NewsUCIPEM n. 722 – 7 ottobre 2018

NewsUCIPEM n. 722 – 7 ottobre 2018

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02 ADOZIONE INTERNAZIONALE Rilanciare l’adozione internazionale: ecco gli impegni del Governo.

02 ALLEANZA Intesa tra uomo e donna.

03 ASSEGNO MANTENIMENTO FIGLI Conseguenze del mancato pagamento.

04 CENTRO INTERN. STUDI FAMIGLIA Newsletter CISF – N. 31, 3 ottobre 2018.

06 CHIESA CATTOLICA Il pontificato di Francesco e la questione del “laicato”.

12 Per un’ecclesiologia a due voci.

13 Intorno a una “ecclesiologia a due voci”.

14 CHIESE EVANGELICHE Perché la Chiesa cattolica non si paga i suoi insegnanti?

15 COMM.ADOZIONI INTERNAZIONALI L’accoglienza di bambini in stato di abbandono nel mondo.

15 La lista di famiglie aspiranti all’adozione di 175 minori bielorussi.

15 CONSULENZA COPPIA E FAMIGLIA Padova. Amoris Lætitia e la consulenza familiare.

16 CONSULTORI UCIPEM Cremona. Proposta percorso formativo rivolta alla Scuola Primaria

16 DALLA NAVATA28° Domenica – Anno B –7 ottobre 2018.

16Il sogno di Dio è che nessuno sia solo, senza sicurezza. E. Ronchi.

17 DIRITTI Nasce in Italia la “Carta dei diritti dei figli”.

18 DISCERNIMENTO Discernere insieme.

21 FORUM ASS.ni FAMILIARI Sgravi fiscali alle imprese che credono nella famiglia.

21 FRANCESCO VESCOVO DI ROMA Incoraggia i preti sposati greco-cattolici: testimonianza esemplare.

22 GOVERNO Strategia di Riforma nel DEF 2018.

23 MATRIMONIO Una donna cambia dopo il matrimonio?

24 PEDAGOGIAIl metodo danese per la felicità dei nostri figli.

26 PENSIONE DI RIVERSIBILITÀ Assegno divorzile in un’unica soluzione? All’ex non spetta.

26 SINODO DEI VESCOVI SUI GIOVANIPapa Francesco al Sinodo: ascoltiamo i giovani, senza pregiudizi.

27Papa Francesco: date ai giovani risposte senza paura.

28La Chiesa e la sfida dei giovani: Sinodo: quello che c’è da sapere.

30Castità, celibato, paternità: prosegue il dibattito al Sinodo.

31Cardinale Nzapalainga C’è chi tratta i migranti come bestie.

31 UCIPEM Convocazione assemblea ordinaria.

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ADOZIONE INTERNAZIONALE

DEF 2018. Rilanciare l’adozione internazionale è ancora possibile: ecco gli impegni del Governo

La Nota di aggiornamento del Documento di Economia e Finanza 2018, deliberata dal Consiglio dei Ministri lo scorso 27 Settembre 2018 e presentata alle Camere, recepisce in buona parte il decalogo del Ministro per la Famiglia e la Disabilità, Lorenzo Fontana, per un rilancio dell’adozione “Adozione internazionale. Ecco il decalogo del ministro della Famiglia Fontana per tentarne il rilancio”.

www.aibi.it/ita/adozione-internazionale-il-decalogo-del-ministro-della-famiglia-fontana

Una lista di impegni e di azioni da compiere nel minor tempo possibile per scongiurare una crisi irreversibile del sistema-adozioni in Italia.

Sì alla “sburocratizzazione” e semplificazione delle procedure adozioni internazionali, a misure e interventi di sostegno e accompagnamento delle coppie adottive e ad una razionalizzazione necessaria degli enti autorizzati. E’ questo uno dei provvedimenti contenuti nella nota di aggiornamento al Documento di Economia e Finanza (DEF) 2018 presentata alle Camere.

Mettere mano in modo forte e convinto al sistema dell’adozione, attualmente in grave difficoltà nel nostro Paese, per poter rilanciare, finalmente ed efficacemente, l’universo dell’accoglienza dei bambini abbandonati nel nostro Paese: era stata la sfida lanciata dal ministro per la Famiglia e la Disabilità, Lorenzo Fontana, lo scorso 26 luglio 2018 in audizione alla Commissione Affari Sociali della Camera.

Un decalogo, quello indicato da Fontana, che viene riproposto in un paragrafo del capitolo IV. La Strategia di Riforma del Governo del DEF 2018. “In ordine alle politiche in materia di adozioni di minori italiani e stranieri, è necessario accelerare le attività istruttorie ai fini del rilascio del decreto di idoneità, assicurando una maggiore uniformità dei servizi resi sul territorio nazionale. Sono pertanto allo studio misure per razionalizzare, snellire e coordinare le attività di informazione e i processi di valutazione. Inoltre, dovranno essere intraprese azioni per definire un sistema di sostegno post adozione strutturale e capillare, attraverso misure che accompagnino le famiglie con interventi che investano una pluralità di competenze, da quelle giuridiche a quelle psicologiche, sociali e pedagogiche. E’ altresì necessario intraprendere un utile percorso di razionalizzazione degli enti autorizzati per le adozioni, garantendo al contempo un’omogenea diffusione della loro operatività”.

“Occorre, infine, rafforzare gli strumenti di sostegno economico per le coppie che concludono un percorso adottivo” – si legge ancora nella nota – “nonché investire in progetti di cooperazione nei Paesi di origine, per sviluppare le competenze atte a garantire procedure più veloci e trasparenti“.

www.mef.gov.it/inevidenza/documenti/NADEF_2018.pdf

Certo rilanciare l’adozione internazionale è ancora possibile – commenta Marco Griffini, Presidente di Ai.Bi. Amici dei Bambini – ma occorre fare presto. Le famiglie italiane dopo anni e anni in cui si sono sentite – e di fatto lo sono state – abbandonate dalle istituzioni, stanno perdendo la fiducia nella positività della accoglienza adottiva. Un intervento come il bonus da 10.000€ per ogni adozione realizzata nel 2019, non solo sarebbe un potentissimo segnale per una clamorosa inversione di tendenza, ma un reale, concreto semplice ed efficace sostegno alle migliaia di famiglie che attendono che si verifichino le condizioni per poter accogliere un bambino abbandonato.

News AI. Bi. 5 ottobre 2018

www.aibi.it/ita/def2018-adozione-ancora-possibile-impegni-governi

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ALLEANZA

Intesa tra uomo e donna

Ricomprendere la polarità, la differenza e l’alleanza uomo-donna in una prospettiva nuova e attraverso un’indagine multidisciplinare, che tenga conto della prospettiva filosofica e antropologica ma anche di quella sociale e giuridica è l’obiettivo del convegno “Alleanza donna e uomo: diritti, limiti, risorse” che si svolgerà a Venezia, presso la Scuola Grande di San Rocco, giovedì 11 ottobre (dalle ore 17).

Interverranno Marta Rodriguez, direttrice Istituto studi superiori sulla donna (Issd) – Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, e il consigliere Adelchi d’Ippolito, procuratore della Repubblica vicario di Venezia. Saranno inoltre proposte testimonianze di Agnese Lunardelli, presidente Pmi – Confindustria Venezia, e Alessandra Nigri, consulente finanziario.

A trarre le conclusioni il patriarca Francesco Moraglia. L’iniziativa è promossa dall’Ufficio cultura del Patriarcato di Venezia in collaborazione con l’Issd, la sezione veneziana dell’Unione giuristi cattolici italiani e la Scuola diocesana di teologia S. Marco Evangelista. L’incontro coincide anche con la prolusione di inizio anno accademico della Scuola teologica diocesana per le zona di Venezia, Mestre e terraferma.

Presentando l’appuntamento, i promotori richiamano il monito di Papa Francesco: “L’alleanza dell’uomo e della donna è chiamata a prendere nelle sue mani la regia dell’intera società”, un invito “alla responsabilità per il mondo, nella cultura e nella politica, nel lavoro e nell’economia; e anche nella Chiesa”.

Non si tratta di pari opportunità ma di “intesa degli uomini e delle donne” chiamati “a parlarsi, con amore di ciò che devono fare perché la convivenza umana si realizzi nella luce dell’amore di Dio per ogni creatura”, e ad “allearsi, perché nessuno dei due – né l’uomo da solo, né la donna da sola – è in grado di assumersi questa responsabilità”.

Agenzia SIR 8 ottobre 2018

https://agensir.it/quotidiano/2018/10/8/diocesi-venezia-giovedi-un-convegno-sull-alleanza-tra-uomo-e-donna-con-il-patriarca-moraglia

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ASSEGNO DI MANTENIMENTO PER I FIGLI

Conseguenze del mancato pagamento

In Italia sempre meno persone si sposano e sempre più coppie si separano: un trend decisamente negativo che ha avuto forti ripercussioni anche sulle natalità, in costante calo da anni. A prescindere dalla causa della separazione o del divorzio, la legge ha previsto degli strumenti per far fronte alla rottura del vincolo coniugale: si tratta di “ammortizzatori” studiati per impedire che il disgregamento del nucleo familiare possa avere ripercussioni irreversibili sulle persone coinvolte, in primis sui figli. Tra questi strumenti v’è senz’altro l’assegno di mantenimento, cioè il contributo economico che una parte deve dare all’altra economicamente più debole.

Esistono due tipi di assegno di mantenimento: quello versato a favore dell’ex coniuge e quello destinato alla prole. In entrambi i casi si tratta di una somma di denaro che il coniuge più abbiente deve dare per sostenere economicamente l’ex partner non in grado di provvedere a sé e i figli che non sono ancora in età lavorativa oppure che, incolpevolmente, non hanno trovato lavoro. L’assegno di mantenimento si configura come un vero e proprio obbligo stabilito direttamente dalla sentenza del giudice; chi ne viene meno si rende inadempiente come un qualsiasi debitore e, pertanto, contro di lui sono ammesse azioni per il recupero coattivo del credito. Ma v’è di più: poiché il mantenimento trova la sua origine e disciplina direttamente nella legge, colui che vi viene meno rischia addirittura di commettere reato! Se il giudice ti ha detto di versare il mantenimento al tuo ex coniuge e ai tuoi figli e stai venendo meno a tale ordine, non solo rischi che ti blocchino lo stipendio per il recupero dei crediti, ma addirittura di essere denunciato e di finire davanti al giudice penale!

Mancato pagamento mantenimento: conseguenze civili. Pagare l’assegno di mantenimento è un obbligo che sorge direttamente per legge al momento della separazione: da tanto deriva che il suo inadempimento è tutelato con specifici strumenti che possano garantire al creditore una soddisfazione più celere del suo diritto.

Una prima forma di tutela che l’avente diritto all’assegno di mantenimento può invocare è il cosiddetto ordine di pagamento. Secondo la legge, in caso di inadempimento, il giudice può disporre il sequestro di parte dei beni del coniuge obbligato e ordinare ai terzi, tenuti a corrispondere anche periodicamente somme di danaro all’obbligato, che una parte di essa venga versata direttamente agli aventi diritto [Art. 156, sesto comma, cod. civ.]. Con questa norma è data la possibilità a chi ha diritto al mantenimento (coniuge o figlio che sia) di chiedere al giudice che le somme che l’inadempiente dovrebbe ricevere da terzi gli vengano versate direttamente, un po’ come avviene nel pignoramento presso terzi. Facciamo un esempio: tuo marito dovrebbe pagarti mensilmente il mantenimento; da un po’ di tempo, però, non stai ricevendo più nulla. Per tutelarti, puoi chiedere al giudice che ordini a colui che deve somme di danaro a tuo marito (ad esempio, il datore di lavoro) di versarle direttamente a te. In pratica, il debitore di tuo marito sarà legittimato a pagare direttamente te, creditore del mantenimento.

Sempre la stessa norma menzionata nel paragrafo precedente consente all’avente diritto al mantenimento, nel caso in cui non stia ricevendo più nulla, di disporre il sequestro di parte dei beni del coniuge obbligato. Il sequestro conservativo è una misura cautelare che consente di “blindare” i beni del debitore al fine di poter soddisfare le pretese del creditore. In particolare il sequestro rende inopponibili al creditore le operazioni compiute sui beni sequestrati. Facciamo un esempio: tuo marito non solo non versa il mantenimento, ma c’è anche il rischio concreto che sperperi tutto il suo patrimonio. Per evitare ciò, puoi chiedere al giudice di porre sotto sequestro alcuni suoi beni (la macchina, ad esempio), di modo che anche se egli dovesse venderla, tale operazione non sarebbe nei tuoi confronti efficace e tu potresti comunque soddisfarti su quel bene.

Esecuzione forzata. Accanto a questi due strumenti pensati appositamente come conseguenza del mancato pagamento dell’assegno di mantenimento, ne esiste un altro, derivante dalla natura del provvedimento che riconosce tale sostegno economico. La decisione con cui il giudice stabilisce l’obbligo di versare il mantenimento alla prole e al coniuge economicamente più debole è un titolo esecutivo a tutti gli effetti; ciò significa che al coniuge inadempiente potrà essere notificato immediatamente atto di precetto con cui si intima di pagare quanto dovuto (maggiorato di interessi e spese legali) entro il termine di novanta giorni; in mancanza, si provvederà mediante pignoramento ed esecuzione forzata sui bene del debitore.

Questa strada è forse la più celere da percorrere, visto che non è necessario adire nuovamente il tribunale per chiedere un ordine di pagamento o il sequestro: basta affidarsi ad un avvocato per tentare immediatamente il recupero del mantenimento dovuto e non versato.

Mancato pagamento mantenimento: conseguenze penali. Le conseguenze del mancato pagamento dell’assegno di mantenimento non si fermano alle sanzioni civili: se il tuo ex coniuge non paga quanto dovuto, puoi addirittura denunciarlo ai carabinieri. Secondo la legge, costituisce violazione degli obblighi di assistenza la condotta del coniuge che si sottrae all’obbligo di corresponsione di ogni tipologia di assegno dovuto in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio ovvero vìola gli obblighi di natura economica in materia di separazione dei coniugi e di affidamento condiviso dei figli [Art. 570-bis cod. civ.].

Mariano Acquaviva La Legge per tutti 7 ottobre 2018

www.laleggepertutti.it/237457_assegno-di-mantenimento-conseguenze-del-mancato-pagamento

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CENTRO INTERNAZIONALE STUDI FAMIGLIA

Newsletter CISF – N. 31, 3 ottobre 2018

  • “Chissà se Dio esiste”: se ne discute dal barbiere… con argomenti insospettabili! Un dialogo leggero e quotidiano, dal barbiere, che diventa serio quando ci si interroga sull’esistenza di Dio e sul senso del male. Come rispondere? I buoni argomenti possono venirti in mente quando meno te lo aspetti…

www.facebook.com/L.AttimoFuggenteTheOriginal/videos/730001737056646

  • Chiesa d’Irlanda: come reagire positivamente al dramma degli abusi nella chiesa (Church in Ireland: How to Positvely React to the Drama of Abuses in the Church). Tra i tanti frutti dell’Incontro Mondiale delle Famiglie di Dublino di fine agosto c’è sicuramente una rinnovata attenzione allo scandalo degli abusi sessuali nella Chiesa d’Irlanda. Denuncia, vergogna, pentimento, accoglienza delle vittime, nuove strategie di contrasto: tutte azioni in campo, e rafforzate con decisione anche dalle parole e dalle azioni di Papa Francesco. Merita però maggiore attenzione la realizzazione, da parte della Chiesa irlandese, di tre specifici servizi direttamente a sostegno delle persone coinvolte in questa drammatica emergenza (siti in inglese).

  1. “Towards Peace” (Verso la Pace) [http://towardspeace.ie], servizio di supporto e accompagnamento spirituale (con un assistente personale dedicato) alle persone che hanno subito abusi da parte di membri della Chiesa cattolica irlandese;

  2. Towards Healing (Verso la guarigione [www.towardshealing.ie], servizi professionali di sostegno alle vittime, con interventi di consulenza psicologica, ascolto, psicoterapia, tutela legale, ecc.;

  3. The National Board for Safeguarding Children in the Catholic Church in Ireland (Consiglio Nazionale di salvaguardia dei minori nella Chiesa cattolica d’Irlanda) [www.safeguarding.ie], organo che si occupa di individuare, promuovere e diffondere buone pratiche di intervento, nuove politiche e procedure a tutela dei minori. Si tratta di iniziative concrete, segno di un reale sforzo di un difficile percorso di espiazione e di rinnovamento, che mette al centro prima di tutto le persone che hanno subito abusi.

  • Care4dem. Gruppo di mutuo aiuto basato sul web per caregiver informali di persone affette da demenza: analisi delle evidenze. Di particolare interesse questo breve ma denso documento [testo in italiano -18 pagine] sulle modalità con cui il web e i supporti informatici possono sostenere il lavoro di cura a favore delle persone affette da demenza. Si tratta della sintesi delle “Linee guida di base” preparate nel quadro di un progetto europeo internazionale (Erasmus+ CARE4DEM).

http://eurocarers.org/userfiles/files/care4dem/IO%20Short%20version%20IT.pdf

  • Reddito di inclusione. Dati Inps del primo semestre 2018 (aggiornati al 23 luglio 2018). Report semestrale dell’Osservatorio Statistico Inps sul tema. “Nuclei beneficiari e persone coinvolte” [testo/vedi tabelle – 8 pagine]. Anche se il dibattito oggi è inevitabilmente concentrato sulle nuove misure del governo, e segnatamente sulla proposta e sulle risorse dedicate al “Reddito di cittadinanza”, è particolarmente preziosa (e positiva) la pubblicazione dei dati sulle prestazioni del già operativo “Reddito di inclusione” del primo semestre 2018. Ciascuno può quindi farsi un’idea in prima persona di come abbia funzionato e di chi siano stati i destinatari. Perché è sempre più importante cercare di comprendere l’effettivo impatto sulle famiglie di quanto viene proposto e realizzato. “Nel primo semestre 2018 sono stati erogati benefici economici a 267 mila nuclei familiari raggiungendo 841 mila persone. Esistono inoltre trattamenti SIA erogati ad ulteriori 44 mila nuclei familiari che non si sono ancora trasformati in ReI, pertanto tali trattamenti possono essere logicamente sommati ai trattamenti ReI potendo concludere che nel primo semestre del 2018 sono stati raggiunti dalle misure contro la povertà circa 311 mila nuclei con il coinvolgimento di oltre un milione di persone […] Analizzando la composizione dei nuclei, risulta che sono 169 mila i nuclei con minori che rappresentano il 63% dei nuclei beneficiari che coprono il 78% delle persone interessate. Diversamente, sono 49 mila i nuclei con disabili, che rappresentano il 18% dei nuclei beneficiari, coprendo il 18% delle persone interessate”.

www.inps.it/docallegatiNP/Mig/Dati_analisi_bilanci/Osservatori_statistici/Osservatorio_REI/Report_gennaio-giugno_2018.pdf

  • A Cagliari un centro domenicano di studi familiari. A fronte dei molteplici bisogni delle famiglie nel contesto italiano, il Consiglio direttivo del Movimento domenicano delle famiglie ha approvato la costituzione di un “Centro domenicano di studi familiari”, operativo per tutta la provincia italiana presso la comunità di Cagliari. “[…] al centro del suo programma formativo la nuova centralità della coppia coniugale come soggetto di progettazione della vita affettiva, come soggetto educativo dei propri figli, come soggetto liturgico, ecclesiale, culturale, politico, civile ecc.”.

http://newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/attachments/newscisf3118_allegato1.jpg

  • Quale formazione per gli operatori sociali, interlocutori delle famiglie. “L’attività formativa della Scuola IRS per il Sociale si caratterizza per lo sviluppo di cinque linee di intervento: Formazione alle funzioni di programmazione e valutazione dei servizi, Formazione al ruolo e professioni sociali, Formazione tematica su argomenti attuali e di interesse per i professionisti del sociale, Supervisione professionale, Coaching, accompagnamento e consulenza”

http://scuolairsperilsociale.it/i-corsi

  • Dalle case editrici

  • Mimesis, Gender, filosofie, teologie. La complessità, contro ogni ideologia, Migliorini D.

  • San Paolo, Il metodo per amare. Un’inchiesta, Moia L.

  • Marcianum Press, Per una teologia del matrimonio, Ratzinger J.

  • Di Carlo Stefano, Magni Luigi,Le paure dei nostri figli. Modalità e strategie per superarle, Paoline, Milano 2018, pp. 208, €. 15,00. Per i genitori intervenire sulle paure espresse dai propri figli non è mai semplice, a partire da quando i bambini sono molto piccoli, ma anche quando sono più grandi, competenti, e magari manifestano altre difficoltà e timori: non più la paura del buio, ma la paura del bullismo, o di non farcela, o di essere isolati dagli altri. I due autori, a partire da una consolidata e concreta esperienza clinica e consulenziale, offrono qui ai genitori uno strumento pratico, ben strutturato, che descrive in modo rigoroso le diverse manifestazioni delle “paure”, per poi offrire criteri di azione ed esercizi concreti di accompagnamento. Un prezioso supporto per non lasciare soli i propri figli davanti ad un’emozione che non può essere controllata solo con la forza della volontà, ma spesso chiede specifiche azioni di contrasto, esercizi concreti, e soprattutto una funzione genitoriale di prossimità, compagnia ed accoglienza, che per prima non si faccia intrappolare dalle proprie angosce, dalle proprie ferite, dalle proprie aspettative deluse.

http://newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/attachments/newscisf3118_allegatolibri.pdf

  • Save the date

NordSalute Mentale nel Terzo Millennio. Obiettivo Guarigione: Ricerca, Innovazione, Cambiamenti e Limiti, 48° Congresso Nazionale SIP (Società Italiana di Psichiatria), Torino, 13-17 ottobre 2018.

www.psichiatria.it/wp-content/uploads/2017/07/PROGRAMMA_07_09B_1536321986.pdf

Criminalità femminile. Storia, rappresentazione e trattamento penale di una minoranza silenziosa,evento promosso in occasione dei venti anni di attività dell’Università Bicocca, Milano 25 ottobre 2018.

www.unimib.it/sites/default/files/Eventi/locandina_benedetta.pdf

Centro Per una piena accoglienza: buone prassi per la disabilità e la riabilitazione in Italia, promosso da Ufficio Nazionale per la Pastorale della salute CEI, Associazione Italiana Psicologi e Psichiatri Cattolici AIPPC e Sen. Paola Binetti, Roma, 10 ottobre 2018.

http://eventi-itci.voxmail.it/user/hs1r1l/show/jqxutj?_t=5896a303

Apprendimento intergenerazionale e impresa. Il ruolo degli imprenditori maturi nel promuovere le competenze imprenditoriali dei giovani“NEET”, incontro promosso da INRCA (Istituto Nazionale di Riposo e Cura per Anziani) e Università Tecnologica di Ancona di presentazione del progetto UE Erasmus+ “Be the Change”, Ancona, 5 ottobre 2018. www.inrca.it/inrca/files/eventi/BTC%202018%20Locandina.pdf

Sud Sogni, incubi, realtà. Democrazia e partecipazione nell’era dell’incertezza. Festival della partecipazione, III edizione, promosso da ActionAid e Cittadinanzattiva con il contributo di SlowFood, in collaborazione con il Comune dell’Aquila, L’Aquila, 11-14 ottobre 2018.

www.festivaldellapartecipazione.org/il-programma-completo

Estero Technology and digitalisation in social care. The impact on Education, Employment and Independent Living (Tecnologia e digitilizzazione nei servizi sociali: l’impatto sui sistemi formativi, sull’occupazione e sulla vita autonoma), conferenza annuale dell’EASPD (European Association of Service Providers for Persons with Disabilities – associazione europea dei fornitori di servizi per persone con disabilità), Barcellona, 4-5 ottobre 2018.

www.easpd.eu/sites/default/files/sites/default/files/Conferences/Barcelona/barcelona_programme_full.pdf

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CHIESA CATTOLICA

Il pontificato di Francesco e la questione del “laicato”

L’esigenza prioritaria oggi all’ordine del giorno, infatti, è che tutto il Popolo di Dio si prepari ad intraprendere “con spirito” una nuova tappa dell’evangelizzazione. Ciò richiede «un deciso processo di discernimento, purificazione e riforma» …Questo ingente e non rinviabile compito chiede, sul livello culturale della formazione accademica e dell’indagine scientifica, l’impegno generoso e convergente verso un radicale cambio di paradigma, anzi – mi permetto di dire – verso «una coraggiosa rivoluzione culturale» [27]. In tale impegno la rete mondiale delle Università e Facoltà ecclesiastiche è chiamata a portare il decisivo contributo del lievito, del sale e della luce del Vangelo di Gesù Cristo e della Tradizione viva della Chiesa sempre aperta a nuovi scenari e a nuove proposte.” Veritatis Gaudium, 3

https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2018/01/29/0083/00155.html#italia

 

Forse l’approccio migliore al tema del “laicato” nella missione della Chiesa, in relazione al pontificato profetico di Francesco e al suo compito di “cambio di paradigma” e di “rivoluzione culturale”, consiste precisamente nel rinunciare a questa categoria. Ovviamente, non si tratta di censurare un termine, ma di controllarne accuratamente l’utilizzo quando si voglia comprendere teologicamente che cosa è la Chiesa.

Si tratta di una categoria sociologica, con cui è molto pericoloso pretendere di fare teologia. Perciò il congedo dalla categoria di “laico” è il compimento del cammino iniziato dal Concilio Vaticano II e che per 50 anni si è sviluppata, talora con una certa speditezza, più spesso con inerzia e pericolose amnesie. In effetti la categoria di “laicato” discende da una obiettiva e pericolosa “deriva clericale”: è nata ed è stata elaborata come “nomen infamiæ”, è stata generata da (o, forse ha contribuito a generare) una “societas” che, essendo “perfecta”, era inevitabilmente “inaequalis”.

Laico e laicato, come termini che possono essere impiegati “ingenuamente”, perpetrano in verità, nella Chiesa, anche nella Chiesa conciliare e post-conciliare, l’ombra lunga e insidiosa della “societas inaequalis”. A livello linguistico, ma anche a livello teorico e a livello strutturale, difendono una Chiesa irreformabile e assestata definitivamente, diremmo sacralmente, sulla differenza clericale. La prima riforma della Chiesa sta nell’abolire definitivamente la parola “laici” e “laicato”, guadagnando la “differenza” di funzioni all’interno di un’unica “comunità sacerdotale” (LG 11).

La Chiesa ha, invece, anzitutto un’altra differenza da custodire. La differenza che la Chiesa deve custodire non è quella tra laici e chierici, ma quella tra Dio e uomo: tale distinzione è, nella fede, una “differenza riconciliata”, che apre ogni uomo e ogni donna in Cristo alla figliolanza divina e alla fratellanza col prossimo. E per questo elimina ogni confusione e ogni opposizione tra Dio e uomo. Inaugura una esperienza di “fraternità” irriducibile alla legge, ma comprensibile solo nella grazia.

Dunque, a me pare che Francesco, proprio in quanto papa, abbia avuto il merito storico di aver introdotto formalmente – e direi plasticamente – un grande paradosso: per contestare la categoria di “laico” è sufficiente scoprire, riconoscere ed ammettere che il papa “non è anzitutto un chierico”. O meglio, pur essendo certamente ed evidentemente un “chierico” per formazione e per cultura, forse proprio per la sua natura “religiosa” di gesuita, si comporta, parla, pensa come un “non chierico”. Per questo viene riconosciuto “per istinto” dai “non chierici” e spesso viene frainteso – forse anche qui per istinto o per autodifesa – dai “suoi” chierici.

Qui debbo allora identificare in che senso la “missione della Chiesa” coinvolge radicalmente tutti i battezzati e le battezzate. Non perché costituiscano “il laicato” – che resta categoria sociologica con dubbie e pericolose pretese teologiche – ma in virtù del loro battesimo e della loro comunione eucaristica. Eppure questo passaggio, nonostante sia scritto ufficialmente nei testi del Concilio Vaticano II, resta un passaggio difficile e arduo, poiché riposa su “strutture” ancora profondamente “laiche” e “clericali”.

Infatti è evidente che nella Chiesa, come ci sono “chierici laicizzati”, ci sono anche “laici clericalizzati”. A tal proposito voglio raccontare un fatterello curioso, che mi è capitato alcuni anni fa. Stavo finendo di tenere una conferenza sul battesimo, vestito più o meno come oggi: ossia nella visione clericale “da laico”. Alla fine della conferenza un ascoltatore viene a salutarmi, mi dice di essere d’accordo con me, ma poi fa una obiezione per lui decisiva e dice: “sappia però che io sono contrario ai preti con la cravatta!” E io risposi di non avere nulla contro i preti con la cravatta, e che in quel caso anche lui poteva tranquillizzarsi, perché io non ero un prete! Lui rimase male. Avevo rotto il suo modello di “teologia del laicato”.

Al di là dell’episodio curioso e gustoso, io vorrei lavorare qui su due criteri di “identificazione” della “declericalizzazione” della Chiesa. E lo dico proprio cercando di uscire dalle categorie classiche. Intendo dire: nella Chiesa siamo tutti fedeli e poi ci sono “ministri” di vario grado. E tutti devono essere “laici”, ossia parte del popolo. Se qualcuno vuole stare “fuori dal popolo”, cade in una forma non “ministeriale”, ma “clericale” di identità. Questa riformulazione della “laicità” permette di identificare, con molta facilità, un “bestiario clericale” fatto certo di classici “colletti romani”, ma anche di “giacche e cravatte” e persino di “tailleurs e tacchi alti”.

Mi sono allora chiesto: come andare alla ricerca di “criteri” per identificare la lettura di questa “vocazione comune” di tutti i battezzati, che non sia catturata immediatamente nello “schema” di origine medievale, e di fortuna moderna, di opposizione “clero/laici”. Ho ritenuto di trovarne la chiave in un parola decisiva del pontificato di Francesco. Una parola non così evidente come “periferia” – che pure dice qualcosa della comune destinazione all’essere popolo di Dio in Cristo, morto in periferia – né come “misericordia” – che tutti indifferentemente debbono invocare e offrire, da figli maggiori verso un Dio prodigo di amore – né come “non-autoreferenzialità” – che è appunto la uscita da un modello di Chiesa che si identifica non col popolo, ma con i chierici, non con la uguaglianza, ma con la disuguaglianza, non con la fragilità, ma con la perfezione.

Non voglio, quindi, lavorare su queste categorie portanti, su cui altri potranno dire cose importanti, ma preferisco concentrarmi su una categoria che è apparsa più volte nelle “prese di parola” di Francesco, ma che pure, al di là delle occorrenze, ne dice una qualità profonda, quasi una cifra originaria, riconoscibile e toccante. Si tratta della categoria di “parrhesìa” [Il diritto-dovere di dire la verità]. Potremmo dire: la missione della Chiesa scopre, nella parrhesia, una radicale comunione, una eguaglianza, che poi elabora le differenze in ragione e su istanza di questa identità di “eguali”.

Ma parrhesia è categoria che merita una elaborazione maggiore. Per offrire una prospettiva in questo senso, mi lascio guidare da un maestro che potrà apparire piuttosto strano, quasi scandaloso: Michel Foucault, negli ulti due anni di corsi al Collège de France si è occupato in profondità proprio di questa categoria. L’ha studiata nelle fonti classiche e, proprio nella sua ultima lezione del 1984, anche nella tradizione cristiana. A me pare che, nel termine parrhesia possiamo trovare il “ponte” che unifica in Francesco la mistica e la politica, la cura del soggetto e l’ascesi del servizio. Sincerità, autenticità, eguaglianza, libertà e fratellanza, tutto insieme, esce dal termine classico, che appare, da questo punto di vista, provvidenziale per fare sintesi di ciò che Francesco indica come missione di tutti i cristiani. Va aggiunto, tuttavia, che Francesco sa custodire anche il senso “negativo” di parrhesia! Senza mai chiamarla così, evidentemente, Francesco reiteratamente ritorna su quella accezione del “dire tutto” e del “parlare totalmente” che prende il nome di “mormorazione” e di “chiacchiera”. Parrhesia è dunque la cifra di una “apertura” alla verità che struttura la “società aperta”, al cui interno la Chiesa deve trovare la propria dimensione profetica e testimoniale, senza correre il rischio di scambiare il “dire tutto” con il “chiacchierare”.

Voglio indicare qui lo schema del mio breve percorso in tre passi:

  1. Inizio dalla considerazione della parrhesia nell’esame di Foucault, con i suoi risvolti soggettivi e oggettivi, strutturali e istituzionali (§.1);

  2. Applico poi questa elaborazione alla “mens” di Francesco, che vuole una parrhesia non solo virtuosa, ma strutturale, non solo interiore, ma anche esteriore (§.2).

  3. Questo dovrebbe consentire di rileggere la “missione della Chiesa” come processo personale ed ecclesiale, come custodia di sé e carovana di popolo, come identità da elaborare e come alterità da custodire e onorare, come libertà e come fratellanza, come differenza dell’altro e come non indifferenza per l’altro (§.3).

  1. Il rettangolo della parrhesia a partire da Michel Foucault. La “parrhesia”, dunque. Al centro del rapporto con Cristo, che istituisce la compagine ecclesiale, come “comunità sacerdotale”, c’è una “parrhesia” che è, allo stesso tempo, libero dono di grazia e libera coscienza del soggetto. Insieme e in modo sorprendentemente non contraddittorio. Come una “polarità”, piena di tensione, e non come una contraddizione. Qui, a mio avviso, troviamo uno dei punti originali, e teoreticamente più interessanti, della “teologia di Francesco”, forse ispirata al pensiero “polare” di Romano Guardini, ma anche segnata dalla storia dell’America e dalle evidenze culturali della cultura gesuita. Su questo “pinnacolo” alto e ardito, si colloca il magistero di Francesco, con una novità di toni e di movenze che davvero suscita stupore ammirato e sorpresa confortante. Finalmente, dal punto più alto (e più basso) della Chiesa, dalla più alta autorità, che è riconosciuta come massimo servizio. Francesco sa di poter essere “magister” – originariamente datore di doni – solo nella misura in cui si fa “minister” – recettore di doni. Egli sa di poter essere “magis” solo se riesce ancora ad essere “minus”.

In questa tensione, egli supera la contraddizione tra libertà di Dio e libertà dell’uomo. Sa che uomini e donne liberi non sono una minaccia, ma l’unica possibilità per la Chiesa di annunciare la “sovrana e inarrivabile libertà di Dio, della sua grazia, della sua misericordia”. Per questo abbiamo bisogno di diffidare non solo delle forme “apparenti” di libertà, ma anche delle forme “vuote o violente” di comunione.

Orbene, come possiamo pensare la libertà dell’uomo? Se non come “parrhesia”, come una disponibilità alla verità, alla sincerità, alla autenticità? Dobbiamo lavorare su questo termine, indagandone struttura e implicazioni, senza assumerlo soltanto nella sua accezione “retorica”, e inevitabilmente superficiale. Dobbiamo riconoscere che per essere davvero esposti alla “parrhesia” – ai suoi incanti e ai suoi pericoli – non possiamo permetterci una retorica della parrhesia.

Chi ha studiato più profondamente questo termine, sulla base dei testi antichi – pagani e cristiani – come dicevo è senza dubbio Michel Foucault. Che non è precisamente un “Padre della Chiesa”. Ma è un pensatore che può permetterci di entrare adeguatamente dentro il pensiero di Francesco perché ha dedicato gli ultimi anni di vita (morirà nel 1984, alla Salpetrière) a studiare la “parrhesia”, come attestano le edizioni dei Corsi al Collège de France degli anni 1981-1982, 1982-1983 e 1983-1984, dedicati rispettivamente ai temi: L’ermeneutica del soggetto, Il governo di sé e gli altri e infine Il coraggio della verità.

Ovviamente non avrò qui la possibilità di entrare nell’immensa costruzione filologica, storica e teoretica di questi corsi. Voglio solo assumerne alcune idee assai importanti per capire che cosa pensa Francesco del “cristiano” – senza usare il “nomen infamiæ” di laico. Colui che vive la libertà della figliolanza rispetto al Padre e della fratellanza con Cristo e con i fratelli, nella Chiesa.

Foucault, in un passaggio memorabile del suo secondo testo, presenta una sintesi preziosa, che chiama il “rettangolo della parrhesia”. Ritengo sia utile seguirlo brevemente in questa esposizione dei 4 vertici di tale rettangolo, che egli presenta in questi termini

  • Primo vertice del rettangolo: democrazia, eguaglianza di tutti i cittadini;

  • Secondo vertice del rettangolo: il gioco della superiorità, dell’ascendente, della autorità;

  • Terzo vertice del rettangolo: il dire-il-vero, il riferimento alla verità;

  • Quarto vertice del rettangolo: il conflitto e il coraggio del conflitto.

Perciò Foucault può così sintetizzare la propria struttura con queste parole, che cito letteralmente: “Condizione formale: la democrazia. Condizione di fatto: l’ascendente e la superiorità di alcuni; Condizione di verità: la necessità di un logos ragionevole. Infine condizione morale: il coraggio, il coraggio nella lotta. La parresia, credo, è costituita da questo rettangolo con il vertice costituzionale, il vertice del gioco politico, il vertice della verità e il vertice del coraggio” (Il governo di sé, 169).

Quando ho letto per la prima volta questo testo mirabile, mi sono subito detto: ecco uno straordinario criterio per una profonda ermeneutica di Francesco di fronte alla vita cristiana. La sua domanda di “parrhesia” può essere interpretata in modo non semplicistico solo se è collocata all’altezza e nella profondità di questo rettangolo. Dove condizione formale e materiale, condizione oggettiva e soggettiva si intrecciano mirabilmente.

  1. Il quadrilatero della traduzione della tradizione. Perché si dia “parrhesia”, dunque, non possiamo pensare semplicisticamente a “virtù del soggetto”, o, magari, a “stravaganze del soggetto sud-americano”!! La condizione di “parrhesia” è costitutiva del “cittadino cristiano”. E ha bisogno di “condizioni complesse” che devono essere onorate nella “società aperta”. La Chiesa è sfidata, all’interno di una tale società aperta, ad onorare tutte e 4 queste condizioni, per essere “esposta alla verità”.

Non è un caso, infatti, che il discorso di Foucault sulla parrhesia sia preceduto dalla analisi – come sempre acuta e illuminante – del famoso scritto kantiano sull’illuminismo, che prevede la “uscita dallo stato di minorità”. Anche la Chiesa, per Francesco, deve uscire dallo stato di minorità, che è la sua “autoreferenzialità”. Foucault, con il suo studio della parola parrhesia, ci permette di scoprire che la “società aperta” ha un rapporto con la parrhesia, ma che tale rapporto ha carattere complesso. Per questo rappresenta un criterio formidabile per rileggere il magistero di Francesco, che vuole “tradurre” la tradizione cattolica nella società aperta. Francesco sa che, sia pure con tutta una serie di abbagli e di svarioni, la società effettivamente è uscita dallo “stato di minorità”. A partire da Gaudium et spes questa “uscita” non è più identificabile con il “peccato originale della modernità”. Poi, con Dignitatis Humanæ, abbiamo saputo riconoscere persino la libertà di coscienza come parte della rivelazione cristiana. Quindi, per parlare ad una tale società la Chiesa non può più ammantarsi delle vesti della “societas perfecta” e della “societas inæqualis”. Per questo può diventare “sincera” – può essere ancora capace di “parrhesia” – soltanto alle condizioni specificate dal “rettangolo” presentato da Foucault. Proviamo ad esaminare brevemente questo “rettangolo” della parrhesia ecclesiale:

    1. La condizione formale della parrhesia: la Riforma della Chiesa. La uscita da una società chiusa e la costruzione di una società aperta è, da 200 anni, una provocazione grande per la Chiesa. La Chiesa aveva “imparato a camminare” nelle forme della amministrazione, della giurisdizione e dell’esercizio della autorità tipiche dell’”ancien regime”. La Riforma della Chiesa è oggi anzitutto il riconoscimento di una “complessità della autorità”, che richiede “procedure complesse” per non smentire l’approccio al reale che la “libertà di coscienza” ha introdotto negli ultimi 200 anni nella esperienza del mondo e della Chiesa stessa.

    2. La condizione politica della parrhesia: Parola e sacramento come “auctoritates” e come “ascendenti”. La differenza, ecclesialmente, sta sempre “al di qua” e “al di là” dei soggetti implicati. La gestione dei “fatti ecclesiali” deve guadagnare una trasparenza e una elasticità in cui il centro stia, ripeto, prima e dopo, citra et ultra [al di qua, al di là], non “in sé”. La Chiesa “per altro”, non “per sé” è anche, inevitabilmente, una “teoria di politica ecclesiale”.

    3. La condizione di verità della parrhesia: la incompletezza della dottrina e della disciplina. Tutta la dottrina e tutta la disciplina “accompagnano” alla verità, che sta nella “esperienza del Mistero” e nella “esperienza degli uomini”. La “esposizione alla verità” è principio di fedeltà e di rigore, ma impone una inquietudine, una incompletezza e una immaginazione sempre vive.

    4. La condizione morale della parrhesia: conflitto e coraggio della testimonianza. Parrhesia: non è mai una condizione “garantita”. Ha sempre bisogno di un atto di coraggio, di una entrata in conflitto, di una lotta necessaria alla testimonianza. Il coraggio del confronto, anche dello scontro, permette una apertura maggiore e un’autentica esposizione al vero.

3. Il popolo di Dio e una Chiesa che riscopre di “avere autorità”. Ciò che ho provato qui ad illustrare, e che verrà ultimamente esemplificato, non è privo di ostacoli. Le Sfide non mancano. Ognuno di questi “vertici” del rettangolo ha incontrato e tuttora incontra resistenze e fatiche. Proviamo a scoprire la difficoltà con cui noi, con Francesco, facciamo fatica a uscire dalla palude. E lo farei considerando un evento “non ecclesiale”, come il ‘68, rispetto a cui la Chiesa ha reagito e si è mossa anche profeticamente, ma è rimasta anche traumatizzata, elaborando reazioni di chiusura e di blindatura assai rischiose, che oggi sembrano finalmente in crisi.

Siamo a 50 anni dal ‘68. Per comprendere che cosa è successo nel mondo e nella Chiesa, a partire dal 1968, vorrei cominciare dalle parole di un caro collega americano, il compianto abate e prof. Patrick Regan. Egli raccontava di essere giunto dagli USA a Parigi, per studiare liturgia, proprio nell’anno 1968. E di aver assistito ai primi “moti” del 68 parigino, con lo stupore e la meraviglia di un americano, che stava vivendo nello stesso anno l’assassinio di Martin Luther King. La prima cosa che il ‘68 ci consegna è infatti la progressiva e parallela globalizzazione e differenziazione delle culture. E, in effetti, al centro del ‘68 emerge una “esperienza di libertà” che, sintetizzata in una battuta, assomiglia molto al dogma trinitario, applicato però ad ogni uomo: “tutti sono uguali e ognuno è diverso”. Questo è anche, in forma brevissima, e certo non priva di problemi, una sorta di carta di identità di quella che chiamiamo “società aperta”. La società appare “aperta” – e non più chiusa – se ognuno può essere se stesso “incondizionatamente”. Questo è il sogno. La autorità della libertà diventa massima, mentre la libertà della autorità diventa minima. Ecco il punto di partenza della società differenziata, secolarizzata, complessa.

Nonostante la sua storia del XIX e XX secolo, la Chiesa cattolica è riuscita, in qualche modo, ad anticipare il ‘68. Tra gli anni ‘59-‘65, sotto lo stimolo potente prima delle profezie vivaci di Giovanni XXIII e poi delle narrazioni ispirate del Concilio Vaticano II, introduceva nella propria disciplina – e forse ancor più – nella propria dottrina una “prospettiva inaudita”. Il Concilio Vaticano II, infatti, non è anzitutto un atto di “riforma”, ma è la percezione e la espressione di una forma più elementare e più radicale di Dio e dell’uomo, di Cristo e della Chiesa, della verità e della carità.

3.1. Il Concilio come “esperienza del mistero”. Se leggiamo i testi del Concilio Vaticano II, soprattutto le 4 Costituzioni, ma anche i Decreti e le Dichiarazioni, scopriamo che al centro vi è il delinearsi di una nuova esperienza del mistero di Dio. Rinunciando sia a “formulare nuovi dogmi”, sia a “condannare nuovi abusi”, il Concilio si converte dal magistero negativo a quella positivo, e “racconta” il Mistero del Dio di Gesù Cristo nella esperienza del culto, nella relazione alla Parola, nella struttura della comunità ecclesiale e nella chiesa che vive in rapporto col mondo. Le costituzioni conciliari, avvalendosi di linguaggio più opportuni, rinunciano a definire e preferiscono “ri-narrare” 4 punti di partenza, nella loro diversità e nella loro inesauribilità. La “indole pastorale” che caratterizza il Vaticano II è precisamente questo: scoprire che l’accesso alla “sostanza della antica dottrina del depositum fidei” può avvenire nella “riformulazione dei suoi rivestimenti” e che questa differenza incolmabile non è un limite, ma una virtù della tradizione. Questa differenza apre, necessariamente, alle “riforme” in ognuno di questi ambiti. Riforma liturgica, riforma nel rapporto con la Parola, riforma nella strutturazione della esperienza ecclesiale e riforma nel rapporto con il mondo.

3.2. Il Concilio come “esigenza di riforma”. Come è evidente, su ognuno di questi 4 ambiti, nella loro comunanza di fonte, ma anche nella loro differenza di forme, si è sviluppato un processo di riforma che ha conosciuto fasi alterne e tensioni complesse. Sicuramente la liturgia è stata la più rapida nel proporre un proprio volto rinnovato, in cui la valorizzazione della eguaglianza e della differenza dei soggetti ecclesiali poteva essere finalmente concretizzata. Poco si è riflettuto sull’impatto che su questa “logica di riforma” hanno portato non soltanto le singole costituzioni, ma anche il Decreto Dignitatis Humanae, con il suo storico riconoscimento della “libertà di coscienza” come patrimonio comune non solo di tutta la cristianità, cattolicesimo compreso, ma anche al servizio di tutta la umanità. Pensare che “partire dalla coscienza del soggetto” sia anzitutto un rischio è la eredità di un mancato ripensamento del Vaticano II e dei suoi innegabili rapporti con la elaborazione dell’esperienza anche ecclesiale all’interno di una società aperta. Nel momento in cui si ammette il principio di libertà di coscienza la società e la chiesa “si aprono”. Ciò le rende più ricche e più complesse, più fragili e più audaci.

3.3. La grande resistenza al Concilio e il paradosso della “rinuncia alla autorità”. Ma la profezie conciliare era, come tutte le profezie, esposta al discredito e alla diffidenza. I profeti di sventura, evocati nel discorso di inizio del Vaticano II, da 66 anni sono pronti alla chiamata alle armi e alla organizzazione della resistenza. Fantasmi antimodernistici, interessi di immobilismo, alleanze con gli interessi più bassi hanno avuto, per lunghi tratti, una influenza pesante. Non hanno mai del tutto frenato il processo di riforma, ma l’hanno rallentata, svuotata e insultata. Come se riformare significasse tradire. Il “modulo” più fortunato di tale resistenza è stato messo a punto tra gli anni ‘80 del secolo scorso e gli anni ‘10 del nostro secolo. E’ un modulo capovolto rispetto al famosissimo “la fantasia al potere” di marca sessantottina. Esso pretende una Chiesa il cui potere sia del tutto privo di fantasia. Anzi, in cui il potere neghi se stesso e si impedisca ogni autorità, e quindi ogni possibile riforma. L’unica cosa che si è riformata è stato il codice, perché una riforma fosse impossibile. Nel corso di questi tre decenni ogni questione è stata affrontata con questa riserva: solo gli antichi, i medievali e i moderni avevano una autorità. Noi no. La Chiesa è stata vittima di un modello capovolto rispetto a quello del ‘68: forse ne è rimasta segnata, bruciata, traumatizzata. E per non ammettere la positività presente in quel modello che la metteva in crisi, ne ha assunto uno che l’ha radicalmente mortificata. Alla ingenuità mondana di un potere senza mediazioni, così come sognato dagli ideali del ‘68, si è contrapposta la pretesa di una mediazione senza autorità, che ha paralizzato ogni istanza di riforma, arrivando, alla fine, a delegittimare pesantemente lo stesso inizio conciliare.

3.4. Il ritorno al Concilio e il rilancio dell’“esercizio della autorità”. Con l’arrivo di papa Francesco diversi fattori sono cambiati strutturalmente. Da un lato un papa non europeo non ha il complesso di superiorità della autorità sulla libertà e per questo può stare in modo più sciolto nella vicenda ecclesiale post-sessantottina. D’altra parte Francesco ha, nei confronti del Concilio Vaticano II, un rapporto genealogicamente diverso. Mentre i suoi predecessori – tutti, da Giovanni XIII a Benedetto XVI – erano stati “padri conciliari” e quindi avevano nei confronti del Concilio tutte le ragionevoli apprensioni che i padri hanno verso i figli (forse scapestrati e forse anche degeneri), Francesco è il primo papa “figlio del Concilio”. Questo dipende da dati elementari, che riguardano la sua biografia ecclesiale: J. M. Bergoglio è diventato prete l’anno dopo il ‘68, a 4 anni dalla chiusura del Concilio. Questo gli ha consentito di “star fuori” da ogni senso di responsabilità verso il Concilio, che è per lui l’aria che ha respirato sempre, fin dagli anni della sua formazione. Questa condizione di favore ha rilanciato la “autorità ecclesiale”, che ora non si paralizza di fronte alla storia, ma entra in dialogo e in ascolto della vita dei battezzati e provvede a tradurre la tradizione in forme nuove: per quanto riguarda la evangelizzazione, la cura del creato, la famiglia, le forme ministeriali, siamo di fronte a un “inizio di un inizio”, che estrae il disegno conciliare dal congelatore e ne riconfigura possibilità, necessità e urgenze. E’ un inizio.

3.5. La persistenza di piccole “inerzie” anche nel magistero di papa Francesco. Nel testo programmatico di questo pontificato – Evangelii Gaudium – troviamo una potente ripresa dello stile e della dinamica conciliare. La Chiesa in uscita e la conversione missionaria della pastorale esigono un profondo ripensamento della tradizione. Per questo la categoria centrale per pensare la Chiesa risulta quella di “popolo di Dio”, in piena fedeltà a Lumen Gentium e agli sviluppi più convincenti dei decenni post-conciliari. Nell’impianto della Esortazione apostolica, che risente appunto di questo grande slancio e spirito di riforma, la parte meno convincente appare, però, proprio quella che chiude il II capitolo, precisamente ai nn. 102-109. E’ una sezione che sotto il titolo generico “Altre sfide ecclesiali” affronta questioni decisive come “laici, donne e giovani”. Ma lo fa con categorie e con un approccio diverso dal resto del documento. Quasi in modo minore, senza slancio, più preoccupata di conservare quel che c’è che di aprirsi ai “nuovi paradigmi” necessari per leggere profeticamente questi “soggetti” come “titolari di annuncio del vangelo”, piuttosto che come semplici destinatari. E’ un fatto singolare, ma dimostra in modo eloquente quanto forte sia la tentazione di “autoreferenzialità”, anche all’interno di un documento così aperto e così profetico. L’uso stesso del termine “laici” segnala uno scivolamento della profezia nella “amministrazione”. Su laici, donne e giovani vale quanto Evangeli Gaudium scrive nei suoi primi numeri: “Spero che tutte le comunità facciano in modo di porre in atto i mezzi necessari per avanzare nel cammino di una conversione pastorale e missionaria, che non può lasciare le cose come stanno. Ora non ci serve una «semplice amministrazione». Costituiamoci in tutte le regioni della terra in un «stato permanente di missione»” (EG 25)

3.6. La riforma della chiesa, 50 anni dopo.

La “Chiesa immobile” è stato l’ideale di ogni antimodernismo ecclesiale. A me pare, tuttavia, che alcuni segni decisivi mostrino come il ripensamento della tradizione si sia rimesso in moto. E per farlo ha rimesso in gioco la natura “partecipata” della liturgia, la verità “comunionale” della Chiesa, la “ricca narrazione” della Parola e la preziosa relazione con mondo, come luogo in cui lo Spirito parla e deve essere ascoltato. La radice di ogni riforma, che certo comporta delicati processi di trasformazione istituzionale, consiste in questa nuova trascrizione della esperienza di fede. La condizione della “società aperta” può essere considerata non solo un danno, ma una opportunità per la Chiesa solo se alcune nuove evidenze maturate a partire dal ‘68, sono penetrate anche nella consapevolezza della compagine ecclesiale. Se, come si ripete, Francesco non può essere definito un liberale, ma piuttosto un radicale, tale può essere solo declinando il Vangelo e interpretando la autorità episcopale con una nozione di libertà e con una passione per l’altro che ha imparato anche dalla fantasia del ‘68. Altrimenti, senza il ‘68, come avrebbe potuto dire al Collegio degli Scrittori della Civiltà cattolica, che le tre caratteristiche fondamentali del teologo di quella rivista debbono essere: inquietudine, incompletezza e immaginazione? Per parlare così, per permettersi una tale parrhesia:, egli deve aver considerato il ‘68 non solo come un pericolo o come una perversione, ma anche come una occasione di crescita e come un kairòs [momento opportuno] per la tradizione ecclesiale.

Anche sulla base di queste ultime parole, per ripensare in radice il “popolo di Dio” che è la Chiesa dobbiamo rinunciare teologicamente e pastoralmente al termine “laico-laicato”. Laico è terminologia burocratica ecclesiale, dipendente da una lettura sociologica inadeguata, che proietta irrimediabilmente una prospettiva clericale sulla Chiesa e la assume come “normale”. Io non sono un “laico”. Io sono un uomo, un cittadino e un cristiano cattolico-romano. Per far entrare questa terminologia elementare nella Chiesa dobbiamo rilanciare e rinvigorire quella sana inquietudine, quella avveduta incompletezza e quella fervida immaginazione con cui sempre è progredita la storia degli uomini e delle donne, quando hanno saputo riconoscere che la grazia di Dio vuole la loro libertà e hanno saputo vedere limpidamente, nella loro libertà, il volto di un Dio prodigo di misericordia. Nell’insistito annuncio di un tale Dio, papa Francesco, prima come cristiano comune e poi anche come Vescovo di Roma e Papa, promuove il superamento del “laicato” e contribuisce al riconoscimento del popolo di Dio come “societas æqualis”. Per questo è anzitutto parte della sua Curia a risultare sorda e indifferente a questo progetto, che fa progredire un “nuovo paradigma” di Chiesa solo a patto di saper mettere in discussioni convenzioni tanto antiche e radicate da apparire tradizioni intoccabili e persino “ispirate”.

Andrea Grillo Munera blog come se non 1 ottobre 2018

Porto Alegre (Brasile), maggio 2018 Convegno organizzato dall’Istituto Humanitas Unisinos (IHU) sul tema della “Virada profetica” (svolta profetica) che Francesco ha introdotto nella vita ecclesiale, a partire dal 13 marzo 2013

www.cittadellaeditrice.com/munera/il-pontificato-di-francesco-e-la-questione-del-laicato-avanzamenti-e-impasse-nella-parrhesia-ecclesiale

 

Per un’ecclesiologia a due voci

Stiamo assistendo a un enorme terremoto, che fa prevedere repliche di quel che è già accaduto in un paese come l’Irlanda. Stavolta su vasta scala, la credibilità della Chiesa rischia di crollare, rendendo al tempo stesso invisibile il segno del Vangelo portato da innumerevoli cristiani impegnati in tutto il mondo in opere fondamentali di compassione, di mediazione, di umanizzazione. Ma a essere in discussione qui non è solo una questione di sessualità deviata nel clero cattolico. È l’istituzione stessa che si rivela nelle sue mancanze e nelle sue derive.

In tal senso, la franchezza della lettera che Papa Francesco ha da poco rivolto al «popolo di Dio» non deroga alla chiarezza della Parola di Dio. Il Papa conferma piuttosto la visione esposta di recente nella Gaudete et exsultate, quando ricorda una verità fondamentale, ma ostinatamente sminuita malgrado la Lumen gentium: l’appello alla santità consustanziale al battesimo, dunque universale, dunque trasversale a tutte le vocazioni, al di là dei distinguo gerarchici moltiplicatisi nel corso della storia. L’espressione «popolo di Dio», spesso guardata con sospetto dopo il suo ritorno nei testi del concilio, riacquista ora tutto il suo peso e la sua impellenza.

Ed è proprio questa realtà teologica che papa Francesco ritiene di dover ricordare oggi con urgenza, perché è l’esatto antidoto al veleno del clericalismo che sta dietro gli abusi criminali del potere.

Questa diagnosi, che punta alla fonte dei drammi attuali, alla responsabilità di un’autorità deviata in una istituzione ecclesiastica prioritariamente maschile, porta a vedere nelle donne, in seno al «popolo di Dio», le prime interessate dall’appello del Papa a reagire. Sono loro in effetti le prime a sapere che cosa sono gli abusi del potere ecclesiale. Religiose o meno, conoscono fin troppo bene lo sguardo altezzoso, condiscendente, sprezzante rivolto loro, l’obbedienza imposta da uomini che serbano gelosamente per sé il prestigio del sapere e l’autorità della decisione. È un’esperienza che fanno ogni giorno. Un’esperienza che conferma la memoria collettiva di una parola che ha preteso di controllare la loro coscienza e il loro corpo e che ha sempre preferito parlare al posto loro, piuttosto che ascoltarle.

Certo ci sono, al margine, donne pronte ad adottare atteggiamenti clericali. Certo ci sono, in alcune comunità, personalità femminili predatrici, capaci di rovinare vite così come fanno gli uomini perversi. Ma, nella maggior parte dei casi, le donne hanno un rapporto diverso con il potere. Un certo senso femminile della libertà le affranca da quell’ossessione per il potere che tormenta tanti uomini. Hanno una buona capacità di considerare con divertito distacco il gioco maschile dei titoli, degli onori, dei colori dei copricapi, nell’istituzione ecclesiale. Sono in generale più interessate alle sorprese della vita, ai suoi appelli e ai suoi imprevisti, piuttosto che ai progetti di carriera. E, senza mettersi in mostra, fin dall’inizio del Vangelo, seguono Cristo gratuitamente, con affetto incondizionato. Tutto ciò conferisce loro un ruolo insostituibile nella congiuntura attuale, in cui per la Chiesa si tratta di ritrovare un’intelligenza realmente evangelica del potere come servizio. Tutto ciò a patto però che una tradizionale diffidenza clericale conceda alle donne quell’attenzione e quella considerazione che finora sono state negate loro. E anche a patto che l’ecclesiologia non sia più solo pensata, formulata e messa in atto da uomini, che sono quasi sempre chierici. Poiché, anche accreditando loro la retta volontà di conoscere la Chiesa secondo Cristo, è impossibile evitare il filtro di una visione maschile addotta da uomini celibi, educati nell’idea della preminenza del sacerdozio ministeriale, che li legittima nel temibile potere di avere diritti particolari sugli altri. Da qui la pressante necessità d’integrare oggi l’intelligenza che le donne hanno della Chiesa, a partire dalla loro esperienza dell’appello evangelico e della loro fedeltà a Cristo.

In altre parole, l’ecclesiologia si deve ora formulare a due voci, coniugando il maschile e il femminile. È solo così che si potranno operare davvero cambiamenti, che l’istituzione ecclesiale potrà svincolarsi dalla rappresentazione di un sacerdozio ministeriale che continua sempre, in maggior o minor misura, ad arrogarsi gerarchicamente l’identità sacerdotale di tutta la Chiesa. È così che il sacerdozio battesimale potrà trovare la sua piena esistenza e il suo pieno esercizio in seno alla Chiesa. Correlativamente, il sacerdozio ministeriale sarà restituito alla sua vera grandezza, quella del servizio della vita e della santità del popolo dei battezzati, vissuto in una fedeltà umile e devota, a immagine di Cristo che è «venuto per servire e non per essere servito».

Il terremoto che scuote oggi la Chiesa deve indubbiamente sfociare al più presto in disposizioni disciplinari e giuridiche radicali. Ma, a più lungo termine, si deve compiere una revisione di fondo nell’intelligenza che la Chiesa ha di se stessa, e quindi nel suo governo. La Chiesa cattolica avrà il coraggio di operare questa rivoluzione spirituale? Da ciò dipende evidentemente la sua credibilità, ossia il suo volto futuro in mezzo al mondo. Nessun cedimento, nessuna infedeltà può scoraggiare la fedeltà di Cristo alla sua Chiesa. Ma la Chiesa deve oggi avere il coraggio di rompere con le abitudini di potere che fanno sì che ci stia venendo a mancare la terra sotto i piedi.

Anne-Marie Pelletier Osservatore romano Donne Chiesa Mondo 1 ottobre 2018

www.osservatoreromano.va/it/news/unecclesiologia-due-voci

 

Intorno a una “ecclesiologia a due voci”

In un bel testo, apparso sull’ultimo numero del mensile “Donna Chiesa Mondo” dell’Osservatore Romano (72/2018), Anne-Marie Pelletier mette il dito nella piaga, in modo forte e accurato, nell’articolo dal titolo “Per una ecclesiologia a due voci” (pp.13-17), dove propone con eleganza un percorso di argomentazione semplice, ma chiaro e decisivo.

Ne presento qui la scansione essenziale:

    1. Il terremoto che agita la Chiesa non è solo “questione di sessualità deviata del clero cattolico”, ma un difetto della stessa istituzione ecclesiale.

    2. Ad esso si rimedia andando alla sorgente del difetto, il clericalismo, che si contrasta con la riscoperta – così spesso ostacolata – della Chiesa come “popolo di Dio”, come luogo battesimale della santità, come si deduce dalla lucidissima “lettera al popolo di Dio” scritta da papa Francesco per l’occasione.

    3. In questo ambito sono le donne “le prime a sapere che cosa sono gli abusi del potere ecclesiale”. Esse “conoscono fin troppo bene lo sguardo altezzoso, condiscendente, sprezzante rivolto loro, l’obbedienza imposta da uomini che serbano gelosamente per sé il prestigio del sapere e l’autorità della decisione”.

    4. Una “intelligenza realmente evangelica del potere come servizio” richiede oggi la presenza delle donne nella Chiesa, con autorità riconosciuta, per ostacolare “una ecclesiologia non più solo pensata, formulata e messa in atto da uomini, che sono quasi sempre chierici”, dove è inevitabile “evitare il filtro di una visione maschile, addotta da uomini celibi, educati nell’idea di una visione maschile del sacerdozio ministeriale, che li legittima nel terribile potere di avere diritti particolari sugli altri”.

    5. Occorre allora integrare oggi l’intelligenza che le donne hanno della Chiesa, a partire dalla loro esperienza dell’appello evangelico e della loro fedeltà a Cristo. In altre parole, l’ecclesiologia si deve ora formulare a due voci, coniugando il maschile e il femminile”.

    6. Per questo, per reagire all’attuale contingenza, non sarà sufficiente arrivare a pur necessarie riforme disciplinari e giuridiche, ma si dovrà “compiere una revisione di fondo dell’intelligenza che la Chiesa ha di se stessa e quindi nel suo governo”.

Mi pare che questa lucida argomentazione di Pelletier debba essere pienamente accettata, come sfida profetica alla istituzione, perché sappia uscire da una lettura “escludente” di sé. Questo è il germe del clericalismo: l’idea di un potere “esclusivo ed escludente”, rispetto a cui restano confermate, nella sostanza, le polarità che in Cristo sono superate: giudeo/greco, libero/schiavo, maschio/femmina: polarità etniche, politiche e sessuali. Potremmo dire che su ognuna di queste polarità escludenti la storia della Chiesa ha molto faticato, ma soprattutto sull’ultima appare oggi poco lucida, irrigidita, bloccata, quasi paralizzata. Sullo straniero e sullo schiavo siamo abbastanza lucidi, sulla donna per nulla. Non si tratta qui, a mio avviso, di “forma cattolica” da recuperare, o di forma protestante da scongiurare. Si tratta di riscoprire una “forma ecclesiae” liberata dalle “esclusioni/esclusive clericali”, che sono la radice di ogni abuso.

Per questo è giusta la via imboccata dalla Chiesa della “dichiarazione di incompetenza”, della mancanza di potere. Sul mistero della sessualità maschile e femminile, le convenzioni anche radicate devono fare un passo indietro e riconoscersi ultimamente incompetenti. Ma incompetenti davvero! E’ infatti un vecchio trucco del clericalismo mascherarsi dietro finte incompetenze. Non basta perciò dire “non ho il potere di includere”. Perché questo lascia solo alla Chiesa il potere di escludere e quindi la conferma autoreferenziale in un abito clericale. No, la via imboccata 25 anni fa, per essere profezia ecclesiale e non solo un principio di indifferenza, deve essere integrata da una incompetenza più radicale e più evangelica. 

Se la Chiesa si dice tanto sicura di non avere il potere di includere il femminile nel servizio ecclesiale, allo stesso modo e con altrettanta sicurezza essa dovrebbe riconoscere di non avere neppure il potere di escludere il femminile dal servizio. Dovrebbe solamente accettare, con tutta la umiltà di cui è capace, di non avere alcun potere sulla logica ultima della differenza sessuale. Che è un mistero grande, complesso, ma proprio per questo aperto ad uno sviluppo storico che nessuno può definitivamente fissare ad un ruolo o ad una funzione, se non Dio solo. Il quale pronuncia la sua parola irrevocabile di salvezza non solo nei documenti di un ufficio romano, ma anche nella storia civile di nuove dignità da promuovere, nelle coscienze di soggetti finalmente del tutto riconosciuti, come anche nel buon fiuto del suo popolo in cammino. Ascoltare queste autorità, questi “segni dei tempi”, con parrhesiae senza alcun paternalismo, potrebbe rendere veramente profetica anche la parola del magistero, affinché sappia aprire spazi e dare la parola, piuttosto che chiudere porte e imporre silenzi. Queste porte affannosamente chiuse e questi silenzi autoritativamente imposti sono le tipiche dinamiche clericali – non solo maschili, ma anzitutto maschili – che generano mostri.

Andrea Grillo Munera blog come se non 3 ottobre 2018

www.cittadellaeditrice.com/munera/per-una-vera-dichiarazione-di-incompetenza-intorno-a-una-ecclesiologia-a-due-voci

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CHIESE EVANGELICHE

Perché la Chiesa cattolica non si paga i suoi insegnanti?

Iniziato un nuovo anno scolastico la questione dell’insegnamento della religione si ripropone immutabile: ma è proprio così? O si potrebbe fare qualcosa?

Non è certo una novità dei partiti che sostengono l’attuale governo quella di aver promesso tanto, troppo, in campagna elettorale, e di trovarsi subito nei guai perché, per mantenere almeno qualche cosa importante, non sanno dove trovare i soldi che non ci sono o che sono già impegnati su altre priorità. Poi c ‘è l’Europa, l’austerità, il Pil, il debito pubblici e via deficitando.

In questi frangenti pensiamo a come sarebbe bello, da parte della politica, se venisse detto in uno degli infiniti salotti televisivi o meglio ancora nel Parlamento che, tra le spese che si potrebbero evitare o almeno ridurre vi è quella destinata agli stipendi degli insegnanti di religione cattolica della scuola pubblica. Direbbero tutti che si tratta di populismo (come quando si propone di eliminare i vitalizi ai parlamentari…)

Un insegnamento confessionale pagato dallo stato anche con i soldi degli atei, dei protestanti degli ebrei è una cosa talmente indecente che nessuno ne parla più, come se fosse un male inevitabile, mentre nei convegni fra intellettuali di ogni tendenza, si ripete che non si può continuare così, che si deve avere uno studio delle religioni pluralista e non confessionale, con insegnanti inseriti come gli altri nelle graduatorie anziché, come avviene ora, scelti dalle curie, senza che il collegio dei docenti possa mettere bocca sui programmi e sulla didattica. Addirittura, secondo recenti disposizioni, si farà il contrario, concedendo ai docenti di Irc di partecipare ai giudizi finali. In tal modo potranno influire positivamente o negativamente nella valutazione degli alunni (è tornato il voto di condotta appaltato agli insegnanti di religione cattolica?)

Ma torniamo ai soldi. Non sarebbero tanti, comunque ben oltre il miliardo di euro. Nella sintesi dei dati pubblicata dal Miur per l’anno scolastico 2009/2010 gli insegnanti di religione cattolica nella scuola statale erano 26.326 su un totale di 931.756 (non considerando i supplenti con contratto inferiore all’anno).

Il costo che lo Stato sostiene per l’Irc si può quindi quantificare in 1,25 miliardi di euro, moltiplicando il costo totale dell’istruzione scolastica per il rapporto tra insegnanti di religione cattolica e totale degli insegnanti.

La normativa è poi così ottusa che, quando alcuni presidi hanno tentato l’accorpamento di diverse classi con pochi studenti avvalentisi dell’Irc, l’iniziativa è stata subito bloccata in quanto è previsto l’insegnante anche quando un solo studente se ne avvale. Iniziative legislative per ridurre questo spreco si scontrano con le proteste ecclesiastiche per la conseguente riduzione occupazionale.

La cosa non si può fare, rispondono tutti, politici e partiti di ogni colore, populisti, democratici, europeisti, sovranisti. Perchè? Semplice, perché c’è il Concordato; perché l’Italia è l’Italia, c’è la Chiesa (l’unica vera secondo loro). Figuriamoci andarsi a mettere contro questo papa! Figuriamoci andare a toccare la religione cattolica a scuola mentre siamo invasi dalle truppe islamiste che sbarcano ogni giorno nei nostri porti sempre disponibili e accoglienti.

Invece non è vero che non si possa cambiare nulla. Non si può cambiare il Concordato. Ma Craxi lo ha fatto. E per certi aspetti non è detto che si debba per forza cambiare il Concordato. La materia scolastica fu a suo tempo regolamentata con una Intesa fra la Conferenza episcopale (Cei) e il Governo italiano (card. Poletti e Ministro Falcucci). Le Intese, come sappiamo, si possono anche modificare se le due parti trovano un accordo: ad esempio quella fra lo stato e la Tavola valdese è stata modificata per inserire anche le chiese valdesi e metodiste fra i possibili destinatari dell’8‰ e per specificare il suo possibile utilizzo. In modo simile il governo potrebbe chiedere alla Cei di modificare dei punti specifici.

E noi protestanti, che per qualche partito abbiamo pure votato, potremmo qualche volta alzare un po’ la voce, farci sentire e non adagiarci nel pensiero unico. Non è stata anche la Riforma del ‘500, su cui abbiamo tanto riflettuto, a formare donne e uomini a uno spirito critico, libero e responsabile?

E allora se, aprendo il giornale, leggessimo questo titolo: «La chiesa cattolica ha deciso di pagare i suoi insegnanti che operano nella scuola pubblica» non sarebbe una splendida giornata?

E di queste cose cerchiamo di dialogare anche negli incontri ecumenici nelle prossime Settimane di preghiera per l ‘unità. Non c’è da parlare soltanto di ospitalità eucaristica.

Marco Rostan Riforma.it 21 settembre 2018

https://riforma.it/it/articolo/2018/09/21/perche-la-chiesa-cattolica-non-si-paga-i-suoi-insegnanti

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COMMISSIONE ADOZIONI INTERNAZIONALI

L’accoglienza di bambini in stato di abbandono nel mondo: strumenti giuridici a confronto

Convegno internazionale Firenze, 19 ottobre 2018 – Istituto degli Innocenti Salone Brunelleschi

Informazioni e adesioni email: formazione@istitutodeglinnocenti.it telefono: 055 2037 273/255

programma www.commissioneadozioni.it/media/161289/idi_conv-intern_180911.pdf

 

La nuova lista di famiglie aspiranti all’adozione di 175 minori bielorussi

In data 1 ottobre 2018, la Commissione ha consegnato, in ottemperanza all’articolo 9 del Protocollo d’intesa Italia-Bielorussia, sottoscritto a Minsk il 30 novembre 2017, la nuova lista di famiglie aspiranti all’adozione di un totale di 175 minori bielorussi, corredata della lettera di garanzia a firma del Presidente del Consiglio dei Ministri prof. Giuseppe Conte.

Come previsto dal Protocollo, l’Ambasciata della Repubblica di Belarus consegnerà la lista al Centro nazionale per le adozioni di Minsk il quale, ottemperando agli artt. 10,11 e 12 del citato protocollo dovrà restituire, nei tempi previsti, l’elenco contenente i nominativi dei minori il cui stato di adottabilità sia stato accertato.

L’auspicio è che si possa giungere in tempi brevi e, comunque, nel rispetto delle tempistiche dettate dal Protocollo, all’espletamento delle relative procedure.

www.commissioneadozioni.it/it/notizie/2018/consegnata-la-lista-dei-minori-bielorussi.aspx

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CONSULENZA COPPIA E FAMIGLIA

Padova. Amoris Lætitia e la consulenza familiare. Etica della cura nelle relazioni familiari.

15 dicembre 2018 ore 9,30-10,30 Istituto G. Barbarigo via Rogati 17.

Primo seminario formativo per Consulenti Familiari, Assistenti Sociali, Insegnanti, Presbiteri, Operatori pastorali, Formatori e Genitori

Finalità: Aiutare quanti si prendono cura delle relazioni famigliari ad arricchire il proprio apporto con gli approfondimenti e le indicazioni proposte dall’Esortazione post-sinodale “Amoris lætitia”.

Metodologia. Cercando di valorizzare alcune indicazioni etiche e metodologiche proposte dall’Esortazione post-sinodale “Amoris lætitia” con particolare riferimento al capitolo VIII, viene illustrato, approfondito e affrontato, prima da due esperti, e poi insieme ai partecipanti, un caso concreto di situazione di disagio familiare.

Dott. Don Giampaolo Dianin, docente di Teologia Morale presso la FTTR

Dott. Don Tiziano Vanzetto, vicario giudiziale del Tribunale Ecclesiastico della diocesi di Padova e docente di Diritto Canonico presso la FTTR

  • Tognon Gabriella, consulente familiare, referente per la Regione Veneto dell’AICCeF

  • Deponte Antonella, consulente familiare, referente per la Regione Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia dell’AICCeF

Iscrizioni entro il 16 novembre 2018 con l’apposita scheda www.ufficiofamiglia.diocesipadova.it

Ufficio famiglia diocesano, in collaborazione con A.I.C.C. e F. e Formiamo

Con l’adesione di CFC, UCIPEM, Oasi Famiglia Santuari Antoniani

www.ufficiofamiglia.diocesipadova.it/wp-content/uploads/sites/8/2018/09/Descrizione-seminario-2.pdf

www.ufficiofamiglia.diocesipadova.it/pagina-di-esempio/seminario-triveneto-15-dicembre-2018

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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM

Cremona. Proposta di percorso formativo rivolta alla Scuola Primaria a.s. 2018-2019

Io, tu, egli, noi, voi, essi: stare bene in classe

Il Consultorio si affianca alla scuola e alla famiglia con l’obiettivo di sostenere insegnanti e genitori nel proprio ruolo educativo, offrendo l’opportunità di accrescere le competenze psico-pedagogiche.

  • Promuovere occasioni di confronto e formazione con alunni, insegnanti e famiglie.

  • Offrire ai docenti spazi di confronto e di lettura condivisa delle dinamiche di classe.

  • Valorizzare il tempo della crescita e dei cambiamenti come occasione relazionale.

  • Valorizzare le potenzialità della legittimazione emotiva al fine di migliorare il clima affettivo-relazionale nei gruppi di lavoro.

  • Progettare insieme al corpo docente interventi sugli specifici gruppi classe relativamente all’educazione affettivo-relazionale.

Il Consultorio si affianca alla scuola e alla famiglia, che rappresentano le prime esperienze sociali della vita, per offrire il proprio supporto nel compito del sostenere i bambini e le bambine nell’esperienza del vivere e dell’apprendere all’interno del gruppo classe.

  • Necessità di un buon funzionamento del gruppo classe al fine di permettere il lavoro in un clima affettivo-relazionale adeguato a favorire gli apprendimenti.

  • Necessità di sperimentare modalità differenti e creative di pensiero sull'”altro-da-me” come bagaglio culturale di ciascuna persona.

  • Presenza, durante i processi di convivenza/conoscenza in classe, di difficoltà relazionali

  • Difficoltà emergente nel gestire la ricchezza di istruire e di educare in un contesto classe eterogeneo.

  • Promuovere il lavoro di rete tra scuola, famiglia e realtà educative a vario titolo implicate nell’educazione dei bambini e delle bambine, favorendo il benessere relazionale del sistema alunni-insegnanti-genitori

  • Stimolare processi di progettazione e pianificazione condivisa, volti a valorizzare le risorse individuali, gruppali e della rete.

  • Offrire un’occasione di lettura delle dinamiche relazionali della classe e la possibilità di sperimentare la gestione creativa dei conflitti.

  • Progettare insieme al corpo docente interventi laboratoriali sulla base delle caratteristiche affettivo-relazionali di ciascuna classe

Globalità e complessità della persona in relazione alle sue diverse dimensioni costitutive.

  • Stare bene in classe: le relazioni fra compagni nel gruppo di apprendimento/lavoro.

  • Alfabetizzazione e legittimazione emotiva.

  • Gestione creativa dei conflitti.

  • Bullismo.

  • Rapporto insegnanti-alunni.

  • Rapporto genitori-figli.

Incontri di gruppo con modalità interattive, utilizzo di strumenti multimediali.

www.ucipemcremona.it/sites/default/files/files/Progetti%20Scuole%20Primaria%202018-2019.pdf

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DALLA NAVATA

XXVII Domenica del Tempo ordinario- Anno B – 7 ottobre 2018

Genesi 02.18. Il Signore Dio disse: “Non è bene che l’uomo sia solo: voglio fargli un aiuto che gli corrisponda”

Salmo 127. 06. Possa tu vedere i figli dei tuoi figli! Pace su Israele.

Ebrei 05. 11. Infatti, colui che santifica e coloro che sono santificati provengono tutti da una stessa origine; per questo non si vergogna di chiamarli fratelli.

Marco ..10. 06. Ma dall’inizio della creazione [Dio] li fece maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne. Dunque l’uomo non divida quello che Dio ha congiunto.

Il sogno di Dio è che nessuno sia solo, senza sicurezza

Alcuni farisei si avvicinarono a Gesù per metterlo alla prova: «è lecito a un marito ripudiare la moglie?». Chiaro che sì, è pacifico, non solo la tradizione religiosa, ma la stessa Parola di Dio lo legittimava. Gesù invece prende le distanze dalla legge biblica: «per la durezza del vostro cuore Mosè scrisse per voi questa norma». Gesù afferma una cosa enorme: non tutta la legge, che noi diciamo di Dio, ha origine divina, talvolta essa è il riflesso di un cuore duro. Qualcosa vale più della lettera scritta. Simone Weil lo dice in modo luminoso: «Mettere la legge prima della persona è l’essenza della bestemmia». E per questo Gesù, infedele alla lettera per essere fedele allo spirito, ci «insegna ad usare la nostra libertà per custodire il fuoco e non per adorare la cenere!» (Gustav Mahler). La Bibbia non è un feticcio, vuole intelligenza e cuore.

Gesù non intende redigere altre norme, piantare nuovi paletti. Non vuole regolamentare meglio la vita, ma ispirarla, accenderla, rinnovarla. E allora ci prende per mano e ci accompagna dentro il sogno di Dio, sogno sorgivo, originario, a guardare la vita non dal punto di vista degli uomini, ma del Dio della creazione. Dio non legifera, crea: «dall’inizio della creazione li fece maschio e femmina, per questo l’uomo lascerà il padre e la madre, si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola». Il sogno di Dio è che nessuno sia solo, nessuno senza sicurezza, più che di padre, senza tenerezza, più che di madre. Gesù ci porta a respirare l’aria degli inizi: l’uomo non separi quello che Dio ha congiunto. Il nome di Dio è dal principio “colui-che-congiunge”, la sua opera è creare comunione.

La risposta di Gesù provoca la reazione non dei farisei, ma dei discepoli che trovano incomprensibile questo linguaggio e lo interrogano di nuovo sullo stesso argomento. «Chi ripudia la propria moglie e ne sposa un’altra, commette adulterio verso di lei». Gesù risponde con un’altra presa di distanza dalla legislazione giudaica: «E se lei, ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio». Nella legge non c’era parità di diritti; alla donna, la parte più debole, non era riconosciuta la possibilità di ripudiare il marito. E Gesù, come al suo solito, si schiera dalla parte dei più deboli, e innalza la donna a uguale dignità, senza distinzioni di genere. Perché l’adulterio sta nel cuore, e il cuore è uguale per tutti. Il peccato vero più che nel trasgredire una norma, consiste nel trasgredire il sogno di Dio. Se non ti impegni a fondo, se non ricuci e ricongiungi, se il tuo amore è duro e aggressivo invece che dolce e umile, tu stai ripudiando il sogno di Dio, sei già adultero nel cuore.

padre Ermes Ronchi OSM

www.qumran2.net/parolenuove/commenti.php?mostra_id=44087

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DIRITTI

Nasce in Italia la “Carta dei diritti dei figli”

www.garanteinfanzia.org/landing2/Libretto.pdf

Continuare a essere figli ed essere aiutati a comprendere la separazione dei genitori. Sono tra i diritti individuati dalla “Carta dei diritti dei figli nella separazione dei genitori” in Italia, che è stata presentata stamattina a Roma dall’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza (Agia), Filomena Albano. E ancora: bambini e ragazzi nelle separazioni hanno diritto a essere ascoltati e a esprimere i propri sentimenti, a non subire pressioni, a non essere coinvolti nei conflitti tra genitori e a ricevere spiegazioni sulle decisioni che li riguardano.

In tutto, dieci punti fermi che individuano altrettanti diritti di bambini e ragazzi alle prese con un percorso che parte dalla decisione dei genitori di separarsi. “Abbiamo posto al centro il punto di vista dei figli di chi si separa”, dice la garante Albano.

“La Carta nasce dalla necessità di far emergere i diritti dei minorenni, in particolare di quelli che vivono la separazione dei propri genitori. Diritti che affondano le radici nei principi della Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Si tratta del diritto all’ascolto e alla partecipazione, del diritto a preservare le relazioni familiari, a non essere separati dai genitori contro la propria volontà, a meno che la separazione non sia necessaria nell’interesse preminente del minorenne”.

Così l’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, Filomena Albano, spiega la genesi della “Carta dei diritti dei figli nella separazione dei genitori”. “Il documento promuove la centralità dei figli proprio nel momento della crisi della coppia – evidenzia Albano -. I genitori, pur se separati, non smettono di essere genitori”. La Carta si apre con il diritto dei figli di continuare ad amare ed essere amati da entrambi i genitori. E di mantenere i loro affetti. “I figli devono poter stare al centro della vita dei genitori – avverte la garante -. Il genitore deve poter essere un faro, un riferimento, la prima persona a cui il figlio pensa di rivolgersi in caso di difficoltà e per condividere gioia ed entusiasmo. Per aiutare i figli bisogna renderli consapevoli che nel cuore e nella testa si ha un posto per loro”.

Al lavoro 16 esperti. Un’iniziativa, quella della Carta, che affonda le radici in una riflessione maturata nel 2017 e annunciata da Albano il 28 febbraio 2018, in occasione della presentazione a Roma di un primo bilancio del progetto “Gruppi di Parola, una risorsa per i figli dei genitori separati”, promosso dall’Autorità garante, in collaborazione con l’Università Cattolica del Sacro Cuore e l’Istituto Toniolo di studi superiori. Per arrivare all’individuazione dei diritti – e da essi alla stesura del testo definitivo – l’Autorità garante ad aprile ha formato una commissione grazie alla quale ha proceduto a una serie di audizioni. Sono stati ascoltati 16 esperti, scelti tra personalità in ambito giuridico, sociale, psicologico e pedagogico. Dalle loro audizioni, pur nella diversità degli approcci, sono emersi punti comuni e trasversali rispetto alle competenze dei soggetti ascoltati. Esperti e commissione hanno riflettuto, in particolare, su argomenti come la bi-genitorialità, i comportamenti auspicabili da parte dei genitori, al pari di quelli che dovrebbero evitare. Si sono interrogati sulle esigenze dei figli tenendo conto della loro età, sulla necessità di ascoltarli e di riportare loro le decisioni prese così come, eventualmente, farli partecipare alla riorganizzazione della vita familiare. Tra i temi oggetto di approfondimento nel corso delle audizioni anche quello del ricorso alla mediazione familiare.

Il contributo dei ragazzi. Un passaggio particolare del processo che ha portato alla redazione della Carta ha coinvolto la Consulta dei ragazzi, che hanno dato un contributo significativo alla stesura del documento. La Consulta è costituita da diciotto under 17 – nove maschi e nove femmine – provenienti da scuole medie e superiori, rappresentanze studentesche, gruppi scout, oratori e federazioni sportive. “Molti degli articoli sono frutto del loro lavoro”, rivela Albano.

Dieci diritti. Sono quelli individuati dalla “Carta”. I figli hanno il diritto “di continuare ad amare ed essere amati da entrambi i genitori e di mantenere i loro affetti” e “di continuare a essere figli e di vivere la loro età” sono i primi due.

I figli hanno il diritto “di essere informati e aiutati a comprendere la separazione dei genitori”; “di essere ascoltati e di esprimere i loro sentimenti”; “di non subire pressioni da parte dei genitori e dei parenti” sono il terzo, il quarto e il quinto diritto.

E ancora: i figli hanno il diritto “che le scelte che li riguardano siano condivise da entrambi i genitori”; “di non essere coinvolti nei conflitti tra genitori”; al rispetto dei loro tempi”; “di essere preservati dalle questioni economiche”.

Infine, “i figli hanno il diritto di ricevere spiegazioni sulle decisioni che li riguardano”. La Carta sarà inviata ad agenzie educative, consultori, tribunali, ordini professionali e associazioni ed è scaricabile dal sito dell’Autorità garante

Gigliola Alfaro Newsletter di Agensir.it 2 ottobre 2017

www.agensir.it/italia/2018/10/02/separazione-dei-genitori-nasce-in-italia-la-carta-dei-diritti-dei-figli

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DISCERNIMENTO

Discernere insieme

Nella sua azione pastorale verso una «Chiesa in uscita», papa Francesco ha indicato nel discernimento l’atteggiamento di fondo da adottare. Ne ha parlato in forma programmatica nella Evangelii gaudium (cfr in particolare i nn. 20-24 e 50-51) e poi in riferimento a questioni specifiche, come le relazioni familiari nell’Amoris lætitia (cfr nn. 76-79 e 217-252) e l’ecologia nella Laudato si’ (cfr nn. 182-188) e ultimamente ne ha fatto il tema del Sinodo dei Vescovi che si tiene a Roma dal 3 al 28 ottobre dal titolo «I giovani, la fede e il discernimento vocazionale».

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/apost_exhortations/documents/papa-francesco_esortazione-ap_20131124_evangelii-gaudium.html

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/apost_exhortations/documents/papa-francesco_esortazione-ap_20160319_amoris-laetitia.html

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/encyclicals/documents/papa-francesco_20150524_enciclica-laudato-si.html

In ambito religioso ed ecclesiale si discerne quando, fra una serie di azioni buone, si cerca quella migliore per compiere, qui ed ora, la “volontà di Dio”. Questa espressione si fonda sulla fede in un Dio che agisce nel mondo e nella storia, ponendosi in relazione con l’uomo al modo di una comunicazione interpersonale. In un’accezione più ampia si discerne quando, in un ventaglio di scelte possibili, si cerca l’azione migliore in vista del fine da conseguire.

Mentre la pratica del discernimento personale è ben radicata nella tradizione della Chiesa, solo negli ultimi decenni si è sentita l’esigenza di strutturare percorsi analoghi a livello comunitario e istituzionale, nello stile della sinodalità che fin dalle origini caratterizza le comunità cristiane e sul quale papa Francesco sta insistendo molto come modo per garantire «la sovranità di Dio», evitando il rischio di compiere scelte arbitrarie, o «dettate dalle nostre pretese, condizionate da eventuali “scuderie”, consorterie o egemonie» (papa Francesco, Discorso alla Congregazione per i Vescovi, Roma, 27 febbraio 2014, in

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2014/february/documents/papa-francesco_20140227_riunione-congregazione-vescovi.

Quando si parla di discernimento comunitario sono in gioco due momenti: in prima battuta l’ascolto della propria coscienza, poi la comunicazione tra quanti prendono parte al discernimento in vista di approdare a una conclusione condivisa, nella fiducia che «lo Spirito lavora in ciascuno, ma anche nelle dinamiche del gruppo» (cfr Giacomo Costa, Il discernimento, San Paolo, Milano 2018, 22). Un esempio di questo tipo di discernimento lo abbiamo nel libro degli Atti degli apostoli.

L’ingresso dei “gentili” nelle prime comunità cristiane. Tra le prime comunità cristiane quella di Gerusalemme aveva un ruolo di preminenza, essendo fondata sulle colonne – come li definisce Paolo in Galati 2Pietro, Giacomo (non l’apostolo, ma il fratello del Signore, il Giusto) e Giovanni. Per l’autorevolezza di cui godeva, ad essa spettò riconoscere e sancire una delle svolte fondamentali nella storia della Chiesa: l’apertura ai pagani convertiti, senza necessità di imporgli le stesse norme osservate dai primi discepoli provenienti dal giudaismo. La questione si radica nella storia d’Israele. Infatti ai gentili – gli stranieri provenienti per lo più dal mondo greco-romano – era permesso frequentare le sinagoghe, i luoghi di culto edificati nelle varie città in cui gli ebrei si erano dispersi a seguito della diaspora dopo l’esilio babilonese e la distruzione del tempio, nel 586 a.C. Qui ascoltavano la lettura e il commento delle Scritture e potevano associarsi alla preghiera, divenendo “timorati di Dio”, ovvero assumendo in parte la religiosità giudaica. Se poi accettavano anche di farsi circoncidere e osservare la legge mosaica, divenivano proseliti, cioè aggregati al popolo eletto, destinatari degli stessi benefici promessi da Dio al popolo dell’Alleanza.

Ma i criteri di ammissione non erano uniformi e al tempo di Gesù i rabbini discutevano se fosse sufficiente imporre ai pagani convertiti un bagno purificatore e norme legali meno stringenti (Penna R., Le prime comunità cristiane, Carocci Editore, Roma 2012, 13-104 e Maier J., Il Giudaismo del secondo Tempio, Paideia, Brescia 1991, 364-367).

I primi membri delle nascenti comunità cristiane erano giudei osservanti e non mettevano in discussione le norme derivanti dalla legge mosaica, ma quando l’annuncio che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù crocifisso (Atti 2,36) si diffonde anche attraverso le sinagoghe, alcuni timorati di Dio e proseliti credono al vangelo (letteralmente “la buona notizia”). In un primo momento non si pone il problema di come accoglierli tra i giudeo-cristiani, perché non si percepiscono come un gruppo separato dalla matrice ebraica. La questione emerge quando inizia la persecuzione a Gerusalemme con l’uccisione di Stefano (Atti 6,8-7,60), per cui quanti credono che Gesù è il Messia (Cristo in greco) cominciano a prendere coscienza della propria specificità, tant’è che solo ad Antiochia, verso la metà del I secolo, viene impiegato l’appellativo cristiani per identificarli. Contestualmente nasce una tensione fra la componente originaria proveniente dal giudaismo e quella di matrice pagana di più recente affiliazione e si pone la questione di come integrarle fra loro in un’unica nuova comunità religiosa.

L’intreccio di tali circostanze storiche sollecita una riflessione e una scelta conseguente la cui natura non è semplicemente disciplinare, ma teologica, perché la legge, con le sue norme e prassi consolidate, viene da Dio e osservarla rende giusti e degni dell’Alleanza. Se, invece, si può appartenere a pieno titolo alla comunità dei cristiani senza doversi attenere a tutti i precetti legali, forse la “volontà di Dio” si sta manifestando in una forma nuova? A questo livello non è possibile basarsi sulla decisione di uno solo, per quanto illuminato o autorevole possa essere: è necessario un confronto in termini di discernimento comunitario. La svolta avviene grazie alla condivisione delle esperienze apostoliche di Pietro e Paolo (cfr Atti 15,1-31).

Un discernimento comunitario. A Cesarea Pietro aveva assistito alla discesa dello Spirito santo anche sui pagani in casa di Cornelio, il centurione romano timorato di Dio che lo aveva mandato a chiamare a Giaffa. Preso atto della nuova Pentecoste avvenuta su di loro come in precedenza sugli apostoli, li aveva battezzati e così incorporati ufficialmente tra i cristiani (cfr Atti 10). Tornato a Gerusalemme, Pietro deve però fare i conti con gli altri giudeo-cristiani, scandalizzati dal suo comportamento: «Sei entrato in casa di uomini non circoncisi e hai mangiato insieme con loro!», esclamano. Ma dopo averli messi a parte dell’accaduto, anche loro comprendono quanto avvenuto e cominciano a glorificare Dio dicendo: «Dunque anche ai pagani Dio ha concesso che si convertano perché abbiano la vita!» (cfr Atti 11,1-18).

Assodato che giudei e pagani convertiti hanno la stessa grazia e dignità all’interno della Chiesa nascente, la questione si specifica: quali sono le condizioni e i segni di appartenenza? Come già accadeva nel giudaismo, anche nelle prime comunità cristiane non c’era uniformità, finché ad Antiochia nasce un conflitto aperto in merito e quindi la necessità di una linea comune. Infatti, mentre Paolo e Barnaba non imponevano la circoncisione ai convertiti dal paganesimo, alcuni, venuti dalla Giudea, dicevano che era necessaria per essere salvati (Atti 15,1).

Il nodo da sciogliere nel cosiddetto Concilio di Gerusalemme fu, quindi, una questione implicante il senso e le conseguenze della fede in Gesù come Cristo alla luce degli avvenimenti più recenti, ben riassunta dalle parole di Pietro (Atti 15,7-11): «7. Fratelli, voi sapete che già da molto tempo Dio ha fatto una scelta fra voi, perché i gentili ascoltassero per bocca mia la parola del vangelo e venissero alla fede. 8 E Dio, che conosce i cuori, ha reso testimonianza in loro favore concedendo anche a loro lo Spirito Santo, come a noi; 9 e non ha fatto nessuna discriminazione tra noi e loro, purificandone i cuori con la fede. 10 Or dunque, perché continuate a tentare Dio, imponendo sul collo dei discepoli un giogo che né i nostri padri, né noi siamo stati in grado di portare? 11 Noi crediamo che per la grazia del Signore Gesù siamo salvati e nello stesso modo anche loro».

Alla fine, Giacomo propone la soluzione che sarà adottata: ai pagani convertiti non va imposta la circoncisione, ma solo alcune regole di purità e una particolare attenzione ai poveri.

Da questo evento fondamentale per la storia della Chiesa emergono alcuni aspetti tipici del discernimento comunitario: innanzitutto l’ascolto fraterno e la condivisione delle esperienze vissute alla luce dello Spirito. In questo caso, la decisione finale non è presa in base al prevalere delle ragioni dell’uno o dell’altro, né a maggioranza, come se si trattasse di un’assise parlamentare, ma per la comunione fra le persone chiamate a discernere. Nella Chiesa è questo il segno di una scelta giusta, come accadde durante il Concilio Vaticano II, i cui documenti finali furono approvati con pochissimi voti contrari. Accanto a questo elemento, l’altra indicazione fondamentale per verificare e confermare la decisione è la gioia, l’incoraggiamento a procedere con fiducia infuso nei destinatari, come si vede dalla reazione della comunità di Antiochia: sono il frutto dello Spirito (cfr Atti 15,31 e Galati 5,22).

Un buon discernimento, infatti, è convalidato da questi segni interiori ed esteriori, dal piacere di procedere insieme all’altro, dal sentirsi uniti – al di là della diversità di vedute – nel comunicarsi e condividere quanto riconosciuto in coscienza come la scelta migliore per tutti, qui ed ora. Alla fine la decisione risulta qualitativamente superiore a quella raggiungibile con la pura applicazione di una tecnica, è più della somma dei singoli contributi e il gruppo stesso può percepirsi come qualcosa di più di un insieme di persone convenute solo in vista di un obiettivo individuale o comune da perseguire (cfr Costa G., Il discernimento, San Paolo, Milano 2018, 59-85). In questa luce si capisce la profondità del messaggio inviato dalla comunità di Gerusalemme a quella di Antiochia per comunicare la decisione presa, in cui si esprime la consapevolezza dell’esperienza spirituale vissuta nel discernere insieme: Abbiamo deciso, lo Spirito santo e noi (cfr Atti 15,28).

Se consideriamo quanto fosse importante per alcuni giudeo-cristiani l’essere circoncisi, l’esito dell’assemblea di Gerusalemme non era affatto scontato, perché richiedeva un notevole cambio di prospettiva. Nelle esperienze apostoliche di Pietro e Paolo risulta evidente che l’azione storica di Dio li ha preceduti, chiamandoli al riconoscimento di un dato di fatto da cui partire per rivedere i propri criteri di valutazione e interpretazione della realtà. Papa Francesco lo indica come uno dei quattro principi guida per la nuova evangelizzazione: «La realtà è più importante dell’idea» (cfr Evangelii gaudium, nn. 231-233). Il processo di discernimento presuppone la volontà e la capacità di mettere in discussione i propri schemi mentali e rivederli alla luce dell’esperienza interiore ed esteriore, come dice Paolo scrivendo ai Romani: Non conformatevi a questo mondo, ma lasciatevi trasformare rinnovando la vostra mente, per discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto (Romani 12,2). La nostra mente, infatti, non è un semplice «raccoglitore di informazioni», ma «originaria disposizione dell’uomo in cui agisce un’intelligenza orientata alla libertà» (cfr Martini C. M., «La testimonianza del discernimento spirituale e pastorale», in Giustizia, etica e politica nella città, Bompiani, Firenze 2017, 448-461), capace, quindi, di entrare in sintonia con lo Spirito che, come il vento, soffia dove vuole (cfr Giovanni 3,8).

La nuova comprensione in questo caso è a livello comunitario: sorge un nuovo modo comune di pensare e sentire e questo crea tradizione, anche se non mette al riparo da equivoci e dalla necessità di capire sempre più profondamente il senso e le conseguenze della scelta. Infatti, Paolo assume la decisione come un modo di concepire l’adesione a Gesù Cristo, fondandola sulla fede; Pietro, e ancor più Giacomo, solo come un modo di accogliere i nuovi proseliti, per cui il confitto riemerge in seguito (cfr Galati 2). La “volontà di Dio”, per quanto compresa attraverso un buon cammino di discernimento, è sempre un appello alla libertà umana e a essa resta affidato perché si realizzi nelle concrete circostanze storiche.

Lo stile ecclesiale di discernimento. Fin dalle origini, la comunione è un segno di credibilità nell’annuncio del Vangelo: la moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola (Atti 4,32). Questo non significa un’utopica assenza di diversità, come si è visto, ma la capacità di generare, grazie ad esse, «un dinamismo evangelizzatore che agisce per attrazione» (cfr Evangelii gaudium, nn. 130-131). Il discernimento in comune è un modo di realizzarlo, rendendo efficace nella pratica pastorale quel sensus fidei di cui sono dotati i battezzati nel loro insieme, ovvero la capacità di riconoscere ciò che viene realmente da Dio, anche quando si tratta di rivedere consuetudini radicate, ma il cui senso non è più percepito adeguatamente (cfr Evangelii gaudium, n. 43). Si tratta di un’arte più che una semplice tecnica e come tale va acquisita ed esercitata, affinché diventi uno stile, un modo di procedere abituale. Per questo papa Francesco l’addita innanzitutto a quanti nella Chiesa sono investiti di un’autorità pastorale e, più in generale, come parte integrante dei cammini di formazione.

Giuseppe Trotta Aggiornamenti sociali ottobre 2018

www.aggiornamentisociali.it/articoli/discernere-insieme

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FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI

Sgravi fiscali alle imprese che credono nella famiglia

Con la quarta edizione del Premio «Aziende Family Friendly», ideato e co-organizzato dal Forum Famiglie Lazio, al quale ha preso parte anche il ministro per la Famiglia e le Disabilità, Lorenzo Fontana, il Presidente del Forum delle Associazioni Familiari, Gigi De Palo ribadisce la maggiore necessità di un Patto per la Natalità.

“Chiediamo al Governo di parametrare gli sgravi fiscali alle imprese previsti dalla manovra in base a quanto le aziende fanno per essere a misura di famiglia”: questa la prima dichiarazione del presidente nazionale del Forum delle associazioni familiari, Gigi De Palo, intervenuto alla consegna del Premio ‘Aziende Family Friendly’.

“Come per il reddito di cittadinanza – aggiunge– per il quale abbiamo invocato che tenga conto dei carichi familiari, così siamo convinti che il Patto per la Natalità si realizzi legando gli sgravi fiscali all’impegno delle aziende nel realizzare concretamente politiche ‘family friendly’: tutele maggiori per la maternità, asili nido nelle strutture, supporto nella spesa ai dipendenti, attenzione e ampliamento dei congedi di maternità e paternità, bonus extra in caso di nascita di un bebè, aggiuntivi rispetto a quelli dello Stato”.

“L’iniziativa, che nei prossimi anni diventerà uno degli eventi più importanti per il Forum, intende riconoscere alle aziende premiate l’impegno nel tener presente questi principi nella propria mission. C’è ancora tanto da fare per ricostruire il tessuto sociale, economico e culturale del Paese: imprese, banche e media, accanto e insieme alla politica possono e, anzi, devono avere un ruolo importante”, conclude De Palo.

News Ai. Bi. 10 ottobre 2018

www.aibi.it/ita/aziende-family-friendly-de-palo-forum-famiglie-sgravi-fiscali-alle-imprese

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FRANCESCO VESCOVO DI ROMA

Il Papa incoraggia i preti sposati greco-cattolici: una testimonianza esemplare

«Cari sacerdoti, vi saluto tutti con viva cordialità, celibi e sposati, con le vostre famiglie, come pure i religiosi. Vi ringrazio per il vostro lavoro in mezzo al santo popolo fedele di Dio. Le famiglie dei sacerdoti vivono una missione particolare al giorno d’oggi, quando l’ideale stesso della famiglia è messo in discussione se non esplicitamente attaccato: voi offrite una testimonianza di vita sana ed esemplare».

Con queste parole Papa Francesco ha accolto i preti della Chiesa greco-cattolica della Slovacchia giunti a Roma per un pellegrinaggio in occasione del 200esimo anniversario dell’erezione dell’Eparchia di Presov.

Nel suo discorso durante l’udienza in Aula Paolo VI, il Pontefice ha esortato a «resistere alle due tendenze opposte: il secolarismo, che porta alla mondanità, oppure ad un arroccamento in modi obsoleti e addirittura non evangelici di intendere il proprio ruolo ecclesiale, modi che portano a un clericalismo sterile».

«Nella vostra gioiosa presenza qui, insieme con i vostri pastori – ha aggiunto Francesco – vedo un volto entusiasta e devoto di una Chiesa salda nella fede, consapevole della propria dignità e fiera della sua identità ecclesiale. In questo modo siete degni figli dell’evangelizzazione operata, in piena fedeltà alla Sede Apostolica, dai santi Patroni d’Europa Cirillo e Metodio».

Secondo il Papa, «il continente europeo, in Oriente come in Occidente, ha bisogno di riscoprire le proprie radici e la propria vocazione; e dalle radici cristiane non possono che crescere alberi solidi, che portano frutti di pieno rispetto della dignità dell’uomo, in ogni sua condizione e in ogni fase della vita».

Da qui un incoraggiamento «a custodire la vostra tradizione bizantina, che anch’io fin da giovane ho imparato a conoscere ed amare: riscopritela e vivetela in pienezza, come ha insegnato il Concilio ecumenico Vaticano II, prestando grande attenzione ai percorsi di evangelizzazione e catechesi nei quali, prima ancora che i pastori, i protagonisti sono i genitori e i nonni, dai quali in molti abbiamo imparato le prime preghiere e il senso cristiano della vita».

«Grazie ai papà, alle mamme, ai nonni e a tutti gli educatori qui presenti, per la vostra indispensabile testimonianza!», sono state le parole conclusive del Papa, che ha domandato ai presenti «un ricordo speciale tra poco, quando celebrerete la Divina Liturgia nella Basilica di Santa Maria Maggiore, tempio così prezioso per la memoria dei Santi Cirillo e Metodio e dunque per la vostra storia. La Santa Madre di Dio, alla quale guardiamo con speranza e amore di figli – ha concluso – difenda con la sua intercessione la Chiesa in questo tempo di prova e vegli sui lavori del Sinodo dei giovani, che abbiamo da poco iniziato».

Redazione “La Stampa Vatican Insider” 6 ottobre 2018

www.lastampa.it/2018/10/06/vaticaninsider/il-papa-incoraggia-i-sacerdoti-sposati-grecocattolici-una-testimonianza-esemplare-qDjjksyi48S2skz6YmKNZO/pagina.html

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GOVERNO

Strategia di Riforma nel DEF 2018.

www.mef.gov.it/inevidenza/documenti/NADEF_2018.pdf

Capitolo IV. pag. 101 (115) Famiglia e disabilità

Il quadro di riferimento degli interventi in tema di politiche familiari si inserisce in un contesto di severa crisi demografica. (…) E’ opportuno intervenire per modificare le tendenze rappresentate dalle ultime proiezioni tenendo peraltro in considerazione la circostanza, evidenziata dalle stesse Istituzioni europee, che “il basso tasso di fecondità in Italia è dovuto a una drastica diminuzione della propensione ad avere il secondo e i successivi figli”, non essendo mutata la probabilità di avere il primo. Gli interventi in tema di politiche familiari saranno pertanto selettivamente orientati al sostegno alla genitorialità e al rilancio della natalità, agendo a tal fine sul versante fiscale, su quello dei servizi e delle prestazioni sociali.

Il Governo intende mettere in atto una serie di disposizioni per definire un sistema fiscale a misura di famiglia, alleggerendo il peso dell’imposizione tenendo conto del numero dei figli e della funzione sociale multidimensionale svolta dal nucleo familiare.

E’ necessario, inoltre, potenziare la rete dei servizi a sostegno della famiglia e le agevolazioni per assicurarne la più ampia fruizione, con particolare riferimento agli asili nido e alle strutture, anche private, per l’assistenza all’infanzia, nonché promuovere la valorizzazione del ruolo di supporto svolto dai Consultori familiari e dai Centri per la famiglia. In questa direzione occorre un coinvolgimento dei diversi livelli territoriali di governo, delle associazioni, e delle reti a sostegno delle famiglie nonché delle famiglie stesse. Nel potenziare i servizi territoriali bisogna dare impulso a forme di integrazione e partnership tra la sfera pubblica e mondo dell’associazionismo no profit delle imprese sociali; stimolare gli investimenti sociali; garantire la libera scelta dell’utente dei servizi pubblici, anche attraverso i voucher per i servizi alla persona; definire i livelli essenziali delle prestazioni che devono essere garantiti sull’intero territorio nazionale; razionalizzare l’ISEE.

Nell’ambito di un riordino del sistema dei sussidi e delle prestazioni sociali, occorre definire politiche strutturali e mirate, in grado di invertire la dinamica demografica avversa. In tale contesto, anche il Reddito di Cittadinanza giocherà un ruolo chiave nel sostegno alle famiglie disagiate e con disabili e con componenti in condizione di disabilità, mentre la ‘pensione di cittadinanza’ sarà prevista per le persone che vivono al di sotto della soglia minima di povertà e verrà modulata tenendo conto della situazione complessiva dei nuclei familiari, anche con riferimento alla presenza al loro interno di persone con disabilità o non autosufficienti.

Occorre, inoltre, rafforzare e innovare gli istituti a sostegno della maternità e a favore della conciliazione della vita privata e della vita professionale sia intervenendo in tema di congedi parentali sia introducendo nuove forme di incentivazione degli investimenti nel welfare familiare aziendale e di promozione, nel settore pubblico e privato, del lavoro agile. Interventi mirati potranno essere adottati anche al fine di favorire i percorsi di autonomia e assunzione di responsabilità da parte dei giovani, come l’accesso alla casa, sia con riferimento al profilo di garanzie per i mutui immobiliari sia con riguardo all’offerta di edilizia residenziale pubblica e di social housing.

È, infine, necessario definire specifiche forme di tutela ai soggetti che, in conseguenza di crisi familiari, versano sempre più spesso in condizioni di vulnerabilità socio-economica, nonché ripristinare un’adeguata dotazione del Fondo per le politiche della famiglia, rivisitandone le finalità anche in relazione alle politiche per l’infanzia e l’adolescenza. (…)

pag. 104 (118) Adozioni internazionali.

In ordine alle politiche in materia di adozioni di minori italiani e stranieri, è necessario accelerare le attività istruttorie ai fini del rilascio del decreto di idoneità, assicurando una maggiore uniformità dei servizi resi sul territorio nazionale. Sono pertanto allo studio misure per razionalizzare, snellire e coordinare le attività di informazione e i processi di valutazione. Inoltre, dovranno essere intraprese azioni per definire un sistema di sostegno post adozione strutturale e capillare, attraverso misure che accompagnino le famiglie con interventi che investano una pluralità di competenze, da quelle giuridiche a quelle psicologiche, sociali e pedagogiche. E’ altresì necessario intraprendere un utile percorso di razionalizzazione degli enti autorizzati per le adozioni, garantendo al contempo un’omogenea diffusione della loro operatività. Occorre, infine, rafforzare gli strumenti di sostegno economico per le coppie che concludono un percorso adottivo, nonché investire in progetti di cooperazione nei Paesi di origine, per sviluppare le competenze atte a garantire procedure più veloci e trasparenti.

{In passato l’UCIPEM e il Forum Associazioni Familiari avevano presentato al Governo una proposta di aggiornamento delle Leggi sui consultori familiari e sull’ivg. É intenzione della redazione pubblicarli per ottenere contributi dai lettori. Ndr}

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MATRIMOMIO

Una donna cambia dopo il matrimonio?

Matrimonio: come si può affrontare il passo senza rischiare di trovarsi accanto una persona sconosciuta? La scienza afferma che entrambe le personalità, dell’uomo e della donna, si modificano dopo il “Si”. Stai organizzando il tuo matrimonio o ti sei sposato da poco ed hai iniziato ad avvertire qualche dubbio sulla persona che hai scelto “per il resto della tua vita”? Certamente il periodo del fidanzamento avrà alimentato in te delle aspettative e ti avrà regalato l’immagine di una donna adorabile, indifesa, desiderosa di coccole e attenzioni e tendenzialmente incline alla devozione e alla totale predisposizione alla vita di coppia. Varcata la soglia del vostro “nido d’amore” la realtà potrebbe essere ben diversa e allora, cosa fare? Ti viene il dubbio che a tutti è già venuto: una donna cambia dopo il matrimonio? Perfino gli scienziati pare abbiano provato a dare una spiegazione al fenomeno del cambiamento post nuziale, arrivando alla conclusione che, osservando alcuni tratti della personalità dei novelli sposi, la modifica sostanziale, per quanto riguarda la donna, si manifesterebbe nella diminuzione degli stati di ansia e delle nevrosi, a favore di un aumento del senso di benessere e di tranquillità. Di contro però, la donna tenderebbe a manifestare una minore apertura verso l’esterno e a trascurare il proprio aspetto fisico, riducendo pertanto, il senso di gradevolezza agli occhi del proprio partner. Ma non è detto che la scienza abbia sempre ragione!

Cosa aspettarsi dopo il Sì? Nei primi mesi di matrimonio quasi tutte le coppie vivono un vero e proprio idillio, rappresentato da piccole attenzioni, cura di te e di sé, amore per la casa e per la vita sociale condivisa (rappresentata per lo più da cenette e inviti frequenti di amici e parenti per testare le capacità culinarie e di ospitalità). Tuttavia, dopo questa fase, quasi certamente si manifesteranno le prime “defezioni”. Lei ti chiederà probabilmente di rinunciare all’uscita settimanale con i tuoi amici o alla partitella “scarica nervi” del weekend. Diminuiranno i pasti perfetti da gourmet per lasciare spazio alle super veloci confezioni di precotti e surgelati (soprattutto se lei lavora come lavori tu). Si dimostrerà un’esperta di arredamento e design sempre pronta a modificare ora questo, ora quell’angolo di casa e ad acquistare nuovi elementi per dare personalità al “vostro” ambiente. Se le attenzioni da parte tua non mancheranno, e la capacità di assecondarla nelle sue proposte, magari bizzarre, ti sembrerà cosa semplice e gradita, allora potrai dormire sonni tranquilli, perché lei si sentirà apprezzata e appagata nella sua nuova veste di moglie e padrona di casa.

Se arriva un figlio? Sposarsi implica il desiderio di costruire un progetto di vita comune che certamente, almeno nella maggioranza dei casi, prevede l’arrivo di almeno un bebè. E’ chiaro che tutto quello che ne consegue debba essere messo in conto già prima di affrontare il fatidico passo. E’ vero però che le aspettative sull’argomento sono totalmente diverse tra uomo e donna. Per l’uomo un figlio è principalmente paura: dell’ignoto, dell’incapacità di saperlo gestire, del senso di inadeguatezza, della gelosia per colui/colei che usurperà il proprio ruolo di catalizzatore delle attenzioni della donna. Per lei invece, un figlio è completezza: del proprio essere femmina, del rapporto con il proprio compagno, del personale disegno di vita. E allora il cambiamento, in questo caso, sarà davvero radicale e soprattutto inevitabile. Ovviamente, questo non vuol dire che non sia irreversibile. Tutto dipenderà da quanto tu, uomo, sia disposto a sacrificare e a concedere nel tempo che la nuova creatura acquisti un ruolo ben definito all’interno del vostro menàge familiare. I figli certamente richiedono impegno e ci costringono a rivedere tempi, abitudini. Stravolgono il quotidiano e ci conducono verso un mondo ricco di curiosità e aspettative sconosciute. Ma possono essere anche fonte di ispirazione per arricchire il rapporto e rafforzarlo in termini di condivisione e ridistribuzione dei ruoli. Tutto questo però, comporta una comunione di intenti e non può essere un percorso a senso unico, desiderato cioè solo dalla donna e/o dall’uomo. Dunque, il cambiamento dovrà per forza riguardare entrambi.

Se lei lavora come te o più di te? Il lavoro, altro tema cruciale all’interno di un rapporto di coppia. Ti sei mai chiesto, prima del matrimonio, quanto contasse, agli occhi della “tua” donna il lavoro? Probabilmente è un argomento che hai sottovalutato, relegandolo ad un ruolo di puro sostegno economico per la futura famiglia e niente di più. Beh, ti sei sbagliato! Nella società attuale, in cui i ruoli tra i due sessi non sono più così definiti e netti e in cui le donne dimostrano di possedere capacità intellettive, organizzative e culturali ben al di sopra degli “standard” di un tempo, il lavoro è “tutto”. Si perché la donna che lavora ostenta sicurezza, forza, autonomia e quando deve conciliare il lavoro con la famiglia, diventa davvero una “Wonder Woman” [super eroina in un fumetto] senza perdere le proprie caratteristiche di dolcezza, sensualità e femminilità. Non tutti gli uomini però comprendono quanto sia fondamentale per una donna di oggi, sentirsi economicamente libera e indipendente e pensano che, una volta messo il famoso anello al dito e realizzato il proprio desiderio di maternità e di mogliettina perfetta, sia tutto tranquillo. Invece non è così. Dopo il matrimonio, la donna che lavora, impara ad organizzare tutto nei minimi dettagli come in un gioco ad incastro, dove ogni singolo pezzo entra perfettamente nello spazio per esso preparato e se l’uomo che le sta accanto, comprende il valore di tutto questo e offre la sua collaborazione, puoi starne certo, resteranno insieme per tutta la vita. Sicuramente, quando il lavoro occupa entrambi potrebbero essere più frequenti i momenti di stanchezza e di nervosismo e sarà un tantino più complicato organizzarsi ed evitare di cadere nel rischio del contrasto e della lite. Il riuscire a fare un passo indietro e sforzarsi di comprendere le esigenze dell’altro, magari provando a immedesimarsi nella sua quotidianità, fatta di tempi e impegni di varia natura, potrebbe facilitare il percorso. Il più delle volte questo compito dovrebbe spettare all’uomo, proprio perché le donne che lavorano fuori, devono sopperire anche agli impegni di casa (strascichi di una cultura che ha attribuito alla donna determinate funzioni non esplicabili dall’altro sesso! Mah!) e affrontare, al rientro, una serie di attività (compiti, mansioni) che l’uomo non sa o non vuole saper fare. Anche i soldi, in termini di “guadagni” dell’uno e dell’altro all’interno della coppia potrebbero determinare delle differenze e comportare un cambiamento, soprattutto in colui/colei che si venga a trovare in una posizione svantaggiata. Non si può però pensare che il matrimonio si trasformi in una gara a chi porta di più casa; perciò, i soldi che entrano, devono avere lo stesso valore e contribuire allo stesso progetto: la famiglia!

Il ruolo di parenti e amici? Ultimo aspetto, ma non per questo meno importante: i parenti e gli amici. Prima di sposarti, le frequentazioni con la mamma, il papà (si spera viventi!) di entrambi, sono limitate a momenti topici (quali possono essere i compleanni, Natale, Pasqua, qualche matrimonio, ecc). Una volta sposati, magicamente le cose cambiano e, chissà per quale oscuro mistero, i tuoi parenti diventano quelli “insopportabili” mentre i suoi sono tutti “adorabili”. Con molta probabilità dovrai fare i conti con frequenti visite a sorpresa, nei giorni e negli orari più assurdi, da parte della suocera, della mamma, della nonna, della sorella, della cognata, delle amiche e degli amici (di entrambi) che vorranno mettere becco su ogni aspetto del vostro quotidiano. Certo, all’inizio potrà sembrare una cosa carina condividere “le novità” con il resto del mondo, ma presto, se le ingerenze non troveranno un freno, potrebbero trasformarsi in un grave elemento di disturbo per la serenità di tutti. E chi ne subirà le maggiori conseguenze, fidati, sarà proprio il vostro rapporto. Se la coppia “funziona”, andrà oltre tutte le intromissioni e riuscirà a mantenere un solido equilibrio, mostrando agli altri un’immagine di perfetta simbiosi e di leale complicità e accettazione dell’altro, compreso il suo entourage. In caso contrario, ognuno dei due tenderà a “prendere le parti” dei propri parenti e amici e il cambiamento sfocerà in crisi. Un buon consiglio, in questo caso, potrebbe essere quello di limitare il più possibile le interferenze

Esiste soluzione? A rivedere tutti gli aspetti trattati, è evidente che il matrimonio rappresenta già in partenza un grande motore di cambiamento che non necessariamente modifica solo ed esclusivamente la donna. Ed è chiaro che non si può ricondurre il cambiamento al solo aspetto “scientifico” dell’analisi di alcuni tratti della personalità. Siamo esseri umani inseriti in un contesto sociale con caratteristiche variegate e multiformi e qualsiasi decisione che comporti un “salto nel buio”, come appunto può fare un matrimonio o una convivenza, determinerà delle reazioni che non potranno mai essere conformi ad uno “standard” ed essere considerate “assolute”. Allora? ti starai chiedendo, come faccio a sapere se, come, quanto e quando si modificherà il comportamento della donna che ho scelto per tutta la vita? Beh, caro mio, purtroppo a questa domanda non si può rispondere con un articolo di giornale, né tanto meno con una chiacchierata tra amici. Solo saltando nel buio, con la curiosità e l’entusiasmo alimentato da quel sentimento tanto bistrattato chiamato amore, riuscirai a gestire qualsiasi cambiamento, che, fidati, non avverrà solo nella tua adorata compagna, ma anche in te. Perché in ogni singolo istante della nostra vita siamo soggetti al cambiamento del nostro corpo e della nostra mente e non siamo mai uguali a noi stessi. Pertanto, anche se le tue domande e i tuoi dubbi possono sembrare sensati, se hai deciso di affrontare il grande passo, è perché in cuor tuo sai di essere pronto a qualsiasi cosa e a qualsiasi sorpresa il rapporto ti regalerà. Buona fortuna!

Vittoria D’Ermoggine La legge per tutti 7 ottobre 2018

www.laleggepertutti.it/243891_una-donna-cambia-dopo-il-matrimonio

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PEDAGOGIA

Il metodo danese per la felicità dei nostri figli.

E’ noto da tempo, la Danimarca è un Paese felice e, quanto a tranquillità, empatia, educazione e rendimento scolastico, i loro bambini battono tutti. Certo, in quel Paese i genitori hanno un reddito più alto della media e le madri godono di un più lungo congedo di maternità. Ma queste non sono le sole ragioni per cui il rendimento scolastico dei loro figli è migliore, e da sole non spiegano perché i loro bambini sono sicuri di sé e non devono fare i conti con il fenomeno del bullismo che in Danimarca, al contrario che da noi, è fermo ai minimi livelli. E allora, come esportare il loro modello, come tentare di rendere anche i nostri figli meno competitivi, meno stressati e meno ansiosi? In una parola più sereni?

Jessica Joelle Alexander, psicologa danese appassionata delle differenze culturali e autrice del bestseller internazionale Il metodo danese per crescere bambini felici ed essere genitori sereni, continua la sua analisi sulle nuove generazioni con Il metodo danese per educare i bambini alla felicità a scuola e in famiglia (Newton Compton editori), un libro che suggerisce comportamenti e attenzioni che genitori e insegnanti possono facilmente inserire nella vita scolastica e domestica per migliorare il benessere dei bambini.

Innanzi tutto è necessario considerarli competenti, dice Alexander, trattarli con rispetto e prestare attenzione alla differenza (non sempre facilmente percepita) tra autostima e sicurezza nelle proprie capacità. Che non sono la stessa cosa; la prima pone l’accento sui risultati, la seconda sul far sentire a proprio agio il bambino. E dunque, se è comunque necessario spronarli a “fare i compiti” e svolgere i loro doveri, lo è ancora di più dar loro il tempo per giocare in libertà; responsabilizzarli, lasciarli sbagliare, insegnargli come riconoscere le emozioni proprie e degli altri. Ma, per farlo, è necessario cambiare prospettiva: essere disponibili ad ascoltare i bambini e tentare di guardare la realtà con la loro ottica.

“In Danimarca”, riassume l’autrice spiegando un importante terreno di apprendimento e un modello positivo per i bambiniˊ, “il sistema educativo – sia a casa che a scuola – è votato alla formazione del bambino in ogni suo aspetto. Il che significa competenze sociali ed emozionali, capacità di collaborare, risultati scolastici, benessere. L’obiettivo è imparare a lavorare insieme sul “noi” e non sull’io”. Il metodo danese per educare i bambini è un libro utile: indica in modo semplice, con esempi, confronti e suggerimenti, come intraprendere una nuova strada educativa; i nostri figli ne guadagneranno in serenità. E anche noi adulti.

Lei ha scritto spesso sul come accompagnare i bambini verso la felicità, che cosa aggiunge sull’argomento questo suo nuovo libro?

“In questo nuovo libro parlo più approfonditamente di quello che i danesi fanno a scuola e a casa. Si tratta di semplici accorgimenti facilissimi da implementare nella nostra vita quotidiana, scolastica e domestica, ma in grado di fare la differenza quando si tratta di benessere in generale. In Danimarca i bambini sono considerati competenti sin dalla più tenera età e vengono trattati con rispetto e dignità, come la definiscono loro. Questo fa sì che siano più felici, che la qualità del rapporto con genitori e insegnanti sia più elevata e che il passaggio all’adolescenza avvenga in modo più fluido. Si presta molta attenzione alla differenza tra autostima e sicurezza nelle proprie capacità ed è compito degli adulti stimolarle entrambe. In molti Paesi questa distinzione non viene percepita, invece per i danesi è molto importante; loro vogliono che i bambini stiano bene con sé stessi, quindi cercano di fare il possibile perché si sentano sempre a proprio agio per quello che sono e non solo per i risultati che ottengono. I bimbi danesi hanno più tempo per giocare in libertà e vengono responsabilizzati sin da piccolissimi, in modo che sentano di essere padroni della loro vita. Vengono anche coinvolti nel processo di apprendimento e in quello decisionale, il che aumenta la loro fiducia e la loro motivazione. A scuola gli viene insegnata l’empatia: i bimbi imparano quindi a decifrare emozioni e sentimenti propri e altrui già da molto piccoli. Perché imparare a leggere gli altri è altrettanto importante che imparare a leggere i libri. C’è addirittura un’ora di lezione a settimana per tutti gli studenti tra i 6 e i 16 anni dedicata proprio a questo. I danesi hanno un approccio molto innovativo alla lotta al bullismo e sono infatti riusciti a ridurre le vittime di simili comportamenti dal 25 al 7% della popolazione scolastica negli ultimi 10 anni. Il bullismo viene considerato più che altro un problema di gerarchia del gruppo e non del singolo studente: secondo loro non esistono bambini cattivi, ma dinamiche di gruppo sbagliate. C’è un verbo molto interessante nella lingua danese ed è at lære, che significa sia insegnare che imparare; si può usare in maniera intercambiabile e credo sia un magnifico esempio di come gli adulti considerino i bambini fonte di conoscenza e cerchino di vedere le cose dalla loro ottica. Se ci predisponiamo all’ascolto e all’osservazione, potremo imparare moltissimo dai nostri figli. Bisogna solo accettare il cambio di prospettiva”.

Perché quello danese è un metodo efficace?

“Le abilità che sarà necessario avere sul lavoro nel 2020, secondo il World Economic Forum, sono tra le altre, la creatività, l’innovazione, la leadership, la social influence, l’intelligenza emozionale. Quelle che invece appaiono in declino sono la manualità, la resistenza fisica, la memoria, il saper scrivere e far di conto (solo per citarne alcune). Il che fa sorgere alcune domande: stiamo preparando i nostri figli per il futuro che li aspetta? Il sistema educativo non è cambiato di molto dalla rivoluzione industriale. Abbastanza incredibile, se ci pensate. In Danimarca, invece, il sistema educativo – sia a casa che a scuola – è votato alla formazione del bambino in ogni suo aspetto. Il che significa competenze sociali ed emozionali, capacità di collaborare, risultati scolastici, benessere. L’obiettivo è imparare a lavorare insieme sul noi e non sull’io. C’è un concetto molto importante nella cultura danese, quello del fællesskab, ovvero dell’imparare a stare bene con gli altri. È quella che io definisco pienezza del noi, un’idea intimamente collegata al raggiungimento della felicità, perché la qualità dei nostri legami sociali è la base del benessere. In tante culture però non è chiaro che si tratti di un’abilità che va insegnata e potenziata. Il senso di appartenenza è determinante nel farci sentire bene tanto che, quando sentiamo di non appartenere, si genera un malessere che attiva le stesse regioni celebrali del dolore fisico. In quanto umani, siamo creature sociali, ma raramente impariamo come fare parte del gruppo, mentre i danesi la considerano una delle cose più importanti da insegnare. Anche stare con la nostra famiglia in modalità noi e non io costituisce un importante terreno di apprendimento e un modello positivo per i bambini. Alcuni studi condotti in Danimarca dimostrano che quando la fællesskab (cioè l’unità) è alta, anche altri aspetti quali i risultati scolastici, i voti, il livello di felicità ottengono punteggi più elevati, e questo accade in qualsiasi ambiente, tanto a casa che sul posto di lavoro. Molto spesso le nostre carriere scolastiche si fondano su assunti quali ‘devo fare i compiti’, ‘devo studiare’, ‘devi superare il test’, ovvero su basi individuali, ma in realtà dovremo poi lavorare in squadra, pur essendoci poco allenati in materia di empatia e collaborazione. Puntando a quello che ci servirà in futuro – e a ciò che è stato dimostrato ci renderà più felici – se seguissimo anche solo un paio dei consigli dei danesi, a scuola o a casa, ne guadagneremmo moltissimo in termini di serenità”.

Ci può riassumere quali sono i principali suggerimenti per accompagnare i nostri figli verso la serenità?

“Coinvolgere di più i nostri figli nelle decisioni e nel loro processo di apprendimento. Dar loro più libertà di giocare e di sbagliare. Il gioco libero aiuta a potenziare molte abilità, tra cui per esempio la creatività, l’empatia, la negoziazione, l’autocontrollo e la resilienza. Lasciare che imparino dai loro errori, non aspirare alla perfezione. Renderci conto che l’empatia è una capacità che va insegnata. Abbracciarli otto volte al giorno. Provare a stare con loro in maniera hygge [sentirsi profondamente bene] piuttosto che far fare loro i compiti. In questo libro troverete molti semplici suggerimenti su come genitori e insegnanti possono fare la differenza e garantire il benessere dei più piccoli. L’importante è cominciare a parlarne e lavorare insieme per realizzare il cambiamento. I tempi stanno cambiando, questo è sicuro. Come possiamo cambiare anche noi per far sì che i nostri bambini e le nostre famiglie siano più felici? Parenti, nonni, educatori… l’unione fa la forza.

Dovremmo insegnare più fællesskab, la parola danese per unione, concentrarci meno sull’io e più sul noi, solo così credo che riusciremo a rendere il mondo un posto migliore”.

Silvana Mazzocchi La repubblica 8 ottobre 2018

www.repubblica.it/rubriche/passaparola/2018/10/08/news/metodo_danese_bambini_felici-208481397/?ref=RHRS-BH-I0-C6-P28-S1.6-T1

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PENSIONE DI RIVERSIBILITA

Assegno divorzile in un’unica soluzione? All’ex non spetta la reversibilità

Corte di Cassazione, Sezioni unite civili, Sentenza n. 22434, 24 settembre 2018

Ai fini del riconoscimento della pensione di reversibilità in favore del coniuge nei cui confronti è stato dichiarato lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, ai sensi dell’art. 9 della L. n. 898 del 1970 (Divorzio), nel testo modificato dall’art. 13 della L. n. 74 del 1987, la titolarità dell’assegno, di cui all’art. 5 della stessa L. n. 898, deve intendersi come titolarità attuale e concretamente fruibile dell’assegno divorzile, al momento della morte dell’ex coniuge, e non già come titolarità astratta del diritto all’assegno divorzile che è stato in precedenza soddisfatto con la corresponsione in un’unica soluzione.

www.altalex.com/documents/altalex/massimario/cassazione-civile/2018/22434/matrimonio-e-divorzio-divorzio-pensioni-previdenza-sociale 06/03/1987, n. 74

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SINODO DEI VESCOVI SUI GIOVANI

L’avvio dei lavori. Papa Francesco al Sinodo: ascoltiamo i giovani, senza pregiudizi

Si è aperto il Sinodo dei vescovi sul tema: “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”. Bergoglio invita tutti «a parlare con coraggio e parresia [franchezza], cioè integrando libertà, verità e carità». Papa Francesco ha aperto i lavori del Sinodo e ha ringraziato i giovani “per aver voluto scommettere che vale la pena di sentirsi parte della Chiesa o di entrare in dialogo con essa; vale la pena di avere la Chiesa come madre, come maestra, come casa, come famiglia, capace, nonostante le debolezze umane e le difficoltà, di brillare e trasmettere l’intramontabile messaggio di Cristo; vale la pena di aggrapparsi alla barca della Chiesa che, pur attraverso le tempeste impietose del mondo, continua ad offrire a tutti rifugio e ospitalità; vale la pena di metterci in ascolto gli uni degli altri; vale la pena di nuotare controcorrente e di legarsi ai valori alti: la famiglia, la fedeltà, l’amore, la fede, il sacrificio, il servizio, la vita eterna”.

Poi ha invitato “tutti a parlare con coraggio e parresia, cioè integrando libertà, verità e carità. Solo il dialogo può farci crescere. Una critica onesta e trasparente è costruttiva e aiuta, mentre non lo fanno le chiacchiere inutili, le dicerie, le illazioni oppure i pregiudizi”.

Di qui l’esortazione a mettersi in ascolto di ciò che suggerisce lo Spirito. “Il Sinodo – ha detto Bergoglio – è un esercizio ecclesiale di discernimento. Franchezza nel parlare e apertura nell’ascoltare sono fondamentali affinché il Sinodo sia un processo di discernimento. Il discernimento non è uno slogan pubblicitario, non è una tecnica organizzativa, e neppure una moda di questo pontificato, ma un atteggiamento interiore che si radica in un atto di fede. Il discernimento è il metodo e al tempo stesso l’obiettivo che ci proponiamo: esso si fonda sulla convinzione che Dio è all’opera nella storia del mondo, negli eventi della vita, nelle persone che incontro e che mi parlano. Per questo siamo chiamati a metterci in ascolto di ciò che lo Spirito ci suggerisce, con modalità e in direzioni spesso imprevedibili”.

E per facilitare questo ascolto il Papa ha disposto che “durante i lavori, in assemblea plenaria e nei gruppi, ogni 5 interventi si osservi un momento di silenzio, circa tre minuti”.

Tornando ai giovani, che sono al centro di questo Sinodo, Francesco ha osservato che la Chiesa è “in debito di ascolto” nei confronti dei giovani, e che “spesso dalla Chiesa si sentono non compresi nella loro originalità e quindi non accolti per quello che sono veramente, e talvolta persino respinti”.

“Questo Sinodo – ha sottolineato – ha l’opportunità, il compito e il dovere di essere segno della Chiesa che si mette davvero in ascolto, che si lascia interpellare dalle istanze di coloro che incontra, che non ha sempre una risposta preconfezionata già pronta. Una Chiesa che non ascolta si mostra chiusa alla novità, chiusa alle sorprese di Dio, e non potrà risultare credibile, in particolare per i giovani che inevitabilmente si allontaneranno anziché avvicinarsi”.

Innanzitutto – è l’invito del Papa – occorre uscire da “pregiudizi e stereotipi: i rapporti tra le generazioni sono un terreno in cui pregiudizi e stereotipi attecchiscono con una facilità proverbiale, tanto che spesso nemmeno ce ne rendiamo conto. I giovani sono tentati di considerare gli adulti sorpassati; gli adulti sono tentati di ritenere i giovani inesperti, di sapere come sono e soprattutto come dovrebbero essere e comportarsi. Tutto questo può costituire un forte ostacolo al dialogo e all’incontro tra le generazioni”.

Occorre, ha anche detto Bergoglio, “superare con decisione la piaga del clericalismo” che “nasce da una visione elitaria ed escludente della vocazione, che interpreta il ministero ricevuto come un potere da esercitare piuttosto che come un servizio gratuito e generoso da offrire”, sottolineando poi che “il clericalismo è una perversione ed è radice di tanti mali nella Chiesa: di essi dobbiamo chiedere umilmente perdono e soprattutto creare le condizioni perché non si ripetano”.

“Che il Sinodo risvegli i nostri cuori!”: è l’auspicio espresso da papa Francesco. “Il presente, anche quello della Chiesa – ha detto -, appare carico di fatiche, di problemi, di pesi. Ma la fede ci dice che esso è anche il kairos [momento giusto] in cui il Signore ci viene incontro per amarci e chiamarci alla pienezza della vita. Il futuro non è una minaccia da temere, ma è il tempo che il Signore ci promette perché possiamo fare esperienza della comunione con Lui, con i fratelli e con tutta la creazione. Abbiamo bisogno di ritrovare le ragioni della nostra speranza e soprattutto di trasmetterle ai giovani, che di speranza sono assetati”.

Il Papa ha infine invitato i Padri sinodali a non limitarsi a “far uscire da questo Sinodo non solo un documento, che generalmente viene letto da pochi e criticato da molti, ma soprattutto propositi pastorali concreti, in grado di realizzare il compito del Sinodo stesso, ossia quello di far germogliare sogni, suscitare profezie e visioni, far fiorire speranze, stimolare fiducia, fasciare ferite, intrecciare relazioni, risuscitare un’alba di speranza, imparare l’uno dall’altro, e creare un immaginario positivo che illumini le menti, riscaldi i cuori, ridoni forza alle mani, e ispiri ai giovani, a tutti i giovani, nessuno escluso, la visione di un futuro ricolmo della gioia del Vangelo”.

Redazione Internet Avvenire 3 ottobre 2018

www.avvenire.it/chiesa/pagine/preghiera-sinodo-dei-vescovi

 

Papa Francesco: date ai giovani risposte senza paura

La mentalità ostile all’accoglienza “si vince con un abbraccio” “Le risposte alle vostre domande le daranno i padri sinodali. Perché se io dessi le risposte qui, annullerei il Sinodo. La risposta deve venire da tutti: dalla nostra discussione. Soprattutto devono essere risposte fatte senza paura”. Così papa Francesco ha preso la parola nell’incontro con i giovani e i padri sinodali ‘Noi per. Uniti, solidali, creativi’che si era è aperto tra gli applausi e la commozione e che si inserisce nell’ambito della XV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi sul tema “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale” (3-28 ottobre 2018).

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2018/october/documents/papa-francesco_20181006_giovani-sinodo.html

Nel corso dell’incontro, animato dalle testimonianze di tantissimi giovani, Francesco è rimasto ad ascoltare per poi intervenire toccando alcuni temi a lui cari. “Oggi – ha affermato il Papa – sono un po’ alla moda i populisti, che non hanno niente da vedere con il popolo né con la cultura del popolo che si esprime nell’arte, nella cultura, nella scienza, nella festa che ogni popolo fa a suo modo”.

Proseguendo nel dialogo con i giovani radunati nell’Aula Paolo VI per dare il loro contributo al Sinodo che si svolge in Vaticano. “Il populismo è il contrario”, la tesi di Francesco: “È la chiusura su un modello, siamo chiusi, siamo noi soli e quando siamo chiusi non si può andare aventi”. Il riferimento è al tema dell’accoglienza, e al pericolo che oggi – come hanno detto i giovani in una delle domande consegnate al Papa al termine dell’incontro – “l’altro e lo straniero vengano visti come un pericolo, un male, un nemico da cacciare”. “Questa è la mentalità dello sfruttamento della gente, è fare schiavi i più deboli, è chiudere non solo le porte, ma chiudere le mani”, ha denunciato Francesco: una “mentalità sempre più diffusa” verso lo straniero, che “si vince con l’abbraccio, l’accoglienza, il dialogo, l’amore, che è una parola che apre tutte le porte”.

“Il potere è servizio, il vero potere è servire: l’altro è egoismo, l’altro è abbassare l’altro, l’altra persona, non lasciarla crescere, è dominare sugli schiavi. Il potere è per far crescere la gente, farsi servitori della gente” ha proseguito il Papa, a braccio, al termine dell’incontro con i giovani in Aula Paolo VI, citando le “diseguaglianze” e la domanda di un giovane sulla politica, ambito in cui spesso “si perde il senso del potere”. “Per favore, voi non avete prezzo, non siete merce all’asta”, la raccomandazione ai giovani: “Non lasciatevi comprare, non lasciatevi sedurre, non lasciatevi schiavizzare dalle colonizzazioni ideologiche che ci mettono nella testa per finire schiavo, dipendente, fallito nella vita”. “Io non sono all’asta, io sono libero, libera!”, la frase che ogni giovane è esortato a ripetere dal Papa: “Innamoratevi di questa libertà, che è quella che offre Gesù“. (…)

“Ognuno di voi vuol fare una strada della vita concreta, che porti dei frutti”, ha detto il Papa: “Parlate con i vecchi, con i nonni! Loro sono le radici della vostra concretezza, del vostro crescere, fiorire e dare frutto. L’albero da solo non darà frutto: tutto quello che l’albero ha di fiorito viene da ciò che è sotterrato”. “Attaccati alle radici”, la raccomandazione di Francesco: ‘Prendete le radici, portatele avanti per dare frutto e voi diventerete radici degli altri. Parlate con i nonni, con i vecchi, questo vi farà felici!'”. Dopo aver ricevuto in consegna dai 100 giovani, in rappresentanza dei cinque continenti, le domande da consegnare ai padri sinodali il Papa, salutandoli, ha firmato il gesso di uno di loro.

Redazione Internet Avvenire 6 ottobre 2018

www.avvenire.it/papa/pagine/incontro-dei-giovani-con-il-papa-ed-i-padri-sinodali

 

Al via. La Chiesa e la sfida dei giovani: tutto quello che c’è da sapere sul Sinodo

La presentazione dell’Assemblea dei vescovi (3-28 ottobre 2018): per la prima volta partecipano anche due presuli cinesi. 267 Padri, 23 esperti, 49 uditori tra cui 34 ragazzi. Questi ultimi, è stato precisato, potranno assistere ai lavori, intervenire – una volta – in Aula, e partecipare alle riunioni dei Circoli minori dove verranno elaborati gli emendamenti al documento finale. Non potranno votare perché il diritto di voto è riservato ai vescovi.

Il Sinodo dei vescovi sui giovani, che si apre mercoledì, vedrà la partecipazione anche di “due vescovi della Cina continentale”. Lo ha confermato ufficialmente il Segretario generale del Sinodo, il cardinale Lorenzo Baldisseri nel corso della conferenza stampa di presentazione dell’assise che si è tenuta stamani.

“Anche nel passato la Santa Sede ha invitato vescovi della Cina continentale ma mai erano potuti venire. In questo caso saranno presenti”, ha aggiunto il porporato, precisando che i presuli “sono invitati dal Papa. Questa è una conseguenza dell’accordo, non diretto, però il Papa ha deciso di invitarli e l’invito è stato accolto”.

I nomi dei due vescovi li ha fatti il “portavoce” vaticano Greg Burke, confermando quanto anticipato da fonti cinesi nei giorni scorsi. Si tratta di Giovanni Battista Yang Xiaoting, 54 anni, vescovo di Yan’an/Yulin, consacrato coadiutore nel 2010 con approvazione vaticana e riconoscimento del governo nel 2010 e succeduto per coadiutoria alla guida della diocesi nel 2016, e di Giuseppe Guo Jincai, 50 anni, consacrato illecitamente nel 2010 e legittimato da papa Francesco contestualmente alla firma dell’Accordo provvisorio tra Roma e Pechino sulla nomina dei vescovi del 22 settembre scorso.

Yang Xiaoting, che a marzo era già venuto nell’Urbe per un Convegno alla pontificia Università Gregoriana, è anche rettore del Seminario Nazionale di Pechino e vicepresidente della Conferenza episcopale non riconosciuta dalla Santa Sede, mentre Guo Jincai ne è il segretario generale. Entrambi, ha rivelato, Baldisseri, sono già in viaggio per raggiungere la Città Eterna.

Nel corso della conferenza stampa il cardinale Baldisseri ha ribadito che “il tema dei giovani è certamente oggi una ’sfida’, come del resto lo fu quello della famiglia”. E la Chiesa “non ha paura di affrontare le sfide, che sono sempre difficili e insidiose”. Non le teme perché “è sicura che la forza spirituale e umana le viene dallo Spirito Santo, che ispira e sostiene i suoi Pastori e il suo gregge, con a capo colui che ha ministero di confermare i fratelli”.

Sempre oggi è stato diffuso il testo dell’Istruzione sulla celebrazione delle Assemblee Sinodali e sull’attività della Segreteria Generale del Sinodo dei vescovi, preparata in applicazione delle novità introdotte dal Papa per le modalità di svolgimento del Sinodo dei vescovi, nella recente Costituzione apostolica Episcopalis Communio. Il vescovo Fabio Fabene, sottosegretario della Segreteria generale, ha spiegato che tra le principali novità introdotte dalla nuova normativa c’è l’ampliamento della stessa Segreteria generale, dovuto al fatto che il Consiglio ordinario sarà d’ora in poi costituito da ventuno vescovi, di cui sedici eletti dall’Assemblea generale ordinaria. “Tra questi ultimi – ha specificato Fabene – un vescovo proverrà dalle Chiese orientali cattoliche e gli altri quindici dalle Chiese di rito latino distinte su base geografica: due vescovi rappresenteranno l’America Settentrionale, tre l’America Latina, tre l’Europa, tre l’Africa, tre l’Asia e uno l’Oceania”.

In attuazione dell’Episcopalis communio (18 settembre 2018), “potranno essere eletti solo vescovi diocesani, nello spirito del Concilio Vaticano II, che chiedeva che, in aiuto al Papa, fosse costituito un organismo centrale permanente composto da Pastori responsabili di Chiese particolari”. “Accanto ai membri eletti – ha poi sottolineato reso Fabene – ci sarà il Capo del Dicastero della Curia Romana competente per il tema dell’Assemblea sinodale, una volta che questo sarà stato stabilito dal Santo Padre, e altri quattro membri di nomina pontificia”.

https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2018/09/18/0653/01389.html

L’Istruzione ribadisce il potere del Papa di “ratificare ed eventualmente promulgare il Documento finale quando, in casi determinati, abbia concesso al Sinodo potestà deliberativa”. Si sottolinea che i partecipanti al Sinodo “sono legati al segreto pontificio per quanto riguarda i pareri e il voto dei singoli”. E si ricorda che documento finale “è approvato dai due terzi dei Padri Sinodali presenti alla votazione”.

Alla conferenza stampa ha partecipato anche il cardinale Sergio da Rocha, arcivescovo di Brasilia, relatore generale del Sinodo, che ha denunciato come “nei nostri contesti ecclesiali è molto facile parlare dei giovani per sentito dire, facendo riferimento a stereotipi o modelli giovanili che magari non esistono più. In tal modo, anziché ascoltare e apprendere dalla realtà, idealizziamo e ideologizziamo i giovani”. Per il porporato, è importante “prendere consapevolezza dei punti di forza della presenza della Chiesa nel mondo giovanile, e delle sue debolezze, a partire dalla scarsa familiarità con la cultura digitale”. “Spesso si sentono voci che incolpano i giovani per essersi allontanati dalla Chiesa”, ha fatto notare da Rocha: “Ma molti di loro hanno vissuto situazioni che li portano ad affermare che è la Chiesa ad essersi allontanata dai giovani. E ce lo dicono apertamente. In molti casi non l’hanno sentita e non la sentono vicina e accogliente, specialmente nei momenti più faticosi del loro percorso di crescita umana”.

L’arcivescovo di Brasilia ha spiegato che nei prossimi giorni e per tutta la prima settimana di lavoro i padri sinodali affronteranno la prima parte dell’Instrumentum laboris, che è caratterizzata dal verbo “riconoscere”. “Ci metteremo di fronte alla realtà – ha precisato – non per un’analisi sociologica, ma con lo sguardo del discepolo, scrutando le orme e le tracce del passaggio del Signore con un atteggiamento aperto e accogliente. Per chi ha a cuore i giovani e desidera accompagnarli verso la vita in pienezza, è imprescindibile conoscere le realtà che essi vivono, a partire da quelle più dolorose come il disagio, la guerra, il carcere, le migrazioni e tutti gli altri tipi di emarginazione e di povertà”. “Ugualmente – ha concluso – sarà necessario che ci lasciamo interpellare dalle inquietudini dei giovani, anche quando mettono in questione le prassi della Chiesa o riguardano questioni complesse come l’affettività e la sessualità”.

https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2018/06/19/0458/00978.html

Rispondendo alle domande dei cronisti il cardinale Baldisseri ha osservato che “gli scandali ci sono nella Chiesa e in questo tempo colpiscono la mente e il cuore ma credo che i giovani siano aperti a capire la fragilità umana”. E ha rimarcato che il Sinodo sui giovani può invece essere “un’occasione per poter mostrare la Chiesa come tale. Noi non vediamo un ostacolo ma una opportunità da una riunione di questa portata per poterci fare conoscere”. La Chiesa infatti non può essere identificata in “alcuni che hanno fallito e hanno creato scandalo”.

Senza citarlo per nome, Baldisseri ha anche risposto ad alcune critiche che l’arcivescovo di Philadelphia Charles Chaput ha rivolto all’Instrumentum laboris. E’ “solo una voce”, ha replicato. “Vorrei dire che la persona in questione – ha aggiunto – è “un membro del Consiglio di segreteria, era presente nel momento in cui è stato presentato il testo-base, se aveva qualche obiezione poteva mostrarla”.

Nel corso della conferenza stampa è stato infine precisato che il servizio di diffusione delle notizie relative ai lavori del Sinodo sarà curato dal Dicastero per la Comunicazione, presieduto dal suo Prefetto, il laico Paolo Ruffini, che a sua volta sarà il presidente della Commissione sinodale per l’informazione.

Gianni Cardinale Avvenire 1 ottobre 2028

www.avvenire.it/chiesa/pagine/sinodo-giovani-presentazione-baldisseri

 

Castità, celibato, paternità: prosegue il dibattito al Sinodo sui giovani

Migranti, paternità e maternità, abusi sessuali, castità prematrimoniale, teoria del gender, le sfide dell’era digitale. Sono questi alcuni di temi affrontati nel corso della terza e quarta Congregazione generale del Sinodo sui giovani. L’elenco, molto ampio, delle questioni affrontate in aula giovedì pomeriggio e venerdì mattina è stato illustrato nel consueto briefing di metà giornata da Paolo Ruffini, prefetto del Dicastero vaticano per la comunicazione. Tra le parole maggiormente pronunciate ci sono «ascolto», «empatia» e «pietre scartate».

Nelle due sessioni, presente papa Francesco, si è continuato a riflettere sulla prima parte dell’Instrumentum laboris, e quindi sull’«ascoltare». Si è parlato di migrazione globale e dei tanti flussi che la caratterizzano, anche da Oriente a Occidente, e «del perché tanti giovani con laurea non riescono poi a vivere nei paesi di approdo la loro vocazione originaria, non riescono ad avere una famiglia, e altri disagi, che da un lato impoveriscono i paesi di provenienza, e dall’altra impediscono una vita serena e felice». Si è detto quindi, ha riferito Ruffini, che «la Chiesa dev’essere vicina anche ai giovani di seconda generazione, così come ai nuovi arrivati». Le nuove generazioni nel loro complesso, tra l’altro, vengono viste come più orientate a una «volontà di accoglienza dei profughi, anche se poi si trovano davanti a un problema più grande di loro». È spuntata poi la proposta di creare un apposito Pontificio Consiglio per i giovani.

Ruffini quindi ha informato che «il tema del sesso e della castità pre-matrimoniale, dell’astinenza prima delle nozze» è stato trattato da uno dei padri sinodali, che ha sottolineato come la posizione della Chiesa su questo aspetto pone «due rischi: da una parte rischia di far sposare le coppie prima del tempo di un’adeguata maturazione della loro volontà, dall’altra di provocare un allontanamento dal sacramento di chi non riesce a vivere la vita di coppia senza rapporti sessuali». Questo padre sinodale, ha precisato Ruffini, «ha voluto spiegare che “questa è un cosa alla quale ci troviamo di fronte”, insomma un tema da tener presente» e «ha detto che rispetto a questo divieto, ci sono ragazzi che “perdiamo per un po’”, alcuni ritornano, altri “li perdiamo per sempre”».

Al briefing hanno preso parte anche due padri sinodali (l’arcivescovo di Sydney Anthony Colin Fisher e il presule panamense Manuel Ochogavia Barahona) e la giovane uditrice malgascia Tahiry Malala MarionSophie Rakotoroalahy.Fisher, dopo averlo fatto in Aula, ha nuovamente e personalmente chiesto perdono per la vicenda degli abusi. «Noi avremmo dovuto assicurare che la Chiesa fosse il posto più sicuro per i bambini – ha detto il presule ai giornalisti – proviamo vergogna per quanto è successo». «Ci sono tanti giovani ed ex giovani, feriti», ha aggiunto, persone la cui fiducia è stata tradita: «la Chiesa deve parlare a loro e non di loro, come se fossero un fenomeno». Ochogavia ha illustrato il grande lavoro che in America Latina e nei Caraibi si sta facendo per la formazione giovanile. Mentre la giovane del Madagascar ha anche auspicato una maggiore attenzione alla liturgia – omelie comprese –, tale da essere più prossima ai giovani e capace di arginare il «fenomeno delle sette».

Oltre all’appuntamento del briefing, non sono mancati interventi a margine di altri padri sinodali. Il cardinale Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve e presidente della Cei, non ha escluso che il Papa «ci farà qualche sorpresa», «qualcosa di sicuro inventerà prima della conclusione del Sinodo». Mentre il cardinale Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco e presidente dell’episcopato tedesco, ha ribadito come il Sinodo «sia una buona opportunità» per parlare del tema degli abusi. «Ci sono stati diversi interventi in merito, il tema è presente in tutto il mondo – ha spiegato – noi dobbiamo concentrarci su due cose essenzialmente. Uno, la Chiesa deve mostrare di essere un posto sicuro per i bambini. Secondo, i giovani vogliono una Chiesa che sia una comunità aperta, trasparente e includente».

Marx ha partecipato alla conferenza stampa per l’inaugurazione di un nuovo master interdisciplinare sulla Salvaguardia dei minori della Pontificia Università Gregoriana. Nell’occasione il porporato tedesco ha ribadito che il celibato si può discutere, ma abolirlo non è la soluzione del problema degli abusi e che bisogna iniziare una discussione per verificare se il diritto canonico vigente sia ancora adeguato nel trattare la questione degli abusi e dei scandali finanziari nella Chiesa. Marx, che è membro del C9, ha confermato di ritenere che la Santa Sede «chiarirà» le questioni sollevate dal memoriale dell’ex nunzio negli Stati Uniti Carlo Maria Viganò.

Attraverso le reti sociali (Twitter, Facebook e Instagram) di Vatican News e della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi, saranno diffuse e condivise informazioni sull’andamento dei lavori sinodali. Ogni giorno poi Ruffini, insieme a padri Sinodali che si alterneranno di volta in volta, terrà un briefing di aggiornamento.

Gianni Cardinale Avvenire 1 ottobre 2018

www.avvenire.it/chiesa/pagine/sinodo-giornata-venerdi

 

La denuncia del cardinale Nzapalainga: «C’è chi tratta i migranti come bestie»

Il tema dei migranti è fortemente sentito nel Sinodo sui giovani. È quanto traspare dal briefing quotidiano che ha visto ieri come protagonisti, insieme al laico argentino Mariano Germán García, i cardinali Dieudonné Nzapalainga, arcivescovo di Bangui in Repubblica Centrafricana, e Giuseppe Versaldi, prefetto della Congregazione per l’educazione cattolica. «Le migrazioni – ha spiegato il porporato africano – non esistono da ora, già ai tempi di Abramo c’erano le migrazioni. Ma ora, per molti, alle spalle c’è una scelta di sopravvivenza. Nei nostri Paesi molti giovani si chiedono: se resto muoio, se parto muoio, cosa scelgo? Spesso si tratta anche di un salto nel nulla. Ma quelli che partono hanno sempre le loro ragioni: e la Chiesa deve accompagnarli, sono esseri umani, non bestie». «A volte – ha insistito Nzapalainga – essi vengono respinti come bestie. Oppure vengono accolti solo se servono a qualcosa, se portano dei vantaggi. No, sono esseri umani, e vanno trattati come tali. Questa è la questione che abbiamo portato al Sinodo e che speriamo venga affrontata».

«Il problema delle migrazioni è un problema complesso – ha osservato il cardinale Versaldi –. Ci sono anche distinzioni da fare tra il modo in cui la Chiesa affronta la questione e il modo in cui lo fanno gli Stati. La Chiesa ha un ruolo di annuncio del Vangelo, e il Vangelo su questo punto è chiaro: “ero straniero e mi avete accolto”. Per la Chiesa l’accoglienza è un valore irrinunciabile». «La testimonianza della Chiesa – ha proseguito il porporato piemontese – è evidente, è sotto gli occhi di tutti: i “porti chiusi” non sono della Chiesa, essa anzi ha aperto le sue porte».

Versaldi poi ha voluto sottolineare quanto testimoniato da un padre sinodale della Chiesa africana, secondo cui «la Chiesa europea e occidentale fa bene a sviluppare il discorso dell’accoglienza, ma in Africa la Chiesa è impegnata a far sì che i giovani non partano, magari finendo nelle mani dei trafficanti di esseri umani. C’è chi spinge i giovani a emigrare, in modo che a livello locale non ci siano più generazioni per nuove classi dirigenti, e si favorisca così un nuovo colonialismo.

Non è in contraddizione, quindi, l’idea di una Chiesa che accoglie e quella che aiuta invece a non emigrare». Questa testimonianza è stata raccolta nel Circolo minore di lingua italiana di cui fa parte anche il presidente della Cei, il cardinale Gualtiero Bassetti. E Versaldi ha riferito che l’arcivescovo di Perugia-Città della Pieve nel contesto di questa discussione sul tema dei migranti ha ricordato che nell’incontro su Mediterraneo fissato per il novembre 2019 a Bari si lavorerà «per un’azione comune, perché ci sia la libertà e non la costrizione» di emigrare, «altrimenti si inseriscono forze che ritornano a sfruttare l’Africa». «A molti giovani, in Africa – ha spiegato Versaldi – si infonde l’illusione che andando in Europa miglioreranno le loro condizioni di vita, che guadagneranno e manderanno i soldi alle famiglie, magari si “regala” loro anche il biglietto, ma poi, una volta nei Paesi di approdo, sono costretti a lavorare proprio per ripagare quel biglietto».

Gianni Cardinale Avvenire 6 ottobre 2018

www.avvenire.it/chiesa/pagine/sinodo-6-10-2018

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UNIONE CONSULTORI ITALIANI PREMATRIMONIALE E MATRIMONIALI

Convocazione assemblea ordinaria

È convocata l’Assemblea Ordinaria dell’UCIPEM ex art. 9 dello statuto presso la Sala Polifunzionale Gianna Donati in corso Diaz n. 111– Forlì in prima convocazione alle ore 8 e in seconda convocazione alle ore 11 di sabato 10 novembre 2018 con il seguente ordine del giorno:

  1. Ore 11 Relazioni di aggiornamento:

  1. I consultori UCIPEM e il Regolamento Europeo UE 2016/679 GDPR General Data Protection Regulation: Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (Privacy).

avv. Luisa Solero, membro del Consiglio Direttivo, RAG. Vanni Gibello, Revisore dei conti

  1. I consultori UCIPEM e la legge sul terzo settore.

avv. Emanuela Elmo, membro del Consiglio Direttivo.

  1. Ore 13,00 Colazione di lavoro con visita della nuova sede della Segreteria in corso Diaz 49.

  2. Ore 14,00 Approvazione del verbale dell’assemblea del 2017.

  3. Ore 14,15 Relazione del Presidente.

  4. Ore 15,00 Relazione del Collegio dei Revisori dei conti.

  5. Ore 15,30 Ammissione nuovi consultori:

  1. Termoli (Campobasso) Centro di aiuto alla famiglia “Amoris Lætitia”

  2. Napoli Spazio famiglia “Nina Moscati” APS

  3. Collegno (Torino)

7. Ore 15,45 Varie ed eventuali.

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