UCIPEM Unione Consultori Italiani Prematrimoniali e Matrimoniali
NewsUCIPEM n. 725 – 28 ottobre 2018
Unione Consultori Italiani Prematrimoniali E Matrimoniali
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02 ADOZIONE INTERNAZIONALE Adozione internazionale e politica.
03 5 nuovi strumenti per salvare l’adozione internazionale in Italia.
03 La regione Friuli Venezia Giulia vuole semplificare l’iter adottivo.
04 Vacanze preadottive, strumento per avvicinarsi all’adozione?
06 ADOZIONI Dichiarazione stato di abbandono del minore e Idoneità coniugi.
06 AFFIDO CONDIVISO Anche Lecce conferma le linee-guida di Brindisi.
07 CENTRO INTERN. STUDI FAMIGLIA Newsletter CISF – n. 34, 24 ottobre 2018.
09 CHIESA CATTOLICA Se la Chiesa scommette sui vescovi.
09 COMUNIONE DEI BENI Vantaggi.
10 La separazione può salvare parte del patrimonio dai creditori.
10 CONSULENZA COPPIA E FAMIGLIA Rinnovo delle cariche nell’AICCeF
10 Sintesi dei contenuti dei laboratori nella Giornata di studio a Trevi
12 CONSULTORI UCIPEM Viadana. Convegno su Violenza in famiglia
13 DALLA NAVATA 30° Domenica – Anno B –289 ottobre 2018.
13 Siamo anche noi ciechi e mendicanti, come Bartimeo p. E. Ronchi.
13 DIRITTO DI FAMIGLIA Ddl Pillon, affido condiviso o affido paritario.
14 Quel “pasticciaccio brutto” della riforma dell’affido condiviso.
18 EMBRIONE Nuovo Essere Umano fin dal concepimento.
20 FORUM ASS.ni FAMILIARI Dall’Opzione donna all’opzione mamma, proposta per L. Bilancio.
21 FRANCESCO VESCOVO DI ROMA Catechesi sui Comandamenti: Non commettere adulterio.
21 L’essere umano ha bisogno di essere amato senza condizioni”.
21 Serve “vero catecumenato” per matrimonio.
22 MATERNITÀ Congedo retribuito per la madre lavoratrice
22 NULLITÀ DEL MATRIMONIO La nullità può essere dichiarata anche dopo 27 anni.
23 OMOFILIA Un ponte tra la Chiesa e le persone LGBT
24 PROCREAZIONE ARTIFICIALE Diagnosi preimpianto: tra diritto alla salute e libertà di coscienza.
27 SINODO DEI VESCOVI SUI GIOVANI I messaggi. Insegnare come si naviga oltre la linea d’ombra.
28 Chiesa, giovani, famiglia. Il legame tra i due Sinodi.
28 Nel documento finale anche il tema della lotta agli abusi.
30 Sinodo, oggi il documento finale. Domani la chiusura.
30 La Chiusura del Sinodo sui giovani.
31 Il discorso di papa Francesco alla Messa di chiusura del sinodo.
32 Lo stile sinodale” ha detto il Papa, è il primo frutto del Sinodo.
32 I giovani e l’impegno nel mondo: ecco il testo finale del Sinodo.
33 Documento finale del Sinodo dei Vescovi sui Giovani.
34 Documento del Sinodo 2018: prima spigolatura su liturgia e donna
35 Nel rispetto del ruolo del ministero ordinato: una questione.
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ADOZIONE INTERNAZIONALE
Adozione internazionale e politica
In un Paese come il nostro, immerso in un inverno demografico in cui non si riescono a cogliere segnali di disgelo, i circa 1.200 minori che quest’anno diventeranno italiani grazie all’adozione internazionale dovrebbero rappresentare non solo una gran bella notizia sul piano umano, ma anche un dato di grande interesse “politico”. E accanto a tutti gli interventi possibili – ma al momento ancora rinviati e, dunque, inesistenti – per rialzare di qualche punto il deprimente tasso di natalità, si dovrebbero decidere azioni radicali per rovesciare la tendenza che negli ultimi anni ha visto il crollo dell’adozione internazionale.
Ma c’è un altro elemento, forse ancora più importante, che dovrebbe convincere la politica a schierarsi accanto alle “famiglie-coraggio”. È il loro senso di generosità sociale, di solidarietà vera e profonda, quel sentimento che sollecita queste madri e questi padri a investire risorse importanti – spesso indebitandosi – per regalare speranza a chi l’ha smarrita. Innanzi tutto al bambino a cui, dopo iter lunghissimi e faticosi, apriranno le porte di casa. Poi al loro legittimo desiderio di genitorialità, tanto più lodevole perché inquadrato in una logica di altruismo in cui il figlio non diventa mai “diritto” da pretendere a ogni costo, ma rimane dono da cercare con disponibilità anche all’accoglienza del “diverso” e, oggi sempre più spesso, della fragilità e della malattia.
E poi c’è, non ultima, la ricchezza rappresentata dalle famiglie adottive sul piano della crescita civile, della rimozione sociale dei pregiudizi razziali, dell’integrazione dal basso. Quei volti di piccoli di origine asiatica, africana, latinoamericana, sorridenti tra una mamma e una papà italiani, sono il richiamo più potente al dovere e alla bellezza della fratellanza universale, mai così affievolita in un’Italia in cui i bambini immigrati possono anche rimanere fuori dalla mensa scolastica in base a regolamenti capziosamente modellati per attuare, dissimulandola, pura e semplice discriminazione.
Ecco perché, se la politica fosse totalmente e integralmente mezzo per la realizzazione del bene comune, un tema come le adozioni internazionali dovrebbe essere ai primi posti nell’elenco delle priorità. E anche in questi giorni convulsi di manovra, un presidente del Consiglio o almeno un ministro competente, dovrebbero trovare il tempo di ascoltare la voce delle associazioni, degli enti autorizzati, degli esperti del settore.
Tutti coloro insomma che ieri si sono ritrovati a Firenze, per un convegno che è stato anche l’occasione per lanciare alla politica un grido d’aiuto. Peccato che, come in Italia succede ormai da troppi anni, la politica abbia deciso di non ascoltare o forse di non voler capire.
Purtroppo senza una guida politica competente e consapevole l’adozione internazionale rischia di avanzare con le ruote sgonfie. Nonostante la gestione appassionata e prudente della vicepresidente della Cai (Commissione adozioni internazionali), il magistrato Laura Laera – capace in poco più di due anni di rimettere a pieno regime una struttura indebolita dalle calcolate stranezze della precedente gestione – esistono ambiti in cui l’amministrazione non può fare a meno del sostegno politico. Al momento di siglare accordi con i Paesi da cui provengono i bambini per esempio, ma anche nelle situazioni di crisi, quando Paesi tradizionalmente ‘generosi’ decidono improvvisamente di chiudere le frontiere.
Vedi il caso Etiopia nei mesi scorsi o del Congo un paio d’anni fa. Formalmente la presidenza della Cai spetta al presidente del Consiglio che, come spesso avvenuto, assegna l’incarico al ministro (o sottosegretario) alla Famiglia. Soluzione che non sembra voler percorrere Conte, nonostante il sostanziale disinteresse finora mostrato dalla Presidenza del Consiglio per il pianeta adozioni. Si può sperare in una svolta? Si può, anche se la ragione induce a non farsi illusioni.
Ma senza interventi immediati non solo saranno sempre minori le possibilità per far incontrare possibili mamme e papà italiani con i 140 milioni di minori che nel mondo sono senza genitori, ma non potranno essere neppure liberate le risorse umane, la ricchezza sociale, le speranze di futuro nascoste nel cuore di questo mondo straordinario. E avremo perso un’altra occasione per costruire un Paese migliore. Come si fa a rassegnarsi? No, non si deve.
Luciano Moia Avvenire 20 ottobre 2018
www.avvenire.it/opinioni/pagine/un-segno-necessario
Adozione. Griffini “5 nuovi strumenti per salvare l’adozione internazionale in Italia”
Oggi, il mondo delle adozioni è profondamento cambiato e il bisogno di protezione di 140milioni di minori nel mondo privi di cure genitoriali ci impone di esplorare nuove forme di adozione. “Nuovi strumenti da affiancare all’adozione sono necessari” dice Griffini che lancia le 5 frontiere della riforma delle adozioni.
Nuove forme di adozione, è questo il tema – e la sfida – che ha animato il convegno di Firenze di venerdì 19 ottobre 2018 “L’accoglienza di bambini in stato di abbandono nel mondo: strumenti giuridici a confronto” organizzato dalla CAI e dall’Istituto degli Innocenti.
Laura Laera, vicepresidente CAI, nel ricordare l’impegno della commissione per riallacciare i rapporti con molti Paesi di origine e dar seguito ad accordi bilaterali firmati e rimasti inattivi per inadempienza e disinteresse della precedente gestione CAI, ha invitato a “provare a immaginare, e lo dico rivolgendomi ai molti colleghi dei tribunali dei minorenni presenti nuove formule di flessibilità.”
Riportando l’esempio della Bielorussia, con 1140 bambini adottati, Laera ha ricordato che “molti di questi percorsi adottivi sono cominciati nella formula dei soggiorni terapeutici che ha portato alla costruzione di percorsi adottivi di successo”.
Stefania Congia, dirigente della Divisione di Politiche d’integrazione sociale e lavorativa dei migrati e tutela dei minori stranieri presso il ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, facendo il punto sui minori accolti temporaneamente in Italia nell’ambito dei programmi solidaristici di accoglienza, si sofferma sull’impasse normativo “finora ci siamo mossi sull’assoluta incompatibilità tra questi programmi (solidaristici) e le adozioni, ma la domanda da porsi è se questo ha ancora senso, visto che in alcuni Paesi la procedura di adozione e invece proceduta proprio da queste esperienze”.
In 17 anni, dal 2000 al 2017 sono stati oltre 560 mila i minori che hanno soggiornato nel nostro paese – da nord a sud, isole comprese – grazie all’impegno di famiglie volontarie italiane residenti nel 70% dei casi in piccoli comuni. 10 mila solo nel 2017.
Secondo Griffini, presidente di Amici dei Bambini, “c’è oggi un problema a livello mondiale, molti Paesi chiudono le adozioni internazionali perché non hanno alternative, la comunità internazionale dovrebbe offrire loro strumenti per creare un sistema organico di aiuti all’infanzia abbandonata”.
Per Griffini sono cinque le nuove frontiere dell’adozione: l’adozione aperta, adozione del concepito (ovvero l’adozione di un bambino già durante la gravidanza della madre), adozione europea, kafala e vacanze preadottive.
Su questo fronte Ai.Bi. già nel 2014 aveva avviato la collaborazione con l’Istituto Colombiano de Bienestar Familiar (ICBF), l’ente centrale per le adozioni della Colombia: due-tre settimane di soggiorno in famiglia, per bambini grandi e adottabili, in famiglie in possesso di decreto di idoneità, per conoscersi reciprocamente. La Colombia recentemente ha ripreso il progetto e rispetto al passato è disponibile a pagare le spese di viaggio per il minore e per un accompagnatore. Lo sta facendo già con USA e Francia e sta chiedendo da mesi di farlo in Italia. I dati dicono che 7-8 ragazzini su 10 vengono adottati,
“Nuovi strumenti da affiancare all’adozione sono necessari” – continua Griffini – “perché ci sono tante emergenze: l’aborto, i bambini grandi, i minori non accompagnati, emergenze dovute a guerra, catastrofi.
Tutti strumenti che rispondono alla necessità di protezione del minore e recuperano quel concetto per cui dare una famiglia a un bambino è un atto di giustizia, che è alla base dell’adozione stessa”
News Ai. Bi. 22 ottobre 2018
www.aibi.it/ita/adozione-griffini-nuovi-strumenti-per-adozione-internazionale-in-italia
La regione Friuli Venezia Giulia vuole semplificare l’iter adottivo. Firmato il Protocollo
Al via il tavolo di coordinamento regionale e linee guida per agevolare le adozioni nazionali e internazionali. È questo l’obiettivo del protocollo di intesa siglato oggi tra Regione, Aziende per l’assistenza sanitaria, Ufficio scolastico regionale, Tribunale per i minorenni e i 7 Enti autorizzati attivi sul territorio, tra cui Amici dei Bambini.
“Un esempio della giusta alleanza che si deve formare tra istituzioni e realtà operanti sul territorio. Uno strumento che permette al Friuli Venezia Giulia di fissare dei punti fermi e semplificare le procedure adottive.” – secondo il vicegovernatore Riccardo Riccardi.
“Il protocollo riunisce le istituzioni e le associazioni che in regione si occupano di adozioni nazionali e internazionali e individua procedure e percorsi per semplificare e snellire l’iter burocratico, in particolare per quanto concerne l’ambito internazionale” ha spiegato il vicegovernatore del Friuli Venezia Giulia con delega alla Salute.
In un ambito tanto delicato e importante come quello delle adozioni nazionali e internazionali “il dialogo tra i soggetti istituzionali e le associazioni è il presupposto fondamentale per affrontare situazioni complesse come quelle collegate alle adozioni. Si tratta di iter articolati nei quali è fondamentale tenere conto sia del benessere dei bambini sia delle famiglie che, troppo spesso, devono attendere a lungo per raggiungere un traguardo importante come quello dell’adozione” ha specificato.
Il testo, predisposto nell’ambito di un tavolo di lavoro coordinato dalla direzione regionale Salute a cui hanno partecipato il presidente del Tribunale per i minorenni, un referente dell’Ufficio scolastico Fvg, rappresentanti dei Consultori familiari delle Aziende per l’assistenza sanitaria e referenti degli enti autorizzati presenti in regione con sede operativa attiva, tra cui appunto Ai.Bi. Associazione Amici dei Bambini, ha l’obiettivo di implementare la cultura di accoglienza e solidarietà in materia di adozione e di prevedere un sistema integrato di servizi a sostegno delle coppie nel loro percorso adottivo.
Nel documento si affrontano tutte le fasi del procedimento adottivo: dall’informazione e formazione alla presentazione della domanda di adozione al tribunale, dalla valutazione di idoneità all’adozione internazionale al conferimento dell’incarico all’ente autorizzato e il tempo dell’attesa, dall’incontro della coppia con il minore alla fase preadottiva fino all’origine di una nuova famiglia e al post adozione.
E’ prevista, inoltre, l’attivazione di un Tavolo di coordinamento regionale, che si incontrerà periodicamente e permetterà di rendere più trasparente e fattiva la cooperazione tra i soggetti aderenti e assicurerà il monitoraggio delle situazioni più complesse.
“Questo protocollo rappresenta un esempio della giusta alleanza che si deve formare tra istituzioni e realtà operanti sul territorio. Uno strumento che permette al Friuli Venezia Giulia di fissare dei punti fermi e semplificare le procedure adottive.” – ha dichiarato il vicegovernatore Riccardo Riccardi, assicurando che – “la Regione continuerà il proprio impegno in questo settore a fianco delle associazioni” per migliorare ulteriormente i servizi a supporto dei cittadini.
News Ai. Bi. 24 ottobre 2018
www.aibi.it/ita/adozioni-friuli-vuole-semplificare-adozione-protocollo
Vacanze preadottive, un nuovo strumento per avvicinarsi all’adozione?
L’intervento di Pietro Ardizzi, portavoce del coordinamento di enti autorizzati Oltre l’adozione, al convegno promosso dalla Commissione Adozioni Internazionali venerdì 10 ottobre 2018, nell’ambito della tavola rotonda “Le nuove sfide dell’adozione internazionale: il punto di vista degli operatori”
Le adozioni internazionali sono profondamente mutate, per caratteristiche dei minori in stato di adottabilità, per fattori politici economici e sociali dei Paesi di origine, per la crisi economica mondiale, per il consistente calo delle coppie che scelgono il percorso dell’adozione internazionale nei Paesi di accoglienza e per il ricorso delle coppie alle nuove tecnologie procreative.
Il “sistema Italia”. Il “sistema-Italia” delle adozioni internazionali, costruito dal 2000 ad oggi, è ancora apprezzato dalla comunità internazionale. Dal 2014 al 2017 ha vissuto un triennio di gravi difficoltà che ha iniziato a superare lo scorso anno, con l’insediamento dell’attuale Commissione per le Adozioni Internazionali.
La normativa in vigore individua nella CAI (Autorità Centrale), negli EEAA, nei Tribunali per i minorenni e nei Servizi Sociali gli attori principali del sistema. Il nuovo scenario dell’adozione internazionale e le sue sfide oggi si possono affrontare a condizione che il “sistema-Italia” sia pienamente funzionante.
Il suo pieno funzionamento esige la massima collaborazione e sinergia fra i soggetti istituzionali designati, ciascuno con il proprio ruolo e funzione che la legge gli assegna, valorizzando gli strumenti dedicati che l’esperienza di 18 anni ha prodotto, compresi gli incontri di formazione nazionale, promossi dalla CAI, per gli attori del sistema.
Per i cambiamenti quantitativi e qualitativi delle adozioni internazionali che oggi si registrano, il sistema deve trovare un nuovo punto di sostenibilità attraverso la sua riorganizzazione.
- La legge vigente dopo 20 anni di applicazione necessita di aggiornamenti, miglioramenti e semplificazioni procedurali, così come necessita di chiarire e definire la vera natura giuridica dell’ente autorizzato, ora organismo privato incaricato di pubblico servizio.
- Anche le Regioni sono chiamate a collaborare al sistema. Dal 2000 ad oggi solo il 50% delle Regioni ha realizzato un Protocollo operativo. Urge una modifica che assicuri alle coppie utenti un minimo di servizi uguali in tutte le Regioni, le Regioni più virtuose offriranno servizi ulteriori. ?
- Altrettanto auspicata da più parti è una razionalizzazione degli EEAA con l’obiettivo di una maggior qualità dei servizi resi alle coppie ed una omogenea presenza sia sul territorio italiano che nei Paesi di origine dei minori. ?
- La trasparenza, la legalità, l’etica dell’adozione sono, oggi ancora più di ieri, valori fondamentali ed irrinunciabili che richiedono l’impegno di tutti gli attori e collaboratori del percorso adottivo.
Il post adozione. È opinione condivisa che le adozioni internazionali diventano sempre più “impegnative”. Il periodo post adozione deve essere affrontato e trattato come parte integrante del percorso adottivo, non riducibile alle relazioni periodiche per i Paesi di origine. La delicatezza e la complessità di questa fase esige un vero e proprio accompagnamento e sostegno nel lungo periodo, le famiglie non devono essere lasciate sole. Occorrono investimenti e formazione che favoriscano la piena sinergia tra pubblico e privato (enti autorizzati, associazioni familiari, servizio sanitario nazionale) per realizzare una vera e propria rete che accompagni le famiglie anche ad interventi specialistici a costi contenuti con l’uso di voucher o attraverso convenzioni.
Il rapporto con i paesi di origine. Le relazioni fra Paese di accoglienza e Paese di origine sono di vitale importanza per il processo adottivo. Nel pieno rispetto del quadro politico e diplomatico di ciascun Paese, le rispettive Autorità competenti per le adozioni internazionali è necessario che promuovano una costante interlocuzione ed un franco dialogo, condizioni imprescindibili per una continua e fattiva collaborazione a favore dei minori bisognosi di una famiglia. Gli Enti hanno per il loro ruolo hanno impegno di stabile presenza e di cooperazione nei Paesi di origine, attività preziosa ma che non può sostituire funzioni e compiti propri delle Autorità competenti.
Nell’applicazione e adempimento della Convenzione de l’Aja del 1993, l’attività di cooperazione mirata alla prevenzione dell’abbandono che ogni Ente è chiamato a fare resta un compito fondamentale. Occorre riprendere, curare e favorire questa attività relativa ai progetti di cooperazione nei Paesi di provenienza anche con investimenti e strumenti specifici (bandi) con la guida del Ministero degli Affari Esteri e della cooperazione internazionale.
Il rilancio. Alle cause che hanno portato al mutamento delle adozioni internazionali va aggiunta la perdita della cultura dell’accoglienza ed in particolare dell’adozione. Occorre una campagna di comunicazione che rilanci e promuova la cultura dell’adozione internazionale in tutti gli ambiti. Un’azione comunicativa delle istituzioni e del privato sociale per comunicare, con gli strumenti più idonei, la bellezza dell’adozione e non solo esclusivamente le criticità o gli insuccessi.
La genitorialità adottiva è l’unica forma di genitorialità in cui i genitori si fanno carico di tutti costi, diversamente dalle altre forme. Occorre un aiuto economico alle coppie adottive che sia un segnale forte e chiaro di sostegno all’adozione e di cammino verso la gratuità. Per questo riproponiamo, come pubblicamente facemmo a febbraio scorso a tutte le forze politiche: “il contributo adozione” di 10.000 euro ad ogni coppia alla conclusione della procedura, secondo fasce di reddito. ?
Le nuove possibilità. L’attuale scenario delle adozioni internazionali ed il suo andamento spinge a considerare, valutare e studiare nuove forme di risposta per quei bambini, che da lungo tempo in istituto, non hanno trovato famiglia che potesse accoglierli.
Come per esempio: le vacanze preadottive. È un progetto dell’ICBF (Autorità Centrale della Colombia) che propone ai bambini sopra i 10 anni un periodo di vacanza (2 – 4 settimane) in famiglie accoglienti in vista della possibile adozione. Sia i minori che le famiglie che accolgono vengono preparati per questa esperienza che è guidata, assistita e valutata da professionisti dell’ICBF, che si fa carico delle spese di viaggio nel proprio paese e del viaggio internazionale. Il progetto ovviamente deve essere condiviso e monitorato anche dalla CAI
Altre possibilità possono essere:
- L’adozione aperta (o mite);
- L’affido internazionale propedeutico all’adozione o semplicemente affido “sine die”;
- L’adozione europea.
Forme e percorsi che vanno approfonditi perché possano diventare progetti concreti. Ma l’adozione internazionale, pur con tutte le sue difficoltà, è e resta uno strumento prioritario. Ancora oggi l’adozione internazionale mostra tutta la sua bellezza ed il suo altissimo valore umano, sociale e culturale, sia personale che pubblico.
ù È e resta un “bene per tutti”. Per questo la prima sfida è credere nell’adozione internazionale, continuare a crederci veramente.
Pietro Ardizzi per gli Enti del Coordinamento “Oltre l’Adozione” e gli Enti del Gruppo.
Vita.it 22 ottobre 2018
www.vita.it/it/article/2018/10/19/bambini-abbandonati-e-un-dovere-esplorare-nuovi-strumenti-da-affiancar/149454
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ADOZIONI
Necessari la dichiarazione dello stato di abbandono del minore e l’idoneità dei coniugi ad adottare.
Desideri adottare un bimbo ma non sai come muoverti nella giungla delle leggi italiane ed internazionali? E’ giusto che tu sappia che in Italia esiste una legge specifica [1] secondo cui l’adozione è consentita a coniugi uniti in matrimonio da almeno tre anni, o per un numero inferiore di anni se gli stessi dimostrano di aver convissuto in modo stabile e continuativo prima del matrimonio per almeno tre anni. Questa condizione vale tanto per l’adozione nazionale, quanto per quella internazionale, ma vediamo nello specifico i requisiti necessari e come fare.
1 Domanda di adozione nazionale: requisiti e modalità per presentarla
2 Modalità di presentazione
3 Requisiti per presentare la domanda di adozione di minori stranieri
4 Iter burocratico
Continua La legge per tutti 29 ottobre 2018
www.laleggepertutti.it/244081_adozioni-qual-e-il-percorso
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AFFIDO CONDIVISO
Affido condiviso: anche Lecce conferma le linee-guida di Brindisi
Passa innanzi alla Corte d’appello di Lecce, la sostanza dell’affidamento condiviso così come letto dal Tribunale di Brindisi, smentendo la decisione del giudice di prime cure, allineata con la prassi ancora dominante. www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_32143_1.pdf
La decisione della Corte d’Appello di Lecce in ogni suo passaggio presenta elementi esemplari, di significativa valenza ai fini della comprensione delle posizioni che si confrontano attualmente nell’ambito del diritto di famiglia. Esordisce, infatti, a suo tempo il giudice di prime cure respingendo la richiesta di affidamento paritetico avanzata da una coppia di genitori con una motivazione che non invoca difficoltà specifiche e particolari, ma enunciando una affermazione di principio valida in assoluto: “le condizioni indicate in ricorso inerenti le modalità di svolgimento del diritto di visita laddove le parti hanno convenuto di alternare le permanenza dei minori presso la loro casa per un periodo di una settimana ciascuno non risultano confacenti agli interessi di minori”.
Ossia, in generale, non di quei minori. Il tutto utilizzando termini, come il “diritto di visita”, appartenenti culturalmente a quel regime dell’affidamento esclusivo per alcuni così difficile da superare.
Verso un affido realmente condiviso. A questa visione arcaica – ma purtroppo diffusissima presso il sistema legale – si contrappone la modernità di pensiero, di termini e di concetti esibita dalle parti, secondo le quali la ratio legis di un affidamento realmente condiviso prevede proprio la pari responsabilità dei genitori e il loro paritario impegno come modello da praticare in via ordinaria. Il che sta anche a dimostrare che l’affidamento condiviso non è legge calata dall’alto su una popolazione impreparata, come spesso si sostiene, ma, all’opposto, fermamente voluta dal basso, per non dire imposta dal sistema reale al sistema legale. Sistema che, come dimostra il caso di Lecce, continua a resistere con l’obsoleto argomento della stabilità abitativa, oltre tutto inconsistente perché contraddetto nei fatti dai regimi tradizionalmente applicati dei fine settimana alternati e delle “visite” infrasettimanali, che creano ben più pendolarità di quello a settimane alternate.
E’, quindi, altamente significativo e apprezzabile nella decisione della Corte di Appello proprio il passaggio in cui si contesta, in via del tutto generale, che la collocazione paritaria possa essere di nocumento ai figli. Una prima affermazione sviluppata poi nel seguito, sostenendo che quel regime “anzi appare piuttosto una scelta auspicabile perché meglio risponde agli interessi dei figli ed allo spirito della bigenitorialità della l. 54/2006, suddividendo in modo equilibrato le responsabilità specifiche e la permanenza presso ciascun genitore, mantenendo inalterata la genitorialità di entrambi e tutelando la relazione genitoriale con i figli per garantire ai minori un rapporto continuativo ed equilibrato con ciascun genitore”.
Le linee guida di Brindisi. Una presa di posizione che ovviamente, data anche la vicinanza geografica, conferma in pieno le linee guida del Tribunale di Brindisi, che analoghi concetti aveva espresso, al termine di un’accurata analisi svolta da un gruppo di lavoro. Tutto lascia pensare, quindi, che questa scelta non sia occasionale, ma rappresenti un orientamento costante della Corte di Appello di Lecce, che si spera presto imitato da altri simili organi giudicanti.
Innegabilmente, inoltre, questa decisione dà anche supporto, quanto mai tempestivamente, agli obiettivi del progetto di riscrittura al quale sta lavorando il Senato, anche se attraverso approcci sensibilmente diversi. In particolare, il regime di una perfetta pariteticità legale tra i genitori previsto nel provvedimento supporta il modello (di cui ai Ddl 768 e 782 e alla Pdl 942) che attraverso la loro pari dignità giuridica assicura ai figli un regime pienamente flessibile, di pari opportunità nel rapporto con essi, in modo da poter godere di volta in volta di quanto di più utile ciascuno possa offrire.
Marino Maglietta News Studio Cataldi 15 ottobre 2018
www.studiocataldi.it/articoli/32143-affido-condiviso-anche-lecce-conferma-le-linee-guida-di-brindisi.asp
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CENTRO INTERNAZIONALE STUDI FAMIGLIA
Newsletter CISF – n. 34, 24 ottobre 2018
v Presentazione della carta dei diritti dei figli nella separazione. Un contributo serio, non ideologico, che si inserisce con pacatezza ed equilibrio nell’infuocato dibattito sulla possibile riforma delle norme sull’affidamento condiviso. L’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, Filomena Albano, presenta la Carta dei diritti dei figli nella separazione dei genitori.
www.garanteinfanzia.org/landing2/Libretto.pdf
Dieci punti fermi che individuano altrettanti diritti di bambini e ragazzi alle prese con la decisione dei genitori di separarsi. (video di presentazione 3’ 51’’) www.garanteinfanzia.org/landing2/Libretto.pdf
v Come misurare il valore del lavoro domestico non retribuito. (Guide on Valuing Unpaid Household Service Work). Il valore del lavoro di cura, relazioni e produzioni di beni e servizi per la vita quotidiana svolto gratuitamente all’interno delle famiglie è certamente difficile da misurare, e troppo spesso non viene assolutamente considerato come parte integrante della ricchezza di un Paese (non entra – purtroppo – nei conteggi del PIL). Eppure a livello internazionale cresce l’attenzione alla sua misurazione (anche in termini economici). Il presente documento, realizzato dall’UNECE (la Commissione Economica delle Nazioni Unite dedicata all’Europa, una delle cinque articolazioni geografiche dell’ECOSOC) offre un’interessante e compiuta sintesi dello stato dell’arte della ricerca scientifica sul tema del valore del lavoro casalingo non retribuito e della sua misurazione: in particolare:
- Discute il concetto di lavoro di servizio domestico (casalingo) non retribuito;
- Discute le problematiche metodologiche e l’implementazione dei metodi di misura;
- Affronta le sfide connesse alla misurazione della quantità di lavoro realizzato e di conseguenza alla sua valutazione
- Descrive esempi, in alcuni contesti nazionali, di misurazione del lavoro di autoproduzione di servizi;
- Offre alcune raccomandazioni e suggerimenti per ulteriori ricerche”.
www.unece.org/fileadmin/DAM/stats/publications/2018/ECECESSTAT20173.pdf
v Adozione internazionale e Procreazione medicalmente assistita: le disparità di trattamento. Interessante questo testo (Francesco Bianchini), che confronta il trattamento giuridico di due modalità molto differenti di rispondere al tema della “mancata genitorialità”: da un lato l’adozione internazionale, sostanzialmente penalizzata e lasciata a carico di chi decide di realizzarla; dall’altro la forte spinta, spesso colorata di forti connotazioni ideologiche (e di interessi economici), a promuovere interventi medicalmente assistiti, spesso senza confrontarsi con le oggettive questioni etiche sollevate.
https://www.diritto.it/adozione-internazionale-le-disparita-trattamento
v Un concorso di reale mutua per progetti sui caregivers. Quest’anno il concorso per progetti innovativi “Welfare Together” si dedicherà al tema dei caregiver. Questa edizione (la terza), dal titolo “Prendersi cura di chi cura: i Caregivers” “…vuole porre l’attenzione sulle persone che assistono regolarmente un proprio familiare non autosufficiente e si dedicano a tempo pieno alla cura di chi non è più autonomo in famiglia. La call for ideas cerca progetti in grado di alleggerire il carico dei caregiver attraverso: misure di sostegno economico, soluzioni di conciliazione vita-lavoro, sostegno psicologico, servizi di informazione e di telemedicina per l’invio e il monitoraggio a distanza dei dati dell’assistito, forme di assistenza domiciliari sostitutive o integrative, network di persone per favorire il confronto e il sostegno”. Ai 5 progetti finalisti del Concorso verrà garantito un percorso di tutorship per la realizzazione di un vero e proprio business plan e servizi di pre-incubazione in un workshop della durata di 3 giorni in collaborazione con Make a Cube, primo incubatore e acceleratore in Italia specializzato in imprese ad alto valore sociale, ambientale e culturale. Il Progetto vincitore riceverà 20.000 euro a fondo perduto e servizi di incubazione del valore di 10.000 euro finalizzati alla costituzione della propria startup, oltre alla possibile partecipazione in equity di Reale Mutua, fino ad un investimento di 1 milione di Euro. Termine per la presentazione delle domande: 31 gennaio 2019.
www.realemutua.it/welfaretogether
v Sei mia. Un amore violento. Presentazione del recente volume di Eleonora De Nardis. Su un tema così complesso e drammatico, come la violenza all’interno di una relazione d’amore, spesso la narrazione di un romanzo riesce a raccontare meglio e più in profondità quanto può succedere. Il breve filmato qui allegato, riferito ad una presentazione tenutasi a Roma a settembre, consente di comprendere meglio le caratteristiche del volume, e soprattutto aiuta a non dimenticare un tema di scottante attualità. www.aracne.tv/video/sei-mia.html?s=fbmicso&e=517
www.bordeauxedizioni.it/prodotto/sei-mia
v Save the date
- Nord Oltre la competenza, quali virtù? Una prospettiva deontologica per lo sviluppo di Buone pratiche, incontro formativo per operatori sociali promosso da METE noprofit (richiesti crediti formativi per assistenti sociali), Milano, 12 novembre 2018.
https://metenoprofit.org/wp-content/uploads/2018/09/programma-Seminario-12-novembre-2018.pdf
- Le relazioni in famiglia: 20 ore per comunicare meglio, presentazione del corso promosso dall’associazione di Volontariato chicercatrova Onlus, Torino, 26 ottobre 2018.
www.chicercatrovaonline.it/files/pdf/locandina%20per%20corso%20relazioni%20in%20famiglia.pdf
Centro Disability e Diversity Management: Ricerche, Esperienze e Prospettive a Confronto, promosso da Abilitando, Roma, 22 novembre 2018.
http://abilitando.it/eventi/wp-content/uploads/2018/10/programma-convegno.pdf
- Sud Facilitazione di classe. Strumenti base di facilitazione e partecipazione, corso di formazione per docenti di ogni ordine e grado accreditato MIUR, in collaborazione con il Centro di Orientamento “Don Bosco” di Andria, promosso da Edizioni La Meridiana, San Vito dei Normanni (Br), 30 ottobre, 13 novembre, 29 novembre, 11 dicembre 2018.
www.edizionilameridiana.it/wp-content/uploads/2018/10/corso-FACILITAZIONE-DI-CLASSE_2018.pdf
- Estero Guidelines and Standards and Rules, Oh My!, 13th Symposium on Child Custody (Linee Guida, Standard, Regole. Oh mio! 13.o Simposio sull’affidamento dei minori), convegno promosso da AFCC (Association of Family and Conciliation Courts), Denver (USA), 8-10 novembre 2018
http://files.constantcontact.com/6beb60a3701/3f345eb0-f131-4595-bbc7-77fff3283611.pdf
Iscrizione alle newsletter http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/newsletter-cisf.aspx
Archivio http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/elenco-newsletter-cisf.aspx
http://newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/ottobre2018/5096/index.html
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CHIESA CATTOLICA
Preludio al Concilio e al Pontificato: Paolo VI nel 1963
Paolo VI, appena eletto, pronunciò questo grande discorso all’inizio della II Sessione del Concilio Vaticano II (29 settembre 1963).
Egli stesso lo intese come “programma del suo pontificato”.
Merita una accurata lettura, il giorno dopo la canonizzazione.
Vi si trovano le linee di interpretazione del Concilio e del Pontificato, con una chiarezza che non avrà eguali lungo tutto il seguito del suo ministero.
Andrea Grillo blog come se non 15 ottobre 2018
http://w2.vatican.va/content/paul-vi/it/speeches/1963/documents/hf_p-vi_spe_19630929_concilio-vaticano-ii.html
www.cittadellaeditrice.com/munera/preludio-al-concilio-e-al-pontificato-paolo-vi-nel-1963
Se la Chiesa scommette sui vescovi
All’indomani del sinodo del 2015 sulla famiglia iniziò la campagna con cui la destra reazionaria americana (per sé evangelicale) ed europea (per sé atea) cercava di annettersi il tradizionalismo cattolico aggredendo il Papa come eretico e in lui la Chiesa: aggressione che ieri Francesco ha denunciato con parole di fuoco, che non avevano certo di mira né le vittime degli abusi, né la stampa, né la giustizia, ma quella operazione e i suoi pupari politici. Il sinodo sui giovani chiuso ieri era più facile (negli anni Settanta la comunità di Taizé aveva pensato a un concilio dei giovani.) e il documento finale lo prova. Le parti coraggiose (la formula sulla coscienza, il rispetto per l’orientamento sessuale, la delicatezza sull’aborto), rafforzano tendenze già viste; le molte parti prevedibili, sui social, le vocazioni, i disabili, sono al Dimenticatoio Pontificio ad una velocità che dipenderà dall’agenda del Papa per questa Europa dove abita e dalle tappe del viaggio in Asia del prossimo anno.
Sbaglierebbe, però, chi pensasse che il sinodo si riduca a questo mix, nato da un dibattito inutilmente oscurato da una segretezza che ad esempio il concilio Vaticano II non usò mai. Ciò che lascia è di altra portata, e segnerà il futuro della Chiesa, giacché da Luciani in poi tutti i papi sono stati al sinodo e sarà così anche domani. Per prima cosa l’esperienza sinodale fatta dai vescovi, in un organo che fino al 2013 di sinodale aveva solo il nome. Francesco è riuscito a instaurare una pedagogia della sinodalità e far capire che cosa vuol dire l’espressione “Chiesa sinodale”. Discutendo, deliberando, ascoltando, hanno chiarito a se stessi la differenza fra collegialità dei vescovi e sinodalità della Chiesa. Perché la collegialità definisce la potestà “piena e suprema” dei vescovi in comunione con Pietro. La sinodalità è invece la scoperta che a tutti i livelli — universali, continentali, nazionali, diocesani, parrocchiali — solo la comunione può produrre analisi, scelte, decisioni, governo che non devono scimmiottare il parlamentarismo, ma esprimere l’obbedienza alla parola evangelica che, come diceva Gregorio Magno, “cresce con chi la legge”.
In secondo luogo, però, l’incubazione del sinodo prova che la lotta per fare diventare regola questa prassi non è finita. Proprio alla vigilia del sinodo Francesco aveva pubblicato Episcopalis communio, una costituzione apostolica che regola il sinodo. Il suo potente preambolo teologico fondava la sinodalità sul mistero stesso della chiesa locale, in cui il vescovo è “maestro” che annuncia la Parola, ma anche “discepolo” quando “sapendo che lo Spirito è elargito a ogni battezzato, si pone in ascolto della voce di Cristo che parla attraverso l’intero Popolo di Dio, rendendolo infallibile in credendo”.
Al contrario il suo articolato canonistico era molto immaturo se non rozzo: iniziava dicendo che il sinodo è “sottoposto direttamente” al papa, con un lessico (subiectus?) che definiva la posizione del reo confesso davanti al sant’Ufficio. Fra le due opzioni il documento finale non resta neutrale: indica la “chiesa sinodale” come il modo d’essere del cattolicesimo. E dunque — ed è il terzo punto — il sinodo dice che Francesco scommette ancora sui vescovi. Ad essi non chiede una unità disciplinare, estrinseca e impossibile: ma sinodale. Se i vescovi tornati a casa faranno mille iniziative sui giovani, le porte del Dimenticatoio inghiottiranno tutto ciò che buono e di ovvio il sinodo ha prodotto. Se mostreranno di aver imparato che la sinodalità richiede la “umile risolutezza” che fece dire a papa Giovanni la parola concilio, sarà un’altra storia, chiesa sinodale.
Alberto Melloni la Repubblica 28 ottobre 2018
https://rep.repubblica.it/pwa/commento/2018/10/27/news/il_sinodo_se_la_chiesa_scommette_sui_vescovi-210178041
www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201810/181028melloni.pdf
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COMUNIONE DEI BENI
Comunione dei beni: vantaggi
Stai per sposarti e devi scegliere quali rapporti economici instaurare col tuo futuro coniuge: se cioè optare per la comunione legale oppure per la separazione dei beni. Sai bene che nel primo caso (comunione dei beni), ciò che acquisterete durante il matrimonio sarà di proprietà di entrambi e, in caso di separazione, dovrà essere diviso al 50%; invece scegliendo la separazione dei beni ciascuno resta proprietario di ciò che paga con i propri soldi, fatta salva comunque la possibilità, se lo vorrete, di cointestare singoli beni a entrambi. Hai sentito tanti pareri: c’è chi dice che la comunione è più conveniente e chi invece sostiene che possa essere una fregatura in caso di divorzio. Vediamo allora se optassi per la comunione dei beni quali sarebbero i vantaggi.
1 Comunione o separazione dei beni: il regime normale
2 Cosa succede se si sceglie la comunione dei beni
3 I vantaggi della comunione dei beni
Continua Valentina Azzini La legge per tutti 24 ottobre 2018
www.laleggepertutti.it/243866_comunione-dei-beni-vantaggi
La separazione dei beni può salvare parte del patrimonio dai creditori
Ti stai per sposare e ti è stato anticipato che, alla fine della celebrazione, dovrai decidere con il tuo coniuge se tenere i beni della famiglia separati o in comunione. Non sai come regolarti, perché optare per la separazione dei beni ti sembra un atto di sfiducia nei confronti dell’altro coniuge e comunque non sai se ci siano dei vantaggi ad optare per la separazione o per la comunione dei beni. Inoltre ti chiedi se, in caso di ripensamento, potrai cambiare in futuro il regime patrimoniale della tua famiglia. In questa breve guida cercheremo allora di chiarire cos’è la separazione dei beni, i vantaggi e come funziona.
1 La separazione dei beni: cos’è e come funziona
2 I vantaggi del regime di separazione dei beni
3 Il cambio di regime
4 I regimi “intermedi”
Continua Valentina Azzini La legge per tutti 24 ottobre 2018
www.laleggepertutti.it/243847_separazione-dei-beni-vantaggi-2
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CONSULENZA COPPIA E FAMIGLIA
Rinnovo delle cariche nell’AICCeF
Domenica 28 ottobre 2018, durante la Giornata di studio, il nuovo Consiglio Direttivo dell’Associazione Italiana Consulenti Coniugali e Familiari, rinnovato dopo le elezioni di fine triennio svoltesi il giorno prima in occasione dell’assemblea annuale dei Soci, ha indicato in Stefania Sinigaglia la nuova Presidente che guiderà l’associazione nel prossimi tre anni.
Il cambio di testimone è stato effettuato dalla Presidente uscente, Rita Roberto al suo terzo mandato e non più eleggibile.
Stefania Sinigaglia è laureata in Lettere ed in Scienze della Formazione, vive e lavora a Napoli in qualità di docente di ruolo di scuola primaria con specializzazione per le diverse abilità. Si è formata alla Consulenza familiare presso il Consultorio Centro la Famiglia Onlus di Napoli. Esercita la libera professione di Consulente familiare ed è conduttore e formatore Aiccef. Dirige il Centro consulenze: Spazio Famiglia “Nina Moscati” nel cuore di Napoli, aderente all’Ucipem, e l’annessa Scuola di formazione per Consulenti Familiari, per cui è in corso il processo di riconoscimento come Scuola di formazione AICCeF.
E’ stata Consigliere nel direttivo dell’Ucipem ed era Referente nazionale per i tirocini professionali nel precedente Consiglio.
Anche il Collegio dei Revisori dei Conti ha scelto il suo presidente nella figura di Mariagrazia Latini, già a capo dei Revisori nei due precedenti mandati.
Barbara Lombardi è stata invece eletta Presidente del Collegio dei Probiviri.
www.aiccef.it/it/news/la-nuova-presidente-dell-aiccef.html
Sintesi dei contenuti dei laboratori nella Giornata di studio a Trevi (28 ottobre 2018)
Laboratorio n. 1 Area Interprofessionale.
La difficoltà del Consulente Familiare e dell’Equipe nell’accogliere le differenze.
B. Lombardi – P. Margiotta – G. Puzzarini
Tutto ciò che avvertiamo diverso da noi e che non riusciamo ad accettare probabilmente ha a che fare con la nostra intimità e con la nostra capacità o incapacità di accettarci così come siamo. Considerando anche le nostre parti in ombra (ciò che non ci piace di noi e ciò che spesso non controlliamo o rifiutiamo).
La difficoltà a percepire e ad accettare le differenze spesso risponde alla nostra esigenza di rimanere fedeli ad un modello di conformità e di regole che ci fanno sentire giusti e al sicuro. Ma la differenza non sempre risponde alle categorie di pensiero: “è buono o cattivo”, “fa bene o fa male”, quanto piuttosto a un nostro schema di riferimento interno fatto di costrutti (pensieri costituiti). Più questi sono rigidi tanto più faremo fatica a cambiarli, a sostituirli, accettando anche idee e valori degli altri. Costrutti meno rigidi formatisi attraverso la nostra esperienza e non solo indotti da figure di riferimento (genitori, leader, autorità) possono più facilmente dare spazio a differenze e disuguaglianze. Il bene collettivo si costruisce e si mantiene avendo come valori il concetto di confine, apertura, rispetto, amore e tolleranza.
Laboratorio n. 2 Area Interculturale.
Coppie miste, famiglie miste nella società interculturale.
F.Belletti – R. Roberto
Nel passato la coppia era “mista” quando ciò che i partner non condividevano era l’appartenenza al ceto sociale o professioni differenti. Questi erano gli aspetti fondamentali per la definizione dell’individuo, del proprio posizionamento sociale e della sua identità. Fino a 30 anni fa anche la provenienza regionale nord/sud era criterio fondamentale nelle relazioni, oggi la forte presenza di stranieri fa balzare in primo piano le differenze culturali, religiose, etniche. Le coppie miste sono sempre più numerose in un mondo dove globalizzazione e immigrazione sono fenomeni dominanti, le relazioni formate da persone che provengono da Paesi diversi, che non condividono la stessa lingua o religione sono all’ordine del giorno. Ci porremo quindi alcune domande:
- La scelta del partner straniero nelle coppie miste è diverso dalle altre coppie?
- L’influenza dei genitori ‘misti’ quanto pesa nella decisione del matrimonio, nella vita di coppia e nell’educazione dei figli?
- Crescere un bambino è già un’impresa difficilissima in situazioni normali, ma quando i genitori provengono da culture diverse cosa succede?
- E il problema della fede come si concilia con un’armonica conduzione di vita familiare?
- I ruoli nella coppia possono essere influenzati dalla diversa cultura e, talvolta, dalla contrastante tradizione sociale dei partner, tanto da mettere in difficoltà l’armonia familiare?
Laboratorio n. 3 Area Educativa.
Generazioni a confronto: educare diversa-mente.
R. Rossi- S. Sinigaglia
Mai come oggi la condizione genitoriale si ritrova a dover affrontare una grande pluralità di realtà e situazioni. Accanto alla tradizionale presenza di entrambi i genitori, emergono con sempre maggiore frequenza tutta una serie di realtà nuove: presenza di un solo genitore, necessità di continuare a svolgere le funzioni genitoriali in situazione di separazione e divorzio, ricomposizione di famiglie separate, costituzione di nuovi nuclei familiari che includono figli di differenti genitori, situazioni multietniche, adozione e affidamento.
Tutto ciò pone i genitori di fronte a nuove sfide educative e nuovi interrogativi. Quando sono i genitori a chiedere aiuto, quando si è alla ricerca di un supporto per fare fronte alle preoccupazioni, ai dubbi e alle difficoltà che sorgono nella relazione educativa con i figli, l’incontro con l’esperto diventa un momento pregno di significati, tessuto con fili preziosi.
Si tratta di costruire assieme ai genitori un accompagnamento che faciliti la possibilità di immaginare e condividere il percorso da compiere. Questa operazione, in prima analisi semplice, porta con sé aspetti delicati e complessi che afferiscono alla sfera emotiva e relazionale.
Spesso chiedere aiuto viene vissuto come un riconoscersi mancanti di qualcosa. E questo fa paura. Il compito dell’esperto è aiutare madri e padri a transitare da questa paura al coraggio di “farsi vedere”, superando il timore di apparire “impreparati” di fronte all’imprevisto, per accedere alla possibilità di individuare quelle risorse che gli consentiranno di fare meglio.
E dalle difficoltà dei figli si può arrivare alla crescita dei genitori!
Laboratorio n. 4 Area Differenza di Genere.
Mi ascolto, ti accolgo: La consulenza con la persona omosessuale e la sua famiglia.
A. Feretti – A. Bialetti
All’annuncio dell’omosessualità di un figlio o di un genitore tutta la famiglia si “colora di omosessualità” essendo chiamata a ridefinire le proprie posizioni e a trovare nuove strategie davanti alle difficoltà relazionali interne ed esterne. La rivelazione dell’omosessualità rappresenta indubbiamente un trauma da elaborare per ogni componente della famiglia. Il figlio prova un senso di inadeguatezza e di vergogna, si potrebbe sentire sbagliato, sporco, malato. Il genitore si sente provocato visceralmente, toccato nell’affetto più profondo e nel suo ruolo e compito di guida. Nel caso del genitore omosessuale il timore di non rappresentare più una valida guida e punto di riferimento per il figlio o addirittura il rischio di perderlo materialmente ed emotivamente, rappresentano i motivi maggiori per mantenere nascosta una verità scomoda e potenzialmente destabilizzante. L’intera famiglia è mobilitata a svolgere un nuovo compito evolutivo al di là di quello tradizionale di fornire cura e protezione: deve definirsi come famiglia che vive la condizione di omosessualità rispetto ad un mondo esterno che, nella maggior parte dei casi, è portatore di stereotipi e pregiudizi nei confronti di una “differente normalità”. Tutti i membri della famiglia, diventano, in potenza, soggetti alla discriminazione sociale e tale sofferenza agisce all’interno del contesto familiare o come collante o come motivo di allontanamento e rifiuto reciproco.
La consulenza familiare si pone come importante sostegno alla genitorialità e soprattutto alla famiglia che vive una situazione delicata come quella dell’omosessualità. E rappresentare un supporto importantissimo in cui il consulente “aiuta ad aiutarsi” e a dare senso ai propri vissuti esistenziali, occasione di crescita del sé personale e familiare.
Ma non senza che il Consulente abbia fatto un percorso di autoascolto, prima di tutto, per distanziarsi da stereotipi e pregiudizi nei confronti dell’omosessualità, spesso percepita come una diversità “patologica” e per rappresentare quel territorio accogliente in grado di permettere l’elaborazione del delicato vissuto della famiglia.
Laboratorio n. 5 Area legale.
‘Diritti’ e …rovesci in famiglia.
A. Berger – M. Qualiano
È noto che, anche se in famiglia si viaggia spesso con una certa turbolenza e alle volte addirittura ‘volano i piatti’ (come ha detto un illustre argentino), non per questo le decisioni sul ménage familiare, sull’educazione dei figli e sulla miriadi di problematiche che giornalmente investono un gruppo familiare, si prendono sul filo del Diritto e con il codice alla mano o tenendo l’avvocato in ‘vivavoce’ sul telefono.
La legge naturale del vivere comune e la tradizione familiare del paese dove viviamo in genere ci aiutano a risolvere le crisi e a superare gli ostacoli. Ciò non toglie che ogni ordinamento giuridico (ogni nazione) disciplina nelle sue leggi gli elementi essenziali della vita della famiglia, le basi dell’educazione dei figli, le regole di convivenza e le soluzioni delle vertenza familiari con una auspicabile dose di buon senso.
Ma è già difficile barcamenarsi nella normativa dedicata alla famiglia nel nostro paese (il numero degli avvocati ne dimostra abbondantemente la difficoltà), immaginiamo cosa succede quando diverse sono le leggi cui fare riferimento perché diverse sono le provenienze o nazionalità delle persone coinvolte.
Come si comporta il consulente familiare di fronte ad una sovrapposizione normativa, a diritti contrastanti, ad una rogatoria internazionale?
Laboratorio n. 6 Area Sessuale.
È la differenza che fa la differenza.
R. Intini- C. Monti
Abituarsi alla diversità dei normali è più difficile che abituarsi alla diversità dei diversi. (G. Pontiggia).
La sessualità delle persone disabili nasconde spesso vissuti di problematicità e di sofferenza. Nonostante già nel 1993 l’ONU abbia riconosciuto il diritto di tutti i portatori di handicap ad esperire la propria sessualità.
Ma il riconoscimento di questi bisogni da parte delle istituzioni e dell’opinione pubblica non è comunque sufficiente a tutti i disabili e alle loro famiglie, che non hanno modo né idea di come affrontare concretamente l’argomento.
Questo Laboratorio entrerà in alcune situazioni relative a questa tematica per approfondire come, attraverso la metodologia consulenziale, si possa promuovere una educazione sessuale ed affettiva anche nella disabilità.
https://ilconsulente37.blogspot.com/2018/08/sintesi-dei-laboratori.html
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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM
Viadana. Convegno su Violenza in famiglia
Il Centro di consulenza familiare Ucipem di Viadana organizza per sabato 10 novembre 2018 (ore 15) presso l’Auditorium I.T.C. Sanfelice di Viadana il convegno “Amor che nella mente mi (S)ragiona”, occasione di riflessione sul tema: “Quando la violenza e il bisogno di possesso invadono l’animo”.
Dopo l’introduzione affidata allo psicologo e psicoterapeuta Claudio Losi, seguiranno tre interventi qualificati.
- La dottoressa Leda Bastoni, psicologa e psicoterapeuta terrà una relazione sul tema “Alle origini della violenza”, dove e quando colpisce,
- Il collega Pasquale De Luca presenterà “La loro voce”, indagine statistica sulla violenza con opinioni ed esperienze raccolte su un campione di adolescenti e giovani.
- La Compagnia teatrale GardArt, proporrà, poi, il monologo di Michela Cera dal titolo “I suoi occhi: uno sguardo nuovo”. Per favorire la partecipazione, che darà diritto ad un attestato, l’organizzazione mette a disposizione uno spazio bimbi.
Si comunica intanto anche l’apertura del nuovo sito Web del Centro di Consulenza Familiare di Viadana con indirizzo www.ccfviadana.org dove sarà possibile leggere e scaricare la Newsletter e i materiali di alcuni dei precedenti convegni.
www.diocesidicremona.it/blog/violenza-in-famiglia-convegno-al-consultorio-di-viadana-31-10-2018.html
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DALLA NAVATA
XXX Domenica del Tempo ordinario- Anno B – 28 ottobre 2018
Geremìa 31.07. Così dice il Signore: «Innalzate canti di gioia per Giacobbe, esultate per la prima delle nazioni, fate udire la vostra lode e dite: “Il Signore ha salvato il suo popolo, il resto d’Israele”.
Salmo 125.06 Nell’andare, se ne va piangendo, portando la semente da gettare, ma nel tornare, viene con gioia, portando i suoi covoni.
Ebrei 05. 01. Ogni sommo sacerdote è scelto fra gli uomini e per gli uomini viene costituito tale nelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati.
Marco ..10. 52 E Gesù gli disse: “Va’, la tua fede ti ha salvato”. E subito vide di nuovo e lo seguiva
Siamo anche noi ciechi e mendicanti, come Bartimeo padre Ermes Ronchi
Un mendicante cieco: l’ultimo della fila, un naufrago della vita, relitto abbandonato al buio nella polvere di una strada di Palestina. Poi improvvisamente tutto si mette in moto: passa Gesù ed è come un piccolo turbine, si riaccende il motore della vita, soffia un vento di futuro.
Bartimeo comincia a gridare Gesù, abbi pietà. È, tra tutte, la preghiera più cristiana ed evangelica, la più umana. Rimasta nelle nostre liturgie, nel suono antico di «Kyrie eleison» o di «Signore, pietà», confinata purtroppo nell’ambito riduttivo dell’atto penitenziale. Non di perdono si tratta. Quando preghiamo così, come ciechi, donne o lebbrosi del Vangelo, dobbiamo liberare in volo tutto lo splendido immaginario che preme sotto questa formula, e che indica grembo di madre, vita generata e partorita di nuovo. La misericordia di Dio comprende tutto ciò che serve alla vita dell’uomo.
Bartimeo non domanda pietà per i suoi peccati, ma per i suoi occhi spenti. Invoca il Donatore di vita in abbondanza: mostrati padre, sentiti madre di questo figlio che ha fatto naufragio, ridammi alla luce!
La folla fa muro al suo grido: Taci! Disturbi! Terribile pensare che davanti a Dio la sofferenza sia fuori luogo, che il dolore possa disturbare. Ma è così ancora, abbiamo ritualizzato la religione e un grido fuori programma disturba. Ma la vita è un fuori programma continuo: la vita non è un rito. C’è nell’uomo un gemito, di cui abbiamo perso l’alfabeto; un grido, su cui non riusciamo a sintonizzarci.
Invece il rabbi ascolta e risponde. E si libera tutta l’energia della vita. Lo notiamo dai gesti, quasi eccessivi: Bartimeo non parla, grida; non si toglie il mantello, lo getta; non si alza da terra, ma balza in piedi.
La fede porta con sé un balzo in avanti, porte che si spalancano, sentieri nel sole, un di più illogico e bello. Credere è acquisire bellezza del vivere.
Bartimeo guarisce come uomo, prima che come cieco. Guarisce in quella voce che lo accarezza: qualcuno si è accorto di lui, qualcuno lo tocca, anche solo con una voce amica, e lui esce dal suo naufragio umano: l’ultimo comincia a riscoprirsi uno come gli altri.
È chiamato con amore e allora la sua vita si riaccende, si rialza in piedi, si precipita, anche senza vedere, verso una voce, orientato da una parola buona che ancora vibra nell’aria. Sentire che qualcuno ci ama rende fortissimi.
Anche noi ci orientiamo nella vita come il mendicante cieco di Gerico, forse senza vedere chiaro, ma sull’eco della Parola di Dio, ascoltata nel Vangelo, nella voce intima che indica la via, negli eventi della storia, nel gemito e nel giubilo del creato. E che continua a seminare occhi nuovi e luce nuova sulla terra.
p. Ermes Ronchi OSM
www.qumran2.net/parolenuove/commenti.php?mostra_id=44213
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DIRITTO DI FAMIGLIA
Ddl Pillon, affido condiviso o affido paritario
Il disegno di legge Pillon ha sollevato diverse perplessità ed acceso un dibattito che si alimenta sempre di più, suscitando non poche perplessità specie in materia di affido condiviso, mantenimento diretto e garanzia di bi-genitorialità.
Secondo molti osservatori l’approvazione del testo attuale non condurrebbe alla sperata maggior tutela degli interessi della prole, ma potrebbe, viceversa, al sorgere di nuove problematiche.
Il rischio, infatti, è che le tempistiche paritarie, già di per sé di dubbia realizzazione pratica, portino, come unico effetto concreto, ad un intollerabile “sballottolamento” dei figli da un genitore ad un altro, con conseguenze fortemente pregiudizievoli per il minore. Il testo del disegno di legge sembra, infatti, mettere al centro l’interesse dei genitori e non quello del minore, che appare essere considerato come oggetto di diritto di qualcuno e come un bene di scambio.
Sarebbe invece essenziale comprendere in che modo l’affido condiviso può manifestarsi attraverso una suddivisione del tempo, il buon senso non può essere dato da norme di legge, ma deve essere valutato sui casi concreti, altrimenti si crea un diritto che non fa altro che generare conflittualità e proliferazione di contenziosi.
Quanto al mantenimento diretto, lo stesso non può non apparire assai iniquo, infatti, nel caso di redditi sostanzialmente differenti tra i coniugi, non è prevista una corresponsione perequativa a tutela del più debole, così come oggi avviene, ad esempio, per le spese straordinarie ripartite in percentuali diverse.
Inoltre, l’imporre una mediazione obbligatoria, addirittura come condizione di procedibilità, non porterà alcun beneficio né alle parti coinvolte, che anzi, si vedranno costrette ad affrontare ulteriori spese, né alla finalità deflattiva del contenzioso, come insegna la recente storia delle procedure ADR.
Probabilmente le intenzioni di chi ha proposto la riforma, pur partendo dal cercare di dare soluzione a problematiche effettivamente esistenti e che meritano una soluzione, come l’alienazione parentale, la povertà dei papà (dato triste ed inequivocabile in una copiosa casistica), la voglia di responsabilità dei genitori nell’educazione dei figli e nel trascorrere con loro più tempo (spesso disattesa dai giudici), deraglia in un turbinio di norme slegate tra loro, disattendendo, soprattutto, il così detto best interests of the child, che rappresenta il principio informatore di tutta la normativa a tutela del minore, garantendo che in tutte le decisioni che lo riguardano il giudice tenga in considerazione il suo superiore interesse.
Sta di fatto che ad oggi la piena bi-genitorialità è spesso mortificata dalla previsione di tempi di frequentazione sbilanciati, tant’è che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo è più volte intervenuta sanzionando il nostro Paese per non avere predisposto un sistema giuridico (e amministrativo) adeguato a tutelare il diritto inviolabile del genitore (nella specie e quasi sempre il padre separato) di esercitare il naturale rapporto familiare col figlio. (Sentenza Corte Eur. Dir. Uomo, sez. II, 29 gennaio 2013).
Molte sono le problematiche irrisolte, appare anacronistico che in molti Tribunali si adotti ancora il criterio guida della maternal preference, nei fatti restaurando l’ancien regime dell’affidamento monoparentale, tale criterio interpretativo, infatti, non è previsto dagli articoli 337 ter e seg. del codice civile ed è in contrasto con la stessa ratio ispiratrice della Legge 54 del 2006 sull’affidamento condiviso.
Anche a livello di diritto internazionale, in ossequio al principio di piena bigenitorialità si è andato verso il superamento del criterio della maternal preference per favorire quello del gender neutral child custody, che si basa sulla neutralità del genitore affidatario, che può dunque essere sia il padre, sia la madre, in base al solo preminente interesse del minore. Non può quindi essere solo il genere tout court a determinare la preferenza per l’uno o l’atro genitore.
Non poche perplessità suscitano anche le pronunce di superamento del principio dell’autosufficienza economica del coniuge in favore di un oramai anacronistico concetto di tenore di vita matrimoniale.
I tempi sono oramai maturi per superare il dogma della natura assistenziale dell’assegno divorzile, dovendo essere tutelata solo l’esigenza di compensare il coniuge debole per i sacrifici fatti a favore della famiglia durante il matrimonio, perimetrando il concetto di autosufficienza economica.
La struttura familiare si è oggi profondamente modificata, i coniugi spesso svolgono entrambi un’attività lavorativa, perciò riconoscere il diritto all’assegno divorzile basandosi soltanto sul tenore di vita precedente appare oltre che anacronistico iniquo e si risolverebbe in una richiesta ingiustificata da parte dell’ex coniuge, soprattutto guardando all’impoverimento subito dalle parti in seguito al divorzio.
Luca Lorenzo Altalex, 30 ottobre 2018
www.altalex.com/documents/news/2018/10/30/pillon-affido-condiviso-affido-paritario
Quel “pasticciaccio brutto” della riforma dell’affido condiviso
Il filosofo François de La Rochefoucauld aveva scritto che “Per conoscere bene le cose, bisogna conoscerne i particolari: e siccome questi sono quasi infiniti, le nostre conoscenze sono sempre superficiali e imperfette”.
Un principio che, traslato al complesso mondo delle leggi e delle sentenze, mette in luce la necessità per il legislatore e per ii magistrati di compiere ogni sforzo possibile nel tentativo di colmare le distanze tra i principi generali e le fattispecie singole.
Tenendo conto proprio della complessità della materia, una riforma dell’affido condiviso non può essere liquidata in modo frettoloso e confuso. Specialmente se consideriamo che essa non si limita a incidere su interessi meramente economici ma sulla vita persone: genitori e figli. Dovremmo partire dunque da una premessa: si sta mettendo mano a norme alla cui base ci sono “interessi umani” che costituiscono una realtà superiore ad ogni altra astratta teorizzazione.
La fretta dovrebbe dunque lasciare il posto alla dovuta riflessione che un tema di tal portata ci impone e occorre dare ampio spazio al dialogo e al confronto costruttivo.
Spesso le istanze che sono alla base un intervento del legislatore sono legate una sorta di “modello tipo”. Ad esempio, nel diritto di famiglia, una o più coppie divorziate che nella loro esperienza hanno evidenziato l’inadeguatezza del sistema e lo hanno quindi messo in discussione.
Il pericolo di questo approccio metodologico è che si vada a costruire un nuovo impianto normativo solo sulla base di ciò che non ha funzionato, sulla singola eccezione e non sulla enorme varietà dei casi. Insomma si rischia di non tenere conto della molteplicità della casistica proprio in un ambito in cui le eccezioni sono pressoché la regola.
Che ci piaccia o no, sappiamo che il legislatore non può occuparsi troppo del “particolare” ma deve limitarsi a indicare i principi di carattere generale all’interno dei quali sarà poi compito del magistrato esercitare il suo potere discrezionale e rendere così una giustizia calibrata sul caso singolo.
E’ vero che ancora oggi sono tanti, forse troppi, gli errori giudiziari. Ma questo è un problema diverso e che richiede altre soluzioni. Dovremmo invece concordare sul fatto che non ci sarà mai la possibilità di indicare normativamente una soluzione che possa “calzare” perfettamente a ogni singola fattispecie. Solo il magistrato avrà la possibilità di calarsi dentro la specificità di quel dramma umano che si sta consumando dinanzi a lui e in relazione al quale dovrà assumersi la responsabilità di una scelta che sia frutto della propria coscienza e della propria preparazione.
Ma veniamo all’attualità. A volere fortemente un disegno di legge di riforma dell’affido condiviso è l’associazione dei padri separati che, grazie alla firma del Senatore Simone Pillon, arriva in Senato per “riscrivere” la legge del 2006.
Il DDL è stato fortemente contestato perché ritenuto troppo sbilanciato in favore dei padri, incapace di comprendere la situazione reale delle donne in Italia, e “distratto” nel considerare il contesto culturale italiano e gli approdi giurisprudenziali che sono il frutto di anni di pronunce.
Il disegno di legge si snoda attraverso 5 punti essenziali:
- L’introduzione della mediazione civile obbligatoria in presenza di figli minorenni;
- L’adozione di tempi paritari per assicurare la permanenza del figlio con entrambi i genitori
- Il mantenimento in forma diretta
- Il contrasto dell’alienazione genitoriale
- L’impossibilità di risiedere nella casa familiare per il genitore che non è proprietario o titolare di altro diritto
La mediazione civile – tempi più lunghi e maggiori costi per separarsi. La nuova figura presente in questo disegno di legge è senza dubbio quella del mediatore. Una persona che estranea alle parti dovrebbe essere in grado di “aiutare le parti a ” trovare delle soluzioni per chi ha da poco scelto la via della separazione.
Vista così sembrerebbe la figura ideale per preservare tutta la famiglia che si sta scomponendo in nome di una sorta di giustizia individuale che: per i genitori significherebbe tutelare il proprio diritto di essere genitore al 100% e per i figli poter contare su entrambi i genitori in egual misura come se nulla fosse cambiato.
Questo status viene identificato nel disegno di legge come la “bigenitorialità perfetta”.
In un mondo ideale questa sarebbe senza dubbio la soluzione, se non fosse che purtroppo viviamo in un mondo reale e imperfetto.
Tanto per cominciare quando si parla di separazioni, prima ancora di arrivare ai sentimenti, ai traumi e al disagio del cambiamento per l’intero nucleo familiare è necessario parlare di costi: triste, venale ma sacrosanta verità. In una “separazione tipo” in genere ci vogliono 2 avvocati, uno per ogni coniuge. E dato che parliamo di professionisti ovviamente c’è anche un compenso per il lavoro svolto.
Non serve consultare i dati ISTAT per constatare che in Italia c’è un alto tasso di disoccupazione al punto che fin troppo spesso chi nasce povero muore anche povero.
Inserendo nel procedimento di separazione anche il mediatore (a pagamento) si dovranno senza dubbio affrontare costi maggiori per il lavoro che questi andrà a svolgere e le separazioni diventeranno molto più costose.
Per non parlare dell’allungamento dei tempi del procedimento. I provvedimenti immediati ed urgenti disposti dal presidente slitterebbero – infatti – per tempi troppo lunghi, procurando notevoli disagi alla parte debole del rapporto, che potrebbe anche rimanere senza i mezzi necessari per affrontare la separazione sia nei tribunali che nella vita propria.
Sia ben chiaro non ho nulla contro la mediazione in sé. E’ l’obbligatorietà che costituisce piuttosto il nodo critico, visto che la mediazione, nel Ddl, è condizione di procedibilità della domanda. Mi chiedo peraltro che bisogno c’è di rendere obbligatorio un istituto se questo è davvero in grado di funzionare bene e di aiutare davvero le coppie a risolvere i propri problemi. Dovrebbero essere le coppie stesse a indirizzarsi verso la scelta della mediazione se questa fosse davvero un’eccellenza e una valida alternativa al processo di separazione dinanzi al magistrato.
Alla luce dei fatti le possibili alternative sono tante. Così come sono tante le proposte messe in campo dalle diverse associazioni. Tra queste ne cito alcune:
- Offrire un primo incontro gratuito dal mediatore e lasciare ai coniugi la libertà di decidere liberamente se proseguire o meno dopo essere stati resi edotti anche dei costi del procedimento;
- Fare in modo che tale incontro possa avvenire nel tempo che intercorre tra il deposito del ricorso e l’udienza presidenziale;
- Prevedere che nelle “separazioni critiche” in cui ci siano stati denunciati anche episodi di violenza, la mediazione sia prevista solo in via eventuale e dopo i provvedimenti urgenti garantendo che il giudice possa valutare anche il contesto di pericolosità;
- Prevedere che vi siano ausili di specialisti che devono coadiuvare il magistrato nel comprendere le esigenze del minore (parliamo ad esempio di specialisti psicologi minorili o adolescenziali);
- In caso di forte conflittualità prevedere anche la figura del legale del minore che cooperi con il magistrato e gli esperti e che sia nominato d’ufficio e in gratuito patrocinio;
- Prevedere in ogni caso la possibilità del patrocinio a spese dello Stato così come già previsto per altre materie in cui la mediazione è obbligatoria”;
- Fare in modo che la mediazione si svolga tra la prima udienza presidenziale (in cui il giudice emette provvedimenti urgenti) e la convocazione delle parti.
Insomma le possibili soluzioni alternative sono tante e non solo queste. Si tratta solo di trovarne una che sia per lo meno “decente” e che tenga conto anche di principi recentemente enunciati dalla Corte di Cassazione che nella sentenza n.13506 del 1 luglio 2015 ha fatto notare come imporre un percorso psicoterapeutico o di mediazione familiare risulti essere lesivo del diritto alla libertà personale garantito dalla costituzione.
Tempi paritari per i figli. Sempre in un mondo ideale, garantire tempi paritari per i figli sarebbe l’unica soluzione per tutelarli. Dato che sono proprio loro, quegli esseri innocenti che subiscono, per forza di cose, le scelte dei genitori.
La realtà, però, parla una lingua diversa: giornata di 24 ore, scuola, attività sportiva, amici e senso di appartenenza, chi può dire di non averne sentito almeno una volta la necessità?
Il DDL in esame al Senato propone una “bigenitorialità perfetta” in un “mondo imperfetto” pretendendo una equa divisione di responsabilità (e questo si può capire) ma anche di tempi e di cura da parte dei due genitori separati nei confronti dei figli chiedendo, per gli stessi, anche un doppio domicilio: in pratica con il DDL sarebbe il bimbo a dover fare di continuo le valigie per consentire ai genitori di avere tempi paritari.
E loro, i figli? Chiediamo a loro come si sentirebbero a dover dare due indirizzi agli amichetti che vogliono andare a trovarli, chiediamo a loro come si sentirebbero senza un senso di appartenenza perché se ci si mette nei loro panni anche solo per un attimo è lì che c’è la perdita maggiore: si perde l’appartenenza, alla propria casa, alle abitudini, alle routine quotidiane che per i bambini/ragazzi sono tutto. Gli psicologi lo possono confermare.
L’alternativa? Si può garantire quell’equilibrio nei rapporti con i due genitori in tanti modi. Ma è indispensabile trovare una soluzione che metta innanzitutto al centro non tanto il diritto dei genitori ad avere “tempi paritetici” quanto il diritto dei figli ad avere un rapporto equilibrato con loro. E’ è necessario sotto tale profilo evitare di esporre i minori a ulteriori traumi rispetto a quelli che inevitabilmente conseguono alla separazione.
Mantenimento diretto. Cosa vuol dire mantenimento diretto senza automatismi?
Anche in questo caso sarebbe la cosa più ovvia per ciascun genitore se, prima di tutto, si pensasse alle necessità materiali del proprio figlio ma, anche in questo caso, servirebbe una forte dose di buonsenso che, come ogni avvocato che si sia occupato di separazioni e divorzi può confermare, in caso di separazioni molte volte sparisce del tutto.
Che si possa adottare una forma di mantenimento diretto per alcune tipologie di spesa nulla quaestio, ma non possiamo negare che il mantenimento di un figlio è fatto anche di piccole cose. Non si spende solo per la palestra, la danza, la scuola di musica, si spende anche per comprare un pacchetto di caramelle, un gelato, un panino da McDonald’s.
E’ vero, a volte, ci sono state delle distorsioni nell’utilizzo del mantenimento per i figli, ma il rimedio per queste eccezioni non può condizionare tutti gli altri casi in cui le cose funzionano in modo più o meno lineare.
Il contrasto all’alienazione genitoriale. Lo psichiatra R.A. Gardner la definisce: “Un disturbo che insorge quasi esclusivamente nel contesto delle controversie per la custodia dei figli. In questo disturbo, un genitore (alienatore) attiva un programma di denigrazione contro l’altro genitore (genitore alienato). Tuttavia, questa non è una semplice questione di “lavaggio del cervello” o “programmazione”, poiché il bambino fornisce il suo personale contributo alla campagna di denigrazione. È proprio questa combinazione di fattori che legittima una diagnosi di PAS (Parental Alienation Syndrome). In presenza di reali abusi o trascuratezza, la diagnosi di PAS non è applicabile”.
In merito alla PAS di cose se ne sono dette tante. Ma il tema deve essere affrontato in ambito scientifico. Ora però il Ddl Pillon introduce questo concetto, stabilendo attraverso gli articoli 17 e 18 che, qualora il figlio rifiuti il rapporto con uno dei genitori o un altro parente, il giudice può, pur in assenza di evidenti condotte dell’altro genitore, limitarne o sospenderne la responsabilità genitoriale, o disporre il collocamento provvisorio del minore in una casa-famiglia, in attesa che i servizi sociali o gli operatori della struttura indichino un piano per il pieno recupero della bigenitorialità.
Secondo il DDL, quindi, uno dei due genitori potrebbe essere “per legge” vittima del sistema stesso visto che non si fa alcun cenno della possibilità che il giudice possa verificare le reali motivazioni del rifiuto da parte del figlio verso il parente, costringendolo a un recupero del rapporto tramite il mediatore.
Anche in tal caso proviamo a calarci nei panni del bambino alle prese con operatori che non si sa neppure se hanno le competenze giuste per affrontare questioni così delicate.
E se il rifiuto fosse motivato da reali violenze o abusi? La presenza del mediatore, in questo caso, soprattutto, risulterebbe molto pericolosa perché pur di “recuperare il rapporto parentale” rischia di indurre i bambini vittime degli abusi al silenzio.
L’impossibilità di risiedere nella casa familiare per il genitore non proprietario. Quale sarebbe la ratio di un provvedimento che vuole negare la possibilità a un coniuge di restare nella casa coniugale con il proprio figlio?
E’ vero ci sono casi in cui la casa appartiene a terzi (in genere i suoceri o i nonni) ma allora anche in tal caso vanno tenute distinte le diverse fattispecie ossia quella in cui la proprietà della casa è di terzi da quella in cui è di uno dei due genitori. In tale seconda evenienza l’assegnazione della casa familiare ha la funzione di tutelare in prevalenza gli interessi del minore e la sua ratio è quella di evitare appunto al figlio l’ulteriore trauma a cui verrebbe esposto nel caso di all’allontanamento dall’ambiente domestico.
Sotto il profilo economico, poi, i giudici possono riequilibrare tenendo conto del “valore” dell’assegnazione anche ai fini della determinazione dell’assegno di mantenimento.
Insomma un riforma nell’ambito del diritto di famiglia non si può improvvisare perché c’è la necessità di affrontare le tante sfaccettature e i tanti esempi concreti che possono mostrare talvolta sbilanciamenti ingiusti in favore dell’uno o dell’altro coniuge.
Qualsiasi intervento legislativo dovrebbe in ogni caso mettere al centro (come non sembra stia accadendo adesso) l’interesse primario dei minori anche quando si andranno a definire quelli che devono essere gli aspetti economici.
Evitiamo di ragionare come se le famiglie fossero solo quelle rappresentate dagli spot pubblicitari, le belle famiglie del mulino bianco per intenderci.
La realtà è qualcosa di ben diverso ed è per questo che la discrezionalità del giudice deve essere sempre salvaguardata affinché si possa adattare il principio generale al caso particolare. Il peggiore ostacolo per l’attuazione della giustizia sarebbe proprio quello di porre troppi vincoli alla discrezionalità precludendo la possibilità di rendere una pronuncia giusta che, non lo dimentichiamo, è sempre una giustizia del caso singolo.
Un’ultima considerazione: abbiamo parlato di “interessi umani”, di temi delicatissimi e sui quali l’opinione pubblica sarà certamente divisa. Perché allora non lasciare libertà di coscienza anche in ambito parlamentare?
Sarebbe una straordinaria occasione, in questa nuova legislatura, per aprire un dibattito trasversale basato sull’onestà intellettuale di ciascun singolo parlamentare e non solo su un contratto di Governo. Si potrebbe aprire la strada a un dibattito costruttivo e non “vincolato”, capace quindi di allargare gli orizzonti della discussione e di approdare così a una soluzione democraticamente deliberata che sia il frutto di un reale confronto di idee e di pensieri anche se diametralmente opposti. Del resto un vero dialogo dovrebbe indurci a non “parteggiare” ma, come ha scritto Paolo Flore d’Arcais, a “esporre se stessi alla forza e al rigore del ragionamento”.
Roberto Cataldi Studio Cataldi 28 ottobre 2018
www.studiocataldi.it/articoli/32112-quel-pasticciaccio-brutto-della-riforma-dell-affido-condiviso.asp
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EMBRIONE UMANO
Un nuovo Essere Umano fin dal Concepimento
Il protagonismo Biologico dell’Embrione Umano nella Fase del Preimpianto
Ancora oggi, purtroppo, riguardo all’identità dell’embrione nella fase del preimpianto, che possiamo chiamare embrione precoce, ma assolutamente no “pre-embrione”, sono molto diffuse convinzioni che non hanno più alcuna base scientifica su cui fondarsi.
Lo scopo di questa mia relazione è quello di fornirvi alcuni risultati scientifici, tratti da articoli pubblicati su importantissime riviste del settore medico-biologico, che oggi danno una risposta certa alla domanda: chi è l’embrione? Mi soffermerò, in particolare, su tre convinzioni ancora oggi diffuse nella cultura dominante:
- 1. La gravidanza inizia solo dopo l’impianto dell’embrione nell’utero materno.
- 2. L’embrione prima dell’impianto è un cumulo indistinto di cellule.
- 3. L’embrione prima dell’impianto non può essere considerato un essere umano.
Quando inizia una gravidanza? Dopo l’espulsione dall’ovaio, la cellula uovo ha una ridotta attività metabolica a causa di meccanismi inibitori in essa presenti. Subito dopo la fecondazione da parte dello spermatozoo, questi meccanismi inibitori sono aboliti. Quando uno spermatozoo attraversa la zona pellucida dell’ovocita materno segue immediatamente una modificazione improvvisa della composizione ionica della cellula uovo fecondata. Questa modificazione è dovuta all’aumento della concentrazione intracellulare di ioni Ca++, che sotto l’azione dell’oscillina, una proteina paterna, si diffonde rapidamente attraverso tutta la cellula uovo fertilizzata, come un’onda (calcium wave).
I due gameti, anche se cellule vive, erano dormienti. In seguito a questo impulso, che si propaga come un soffio vitale attraversando tutta la nuova cellula, che ora chiameremo zigote, inizia una nuova vita. È il segnale, che sarà trasmesso anche alla madre, che una nuova vita di un essere umano è iniziata.
Anche se a questa relazione ho voluto dare un taglio esclusivamente scientifico, come non pensare, guardando queste immagini reali, al soffio di Dio nella narici di Adam che da terra rossa diventa Ish, un essere umano: “allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente.” (Gn 2,7).
Inizia, così, lo sviluppo di un nuovo individuo che presenta il pattern genetico e molecolare della specie umana cui doveva competere il titolo di figlio. E fino al 1986 non c’era mai stato alcun dubbio in proposito. Nel 1986, a seguito di un pretestuoso falso di una parte di scienza irresponsabile, veniva strappato il titolo di figlio al neoconcepito fino al quattordicesimo giorno dal concepimento.
In realtà, una rigorosa analisi scientifica, condotta dall’inizio dell’anno 2000 ad oggi, confermando ed ampliando le conoscenze della prima tappa dello sviluppo che segue il concepimento, conduce ad una e una sola conclusione: dopo la fusione dei gameti paterno e materno inizia il ciclo vitale di un nuovo soggetto umano cui spetta a pieno titolo il dolce appellativo di figlio. Non ci sono, quindi, dubbi: in base alle attuali evidenze scientifiche la gravidanza inizia quando lo spermatozoo feconda la cellula uovo.
Nonostante ciò c’è ancora molta confusione, sia in buona sia in cattiva fede. Ricercatori dell’Università di Chicago (Usa) hanno condotto un sondaggio/analisi intervistando ginecologi e ostetrici. I risultati, secondo quanto riferito dalla rivista dell’American College of Obstetrics and Gynecology (ACOG), su cui è stato pubblicato lo studio, ha mostrato che le idee sul quando ha inizio la gravidanza sono in sostanza due.
La maggioranza (57%), tra gli oltre 1.000 operatori intervistati, difatti ritiene che la gravidanza inizi quando lo spermatozoo feconda l’ovulo. Mentre il resto degli intervistati (28%) sostiene che, invece, non comincia fino a una settimana più tardi, quando l’ovulo fecondato si impianta nell’utero. La restante percentuale di intervistati non sapeva proprio cosa rispondere.
L’embrione prima dell’impianto è solo un cumulo di cellule? A poche ore dalla penetrazione dello spermatozoo, il nucleo di origine femminile completa la sua maturazione e in questa fase è detto pronucleo femminile. Intanto, il nucleo maschile, che al momento dell’introduzione nell’ovocita era silente, cioè inerte ai meccanismi di trascrizione che permettono di leggere e tradurre l’informazione genetica contenuta nel nucleo, è trasformato in un nucleo funzionalmente attivo, il pronucleo maschile, attraverso profonde modificazioni biochimiche e strutturali che prevedono l’interazione con elementi molecolari di origine materna. Durante questa fase, detta fase pronucleare, i due pronuclei si avvicinano al centro della cellula e mentre si muovono l’uno verso l’altro la loro informazione genetica viene letta per guidare lo sviluppo. Nell’uomo sono oggi noti molti geni del nuovo genoma attivi a questo stadio, alcuni dei quali hanno un ruolo-chiave nello sviluppo successivo dell’embrione.
Attorno alla 15a ora dalla fecondazione i due pronuclei s’incontrano e i loro rivestimenti si rompono determinando il mescolamento dei cromosomi paterni e materni, evento necessario per preparare l’embrione unicellulare alla prima divisione cellulare. A questo punto il centrosoma di origine paterna si divide e, a partire dai pronuclei, si organizza il fuso mitotico; i cromosomi maschili e femminili, duplicati, si condensano e si orientano all’equatore del fuso mitotico comune, preparandosi alla prima divisione cellulare. Alla fine di questa prima divisione cellulare si formano due cellule, ciascuna dotata di una copia dell’intero genoma, che rimangono unite l’una all’altra formando l’embrione a due cellule (two-cell embryo).
La sede in cui lo spermatozoo penetra all’interno dell’ovocita è certamente casuale, ma diventa cruciale da quel momento in avanti. Infatti, recenti osservazioni di biologia molecolare hanno dimostrato che proprio in quel punto si determina la configurazione equatoriale dell’embrione: nel punto cioè in cui lo spermatozoo entra nell’ovocita, si produce una vera e propria sezione equatoriale, che divide in due semisfere lo zigote così costituito. Le prime due cellule che si formeranno, al di sopra e di sotto a questo equatore, daranno origine a due linee di strutture diverse. Ciò vuol dire che quando l’ovocita fecondato andrà incontro alla prima divisione dando origine alle prime due cellule dell’embrione, in quel preciso momento una delle due cellule si orienterà a diventare embrione e l’altra a formare la placenta con le sue membrane, i cosiddetti annessi embrionali.
Queste osservazioni sono state riportate da Helen Pearson nel 2002 sulla rivista “Nature” con il titolo Your destiny, from day one (Il tuo destino, sin dal primo giorno). La Pearson riporta una serie di dati della letteratura che dimostrano come tutte le cellule che si formeranno dopo la prima divisione seguiranno un percorso predefinito e programmato dalla configurazione equatoriale determinata subito dopo il concepimento.
Ma la più importante delle considerazioni è che i dati scientifici riportati della Pearson aggiungono un ulteriore tassello che rafforza il concetto dell’identità biologica dell’embrione in questa fase così precoce del suo sviluppo. L’embrione in questa fase è costituito soltanto da un piccolo gruppo di cellule, non ancora riconoscibili o identificabili nel loro itinerario formativo, tuttavia fin da questo momento ogni sua cellula è orientata a diventare una precisa ed esclusiva parte del suo organismo in via di formazione.
L’articolo della Pearson si conclude con questa affermazione: “Ciò che è chiaro è che i biologi dello sviluppo non considerano più gli embrioni precoci di mammiferi come informi mucchi di cellule.” Questa affermazione è la risposta alla nostra domanda.
L’embrione prima dell’impianto è già essere umano? Dal momento della fecondazione fino al suo impianto, l’embrione inizia un “dialogo” continuo con la madre. Ha 5 o 6 giorni di tempo per trasmettere alla madre i segnali della sua presenza. Se non riesce a farlo in tempo, si attiveranno i processi di involuzione del corpo luteo, che culmineranno con la desquamazione della decìdua e con la comparsa del flusso mestruale: quindi la fine del programma di vita dell’embrione e della sua sopravvivenza. In quei 5 o 6 giorni, pertanto, si gioca tutto il destino, la sopravvivenza e il futuro dell’embrione.
In questa fase del preimpianto l’embrione non solo non è un ammasso di cellule, come abbiamo già visto, ma, come è stato dimostrato, non si trova in balia delle contrazioni tubariche in attesa dell’impianto.
In un editoriale del “British Medical Journal” pubblicato nel novembre del 2000, Horne, White e Lalani, dell’Imperial College School of Medicine di Londra, analizzando i dati della letteratura, e in particolare i meccanismi della recettività endometriale nei confronti dell’embrione, descrivono l’embrione umano come un “attivo e non passivo orchestratore del suo impianto e del suo futuro”: l’espressione spazio-temporale delle proteine da lui stesso prodotte assumerebbe un ruolo quanto mai critico nel condizionare e nel preparare l’endometrio alla sua accoglienza. Gli strumenti della comunicazione sono costituiti dalle innumerevoli proteine elaborate dall’embrione e diffuse nell’ambiente materno e nello stesso tempo sono le sostanze prodotte dalle cellule materne che facilitano il transito ed inducono la produzione di quelle fetali. Il sincronismo con cui avvengono questi scambi è assolutamente perfetto. Infatti, le mucine tubariche, ma soprattutto quelle endometriali, sono modulate da segnali in partenza dallo stesso embrione, che prepara nell’endometrio la sede del suo impianto. Quindi, durante il suo viaggio attraverso la tuba, l’embrione, divenuto blastocisti, ha già sviluppato, attraverso l’intervento dei suoi geni, la capacità di interagire con i tessuti materni con modalità e meccanismi molto complessi, ancora in parte da approfondire, ma soprattutto diversi da quelli di altre specie di mammiferi (P. Quinn, R. Margalit, J Assist Reprod Gen. Vol. 13. No. I. 1996).
Il linguaggio che l’embrione deve adottare per la sua sopravvivenza deve essere chiaro e ben comprensibile e interpretabile dalla madre: l’embrione deve produrre e diffondere intorno a sé tutte quelle sostanze – come citochine, proteine, ormoni, fattori di crescita – che nella madre trovano i recettori pronti a captare e analizzare questi segnali ed elaborare le risposte e i provvedimenti adeguati alle richieste che l’embrione ha formulato. Insomma, entrambi devono produrre e scambiare un fitto epistolario e l’embrione deve “parlare la stessa lingua della madre”.
L’embrione dovrà attivare tutte le sue risorse di esperto comunicatore per transitare indenne fino alla nicchia della sua accoglienza. La sua è una lotta contro il tempo, dato che un anticipo o un ritardo nell’ingresso in cavità uterina si risolve, alla fine, in un fallimento delle sue aspettative di vita.
Le caratteristiche umane dell’embrione, che si relaziona e interagisce così all’unisono con l’altro essere umano (la madre), sono già in questo suo quarto-quinto giorno di vita ben definite e inequivocabili. Inoltre, questa serie di messaggi è determinante ai fini del suo insediamento e dell’impianto in utero e quindi della sua coabitazione nella prima casa, dato che l’embrione sceglie, individua e si assesta nella nicchia della sua accoglienza nell’endometrio-decidua materni. Quello che avviene è di un’eleganza e bellezza stupefacenti: L’embrione (blastocisti) si appoggia all’endometrio, accostandosi a una zona specifica, “rotolando” su molecole di mucina. Mentre rotola si ricopre di una proteina, la L-selectina, che consentirà la sua adesione all’endometrio che a sua volta ha prodotto molecole di oligosaccaridi capaci di legarsi alla L-selectina.
Dopo l’aggancio avverrà l’impianto. Subito dopo l’impianto, l’embrione comincerà ad organizzare la sua residenza per le successive settimane di vita endouterina, preparando e strutturando anche la sua placenta, che sarà lo scudo protettivo, la riserva alimentare, l’organo respiratorio, il produttore di ormoni e il personal computer con cui saprà e potrà comunicare sempre meglio con l’organismo materno.
Un fatto sorprendente, ma anche sconvolgente, è che queste ricerche sul dialogo embrione-madre hanno avuto inizio da una scoperta di circa 30 anni fa, quando alcuni ricercatori che studiavano le tecniche di cultura in vitro degli embrione da utilizzare per la procreazione assistita, si accorsero che per ottenere i migliori risultati, bisognava arricchire il mezzo di cultura con cellule di vari segmenti delle vie genitali femminili, estratti dalla mucosa tubarica e dall’endometrio. Oggi, in base alle attuali evidenze scientifiche, possiamo affermare che l’embrione ha bisogno, anche al di fuori del suo ambiente naturale nelle fredde pareti della provetta, di sentire il “calore materno”, dandogli la sensazione e la consapevolezza di sentirsi a casa propria.
Queste evidenze scientifiche non lasciano alcun dubbio: l’embrione prima dell’impianto è una persona umana e merita il titolo di figlio.
Come scrive Giuseppe Noia (ginecologo), nella prefazione del bellissimo libro di Angelo Serra (genetista) “L’uomo-embrione”, il nostro tempo è un grande Ponzio Pilato, che dice alla storia dell’umanità: “Ecce Homo”, indicando l’embrione schernito, coronato dalle spine della superficialità, avvolto dal mantello dell’ipocrisia, che riceve gli sputi della noncuranza e viene flagellato dai cultori della tecnologia che curando uccide, crocifisso dall’indifferenza umana. E se ne lava ancora le mani!
Tuttavia, le parole “Ecce Homo” accanto all’immagine dello zigote, proclamano certamente una verità scientifica e devono darci la forza e il coraggio di proseguire il nostro servizio alla vita.
Giacomo Fontana 15 ottobre 2018
www.ucipem.com/it/index.php?option=com_content&view=article&id=705:il-protagonismo-biologico-dell-embrione-umano-nella-fase-del-preimpianto-un-nuovo-essere-umano-fin-dal-concepimento&catid=98:problemi-etici-e-morali&Itemid=279
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FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI
Dall’Opzione ‘donna’ all’opzione ‘mamma’, la proposta per la Legge di Bilancio 2019
Il Forum Famiglie chiede di trasformare l’Opzione ‘donna’, prevista in Legge di Bilancio, in Opzione ‘mamma’, riconoscendo ai fini pensionistici alle mamme lavoratrici contributi figurativi di almeno un anno per ogni nuovo figlio nato come avviene peraltro già in Francia, Spagna, Russia e altri Paesi.
Nel contempo, come suggerito anche dall’Associazione Nazionale Famiglie Numerose, è urgente eliminare eventuali penalizzazioni per la loro uscita anticipata dal lavoro e pensare di abbassarne ulteriormente l’età pensionabile: tutti correttivi necessari per rendere finalmente equo il calcolo delle pensioni per le madri che lavorano, riconoscendo nel contempo il loro ruolo fondamentale di mamme, che si prendono cura e fanno crescere i cittadini del domani.
L’attivazione concreta dell’Opzione ‘mamma’, peraltro, potrebbe dare nuova fiducia a tante donne che lavorano e, non vedendo riconosciuto il loro ruolo sociale di madri, finiscono con il rinunciare al sogno tanto desiderato di una gravidanza.
Per questo, il Forum Famiglie chiede che Governo e Parlamento tengano conto del numero di figli avuto da ogni donna lavoratrice, per crescere i quali la mamma deve spesso ricorrere a congedi supplementari facoltativi, aspettative non retribuite, part-time, non di rado rinunciando ai percorsi di carriera, quando non al lavoro tout court.
Sono tutte azioni che producono effetti negativi ai fini pensionistici, con pensioni sempre più basse e difficili da raggiungere
Comunicato Stampa 25 ottobre 2018
www.aibi.it/ita/forum-famiglie-proposta-per-legge-di-bilancio-2019
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FRANCESCO VESCOVO DI ROMA
Catechesi sui Comandamenti: Non commettere adulterio
“Non si può amare solo finché conviene”. “L’amore vuole essere definitivo”, non “fino a nuovo ordine”
“Nel nostro itinerario di catechesi sui Comandamenti arriviamo oggi alla Sesta Parola, che riguarda la dimensione affettiva e sessuale”, e recita: “Non commettere adulterio”. Il richiamo immediato è alla fedeltà, e in effetti “nessun rapporto umano è autentico senza fedeltà e lealtà”.
Ne è convinto il Papa, che nella catechesi dell’udienza di oggi – dedicata al sesto comandamento, “Non commettere adulterio” – ha parlato di fedeltà a tutto tondo, non come caratteristica esclusiva del matrimonio. “Non si può amare solo finché conviene”, ha spiegato: “L’amore si manifesta proprio oltre la soglia del proprio tornaconto, quando si dona tutto senza riserve”. “L’amore vuole essere definitivo. Non può essere fino a nuovo ordine”, il monito tratto dal Catechismo della Chiesa cattolica: “La fedeltà è la caratteristica della relazione umana libera, matura, responsabile”.
“Anche un amico si dimostra autentico perché resta tale in qualunque evenienza, altrimenti non è un amico”, l’esempio scelto da Francesco: “Cristo rivela l’amore autentico, Lui che vive dell’amore sconfinato del Padre, e in forza di questo è l’Amico fedele che ci accoglie anche quando sbagliamo e vuole sempre il nostro bene, anche quando non lo meritiamo”.
Agenzia Sir 25 ottobre 2018
L’essere umano ha bisogno di essere amato senza condizioni”. Non “sopravvalutare l’attrazione fisica”
“L’essere umano ha bisogno di essere amato senza condizioni, e chi non riceve questa accoglienza porta in sé una certa incompletezza, spesso senza saperlo”. È l’analisi del Papa, che partendo dalla Sesta Parola della Bibbia, “Non commettere adulterio”, ha messo in guardia dal rischio di “riempire questo vuoto con dei surrogati, accettando compromessi e mediocrità che dell’amore hanno solo un vago sapore”. “Il rischio è quello di chiamare ‘amore’ delle relazioni acerbe e immature, con l’illusione di trovare luce di vita in qualcosa che, nel migliore dei casi, ne è solo un riflesso”, ha specificato Francesco: “Così avviene di sopravvalutare l’attrazione fisica, che in sé è un dono di Dio ma è finalizzata a preparare la strada a un rapporto autentico e fedele con la persona”.
Poi la citazione di San Giovanni Paolo II, che nelle sue celeberrime catechesi sul corpo spiegava che l’essere umano “è chiamato alla piena e matura spontaneità dei rapporti”, che “è il graduale frutto del discernimento degli impulsi del proprio cuore”. “È qualcosa che si conquista – ha detto il Papa sulla scorta del suo predecessore – dal momento che ogni essere umano deve con perseveranza e coerenza imparare che cosa è il significato del corpo”.
Agenzia SIR 24 ottobre 2018
https://agensir.it/quotidiano/2018/10/24/papa-francesco-udienza-lessere-umano-ha-bisogno-di-essere-amato-senza-condizioni-no-a-surrogati-non-sopravvalutare-lattrazione-fisica
Serve “vero catecumenato” per matrimonio, non bastano “tre o quattro conferenze in parrocchia”
“La chiamata alla vita coniugale richiede un accurato discernimento sulla qualità del rapporto e un tempo di fidanzamento per verificarla”. Lo ha spiegato il Papa, che nella catechesi di oggi, dedicata al sesto comandamento, si è soffermato a braccio sulla necessità di “un catecumenato” per il matrimonio. “E per questo prima di ricevere il sacramento di matrimonio ci vuole un’accurata preparazione, direi un catecumenato, perché si gioca tutta la vita con l’amore, e con l’amore non si gioca”, le sue parole. “Per accedere al sacramento del matrimonio, i fidanzati devono maturare la certezza che nel loro legame c’è la mano di Dio, che li precede e li accompagna, e permetterà loro di dire: ‘Con la grazia di Cristo prometto di esserti fedele sempre”‘, ha proseguito Francesco. “Non si può dire ‘preparazione al matrimonio’ per tre o quattro conferenze tenute in parrocchia”, il monito ancora a braccio: “Questa non è preparazione, è finta preparazione, e la responsabilità di chi fa queste cose ricade su di lui, sul parroco, sul vescovo che fa queste cose”.
I futuri sposi “non possono promettersi fedeltà ‘nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia’, e di amarsi e onorarsi tutti i giorni della loro vita, solo sulla base della buona volontà o della speranza che la cosa funzioni”, ha detto il Papa: “Hanno bisogno di basarsi sul terreno solido dell’Amore fedele di Dio”. “Ci vuole tempo”, ha aggiunto: “Il matrimonio non è un atto formale, è un sacramento, e si deve preparare con un vero catecumenato”.
Agenzia SIR 24 ottobre 2018
https://agensir.it/quotidiano/2018/10/24/papa-francesco-udienza-serve-vero-catecumenato-per-matrimonio-non-bastano-tre-o-quattro-conferenze-in-parrocchia
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MATERNITÀ
Congedo retribuito per la madre lavoratrice
Stai per diventare madre e sei una lavoratrice? Sicuramente sai che ti spetta un periodo di congedo retribuito, il congedo di maternità obbligatorio. Hanno diritto a questo periodo di aspettativa retribuita non soltanto le lavoratrici subordinate, cioè le dipendenti, ma anche le collaboratrici e le lavoratrici autonome, le lavoratrici a domicilio, le socie lavoratrici di cooperative e le disoccupate. Per ciascuna di queste madri lavoratrici esistono delle norme ben precise che disciplinano il concedo di maternità: vediamo tutte le regole nello specifico.
1 Quanto dura il congedo di maternità?
2 Anticipo e proroga del congedo di maternità
3 Congedo di maternità per affidamento e adozione
4 Sospensione del congedo di maternità
5 Com’è retribuito il congedo di maternità
6 Come maturano ratei e contributi durante il congedo di maternità?
7 Come si chiede il congedo di maternità?
8 Congedo di maternità per le lavoratrici autonome
9 Congedo di maternità per le lavoratrici parasubordinate e per le libere professioniste
10 Maternità per colf e badanti
11 Maternità per lavoratrici disoccupate
Continua La legge per tutti 25 ottobre 2018
www.laleggepertutti.it/244537_congedo-di-maternita
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NULLITÀ DEL MATRIMONIO
Matrimonio: la nullità può essere dichiarata anche dopo 27 anni
Corte di Cassazione, prima Sezione civile, Sentenza n. 24729, 8 ottobre 2018
www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_32126_1.pdf
Deve ritenersi legittima la delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio, durato più di tre anni, in caso di incapacità di un coniuge di assumere gli obblighi essenziali del matrimonio.
Ciò in quanto l’eccezione relativa alla convivenza triennale come coniugi, ostativa alla positiva delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio, rientra nelle eccezioni che la legge riserva alla disponibilità della parte interessata.
Lo ha chiarito la Corte di Cassazione, rigettando il ricorso del Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione stessa contro il provvedimento che aveva dichiarato efficace nella Repubblica Italiana la sentenza di nullità del matrimonio concordatario emessa dal Tribunale Ecclesiastico competente.
In particolare, la nullità del matrimonio, celebrato nel 1983, era stata dichiarata molti anni dopo (nel 2015) per grave discrezione di giudizio circa i diritti e doveri matrimoniali e per incapacità di assumere gli obblighi essenziali del matrimonio, per cause di natura psichica, da parte del marito, che aveva promosso il giudizio di nullità.
Per la Corte d’Appello non sussistevano ostacoli alla dichiarazione di efficacia derivante da principi di ordine pubblico, in particolare quello della tutela dell’affidamento incolpevole dell’altro coniuge, non invocato dalla parte interessata.
In Cassazione, il Procuratore generale richiama i precedenti delle Sezioni Unite (sent. nn. 16379 e 16380 del 2014) secondo cui alla favorevole delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio osta, quale limite di ordine pubblico interno, la convivenza delle parti come coniugi protrattasi per almeno un triennio. Invece, nel caso di specie, i due coniugi convissuto per circa 27 anni e avevano avuto due figli.
Gli Ermellini, pur affermando di condividere il contenuto dei richiamati precedenti, ritengono che proprio le Sezioni Unite si siano date carico del consolidato orientamento giurisprudenziale restrittivo in tema di eccezioni in senso stretto, richiamato nel ricorso della Procura generale, concludendo tuttavia motivatamente che l’eccezione relativa alla convivenza triennale come coniugi, ostativa alla positiva delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio, rientra appunto tra quelle che l’ordinamento riserva alla disponibilità della parte interessata.
E ciò, si legge in sentenza, argomentando sia dalla “complessità fattuale” delle circostanze sulle quali essa si fonda e dalla connessione molto stretta di tale complessità con l’esercizio di diritti, con l’adempimento di doveri e con l’assunzione di responsabilità personalissimi di ciascuno dei coniugi, sia dalla espressa previsione della necessità dell’eccezione di parte nell’analoga fattispecie dell’impedimento al divorzio costituito dall’interruzione della separazione, ai sensi dell’art. 3 della legge 1° dicembre 1970, n. 898.
In conclusione, il matrimonio delle parti può dirsi definitivamente annullato anche per la Repubblica Italiana.
Lucia Izzo News Studio Cataldi 14 ottobre 2018
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OMOFILIA
Un ponte tra la Chiesa e le persone LGBT
L’ascolto di tante storie di persone omosessuali ci ha insegnato che la loro prima grande sofferenza è spesso legata a un percorso lungo e travagliato di accettazione di sé. Se la fede cristiana, che è fondata sulla consapevolezza dell’amore di Dio per ciascuno, non riesce in questo ad essere d’aiuto o addirittura diventa ostacolo all’autoaccettazione, vuol dire che le nostre comunità hanno bisogno di conversione.
(…). Le nostre comunità cristiane, che hanno condannato per lo più al nascondimento le persone LGBT presenti al loro interno, (…) debbono riconoscere di aver tradito lo sguardo benedicente di Dio e intraprendere, a cominciare dai propri pastori, un cammino di conversione. Passi incoraggianti in questa direzione, grazie a Dio oggi ci sono. Noi sogniamo che venga il giorno nel quale non sarà più necessaria una “pastorale per le persone omosessuali”, perché queste potranno trovarsi a proprio agio in ogni ambiente ecclesiale, mostrandosi per quello che sono senza vergogna, senza timore di emarginazioni o di perentorie condanne».
In queste parole, pronunciate con voce chiara e commossa da suor Fabrizia in rappresentanza della Comunità di Firenze delle suore domenicane dell’Unione S. Tommaso d’Aquino, è sintetizzato efficacemente lo spirito «di accoglienza, ascolto e riconciliazione» che ha animato il V Forum dei cristiani LGBT che, da venerdì 5 a domenica 7 ottobre 2018, ha fatto incontrare alla porte di Roma, nella Casa di Accoglienza San Girolamo Emiliani dei Padri Somaschi di Albano Laziale, oltre 200 cristiani LGBT italiani, i loro genitori e gli operatori pastorali (pastori e laici) di diverse diocesi e comunità evangeliche che li accompagnano, per riscoprire insieme «quali segni e prodigi Dio ha compiuto per mezzo di loro» (Atti, 15,12).
Le tre giornate del Forum sono state dedicate a conoscersi, confrontarsi e a “costruire ponti”, e hanno visto la presenza di interventi e testimonianze che hanno favorito un ricco dibattito a più voci sul tema dell’accoglienza delle persone LGBT.
Come ha ricordato il gesuita americano James Martin, autore di Un ponte da costruire. Una relazione nuova tra Chiesa e persone Lgbt (Marcianum Press, 2018) e presente al Forum con un video messaggio, parafrasando il passo evangelico il cui protagonista è Zaccheo (Lc 19,1-10), nelle nostre comunità cristiane sulle persone LGBT, «ci sono due posizioni che si possono assumere: potete stare con la folla che mormora e non approva la misericordia verso chi vive ai margini, o potete stare con Zaccheo e, cosa ancora più importante, con Gesù: potete stare dalla parte di Gesù ed accoglierle nella comunità».
A tal proposito mons. Marcello Semeraro, vescovo di Albano e segretario del Consiglio dei Cardinali di papa Francesco, nel lungo e caloroso intervento tenuto al Forum ha voluto ricordare il valore dell’accoglienza, anche a fronte degli attacchi lanciati da mesi dagli integralisti cattolici affinché non si ospitasse in una struttura cattolica questa iniziativa organizzata dai gruppi di cristiani LGBT italiani. Il vescovo Semeraro ha ricordato ai presenti che «Siete gruppi cristiani e ciò mette in atto un titolo di fraternità. “Cristiano è il mio nome”; scriveva Paciano di Barcellona nel IV secolo: questo permette a tutti i cristiani di chiamarsi per nome. È questo il titolo per il quale vi riconosco fratelli». Ed ha tracciato un parallelo tra il doloroso percorso ri-generativo compiuto dai genitori nell’accoglienza di un figlio o di una figlia una volta appreso del suo orientamento omosessuale, e l’esperienza che oggi deve percorrere anche «la Chiesa madre! Le stesse difficoltà sofferte in queste famiglie non sono poi tanto dissimili dalle difficoltà in “questa famiglia” che è la Chiesa. Un figlio, però, e una figlia non li si ama davvero quando li si sogna con gli occhi azzurri o scuri e con i capelli biondi o bruni. Il figlio e la figlia li si ama davvero quando li si ha tra le braccia! In questa “accoglienza” che accoglie la “carne” e non si accontenta di sogni c’è davvero l’amore. Così è anche per la Chiesa-madre. Per questo l’accoglienza è importante».
Daniela Di Carlo, pastora valdese di Milano, ha ribadito nel suo intervento al Forum la necessità di un rinnovamento della teologia e ha riaffermato che in una logica cristiana non soltanto qualsiasi esclusione suona inaccettabile, ma lo è anche un’accoglienza che metta tra parentesi la sessualità e l’affettività, come se non fossero una parte integrante della persona.
Cristina Simonelli, presidente del Coordinamento delle Teologhe italiane, infine, ha sottolineato come l’eccessiva timidezza della ricerca teologica su questi temi ha generato vere e proprie «omissioni della teologia morale», che troppo ha a lungo ha dimenticato di interrogarsi sulla sessualità. «Serve una purificazione della memoria da parte della Chiesa – ha concluso la teologa – perché oggi troppe persone omosessuali si sentono ancora disprezzate, offese, oppure sono costrette a mimetizzarsi perché considerate sgradite nel loro ambiente ecclesiale».
Nel Forum sono state presentate anche tre testimonianze di pastorale con le persone LGBT:
- Un video sull’esperienza di accoglienza parrocchiale del gruppo per cristiani LGBT e i loro genitori nella parrocchia Regina Pacis dell’Unità pastorale di Santa Maria degli Angeli di Reggio Emilia. Un’esperienza pastorale volta a costruire «un cammino di Chiesa dove le persone che vi sono accolte possano sentirsi a casa senza pregiudizi, paure ed ostacoli ma sentendosi a loro agio, accolte, protette e al sicuro nella comunità»;
- La testimonianza della Comunità di Firenze delle suore domenicane dell’Unione S. Tommaso d’Aquino sulla loro decennale accoglienza di Kairòs, il gruppo di cristiani LGBT di Firenze, attraverso cui hanno potuto incontrare anche numerosi genitori credenti di persone omosessuali;
- Infine la testimonianza di Grete Van der Vere, predicatrice metodista di Pescara e delegata della Commissione fede e omosessualità delle Chiese battista, metodista e valdese, che ha ricordato che «Non era affatto scontato» che ci fosse automatica accoglienza delle persone LGBT «nella nostra realtà di Chiese evangeliche in Italia, dove ci sono sì tante aperture e dove l’accoglienza è di casa, ma dove vivono ancora abbastanza resistenze e pregiudizi».
L’ultimo giorno del Forum, tutti i partecipanti, divisi in 16 gruppi, sono stati invitati a confrontarsi e a dare forma di preghiera al loro sogno (I have a dream) per una comunità cristiana in cammino.
Ecco alcuni dei “sogni” che hanno poi portato nella preghiera finale e deposto su «una gran tovaglia, che, tenuta per i quattro angoli» (Atti 10,1-11) che è stata posta davanti all’altare mentre risuonavano le parole del Vangelo «Ciò che Dio ha purificato, tu non chiamarlo più profano» (Atti 10,15): «Signore, dacci il coraggio di amare gli altri senza pregiudizi e di essere lievito e luce per contribuire a creare una comunità cristiana allargata, che sia davvero casa per tutti. Una casa in cui una pastorale per le persone LGBT, o altri tipi di pastorali di frontiera, non siano più necessarie»; «… affinché sappiamo testimoniare la bellezza della nostra realtà, per il beneficio e la crescita della nostra Chiesa»; «…possiamo essere apertamente noi stessi, con la nostra identità e la nostra affettività, testimoni nella chiesa e nella nostra società civile»; «Signore aiutaci ad accogliere, a tendere la mano, a dialogare, a essere in uscita, a risorgere, a essere integrati, a sentirci a casa, a smettere di piangere ad abbattere le barriere», perché «dopo essere stati noi stessi emarginati, aiutaci ad essere per primi strumenti della tua grazia, nel dialogo e nell’accoglienza»; «…a non tenere nascosti i nostri talenti, ma ad investirli nella realizzazione del progetto di vita che hai su di noi, all’interno della famiglia cristiana e umana» per «…percorrere il ponte che è la Chiesa, rendendoci capaci di mettere in comune le nostre povertà e quello che ancora ci manca» e «illuminando chi ci sta intorno e trasformando il nostro sogno in un progetto che si fa cammino e storia».
Innocenzo Pontillo, volontario del Progetto Gionata su fede e omosessualità 24 ottobre 201 www.gionata.org/il-forum-dei-cristiani-lgbt-un-ponte-tra-la-chiesa-e-le-persone-lgbt
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PROCREAZIONE ARTIFICIALE
La diagnosi preimpianto: tra diritto alla salute e libertà di coscienza
Il “diritto alla salute” e ad ottenere cure mediche trae fonte nell’art. 32 Costituzione e rappresenta un diritto di qualunque individuo, indipendentemente dall’età e dalle condizioni personali. Sulla questione inerente all’età, da alcuni anni, si è acceso un ampio dibattito sul fatto se fosse o no garantita tutela anche nel momento antecedente la nascita stessa dell’individuo. Il tema della famiglia e delle tematiche connesse alla tutela della salute del minore sono state ampiamente analizzate da Elena Falletti, ricercatore confermato di diritto privato comparato, che ha pubblicato un approfondimento su In Pratica Legale Famiglia, l’innovativa soluzione professionale di Leggi d’Italia che consente di accedere, in modo semplice e veloce, a tutti i contenuti operativi delle banche dati In Pratica.
La diagnosi genetica preimpianto (Preimplantation Genetic Diagnosis – PGD) è una tecnica diagnostica che, basandosi sull’isolamento degli embrioni, consente di campionare i loro blastomeri saggiandone la struttura genetica e identificando alcune malattie genetiche. Essa è duramente contestata dai sostenitori dell’intangibilità dell’embrione poiché costoro manifestano dubbi sul valore morale dell’intervento su materiale umano di origine embrionale, anche se inerisce la cura dell’embrione medesimo. Infatti, secondo detta visione l’embrione può definirsi un “progetto di persona ovvero esso possiede la potenzialità di diventare tale fin dal momento della formazione dello zigote, e quindi sostengono che l’embrione abbia diritto al medesimo grado di protezione piena riservato alle persone”. Va evidenziato che la L. n. 40/2004, la quale regola la procreazione medicalmente assistita, assicura al “concepito” i diritti di tutti i soggetti coinvolti, tuttavia si sostiene che codesta previsione abbia un valore “meramente enunciativo” Il divieto in questione riguarda il divieto di accesso a tale strumento diagnostico alle coppie fertili, ma portatrici sane di gravi malattie genetiche.
Dopo molta giurisprudenza interpretativa restrittiva, il punto di svolta è giunto dalla Corte europea dei diritti umani. Ci si riferisce al caso Costa e Pavan c. Italia del 28 agosto 2012. La questione riguarda una coppia di coniugi portatori sani di fibrosi cistica. La fattispecie inerente i ricorrenti invece concerneva una coppia di sesso diverso ma fertile, infatti essi avevano già generato una figlia affetta dalla malattia e la signora aveva abortito un feto affetto dalla stessa malattia diagnosticata al feto nei primi mesi di gravidanza (Corte europea dei diritti dell’uomo, 28 agosto 2012, Costa e Pavan c. Italia, n. 54270/10). Scoperta dunque la ricorrenza della trasmissione della malattia ai figli, la coppia si rese conto che per soddisfare il desiderio di avere figli non affetti dalla grave patologia avrebbero potuto soltanto rivolgersi alle tecniche di inseminazione in vitro e all’analisi genetica preimpianto al fine di evitare di impiantare embrioni malati.
Più strettamente collegato al tema della diagnosi preimpianto, le argomentazioni sui presupposti richiamati dallo Stato italiano riguardavano la tutela della salute del nascituro e della madre, la libertà di coscienza e dell’etica del sanitario coinvolto nella procedura di PMA e, apoditticamente, si richiamava il pericolo di deriva eugenetica. Invece, la Corte ha rigettato tali istanze qualificandole insufficienti per giustificare la deroga ai sensi dell’art. 8, comma 2, CEDU, poiché da un lato non è sostenibile l’assimilazione tra embrione coltivato in vitro e bambino già nato; dall’altro la Corte sostiene la non coerenza con la tutela della salute della donna la possibilità, ammessa dall’ordinamento italiano, di procedere all’aborto terapeutico per le medesime patologie per cui è interdetta la diagnosi preimpianto.
Del pari, la Corte evidenzia la carenza argomentativa della difesa del Governo in merito alle due ulteriori motivazioni, ovvero l’impedimento di derive eugenetiche e il collegamento tra queste e la tutela della libertà professionale dei professionisti sanitari. Tuttavia, è la Corte a presentare una spiegazione alla debolezza di siffatte argomentazioni governative evidenziando l’incoerenza tra l’impianto normativo della L. n. 40/2004, che da una parte vieta la selezioni degli embrioni coltivati in vitro e non affetti dalla fibrosi cistica ai fini dell’impianto nell’utero materno, mentre dall’altra ammette l’aborto terapeutico per il caso che il medesimo embrione sia malato della stessa patologia.
Si osserva dunque che la Corte fa proprie le osservazioni sollevate dalla giurisprudenza di merito nella rilettura costituzionalmente orientata della L. n. 40/2004 (Trib. Cagliari, 22 settembre 2007).
Ulteriormente i giudici di Strasburgo, che hanno sottoscritto la decisione in discussione all’unanimità, sottolineano che non viene riconosciuto il diritto ad avere dei figli sani, i cui caratteri genetici forti siano preselezionati nell’embrione fecondato, né questo è richiesto dai ricorrenti, poiché seppure evitato il rischio della malattia, permarrebbero invariate le restanti incognite della gravidanza e della presenza di altre patologie.
Dopo l’intervento della Corte europea dei diritti umani, è intervenuta in materia la Corte costituzionale, la quale ha affermato che sono costituzionalmente illegittimi, per violazione degli artt. 3 e 32 Cost., gli artt. 1, commi 1 e 2, e 4, comma 1, L. 19 febbraio 2004, n. 40, nella parte in cui non consentono il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita alle coppie fertili portatrici di gravi malattie genetiche trasmissibili, accertate da apposite strutture pubbliche.
L’irragionevolezza dell’indiscriminato divieto di accesso alla PMA, con diagnosi preimpianto, da parte delle coppie fertili affette (anche come portatrici sane) da gravi patologie genetiche ereditarie, suscettibili (secondo le evidenze scientifiche) di trasmettere al nascituro rilevanti anomalie o malformazioni, è resa evidente dalla circostanza che l’ordinamento italiano consente, comunque, a tali coppie di perseguire l’obiettivo di procreare un figlio non affetto dalla specifica patologia ereditaria, attraverso l’innegabilmente più traumatica modalità dell’interruzione volontaria (anche reiterata) di gravidanze naturali. Tale sistema normativo non permette, pur essendo scientificamente possibile, di far acquisire “prima” alla donna un’informazione che le potrebbe evitare di assumere “dopo” una decisione ben più pregiudizievole per la sua salute, senza che quest’ultima possa trovare un positivo contrappeso, in termini di bilanciamento, in un’esigenza di tutela del nascituro, in ogni caso esposto all’aborto.
La normativa denunciata costituisce, pertanto, il risultato di un irragionevole bilanciamento degli interessi in gioco, in violazione anche del canone della razionalità dell’ordinamento, ed è lesiva del diritto alla salute della donna fertile portatrice (ella o l’altro soggetto della coppia) di grave malattia genetica ereditaria. Spetta al legislatore introdurre apposite disposizioni al fine dell’auspicabile individuazione (anche periodica, sulla base dell’evoluzione tecnico-scientifica) delle patologie che possono giustificare l’accesso alla PMA di coppie fertili e delle correlative procedure di accertamento (anche agli effetti della preliminare sottoposizione alla diagnosi preimpianto) e di un’opportuna previsione di forme di autorizzazione e di controllo delle strutture abilitate ad effettuarle. (Sono assorbite le censure relative agli artt. 2 e 117, comma 1, Cost.) (Corte cost., 5 giugno 2015, n. 96). www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2015&numero=96
Recentemente, la giurisprudenza di merito ha stabilito che è un diritto riconosciuto alle coppie fertili portatrici di patologie geniche e cromosomiche accedere alla diagnosi preimpianto. I giudici hanno condannato un noto ospedale milanese che sosteneva che tale strumento diagnostico non costituisse un diritto per il paziente, ma semplicemente una possibilità legata alle capacità tecniche della struttura. Stabilisce il giudicante che “Anche a prescindere dalla disponibilità delle attrezzature e degli equipaggiamenti necessari, si deve ritenere, in ogni caso, che il nucleo essenziale di un diritto fondamentale, qual è quello alla salute, cui la predetta prestazione va ricondotta, non può giammai essere posto in discussione, pur in presenza di situazioni congiunturali particolarmente negative (c.d. diritti finanziariamente condizionati: cfr., tra le altre, Corte cost. n. 248/2011 e n. 432 del 2005). Il punctum discriminis, in questa specifica materia – come osservato recentemente dal Consiglio di Stato nella sentenza n. 3297/2016 relativa ad una determinazione della Regione Lombardia che aveva distinto la fecondazione omologa da quella eterologa, finanziando la prima e ponendo a carico degli assistiti la seconda – “non può essere rinvenuto nelle sole esigenze finanziarie che, pur dovendo essere preservate in un ragionevole contemperamento di altri beni costituzionali (v., in particolare, artt. 81 e 117, comma 2, lett. e). Cost.), mai possono sacrificare interamente il nucleo irriducibile e “indefettibile” del diritto alla salute” (Trib. Milano, 18 aprile 2017).
Pare interessante presentare l’approccio della Corte europea dei diritti umani sulla qualificazione dello status dell’embrione. Infatti, i giudici di Strasburgo hanno dato atto che non esiste a livello europeo una soluzione condivisa sulla qualificazione dello status dell’embrione. Tale orientamento è presente già nelle decisioni più risalenti (tra le altre si ricordano, Bruggemann e Scheuten v. Germany, 12 luglio 1977 sul diritto della madre di abortire, X v. United Kingdom, 13 maggio 1980, sull’assenza della previsione del diritto alla vita per il “non nato” ai sensi della CEDU, H. v. Norway, 29 maggio 1992, dove si evidenziavano le divergenze sul punto tra i vari ordinamenti dei Paesi aderenti alla CEDU [P. Veronesi, Il corpo e la Costituzione, Milano, 2007, 97), nelle quali la Corte non aveva preso posizione sulla qualificazione del diritto alla vita del feto nei confronti dell’intenzione della madre di abortire [V. Silvestri, Il quesito sul diritto alla vita dell’embrione e/o del feto ex art. 2 CEDU rimane ancora insoluto nella sentenza Evans c. Regno Unito della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, 2006). Infatti, nel caso Vo. c. Francia (Corte europea dei diritti umani, 8 luglio 2004), seppure riconoscendo la dignità del nascituro, la Corte ha dato atto del disaccordo europeo generalizzato sullo status giuridico dell’embrione e sul fatto che non vi fossero al momento riscontri scientifici che consentissero di orientare la questione.
In conseguenza di ciò non vi sarebbe una convergenza sostanziale di opinioni, scientifiche e giuridiche, sui due punti centrali della questione:
a) sull’esclusione dell’embrione quale soggetto del diritto alla vita;
b) se il diritto alla vita dell’embrione è collegato a quello della madre, quindi che il diritto alla sua salute sia subordinato alla cura della salute materna.
Va sottolineato che nel caso concreto portato davanti ai giudici di Strasburgo, la Cour de Cassation stabilì che al feto non può riconoscersi la qualifica di persona e che quindi non è ipotizzabile la fattispecie di omicidio. Nelle successive decisioni relative al caso Evans contro Regno Unito di Gran Bretagna la Corte di Strasburgo non ha modificato la propria posizione, rinviando la soluzione della questione agli Stati aderenti e valorizzando al massimo il principio del margine di apprezzamento in ambito bioetico.
Anche la decisione della Grande Camera della Corte europea dei diritti umani S. H. c. Austria del 3 novembre 2011, è utile in questo caso a confermare il principio dell’ampio margine di apprezzamento da parte degli Stati membri in materia di definizione e regolamentazione dell’embrione anche se essa tratta specularmente del diritto a diventare genitori, comunque garantito ex art. 8 CEDU, per mezzo di un intervento sul processo di formazione dell’embrione attraverso la fecondazione eterologa. Statuisce la Corte: “(Poiché l’utilizzo della fecondazione in vitro ha sollevato e continua a sollevare questioni delicate di ordine etico e morale che rientrano in un contesto di progressi rapidissimi in campo medico e scientifico, e poiché le questioni sollevate dalla presente causa vertono su aree in cui non vi è ancora una omogeneità tra gli Stati membri, la Corte ritiene che il margine di discrezionalità di cui deve disporre lo Stato convenuto sia ampio” [B. Liberali, Il margine di apprezzamento riservato agli Stati e il c.d. Time Factor. Osservazioni a margine della decisione della Grande Camera resa contro l’Austria, in Rivista dell’Associazione italiana dei costituzionalisti, n. 1/2012).
Elena Falletti Altalex 22 ottobre 2018
www.altalex.com/documents/biblioteca/2018/10/22/la-diagnosi-preimpianto
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SINODO DEI VESCOVI SUI GIOVANI
I temi e i messaggi del Sinodo. Insegnare come si naviga oltre la linea d’ombra
Il ruolo dell’educatore deve essere un accompagnatore che insegna a sentire la chiamata che aiuta a sapersi mettere in ascolto e prepararsi a lasciare la sicurezza del passato.
Insegnare come si naviga oltre la linea d’ombra. Quello che sta volgendo al termine in questi giorni non è stato un sinodo sui giovani, ma per loro e soprattutto con loro: perché i giovani c’erano e si son fatti sentire, con una presenza luminosa e rumorosa, attiva sui social e nei ‘circoli minori’ (i gruppi ristretti di discussione divisi per lingua), ma anche negli atri, sulle terrazze, dovunque ci si possa incontrare informalmente. Una presenza rispettosa, ma non intimidita dai titoli altisonanti dei padri sinodali (eminenze, eccellenze, beatitudini…): tutti insieme, in un cammino comune, non scontato, ciascuno portando il proprio contributo, a volte anche critico ma sempre costruttivo. Dopo il sinodo sulla famiglia, rispetto al quale è stata da tutti riconosciuta una continuità, la chiesa affronta un tema davvero cruciale, non solo per il suo futuro ma per quello dalla società intera. Perché la giovinezza è la stagione delle ‘scelte’ cruciali trasformative per la costruzione della vita adulta, quella dell’uscita dalla ‘linea d’ombra’.
Nella prima parte del cammino sinodale, sul riconoscere e l’ascoltare la realtà così come essa si manifesta, si è confermato quanto già emerso nella fase presinodale: le nuove generazioni vivono in un mondo di crescente complessità e incertezza, con alto rischio di disorientamento. Diventa sempre più difficile muoversi tra vincoli e opportunità e poter prevedere in maniera realistica le implicazioni delle proprie decisioni. In carenza di bussole condivise per orientarsi, e di supporto e accompagnamento adeguati negli snodi del percorso esistenziale e professionale, aumenta il rischio di perdersi e di portare nella vita adulta delusioni e frustrazioni anziché energie positive e competenze per realizzarsi e generare valore nella propria vita e nel contesto in cui si vive. Le vecchie mappe diventano presto obsolete, non funzionano più. Gli adulti troppo spesso sono oberati dalle contingenze, distratti, scoraggiati o assenti.
Di conseguenza – anche come risposta adattiva in un mondo caratterizzato da crescente incertezza e frammentazione – aumenta la propensione a non fare scelte troppo vincolanti in età troppo giovane, a tenersi aperta la possibilità di rimettere in discussione le scelte passate. A non compiere mai veri ‘riti di passaggio’, in cui la trasformazione diventa punto di partenza per passi successivi, in un processo di crescita continuo e irreversibile. Durante la Riunione presinodale un giovane ha ben espresso l’importanza del discernimento per la vita: «Oggi, come migliaia di altri giovani, credenti o non credenti, devo fare delle scelte, soprattutto per quanto riguarda il mio orientamento professionale. Tuttavia, sono indeciso, perso e preoccupato. […] Mi trovo ora come di fronte a un muro, quello di dare senso profondo alla mia vita. Penso di aver bisogno di discernimento di fronte a questo vuoto» (IL 106). È quindi oggi ancora più importante un’educazione che aiuti ad andare oltre il ‘qui e ora’, che prefiguri la possibilità di trasformare i desideri in veri cammini di vita con scelte fatte oggi che impegnino positivamente verso il domani. I giovani più (e prima) che essere il futuro devono allora poter abitare pienamente e gioiosamente il presente. Devono poter considerare l’oggi non solo come il luogo dell’attesa, ma anche come il tempo delle esperienze e delle scelte in cui ci si riconosce e che proiettano una luce positiva sul proprio percorso successivo. Da qui l’invito al ‘discernimento’, che ha alla base lo sviluppo della capacità di saper dare senso e valore alle scelte che accrescono il proprio essere e fare nel mondo.
Nella cultura contemporanea, profondamente individualistica e schiacciata sul presente, l’idea di scelta si è molto banalizzata. Fatta scadere nella prospettiva dell’accumulo, anziché del cammino personale, si riduce a una selezione tra le possibilità disponibili nel supermarket delle esperienze: un set di opzioni predefinite da cui ‘pescare’ in base al calcolo del rapporto costi/benefici, senza vincolo per le scelte future e senza considerare i danni sociali e per l’ambiente. In definitiva, una scelta di consumo per il benessere individuale, che un algoritmo può fare meglio per noi. Ci sembra importante che il Sinodo aiuti a mettere più chiaramente in evidenza che scegliere, nel suo senso più pieno, implica invece due diversi movimenti: decidere e generare.
La decisione etimologicamente implica un taglio, una discontinuità rispetto al passato: è un processo in cui si lascia una certezza passata per prendere il rischio di un cambiamento a cui si affida (senza piena sicurezza) l’impegno a un percorso che impegna positivamente verso il futuro. Un percorso che si pone una direzione, un orizzonte di senso. Non il consumare una scelta oggi, ma mettere in moto un processo che si autoalimenta con il proprio impegno a farlo crescere. La ‘vocazione’ (al matrimonio, alla genitorialità, alla vita consacrata, a farsi parte attiva di un processo di valore che dura nel tempo) è una decisione che nessun altro può fare per noi e nessun algoritmo può essere mai in grado di sostituire. Implica la consapevolezza di perdere qualcosa per accettare il rischio di aprirsi a qualcosa di più grande. Ma ha in sé, appunto, anche l’impegno attivo e continuo a renderlo un percorso concreto e fecondo.
E questo processo si traduce, positivamente, nell’impegnare se stessi, con altri, grazie ad altri e per altri, a ‘mettere al mondo’ qualcosa che non esiste ancora, a trovare soluzioni più umane e inclusive per le sfide che il presente ci pone, a raccogliere le eredità ricevute e rilanciarle; a lasciarsi ispirare dai testimoni di vita piena per immaginare vie nuove che abbiano radici nella storia comune, nei territori, nella cultura e ali per volare al di là degli steccati, dei luoghi comuni, del ‘si è fatto sempre così’ e di un quieto vivere che ormai è quieto solo per pochissimi. È questa dimensione della decisione come processo mai concluso, che si fa promessa responsabile verso il futuro che le nuove generazioni rischiano di perdere. Con il rischio che tutto venga ridotto a scelte (comprese quelle ‘vocazionali’) da prendere solo in base all’urgenza e alla disponibilità delle opzioni che già si hanno davanti, in base a ciò che oggi soddisfa di più o che consente di perdere meno di ciò che già si ha (in termini di beni e sicurezze). Tutto questo favorito anche da una società che nel complesso ha perso una visione collettiva di futuro come bene comune da costruire assieme, assegnando un ruolo centrale alle nuove generazioni.
Questo aiuta a chiarire anche il ruolo dell’educatore come ‘accompagnatore’. L’accompagnatore più e ancor prima che aiutare il giovane a prendere una decisione che cambia il suo percorso verso il futuro (a ‘sentire la chiamata’), deve aiutare a sapersi mettere in ascolto e a prepararsi a lasciare le sicurezze del passato. O, detto in altro modo, aiuta a costruire la nave e un sistema di orientamento ma poi non ne determina la rotta. Insomma, più che indicare ciò che con la decisione si diventa, e più che ‘scortarli’ per essere sicuri che i giovani non sbaglino strada, l’accompagnatore aiuta a capire l’importanza di lasciare, di rinunciare a volere tutto (che diventa alla fine non decidere niente), a non essere ossessionati dal doversi tener aperta una ‘uscita di sicurezza’ ma a essere disposti a quel movimento paradossale (che richiede fede) che è accettare di perdere la propria vita per trovarla nella sua pienezza. Solo così il giovane potrà davvero prendere ‘la’ decisione esercitando la ‘libertà per’ qualcosa di più grande. L’accompagnamento non riguarda solo i percorsi individuali, ma anche le scelte collettive che contribuiscono a cambiare la realtà circostante e umanizzare il mondo.
Quello che, in definitiva, chiedono i giovani non è di essere condotti (paternalisticamente) in una direzione predefinita, ma di essere invitati ad un (materno e paterno) cammino di reciprocità, di compagnia (cum-panis) che trasforma, rimette in movimento, rigenera tutti. Un cammino di libertà come responsabilità e contribuzione, in grado di aprire nuove vie oltre la linea d’ombra del nostro tempo e preludere a un ‘fruttificare e festeggiare’ (EG 24) di cui c’è grande bisogno e desiderio.
Chiara Giaccardi e Alessandro Rosina Avvenire 24 ottobre 2018
www.avvenire.it/opinioni/pagine/insegnare-la-navigazione-oltre-la-linea-dombra
Chiesa, giovani, famiglia. Il legame tra i due Sinodi (Dove sono gli adulti?)
Chiesa, giovani, famiglia: il virus dell’autosufficienza. Parlando al Sinodo sui giovani, papa Francesco ha usato un’espressione fortemente evocativa – «il virus dell’autosufficienza» – per mostrare come nella trama che tiene unita nella storia l’umanità e gli uomini, la Chiesa e la cultura, la fede e la vita, la minaccia sembri arrivare dall’interno dell’organismo stesso, come appunto fa un virus. Il Sinodo stesso potrebbe esserne minacciato, un Sinodo che è sui giovani (nella complessità di definire anagraficamente la fisionomia del giovane), ma che ha anche il sapore di un Sinodo sulla Chiesa in generale e ancor più sugli adulti, o meglio, su quegli adulti che ancora faticano a essere tali, proprio per quel processo tipico della modernità che smarrisce il senso dell’essere radicati – non geograficamente – e generati da un’origine indiscutibile che adulti e giovani, purtroppo, fanno fatica a chiamare Dio, e ancor più a riconoscere nella Chiesa.
Il Sinodo ne sarebbe minacciato se smarrisse il senso dialogico dell’apertura e della generatività contro ogni individualismo e campanilismo, trasformando il focus sui giovani solo in uno degli ‘argomenti’. Il senso dell’espressione di Francesco serve, probabilmente, a tenere sulla corda passato e presente prima ancora che il futuro. Un futuro ancor più incerto se non si ristabilisce un patto intergenerazionale su valori e idee chiare e precise a partire da quell’origine che è la Vita generata e da generare, naturalmente, con relazioni d’Amore. I Sinodi sulla famiglia e questo Sinodo sono perciò intimamente connessi. Una seria riflessione sui giovani, sperando che non ci si fermi al mero piano teorico, non può non soffermarsi sul contesto familiare e sulla relazione tra figli e genitori, ancor più sul piano culturale, nell’ottica di una responsabilità intergenerazionale.
Attraverso le differenti fasi di socializzazione in famiglia si apprendono norme e valori, e successivamente, in altre agenzie educative come la parrocchia, si consolidano gli atteggiamenti che Francesco richiama: condivisione, ascolto, discernimento, comunione, uscita da pregiudizi e stereotipi, fino ad arrivare al superamento del clericalismo. Quest’ultimo, tuttavia, sembra coinvolgere anche tanti laici che, come alcuni preti, hanno «una visione elitaria ed escludente della vocazione», interpretando il proprio ministero laicale come un potere e non come un servizio gratuito e generoso.
Ecco perché questo Sinodo ha una dimensione ‘ecclesiologica’: il dialogo è con il mondo, non senza un necessario confronto interno alla Chiesa stessa nelle sue componenti essenziali, clero e laici. Accomunati dall’unica vocazione battesimale, essi si ascoltano attraverso le strutture fondamentali, che sono (o dovrebbero essere) famiglia e comunità.
In questi due luoghi i ragazzi, gli adolescenti e i giovani costruiscono nel tempo la propria identità e la propria personalità, tenendo ben presente un’accezione più ampia di comunità, che va da quella ecclesiale a quella sociale, ai luoghi di formazione come la scuola. Tra famiglia, scuola e parrocchia dovrebbe esserci un circuito virtuoso, di certo non autoreferenziale, in una comune politica di promozione umana e sociale e quindi di maturazione sotto ogni aspetto fisico, affettivo, culturale.
L’accoglienza dell’altro, la lotta alle discriminazioni di ogni tipo e alle disuguaglianze economiche e sociali, l’autenticità di relazioni non falsate e mediate dal Web, la bellezza della sessualità e dell’affettività non fini a se stesse non possono che trovare un terreno di dialogo nel quale la prima preoccupazione sia trovare un codice comunicativo adeguato ai tempi, in grado di offrire chiavi di comprensione piuttosto che di conflitto sterile e ideologico. Più che l’ascolto, il punto nodale è l’ascoltarsi. Tante indagini sui giovani hanno registrato le loro ansie e aspettative.
Ascoltarsi è invece un processo attivo di riconoscimento reciproco, che pone sinodalmente tutti sullo stesso terreno di condivisione e di cammino. L’obiettivo è che i giovani riconoscano l’autorevolezza degli adulti, frutto di una fondamentale coerenza di vita seppur nelle difficoltà che essa riserva, e che gli adulti riconoscano la necessità della freschezza, della semplicità, dell’entusiasmo e dell’esuberanza che possono rendere più viva la Chiesa. Ma una domanda, su tutte, resta aperta: dove sono questi adulti?
Francesco Del Pizzo Avvenire 25 ottobre 2018
www.avvenire.it/opinioni/pagine/il-legame-tra-i-due-sinodi-dove-sono-gli-adulti
Sinodo sui giovani, nel documento finale anche il tema della lotta agli abusi
Il tema degli abusi sessuali entra anche nel documento finale, dove “se ne parla in maniera esaustiva”. Lo ha confermato il cardinale Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve e presidente della Cei, che è intervenuto al consueto briefing sull’andamento dei lavori sinodali. “Non basta condannare gli abusi, bisogna fare di tutto per prevenire e la Chiesa sta attuando tutti i mezzi per farlo”, ha sottolineato Bassetti annunciando che “durante l’Assemblea di novembre i Vescovi italiani si confronteranno su questo tema e discuteranno un documento che è in via di preparazione da parte di una della Commissioni”. Inoltre, ha aggiunto, “a febbraio tutti i Presidenti delle Conferenze episcopali saranno convocati dal Papa per dare conto di quanto si sta facendo”.
“Nei limiti del rispetto delle istituzioni”, occorre “chiarezza e una collaborazione piena con le autorità civili e giudiziarie”, ha ribadito il cardinale Bassetti che ha poi puntato l’attenzione sulla necessità di un “lavoro di prevenzione”. “Anche nella nuova Ratio dei seminari è precisato: bisogna valutare con tutti gli strumenti i candidati al sacerdozio e fare di tutto per prevenire, che è la cosa più importante”, ha affermato il presidente della Cei ripetendo che “con la massima discrezione, cercheremo di collaborare per tutto ciò che sarà possibile, purché non vada contro i doveri della coscienza”.
Quello degli abusi è “un flagello terribile di cui dobbiamo liberarci”, gli ha fatto eco il cardinale Arlindo Gomes Furtado, vescovo di Santiago de Cabo Verde, per il quale occorre “affrontare questa sfida, che è di tutta la società e non solo della Chiesa, con realismo, spirito aperto, in sintonia con scienziati ed esperti”.
“Sanare, migliorare e andare avanti: tutte le conferenze episcopali sono impegnate su questo tema, su come curare”, ha osservato da parte sua monsignor Hector Miguel Cabrejos Vidarte, arcivescovo di Trujillo e presidente della Conferenza episcopale del Perù, che ha definito gli scandali “un gravissimo dolore, qualcosa di terribile” pur ricordando, con un detto peruviano, che “non tutti i religiosi sono pedofili e non tutti i pedofili sono religiosi”.
“La Chiesa degli abusi non è la Chiesa di Cristo né quella in cui noi giovani crediamo”, ha tagliato corto Lucas Barboza Galhardo, rappresentante del Movimento di Schoenstatt. “La Chiesa che noi sentiamo e vogliamo condividere – ha concluso – è quella dell’allegria, dell’amore, del camminare insieme, della vicinanza”.
Stefania Careddu Avvenire 25 ottobre 2018
www.avvenire.it/chiesa/pagine/briefing-sinodo-giovani-bassetti
Sinodo, oggi il documento finale. Domani la chiusura
Iniziato il 3 ottobre scorso il Sinodo dei giovani è alle battute finali, o meglio si avvia alla sua conclusione. L’ultimo atto sarà la Messa presieduta dal Papa domenica 28 ottobre alle 10 nella Basilica Vaticana. Sarà anche il giorno della “Lettera del Sinodo ai giovani di tutto il mondo” che punta a sollecitare e incoraggiare ogni ragazzo, proponendogli basi solide con cui rafforzare la sua speranza e ricordandogli che la Chiesa cammina sempre insieme a lui.
Viene votato il documento finale. I lavori veri e propri però si concludono oggi. E sarà una giornata molto intensa, con al mattino la 21ª Congregazione generale e la lettura della relazione finale mentre nel pomeriggio il programma prevede la 22ª Congregazione generale e l’esame del documento finale che sarà votato paragrafo per paragrafo e che per l’approvazione necessita della maggioranza dei due terzi. Nel testo verrà fatta sintesi degli interventi, delle discussioni, dei contributi giunti da tutti i partecipati all’assise. Un impegno collettivo che i numeri sono in grado di riassumere solo in parte. In ogni caso i dati statistici aggiornati a ieri parlano di 240 padri sinodali e di 32 uditori partecipanti alle Congregazioni per la discussione dell’Instrumentum laboris cui vanno aggiunti gli interventi liberi di 69 padri sinodali e di 13 uditori
I ragazzi scrivono a Francesco: siamo con te. E proprio gli uditori, “categoria” in cui rientrano i giovani presenti ali lavori, hanno voluto ringraziare il Papa dell’attenzione dedicata alle attese, ai dubbi, alle paure e alle speranze dei ragazzi di tutto il mondo. L’hanno fatto con una lettera in cui sottolineano la loro vicinanza al Pontefice. «Desideriamo dirti che siamo con te e con tutti i vescovi della nostra Chiesa – scrivono –, anche nei momenti di difficoltà». Nella missiva i ragazzi sottolineano poi di «condividere il sogno di una Chiesa in uscita, aperta a tutti soprattutto ai più deboli, una Chiesa ospedale da campo. Siamo già parte attiva» – aggiungono – di questa comunità «e vogliamo continuare a impegnarci concretamente per migliorare le nostre città e scuole, il mondo socio-politico e gli ambienti di lavoro, diffondendo una cultura della pace e della solidarietà e mettendo al centro i poveri, in cui si riconosce Gesù stesso». «Il mondo di oggi, che presenta a noi giovani opportunità inedite insieme a tante sofferenze, ha bisogno di nuove risposte e di nuove energie d’amore. Ha bisogno di ritrovare la speranza – prosegue la lettera – e di vivere la felicità che si prova nel dare più che nel ricevere, lavorando per un mondo migliore».
Riccardo Maccioni Avvenire sabato 27 ottobre 2018
www.avvenire.it/papa/pagine/sinodo-oggi-il-documento-finale-domani-la-chiusura
La Chiusura del Sinodo sui giovani
La «Santa Madre Chiesa» è sotto attacco e «la Madre» la si difende «con la preghiera e la penitenza». Papa Francesco non lo chiama per nome, il demonio, ma usa il termine biblico de «il grande accusatore» per dire che ora è lui che «ci sta accusando forte», è lui che approfitta dei «nostri peccati» per perseguitare la Chiesa.
Il Pontefice ha terminato con questa riflessione il breve intervento che ha chiuso, prima della recita corale del Te Deum, il Sinodo sui giovani. «È un momento difficile perché l’accusatore – ha detto – tramite noi attacca la madre e la madre non la si tocca», ha sottolineato riferendosi alla Chiesa. Papa Francesco ha ricordato l’antica definizione della Chiesa “casta meretrix“, santa ma con i figli peccatori. Le accuse alla Chiesa, ha insistito il Pontefice, diventano «persecuzione» come accade ai cristiani d’Oriente, ma «c’è un altro tipo di persecuzione, con accuse continue per sporcare la Chiesa». La Chiesa però «non va sporcata, i figli siamo sporchi tutti», «i figli siamo peccatori», «ma la madre no, dobbiamo difenderla tutti, e per questo ho chiesto di pregare il rosario».
Papa Francesco all’inizio del suo intervento ha ringraziato tutti i presenti e in particolare i giovani che hanno partecipato all’evento («hanno portato la loro musica, parola diplomatica per dire chiasso, e così», ha detto sorridendo tra gli applausi). E poi, senza entrare nel merito del documento finale che è stato approvato in precedenza, ha offerto tre spunti. In primis ha ribadito che «il Sinodo non è un Parlamento», ma è «uno spazio libero per dare modo allo Spirito Santo di lavorare su di noi». Di qui la decisione di dare all’esterno informazioni generali sui temi che sono stati affrontati, senza entrare nei dettagli di chi ha detto cosa. Poi ha affermato che «siamo noi», i partecipanti al Sinodo, i «primi destinatari del documento finale». «Noi abbiamo approvato il documento, – ha spiegato – adesso lo Spirito ci dà il documento perché lavori nel nostro cuore». «Aiuterà tanti altri – ha aggiunto – ma i primi destinatari siamo noi». «Il risultato del Sinodo – ha spiegato –non è un documento, l’ho detto all’inizio. Siamo pieni di documenti». E così quello approvato «darà frutti se sarà meditato e accompagnato dalla preghiera».
Prima del Papa, sono intervenuti in Aula i cardinali Louis Raphael Sako, patriarca di Babilonia dei caldei e presidente delegato dell’assise, e Lorenzo Baldisseri, segretario generale del Sinodo dei vescovi. Sako ha sottolineato che il documento sinodale «sarà un punto di riferimento per una nuova pastorale nelle nostre diverse diocesi». «Santo Padre, Lei non è solo, noi tutti che rappresentiamo i vescovi cattolici nel mondo – ha detto il patriarca – siamo con Lei e siamo uniti a Lei in una comunione integrale. Siamo uniti a Lei nella preghiera e nella Speranza. Ricordi che milioni di fedeli pregano per Lei ogni giorno. E tanti uomini e donne di buona volontà ammirano le sue parole e i suoi gesti per un mondo di fraternità universale, giustizia e pace». «Dunque – ha aggiunto il Patriarca caldeo – non c’è niente da temere. Un proverbio arabo dice: “L’albero fruttuoso viene colpito con le pietre”.
Vada avanti con coraggio e fiducia. La barca di Pietro non è come le altre barche, la barca di Pietro nonostante le onde, rimane solida, perché c’è Gesù in essa e non la lascerà mai». Il cardinale Sako ha poi lanciato «un appello a non dimenticare i cristiani dell’Oriente: se è vuoto di cristiani il cristianesimo rimarrà senza radici. Abbiamo bisogno del vostro sostegno, solidarietà e amicizia fino a quando la tempesta passa».
Il cardinale Baldisseri da parte sua ha sottolineato che quella del Sinodo «è stata un’esperienza di profonda comunione ecclesiale vissuta con l’adesione della fede e l’affetto del cuore da parte di ciascuno di noi, venuto da ogni parte della terra». «In questo Sinodo, – ha ribadito il porporato – l’intero Popolo di Dio ci ha sostenuti con la preghiera e ha accompagnato i pastori riuniti con Lei, Santo Padre, con gesti di solidarietà e di simpatia». E fin dal primo annuncio del Sinodo, «i giovani di tutto il mondo si sono messi in movimento per sentirsi vicini ai Pastori, chiedendo di essere ascoltati». «In questa grande preparazione – ha osservato infine Baldisseri – abbiamo sperimentato momenti alti, come al Pre-Sinodo; come lo scambio e la reciprocità avvenuti con i molti contatti via Web, che si sono estesi ai giorni della stessa celebrazione assembleare».
Gianni Cardinale Avvenire 27 ottobre 2018
www.avvenire.it/chiesa/pagine/chiusura-sinodo
Il discorso di papa Francesco alla Messa di chiusura del sinodo
http://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2018/10/28/0790/01710.html#OME
“Vorrei dire ai giovani, a nome di tutti noi adulti: scusateci se spesso non vi abbiamo dato ascolto; se, anziché aprirvi il cuore, vi abbiamo riempito le orecchie. Come Chiesa di Gesù desideriamo metterci in vostro ascolto con amore, certi di due cose: che la vostra vita è preziosa per Dio, perché Dio è giovane e ama i giovani; e che la vostra vita è preziosa anche per noi, anzi necessaria per andare avanti”. Le forti parole del Papa risuonano nella Basilica vaticana, davanti a circa 7mila fedeli per la chiusura del Sinodo. Alla processione di ingresso, hanno preso parte anche i giovani uditori che hanno partecipato all’Assemblea sinodale. Come Bartimeo, il cieco di Gerico che dopo essere stato guarito da Gesù diventa discepolo, così “anche noi abbiamo camminato insieme, abbiamo fatto ‘sinodo’”, dice infatti Francesco.
La Chiesa desidera ascoltare i giovani. “Ascoltare, prima di parlare”, cioè “l’apostolato dell’orecchio”, è il primo passo che Gesù stesso indica quando ascolta il grido del cieco di Gerico e lo lascia parlare, senza essere sbrigativo mentre coloro che stavano con Gesù rimproveravano Bartimeo perché tacesse. “Avevano in mente i loro progetti”, nota il Papa per mettere in evidenza come, invece, per Gesù “il grido di chi chiede aiuto” non sia un disturbo ma “una domanda vitale”. I cristiani sono quindi chiamati a prestare ascolto non “alle chiacchere inutili” ma ai bisogni del prossimo, con amore e pazienza. E come Dio non si stanca mai, ma gioisce sempre quando “lo cerchiamo”, così i cristiani devono chiedere “la grazia di un cuore docile all’ascolto”.
Testimoni dell’amore di Dio, non maestri di tutti o esperti del sacro. “Farsi prossimi”, “antidoto contro la tentazione delle ricette pronte”, consiste quindi nel “portare la novità di Dio nella vita del fratello”. Per questo, il Papa esorta a chiedersi se si è capaci di “uscire dai nostri circoli per abbracciare quelli che ‘non sono dei nostri’ e che Dio cerca ardentemente”. C’è, infatti, sempre, la tentazione di “lavarsi le mani” mentre il Papa esorta a fare come Gesù che si è chinato su un cieco, cioè esorta a “sporcarci le mani”. E quando per amore di Dio “anche noi ci facciamo prossimi diventiamo portatori di vita nuova: non maestri di tutti, non esperti del sacro, ma testimoni dell’amore che salva”.
La lettera ai giovani del mondo dei padri sinodali. “Le nostre debolezze non vi scoraggino, le fragilità e i peccati non siano ostacolo alla vostra fiducia”. Lo affermano i Padri sinodali nella Lettera ai giovani del mondo a conclusione del Sinodo loro dedicato, letta nella Basilica di San Pietro al termine della messa di papa Francesco. “La Chiesa vi è madre, non vi abbandona, è pronta ad accompagnarvi su strade nuove, sui sentieri di altura ove il vento dello Spirito soffia più forte, spazzando via le nebbie dell’indifferenza, della superficialità, dello scoraggiamento”, aggiungono i vescovi.
http://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2018/10/28/0790/01710.html#OME
Redazione Internet Avvenire lunedì 29 ottobre 2018
https://www.avvenire.it/papa/pagine/messa-chisura-sinodo
Lo stile sinodale” ha detto il Papa, è il primo frutto del Sinodo
“Un tempo di consolazione e di speranza”. E’ con queste parole che Papa Francesco, durante l’Angelus di oggi 28 ottobre 2018, ha definito l’esperienza dei 26 giorni di Sinodo dedicato ai giovani e appena concluso. Un percorso che ha permesso alla “realtà multiforme delle nuove generazioni di entrare nel Sinodo”: Ascoltare infatti richiede tempo, attenzione, apertura della mente e del cuore. Ma questo impegno si trasformava ogni giorno in consolazione, soprattutto perché avevamo in mezzo a noi la presenza vivace e stimolante dei giovani, con le loro storie e i loro contributi. Attraverso le testimonianze dei Padri sinodali, la realtà multiforme delle nuove generazioni è entrata nel Sinodo, per così dire, da tutte le parti: da ogni Continente e da tante diverse situazioni umane e sociali.
Solo se accompagnato dal discernimento alla luce della Parola di Dio e dello Spirito Santo, l’ascolto porta i suoi frutti permettendo quindi di decifrare la realtà e di cogliere i segni dei tempi: Questo è uno dei doni più belli che il Signore fa alla Chiesa Cattolica, cioè quello di raccogliere voci e volti dalle realtà più varie e così poter tentare un’interpretazione che tenga conto della ricchezza e della complessità dei fenomeni, sempre alla luce del Vangelo.
Per Papa Francesco, e così conclude, “il Sinodo dei giovani è stato una buona vendemmia, e promette del buon vino”. Ma già un primo frutto si vede, e il Pontefice lo identifica nello “stile sinodale” che ha caratterizzato la XV Assemblea: Il primo frutto di questa Assemblea sinodale dovrebbe stare proprio nell’esempio di un metodo che si è cercato di seguire, fin dalla fase preparatoria. Uno stile sinodale che non ha come obiettivo principale la stesura di un documento, che pure è prezioso e utile. Più del documento però è importante che si diffonda un modo di essere e lavorare insieme, giovani e anziani, nell’ascolto e nel discernimento, per giungere a scelte pastorali rispondenti alla realtà.
www.avvenire.it/papa/pagine/angelus-del-28-ottobre-2018
I giovani e l’impegno nel mondo: ecco il testo finale del Sinodo
Un documento ampio, ricco e articolato, che affronta ogni aspetto della condizione giovanile. Che, soprattutto, ricorda e testimonia come i ragazzi di oggi, pur tra mille difficoltà, non siano soli ma abbiano in Gesù un maestro e un compagno di viaggio con cui condividere le loro inquietudini. E nella Chiesa una madre affettuosa che ogni volta aspetta il loro ritorno a casa.
Una casa dove vige la regola dell’ascolto. Se c’è infatti un verbo che più di ogni altro è risuonato nell’aula sinodale sin dal primo giorno di lavoro, è stato “ascoltare”. Che significa avvicinare l’altro, provare a capirlo, non lasciarlo mai solo. Aiutarlo a trovare la strada per diventare protagonista. E il testo finale ne è la plastica documentazione, perché ciascuno dei suoi 167 paragrafi è sempre orientato, per meglio dire “sta” dalla parte dei ragazzi. Un documento ampio, si diceva, che comprende un’introduzione, un proemio, tre parti e una conclusione, che indica ai giovani, a ciascuno di loro, la meta della santità. Vocazione di ogni uomo e di ogni donna. Tutti i punti sono stati approvati con la maggioranza qualificata dei 2/3 compresi i temi relativi alla sessualità e alla presenza delle donne nella Chiesa, quelli con il maggior numero di “non placet”.
Uno dei paragrafi più controversi del documento finale del Sinodo è il numero 39, le «domande dei giovani»: ha avuto 195 placet e 43 non placet dei padri sinodali. «Frequentemente – si legge – la morale sessuale è causa di incomprensione e di allontanamento dalla Chiesa, in quanto è percepita come uno spazio di giudizio e di condanna. Di fronte ai cambiamenti sociali e dei modi di vivere l’affettività e la molteplicità delle prospettive etiche, i giovani si mostrano sensibili al valore dell’autenticità e della dedizione, ma sono spesso disorientati. Essi esprimono più particolarmente un esplicito desiderio di confronto sulle questioni relative alla differenza tra identità maschile e femminile, alla reciprocità tra uomini e donne, all’omosessualità».
«Riconoscere e reagire a tutti i tipi di abuso» è il titolo della sezione che raccoglie i paragrafi 29-31, sul tema degli abusi nella Chiesa. In essa si legge che «il Sinodo esprime gratitudine verso coloro che hanno il coraggio di denunciare il male subìto: aiutano la Chiesa a prendere coscienza di quanto avvenuto e della necessità di reagire con decisione». Tra i motivi che tengono oggi tanti giovani distanti dalla Chiesa, il paragrafo 53 ricorda «gli scandali sessuali ed economici; l’impreparazione dei ministri ordinati che non sanno intercettare adeguatamente la sensibilità dei giovani; la scarsa cura nella preparazione dell’omelia e nella presentazione della Parola di Dio; il ruolo passivo assegnato ai giovani all’interno della comunità cristiana; la fatica della Chiesa di rendere ragione delle proprie posizioni dottrinali ed etiche di fronte alla società contemporanea».
La seconda parte è incentrata sul «mistero della vocazione» e «l’arte di discernere», la terza affronta in particolare la vita dei giovani nelle parrocchie. Forte è l’invito a «vivere in comunione con loro, crescendo insieme nella comprensione del Vangelo e nella ricerca delle forme autentiche per viverlo». Inevitabile la richiesta che le parrocchie sappiano accogliere meglio i giovani, perché «i giovani ci chiedono di camminare insieme». Dunque «porsi in ascolto» che è qualcosa di «più che sentire» la loro voce. «Potremmo procedere verso una Chiesa partecipativa e corresponsabile, capace di valorizzare la ricchezza della varietà di cui si compone» (paragrafo 123), quindi anche dei giovani, cominciando dalla fase della preparazione ai Sacramenti dell’iniziazione cristiana.
L’invito è a «non vivere la fede come un insieme di nozioni e regole che appartengono a un ambito separato dalla loro esistenza» esorta il documento al punto 128. Occorre dunque «un ripensamento pastorale della parrocchia in una logica di corresponsabilità ecclesiale e di slancio missionario». Ecco perché gli «itinerari catechistici devono dimostrare l’intima connessione della fede con l’esperienza concreta di ogni giorno» (numero 133), con una catechesi che si rinnovi nei linguaggi e nelle metodologie. La stessa pastorale giovanile è chiamata a essere «in chiave vocazionale», superando «una certa frammentazione attualmente esistente al suo interno».
Cercando di affrontare anche alcuni ambiti concreti, ecco l’attenzione all’ambiente digitale che «rappresenta per la Chiesa una sfida su molteplici livelli»: esserci sì, ma con discernimento. Sul tema dei migranti vengono ribaditi i quattro verbi indicati dal Papa: accogliere, proteggere, promuovere e integrare. E mentre si chiede una maggior presenza e ruolo della donne nella Chiesa, si chiede anche di trovare «modalità più adeguate» per «cammini formativi rinnovati sulla visione cristiana della corporeità e della sessualità». «Dio ama ogni persona e così fa la Chiesa rinnovando il suo impegno contro ogni discriminazione e violenza su base sessuale, pur riaffermando la determinante rilevanza antropologica della differenza e reciprocità tra l’uomo e la donna.
Redazione Catholica Avvenire 27 ottobre 2018
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Documento finale del Sinodo dei Vescovi sui Giovani, la Fede ed il Discernimento Vocazionale
Testo del Documento finale e le Votazioni del Documento finale del Sinodo dei Vescovi al Santo Padre Francesco, al termine della XV Assemblea generale ordinaria (3-28 ottobre 2018) sul tema: “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”. (167 paragrafi)
https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2018/10/27/0789/01722.htm
Introduzione
Proemio
I parte. «Camminava con loro»
Capitolo 1. Una chiesa in ascolto
Capitolo 2. Tre snodi cruciali
Capitolo 3. Identità e relazioni
Capitolo 4. Essere giovani oggi
II parte. «Si aprirono loro gli occhi». Una nuova pentecoste
Capitolo 1. Il dono della giovinezza
Capitolo 2. Il mistero della vocazione
Capitolo 3. La missione di accompagnare
Capitolo 4. L’arte di discernere
III parte. «Partirono senza indugio». Una chiesa giovane
Capitolo 1. La sinodalità missionaria della chiesa
Capitolo 2. Camminare insieme nel quotidiano
Capitolo 3. Un rinnovato slancio missionario
Capitolo 4. Formazione integrale
Conclusione (27 ottobre 2018)
Documento finale del Sinodo 2018: prima spigolatura su liturgia e donna
L’ampio Documento finale, che chiude questa fase sinodale, si presenta ovviamente come una grande sintesi dei lavori, scandita da una cadenza in tre parti, modellate sull’episodio evangelico dei “due di Emmaus”. Vorrei qui esaminarne il contenuto limitatamente a due temi, non così centrali, ma assai significativi. Mi sembra che, all’esame di due argomenti così diversi – come quello della “liturgia” e quello della “donna” – emergano dal testo alcune obiettive tensioni, che si aprono tra il momento dell’ascolto e il momento della “ripresa finale”.
L’ascolto invoca una assunzione di responsabilità e di autorità, che la ripresa sembra da un lato confermare e dall’altro escludere. Vorrei suffragare questa impressione con alcuni dati testuali, e lo farò riferendomi ai due temi su cui mi sento di poter fare qualche osservazione meno improvvisata.
Giovani, liturgia e senso del mistero. Dedicati alla liturgia troviamo, oltre ad altri fuggevoli riferimenti, due numeri: il 51 e il 134. Il primo è nella “prima parte”, dedicata all’ascolto; mentre il secondo è nella “terza parte”. Colpisce molto che il primo numero sia sostanzialmente lineare e ben strutturato, mentre il secondo appare contorto, faticoso e attraversato da tensioni irrisolte.
Il n. 51 (dal titolo Il desiderio di una liturgia viva) esordisce con la affermazione di una domanda di “liturgia fresca, autentica e gioiosa” che viene dai giovani, e che è domanda sia di preghiera sia di sacramenti – confermando indirettamente una certa fatica, forse non solo dei giovani, a concepire il sacramento anche come preghiera. E si sottolineano tre diversi atteggiamenti nei giovani circa la liturgia.
- Da un lato vi è chi riconosce in essa una mediazione fondamentale della propria identità di fede.
- Vi è chi invece vede la messa domenicale “più come precetto morale che come felice incontro con il Signore Risorto e con la comunità”.
- Infine si dice, in generale, che la iniziazione ai sacramenti fa fatica ad introdurre in profondità, “ad entrare nella ricchezza misterica dei suoi simboli e dei suoi riti”.
Come risponde il n. 134 a queste belle provocazioni? Con parole che sono certamente il frutto di un comprensibile compromesso, ma che restano largamente al di sotto del tenore delle domande. Sotto il titolo La centralità della liturgia (ed è curioso che si usi “centro” e non “culmine e fonte”) si riprende il ruolo della celebrazione eucaristica in rapporto alla fede e alla Chiesa, si ribadisce l’importanza di celebrazioni belle e di nobile semplicità, si sostiene la valorizzazione della ministerialità, ma quando si arriva agli auspici, il testo appare confuso e senza orientamento. Vi si dicono tre cose:
- La partecipazione attiva sia favorita, “ma tenendo vivo lo stupore per il Mistero”. Qui vi è una netta involuzione rispetto al n. 51. L’ascolto sembra più chiaro della risposta. Quando mai lo stupore per il Mistero è diverso dalla partecipazione attiva? Forse che il Sinodo, con tutta la sua autorità, si è limitato ad utilizzare un concetto meramente funzionale di “actuosa participatio” e non quello inteso da Sacrosanctum Concilium? Se per il Concilio Vaticano II la “partecipazione attiva” è la via “misterica” per avere intelligenza dell’eucaristia, possono forse i nostri Vescovi consigliare ai giovani di “coltivare la partecipazione, ma anche il Mistero”? Qui si introduce una confusione piuttosto grave, quando invece il n. 51 parlava in modo molto pertinente ed elegante di “ricchezza misterica dei suoi simboli e dei suoi riti”. Là si teneva giustamente insieme quello che qui tende ad essere opposto.
- Avendo introdotto questa cesura tra “mistero” e “partecipazione”, ne risulta per conseguenza che arte e musica non debbano essere “per sé”, ma siano parte delle “azioni di Cristo e della Chiesa”. Anche qui, senza poter negare le possibili cadute autoreferenziali del musicale e dell’artistico, occorreva dire meglio, e con maggiore coraggio, che il “mistero” non è solo “altro” dalla musica e dall’arte, ma che queste ne sono “mediazione originaria”. Altrimenti sarà ancora facile accedere al mistero di Cristo e della Chiesa indipendentemente da musica e arte.
- – Infine, come ultima conseguenza di questa “spaccatura” introdotta dalla risposta, ma assente nella domanda, era inevitabile che si arrivasse a questo: se si disgiunge il Mistero dalla partecipazione attiva, si può trovare altamente raccomandabile investire con i giovani sulla “adorazione eucaristica”, che assume, in questo modo di pensare la liturgia, una funzione addirittura prioritaria, come sintonia immediata, contemplativa e silenziosa con il Mistero, essendo questo distinto fin dall’inizio dalla partecipazione attiva. Qui, a mio avviso, le risposte episcopali appaiono restare piuttosto al di sotto delle domande dei giovani. Questo deve essere considerato, in qualche modo, un risultato molto significativo del Sinodo.
La donna: per giustizia, ma con rispetto. Anche in questo caso, se leggo bene, mi sembra che i riferimenti della prima e della terza parte siano vistosamente diversi. I numeri che affrontano la questione femminile sono il n. 13, il n. 55 e il n.148. Anche in questo caso i primi due numeri appaiono ben congeniati e assai omogenei, mentre il terzo è attraversato da una tensione assai forte, quasi come se non riuscisse a gestire a proprio agio la domanda scaturita dall’ascolto. Li presento per ordine.
- Il n. 13, intitolato Uomini e donne (che viene significativamente dopo il n. 12 che ha il titolo Esclusione ed emarginazione) usa toni forti e recisi. Inizia dalla “differenza tra uomo e donna”, che può generare “forme di dominio, esclusione e discriminazione da cui tutte le società e la Chiesa stessa hanno bisogno di liberarsi”. L’uguaglianza di uomo e donna davanti a Dio fa sì che “ogni dominazione e discriminazione basata sul sesso offende la dignità umana”. La differenza tra uomo e donna è “irriducibile a stereotipi”.
- Il n. 55 si intitola Le donne nella Chiesa e presenta le aspettative dei giovani: anzitutto occorre “riconoscimento e valorizzazione delle donne nella società e nella Chiesa”. Si constata la fatica ad attribuire autorità a donne, a dar loro spazio nei processi decisionali. La assenza di voce e di sguardo da parte delle donne impoverisce il dibattito e il cammino della Chiesa. E il numero si chiude con queste parole: “Il Sinodo raccomanda di rendere tutti più consapevoli dell’urgenza di un ineludibile cambiamento, anche a partire da una riflessione antropologica e teologica sulla reciprocità tra uomini e donne”.
- Infine, il testo del n. 134, dal titolo Le donne nella Chiesa sinodale. Si inizia da un paragone forzato: la Chiesa sinodale “non potrà fare a meno” (una circonlocuzione per non dire “deve”) di riflettere su condizione e ruolo della donna “al proprio interno e di conseguenza anche nella società”. Curiosa inversione del “segno dei tempi” di Giovanni XXIII in Pacem in terris, dove è la società a mostrare alla Chiesa una novità inaggirabile. Tuttavia questo limite di approccio non impedisce di riconoscere apertamente la necessità di una “coraggiosa conversione culturale e di cambiamento nella pratica pastorale quotidiana”. Ciò implica un doveroso coinvolgimento della donna negli organi istituzionali, anche con funzioni di direzione, e quindi anche nei processi decisionali, ma con una delimitazione che viene precisata in modo molto netto, dicendo “nel rispetto del ruolo del ministero ordinato”. Sorge naturale una serie di questioni brucianti: Può il “rispetto per la donna” essere compatibile con questo “rispetto del ministero ordinato”? Se “rispetto” implica una strutturale esteriorità della donna al ministero ordinato, dove sta il coraggio di una “conversione pastorale”? A chi delegano i Vescovi l’” ineludibile cambiamento”? Si può invocare il “coraggio” per garantire che tutto resti esattamente come prima? Quale ruolo viene riconosciuto al discernimento antropologico e teologico sulla reciprocità tra maschile e femminile invocato al n. 55?
- Il testo si chiude con una importante sottolineatura del “dovere di giustizia” che la Chiesa deve riconoscere alle donne, sia sulla base della prassi di Gesù verso le donne, sia sulla base di figure femminili autorevoli del testo biblico, della storia della salvezza e della storia della Chiesa.
Un sinodo che si spoglia della autorità? Il Sinodo, nel suo Documento finale, sembra lavorare su una ipotesi di “non autoreferenzialità” piuttosto originale. Si spoglia di autorità e la rimanda, direttamente, sotto di sé e sopra di sé. Da un lato sembra “mettere in bocca ai giovani” una serie di istanze che diventano obiettive priorità ecclesiali. D’altra parte rimanda ad altre istanze (superiori? posteriori? escatologiche?) una parola autorevole che assuma la novità in modo progettuale e che esca dall’imbarazzante “elenco di buoni propositi”.
Come ho cercato di far notare – con tutto il beneficio dell’inventario di una lettura inevitabilmente rapida ed acerba – su questi due temi per certi versi agli antipodi – come il classicissimo tema liturgico e il nuovissimo tema della “donna nella Chiesa” – il procedimento appare simile: da un lato un ascolto franco e diretto delle questioni, che ne permette una preziosa documentazione ufficiale; ma poi una elaborazione stanca, farraginosa, ingolfata delle questioni, che non approda, di per sé, ad alcun progetto, se non alla conferma di quel che c’è e all’auspicio, chiaro ma assolutamente non determinato, verso una prospettiva diversa. In conclusione mi chiedo: la “non autoreferenzialità” può essere soltanto “puro rimando ad altro”?
Forse su altri temi si leggeranno testi molto più chiari e più decisi. Ma l’impressione è che, molto più di quanto è accaduto tre anni fa nel Sinodo sulla famiglia, ogni spazio di reale determinazione sia stato affidato, contemporaneamente, al popolo di Dio (giovane e meno giovane che sia) e al Vescovo di Roma (che sa bene di dover restare giovane ex officio).
Andrea Grillo blog: Come se non 28 ottobre 2018
www.cittadellaeditrice.com/munera/documento-finale-del-sinodo-2018-prima-spigolatura-su-liturgia-e-donna
Nel rispetto del ruolo del ministero ordinato”: una questione di sguardo
Esaminando il testo conclusivo del Sinodo 2018, al n. 134, intitolato Le donne nella Chiesa sinodale si resta colpiti da questa frase: “Un ambito di particolare importanza a questo riguardo è quello della presenza femminile negli organi ecclesiali a tutti i livelli, anche in funzioni di responsabilità, e della partecipazione femminile ai processi decisionali ecclesiali nel rispetto del ruolo del ministero ordinato”.
Mi pare che queste parole meritino un esame accurato: questa precisazione con cui si delimita – o comunque si determina – il ruolo femminile di partecipazione alla autorità ecclesiale, si concentra nella locuzione: “nel rispetto del ruolo del ministero ordinato”.
L’espressione può essere intesa in vari modi e una rassegna delle possibili interpretazioni può tornare di qualche utilità:
- In un primo senso, l’espressione” nel rispetto del ruolo del ministero ordinato” andrebbe intesa come una delimitazione di opportunità, essendo la partecipazione ai processi decisionali necessariamente riservata al “ministero ordinato”. Si potrebbe dire che la partecipazione delle donne al processo decisionale “entra necessariamente in rapporto con il ministero ordinato”;
- In un secondo senso, l’espressione ”nel rispetto del ruolo del ministero ordinato” assumerebbe un valore più forte, delimitando strutturalmente la partecipazione femminile al di fuori del ministero ordinato, che avrebbe la esclusiva sulla autorità, cui la donna non potrebbe in alcun modo partecipare;
- In un terzo senso, che suonerebbe qui come la “lectio difficilior“, si potrebbe intendere ”nel rispetto del ruolo del ministero ordinato” come la eventualità per la quale il contributo femminile al processo decisionale sarebbe diverso a seconda che la donna entri a far parte o meno del “ministero ordinato”.
Evidentemente, alla radice di questa espressione sta una questione di “sguardo”. Lo sguardo ecclesiale sulla donna, e lo sguardo femminile sulla Chiesa, pongono la questione del “rispetto” in una regione particolarmente delicata della esperienza ecclesiale.
In che modo possiamo intrecciare il “rispetto della donna” con il “rispetto del ruolo del ministero ordinato? Per capirlo dobbiamo brevemente sostare sulla parola “rispetto”.
Rispetto e sguardo. Ciò che chiamiamo “rispetto” non è altro che un certo modo di guardare. Su questo tema dello “sguardo” Evangelii Gaudium ha la bellezza di 25 occorrenze. E’ una delle parole che ricorrono di più. E più volte si afferma che la “conversione pastorale” non è altro che un cambiamento dello “sguardo”, del modo di guardare.
Ora, a tal proposito accade che “respectus” sia, appunto, uno di questi modi di guardare e di essere guardati. Respectus, insieme a conspectus, aspectus, prospectus, despectus sono tutti composti dal termine “spectus” che è, appunto, sguardo.
Allora forse, nella interpretazione della frase del Documento sinodale, dobbiamo chiederci quale “sguardo” può sostenere meglio quella relazione tra le donne e il ministero ordinato.
Se il documento sinodale auspica apertis verbis una grande conversione ecclesiale, nel superare i pregiudizi che ostacolano il riconoscimento della autorità femminile nella Chiesa, allora appare chiaro che la interpretazione della espressione sul “rispetto” non possa essere interpretata nei termini della ipotesi b). Infatti, in questo caso, un ministero ordinato assolutamente impenetrabile alle logiche femminili rivendicherebbe il “rispetto” che si deve ad una autorità altra. Le donne dovrebbero al ministero ordinato il rispetto che si deve ad una “alterità da onorare”. Ma questo “sguardo” da parte femminile non sarebbe compatibile con lo sguardo reciproco da parte maschile.
Restano allora le due ipotesi sub a) e sub c).
La ipotesi sub a) implica una relazione di collaborazione con il ministero ordinato, per cui il “rispetto” avrebbe il senso di negare ogni ”dispetto”. L’apprezzamento per il ministero ordinato, e quello reciproco verso le donne, sarebbe opportuno per ogni tipo di lavoro comune.
Infine, la ipotesi sub c), che, ripeto, appare la ermeneutica più azzardata, potrebbe avere un certo fondamento in una prospettiva – non esclusa in nessun modo – di un accesso delle donne alla ordinazione ministeriale, nella figura di una loro possibile ordinazione diaconale. In tale caso, la espressione ”nel rispetto del ruolo del ministero ordinato” andrebbe intesa, addirittura, come la necessaria articolazione di funzioni autorevoli tra donne “ordinate” e donne non ordinate.
Chiesa sinodale e sguardo sinodale. Lo sguardo di cui dobbiamo diventare capaci ci è ancora difficile. Dobbiamo imparare a guardare diversamente. Per questo, certo, ci vuole rispetto. Ma rispettare il ruolo del ministero ordinato, per le donne, può significare tre cose, che non sono per nulla identiche:
- Rispettare una forma di attribuzione o di riconoscimento della autorità che esclude le donne per principio e rispetto a cui le donne possono sperimentare solo “autorità residuali”;
- Valorizzare una struttura di esercizio della autorità, rispetto a cui le donne possono trovare forme di integrazione, almeno indiretta;
- Aiutare a tradurre la tradizione maschile di ministero ordinato in una forma nuova, declinando anche al femminile la autorità ordinata nella Chiesa, sul piano dell’esercizio femminile del ministero diaconale.
Pertanto la espressione del documento finale del Sinodo, che per alcuni ha solo il significato n. 1, può rimandare certamente anche al significato n.2 e non è affatto escluso che domani, secondo uno sviluppo ecclesiale tutt’altro che impossibile, noi tutti potremmo trovarci costretti ad interpretarla come una “velata profezia” del significato n.3.
Andrea Grillo blog: Come se non 28 ottobre 2018
www.cittadellaeditrice.com/munera/nel-rispetto-del-ruolo-del-ministero-ordinato-una-questione-di-sguardo
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