NewsUCIPEM n. 726 – 4 novembre 2018

NewsUCIPEM n. 726 – 4 novembre 2018

Unione Consultori Italiani Prematrimoniali E Matrimoniali

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“Notiziario Ucipem” unica rivista ufficiale – registrata Tribunale Milano n. 116 del 25.2.1984

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02 ABORTO VOLONTARIO Troppi silenzi «laici». Ma sull’aborto è l’ora d’un dibattito nuovo.

03 I «giardini degli angeli»: bimbi, non rifiuti.

04 ADOZIONI INTERNAZIONALI È l’ora del cambiamento.

05 AFFIDO CONDIVISO Maternal preference, conservazione ambiente di vita del bambino

05 CENTRO INTERN. STUDI FAMIGLIA News CISF – n. 35, 31 ottobre 2018.

07 CHIESA CATTOLICA E c’è chi vuole delegittimare Francesco.

08 Donne e Sinodo. Commento di una canonista.

10 COMM. ADOZIONI INTERNAZ. Duello M5s-Lega su guida Cai. Contenzioso il futuro delle adozioni.

11 CONSULENZA COPPIA E FAMIGLIA 11ª Campagna promozione dell’armonia nella coppia – dall’Io al Noi.

11 CONSULTORI UCIPEM Senigallia. Corso base, per la conoscenza del metodo sintotermico.

11 Taranto. La Famiglia nascente: supporto di consulenza familiare.

12 CONTRACCEZIONE Il ministro Grillo: «Contraccettivi gratis». Ma è polemica.

12 COPPIAPrendersi cura della coppia come ci si prende cura di noi.

13 DALLA NAVATA 31° Domenica – Anno B –4 novembre 2018.

13L’unica misura dell’amore è amare senza misura. Ermes Ronchi.

14 DIRITTI La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani.

16 ENTI TERZO SETTORE Vademecum sulla Riforma del Terzo Settore.

16 FORUM ASS.ni FAMILIARI Terre gratis con 3 figli? Non riparte così la natalità.

17 FRANCESCO VESCOVO DI ROMA Diventare adulti vuol dire vivere l’attitudine sponsale e genitoriale.

18 GARANTE PER L’INFANZIA Pubblicazione sulla selezione e formazione dei tutori volontari.

18 GENITORI Diritti di un padre non sposato.

21 GOVERNO Fontana strappa i soldi per famiglie e disabili

22 HUMANÆ VITÆ A 50 anni dalla promulgazione. Riflessioni a distanza.

26 MATRIMONIO Matrimonio in crisi.

28 NATALITÀ Anche l’età papà conta, se è over 35 più rischi alla nascita.

29 PASTORALE Sanremo. Parlare di matrimonio in parrocchia. Con una sit-com.

29 SINODO DEI VESCOVI SUI GIOVANI Opinioni abbastanza positive di Noi Siamo Chiesa.

33 I giovani e i silenzi dei vescovi

33 Sinodo sui giovani: tregua sui problemi spinosi

34 UCIPEMConvocazione assemblea ordinaria.

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ABORTO VOLONTARIO

Troppi silenzi «laici». Ma sull’aborto è l’ora d’un dibattito nuovo

Le parole severe con cui papa Francesco ha stigmatizzato le pratiche abortive e i medici che le pongono in essere hanno lasciato disorientati molti ‘laici’, sinceri ammiratori del pontefice, ma non fino al punto di lasciarsi indurre a riaprire una seria riflessione su quello che indubbiamente è il massimo problema di etica pubblica e di bioetica del nostro tempo. La maggior parte dei commentatori ha adottato toni di rispettoso, ma severo distacco.

Ma non sono mancati coloro – come Dacia Maraini, sul ‘Corriere della Sera’ del 17 ottobre 2018 – che hanno preferito usare espressioni, morbide, addolorate, quasi affettuose, chiaramente volte però a ‘far aprire gli occhi’ a Francesco, ritenuto poco consapevole del fatto che per ogni donna l’aborto è sempre un dolore e che la legge italiana in materia è un’ottima legge, che ha fatto diminuire il numero degli aborti. Se papa Francesco parlasse di più con le donne e soprattutto con le migranti – insiste la Maraini – capirebbe che dietro l’aborto c’è paura, povertà, ignoranza e non userebbe più espressioni che fanno tornare alla mente la vecchia alternativa: o la castità o il carcere (sic).

https://27esimaora.corriere.it/18_ottobre_16/caro-papa-ogni-donna-l-aborto-sempre-dolore-bd46a09c-d18a-11e8-81a5-27b20bf95b8c.shtml

Sarà il Papa stesso, se vorrà, a rispondere a questa e altre reazioni alle sue parole. A me interessa piuttosto rilevare come tutti, dico tutti, gli argomenti usati dalla scrittrice fanno arretrare la riflessione sull’aborto di decenni, riconducendola a stereotipi non necessariamente falsi, ma antiquati, perché non più calibrati sulla realtà del mondo d’oggi (come appunto l’alternativa ‘o la castità o il carcere’, che fa davvero sorridere, sia pur amaramente).

Cerchiamo quindi di stabilire alcuni punti che dovrebbero restare fermi. Punto primo: l’aborto è una pratica che nella seconda metà del Novecento ha ottenuto pressoché in tutti i Paesi del mondo una piena legittimazione. Si tratta però di una legittimazione giuridico-sociale, a cui non è corrisposta (checché se ne dica) un’autentica legittimazione etica.

Perché? Perché (punto secondo) non è possibile definirlo alla stregua dell’interruzione di un «progetto di vita» (come sostiene la Maraini, restando incredibilmente vincolata a vecchi paradigmi biologici superati da anni): l’aborto consiste nell’uccisione di un’autentica vita umana nelle prime fasi del suo sviluppo ed entra in contraddizione, senza scampo, col rispetto per la vita che qualifica la sensibilità dominante nel nostro tempo.

Terzo punto: nessuno oggi seriamente sostiene che si debba combattere l’aborto «con le minacce e la demonizzazione»; siamo tutti convinti che la sola alternativa all’aborto sia la prevenzione e un intelligente e concreto sostegno alle donne che vogliono ricorrere all’aborto per ragioni economico-sociali (a questo proposito: perché i movimenti femminili, in un momento in cui si discute di un ‘reddito di cittadinanza’, non propongono l’istituzione di un ‘reddito di maternità’?).

Quarto punto: dovremmo finalmente convincerci tutti che le scelte abortive non dipendono solo dai residui di un’antica cultura patriarcale e repressiva! La libertà per la quale le donne giustamente si battono nel nostro tempo (e nella quale fanno rientrare l’«aborto libero») non ha propriamente per oggetto la loro sessualità (come sembra sostenere la Maraini), ma la loro identità specifica e profonda, quella materna, identità umiliata e non consolidata dalle pratiche abortive.

Quinto e ultimo punto: è innegabile che molte donne abortiscano ‘per disperazione’ e che le loro lacrime debbano essere asciugate, ma è altrettanto innegabile che oggi per altre e non poche donne (e purtroppo per molte ideologhe del femminismo, come Shulamith Firestone) la maternità sarebbe meritevole di essere paragonata a un «shitting a pumpkin» (espressione che è cosa buona e giusta lasciare non tradotta) e quindi drasticamente rifiutata.

Su questo punto tutti (e non solo le donne) dovrebbero assumere un atteggiamento di estrema chiarezza: ridurre il dare la vita (con responsabilità) a una scelta privata e insindacabile, come sostengono le e i ‘childfree’, è un’opzione che in una società liberale non può che essere rispettata, ma che è anche di un’impressionante povertà antropologica.

Abbiamo l’assoluto dovere di aprirci a una fraterna e operosa comprensione nei confronti delle donne che ricorrono ad aborti di necessità; ma questo non implica rinunciare a un severo e doloroso giudizio verso la troppo frequente banalizzazione dell’aborto che dilaga da decenni in Occidente. Quando arriverà il momento per riaprire con intelligenza e profondità un nuovo dibattito sulla generatività e sull’aborto?

Francesco D’Agostino Avvenire 31 ottobre 2018

www.avvenire.it/opinioni/pagine/aborto-proprio-lora-di-un-dibattito-nuovo

 

I «giardini degli angeli»: bimbi, non rifiuti

La Messa di papa Francesco il 2 novembre 2018 al Cimitero Laurentino di Roma per la commemorazione dei defunti rappresenterà un segno di consolazione per chi soffre la mancanza di una persona cara. E sarà come ricevere una carezza per le tante mamme che hanno perso il proprio bimbo mentre era ancora in grembo. In questo camposanto romano, esteso per circa 21 ettari, si trova infatti il «Giardino degli Angeli», dedicato ai bambini non nati.

Si tratta di un «luogo a noi particolarmente caro», spiega don Maurizio Gagliardini, presidente dell’Associazione Difendere la vita con Maria (Advm), che da 20 anni si prodiga in tutta Italia affinché embrioni e feti abortiti per cause naturali (ma anche volontariamente) non vadano a finire tra i rifiuti speciali degli ospedali e possano ricevere la dignità della sepoltura, se i genitori o anche solo la madre lo chiedono.

www.advm.org

«Desideriamo promuovere, con discrezione, una pastorale di prossimità e vicinanza che nella Chiesa sia motivo d’incontro e non di scontro, come tristemente a volte purtroppo accade, proprio con i temi legati alla vita», si legge nella lettera indirizzata al Pontefice per esprimere gratitudine e chiederne la benedizione. «Nel concepito – sottolinea Gagliardini – c’è non soltanto tutto il dna dell’uomo ma anche ciò che farà e ciò che potrà essere. C’è, insomma, la pienezza dell’essere umano. Per questo, rifacendoci al Magistero, riteniamo che sia assolutamente doveroso onorare le spoglie mortali dei bambini non nati. Siamo consapevoli che il nostro impegno ha un risvolto di prevenzione, formazione ed educazione». Gagliardini tiene però a precisare che «ci occupiamo di questo servizio che sarà di consolazione a tante mamme e papà, ma non vogliamo fare di questo un gesto di propaganda. Il nostro è sempre stato soltanto un gesto di amore e di solidarietà, che portiamo avanti con discrezione e competenza». Oggi l’associazione conta tremila aderenti, in 19 regioni e ha 60 sedi locali. Grazie all’impegno dei volontari e alle convenzioni stipulate con le istituzioni, finora è stata data sepoltura a più di 200mila bambini non nati. Difficile quantificare con esattezza in quanti cimiteri esistano aree dedicate a queste sepolture, ma molte amministrazioni si stanno attrezzando.

Paolo Tiramani, sindaco di Borgosesia, in provincia di Vercelli, a capo di una giunta di centrodestra ha da deciso di aderire alla proposta dell’associazione, i cui servizi sono forniti sempre a costo zero. «Come sindaco ho colto subito l’opportunità: riteniamo infatti sia un’attività molto degna. In questo primo anno e mezzo da sindaco ci sono state molte richieste di persone che avevano abortito spontaneamente o sono state indotte a farlo. Ho scoperto, controllando le mappe catastali del cimitero comunale, che già a fine ’800 c’era un’area dedicata a questo. Ho solo deciso di ripristinarla». Nessuna contestazione in consiglio, anzi: «Tutti hanno accolto la proposta in maniera positiva. Abbiamo solo ringraziamenti da parte di chi ne ha usufruito».

Secondo la legislazione vigente (art. 7 Dpr n. 285, 10 settembre 1990) i genitori devono essere informati sul destino dei resti dei non nati e hanno il diritto di richiederli entro 24 ore. Se nessuno si fa avanti, i resti devono essere avviati allo smaltimento come rifiuti speciali ospedalieri.

http://presidenza.governo.it/USRI/ufficio_studi/normativa/D.P.R.%2010%20settembre%201990,%20n.%20285.pdf

Alcune Regioni come Lombardia, Campania e Marche hanno approvato nuovi regolamenti di polizia mortuaria anche per promuovere l’informazione sulle possibilità di inumazione dei resti. Finora sono numerose le aziende ospedaliere che hanno deciso di rivolgersi all’Advm.

Tra gli ospedali che si sono dati da fare affinché anche i bimbi non nati abbiano una degna sepoltura c’è il Giannina Gaslini di Genova. «Il nostro istituto, che ha appena compiuto 80 anni, ha nelle sue corde fondative la presa in carico e la cura del bambino e della sua famiglia, di ogni etnia, razza, età e condizione sociale, e in ogni fase della vita – sottolinea il direttore generale Paolo Petralia –. E poiché la vita inizia dal concepimento, pensiamo che prendersene cura vuol dire anche adottare comportamenti giusti e appropriati, con un percorso di presa in carico con cui si dà dignità e rispetto a una persona che non c’è più». Il percorso che Petralia definisce frutto di una visione antropologica fondata «sul concetto di persona e di cura della persona», è stato pensato e vagliato in ogni aspetto. «Abbiamo fatto tutto con grande attenzione consultando il nostro Comitato etico, proprio perché era necessaria una valutazione assolutamente oggettiva e ‘terza’».

Giuseppe Popolo, direttore responsabile di Neonatologia e Terapia intensiva neonatale degli Ospedali riuniti di Foggia, il dramma dell’aborto lo conosce bene. Oltre alle Ivg, alle quali si riferiscono le cifre ufficiali del Ministero della Salute, ci sono anche gli aborti invisibili: molte ragazze infatti, spesso straniere, abortiscono con metodi ‘fai da te’, mettendo a rischio la propria salute. «Utilizzano come pillola abortiva il cytotec, farmaco usato per prevenire le ulcere gastriche e acquistabile in farmacia da chiunque, senza ricetta medica – racconta Popolo –. Questo farmaco contiene il misoprostolo, sostanza uguale al cervidil usata per indurre un aborto». Grazie alla convenzione con l’Advm «portiamo a sepoltura tutti i feti che vengono abortiti spontaneamente oppure per problemi medici. Con l’aborto nasce nella donna un vuoto enorme, che porta spesso a depressione. Per superare il lutto, ogni mamma ha bisogno di piangere sulla tomba del proprio figlio».

Il Giardino degli Angeli, voluto dal Comune di Roma e inaugurato nel 2012 nel Cimitero Laurentino, è un’area dedicata ai bambini non nati per un aborto volontario oppure naturale. «Il Papa desidera visitare il Giardino, forse lo farà in forma privata», anticipa don Claudio Palma, cappellano del cimitero in attesa della visita di papa Francesco del 2 novembre e alle prese con i preparativi e le incognite del meteo. «Molti genitori mi chiedono di pregare per questi bambini, una celebrazione della Parola. Cerco di stare loro vicino». Per l’inumazione si contatta il cimitero: «C’è la possibilità di farli seppellire direttamente: i genitori chiedono la benedizione al proprio parroco e poi li possono portare qui. Spesso un gruppo di volontari si riunisce per pregare per loro. Ma lo fanno anche tante mamme che vengono al cimitero per i propri defunti e poi si fermano nel Giardino a pregare per questi piccoli non nati».

Graziella Melina Avvenire 1 novembre 2018

www.avvenire.it/famiglia-e-vita/pagine/i-giardini-degli-angeli-bimbi-non-rifiuti

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ADOZIONE INTERNAZIONALE

Adozioni internazionali, è l’ora del cambiamento.

Numeri stabili dopo gli anni del crollo verticale Pronte formule nuove, ma la politica è ferma. Ripensare alle adozioni. Nonostante sia difficile. Nonostante i costi, i tempi, le difficoltà coi Paesi stranieri. Nonostante l’incertezza sul futuro delle istituzioni preposte ad occuparsene, la mancanza pressoché totale di una strategia politica e – ora – persino l’ostinazione di chi vorrebbe trasformare il Paese in un luogo chiuso all’accoglienza degli stranieri. Non importa se sono bambini. Si può ricominciare dai numeri, che per la prima volta non aprono una nuova ferita.

Laura Laera, vicepresidente della Commissione adozioni internazionali, ieri li ha presentati a Firenze – nella storica cornice dell’Istituto degli Innocenti – davanti a una platea mai così numerosa di operatori, esperti arrivati da ogni parte d’Italia e da Molti Paesi esteri, famiglie e genitori. Dopo anni di emorragia, nel 2018 si sta registrando una sostanziale stabilizzazione del numero di coppie adottive e di bimbi adottati nel nostro Paese: tra il primo semestre dell’anno scorso e il primo di quest’anno si nota una diminuzione in termini assoluti di soli 11 casi di coppie adottive (erano 512 nel 2017, sono 501 nel 2018).

Andamento che si conferma anche tra i minorenni entrati nel nostro Paese: erano 617 nel 2017, sono 603 nel 2018. Non c’è da gioire. I dati hanno registrato una crisi su scala globale, con le adozioni internazionali che dal 1995 al 2016 sono passate nel mondo da 22mila e 11mila (in Italia, tanto per fare un raffronto, nel 2010 erano entrati oltre 4mila bambini). E questo a fronte di un numero di minori in abbandono che non diminuisce affatto: resta fermo, ed è impressionante, a quasi 3 milioni. Ma il mondo è cambiato – le normative più restrittive hanno “filtrato” le pratiche, molti Paesi si sono chiusi, molti altri hanno aumentato il numero di adozioni interne, relazioni familiari e tendenze culturali sono cambiate – e allora, forse, è il momento di cambiare anche le adozioni.

Ma come? Il tema ha animato – e anche diviso – gli Stati generali di Firenze. «Quello che come Cai stiamo facendo è riallacciare rapporti con molti Paesi d’origine – ha spiegato Laera –. Stiamo sottoscrivendo un accordo con la Slovacchia, il Benin si è attrezzato e da ottobre è operativo, con la Cambogia abbiamo ripreso i rapporti e giungeremo probabilmente alla sottoscrizione dell’accordo bilaterale già a inizio 2019». Aprirsi non basta ancora. «Serve provare a immaginare, e lo dico rivolgendomi ai molti colleghi dei tribunali dei minori che vedo seduti in sala – ha continuato Laera –, nuove formule, più flessibilità». L’esempio della vicepresidente della Cai è quello della Bielorussia, da cui per altro nel 2018 sono stati adottati 140 bambini: «Molti di questi percorsi adottivi sono cominciati nella formula dei soggiorni terapeutici». I bambini, cioè, venivano ospitati in Italia per dei periodi brevi e proprio questo strumento, che con l’adozione non c’entra nulla dal punto di vista giuridico, «ha poi portato invece alla costruzione di percorsi adottivi di successo».

È una suggestione. A cui gli Enti aggiungono le loro proposte: da Aibi al Ciai fino a Cifa c’è chi spinge sulle cosiddette “vacanze preadottive” (vere e proprie vacanze che i bambini adottabili potrebbero passare in Italia insieme a una coppia che ha già in mano l’idoneità all’adozione), chi sull’Affido internazionale, chi ancora sull’adozione aperta (che prevede non siano interrotti i rapporti tra adottato e figure parentali originarie). C’è anche chi ha paura, chi teme che spingere l’acceleratore su questa commistione possa aprire a pratiche illegali, chi insiste sulla formazione delle famiglie.

Uno spunto decisivo lo offre la relazione dettagliata di Stefania Congia, dirigente della Divisione di Politiche di integrazione sociale e lavorativa dei migranti e tutela dei minori stranieri presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, facendo il punto sui minori accolti temporaneamente in Italia nell’ambito dei programmi solidaristici di accoglienza (per intenderci quelli nati negli anni novanta sull’onda dell’incidente di Chernobyl). Dal 2000 al 2017 nell’ambito di questi progetti il nostro Paese ha infatti accolto 560mila minori (10mila nel 2017), grazie allo sforzo straordinario – e volontario – concentrato soprattutto nei piccoli comuni (che rappresentano oltre il 70% degli ospiti, da Nord a Sud fino alle isole): «Finora ci siamo mossi sull’assoluta incompatibilità tra questi programmi e le adozioni – ha spiegato Congia –, ma la domanda da porsi è se questo ha ancora senso, visto che in alcuni Paesi la procedura di adozione è invece preceduta Proprio da queste esperienze».

E al dato dirompente dell’Italia delle famiglie che può e vuole accogliere (a cui si aggiunge la innovativa formula delle tutor-ship per i minori stranieri non accompagnati) si accompagna un sostanziale stallo politico: nessuna misura all’orizzonte, un piccolo passaggio riferito alla necessità di “snellire le pratiche” nel Def e il messaggio consegnato al convegno di Firenze dal Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede sulla “disponibilità” del Governo al dialogo.

Mentre la Commissione rischia di restare senza vicepresidente – Laera è in scadenza, e andrebbe riconfermata con un decreto ad hoc – già a novembre.

Viviana Daloiso Avvenire 20 ottobre 2018

www.scienzaevita.org/wp-content/uploads/2018/10/20-V.-Daloiso-Avvenire.pdf

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AFFIDO CONDIVISO

Più che di maternal preference si dovrebbe parlare di conservazione dell’ambiente di vita del bambino

Tribunale di Genova, Ordinanza 24 luglio 2018

Domanda di separazione di coniugi risiedenti in città distanti e richiesta urgente afferente la residenza prevalente del figlio. Fase presidenziale. Necessità di assunzione di decisioni urgenti con riferimento all’inizio della scuola primaria. Rilevanza di un “accordo di vita” sottoscritto prima del matrimonio, contenente auspici in ordine alla futura residenza del bambino nei primi anni di vita. Disposta consulenza tecnica d’ufficio. Individuazione del genitore di riferimento del minore.

Il minore presenta “elementi di fragilità psicologica” che rendono inopportuno esporlo ad una esperienza di drastico cambiamento dell’ambiente di vita. Non di maternal preference si tratterebbe, bensì dell’esigenza di conservare l’habitat di vita, rassicurante e necessario per l’equilibrata crescita del bambino, che se sino ad allora fosse stato presso il padre, avrebbe parimenti impedito il suo trasferimento presso la madre

Osservatorio nazionale sul diritto di famiglia 4 novembre 2018

www.osservatoriofamiglia.it/contenuti/17507815/pi%C3%B9-che-di-maternal-preference-si-dovrebbe-parlare-di-conservazione-dell-ambient.html

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CENTRO INTERNAZIONALE STUDI FAMIGLIA

Newsletter CISF – n. 35, 31 ottobre 2018

  • Con te mamma (Lazio). Un programma di accompagnamento “leggero” per le mamme al rientro a casa dopo il parto. Garbata e precisa video-presentazione di un’iniziativa in corso in alcune province del Lazio, per un sostegno domestico alle neo-mamme in un momento splendido, quale il rientro a casa con il proprio piccolo appena nato, che però può nascondere molte imprevedibili insidie e difficoltà personali, relazioni e gestionali. Per non lasciare una neo-mamma da sola

www.youtube.com/watch?v=jYtd6XWYzlg

  • Trevi – Convegno Aiccef. Coppie miste: laboratori di accoglienza della diversità. Il direttore Cisf (F. Belletti) ha partecipato al gruppo di lavoro su “La diversità nella coppia e nella famiglia mista”, all’interno del convegno “Diverso da chi?” (Trevi, 27-28 ottobre 2018), in collaborazione con Rita Roberto, già Presidente Aiccef (l’associazione nazionale del consulenti familiari). Nel workshop sono stati presentati anche alcuni dati dal Rapporto Cisf 2014, “Le famiglie di fronte alle sfide dell’immigrazione”: L’evento si è svolto all’interno dell’assemblea elettiva dell’Aiccef, che ha eletto un nuovo Consiglio Direttivo e successivamente un nuovo presidente, nella persona di Stefania Sinigaglia. Auguri di cuore alla neo-presidente e a tutto il rinnovato Consiglio Direttivo! (F.Belletti)

  • Catania, 10 novembre 2018. Una riflessione su relazioni familiari e reti digitali. Sabato 10 novembre 2018 alle 17.30 presso l’Aula Magna del Convitto Nazionale “M. Cutelli” (Via Vittorio Emanuele II, 56 Catania). Il direttore Cisf (F. Belletti) terrà una relazione su “Le relazioni familiari nell’era delle reti digitali“, a partire dal Rapporto Cisf 2017 (che comprende anche i dati di un’indagine inedita su un campione rappresentativo a livello nazionale di 3.708 famiglie). Il tema solleva grandi entusiasmi ma anche grandi paure: la tesi di fondo del Rapporto è che “non serve schierarsi nell’ennesimo scontro tra tradizionalisti e innovatori, o tra apocalittici e integrati, quanto piuttosto riconoscere le potenzialità, leggere le diverse traiettorie dei diversi gruppi sociali e delle diverse famiglie, e discernere con attenzione rischi e possibilità”.

newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/attachments/newscisf3518_allegato1.pdf

E’ possibile acquistare on line il Rapporto Cisf, con lo sconto del 15%:

www.sanpaolostore.it/relazioni-familiari-nell-era-delle-reti-digitali-nuovo-rapporto-cisf-2017-9788892213289.aspx?Referral=newsletter_cisf_20181031

  • Dalle case editrici

Marengo Gilberto, La nascita di un’enciclica. Humanæ Vitæ alla luce degli archivi vaticani, Libreria Editrice Vaticana, Roma 2018, pp. 284, € 15,00. Il volume contiene una preziosa e puntuale ricostruzione storiografica di un documento che dopo 50 anni conserva ancora una forte attualità, su un tema che ha segnato la vita della Chiesa e della società tutta, dagli anni Sessanta del secolo scorso ad oggi. L’accesso anticipato agli archivi segreti vaticani (vent’anni prima del canonici settant’anni) conferma l’attenzione della Chiesa di oggi al tema dell’accoglienza della vita. Il testo consente una ricostruzione analitica di un ampio dibattito, e riporta anche molta documentazione originale. Sorprende il gigantesco lavoro di dialogo, analisi, confronto (anche vivace) tra tanti, nella Chiesa, per arrivare infine ad un testo che Paolo VI, alla fine, dovette formalizzare in prima persona: oggi diremmo “mettendoci la faccia” (e da lì nacquero tante sue sofferenze personali). Colpisce, in effetti, quanto l’autore evidenzia nella presentazione del proprio lavoro: “Il percorso della composizione di un documento del magistero ecclesiale non è solo un intrecciarsi di tesi teologiche e di sapienza compositiva di un testo. Esso si sviluppa anche nell’incontro (e scontro) tra sensibilità, storie personali, temperamenti dei diversi attori. Difficile trovare un altro documento pontificio che abbia visto coinvolte nella sua preparazione così tante persone come accadde per Humanæ Vitæ” (G. Marengo, “Al lettore”). E questo documento rimane centrale anche oggi, perché, come ricorda P. Sequeri nella Prefazione, “il dono della vita umana non è un mero fatto biologico: per l’uomo è infatti impossibile trasmettere la vita senza trasmettere il senso della vita. Il modo in cui lo fa, naturalmente, stabilisce la differenza nel bene e nel male”.

  • What Makes a Good Life in Late Life? Citizenship and Justice in Aging Societies (Cosa rende buona la vita da anziani? Cittadinanza e giustizia nelle società dell’invecchiamento). Un nuovo rapporto speciale, ampio e documentato, dell’Hastings Center chiede alla bioetica di allargare la propria prospettiva per migliorare l’esperienza di vita degli anziani e per affrontare i problemi di iniquità che danneggiano i giovani anziani e i caregiver

www.thehastingscenter.org/publications-resources/special-reports-2/what-makes-a-good-life-in-late-life-citizenship-and-justice-in-aging-societies

  • Progetto famiglia. Formazione a distanza (FAD). (id 27960) Quando e come inserire un bambino in casa famiglia. Deontologia e metodologia dell’intervento dell’assistente sociale nella valutazione e progettazione dell’inserimento di minorenni nelle comunità residenziali. Corsi con crediti formativi per operatori sociali. Presentazione del Seminario

www.cnoas.it/cgi-bin/cnoas/vfile.cgi?i=OOTOPOVQYNAONOQPFBBODV&t=brochure&e=.pdf

  • Formazione a distanza. Usa: seminario on line (in inglese) Complessità delle culture nella separazione e nel divorzio (Complexities of Culture in Divorce and Separation – (webinar in english – Afcc – Usa)). “Questo webinar (un’ora di formazione on line) si incentrerà sulla nostra consapevolezza dell’intreccio di questioni connesse a razza, religione, etnicità, sesso (gender), nazionalità e orientamento sessuale quando si tratta di matrimonio e di divorzio. È necessario svelare ciò che noi intendiamo per famiglie “tipiche” (normali), e acquisire familiarità con le relativamente nuove definizioni e strutture delle famiglie globali. L’esperienza delle famiglie che non ricadono all’interno del modello “tradizionale” di famiglia e di quelle che possono avere radici in due (distinte) culture è spesso un’esperienza di confusione e di caos. Oltre a fornire un aggiornamento ai professionisti sulla ricerca più recente, questo webinar ha l’obiettivo di favorire nei partecipanti una riflessione sui propri pregiudizi personali, e su come questi posso aiutare o danneggiare il loro lavoro”.

www.afccnet.org/Conferences-Training/Webinars/ctl/ViewConference/ConferenceID/259/mid/772

  • Save the date

  • Nord Povertà, disuguaglianze, invecchiamento attivo, incontro promosso da PIACI (Associazione scientifica per la Promozione dell’Invecchiamento Attivo e le Cure Integrate) in collaborazione con Fondazione Zancan, Gruppo di Ricerca Geriatrica e ordine Assistenti Sociali Veneto (richiesti crediti formativi per assistenti sociali), Padova, 7 novembre 2018.

newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/attachments/newscisf3518_allegato2.pdf

  • Minori stranieri non accompagnati: sostenere i loro diritti, aiutarli a progettare il futuro, seminario di formazione proposto dal CTA (Centro di Terapia per l’Adolescenza), Milano, 13 novembre 2018.

www.centrocta.it/i-minori-non-accompagnati-sostenere-i-loro-diritti-aiutarli-a-progettare-il-futuro-2

  • Centro Convegno di presentazione del Dossier Statistico Immigrazione 2018 IDOS, evento promosso da CNEL e IDOS; Roma, 7 novembre 2018.

http://newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/attachments/newscisf3518_allegato3.pdf

  • Femminismo e femminismi. Culture, luoghi, problematiche, giornata di studi interdisciplinari, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” – Macroarea di Lettere e Filosofia. Roma, 7 novembre 2018.

www.siped.it/wp-content/uploads/2018/10/2018-10-27-Universit%C3%A0-Roma-Tor-Vergata-Giornata-studio-Femminismo-e-femminismi.-07-11-2018-Locandina.pdf

  • Sud La Famiglia nascente: supporto clinico e di Consulenza Familiare, giornata di studio promossa dalla Scuola Pugliese di Formazione alla Consulenza Familiare-Associazione di volontariato Onlus “Il Focolare” e AICCeF, Taranto, 25 novembre 2018.

https://ilfocolare.it/wp-content/uploads/2018/10/12%c2%aa-Giornata_Studio_25novembre2018.pdf

  • Estero Expert Meeting on Measuring Poverty and Inequality, (Misurare la povertà e la disuguaglianza – expert meeting), conferenza di statistici europei, promossa da UNECE (Commissione Economica delle Nazioni Unite per l’Europa), Vienna, 29 novembre 2018.

www.unece.org/fileadmin/DAM/stats/documents/ece/ces/ge.15/2018/mtg1/Timetable_2018__4a__eng.pdf

  • The Family: ecosystem for cultural life in Europe (La famiglia come ecosistema culturale in Europa), “high-level conference” interparlamentare promossa da Anna Zaborska (Popolari Europei), Presidente dell’intergruppo famiglia, e da Luigi Morgano (Social Democratici Europei), Italy, membro del Comitato CULT, in collaborazione con COMECE e FAFCE, Bruxelles, 6 novembre 2018.

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CHIESA CATTOLICA

E c’è chi vuole delegittimare Francesco

Passati pochi mesi dall’elezione di Francesco, quando ormai si potevano scorgere i tratti salienti del suo pontificato, avevo detto, scritto e ripetuto che se nella vita ecclesiale fosse stato rafforzato il primato del Vangelo e se il Papa avesse tentato di realizzare una riforma, una conversione della Chiesa, allora le potenze demoniache, sentendosi messe al muro, si sarebbero scatenate. Non sarebbe sopraggiunto un tempo di pace, una situazione idilliaca in cui il Vangelo avrebbe brillato con più efficacia, ma piuttosto sarebbe apparso il segno della croce. Così è avvenuto.

Viviamo ormai in uno stato di guerra in cui violenza verbale, calunnie, accuse sembrano aumentare ogni giorno. Dobbiamo riconoscere che questa guerra è la guerra del diavolo che, secondo la Scrittura, porta il nome di divisore, accusatore, mentitore. È una guerra che — almeno qui, nelle terre di antica cristianità — non è combattuta da nemici esterni al cristianesimo, bensì da cattolici contro altri cattolici. Nella vita ordinaria della Chiesa ormai è consuetudine cercare l’opposizione, tacciare di eresia chi ha semplicemente una parola cristiana differente, accusare moralmente quelli che vengono percepiti e classificati come avversari. Calunnie, pettegolezzi, chiacchiere che vogliono diffamare, colpire e delegittimare chi esercita un’autorità nella Chiesa.

In questi ultimi mesi ho sentito spesso esclamazioni come queste: «Non ne possiamo più! Adesso ne abbiamo abbastanza! Quando finirà questa febbre di cercare capri espiatori?». Oggi sono soprattutto i presbiteri a essere colpiti, denigrati e messi in stato di continuo sospetto. Per responsabilità gravi e delittuose di alcuni, finiscono per essere colpiti tutti. E non mi sfugge che in questa guerra — combattuta soprattutto sui campi di battaglia dei media, di Internet e dei social — noi stessi come uomini e donne di Chiesa finiamo per favorire un effetto moltiplicatore degli scandali. Non si tratta di nascondere la verità, ma di negarsi al gioco delle attese scandalistiche che ammorbano l’aria.

In questa guerra, lo stesso papa Francesco è diventato un bersaglio privilegiato. Critiche verso gli ultimi Papi si erano già levate, ma Francesco viene delegittimato, è sospettato di non essere fedele alla tradizione cattolica, di essere ripiegato sulla mondanità imperante, di annacquare la fede secondo le attese del mondo. È vero che lui dice di essere in pace e che, da uomo di preghiera qual è, sceglie il silenzio piuttosto che rispondere violentemente alla violenza scatenata contro di lui, ma questa situazione fa soffrire molti cristiani e rischia di scandalizzare. Il clima è tale che ormai un semplice sospetto — non l’accusa per un delitto perseguibile dalla legge dello Stato — di comportamento immorale da parte di un presbitero, può turbare la vita di molti e portarli a situazioni estreme, impossibilitati come sono a difendersi di fronte a un’accusa pubblica. Sembra ci sia una corsa a cercare dei colpevoli.

Il Papa non si difende, ma chiede ai cattolici di vigilare di fronte a questo agire diabolico che vuole provocare divisione, scisma, contrapposizione all’interno della Chiesa. Chiede di pregare. L’urgenza per i cattolici è l’ascolto del Vangelo, che chiede non di nascondere il male, ma di usare misericordia verso chi l’ha commesso. Non chiede di minimizzare azioni delittuose perpetrate da ministri della Chiesa, ma di cercare di impedirne la reiterazione con tutti i mezzi legittimi. Non chiede di castigare i peccatori, ma di aiutarli a ritrovare la dignità umana da loro stessi calpestata. Se “tolleranza zero” significa che non si possono ammettere o nascondere delitti, questo è secondo giustizia e parresia, ma se volesse dire “nessuna misericordia verso il peccatore” allora non sarebbero parole cristiane.

Un vescovo emerito (di Nanterre), mio grande amico da decenni, Gérard Daucourt, ha scritto un libretto dal titolo significativo: Chi è senza peccato? Anche preti e vescovi hanno bisogno di misericordia.

Sì, perché ormai i presbiteri sembrano gli unici che non meritano misericordia. Eppure noi cristiani conosciamo bene il comandamento Non pronunciare falsa testimonianza verso il tuo prossimo. Da questa ingiunzione dobbiamo apprendere la legge della parola che chiede libertà, sincerità, lealtà. Altrimenti la parola stessa degenera e crea corruzione e morte nei rapporti interpersonali. Tutti conosciamo questo rischio per averne fatto esperienza: nelle nostre vite, in famiglia, nelle storie d’amore, nell’amicizia, nella vita sociale, nella vita ecclesiale. La maldicenza è già falsa testimonianza contro gli altri: non c’è bisogno di un contesto giuridico per accusare, calunniare, instillare sospetti, denigrare l’altro. Vizio quotidiano, al quale non facciamo caso, ma che è un vizio grave, che incide fortemente sui rapporti, contraddicendo il bene che può essere riconosciuto e attestato.

Maldicenze e calunnie lasciano sempre tracce, come ricorda l’adagio classico de Il barbiere di Siviglia:

«Calunniate, calunniate: qualcosa resterà». Nella Chiesa questo chiacchiericcio malsano sembra inquinare le parole scambiate ogni giorno. E quando la menzogna si diffonde — soprattutto attraverso i media – non solo la fiducia è ferita e conculcata ma lascia il posto alla diffidenza, alla paura dell’altro. Noi cristiani non dovremmo mai dimenticare che quando pronunciamo una parola su chi ci è fratello o sorella, dovremmo sempre dirla per l’altro e non contro l’altro. In questo senso, può essere addirittura malefico dire la verità se questa impedisce la carità anziché favorirla: la sincerità verbale può pervertirsi in menzogna etica.

Talora, ad esempio, tacere il peccato commesso da un altro e quindi usargli misericordia — se tale peccato non è favorito dal nostro silenzio — non è menzogna, ma obbedienza alla verità come fedeltà e misericordia. Scriveva Dietrich Bonhoeffer: «Colui che pretende di “dire la verità” sempre e dappertutto, in ogni momento e a chiunque, è un cinico che esibisce soltanto un morto simulacro della verità. Costui in realtà distrugge la verità vivente tra gli uomini. Egli offende il pudore, profana il mistero, viola la fiducia, tradisce la comunità in cui vive, e sorride con arroganza sulle macerie che ha causato… Esige delle vittime, e si sente come un dio al di sopra delle deboli e fragili creature, ma non sa di essere al servizio di Satana» (Etica, p. 309).

Sì, oggi nella Chiesa alcuni invocano la sincerità e la trasparenza. E in nome di queste esigenze accusano l’altro di peccato, anche quando questo non è un reato secondo le leggi dello Stato. Intransigenti? Giusti incalliti? No, solo spioni del peccato altrui, che non hanno mai conosciuto il proprio peccato. E, da sedicenti giusti, vedono negli altri solo dei peccatori. Questa guerra ecclesiale nasce dalla banalità del male: una chiacchiera, un sospetto, qualche parola vana diventano un incendio, come ci ricorda l’apostolo Giacomo: «La lingua è un fuoco, il mondo del male! La lingua è inserita nelle nostre membra, contagia tutto il corpo e incendia tutta la nostra vita, traendo la sua fiamma dall’inferno» (Gc 3,6). Non è questo il fuoco purificatore di cui abbiamo bisogno oggi, dentro la Chiesa e nei suoi rapporti con la società. E il fuoco dell’amore che dobbiamo accendere e custodire, il fuoco che impedisce alla carità di raffreddarsi, che illumina la vergogna senza annientare il peccatore. Un fuoco che è il fuoco dello Spirito.

Enzo Bianchi Vita Pastorale novembre 2018

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201810/181031bianchi.pdf

 

Donne e Sinodo: fare le domande giuste. Il commento di una canonista

In occasione del Sinodo dei vescovi, la stampa ha dato un certo rilievo a un movimento, nato spontaneamente in diversi paesi, che chiede al papa di concedere voto deliberativo alle donne partecipanti a vario titolo ai lavori sinodali. Le sintesi giornalistiche non hanno sempre aiutato a comprendere la portata della richiesta, trattando il Sinodo alla stregua di un’assemblea democratica le cui regole escluderebbero le donne in quanto donne, mentre darebbero pieni poteri deliberativi agli uomini ancorché non vescovi.

È forse utile chiarire i termini della questione, non per sminuire la portata del movimento Votes for catholic women, ma proprio per incanalare meglio le energie verso riforme che possano contribuire a realizzare quella sinodalità che dovrebbe dare forma alle relazioni nella Chiesa.

Stiamo parlando del «Sinodo dei vescovi», organismo istituito per coadiuvare il vescovo di Roma nell’esercizio personale del suo ministero. Nel delicato e mai statico equilibrio tra collegialità e primato, il pontefice si avvale di tutti quegli organismi di consultazione che gli permettono d’agire in comunione e al servizio della comunione delle Chiese.

Il Sinodo, benché composto da vescovi, non ha natura deliberativa, ma solo consultiva: il papa lo convoca, il papa lo presiede, il papa alla fine decide quale valore attribuire al documento finale elaborato dall’assemblea sinodale. Quando parliamo di diritto di voto nel Sinodo dei vescovi, non dobbiamo pensare a un potere deliberativo che immediatamente faccia diventare magistero ciò che viene deliberato dalla maggioranza. Chi ha diritto di voto al Sinodo, anche se è vescovo, non fa che contribuire alla formazione del magistero papale. E proprio su questo punto è avvenuta la più importante riforma nella recentissima costituzione apostolica Episcopalis communio (EC) (15 settembre 2018).

Ordinariamente, il documento finale, votato dall’assemblea, deve essere successivamente approvato e quindi entra a far parte del magistero ordinario del successore di Pietro. Ora si prevede che il papa possa concedere al Sinodo potestà deliberativa; in tal caso, il documento finale deve essere solo ratificato e diventa magistero ordinario del successore di Pietro, pubblicato con le firme del papa e di tutti i membri che lo hanno votato. È questa una rivoluzione? Non proprio: la norma rafforza ed esplicita quanto già previsto dal can. 343 del Codice di diritto canonico del 1983.

Episcopalis communio certamente insiste sulla dimensione sinodale dell’esercizio del ministero del vescovo di Roma e di ogni altro vescovo; valorizza il legame forte tra ogni singolo vescovo e la Chiesa particolare che gli è affidata, stabilendo ad esempio che il Consiglio ordinario della Segreteria generale sia composto da vescovi diocesani, cioè da pastori che fanno parte di una porzione di popolo di Dio loro affidata; rafforza la fase di consultazione preparatoria e prevede che i fedeli, come singoli o associati, possano far pervenire direttamente i loro contributi alla Segreteria generale.

È in questi termini che deve intendersi la «rappresentanza» del popolo di Dio. Il Sinodo dei vescovi non è un parlamentino ecclesiale in cui i membri con diritto di voto deliberativo cercano di ottenere la maggioranza dei voti per esaudire le istanze di un partito, di una categoria di fedeli o di una linea ecclesiologica. Il popolo di Dio viene rappresentato dai vescovi in quanto questi sono in comunione con le Chiese particolari in tutte le loro componenti.

Dunque, per sua natura, l’assemblea del Sinodo «dei vescovi» non sarà mai composta da tutte le componenti del popolo di Dio, in proporzione alla loro consistenza (caratteristica, questa, di altri organismi, come i consigli pastorali).

Eppure, anche sotto il profilo della composizione del Sinodo, non mancano le novità in Episcopalis communio: si rimanda al can. 346, che prevede che la maggioranza dei membri siano vescovi, ma decade quel limite del 15% di persone non insignite del munus episcopale previsto nei Regolamenti precedenti; quanto agli esperti che partecipano alle assemblee, non si dice più che debbano essere «ecclesiastici».

Insomma, chi può partecipare al Sinodo, oltre ai vescovi? Tutti i soggetti previsti dal can. 346 del CIC e «anche alcuni altri, che non siano insigniti del munus episcopale, il ruolo dei quali viene determinato di volta in volta dal romano pontefice». Né il Codice né EC specificano che questi «altri» debbano essere ministri ordinati, religiosi o religiose, uomini o donne. Potrebbe essere loro concesso il diritto di voto, senza distinzione di stato di vita o di sesso.

Al momento, tra i 39 membri di nomina pontificia, 10 non sono vescovi, però sono tutti presbiteri. Si poteva forse auspicare più coraggio nella nomina, magari attribuendo un ruolo più forte ai giovani e alle giovani, visto che di loro si parla? È possibile, come del resto il papa potrebbe estendere il diritto di voto anche ad altri partecipanti ai lavori sinodali, e anche in corso d’opera, per cui staremo a vedere.

C’è un precedente. Il can. 346, confermato da EC, prevede che l’Unione dei superiori generali elegga alcuni membri rappresentativi degli istituti religiosi «clericali». Perché solo questi e non anche gli istituti maschili laicali e tutti gli istituti femminili, appare evidentemente una norma irrationabilis agli stessi superiori generali, tanto che nel Sinodo del 2015 avevano eletto a sorpresa un fratello laico, il priore dei Piccoli fratelli di Gesù.

Si pensava che partecipasse come semplice consulente, ma il papa, usando legittimamente le sue prerogative, gli concesse a sorpresa il diritto di voto. Anche in occasione del Sinodo 2018 l’Unione dei superiori maggiori ha designato due fratelli laici. Appare evidente che sarebbero da riformare i cann. 346 e 347: basterebbe togliere l’aggettivo «clericali» e, per prevenire dubbi, specificare che lo stesso diritto di elezione è in capo ai superiori e alle superiore generali.

Questo sarebbe sufficiente a rispondere alle istanze dei movimenti che chiedono un allargamento del diritto di voto nel Sinodo? Evidentemente no, evidentemente la posta in gioco è più seria e più alta.

Forse il Sinodo dei vescovi non è l’istituto adatto a raccogliere le esigenze che questi movimenti esprimono: continuerà a essere un organismo composto per la maggior parte da vescovi, dunque a larga composizione maschile, e avrà sempre una funzione prevalentemente consultiva.

Questo non deve distoglierci dall’accogliere con profonda gratitudine la domanda che sta dietro lo slogan «Votes for women». È dalle periferie che la Chiesa viene mossa e sospinta dallo Spirito. Le donne sono una periferia che chiede partecipazione, chiede di potersi mettere in gioco con passione, che chiede non una rappresentanza politica (non esiste un partito delle donne che voterebbe compatto se investito del diritto di voto in un Sinodo), ma chiede di essere visibile, di prendere autorevolmente la parola, perché altrimenti siamo tutti più poveri.

Questo movimento è un bellissimo dono dello Spirito che potrà contribuire a generare nuove forme sinodali, nuovi istituti, o il rinnovamento di prassi antiche (si potrebbero ripensare i concili particolari? Si potrebbero introdurre consigli a partecipazione democratica come già avviene negli istituti religiosi?).

Con gratitudine accogliamo l’entusiasmo di movimenti femminili che con nuova energia, assertività e autorevolezza innestano processi creativi.

Ci sarebbe piuttosto da chiedersi: dove sono i laici uomini? Si sentono già sufficientemente rappresentati da organismi a larga componente clericale? Non credono che la loro esperienza di vita dovrebbe contribuire al discernimento comunitario?

E infine una domanda, quella che brucia più di tutte. Non si vede un analogo movimento nel mondo giovanile, tra quei giovani per cui si sta celebrando il Sinodo? Non si saranno già silenziosamente allontanati, i ragazzi e le ragazze che non si sentono rappresentati e ascoltati nei processi decisionali, nelle strutture istituzionali e nel linguaggio di una Chiesa clericale?

Donata Horak, docente di Diritto canonico

«Le regole del Sinodo, le domande delle donne»,blog Coordinamento delle teologhe italiane Il regno delle donne,

https://bit.ly/2Omnu4j l’8 ottobre 2018.

http://www.ilregno.it/attualita/2018/18/dibattito-donne-e-sinodo-fare-le-domande-giuste-donata-horak?www.ilregno.it?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=Att18-18

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COMMISSIONE ADOZIONI INTERNAZIONALI

Il duello M5s-Lega sulla guida. Al centro del contenzioso il futuro delle adozioni internazionali.

E’ appeso ai precari equilibri di potere interni al governo gialloverde il futuro della Commissione adozioni internazionali, che attende – a dire il vero da troppo – chiarezza su incarichi e funzioni. Già a luglio Avvenire aveva sottolineato l’incoerenza della scelta di confermare al vertice dell’organismo, come previsto dalla legge, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte (finora del tutto assente sul fronte delle attività della Cai), ma di aggiungere che il ministro per la Famiglia e le disabilità Lorenzo Fontana fosse «delegato ad esercitare funzioni di indirizzo, di coordinamento e di promozione di iniziative in materia di adozioni di minori italiani e stranieri».

Una dicitura vaga, su cui anche gli Enti adottivi avevano chiesto chiarezza. Impossibile, d’altronde, dimenticare il triennio di confusione e paralisi che aveva preceduto la nomina di Laura Laera, già presidente del Tribunale dei minorenni di Firenze, nominata nel maggio 2017 alla vicepresidenza della Commissione. A quest’ultima Laera ha ridato spessore, prendendo in esame le istanze pendenti (oltre 150), riaprendo contatti internazionali, verificando le attività economiche degli enti (2 quelli che hanno chiuso, uno in procinto di farlo, molte le fusioni in programma), riaprendo il canale dei rimborsi alle famiglie, attivando il fascicolo via web per “l’adozione trasparente”.

E soprattutto riprendendo il dialogo: da settembre 2017 la Cai si riunisce in media ogni due mesi. Ora sulla Commissione si attende una decisione politica, che dovrebbe arrivare già entro la fine di novembre. Nei corridoi si rincorrono voci di una “concorrenza” tra Movimento 5 stelle (che avrebbe posizioni orientate verso un’apertura dell’istituto alle coppie gay, sulla base anche dei risultati emersi durante le numerose audizioni coordinate dalla Commissione Giustizia del Senato nello scorso governo Gentiloni da cui erano emerse posizioni largamente favorevoli alla svolta omogenitoriale) e Lega (Fontana proprio sui figli per le coppie gay ha invece fatto esternazioni di segno diametralmente opposto). Senza tuttavia che nessuna delle due forze politiche manifesti interesse reale all’argomento. Si rischia che il futuro dell’adozione internazionale resti prigioniero di veti contrapposti.

Sullo sfondo la preoccupazione crescente per la stretta sui diritti degli stranieri, che gli Enti cominciano a vivere come un problema: «È evidente che il clima culturale di sospetto e gli episodi di razzismo preoccupano anche le famiglie adottive e i nostri ragazzi» denunciano da Cifa e Ciai.

Viviana Daloiso Avvenire 20 ottobre 2018

www.scienzaevita.org/wp-content/uploads/2018/10/20-V.-Daloiso-Avvenire.pdf

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CONSULENZA COPPIA E FAMIGLIA

11ª Campagna Nazionale di Promozione dell’armonia nella coppia – dall’Io al Noi

AAF -Associazione Aiuto Famiglia Onlus – Salita Chiesa di S. Gottardo, 3 – 16138 Genova

1 ottobre – 30 novembre 2018

Per prendersi cura della propria relazione di coppia e/o familiare. Aiuti gratuiti ed efficaci per migliorare la relazione di coppia e familiare attraverso la condivisione di esperienze e altri metodi innovativi.

Aiuto via mail. La posta elettronica offre il vantaggio di poter essere letta o scritta quando sei più disponibile. Lo scrivere ti permette anche di meditare con calma e di esprimere al meglio ciò che stai vivendo e provando.

Tutti trovano in noi volontari parole di speranza e l’aiuto concreto che deriva da chi ha già sperimentato situazioni simili. Oltre l’80% di chi ha fatto un cammino con noi ha apprezzato il nostro servizio.

Da una ferita, una spaccatura, un’incrinatura, una crepa, quindi da qualcosa di imperfetto, può scaturire qualcosa di buono.

  • Commento di Gigi De Palo – Presidente del Forum delle Associazioni Familiari

  • Commento di Marco Scarmagnani – Giornalista, formatore, mediatore e consulente familiare

www.aiutofamiglia.org/campagna/

Ogni nostra attività è gratuita

e-mail:info@aiutofamiglia.itwww.aiutofamiglia.org

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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM

Senigallia. Corso base, per la conoscenza del ciclo della fertilità femminile e del metodo sintotermico

L’associazione Iner – Marche (Istituto per l’educazione alla sessualità ed alla fertilità), in collaborazione con il Consultorio familiare Ucipem e con il patrocinio dell’Asur Av 2, organizza anche quest’anno un Corso base sulla fertilità, per la conoscenza del ciclo della fertilità femminile e l’apprendimento del metodo sintotermico, che si terrà nei giorni 9, 16, 23 e 30 novembre, alle ore 21,15 nella sede del Consultorio Ucipem a Senigallia, in piazza Diaz n.6.

La partecipazione è gratuita (è richiesto un piccolo rimborso spese). Scopo principale del corso, rivolto a donne e a coppie, è fornire una conoscenza approfondita del metodo sintotermico Rötzer per imparare ad osservare, registrare e interpretare i segni e i sintomi della fertilità femminile, ed anche affrontare tematiche riguardanti la sessualità umana.

Ogni incontro sarà incentrato su un argomento specifico: le basi biologiche della fertilità (9 novembre), il metodo sintotermico del dott. Rötzer: aspetti applicativi (16 e 23 novembre), prospettive psicologiche ed etico-antropologiche per una scelta attuale (30 novembre). Il corso sarà tenuto dagli insegnanti diplomati del metodo naturale sintotermico Rötzer dell’Iner Marche e da una dott.ssa in ostetricia del Consultorio Asur Area Vasta 2.

Il Centro Iner di Senigallia opera in rete con gli altri centri italiani (www.ineritalia.org), ma è l’unico per le Marche: “con il corso viene quindi offerta – sottolineano i promotori – una possibilità importante, che sicuramente accresce la consapevolezza di quello che la donna vive. Approfondendo la conoscenza di sé, la coppia ha la possibilità di riscoprire il valore della fertilità e della sessualità”.

www.viveresenigallia.it/2018/11/08/educazione-alla-fertilit-e-metodi-naturali-in-partenza-nuovo-corso-base-delliner-marche/705172

 

Taranto. La Famiglia nascente: supporto clinico e di Consulenza Familiare

12° Giornata di studio promossa dalla Scuola Pugliese di Formazione alla Consulenza Familiare

Associazione di volontariato Onlus “Il Focolare” e AiCCEF, Taranto, 25 novembre 2018.

  • dr Mariano Bruni, medico palliativista – AIL Taranto

  • Giuseppa Scarciglia, consulente familiare AICCeF

  • prof. p. Michelangelo Maglie S.J., direttore “Scuola Pugliese di Formazione alla Consulenza Familiare

  • Laboratori esperienziali

La Giornata è rivolta in particolare a consulenti della coppia e della famiglia (L.4, 14/01/2013),operatori del settore socio-educativo-relazionale e sanitario. e-mail: associazioneilfocolare@ilfocolare.it

http://newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/ottobre2018/5097/index.html

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CONTRACCEZIONE

Il ministro Grillo: «Contraccettivi gratis». Ma è polemica

La responsabile della Salute lancia l’idea di «investire» sulla «prevenzione». «La contraccezione deve tornare a essere gratuita, per lo meno per le fasce fragili o a maggiore rischio sociale, la prevenzione in questo ambito non è mai un costo, ma un investimento».

La posizione del ministro della Salute Giulia Grillo (M5s), espressa in occasione del congresso dei ginecologi rappresentati da Sigo, Aogoi e Agui in corso a Roma su «Donna, salute e benessere», in corso fino a domani, ha lasciato a dir poco perplessi quanti si occupano da decenni di maternità, salute della donna e prevenzione, e in questo campo di gratuità (vera) ne vedono ben poca.

Maria Teresa Ceni, presidente del Centro di Aiuto alla Vita di Abbiategrasso e Magenta (Milano), è un fiume in piena: «Invece di facilitare le nascite, fanno di tutto perché questo non avvenga. Allora, se le nascite sono una libera scelta delle donne perché la contraccezione deve essere gratuita mentre tutti gli esami, e la stessa gravidanza, sono a pagamento? In un Paese a crescita zero una donna che mette al mondo un figlio non ha alcun aiuto se è in difficoltà economiche».

Quanto ai ragazzi, i più sensibili all’uso delle varie pillole senza doverle pagare, Ceni ritiene che «si tratti di una posizione ideologica. La contraccezione gratuita non serve alla consapevolezza dei ragazzi rispetto alla sessualità, perché i contraccettivi gratis non equivalgono a sessualità responsabile. Ci sarebbe bisogno invece di rendere la maternità più facile, siamo in piena emergenza».

È il tema dell’applicazione integrale della 194\1978, ancora quasi innominabile. Dello stesso parare Andrea Natale, ginecologo dell’Ospedale Macedonio Melloni di Milano: «In Francia e in Inghilterra la contraccezione gratuita non ha portato affatto ai risultati attesi, anzi: scelte di questo tipo rischiano di favorire atteggiamenti che portano all’aborto. Esistono piuttosto tantissime patologie che necessitano di farmaci gratuiti, pensiamo ai malati cronici, a quelli terminali. E comunque si tratta di soldi pubblici, altro che gratuiti.».

Graziella Melina Avvenire 30 ottobre 2018

www.avvenire.it/attualita/pagine/il-ministro-grillo-contraccettivi-gratis-ma-polemica

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COPPIA

Prendersi cura della coppia come ci si prende cura di noi

È risaputo ormai quanto la cura di se stessi sia fondamentale per il benessere proprio e per il mantenimento di qualsiasi relazione sana. Ma se si applicassero gli stessi principi alla coppia, prendendosene cura e cercando “spazi per due”, di quanto migliorerebbe la salute dei nostri rapporti? Ne abbiamo parlato con la psicologa e psicoterapeuta Cristina Lanza.

Partiamo dalle basi, cos’è una coppia?

Per considerarsi una coppia è basilare che ci siano un legame emotivo e un orizzonte comune e condiviso. Gli innamorati guardano nella stessa direzione, verso lo stesso progetto. Viviamo in un’epoca in cui però prevalgono la tendenza all’individualismo e al disimpegno: per rimanere sintonizzati l’uno sull’altro bisogna portare avanti un lavoro difficile e costante.

Quanto è importante curare se stessi per far funzionare la coppia?

La cura di se stessi è indispensabile per il proprio benessere e per mantenere relazioni soddisfacenti. È importante creare un’intimità con se stessi, entrare in contatto con le proprie emozioni, fare spesso dei bilanci, capire in quale direzione si sta andando e su cosa c’è ancora bisogno di migliorare. Dedicare spazi a se stessi significa lavorare su tutto questo.

Come si può lavorare su se stessi?

È necessario ritagliarsi degli spazi, uscire dalla propria comfort zone, appassionarsi a cose nuove, sperimentare. Le cose che si conoscono bene non regalano nulla di nuovo e sottraggono delle opportunità. Bisogna superare quello che ci spaventa a piccoli passi. Ad esempio, se andare al cinema da soli o da sole spaventa, è bene iniziare da qualcosa che spaventi meno, che ad esempio per qualcuno può essere andare a fare la spesa in solitaria al mercato. Si può iniziare andando un paio di volte a settimana e successivamente affrontare la paura un po’ più grande – in questo caso andare al cinema da soli – che per molti viene considerato qualcosa da “sfigati”. Sono esercizi di gestione emotiva: non per tutti è facile fare le cose da soli e dedicarsi degli spazi, c’è chi si sente perso, disorientato e triste. Appassionarsi è un tassello importante, purché non si trasformi in qualcosa di troppo individualistico, che al contrario non presuppone più l’esistenza degli altri.

La cura di se stessi può essere applicata alla cura della coppia?

Certamente. Gli stessi passi che si compiono per stare bene con se stessi possono essere traslati in un “benessere a due”.

5 ragioni per cui curare la coppia è così importante

  1. Crea intimità. “Scegliere di avere degli spazi in cui fare cose nuove, trovare interessi da condividere e uscire dalla routine permette di creare intimità” spiega Lanza. “Non si parla solo di intimità sessuale, ma di intimità nel dialogo, nelle emozioni, nei sentimenti”.

  2. Permette di lavorare sulla sintonia. “Trovare dei momenti in cui prendersi cura della coppia permette di ricreare la sintonia e di non essere sopraffatti dai doveri della quotidianità. Molto spesso la routine è fatta di doveri, impegni, piccole discussioni e risentimenti. Ritrovarsi e ricordarsi perché si sta insieme è molto importante”.

  3. Monitora la salute della relazione. “I momenti che la coppia si dedica sono un modo per fare il punto sulla situazione, per capire quello che ciascuno prova nello stare con l’altro per scegliersi di nuovo ogni volta. Questo nutre la coppia”.

  4. Permette di uscire dalla routine. “La condivisione di esperienze nuove, soprattutto del divertimento fuori dagli schemi, permette di non chiudersi in se stessi e uscire dalla comfort zone di coppia. È importante mettersi alla prova, cercare attività da condividere, conoscere e frequentare nuovi amici. Tutto questo contribuisce a creare la storia della coppia, la sua identità, le sue radici”.

  5. Fa sì che si mantenga un rapporto alla pari. “I momenti insieme permettono di mantenere un equilibrio e di monitorare che nessuno dei due si sacrifichi per l’altro o che ci sia sopraffazione, soprattutto per quanto riguarda scelte e decisioni da prendere insieme” conclude l’esperta. “Gli spazi comuni, che comprendono anche il dialogo, favoriscono questo aspetto”.

Eleonora Giovinazzo La repubblica

https://d.repubblica.it/life/guida/come_far_funzionare_la_coppia_cura_della_persona_spazi_condivisi-4078640/?ref=RHPPRT-BS-I0-C4-P1-S1.4-T1

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DALLA NAVATA

XXXI Domenica del Tempo ordinario- Anno B – 4 novembre 2018

Deuteronòmio07. 04. Mosè parlò al popolo: «Tu amerai il Signore, tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze. Questi precetti che oggi ti do, ti stiano fissi nel cuore.»

Salmo 17. 02. Ti amo, Signore, mia forza, Signore, mia roccia, mia fortezza, mio liberatore.

Ebrei 07. 28. La Legge infatti costituisce sommi sacerdoti uomini soggetti a debolezza; ma la parola del giuramento, posteriore alla Legge, costituisce sacerdote il Figlio, reso perfetto per sempre

Marco 12. 32. Lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che Egli è unico e non vi è altri all’infuori di lui; amarlo con tutto il cuore, con tutta l’intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici».

 

L’unica misura dell’amore è amare senza misura

Qual è, nella Legge, il più grande comandamento? Lo sapevano tutti in Israele qual era: il terzo, quello che prescrive di santificare il Sabato, perché anche Dio lo aveva osservato (Genesi 2,2).

La risposta di Gesù, come al solito, spiazza e va oltre: non cita nessuna delle dieci parole, ma colloca al cuore del Vangelo la stessa cosa che sta nel cuore della vita: tu amerai. Un verbo al futuro, come per un viaggio mai finito… che è desiderio, attesa, profezia di felicità per ognuno.

Il percorso della fede inizia con un «sei amato» e si conclude con un «amerai». In mezzo germoglia la nostra risposta al corteggiamento di Dio.

Amerai Dio con tutto il tuo cuore e il prossimo tuo come te stesso. Gesù non aggiunge nulla di nuovo: la prima e la seconda parola sono già scritte nel Libro. La novità sta nel fatto che le due parole fanno insieme una sola parola, la prima. L’averle separate è l’origine dei nostri mali, dei fondamentalismi, di tutte le arroganze, del triste individualismo.

Ma amare che cosa? Amare l’Amore stesso. Se amo Dio, amo ciò che lui è: vita, compassione, perdono, bellezza; ogni briciola di pane buono, un atto di coraggio, un abbraccio rassicurante, un’intuizione illuminante, un angolo di armonia. Amerò ciò che Lui più ama: l’uomo, di cui è orgoglioso.

Ma amare come? Mettendosi in gioco interamente. Lasciando risuonare e agire la forza di quell’aggettivo «tutto», ribadito quattro volte. Il tutto di cuore, mente, anima, forza. Noi pensiamo che la santità consista nella moderazione delle passioni. Ma dov’è mai questa moderazione nella Bibbia? L’unica misura dell’amore è amare senza misura.

Amerai con tutto, con tutto, con tutto… Fare così è già guarigione dell’uomo, ritrovare l’unità, la convergenza di tutte le facoltà, la nostra pienezza felice: «Ascolta, Israele. Questi sono i comandi del Signore… perché tu sia felice» (Deuteronomio 6,1-3). Non c’è altra risposta al desiderio profondo di felicità dell’uomo, nessun’altra risposta al male del mondo che questa soltanto: amerai Dio e il prossimo.

Per raccontare l’amore verso il prossimo Gesù regala la parabola del samaritano buono (Luca 10,29-37). Per indicare come amare Dio con tutto il cuore, non sceglie né una parabola, né una immagine, ma una donna, Maria di Betania «che seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua parola» (Luca 10, 38). Gesù ha trovato che il modo di ascoltare di Maria fosse la «scelta migliore», la più idonea a raccontare come si ami Dio: come un’amica che siede ai suoi piedi, sotto la cupola d’oro dell’amicizia, e lo ascolta, rapita, e non lascerà cadere neppure una delle sue parole. Amare Dio è ascoltarlo, come bambini, come innamorati.

Padre Ermes Ronchi OSM

www.qumran2.net/parolenuove/commenti.php?mostra_id=44264

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DIRITTI

La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani

La dichiarazione universale dei diritti umani è un documento sui diritti individuali, firmato a Parigi il 10 dicembre 1948, la cui redazione fu promossa dalle Nazioni Unite perché avesse applicazione in tutti gli stati membri.

La dichiarazione è frutto di una elaborazione secolare, che parte dai primi principi etici classico-europei stabiliti dalla Bill of Rights e dalla dichiarazione d’indipendenza degli Stati Uniti d’America, ma soprattutto la dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino stesa nel 1789 durante la Rivoluzione francese, i cui elementi di fondo (i diritti civili e politici dell’individuo) sono confluiti in larga misura in questa carta.

È la base di molte delle conquiste civili del XX secolo, in proposito molto rilevanti nel percorso che ha portato alla sua realizzazione, sono i Quattordici punti redatta del presidente Woodrow Wilson nel 1918 e i pilastri delle Quattro Libertà enunciati da Franklin Delano Roosevelt nella Carta Atlantica del 1941.

Dopo la fine della seconda guerra mondiale ad essa è poi seguita la Convenzione internazionale sui diritti economici, sociali e culturali e il Patto internazionale sui diritti civili e politici, elaborati dalla Commissione per i Diritti Umani ed entrambi adottati all’unanimità dall’ONU il 16 dicembre 1966.

Ha costituito l’orizzonte ideale della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, confluita poi nel 2004 nella Costituzione europea. Il testo della Costituzione Europea non è mai entrato in vigore per via della sua mancata ratifica da parte di alcuni Stati membri (Francia e Paesi Bassi a seguito della maggioranza dei no al relativo referendum), ma la Dichiarazione in ambito europeo costituisce comunque una fonte di ispirazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea proclamata per la prima volta a Nizza il 7 dicembre 2000, ed avente oggi anche pieno valore legale vincolante per i Paesi UE dopo l’entrata in vigore del trattato di Lisbona il 1º dicembre 2009 Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea quale parte integrante della Costituzione europea.

https://it.wikipedia.org/wiki/Dichiarazione_universale_dei_diritti_umani

Uno dei più importanti testi che ha fatto da spartiacque rispetto al passato nelle regole del vivere civile è la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, redatta dalle Nazioni Unite, i cui princìpi è bene ricordare soprattutto oggi.

Sono passati ormai tanti decenni da quando l’Europa è stata devastata dall’orrore della guerra e dagli anni in cui aberrazioni come le leggi razziali e le teorie sulla “superiorità della razza ariana” offuscavano le menti di milioni di persone. Eppure, ancora oggi, nel mondo in cui viviamo, vediamo avvenire quotidianamente soprusi ai danni delle persone più deboli di questo pianeta: terrorismo, discriminazioni sui migranti, frontiere che si chiudono e razzismo dilagante. Affinché gli anni bui che scaturirono nella seconda guerra mondiale fossero un monito per tutti gli individui e per fare in modo che barbarie del genere non accadessero più le Nazioni Unite proclamarono un apposito documento. La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani è ancora oggi un faro per le democrazie moderne, per la libertà e l’accoglienza dei popoli. Nei paragrafi successivi distilleremo i concetti fondamentali della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani per renderli comprensivi anche ai soggetti più “ostici”.

Quando nasce la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani? L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha approvato e proclamato la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani ufficialmente il 10 dicembre 1948, quando le ferite lasciate dalla seconda guerra mondiale erano ancora profonde. L’obiettivo della Segreteria Generale delle Nazioni Unite, allora come oggi, è di diffondere quanto più possibile i principi contenuti in questa dichiarazione, anche ben oltre i confini europei. Nonostante la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani sia ufficialmente redatta solo nelle lingue ufficiali delle Nazioni Unite (ovvero cinese, inglese, francese, spagnolo e russo) il lavoro della Segreteria Generale ha fatto in modo di rendere disponibile il testo completo del documento in moltissimi altri idiomi.

La struttura della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani è semplice: il documento è composto di appena 30 articoli, preceduti da un preambolo in cui sono sanciti tutti i concetti fondamentali che hanno portato alla redazione del testo.

Quali concetti sono contenuti nel preambolo della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani? Prima di enunciare nello specifico i suoi 30 articoli, la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani fissa i principi cardini su cui si fonda non solo il documento stesso, ma anche tutte le nazioni aderenti e l’intera umanità civile. Il primo punto del preambolo sancisce il superamento del concetto di razza, e si riconosce eguale dignità a tutti i componenti della famiglia umana, i cui diritti sono riconosciuti universalmente e sono rispettati sulla base di concetti fondamentali come libertà, giustizia e pace nel mondo.

Nel secondo punto di questo prologo le Nazioni Unite prendono coscienza del fatto che il mancato rispetto dei diritti umani ha dato vita a barbarie che ancora oggi ci ripropongono i loro orrori davanti agli occhi, mentre gli obiettivi futuri dell’intero genere umano dovranno essere l’avvento di un mondo in cui la libertà di parola e quella di credo dovranno essere la normalità del vivere civile. Affinché i diritti umani possano essere sempre riconosciuti e per evitare che gli uomini ricorrano alla violenza e alla ribellione per poterli proteggere, all’interno di questa Dichiarazione Universale si sottolinea inoltre quanto sia indispensabile che tali valori siano protetti da norme giuridiche.

Infine, tutte le nazioni che sottoscrivono questa dichiarazione si impegnano formalmente a rispettarne i dettami e a promuovere all’interno del proprio territorio di competenza i valori che questo documento rappresenta.

Quali principi sono specificati negli articoli della Dichiarazione? Come tutti i testi giuridici di rilevanza internazionale, anche la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani ha nel sul primo articolo l’incipit fondamentale: secondo tale norma, tutti gli uomini nascono liberi e devono godere di pari dignità e diritti; ogni essere umano è dotato di ragione e deve agire verso gli altri componenti della società civile con spirito di fratellanza [art. 1].

L’articolo successivo chiarisce il concetto di uguaglianza tra tutti gli uomini, sottolineando che elementi come razza, sesso, colore della pelle, ricchezza, nascita, religione, lingua, opinione politica o altro non possono in nessun caso pregiudicare i diritti di alcun essere umano. Lo stesso vale perfino per quei soggetti il cui territorio di appartenenza in quel determinato momento storico ha subito una qualche limitazione di sovranità [art. 2].

Successivamente, in questa primissima parte della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, viene sancito che tutti gli individui hanno diritto alla vita e alla sicurezza della propria persona [art. 3], il che significa anche che la schiavitù è proibita sotto qualsiasi forma [art. 4].

La grandezza della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, noi italiani, possiamo apprezzarla soprattutto nel quinto articolo, dove viene sancito che nessun individuo può essere sottoposto a tortura o a punizioni degradanti ed inumane [art. 5]. Queste parole sono state messe nero su bianco nel 1948; nel nostro ordinamento giuridico, invece, per avere una legge che introducesse il reato di tortura abbiamo dovuto attendere il 2017 [L. n. 110, 14.07.2017].

Andando avanti nella lettura di questa Dichiarazione, arrivano gli articoli in cui viene sancita la tutela degli individui davanti alla legge, con medesimi diritti e contro qualsiasi tipo di discriminazione ufficialmente bandita all’interno di questo documento [art. 7]. Allo stesso modo, nessun individuo può essere arrestato o detenuto arbitrariamente, così come deve avere la possibilità di difendersi in tribunali competenti per gli atti contro i diritti sanciti in questa Dichiarazione [art. 8].

Se i primi dieci articoli della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani sanciscono le nozioni fondamentali alla base di questo documento, nella successiva decade sono espressi altri concetti importanti, molti dei quali continuamente calpestati proprio in questi anni. Dando uno sguardo alla tredicesima e alla quattordicesima normativa presenti in tale Dichiarazione, ad esempio, scopriamo che tutti gli individui sono liberi di muoversi e di avere residenza nei confini di qualsiasi Stato [art. 13], e i medesimi hanno il diritto di cercare in altri paesi asilo politico per sfuggire a persecuzioni; gli unici che non possono avvalersi di tale diritto sono coloro che si sono macchiati di reati che vanno contro il genere umano [art. 14].

Queste due norme appena enunciate ci rimandano immediatamente alla mente le vicende dei migranti che trovano spesso la morte nel Mediterraneo, con porti che vietano lo sbarco a persone e governi che alzano le frontiere. Sulla vicenda si possono avere opinioni diverse, tutte rispettabilissime, ma che per molti degli individui che scappano dal proprio paese di origine vi sia un trattamento che va contro i diritti sanciti in tale Dichiarazione appare evidente. In questa stessa decade di articoli sono contenuti ulteriori principi messi in discussione da alcuni dittatori, come quello di cittadinanza [art. 15], di libertà di religione [art. 18] e di pensiero [art.19].

Gli articoli finali contenuti nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani contengono principi ugualmente importanti ma, rispetto ad alcuni dei precedenti, questi trovano tutti il proprio corrispettivo nelle nozioni fondamentali della nostra Costituzione. Ad esempio, a leggere il 23° articolo di questa Dichiarazione, dove viene sancito che ogni individuo ha diritto ad un lavoro in grado di garantire un’esistenza per sé e la propria famiglia conforme alla dignità umana [art. 23] sembra di intravedere le stesse parole contenute nella nostra carta costituzionale [art. 36].

La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani ha a cuore persino il riposo e le ferie degli individui [art. 24], mentre la quintultima normativa di questo documento sottolinea il diritto all’istruzione per tutti gli essere umani, anche qui ricalcando in piena quanto sancito dalla Costituzione italiana [art. 34].

Quando si può ricorrere alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo? Come abbiamo già anticipato, ancora oggi esistono casi in cui una o più persone sono vittime di violazione dei propri diritti umani. A difesa di questi soggetti, in casistiche specifiche, è possibile ricorrere alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Il ricorso può essere presentato da persone fisiche, organizzazioni non governative e da soggetti privati che ritengono di aver subito una violazione di uno dei diritti sanciti all’interno della Dichiarazione delle Nazioni Unite. Prima di rivolgersi alla Corte di Strasburgo, tuttavia, il soggetto in questione deve ricorrere in giudizio attraverso la magistratura del proprio Stato. Solo alla fine dell’intero iter giudiziario, qualora quest’ultimo non gli abbia riconosciuto la violazione o nei casi in cui i tempi del dibattimento siano eccessivamente lunghi, il soggetto può ricorrere alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Il ricorso può essere fatto entro sei mesi dalla deposizione della sentenza nel suolo nazionale.

Ricorrere alla Corte Europea è semplice e gratuito: il soggetto deve solo inviare una lettera raccomandata con ricevuta di ritorno, scritta anche in italiano, alla Cancelleria di Strasburgo, indicando i diritti della Dichiarazione che si ritiene essere stati violati dalla Stato, il contenuto della sentenza della magistratura ed eventuali fotocopie di documenti. A tale lettera la Corte di Strasburgo risponde con un formulario, nel quale sono richieste al soggetto tutte le informazioni e le documentazioni necessarie per la valutazione del caso. L’utente dovrà inviare quanto richiesto entro 6 settimane dalla ricezione del formulario.

A quel punto la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, valutando quanto ricevuto, può dichiarare ammissibile o meno il ricorso: in caso positivo, il soggetto dovrà essere rappresentato da un avvocato abilitato. Per i soggetti meno abbienti la Corte Europea offre un patrocinio gratuito. Alla fine del procedimento giudiziario, la Corte di Strasburgo può emettere una sentenza di assoluzione o condanna. Qualora lo Stato giudicato sia ritenuto colpevole, dovrà immediatamente rimuovere le cause della violazione, a seconda della casistica.

La legge per tutti 30 ottobre 2018

www.laleggepertutti.it/247745_la-dichiarazione-universale-dei-diritti-umani

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ENTI TERZO SETTORE

Vademecum sulla Riforma del Terzo Settore

https://csvpadova.org/wp-content/uploads/2018/10/vademecudefinitivo2018.pdf

Il Centro Servizio Volontariato di Padova ha realizzato un vademecum per aiutare la lettura della riforma del terzo settore. Il vademecum è disponibile qui:

https://csvpadova.org/terzo-settore-riforma-informazioni

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Terre gratis con 3 figli? Non riparte così la natalità

Terreni gratis con il terzo figlio in arrivo? Una proposta che certo, da sola, non rimetterà in moto la natalità”. È quanto sottolinea all’Adnkronos Gigi De Palo, presidente nazionale del Forum delle Famiglie, commentando la misura pro-natalità contenuta nell’ultima bozza della legge di Bilancio.

“Ben venga ciascuna idea in funzione della famiglia ma per una vera spinta demografica serve una riforma fiscale seria”, aggiunge De Palo che guarda con molto più interesse al reddito di cittadinanza e soprattutto a come sarà distribuito, se cioè prevedrà o meno un riferimento strutturale ai carichi familiari.

Una posizione, quella del Forum Famiglie, che vuole vederci chiaro su come verranno valorizzate le risorse destinate al reddito cittadinanza.

“Se si terrà conto della composizione familiare – e stiamo lavorando per questo, perché i beneficiari siano in primo luogo famiglie con figli e anche con disabili – potremmo parlare di una novità interessante, un primo vero passo; ma se le linee guida dovessero tenere conto di altri riferimenti, allora sì che saremmo preoccupati, perché vorrebbe dire che non si è minimamente percepita l’urgenza di politiche familiari e natalità in questo Paese”.

Comunicato stampa 30 ottobre 2018

www.forumfamiglie.org/2018/10/30/manovra-de-palo-terre-gratis-con-3-figli-non-riparte-cosi-la-natalita

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FRANCESCO VESCOVO DI ROMA

Diventare uomini e donne adulti vuol dire arrivare a vivere l’attitudine sponsale e genitoriale

L’Udienza Generale si è svolta in Piazza San Pietro dove il Santo Padre Francesco ha incontrato gruppi di pellegrini e fedeli provenienti dall’Italia e da ogni parte del mondo. Nel discorso in lingua italiana il Papa, continuando il ciclo di catechesi sui Comandamenti, ha incentrato la sua meditazione sul tema: “In Cristo trova pienezza la nostra vocazione sponsale” (Lettera di San Paolo Apostolo agli Efesini, 5, 25.28.31-32).

Cari fratelli e sorelle, buongiorno! Oggi vorrei completare la catechesi sulla Sesta Parola del Decalogo – “Non commettere adulterio” –, evidenziando che l’amore fedele di Cristo è la luce per vivere la bellezza dell’affettività umana. Infatti, la nostra dimensione affettiva è una chiamata all’amore, che si manifesta nella fedeltà, nell’accoglienza e nella misericordia. Questo è molto importante.

L’amore come si manifesta? Nella fedeltà, nell’accoglienza e nella misericordia. Non va, però, dimenticato che questo comandamento si riferisce esplicitamente alla fedeltà matrimoniale, e dunque è bene riflettere più a fondo sul suo significato sponsale.

Questo brano della Scrittura, questo brano della Lettera di San Paolo, è rivoluzionario! Pensare, con l’antropologia di quel tempo, E dire che il marito deve amare la moglie come Cristo ama la Chiesa: ma è una rivoluzione! Forse, in quel tempo, è la cosa più rivoluzionaria che è stata detta sul matrimonio. Sempre sulla strada dell’amore.

Ci possiamo domandare: questo comando di fedeltà, a chi è destinato? Solo agli sposi? In realtà, questo comando è per tutti, è una Parola paterna di Dio rivolta ad ogni uomo e donna. Ricordiamoci che il cammino della maturazione umana è il percorso stesso dell’amore che va dal ricevere cura alla capacità di offrire cura, dal ricevere la vita alla capacità di dare la vita. Diventare uomini e donne adulti vuol dire arrivare a vivere l’attitudine sponsale e genitoriale, che si manifesta nelle varie situazioni della vita come la capacità di prendere su di sé il peso di qualcun altro e amarlo senza ambiguità. È quindi un’attitudine globale della persona che sa assumere la realtà e sa entrare in una relazione profonda con gli altri.

Chi è dunque l’adultero, il lussurioso, l’infedele? È una persona immatura, che tiene per sé la propria vita e interpreta le situazioni in base al proprio benessere e al proprio appagamento. Quindi, per sposarsi, non basta celebrare il matrimonio! Occorre fare un cammino dall’io al noi, da pensare da solo a pensare in due, da vivere da solo a vivere in due: è un bel cammino, è un cammino bello. Quando arriviamo a decentrarci, allora ogni atto è sponsale: lavoriamo, parliamo, decidiamo, incontriamo gli altri con atteggiamento accogliente e oblativo.

Ogni vocazione cristiana, in questo senso, – ora possiamo allargare un po’ la prospettiva, e dire che ogni vocazione cristiana, in questo senso, è sponsale. Il sacerdozio lo è perché è la chiamata, in Cristo e nella Chiesa, a servire la comunità con tutto l’affetto, la cura concreta e la sapienza che il Signore dona. Alla Chiesa non servono aspiranti al ruolo di preti – no, non servono, meglio che rimangano a casa –, ma servono uomini ai quali lo Spirito Santo tocca il cuore con un amore senza riserve per la Sposa di Cristo. Nel sacerdozio si ama il popolo di Dio con tutta la paternità, la tenerezza e la forza di uno sposo e di un padre. Così anche la verginità consacrata in Cristo la si vive con fedeltà e con gioia come relazione sponsale e feconda di maternità e paternità. Ripeto: ogni vocazione cristiana è sponsale, perché è frutto del legame d’amore in cui tutti siamo rigenerati, il legame d’amore con Cristo, come ci ha ricordato il brano di San Paolo letto all’inizio.

A partire dalla sua fedeltà, dalla sua tenerezza, dalla sua generosità guardiamo con fede al matrimonio e ad ogni vocazione, e comprendiamo il senso pieno della sessualità. La creatura umana, nella sua inscindibile unità di spirito e corpo, e nella sua polarità maschile e femminile, è realtà molto buona, destinata ad amare ed essere amata. Il corpo umano non è uno strumento di piacere, ma il luogo della nostra chiamata all’amore, e nell’amore autentico non c’è spazio per la lussuria e per la sua superficialità. Gli uomini e le donne meritano di più di questo! Dunque, la Parola «Non commettere adulterio», pur se in forma negativa, ci orienta alla nostra chiamata originaria, cioè all’amore sponsale pieno e fedele, che Gesù Cristo ci ha rivelato e donato (Rm 12,1).

Catechesi del Santo Padre Francesco. Udienza generale 31 ottobre 2018

https://it.zenit.org/articles/diventare-uomini-e-donne-adulti-vuol-dire-arrivare-a-vivere-lattitudine-sponsale-e-genitoriale/

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GARANTE PER L’INFANZIA

Pubblicazione di Agia ed EASO sulla selezione e formazione dei tutori volontari.

www.garanteinfanzia.org/sites/default/files/compendium-attivita-garanteinfanzia-easo.pdf

È stato presentato il 31 ottobre 2018 a Roma, nella sede dell’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza (Agia), il compendium “La selezione e formazione degli aspiranti tutori volontari di minori non accompagnati”, una raccolta delle attività svolte dall’Agia con il supporto dell’Ufficio europeo di supporto all’asilo (EASO) per la selezione e formazione di tutori volontari di minori stranieri non accompagnati.

Il volume, che si riferisce al periodo di tempo compreso tra ottobre 2017 e marzo 2018, illustra come sono stati selezionati e formati i candidati alla tutela volontaria di quattro regioni: Toscana, Sardegna, Abruzzo e Molise. La pubblicazione, articolata in quattro parti e un’appendice, raccoglie in 242 pagine procedure, documenti, slide, strumenti e analisi dell’attività compiuta nelle varie edizioni dei corsi promossi dall’Agia. A presentarla alle numerose associazioni e organizzazioni che hanno collaborato allo svolgimento dei corsi e alla produzione dei materiali formativi confluiti nel compendium sono stati l’Autorità garante Filomena Albano e il coordinatore in Italia di EASO, Gabriel Stanescu.

“L’Autorità garante, come previsto dalla legge 47/2017 per le Regioni prive al tempo di un garante regionale (poi nominato in Sardegna e Molise), si è fatta carico di promuovere la selezione e formazione degli aspiranti tutori volontari” spiega Filomena Albano. “È stata un’esperienza, realizzata con il supporto di EASO, che ora viene documentata dalla pubblicazione.

Un’iniziativa, quella promossa dall’Autorità, che ha coinvolto un considerevole numero di agenzie nazionali, europee, internazionali, organizzazioni, ordini professionali e associazioni e che ha formato fino ad oggi 372 cittadini che si sono candidati come tutori volontari, di cui 251 tra ottobre 2017 e marzo 2018”.

“Quando nel luglio 2017, EASO ha ricevuto una richiesta di supporto da parte dell’Autorità garante per attuare quanto previsto nella Legge 47/2017, ne siamo stati onorati e ci siamo adoperati fin da subito per riuscire a dare un concreto e positivo riscontro operativo in tempi rapidi” ricorda Gabriel Stanescu. “Già a partire dal mese di agosto 2017, l’agenzia ha messo a disposizione dell’Autorità garante personale specializzato altamente qualificato che ha lavorato alla diffusione della campagna di sensibilizzazione avviata dall’Autorità garante, al servizio telefonico di orientamento, alla creazione di un meccanismo per la selezione degli aspiranti tutori, allo sviluppo di materiale formativo e all’organizzazione dei corsi di formazione”.

L’Autorità garante ed EASO ringraziano: Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali (FRA), Ai.Bi. – Associazione amici dei bambini, Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati (UNHCR), Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (ASGI), Caritas italiana, Consiglio Italiano per i Rifugiati (CIR), Consiglio nazionale forense (CNF), Consiglio nazionale dell’ordine degli assistenti sociali (CNOAS), Defence for Children International Italia, Fondo delle Nazioni unite per l’infanzia (UNICEF), Istituto degli innocenti, Istituto Don Calabria, Istituto Nazionale per la promozione della salute delle popolazioni Migranti ed il contrasto delle malattie della Povertà (INMP), On the Road Onlus, Ordine degli Psicologi della Sardegna, Organizzazione internazionale per le migrazioni (OIM), Salesiani per il sociale, Save the Children e SOS Villaggi dei Bambini Italia e Terre des hommes.

Ringraziamo inoltre tutte le istituzioni locali che hanno partecipato alle attività formative.

Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza 31 ottobre 2018

.garanteinfanzia.org/news/presentata-la-pubblicazione-di-agia-ed-easo-sulla-selezione-e-formazione-dei-tutori-volontari

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GENITORI

Diritti di un padre non sposato

Coppie di fatto: cosa prevede la legge nel caso in cui i conviventi che abbiano avuto un figlio si separino. Il papà ha diritto a vedere il figlio? C’è bisogno del giudice?

Hai un figlio nato fuori dal matrimonio e ti chiedi, ad esempio, se puoi chiedere gli assegni familiari o il congedo parentale. Puoi farlo, a certe condizioni, anche se non sei sposato. C’è poco da fare: gli antichi romani erano primi in (quasi) tutto anche quando asserivano che “la madre è sempre certa mentre il padre non sempre”. In altre parole, volevano dire che il parto permette di identificare immediatamente la madre di un bambino mentre il padre dello stesso, beh, non è sempre detto che sia il marito della donna. La sapevano lunga all’epoca, più di quanto possiamo saperne noi nel 2018. Ma da qui nasce un dilemma nelle vite di molti uomini che si ritrovano ad essere papà al di fuori del matrimonio. E cioè, oltre ad avere dei doveri come genitore e, quindi, oltre a dover mantenere, istruire ed educare il proprio figlio, esiste e quale tipi di diritti di un padre non sposato? Oppure, il fatto che il bambino o la bambina sono “figli naturali” cambia qualcosa nella vita del padre?

Bisogna sgombrare immediatamente il campo dal primo dubbio e, cioè, se rispondi affermativamente alla domanda “hai un figlio?”, devi sapere che hai dei diritti e dei doveri, in qualità di padre, indipendentemente dal fatto che tu sia sposato o meno con la mamma del bambino. E non solo: indipendentemente che tu conviva o meno con la madre di tuo figlio. Dunque, il fatto che il minore sia nato all’interno o fuori dal matrimonio non interessa alla legge, se non in rarissimi casi e, per lo più, in materia successoria. Per tutto il resto (e, cioè, per tutto quello che davvero è importante nella vita), ciò che conta è che tu sia il padre del bambino perché già solo questo definisce il tuo ruolo di genitore, assegnandoti specifici doveri e diritti. Non bisogna mai dimenticare che per la legge italiana ciò che ha valore, prima di tutto, è il rapporto di sangue tra genitori e figli e che tutta la normativa che si occupa dei diritti e dei doveri tra padre, madre e figlio ruota attorno al concetto di responsabilità genitoriale.

Ma cosa significa? Con questa piccola (ma importantissima) espressione in diritto si indica l’insieme dei diritti e dei doveri dei genitori verso i figli. E questo è rilevante, così come apprezzabile l’espressione usata dal legislatore, perché fa ricordare che accanto a qualunque diritto vi è il corrispondente dovere, così come specularmente di fronte ad ogni dovere ricopre un ruolo importante anche il corrispettivo diritto. Ad esempio: è vero che ciascun genitore ha diritto di visita col figlio; ma è altrettanto vero che ha il dovere di mantenerlo. E questo principio vale sia che i genitori siano sposati sia che semplicemente convivano sia che, avuto il figlio, abbiano deciso di prendere ciascuno la propria strada. Ma il figlio rimane è l’unico punto fermo (ed intoccabile) della loro vita. Vediamo, dunque, quali sono i diritti di un padre anche se non è coniugato, convivente o meno con l’altro genitore, come il diritto di affidamento ed il diritto di visita oppure il diritto al congedo parentale ed il diritto all’assegno per il nucleo familiare.

La responsabilità genitoriale. Ti è mai capitato di avere un problema ad una gamba, come una operazione appena conclusa ad un ginocchio od alla caviglia, ed essere costretto a camminare, con o senza stampella? Bene, anche se non per diretta esperienza, sai che quando una sola gamba è operativa, ne risente tutto il corpo e la sua mobilità. Infatti, si diviene zoppicanti ed il passo rallenta, la velocità del movimento è un sogno lontano ed il dolore all’una gamba (perché causa della zoppia) ed all’altra (perché costretta a sopportare da sola il peso di tutto il corpo) diventa compagna fedele. Ecco, spesso la scienza aiuta a capire il diritto. Così accade nei rapporti tra genitori e figli.

Spesso si sente parlare di diritti dei genitori, soprattutto del padre e verosimilmente in occasione delle separazioni dalle mogli, ma troppo spesso ci si dimentica che accanto al diritto vi sono uguali doveri da rispettare. E così al contrario: molte altre volte si è costretti ad ascoltare le lamentele di donne che sollecitano l’adempimento dell’ex coniuge al pagamento dell’assegno di mantenimento del figlio ma trascurano di rammentare esse stesse che quel padre ha anche il diritto di visita col figlio come il diritto di costruire assieme allo stesso, benché non convivente, un rapporto stabile e duraturo.

Tutto questo discorso, come vale per i coniugi (o gli ex coniugi) al pari ha forza tra due persone che, sebbene non sposate, hanno avuto un figlio. La responsabilità genitoriale è un potere-dovere che nasce ogni qualvolta ci sia un figlio, a prescindere dal fatto che sia nato fuori o all’interno del matrimonio. E così, ad esempio, il genitore (ed anche, dunque, il padre non sposato) ha il dovere verso il figlio di:

  • Istruzione, educazione, mantenimento ed assistenza morale;

  • Rispettare le inclinazioni naturali, le capacità e le aspirazioni della prole.

Ma è anche vero che il genitore (ed anche il padre non sposato) vanta dei diritti per il fatto di essere padre o madre come il diritto di:

  • Crescere la prole insegnando alla stessa i princìpi e le regole della vita;

  • Rappresentare il figlio e gestire il suoi beni, quando è minorenne;

  • Affidamento e visita del minore, anche quando i genitori separano le proprie vite o quando viene meno l’accordo tra gli stessi;

e ben altri diritti, anche nei confronti dei terzi, che discendono dal mero fatto di essere “padre”. Ecco, proviamo ad esaminare qualcuno di questi diritti.

Diritto di affidamento e di visita. Quando la coppia scoppia, beh, iniziano i problemi. E la circostanza dell’esistenza o meno di un matrimonio alle spalle dei partner ben poco importa. I dati ISTAT, tra l’altro, hanno dimostrato come anche in Italia ci sia stato un aumento delle cd. “coppie di fatto”, cioè, delle coppie che vivono come marito e moglie ma senza essere sposati. E cosa accade se la coppia ha dei figli? Dunque, non cambia pressoché nulla.

Per l’affidamento dei figli, sia che si tratti di coppie sposate che di conviventi o, anche, di persone non legate da matrimonio ma che sono genitori, occorrerà rivolgersi al tribunale ordinario. I figli, di regola, sono affidati ad entrambi i genitori e ben poco importa, dunque, se questi siano coniugati o meno. Per il famoso principio della bigenitorialità, che impone pari diritti-doveri in capo ai genitori di mantenere un rapporto sano e continuativo col figlio nonché di agire ed interagire per la loro educazione, indipendentemente che siano sposati, separati, divorziati, conviventi o semplicemente “mamma e papà”.

Solo in rari, rarissimi e speciali casi (ad esempio, tossicodipendenza, alcol dipendenza, pedofilia ecc.), il tribunale dispone l’affido esclusivo, cioè da esercitarsi da un solo genitore. In questa ipotesi, l’altro genitore non è “spogliato” dal potere-dovere sul figlio ma si trasforma in dovere di vigilare sulla istruzione ed educazione della prole, permanendo a carico del genitore affidatario il dovere di favorire –solo ove non contrario all’interesse del figlio- il rapporto di quest’ultimo con l’altro genitore e di assumere con questi le decisioni di maggiore interesse, sempre se non escluso dai giudici.

Quindi, è nell’interesse superiore del figlio, anche se nato fuori dal matrimonio, che i diritti-doveri del padre e della madre vengono letti ed applicati: non esistendo alcuna differenza tra figlio legittimo (cioè, nato all’interno del matrimonio) e figlio naturale (cioè, nato fuori dal matrimonio), non c’è posto neppure per la differenza tra padre legittimo (cioè, il padre coniugato con la mamma del piccolo) e padre non sposato. Né ha rilevanza se il padre non sposato convive o meno con l’altro genitore o con lo stesso figlio.

Tanto è vero ciò che, ad esempio, nel caso in cui il tribunale debba decidere, all’interno di una coppia non sposata né convivente, a chi affidare il figlio, non potendo applicare l’affidamento condiviso perché, magari, a titolo esemplificativo, la madre è alcolizzata, può ben stabilire l’affidamento del figlio al padre non sposato, non esistendo alcuna norma ostativa a tale decisione.

Ma non pensare che sia così in tutto il mondo. In Italia, infatti, esiste sia il principio di unicità dello “stato di figlio”, cioè, tutti i figli sono uguali davanti alla legge sia se nati all’interno del matrimonio sia nel caso opposto, sia il principio di unicità dello “stato di padre o madre”, quindi, tutti i genitori hanno pari diritti e doveri per il solo fatto di essere papà o mamma. Ma non così è in altri Stati europei dove, ad esempio, se il figlio nasce al di fuori del matrimonio lo “stato di padre” e la sua responsabilità parentale non è automatico ma gli possono essere attribuiti, ad esempio, solo dopo la nascita del figlio e sempre che ci sia un accordo con la mamma di quest’ultimo o sia stato emesso il provvedimento da parte del tribunale.

Diritto ai permessi allattamento. Ma: esiste il diritto al congedo parentale per il padre non sposato? Dunque, chiariamo di cosa stiamo parlando. In diritto con l’espressione diritto di congedo parentale si indica quel periodo in cui è possibile, per la madre e per il padre di un minore, di astenersi dall’andare a lavorare. È un congedo obbligatorio, vale a dire che è un vero e proprio diritto (che in legge si chiama, più tecnicamente, “diritto potestativo”) che mamma e papà, purché lavoratori dipendenti, possono esercitare.

La normativa, in pratica, prevede per le nascite o le adozioni o gli affidamenti, che avvengono dall’1 gennaio 2018 al 31 dicembre 2018, di poter usufruire di alcuni giorni, in modo continuativo ma anche frazionato, entro il quinto mese di vita del piccolo che entra in famiglia. Cioè, sia la madre che il padre possono astenersi dal lavoro, al fine esclusivo di occuparsi direttamente del minore che è entrato in famiglia per nascita, adozione o affidamento, benché retribuiti con indennità dall’INPS. Il diritto di congedo parentale del padre è autonomo rispetto a quello della mamma e spetta anche se l’altro genitore non ne ha diritto: quindi, l’uomo può usufruirne anche se la madre del piccolo è una casalinga oppure una lavoratrice autonoma.

La presentazione della domanda deve avvenire per iscritto al proprio datore di lavoro, con un preavviso non inferiore a 15 giorni, con indicazione precisa delle date in cui si vuole fruire dei giorni di congedo. E solo nei casi di pagamento diretto da parte dell’INPS, la domanda si presenta tramite il sevizio dedicato on line.

In conclusione, se la tua domanda è se esiste il diritto ai permessi allattamento (molto spesso definiti anche così) per il padre non sposato: la risposta è sì!

L’assegno per il nucleo familiare. Fughiamo subito ogni possibile dubbio: l’assegno per il nucleo familiare è un diritto anche per il padre non sposato. Ma vediamo di cosa si tratta. Dunque, gli anf (assegni per il nucleo familiare) sono dei contributi dell’INPS per aiutare economicamente le famiglie (sposate o meno) che hanno dei figli, quando hanno delle difficoltà. La richiesta deve essere fatta dal genitore che convive col figlio e che, comunque, rientra in una fascia di reddito bassa.

Come anticipato, la domanda di pagamento dell’anf può essere avanzata:

  • Dai genitori coniugati;

  • Dai genitori non sposati ma che convivono;

  • Dai genitori non sposati e anche non conviventi;

  • Dai genitori, sposati o non sposati, conviventi o meno, anche se uno di essi abita all’estero.

In tutti questi casi, l’assegno viene concesso purché sia rispettato lo scopo della norma che è quello di aiutare i genitori, che si trovano in difficoltà economiche, a mantenere la prole.

Ma vediamo meglio come funziona la concessione dell’anf nel caso in cui i genitori non sono sposati, sia che essi convivano sia che essi vivano separati. Intanto, l’assegno per il nucleo familiare può essere richiesto da uno dei due genitori senza che il reddito dell’altro possa avere alcun rilievo. Anzi, questa circostanza dovrebbe anche permettere l’aumento dell’importo della prestazione perché, senza il cumulo dei redditi, quello del richiedente sarà certamente più basso.

Ma come si fa a capire quale dei due genitori, se non conviventi, ha diritto a richiedere l’assegno per il nucleo familiare? È molto semplice: il diritto spetta [circolare INPS n. 36/2008] a quello dei genitori che convive stabilmente col figlio. Ciò determina che:

  • Per come anticipato, anche se uno dei due genitori vive all’estero, l’altro convivente con la prole può richiedere l’anf;

  • L’assegno per il nucleo familiare può essere richiesto anche dal genitore, privo di reddito, sulla posizione lavorativa dell’altro genitore, sempre che quest’ultimo sia lavoratore dipendente non convivente;

  • Il diritto spetta sia per i figli legittimi (nati all’interno del matrimonio) che per quelli naturali (nati fuori del matrimonio);

  • Il detto diritto spetta anche al padre non sposato che è con lui che convive il figlio.

Quindi, si possono verificare le seguenti ipotesi:

  • Il padre non sposato che convive col figlio riconosciuto e con la madre del proprio figlio, può richiederlo (se lui stesso è lavoratore dipendente o, se lo è la moglie, sulla posizione di quest’ultima) senza che il reddito del genitore convivente si cumuli perché non è considerato “parte del nucleo”;

  • Il padre non sposato che convive col figlio riconosciuto, ma non con la madre del proprio figlio, può richiederlo (se lui stesso è lavoratore dipendente o, se lo è la moglie, sulla posizione di quest’ultima);

  • Il padre non sposato che non convive né col figlio né con la madre del proprio figlio, non ha diritto a chiedere l’anf che sarà domandato dalla donna che coabita con la prole.

Ad ogni buon fine, una volta accettata la richiesta, il datore di lavoro, al quale il lavoratore richiede l’anf, eroga la prestazione dell’assegno familiare direttamente al genitore convivente col figlio naturale (perché così stabilito per legge), secondo le modalità richieste nel modello per la domanda per

Samantha Mendicino La Legge per tutti 29 ottobre 2018

www.laleggepertutti.it/250515_diritti-di-un-padre-non-sposato

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GOVERNO

Fontana strappa i soldi per famiglie e disabili

Cresce il pacchetto per le politiche familiari 300 milioni di euro complessivi aggiuntivi nel triennio 2019-2021 e altri 100 annui nei periodi successivi. Viene inoltre rafforzata la rete di consultori familiari con finanziamenti per gli interventi destinati a «favorire le misure di sostegno alla natalità»

Per la prima volta, nella storia della Repubblica, c’è un ministero che si occupa specificamente di famiglia e disabilità. Tuttavia, il ministro Lorenzo Fontana è finito sulle pagine dei giornali più per le sue dichiarazioni sulle famiglie arcobaleno, che non per quello che sta facendo. Per esempio che intende «riordinare tutta la disciplina inerente ai temi della disabilità nelle diverse articolazioni con il fine ultimo di redigere un Codice delle disabilita». Nel concreto significa potenziare l’assistenza sanitaria domiciliare, favorire l’inclusione scolastica e universitaria degli studenti disabili anche con la formazione a distanza, garantire un adeguato supporto psicologico, assicurare un maggiore accordo fra diversi enti pubblici nel progetto di presa a carico.

Ma significa anche aumentare i fondi destinati a famiglie e disabili; tanto che il ministro prima della Finanziaria aveva minacciato le dimissioni se non si fossero trovati i fondi necessari. Ma il governo gialloblù ha trovato, anzi aumentato, le risorse da mettere a bilancio. Infatti il ministro è ancora al suo posto.

Un esempio è l’incremento del Fondo nazionale per la non autosufficienza: 100 milioni aggiuntivi, strutturali, dal 2019. Quindi si sale a 550 milioni di euro complessivi. Questo fondo serve per sostenere economicamente i disabili e i malati gravi non più autosufficienti che necessitano di assistenza domiciliare continua.

Nella legge di bilancio 2018, è stato istituito e finanziato anche il nuovo Fondo per il sostegno dei caregiver familiari con una dotazione iniziale di 20 milioni per ciascuno degli anni 2018, 2019 e 2020. C’è anche una proposta di legge, presentata dalla Lega, per garantire agli studenti «caregiver familiari», cioè quegli studenti che si prendono cura costantemente di un parente disabile, un percorso di studi universitari agevolato: deroghe agli obblighi di frequenza e riconoscimento di crediti formativi.

Ci sono poi sul tavolo «fortissimi incentivi all’inclusione dei lavoratori disabili». La base di partenza sarà il taglio delle tariffe Inail del 30%, rispetto a quello che si paga oggi, per un totale di 600 milioni di euro di risparmi e una rimodulazione dei premi. Gli incentivi all’inclusione dei lavoratori disabili «saranno previsti nell’ambito di tale rimodulazione».

Un problema, quello della disabilità, che verrà affrontato anche in ambito scolastico, come si è impegnato il ministro dell’Istruzione, Marco Bassetti: «Avvieremo tre cicli di formazione specialistica per 40.000 posti di insegnanti di sostegno, 14.000 per il 2019 e gli altri in tre anni. Cerchiamo di porre fine ai problemi peri ragazzi disabili». Già a regime anche il Fondo trasporto alunni con disabilità: 75 milioni di euro per tre anni. Per un investimento totale di 225 milioni.

Ci sono poi gli investimenti, più in generale, rivolti alle famiglie. Investimenti che Fontana definisce «ad alto valore aggiunto». In quanto la crisi demografica, sostiene il ministro, «è un problema non certo risolvibile soltanto allargando le maglie dei flussi migratori». Mentre «l’attuale sistema del welfare familiare non tutela le esigenze delle famiglie» e va quindi riformato, anche tutelando il diritto delle mamme «ad accrescere il proprio percorso professionale», perché «fare figli fa bene anche alla produttività sul lavoro».

Sono state infatti confermate tutte le misure già esistenti: bonus nido, premio alla nascita e agevolazioni di natura fiscale. Ma a crescere è soprattutto il Fondo per le politiche familiari: 300 milioni di euro complessivi (aggiuntivi) per il triennio 2019-2021 e di altri 100 milioni di euro annui in più a decorrere dagli anni successivi. Il fondo era oggi di soli 4,8 milioni. Per questo l’incremento di 100 milioni è una delle misure più attese, con almeno 20 milioni di queste risorse da destinare al rafforzamento della rete di consultori familiari e centri per la famiglia. Questo Fondo serve a sostenere interventi «per favorire le misure di sostegno alla famiglia, alla natalità, alla maternità e alla paternità». Potenziato anche il Fondo per le politiche sociali, destinato alle Regioni per lo sviluppo della rete integrata di interventi e servizi sociali: 120 milioni di euro in più ogni anno, a decorrere dal 2019. Quindi complessivi 400 milioni (280 milioni in essere + 120 milioni aggiunti).

Inoltre, fanno sapere dal ministero per la Famiglia e le disabilità, che anche l’apposito Fondo previsto per l’attuazione delle pensioni di cittadinanza e del reddito di cittadinanza, di 9 miliardi di euro a decorrere dal 2019 sarà utilizzato tenendo conto della situazione dei nuclei familiari. In particolare «nell’ambito dell’attuazione della pensione di cittadinanza si terrà conto dell’esigenza di elevare le prestazioni in favore degli invalidi, mentre nell’attuazione del reddito di cittadinanza si terrà conto della situazione effettiva dei nuclei familiari, anche con riferimento al numero dei figli». Infine, sempre per quanto concerne famiglie e disabili, è stato confermato lo stanziamento per il fondo Dopo di noi, ovvero quello destinato a disabili che non possono contare sull’appoggio di genitori 0 familiari. Sembra di capire che saranno 51,5 milioni da suddividere tra le Regioni. Ma intanto è anche stato attivato un tavolo tecnico per decidere il futuro del Dopo di noi: quindi i migliori percorsi programmati di accompagnamento «per l’uscita della persona disabile dal nucleo familiare di origine ovvero per la deistituzionalizzazione».

In appena cinque mesi di governo, bisogna riconoscerlo, non è poco.

Alfredo Arduino La verità 4 novembre 2018

www.politichefamiglia.it/it/notizie/notizie/notizie/fontana-strappa-i-soldi-per-famiglie-e-disabili/

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HUMANÆ VITÆ

A cinquant’anni dalla promulgazione dell’Humanæ vitæ – Riflessioni a distanza

https://w2.vatican.va/content/paul-vi/it/encyclicals/documents/hf_p-vi_enc_25071968_humanae-vitae.html

A cinquant’anni dalla sua promulgazione l’enciclica Humanæ vitæ di Paolo VI non cessa di far discutere. Nessun altro documento del postconcilio ha suscitato infatti un dibattito tanto ampio e acceso. Ma soprattutto nessun altro documento ha ricevuto, nello stesso periodo, critiche così severe, non solo all’esterno della chiesa, ma anche all’interno da parte di vescovi, di teologi e soprattutto di numerosi coniugi cristiani. A rendere incandescente la situazione ha concorso, in modo particolare, lo stato di disagio provocato da un testo che veniva percepito come un vero e proprio arretramento rispetto al clima inaugurato dal Concilio da poco concluso.

Le attese tradite. Il rifiuto dei mezzi forniti dalla scienza per dare soluzione alla questione della regolazione delle nascite, il mancato coinvolgimento dei laici nell’assunzione di decisioni che riguardano direttamente la loro esistenza e l’assenza di attenzione alla coscienza personale in tali decisioni, nonché l’affermazione della assoluta inscindibilità del significato unitivo e del significato procreativo dell’atto sessuale venivano considerati da molti come altrettanti segnali di una svolta involutiva, destinata a riportare la chiesa su posizioni preconciliari. Ad essere sconfessati sembravano infatti alcuni capisaldi essenziali della dottrina conciliare: dal dialogo della chiesa con il mondo moderno (cfr. Gaudium et spes), all’importanza assegnata al ruolo dei laici nella gestione della vita della comunità cristiana (cfr. Lumen gentium e Apostolicam actuositatem), fino al concetto di “paternità responsabile” che doveva guidare, secondo la Gaudium et spes, le scelte dei coniugi in campo procreativo (cfr. Gaudium et spes, nn. 50,51).

Tutto questo in un momento di forte entusiasmo per il rinnovamento avviato dal Concilio, che aveva suscitato, anche a tale proposito, grandi speranze. L’avocazione a sé della questione relativa ai mezzi di regolazione della natalità da parte di Paolo VI, con la motivazione della necessità di un ulteriore approfondimento, aveva già di per sé sollevato non poche perplessità. L’assemblea conciliare sembrava a molti la sede più idonea per affrontare, con uno sguardo universalistico, un tema scottante, che aveva provocato (e provocava) pesanti drammi di coscienza in moltissime coppie cristiane (e non solo). La nomina di una commissione di studio apposita (peraltro avviata da Giovanni XXIII e largamente integrata da Paolo VI) nella quale convergevano competenze ed esperienze diverse era stata salutata come un dato positivo per il contributo interdisciplinare che da essa sarebbe potuto venire.

L’attesa di una posizione possibilista della chiesa nei confronti della “pillola” si era largamente diffusa, non solo nell’ambito del mondo dei laici e dei sacerdoti – numerose associazioni e gruppi di spiritualità familiare avevano lasciato intravedere l’avverarsi di tale possibilità ma anche in tanta parte dell’episcopato mondiale, dove si era fatta sempre più strada la convinzione che si andasse verso una modifica della norma fino ad allora vigente. Ne è testimonianza la recente pubblicazione di un interessante Dossier che raccoglie gli interventi di alcune conferenze episcopali a seguito della consultazione voluta dal pontefice. Tra questi fa spicco un importante documento fino a ieri inedito della conferenza episcopale del Triveneto, la cui stesura è dovuta a Mons. Albino Luciani, allora vescovo di Vittorio Veneto (il futuro papa Giovanni Paolo I), nel quale si esprime con chiarezza l’opinione che “in caso di dubbio (si tratta qui di dubium iuris), non si può accusare di peccato chi usa la pillola” (cfr. S. Falasca – D. Fiocco – M. Velati, Albino Luciani. Giovanni Paolo I, Tipi Edizioni – Tipografia Piave 2018).

Le dure reazioni dei teologi e la mediazione dei vescovi. Il livello alto delle aspettative spiega la durezza delle reazioni che si sono immediatamente fatte sentire dopo la promulgazione dell’Humanæ vitæ. Alla replica vivace di larghi settori dell’opinione pubblica, che riflettevano il disagio di molti fedeli (coniugi in particolare), si associavano gli interventi di un numero assai consistente di teologi – tra i quali. Bernhard Häring e KarlRahner (per non ricordare che i più illustri) – che evidenziavano la problematicità delle motivazioni teoriche che stavano a fondamento del dettato dell’enciclica.

La critica di fondo si appuntava soprattutto sull’affermazione che definiva la contraccezione un “intrinseco disordine” (n. 14) o un atto “intrinsecamente non onesto” (n. 14) e sull’idea riduttiva di “natura” e di “legge naturale”, che pareva trasformare il dinamismo biologico in norma morale. Non mancava inoltre chi metteva in dubbio la competenza del magistero nel valutare nei casi concreti l’applicazione del concetto di “legge naturale”; applicazione per la quale – si osservava – non può valere il ricorso alla fede, e dunque l’appello al principio di autorità, ma si deve fare riferimento ad argomentazioni di carattere esclusivamente razionale; o chi sollevava la questione circa la continuità del magistero ordinario, continuità già peraltro ripetutamente messa in passato in discussione a riguardo di altre tematiche con ricadute di carattere etico.

Maggiore rilevanza per il significato che rivestivano avevano le posizioni assunte da diverse conferenze episcopali nazionali o continentali, preoccupate di contenere il disagio provocato dall’enciclica attraverso una forma di mediazione, che ne attenuasse, sul piano pastorale, la rigidità in considerazione soprattutto della estrema varietà delle situazioni personali e familiari. Il documento papale ha dato così luogo all’esercizio di una forma di collegialità allargata, che non si è più in seguito verificata (almeno in quelle proporzioni), e che, accanto all’importanza dei contributi offerti, ha anche costituito una prima significativa applicazione dell’ecclesiologia conciliare.

{Cfr. Humanæ vitæ e magistero episcopale. Ed. Dehoniane Bologna.1969}

L’ottica privilegiata dai vescovi era – come si è detto – quella pastorale, e riguardava l’applicazione della norma alla diversità delle condizioni soggettive. Tra le molte motivazioni, che andavano in questa direzione, meritano di essere ricordate: il rimando alla legge della gradualità che ha come obiettivo il rispetto dei tempi di maturazione della persona, l’obiezione di coscienza al magistero causata dal rifiuto delle ragioni teoriche addotte per giustificare la norma in quanto ritenute infondate e, infine, la distinzione tra disordine e peccato, che riguarda quelle situazioni nelle quali l’infrazione della norma non è dovuta a una scelta egoistica, ma all’oggettiva difficoltà della coppia ad aderirvi per gravi problemi soggettivi.

Anche negli interventi degli episcopati era inoltre presente il riferimento a fattori oggettivi, che chiamavano direttamente in causa l’interpretazione del significato della norma e ne mettevano in discussione il fondamento. Sono ascrivibili a quest’ultima categoria, tanto l’assegnazione alla norma del carattere di ideale di perfezione quanto l’ammissione della presenza, in alcune circostanze, del conflitto di doveri.

  1. Nel primo caso la norma dell’enciclica andava considerata, secondo alcuni episcopati, come una norma escatologico-profetica, con la conseguente possibilità di fare spazio a diversi stadi di adesione, cioè a una gradualità della legge, sconfessata da Giovanni Paolo II nella Familiaris consortio.

  2. Nel secondo, si trattava di tener conto di situazioni nelle quali si dà una lacerazione della coscienza tra la fedeltà alla norma e l’adesione ad altri valori, in primo luogo alla conservazione e/o al consolidamento dell’amore coniugale.

In ambedue i casi ad essere sottoposta a critica da parte dei vescovi era di fatto la norma stessa dell’enciclica nell’assolutezza delle sue motivazioni. L’affermazione dell’Humanæ vitæ, già riportata, che definisce la contraccezione come un “intrinseco disordine” (n. 14) o come un atto “intrinsecamente non onesto” (n. 14) viene infatti messa decisamente sotto processo dal riconoscimento che esiste la possibilità di una oggettiva gradualità nell’adesione alla norma, la quale ha per l’enciclica carattere di norma-precetto, che non può come tale patire eccezione; a sua volta, l’affermazione che non si può fare riferimento nella applicazione della norma al criterio del “male minore” o al “principio di totalità” (n. 14) è chiaramente contraddetta dall’ammissione della possibilità che si dia un conflitto di doveri (o di valori). Pur essendo guidati da una preoccupazione eminentemente pastorale, gli interventi degli episcopati mettono dunque in realtà in discussione la stessa dottrina dell’enciclica, evidenziandone implicitamente i limiti teorici.

Il silenzio successivo. Alle accese reazioni iniziali fa fatto seguito, nel breve volgere degli anni, un lungo periodo di silenzio nel quale il dettato dell’Humanæ vitæ sembra dimenticato (o accantonato) dai membri dei vari ordini che compongono il popolo di Dio. Rari (e generici) sono gli interventi dei vescovi, sempre meno disposti a considerarlo come un tema di rilevante importanza i presbiteri – inchieste condotte a partire dagli anni 80 del secolo scorso rivelano che esso è raramente fatto oggetto di attenzione nell’ambito della celebrazione del sacramento della penitenza -; ma – ed è questo il dato più significativo – esso sembra venire del tutto cancellato dalla coscienza dei praticanti, che fanno in questo campo le loro scelte a prescindere dalle posizioni ufficiali del magistero, senza sentirsi per questo fuori posto o tanto meno esclusi dalla comunione ecclesiale.

Si consuma, in questo modo, quello che Pietro Prini ha definito come lo “scisma sommerso” (cfr. P.

Prini, Lo scisma sommerso. Il messaggio cristiano, la società moderna e la chiesa, Interlinea, Novara 2017), una forma cioè di presa di distanza dalle prescrizioni magisteriali non solo sul terreno della pratica ma, più radicalmente, su quello della stessa dottrina di cui non si condividono del tutto le ragioni. A conferma della diffusione di questa posizione è sufficiente ricordare come le risposte ai questionari dei due Sinodi sulla famiglia (2014-2015) hanno evidenziato come, per la stragrande maggioranza delle coppie praticanti, il problema della contraccezione abbia sempre meno rilevanza etica, e venga pertanto affrontato con criteri del tutto pragmatici rispondendo alle esigenze della situazione nella quale ci si trova coinvolti.

Questo dato di fatto che riflette una situazione di presa di distanza di rilevanti proporzioni, dovuto alla percezione (non ingiustificata) del mancato ascolto dell’esperienza degli sposi direttamente interessati, accanto all’assenza di ricezione del parere espresso – come già si è ricordato – da larga parte dell’episcopato in occasione della consultazione voluta dal papa e soprattutto al rifiuto del parere della stragrande maggioranza degli esperti dell’apposita commissione pontificia, ha creato una perdita di credibilità e di consenso nei confronti del magistero ordinario, che si è esteso anche ad altri ambiti della disciplina morale sui quali esso è venuto successivamente dispiegandosi.

Al clima originario di disagio è dunque subentrata una situazione di indifferenza, che non è stata superata neppure dai ripetuti interventi di Giovanni Paolo II, che ribadiva con forza il dettato normativo dell’enciclica, mettendone in evidenza il significato antropologico, l’importanza cioè che esso rivestiva per dare pienezza umana all’atto sessuale quale espressione di amore, e sconfessando indirettamente le posizioni assunte da alcuni episcopati nazionali, in coerenza peraltro con le sue convinzioni di sempre (significativa è la lettera inviata a Paolo VI e resa nota di recente, nella quale, in qualità di vescovo di Cracovia, lo invita ad assumere una posizione più rigida anche nei confronti degli interventi di alcuni vescovi).

Quale valutazione oggi? La distanza temporale dalla promulgazione dell’Humanæ vitæ rende più agevole procedere oggi a una valutazione del contenuto. Le polemiche registrate alla sua apparizione si sono stemperate, ma non è venuto meno (anzi per alcuni aspetti si è accentuato) il giudizio critico nei confronti della norma dell’enciclica, soprattutto in ragione della debolezza delle argomentazioni addotte a suo sostegno. A rendere, del resto, possibile tale giudizio sta anche il fatto che, in occasione della presentazione ufficiale dell’enciclica nella Sala stampa vaticana uno degli autorevoli esperti presenti ufficialmente designati dalla Santa Sede, mons. Lambruschini, che era stato membro della commissione di studio nominata dal papa, alla domanda di un giornalista, che chiedeva quale fosse la “nota teologica” dell’enciclica, precisava trattarsi di un documento di magistero ordinario “non infallibile né irreformabile”.

La precisazione, che si può legittimamente sospettare non fosse frutto di una estemporanea presa di posizione del prelato, ma riflettesse in realtà un giudizio proveniente dall’alto (forse dallo stesso pontefice), finiva per rendere meno stringente l’esigenza di mantenere la continuità con il magistero ordinario precedente o – come recita l’enciclica – di non discostarsi dalla “dottrina morale sul matrimonio proposta con costante fermezza dal magistero della chiesa” (n. 6); esigenza che è stata una delle ragioni del “no” alla contraccezione. Non è difficile, del resto, riscontrare la presenza, anche nel magistero più recente, di consistenti rotture con posizioni precedenti: è sufficiente ricordare qui questioni come quella della libertà religiosa – la tesi del Sillabo non può essere certo facilmente composta con quella del decreto Dignitatis humanædel Vaticano II – o come quella della “guerra giusta”, considerata per molto tempo legittima dai documenti ufficiali del magistero e del tutto superata dalla Pacem in terris di Giovanni XXIII.

Si può (forse) dire a tale proposito – e sono in molti a sostenerlo non senza ragione – che la restituzione di autorevolezza al magistero ordinario passa attraverso la sua relativizzazione; che esso acquista cioè valore nella misura in cui lo si considera “ordinario”, cioè legato al tempo e alle concrete situazioni nelle quali l’intervento avviene. La sua storicizzazione è, in altre parole, la condizione per coglierne il vero significato – la capacità di intervenire tempestivamente nel vivo delle situazioni (anche a rischio di sbagliare) – ed evidenziarne l’importanza e la ineludibilità. Si può dire, paradossalmente, che il ricupero del magistero ordinario è direttamente proporzionale alla disponibilità a metterne continuamente in discussione i contenuti spesso legati (almeno in parte) alla contingenza del momento, per ricuperarne lo spirito e la metodologia di accostamento alla realtà.

Ma le obiezioni più consistenti che vengono oggi mosse all’Humanæ vitæ riguardano (come è già del resto avvenuto fin dall’inizio) le motivazioni addotte a sostegno della tesi normativa; motivazioni che risultano tuttora assai deboli. Il rimando alla legge naturale, e dunque alla ragione di ordine etico, deve fare i conti con la discussione in corso attorno a tale categoria anche all’interno delle teologia cattolica; discussione che, senza negare la bontà dell’istanza sottesa in quanto capace di fissare un argine alle manipolazioni biologiche e di favorire, grazie al riconoscimento di un terreno comune, lo scambio interculturale, è giunta a negare, in maniera inequivocabile, la possibilità di un’interpretazione rigidamente biofisica dei suoi contenuti, opponendo ad essa una visione dinamica, attenta alla dimensione storica e caratterizzata dalla costante dialettica tra immutabilità e mutabilità.

Analoghe considerazioni possono essere fatte a proposito della ragione di ordine antropologico propria della Familiaris consortio di Giovanni Paolo II. L’argomentazione è qui incentrata – come si è in precedenza ricordato – attorno alla natura dell’atto sessuale, in quanto espressione di un amore che, per acquisire pienezza di significato umano, deve coinvolgere la totalità dell’essere personale, corporeità inclusa, e mantenere aperta nella relazione la globalità dei significati che ad esso ineriscono. A risultare assente, in questo tipo di argomentazione, è l’attenzione alla complessità della natura umana, costituita da una molteplicità di stratificazioni – da quella biologica a quella psichica fino a quella spirituale – che non hanno identico valore e che, non essendo sempre tutte coinvolgibili nelle scelte, danno luogo a conflitti di valori (o di doveri), che vanno risolti privilegiando ciò che presenta un valore maggiore. Il limite umano, frutto peraltro della natura creaturale, impone la scelta del “bene possibile” (non di quello assoluto), non assegnando carattere di norma-precetto a ciò che è invece norma-ideale di perfezione ed evitando di incorrere in forme di colpevolizzazione paralizzanti.

L’auspicio, che si può allora formulare, è che, pur riconoscendo i meriti di un’enciclica che ha senz’altro contribuito a mettere in evidenza aspetti significativi dell’amore coniugale, si proceda a una seria revisione del suo impianto normativo non tanto per dire “sì” alla contraccezione (si rimarrebbe ancorati alla stessa logica che ha condotto nell’enciclica al “no”) quanto per aprire il dibattito nel campo della scienza morale (come peraltro è avvenuto per molto tempo in passato) e per lasciare, in definitiva, alla coscienza della coppia l’ultima decisione. Questo riproponendo ovviamente con forza, da un lato, l’attenzione ai valori in gioco – la responsabilità procreativa deve esercitarsi nel segno dell’apertura generosa al dono della vita e con la dovuta considerazione, oltre che della propria vocazione, dei bisogni della società e della chiesa – e verificando, dall’altro, con l’ausilio della riflessione etica in stretto dialogo con gli sviluppi della ricerca scientifica, benefici e costi delle diverse tecniche, sia considerate in se stesse che in relazione alle concrete esigenze della coppia.

Giannino Piana “Matrimonio in ascolto delle relazioni d’amore” n. 3, settembre 2018

Nell’ultimo numero del trimestrale “matrimonio in ascolto delle relazioni d’amore” con la consueta chiarezza e lucidità Giannino Piana fa un bilancio sui temi e sulle discussioni e sulle critiche severe sollevate dall’Humanæ vitæ promulgata 50 anni fa. Le attese tradite e le dure reazioni dei teologi con la mediazione di vari episcopati. Il lungo silenzio complessivo e il dilagare tra i cattolici dello scisma sommerso. La debolezza argomentativa dell’enciclica. Relativizzare il magistero ordinario perché recuperi autorevolezza. La debolezza del rimando alla legge naturale e ad una visione rigidamente biofisica. Il limite umano impone la scelta del bene possibile e non quello assoluto (come vorrebbe Giovanni Paolo II e le sue ragioni di ordine antropologico). Non si tratta di dire sì alla contraccezione quanto di lasciare alla coscienza della coppia l’ultima decisione.

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201810/181031piana.pdf

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MATRIMONIO

Matrimonio in crisi

Sono moltissime le coppie che, dopo il matrimonio, attraversano dei momenti di crisi. Spesso questi periodi sono passeggeri oppure potrebbero segnare l’inizio della fine. Come comportarsi?

La crisi del settimo anno ormai non esiste più: esiste la crisi matrimoniale e basta, senza aggettivi o precisazioni di sorta. Infatti il fallimento può investire la coppia in ogni momento: sia subito dopo aver celebrato il matrimonio che dopo molti anni. Tuttavia secondo l’ISTAT la durata media di un matrimonio è di circa 17 anni. Secondo le statistiche, in caso di separazione, l’età media delle donne è di 45 anni mentre per gli uomini di 48 anni.

Molti sono i fattori che possono portare una crisi in una coppia anche se la più comune sembra essere la mancanza di comunicazione. Pertanto aumentano matrimonio crisi e divorzi. Un dato o una tendenza che la dice lunga sull’istituzione del matrimonio, ma anche su come esso viene vissuto dagli attori principali: ovvero il marito e la moglie. Dunque il matrimonio sembra sganciarsi dalla formula solenne “finché morte non ci separi”. Non esiste un vademecum su come creare un matrimonio perfetto perché, come ogni relazione che si instaura tra gli individui, ognuno è diverso a modo proprio e questa diversità rende unico il legame tra le persone. Pertanto, non ci sono ricette che possano andare bene per tutti. Ciò nonostante si possono senz’altro mettere in atto dei comportamenti positivi per salvaguardare il rapporto tra chi si giura amore eterno.

Cos’è la crisi matrimoniale? Il matrimonio è un’istituzione socialmente riconosciuta in quanto alla base di qualsiasi tessuto sociale. Ogni qualvolta in cui due persone decidono di unirsi lo devono fare passando per dei riti: che siano civili, religiosi, simbolici o tradizionali, i riti sono un fatto pubblico che coinvolge la comunità che circonda i futuri sposi.

Ecco perché il momento della crisi viene avvertito dalle coppie come un carico eccessivo e che investe non solo se stessi ma entrambe le famiglie e quindi la società stessa. Pertanto spesso si associa alla crisi del matrimonio il fallimento dello stesso. Tuttavia, sebbene dalla difficoltà di coppia al tracollo matrimoniale il passo è breve, essere in crisi con il proprio partner non vuol dire necessariamente aver fallito.

La crisi matrimoniale spesso è una tappa che la maggior parte delle coppie attraversano. Si potrebbe dire che sia un momento quasi fisiologico di un rapporto di coppia. L’etimologia stessa del termine “crisi” non tradisce questo concetto. Infatti “crisi” deriva dal verbo greco “krino” che significa “separo” ed in senso figurativo “decido”. Pertanto la crisi segna un momento di riflessione, di giudizio e di discernimento, presupposto necessario per affrontare un cambiamento. Non ogni cosa che cambia lo fa in peggio. Ci sono anche i cambiamenti positivi, le rinascite!

Ecco che la crisi matrimoniale si inserisce in questo contesto: c’è crisi ogni qualvolta ci sia un cambiamento.

Fasi critiche del matrimonio. La relazione matrimoniale è in continuo divenire e, come ogni relazione mai uguale a se stessa, ad ogni cambiamento corrisponde un momento di fragilità della coppia che, se non risanato subito e rinsaldato insieme attraverso la comunicazione e alla forte complicità, rischia di generare drastiche fratture.

Una coppia attraversa diverse fasi. Si comincia con la fase dell’infatuazione che, secondo gli psicologi, durerebbe pochi mesi. È il momento in cui forte è la passione, la chimica tra due persone e la tendenza a mostrare il meglio di sé guardando anche il meglio dell’altra persona. Tendenzialmente in questo step iniziale si è inclini ad idealizzare l’altro.

Successivamente si passa alla fase dell’innamoramento: si comincia a parlare più di sé e a conoscere meglio l’altro cercando di appagare i bisogni di affetto reciproci. Tuttavia non si è ancora totalmente innamorati dell’altro ma di ciò che proviamo per l’altro e che questo ci fa sentire.

Si comincia a provare vero amore nella fase di differenziazione della coppia, un momento decisivo e cruciale. Si comincia ad esplorare l’altro vedendolo con le sue debolezze, con la sua personalità e per ciò che realmente è. Nello stesso tempo si conosce anche tanto di sé e di come si è in coppia considerando, appunto, le differenze con il partner.

Poi arriva l’amore che è nutrito giorno dopo giorno dalla coppia distaccandosi dalla simbiosi e rispettando lo spazio altrui ed il proprio. Si ama l’altro per quello che è, non per ciò che appare.

Giunti a questa fase spesso si decise di sposarsi. Ecco che molte coppie provano quello che comunemente è chiamato “panico prenuziale”. È come se ci fosse un indietreggiamento al fine di valutare se si riesce a controllare la distanza dal partner.

Dopo il matrimonio, la coppia si ritrova ad avere le consapevolezze della fine dell’idillio: viene a mancare l’aurea romantica che aveva contraddistinto il periodo prenuziale accorgendosi che il proprio partner ha delle mancanze e non è proprio come si era idealizzato.

In questa fase il rischio è che uno dei due compagni di vita voglia continuare a mantenere con un’altra persona l’atmosfera idillica svanita.

Altra fase decisamente a rischio e quella in cui la coppia cerca di ritagliarsi una propria identità del tutto nuova rispetto a quella delle due famiglie di origine. La coppia non vuole sentirsi una mera continuazione delle vecchie famiglie. Per questo motivo ognuno dei partner chiede all’altro di fare una valutazione critica della propria famiglia decidendo quali valori tenere e quali escludere.

In questa fase l’individuo può sentirsi solo, tagliato fuori o isolato tanto rispetto alla famiglia d’origine quanto alla nuova e tale solitudine si potrebbe tradurre in un distacco emotivo e fisico dal proprio partner.

La nascita di un figlio, ed in generale l’allevamento dei figli, segna un momento di grossa transizione della coppia. Già di per sé la decisione di avere dei figli, delle volte, genera delle problematiche soprattutto se essa non rispecchia il volere di entrambi i coniugi. La nascita di un figlio, ebbene, è un momento che, da un lato funge da collante per l’intera famiglia (sia la nuova che quelle di origine), da un altro lato è un momento di grande impegno e confronto per i coniugi. Essi dovranno discutere su tutte le questioni che interessano la vita del figlio. Soprattutto quando è piccolo, il bambino ha bisogno di accudimento, specie dalla mamma (pensiamo all’allattamento, al cullarlo per ore prima che si addormenti, al cambio continuo di panni ecc.).

Ecco che c’è un allontanamento forzato della coppia. Se tale allontanamento è protratto per molto si potrebbe generare un conflitto in cui uno dei coniugi vede l’altro unicamente come madre o come padre e potrebbe sentirsi trattato da figlio. Questa inversione dei ruoli genera malcontento e ribellione.

Senz’altro il rischio di cercare evasione dal rapporto di coppia e dalla famiglia è alto in questa fase. Se il partner si butta a capofitto nel lavoro o nello sport, tende a stare molto tempo fuori casa, scarica la responsabilità dell’allevamento dei figli sull’altro o c’è un controllo sull’altra persona delle modalità di accudimento senza prendersi le responsabilità, allora il rapporto è indubbiamente in crisi.

Il distacco dal sesso senz’altro è uno dei fattori che innesca la crisi matrimoniale. Spesso avviene in età avanzata ma l’invecchiamento non porta necessariamente con sé la mancanza del sesso. Sono molti gli ultracinquantenni uomini e donne che lo praticano. I motivi vanno ricercati in altre circostanza e non nell’età biologica.

La crisi di mezza età colpisce soprattutto gli uomini ed è un malessere personale ed individuale che però si ripercuote anche sulla coppia. Infatti si tende ad essere concentrati più se stessi e poco o niente sull’altro. Superare insieme questo impasse non è facile soprattutto se si pensa che potrebbe portare a forme depressive.

Altro momento davvero critico è la sindrome del nido vuoto che si verifica quando i figli vanno via di casa. Capita che molte coppie siano tenute assieme dai figli e che, una volta in cui questi si allontano da casa, il matrimonio si sfalda.

Eppure quando i figli guadagnano la propria indipendenza la coppia si ritrova ad avere maggiore intimità e più tempo da condividere. L’importante è che questo desiderio trovi la compartecipazione di entrambi i coniugi: può darsi, infatti, che uno voglia condividere del tempo col proprio partner mentre l’altro voglia usare quel tempo per sé. Quest’asimmetria di bisogni genera difficoltà di coppia.

Spesso il matrimonio mette in luce degli aspetti totalmente negativi dell’altro e le tentazioni, sia che siano relazioni extraconiugali o altri generi di evasioni dalla routine, sono davvero tante. Si scoprono le imperfezioni non solo della coppia ma anche di sé, dell’altro, dei figli e della famiglia a largo spettro.

Per superare questi momenti critici servono amore, impegno e comprensione.

Come superare la crisi matrimoniale? Ci sono vari modi per superare un conflitto matrimoniale. Ecco di seguito alcuni aiuti per la coppia:

  • Psicoterapia di coppia. È un percorso con il quale si analizza la relazione per capire la crisi ed i suoi significati. Si cerca di agire per scardinare un sistema disfunzionale della coppia che deve appunto seguire una terapia, una sorta di cura, per appianare le proprie difficoltà rimanendo insieme;

  • Mediazione familiare. È un percorso mediante il quale si cerca di riallacciare i canali comunicativi della coppia. Si lavora molto sugli stili comunicativi dei coniugi e si offre un nuovo modello di comunicazione finalizzato all’accoglimento ed al rispetto dei bisogni reciproci;

  • Consulenza familiare. È un aiuto alla coppia in crisi in cui si predispongono dei compiti di sviluppo per rinsaldare il rapporto familiare inteso ad ampio raggio e cioè il rapporto fra i coniugi, il rapporto genitori – figli, il rapporto con le famiglie d’origine;

  • Counseling. È un aiuto che il counselor mette a disposizione per fortificare l’auto consapevolezza di sé e della coppia.

Separazione e divorzio breve. La crisi può essere superata anche attraverso la separazione e il divorzio. Non sempre questa cesura ha dei risvolti negativi: gli ex coniugi vivono questo momento come un’occasione di libertà e di svolta. Tuttavia grava ancora nell’immaginario collettivo la visione fallimentare della separazione e questa ha un carico emotivo non indifferente e molto doloroso. La pena della fine di un matrimonio si riflette soprattutto sulla nuova organizzazione familiare e sui nuovi equilibri da raggiungere nel bene dei figli, se ci sono.

Oggi come oggi, per risparmiare alle coppie lungaggini processuali spesso dolorose, si è optato per il divorzio breve. Si ha il divorzio dopo che sia trascorso un anno dalla separazione. Si tratta di una separazione consensuale che può essere scelta solo se non ci sono figli minori, portatori di handicap grave o incapaci, o maggiorenni non economicamente autosufficienti.

Si presenta la domanda al sindaco del comune di residenza di uno dei due coniugi o di quello dove è stato celebrato il matrimonio. Vi sono risparmi non solo in termini economici ma anche di tipo emotivo in quando si fa presto a finire un legame che era già rotto e rifarsi una vita.

Certo, così il matrimonio ha perso un po’ il carattere di sacralità, ma questo non è sancito da un rito o da un ufficiale civile o ecclesiastico. L’aspetto sacro del matrimonio è custodito nel cuore di chi decide di accogliere e riconoscere l’altro come compagno di vita.

Valentina Calasso La Legge per tutti 1 novembre 2018

www.laleggepertutti.it/251410_matrimonio-crisi

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NATALITÀ

Anche l’età del papà conta, se è over 35 più rischi alla nascita

Se il papà è ‘attempato’, il bebè va incontro a più rischi alla nascita. Ad accendere i riflettori sul possibile peso dell’età di lui è un maxi studio condotto da ricercatori degli States e basato su un decennio di dati relativi a oltre 40 milioni di nascite nel Paese.

Dalla ricerca – firmata da scienziati della Stanford University School of Medicine e pubblicata online sul ‘British Medical Journal’ – emerge un’associazione tra l’età più avanzata del papà e una serie di rischi aumentati, tra cui basso peso alla nascita e convulsioni.

Il lavoro suggerisce che questo dato anagrafico di lui potrebbe anche influenzare la salute della mamma durante la gravidanza, in particolare il rischio di sviluppare diabete. “Nella valutazione dei rischi associati alla nascita – sottolinea Michael Eisenberg, professore associato di urologia e autore senior dello studio – si tende a considerare i fattori materni, ma questo studio dimostra che avere un bambino sano è un ‘lavoro di squadra’ e anche l’età del padre contribuisce alla salute del bambino”.

I risultati della ricerca hanno fatto emergere che i bebè nati da papà più in là con l’età, cioè approssimativamente sopra i 35 anni, erano a maggior rischio di esiti avversi alla nascita – basso peso, convulsioni, necessità di ventilazione – e maggiore è l’anzianità del padre, maggiore è il rischio.

Ad esempio, gli uomini di età pari o superiore ai 45 anni risultavano avere il 14% di probabilità in più di avere un bambino nato prematuro rispetto ai padri di età compresa tra 25 e 34 anni (età media della paternità negli Stati Uniti) e un rischio di convulsioni aumentato del 18%.

Ancora: i papà 50enni o over 50 avevano il 28% di probabilità in più di avere un figlio che richiedesse l’ammissione al reparto di terapia intensiva neonatale.

I rischi, tiene a precisare Eisenberg, restano ancora relativamente bassi. Però questa scoperta, ragiona l’esperto, può essere vista come un ulteriore bagaglio informativo per chi vuole costruirsi una famiglia e lo scienziato spera che servirà a educare pubblico e autorità sanitarie. Eisenberg aveva pubblicato nel 2017 un altro studio in cui mostrava un aumento dei papà over 40.

Alla luce di questo trend, osserva, “penso che diventi più rilevante per noi capire le conseguenze dell’età paterna sulla salute dei neonati e della madre e avere una migliore comprensione del ruolo biologico del papà

AdnKronos Salute 2 novembre 2018

www.lasaluteinpillole.it/salute.asp?id=48593

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PASTORALE

Sanremo. Parlare di matrimonio in parrocchia. Con una (bellissima) sit-com

https://www.youtube.com/watch?time_continue=7&v=AJP9Ywnw1qo

L’idea di un gruppo di Azione Cattolica: un film per descrivere la famiglia. Ed è stato subito successo. Ecco come richiedere il Dvd «che parla di Dio senza mai nominarlo»

Si può raccontare la misericordia in famiglia con un film a basso budget, con 131 attori non professionisti e raggiungere migliaia di persone in diverse diocesi italiane? Si, è il progetto di «Come una rosa nell’armadio», film nato nella comunità parrocchiale di San Siro a Sanremo, all’interno del gruppo adulti e famiglie dell’Azione Cattolica.

Un progetto ambizioso sostenuto sin dall’inizio anche dalla diocesi di Ventimiglia-San Remo in particolare dal vescovo monsignor Antonio Suetta. Tre mesi per scrivere la sceneggiatura (a cura di tre membri del gruppo), quattro per le riprese (con oltre 40 location coinvolte), e tre per il montaggio realizzato dall’unico professionista, il giovane regista locale Fulvio Bruno.

Il film è una commedia sulla famiglia, in grado di veicolare un messaggio estratto da un discorso di papa Francesco: «Il matrimonio è come una pianta, va curato, e non è come un armadio che deve restare lì a prendere polvere». Illuminati da queste parole, gli sceneggiatori del gruppo parrocchiale hanno dato vita alla storia della famiglia Marasco, con il protagonista Domiziano che si ritrova disoccupato e costretto a indossare i panni del casalingo tuttofare, mentre la moglie Liliana finalmente ottiene un posto fisso. Da qui una serie di situazioni tragicomiche che Domiziano dovrà affrontare per adattarsi ai suoi nuovi panni, col suo matrimonio provato dagli eventi che sembrerà sempre più la rosa di Liliana, da lui lasciata appassire per trascuratezza. Solo la fatica e la sollecitudine reciproca potranno ridare vita e nuovo vigore alla sua famiglia.

Il film cerca di affrontare questi temi con serietà e delicatezza, senza eccedere in drammaticità, ma accennando anche agli inevitabili lati umoristici e divertenti della vita familiare.

L’idea originale di un film sulla misericordia in famiglia ha preso forma nella normale programmazione del gruppo dell’Azione Cattolica, e man mano il progetto si è ampliato siano ad approdare il 18 novembre 2016 al Teatro Ariston di Sanremo realizzando un inaspettato sold out [esaurito]. Da lì in avanti è stato un susseguirsi di inaspettati successi di pubblico e di critica, dalla programmazione cinematografica per le scuole di Sanremo, alla trasmissione dedicata da Tv2000 («Il diario di papa Francesco») dalla consegna del Dvd al Santo Padre alle tante proiezioni in diverse diocesi italiane, sino alla presentazione a Roma in piazza San Pietro all’incontro nazionale dell’Azione Cattolica.

In questi due anni molte parrocchie hanno acquistato il Dvd di un film «che parla di Dio senza mai nominarlo», come strumento per i corsi di preparazione al matrimonio cristiano. Il film ha un sito dedicato (www.comeunarosanellarmadio.it) in cui sono disponibili foto e video e la spiegazione dettagliata del progetto.

Giulio Mascarello Avvenire 30 ottobre 2018

www.avvenire.it/chiesa/pagine/parlare-di-matrimonio-con-un-fil-girato-in-parrocchia-azione-cattolica-sanremo

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SINODO DEI VESCOVI SUI GIOVANI

Sinodo dei giovani: opinioni abbastanza positive di Noi Siamo Chiesa

Il testo di Noi Siamo Chiesa contiene anche osservazioni critiche e si aspetta che le indicazioni sul cambiamento conciliare della Chiesa con l’apporto dei giovani e delle donne non venga insabbiato

Il Sinodo dei vescovi sui giovani aveva di fronte un compito particolarmente difficile per vari motivi. Anzitutto per la sua scarsa rappresentatività, come abbiamo detto più volte. Prelati anziani, maschi e celibi insieme a pochi giovani esterni e a poche donne, per di più questi ultimi con lo status di chi non poteva votare. E poi l’argomento era costituito da una categoria molto sociologica, quella dei giovani appunto, distribuita sulla generalità dell’umanità e che dava occasione e pretesto per parlare di tutto, da problematiche di tipo psicologico o sociale, a questioni più direttamente di Chiesa, fino alle linee di tendenza della convivenza umana verso il futuro. Era giusto invocare lo Spirito Santo davanti a un tale compito!

Lo svolgimento. Il percorso scelto per arrivare all’assemblea appena conclusa ha cercato, secondo buon senso, di coinvolgere soggetti esterni al circuito ecclesiastico ed ha fatto bene. In marzo si è riunito un presinodo di giovani, un questionario è stato diffuso online per tempo e tutto ciò ha permesso di preparare un documento preparatorio, il cosiddetto Instrumentum Laboris che, almeno per quanto riguardava la realtà, non diceva parole a vuoto, ma faceva analisi.

Dell’andamento del Sinodo non si sono potuti avere i singoli interventi nelle congregazioni generali, ma solo i testi di sintesi delle due tornate dei 14 Circuli minores, costituiti ognuno di essi da circa 20 padri sinodali autoselezionatisi in base alla lingua. La lettura di questi testi è stata interessante per capire di cosa si stava parlando.

Complessivamente l’informazione diffusa dal Vaticano è stata carente facilitando la disattenzione dei media. Durante il suo svolgimento si è organizzata una lobby, con interventi e appelli, per chiedere che almeno le suore presenti, superiori di ordini religiosi, potessero essere ammesse al voto come i colleghi maschi superiori di ordini maschili. La cosa non è passata. Sarebbe stato un fatto molto importante perché avrebbe infranto la logica canonica dell’assurdo divieto di ruoli formalmente decisionali attribuiti anche al sesso femminile.

Il documento conclusivo. Il troppo lungo documento finale, votato praticamente all’unanimità, è costituito da 167 paragrafi in 55 pagine. Si dovrà renderlo utilizzabile nel diffuso tessuto del nostro mondo cattolico. Ora non lo è. L’eccesso di consensi che ha raccolto può anche non essere considerato positivo perché può far ritenere patrimonio di tutti orientamenti e linee di intervento che poi non lo saranno affatto soprattutto nella gestione concreta. Il documento nella prima parte intreccia punti di analisi a contemporanee esplicite affermazioni autocritiche sulle carenze della Chiesa. Anzitutto è mancato l’ascolto, è questa una considerazione generale, i giovani non ricevono la necessaria attenzione, c’è una situazione di autoritarismo o di paternalismo diffuso. Poi il documento prende atto delle profonde diversità di situazioni che riguardano i giovani nel mondo e dei cambiamenti in atto, infine, senza timidezze, delle profonde diversità tra chi gode di una condizione di vita accettabile e chi vive ai margini della società. Si parla della colonizzazione culturale causata dalla globalizzazione in contesti non occidentali, si valutano gli aspetti positivi e negativi della secolarizzazione.

Il documento poi fa affermazioni interessanti ed efficaci sulla pervasività del web e dei social network, sulle loro opportunità, sui molti loro lati oscuri; sui migranti fa le analisi che si devono fare, su un fenomeno che è irreversibile, sulle fratture nelle comunità di origine, sulla mentalità xenofoba che i migranti spesso trovano dove arrivano e via di questo passo.

La denuncia del clericalismo è a tutto tondo ed è seguita dalla questione degli abusi di ogni tipo “di potere, economici, di coscienza, sessuali”. Il Sinodo esprime “gratitudine verso coloro che hanno il coraggio di denunciare il male subito” e la soluzione del problema degli abusi può portare “ad una riforma di portata epocale”, ma il riferimento è generico, non c’è il “j’accuse” intransigente sull’abuso sessuale dei minori che ci si attendeva. Non ci siamo!

Si arriva poi alla questione sessualità. “Non c’è una adeguata educazione sessuale” e poi si richiamano tutti i testi del magistero a partire dal Catechismo del 1992. Non si va oltre delle belle parole, ma non si può non riconoscere che “la morale sessuale è causa di incomprensione e di allontanamento dalla Chiesa perché percepita come spazio di giudizio e di condanna”. Su questa questione ultrasensibile il Sinodo non è andato oltre. Ci sembra questo un punto di debolezza che sarà molto notato.

Problemi e situazioni. Il testo completa l’analisi di vari aspetti della condizione giovanile: il problema non è solo il lavoro ma anche, a volte, il malessere psicologico, la depressione, la cultura dello scarto; a fronte di ciò ci sono il protagonismo, magari scarso nella Chiesa, ma presente nella cittadinanza attiva, nell’impegno sociale e politico, nel volontariato, nella volontà di giustizia; e poi c’è la distanza dalla Chiesa dalla quale si aspettano una comunità vera che, in sua assenza, facilita una religiosità privata e a volte, di tipo sincretico. Insieme a questa ricerca il testo esprime esplicitamente le difficoltà del mondo ecclesiale a un comportamento pastorale adeguato: c’è poco accompagnamento in occasione dell’impegno in campo politico, la liturgia è abbastanza estranea alla sensibilità giovanile, si percepisce la sfiducia degli adulti, il dialogo, dove esiste, deve essere meno paternalista, è ineludibile il cambiamento per quanto riguarda il ruolo femminile, “prevale talora la tendenza a fornire risposte preconfezionate e ricette pronte”, la parrocchia “fatica ad avere un ruolo rilevante per i giovani ed è necessario ripensarne la vocazione missionaria”.

Un accompagnamento diverso dal consueto. La seconda parte del documento, dopo aver detto in modo enfatico che i giovani sono “un luogo teologico”, tratta dell’accompagnamento intendendo in vario modo e su varie tematiche l’assistenza, anche psicologica o psicoterapeutica, alla crescita umana e spirituale dei giovani sia in forma individuale che in gruppi o in associazioni. La cosa interessante di questo punto è l’affermazione che esso “non è necessariamente legato al ministero ordinato. C’è necessità di guide spirituali, padri e madri, con una profonda esperienza di fede e di umanità. Bisogna anche riscoprire la vita consacrata, in particolare quella femminile e di laici, adulti e giovani”. Per affrontare questo possibile percorso non paternalista, calibrato sulle sofferenze e le ricerche di chi sta cercando la propria strada, le parrocchie secondo il testo potrebbero attrezzarsi in modo nuovo anche prescindendo dalla centralità del prete. Non è cosa da poco e si presenta come molto interessante.

Continuare in modo sinodale. Nell’ultima parte del documento si sceglie di proporre la continuazione del percorso avviato con un metodo del tutto sinodale. Infatti “poiché le condizioni concrete, le possibilità reali e le necessità urgenti dei giovani sono molto diverse tra paesi e continenti invitiamo le Conferenze episcopali e le Chiese particolari a proseguire questo percorso impegnandosi in processi di discernimento comunitario e nelle relative deliberazioni anche coloro che non sono vescovi”. I possibili orientamenti pastorali, così elaborati, dovrebbero essere attenti agli emarginati e a chi non sono contatto con le comunità ecclesiali. Il documento non usa parole generiche nel proporre la sinodalità: tutti i soggetti ecclesiali devono concorrervi attivamente e, per quanto riguarda i giovani, deve essere prevista la partecipazione nei luoghi di corresponsabilità nelle Chiese locali, nelle Conferenze episcopali e nella Chiesa universale, ipotizzando anche un organismo di rappresentanza dei giovani a livello internazionale in Vaticano.

Questa pratica della sinodalità e della ricerca di soluzioni condivise non ha un orizzonte solo ecclesiastico, ma si proietta verso le periferie del mondo per “dare risposta al duplice grido dei poveri e della terra avendo come ispirazione la dignità della persona, la destinazione universale dei beni, l’opzione preferenziale per i poveri, la solidarietà, l’attenzione alla sussidiarietà, la cura della casa comune”. Sono parole pesanti di stile del tutto bergogliano.

Indicazioni concrete. Il documento continua riprendendo i punti della prima parte, ma dando indicazioni operative. Per la parrocchia, che ha limiti territoriali, occorre il suo ripensamento pastorale anche per la sua incapacità di intercettare con proposte diversificate i fedeli. Di essa bisogna ripensare la presenza sul territorio, la liturgia e la diaconia, i centri giovanili. Si arriva a proporre a livello delle Conferenze Episcopali un “direttorio di pastorale giovanile”. Nelle diverse situazioni bisogna operare per “progetti”, non per compartimenti stagni. Il sinodo è molto preoccupato dell’ambiente digitale, propone un’evangelizzazione digitale. Sui migranti le parole sono inequivocabili. Bisogna difendere il diritto di chi non vuole migrare e quello di chi emigra e ha diritto all’accoglienza. La parola d’ordine di tutta la chiesa deve essere contro la xenofobia, il razzismo e il rifiuto dei migranti, contro il traffico di essere umani.

Sul ruolo della donna nella comunità ecclesiale le parole sono chiare a favore del cambiamento nella pratica pastorale quotidiana e del dovere della sua partecipazione ai processi decisionali ecclesiali. Ma dice il testo “nel rispetto del ruolo del ministero ordinato”. Ma questo non è il tanto deprecato clericalismo?

La situazione internazionale. Era un Sinodo difficile in partenza. A partire da questa constatazione si fanno alcune prime osservazioni di buon senso con la riserva di ulteriori approfondimenti richiesti da una tematica così vasta e importante. Si parte da quanto manca e da quanto è all’inizio di un cammino che dovrà essere percorso. È curioso che non ci sia stato al Sinodo, tra le tante cose dette, qualcosa sullo scenario dei rapporti tra gli stati, i popoli e i continenti, che è in fase di aggravamento in particolare in questi ultimi due-tre anni (il riarmo nucleare, il rilancio del ruolo imperiale USA, la situazione in Medioriente, la crisi di ruolo dell’Europa con le nuove identità chiuse su sé stesse, la ripresa del conflitto Est-Ovest, ecc.). Il collocarsi a fianco dei migranti, contro il commercio delle armi, a tutela dell’ambiente ecc., esige per tutti e per i giovani in particolare (il futuro è loro!) di avere il quadro generale che determina o aggrava le situazioni specifiche sulle quali intervenire. È lo sguardo su tutto il mondo che ha papa Francesco.

Sessualità, donne, abusi. Sulla sessualità la situazione appare come congelata. Non si riesce ad andare avanti che a belle parole e ad esortazioni generali, eppure è questo il centro del rapporto di tanti giovani con la Chiesa. Ci si poteva aspettare almeno che si sbloccasse la posizione tradizionale sulla contraccezione, che si riconoscesse che doveva essere abbandonata. Per quanto riguarda gli omosessuali, dopo lo stallo nei due sinodi sulla famiglia, non ci si poteva aspettare di più che l’invito all’accompagnamento in tutte le strutture ecclesiali. Positivo è stato il fatto che nulla si dica contro il riconoscimento, in qualsiasi forma, delle unioni tra omo; ci si poteva aspettare una loro demonizzazione.

In tutto il testo si parla di giovani come categoria unica senza alcuna distinzione tra giovani maschi e giovani femmine. Eppure ci sarebbe stato motivo per analisi e proposte diverse. In particolare si parla della differenza tra i due sessi (cap. 13 e 150) “che può essere un ambito in cui nascono forme di dominio, di esclusione e di discriminazione”. E basta!

Ma la particolare condizione di soggezione della donna, in particolare delle giovani, in gran parte del mondo perché sottoposte alla pesantezza del controllo maschile, famigliare e sociale? Non è una questione centrale e tipicamente a carico della donna? Questo stato di subalternità si manifesta a volte in vera e propria violenza, non solo sessuale, e fa parte del vissuto quotidiano. E come affrontare questo rapporto tra i due sessi anche tra i giovani? La differenza esige analisi, ipotesi e proposte che non compaiono nel documento conclusivo del sinodo.

Quanto agli abusi sessuali, argomento che più di tutti tocca i giovani, pare che al sinodo se ne sia parlato molto, ma nel documento conclusivo ci sono solo poche righe generali al cap. 29 che parlano di ogni tipo di abuso. Sinceramente non si capisce questa molto modesta trattazione in un documento così lungo e, a volte, sovrabbondante che si occupa dei giovani. Essi sono vittime degli abusi che avvengono sempre in ambienti cattolici (oratori, associazioni…) e usando della forte autorità che conferisce il ruolo del prete. È una questione centrale per la credibilità della Chiesa, che da essa è fortemente scossa proprio in questi tempi. C’è qualcosa che continua a non funzionare e che viene da troppo lontano.

Per capire, ci è stato ricordato che al sinodo del 1990 sulla formazione dei sacerdoti non ci fu neanche una parola sugli abusi e l’Esortazione postsinodale di papa Wojtyla (documento di 60.000 parole) ignora la questione; eppure si sa per certo che a Roma e nelle conferenze episcopali c’erano già centinaia di denunce ed erano in corso indagini. Come sono possibili cose di questo genere nella nostra Chiesa?

Una opinione complessivamente positiva, ma per riuscire a continuare. Queste osservazioni critiche, che meritano di essere discusse, precedono una prima valutazione generale del percorso sinodale che, per quanto mi riguarda, mi sembra complessivamente di tipo positivo su una tematica sulla quale, comunque, bisognerà macinare ancora a lungo analisi, dubbi, proposte, piste di ricerca.

Questa mia opinione tiene conto delle “difficoltà” di partenza di questo Sinodo che ho esposto all’inizio. Mi sembra positivo che si sia detto con convinzione che è necessario l’ascolto della realtà giovanile e che esso è spesso mancato, travolto dal sistema predicatorio e saccente di parti della nostra Chiesa. Poi le tante autocritiche esplicite contenute nel documento non dobbiamo considerarle di comodo. Mi sono sembrate sincere e quindi bisognerà “usarle” senza timidezza.

Le affermazioni sulla xenofobia e sul razzismo e sul rapporto da avere coi migranti sono un punto fermo collettivo, universale e molto importante, non sono solo parole di Francesco e dovrebbero contare nelle tensioni e nelle linee di tendenza che si stanno profilando nell’Europa di questi mesi.

Infine, è buona la decisione, che sicuramente il papa confermerà, di continuare il Sinodo nell’universo cattolico, dalle parrocchie ai movimenti, dagli episcopati agli ordini religiosi con metodo sinodale che coinvolga tutti a partire dalle donne, rispetto alle quali le proposte di attribuire loro poteri decisionali non deve restare lettera morta, come sperano invece i tanti clericali ovunque diffusi.

È’ anche positivo, in attesa della maturazione delle coscienze su questo problema, l’auspicio che ci siano in modo diffuso sedi di accompagnamento pastorale degli omosessuali (ora sono ancora molto poche). Bisogna poi prendere in parola l’affermazione che tante cose sulla sessualità devono essere approfondite e io penso anche che devono essere messe in discussione andando al di là di quanto dice il catechismo.

Una scommessa che non bisogna perdere. Certamente è una scommessa gestire una fase postsinodale che sia aperta al futuro in un momento così difficile per la Chiesa (come ha detto papa Francesco). Lentamente, troppo lentamente, sensibilità ed idee si fanno strada e la priorità data alla Parola di Dio può mettere in difficoltà i codici e le norme che rispettano il “sabato”, può spazzare via gli antagonismi e le diffidenze nei confronti dei cristiani delle altre confessioni, degli altri credenti e dell’uomo naturaliter religioso.

Le nuove generazioni sono immediatamente all’interno di queste sensibilità. L’universalità della Chiesa cattolica, che è apparsa particolarmente in questo sinodo (come ha detto il Card. Christoph Schönborn), deve, insieme a una sua nuova capacità di autoriformarsi radicalmente, servire all’umanità in questa fase di passaggio così tumultuosa ed in cui vecchi e nuovi fantasmi circolano nel mondo.

Noi Siamo Chiesa Roma, 31 ottobre 2018

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I giovani e i silenzi dei vescovi

Dopo quasi un mese di lavori, i partecipanti ad un Sinodo che, dal 3 ottobre 2018, ha visto a Roma, convocati da Francesco, 268 “padri”, quasi tutti vescovi, per riflettere su “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”, sabato sera hanno concluso la loro fatica, e ieri con una messa solenne si sono salutati, prima di ripartire per le loro diocesi, sparse nei cinque continenti. A casa si portano un Documento finale, composto da 167 paragrafi, votati ed approvati uno ad uno, che affronta praticamente tutti i problemi che oggi incombono sulla Chiesa cattolica, sia pure attraverso il prisma del loro impatto sulla gioventù, e sul mondo (pace, guerra, emigrazione, ecologia, diritti umani).

Questa vastità è la forza del testo, perché apre orizzonti amplissimi, che possono aiutare il giovane o la giovane che lo leggono ad uscire dai limiti angusti della propria vita; ma, anche, la sua debolezza, perché nessun problema sentito dalla gioventù pare veramente approfondito, dando risposte non scontate. In marzo vi era stata a Roma una riunione pre-sinodale dove oltre trecento giovani cattolici provenienti da tutto il mondo avevano espresso i loro desiderata per la riunione episcopale di ottobre. Di quella franchezza, poco è rimasto. Così, ad esempio, il Sinodo auspica che nelle comunità cristiane si favoriscano “cammini di accompagnamento nella fede di persone omosessuali”, invitandole ad “aderire con libertà e responsabilità alla propria chiamata battesimale” (paragrafo 150). Ma tace sul riferimento normativo dato da papa Wojtyla nel “Catechismo della Chiesa cattolica che, nel 1997, precisava: “Gli atti omosessuali sono contrari alla legge naturale e considerati ‘gravi depravazioni’ dalla Sacra Scrittura”.

E le donne nella Chiesa? “Emerge anche tra i giovani la richiesta che vi sia una loro maggior valorizzazione. Si auspica la partecipazione femminile ai processi decisionali ecclesiali nel rispetto del ruolo del ministero ordinato” (parr 55, 148). Sono auspici che i Sinodi ripropongono da quarant’anni; ma che sono stati ignorati anche in questo Sinodo dove nessuna donna ha potuto votare. Il documento finale insiste molto sulla “sinodalità” come stile ecclesiale permanente: quella di una Chiesa dove i problemi siano affrontati con un dialogo responsabile dall’intera comunità. In merito, si vedrà a livello di parrocchie e di diocesi la traduzione concreta delle proposte dell’Assemblea 2018. Prossimo appuntamento è, per l’ottobre 2019 a Roma, l’Assemblea speciale del Sinodo dei vescovi per la Regione Panamazzonica (Brasile, Perù e altri sette paesi).

In essa, due i temi “caldi”: la difesa dell’ecosistema del “polmone della terra” minacciato di distruzione da mani rapaci, e la possibilità di ordinare preti uomini maturi e già sposati. Questi dovrebbero seguire comunità sparse nella foresta in un territorio amplissimo dove assai rari sono i preti “latini” (celibi). Se la novità sarà approvata per laggiù, un giorno o l’altro essa sarà adottata anche dalle nostre parti.

Luigi Sandri “Trentino” 29 ottobre 2018

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201810/181029sandri.pdf

 

Sinodo sui giovani: tregua sui problemi spinosi

Tregua nella Chiesa cattolica romana: questo – a quanto pare – Francesco ha ottenuto con la celebrazione e le conclusioni dell’Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi convocato a Roma dal 3 al 28 ottobre2018 per riflettere su “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”. Infatti, tutti i temi potenzialmente deflagranti – per motivi teologici o pastorali – sono stati leniti, oppure espressi in modo tale da permettere interpretazioni liberanti, ma senza smentire formalmente nessuna norma proibitiva vigente.

La vigilia della chiusura del Sinodo i “padri” – erano 268, ma infine ne mancavano una ventina – hanno votato, uno per uno, i 167 paragrafi del “Documento finale”, il testo che raccoglie la sintesi di quasi un mese di lavoro: sempre con la maggioranza prescritta di almeno i due/ terzi dei presenti (e spesso quasi all’unanimità).

Esso insiste sulla “sinodalità” che sempre dovrebbe caratterizzare la vita della Chiesa: affermazione di principio importante, se davvero attuata.

Il testo tratta dei e delle giovani: ma l’angolazione scelta è servita per toccare – con un certo approfondimento, o solo di sfuggita – tutti i maggiori problemi del pianeta, e della Chiesa romana. E, dunque, pace, guerra, disuguaglianze sociali, cura del creato, difesa dei diritti umani, migranti, xenofobia, lavoratori, disoccupati; e, sul fronte intra-ecclesiale: vocazione al presbiterato o alla vita consacrata, al matrimonio o all’essere single, vite cristiane intessute di Vangelo, comunità cattoliche aperte al dialogo con tutti.

E, invitando i/le giovani a «dare il giusto valore alla castità», sulla sessualità afferma: «Esistono questioni relative al corpo, all’affettività e alla sessualità che hanno bisogno di una più approfondita elaborazione antropologica, teologica e pastorale, da realizzare nelle modalità e ai livelli più convenienti, da quelli locali a quello universale. Esistono già in molte comunità cristiane cammini di accompagnamento nella fede di persone omosessuali: il Sinodo raccomanda di favorire tali percorsi nei quali le persone sono aiutate ad aderire con libertà e responsabilità alla propria chiamata battesimale» [§ 149-150].

E qui, per affermare «la determinante rilevanza antropologica della differenza e reciprocità tra l’uomo e la donna» cita una lettera ai vescovi sulla cura pastorale delle persone omosessuali, scritta nel 1986 dall’allora cardinale Ratzinger, prefetto della Congregazione per la dottrina della fede. Un testo che, anche basandosi su una certa lettura delle Scritture, afferma: «È solo nella relazione coniugale [tra uomo e donna] che l’uso della facoltà sessuale può essere moralmente retto. Pertanto una persona che si comporta in modo omosessuale agisce immoralmente» (n. 7).

Nella sua panoramica, il Sinodo non poteva evitare la questione della donna nella Chiesa. «Emerge anche tra i giovani la richiesta che vi sia un maggiore riconoscimento e valorizzazione delle donne nella società e nella Chiesa… L’assenza della voce e dello sguardo femminile impoverisce il dibattito e il cammino della Chiesa, sottraendo al discernimento un contributo prezioso. Il Sinodo raccomanda di rendere tutti più consapevoli dell’urgenza di un ineludibile cambiamento» [§ 55]. E ancora: «Una Chiesa che cerca di vivere uno stile sinodale non potrà fare a meno di riflettere sulla condizione e sul ruolo delle donne al proprio interno. I giovani e le giovani lo chiedono con grande forza. Di particolare importanza è la presenza femminile negli organi ecclesiali a tutti i livelli, anche in funzioni di responsabilità, e della partecipazione femminile ai processi decisionali ecclesiali nel rispetto del ruolo del ministero ordinato» [§ 148].

Questo “grido” si ripete, di tanto in tanto, fin dal Sinodo del 1971 il quale propose l’istituzione di una commissione per approfondire il tema: Paolo VI la creò, ma finì nel nulla. Del resto è impossibile addentrarsi nell’argomento senza mettere in discussione radicale il “sacerdozio” (del resto proibito da papa Wojtyla alle donne), estraneo al pensiero di Gesù, per riflettere invece sui “ministeri” possibili a uomini e donne.

Un cambiamento cruciale che, con ogni evidenza, un Sinodo non può fare; solo un Concilio, composto da “padri” e da “madri”, lo potrebbe. Il che, oggi, a Roma non si vuole. Ma non si potrà in eterno evitare quello che è inevitabile. E benedetto.

Luigi Sandri “Confronti” novembre 2018

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201811/181102sandri.pdf

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UNIONE CONSULTORI ITALIANI PREMATRIMONIALE E MATRIMONIALI

Convocazione assemblea ordinaria

È convocata l’Assemblea Ordinaria dell’UCIPEM ex art. 9 dello statuto presso la Sala Polifunzionale Gianna Donati in corso Diaz n. 111– Forlì in prima convocazione alle ore 8 e in seconda convocazione alle ore 11 di sabato 10 novembre 2018 con il seguente ordine del giorno:

  1. Ore 11 Relazioni di aggiornamento:

  1. I consultori UCIPEM e il Regolamento Europeo UE 2016/679 GDPR General Data ProtectionRegulation: Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (Privacy).

avv. Luisa Solero, membro del Consiglio Direttivo, RAG. Vanni Gibello, Revisore dei conti

  1. I consultori UCIPEM e la legge sul terzo settore.

avv. Emanuela Elmo, membro del Consiglio Direttivo.

  1. Ore 13,00 Colazione di lavoro con visita della nuova sede della Segreteria in corso Diaz 49.

  2. Ore 14,00 Approvazione del verbale dell’assemblea del 2017.

  3. Ore 14,15 Relazione del Presidente.

  4. Ore 15,00 Relazione del Collegio dei Revisori dei conti.

  5. Ore 15,30 Ammissione nuovi consultori:

  1. Termoli (Campobasso) Centro di aiuto alla famiglia “Amoris Lætitia”

  2. Napoli Spazio famiglia “Nina Moscati” APS

  3. Collegno (Torino)

7. Ore 15,45 Varie ed eventuali.

www.ucipem.com/it/index.php?option=com_content&view=article&id=715:ucipem-nazionale-convocazione-assemblea-ordinaria-10-novembre-2018&catid=9&Itemid=136

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