del dovere genitoriale di contribuire al mantenimento dei figli con la prestazione in tal senso eseguita».
In sostanza, il trasferimento degli immobili non è avvenuto con funzione meramente sostitutiva rispetto alla previsione di un assegno periodico e, quindi, deve essere qualificato come atto a titolo gratuito.
Separazione per percepire contributi assistenziali e previdenziali. Un altro tipico caso che porta molte coppie a separarsi in modo fittizio è rivolto a percepire assegni o pensioni sociali, social card, bonus asili ed altre agevolazioni tramite l’abbassamento del rispettivo Isee. Si tratta in questo caso di una truffa ai danni dello Stato che, oltre al procedimento penale, comporta l’obbligo di restituzione di tutte le somme indebitamente percepite.
Anche la Guardia di Finanza potrebbe mettersi a effettuare controlli quando lo scopo della finta separazione è quello di ottenere sgravi, detrazioni o altre agevolazioni fiscali non dovute. Si pensi al caso della tassazione della seconda casa.
Inoltre, il coniuge che a seguito della separazione fittizia sia obbligato al versamento dell’assegno mantenimento, potrà dedurne l’importo dal proprio reddito e, di conseguenza, l’imposta sul reddito da versare sarà ulteriormente diminuita.
Senza contare la possibilità per uno dei due coniugi di ottenere un alloggio popolare.
Ma come fa lo Stato a capire che la separazione è falsa? Spesso la coppia commette leggerezze. Ad esempio uno dei due coniugi fissa la propria residenza in una “seconda casa” ove non abita nessuno: ebbene, dalle bollette delle utenze è facilmente comprensibile se la l’immobile è effettivamente abitato o meno. Altre volte è successo che l’Inps abbia revocato l’assegno sociale solo perché la coppia, nel proprio atto di separazione, ha concordato la prosecuzione della coabitazione almeno finché uno dei due non abbia trovato un nuovo alloggio: una situazione di questo tipo ha fatto presumere alla pubblica amministrazione l’intento simulatorio.
Redazione La legge per tutti 16 dicembre 2018
www.laleggepertutti.it/264188_finta-separazione-consensuale
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TEOLOGIA
Indagini continue su Dio
Pochi sanno che a coniare il termine «teologia» non sono stati i cristiani ma Platone nella sua Repubblica (n. 379a), ove considerava la theologhía, cioè il “discorso” o l’indagine su Dio, come una delle mete di ricerca non solo del pensiero ma anche dei «versi epici o lirici o dei testi della tragedia». Il suo discepolo Aristotele nella Metafisica (n. 1026a) articolerà meglio il tema, mettendo la teologia al vertice delle scienze “contemplative” (in greco theoretikai), cioè la matematica, la fisica e appunto la teologia. È su questa base che il vocabolo entrerà nella tradizione cristiana: nel Nuovo Testamento abbiamo, infatti, solo i due anelli che compongono la parola ma non congiunti tra loro: da un lato, théos, «Dio», citato ben 1317 volte, e lógos, «discorso», presente 330 volte.
Questa premessa filologica vuole inquadrare il rimando a una solida e duratura collana dell’editrice bresciana Queriniana il cui titolo è emblematico: «Biblioteca di teologia contemporanea». Essa fu inaugurata nel 1969 col saggio di un autore nato in Baviera nel 1928 e allora docente a Münster, Sulla teologia del mondo, apparso in tedesco l’anno prima. L’opera, che rifletteva l’atmosfera socio-culturale e non solo ecclesiale di quel periodo, divenne una sorta di manifesto della cosiddetta “teologia politica”, preoccupata di calibrare meglio il rapporto tra la Chiesa e il mondo, tra la fede e il divenire storico, nella consapevolezza che «la salvezza, a cui si riferisce nella speranza la fede cristiana, non è una salvezza privata». Cristo stesso non si era auto-recluso nell’intimo del suo incontro col Padre, né si era isolato nell’oasi protetta del sacro, ma si era immerso e incarnato nella realtà storica e sociale.
Da quel volume è discesa una genealogia bibliografica contrassegnata da una costante identità anche grafica e cromatica ma soprattutto aperta a tutte le voci più importanti, significative o anche provocatorie del fecondo arco post-conciliare. Tanto per fare qualche nome, pensiamo a Bonhoeffer e a Ratzinger (la sua Introduzione al cristianesimo ebbe un numero enorme di riedizioni, anche prima della sua ascesa al pontificato), a Moltmann, a Küng, a Pannenberg, a Congar, a Bultmann, a Kasper, Drewermann, von Balthasar, Boff, Gutiérrez, Brown, Meier e così via. Si ha, così, un vero e proprio panorama della riflessione teologica contemporanea, anche con l’incursione recente di figure minori rispetto a quelle appena elencate, segno forse di un affanno in cui si dibatte l’attuale ricerca teorica cristiana.
Ora la collana sta veleggiando verso i duecento titoli: tra gli ultimi segnaliamo la trilogia dei numeri 189, 190 e 191 che toccano temi segnati da un’impronta di originalità. Basta la titolatura del primo, Vangelo e Provvidenza, a rispolverare un vocabolo in passato trionfante non solo nella predicazione ma anche nella retorica apologetica popolare, una realtà ora sostituita dalla ben più realistica “previdenza”. Emmanuel Durand, domenicano francese docente a Ottawa in Canada, mostra la complessità della categoria “provvidenziale” che comprende una vera e propria ermeneutica dell’azione di Dio nella storia, tipica di una religione “incarnata” com’è il cristianesimo. È su questo terreno che ci si scontra col tema del male: esso si erge come un picco roccioso che perfora il manto paterno di una Provvidenza divina ma che si combina con l’intervento della redenzione, della salvezza e dell’escatologia.
Le lezioni di tre grandi della teologia come Agostino, Tommaso d’Aquino e Newman sono convocate per ripensare una concezione impallidita all’interno di una cultura smaliziata che, nel desiderio di buttar via l’acqua sporca del provvidenzialismo ingenuo, ha rigettato anche il canone della speranza, della fiducia e del senso dell’essere e dell’esistere. Passiamo, così, al secondo saggio, affidato a un tema in passato divisivo per la cristianità, al punto tale d’essere stato il germe dello scisma d’Occidente, quello luterano. Alla “giustificazione per grazia” sulla base della lezione paolina si dedica, invece, uno dei nostri più noti studiosi dell’Apostolo, Antonio Pitta, docente nella romana Università Lateranense. Certo, a differenza del soggetto “Provvidenza”, la “giustificazione” è un termine che risuona più familiare ai nostri giorni, anche per coloro che hanno solo una conoscenza generica delle vicende che contrassegnarono un secolo straordinario come il Cinquecento.
Ritornare alla matrice, cioè all’epistolario di Paolo, permette non solo di delineare il progetto d’insieme, ma anche di inseguirne la formulazione progressiva. Infatti, dalla “prova d’autore” che è la Lettera ai Galati, ove la giustificazione è connessa al motivo della nostra adozione divina a figli, ci si inoltra nel capolavoro paolino della Lettera ai Romani, il vessillo della Riforma protestante ma anche il cuore della questione, e si approda alla Lettera ai Filippesi ove il tema si configura come processo di conformazione e trasformazione del credente in Cristo. È indubbio il corollario ecumenico che comporta una simile investigazione esegetica, non solo per le antiche polemiche tra Agostino e Pelagio nel V secolo, per le tensioni radicali tra il cattolicesimo e Lutero o Calvino, ma anche per la vigorosa ripresa del tema nella teologia dialettica di Barth (la cui Lettera ai Romani è curiosamente ancora in catalogo da Feltrinelli).
Sorprendente è, fin nel titolo, l’ultimo saggio del nostro trittico: Grazie all’immaginazione, opera del gesuita parigino Nicolas Steeves, docente alla Gregoriana di Roma. Essa è stata considerata a lungo la folle du logis, la “pazza di casa”, una formula attribuita ora al filosofo Malebranche, ora a Teresa d’Avila, ma di paternità ignota. Certo è che per molti teologi l’immaginazione è stata ritenuta una sorta di nebula da spazzar via col vento cristallino della ragione, del rigore epistemologico, della logica formale. Il tentativo di questo ampio studio è quello, invece, di integrarla proprio nella teologia fondamentale che è la base su cui si regge e si edifica l’architettura dell’intero sistema teologico nelle sue varie articolazioni.
Effettivamente la stessa Bibbia (si pensi solo all’Apocalisse) così come la tradizione cristiana si sono liberamente e gioiosamente consegnate al caleidoscopio delle immagini, dei simboli, delle parabole fecondando e alimentando l’atto di fede, la spiritualità, la liturgia, l’etica. Le pagine di Steeves sono una vivace navigazione in questo mare creativo nel quale si incastonano le grandi isole dei molteplici sistemi teologici bagnati da quelle onde. Dopo tutto – come conferma, purtroppo negativamente, l’eccesso immaginario contemporaneo – aveva ragione Bachelard quando affermava nella sua Poetica della rêverie (Dedalo 2008) che «l’uomo è un essere capace di immaginare e che va immaginato».
- Emmanuel Durand, Vangelo e Provvidenza, Queriniana, Brescia, pagg. 299, € 35
- Antonio Pitta, Giustificati per grazia, Queriniana, Brescia, pagg. 233, € 18
- Nicolas Steeves, Grazie all’immaginazione, Queriniana, Brescia, pagg. 414, € 38
Gianfranco Ravasi, Cardinale arcivescovo e biblista Il Sole 24 ore” 16 dicembre 2018
www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201812/181216ravasi.pdf
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UNIONE CONSULTORI ITALIANI PREMATRIMONIALE E MATRIMONIALI
Augusta, chi era don Paolo Liggeri? Celebrazione nell’auditorium a lui dedicato
75 anni fa, nel settembre 1943, nella Milano sconquassata dalla guerra, nacque l’istituto “La casa”, per ospitare quanti avevano perduto la propria abitazione a causa dei bombardamenti. Nacque per volere dell’augustano-milanese don Paolo Liggeri, che ospitò anche ebrei perseguitati dai nazisti e, per questa ragione, fu rinchiuso nei campi di sterminio nazisti.
Sopravvissuto, fondò il primo consultorio italiano e fu per anni consulente familiare, giornalista e scrittore. Sull’esperienza nei lager nazisti pubblicò il libro “Triangolo rosso”. La sua ultima fatica letteraria fu “Augusta carissima”, libro di ricordi legati alla sua città natale, dove veniva ogni estate, ospite del fratello Carmelo, prete musicista, che meriterebbe anch’egli d’essere degnamente ricordato, rettore della chiesa del Carmine.
Paolo Liggeri sarà celebrato degnamente, martedì 18 dicembre 2018, nell’auditorium a lui dedicato, al piano superiore del civico palazzo San Biagio, a cura della Commissione comunale di storia patria, presieduta da Giorgio Càsole, e della sezione di Siracusa-Ragusa, presieduta da Orazio Carpino, dell’Anppia, l’associazione nazionale dei perseguitati politici antifascisti, con relazioni, letture dei suoi libri e con la partecipazione del baritono Marco Zarbano, la corale “Note in armonia”, diretta dalla soprano Francesca Ussia, con Salvo Passanisi alla tastiera.
Redazione La Gazzetta Augustana.it 16 dicembre 2018
www.lagazzettaaugustana.it/augusta-chi-era-don-paolo-liggeri-celebrazione-nellauditorium-a-lui-dedicato
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UNIONI CIVILI
Le crisi nelle unioni civili
La legge Cirinnà (n. 76/2016) ha introdotto e regolamenta in Italia le unioni civili, cioè quelle unioni che si costituiscono tra due persone maggiorenni dello stesso sesso, con una dichiarazione effettuata di fronte all’ufficiale di stato civile ed alla presenza di due testimoni. Non è invece stato più introdotto, come era invece previsto nel testo iniziale della proposta di legge, la possibilità per uno dei componenti della coppia di adottare il figlio del partner. (c.d. stepchild adoption).
Tuttavia in molti altri Paesi ciò è possibile, e attualmente, in fattispecie di riconoscimento di situazioni preesistenti giunte all’attenzione dei Giudici di merito e della Corte di Cassazione, è stata data copertura giuridica, dalla giurisprudenza, ad una relazione di genitorialità sociale di fatto già istauratasi da diversi anni, pur in esplicita e voluta (politica) assenza di specifiche norme di legge. (Cfr. Cass. Sentenza n. 12962 del 2016 e ordinanza n. 14007/2018) Attualmente, di fatto, numerosi iniziano ad essere i nuclei familiari formati da persone dello stesso sesso, molti dei quali vedono anche la presenza di figli minori.
Cosa si prevede, in caso di crisi di queste famiglie, e cosa ancora in presenza di figli minori o maggiorenni ma non economicamente autosufficienti. Dall’esame delle norme, prescindendo dalle cause automatiche di scioglimento, cioè la morte o la dichiarazione di morte presunta di una delle parti dell’unione previste dal comma 22, riteniamo di dover esaminare quelle a domanda di una o di entrambe le parti (commi 23, 24 e ss.).
Affinchè l’unione civile venga meno, le parti dovranno avere manifestato, anche disgiuntamente, la loro volontà di scioglimento all’ufficiale dello stato civile. Decorsi tre mesi, potrà essere proposta domanda giudiziale di divorzio avanti il tribunale competente ovvero la procedura di negoziazione assistita da un avvocato per parte, o l’accordo di fronte all’ufficiale dello stato civile, solo in assenza di figli minori o maggiorenni non economicamente autosufficienti (commi 24-25).
Anche uno solo dei partner dell’unione civile può ottenere la pronuncia di scioglimento, tuttavia dovrà avere preventivamente informato l’altro/a a mezzo raccomandata con ricevuta di ritorno. Infine veniamo al procedimento, del tutto analogo al divorzio delle coppie matrimoniali, visto l’espresso richiamo della legge a specifiche norme della relativa disciplina legislativa.
Le unioni civili non prevedono alcun obbligo di fedeltà, mentre prevedono quelli di assistenza morale e materiale e di coabitazione. Il partner più debole economicamente potrà veder tutelato il proprio diritto alimentare, ipotesi residuale e minore rispetto al diritto al mantenimento, ed ottenere l’assegnazione della casa familiare. Non è prevista la separazione, ma si giunge direttamente al divorzio, consensuale o giudiziale, introdotto con le medesime forme delle coppie matrimoniali ed allo stesso giudice competente territorialmente.
In presenza di figli, tuttavia, nessuna norma potrebbe impedire, pena l’incostituzionalità, a soggetti minori o maggiorenni ancora non economicamente autosufficienti una piena tutela, quantomeno da un punto di vista economico. Qualche problema e evidenti differenze si presentano, in tutta evidenza, nel caso in cui vi sia stata adozione dei figli dell’altro o meno.
Nel primo caso, non pare possa porsi in dubbio il pieno diritto dei minori a vedere tutelato il proprio diritto alla bigenitorialità, ed a mantenere in ogni caso rapporti con entrambi, ma il buon senso dovrebbe consentire ai minori il diritto di mantenere rapporti sani ed equilibrati anche con l’altra figura, pure in assenza di adozione, alla stregua di quanto avviene, o dovrebbe avvenire, nelle coppie di fatto che si sciolgono dopo un lasso di tempo considerevole.
La situazione, tuttavia, è in continuo divenire; in assenza di espresse previsioni normative, attualmente non calendarizzate, il vuoto sarà indubbiamente colmato dalle interpretazioni costituzionalmente orientate, se non creative, delle Corti che si troveranno loro malgrado a dover dare risposta alle domande di giustizia che saranno loro poste.
Avvocato Rodolfo Pacor – Abogado Isabella Castiglione news avv. Andreani 28 novembre 2018
news.avvocatoandreani.it/articoli/crisi-nelle-unioni-civili-104834.html
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