NewsUCIPEM n. 729 – 25 novembre 2018

NewsUCIPEM n. 729 – 25 novembre 2018
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02 ABORTO VOLONTARIO Napoli. «Negare le cure non è mai obiezione».
03 ABUSI Card. O’Malley sugli abusi: tolleranza zero e cura dei sopravvissuti.
03 Burke: per Francesco, tutela minori è fondamentale.
04 E la Chiesa rompe il tabù: suore, denunciate gli abusi
04 Suore: denunciate gli abusi.
05 ADDEBITO In cosa consiste?
07 ADOZIONE INTERNAZIONALE Seminario “Sostegno a distanza e politiche per l’Infanzia”.
07 Interviene sui minori in cui lo sradicamento è già avvenuto.
07 AFFIDO CONDIVISO Reato per la madre che non fa vedere i figli al padre.
09 Sottrazione di minori.
10 ASSEGNO MANTENIMENTO del coniuge: quando cessa.
125 CENTRO INTERN. STUDI FAMIGLIA Newsletter CISF – N. 38, 21 novembre 2018.
14 CONFER. EPISCOPALE ITALIANA Bassetti: maltrattare le donne è sacrilegio.
15 CONSULENZA COPPIA E FAMIGLIA Etica della cura nelle relazioni familiari.
16 Nuove regole per il Patrocinio Aiccef.
16 Salute mentale e felicità, la Chiesa invita gli specialisti al dialogo.
17 CONSULTORI UCIPEM Cremona. Iniziative con la Scuola, incontri e progetti.
18 CONVIVENZE Conviventi more uxorio: formula della convenzione patrimoniale.
18 DALLA NAVATA 34° Domenica T.O. Festa di Cristo Re. Anno B 25 novembre 2018.
18 Un nuovo regno, dove il più potente è colui che serve.
19 DEMOGRAFIA Alberti Casellati. «Natalità, un piano basato sul fattore donna».
20 DIRITTI 10 diritti da rispettare per crescere bambini più sani.
21 Diritti delle donne lavoratrici.
23 FAMIGLIA L’autunno delle relazioni.
24 FORUM ASS.ni FAMILIARI L’Assemblea del Forum rilancia il Patto per la Natalità.
25 Giornata Internazionale dell’Infanzia.
26 Bari, conferenza famiglia. DePalo: la Puglia fa da apripista all’Italia
26 Denatalità: Carli (Forum Famiglie Puglia), “Questione più urgente”
26 GOVERNO Dipartimento per le politiche della famiglia
26 OMOFILIA Utero in affitto. Civilisti UE Roma: «Offesa la dignità della donna».
27 PARLAMENTO Senato della Repubblica – Commissione Giustizia.
27 Commissione bicamerale Infanzia.
28 SESSUOLOGIA Cervello degli uomini e il cervello donne: differenze.
30 UNIONI CIVILI Prime applicazioni di procedura giudiziale per lo scioglimento.
31 SINODO DEI VESCOVI SUI GIOVANI Ora il Sinodo inizia nelle Chiese locali.
32 VIOLENZA Violenza sulle donne: “rompere la subcultura del ‘possesso”.
33 Giornata internazionale Violenza contro le donne.
33 La risposta urgente. Donne: lunga storia e nuove ferite.
34 Crepet. La risposta urgente. Donne: lunga storia e nuove ferite.
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ABORTO VOLONTARIO
Il caso del ginecologo licenziato a Napoli. «Negare le cure non è mai obiezione»
La Asl Napoli 2 Nord sta valutando l’invio in Procura e all’Ordine dei Medici degli atti relativi al licenziamento senza preavviso di un ginecologo in servizio al pronto soccorso dell’ospedale San Giuliano di Giugliano, in provincia di Napoli. Il medico è stato licenziato per omissione di assistenza nei confronti di una paziente alla diciottesima settimana di gravidanza, giunta al pronto soccorso una notte dello scorso luglio in gravi condizioni e con aborto farmacologico in fase già avanzata. Ad effettuare l’operazione è stato un altro ginecologo, non in servizio né reperibile, che si è precipitato in ospedale salvando di fatto la vita alla paziente. Il medico – spiegano dalla Asl – non ha fornito spiegazioni per giustificarsi, né (contrariamente a quanto si era detto in origine) si sarebbe appellato all’obiezione di coscienza; per cui, dopo un’istruttoria del Consiglio di disciplina durata alcuni mesi sentendo le persone a conoscenza della vicenda, si è giunti alla sanzione più severa.
«Il medico obiettore che si rifiuta di assistere una persona che sta male, anche se questa persona ha appena compiuto un atto eticamente inaccettabile come l’aborto, compie un gesto inumano, anticristiano e incompatibile con la deontologia professionale». Salvino Leone, medico, docente di teologia morale e bioetica alla Pontificia Facoltà teologica di Sicilia, oltre che marito e padre, non usa troppi giri di parole per valutare la scelta del medico dell’ospedale di Giugliano. «Se le cose sono davvero andate come riferiscono le cronache, la scelta di questo medico – spiega – è un pessimo servizio al principio dell’obiezione di coscienza, ma anche alla medicina, al rispetto per la persona e al Vangelo. In questo caso sembra che si tratti di un aborto spontaneo, ma anche se fosse stato indotto chimicamente, la legge dice chiaramente che l’obiezione non esonera dall’intervento né prima né dopo. Si tratta di un comportamento che anche sul piano umano non ha senso. Io, medico che vedo un tossicodipendente in crisi non devo soccorrerlo solo perché sono consapevole che poco prima ha assunto delle sostanze? Inaccettabile, anche se naturalmente disapprovo la scelta di drogarsi».
Fin dove può spingersi il comportamento del medico obiettore di coscienza nella sua scelta ‘non interventista’ per essere coerente con la scelta compiuta?
La legge è molto chiara ma in questo caso interpreta perfettamente anche l’etica. L’obiezione di coscienza è scelta dettata appunto dalla coscienza nei confronti di un comportamento considerato un male, in questo caso l’aborto. Ma assistere una donna dopo che ha compiuto un aborto e ha bisogno di essere soccorsa, diventa un bene. Non farlo è male. Il medico non può diventare il giudice di quella persona. Non può decidere che il suo comportamento negativo dev’essere sanzionato con la privazione dell’assistenza. Non può dire: ti lascio morire e ti procuro un danno ancora più grande.
Quindi la decisione dell’ospedale di licenziare questo medico può essere condivisa?
Se le cose sono andate in questo modo certo, hanno fatto benissimo. Anche perché il suo comportamento in quella circostanza è stato assolutamente contrario alla nostra deontologia. Di fronte a una persona che sta male, il medico non guarda al pregresso, ai comportamenti che hanno determinato quella situazione, ma alla situazione in sé e lì c’era una donna bisognosa di aiuto. Questa è vera e propria omissione di soccorso. Siamo di fronte al tradimento della missione del medico, ma anche al tradimento dell’obiezione di coscienza.
Non può essere che questo dottore abbia temuto di venire meno alla sua scelta etica?
Ma no, questo è un comportamento dettato da un integralismo pseudoreligioso che, se i fatti venissero confermati, non c’entra proprio nulla con l’obiezione di coscienza. In nessun caso il medico, di fronte a una persona che sta male, può astenersi dall’intervenire.
E se il medico ritenesse in coscienza che non solo non c’è pericolo di vita, ma che l’intervento di cura può essere dilazionato e successivamente prestato da un medico non obiettore? Anche in quel caso non dovrebbe tirarsi indietro. Il medico non interviene solo quando c’è pericolo di vita ma presta sempre le sue cure per la salute della persona. Anche in questo caso specifico un intervento sarebbe stato opportuno per aiutare questa donna a riflettere sul gesto compiuto, per capire le ragioni che l’hanno convinta a quella scelta e magari per evitare che in futuro la possa ripetere.
Anche l’obiezione quindi deve essere guidata dal discernimento, dalla valutazione caso per caso?
Certo, un conto è la scelta di non collaborare a un atto ritenuto illecito come l’aborto volontario, ma tutto ciò che viene prima o dopo non rientra nell’obiezione di coscienza. Un medico obiettore cura la donna che ha compiuto l’aborto. Se deve somministrarle un farmaco analgesico o antiemorragico, lo fa. Se deve scrivere la cartella di dimissioni, la scrive. Rifiutarsi di farlo sarebbe una forma di cattiveria, non di coerenza.
L’obiezione di coscienza ha l’obiettivo di rispettare la persona. I comportamenti che abbiamo descritto non rispettano la persona. Forse capitano questi episodi perché si confonde l’obiezione di coscienza con la valutazione in coscienza del caso specifico?
L’obiezione è una scelta morale ben precisa che rifiuta la cooperazione diretta o indiretta al male, sempre commisurata alla realtà e alla verità della situazione. Ecco quando parliamo di etica la virtù del discernimento è fondamentale. Il rigorismo morale è sempre inaccettabile ed è stato condannato dalla Chiesa.
Luciano Moia Avvenire 23 novembre 2018
www.avvenire.it/attualita/pagine/negare-le-cure-non-mai-obiezione
{Rifiutare sistematicamente e strutturalmente il colloquio, che tende, ma non impone, a prevenire l’ivg secondo le indicazioni espresse nella legge, cofirmando la documentazione del tentativo, non è da valutare similmente? Ndr}
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ABUSI
Card. O’Malley sugli abusi: tolleranza zero e cura dei sopravvissuti
Per il presidente della Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori è necessario un partenariato tra laici e clero per rispondere ai fallimenti della leadership episcopale
L’incontro sulla tutela dei minori nella Chiesa, convocato da Papa Francesco e previsto in Vaticano dal 21 al 24 febbraio 2019, sarà un momento importante per lo sviluppo di un chiaro percorso per le diocesi in tutto il mondo. E’ quanto sottolinea il presidente della Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori, cardinale Seán O’Malley, nel giorno in cui è stata annunciata l’istituzione del Comitato organizzativo per questo incontro. È “un momento critico”, sottolinea il porporato, per la Chiesa che si trova ad affrontare l’orrore degli abusi sessuali.
Tra le priorità indicate dal cardinale, quelle della tolleranza zero e di una maggiore trasparenza. In particolare, si devono rendere noti i nomi di quanti sono accusati di abusi. Si devono anche incoraggiare tutti gli ordini religiosi a cooperare con le autorità civili e legali.
Al primo posto, aggiunge il cardinale O’Malley, si devono porre “il sostegno e la cura pastorale dei sopravvissuti”. Questo, conclude il porporato, è un viaggio che dura tutta la vita e che ora fa parte del tessuto della famiglia cattolica. E richiede un partenariato tra laici e clero per rispondere ai fallimenti della leadership episcopale.
Amedeo Lomonaco – Città del Vaticano 23 novembre 2018
www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2018-11/dichiarazione-card-o-malley-incontro-abusi-vaticani.html
Burke: per Francesco, tutela minori è fondamentale
Dichiarazione del direttore della Sala Stampa vaticana sull’incontro di febbraio sulla tutela dei minori nella Chiesa, convocato da Papa Francesco in Vaticano
“L’incontro di febbraio non ha precedenti e mostra che per Papa Francesco la protezione dei minori è una priorità fondamentale per la Chiesa”. E’ quanto dichiarato oggi dal direttore della Sala Stampa vaticana, Greg Burke, dopo la pubblicazione del comunicato sull’istituzione del Comitato organizzativo per l’Incontro di febbraio in Vaticano sulla tutela dei minori nella Chiesa.
Non solo vescovi, importante sarà contributo dei laici. Papa Francesco, ha proseguito Burke, vuole che i “leader della Chiesa abbiano una piena comprensione dell’impatto devastante che gli abusi da parte di membri del clero ha sulle vittime”.
L’incontro, ha aggiunto, “è principalmente rivolto ai vescovi”, che “hanno una grande responsabilità” sulla questione. Al tempo stesso, però, uomini e donne laici “esperti nel campo degli abusi daranno il loro contributo e potranno aiutare a comprendere ciò che si deve fare per garantire trasparenza e responsabilità”.
Alessandro Gisotti – Città del Vaticano 23 novembre 2018
www.vaticannews.va/it/papa/news/2018-11/burke-papa-tutela-minori-fondamentale.html

E la Chiesa rompe il tabù: suore, denunciate gli abusi
Chi sa parli. Basta tacere. Le suore che hanno subìto abusi sessuali o abusi di potere da parte di preti, vescovi o cardinali denuncino l’accaduto, raccontando alla polizia o ai propri superiori quello che hanno dovuto sopportare. Anche se si tratta di fatti vecchi.
La cultura dell’omertà nella Chiesa ieri ha ricevuto un colpo micidiale e, probabilmente, all’interno del mondo religioso femminile nulla sarà più come prima. Qualcosa comincia a muoversi per davvero se l’Uisg l’organismo internazionale che raggruppa le 2.000 superiore generali in rappresentanza di 500 mila suore nel mondo ha diffuso urbi et orbi una dichiarazione senza precedenti. Finora tutto è sempre stato minimizzato, nascosto o tacitato se non ai vertici delle congregazioni, in Vaticano dove le denunce che in questi decenni arrivavano hanno finito per coprirsi di polvere sugli scaffali della Congregazione per i Religiosi e in quella di Propaganda Fide, senza che nulla trapelasse all’esterno e, soprattutto, senza che fosse fatta una vera inchiesta.
In pratica il potere clericale ha finito per prevalere sui criteri di giustizia. «L’abuso in tutte le sue forme, sia sessuale, verbale o in qualsiasi altro modo in cui il potere viene espresso in modo inappropriato, mina la dignità e il sano sviluppo della vittima». Il documento prosegue: «Noi ci schieriamo accanto alle vittime, uomini e donne che hanno denunciato abusi alle autorità. Condanniamo coloro che puntano a mantenere la cultura del silenzio e della segretezza, spesso sotto la falsa idea di proteggere la reputazione dell’istituzione ecclesiastica. Chiediamo trasparenza civile e che siano fatti rapporti sugli abusi avvenuti nella congregazione, o in una parrocchia o a livello diocesano, o in altra arena».
Il comunicato aggiunge che ogni religiosa che ha sofferto per situazioni di violenza sessuale o spirituale deve essere supportata e sostenuta affinchè abbia il coraggio di denunciare liberamente. Il tema delle violenze nel mondo religioso femminile è stato per decenni un argomento tabù, sistematicamente accantonato dai vertici vaticani sin dai tempi di Giovanni Paolo II perché scomodo e potenzialmente esplosivo per l’immagine della Chiesa. Ad aggravare il quadro ci sarebbe persino il sistematico ricorso all’aborto di quelle suore rimaste incinte. Due volte vittime poiché spiegano al di là del Tevere sono state costrette ad abortire dagli stessi preti abusatori. All’abuso sessuale si aggiunge quello di potere. Una inchiesta fatta recentemente dalla Associated Press ha fatto affiorare uno spaccato ben poco esaltante, dimostrando che il fenomeno è più esteso di quanto non si possa pensare. Non solo in Africa o in America Latina ma pure in Europa e persino in Italia
Franca Giansoldati “Il Messaggero” 25 novembre 2018
www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201811/181125giansoldati.pdf
www.ilmessaggero.it/vaticano/papa_francesco_abusi_suore_violenza_sessuale_metoo_uisg_vescovi_cardinali_omerta-4129337.html

Suore: denunciate gli abusi
L’Unione Internazionale delle Superiore Generali (UISG), costituita da 2.000 superiore generali delle Congregazioni religiose femminili di tutto il mondo, che rappresentano oltre 500.000 religiose, esprime il suo profondo dolore e l’indignazione per la serie di abusi perpetrati nella Chiesa e nella società odierna.
L’abuso di ogni sorta – sessuale, verbale, emotivo, o un uso improprio del potere all’interno di una relazione – lede la dignità e il sano sviluppo della persona che ne è vittima.
Siamo accanto alle donne e agli uomini che hanno dimostrato coraggio, denunciando i casi di abuso alle autorità. Condanniamo i fautori della cultura del silenzio e dell’omertà, che si servono spesso del pretesto di “tutelare” la reputazione di un’istituzione o che definiscono tale atteggiamento “parte della propria cultura”. Sosteniamo una trasparente denuncia di abuso alle autorità civili e penali, sia all’interno delle congregazioni religiose che nelle parrocchie o diocesi, o in qualsiasi spazio pubblico.
Chiediamo che ogni donna religiosa che sia stata vittima di abusi denunci quanto accaduto alla superiora della propria congregazione e alle autorità ecclesiali e civili competenti. Se la UISG riceve una denuncia di abuso, sarà presente con l’ascolto e l’accompagnamento della persona perché abbia il coraggio di denunciare quanto vissuto alle organizzazioni competenti.
Ci impegniamo a collaborare con la Chiesa e le autorità civili per aiutare le vittime di ogni forma di abuso a sanare le ferite del passato attraverso un processo di accompagnamento e di richiesta di giustizia e ad investire nella prevenzione dell’abuso attraverso una formazione collaborativa e programmi educativi per bambini, donne e uomini. Desideriamo costruire reti di solidarietà per contrastare queste situazioni disumanizzanti e contribuire a una nuova creazione nel mondo.
Unione Internazionale delle Superiore Generali 26 novembre 2018
www.settimananews.it/chiesa/suore-denunciate-gli-abusi
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ADDEBITO
Addebito: in cosa consiste?
Hai ricevuto una domanda di separazione con richiesta di addebito? Sei preoccupato/a sulle conseguenze di questa richiesta e non sai come difenderti? Con questo articolo faremo chiarezza su un tema che spesso genera confusione e sul quale si specula molto.
Non conosci le conseguenze legali in caso ti venisse riconosciuto l’addebito della separazione? Vuoi conoscere quali sono i doveri discendenti dal matrimonio per evitarti un futuro ed eventuale addebito? Capita spesso sentire dall’amico o dal parente di turno che il coniuge lo abbia sorpreso a letto con un altro e abbia chiesto la separazione con addebito. Capita anche spesso che un coniuge minacci l’altro di domandare la separazione addebitandogli la “colpa” per motivi che la legge non riconosce sufficienti per fondare la domanda di addebito. Facciamo chiarezza sull’argomento e cerchiamo di rispondere alla domanda addebito: in cosa consiste?
L’addebito nella domanda di separazione. L’addebito è una domanda particolare che un coniuge può rivolgere al magistrato che si sta occupando della separazione giudiziale. Quindi, l’addebito non può essere riconosciuto in sede di separazione consensuale dei coniugi. Domandare l’addebito vuol dire far riconoscere che l’intollerabilità della convivenza o il pregiudizio eventuale per i figli sono la conseguenza diretta della violazione da parte di un coniuge di uno dei diversi doveri che derivano dal matrimonio. La richiesta, inoltre, non può essere campata in aria ma deve essere specifica e provata, ossia non generica ma estremamente dettagliata.
Nell’ordinamento è addirittura prevista la possibilità che il giudice pronunci l’addebito nei confronti di entrambi i coniugi, quando in egual modo hanno contribuito a rendere intollerabile la prosecuzione della vita in comune! Quindi, se intendi chiedere l’addebito a tuo marito o a tua moglie, assicurati bene di raccontare dettagliatamente la violazione messa in atto da lui o da lei e procurati della prove sufficienti per supportare la tua domanda.
Cosa deriva dall’addebito della separazione? Se ti viene addebitata la separazione, sappi che non disporrai più di alcuni diritti, quali:
Il diritto al mantenimento [Art. 156 co. 1 cod. civ.]: la perdita di questo diritto è considerata una sanzione che è slegata dalla condizione economica del coniuge che ha violato i doveri coniugali; il diritto agli alimenti (se il coniuge è indigente), invece, rimangono;
Il diritto alla successione nei confronti dell’altro coniuge [Art. 548 co. 2 cod. civ.]: se violi i doveri coniugali e tale violazione determina la crisi del tuo matrimonio, non potrai assumere la veste di erede nei confronti del coniuge defunto.
Inoltre, se ti viene addebitata la separazione, puoi benissimo aspettarti che il tuo coniuge ti chiede anche il risarcimento del danno, anche morale, subìto a seguito della violazione dei doveri coniugali.
Quali sono i presupposti per la domanda di addebito? Per domandare l’addebito della separazione sono essenzialmente due:
La violazione da parte dell’altro coniuge di almeno un dovere coniugale;
L’esistenza di una stretta correlazione tra la violazione dei doveri coniugali e la crisi della coppia (il cosiddetto nesso di causalità).
E’ richiesto, inoltre, che il coniuge che ha violato i doveri coniugali sia ovviamente capace di intendere e di volere e che abbia realizzato la violazione in modo volontario e cosciente. Insomma, si richiede che il coniuge, ad esempio fedifrago, sia sano di mente e abbia effettivamente voluto tradire l’altro coniuge.
Dovere di fedeltà. La violazione della fedeltà coniugale è considerata particolarmente grave, non solo dalla giurisprudenza ma anche dalla morale comune, anche se, stando alle statistiche, l’Italia ha il più alto tasso di infedeltà in Europa, con il 45% di coniugi infedeli. Tuttavia, la regola è questa: la relazione personale tra gli sposi si basa sul rispetto del reciproco obbligo di fedeltà [Art. 143 cod. civ.].
Questo sta a significare che ciascun coniuge con il matrimonio e durante tutta la sua durata si impegna a non tradire la fiducia reciproca e il rapporto di dedizione fisica e spirituale. Ciò non vuol dire che semplicemente non si debbono intrattenere rapporti sessuali con persone diverse dalla moglie o dal marito: come ha sottolineato la giurisprudenza [Cass. Sent. n. 9287/18.09.1997; Trib. Roma Sent. 29.05.2013], la fedeltà non deve essere intesa divieto di avere relazioni sessuali extraconiugali, ma anche come comunione spirituale armonica e spirito di leale collaborazione.
Negli anni, la giurisprudenza si è sbizzarrita a qualificare certi comportamenti come infedeli. Ad esempio se tu intrattieni una stabile relazione extraconiugale che, se scoperta, causi la crisi del matrimonio, sarai soggetto ad addebito. Se sei un habitué di avventure occasionali, sarai soggetto ad addebito della separazione. Se parti con la tua amante proprio mente tua moglie si sottopone ad una delicata terapia antitumorale sarai soggetto ad addebito. Se con la tua amante concepisci un figlio, idem. Così come se intrattieni una relazione omosessuale o se provi una forte attrazione per un’altra persona che causa l’allontanamento dal domicilio coniugale per un intero mese, e così via. I casi di infedeltà venuti in mano ai giudici sono i più disparati ed inimmaginabili.
Ma la violazione dell’obbligo di fedeltà, nonostante sia quella più comune che giustificano la domanda di separazione e di addebito, non è l’unica violazione su cui si può basare l’addebito. Vediamo insieme le altre.
Dovere di assistenza. Questo è un altro importante dovere in capo ad ogni coniuge che discende dalla pronuncia del fatidico sì. Il codice civile [Art. 143 co. 2 cod. civ.], infatti, prevede che i coniugi debbano impegnarsi a sostenersi, proteggersi ed aiutarsi nella vita quotidiana. Tale dovere è sospeso nei confronti del coniuge che di sua volontà si allontani senza motivo dalla residenza familiari e si rifiuti di tornare.
L’assistenza deve essere sia morale che materiale. Infatti, ogni coniuge deve rispettare la personalità, la cultura e il carattere dell’altro. Inoltre, ciascun coniuge può pretendere dall’altro, qualora ci sia la necessità, un sostegno nella ripartizione dei doveri familiari e della casa, oppure un sostegno economico per quanto riguarda esigenze di carattere fondamentale come il mantenimento dei figli, l’acquisto di cibo, di vestiti, di trasporti, lo studio, la cura in caso di malattie. L’obbligo di assistenza materiale e morale può essere violato, ad esempio, se aggredisci fisicamente il tuo coniuge o solamente con ingiurie ed offese, svalutandolo come coniuge o come genitore; oppure se tratti il tuo coniuge in modo autoritario e violento; se rifiuti di avere con lui rapporti sessuali in maniera prolungata; se neghi al tuo coniuge l’assistenza in caso di malattia.
Dovere di collaborazione. Dal matrimonio sappi che deriva anche l’obbligo reciproco di collaborare nell’interesse della famiglia. Se violi anche solo questo dovere, potresti vederti addebitarti la separazione. Collaborare significa partecipare al soddisfacimento delle esigenze della vita del nucleo familiare complessivo. Tale dovere è differente da quello di assistenza che abbiamo visto prima: infatti, mentre il dovere di assistenza fa riferimento solo alla coppia, quello di collaborazione si riferisce all’intero nucleo familiare, figli compresi.
Rientra in questo dovere, ad esempio, il sorvegliare i figli, impegnarsi nella loro migliore istruzione ed educazione, cura dei rapporti esterni della famiglia, cura dei parenti anziani e bisognosi. Insomma, il dovere di collaborazione equivale al dovere di contribuzione ai bisogni della famiglia. Violeresti tale dovere se, ad esempio, umiliassi costantemente il tuo coniuge con reiterati atteggiamenti di minaccia. Non violeresti tale obbligo, invece, se come donna ti rifiutassi di sottoporti a cure specifiche in caso di infertilità.
Dovere di coabitazione. Il dovere di coabitazione, o di convivenza, sta a significare che i coniugi scelgano in accordo dove fissare la loro residenza comune, tenendo conto delle loro esigenze e delle esigenze dell’intera famiglia [Art. 144 cod. civ.]. La coabitazione deve essere stabile e duratura e questo dovere cessa al momento del deposito della domanda di separazione, di annullamento del matrimonio, di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio (ossia del divorzio).
Al di là di quello che comunemente si pensa, per coabitazione non si intende solo come semplice vita vissuta sotto lo stesso tetto, ma come vera e propria comunione di vita. Infatti, moglie e marito non sono affatto costretti a vivere sempre sotto lo stesso tetto, soprattutto oggi, quando motivi di lavoro, di studio o di salute ci possono portare a vivere separati per alcuni periodi. Ad ogni modo, il dovere di convivenza non può essere totalmente derogato! Tuttavia, un coniuge può tranquillamente allontanarsi dalla residenza familiare quando ricorre una giusta causa, come ad esempio:
Comportamenti dell’altro coniuge incompatibili con la prosecuzione della coabitazione;
Presenza di una crisi di coppia e quindi l’allontanamento è una sua conseguenza e non una sua causa;
Presentazione domanda di separazione.
Se ti allontani dalla residenza familiare senza giusta causa e ti rifiuti di tornarci, non puoi pretendere dal tuo coniuge il rispetto del dovere di assistenza morale e materiale e, soprattutto, potrai vederti addebitata la separazione e, addirittura, essere penalmente responsabile, in quanto la violazione degli obblighi di assistenza familiare costituisce reato.
Dovere di contribuzione ai bisogni della famiglia. Ciascun coniuge, proporzionalmente alle proprie capacità, deve provvedere a contribuire a soddisfare i bisogni familiari, sia con il proprio lavoro professionale sia con il proprio lavoro casalingo. Costituisce un corretto comportamento, ad esempio, il consistente intervento finanziario della moglie nelle spese di ristrutturazione della casa di proprietà del marito; oppure il lavoro di manodopera di un coniuge nei lavori di ristrutturazione della casa di villeggiatura dell’altro coniuge ma adibita a residenza estiva della famiglia.
Vincenzo Di Ciò La legge per tutti 21 novembre 2018
www.laleggepertutti.it/243284_addebito-in-cosa-consiste
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ADOZIONE INTERNAZIONALE
Seminario “Sostegno a distanza e politiche per l’Infanzia”
Una sollecitazione a costruire una politica di sistema paese per la solidarietà e la cooperazione internazionale verso l’infanzia vulnerabile è venuta dalle più di 50 associazioni e reti presenti al seminario “Sostegno a distanza e politiche per l’Infanzia” organizzato alla Farnesina il 21 novembre 2018 scorso da ForumSad (Rete di 200 associazioni di sostegno a distanza – Sad). Tra le istituzioni presenti il Ministro Mauro Marsili, da poco nominato responsabile per l’infanzia della DGCS, la Commissione Adozioni Internazionali (CAI) e l’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (AICS).
Il Sad è il più diffuso strumento di cooperazione e solidarietà per l’infanzia: più di 2.500.000 di bambini e ragazzi sono sostenuti direttamente dai cittadini e famiglie italiane tramite un migliaio di associazioni. Il sostegno viene declinato in molteplici interventi (nutrizione, educazione, salute, prevenzione della tratta, lavoro minorile, politiche di genere, contesti di crisi, avviamento al lavoro …) ma si sviluppa secondo le caratteristiche delle Linee Guida Sad approvate dal Ministero delle Politiche Sociali.
www.forumsad.it/index.php/comunicazione/notizie

Ai.Bi.: “l’adozione internazionale interviene sui minori in cui lo sradicamento è già avvenuto”
Si è tenuto il 21 novembre 2018 a Roma, alla Farnesina, un seminario su “Sostegno a distanza e politiche per l’infanzia nella cooperazione allo sviluppo del nostro Paese”. Il forum è stato organizzato da ForumSaD Onlus in collaborazione con Fondazione per il Sud con lo scopo di discutere dell’impatto del sostegno a distanza sulla cooperazione internazionale.
Nel corso dell’incontro sono emerse sul tema dell’adozione internazionale due differenti posizioni. Se per Stefano Zamagni, presidente onorario di ForumSaD, cambia la modalità di fare cooperazione e si passa dall’assistenza che deresponsabilizza a una nuova strada, quella di una nuova cultura del Sostengo a distanza che eviti fenomeni di sradicamento e perdita di identità devastanti, per Marzia Masiello di Ai. Bi., “le adozioni, sussidiarie e residuali, intervengo su bambini in cui lo sradicamento è già avvenuto. Per ogni bambino quando vengono meno le risposte alle domande ‘chi sono’ e ‘a chi appartengo’, essendo tranciato il diritto ad essere figlio, si possono fare interventi per aiutarlo a ricucire quella ferita, l’adozione è la ratio estrema”.
“Lavoriamo – ha poi detto la Masiello – perché le istituzioni si innamorino del Sostegno a distanza affinché possa divenire un atto di volontà politica. È una peculiarità specifica di un Made in Italy dell’accoglienza e di una relazione people to people, family to family, che infrastruttura un welfare sociale internazionale improntato sulla relazione. Il Sad è pronto per sdoganarsi da un sentimento che lo fa percepire come strumento di aiuto economico nel rapporto tra sostenitore e beneficiario. La strada sia quella di generare impatto sui territori, alla luce degli obiettivi del millennio, generare relazioni, portare il concetto del dono di un cuore fecondo, nella pratica dell’arte del reciprocare bene”
Joseph Moyersoen, referente per le relazioni esterne e la cooperazione internazionale della CAI (Commissione adozioni internazionali) ha evidenziato il ruolo della commissione adozioni internazionali come autorità centrale tenuta a rafforzare istituti come affido e adozione nazionale sui paesi di origine, specificando come si tenda ad inserire in adozione sempre più minori con special needs, mentre gli Stati stanno modificando procedura interna.
Nella sessione pomeridiana il Sostegno a distanza è stato affrontato in relazione alle tematiche dei minori in contesti di crisi, sfruttamento sessuali e tratta
News Ai. Bi. 21 novembre 2018
www.aibi.it/ita/forumsad-alla-farnesina-il-sostegno-a-distanza-strumento-di-cooperazione-allo-sviluppo
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AFFIDO CONDIVISO
Reato per la madre che non fa vedere i figli al padre
Corte di Cassazione, sesta sezione penale, sentenza n. 51960, 16 novembre 2018
www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_32586_1.pdf
Per la Cassazione commette sottrazione di minore la madre che porta via i figli in affido condiviso, anche se questi riescono a vedere il padre durante le vacanze estive. Va condannata per sottrazione di minori la madre che si trasferisce in altra città portando via con sé i figli, in affido condiviso con il padre, lasciando in locazione a terzi la ex casa familiare che le era stata assegnata dal giudice.
Non vale a far venire meno il suddetto reato la circostanza che i bambini siano riusciti a trascorrere con il padre alcuni giorni durante le vacanze estive: il breve intervallo di tempo, infatti, non segna una soluzione di continuità nella condotta dalla madre, che ha natura permanente.
Lo ha deciso la Corte di Cassazione, respingendo il ricorso di una donna, condannata alla 9 mesi di reclusione per sottrazione di minore e mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice, ex artt. 574 e 388, primo e secondo comma, del codice penale.
L’imputata aveva ceduto in locazione alla sorella la ex casa coniugale che il giudice le aveva assegnato affinché vi abitasse con i figli, in affido condiviso con l’ex, e si era trasferita insieme ai bambini in luogo imprecisato senza comunicarlo al padre.
La Cassazione sul reato di sottrazione di minori. I contatti sporadici con l’altro genitore non escludono la sottrazione di minore. Gli Ermellini rammentano che la condotta di uno dei genitori integra il reato di cui all’art. 574 c.p. qualora, contro la volontà dell’altro, egli sottragga il figlio per un periodo di tempo rilevante, impedendo l’altrui esercizio della potestà genitoriale e allontanando il minore dall’ambiente di abituale dimora.
Ancora, il reato resta integrato laddove, per una scelta unilaterale di un genitore protrattasi per un rilevante periodo di tempo, si realizzi il travalicamento della linea di demarcazione tra una normale manifestazione dell’esercizio della propria potestà e il comportamento diretto a contrastare l’esercizio dell’altro genitore di condizioni potestative, come tali dettate non nell’interesse esclusivo del loro titolare, ma anche al soddisfacimento di quello della persona incapace.
Infine, la sottrazione di minori di cui all’art. 574 c.p. si perfeziona ove si realizzi la protrazione della situazione antigiuridica attraverso una condotta attiva diretta a mantenere il controllo sul minore e la possibilità per il reo di porre fine alla situazione antigiuridica fino a quando la cessazione di tale situazione non intervenga per sopravvenuta impossibilità o per pronunzia della sentenza di primo grado.
I contatti sporadici con l’altro genitore non escludono la sottrazione di minore. Applicando tale principi, la Corte d’Appello ha congruamente valutato tutte le circostanze di fatto dedotte dalla difesa. I giudici di merito hanno ritenuto attendibile la testimonianza del padre del minori e formato il proprio convincimento sul suo racconto, secondo cui non vi erano stati neppure contatti telefonici con i figli, diversamente da quanto sosteneva la madre.
Per la Cassazione, inoltre, il perfezionamento del reato non è escluso neppure dalla circostanza che il padre, anche grazie all’intervento dei legali, fosse riuscito ad avere contatti con i figli durante l’estate del 2009 e del 2010 trascorrendovi insieme le vacanze.
Tale situazione, infatti, appare inidonea a interrompere la condotta permanente contestata in quanto, come evidenziato dai giudici merito, dopo l’agosto del 2010 il padre non era più riuscito a vedere i figli e non per sua volontà, bensì per volontà della moglie. Il breve intervallo, dunque, non è soluzione di continuità nella condotta perché dopo agosto l’uomo non vede più i figli.
Assegnazione casa familiare: la mancata esecuzione dolosa del provvedimento. Il reato di cui all’art. 388 c.p., invece, è contestato alla donna per aver lasciato alla sorella l’ex casa familiare assegnata dal giudice.
Si tratta di una fattispecie che, laddove contempla l’elusione del provvedimento del giudice civile concernente l’affidamento dei minori o di altri incapaci, è integrata dal semplice dolo generico, cioè la coscienza e volontà di disobbedire al provvedimento del giudice.
Il rilievo penale della condotta è invece escluso nel caso in cui ricorra un plausibile e giustificato motivo che abbia determinato l’azione del genitore affidatario a tutela esclusiva dell’interesse del minore.
Nel caso di specie il bene, già casa familiare, era stato assegnato all’imputata in quanto affidataria dei minori con conseguente consapevolezza della prima, al momento in cui aveva rilasciato immobile alla sorella, di aver violato il provvedimento giudiziale adottato in sede di separazione tra coniugi e a tutela della posizione dei minori.
Inutile per la ricorrente sottolineare di aver fatto affidamento sull’interlocuzione con l’amministrazione pubblica, proprietaria del bene, che l’avrebbe rassicurata sulla possibilità di rilasciare l’appartamento alla sorella risultando assegnatario dello stesso, in origine, il genitore dante causa della germana.
In sostanza, le sorti connesse all’uso dell’immobile e legate all’assegnazione del bene in applicazione della normativa sugli alloggi residenziali pubblici non valgono a escludere la conoscenza delle vicende di stretta derivazione dal giudizio di separazione personale.
Lucia Izzo News studio Cataldi 24 novembre 2018
www.studiocataldi.it/articoli/32586-reato-per-la-madre-che-non-fa-vedere-i-figli-al-padre.asp

Sottrazione di minori
Sottrazione di persone incapaci: cos’è? Il genitore che viola l’affidamento condiviso commette reato? Quando la sottrazione di minorenni è reato?
La legge italiana ha un occhio di riguardo per coloro che, per ragioni fisiologiche (come l’età) o patologiche (come la malattia) si presentano più deboli rispetto agli altri consociati. Per costoro, l’ordinamento giuridico italiano ha previsto diverse forme di tutela: ad esempio, dal punto di vista previdenziale, chi non può inserirsi nel mondo del lavoro alle stesse condizioni degli altri ha diritto ad un sostegno e, talvolta, anche a determinati benefici economici (pensa all’indennità di accompagnamento per coloro che sono invalidi al 100% e non sono in grado di deambulare). Sotto altro profilo, la legge tutela le persone svantaggiate punendo coloro che approfittano di esse: ad esempio, il codice penale prevede il reato di circonvenzione di persone incapaci, il quale punisce tutti coloro che, approfittando della debolezza altrui (debolezza dovuta all’età, allo stato di salute o a qualunque altro motivo), cercano di porre in essere raggiri al fine di arricchirsi. Questa è solo una delle tante disposizioni presenti nel codice penale volte a tutelare i più deboli: tra le altre, quella che qui ci interessa è quella che sanziona la sottrazione di minori. Come vedremo, la legge equipara la sottrazione del minore di anni quattordici a quella dell’infermo di mente, ritenendo il fanciullo non in grado di provvedere a sé stesso. Con questo articolo ci soffermeremo in particolare sulla tutela del minorenne nel caso di questo specifico reato: vediamo quindi cos’è la sottrazione di minori.
Sottrazione di persone incapaci: cos’è? Il codice penale punisce, a querela di parte, con la reclusione da uno a tre anni chiunque sottrae un minore degli anni quattordici o un infermo di mente al genitore esercente la responsabilità genitoriale, al tutore, o al curatore, o a chi ne abbia la vigilanza o la custodia, ovvero lo ritiene contro la volontà dei medesimi.
Alla stessa pena soggiace chi sottrae o ritiene un minore che abbia compiuto gli anni quattordici, senza il suo consenso [Art. 574 cod. pen.].
Sottrazione di minori: quando è reato? In pratica, quello che normalmente chiamiamo sottrazione di minori è definito, in gergo giuridico, sottrazione di persone incapaci. La norma sopra menzionata specifica che per minori debbano intendersi coloro che ancora non abbiano compiuto i quattordici anni; superata questa soglia, la sottrazione diventa penalmente rilevante solamente se manca il consenso del fanciullo “sottratto”, mentre nel primo caso ciò che rileva è la volontà dei genitori oppure di coloro che hanno in custodia il minore stesso.
In poche parole, il reato di sottrazione di minori (ovvero, di persone incapaci), contempla due ipotesi diverse:
Che il minore di anni quattordici sia portato via senza il consenso di coloro che sono di lui responsabili (genitori, tutore, curatore, ecc.), anche nell’ipotesi in cui il minore, invece, sia d’accordo;
Che il minorenne che abbia compiuto i quattordici anni sia sottratto contro la sua volontà.
Quindi, per la legge il consenso del fanciullo che non abbia compiuto i quattordici anni è irrilevante, nel senso che egli potrebbe anche essere d’accordo affinché qualcuno lo porti via dai genitori o da chi ne ha cura, ma il reato permarrebbe lo stesso in capo a colui che compie la sottrazione se non v’è il benestare di chi ne ha la custodia.
Sottrazione di minori e affidamento della prole. Classico esempio di sottrazione di minori è quella che compie il genitore che non rispetta modalità e tempi stabiliti dal giudice per l’affidamento della prole in caso di separazione dei coniugi. In pratica, il genitore che non fa vedere al coniuge il proprio figlio, oppure che lo trattiene più del dovuto, rischia di incorrere in una bella denuncia per sottrazione di minori. Ovviamente, il reato verrà integrato solamente se la privazione dell’affidamento è seria e prolungata: non è sufficiente che il padre accompagni il figlio dalla madre con un’ora o due di ritardo. Per potersi parlare di sottrazione di minori occorre una condotta ben più “forte”, la quale può consistere, ad esempio, nel divieto assoluto di visita imposto al genitore che gode, per provvedimento del giudice, di tale diritto, oppure nel cambiare residenza portando seco il bambino senza nessun accordo con l’altro genitore. Ecco, in questi casi v’è senz’altro la sottrazione di minori.
Sottrazione di minori e sequestro di persona. Nei casi più gravi, la sottrazione di minori può addirittura convivere con il gravissimo reato di sequestro di persona. Possibile? Per la giurisprudenza, sì. Secondo la Suprema Corte, sottrazione di minori e sequestro di persona possono coesistere in quanto tutelano beni giuridici diversi: la sottrazione di minori, come visto, lede i poteri (di sorveglianza e di controllo) del genitore o di chi ne fa le veci; il sequestro di persona, invece, la libertà personale della vittima [Cass., sent. del 20.09.2001].
Di conseguenza, al fine di configurare il delitto di sequestro di persona, che può concorrere con il reato di sottrazione di minori, non è sufficiente la ritenzione del minore degli anni quattordici contro la volontà del genitore esercente la responsabilità genitoriale, ma è necessaria anche la limitazione della libertà personale del fanciullo [Cass., sent. del 19.07.1991]. Praticamente, il reato di sottrazione di minori può concorrere con altri reati, qualora, per le modalità del fatto, si vengano a ledere non solo gli attributi della potestà dei genitori o dei tutori, ma anche un bene giuridico diverso.
Se, quindi, oltre che a portare via con te un minore di anni quattordici lo rinchiudi in una stanza oppure in una casa, senza permettergli di uscire, integrerai non solo il reato di sottrazione di minori, ma anche quello di sequestro di persona (se chiederai anche il riscatto, poi, si tratterà di sequestro di persona a scopo estorsivo).
Sottrazione di minore all’estero. La legge prevede un’ipotesi aggravata di sottrazione di minori: si tratta della condotta di chi sottrae un minore al genitore esercente la responsabilità genitoriale o al tutore, conducendolo o trattenendolo all’estero contro la volontà del medesimo genitore o tutore, impedendo in tutto o in parte allo stesso l’esercizio della responsabilità genitoriale. La sanzione consiste nella reclusione da uno a quattro anni. Se il fatto è commesso nei confronti di un minore che abbia compiuto gli anni quattordici e con il suo consenso, si applica la pena più contenuta della reclusione da sei mesi a tre anni [Art. 574-bis cod. pen.].
Mariano Acquaviva La legge per tutti 25 novembre 2018
www.laleggepertutti.it/248986_sottrazione-di-minori
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ASSEGNO DI MANTENIMENTO
Assegno di mantenimento del coniuge: quando cessa
I doveri di assistenza materiale che comportano l’obbligo di corrispondere l’assegno di mantenimento del coniuge. Fino a quando l’assegno di mantenimento è dovuto? In quali casi può finalmente cessare?
Che tu sia felicemente sposato o in procinto di ottenere la separazione o il divorzio, potrebbe interessarti sapere qualcosa in più sull’assegno di mantenimento del coniuge: quando cessa? Per quanto non ti augureresti mai di arrivare a separarti dal tuo coniuge, è meglio non essere colti alla sprovvista nel caso in cui dovessi ricevere una richiesta di mantenimento. Peraltro, ormai sono molti i casi di coniugi che si ritengono vessati dall’obbligo al mantenimento del coniuge. Da più parti si è arrivati a pensare che l’assegno di mantenimento sia una spada di Damocle che incombe sul coniuge obbligato a corrisponderlo, perciò è lecito domandarsi se e quando tale obbligo possa cessare. Al contempo, però, chi versa in condizioni economiche più deboli e perciò ha diritto al mantenimento fa affidamento sugli aiuti da parte dell’altro coniuge per risollevare la propria situazione economica. Risulta allora di grande importanza conoscere i casi in cui il mantenimento cessa di essere dovuto e il corrispettivo diritto si estingue, soprattutto in seguito alle recenti pronunce che hanno innovato la materia. Grazie alle informazioni che troverai in questo articolo, infatti, sarai maggiormente pronto a difenderti da chi vorrebbe toglierti il diritto al mantenimento, così come, nel caso in cui tu sia obbligato a versare il mantenimento, sarai certamente più sollecito nel rivolgerti al giudice ove mai si verificassero delle precise condizioni, di cui parleremo a breve, al fine di vederti finalmente sollevato dal gravoso onere.
Cos’è l’assegno di mantenimento? Il codice civile stabilisce i diritti e i doveri dei coniugi sia nei rapporti tra di essi sia nei confronti dei figli [Art. 143 cod. civ.]. Si tratta di diritti e doveri personali, come il dovere di fedeltà e di coabitazione, ma anche patrimoniali: i coniugi hanno il dovere di sostenersi a vicenda sia dal punto di vista morale sia da quello materiale. In tal modo, le necessità e i bisogni morali ed economici del coniuge che non è in grado di provvedervi autonomamente, devono essere soddisfatti dall’altro coniuge, chiaramente ove ciò sia possibile, ossia l’altro coniuge ne abbia le capacità economiche.
Inoltre, i coniugi che hanno creato un nucleo familiare, devono comportarsi in maniera responsabile nei confronti di ogni componente della famiglia, contribuendo a soddisfarne al meglio i bisogni. Non vi è però rigidità nel modo in cui il coniuge debba contribuire al benessere familiare, poiché viene equiparato l’apporto economico del coniuge lavoratore all’apporto organizzativo, affettivo ed educativo del coniuge che, non lavorando fuori casa, si occupa del lavoro domestico e della cura della prole.
Nel momento in cui i coniugi scelgano di separarsi, i doveri personali sono sospesi, ma quelli materiali permangono. L’assegno di mantenimento è, dunque, quel contributo all’esistenza materiale del coniuge che non abbia redditi propri adeguati e che viene stabilito, in conseguenza della relativa domanda giudiziale, con provvedimento del giudice in sede di separazione, il quale ne decide anche l’ammontare in relazione alle situazioni economiche dei due coniugi [Art. 156 cod. civ.]. I doveri dei coniugi si esplicano anche nei confronti dei figli e ciò fa sì che l’assegno di mantenimento sia dovuto anche nei confronti dei figli minori, nonché dei maggiorenni non ancora economicamente indipendenti.
Quali sono i criteri da soddisfare per ottenere il mantenimento? Se hai ancora qualche dubbio, ecco una sintesi dei requisiti che verranno valutati dal giudice al momento di stabilire se l’assegno di mantenimento è dovuto oppure no:
La separazione non dovrà essere addebitabile al coniuge che chiede il mantenimento, ossia non dovrà essere dipesa esclusivamente dal suo comportamento la fine del matrimonio;
Come accennato, la mancanza di propri redditi adeguati che consentano di mantenere un tenore di vita paragonabile a quello che precedeva la separazione;
Una differenza effettiva tra le condizioni economiche dei due coniugi, poiché è chiaro sintomo della necessità di riequilibrare le situazioni in attesa di una riconciliazione o del divorzio.
Quando si tratta, invece, di stabilire l’assegno di mantenimento in sede di divorzio, e non più soltanto in costanza di separazione, la recente giurisprudenza ha ritenuto di dover integrare i criteri per l’assegnazione del mantenimento con una valutazione più complessa ma, di certo, più completa. Il motivo principale di tale differenza è da ricercarsi nella difficoltà di continuare a considerare il tenore di vita tenuto durante il matrimonio come criterio vincolante anche in sede di divorzio: non devi dimenticare, infatti, che con il divorzio cessano gli effetti del matrimonio, e perciò la Cassazione [Cass. n. 11504/ 2017] ha ritenuto che il mantenimento non possa più essere collegato alla necessità di mantenere il tenore di vita precedente, ma piuttosto debba derivare dalla concreta e oggettiva mancanza di fonti di sostentamento per uno dei coniugi, anche conseguente alla impossibilità di procurarsi reddito per ragioni estranee alla sua volontà.
La capacità di sostentamento e, dunque, il grado di indipendenza economica del coniuge richiedente l’assegno di mantenimento, è valutata dal giudice tenendo conto di molteplici fattori, come la titolarità di redditi di qualsiasi tipo, nonché di beni patrimoniali; l’accertamento della capacità lavorativa, in relazione all’età, al sesso, allo stato di salute, nonché alle condizioni del mercato. Devi tenere presente, inoltre, che la giurisprudenza ha indicato la possibilità di un accertamento anche indiretto della situazione economica del coniuge che richiede il mantenimento, ad esempio attraverso un controllo più accurato della capacità di spesa del coniuge, considerando dunque sia le entrate che le uscite come possibili indicatori [Cass. n. 24667/2013].
Una volta stabilita l’insufficienza delle fonti di reddito, il giudice si concentrerà sul calcolo dell’importo. Dovranno essere presi in considerazione altri fattori che rendano l’applicazione della legge più equa e giusta in relazione al caso concreto e al singolo matrimonio, come ad esempio la durata del matrimonio, le scelte dei coniugi in relazione alla contribuzione di ognuno al bilancio familiare, alla gestione e alla cura dei figli, ove ve ne siano, e all’accrescimento del patrimonio familiare.
Quando può cessare l’obbligo al mantenimento? Vediamo adesso di addentrarci nella materia poiché ti sarà senz’altro utile conoscere quali siano i casi in cui l’obbligo di corrispondere l’assegno di mantenimento cessa. L’assegno di mantenimento, infatti, può mutare nel tempo al mutare delle condizioni di vita dei coniugi, sempre e soltanto in conseguenza del provvedimento del giudice, così come può essere revocato e, quindi, non più dovuto.
Innanzitutto, l’obbligo al mantenimento può cessare perché il coniuge cui l’assegno deve essere corrisposto vi rinunzia. Ciò può accadere per diversi motivi: ad esempio perché non si vuole pretendere nulla dall’ex coniuge o per dare risalto a quella pur insufficiente indipendenza economica che con impegno si è raggiunta. Fatto sta che alla rinunzia in costanza di separazione, però, non consegue l’esclusione automatica dall’assegno in sede di divorzio [Cass. n. 4424/2008] e anche alla rinunzia in sede di divorzio non consegue l’immodificabilità, in seguito, delle statuizioni operate dal giudice.
In secondo luogo, in caso di morte del coniuge obbligato al mantenimento, l’altro coniuge cessa di averne diritto. Quest’ultimo, però, può avanzare la pretesa di una quota dell’eredità, il cui importo dovrà essere tendenzialmente proporzionale all’importo dell’assegno di mantenimento, ma sarà sempre mitigato ad esempio dalle condizioni degli altri eredi, nonché dalla somma che il coniuge ha percepito a titolo di mantenimento in precedenza. In ogni caso gli eredi non saranno tenuti a versare altri assegni mensili poiché il mantenimento è un dovere di tipo strettamente personale, ossia non può ricadere sugli eredi.
Ancora, quando il coniuge che ha diritto all’assegno di mantenimento forma un nuovo nucleo familiare con un’altra persona, convolando a nuove nozze, viene ad estinguersi anche il diritto al mantenimento, poiché in tal modo il coniuge ha reciso ogni legame con il precedente matrimonio che potesse legittimare l’obbligo al mantenimento. Anche semplicemente iniziando una convivenza, grazie alla quale il problema dell’incapacità di autosostenersi viene superato con l’apporto di un nuovo reddito da parte del nuovo partner, possono verificarsi i presupposti per una modifica o revoca dell’assegno di mantenimento, in conseguenza del ricalcolo della situazione economica del coniuge che richiede il mantenimento, che risulterà senza dubbio diversa, ma, in costanza di separazione, bisognerà valutare se la modifica delle sue condizioni economiche è sufficiente a mantenere un tenore di vita analogo a quello precedente oppure no [Cass. n. 25845/2013]. Di contro, invece, la creazione di un nuovo nucleo familiare da parte del coniuge obbligato a versare il mantenimento non sarà causa di cessazione dell’obbligo, ma al più potrà divenire causa di un mutamento dell’importo dell’assegno in ragione del fatto che l’aver creato un nuovo nucleo familiare può importare un peggioramento delle condizioni economiche, nel caso in cui ad esempio egli debba provvedere anche ai bisogni del nuovo partner e degli eventuali nuovi nati [Cass. n. 24056/2006].
A prescindere dalla formazione di un nuovo nucleo familiare, come hai potuto vedere la cessazione dell’obbligo di corrispondere il mantenimento deriva principalmente da un mutamento delle condizioni economiche, che può derivare da diversi fattori. Ad esempio il coniuge economicamente debole perché disoccupato è riuscito a trovare lavoro, raggiungendo un tenore di vita analogo a quello del matrimonio. Ciò sarebbe motivo di cessazione in sede di separazione, mentre in sede di divorzio basterebbe l’aver raggiunto l’indipendenza economica, ovvero la capacità di mantenersi da sé
Non solo un nuovo impiego, ma anche ad esempio una cospicua eredità può mutare le condizioni economiche del coniuge debole, consentendogli di godere di un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, ma ovviamente ciò non vale per un’eredità di poco conto [Cass. n. 20408/2011].
Infine, non devi dimenticare che l’addebito della separazione impedisce al coniuge richiedente il mantenimento di ottenerlo. Ciò comporta che, laddove l’assegno di mantenimento fosse già stato stabilito e il corrispettivo obbligo fosse già esistente, l’addebito della separazione al coniuge che ne aveva diritto estingue l’obbligo al mantenimento precedentemente stabilito.
Non avviene però il contrario: l’addebito della separazione al coniuge tenuto a corrispondere il mantenimento non lo fa cessare. Perciò, se sei in procinto di separarti o di richiedere il mantenimento, ti conviene comportarti con cautela.
Come puoi vedere, infatti, la materia del mantenimento è fatta di numerosi contrappesi studiati per riportare sempre l’equilibrio laddove sia venuto a mancare.
Redazione La legge per tutti 22 novembre 2018
www.laleggepertutti.it/249007_assegno-di-mantenimento-del-coniuge-quando-cessa
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CENTRO INTERNAZIONALE STUDI FAMIGLIA
Newsletter CISF – N. 38, 21 novembre 2018
Le madri scrivono ai grandi della terra (A letter from mothers to world leaders -UNICEF). Un breve ed emozionante video [www.youtube.com/watch?v=-yuv3P09Afc] in cui volti e voci di donne in attesa di un bambino da tutto il mondo rivolgono ai leader mondiali un appello perché la loro gravidanza venga sostenuta, e soprattutto perché si intervenga per proteggere i bambini appena nati. E’ la campagna Every Child Alive [che ogni bambino possa vivere], che denuncia la scarsa protezione dei neonati, in troppi Paesi del mondo: “la nascita e i primi 28 giorni di vita del bambino sono i più pericolosi. Quasi la metà di tutti i bambini morti tra zero e cinque anni sono morti in queste prime quattro settimane”. Muoiono per condizioni igieniche inadeguate o per servizi sanitari insufficienti. Problemi spesso semplici da risolvere, con una maggiore solidarietà a livello internazionale. E soprattutto se e quando la tutela dei bambini riuscirà a diventare priorità nell’agenda internazionale (ricordiamo che il 20 novembre è la Giornata Internazionale per l’Infanzia).
www.unicef.org/every-child-live/?utm_campaign=Every_Child_Alive&utm_medium=email&utm_source=unicef_network#R5100081-2AEF709E-6SVBIK
Puglia: conferenza regionale sulla famiglia. La “ricetta” pugliese per fare più figli. Giovedì 22 e venerdì 23 novembre si terrà a Bari la prima Conferenza regionale sulla famiglia, al termine della quale la Regione dovrà legiferare in merito alle politiche a sostegno delle famiglie e sfida alla denatalità. Si tratta della prima esperienza a livello regionale in Italia, dopo le tre Conferenze nazionali del 2007 (Firenze), 2010 (Milano) e 2017 (Roma).
www.famigliacristiana.it/articolo/la-ricetta-pugliese-per-fare-piu-figli-_33881.aspx?utm_source=newsletter&utm_medium=newsletter_cisf&utm_campaign=newsletter_cisf_21_11_2018
Confronto europeo: migliorare la conciliazione tra lavoro e compiti di cura di lungo periodo (Peer Review on ‘Improving reconciliation of work and long-term care) Il documento, frutto di un seminario tenutosi a Berlino il 24-25 settembre 2018, contiene un confronto tra le principali ricerche sul tema dei servizi di cura a lungo termine, che sono garantiti, in quasi tutte le nazioni europee considerate, da prestatori di cure (caregivers) informali, spesso non retribuiti. Qui si considerano le difficoltà e alcuni possibili interventi per favorire una migliore conciliazione tra vita lavorativa e funzioni di cura, anche introducendo un maggiore uso di soluzioni tecnologiche/domotiche
http://newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/attachments/newscisf3818_allegato1.pdf
Università di Murcia (Spagna) un convegno sulle cure palliative (14-15 novembre 2018). Interessante convegno internazionale sulle cure palliative, svolto presso l’Università di Murcia in collaborazione con la Pontificia Accademia per la Vita (PAV). Rilevante, tra gli altri, l’intervento di Mons. Renzo Pegoraro, Cancelliere della PAV, che ha ricordato che “le cure palliative restituiscono dignità al malato, rispondono ai suoi bisogni e ai suoi problemi. Diffondere le cure palliative è la vera nuova frontiera di oggi. La via dell’eutanasia sembra più facile e serve a globalizzare l’indifferenza. Le Cure Palliative globalizzano l’umanizzazione e mettono al centro l’importanza dei rapporti e dell’alleanza tra il malato, gli operatori, la famiglia, in un circuito di comunicazione efficace”
https://agensir.it/quotidiano/2018/11/14/cure-palliative-mons-pegoraro-pontificia-accademia-vita-oggi-la-forma-piu-matura-e-avanzata-di-vicinanza-e-umanita-e-la-chiesa-ne-e-ben-consapevole/
[vedi nota di agenzia SIR, in Italiano] (Palliative Care restores dignity to the patient, responding to his or her needs and problems. Promoting Palliative Care is the true new frontier of today. Euthanasia appears an easier path to take but results in the globalization of indifference. Palliative Care globalizes humanization and focuses on the importance of relationships and the alliance between the patient, the healthcare workers and the family, in an effective communication network). Vedi anche i dati dell’innovativa ricerca promossa dalla PAV e recentemente pubblicata come “Libro Bianco/White Paper” su Journal of Palliative Medicine-ottobre 2018 (White Paper for Global Palliative Care Advocacy: Recommendations from a PAL-LIFE Expert Advisory Group of the Pontifical Academy for Life, Vatican City). http://newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/novembre2018/5100/index.html
Un video sui temi di un recente convegno sul cyberbullismo. Lunedì 1 ottobre 2018, al Teatro Petrolini, in via Prati, a Castel Gandolfo si è svolto il convegno: Le parole fanno male più delle botte http://www.aracne.tv/video/le-parole-fanno-male-piu-delle-botte.html?s=fbmicso&e=527
“Un evento incentrato sulla legge 71/2017 contro il cyber bullismo ed organizzato in memoria di Carolina Picchio, la quattordicenne suicidatasi nel 2013 dopo che un video a sfondo sessuale che la vedeva suo malgrado come protagonista, era stato messo in rete dagli stessi ragazzi che l’avevano molestata, ricevendo ingiurie e offese di ogni genere. L’incontro aperto ai ragazzi delle scuole ha voluto offrire un momento di sensibilizzazione, di riflessione e prevenzione di possibili episodi di cyberbullismo e promuovere un uso responsabile del web e del mondo virtuale
Il sovraindebitamento delle famiglie. Un tema nazionale.
http://newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/attachments/newscisf38
Troppe famiglie si ritrovano in difficoltà a causa di consumi eccessivi, finanziati con un ricorso a forme differenziate di credito, molto spesso superiori alle realistiche stime di reddito futuro, e a volte anche ai confini con “tassi da usura”. Un tema importante, per ragionare sulle politiche di sostegno alla famiglia (e sulle misure di contrasto alla povertà). Una recente ricerca della Fondazione antiusura fornisce qualche preziosa indicazione. “Per una famiglia si può parlare di sovraindebitamento irreversibile quando né i redditi da lavoro, né le rendite, né le somme ottenibili alienando quote limitate di beni di famiglia (mobili e immobili), consentono di conseguire un pareggio del bilancio familiare in un tempo gestibile. In questa condizione cronica e patologica si possono delineare tre profili: sovraindebitamento “attivo” (vale a dire provocato da scelte autonome e non obbligate); sovraindebitamento “passivo” (quando si è obbligati a ricorrere ad un prestito “di sussistenza”); sovraindebitamento “differito” (un mix tra il primo e il secondo, poiché l’equilibrio attuale sarà inevitabilmente compromesso in futuro). Quest’ultima tipologia, in crescita, si sviluppa quando l’equilibrio economico familiare e soprattutto gli impegni di spesa non sono adeguatamente supportati dai redditi da lavoro (anche per la difficoltà dei giovani a trovare un’occupazione o in seguito a separazioni e divorzi) e presuppongono il sostegno del reddito degli anziani pensionati. Per fronteggiare l’intero sistema dei ‘fallimenti’ economici familiari, si stima che occorrerebbe un intervento dello Stato pari a circa 14 miliardi di euro. Non erogati a fondo perduto, ma dati in garanzia di percorsi di rientro dal debito”. Se ne parlerà anche alla prossima conferenza regionale sulla famiglia in Puglia [Bari, 22-23 novembre 2018
http://pariopportunita.regione.puglia.it/documents/10180/837541/2018+Conferenza+Famiglia+Programma/70e11ecb-ef50-4eb8-83ab-f068fe74d191?fbclid=IwAR37VMyAmspgU8IER-X7pyc9xN3k0I2QGe346z5BDsK3DxhYkuti8lebFIk
Un intervento formativo sull’Alzheimer in formazione a distanza. Il Corso di formazione online multidisciplinare (FAD) basato sull’Approccio capacitante e sullo studio del libro: Alzheimer. Come favorire la comunicazione nella vita quotidiana. 15 crediti ECM.
https://www.formatsas.com/index.php/formazione/ecm/formazione-a-distanza/fad8318nz1304
Il corso è indicato per chi non può venire per due giorni a Milano e vuole ottenere i crediti nel 2018. Le iscrizioni sono aperte sulla piattaforma FORMATsas.
www.formatsas.com/index.php/formazione/ecm/formazione-a-distanza/fad8318nz1304
Save the date
Nord L’inclusione possibile. La rete territoriale per costruire percorsi di autonomia e vita indipendente, Incontro promosso all’interno del progetto Orizzonte Vela, a cura di Fondazione CRC, Cuneo, 1 dicembre 2018.
www.superando.it/2018/11/26/la-rete-territoriale-per-costruire-percorsi-di-autonomia-e-vita-indipendente
Nord Famiglie e alta conflittualità. Ciclo di seminari, promosso dal Centro Bateson. Primo seminario: Alta conflittualità nelle famiglie con relazioni particolarmente disfunzionali (con Dino Mazzei), Milano, 24 novembre 2018; Secondo seminario: Mediazione familiari e coordinazione genitoriale, un’interazione possibile? (con Claudia Chiarolanza), Milano, 23 febbraio 2019.
www.centrobateson.it/altaconflittualita
Nord Forum della non autosufficienza (e dell’autonomia possibile), Decima Edizione, promosso da Maggioli Editore (con crediti formativi per assistenti sociali, professioni sanitarie, OSS-Emilia R.), Bologna, 28-29 novembre 2018. www.nonautosufficienza.it
Centro Alternanza scuola – lavoro. Percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento, convegno promosso da CNEL e ANP (Associazione Nazionale Dirigenti pubblici e alte professionalità della scuola), richiesti crediti formativi, Roma 27 novembre 2018.
http://newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/attachments/newscisf3818_allegato3.pdf
Centro Presentazione del volume di Carlo Caffarra Scritti su “Etica, Famiglia e Vita-2009-2017″ a cura di Livio Melina e Alberto Frigerio, promosso dal Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II, Roma, 3 dicembre 2018.
http://www.istitutogp2.it/wp/wp-content/uploads/2018/11/Libro-Caffarra-Locandina-2018.11.12-DEFINITIVO.pdf
Sud Generazioni d’Impatto, ridisegnare il welfare per le comunità, 19° Happening della Solidarietà, promosso dalla rete Sol. Co, Catania, 11-12 dicembre 2018.
www.happeningdellasolidarieta.org
Sud L’Approccio integrato 0/6 nell’educazione dei bambini, evento promosso da Consorzio La Rada e da Gruppo CGM Salerno, 29-30 settembre 2018.
www.secondowelfare.it/edt/file/La%20Rada%20-%20Programma%20definitivo%20grafico.pdf
Estero Fertility Across Time and Space – Data and Research Advances (La fertilità nel tempo e nello spazio: dati e recenti sviluppi), Conferenza 2018 del Wittgenstein Centre, Terzo Simposio del “Database sulla fertilità umana”, promosso da diversi enti di ricerca internazionali, Vienna, 5-7 dicembre 2018.
www.oeaw.ac.at/fileadmin/subsites/Institute/VID/IMG/Events/2018_Fertility_across_time_and_space/WIC18-3rdHFD_programme.pdf
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CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA
Bassetti: maltrattare le donne è sacrilegio
«Chi maltratta una donna rinnega e sconfessa le proprie radici perché la donna è fonte e sorgente della maternità. È una specie di sacrilegio massacrare una donna. La violenza contro le donne sta diventando sempre più un’emergenza anche a livello nazionale che va combattuta a vari livelli». Lo ha detto il presidente della Conferenza episcopale italiana, il cardinale Gualtiero Bassetti, in un videomessaggio su Tv2000 in occasione della Giornata mondiale contro la violenza sulle donne che si celebra domenica 25 novembre 2018.
«Nella mia esperienza di Pastore – ha proseguito il cardinale Bassetti – sono venuto a contatto con situazioni davvero preoccupanti. Diverse donne si sono rivolte a me in confidenza e con vergogna, timorose delle conseguenze se la vicenda si fosse venuta a sapere e scoraggiate dall’ipotesi di non essere credute. Era brutto perché la loro confidenza che le avrebbe potute aiutare rimaneva soltanto uno sfogo».
«Come si fa a raccontare – ha sottolineato Bassetti – che l’uomo tanto “perbene” nel contesto cittadino, una volta tra le mura di casa si trasforma in un despota aggressivo? Spesso le donne confondono la violenza con un atto di amore esasperato “perché – alcune dicono – se mi picchia, se mi dà uno schiaffo, vuol dire che gli interesso, vuol dire che è geloso di me. Quindi mi vuole bene”. C’è dunque chi si umilia per amore. È chiaro che tutte queste non possono definirsi delle manifestazioni d’amore ma sono manifestazioni di possesso, violenza, prepotenza e viltà».
«Ci viene incontro con la sua sapienza – ha ricordato il presidente della Cei – papa Francesco nell’Amoris Lætitia quando dice: “La vergognosa violenza che a volte si usa nei confronti delle donne, i maltrattamenti familiari e varie forme di schiavitù non costituiscono una dimostrazione di forza mascolina, bensì un codardo degrado. La violenza verbale, fisica e sessuale che si esercita contro le donne contraddice la natura stessa dell’unione coniugale”. È necessario combattere la violenza contro le donne, lo voglio dire con forza, prima di tutto dal punto di vista culturale. E il primo campo ad essere impegnato è quello educativo, iniziando dalle scuole e da tutte quelle che chiamiamo le agenzie educative: la famiglia, la scuola, gli ambiti ricreativi. Talvolta anche nello sport, che dovrebbe essere una forma di educazione, emerge una forma di aggressività. E ogni forma d’aggressività che si forma nell’adolescenza è poi destinata nell’età matura a ripercuotersi su qualcuno e spesso sulla propria compagna».
«La Chiesa – ha aggiunto Bassetti – ribadisce con forza il proprio sostegno e la propria vicinanza a tutte le donne vittime di maltrattamenti e violenza. Come sacerdoti spesso siamo i primi a raccogliere brevi racconti da chi subisce violenza. Dobbiamo essere dunque più accoglienti, attenti e meno frettolosi nei loro confronti. Sappiamo, lo dico con gioia, che ci sono Diocesi, a cominciare dalla Diocesi di Roma, che si sono impegnate ad aprire uno sportello di ascolto e sostegno a tutte le donne in difficoltà e anche ai loro figli. Perché non dobbiamo dimenticare che dove c’è una donna maltrattata ci sono spesso dei piccoli, degli innocenti che sono costretti a vedere queste violenze. Che esempio stiamo dando ai nostri figli?».
Il presidente della Cei si è infine soffermato sull’icona del ‘600 della Madonna dall’occhio nero custodita nel santuario mariano di Galatone in provincia di Lecce. Un uomo lanciò una pietra contro la sacra immagine colpendo la Madonna in pieno volto, all’altezza dell’orbita destra. Immediatamente, intorno all’occhio comparve una evidente livido nero tuttora visibile. Un affresco che molti considerano il simbolo della violenza sulle donne.
«È una bellissima icona – ha concluso Bassetti – che io non conoscevo ma che vi invito a diffonderla. E questa Madonna violata, così sul suo volto stupendo, è l’immagine quasi del sacrilegio che si commette nel violare le donne. Perché ogni donna che sia giovane o anziana è sempre una sorella e una madre da rispettare. E chi non rispetta una donna non rispetta le proprie radici e non rispetta la vita».

Avvenire 24 novembre 2018
www.avvenire.it/chiesa/pagine/bassetti-maltrattare-le-donne-e-sacrilegio
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CONSULENZA COPPIA E FAMIGLIA
Etica della cura nelle relazioni familiari
Primo seminario formativo
per Consulenti Familiari, Assistenti Sociali, Insegnanti, Presbiteri, Operatori pastorali, Formatori e Genitori
Amoris lætitia e la consulenza familiare L’etica della cura nelle relazioni familiari
15 dicembre 2018 Istituto “G. Barbarigo”, via Rogati 17 – 35030 Padova dalle ore 9.30 alle 13.30
Finalità. Aiutare quanti si prendono cura delle relazioni famigliari ad arricchire il proprio apporto con gli approfondimenti e le indicazioni proposte dall’Esortazione post-sinodale “Amoris lætitia”.
Metodologia. Cercando di valorizzare alcune indicazioni etiche e metodologiche proposte dall’Esortazione postsinodale AL con particolare riferimento al capitolo VIII, viene illustrato, approfondito e affrontato, prima da due esperti, e poi insieme ai partecipanti, un caso concreto di situazione di disagio familiare.
Relatori
Dott. Don Giampaolo Dianin, docente di Teologia Morale presso la FTTR
Dott. Don Tiziano Vanzetto, vicario giudiziale del Tribunale Ecclesiastico della diocesi di Padova e docente di Diritto Canonico presso la FTTR
Coordinatori
Tognon Gabriella, Consulente Familiare, Referente per la Regione Veneto dell’AICCeF
Deponte Antonella, Consulente Familiare, Referente per la Regione Trentino Alto Adige – Friuli Venezia Giulia dell’AICCeF
Per partecipare è necessario iscriversi utilizzando l’apposita scheda (www.ufficiofamiglia.diocesipadova.it);
In collaborazione con AICCeF
Con l’adesione di CFC Confederazione Italiana consultori familiari di Ispirazione cristiana
UCIPEM Unione consultori italiani prematrimoniali e matrimoniali
Oasi Famiglia Santuari Antoniani
Sono stati riconosciuti Crediti Formativi Professionali per i soci AICCeF CPF n. 10, ore di tirocinio per i Soci aggregati AICCeF ore 4.
www.ufficiofamiglia.diocesipadova.it/wp-content/uploads/sites/8/2018/09/Descrizione-seminario-2.pdf

Nuove regole per il Patrocinio Aiccef
Il Patrocinio rappresenta una forma di adesione e una manifestazione di apprezzamento dell’A.I.C.C.e F. ad iniziative di carattere scientifico, culturale e formativo ritenute aderenti ai principi e ai valori dell’AICCEF e della Consulenza familiare.
Per ottenere il patrocinio dell’AICCeF e l’uso del logo, come è noto, sono le iniziative promosse da Enti, Associazioni, organizzazioni, Soci e soggetti privati devono riguardare le tematiche relative alla Consulenza Familiare, alla relazione d’aiuto, alla comunicazione, alla coppia alla famiglia e alla genitorialità, alle dinamiche sociali e relazionali, agli strumenti educativi.
Il Consiglio Direttivo ha modificato il 21 settembre 2018 questa attività ed ha stabilito che il patrocinio dell’AICCeF e il logo possono essere concessi sia a titolo gratuito e sia a titolo oneroso, ed ha approvato un apposito regolamento per disciplinare questa concessione.
www.aiccef.it/downloads/files/2018%20Regolamento%20per%20la%20%20concessione%20Patrocinio%20e%20Logo%20AICCeF.pdf
Il Regolamento entra in vigore dal 1 gennaio del 2019 e si applica a tutte le richieste che saranno presentate da quella data in poi.
www.aiccef.it/it/news/nuove-regole-per-il-patrocinio-aiccef.html

Cei. Salute mentale e felicità, la Chiesa invita gli specialisti al dialogo
Il disagio psichico è più diffuso di quel che sembra e chiede capacità nuove per accoglierlo e risolverlo. I numeri delle dimissioni ospedaliere in Italia per problemi di salute mentale – circa 800mila – ci dicono che il fenomeno del disagio psichico è davvero elevato. La cronaca, da parte sua, ci racconta sempre più situazioni e gesti drammatici, spesso persino difficili da comprendere. Medici e religiosi hanno così deciso di far fronte comune, dimostrando che la sinergia tra scienza e fede può essere una risorsa preziosa nel trattamento delle diverse patologie di natura psichica. Come dimostreranno sabato 24 novembre 2018 a Roma gli esperti che interverranno al convegno su «La Chiesa italiana e la salute mentale 2», promosso dall’Ufficio nazionale per la pastorale della salute della Cei.
«Oltre due anni fa abbiamo iniziato un percorso di avvicinamento tra la psichiatria e la Chiesa in Italia e l’anno scorso abbiamo dato vita al primo convegno su Chiesa e salute mentale, in cui ci siamo confrontati in libertà e nel rispetto degli spazi, degli ambiti e dei ruoli – racconta il direttore dell’Ufficio Cei don Massimo Angelelli –. Abbiamo poi continuato a camminare insieme istituendo un “tavolo sulla salute mentale” composto da una quindicina di psichiatri tra i più importanti d’Italia e di referenti dei diversi ambiti di psicologia. Dopo diverse analisi delle problematiche, in campo sia psichiatrico che pastorale, siamo arrivati a una proposta che fosse positiva e desse speranza. Abbiamo insomma cominciato a recuperare il concetto di felicità». Quasi un azzardo, di questi tempi.
Ma gli esperti ne sono sicuri: «Ci sono felicità ferite, ma anche riconquistate. Grazie a percorsi che ci permettono di recuperare felicità e benessere è possibile superare anche i grandi traumi». La situazione da cui partire non è certo facile. «È necessario rendersi conto che le famiglie che hanno componenti con problemi di salute mentale – precisa Angelelli – hanno sempre meno servizi da parte dello Stato e sono sempre più sole. Mancano strutture di cura sul territorio, presìdi territoriali di accompagnamento e non tutte le regioni sono attrezzate». Proprio per evitare il rischio di cedere alla “cultura dello scarto” la Cei ha recentemente aperto il portale Web www.accolti.it e ha promosso un open day delle strutture cattoliche che ospitano persone con fragilità di diverso tipo. «Molte volte c’è bisogno di supportare la famiglia e accompagnarla per evitare l’isolamento – prosegue Angelelli –. La malattia psichiatrica genera ancora uno stigma sociale molto forte: c’è paura, vergogna, disagio. Dobbiamo anche noi superare queste difficoltà, ragionando e trattando la patologia psichiatrica come una delle patologie che possono e devono essere curate».
Del resto, grazie alle nuove conoscenze psicopatologiche è possibile individuare le possibili cause. E dunque prevenirle. «Noi sappiamo che ciò che provoca i disturbi sono diversi fattori tra i quali le cosiddette “determinanti sociali”, ossia aspetti della qualità della vita, tra cui anche il benessere economico – spiega Alberto Siracusano, ordinario di psichiatria, direttore del Dipartimento di Medicina dei sistemi dell’Università Tor Vergata di Roma –. Se tutti questi aspetti incidono sul benessere incidono anche nel rendere la vita delle singole persone a rischio di malessere, come sta accadendo nei giovani. Oggi, infatti, i ragazzi incontrano una serie di difficoltà che dipendono dalle criticità che trovano nelle famiglie, nella società, nella mancanza di strutture di riferimento». Bullismo, disturbi del comportamento, violenze, dipendenze di vario genere, sono dunque solo la punta di un iceberg di uno stato di malessere psichico. «Oggi parliamo di povertà vitale per il fatto che c’è scarsità di riferimenti valoriali, razionali, affettivi, emotivi. In particolare, i giovani arrivano in situazioni altamente critiche, ne sono poi ostaggio, vengono richiamati dall’uso delle droghe e da comportamenti sempre più a rischio. La società moderna ha bisogno di benessere mentale – rimarca Siracusano –. Eppure si investe pochissimo sulle risorse che dovremmo impiegare proprio per aiutarci e aiutare a stare meglio». Ma intanto un grande aiuto può arrivare dalla fede: «La componente spirituale – spiega infatti lo psichiatra – è una risorsa importante per combattere la povertà vitale e di conseguenza favorire il benessere della mente».
Per vincere la sfida occorrono però risposte concrete. «Il 25% delle famiglie italiane hanno a casa qualcuno con sintomi riferibili a problemi di salute mentale – sottolinea padre Carmine Arice, superiore generale della Società dei sacerdoti del Cottolengo e della Piccola casa della Divina Provvidenza di Torino –. Bisogna partire dal presupposto che queste persone non solo hanno dignità, ma che sia possibile un percorso di riabilitazione, di accompagnamento e cura tale che possa riportarle a fare un’esperienza positiva della vita». Punto d’avvio, dunque, l’accettazione: «Occorre diventare esperti dell’arte della relazione, della capacità di sostare, di saper stare in ascolto – precisa Arice –. Come comunità cristiana dobbiamo promuovere la cultura della presenza, testimoniando nella concretezza che tutte le persone con fragilità sono parte di un corpo. Per questo non può mancare una formazione pastorale a tutto tondo». Solo così «educare alla felicità, e accompagnare le persone con disagio mentale verso una felicità tutta da riconquistare», potrà essere un obiettivo alla portata di tutti.
Graziella Melina Avvenire 23 novembre 2018
www.avvenire.it/famiglia-e-vita/pagine/salute-mentale-felicita
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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM
Cremona. Iniziative con la Scuola, incontri e progetti.
Affettività scuole secondarie II grado
Relazionalità Scuole Secondarie II grado
Scuole Primaria 2018-2019
Scuole Secondarie di I grado 2018-2019
Spazio Ascolto Scolastico
www.ucipemcremona.it/content/progetti
Attivati a novembre incontri con donne italiane e straniere alla scoperta di diritti, doveri e benessere
Il Consultorio partecipa attivamente al progetto della Regione Lombardia S. O. S. Ludopatia per informazioni e interventi d’aiuto per problemi de gioco d’azzardo.
www.ucipemcremona.it/
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CONVIVENZE
Conviventi more uxorio: la formula della convenzione patrimoniale
La finalità del contratto di convivenza è quella di regolare i rapporti patrimoniali tra conviventi. Essi devono avere specifiche caratteristiche formali, che vanno rispettate anche in caso di successive modifiche ovvero di risoluzione.
Il tema della famiglia, nella sua accezione di famiglia di fatto e delle tematiche connesse sono state ampiamente analizzate da Elena Falletti, ricercatore confermato di diritto privato comparato.
Viene trascritta la formula (tratta da In pratica Famiglia 19 novembre 2018) della convenzione patrimoniale tra conviventi more uxorio.
Altalex, 19 novembre 2018
www.altalex.com/documents/biblioteca/2018/11/19/formula-convenzione-patrimoniale-tra-conviventi-more-uxorio?utm_source=altalex.com&utm_medium=referral&utm_campaign=box-leggi-anche
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DALLA NAVATA
XXXIV Domenica del Tempo ordinario Cristo Re- Anno B – 25 novembre 2018
Daniele 07.14. Gli furono dati potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano: il suo potere è un potere eterno, che non finirà mai, e il suo regno non sarà mai distrutto.
Salmo 92. 05. Davvero degni di fede i tuoi insegnamenti! La santità si addice alla tua casa per la durata dei giorni, Signore.
Apocalisse 01. 08. Dice il Signore Dio: Io sono l’Alfa e l’Omèga, Colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente!
Giovanni 18. 37 Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce».

Un nuovo regno, dove il più potente è colui che serve
Osserviamo la scena: due poteri uno di fronte all’altro; Ponzio Pilato e il potere inesorabile dell’impero; Gesù, un giovane uomo disarmato e prigioniero. Pilato, onnipotente in Gerusalemme, ha paura; ed è per paura che consegnerà Gesù alla morte, contro la sua stessa convinzione: non trovo in lui motivo di condanna.
Con Gesù invece arriva un’aria di libertà e di fierezza, lui non si è mai fatto comprare da nessuno, mai condizionare. Chi dei due è più potente? Chi è più libero, chi è più uomo?
Per due volte Pilato domanda: sei tu il re dei Giudei? Tu sei re? Cerca di capire chi ha davanti, quel Galileo che non lascia indifferente nessuno in città, che il sinedrio odia con tutte le sue forze e che vuole eliminare. Possibile che sia un pericolo per Roma?
Gesù risponde con una domanda: è il tuo pensiero o il pensiero di altri? Come se gli dicesse: guardati dentro, Pilato. Sei un uomo libero o sei manipolato?
E cerca di portare Pilato su di un’altra sfera: il mio regno non è di questo mondo. Ci sono due mondi, io sono dell’altro. Che è differente, è ad un’altra latitudine del cuore. Il tuo palazzo è circondato di soldati, il tuo potere ha un’anima di violenza e di guerra, perché i regni di quaggiù, si combattono. Il potere di quaggiù si nutre di violenza e produce morte. Il mio mondo è quello dell’amore e del servizio che producono vita. Per i regni di quaggiù, per il cuore di quaggiù, l’essenziale è vincere, nel mio Regno il più grande è colui che serve.
Gesù non ha mai assoldato mercenari o arruolato eserciti, non è mai entrato nei palazzi dei potenti, se non da prigioniero. Metti via la spada ha detto a Pietro, altrimenti avrà ragione sempre il più forte, il più violento, il più armato, il più crudele. La parola di Gesù è vera proprio perché disarmata, non ha altra forza che la sua luce. La potenza di Gesù è di essere privo di potenza, nudo, povero. La sua regalità è di essere il più umano, il più ricco in umanità, il volto alto dell’uomo, che è un amore diventato visibile.
Sono venuto per rendere testimonianza alla verità. Gli dice Pilato: che cos’è la verità? La verità non è qualcosa che si ha, ma qualcosa che si è. Pilato avrebbe dovuto formulare in altro modo la domanda: chi è la verità? È lì davanti, la verità, è quell’uomo in cui le parole più belle del mondo sono diventate carne e sangue, per questo sono vere.
Venga il tuo Regno, noi preghiamo. Eppure il Regno è già venuto, è già qui come stella del mattino, ma verrà come un meriggio pieno di sole; è già venuto come granello di senapa e verrà come albero forte, colmo di nidi. È venuto come piccola luce sepolta, che io devo liberare perché diventi il mio destino.
Padre Ermes Ronchi, OSM
www.qumran2.net/parolenuove/commenti.php?mostra_id=44458
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DEMOGRAFIA
La presidente Alberti Casellati. «Natalità, un piano basato sul fattore donna»
Di recente ha definito il calo delle nascite in Italia «un dramma epocale» da cui, per le ripercussioni che implica, dipende il futuro del Paese. Maria Elisabetta Alberti Casellati invoca sul tema della denatalità, «una presa di coscienza forte, di tutto il Paese» e un primo significativo segnale già nella prossima legge di Bilancio. Ma, soprattutto, la presidente del Senato indica una «questione femminile», da leggere in stretta correlazione, perché «fin quando le donne verranno poste di fronte all’inaccettabile alternativa fra lavoro e maternità sarà difficile uscire da questa situazione».
Presidente, a parole, tutti sono d’accordo nel reputare la lotta alla denatalità una priorità. Perché poi c’è tanta esitazione a passare ai fatti?
Oggi è necessario che su questo tema ci sia una presa di coscienza forte, di tutto il Paese. La posta in gioco è altissima e riguarda il futuro di quel patto tra generazioni che oggettivamente è a rischio. Presto, molto presto la popolazione attiva non sarà più in grado di sostenere il carico di anziani. Invocare un ‘piano per la natalità’ significa adottare provvedimenti per sostenere la genitorialità sul lungo periodo. Penso, ad esempio, a delle politiche ‘formato famiglia’ che favoriscano il primo impiego per le giovani generazioni, agevolino l’accesso alla prima casa, introducano il quoziente familiare nella tassazione.
Crisi economica e impoverimento della popolazione hanno inciso ulteriormente. Ma quanto incide il fattore culturale?
Al di là della crisi di valori che ha travolto anche l’istituto del matrimonio, il punto è che in Italia i figli non si fanno più principalmente per ragioni economiche. È la difficoltà a trovare un’occupazione stabile che scoraggia le giovani coppie a programmare la nascita di un figlio. Ma la situazione non è meno difficile per chi il lavoro ce l’ha: i redditi si sono impoveriti e c’è poco supporto per le madri lavoratrici perché, tra le altre cose, non ci sono strutture a sufficienza per l’infanzia. È su questi fronti che le politiche pubbliche hanno il dovere di intervenire. Altrimenti il nostro resterà un Paese impossibilitato a coltivare il suo futuro.
Lei ha indicato come centrale anche il ruolo delle imprese.
Sì, ma prima bisogna porre il problema su un piano culturale: maternità e genitorialità sono esperienze il cui valore va difeso e tutelato. Non è più tollerabile che oggi, anche quando la parità di genere si afferma nel lavoro, le donne lavoratrici, dopo la nascita del primo figlio, perdano l’occupazione o subiscano tagli allo stipendio. E non è più tollerabile che la donna accantoni il progetto- famiglia perché teme possa essere di ostacolo alla carriera. Quando parlo di una strategia per il rilancio demografico che metta al centro le imprese, penso a misure strutturali che riguardino istituti di conciliazione lavoro-famiglia, incentivi al welfare a sostegno della genitorialità, trattamenti economici non discriminatori. Invertire la rotta della denatalità si può, ma anche le aziende devono fare la loro parte.
Come sollecita il Forum delle Associazioni familiari, il reddito di cittadinanza può essere modellato in modo da favorire le famiglie con figli, visto che molte di esse sono state relegate dalla crisi oltre la soglia di povertà?
Ribadisco che non si può pensare di affrontare un tema come la decrescita demografica, così cruciale per il futuro del Paese, con provvedimenti contingenti. Dal supporto ai giovani e alle famiglie più indigenti, dagli incentivi alle imprese e agli investimenti sugli asili nido, alla defiscalizzazione dei beni e dei servizi per l’infanzia: ci vuole una visione d’insieme.
Crede che in questa legge di Bilancio sia possibile trovare una prima convergenza, almeno riguardo alla famiglia?
La Legge di Bilancio è ancora al vaglio della Camera dei Deputati, per cui esprimersi nel merito di singoli provvedimenti è prematuro. Il mio auspicio è che Parlamento e Governo mostrino sensibilità rispetto alla situazione delle famiglie e all’importanza del rilancio demografico.
Una maggioranza di centrodestra creerebbe spazi maggiori per una politica seria a favore di famiglie e natalità?
È una valutazione che da Presidente del Senato ritengo opportuno non fare. Piuttosto, è bene ricordare a tutte le forze politiche che è la nostra stessa Costituzione a imporci di tutelare «i diritti della famiglia».
L’alleanza Lega-Forza Italia viaggia su un doppio binario. In vista delle europee Berlusconi dovrebbe scegliere il fronte europeista, anche a costo di strappare con Salvini?
In Europa Lega e Forza Italia fanno parte, da sempre, di famiglie politiche diverse. La legge elettorale per le europee è proporzionale e non prevede coalizioni o apparentamenti. Ogni partito proporrà quindi ai cittadini le proprie ricette, in una competizione che mi auguro possa essere costruttiva e propositiva.
Tra il governo giallo-verde e Bruxelles, sulla manovra economica 2019, si è aperto uno scontro senza precedenti; qual è, in proposito la riflessione della seconda carica dello Stato?
La mia preoccupazione è una e una soltanto: che gli effetti di queste divergenze non ricadano sul presente e sul futuro dei cittadini italiani. Auspico quindi che il quadro possa ricomporsi. Tra l’austerità a tutti i costi e un indebitamento per favorire la domanda interna ritengo sia necessario trovare un punto di equilibrio in nome dell’interesse generale.
Oggi è la Giornata contro la violenza sulle donne. Ma in questo 2018 in Italia siamo già arrivati a 65 vittime di ‘femminicidio’. Da dove partire per arginare il fenomeno, dagli strumenti normativi o da quelli educativi e culturali?
Un fenomeno così complesso non può avere origine da una sola causa. È il combinato disposto di più elementi. Tra questi spicca certamente l’emancipazione della donna che ha portato l’uomo a dover accettare, non senza difficoltà, l’esperienza della parità. Aggiungerei poi quel ‘permissivismo genitoriale’, oggi così diffuso nelle famiglie, che sicuramente non aiuta a formare adulti in grado di capire la logica del ‘rifiuto’. Per quante misure penali, processuali o amministrative vengano messe in campo, queste non potranno mai avere una piena efficacia se non vi sarà un impegno altrettanto incisivo sul piano dell’educazione e dell’informazione. Le leggi non bastano se non cambiano le menti.
Angelo Picariello Avvenire 25 novembre 2018
www.avvenire.it/attualita/pagine/natalit-un-piano-basato-sul-fattore-donna
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DIRITTI
10 diritti da rispettare per crescere bambini più sani
I bambini vogliono compiacere i genitori in modo innato, ma dovete essere pazienti e avere aspettative ragionevoli che riflettano la capacità reale dei bambini e forse qualcosa di più, ma non troppo. Perché i piccoli si sentano motivati e si sforzino, dovranno poter raggiungere ciò che viene proposto loro.
Dalla salute al tempo libero. Un decalogo rivolto a genitori, istituzioni, e, più in generale, a tutto il mondo! A stilarlo il medico e psicoterapeuta dell’età evolutiva Alberto Pellai su Famiglia Cristiana (21 novembre 2018). Si tratta di diritti che «vanno pensati, tutelati e presidiati oggi più che mai per proteggere e sostenere la crescita».
Diritto a crescere in una famiglia non povera. Diritto a crescere in una famiglia che non sia stremata dalla precarietà, dalla crisi economica, dall’emergenza che ogni giorno impone di trovare un modo per sopravvivere, anziché vivere. I bambini che crescono in famiglie povere spesso si trovano a confronto con genitori stremati dalla vita, in ansia per tutto. E in queste condizioni, si vive e cresce male.
Diritto a spazi di vita senza pericoli. Diritto a città, spazi di vita, cortili e strade in cui muoversi a piedi e in bicicletta, in cui poter giocare all’aria aperta non sia considerato un pericolo reale per la sopravvivenza e/o un disturbo per le esigenze produttive del mondo adulto.
Diritto a vivere il proprio tempo libero. Diritto al tempo libero, un tempo cioè non già tutto occupato da attività, addestramenti, apprendimenti sempre gestiti da un adulto che dice che cosa si deve fare e che cosa si deve imparare.
Diritto alla fase-specificità. Diritto alla fase-specificità, ovvero a muoversi in un mondo che sa che la minore età va rispettata e nutrita con cose che le sono adatte. Città coperte di cartelloni pubblicitari di impronta pornografica; schermi abitati da parolacce, aggressività e violenza; siti online frequentati dai minori per i quali tutto è accessibile e senza filtro; gioco d’azzardo a diffusione epidemico tra i minori.
Diritto ad una vera scuola. Diritto ad una scuola che sia maestra di vita oltre che di discipline, in cui i docenti possano essere formati e supervisionati, in cui le classi non siano più sovraffollate, in cui si educhi non solo il sapere e il saper fare degli studenti, ma anche il loro saper essere.
Diritto ad essere protetti dal marketing. Diritto ad essere protetti dagli strateghi del marketing delle multinazionali che da anni vedono nell’infanzia un’età da formare non alla vita, ma al consumo.
Diritto ad essere educati alla bellezza. Bellezza delle parole, bellezza delle immagini, bellezza delle relazioni, bellezza della natura.
Diritto ad un mondo adulto intelligente. Diritto ad un mondo adulto che sa produrre una mente adulta comune rispetto ai bisogni di crescita di bambini, preadolescenti e adolescenti. Occorre che scuola e famiglia siano alleate e condividano metodi ed obiettivi del progetto educativo rivolto a chi sta crescendo.
Diritto alla salute. Diritto alla salute, alla prevenzione primaria, alla tutela del benessere psico-fisico, condizione resa sempre più difficile dalle sollecitazioni che i minori ricevono a vivere sedentariamente, mangiare in modo sregolato e poco valido dal punto di vista nutrizionale e dal fatto che la tutela della loro salute è resa sempre più difficile in un Sistema Sanitario reso precario dalla crisi economica.
Diritto a un futuro. Ovvero uno spazio di progetto in cui dare senso alla loro fatica di crescere, alla loro motivazione a impegnarsi, a studiare, a fare fatica. In questi ultimi anni, chi cresce si sente già da piccolo derubato del proprio futuro
Gelsomino Del Guercio Aleteia 21 novembre 2018
https://it.aleteia.org/2018/11/21/10-diritti-da-rispettare-per-crescere-bambini-piu-sani/?utm_campaign=NL_it&utm_source=daily_newsletter&utm_medium=mail&utm_content=NL_it

Diritti delle donne lavoratrici
Un excursus di normativa e giurisprudenza a tutela delle donne che lavorano e contro le più sottili forme di discriminazione.
“Salari più equi, possibilità di carriera anche per le donne, disciplina dell’orario straordinario e festivo, ferie, mense, divieto di licenziamento in caso di maternità, congedo per parto al 75% del salario di base, e inoltre l’istituzione di sale di allattamento e di asili nido all’interno delle fabbriche”. Questo quanto si legge in un “manifesto” ormai datato e recuperato grazie alla sapiente penna della giornalista e scrittrice Marta Boneschi [“Di testa loro – Dieci italiane che hanno fatto il Novecento”, Mondadori, 2002].
Diritti sacrosanti, verrebbe da dire al semplice scorrimento di queste primissime righe, ma magari non tutti sanno che questi punti, che oggi si tende a dare quasi per scontati, furono in realtà frutto di estenuanti negoziazioni. La tutela delle donne lavoratrici cominciò a uscire dall’ombra e a farsi strada grazie alla determinazione delle donne medesime con la sigla del primo contratto nazionale di lavoro di categoria. Da qui alla proposta di legge per la “tutela fisica ed economica delle madri lavoratrici” il passo fu poi relativamente breve. Fu così che nell’estate del 1950 vedranno la luce dei rilevanti diritti come il congedo di maternità e il diritto alla conservazione del posto di lavoro per le donne spose e madri. Ma se questi possono dirsi gli antefatti storici che hanno interessato le nostre nonne, zie e madri, come sono messe oggi le donne che lavorano? Cosa è cambiato e come si è evoluta la loro la vita in questo arco di più di mezzo secolo?
Perché è pur vero che è la stessa Costituzione italiana ad affermare che “La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore” [Art. 37 Costituzione], ma, come si dice, tra il dire e il fare c’è di mezzo il mare. E se anche tu che ci leggi non vuoi rischiare di naufragare in questo mare magnum di articoli, leggi, leggine e pronunce giudiziarie, continua a navigare a vista! Impugna la nostra bussola sui diritti delle donne lavoratrici così da orientarti e tenere saldo il timone nelle vicissitudini che l’odierno mondo del lavoro ti mette dinnanzi.
Cominciamo quindi dai diritti da riconoscersi in capo alla donna in quanto lavoratrice, con un breve excursus sui diritti che la stessa può rivendicare in fase di messa al riposo dal lavoro, per poi considerare la delicata congiuntura di donna lavoratrice e madre, fino all’iniziale colloquio di lavoro. Una carrellata cronologica nel mondo lavorativo della donna a ritroso nel tempo: dalla messa a riposo al primo colloquio di lavoro. Perché, come vedremo, non si può mai dormire sonni tranquilli in fatto di tutele per le miss al lavoro; una strada irta che il legislatore sta cercando di rendere però sempre più percorribile.
Diritto al lavoro e parità dei lavoratori uomo e donna: quali leggi? Questi generali principi di eguaglianza sono espressamente sanciti anche in ambito costituzionale dove si legge che “la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore” e che “le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione [Art. 37 Costituzione]. Un dettato normativo che ha in sé molte implicazioni. Tra le principali questioni, di frequente oggetto di discipline ad hoc, il diritto allo stesso trattamento, economico e giuridico, a parità di ore di lavoro, nonché il diritto alle medesime possibilità di accedere al lavoro e di progredire nella carriera.
Un passaggio fondamentale in tal senso è stato il dettato normativo di cui al “Codice delle pari opportunità tra uomo e donna” [D. Lgs. n. 198 dell’11.04.2006]. Anche a livello comunitario e di Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, la materia del lavoro declinato al femminile è oggetto di particolare attenzione [Artt. 23 e 33 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea]. Ma le lacune restano sempre, tanto che al fine di colmare il divario di “genere”, si ammette che il legislatore intervenga con le c.d. azioni positive, per ristabilire l’equilibrio a vantaggio del gentil sesso che, al fine di ottenere le dovute tutele, è spesso costretto ad essere un po’ meno gentile del suo epiteto, rivolgendosi alle aule di giustizia.
Si può affermare che un lavoro non è da donne? Alla luce di una recente pronuncia della Cassazione [Cass. sez. V penale, sent. n. 10164, 12.03.2010] in mancanza di dati oggettivi su cui fondare il discrimine tra lavori maschili e femminili, molto meglio astenersi da dichiarazioni gratuite che potrebbero costare invece molto care a chi le rilascia, specie se in pubblico. E’ questo il caso che ha visto coinvolti un giornalista e un sindacalista a seguito di un’intervista pubblicata su un quotidiano. Le frasi additate, costate ai due “malcapitati” l’incriminazione per diffamazione e un esborso in denaro di svariate migliaia di euro, sono state ben due. La prima, apparsa sotto forma di titolo a caratteri cubitali, del seguente tenore: “Carcere: per dirigerlo serve un uomo”. La seconda invece contenuta in un passaggio dell’intervista in cui il sindacalista, parlando della situazione di un dato carcere, diceva che per la struttura, diretta da una donna, «sarebbe meglio una gestione al maschile», senza però ancorare tale affermazione ad alcun elemento oggettivo. Ed è qui stato l’ulteriore inescusabile errore. A nulla sono valsi gli invocati diritti di cronaca e di critica sindacale. «In sostanza, – sono gli stessi ermellini a scrivere – la critica che viene mossa alla direttrice è sganciata da ogni dato gestionale ed è riferita al solo fatto di essere una donna, gratuito apprezzamento contrario alla dignità della persona perché ancorato al profilo, ritenuto decisivo, che deriva dal dato biologico dell’appartenenza all’uno o all’altro sesso» [Ut sopra Cass. sez. V penale, sent. n. 10164, 12.03.20107]. Una battaglia intrapresa dalla direttrice del carcere proprio per significare che quando si tratta di lavoro, una persona o è capace o non lo è, il resto è “solo” discriminazione sessuale che ai nostri giorni non può più essere tollerata.
Diversa età per il licenziamento lui/lei: è legittimo? La risposta è no! Con una recente pronuncia [Cassazione sentenza n. 12108, 17.05.2018] è stata la stessa Corte di Cassazione a stabilire che non è legittimo il licenziamento di una lavoratrice che abbia raggiunto l’età pensionabile, se tale requisito anagrafico è diverso da quello previsto per gli uomini. Nel caso di specie, gli “ermellini” hanno accolto il ricorso presentato da alcune ballerine del Teatro dell’Opera di Roma, licenziate per aver raggiunto l’età anagrafica per il pensionamento di vecchiaia (47 anni), diversa però da quella stabilita per gli uomini (52 anni). Il licenziamento per raggiunti limiti di età delle donne lavoratrici – sta scritto – è da ritenersi discriminatorio, poiché integra una discriminazione per ragioni di sesso, al quale non possono opporsi neanche legittime deroghe per finalità sociale o di interesse pubblico.
Donna in stato interessante: quali tutele al lavoro? La donna in gravidanza che lavora, inoltre, ha diritto ad una serie di permessi retribuiti che le permettano di effettuare i necessari esami prenatali, visite specialistiche ed altri accertamenti [www.laleggepertutti.it/43153_lavoratrice-incinta-permessi-per-visite-e-maternita-anticipata]. E comunque le donne in stato di gravidanza, in ogni caso, non devono essere adibite a lavori pesanti e usuranti che comportino il sollevamento e il trasporto di pesi o l’esposizione ad agenti che potrebbero mettere a rischio la sua salute e quella del bambino. Se però le mansioni ordinariamente svolte dalla gestante dovessero essere di per sé faticose, la donna deve essere adibita, per il periodo strettamente circoscritto alla gravidanza, a mansioni più leggere con mantenimento integrale della retribuzione. Le gestanti, inoltre, anche se turniste, non possono essere adibite a lavori in orari compresi dalla mezzanotte alle ore sei del mattino: per tutto il periodo della gravidanza alla donna devo essere assegnati soltanto turni diurni per consentirle il riposo notturno e per non andare contro i normali ritmi di sonno-veglia.
Congedo di maternità: cos’è e cosa determina? E’ uno strumento che consente alla futura mamma di assentarsi dal lavoro senza perdere il diritto alla retribuzione. Per cui, in fase di gravidanza, si può, anzi si deve, richiedere telematicamente all’Inps il congedo di maternità, ovvero il periodo di astensione obbligatoria dal lavoro durante il quale la lavoratrice percepisce un’indennità sostitutiva pagata dall’INPS. Il periodo di vigenza è di 5 mesi, usufruibile secondo la modalità 2+3 (due mesi prima e tre mesi dopo il parto) o 1+4 (1 mese prima e 4 mesi dopo il parto) in assenza di complicazioni. In questo lasso di tempo, la lavoratrice ha diritto di percepire un’indennità economica pari all’80% della retribuzione giornaliera calcolata sulla base della paga percepita nel mese precedente l’inizio del congedo [D. Lgs n. 151, 26.03.2001, Testo Unico maternità/paternità].
Il permesso per allattamento: quali i tempi e le modalità? Il bambino è venuto alla luce e la mamma è rientrata al lavoro, ha terminato il congedo di maternità, ma ha ancora un “asso nella manica” per rendere meno traumatico il distacco col piccolo. Questo ulteriore strumento si estrinseca in un permesso dal lavoro per motivi di allattamento che, in buona sostanza, consente alla neo mamma lavoratrice di beneficiare di alcune ore di permesso giornaliere per posticipare l’orario di entrata o anticipare l’orario di uscita dal lavoro.
Tale strumento si attiva dietro apposita richiesta da inoltrare al datore di lavoro nel primo anno di vita del bambino senza alcun onere di dimostrare l’effettivo allattamento. Inoltre è bene sapere che tali permessi non sono cumulabili con lo strumento del congedo parentale (di cui di seguito) e sono anche più convenienti in termini economici in quanto retribuiti al 100% “contro” la retribuzione al 30% dello stipendio percepito per il congedo parentale. Anche in questo caso l’indennità viene erogata dall’Inps.
Congedo parentale: cumulabile col permesso di allattamento? Il congedo è un’indennità che lo Stato riconosce ai genitori, quindi anche alla madre, affinché sia garantita al bambino adeguata assistenza. Il periodo di astensione dal lavoro non può però cumulativamente superare i 10 mesi (estensibili in casi particolari a 11) fino ad un’età massima del bambino di 12 anni. E’ comunque ammessa la frazionabilità del periodo in mesi, settimane, giorni e ore in funzione delle individuali esigenze. Nello specifico, la madre non può astenersi per un periodo, continuativo o frazionato, superiore a 6 mesi.
Quali sono i diritti delle donne in fase di colloquio di lavoro? E’ bene sapere che indagare sulla vita privata dei candidati non è mai lecito, ma la cosa diventa ancora più delicata se a sostenere il colloquio, in vista di un prossimo incarico di lavoro, è una donna. Ma ora alla luce del Codice delle pari opportunità è espressamente vietata qualsiasi discriminazione fondata sul sesso, sull’orientamento sessuale, sullo stato matrimoniale, di famiglia o di gravidanza della persona intervistata, indipendentemente dalle modalità di assunzione, dal settore di attività e a tutti i livelli della gerarchia professionale [Art. 27 D. Lgs. 198 dell’11.04.2006].
Continuando sempre a tenere il Codice alla mano, le domande inopportune sullo stato di maternità, sia naturale che adottiva, comprendono anche quesiti sulla gestione della famiglia, come la presenza di una tata o una nonna in casa che possa accudire eventuali figli. E così si tutelano anche le varie Mary Poppins a cui la mamma dovesse rivolgersi per lavorare in tranquillità.
Maria Teresa Biscarini La legge per tutti 25 novembre 2018
www.laleggepertutti.it/258259_diritti-delle-donne-lavoratrici
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FAMIGLIA
L’autunno delle relazioni
In questi giorni le foglie del melograno sono sempre più gialle e cadono per l’autunno inoltrato. Abbiamo raccolto i frutti, mangiato i semi e bevuto il succo: ora resta soltanto l’albero sempre più spoglio. In questo suo passaggio autunnale, vedo l’esperienza di tante coppie che portano frutto e ne condividono il dono, ma poi, in una o più occasioni, si ritrovano spoglie, prive di foglie e di frutti che hanno già dato, attraversando una pausa che magari le fa soffrire, ma che può nascondere il silenzio del riposo e del recupero di sé. Quanta paura dinanzi a certi silenzi tra marito e moglie; quanta sofferenza nel ritrovarsi con dei figli che sembrano non avere più bisogno di noi; quanta amarezza dopo aver dato tanto, tutto, e non sentire attorno a sé gratitudine e affetto. Questo tempo di crisi, come ogni altro, può essere accolto come tempo di semina e di gestazione, silenzio che permette un rigenerarsi per una nuova stagione.
L’autunno delle relazioni e della vita di coppia può non essere l’annuncio di un freddo e buio inverno senza fine, ma l’inizio di una sosta che rinfranca, necessaria per altro, e non soltanto accidentale. Quel figlio che lascia soli i genitori, sicuramente chiede di essere accompagnato in un modo nuovo, ma offre a papà e mamma l’occasione di ritrovarsi, di creare nuovi modi per stare insieme, di recuperare un rapporto che magari si è allentato e li ha resi un po’ estranei. Quel donare che sembra non trovare accoglienza e smuove dentro di sé tristezza, può essere un invito a cercare la sorgente dell’amore vero, lì dove sgorga gratuitamente e gioiosamente.
Nei giorni scorsi ho guardato il melograno ingiallito del giardino insieme ad una giovane mamma, mentre mi raccontava il suo autunno. È sposata da alcuni anni e ha già due bambini. Ora è incinta di un terzo figlio, dono che le dà gioia e che vive con riconoscenza. C’è un’ombra, però, nel suo cuore, che si ripropone di tanto in tanto. È l’ombra della suocera. Il marito la cita spesso, ma in modo particolare quando lei non corrisponde alle sue attese. “Mia mamma ha tirato su cinque figli e non ha mai brontolato… Mi chiedi di aiutarti in un sacco di cose, ma io non ho mai visto mia mamma chiederle a mio papà…”. E poi la frase più tremenda: “Non riesci proprio a stirare le camice come lo faceva mia mamma”.
È una suocera attenta, disponibile e molto corretta, ma che il marito le sta facendo andare di traverso, con i suoi riferimenti talvolta detti a sproposito. Si sente svalutata, ma soprattutto lasciata sola. Anche questa è un’esperienza di autunno. Lo è per lei, ma lo deve diventare anche per il marito. Nel parlarci abbiamo compreso che c’è del non detto da condividere, che ci sono delle pretese indebite da smascherare, ma soprattutto un dono da scoprire, da guardare nella sua originalità. C’è una fermezza interiore che lei deve trovare ed esprimere, imparando a riconoscere i doni che porta, rapportandosi con creatività e puntualità di gesti e di parole con il marito, affinché impari un nuovo modo di comunicare, lasci andare vecchi schemi di riferimento e accolga sua moglie così com’è e non come la vorrebbe.
Il problema non consiste nella suocera, ma nella percezione che entrambi hanno di sé e dell’altro, ed è questa che è chiamata a maturare, perché possa crescere la verità reciproca. Nel salutarci abbiamo poi pregato il Salmo 139: “Signore, io ti rendo grazie: hai fatto di me una meraviglia stupenda”. Sono parole che questa donna è chiamata a coltivare nel cuore, a lasciare sedimentare, perché davvero lei è un dono. Parole con cui può dare voce al bambino che le sta crescendo nella pancia, cariche di meraviglia e di libertà.
Don Silvano Trincanato La difesa del popolo 15 novembre 2018
www.ufficiofamiglia.diocesipadova.it/2018/11/15/articolo-del-direttore-don-silvano-trincanato
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FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI
L’Assemblea del Forum delle Famiglie rilancia il Patto per la Natalità
564 associazioni nazionali e locali, 20 Forum regionali, 4 milioni di famiglie
Si è chiusa il 24 novembre 2018 l’Assemblea nazionale del Forum delle Associazioni Familiari. L’organismo, che proprio in questi giorni compie 25 anni di attività, ha rieletto Gigi De Palo come presidente nazionale. Votati anche i membri del Consiglio e del Direttivo.
Consiglio Direttivo 2018 – 2022
Presidente De Palo Gianluigi
Vicepresidenti Colombo Maria Grazia (Associazione genitori scuole cattoliche)
Ciccarelli Emma (Forum Lazio)
Tesoriere Giuseppe Ficini (Movimento Cristiano Lavoratori)
Consiglieri Bassi Vincenzo (Unione giuristi cattolici italiani)
Budano Gianluca (Acli – Ass. cristiane lavoratori italiani)
Caltabiano Alfredo (Ass. nazionale famiglie numerose)
Crimì Pinella (Forum Sicilia)
Di Maio Nino (Associazione Progetto Famiglia)
Gallo Fabio (Forum Piemonte)
Orselli Massimo (Ass. Famiglie per l’Accoglienza)
Perticaroli Paolo (Forum Marche)
Riccardi Cristina (Ai.Bi Associazione amici dei bambini)
Ridolfi Stefania (Afi Associazione delle famiglie)
Sutera Nino (Forum Lombardia).

De Palo, eletto per il primo mandato nel 2015, continuerà così a guidare la rete di realtà nazionali e locali che si occupano di famiglia e ha colto l’occasione per esporre ai presenti, tra cui il ministro dell’Interno, Matteo Salvini e la presidente della Commissione bicamerale per l’Infanzia, Licia Ronzulli, una relazione dai contenuti forti e inequivocabili.
“Siamo in guerra – ha detto De Palo – perché, tra qualche anno, il nostro Paese sarà un grande ospizio. Senza futuro, con un radioso e glorioso passato, e un presente mediocre”. E ancora: “siamo in guerra perché dovremo accettare passivamente il fatto che i nostri figli partiranno, andranno all’estero, emigreranno per necessità e andranno a pagare il debito pubblico di un Paese concorrente”.
“Siamo in guerra. Ogni anno viene sganciata una bomba che non esplode, ma che fa oltre 180mila vittime, più o meno quanti sono gli abitanti di Modena, Reggio Calabria o Reggio Emilia. La cosa più preoccupante è che non ce ne rendiamo conto”. “Ce ne accorgeremo tra pochi anni – ha proseguito De Palo – non appena le famiglie, che sono l’unico vero ammortizzatore sociale di questo Paese, non riusciranno più a far fronte a un disabile in casa. A un anziano sempre più anziano. A un problema sanitario cronico”
“Il Forum delle Famiglie da tre anni lo ripete noiosamente: urge un Patto per la Natalità”, ha detto ancora Gigi De Palo, per il quale bisogna “mettere i giovani nelle condizioni di fare famiglia, far ripartire questo Paese, fare qualcosa per porre fine a questo suicidio demografico”.
De Palo ha indicato anche alcune questioni socio-culturali: “Se prima, infatti, del default si mettevano al mondo dei figli, ora la condizione di partenza è l’assenza di figli e, al contrario, aprirsi alla vita richiede una scelta deliberata e consapevole, supportata da condizioni positive”. I giovani hanno voglia di famiglia. “Sono convinto che se l’Italia oggi è come un terreno che non dà frutti – ha detto ancora – non è perché non sia potenzialmente fertile, ma principalmente perché questo terreno è stato mal coltivato in tutti questi anni”. A supporto di questa tesi De Palo ha illustrato i dati di una ricerca che mostra che quasi il 90% dei giovani italiani vorrebbe avere due o più figli e che la stessa percentuale di ragazzi si direbbe “fiera” nei confronti dell’arrivo di un figlio. “La demografia è un principio non negoziabile – ha poi rimarcato De Palo – non possiamo accettare il fatto che una famiglia, pur volendo un figlio, abbia paura a farlo”.
Insomma, la voglia di famiglia è ancora presente in Italia, “quindi l’obiettivo di riportare la fecondità vicina all’equilibrio generazionale non è impossibile”, ha spiegato De Palo: “il declino non è un destino ineluttabile e la crescita dipende da noi, a partire da quello che vogliamo essere e fare nei prossimi decenni”.
Il presidente De Palo si è infine rivolto al mondo della politica: “Sfruttate la nostra competenza. Valorizzate il lavoro che facciamo ogni santo giorno. Aiutateci ad aiutarvi. Ma soprattutto: è finito il tempo delle analisi. Quelle, ormai, sono molto chiare. Chi ha la forza di fare sintesi? Chi ha la capacità di trasformare le parole e le promesse in concretezza? Qui ed ora serve una volontà politica chiara”.
Nel corso del suo intervento il presidente ha poi denunciato quanto avviene con i fondi dell’INPS, dove un miliardo sui sei versati all’Istituto per gli assegni familiari “viene destinato per altre motivazioni”. Un’accusa cui ha risposto direttamente il vicepremier Salvini, ammettendo “l’ignoranza in questa distorsione sulla quale tenteremo di ragionare. Non ho un gran rapporto con il presidente dell’Inps però non si finisce mai di imparare”.
Il ministro, nel corso del suo intervento, ha poi spiegato che il Governo sta anche “lavorando sul fronte delle adozioni internazionali, perché una coppia di sposi non può spendere 30 o 40mila Euro e aspettare quattro o cinque anni”, aggiungendo inoltre di non ritenere il sistema pubblico l’unico possibile attore nel sociale, dove invece è necessaria una sana competizione con il privato, adottando di volta in volta la soluzione migliore.
Un passaggio è ovviamente stato dedicato alle politiche migratorie e alla cooperazione internazionale. “Sei euro al giorno spesi in Ghana per formare un giovane creano sviluppo, 35 euro al giorno spesi in Italia sono solo assistenza”, ha detto Salvini.
I lavori conclusivi sono stati aperti con un videomessaggio del presidente della Cei, il cardinale Gualtieri Bassetti. “L’Italia ha bisogno di voi. L’Italia ha bisogno di centinaia di migliaia di nuclei familiari che la fanno vivere!”, ha detto il porporato, “tenete fede a quel patto per la natalità che abbiamo definito con le istituzioni. Deve essere la nostra forza!”. Il presidente della Cei ha inoltre inviato a coltivare un’alleanza tra le varie forme di associazionismo.
Marco Guerra Vatican news 24 novembre 2018
www.vaticannews.va/it/mondo/news/2018-11/forum-famiglie-rilancia-patto-natalita.html

Giornata Internazionale dell’Infanzia.
Il presidente nazionale del Forum delle associazioni familiari, Gigi De Palo, ha partecipato, presso la sede dell’Autorità garante per l’infanzia, alle celebrazioni della Giornata internazionale per i diritti dell’adolescenza dell’infanzia.
Tale manifestazione ha visto la partecipazione, tra gli altri, del Ministro per la famiglia, Lorenzo Fontana, dell’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, Filomena Albano, del Capo della Polizia, Franco Gabriella.
Al termine della giornata, il Ministro per la famiglia e il Ministro dell’istruzione hanno firmato un protocollo d’intesa, che impegna i due dicasteri a collaborare a migliore garanzia dei diritti dei minori, soprattutto in materia di cyberbullismo. Con il protocollo che viene firmato oggi s’inizia a dare attuazione a un percorso che, auspichiamo, porterà passi in avanti concreti nell’alleanza educativa tra famiglie, scuola e istituzioni. È necessario fare un salto di qualità in termini di corresponsabilità: con i docenti, con i presidi, con le forze di polizia, con i mass media non vogliamo un rapporto freddo, ma di stima reciproca. È bello aversi a cuore, è bello avere una complicità reciproca, che spinge tutti verso la stessa direzione: la tutela e il futuro dei nostri figli.
Perché il bene comune non è mai la somma degli interessi particolari”: così il presidente nazionale del Forum delle Associazioni Familiari, Gigi De Palo, dopo la firma del protocollo d’intesa tra il Ministero della Famiglia e quello dell’Istruzione, Università e Ricerca, con cui i due dicasteri s’impegnano a collaborare, insieme a famiglie, docenti, Polizia e altre istituzioni in attività di prevenzione e protezione dei minori, soprattutto da bullismo e cyberbullismo. “La Giornata che celebriamo oggi dovrebbe servire a dare valore anche al principio della sussidiarietà sancito dall’articolo 118 della Costituzione. È importante ricordare che lo Stato e le istituzioni vengono dopo la persona, la famiglia, la società civile. Il patto di corresponsabilità verso i nostri figli, di fatto, nasce dalla stima educativa: non ci si può più porre come concorrenti, ma come alleati. Anche così si combattono i fenomeni come il bullismo o il cyberbullismo”, conclude De Palo.
Comunicato stampa 20 novembre 2018
www.forumfamiglie.org/2018/11/20/giornata-internazionale-dellinfanzia-il-presidente-de-palo-alla-celebrazione-e-importante-ricordare-che-lo-stato-e-le-istituzioni-vengono-dopo-la-persona-la-famiglia-la-societa-ci

Bari, conferenza famiglia. DePalo: la Puglia fa da apripista all’Italia. C’è bisogno di politiche familiari
“Una famiglia deve essere messa nelle condizioni di mettere al mondo un figlio: oggi in Italia la seconda causa di povertà è la nascita di un bambino, la prima è la perdita del lavoro del capofamiglia. In un paese a nascita zero è uno scandalo. C’è un desiderio di famiglia e i giovani vanno all’estero a realizzare sogni lavorativi, ma che familiari. Quindi non solo esportiamo cervelli, ma anche pancioni”.
Lo ha detto il presidente del Forum nazionale delle Associazioni delle famiglie, Gianluigi De Palo, intervenendo nella Fiera del Levante di Bari alla prima Conferenza regionale sulla famiglia che condurrà alla redazione partecipata di un piano regionale delle politiche familiari. Il Forum e’ tra i promotori dell’iniziativa.
“La Puglia fa da apripista in Italia – ha detto De Palo – C’è bisogno di politiche familiari perché questo è un Paese che sta morendo, forse è già morto e non ce ne rendiamo conto. Il mio auspicio è che si vada oltre le dinamiche ideologiche da tifosi e si lavori tutti insieme per il bene della famiglia, soprattutto mettendo al centro i figli che sono un bene comune di tutti”.
All’apertura dei lavori ha portato i suoi saluti anche Giuseppe Di Donato del Dipartimento delle Politiche per la Famiglia della presidente del Consiglio dei Ministri. “Il percorso che abbiamo avviato in Puglia sin dallo scorso anno e che porterà alla Certificazione Family audit, – ha detto – sarà l’obiettivo visibile del passaggio dalla teoria alla pratica. E cioè aziende certificate che avranno avviato politiche per la famiglia”.
Comunicato stampa 22 novembre 2018.
www.forumfamiglie.org/2018/11/22/bari-conferenza-famiglia-de-palo-la-puglia-fa-da-apripista-allitalia-ce-bisogno-di-politiche-familiari

Denatalità: Carli (Forum Famiglie Puglia), “Questione più urgente della regione”
“La denatalità è la questione più urgente della Puglia, insieme con la possibilità di far tornare tanti giovani; perché se è giusto che i giovani si spostino altrove per migliorare la loro preparazione, è anche giusto che possano avere la possibilità di tornare nella loro terra”. Lo dice Lodovica Carli, presidente del Forum delle associazioni familiari della Puglia, all’indomani della prima conferenza regionale sulla famiglia, che si è svolta a Bari il 22 e 23 novembre sul tema “Le politiche regionali a sostegno delle famiglie e la sfida della denatalità”.
La conferenza è stata organizzata dalla Regione Puglia su richiesta del Forum delle Famiglie pugliese e di numerose associazioni e organizzazioni regionali. È stato il primo passo del percorso partecipato per la definizione del Piano regionale per la Famiglia che dovrebbe essere approvato, secondo le stime della Regione, la prossima primavera.
“In questo momento in Puglia – aggiunge Carli – i bambini sono per numero la metà dei quarantenni”. “Le previsioni, inoltre, non sono affatto incoraggianti: i risultati regionali in termini di natalità sono peggiori delle peggiori previsioni. Nel giro di pochi anni avremo uno scenario di tanti anziani con una contrazione del numero di giovani”. Ciò produrrà, tra l’altro, “ripercussioni molto negative sul welfare”.
Tra le proposte emerse nel corso della conferenza, l’investimento sulla formazione professionale e il sostegno alle donne che vogliono entrare nel mondo del lavoro. “È dimostrato che la maggiore natalità è legata con un livello più elevato di occupazione femminile, ma per questo occorrono misure di conciliazione più importanti”.
Agenzia SIR 24 novembre 2018
www.agensir.info/quotidiano/2018/11/24/denatalita-carli-forum-famiglie-puglia-questione-piu-urgente-della-regione
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GOVERNO
Dipartimento per le politiche della famiglia
21 novembre 2018. Giornata dei diritti dei minori – Il Ministro Fontana firma un protocollo con il Miur per la prevenzione del cyberbullismo nelle scuole.
In occasione della Giornata Internazionale per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza e la Giornata Europea per la protezione dei minori dallo sfruttamento e dall’abuso sessuale firmato un protocollo d’intesa che promuove una maggiore collaborazione tra famiglia e scuola
www.studiocataldi.it/articoli/32504-congedi-papa-addio-ai-cinque-giorni.asp
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OMOFILIA
Utero in affitto. Civilisti Università Europea di Roma: «Offesa la dignità della donna»
Il prorettore Gambino ed il preside Bilotti critici sulla decisione del tribunale di Milano di far trascrivere atti di nascita all’estero con ovodonazione e maternità surrogata.
«La surrogazione di maternità è un’offesa alla dignità della donna: i giudici devono tenerne conto». I civilisti dell’Università Europea di Roma intervengono sulla decisione del tribunale di Milano circa la trascrizione nell’archivio dello stato civile di atti di nascita formati all’estero, attestanti anche rapporti genitoriali che prescindono dal dato naturalistico della generazione. In particolare, nel caso di specie, si tratta del rapporto intercorrente tra il nato attraverso il ricorso all’ovodonazione e alla prestazione di una madre surrogata e il partner del padre.
Critiche e perplessità alla decisione sono state sollevate stamane dai civilisti Alberto Gambino ed Emanuele Bilotti, rispettivamente il prorettore e il preside di Giurisprudenza dell’Università Europea di Roma, a margine della presentazione del nuovo Corso di laurea, presso la sede dell’Enciclopedia Treccani a Roma.
«Il giudice ha ritenuto che un esito di questo tipo si giustifichi in ragione del superiore interesse del minore – spiegano i professori – e che non sia perciò in grado di recare pregiudizio all’armonia del sistema: quell’armonia che il limite dell’ordine pubblico è deputato a presidiare coll’impedire il riconoscimento nel nostro ordinamento degli effetti di atti e provvedimenti formati secondo le norme di un diverso ordinamento – sostengono i due giuristi – e quanto pare, come già hanno fatto altri giudici di merito in questi ultimi mesi, anche il Tribunale di Milano fa propria l’idea secondo cui l’ordine pubblico coinciderebbe unicamente con i principi ispirati da esigenze di tutela dei diritti fondamentali dell’uomo, collocati a un livello sovraordinato rispetto alla legislazione ordinaria».
«Si tratta – aggiungono il prorettore e il preside di Giurisprudenza dell’Università Europea di Roma – di una nozione di ordine pubblico piuttosto problematica, introdotta da una decisione di legittimità risalente al settembre del 2016 e rispetto alla quale proprio in questi giorni siamo in attesa di conoscere l’opinione delle Sezioni Unite, essendosi frattanto registrate anche prese di posizione dissenzienti nella giurisprudenza della Corte di cassazione».
«In ogni caso – affermano Gambino e Bilotti – anche a voler accogliere una simile nozione restrittiva di ordine pubblico, il giudice milanese sembra comunque trascurare sia la recente presa di posizione del giudice delle leggi, secondo cui la pratica della maternità surrogata offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane, sia – soprattutto – il principio fondamentale della responsabilità per il fatto della generazione, che pure si ricava inequivocabilmente dalla lettura dell’art. 30 della Costituzione e che, allo stato attuale dell’evoluzione dell’ordinamento, conosce eccezioni soltanto laddove si tratti di farsi carico di un minore abbandonato attraverso l’extrema ratio dell’adozione e nei ristretti casi in cui, dopo l’intervento del 2014 della Corte costituzionale, la legge consente il ricorso alle tecniche eterologhe di procreazione medicalmente assistita».
«In particolare – proseguono i civilisti all’Università Europea di Roma – ciò che il giudice milanese sembra trascurare del tutto è l’implicazione necessaria che sussiste tra l’indicato modello costituzionale della genitorialità naturale e la norma personalista posta a fondamento di quel grandioso progetto di emancipazione umana e sociale che è racchiuso nelle norme della nostra Costituzione. Laddove infatti la libertà di dare la vita si traduce nel riconoscimento del diritto di essere genitori, il figlio degrada inevitabilmente a oggetto di un diritto degli adulti e il significato sovrautilitaristico della persona è irrimediabilmente compromesso».
«Certe decisioni – concludono il Prorettore Gambino e il preside Bilotti – non possono pertanto che essere considerate con rammarico e con grave preoccupazione, in quanto indicative di un orientamento culturale che, mettendo ancora una volta in discussione il modello della genitorialità naturale in nome di un preteso interesse superiore del minore, in realtà contraddice la stessa istanza fondamentale di promozione della dignità della persona».
Redazione Romana Avvenire 20 novembre 2018
www.avvenire.it/attualita/pagine/bioetica-utero-in-affitto-il-no-dei-giuristi
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PARLAMENTO
Senato della Repubblica – Commissione Giustizia
22 novembre 2018. La Commissione Giustizia, nell’ambito dell’esame congiunto, in sede redigente, dei Ddl nn. 45, 118, 735 e 768, sull’affido di minori, ha svolto, in Ufficio di Presidenza, l’audizione di rappresentanti di alcuni novembre 2018
Commissione bicamerale Infanzia
Licia Ronzulli, Presidente della Commissione Bicamerale Infanzia, presente alla sottoscrizione del protocollo tra MIUR e Ministero della Famiglia contro il cyberbullismo.
“I giovani di oggi sono gli adulti di domani. Per una società del domani che sia responsabile occorre partire dall’oggi, da una buona e sana educazione e da corretti e sani valori”. Così si è espresso il ministro per la Famiglia Lorenzo Fontana che questa mattina in un evento organizzato a Villa Ruffo a Roma dal Dipartimento Famiglia, d’intesa con la Commissione bicamerale Infanzia, rappresentata per l’occasione dalla neo-presidente, la senatrice Licia Ronzulli, ha sottoscritto un protocollo tra lo stesso dicastero della Famiglia e il MIUR per il contrasto al cyberbullismo nelle scuole
Al delicato tema era dedicato proprio il titolo del convegno: “Cyberbullismo e collaborazione tra famiglie ed istituzioni per la prevenzione e la protezione dei minori coinvolti”.
Il Prefetto Franco Gabrielli, capo della Polizia di Stato, ha evidenziato come vi sia un “sommerso” rispetto al problema: si denuncia poco. Soprattutto, ha rilevato Gabrielli, occorre avere un nuovo approccio, smettendola di pensare che tali gesti siano solo ragazzate.
Filomena Albano, dell’Autorità garante nazionale per l’infanzia e l’adolescenza ha rilevato che c’è al momento un cambio di passo culturale: i bambini sono visti come portatori di diritti. Tanto che gli stessi diritti non sono qualcosa di immutato, ma in crescita (nell’applicazione e nella consapevolezza) – per questo l’Autorità ha dato il via alla campagna “diritti in crescita” con tutta una serie di altre iniziative (tra queste il 10 dicembre Ai.Bi. sarà direttamente coinvolta insieme agli studenti del liceo Russell del progetto di alternanza scuola-lavoro “Pane, media e fantasia”).
La senatrice Ronzulli ha invece voluto ricordare i nomi dei ragazzi che, a causa di un utilizzo smodato del web, sono arrivati a commettere suicidio. La neo-presidente ha sottolineato l’importanza di capire quando nel bambino nasce la consapevolezza di essere vittima di atti di cyberbullismo, atti che mirano a isolare. Il parlamento, secondo la senatrice, deve continuare ad interrogarsi sul tema approfondendo il solco lasciato dalla legge 71.
Gigi De Palo, del Forum delle associazioni familiari, ha analizzato la situazione a partire dall’Articolo 118 della Costituzione e dal principio di sussidiarietà. E’ infatti importante costruire corresponsabilità tra istituzioni e associazioni
News Ai. Bi. 20 novembre 2018 www.aibi.it/ita/cyberbullismo_ronzulli
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SESSUOLOGIA
Il cervello degli uomini e il cervello donne: differenze
Anche il cervello è una “questione” di genere. Ricercatori scientifici a confronto sui più annosi dibattiti in tema di “brainstorming” [assalto mentale] maschile e femminile.
“La mente intuitiva è un dono sacro e la mente razionale è un servo fedele – diceva Albert Einstein e poi proseguiva – Abbiamo creato una società che onora il servo e ha dimenticato il dono”. Un dono che sembra molto più sviluppato nel gentil sesso che nel cosiddetto sesso forte. Chi infatti può dire di non essersi, almeno per una volta, trovato dinnanzi a quel guizzo femminile che ha saputo trovare la chiave di volta di una situazione in apparenza irrisolvibile? Ebbene, se come crediamo, anche tu hai richiamato alla mente quel certo episodio, allora cerchiamo di capire che cosa fa della donna una creatura più intuitiva dell’uomo. Ma come?
Verrebbe da obiettare, le Sacre Scritture affermano che la donna venne creata successivamente ad Adamo e, per giunta, da una sua costola [al suo fianco]. Come può essere quindi possibile che questa creatura, in fatto di materia grigia, spicchi per quel certo sesto senso, di cui tutti abbiamo sentito parlare, ma che poi, alla prova dei fatti, stentiamo a definire? Alla luce degli ultimi studi, una ragione alla base dell’intuito femminile, c’è eccome! O forse ben più di una. E la scienza è qui a dimostrarci questo aspetto, e tanti altri che hanno sempre a che fare col funzionamento dell’organo forse più enigmatico in assoluto qual’è appunto il cervello umano, simile ma non uguale, nel maschio e nella femmina.
Bando quindi ai luoghi comuni che tendono a inscatolare uomini e donne in stereotipi che lasciano il tempo che trovano e vediamo perché l’uomo ha quel certo chiodo fisso, o perché è spesso più abile nel parcheggiare, mentre se deve muoversi su più piani, dando un occhio al bimbo nella culla, controllare la pentola sul fuoco e fare la lista della spesa, rischia di andare in tilt al primo vagito.
Cervello maschile e femminile: quanto contano le dimensioni? La risposta potrebbe essere: “Dipende”, dipende cioè dalle conclusioni che si vogliono trarre. Se infatti ciò che si vuol rilevare è il margine di discrepanza dimensionale tra il cervello maschile e femminile, le dimensioni contano, nel senso che il primo supera il secondo anche in fatto di peso. L’encefalo di una donna infatti pesa in media 1.200 grammi, mentre quello di un uomo un po’ di più, e cioè circa 1.350 grammi.
Questa diversità però è irrilevante ai fini della valutazione del quoziente intellettivo di cui dispongono maschi e femmine. In altre parole, il genio può essere tanto maschile che femminile e specie negli ultimi cento anni si sta assistendo ad una “rimonta” delle prestazioni delle donne sottoposte ai test del cosiddetto Q.I., dove Q sta per “quoziente” e I per “intelligenza”.
E questo accade non certo perché i geni o le dimensioni del cervello femminile sono cambiati nel tempo, ma perché il gentil sesso ha avuto più accesso ai poli dedicati all’istruzione incrementando così le proprie possibilità di espressione rispetto ai secoli scorsi.
Neuroni e Connessioni: una questione legata al genere? Qui è proprio il caso di parlare di “gender gap”, ovvero di divario tra il genere maschile e femminile ma non per assunti di tipo socio culturale. Sembra infatti che ci sia unità di vedute tra i vari studiosi del settore quando affermano che, in generale, i maschi sono dotati di più neuroni, mentre le donne di maggiori connessioni tra un emisfero cerebrale e l’altro.
Ma questa discrepanza neuronale non deve far incorrere nell’errore di reputare il gentil sesso meno acuto intellettivamente. Infatti nonostante il minor numero di neuroni, le donne possiedono tuttavia aree cerebrali con almeno il 10% di neuroni e connessioni in più.
Cosa hanno rivelato le tecniche di neuroimaging? Ricercatori della Harvard Medical School, tramite il ricorso a tecniche di neuroimaging [tecnologie in grado di misurare il metabolismo cerebrale, al fine di analizzare e studiare la relazione tra l’attività di determinate aree cerebrali e specifiche funzioni cerebrali] (come RM Pet, Spect; fRM) hanno riscontrato una maggiore densità di neuroni in aree della corteccia temporale femminile collegate con funzioni linguistiche ed emozionali. Ecco quindi svelato perché le donne hanno maggiore facilità a comunicare verbalmente le emozioni e ad esprimere i sentimenti.
Altre aree più sviluppate nel cervello femminile sono risultate quelle dell’ippocampo, principale centro di controllo delle emozioni e di formazione dei ricordi, e l’insieme dei circuiti utili per l’osservazione delle emozioni altrui. Ecco perché le donne sono facilitate quanto a capacità di stabilire profondi legami di amicizia, oltre che di “leggere tra le righe” emozioni e stati d’animo altrui.
Perché la donna è più intuitiva dell’uomo? La ragione sembra che vada ricercata nella diversa composizione del cervello maschile e femminile, ma anche nel differente funzionamento delle connessioni tra emisferi. Recenti studi dell’University of Pennsylvania hanno consentito di mettere a fuoco il percorso seguito dagli impulsi elettrici nel cervello. Ebbene, su un campione di quasi 1.000 persone, diverse quanto a sesso ed età, sottoposto a risonanza magnetica con il metodo della “connettomica” [connessioni neurali] questi sono stati gli esiti. Le connessioni nel cervello dell’uomo hanno un movimento avanti e indietro lungo lo stesso emisfero. Tutt’altra cosa è ciò che è stato verificato nel cervello della donna, dove le connessioni sono anche di tipo trasversale, cioè dall’emisfero destro a quello sinistro.
A cosa si deve il fattore “multitasking” nella donna? “Nel tempo che un uomo impiega a fare una cosa, una donna ne fa simultaneamente tante di più” si è soliti dire. Espressione che nel tempo e con gli inglesismi a cui nemmeno la lingua italiana è immune, è stata ribattezzata come capacità multitasking, [eseguire più programmi contemporaneamente] indiscusso appannaggio del gentil sesso. Ebbene anche per questa attitudine, sembra che la ragione possa essere ricercata nel funzionamento più plastico del cervello femminile con conseguente facilitazione nella comunicazione interemisferica.
In che senso il cervello dell’uomo è tutto d’un pezzo? Può forse apparire strano, ma il detto secondo cui l’uomo è tutto d’un pezzo può avere il suo fondo di verità anche con riguardo al sistema di funzionamento del suo cervello. E’ infatti un dato di comune acquisizione che la procedura del cervello maschile sia di tipo più razionale e sequenziale e concentrata nell’emisfero legato alla logica, senza troppi “voli pindarici” da un emisfero cerebrale all’altro.
Questo, in senso più allargato, spiegherebbe perché i maschi tendono ad eccellere nelle attività motorie, dove si impiegano muscoli, coordinamento e abilità strategiche, nonché nelle situazioni dove si richiede orientamento e attenzione ai dati spaziali. Non è affatto infrequente che sia l’uomo il prescelto, all’interno della coppia, nel leggere le mappe stradali.
Emisfero destro ed emisfero sinistro del cervello: due “gemelli diversi”? I due emisferi, destro e sinistro, di cui si compone il cervello umano, sono per loro genesi e natura legati rispettivamente all’intuizione e al pensiero logico razionale. Per cui il fatto che l’uomo abbia solitamente più dimestichezza con tutto ciò che è legato a nozioni spazio temporali, come ad esempio ritrovare la strada di casa in una notte scura, sembra dovuto all’emisfero sinistro.
Il funzionamento dei circuiti nervosi cioè risulta più limitato nell’uomo, il cui cervello segue schemi basati prevalentemente sulla razionalità. Ecco spiegata nell’uomo, la maggiore predisposizione e velocità nel processare le informazioni.
La donna, potendo contare su un funzionamento cerebrale più plastico, sa essere molto più empatica e sensibile, con migliori capacità di analisi e di attenzione anche per i minimi dettagli. Un caso di “scuola” è quello di chiedere ad un lui la descrizione di un abito da sposa. Se il mister in questione si dovesse limitare a riferire che l’abito era chiaro, lungo e stretto in vita, cara signora che leggi, non farne una malattia! Non è colpa sua, ma del suo emisfero sinistro.
Corpo calloso maschile e femminile: cosa c’è da sapere? I due emisferi sono associati tra loro da un ponte di fibre nervose noto come corpo calloso per l’appunto. Le fibre del corpo calloso consentono ai due emisferi di scambiarsi informazioni in tempi brevissimi cosicché, semplificando al massimo, si potrebbe dire che il sinistro sa cosa fa il destro e viceversa.
E visto che la curiosità è donna, il corpo calloso nella femmina è ben più innervato di quello del maschio, ecco quindi spiegate le attitudini a più amplio spettro che caratterizzano il pianeta donna.
Quindi, cari uomini, se alla vostra compagna non sembra sfuggire mai nulla, non è tanto questione di pettegolezzo, ma di corpo calloso che riesce a fornire una versione più olistica del mondo.
Amigdala “Lui-Lei” diversa per dimensioni e funzionamento. Una ulteriore differenza, importante per le ripercussioni funzionali che ne possono derivare, è quella relativa a un’area considerata la custode delle emozioni, chiamata amigdala per la forma che la fa somigliare a una mandorla.
L’amigdala è anche conosciuta come il centro cerebrale della paura, della rabbia, dell’aggressività. Ha anch’essa dimensioni maggiori negli uomini che nelle donne, oltre che un funzionamento significativamente diverso nei due generi.
L’amigdala femminile si attiva infatti più facilmente se sollecitata dalle sfumature emotive, per questo la donna riesce a ricordare con dovizia di particolari i primi appuntamenti, le premure o gli sgarbi ricevuti. Nell’uomo, invece, l’amigdala, che è l’area più primitiva del cervello, mantiene soprattutto le sue funzioni più ancestrali, quelle cioè che registrano le paure e scatenano l’aggressività. Per questo l’uomo è più facile all’ira, e allo scontro fisico.
C’entra qualcosa la teoria evoluzionistica con i due cervelli? Sembra proprio di sì. Le differenze comportamentali riconducibili al cervello dell’uno o l’altro sesso, possono farsi risalire alla teoria evoluzionistica. Se è vero che di fronte a un pericolo la donna doveva proteggere la prole, cercando magari di placare pure i conflitti, compito dell’uomo era quello di aggredire e allontanare l’aggressore.
Da ultimo, ma non per ordine d’importanza, entra in gioco pure il discorso connesso agli ormoni sessuali. La motivazione del maggior impulso sessuale nell’uomo troverebbe la sua causa nell’ipotalamo che nel sesso forte sarebbe ben due volte e mezzo più grande di quello della donna. Quindi se l’uomo è spesso additato come colui che ha, più o meno sempre, “quel chiodo fisso” nel cervello, ora sappiamo che non è “colpa” sua, ma dell’ipotalamo.
Quando “quel chiodo fisso” configura il reato di stalking. Giustificazioni di carattere scientifico a parte, è bene però sapere che se i comportamenti a sfondo sessuale superano una determinata soglia, tanto da arrivare davanti ad un giudice, la legge è tutt’altro che conciliante. Anzi, visto l’aumento esponenziale di casi di persecuzione verso le donne, la Cassazione con una recente sentenza [Quinta Sezione penale, sentenza n. 16205/2017], ha compiuto un significativo passo in avanti a tutela delle vittime di atti persecutori.
Nello specifico, è stato infatti statuito che, ai fini della configurabilità del reato di atti persecutori (stalking), è sufficiente il realizzarsi anche di uno solo degli eventi alternativamente previsti dal codice penale [Art. 612-bis cod. pen.], ossia il “perdurante e grave stato di ansia o di paura” o “il fondato timore per l’incolumità propria”. Nel caso suddetto, le improprie attenzioni dell’uomo si erano concretizzate tramite appostamenti sotto l’abitazione della donna e tramite scritte a sfondo sessuale sulla sua autovettura e sul portone dell’abitazione.
Approcci, tutti questi, sufficienti ad arrecare alla malcapitata generali stati d’ansia accompagnati da insonnia e perdita di peso. Quindi anche in assenza di fondato timore per la propria incolumità, secondo gli “ermellini” può configurarsi reato di stalking in caso di perdurante stato di ansia e paura. Un significativo giro di vite contro certi tipi di approcci.
Maria Teresa Biscarini La Legge per tutti 22 novembre 2018
www.laleggepertutti.it/255841_il-cervello-degli-uomini-e-il-cervello-donne-differenze
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UNIONI CIVILI
Prime applicazioni di procedura giudiziale per scioglimento di unione civile.
Tribunale di Novara 5 luglio 2018
Come si procede giudizialmente per lo scioglimento di un’unione civile? In questa controversia contumaciale il Tribunale di Novara fissa alcuni punti. Non essendoci un esatto parallelo fra la normativa prevista per il matrimonio e quella per le unioni civili, il Tribunale effettua una disamina delle norme per concludere che in difetto di una normativa che disciplini lo scioglimento dinnanzi al Giudice, possa operarsi un parallelo con il procedimento previsto per lo scioglimento dinnanzi all’Ufficiale di Stato civile e qualora siano state rispettate tutte le norme e procedure previste a garanzia della controparte, la domanda proposta dinnanzi al Tribunale possa trovare accoglimento.
Osservatorio nazionale sul diritto di famiglia 23 novembre 2018
www.osservatoriofamiglia.it/contenuti/17507845/prime-applicazioni-di-procedura-giudiziale-per-scioglimento-di-unione-civile-tri.html
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SINODO DEI VESCOVI SUI GIOVANI
Ora il Sinodo inizia nelle Chiese locali
Il Sinodo appena celebrato sarà ricordato soprattutto per come è stato vissuto: dal 3 al 28 ottobre 2018 oltre duecentocinquanta vescovi provenienti da tutto il mondo si sono ascoltati, ma hanno anche ascoltato i giovani che hanno saputo prendere la parola e farsi ascoltare. È stata un’assemblea che ha messo in movimento quella sinodalità tanto invocata dal Papa per tutta la Chiesa. Invitato da Francesco a partecipare ai lavori, sono stato presente e attivo secondo le mie competenze e il mio ruolo di “auditor”.
Confesso che, trattandosi della mia terza partecipazione a un Sinodo (dopo quello sulla parola di Dio nel 2009 e sull’evangelizzazione nel 2012), ho potuto misurare la novità di questa terza assise, le sue qualità profetiche ma anche le debolezze. L’immagine che resta impressa è quella di una Chiesa che non vuole né arretrare né sentirsi paralizzata nel presente, ma che vuole camminare nella consapevolezza di essere un corpo plurale oggi più che mai. Un corpo le cui membra vivono in aree culturali e situazioni socio-politiche diverse, fino al punto da poter dire che le realtà vissute dai cristiani di alcune culture non sono “contemporanee” a quelle dei loro fratelli e sorelle di altre parti del mondo. Per molti aspetti il Sinodo, terminato a Roma, inizia veramente e concretamente nelle Chiese locali e sarà proprio là che si potrà misurare se si è trattato di un evento di svolta o di una semplice messa a fuoco della situazione dei giovani nel mondo.
C’è chi ha scritto che questo Sinodo è stato inutile. In verità, un simile giudizio non solo è ingiusto e troppo semplicistico, ma si conforma a quello di quanti non riescono a discernere mai nel presente ciò che prepara faticosamente il futuro. Innanzitutto, questo Sinodo voluto da papa Francesco è stato da lui seguito ogni giorno. All’inizio dei lavori ha chiesto ai padri di parlare con libertà, con parresia, di esprimersi senza temere i possibili conflitti, di intervenire con sincerità e attenzione verso la verità da vivere nella carità, in modo da creare un confronto, un dialogo in cui apparisse il grande primato dell’ascolto. Dopo quell’esortazione iniziale, il Papa ha sempre ascoltato tutto in silenzio, intervenendo solo due o tre volte con brevi espressioni che si inserivano nella trama della discussione in corso.
Inoltre, le pause di silenzio volute da Francesco ogni cinque interventi in aula, sono state vissute da tutti come un benefico tempo di meditazione delle parole ascoltate. A differenza dei Sinodi precedenti, in questo c’è stato un ordo nella discussione: gli interventi si succedevano su punti precisi dell’Instrumentum laboris, favorendo così una più adeguata focalizzazione sui singoli temi via via in discussione. Proprio dagli interventi dei padri è emersa con evidenza la diversità, la pluralità e la complessità delle situazioni giovanili. Si è presa coscienza di un’evidenza sovente sottaciuta: un giovane di Berlino o di Milano è altra cosa rispetto a un coetaneo di Kinshasa o Manila. Non sono diversi solo i giovani, ma ancor più i loro mondi: vi sono giovani che fuggono dalle guerre, altri che soffrono la miseria e la fame, altri che sono perseguitati perché cristiani, altri ancora che migrano di terra in terra mentre i loro coetanei del ricco Occidente vivono un’altra povertà, non economica ma umana, e patiscono una forte indifferenza nei confronti della religione e dunque di Dio.
Le prime parole decisive che sanno dire gli uni sono pane, pace, speranza di vita; gli altri parlano innanzitutto di senso, significato del vivere… I padri sinodali, che avevano ascoltato i giovani nelle loro Chiese, si sono fatti loro porta-parola. Da tutto questo, quale risposta è emersa? Il documento finale? Non solo, direi, e non soprattutto. Questo documento, consegnato al Papa perché possa decidere un’eventuale Esortazione postsinodale, risente di alcuni limiti: la mancanza di teologi e biblisti tra gli esperti del Sinodo, il prevalere di un’attenzione pedagogica e propedeutica al tema dei giovani, una certa timidezza là dove si attendeva non più apertura né tanto meno un cambio della dottrina, ma una “rivelazione” nel senso biblico di una presentazione capace di “alzare il velo” nell’annuncio cristiano. Mi riferisco soprattutto alla sessualità, all’affettività, alle storie d’amore. C’è stata, forse, paura? Sì, perché si era prodotto uno schieramento di tradizionalisti che mostravano di esser pronti ad attaccare il documento finale del Sinodo come non coerente con la tradizione cattolica. E, dopo l’offensiva contro Amoris Lætitia molti padri hanno preferito tacere, sperando che nelle diverse Chiese locali si percorressero quei sentieri che al Sinodo non erano percorribili.
La martellante campagna “pretofobica”, che investe un intero corpo ecclesiale a causa dei delitti di una piccola minoranza, di fatto ha inibito una certa audacia e una libertà nell’indagare su temi decisivi perle nuove generazioni. Si poteva dire molto di più e meglio ai giovani sul problema della sessualità, anche se era già stato trattato con profonda sensibilità pastorale in Amoris lætitia. Quanto al tema della presenza della donna nella Chiesa — una “parte mancante” —, significativamente, è stato messo a fuoco con forza solo da alcuni vescovi nord-europei. E che, comunque, è una tematica rispetto alla quale la Chiesa si trova in una impasse. Si continuano a fare auguri perché le donne siano presenti non solo nella diaconia ecclesiale — dove sono in numero prevalente — ma anche nei percorsi decisionali a ogni livello: Chiesa universale, diocesi, parrocchia… Però, non si aprono procedure per la reale fattibilità di questa presenza. Si è anche chiesto che nei prossimi Sinodi le religiose possano avere diritto di voto come già hanno i loro confratelli non presbiteri. Bisognerebbe studiare le modalità affinché anche dei fedeli laici di ambo i sessi, qualificati e chiamati in Sinodo, possano intervenire con un voto. Tuttavia, per ora, l’assise è un Sinodo di vescovi: occorrerebbe una nuova comprensione dell’organismo sinodale.
Proprio per questo ritengo sia importante la terza parte del documento finale, dedicata alla sinodalità o al discernimento sinodale. Significativamente, le proposizioni di questa parte hanno avuto un elevato numero di voti contrari, forse perché “la forma sinodale della Chiesa qui proposta” ha sorpreso molti padri. Ma questo Sinodo è stato soprattutto un evento vissuto sinodalmente. E lo spirito che l’ha animato richiederà di dare inizio a un processo da dilatarsi nelle Chiese locali. «Chiesa e Sinodo sono sinonimi», ricorda Francesco. E la sinodalità è la forma dinamica della Chiesa. Tutte le membra del popolo di Dio devono essere coinvolte in questa corresponsabilità. Certo, sotto la guida dei pastori e nell’ascolto dei dottori (teologi) e dei profeti, ma tutti devono poter partecipare da protagonisti alla vita e alla missione ecclesiale. Da parte mia, ho cercato di ricordare che, in questa indifferenza verso Dio e la Chiesa, propria dell’Occidente, c’è la possibilità di intrigare gli uomini e le donne di oggi attraverso l’annuncio di Gesù Cristo, l’uomo-Dio, che ci ha insegnato a vivere in questo mondo. Qui, però, neanche il documento finale ha saputo chiamare a responsabilità gli adulti cristiani: sono loro, siamo noi i primi responsabili delle generazioni incredule che si affacciano oggi alla vita.
Enzo Bianchi “Vita Pastorale” dicembre 2018
https://alzogliocchiversoilcielo.blogspot.com/2018/12/enzo-bianchi-ora-il-sinodo-parte-nelle.html
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VIOLENZA
Violenza su donne: Acli, Ac e altre associazioni, “rompere la subcultura del ‘possesso”
“Diciamo tutti, società civile, istituzioni e associazioni stop alla violenza sulle donne con manifestazioni, dibattiti, confronti e convegni, ma non basta. Occorre un forte movimento etico per rompere la subcultura del ‘possesso’; occorre rompere il silenzio, occorre che le donne non sottovalutino e non tacciano i primi segnali di pericolo per evitare il ‘crescendo’ che porta ad atti irrimediabili”.
Lo scrivono in una nota congiunta l’Unione mondiale delle donne cattoliche, Acli, Azione cattolica, Centro italiano femminile, Api-Colf, Confederazione italiana dei Consultori familiari di ispirazione cristiana, il coordinamento nazionale donne Cisl, la Fondazione Beato Federico Ozanam-San Vincenzo De Paoli, in prossimità della Giornata internazionale contro la violenza sulle donne.
“Le nostre associazioni e organizzazioni, da sempre attente all’infanzia e alle donne, fanno appello in occasione della ricorrenza del 25 novembre – continua la nota -, affinché si possa investire maggiore attenzione ed energie nella prevenzione di tutti i fenomeni di violenza, anche quelli che nella famiglia si generano e si alimentano e che si ripercuotono anche sui minori, spesso vittime dirette e passive della stessa violenza”.
Le associazioni esprimono la convinzione che “solo un’educazione al rispetto della persona e un lavoro capillare contro ogni stereotipo, insieme ad una politica istituzionale chiara e forte contro la violenza, possono aiutare la nostra società a progredire in umanità”.
Dalle associazioni l’impegno a “potenziare il lavoro di rete con tutti gli interlocutori a livello territoriale”. Infine, la richiesta alle istituzioni di “porre a regime tutte le norme di contrasto alla violenza alle donne”.
Agenzia SIR 24 novembre 2018
ww.agensir.info/quotidiano/2018/11/24/violenza-su-donne-acli-ac-e-altre-associazioni-rompere-la-subcultura-del-possesso

Giornata internazionale Violenza contro le donne.
La Convenzione di Istanbul per “eliminare l’inferiorità e la subordinazione”
www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2013/07/01/13G00122/sg
A quante di noi donne è capitato su un autobus troppo affollato di sentirsi toccare da mani non gradite, riuscendo solo a trangugiare fastidio e imbarazzo, oppure raccogliere apprezzamenti volgari, incrociando un passante maleducato. E questo è “niente” nel repertorio delle violenze possibili contro le donne: si arriva fino al femminicidio, passando per prevaricazioni, abusi, violenze e molestie di ogni forma e natura. Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne domenica 25 novembre 2018 per dire basta, ancora una volta, a ogni sopruso nei confronti delle donne perché donne. Una battaglia a cui troppo lentamente ci si sta svegliando e che ha avuto nel movimento di denuncia “me too” una positiva impennata, perché si sapeva, ma nessuno osava parlare o forse non si stava nemmeno troppo ad ascoltare.
“Il punto è che dietro alla violenza c’è una struttura mentale che fa della donna una facile preda: nella mente di molti è quasi normale, perché ha un ruolo considerato inferiore, a volte da lei stessa, nella società, nella famiglia e nella coppia” dice al Sir Claudia Luciani, che per il Consiglio d’Europa è responsabile del Direttorato della governance democratica e dell’antidiscriminazione. I dati sulla vastità del fenomeno a livello europeo non si conoscono perché “la situazione è sempre estremamente complessa”. L’ultimo studio fatto dalla Fontamental rights agency dell’Ue dà un quadro del 2014 che “non è più considerato attendibile, perché non corrisponde più alla realtà. Ora stiamo insieme a Eurostat di lavorarci”, ma è difficile “per le definizioni implicate” e perché nei singoli Paesi “la metodologia di raccolta dati è diversa”.
Uno strumento potente che ora l’Europa ha è la “Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica”, la cosiddetta “Convenzione di Istanbul”. “È stata aperta alla firma nel 2011 ed è stata sostenuta a tutti livelli. Nel 2018 si sono aggiunti 5 nuovi Paesi e in tutti ora sono 33 quelli che l’hanno ratificata. Altri 12 l’hanno firmata e stanno lavorando alla ratifica. Anche l’Ue ha firmato la convenzione” e Paesi extra Ue come Marocco e Israele la usano come riferimento. Feride Acar, presidente dell’organismo di monitoraggio della Convenzione di Istanbul (Grevio) spiega al Sir che la Convenzione è un documento “per affrontare le cause e la natura della violenza sulle donne considerata come violazione dei diritti umani; è legalmente vincolante; è una promessa da parte degli Stati ratificanti di compiere i passi per eliminare ogni forma di questo abominevole flagello”. È allo stesso tempo uno “strumento diagnostico sulla violenza” ma anche una “ricetta per prevenire la violenza, proteggere le vittime, punire i perpetratori”, in modo “completo, comprensivo, sistematico” perché “codifica standard che esistono già in alcuni strumenti internazionali e buone pratiche già attive in alcuni Paesi europei”.
Eppure si sono levate voci contro la Convenzione, anche in casa cattolica. “Non vuole sovvertire la famiglia, ma vuole che la famiglia sia un luogo di pace, armonia, di rispetto e non di violenza”, spiega ancora Claudia Luciani, che non ha remore a citare “voci insistenti” o “esponenti di spicco” della gerarchia cattolica, come l’arcivescovo di Praga, che in modo esplicito hanno affermato che la Convenzione fosse cosa da combattere; ci sono anche “oppositori a Istanbul che non hanno una matrice religiosa”, che nel nome della tradizione non vogliono mettere in dubbio il ruolo della donna. Ma la Convenzione mira a “eliminare l’inferiorità, la subordinazione di un genere all’altro, perché c’è un nesso molto chiaro tra la condizione di inferiorità e il fatto che ci sia violenza verso le donne o i bambini”. Perché “non c’è peggiore forza distruttrice della famiglia che la violenza”.
La Convenzione di Istanbul però vuole anche “mandare un forte segnale ai Paesi di continuare a lavorare sul tema delle pari opportunità, è un appello a una missione più ampia. Si tende a rinchiudere il tema della violenza sulle donne ad ambiti privati e individualisti, ma questo è un problema sociale e strutturale” aggiunge Acar. La violenza non solo è “radicata nella disuguaglianza ma è perpetuata in una cultura della negazione, della tolleranza e dell’impunità della violenza stessa”. Quindi una domanda è come uscire da questa cultura”. Per Acar “l’istruzione è importante, ma l’attivismo della società civile è fondamentale per interiorizzare i messaggi”.
Si possono già registrare progressi in questi anni? “Non abbiamo misure per dire che cosa è cambiato e dove”, spiega Acar. Il comitato di monitoraggio Greco “è nuovo e la Convenzione è recente. Abbiamo visto per ora sei rapporti, cioè sei Paesi e poiché sono i primi, ogni Paese può avere ambiti diversi e sensibilità diverse, per cui non sono tanto paragonabili”. “Rispetto al passato però abbiamo modi migliori per proteggere le donne e più efficaci misure per perseguire i perpetratori, evidente maggiore consapevolezza nella società sull’inaccettabilità della violenza sulle donne. Ma la violenza non è ancora sconfitta”.
Sarah Numico Agenzia Sir 24 novembre 2018
www.agensir.info/mondo/2018/11/24/violenza-contro-le-donne-la-convenzione-di-istanbul-per-eliminare-linferiorita-e-la-subordinazione

La risposta urgente. Donne: lunga storia e nuove ferite
La violenza degli uomini sulle donne è un «fenomeno strutturale», ha detto una donna che ieri, alla vigilia della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, stava partecipando, a Roma, a una grande manifestazione di denuncia. Lo è perché molte culture e civiltà si sono formate sulla sottomissione delle donne agli uomini, sulla dipendenza delle femmine dai maschi, sulla mancanza di una pari dignità delle une rispetto agli altri. Le società androcentriche hanno sempre avuto bisogno del supporto di un femminile disposto al loro riconoscimento e alla loro affermazione; ancor più, si son potute consolidare proprio sui ruoli di dipendenza svolti dalle donne, sulla forzata docilità di queste ultime persino nel fare a meno dei diritti civili e umani.
La ventennale attesa di Penelope, ma anche la gara delle matriarche bibliche per dare discendenza ai loro mariti, sono solo esempi arcinoti della condizione delle donne in un tipo di società in cui gli uomini erano i prìncipi e “il principio”, i capi e i patriarchi.
Anche i codici di leggi dei diversi popoli che sono all’origine della storia occidentale contemplavano, in certi casi, la violenza vera e propria sulla donna; basti pensare alla lapidazione dell’adultera – fortemente criticata da Gesù, nel Vangelo di Giovanni – o a quella della sposa che non fosse trovata vergine da suo marito, la prima notte, per citare soltanto la Torah di Mosè. I ratti collettivi delle donne sono costanti in molti mondi del Mediterraneo: i greci rapirono le troiane, i romani le sabine, gli ebrei, figli di Beniamino, le danzatrici di Silo.
Ma, seppur dentro un orizzonte a dir poco maschilista, v’era anche orrore per la violenza estrema sul corpo della donna. C’è una pagina del libro dei Giudici che si accosta alle scene oscene che vediamo quasi ogni giorno in televisione, o di cui leggiamo la cronaca sui giornali: quella della concubina del levita che fu violentata per una notte intera, dagli uomini della città che la ospitava, fino a farla morire. Il suo stesso marito, poi, tagliò il suo cadavere in dodici pezzi e li mandò alle dodici tribù d’Israele, con questo agghiacciante quesito: «È forse mai accaduta una cosa simile?» (Giudici 19,30). Proprio ciò che affiora alle nostre labbra dinanzi alla strage mostruosa delle donne: “Com’è possibile tanto?”, ci chiediamo.
La cultura occidentale attuale non è più androcentrica, né, tantomeno, patriarcale. I padri non sono più proprietari dei figli, anzi, spesso, sono latitanti dalle loro famiglie; i mariti non sono più proprietari delle mogli e i diritti coniugali degli uomini sono pressoché identici a quelli delle donne, almeno sulla carta. Cosa sta accadendo, allora?
Da cosa nasce tanta violenza, tanta inumanità, tanto odio verso le donne e, nella fattispecie, verso le madri dei propri figli e quelle che sono state o sono ancora le proprie mogli? Cosa c’è di nuovo nella frattura del patto tra mariti e mogli, tra l’uomo e la donna? Non basta appellarsi al fatto strutturale, alla storia del passato, alle colpe delle tradizioni o delle religioni, quando hanno appoggiato o propugnato il maschilismo.
Ci sono le parole di Gesù nel Vangelo in cui viene divelto qualsiasi possibile androcentrismo o maschilismo nel matrimonio, poiché egli dice: «L’uomo si unirà alla sua donna e i due formeranno una carne sola» (Matteo 19,5), ponendo in perfetta reciprocità marito e moglie; gli fa eco uno scritto paolino che afferma: «Voi, mariti, amate le vostre mogli come Cristo amò la Chiesa e consegnò ad essa se stesso», e ancora: «Chi ama la propria moglie ama se stesso. Nessuno infatti ha mai odiato la propria carne, anzi la nutre e la cura» (Efesini 5, 25.29). Dunque più di duemila anni fa le ‘strutture’ su cui potesse attecchire la violenza sulle donne erano state decisamente divelte dal cristianesimo nascente, e per volontà divina. Cos’è successo poi? Perché queste parole sono state sepolte? Com’è possibile che dopo tanto cammino morale, politico, psicologico e spirituale che l’Occidente ha fatto si debba ripresentare la ‘bestia’ assetata del sangue della propria carne? Da quali arroganti pretese, da quali smarrimenti, da quale inedita malvagità, da quale debolezza, da quale vuoto, da quali ignote disperazioni, da quali orfanità, da quali insostenibili solitudini, da quali eclissi dell’anima, da quale paura nascono i nuovi assassini, i nemici del loro stesso amore, del loro stesso letto, delle loro stesse viscere, della loro stessa vita? Nessuno di noi può sfuggire al morso della domanda. Tanto più le donne, tanto più la Chiesa che, come ha detto di recente papa Francesco, «è donna».
A tutti noi è stato inviato quel brandello di carne livida e violata che il levìta mandò a Israele. Davanti agli occhi di tutti noi sta la polla di sangue vitale che l’odio ha fatto diventare impuro. Il volto ceduto di Abele nelle braccia di tutte le donne uccise. La terra ne reclama la sorgente. A noi spetta conoscere e incontrare chi le ha uccise. A noi l’urgenza di demolire quei «fenomeni strutturali» che alle porte delle nostre case, sulle vie delle nostre città, e anche – ahimè – nelle stanze recondite della Chiesa, potrebbero ancora alimentare le dis-parità, le di- visioni, il dis-prezzo degli uomini verso le donne, cerini sempre pronti ad accendere fuochi di possibili, visibili, o mascherate e mostruose violenze. Occorre riconciliarsi, costruire patti di stima vicendevole, d’amore, di libertà, di reciprocità. Ce lo impongono i volti atterriti dei figli e le loro grida.
Rosanna Virgili Avvenire 25 novembre 2018
www.avvenire.it/opinioni/pagine/la-risposta-urgente

Paolo Crepet ci spiega chi sono i violenti, come reagire e il ruolo fondamentale delle madri.
Il 25 novembre si torna a parlare in tutto il mondo di violenza sulle donne e femminicidio. I dati Istat dimostrano che sono 7 milioni le donne italiane che nel corso della loro vita hanno subito una qualche forma di maltrattamento mentre i tweet di odio contro di loro sono passati nell’ultimo anno da 284.634 a 326.040. Una situazione allarmante che affrontiamo con lo psichiatra, sociologo e scrittore che ci mette in guardia: “Non fate le crocerossine, un uomo violento resta tale e non cambierà mai”
Abusi psicologici, stalking, hate speech [incitamento all’odio] sui social, fino alla brutalità fisica e al femminicidio. Sono tante e disparate le forme di violenza che le donne subiscono ancora oggi, una piaga che non sembra rimarginarsi. Secondo i dati dell’Istat, anzi, sembra dilagare sempre di più, visto che sono quasi 7 milioni le donne che nel corso della loro vita hanno subito una qualche forma di maltrattamento. In occasione del 25 novembre, la Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, abbiamo dialogato su questo tema con Paolo Crepet, famoso psichiatra, sociologo e scrittore, che ha dedicato al femminicidio uno dei capitoli del suo ultimo saggio “Passione”, ed. Mondadori.
Guardando i dati più recenti, la violenza sulle donne è purtroppo un fenomeno ancora in crescita in tutto il mondo, una strage che non sembra arrestarsi. Per lei quali sono i motivi che portano a tutto ciò?
“Le motivazioni sono tante, anche perché dietro al femminicidio, questo neologismo sempre più utilizzato per indicare l’infinita scia di violenze sulle donne, si nascondono tante realtà molto diverse. Essenzialmente molti uomini hanno ancora difficoltà ad accettare la lunga coda della liberazione della donna, nonostante siano passati più di quarant’anni dalle tante conquiste, come il divorzio. Non l’accettano, perché c’è una parte della cultura maschile che non si è adeguata a una parte della cultura femminile. E questa è un’evidenza, perché se andiamo a stratificare i dati del femminicidio per provenienza culturale, si può vedere, non in assoluto, perché ci sono sempre eccezioni, che questa violenza è più frequente negli strati della popolazione con medio bassa cultura. Perché sono quelli che non hanno elaborato ciò che è avvenuto in questi anni, restando legati a un concetto di famiglia arcaica, che vede la donna ancora come sottomessa e l’uomo con un ruolo dominante”.
Come sottolinea nel suo saggio, spesso questa violenza viene associata alla parola passione, definendola ad esempio “delitto o omicidio passionale”. Sembra che ancora oggi molti credano che la passione implichi il possesso del partner, considerando la propria compagna come una proprietà.
“Si questa è una vecchia tradizione, dura a morire, che vede dentro la parola passione anche il possesso, cioè che in qualche modo la violenza sia necessaria a fare vedere alla donna che quell’uomo ci tiene. Tiene a te, tanto è vero che ti controlla e arriva anche a picchiarti. Esiste un tipo di cultura che vede il maschio come un “protettore”, nel senso di padre padrone, che vuole gestire e far sentire il suo potere sulla propria compagna. Pensi al mondo del blues. Quasi tutte le grandi cantanti di questo genere musicale, da Billy Holiday ad Aretha Franklin, fino a Tina Turner e Whitney Houston, sono state annichilite dalla violenza maschile, perché hanno avuto uomini, in cui si sommavano tanti ruoli, dal manager al compagno, che abusavano di loro”.
Parecchie donne sono state educate a pensare che l’amore passionale debba prevedere anche un possesso e quindi a diventare oggetto di gelosie, manipolazioni e ossessioni.
“Non illudiamoci che sia un’attitudine che riguarda il ’900, molti giovani la pensano ancora così e lo dico sulla base delle mia esperienze professionali, come psicoterapeuta, e quelle personali. Perché c’è ancora una cultura, tramessa sia in ambito familiare sia in quello più ampio del gruppo sociale, quindi scuola e amicizie, che insegna alle ragazze a pensare che l’amore passionale possa o debba prevedere anche qualche “lecita” violenza. La gelosia, ad esempio, viene vista come prova dell’intensità amorosa, di una passione da dimostrare psicologicamente e fisicamente. Quindi si ritiene che faccia parte integrante di ogni relazione sentimentale e che quando viene sollecitata, possa anche scatenare reazioni violente. La gelosia porta sempre sciagure e drammi e bisognerebbe insegnare ai giovani a non considerarla come un sintomo dell’amore, perché non lo è mai. E va detto a scritte capitali che la gelosia non è una forma d’amore, ma solo di possesso, perché l’amore è rispetto innanzitutto. Ti amo, dunque ti rispetto”.
La maggior parte delle violenze sulle donne avvengono proprio in ambito familiare, per mano di un marito, di un partner o di un ex. Quali sono i campanelli d’allarme a cui si deve prestare attenzione?
“Il problema è che cosa tolleri della violenza, perché noi alcuni aspetti tendiamo a sopportarli, proprio per il discorso di educazione che stavamo facendo prima, che porta a spacciare la gelosia come amore. Bisogna capire che quando qualcuno cerca di controllarti, quel sentimento cessa di essere amore e diventa manipolazione e ossessione. Quindi viene a mancare il rispetto dell’altro, perché non ti vedo più come una persona ma come una cosa di mia proprietà. Alla base della violenza e del femminicidio, c’è sempre l’idea di considerare le donne come oggetti, non come individui. Io ti uccido perché tu sei una cosa mia. Molti uomini amano l’amore, non la persona che hanno accanto. Quindi non essendosi innamorati della persona, ma solo di un’idea astratta dell’amore è chiaro che poi quella donna tu non la capisci, perché non l’hai scelta veramente, perché non la conosci, è solo una portatrice di amore. Quindi non solo non sai chi è, ma in fondo non ti importa neanche di scoprirlo. Il problema nasce quando lei manifesta le sue scelte e i suoi desideri, che cozzano con i tuoi. Ipotizziamo che una ragazza voglia trasferirsi in un’altra città per coronare il suo sogno professionale e questo fa scattare nel fidanzato violento ira e rabbia, perché gli sta scappando l’amore, sta perdendo una cosa, non la persona. Se la conoscesse sul serio, saprebbe quanto per lei conta costruirsi la sua carriera e non sarebbe stupito di questa sua scelta, anzi. Inoltre, se amasse veramente lei, la sosterebbe e la spronerebbe a realizzare i suoi sogni”.
Sul podio delle categorie più disprezzate sul web ci sono le donne. I tweet di odio contro di loro sono infatti passati nell’ultimo anno da 284.634 a 326.040. A dirlo è la nuova versione della Mappa dell’Intolleranza, un progetto ideato da Vox-Osservatorio Italiano sui diritti, in collaborazione con varie università italiane, che misura il cosiddetto hate speech. Perché il genere femminile è diventato il target principale del bullismo online?
“Si fa fatica ad accettare che una ragazza oggi possa fare le stesse cose e la stessa vita di un maschio suo coetaneo. Queste pari opportunità scatenano rabbia, gelosia e invidia negli uomini frustrati, perché una donna così è libera, può scegliere e quindi non è controllabile. Partiamo dal presupposto che il violento è sempre un impotente, che non ha una buona concezione di sé, che non pensa di essere capace di avere dei valori e delle abilità per sedurre. Quindi per avere una donna non gli rimangono che i muscoli, reali o virtuali, con cui agire violenza. E davanti a questo, l’atteggiamento migliore che una donna può avere è chiudere subito ogni contatto. Ma questo è un consiglio che va messo in pratica sempre, soprattutto nella vita reale, senza attivare la crocerossina che è in voi e vi fa credere che salverete quell’uomo violento. Perché una persona così resta tale e non cambierà mai”.
Nel suo libro afferma che alla base della violenza c’è una cultura della violenza, che viene tramandata da entrambi i sessi, quindi non solo dagli uomini. Che ruolo hanno le donne in questa educazione alla violenza? E cosa invece dovrebbero insegnare ai propri figli, sia femmine che maschi?
“È evidente che le vittime di questa violenza sono le donne e i loro figli, quando li hanno, ma dietro a un uomo che uccide una donna ci sono anche i genitori dell’assassino e del violentatore, ovvero altre donne e altri uomini. Quindi è importante capire che tutto questo ha a che fare con l’educazione e quindi bisogna considerare la donna non solo come vittima, ma anche come colei che può insegnare ai propri figli a combattere questa cultura della violenza. Le madri devono dire alle figlie di lasciare immediatamente il fidanzato al primo accenno di uno schiaffo, facendo capire loro che non è una “prova che tiene a te”, anzi è tutto il contrario, ed è un comportamento che non va tollerato né discolpato. Il problema è che molte madri hanno incassato per anni con il marito, mandando giù rospi, non solo in termini di violenza, ma anche di incomprensioni e sottomissioni. E quindi, per non mettersi in discussione, questo loro atteggiamento lo tramandano alle loro figlie. Sono le stesse madri che giustificano i propri figli bulli, sottovalutando le loro azioni e addirittura compiacendosi di questo loro comportamento, in quanto sinonimo di forza, carattere e virilità. E questa complicità non porta che a favorire la diffusione di questa violenza. Invece questi gesti non vanno mai minimizzati e accettati, ma devono essere fortemente avversati, facendo capire al ragazzo che sta sbagliando e che non è tollerato e mai lo sarà un comportamento simile”.
Veronica Mazza La Repubblica on line 23 novembre 2018
https://d.repubblica.it/life/2018/11/24/news/giornata_contro_la_violenza_sulle_donne_cosa_pensa_paolo_crepet_femminicidio_star_maltrattate_aretha_franklin_tina_turner_wh-4191270/?ref=RHPF-VD-I0-C6-P4-S1.6-T1 GIOVANI
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