UCIPEM Unione Consultori Italiani Prematrimoniali e Matrimoniali
NewsUCIPEM n. 721 –30 settembre 2018
Unione Consultori Italiani Prematrimoniali E Matrimoniali
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“Notiziario Ucipem” unica rivista ufficiale – registrata Tribunale Milano n. 116 del 25.2.1984
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02 ADOZIONE Adozione internazionale e Pma: le disparità di trattamento.
03 Adozione in casi particolari.
05 AFFIDAMENTO FAMILIARE Certi affidi non hanno senso, nascono come sine die e così rimangono.
06 AFFIDO CONDIVISO Diritto di visita rigido per tutelare i figli.
07 ASSEGNO MANTENIMENTO FIGLI Se il marito non lo versa per le figlie ci pensa il datore di lavoro.
07 CENTRO INTERN. STUDI FAMIGLIA Newsletter CISF n. 30, 26 settembre 2018.
09 CHIESA CATTOLICA Bassetti: “I giovani sono sempre più spesso i nuovi poveri”.
10Mons.Stefano Russo nuovo segretario generale della Cei.
11Donne e ministeri nella chiesa: storia di un pregiudizio.
15Crisi della pedofilia: è urgente. Per sé e per tutti.
17Chiesa in Germania: presentato lo studio sugli abusi.
19Chiesa in macerie: di chi la colpa?
20 CONSULENZA COPPIA FAMIGLIA Assemblea CoLAP a Milano.
20Campagna di promozione dell’armonia nella coppia “Dall’io al noi”
21 CONSULT. ISPIRAZIONE CRISTIANA Torino Punto Familia. Percorso Costruire in due.
22 CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM Pescara.Mese dell’Affido ed Accoglienza.
22 DALLA NAVATA 26° Domenica – Anno B – 30 settembre 2018.
22 Ermes Ronchi. Se tutto il Vangelo sta in un bicchiere d’acqua.
23 DANNO Rilevanza delle ripercussioni sulla vita privata del danneggiato.
23 DIRITTO DI FAMIGLIA Associazioni contro Ddl Pillon via la petizione online.
23 Ddl Pillon: Lettera aperta ai parlamentari.
25 Aiga, su Ddl Pillon serve confronto.
25 Ddl Pillon: il parere delle associazioni.
27 Proposta di legge sull’affido condiviso (AICCeF).
27 DONNA e FAMIGLIA Perché una donna tradisce.
28 ENTI TERZO SETTORE Rapporti di lavoro, compensi e volontariato nel Codice CTS.
30 FAMIGLIA Diritto degli ascendenti non biologici di mantenere rapporti con i nipoti.
30 FECONDAZIONE ASSISTITA Embrioni congelati, la città dimenticata.
31 FERTILITÀ Salute riproduttiva, i primi risultati del progetto “Studio fertilità”.
34 FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI Il reddito di cittadinanza tenga conto dei carichi familiari.
34 FRANCESCO VESCOVO DI ROMA «Accompagnare le coppie nel cammino coniugale».
35 NULLITÀ DEL MATRIMONIO Nullità del matrimonio cattolico non impedisce il divorzio.
36 OMOADOZIONE Valida l’adozione di due donne. La «stepchild» per sentenza.
36 PARLAMENTO Progetti di legge in materia di affido condiviso.
38 PASTORALE Francesco: la pastorale si apra anche alle coppie di conviventi.
39 SINODO DEI VESCOVI SUI GIOVANI Il Sinodo per ascoltare in presa diretta i giovani.
40Baldisseri, l’attuazione di nuove strategie pastorali è via obbligata.
40 Accattoli: argomento importante a cui si dà poco rilievo.
40 Giovani, we care ! [vi abbiamo a cuore].
47 UTERO IN AFFITTO Femministe chiedono all’ONU il bando di questa pratica.
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ADOZIONI
Adozione internazionale e Procreazione medicalmente assistita: le disparità di trattamento
Con la nota sentenza n.162 del 9 aprile 2014 la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art.4, comma 3 della legge n.40 del 19 febbraio 2004 che vietava prestazioni relative alla procreazione medicalmente assistita (per brevità, appresso anche PMA) di tipo eterologo.
www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2014&numero=162
Il Giudice delle Leggi, nella suddetta decisione, ha, innanzitutto, “ribadito che la scelta di tale coppia di diventare genitori e di formare una famiglia che abbia anche dei figli costituisce espressione della fondamentale e generale libertà di autodeterminarsi (…) riconducibile agli artt. 2, 3 e 31 Cost. (…). Nondimeno, il progetto di formazione di una famiglia caratterizzata dalla presenza di figli, anche indipendentemente dal dato genetico, è favorevolmente considerata dall’ordinamento giuridico, in applicazione di principi costituzionali, come dimostra la regolamentazione dell’istituto dell’adozione. (…) La disciplina in esame incide, inoltre, sul diritto alla salute, che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, va inteso «nel significato, proprio dell’art. 32 Costituzione, comprensivo anche della salute psichica oltre che fisica» (sentenza n. 251 del 2008; analogamente, sentenze n. 113 del 2004; n. 253 del 2003) e «la cui tutela deve essere di grado pari a quello della salute fisica» (sentenza n. 167 del 1999)”.
La Corte Costituzionale, infine, dopo avere nuovamente accostato la fattispecie della PMA eterologa all’istituto dell’adozione, ha concluso affermando che:
• “la preclusione assoluta di accesso alla PMA di tipo eterologo introduce un evidente elemento di irrazionalità”;
• “Non rileva che le situazioni in comparazione non sono completamente assimilabili, sia perché ciò è ininfluente in relazione al canone di razionalità della norma, sia perché «il principio di cui all’art. 3 Cost. è violato non solo quando i trattamenti messi a confronto sono formalmente contraddittori in ragione dell’identità delle fattispecie, ma anche quando la differenza di trattamento è irrazionale secondo le regole del discorso pratico, in quanto le rispettive fattispecie, pur diverse, sono ragionevolmente analoghe» (sentenza n. 1009 del 1988)”;
• “Il divieto in esame (…) realizza, infatti, un ingiustificato, diverso trattamento delle coppie affette dalla più grave patologia, in base alla capacità economica delle stesse, che assurge intollerabilmente a requisito dell’esercizio di un diritto fondamentale, negato solo a quelle prive delle risorse finanziarie necessarie per potere fare ricorso a tale tecnica”.
Il ripetuto rinvio della Corte Costituzionale all’istituto dell’adozione non è privo di rilevanza, attesa la pari idoneità a perseguire il valore costituzionale tutelato dall’art.31 Costituzione (e dall’art.8 della CEDU ) e visto che la stessa legge n.40/2004, all’art.6, afferma espressamente che l’adozione e l’affidamento costituiscono “alternativa alla procreazione medicalmente assistita” (pur senza quella “invasività” del trattamento di “fecondazione” con “elevato stress psico-fisico”, denunciata dai ricorrenti menzionati dal Tribunale di Firenze nell’ordinanza di rimessione alla Consulta che ha dato luogo alla predetta decisione n.162). Dunque, se la PMA è cura per la coppia che soffre la mancanza di un figlio, non può non essere cura l’adozione (che difatti “deve” esser obbligatoriamente prospettata alla coppia che intende ricorrere alla PMA, come “alternativa” alla stessa).
Col D.P.C.M. del 12 gennaio 2017, pubblicato il 18 marzo 2017, le prestazioni concernenti la PMA (di tipo omologo ed eterologo) sono state incluse nei Livelli Essenziali di Assistenza (per brevità, appresso anche LEA) e, quindi, rese gratuitamente, con costi a carico della fiscalità generale, o a fronte del pagamento di una modesta quota di partecipazione (il c.d. ticket sanitario).
Tuttavia, tale gratuità non è stata estesa a coloro che ricorrono “a procedure di adozione o di affidamento ai sensi della legge 4 maggio 1983, n. 184, e successive modificazioni, come alternativa alla procreazione medicalmente assistita. ”.
La disparità di trattamento economico è evidente, atteso che coloro che scelgono l’adozione internazionale devono affrontare costi molto elevati (mediamente circa € 25.000,00), mentre la PMA omologa o eterologa è gratuita ovvero soggetta (per coloro che non ne siano esentati) al pagamento del solo ticket sanitario.
Dunque, la “alternativa” delle coppie che optano per le “procedure di adozione” internazionale è solo apparente, in quanto tale scelta è realizzabile esclusivamente “in base alla capacità economica delle stesse, che assurge intollerabilmente a requisito dell’esercizio di un diritto fondamentale, negato solo a quelle prive delle risorse finanziarie necessarie” (così la Consulta, nella sentenza sopra ricordata).
La irragionevolezza della discriminazione è paradossale se soltanto si considera il maggior numero e le caratteristiche delle persone beneficiate dalla “alternativa” dell’adozione internazionale. Infatti, mentre con la PMA si cura soltanto una coppia (il figlio difatti non esiste ancora, perché deve ancora essere concepito artificialmente), con l’adozione internazionale si curano (non solo due ma) almeno tre persone già esistenti e sofferenti: la coppia ed anche (e soprattutto) il minore straniero, abbandonato, che patisce già la mancanza di una famiglia che lo accolga (e nel “superiore interesse” del quale si deve procedere).
Inoltre, giova ricordare che, sempre più spesso, i bambini stranieri adottabili hanno bisogni speciali (special needs), a volte derivanti da patologie che si aggiungono allo stato di abbandono ed al loro desiderio di stare in una famiglia; in tali casi l’adozione internazionale è ancora più meritoria.
Recentemente il Ministro Fontana, titolare del Dicastero per la Famiglia e la Disabilità, è intervenuto sul tema, affermando che “più prima che poi, inoltre, occorrerà potenziare il sostegno economico per le coppie che hanno concluso un percorso adottivo, soprattutto di tipo internazionale o rivolto a minori con disabilità, al fine di aiutare concretamente quelle con i redditi più bassi e agevolando sulle deduzioni delle spese sostenute e mediante contributi finanziari adeguatamente calibrati, tenendo sempre sullo sfondo l’obiettivo finale della gratuità adottiva”.
La doverosa meta della gratuità è decisiva perché il fattore economico (oltre che l’eccessiva durata delle procedure) incide sicuramente sulla consistente flessione del numero delle adozioni internazionali nel nostro Paese; quindi è urgente dare un segnale chiaro a concreto per incoraggiare questa generosa espressione di genitorialità (l’unica forma di genitorialità che in Italia è sempre a pagamento), rimovendo le cause dell’ingiustificata discriminazione economica che penalizza coloro che intendono accedervi.
Invero, la coppia che intende adottare un minore straniero abbandonato non dovrebbe pagare nulla, se esente dal ticket sanitario, e comunque non dovrebbe sostenere costi di importo superiore a quest’ultimo tributo, esattamente come avviene per chi ricorre alla “alternativa” della PMA (con costi a carico del Servizio Sanitario Nazionale).
Il superamento della palese disparità di trattamento potrà oggi avvenire con maggiore flessibilità di spesa pubblica, atteso che, dopo la storica sentenza n.275 del 19 ottobre 2016 della Corte Costituzionale, le esigenze di pareggio di bilancio non possono esser anteposte ai diritti fondamentali come quello de quo, alla salute.
Francesco Bianchini Diritto.it 24 settembre 2018
www.diritto.it/adozione-internazionale-le-disparita-trattamento
[Legge 405, 29 luglio 1975. Istituzione dei consultori familiari
art. 1. § d-bis l’informazione e l’assistenza riguardo ai problemi della sterilità e della infertilità umana, nonché alle tecniche di procreazione medicalmente assistita;
§d-ter l’informazione sulle procedure per l’adozione e l’affidamento familiare.]
www.trovanorme.salute.gov.it/norme/dettaglioAtto?id=25554
Adozione in casi particolari
I. Quali sono le ipotesi di adozione di minori cosiddetta in casi particolari?
La legge 4 maggio 1983, n. 184 (Diritto del minore ad una famiglia), modificata dalla legge 28 marzo 2001, n. 149 (Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, recante «Disciplina dell’adozione e dell’affidamento dei minori», nonché al titolo VIII del libro primo del codice civile) e dalla legge 19 ottobre 2015, n. 173 (Modifiche alla legge 4 maggio 1983, n. 184, sul diritto alla continuità affettiva dei bambini e delle bambine in affido familiare) si occupa dell’affidamento e dell’adozione dei minori (per la quale ha competenza esclusiva il tribunale per i minorenni), disciplinando nella sua parte più corposa e significativa sia l’adozione piena – che consegue alla dichiarazione di adottabilità di un minore in condizione di abbandono – sia l’adozione internazionale, cioè l’adozione di minori stranieri effettuata all’estero da coppie italiane.
www.camera.it/_bicamerali/leg14/infanzia/leggi/legge184%20del%201983.htm
Alcune disposizioni della legge (dall’art. 44 all’art. 57) attribuiscono, poi, sempre al tribunale per i minorenni, la competenza a dichiarare l’adozione di minori in situazioni particolari il cui denominatore comune è costituito dal consolidamento di un legame affettivo già esistente tra il minore e una persona (o tra il minore e una coppia di persone) che, con l’adozione, acquisisce vere e proprie garanzie giuridiche.
Genitore – nella prospettiva di questo tipo di adozione – è soprattutto chi si prende cura del minore e lo accudisce in quanto legato a lui da una relazione affettiva stabile e duratura. Si parla a tale proposito di genitore sociale.
A differenza dell’adozione piena (che consegue alla dichiarazione di adottabilità) la particolare adozione prevista nell’art art. 44 della legge 184/83 non recide i legami del minore con la sua famiglia di origine (di cui il minore rimane figlio), ma offre allo stesso la possibilità di formalizzare anche, nell’ambito della famiglia in cui è inserito, i positivi rapporti affettivi instaurati con determinati soggetti che si stanno effettivamente occupando di lui e che diventano i suoi genitori adottivi.
La riforma sulla filiazione operata dalla legge 10 dicembre 2012, n. 219, come meglio si dirà più oltre, ha reso omogenea nell’ambito della nuova definizione di parentela (art. 74 c.c.) l’adozione piena all’adozione in casi particolari, unificando di fatto lo status di tutti i figli minori ivi compresi quelli adottivi.
www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2012/12/17/012G0242/sg
Le ipotesi di adozione in casi particolari sono quattro e sono tutte indicate nell’art. 44 della legge dove si prevede che i minori possono essere adottati anche se non vi è stata dichiarazione di adottabilità:
a) da persone unite al minore da vincolo di parentela fino al sesto grado o da preesistente rapporto stabile e duraturo, anche maturato nell’ambito di un prolungato periodo di affidamento, quando il minore sia orfano di padre e di madre;
b) dal coniuge nel caso in cui il minore sia figlio anche adottivo dell’altro coniuge;
c) quando il minore si trovi nelle condizioni indicate dall’articolo 3, comma 1, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, e sia orfano di padre e di madre;
d) quando vi sia la constatata impossibilità di affidamento preadottivo.
Come precisano gli ultimi due commi dell’art. 44, nei casi di cui alle lettere a), c), e d) sopra indicati, l’adozione – considerata la natura eccezionale di queste situazioni – è consentita, oltre che ai coniugi, anche a chi non è coniugato; inoltre se l’adottante è persona coniugata e non separata, l’adozione (del tutto ragionevolmente) può essere disposta solo a seguito di richiesta da parte di entrambi i coniugi. Esclusivamente nei casi di cui alle lettere a) e d) l’età dell’adottante deve superare di almeno diciotto anni quella di coloro che egli intende adottare.
Si tratta quindi di forme di adozione consentite, sostanzialmente, anche alle persone singole. Viceversa allo stato attuale della normativa vigente è da escludere che una persona singola possa procedere all’adozione piena di un minore (cosiddetta legittimante, con riguardo all’effetto parificato alla nascita nel corso del matrimonio) (Cass. civ. Sez. I, 14 febbraio 2011, n. 3572 che, comunque, non vede ostacoli all’introduzione di tale possibilità da parte del legislatore; Cass. civ. Sez. I, 21 luglio 1995, n. 7950; Trib. Minorenni Firenze, 4 febbraio 1995; App. Roma, 28 novembre 1994; Trib. Minorenni Roma, 24 marzo 1993).
È invece consentito il rilascio dell’idoneità all’adozione internazionale a persona singola nei casi particolari indicati dall’art. 44 della legge, compresa l’ipotesi di cui alla lett. d di “constatata impossibilità di affidamento preadottivo (Corte cost. 29 luglio 2005, n. 347; Cass. civ. Sez. I, 18 marzo 2006, n. 6078; Cass. civ. Sez. I, 8 novembre 1994, n. 9278; App. Roma, 12 gennaio 2006; Trib. Minorenni Bologna, 7 febbraio 2003; Trib. Minorenni Salerno, 19 luglio 2002; Trib. Minorenni Milano, 11 settembre 2001; Trib. Minorenni Genova, 14 ottobre 1995).
In tutti i procedimenti di adozione cosiddetta in casi particolari il tribunale per i minorenni deve verificare che l’adozione realizzi il preminente interesse del minore. L’art 57 della legge lo prevede espressamente affermando che “a tal fine il tribunale per i minorenni, sentiti i genitori dell’adottando, dispone l’esecuzione di adeguate indagini da effettuarsi, tramite i servizi locali e gli organi di pubblica sicurezza, sull’adottante, sul minore e sulla di lui famiglia. L’indagine dovrà riguardare in particolare: a) l’idoneità affettiva e la capacità di educare e istruire il minore, la situazione personale ed economica, la salute, l’ambiente familiare degli adottanti; b) i motivi per i quali l’adottante desidera adottare il minore; c) la personalità del minore; d) la possibilità di idonea convivenza, tenendo conto della personalità dell’adottante e del minore.
Questo principio generale è confermato dalla giurisprudenza che in tema di adozione in casi particolari, ritiene assolutamente necessario che il giudice accerti, caso per caso, quale sia in concreto e non astrattamente l’interesse del minore (Cass. civ. Sez. I, 10 maggio 2011, n. 10265; Cass. civ. Sez. I, 9 maggio 2002, n. 6633).
II. La prima ipotesi: il rapporto stabile e duraturo con il minore orfano di genitori
III. La seconda ipotesi: l’adozione da parte del coniuge del figlio minore dell’altro coniuge
IV. La terza ipotesi: l’adozione del minore con handicap
V. La quarta ipotesi: l’impossibilità di affidamento preadottivo
a) L’interpretazione restrittiva (l’impossibilità di fatto dell’affidamento preadottivo)
b) L’interpretazione estensiva (è sufficiente l’impossibilità giuridica di affidamento preadottivo)
VI. L’adozione del figlio minore del proprio partner omosessuale
VII. Lo status del figlio adottato con l’adozione in casi particolari
VIII. L’adozione mite
IX. Il procedimento
a) La procedura
b) Il necessario consenso del minore quattordicenne e l’audizione del minore di età inferiore
c) L’obbligo dell’assenso del genitore. Quando il dissenso è superabile?
d) La natura costitutiva della sentenza e suoi riflessi
X. Le conseguenze in tema di responsabilità genitoriale
XI. Il cognome del figlio adottato
XII. La revoca dell’adozione in casi particolari
XIII. Il senso e l’ampiezza del rinvio alle norme sull’adozione dei maggiorenni
I Quali sono le ipotesi di adozione di minori cosiddetta in casi particolari?
Segue nel Link
Gianfranco Dosi Studio Elena Jaccheri 26 settembre 2018
www.studiolegalejaccheri.it/2018/09/26/adozione-in-casi-particolari
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AFFIDAMENTO FAMILIARE
Certi Affidi non hanno senso, nascono come sine die e così rimangono
Sulla ‘piazza virtuale’ messa a disposizione degli utenti da Amici dei Bambini una discussione evidenzia le difficoltà diffuse nel nostro Paese nella gestione dell’affidamento familiare come (solo presunto) ‘parcheggio temporaneo’ del minore di una famiglia in difficoltà
Sul Forum di Ai.Bi. un botta e risposta su quelli sine die. L’affido familiare nel nostro Paese è notoriamente un provvedimento temporaneo, introdotto e deciso per aiutare il bambino di una famiglia ‘difficile’ a poter proseguire il proprio percorso di vita in modo sereno e il più possibile favorevole, con l’obiettivo auspicabile che la famiglia di origine possa nel frattempo risolvere i propri problemi e tornare nelle condizioni di poter riaccogliere in casa il minore.
Tuttavia, sempre più di frequente, le condizioni in cui le famiglie biologiche ‘costringono’ il Giudice a optare per questo provvedimento, contemplano di fatto un affido a lungo termine, cioè senza una concreta opportunità che in un futuro magari non troppo lontano il figlio possa rientrare nella propria casa di nascita, entro il compimento del diciottesimo anno. Che, tuttavia, non genera quasi mai un minimo di ‘stabilità’ nella scelta di nuova vita presa per tutelare il presente e il futuro del bambino.
Del tema, in particolare, hanno discusso, in un ‘botta e risposta’, alcuni membri del Forum di Ai.Bi., genitori affidatari che hanno messo il dito nella ‘piaga’ di questa incongruenza.
“I nostri giudici/legislatori faticano veramente a capire che per molti minori la famiglia biologica pur rappresentando le loro origini sia una fonte terribile di sofferenza. Ho letto una sentenza terribile neo giorni scorsi dove per arrivare a ciò che noi condividiamo il genitore biologico deve essere dichiarato ‘indegno’. Vorrei però mi interpretassero questo concetto. Se neanche ai mafiosi e camorristi si tolgono i figli, chi è un genitore indegno? Neanche un serial killer o un gerarca nazista per loro è indegno. E c’è tutto uno studio sui figli dei nazisti e la sofferenza di portarsi dietro la storia paterna”, sottolinea un utente.
“Mi dispiace dirlo ma loro meno stanno con la famiglia bio e più sono sereni e concentrati nella loro vita. Secondo me nei casi di impossibilità di recupero della famiglia bio, la disciplina dell’affido dovrebbe proprio prendere altre strade. Tenendo al centro l’interesse del minore prima che la continuità del legame di sangue, che ahimè si riduce solo a quello”, aggiunge un altro, parlando dei minori in affido.
“Proprio con una mia amica affidataria da otto anni ribadiamo il concetto, certi affidi non hanno senso nascono come sine die e così rimangono alla faccia del superiore interesse del minore”, chiarisce un’altra frequentatrice del Forum Ai.Bi.
Quanto al rapporto talora ‘difficile’ con i Servizi Sociali, uno degli astanti spiega: “È un argomento che non puoi toccare. Perché ti viene sempre ribadito che l’affido è un provvedimento temporaneo e che se i genitori bio cambiassero o venissero meno le ragioni dell’affido, lo scopo è il reintegro nella famiglia bio. Noi siamo un parcheggio temporaneo. Chi decide sono Giudice e Servizi sociali. Tu puoi far presente delle situazioni, chiamare e scrivere (verba volant, scripta manent) ma tutti gli attori recitano questa finzione. Sapendo benissimo che è un’ipocrisia. Qui si parla di persone che non si ricordano gli appuntamenti con i figli che vedono una volta al mese. Ma è loro diritto…
Mentre i bambini saltano allenamenti, scuola, impegni, si fanno 200 km ad andare e 200 a tornare, aspettano che arrivino i genitori che non vengono perché si sono dimenticati. Che diritto è? Quello di non fare il genitore? Io credo che essere genitori sia un diritto ma anche e soprattutto un dovere, e che prevalga il diritto di essere figlio su quello di essere genitore. Non puoi cavartela così. Tu se dimentichi di avere un figlio, qualunque sia il motivo, non ce l’hai più, perché non è mai stato tuo. Non sai come si addormenta, cosa mangia, cosa pensa, cosa ama fare, cosa odia, non conosci le sue paure e le sue passioni, la sua enorme fatica di vivere. Un bambino si culla, si imbocca, si cambia, si ninna, si sculaccia e si ama. Se non hai mai fatto questo con tuo figlio, non hai alcun diritto di essere genitore, perché prevale il diritto del bambino a vivere. A costruirsi una vita, una pace, un equilibrio che altri stanno combattendo per lui. Tu caro genitore bio, curati, ascoltati, risolvi i tuoi problemi e accontentati di sapere se sta bene. E se lui, il minore, decidesse di venirti a trovare, lo deciderà quando lui e soltanto lui ne sentirà l’esigenza. La realtà è invece che noi, oltretutto, ogni tre mesi facciamo gli incontri di verifica con Servizi e genitori bio. Ma per fare cosa? Per dirsi cosa? Per il protocollo”.
Una circostanza evidentemente diffusa, che meriterebbe ulteriori riflessioni e approfondimenti e, magari, qualche provvedimento per trovare una soluzione concreta, che riconduca davvero, anche nei casi citati dalla discussione in questione, all’interesse superiore del minore
News Ai. Bi. 26 settembre 2018
www.aibi.it/ita/affido-botta-e-risposta-sul-forum-ai-bi-certi-affidi-non-hanno-senso-nascono-come-sine-die-e-cosi-rimangono/
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AFFIDO CONDIVISO
Diritto di visita rigido per tutelare i figli
Corte di cassazione, Prima Sezione civile – ordinanza n. 22219, 12 settembre 2018
www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_31915_1.pdf
Per la Cassazione, se una coppia separata ha un rapporto conflittuale è giusto stabilire modalità e tempi rigidi di visita del padre, se si vuole tutelare la minore.
La Cassazione torna sul tema dell’affido, dimostrando una grande sensibilità nei confronti dei minori. Essa stabilisce infatti che, nel momento in cui una coppia separata presenta un rapporto altamente conflittuale, è corretto che il giudice di merito disponga tempi e modalità di visita rigidi, se serve a impedire che la bambina si debba difendere dai continui litigi dei genitori.
Nel 2012 il Tribunale di Roma dichiara la separazione personale tra due coniugi, rigetta la domanda di addebito alla moglie, dispone l’affidamento condiviso della figlia con collocamento presso la madre, assegnataria dell’abitazione familiare e stabilisce le modalità di visita del padre e la misura del contributo da questi dovuto per il mantenimento della minore.
La Corte d’Appello di Roma, adita dal marito, condivide le conclusioni del giudice di primo grado per quanto riguarda l’addebito della separazione, modifica quindi solo lievemente le modalità di frequentazione fra padre e figlia minore, rigettando le altre domande. Il soccombente in appello ricorre in Cassazione, lamentando tra i vari motivi del ricorso il fatto che “entrambi i giudici di merito avrebbero applicato il regime di affido condiviso come se fosse un affido esclusivo, prevedendo la possibilità per la minore di vedere il padre per un solo giorno a settimana e ledendo così il suo diritto a ricevere cure, educazione e istruzione con paritaria presenza di entrambi i genitori.”
Diritto di visita rigido se serve a difendere la minore dai conflitti dei genitori. L’adita Corte di legittimità, dimostrando di voler tutelare primariamente l’interesse della minore motiva così la sua decisione sul diritto di visita del padre: “La regola dell’affidamento condiviso dei figli ad entrambi i genitori, prevista in precedenza dall’art. 155 cod. civ. con riferimento alla separazione personale dei coniugi e ora dall’art. 337-ter cod. civ. per tutti i procedimenti indicati dall’art. 337-bis cod. civ., non esclude che il minore sia collocato presso uno dei genitori e che sia stabilito uno specifico regime di visita con l’altro genitore (Cass. n. 18131/2013). Attiene poi ai poteri del giudice di merito fornire una concreta regolazione del regime di visita secondo modalità che non sono sindacabili, nelle loro specifiche articolazioni, in sede di giudizio di legittimità, ove invece è possibile denunciare che il giudice di merito abbia provveduto a disciplinare le frequentazioni dei genitori dichiarando di ispirarsi a criteri diversi da quello fondamentale, previsto in passato dall’art. 155 c.c. e ora dall’art. 337-ter c.c., dell’esclusivo interesse morale e materiale dei figli. Nel caso di specie la corte territoriale ha inteso correttamente riportarsi a tali principi laddove, dopo aver registrato le buone condizioni della minore pur in presenza di una esasperata conflittualità tra i genitori, ha provveduto a stabilire in maniera rigida tempi e modalità di frequentazione fra il padre e la discendente per sedare il continuo contrasto esistente fra i genitori ed evitare che la bambina fosse costretta a difendersi dai loro conflitti”.
Annamaria Villafrate News Studio Cataldi 24 settembre 2018
www.studiocataldi.it/articoli/31915-affido-condiviso-si-a-diritto-di-visita-rigido-per-tutelare-i-figli.asp
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ASSEGNO DI MANTENIMENTO PER I FIGLI
Se il marito non versa il mantenimento per le figlie ci pensa il datore di lavoro
Tribunale di Roma, Ordinanza n. 21335, 22 agosto 2018.
www.studiofronzonidemattia.it/wp-content/uploads/2018/09/Tribunale-di-Roma-22.08.2018.pdf
Se il padre omette di versare il mantenimento mensile per le figlie può essere ordinato all’azienda di cui egli è dipendente di trattenere dalla busta paga la somma dovuta per l’assegno e versarla direttamente alla madre. Il Tribunale di Roma ha ovviato così alle “dimenticanze” del padre di versare mensilmente alla ex moglie l’assegno per il mantenimento delle due figlie, così come era stato stabilito in sede di separazione.
L’uomo, infatti, aveva dato la disponibilità in tale sede a versare il proprio contributo al mantenimento delle figlie, che erano state collocate presso la madre, tuttavia lo stesso si era reso sin da subito inadempiente all’obbligo assunto.
Il Tribunale, accogliendo la domanda della moglie, ha punito il padre “distratto”, ordinando direttamente al suo datore di lavoro di “corrispondere alla donna la somma di 700 euro mensili” da prelevare dalla sua busta paga.
Il Giudice ha, invece, rigettato la richiesta di ottenere il pagamento delle somme arretrate, trattandosi di un’istanza che sarebbe dovuta essere affrontata in una sede diversa rispetto a quella della volontaria giurisdizione.
Studio Fronzoni & De Mattia 21 settembre 2018
www.studiofronzonidemattia.it/marito-non-versa-mantenimento-le-figlie-ci-pensa-datore-lavoro
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CENTRO INTERNAZIONALE STUDI FAMIGLIA
Newsletter CISF – n. 30, 26 settembre 2018
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Un Halleluja speciale. La musica è di Handel, l’esecuzione…. Unica! Tre minuti imperdibili, perché vale sempre la pena di sorridere.
www.youtube.com/watch?v=ZCFCeJTEzNU&start_radio=1&list=RDZCFCeJTEzNU&t=0
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Usa. Cresce il numero di genitori che rimangono a casa con i bambini. (Stay-at-home moms and dads account for about one-in-five U.S. parents, 24 settembre 2018). Particolarmente interessante la notizia, riportata dal Pew Research Center, sulla base dei dati ufficiali del Census Bureau federale: “più di 11 milioni di genitori negli Stati Uniti (il 18% del totale) è rimasto a casa, senza avere un lavoro fuori casa. Un numero pari a quello dei genitori rimasti a casa nel 1989…. Nel 2016 si riscontra un lieve incremento dei padri, tra il 4 e il 7% sul totale dei padri, mentre la percentuale di madri è rimasta pressoché uguale: 27% nel 2016, 28% venticinque anni prima”. Molto interessante anche la dettagliata analisi delle variazioni nel tempo, dei motivi della permanenza a casa (“Per curare la casa e la famiglia” o “Per altri motivi”), delle differenziazioni per gruppi etnici.
www.pewresearch.org/fact-tank/2018/09/24/stay-at-home-moms-and-dads-account-for-about-one-in-five-u-s-parents
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Digitus lab- Milano (mind Milano – Milano innovation district – Cascina Triulza – Ex sito Expo Milano). Digitus Lab è il nuovo Centro internazionale di ricerca sulla robotica educativa e le tecnologie digitali creato a Milano da Stripes Cooperativa sociale OnluS [www.pedagogia.it/stripes]. Stripes Digitus Lab è nato nell’ambito di Human Factory, progetto di Fondazione Triulza che promuove la contaminazione e la collaborazione tra realtà del terzo settore e mondo della ricerca scientifica e tecnologica.Stripes Digitus LaB opera all’interno del Lab-Hub per l’Innovazione Sociale di Fondazione Triulza, ed è un centro dedicato al rapporto tra tecnologia ed educazione che ha come scopi: la ricerca, lo sviluppo e la sperimentazione di nuovi strumenti (hardware, software, metodologie) basati su nuove tecnologie sviluppate dal centro e/o già presenti sul mercato; lo sviluppo di competenze tecnologiche e specifiche nei “nativi digitali” attraverso modalità innovative, sperimentazioni e apprendimento diretto; Lo sviluppo e la disseminazione di conoscenza in ambito digitale e pedagogico. Il progetto si rivolge ai “nativi digitali” con particolare attenzione alla prima infanzia (0/6 anni), ai bambini in età scolare (6-10 anni) e ai preadolescenti (11-14 anni). Molte delle sue attività prevedono anche il coinvolgimento di studenti di scuole secondarie di secondo grado, di insegnanti, professionalità del settore educativo e genitori. Previsto un openday di lancio delle iniziative e degli spazi dedicati, il prossimo 13 ottobre 2018
www.pedagogia.it/digituslab/2018/09/18/openday-stripes-digituslab
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Rapporto CISF 2017. L’evento e l’esperienza qui ricordata rimandano direttamente al “Nuovo rapporto CISF 2017, Le relazioni familiari nell’era delle reti digitali”, che poneva le seguenti domande: “In che modo Internet, smartphone, tablet e tutti i device di uso quotidiano cambiano la vita delle famiglie e le relazioni tra i loro vari componenti? Quanto incide il divario tecnologico tra le generazioni? Come amarsi ed educare i figli nella nuova era cibernetica? Siamo a un passo dall’ibridazione delle famiglie, in un mondo in cui virtuale e reale fatalmente si sovrappongono? Sono le domande chiave del Rapporto Cisf 2017, che disegna una mappa innovativa per leggere la più importante rivoluzione antropologica in atto nel nostro Paese”
http://newsletter.sanpaolodigital.it/Cisf/attachments/convegno-bologna-22-05-2018-comunicato-stampa.pdf
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Università cattolica, Milano. Corso di Alta Formazione “Conduttore di gruppi di coppie e genitori. I Percorsi di Enrichment Familiare”, VII Edizione. Il corso partirà il 12 ottobre 2018 ed è strutturato in sette moduli formativi – ciascuno di due giornate, tra ottobre 2018 e aprile 2019. “Il corso offre ai partecipanti uno spazio di riflessione sulle proprie modalità operative già acquisite nel campo degli interventi con le famiglie e l’implementazione di una specifica professionalità in questo settore. I destinatari del corso sono professionisti operanti nell’area psicologica-medica (psicologi, psicoterapeuti, psichiatri, neuropsichiatri infantili, pediatri, medici di base, operatori di consultorio) e nell’area sociale-educativa-giuridica (assistenti sociali, educatori, pedagogisti, mediatori familiari, insegnanti, dirigenti scolastici, operatori di pastorale familiare e giovanile, avvocati e consulenti giuridici)”. Termine per le iscrizioni: 5 ottobre 2018
https://centridiateneo.unicatt.it/famiglia-Conduttore_di_gruppi_di_coppie_e_genitori_PEF_2018.pdf
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Offerta formativa per l’Anno Accademico 2018-2019 del Pontificio Istituto Teologico Giovanni Paolo II per le Scienze del Matrimonio e della Famiglia presso la Pontificia Università Lateranense. “Il nuovo Istituto costituirà, nell’ambito delle istituzioni pontificie, un centro accademico di riferimento, al servizio della missione della Chiesa universale, nel campo delle scienze che riguardano il matrimonio e la famiglia e riguardo ai temi connessi con la fondamentale alleanza dell’uomo e della donna per la cura della generazione e del creato.”(Papa Francesco, Motu proprio Summa familiae cura, 8 settembre 2017). Esso si propone di approfondire la conoscenza della verità sul Matrimonio e la Famiglia, alla luce della fede, con l’aiuto anche delle varie scienze umane, e di preparare sacerdoti, religiosi e laici a svolgere un servizio accademico e pastorale sempre più qualificato www.istitutogp2.it/public/Depliant%20Corsi.pdf
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Save the date
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nordBiennale della famiglia. L’adolescenza è una cosa… seria!, evento promosso per il 35.o anniversario del Consultorio famiglia Centro promozione famiglia, Sanremo, 6 ottobre 2018.
https://consultoriofamiliaresanremo.jimdo.com/biennale-della-famiglia-18
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Il piacere di insegnare. Incontri e percorsi per conoscere la realtà, Convention Scuola – X edizione, promosso da Diesse, Bologna, 20-21 ottobre 2018.
www.diesse.org/cm-files/2018/09/05/convention2018-programma-1.pdf
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centroEducare la genitorialità per educare al benessere: Il senso e il valore del parenting nei tempi che cambiano, evento promosso da Università LUMSA e Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Humanitas, Roma, 5 ottobre 2018.
www.lumsa.it/sites/default/files/link/SA-locandina_CONVEGNO_LUMSA_ott-2018_.pdf
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Settimana della famiglia 2018. Terza edizione, promossa da Forum delle associazioni familiari del Lazio e dal Centro per la Pastorale della Famiglia della Diocesi di Roma, Roma, 6-14 ottobre 2018.
www.settimanadellafamiglia.it/wp-content/uploads/2018/09/opuscolo.pdf
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sudAlguer Family Festival – Una Città per la Famiglia, a cura dell’Ufficio Politiche Familiari – UPF del Comune di Alghero. In collaborazione con Associazione Nazionale Famiglie Numerose, Comune di Alghero, Fondazione Meta, Provincia Autonoma di Trento, Generalitat de Catalunya, Parco di Porto Conte, Fondazione di Sardegna, Alghero, dal 30 settembre al 10 ottobre 2018.
www.algheroturismo.eu/event/alguer-family-fest
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estero Building a better Europe with children: All aboard!, (Costruire un Europa migliore con i bambini: tutti a bordo!), conferenza internazionale promossa da Eurochild, Opatija/Abbazia (Croazia), 29-31 ottobre 2018.
www.eurochild.org/events/eurochild-conference-2018/?utm_source=email&utm_campaign=August_eNews_Bulletin_Everything_you_need_to_know_about_the_EurochildConf&utm_medium=email
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CHIESA CATTOLICA
Bassetti: “I giovani sono sempre più spesso i nuovi poveri”
Consiglio permanente Cei
I giovani? “Sempre più spesso sono i nuovi poveri”. A lanciare il grido d’allarme è stato il card. Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, introducendo i lavori del Consiglio permanente. Collegialità, liturgia, preti stranieri, fede e cultura, lotta alla pedofilia e migranti tra gli altri temi all’attenzione dei vescovi.
“Organizzare l’agenda con il criterio di chi intende intensificare la natura collegiale della responsabilità che mi avete affidato”. Il card. Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve e presidente della Cei, ha aperto i lavori del Consiglio permanente dei vescovi italiani, in corso a Roma fino al 26 settembre2018, facendo eco al supplemento di collegialità per una Chiesa sempre più sinodale auspicato dal Papa nella recente Costituzione apostolica sul Sinodo dei vescovi.
http://w2.vatican.va/content/francesco/it/apost_constitutions/documents/papa-francesco_costituzione-ap_20180915_episcopalis-communio.html
Tra i temi all’ordine del giorno della “tre giorni” romana: lo “stato di salute” delle liturgie, il “punto” sulla presenza dei preti stranieri in Italia, la necessità di fare opera di “analisi” e di “sintesi” nel rapporto tra fede e cultura cogliendo l’occasione di Matera come capitale europea della cultura.
I giovani di oggi “sono i nuovi poveri”, ha detto Bassetti annunciando l’intenzione di dare nuova veste agli Orientamenti pastorali del decennio, senza però archiviare il decennio che sta per concludersi, dedicato all’educazione. Quella dei giovani italiani, ha fatto notare il presidente della Cei citando il Sinodo dei vescovi che si apre la settimana prossima, è una “povertà esistenziale” ma anche una “povertà sociale”, fatta di lavori sottopagati soprattutto al Sud. “Fare dei nostri ambienti dei luoghi sicuri”, l’antidoto a scandali come la pedofilia. Alla fine un appello alla politica: “Non strumentalizzare le paure” sui migranti.
“Riflettere e confrontarci sullo ‘stato di salute’ delle celebrazioni liturgiche nelle nostre Chiese particolari e sul singolare apporto che la liturgia offre all’evangelizzazione”. Così il card. Bassetti ha riassunto l’obiettivo primario della prossima Assemblea Cei di novembre, durante la quale verrà presentata la traduzione italiana della terza edizione del Messale Romano per la sua approvazione definitiva. All’ordine del giorno del Cep c’è anche l’impegno a “fare il punto sulla presenza e il servizio nelle nostre diocesi di presbiteri stranieri”.
La designazione di Matera a capitale europea della cultura è l’occasione, per i vescovi italiani, di confrontarsi in questi giorni sul rapporto tra fede e cultura. Tra gli adempimenti della “tre giorni” rientra anche l’approvazione del Messaggio per la Giornata per la Vita.
I giovani appaiono sempre più spesso i nuovi poveri”: “bambini orfani di genitori vivi” e “giovani disorientati e senza regole”, come li chiama il Papa nell’Amoris Lætitia. Nel lanciare l’allarme, il presidente della Cei ha definito quella giovanile una “povertà esistenziale”, ma anche “una povertà sociale, che li vede convivere a forza con una condizione lavorativa umiliante, che nel Sud del Paese raggiunge punte di preoccupazione allarmanti”. “Davvero nel nostro Paese i tempi sociali non sono al passo con quelli dei nostri giovani”, l’analisi del porporato, secondo il quale l’imminente Sinodo dei vescovi “sarà l’occasione per ribadire la volontà della Chiesa di ascoltare la voce delle nuove generazioni. Come Chiesa – ha assicurato – non solo non possiamo, non vogliamo e non dobbiamo abbandonare i giovani, ma intendiamo fare fino in fondo la nostra parte per aiutarli a divenire protagonisti della loro vita”.
Quanto all’azione di contrasto alla piaga della pedofilia, Bassetti ha ribadito “l’impegno rigoroso a fare dei nostri ambienti luoghi sicuri, dove non trovi cittadinanza alcuna forma di abuso”.
Durante i lavori del Cep, è in programma un aggiornamento sui lavori della Commissione per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili, costituita lo scorso anno in Cei per qualificare le Linee guida sul fronte della prevenzione e della formazione.
Sempre in tema di “alleanze educative”, per la Chiesa italiana “un posto privilegiato lo occupa la scuola”. In particolare il presidente della Cei ha sottoposto all’attenzione dei suoi confratelli una sentenza del Consiglio di Stato, “che riconosce come legittima la richiesta di modificare in qualsiasi momento dell’anno scolastico la scelta di avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica”.
“L’iniziativa che lo scorso mese ci ha visti sbloccare la situazione della Nave Diciotti ha rappresentato un momento importante, tanto nel rapporto con le Istituzioni governative quanto nella sinergia con cui ci siamo attivati per assicurare accoglienza ai profughi”.
È il bilancio del card. Bassetti sulle recenti emergenze in materia di migranti, in cui la Chiesa italiana ha svolto un ruolo di primo piano. “Come Pastori – le parole di Bassetti – riconosciamo di non possedere soluzioni a buon mercato, ma questo non ci impedisce di continuare a sentirci responsabili di fratelli la cui storia sofferta ci chiede senza mezzi termini di osare la solidarietà, la giustizia e la fratellanza”. Di qui l’appello al “mondo della politica, perché non ceda alla tentazione di strumentalizzare le paure o le oggettive difficoltà di alcuni gruppi e di servirsi di promesse illusorie per miopi interessi elettorali”, ha detto il card. Bassetti sulla scorta del Papa, annunciando la volontà di procedere alla costituzione di un Comitato “che dia contenuti e gambe a un’iniziativa di riflessione e spiritualità per la pace nel Mediterraneo”.
Al termine della sua introduzione, il presidente della Cei ha dichiarato aperto “un tempo di confronto fraterno”, a partire dalla “consultazione” del Consiglio permanente – come recita il regolamento – “in ordine alla proposta che la presidenza sottoporrà al Santo Padre per la nomina del nuovo segretario generale”. Bassetti, infine, ha rinnovato l’“apprezzamento” per l’“intelligenza” e lo “zelo” del segretario generale uscente, mons. Nunzio Galantino, nominato dal Papa il 26 giugno scorso presidente dell’Apsa.
M. Michela Nicolais Agenzia SIR 24 settembre 2018
www.agensir.it/chiesa/2018/09/24/bassetti-i-giovani-sono-sempre-piu-spesso-i-nuovi-poveri/
Mons. Stefano Russo nuovo segretario generale della Cei
È monsignor Stefano Russo, vescovo di Fabriano-Matelica, il nuovo segretario della Conferenza episcopale italiana (Cei). Papa Francesco lo ha nominato venerdì mattina. Russo subentra a monsignor Nunzio Galantino, nominato dal Pontefice presidente dell’APSA (Amministrazione del Patrimonio della Sede apostolica), l’organismo vaticano che ha competenze sulla gestione del patrimonio mobiliare e immobiliare della Santa Sede, e gran parte dei servizi amministrativi alla Curia.
«È una nomina che accogliamo con gioia e fiducia», commenta il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei. Nei giorni scorsi, «come Consiglio episcopale permanente, abbiamo espresso a monsignor Nunzio Galantino la nostra riconoscenza per quanto con intelligenza e zelo ha fatto negli anni del suo mandato. Ora, la decisione del Santo Padre è motivo di viva gratitudine: anche questa nomina è segno della prossimità e della cura con cui papa Francesco accompagna il cammino della nostra Chiesa». A Russo, «che ben conosce la segreteria generale, va la nostra vicinanza, la nostra preghiera e il nostro fraterno augurio».
(…) Il 18 marzo 2016 il Pontefice lo ha nominato Vescovo di Fabriano-Matelica e il 28 maggio successivo è stato ordinato. Attualmente è Vice Presidente della Conferenza episcopale marchigiana e presidente del comitato per la valutazione dei progetti di intervento a favore dei beni culturali ecclesiastici e dell’edilizia di culto.
A monsignor Russo sono arrivati gli auguri di buon lavoro dal presidente nazionale del Forum delle associazioni familiari, Gigi De Palo: «Rivolgo di cuore i miei più cari auguri a monsignor Stefano Russo per l’importante e impegnativo incarico che andrà a ricoprire in seno alla Conferenza Episcopale Italiana. Avendo già grande esperienza e particolare sensibilità nel campo dell’architettura e dell’arte, siamo fiduciosi che con lui non si esaurirà l’impegno e lo slancio a fare delle famiglie del nostro Paese un capolavoro».
Anche l’Azione Cattolica Italiana, in una nota, saluta con grande affetto e devozione filiale la nomina di monsignor Stefano Russo, vescovo di Fabriano-Matelica, a segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana, e rinnova, alla luce di quella speciale forma di ministerialità apostolica che da sempre lega l’associazione ai pastori, il proprio impegno di servizio alla crescita della comunità ecclesiale. Non possiamo», prosegue la nota, «non rivolgere, allo stesso tempo, un pensiero di profonda gratitudine a mons. Nunzio Galantino, oggi Presidente dell’Amministrazione del patrimonio della Sede Apostolica, che per intensi anni ha prestato il suo servizio alla Chiesa italiana come Segretario Generale della Cei, senza mai far mancare la sua paterna vicinanza all’associazione. A lui il grazie sincero e riconoscente della Presidenza nazionale e dell’associazione tutta, per l’impegno profuso in un tempo difficile e complesso della vita della nazione italiana e della Chiesa in Italia».
Antonio Sanfrancesco Famiglia cristiana 28 settembre 2018
www.famigliacristiana.it/articolo/il-papa-nomina-monsignor-stefano-russo-nuovo-segretario-generale-della-cei.aspx?utm_source=newsletter&utm_medium=newsletter+fc&utm_content=news&utm_campaign=fc1839
Donne e ministeri nella chiesa: storia di un pregiudizio
«Io propongo delle fantasie informi e insolute – scriveva il buon Montaigne – come fanno quelli che prospettano questioni dubbiose da dibattere nelle scuole: non per stabilire la verità, ma per cercarla».
Personalmente preferisco ricercare la verità che stabilirne una, per il semplice fatto che ritengo rischiosa una cultura stanziale (di coloro che si stabiliscono in uno spazio) rispetto a quella più tollerante dei nomadi (di quelli che cercano uno spazio), anche solo per avere la possibilità di un ripensamento. La ricerca dovrebbe spingerci a non smettere di esplorare, per far ritorno, alla fine di tutto il nostro andare, al punto di partenza conoscendolo per la prima volta (cf. T. S. Eliot).
Questo anche e soprattutto quando si discute sull’opportunità di ammettere la donna ai ministeri ordinati, la cui esclusione sembra poggiare su una serie di leggi ecclesiastiche, che rispecchiano nel loro insieme il pregiudizio che ha condizionato la vita delle donne dal Tardoantico ad oggi. Tale pregiudizio, pur avendo mutato pelle nei secoli, è passato dalla più antica, ma resistente, accusa di impurità cultuale, – che le ha viste escludere gradualmente dalla vita ministeriale della chiesa –, al rischio che gli uomini fossero obnubilati dalla libidine prendendo parta a celebrazioni nelle quali una donna avesse avuto un qualche ruolo attivo, e al più recente dibattito che insiste sul nesso ministero – genere, come se lo sviluppo di una certa dottrina sacramentale possa essere compresa facendo a meno dell’intreccio tra antropologie ed ecclesiologie, che si sono succedute nel tempo, e sviluppi magisteriali, quest’ultimi legati ai primi due fattori.
Vorrei dunque porre in questione i termini «opportunità», «donna» e «ministeri ordinati», per capire se affermando «l’opportunità di ammettere la donna ai ministeri ordinati», più che esprimere una possibilità in fase di discussione, sia invece un modo di riorganizzare vecchi pregiudizi.
1. Quando l’«opportunità» è invocata a salvaguardia di uno status quo. Parlando di «opportunità», vorrei ripercorrere un certo linguaggio ispirato a quella tradizione giuridica ottocentesca, che vede nella prudenza il rispetto per un certo equilibrio tra le parti assegnato loro da una serie di convenzioni sociali, che nell’insieme regolano la vita di una comunità, assegnando a ciascuno un compito e un posto nella gerarchia.
Se consideriamo che nel 1869 usciva a Firenze Dei Diritti delle Donnesecondo il Codice Civile del Regno d’Italia di Angiolo Burri, – lo stesso anno in cui veniva stampato The Subjection of Women di John Stuart Mill, che proponeva la parità dei sessi nel diritto di famiglia e il suffragio universale –, saremmo portati frettolosamente ad affermare un qualche progresso dei diritti della donna nella vita civile europea.
In realtà il Burri cercò di sottolineare come alcuni articoli contenuti nel Codice erano stati predisposti per mantenere «alta la condizione giuridica della donna maritata di fronte ai figli», una misura ritenuta del tutto insufficiente da Simonetta Soldani nel saggio sulla condizione della donna nel diritto postunitario, in L’Italia al Femminile. L’Unificazione (2011), in quanto, parafrasando Mill, quel tipo di diritto della famiglia manteneva in vita una certa schiavitù legale alla quale era sottoposta la donna.
Leggendo l’introduzione che Angiolo Burri premette agli articoli del Codice in difesa dei diritti delle donne, anche se respinge l’ormai obsoleta esclusione della donna dai diritti riconosciuti all’uomo per la condizione fisica, quella sua presunta debolezza codificata nella trattatistica bassomedievale, egli si domanda se sia davvero opportuno che la donna traduca in atto quanto invece gli è riconosciuto solo in potenza: «Il nostro diritto pubblico esclude le donne dall’esercizio dei diritti politici, non certamente per la disparità esteriore, e di fatto della forza muscolare, ma perché la natura ha assegnato ad esse un compito proprio, e diverso da quello degli uomini. E come non potrebbero declinare dall’ufficio e dalle cure della maternità, così non è loro dato, o per lo meno non gioverebbe al civile consorzio, che traducessero in atto l’esercizio indistinto di diritti, che in potenza possiedono come gli uomini».
Il retaggio che ancora sopravvive nella riflessione del Burri è quello medievale, avvallato anche dalla chiesa, che aveva relegato la donna all’interno delle relazioni familiari, dunque prima figlia, poi sposa e infine madre, disciplinandone le funzioni all’interno di questi ruoli (J. Gaudemet), quello che Burri chiama «l’ufficio e le cure della maternità». La trattatistica bassomedievale arrivò a compilare una lunga lista di motivi per cui la donna venne dichiarata inferiore o incapace di assolvere alcuni compiti nella società e per riflesso nella chiesa, rispetto alle presunte qualità dell’uomo (R. Chabanne).
Lo stesso Burri, nel tentativo di rivalutare le scelte operate nel Codice in difesa della donna, ricorda come nel passato, partendo dalla legislazione altomedievale a quella preunitaria, la sua condizione fosse di assoluta sudditanza: «Ma quale era la di lei condizione per le tradizioni, per gli usi, per le leggi, che vigevano nelle diverse province d’Italia prima della loro unificazione? Sotto una perpetua tutela per le antiche Leggi Romane – colpita d’incapacità assoluta, e ridotta a stato puramente passivo sotto le leggi dei Longobardi – colpita della stessa incapacità sotto le leggi statutarie».
Mi si potrebbe obiettare almeno in via teorica, e non a torto, che un ministero nella chiesa non rientra nella logica dei diritti, né tanto meno della parità tra i sessi, ma non posso far a meno di confrontare l’argomentazione usata dal Burri con la più antica osservazione portata da Tommaso d’Aquino contro l’ordinazione delle donne nel commento alle Sentenze di Pietro Lombardo: «quia mulier statum subiectionis habet» (In 4 Sent., Dist. 25, q. 2, a. 1, sol. 1).
Lo status subiectionis, chiamato in causa da Tommaso, si rifà ad una terminologia giuridica, che aveva alle spalle già un pregiudizio consolidato sulla condizione inferiore della donna rispetto all’uomo. Che tale stato di soggezione intaccasse l’eminenza di grado, ovvero la rilevanza della posizione occupata dall’ordinato nella chiesa, era un timore giustificato perché avrebbe impedito alla donna l’esercizio di quella precisa potestas, che riguardava sia il governo che la vita sacramentale della chiesa, attribuita al ministro ordinato.
Non è forse un caso che Mill nel 1869 intitoli il saggio sulla condizione della donna nel suo secolo The Subjection of Women, una condizione condivisa da stranieri e quanti altri non potevano accedere ai diritti di cittadinanza, – ricordiamo che Tommaso include tra coloro che non possono accedere all’ordinazione anche i soggetti a schiavitù –, messa fortemente in discussione delle rivoluzioni dell’epoca moderna fino alla guerra civile americana (1861-1865).
Ora se consideriamo bene il ricorso ai termini status, ovvero il posto occupato in una società in riferimento ai diritti riconosciuti, il gradus, ovvero il posto occupato all’interno di una precisa gerarchia ordinata alla vita sacramentale e al governo della Chiesa, e l’ordo, anche questo il posto occupato dai battezzati nella chiesa rispetto al proprio stato o funzione civile o ecclesiastica, ci rendiamo conto quanto possa essere problematica l’interpretazione di questi termini riferiti alla donna, e quanto possa essere fuorviante riproporla oggi per comprendere il ruolo della donna nella chiesa odierna (cf. A. Grillo su In 4 Sent., Dist. 25, q. 2, a. 1, sol. 1). Questo semplicemente perché ognuna delle condizioni è mutata nel tempo, come ad esempio l’imposizione del celibato agli ordinati dopo la prima metà del sec. XI, o l’uso di ricorrere nella chiesa latina ai viri probati sino al sec. XV. Mutando la società muta anche l’ecclesiologia, e la chiesa stessa ha dovuto rivedere le proprie consuetudini, come afferma nel sec. XI Adalberone di Laon: «cambiano i costumi degli uomini e cambia l’ordine [nella chiesa]». Il senso di quanto scrive il vescovo di Laon è proprio questo: ordine sociale e ordine all’interno della chiesa cambiano assieme, e cioè una determinata ecclesiologia guarda ai mutamenti di una società per rispondere alle nuove sfide, e per rappresentare quel determinato corpo sociale. Anche questa è tradizione della chiesa.
2. La «donna»: Il ricorso ad un sostantivo singolare femminile divenuto ambiguo. Per comprendere come anche le fonti della tradizione ecclesiastica vanno interpretate inserendole in un contesto di grande mobilità semantica, che fa di tre sinonimi, status, gradus, e ordo la traduzione sociale, ministeriale ed ecclesiologica di un battezzato rispetto ai diritti civili di cui gode, alla funzione e allo stato di vita – la più antica divisione in laici, monaci e chierici –, va compreso anche l’uso non sempre chiaro del sostantivo femminile «donna» nel linguaggio comune, perché anche da esso si intuiscono i diritti negati o acquisiti nel tempo, che gli conferiscono un determinato status, che ha un riflesso sull’ordo, il posto occupato nella chiesa, e di conseguenze sul gradus, il ruolo svolto nella vita ministeriale.
È infatti volutamente ambiguo il ricorso che faccio al sostantivo femminile singolare «donna», secondo quanto ancora ognuno di noi può leggere, in quello che considero uno tra i più autorevoli vocabolari online della lingua italiana, il Vocabolario Treccani: «“donna”: nella specie umana, l’individuo di sesso femminile, soprattutto dal momento in cui abbia raggiunto la maturità anatomica e quindi l’età adulta […]. b. Con significato più ristretto: la mia donna, mia moglie […]. c. Per antonomasia, nella famiglia, la donna, la persona di servizio […]. e. Con accezioni particolari: donna di mondo, che frequenta ambienti mondani e ne conosce gli usi, gli aspetti e i difetti, in passato, cortigiana». La cosa strana è leggere di seguito il sostantivo maschile singolare «uomo», ovviamente nel medesimo vocabolario online: «“uòmo”: 1.a. essere cosciente e responsabile dei proprî atti, capace di distaccarsi dal mondo organico oggettivandolo e servendosene per i proprî fini, e come tale soggetto di atti non immediatamente riducibili alle leggi che regolano il restante mondo fisico […]. b. Fraseologia più comune: l’origine dell’uomo; il primo uomo, il primo essere umano creato (Adamo, secondo la narrazione biblica)». Per leggere quanto si scrive della «donna» dobbiamo scorrere la voce «uòmo» sino al punto 2.a: «Essere umano di sesso maschile (in contrapposizione espressa o tacita a donna)».
Da ciò deduco che l’uomo è potenzialmente un essere votato all’alienazione, capace cioè di astrarsi dal mondo in cui vive, tanto da ignorare le leggi che ne regolano la vita, – l’uomo all’origine di quella eccessiva antropizzazione del mondo che lo mette a rischio –, e la donna è un individuo che ha raggiunto la sua maturità anatomica, in contrapposizione espressa o tacita all’uomo del punto 2.a.
Questa mia lettura parziale può essere il risultato di un’interpretazione ingenua delle definizioni date e di un mio pregiudizio, che ammetto di avere, soprattutto perché molti dei nostri dizionari e vocabolari risentono del clima culturale nel quale si è formato il redattore delle voci, spesso non oltre i primi decenni del secolo scorso. Ammetto che nella nostra cultura il sostantivo maschile singolare «uòmo», quasi sacralizzato, sia capace di riassumere in se l’avventura socio-antropologica dell’intera umanità, e che questo sia accettato nel suo complesso da tutti, ma che il «primo uomo, e cioè il primo essere umano creato» coincida con il solo Adamo, mi sembra un esempio di fraseologia comune abbastanza discutibile anche se forse vera per molti.
Eppure in questo uso esteso del sostantivo maschile «uòmo», al singolare come pure al plurale, vedo un problema, anche se potrei sbagliarmi, perché ogni esemplificazione deve necessariamente fare i conti con l’errore. Ma dopo aver ascoltato il monologo contro la violenza sulle donne recitato da Paola Cortellesi alla 62ª edizione dei David di Donatello, scritto da Stefano Bartezzaghi, mi chiedo quanto possa essere forviante il linguaggio che utilizziamo quando ci riferiamo alla donna e alla possibilità che possa accedere ai ministeri ordinati partendo dal presupposto del genere. Il monologo consiste in un elenco di stereotipi la cui origine è appunto l’alternanza tra genere maschile e femminile, il cui risultato è sempre offensivo quando il sostantivo da maschile viene volto al femminile. Mi sono allora chiesto se la differenza nel trattare questi due sostantivi, «donna» e «uomo», sia davvero così ingenua come spesso siamo portati a pensare, anche quando quest’ultimo in senso esteso indica l’intera umanità. I nostri rituali dopo tutto attingono abbondantemente a questa tradizione lessicale, tanto che tutti sono fratelli e ogni battezzato in età infantile è un bambino. Ma mi dicono che anche «bambino» è un’estensione del più generico «uomo», che non ha raggiunto l’età della ragione.
La storica Adriana Valerio, nei suoi preziosi e competenti studi sulla condizione delle donne nella storia occidentale, mette in rilevo quanto possa essere stato nocivo l’aver fatto derivare il termine mulier (donna) da mollitia (la debolezza), la prova etimologica, fornita da Isodoro di Siviglia, della naturale condizione di sudditanza occupata dalla donna nella società e nella chiesa. Risulta abbastanza semplice capire come tale etimologia abbia rafforzato l’idea dell’uomo-vir, immediatamente riconducibile ai termini forza e virtù.
Nel Basso Medioevo a molti sembrò che la donna difettasse tanto di forza quanto di virtù, così da annoverare tra i motivi della sua esclusione dall’ordine sacro la possibilità che, con la sua presenza attiva nella liturgia, avrebbe potuto alimentare la pulsione libidinosa del maschio (cf. S. Th. II-II, q. 177, a. 2). Potrei sbagliarmi, ma anche questo pregiudizio della donna che provoca l’uomo è duro a morire.
È comunque interessante vedere come l’accusa di impurità cultuale tardoantica si sia evoluta in una più generica debolezza spirituale della donna, sempre comunque tenendo conto dei dovuti distinguo, come le grandi figure di letterate, regine, o anche appartenenti all’emergente classe dei mercanti, alle quali venne riconosciuto, nel Medioevo, il diritto al lavoro, o religiose, beghine e abbadesse il cui carisma venne ampiamente riconosciuto dalla chiesa permettendone anche la predicazione agli uomini e al clero.
3. Ministero ordinato e impurità cultuale della donna: ovvero l’inizio di una chiesa clericale. Ma ciò che sembra solo una questione linguistica risultò invece centrale nella codificazione giuridica e teologica dell’esclusione della donna dai ministeri ordinati: dall’impurità cultuale all’accusa di essere una creatura viziosa, per la debolezza di spirito, che gli deriva da una manifesta debolezza del corpo.
Il processo che consolida la chiesa latina nel suo pregiudizio sulle donne inizia con la ricezione di una norma del concilio di Cartagine del 345 che imponeva l’astinenza sessuale ai vescovi, ai presbiteri e ai diaconi, adducendo come scusa l’impurità che deriva all’uomo dall’avere rapporti sessuali con una donna, la quale è risaputo essere «un animale mestruato», come più tardi, alla seconda metà del sec. XII, l’avrebbe definita il giurista Pocapaglia (Paucapalea). Di fatto questa norma avrà un peso notevole anche sulla concezione del rapporto sessuale all’interno del matrimonio cristiano. Tale pregiudizio risulta trasversale tra cultura giudaica e greco-romana costituendo di fatto un continuum culturale tra tradizioni religiose così distanti.
Mentre tracce di una presenza ministeriale femminile nella chiesa tra Tardo Antico e Alto Medioevale sono i decreti dei Concili locali di Orange (441) ed Epaon (517), che pongono in veto all’ordinazione diaconale della donna nella loro regione. Al sinodo diRouen (650) venne proibito ai sacerdoti di porgere il calice nelle mani delle donne o che queste li aiutassero nella distribuzione della comunione. Interessante è la proibizione del vescovo Teodoro di Canterbury (690), alle donne mestruate di visitare la chiesa o ricevere la santa comunione, in contrasto con quanto Gregorio Magno aveva consigliato al suo predecessore. Teodoro fa suo anche il precetto di proibire l’accesso a qualsiasi luogo sacro alla donna, che dopo il parto rimaneva impura per quaranta giorni. Sarà la chiesa carolingia a codificare poi con sempre maggiore precisione quanto la cultura dei Padri e poi i Sinodi della chiesa tardoantica avevano iniziato ad elaborare: l’esclusione della donna dal servizio all’altare per la debolezza e inferiorità del loro sesso, che metteva a rischio ogni cosa sacra conservata in chiesa incluso lo stesso ministero ordinato. A sostenere queste posizioni cercando di fondarle teologicamente attraverso quei passi della Scrittura, divenuti in seguito i luoghi comuni della discussione, c’è Teodulfo di Orléans (820), che vietò alle donne di entrare nel santuario, legando l’impurità cultuale ad un difetto della loro natura che gli impediva di fatto non solo di toccare i vasi sacri, almeno di non volerli contaminare, ma anche di essere escluse dai ministeri istituiti.
Fin qui le fonti sono conosciute. Si può dibattere sulla natura del diaconato femminile, anche se alcuni sinodi e molti provvedimenti lasciano ben poco di equivoco sulla comprensione di tale natura, ma non si può negare che le basi di tale esclusione siano oggi venute meno, per una serie di radicali mutamenti tanto nel ruolo della donna nella società moderna quanto nell’ecclesiologia post-conciliare.
Dobbiamo anche ammettere che né l’impurità cultuale né la presunta debolezza fisica e spirituale, causa prima di una certa tendenza del sesso femminile ad indulgere nei vizi e nell’indurre l’uomo nel vizio, siano più sostenibili, tantomeno quella serie di leggi ecclesiastiche che proibirono alla donna di accedere a qualsiasi ministero nella chiesa. Così, anche se tardi, il servizio all’altare non è più negato alla donna, né tantomeno quello di lettore, come tanti altri ministeri istituti, e questo senza arrecare danno alcuno ad una vaga idea di oggetto sacro o agli uomini.
Rimane aperta un’ultima questione che è quella del ministero ordinato. Non si può certamente addurre la scusa che il presbitero nella celebrazione agisce in persona Christi, perché se qui persona e Cristo vengono intesi nel senso di uomo, maschio, vir, forse, e non è questo il luogo, si dovrebbe ripercorrere la storia di questo particolare epiteto assunto dal Papato medievale e poi divenuto un modus agendi liturgico.
Un’ultima osservazione: i ministeri femminili riemergono nella chiesa latina con l’evangelismo medievale. Tutti conosciamo la vicenda delle donne di Metz, messe a tacere da Innocenzo III, che non solo predicavano in volgare e traducevano la Scrittura, ma confessavano anche i membri delle loro comunità, donne e uomini. Ovviamente si tratta di eresie condannate da Alessandro III, Lucio III e Innocenzo III. Ma che tipo di eresie? La teologia bassomedievale fatta eccezione per il nihilismo cristologico conosce soprattutto eresie ecclesiologiche. Questo sposta il problema del ministero da un ambito squisitamente disciplinare dogmatico ad uno ecclesiologico, più precisamente sulla forma ecclesiæ, che un certo movimento evangelico propose come correttivo alla chiesa uscita eccessivamente clericalizzata dalle riforme gregoriane. Una visione di chiesa che nasce dai laici, i quali ripensano la comunità cristiana, e i ministeri, sulla base delle proto-comunità del Libro degli Atti.
Mi sembra così di poter dir che il problema dell’ordinazione della donna sia decisivo anche per una svolta della forma ecclesiæ in chiave evangelica, aderente al popolo di Dio qual è veramente, o quale aspira ad essere davvero.
Claudio Ubaldo Cortoni, citato da Andrea Grillo Munera blog 26 settembre 2018
www.cittadellaeditrice.com/munera/donne-e-ministeri-nella-chiesa-storia-di-un-pregiudizio-c-u-cortoni/
Crisi della pedofilia: è urgente. Per sé e per tutti
Quello della pedofilia è un tema di portata generale e fondamentale per la Chiesa. E questo, oltre alla difficoltà nel darsi un metodo per affrontarlo, ha esposto l’istituzione ecclesiastica non solo a una (comprensibile) messa in discussione esterna, ma anche a una strumentalizzazione interna, ora mossa da interessi del tutto meschini, ora da disegni più raffinati ma che mirano a ridefinire equilibri di potere e mettere in questione il papa stesso
Quello della pedofilia è un tema di portata generale e fondamentale per la Chiesa. E questo, oltre alla difficoltà nel darsi un metodo per affrontarlo, ha esposto l’istituzione ecclesiastica non solo a una (comprensibile) messa in discussione esterna, ma anche a una strumentalizzazione interna, ora mossa da interessi del tutto meschini, ora da disegni più raffinati ma che mirano a ridefinire equilibri di potere e mettere in questione il papa stesso.
La pedofilia, gli abusi e le violenze sessuali praticati da ecclesiastici su giovani e giovanissimi sono progressivamente diventati un fatto dirompente per la Chiesa. All’interno e all’esterno. A tal punto da mettere in questione la credibilità dell’istituzione e la sua stessa autorità. La percezione del male è come cresciuta con la sua notizia, la sua evidenza con la sua consapevolezza.
È un tema di portata generale e fondamentale per la Chiesa. E questo, oltre alla difficoltà nel darsi un metodo per affrontarlo, ha esposto l’istituzione ecclesiastica non solo a una (comprensibile) messa in discussione esterna, ma anche a una strumentalizzazione interna, ora mossa da interessi del tutto meschini, ora da disegni più raffinati ma che mirano a ridefinire equilibri di potere e mettere in questione il papa stesso.
Lo spettacolo è quello di pezzi dell’istituzione che si sbranano vicendevolmente. Così si rischia di distrarsi dal problema centrale e di rendere comunque ogni tentativo di risposta ancora più difficile e, di fronte all’opinione pubblica, più ambiguo o insufficiente.
Non basta affermare che la pedofilia tocca anche altre confessioni, religioni e l’insieme delle società. La Chiesa deve affrontarla in sé, per sé e per tutti. Deve togliere ogni nuovo alibi a quelle culture che – sorte in seno alla stessa tradizione cristiana – non si limitano, come nello scontro della modernità, a un’opposizione per l’emancipazione dalle autorità sacrali, ma ricercano una progressiva estromissione del cristianesimo.
Per sé e per tutti, se vuole rimanere credibile nella denuncia storicamente necessaria dei nuovi idoli, dei nuovi miti che rendono nuda la vita. Verrebbe da dire, con san Paolo, «il mistero dell’iniquità è già in atto» (2Ts 2,7)! Nella Chiesa stessa. Perché questi fatti mostrano la presenza di una parte, seppur minoritaria, dell’istituzione che genera essa stessa il contrario della sua vocazione: una corruzione del cristianesimo.
Numerosi rapporti d’indagine e singoli scandali hanno fatto emergere in molti luoghi una situazione endemica in atto da tempo. L’istituzione ecclesiastica ha cominciato a occuparsene nel corso degli ultimi tre pontificati con crescente consapevolezza e fermezza, anche se con provvedimenti che si sono rivelati non sempre efficaci, anche a motivo di un’applicazione parziale e incoerente. È mancata sin qui una strategia generale, che tenesse assieme visione ecclesiale, riordino canonistico, denuncia di responsabilità, provvedimenti legali.
Il «comunicato» dell’ex nunzio mons. Viganò si è certamente rivelato più dettato dalla strumentalità che dal desiderio di «restituire la bellezza della santità al volto della sposa di Cristo, tremendamente sfigurato da tanti abominevoli delitti». Si è voluto innescare uno scontro di potere, mettendo nuovamente a rischio di una nuova crisi l’autorità della Chiesa.
Chiedendo le dimissioni di papa Francesco, di fatto Viganò – o chi per lui – pretende di pareggiare il vulnus delle dimissioni di papa Benedetto. E poiché la crisi ultima che ha spinto il suo predecessore al grave passo era quella causata anche dalla pedofilia – e Benedetto per far uscire la Chiesa dalla crisi di legittimità a cui stava andando incontro pensò che forse un nuovo papa avrebbe potuto portare nuova legittimazione –, per fare pressione sul successore usa il medesimo argomento, ma allargando lo scandalo.
Viganò ha aspettato la pubblicazione della Lettera al popolo di Dio di Francesco e ha dato ad alcuni giornali il suo scritto all’indomani dell’incontro tra il papa e le vittime irlandesi, quasi a volere annullare l’effetto sia della lettera, che individua il fulcro della pedofilia nel clericalismo, sia delle lacrime versate in quell’incontro.
Il papa ha ascoltato le vittime e i loro racconti e ha pianto con loro. È questo un segno importante, perché il pianto è la preghiera più profonda, l’ascolto più vero del lamento della vittima, la condivisione del suo dolore e la più grande richiesta di perdono a Dio. Francesco sottolinea in questo dramma delle vittime il dramma della Chiesa e riconosce il loro primato, che la Chiesa nel suo complesso non ha ancora recepito. Le vittime vanno messe al primo posto: si è profanato il loro corpo e il loro spirito. Sono la carne ferita di Cristo, non uno spiacevole incidente da sbrigare o da demandare a un avvocato.
Riforma alle radici. Non da ora su queste pagine abbiamo sostenuto che le violenze sessuali su minori costituiscono per la Chiesa non solo un problema morale ma il campanello d’allarme di una disfunzionalità a livello sistemico, segnatamente ecclesiologico. Per dirla con le parole di un sacerdote statunitense, Richard Sipe, mancato in agosto: «Benvenuti a Wittenberg!» [la città di Lutero]. Infatti, gli eventi hanno ampiamente dimostrato che più per l’incapacità di riconoscere il livello generale del problema che per l’umana debolezza o depravazione di singoli si sono ripetuti nel tempo i fallimenti nella protezione dei minori e nel trattamento delle denunce.
L’Australia è oggi sotto accusa, quando esistevano linee guida sin dal 1996; gli Stati Uniti hanno vissuto la grave crisi del 2002 e nonostante questo si è lasciato che il card. McCarrick, mentre patteggiava per violenze sessuali, avesse un ruolo di primo piano nella stesura della Carta di Dallas per la protezione dei minori. In Italia si tace. In altri paesi, come in Irlanda, si è intrapresa una lunga via di guarigione. Oggi per la Chiesa tutta è urgente una riforma che deve toccare più aspetti insieme.
Nel 2013 indicavamo nell’affrontare la pedofilia la terza riforma necessaria dell’agenda di papa Francesco, dopo la curia e le finanze vaticane. Alcuni passi sono stati intrapresi, ma il fatto di non averli portati del tutto a termine li rende oggi irrinunciabili e in qualche misura più radicali.
Clericalismo. Se occorre combattere l’abuso di potere e il clericalismo, come Francesco ha scritto, occorre smantellare l’immagine sacralizzata del sacerdozio ordinato, rileggendo, come indica anche la biblista Anne-Marie Pelletier, la Lettera agli Ebrei (7, 26) e la costituzione Lumen gentium, per sgomberare gli orpelli propri di una Chiesa piramidale più che «popolo di Dio». Occorre costruire comunità vigilanti e accoglienti, formate sia nella vita di fede sia nel riconoscimento di quei segnali d’allarme che consentono la prevenzione dei comportamenti devianti.
Occorre trasformare profondamente i seminari, spostando nelle comunità il luogo del discernimento dei candidati al sacerdozio, del loro cammino, dello sviluppo della loro affettività (matura) e della loro crescita. Nonostante gli inviti anche di recenti documenti (la nuova Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis e l’esortazione Amoris lætitia) la compresenza di figure maschili e femminili nella formazione dei futuri sacerdoti è cosa ancora troppo sporadica.
Uomini e donne. Occorre ripensare al ruolo del laicato che, all’interno del popolo di Dio, reso tale dal battesimo, è oggi in seconda fila o – all’opposto – funge da chierico di riserva. Se ne è parlato in questi ultimi tempi per i compiti e ministeri che non richiedono il sacramento dell’ordine (nemmeno il cardinalato…); come quelli negli organismi di supervisione – laddove esistono! – per il controllo dell’applicazione da parte dei vescovi delle normative sulla pedofilia e, da ultimo, per lo scarso ruolo delle donne.
Qui la Chiesa ha un problema specifico. Mentre la pedofilia chiama in causa la Chiesa e la società in generale allo stesso modo, sul ruolo della donna la prima paga un ritardo oggi inspiegabile, specie agli occhi delle nuove generazioni. La mera e massiccia immissione di donne nel governo della Chiesa non è una soluzione definitiva – anch’esse possono clericalizzarsi –, ma è un passo verso una concreta corresponsabilità battesimale nella diversità dei carismi e dei generi.
Se il dibattito sul sacerdozio femminile pare chiuso, ci si domanda come mai si sia ancora in attesa dell’esito del lavoro della Commissione pontificia sul diaconato delle donne.
Il corpo e la sessualità. Manca uno sguardo sul corpo e la sessualità che non sia né angelicato né moralista (qui il Sinodo sui giovani potrebbe dire la sua). E non ci si può voltare dall’altra parte di fronte all’immaturità psico-sessuale di tanti chierici, alla difficile gestione del celibato emersa dagli scandali, e a un’ancora acerba analisi circa l’omosessualità che di per sé non è causa di pedofilia. Non si tratta tanto dell’abolizione del celibato per il sacerdozio ordinato – frutto tuttavia di una norma modificabile –, quanto di un ripensamento che, evidentemente, non può essere effettuato solo da chi sceglie una vita celibe.
Il ruolo dei vescovi. Né indifferenza né omissione di fronte all’ingiustizia. Troppo spesso nelle cerchie clericali si è fatto prevalere il legame di solidarietà corporativa, ritenendo sufficiente applicare qualche canone. C’è da chiedersi se anche la norma canonica non debba tenere maggiormente conto della difesa e protezione delle vittime. Ne va della legittimità del diritto canonico stesso. Proprio perché il vescovo è padre, ha a cuore tutti i suoi figli, vittime, innanzitutto, e colpevoli. Ciò significa dare credito ai primi e agire con giustizia. Ciò significa che è necessario che, laddove vi siano reati, egli faccia in modo che vengano puniti e, così come farebbe con dolore un buon genitore, possa anche denunciare un sacerdote, in casi estremi e per il suo bene.
Occorre chiarire a chi deve rispondere il vescovo, facendo comprendere che la distinzione (non facile) tra prudenza e giustizia, tra presunzione d’innocenza e protezione dei minori non può portare all’insabbiamento. La via aperta generosamente da Francesco con il motu proprio Come una madre amorevole ha trovato ostacoli nell’attuale diritto canonico; questo non può però essere una scusante per rinunciare a individuare alternative.
https://w2.vatican.va/content/francesco/it/apost_letters/documents/papa-francesco_lettera-ap_20160604_come-una-madre-amorevole.html
La Chiesa ha nel ritorno al Vangelo in sé, nella sua grande tradizione culturale e spirituale, nei suoi testimoni autentici, nella grandissima maggioranza di un popolo che cammina al cospetto di Dio, la forza e le risorse per superare questo scandalo scoppiato nel suo cuore.
La perdita di potere, la rinuncia a considerarsi un’entità ontologica-giuridica al di sopra di tutti, il riconoscimento che essa è fatta di donne e di uomini, di comunità che condividono fragilità e possibilità di peccato apre alla consapevolezza della realtà drammatica della storia e alla confessione del peccato e al rinnovamento. Poiché Dio è al centro del dramma.
Il Regno Attualità, n. 16/2018, 15 settembre 2018, pag. 449
www.ilregno.it/attualita/2018/16/chiesa-cattolica-crisi-della-pedofilia-e-urgente-il-regno?www.ilregno.it?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=Att18-16
Chiesa in Germania: presentato lo studio sugli abusi
La ricerca è stata commissionata dagli stessi vescovi tedeschi e pone l’accento sull’abuso di potere e sul clericalismo. Il card. Marx: la Chiesa non difende se stessa, ma lavora per il bene di tutti: tutela dei bambini e giustizia per le vittime
“L’abuso sessuale è prima di tutto anche abuso di potere”: è quanto afferma uno studio indipendente commissionato dalla Conferenza episcopale tedesca a un’equipe delle università di Mannheim, Heidelberg e Giessen sul tema degli abusi sessuali su minori compiuti nella Chiesa cattolica in Germania dal 1946 al 2014. Alla ricerca, presentata in una conferenza stampa nell’ambito dell’assemblea episcopale tedesca in corso a Fulda, hanno partecipato le 27 Diocesi del Paese. In questa occasione hanno rilasciato dichiarazioni il presidente dei vescovi tedeschi, cardinale Reinhard Marx, e il commissario per le questioni sugli abusi sessuali nella Chiesa e per le questioni sulla protezione dei bambini e dei minori della Conferenza episcopale, mons. Stephan Ackermann, vescovo di Treviri.
Oltre 3mila vittime in 68 anni. Lo studio, durato quasi 4 anni, parla di 3.677 minori abusati in 68 anni da parte di sacerdoti, diaconi e membri di ordini religiosi. Il 62,8% delle vittime è di sesso maschile. Tre quarti delle vittime avevano un rapporto religioso o pastorale con gli accusati. Quando lo studio parla di abuso di potere collegandolo al clericalismo, intende “un sistema autoritario in cui il sacerdote può assumere un atteggiamento autoritario di dominanza nell’interazione con persone non consacrate, dato che la sua funzione e la sua consacrazione lo mettono in una situazione di superiorità”. Gli abusati lamentano da parte degli accusati e dell’istituzione Chiesa la mancanza di una credibile ammissione delle proprie colpe e del proprio pentimento. Lo studio registra pochissime sanzioni di natura ecclesiale contro gli accusati e la pratica del semplice trasferimento, con il rischio di ricadute.
L’attenzione della Chiesa al tema, modello per altre istituzioni. I ricercatori riconoscono progressi nel lavoro di prevenzione e questo – si sottolinea – può “servire da modello ad altre istituzioni”. Quindi elogiano i vescovi tedeschi per aver commissionato una tale ricerca che “potrebbe fungere da modello per il necessario, e finora trascurato, studio dell’abuso sessuale in altri contesti istituzionali”. Iniziative che possono essere considerate “come un segnale che la Chiesa cattolica si occupa del tema in modo autentico e continuativo e non solo in modo reattivo”.
La prevalenza di vittime di sesso maschile. Riguardo alla prevalenza di vittime di sesso maschile, i ricercatori affermano: “Non ci sono sufficienti spiegazioni secondo cui è dovuta ad un’unica causa la netta prevalenza di bambini e ragazzi di sesso maschile tra le vittime di abusi sessuali da parte di religiosi della Chiesa cattolica. Qui si può parlare di molti fattori. Uno di questi potrebbe essere la presenza di varie e più numerose possibilità di contatto dei religiosi con bambini e ragazzi di sesso maschile. Prima del Concilio Vaticano Secondo, ad esempio, al servizio di ministrante erano ammessi solo i maschi. Inoltre, in passato, i maschi accolti nei collegi e negli istituti cattolici erano più delle bambine e ragazze”.
Omosessualità e celibato. “Tutto questo però – proseguono i ricercatori – non può spiegare la chiara prevalenza di vittime di sesso maschile. In questo contesto si potrebbe perciò parlare anche di spiegazioni e atteggiamenti ambivalenti della morale sessuale cattolica nei confronti dell’omosessualità e sul significato del celibato. L’obbligo di una vita nel celibato potrebbe sembrare la soluzione dei propri problemi psichici a seminaristi inclini a negare le proprie tendenze omosessuali, dato che offre anche la prospettiva di una stretta convivenza esclusivamente con uomini, perlomeno in seminario. A questo riguardo specifiche strutture e regole della Chiesa cattolica potrebbero avere un elevato potenziale di attrazione per persone immature con tendenze omosessuali. Ma ufficialmente la Chiesa non ammette rapporti o pratiche omosessuali. C’è quindi il pericolo che queste tendenze debbano essere vissute ‘di nascosto’. La complessa interazione di immaturità sessuale, di possibili latenti tendenze omosessuali negate e respinte in un ambiente in parte anche manifestamente omofobo potrebbe essere un’altra spiegazione della prevalenza di vittime di sesso maschile nell’abuso subito da religiosi cattolici. Tuttavia – asseriscono i ricercatori – né l’omosessualità né il celibato sono di per sé cause dell’abuso sessuale su minori”.
Importanza della selezione e della formazione. Per quanto riguarda il celibato, tuttavia, lo studio consiglia di chiedersi in quale modo per alcuni gruppi di persone questa scelta “possa essere un fattore di rischio di abusi sessuali. Nella letteratura – si sottolinea – questa tematica è oggetto di controversia”. Per questi motivi, i ricercatori affermano che riveste “molta importanza la selezione, la formazione e una ininterrotta consulenza psicologica abbinata alla professione sacerdotale. Si deve perciò prestare maggiore attenzione agli aspetti della formazione dell’identità sessuale e ai particolari requisiti psichici del sacerdozio”.
Non minimizzare le situazioni di rischio. Quindi si osserva: “Il rischio dell’abuso sessuale su bambini dentro le strutture della Chiesa cattolica non è un fenomeno concluso. La problematica persiste ed esige azioni concrete al fine di evitare situazioni di rischio o di minimizzarle il più possibile. I risultati dell’indagine dimostrano chiaramente che l’abuso sessuale su minori da parte di sacerdoti della Chiesa cattolica non è dovuto al comportamento sbagliato di singoli ma che si deve rivolgere l’attenzione anche alle caratteristiche strutturali di rischio dentro la Chiesa cattolica, che favoriscono l’abuso sessuale su minori o rendono più difficile la sua prevenzione”.
Il card. Marx: per troppo tempo si è negato l’abuso. Il presidente della Conferenza episcopale tedesca, cardinale Reinhard Marx, da parte sua ha ribadito in modo fermo: “L’abuso sessuale è un crimine. Chi è colpevole deve essere punito. Troppo a lungo nella Chiesa si è negato l’abuso, si è girato lo sguardo e si è tenuto nascosto. Chiedo perdono per tutti i fallimenti e per tutto il dolore. Provo vergogna per la fiducia che è stata distrutta, per i crimini fatti a persone da parte di autorità della Chiesa e sento vergogna per i molti che guardano dall’altra parte, che non vogliono accettare quello che è successo e che non hanno pensato alle vittime. Questo vale anche per me. Non abbiamo saputo ascoltare le vittime. Questo non deve rimanere senza conseguenze! Le vittime hanno diritto alla giustizia”.
Assoluta priorità alle vittime e alla prevenzione.Dal 2010 – ha aggiunto – i vescovi tedeschi si sono impegnati nel dare “l’assoluta priorità ad un incondizionato orientamento alle vittime e di evitare altre vittime”. “Troppo a lungo – ha proseguito – abbiamo guardato altrove, per amore dell’istituzione e per difendere noi, vescovi e preti. Accettiamo strutture di potere e abbiamo spesso promosso un clericalismo che a sua volta ha favorito violenza e abuso. Abbiamo potuto onorare in parte nostri impegni del 2010, ma non abbiamo ancora finito: infatti, i risultati di questo studio mostrano con evidenza che dobbiamo andare avanti. Il confronto con la violenza sessuale nella Chiesa esige tuttora il nostro energico impegno” per affrontare “con determinazione un nuovo capitolo”: “non si tratta di salvare un’istituzione”, ma di lavorare per la “tutela dei bambini”, per “il bene delle persone coinvolte” e per ricreare “fiducia e credibilità”.
I vescovi tedeschi porteranno il tema degli abusi al Sinodo. Il porporato ha detto di aver già brevemente informato il Papa sui risultati dello studio e ha preannunciato che i vescovi tedeschi parleranno del tema dell’abuso sessuale nel Sinodo sui giovani che si svolgerà il prossimo ottobre.
Mons. Ackermann: serve maggiore coordinazione. Il commissario per le questioni sugli abusi sessuali nella Chiesa e per le questioni sulla protezione dei bambini e dei minori della Conferenza episcopale tedesca, mons. Stephan Ackermann, vescovo di Treviri, sottolinea che lo studio dà indicazioni chiare su quali strutture e quali dinamiche possono favorire gli abusi nella Chiesa: “Negli ultimi anni abbiamo adottato tutta una serie di misure contro la violenza sessuale nell’ambito della Chiesa. Ciò vale soprattutto per il settore della prevenzione grazie all’impegno delle persone incaricate alla prevenzione insieme alle loro molte collaboratrici e ai loro molti collaboratori. Ma relazione finale ci mostra che noi vescovi dobbiamo intervenire con maggiore coerenza e maggiore coordinazione reciproca e che tutte le misure di intervento e prevenzione sono inadeguate se non sono inserite in una cultura ecclesiastica e in strutture che contribuiscono a prevenire efficacemente l’abuso del potere”. Il vescovo di Treviri conclude: nella lotta contro l’abuso, “da soli, noi vescovi non potremo farcela. Abbiamo bisogno dell’aiuto critico e della solidarietà degli altri: della società, della politica, della scienza e in special modo anche dell’aiuto delle persone colpite”.
Sergio Centofanti – Città del Vaticano Vatican news 25 settembre 2018
www.vaticannews.va/it/chiesa/news/2018-09/chiesa-germania-abusi-sacerdoti-minori-studio.html
Chiesa in macerie: di chi la colpa?
Non è possibile passare il proprio tempo ed occupare il proprio spirito alla critica del Santo Padre e ancora meno passare il proprio tempo a divulgare come comari pettegolezzi a suo proposito o le sue cattive azioni presunte o reali che siano: comunque e con assoluta fermezza Crocevia non è il luogo telematico per questo tipo di stillicidio.
Avere come hobby questa passione non è cattolico, mentre noi di Crocevia pretendiamo esserlo: il padre Noé è chiaramente nudo ma non tocca a noi prenderlo in giro come ha fatto Cham, ma piuttosto agire coprendo di un velo pietoso la sua indecenza come Set e Japhet.
Tacere e non divulgare gli errori, le insufficienze, le superficialità di questo pontificato alquanto scadente dal sapore di decadenza finale del cattolicesimo storico almeno nei nostri paesi occidentali di antica cristianità, non vuol dire prenderne la difesa o giustificarlo: vuol solo dire che non è il nostro ruolo di dargli addosso ma che il nostro ruolo si situa ben altrove.
I paladini che pretendono prendere la difesa della Chiesa agendo contro Papa Francesco sono ridicoli, presuntuosi, non cattolici nella loro mens, e mancano completamente di esercizio reale delle tre virtù teologali e cioè sono senza fede nello Spirito Santo, senza carità per la Chiesa concreta e senza speranza a causa della loro cecità nel fondarsi sulle loro azioni umane e politicheggianti convinti come sono che possano avere un qualunque impatto altro che negativo. Quanto ai filo-bergogliani non ne parliamo nemmeno in quanto sono ciechi guidati da un guercio poco onesto, poco competente, poco coraggioso, confuso e ignorante.
Mi ritrovo in un certo qual senso con l’esplosione umorale di don Ariel S. Levi di Gualdo quando ce l’ha con quella frangia che pretende trovare cause storiche nel passato della storia della Chiesa e della teologia: non è la soluzione a problematiche antiche che ridarà i deficit di santità e di qualità magisteriale alla Chiesa di oggi. Andare a cercare soluzioni in scritti antichi che non furono, o solo parzialmente, accettati dalle istanze storiche precedenti che hanno governato la Chiesa non fa senso per capire il perché della situazione odierna e ancora meno utili per rimediarvi.
Il teorema di Talete si deduce direttamente dai postulate euclidei ed è vero anche se Talete non lo avesse mai dimostrato: il dire che è vero oggi non ha nessuna relazione, se non accidentale, con il fatto che Talete lo abbia dimostrato a suo tempo. La relazione di verità tra questo teorema ed i postulate euclidei non è dell’ordine degli accidenti temporali ma semplicemente dell’ordine logico, anzi ontologico in quanto questi postulati sono veri nel reale e non solamente nella testa di un geometra anche geniale. Un’affermazione che negasse il teorema di Talete sarebbe anche sempre falsa, e il fatto di risalire ai primi che accidentalmente avessero affermato tali negazioni in niente affetta il fatto che intrinsecamente siano sbagliate.
Andare a cercare le ragioni dello sfacelo attuale della Chiesa cattolica andando a ricercarne le cause storiche è altrettanto vano e risibile e, anche avendole accertate, in nulla ci darebbero la spiegazione del perché di tale corruzione e ancora meno del come combatterla.
Bisogna guardare al teorema di Talete e risalire ai postulati che ne permettono l’esistenza, non cercarne la bontà o la malvagità nella personalità o la storia individuale di Talete o di altri filosofi: bisogna guardare alla corruzione della Chiesa andando nel principio stesso della sua corruzione, e dando importanza solo accidentale alle teorie giuste o erronee che siano rahneriane, ratzingeriane, moderniste, tomiste. Non una di queste teorie corrompe o salva la Chiesa: la sorgente della corruzione e della Santità non risiede in esse né in papa Francesco o in tale o tal altro cardinale. E meno male.
Lo sguardo soprannaturale che dobbiamo avere sulla radice intrinseca della corruzione della Chiesa odierna comincia nel nostro proprio esame di coscienza e siamone assolutamente certi: la Chiesa del settembre 2018 è corrotta perché io sono corrotto e per nessun’altra causa. Se papa Francesco, cardinali, vescovi, sacerdoti e tanti laici sono l’espressione di corruzione e di peccato nella Chiesa, essi lo possono essere solo se io, ontologicamente, in analogia con i postulati euclidei, lo sono.
La conclusione diventa quindi speranzosa, piena di fede e riempita di amore: io so che sono stato riscattato una tantum dal Cristo Gesù e, quindi, so che Egli mi vuole santo e che me ne dà tutti i mezzi soprannaturali e naturali; so con assoluta certezza che posso salvare la Chiesa lasciandomi convertire dallo Spirito di Dio hic et nunc. È il nostro personale cammino verso la Santità, e solo quello, che potrà salvare la Chiesa, tutte le altre soluzioni sono alibi da scaricabarili e specchi alle allodole.
Alcuni diranno che l’insegnamento della Chiesa in questo momento storico è labile e porta confusione. A parte il fatto che l’insegnamento di questo papato non ha una gran portata accidentale intrinseca in quanto ha solo espresso giudizi su situazioni particolari (cf. La casistica francescana sui divorziati risposati, o la riduzione nel Catechismo dell’insegnamento generale della Chiesa sulla pena di morte alla sola considerazione di un punto storico e geografico preciso attuale e ipotetico) e su situazioni storiche specifiche (cf. la Laudato Siper di più dipendente dal pensiero politicamente corretto mondano dei tempi presenti e da teorie scientifiche: quindi chiaramente senza legame con la Rivelazione) definendosi in quanto tale, de facto, come insegnamento non universale e quindi, non obbligante moralmente chi si trova fuori, o si considera fuori, da tali circostanze e accidenti particolari; a parte questo fatto, dunque, l’impatto negativo reale sulle persone è in sola correlazione con la mia corruzione personale : se io fossi davvero santo nessuno cadrebbe in tale trappola demoniaca.
In conclusione, passiamo invece il nostro tempo su questa terra a tentare di convertirci, evitiamo le occasioni di tentazione che certi spazi telematici o amicizie nel modo reale ci propongono, facciamo di tutto per essere noi stessi Chiesa Santa, che insegna e applica a se stessi il Magistero inerrabile della Santa Chiesa cattolica, e che ben sappiamo quale sia in quanto noi stessi insegnati dallo Spirito Santo quando in unione sacramentale con il Corpo di Cristo e rifuggenti il peccato mortale ed il sacrilegio.
Peccavi nimis cogitatione, verbo, opere et omissiòne: mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa. Ideo precor vos, fratres, orare pro me ad Dominum Deum nostrum. In Pace
Simon de CyrèneCroce –Via Pellegrini nella verità 26 settembre 2018
Croce-via si pone sotto la protezione spirituale di San Tommaso d’Aquino e San Giovanni PaoloMagno
Magno https://pellegrininellaverita.com/2018/09/26/chiesa-in-macerie-di-chi-la-colpa
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CONSULENZA COPPIA FAMIGLIA
Assemblea CoLAP (Coordinamento Libere Associazioni Professionali) a Milano
All’evento organizzato dal CoLAP, che si svolge presso la Fiera Milano City il 25 ottobre 2018 prossimo, i professionisti associativi presentano proposte innovative per contribuire alla ripresa del Paese. Un dibattito per contribuire alla crescita delle professioni in Italia, per far scoprire nuovi ambiti occupazionali, per mettere al centro della politica il lavoro.
Partecipano liberi Professionisti, esperti di settore, lavoratori, giovani laureati, imprenditori, esponenti del mondo politico, assessori provinciali e referenti istituzionali. Evento ad ingresso gratuito e aperto a tutti, previa registrazione.
Alla successiva Assemblea del COLAP, a cui partecipano i rappresentanti di tutte le Associazioni professionali iscritte, la Presidente Roberto, impegnata nella preparazione dell’evento di Trevi, sarà rappresentata dalla Referente regionale Giulia Bordogna.
Comunicato AICCeF (Associazione Italiana Consulenti Coniugali e Familiari) 27 settembre 2018
www.aiccef.it/it/news/assemblea–colap-a-milano.html
Per saperne di sul programma e sull’iscrizione va a
www.colap.eu/documenti/schede/programma_expotraining_25_ottobre_2018.pdf
Al via l’undicesima campagna nazionale di promozione dell’armonia nella coppia “Dall’io al noi”
Annunciamo l’inizio della XI campagna nazionale di promozione dell’armonia di coppia “Dall’io al noi”. A partire da lunedì 1 ottobre 2018 e fino alla fine di novembre le coppie avranno la possibilità di conoscersi meglio e fare una sorta di “controllo” su quello che è il loro rapporto, beneficiando altresì di una consulenza psicologica gratuita.
Tale possibilità è rivolta a tre diversi livelli relazionali:
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Alle coppie che a scopo preventivo e senza evidenti problematiche vogliono migliorare il proprio rapporto;
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A coppie che sentono la necessità di ravvivare la propria relazione;
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A coloro che ormai vivono con il partner in maniera conflittuale e con marcati segnali di sofferenza.
Intendiamo porgere una mano a chi nutre il bisogno di superare gli ostacoli che nel corso del tempo sono sorti nella relazione. Per farlo, le persone dovranno compiere un percorso, con l’ausilio dei professionisti che hanno aderito alla nostra iniziativa (in totale gli psicologi volontari sono 314 e coprono tutte le province italiane). Il consiglio che sentiamo di dare è quello di chiedere aiuto prima che la situazione abbia assunto contorni irreparabili, altrimenti diventa davvero difficile intervenire.
Nel dettaglio, le fasi per inseguire la serenità e cambiare la propria mentalità, passando “Dall’io al noi”, consistono nella compilazione di un questionario on-line in maniera separata per entrambi i membri della coppia. Dopodiché, una volta raccolte le risposte derivanti da domande chiuse e aperte, le stesse diventeranno la base di partenza nel colloquio che si terrà nello studio di uno dei tanti psicologi aderenti – magari vicino a casa – il quale, a partire dai risultati emersi dal test, ascolterà le problematiche e orienterà la coppia verso possibili soluzioni.
Abbiamo realizzato un questionario, volto a valutare le risorse e al contempo le criticità presenti all’interno del rapporto. Il test restituisce, in pratica, la fotografia della coppia. Prende in esame sette diverse caratteristiche per ogni partner:
1) la comunicazione razionale,
2) la comunicazione emotiva,
3) la comunicazione fisica e sessualità,
4) la relazione sul fare, ossia il parametro che designa l’importanza di realizzare insieme qualcosa e dei progetti condivisi,
5) la relazione sull’essere in coppia, che indaga la dimensione dell’autonomia o della dipendenza presente nel rapporto da parte di ciascun membro,
6) in presenza di figli o anche in dolce attesa, si indaga sulla relazione instaurata con gli stessi,
7) la valutazione della relazione con le reciproche famiglie d’origine.
Chiunque volesse ritrovare l’armonia di coppia, adesso può farlo. L’invito è rivolto a tutti.
Per ulteriori informazioni consultare il sito web: www.aiutofamiglia.org
www.aiutofamiglia.org/campagna
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CONSULTORI FAMILIARI ISPIRAZIONE CRISTIANA
Torino Punto Familia. Percorso Costruire in due
Mercoledì 3 ottobre 2018 alle 21,00 presentazione del percorso “Costruire in due“, rivolto alle coppie che desiderano confrontarsi con una triplice prospettiva: il ‘per sempre’, la fedeltà, l’apertura alla vita.
Magari stanno ancora riflettendo su una scelta definitiva, magari si interrogano sul matrimonio cristiano o su quello civile.
Forse stanno ancora in famiglia, oppure vivono ciascuno per conto proprio, oppure convivono.
Questo percorso è per loro… ma anche, perché no?, per le coppie fresche di nozze che vogliono approfondire il senso del ‘sì’ pronunciato.
E’ una proposta alta: docenti professionisti, volontari di qualità, nessuna banalità, nessuno sconto sui contenuti rispetto al passato, anzi revisione degli argomenti e dei metodi per essere sempre aggiornati. Si punta anzitutto alla formazione umana perché solo su questa può innestarsi la libera scelta della proposta cristiana che continuiamo a fare nostra con franchezza e integrità. Il percorso “Costruire in due” continua ad offrire solidi contenuti di svariate materie: etica, Parola di Dio, psicologia di coppia, medicina e ginecologia, diritto, cucina e altro ancora.
Trentadue incontri, svolti con tecniche varie. E’ una proposta lieta. Lieta perché il clima è giovane, è sereno, è allegro. Il valore aggiunto dei nostri percorsi è nel bello del gruppo di coppie: stare insieme, crescere insieme, confrontarsi, proiettarsi insieme nel futuro.
Concorrenza esclusa: non ci vogliamo porre in concorrenza con i corsi organizzati in ambito ecclesiale: le coppie molto prossime alle nozze, che non possono o non vogliono dedicare un tempo troppo lungo alla preparazione al matrimonio, hanno oggi diverse proposte sia delle parrocchie che della diocesi, alcune brevissime, altre più strutturate, focalizzate sul sacramento e sulla proposta cristiana del matrimonio.
Noi ci poniamo come complementari o eventualmente integrativi a questi percorsi, anche in considerazione dei tempi spesso molto lunghi che le coppie di oggi percorrono prima della decisione.
“Costruire in due” si svolgerà da ottobre 2018 ad aprile 2019, una sera alla settimana più tre week-end e alcuni extra (cucina, convivialità). www.costruireindue.it
Mercoledì 24 ottobre alle 21,00 inizio del laboratorio separati. www.puntofamilia.it
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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM
Pescara.Mese dell’Affido ed Accoglienza
Torna l’iniziativa “Mese dell’Affido ed Accoglienza” promossa dall’amministrazione comunale di Pescara e che punta a far conoscere e sensibilizzare i cittadini verso questi due istituti sociali che prevedono la possibilità di affidare temporaneamente ad una coppia o ad un singolo un minore la cui famiglia è in difficoltà economica e che vive condizioni di disagio. A presentare l’iniziativa l’assessore Allegrino assieme ai rappresentati dell’equipe Affido e del Centro Servizi Famiglie del Comune.
Ci saranno Testimonianze, incontri, dibattiti, spettacoli teatrali e cineforum per accendere i riflettori su questo delicato argomento, con il primo evento in programma oggi sabato 29 settembre 2018 alle ore 16 al Parco D’Avalos, con la festa che vedrà la partecipazione dei nuclei familiari che sono già coinvolti in progetti di affido e affiancamento familiare.
“Sarà l’occasione per rivolgere loro un ringraziamento per aver aperto il cuore e la casa a bambini e ragazzi in difficoltà, evitando il ricorso a comunità educative o a case famiglia. Poi proseguiremo con incontri, convegni, proiezioni di film e spettacoli teatrali che si terranno in vari luoghi della città: in Comune, in piazza, nei consultori, in biblioteca, nei quartieri perché più saranno gli spazi destinati ad ospitare le nostre iniziative, più saranno le persone che avranno modo di ascoltare le testimonianze di chi ha già vissuto o sta vivendo l’esperienza dell’affido. E’ un percorso di crescita del valore dell’accoglienza indispensabile per diventare sempre più ‘comunità” (…)
Mercoledì 3 ottobre 2018 “Quando il vuoto si fa spazio che accoglie”
ore 18 – Chiesa della Visitazione di Maria, via Carlo Alberto dalla Chiesa. Testimonianza di una famiglia affidataria e dell’équipe Affido del Comune di Pescara nell’ambito della mostra “Abitare il vuoto”, organizzata dal consultorio familiare “UCIPEM” in collaborazione con l’Associazione di promozione sociale “KOILOS”.
Redazione Il Pescara 29 settembre 2018
www.ilpescara.it/attualita/mese-dell-affido-ed-accoglienza-tutte-le-iniziative-in-programma.html
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DALLA NAVATA
XXVI Domenica del Tempo ordinario- Anno B – 30 settembre 2018
Numeri 11. 29. Ma Mosè gli disse: «Sei tu geloso per me? Fossero tutti profeti nel popolo del Signore e volesse il Signore porre su di loro il suo spirito!».
Salmo 18. 08 La legge del Signore è perfetta, rinfranca l’anima; la testimonianza del Signore è stabile, rende saggio il semplice.
Giacomo 05. 06 Avete condannato e ucciso il giusto ed egli non vi ha opposto resistenza.
Marco 09. 39 Ma Gesù disse: «Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi.
Commento di Ermes Ronchi. Se tutto il Vangelo sta in un bicchiere d’acqua
Maestro, quell’uomo guariva e liberava, ma non era dei nostri, non era in regola, e noi glielo abbiamo impedito. Come se dicessero: i malati non sono un problema nostro, si arrangino, prima le regole. I miracoli, la salute, la libertà, il dolore dell’uomo possono attendere.
Non era, non sono dei nostri. Tutti lo ripetono: gli apostoli di allora, i partiti, le chiese, le nazioni, i sovranisti. Separano. Invece noi vogliamo seguire Gesù, l’uomo senza barriere, il cui progetto si riassume in una sola parola “comunione con tutto ciò che vive”: non glielo impedite, perché chi non è contro di noi è per noi. Chiunque aiuta il mondo a fiorire è dei nostri. Chiunque trasmette libertà è mio discepolo. Si può essere uomini che incarnano sogni di Vangelo senza essere cristiani, perché il regno di Dio è più vasto e più profondo di tutte le nostre istituzioni messe insieme.
È bello vedere che per Gesù, la prova ultima della bontà della fede sta nella sua capacità di trasmettere e custodire umanità, gioia, pienezza di vita. Questo ci pone tutti, serenamente e gioiosamente, accanto a tanti uomini e donne, diversamente credenti o non credenti, che però hanno a cuore la vita e si appassionano per essa, e sono capaci di fare miracoli per far nascere un sorriso sul volto di qualcuno. Stare accanto a loro, sognando la vita insieme (Evangelii gaudium).
Gesù invita i suoi a passare dalla contrapposizione ideologica alla proposta gioiosa, disarmata, fidente del Vangelo. A imparare a godere del bene del mondo, da chiunque sia fatto; a gustare le buone notizie, bellezza e giustizia, da dovunque vengano. A sentire come dato a noi il sorso di vita regalato a qualcuno: chiunque vi darà un bicchiere d’acqua non perderà la sua ricompensa. Chiunque, e non ci sono clausole, appartenenze, condizioni. La vera distinzione non è tra chi va in chiesa e chi non ci va, ma tra chi si ferma accanto all’uomo bastonato dai briganti, si china, versa olio e vino, e chi invece tira dritto.
Un bicchiere d’acqua, il quasi niente, una cosa così povera che tutti hanno in casa. Gesù, semplifica la vita: tutto il Vangelo in un bicchiere d’acqua. Di fronte all’invasività del male, Gesù, conforta: al male contrapponi il tuo bicchiere d’acqua; e poi fidati: il peggio non prevarrà.
Se il tuo occhio, se la tua mano ti scandalizzano, tagliali… metafore incisive per dire la serietà con cui si deve aver cura di non sbagliare la vita e per riproporre il sogno di un mondo dove le mani sanno solo donare e i piedi andare incontro al fratello, un mondo dove fioriscono occhi più luminosi del giorno, dove tutti sono dei nostri, tutti amici della vita, e, proprio per questo, tutti secondo il cuore di Dio.
qumran2.net/parolenuove/commenti.php?mostra_id=44046
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DANNO
Rilevanza delle ripercussioni sulla vita privata del danneggiato
Corte di Cassazione, terza Sezione Civile, Sentenza n. 13770, 31 maggio 2018
La lesione alla sfera sessuale va risarcita anche se il danneggiato non ha una stabile relazione affettiva. Il danno biologico (cioè la lesione della salute), quello morale (cioè la sofferenza interiore) e quello dinamico-relazionale (altrimenti definibile “esistenziale”, e consistente nel peggioramento delle condizioni di vita quotidiane nei suoi vari aspetti inclusi quelli che attengono alla sfera sessuale) costituiscono pregiudizi non patrimoniali ontologicamente diversi e tutti risarcibili. Il giudice di merito, in relazione ad una visione complessiva della persona e sulla base di prove anche presuntive, deve determinare il ristoro del pregiudizio subito senza incorrere in vuoti risarcitori, riferibili anche al mancato riconoscimento delle ripercussioni sulla vita privata, contrastanti con l’art. 32 Costituzione e con i principi affermati dagli artt.3 e 7 della Carta di Nizza recepita dal Trattato di Lisbona e dall’art.8 della CEDU.
La sfera sessuale non dee essere valutata solo nell’ottica della funzione procreativa, ma come un aspetto rilevante dell’espressione della personalità e tutelabile come componente del diritto alla salute.
[Nella fattispecie, i giudici d’appello non avevano ravvisato la risarcibilità del danno derivato al ricorrente dall’ipogonadismo seguito ad un incidente stradale, in ragione della mancata dimostrazione della sua concreta condizione affettivo-relazionale.]
Redazione Il Caso [Doc.5186] 26 settembre 2018 Sentenza
http://news.ilcaso.it/news_5186?https://news.ilcaso.it/?utm_source=newsletter&utm_campaign=solo%20news&utm_medium=email
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DIRITTO DI FAMIGLIA
Associazioni contro Ddl Pillon
Una cosa è certa, il Ddl Pillon fa discutere. E non solo la politica. Anche il mondo dell’avvocatura e le associazioni che si occupano di tematiche familiari come l’affido, il benessere dei bambini e la violenza tra le mura domestiche storcono il naso. Il disegno di legge infatti, a loro dire, introduce diverse forzature. Non è costringendo i genitori a percorsi di mediazione familiare (impossibile in contesti violenti) e spaccando a metà il tempo del bambino tra mamma e papà, che si risolvono i problemi. Sono molte le azioni da compiere prima. Come lavorare sulla cultura, per rendere i padri più consapevoli e responsabili del loro ruolo e consentire alle donne le medesime opportunità di carriera per sottrarle al potere economico dell’ex marito. Questo il pensiero che emerge da una buona parte del fronte di associazioni ed esperti di infanzia e adolescenza. Ma c’è anche chi concorda pienamente con le misure che il Ddl mira a introdurre. Intanto, dal mondo associazionistico è stata lanciata una petizione online e organizzata una mobilitazione generale a Roma il 10 novembre contro il Ddl.
Ddl Pillon: Lettera aperta ai parlamentari
Se veramente avete a cuore i minori, pensate bene a ciò che è in gioco.
Gentili parlamentari,
in relazione al DDL Pillon – all’esame della seconda Commissione Giustizia del Senato – in questa lettera aperta sottoponiamo alla Vostra attenzione alcune preoccupazioni e considerazioni sintetizzate sulla base di un obiettivo che, in caso di divorzio, occorre mantenere fermo: la cura della salute e della serenità dei minori. Conseguentemente qualsiasi ipotesi di modifica normativa non può non tenere in debito conto prioritariamente del loro diritto a vivere in un contesto connotato da effettivo benessere, in linea con un affido che non stravolga i loro ritmi, abitudini, frequentazioni, punti di riferimento, tempi e spostamenti. Nella consapevolezza della complessità e delicatezza che caratterizzano le relazioni nelle situazioni di separazioni, un attento legislatore dovrebbe evitare di avallare normativamente i comportamenti di quei genitori che, in nome di un assai discutibile concetto di bigenitorialità, considerano i propri figli alla stregua di pacchi. Meglio sarebbe, ragionevolmente, sollecitare la ricerca di soluzioni che possano coniugare adeguatamente le ipotesi di tempi e domicili paritari, soprattutto in riferimento alla scuola, alle amicizie (abitazione, vicinanza di nonni o altri familiari) supportando i genitori nella gestione quotidiana e nella conciliazione tra lavoro e vita. Riteniamo che un affidamento minorile egualitario non si misuri con l’orologio, né tantomeno con le inevitabili rigidità di un ‘piano genitoriale’.
La proposta sembra allontanarsi dalla realtà anche nell’imporre una mediazione familiare, laddove le condizioni di partenza non siano paritarie, con particolare riferimento ai tassi occupazionali ed ai livelli retributivi riguardanti le donne. Altro aspetto sottovalutato sono i contesti familiari violenti in cui è decisamente sbagliato prescrivere e imporre la mediazione e ‘piani genitoriali’ da concordare con figure esterne all’apparato giudiziario: si ignorano in questo modo esperienze acquisite e norme anche internazionali che tendono ad escludere qualsiasi forma di mediazione familiare.
Tra i possibili effetti negativi si individuano i criteri di ripartizione degli oneri economici e la corresponsione all’ex marito di un affitto della casa coniugale: facile prevedere uno sbilanciamento a sfavore delle madri disoccupate o precarie, costrette inevitabilmente a barcamenarsi in più lavori pur di riuscire a sostenere economicamente i vari oneri conseguenti. Il legislatore non può prescindere, infatti, dalle evidenze dei dati ufficiali: la maggiore disoccupazione femminile, il divario salariale e la carenza o assenza di servizi sociali territoriali.
Non si comprende inoltre perché si sottovaluti la capacità dei minori di stimare ciò che avviene tra le mura domestiche, anche le parole adoperate da un genitore per rivolgersi all’altro, per sminuirlo o sottometterlo. Bisogna normativamente considerare, valutare, fare emergere forme specifiche di violenza psicologica ed economica, agite anche in presenza di figli sempre più consapevoli al riguardo, spesso mai denunciate, ma alla base della volontà della donna di sottrarvisi attraverso la via dello scioglimento del vincolo matrimoniale. Diversamente vorrebbe dire che per anni si è lottato inutilmente affinché la violenza domestica uscisse dalla dimensione privata, siglata con incompatibilità caratteriali e dissidi di coppia, e si valutasse realmente per quella che era, ossia un problema a carattere pubblico. Con questo disegno di legge oggi si rischia di smarrire tutti i passi in avanti compiuti, nel nome di una parità acquisita solo formalmente.
Una riforma dell’affido familiare dovrebbe tenere conto della realtà ampia e variegata, di fenomeni spesso sottovalutati e sommersi, mentre tale disegno di legge rischia di fare perdere di vista alcuni importanti elementi che contraddistinguono la realtà dei divorzi e degli affidi. Il benessere e l’interesse dei figli minori non può essere avulso da una valutazione delle circostanze peculiari di ciascun caso, dall’analisi delle ragioni che abbiano portato all’avvio dell’iter di separazione, dalla considerazione che, secondo recenti indagini statistiche, la violenza compaia tra le prime cause di divorzio. Fondarsi sulla realtà diventa conseguentemente un imperativo categorico, se realmente si vuole stare dalla parte dei minori, perché la loro quotidianità è fatta di situazioni familiari multiformi sia per questioni economiche, culturali, sociali, sia per contesti di vita improntati alla violenza, di qualsiasi genere essa sia.
Si va invece nella direzione opposta semplificando con una monetizzazione paritaria il valore dell’accudimento materiale ed affettivo dei figli minori, e si rischia di produrre gravi danni nelle vite delle persone.
Per questo vi chiediamo di dedicare la giusta attenzione a ciò che è in gioco, a ciò che non può assolutamente venir sottovalutato. Siete chiamati/e ad onorare un dovere morale, prima ancora che istituzionale, e fidiamo che siate in grado di assolverlo a pieno. 19 settembre 2018.
Seguono le firme
www.noidonne.org/articoli/ddl-pillon-lettera-aperta-ai-parlamentari.php
Aiga, su Ddl Pillon serve confronto
Aiga rileva alcune criticità in merito al Ddl c.d. Pillon (Norme in materia di affido condiviso, mantenimento diretto e garanzia di bigenitorialità), ritenendo che l’approvazione del testo attuale “non condurrebbe alla sperata maggior tutela degli interessi della prole ma potrebbe, invece, portare al sorgere di nuove problematiche”. È quanto rende noto l’associazione dei giovani avvocati con un comunicato.
In particolare, AIGA ritiene che “le tempistiche paritarie, già utopistiche in termini assoluti, siano di dubbia realizzazione pratica e portino al rischio di avere, quale unico effetto concreto, un intollerabile ‘sballottamento’ dei figli”.
Quanto al mantenimento diretto poi, i giovani avvocati ritengono “assai iniquo che, nel caso di redditi sostanzialmente differenti tra i coniugi, non sia prevista una corresponsione perequativa a tutela del più debole, così come oggi avviene, ad esempio, per le spese straordinarie ripartite in percentuali diverse”.
Inoltre, “imporre una mediazione obbligatoria, addirittura come condizione di procedibilità, non porterà alcun beneficio né alle parti coinvolte (che, anzi, si vedranno costrette ad affrontare ulteriori spese), né alla finalità deflattiva del contenzioso (già quotidianamente, i legali si impegnano in maniera profusa per consensualizzare le crisi familiari)”.
https://www.studiocataldi.it/articoli/31907-divorzio-e-affido-condiviso-aiga-su-ddl-pillon-serve-confronto.asp
Per queste ragioni, l’Aiga chiede un incontro con il senatore Pillon, per “approfondire le tematiche alla base dell’intervento legislativo al fine di proporre eventuali correttivi che possano rendere la normativa davvero risolutiva degli attuali problemi esistenti in materia”.
Redazione Studio Cataldi 21 settembre 2018
Ddl Pillon: il parere delle associazioni
www.senato.it/japp/bgt/showdoc/18/DDLPRES/0/1071882/index.html
Ecco opinioni e dubbi di alcune delle più importanti associazioni italiane sulla riforma Pillon. Il disegno di legge n. 735, si ricorda, si pone l’obiettivo di garantire la bigenitorialità:
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Dividendo equamente il tempo del bambino tra i due genitori,
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Disponendo la sostituzione dell’assegno con il mantenimento diretto
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Contrastando il fenomeno dell’alienazione parentale.
Il progetto di riforma però non convince. Del resto, come evidenziano molte associazioni che studiano da tempo i rapporti genitori e figli nelle fasi patologiche del rapporto di coppia, anche la riforma del 2006, che ha introdotto il concetto di bigenitorialità, di fatto, non ha sortito gli effetti sperati. Le ragioni? Soprattutto una certa resistenza della magistratura, che ha ancora difficoltà a superare una cultura incentrata sul ruolo di cura della madre e di mero sostegno economico del padre. Questo nuovo disegno di legge sarà in grado di superare un retaggio culturale così radicato nel momento in cui dovrà essere applicato?
Figli per sempre, Vezzetti: “urgente colmare disparità”. Vittorio Vezzetti, pediatra esperto e fondatore dell’associazione “Figli per sempre“, in favore del disegno dichiara in un’intervista ad Avvenire.it: “Era assolutamente urgente colmare l’attuale disparità tra le figure genitoriali dopo la separazione che relega l’Italia agli ultimi posti fra i Paesi occidentali in tema di bigenitorialità. Oggi in Italia l’affido paritetico riguarda solo il 3-4% dei minori e solitamente per un accordo fra le parti. L’affido materialmente condiviso riguarda circa il 5% dei casi, mentre l’affido cosiddetto materialmente esclusivo è la sorte che spetta a tutti gli altri minori italiani, quindi oltre il 90%”. Il disegno di legge Pillon, secondo il pediatra, tenta di garantire la bigenitorialità attraverso tempi paritetici dei genitori da trascorrere con il figlio, compreso il pernottamento, escluso solo se si corre il rischio di pregiudicare la salute psico-fisica del minore.
Padri separati: con Ddl Pillon si pone fine a impoverimento padri. Sulla stessa lunghezza d’onda, l’associazione Padri Separati, per cui con la riforma “i figli avranno finalmente entrambi i genitori e si porrà fine all’impoverimento dei padri, che sono ancora visti come i piloni portanti dell’economia familiare come nel dopoguerra”. Così la presidente nazionale, Tiziana Franchi, commenta all’Adnkronos il Ddl 735. Ddl che pone l’accento sulla bi-genitorialità “obbligatoria e non più a discrezionalità dei giudici”, afferma ancora, spiegando che “l’affido condiviso, già previsto nell’ordinamento, in realtà non è applicato nella maggior parte dei casi, con la madre che viene considerata il genitore prioritario dai giudici a scapito dei padri, che vengono così penalizzati”. “Se passa il Ddl saremo contenti – sottolinea la Franchi – anche per quanto riguarda la nuova norma relativa all’assegno di mantenimento, che aumenta il conflitto tra coniugi”. Togliendolo “non ci sarà più materia del contendere, ogni genitore contribuirà secondo le proprie risorse economiche facendosi carico rispettivamente delle spese necessarie. Nessuno – rincara – si impoverirà più”. E quanto al discusso doppio domicilio a casa di mamma e papà, sostiene la Franchi: “E’ un falso problema. I figli di donne che lavorano passano la maggior parte del tempo a casa dei nonni. Non sarebbe meglio se fosse a casa del padre?”.
Figli con figli, Cattò: “no a mediazione obbligatoria”. Annalisa Cattò, presidente dell’associazione ‘Giustizia in Famiglia – Figli con i figli’, su Avvenire.it, punta il dito sull’aspetto della riforma che riguarda l’abitazione, evidenziando il diritto del bambino di sentirsi a casa propria sia dal padre che dalla madre. La Cattò contesta inoltre la mediazione obbligatoria, poiché nella realtà ci sono coppie che non sono mediabili e in cui la situazione è talmente estrema che è superabile solo attraverso percorsi separati. Discutibili anche i requisiti richiesti per diventare mediatore familiare, in genere assai severi, ma non per l’avvocato che conduca un minimo di 10 cause all’anno in materia di famiglia, che si ritrova “mediatore familiare” ope legis.
‘Crescere insieme’, Maglietta: “Con Ddl Pillon passo indietro”. Marino Maglietta, fondatore di Crescere insieme interpellato da Studiocataldi.it afferma: “I contenuti del Ddl 735 sulla riscrittura dell’affidamento condiviso presentano tali scompensi rispetto ai condivisibili scopi annunciati da non rispettare neppure gli impegni presi nel Contratto di Governo. Anzi, ammettono, e quindi rendono legittime, prassi che oggi quanto meno sono contestabili come violazioni di legge. Non ci si può limitare ad affermare dei principi, ma occorre blindarli attraverso prescrizioni ineludibili e ferrei paletti a difesa di essi. Ora, il Ddl 735 fa esattamente il contrario. Concede sconti e apre varchi di grandezza autostradale, rendendo possibili perfino soluzioni più arretrate di quelle praticate attualmente. Quali siano queste criticità è stato più volte segnalato, per cui può bastare accennare giusto alle principali. Perché affiancare alla pariteticità dei tempi la loro “equipollenza” (ossia la qualità al posto della quantità)? A quali situazioni è riservata la possibilità che il giudice scenda a 12 giorni al mese anche quando sarebbe praticabile la pariteticità? Perché aggiungere una ulteriore attenuazione smantellando pure questa pseudo-garanzia inserendo opinabili eccezioni per “danno psicofisico”? Perché rimpinzare il testo di parametri metagiuridici, che danno al giudice un potere discrezionale immenso? Perché inserire riferimenti alla “residenza abituale”, anticamera precisa e diretta del “genitore collocatario” che si dice di voler sopprimere? Perché lasciare in vita tutti gli stravolgimenti dell’affidamento condiviso introdotti in palese eccesso di delega dal decreto filiazione? Perché conservare la classificazione delle spese in “ordinarie” e “straordinarie”, ovvero entro e fuori assegno, se davvero si vuole il mantenimento diretto?”. E poi “perché insistere e prestare attenzione solo al Ddl 735, quando esistono in Parlamento altre proposte con i medesimi obiettivi, equilibrate, correttamente formulate e accolte positivamente nelle passate legislature? Misteri della politica e della comunicazione”.
Ami, Gassani: ‘riforma sbagliata’. Bocciatura totale della riforma anche da parte del presidente dei matrimonialisti italiani, Gian Ettore Gassani, che in un’intervista al Corriere della Sera sostiene “troppe donne senza lavoro. Questo tipo di riforma sarebbe davvero sbagliata”. Nel dettaglio per il presidente Ami, “si parte da un concetto totalmente sbagliato: l’abolizione dell’assegno di mantenimento “e si usa la genitorialità per fare la rivoluzione copernicana del diritto di famiglia». In Italia, e in particolare al Sud, spiega Gassani, “il 45% delle donne non ha un lavoro: cosa devono fare se si separano e hanno pure un figlio?”. Ma non solo. “Ci sono padri che anche volendo non possono tenere i figli per la metà esatta del tempo, come vorrebbe questa riforma dell’avvocato Pillon. E quindi anche in questo caso l’abolizione dell’assegno di mantenimento non ha alcuna logica”. Sul fronte mediatore familiare, rincara Gassani, non si può pensare ad una obbligatorietà, questo perché “ci sono almeno il 20% delle separazioni che hanno risvolti di tipo penale: cosa vuoi mediare in questi casi. Ci sono vicende che non sono minimamente risolvibili, che non si possono mediare. Non dimentichiamoci che la violenza in famiglia è la prima causa di morte”. Un no secco dunque ad una riforma che è stata posta “come una battaglia di genere di padri contro padri. E – che – tra l’altro non tiene nemmeno conto delle nuove famiglie, dove ci sono due madri o due padri”.
‘D.i.Re’: trappola per le donne, petizione e manifestazione. Dal sito D.i.Re (Donne in rete contro la violenza) traspare tutta la preoccupazione di chi, quotidianamente vive la realtà e tocca con mano la condizione femminile in Italia. Secondo D.i.Re, il Ddl sembra tornare indietro, consentendo la riappropriazione del potere maschile minacciato soprattutto dalla Convenzione d’ Istanbul. Il disegno di legge è fuori contesto e non tiene conto di quanto accade “nei tribunali, nei territori e soprattutto tra le mura domestiche. Il testo sembra quasi completamente ignorare la pervasività e l’insistenza della violenza maschile che determina in maniera molto significativa le richieste di separazioni e genera le situazioni di maggiori tensioni nell’affidamento dei figli che diventano per i padri oggetto di contesa e strumento per continuare ad esercitare potere e controllo sulle madri. Ignora inoltre il persistente squilibrio di potere e di accesso alle risorse proponendo un’equiparazione tra i genitori, il doppio domicilio dei minori, l’eliminazione dell’assegno di mantenimento e dando per scontate disponibilità economiche molto spesso impossibili da garantire per le donne in un paese con elevatissimi tassi di disoccupazione femminile, dove è ancora presente il gap salariale, che continua ad espellere dal mercato del lavoro le madri, ne penalizza la carriera e garantisce sempre meno servizi in grado di conciliare le scelte genitoriali con quelle professionali, mentre scarica i crescenti tagli al welfare sulle donne schiacciate dai compiti di cura”. Si critica l’istituto della mediazione familiare obbligatoria, inefficace all’interno di contesti familiari violenti.
Per la presidente di D.i.Re, Lella Palladino, in sostanza, il Ddl è “una trappola in grado di imprigionare le donne, soprattutto quelle più fragili, in relazioni violente, con grave rischio per la loro incolumità e per quella dei minori”.
E mentre il testo prosegue il suo cammino in commissione giustizia al Senato, la petizione online lanciata proprio da D.i.Re, ha raggiunto, ad oggi, quasi 70mila firme ed è stata promossa una mobilitazione a Roma, il 10 novembre, contro il Ddl.
Annamaria Villafrate News Studio Cataldi 24 settembre 2018
www.studiocataldi.it/articoli/31804-associazioni-contro-ddl-pillon-al-via-la-petizione-online.asp
Proposta di legge sull’affido condiviso (AICCeF).
In relazione al disegno di legge presentato recentemente in Senato dalla maggioranza politica, il Ddl n. 735 “Norme in materia di affido condiviso, mantenimento diretto e garanzia di bi genitorialità”, (conosciuto anche come proposta Pillon), l’Aiccef ha sentito il dovere di chiedere al Presidente della Commissione Giustizia del Senato, Andrea Ostellari, dove il Ddl si sta esaminando in prima lettura, di partecipare alle audizioni presso la Commissione stessa, per fornire un contributo di conoscenza e informazione, da parte di un numeroso gruppo di professionisti che si occupano di consulenza familiare socio-educativa, nel campo della relazione d’aiuto alla coppia e alla famiglia, con difficoltà relazionali e comunicative, e che affrontano crisi, cambiamenti e situazioni difficili.
In particolare è stato chiesto di intervenire nella discussione con gli onorevoli Senatori della Commissione anche per contribuire alla discussione sull’efficacia delle negoziazioni obbligatorie richieste alle coppia in crisi, previste dal disegno di legge S735.
Per favorire un migliore approfondimento sui punti controversi del disegno di legge in oggetto, si invitano tutti i soci che hanno qualcosa da dire su questo DDL e che abbiano evidenziato problematiche e spunti di riflessione degni di nota, di comunicarlo in modo informale a redazione@aiccef.it.
Ciò sarà di ausilio alla nostra Presidente per approfondire gli argomenti da proporre nella eventuale audizione in Senato.
Comunicato AICCeF (Associazione Italiana Consulenti Coniugali e Familiari) 30 settembre 2018
www.aiccef.it/it/news/proposta-di-legge-su-affido-condiviso.html
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DONNA E FAMIGLIA
Perché una donna tradisce
Il tradimento: fine dell’amore o innocente scappatella? L’uomo è un esperto settore, si sa, ma se è “l’altra metà del cielo” a tradire, è davvero solo una questione “di cuore”? Chi può dirlo…Fatto sta che il tema appassiona molto e fa discutere ancora oggi, soprattutto le dirette interessate: le donne. Tra verità e luoghi comuni, importanti intuizioni e psicologia spicciola, c’è chi ha tentato di stilare addirittura una classifica del tradimento al femminile. Vediamo insieme di cosa si tratta e quali sono i risultati.
E’ sotto gli occhi di tutti: i tempi in cui la donna subiva in silenzio le scappatelle del marito in virtù di chissà quale dovere “coniugale” sono finiti. Così come finiti sono i tempi in cui il ruolo della donna si limitava a mera preda o oggetto sessuale, e di conseguenza, ad essere “scelta” dall’uomo. Oggi la donna non solo rivede il proprio ruolo all’interno della coppia e della società in generale, ma rivendica anche nuovi spazi e una certa libertà d’azione comportandosi, in certi casi, come un uomo, o almeno, un certo tipo di uomo. Insomma, l’emancipazione della donna passa anche dal suo letto. E, a volte, anche dai suoi amanti. Sì, perché anche il gentil sesso tradisce. Anzi, secondo i più autorevoli sondaggi, la donna “avrebbe” superato già da un bel pezzo l’uomo nell’arte del “cornificare”. Il condizionale, in questi casi, è d’obbligo. Ma quantità a parte, <<perché una donna tradisce?>> Si tratta davvero di una questione “di cuore“, come spesso si crede, oppure c’è dell’altro? C’è chi ha preso sul serio questa domanda e si è cimentato in un’impresa a dir poco rischiosa: redigere una classifica “ragionata” dei motivi che spingerebbero la donna a tradire. Di seguito, i risultati disposti in ordine di arrivo sul fantomatico “podio del tradimento” elaborato da una (poco scientifica) rivista americana:
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Perché una donna tradisce: per noia. Problemi quotidiani e routine coniugale: un cocktail fatale che profuma d’infedeltà. Le donne che tradiscono “per noia”, infatti, lamentano di avere un partner pigro e assopito, dentro e fuori dal letto. Così, un po’ per gioco, un po’ per ritrovare emozioni ormai perdute dalla notte dei tempi, le donne s’avventurano verso nuovi lidi, nuovi orizzonti fatti di sguardi, carezze e incontri ravvicinati con l’altro, che tanto addormentato proprio non è. “Non l’ho cercato, è capitato!”: la giustificazione più quotata tra le “annoiate”. Eppure quest’ultime hanno rapporti perfetti, (con)vivono con uomini attenti e premurosi che fanno regali, scelgono il ristorante e perfino il luogo delle vacanze. E allora? Perché tradire l’uomo “perfetto”? Perché rischiare di mandare a rotoli un rapporto sicuro e consolidato? Sono domande cui tu saprai dare di certo una risposta.
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Perché una donna tradisce: per sesso. Quando a mariti e fidanzati arriva il mal di testa proprio mentre la propria donna cerca di allungare, più o meno timidamente, una mano sotto le lenzuola: il tradimento “per sesso” comincia in quel preciso istante. E continua con lei che, dopo svariate sere a somministrare aspirina al suo “malato cronico” (neanche avesse aperto una farmacia h24), esce <> con le amiche. O meglio, con “l’amico”. Fisico prestante, sorriso intrigante e occhi magnetici: questo è il ritratto tipico dell’altro, un uomo sicuramente non impegnativo ma capace di regalare alla “mancata infermiera per una notte” momenti sessualmente memorabili. Il sesso è importante per la fedifraga, mica può rinunciarci! Poco importa se a casa c’è qualcuno che l’aspetta, la parola d’ordine è una sola: trasgredire. Ma, infondo, chi non vorrebbe, almeno una volta, sperimentare una passione travolgente, clandestina, magari con uno sconosciuto da salutare al mattino e non rivedere mai più? C’è chi si limita ad immaginare e chi, invece, fa.
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Perché una donna tradisce: per vendetta. E’ il tradimento “indotto”, chiamiamolo così. La donna lo mette in atto dopo aver saputo del tradimento del partner: c’è chi si strugge, chi perdona e chi restituisce “pan per focaccia”. Un “occhio per occhio” necessario per restituire il male ricevuto e, magari, infliggerne un po’. Le donne “vendicative” non si fanno scrupoli, e sono capaci di ogni cosa, anche tradire col miglior amico o collega del marito/fidanzato. Ovviamente, tutto dev’essere alla luce del sole. Tutti devono sapere i dettagli del tradimento, altrimenti la voce faticherebbe ad arrivare al diretto interessato, ovvero il partner che ha tradito per primo. La vendetta è sì un piatto da assaporare freddo, ma meglio accertarsi di servirlo al tavolo giusto!
Una classifica sorprendente, che ribalta completamente la nostra idea di “tradimento al femminile“. Infatti, pensare alla donna che tradisce perché si è innamorata di un altro non solo non conquista nessun gradino sul podio, ma è addirittura riduttivo, e, per certi versi anacronistico. L’amore non è, o non è più, tra le cause principali del tradimento del gentil sesso, quindi non sentiremo più giustificazioni come «Mi annoiavo». I tempi sono cambiati, sì, bisogna farsene una ragione ma sei in meglio o in peggio puoi dirlo solo tu.
La Legge per tutti 27 settembre 2018
www.laleggepertutti.it/240372_perche-una-donna-tradisce
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ENTI TERZO SETTORE
Rapporti di lavoro, compensi e volontariato dopo il decreto correttivo 108 2018 del Codice CTS
L’utilizzo dei rimborsi spese per i volontari e il coinvolgimento dei lavoratori negli organi sociali dell’impresa sociale. Sono due degli ambiti su cui si concentrano le novità in materia di lavoro apportate dai decreti correttivi del Codice del Terzo Settore. Come noto la riforma della legislazione in questo campo, da sempre di grande rilevanza nella società italiana, è stata recentemente messa a sistema nel Codice del Terzo settore CTS – D.lgs 117\2017 – che ha attuato la Legge delega 106\2016, e con il D.lgs n. 112\2017 che si occupa in modo particolare dell’impresa sociale. Diversi correttivi si sono resi necessari, da ultimo il D.Lgs n. 105/2018 che ha prorogato il termine per l’adeguamento degli statuti alle nuove disposizioni, ora fissato al 3 agosto 2019. Per le imprese sociali il termine è fissato al 20 gennaio 2019.
Mancano ancora alcuni decreti ministeriali per l’attuazione piena della Riforma, prima fra tutte quello che deve istituire il Registro Unico del Terzo settore per dare effettivamente una classificazione agli oltre 300 mila enti operanti in italia in questo ambito.
In materia di lavoro, come detto sono state effettuate alcune importanti specificazioni nella gestione dei lavoratori anche se manca ancora la contrattazione collettiva riguardo il trattamento retributivo e normativo dei lavoratori dipendenti da associazioni ed enti del Terzo Settore. Gli articoli 16,17 e 18 del D. lgs. 117/2018 sono quelli dedicati a questo specifico ambito.
In generale va detto che nel terzo settore il volontariato ha un ruolo fondamentale, proprio per le caratteristiche e le finalità sociali di questi enti, e all’art. 19 il Codice a tutte le amministrazioni pubbliche la promozione della “cultura del volontariato, in particolare tra i giovani, anche attraverso apposite iniziative da svolgere nell’ambito delle strutture e delle attività scolastiche, universitarie ed extrauniversitarie, valorizzando le diverse esperienze ed espressioni di volontariato, anche attraverso il coinvolgimento delle organizzazioni di volontariato e di altri enti del Terzo settore, nelle attività di sensibilizzazione e di promozione”
Il Codice del Terzo settore opera comunque una chiara distinzione del rapporto di lavoro dipendente da quello volontario, per finalità di trasparenza nella gestione e precisa, ad esempio, che i lavoratori non possono essere contemporaneamente volontari e dipendenti dell’ente.
1) Il lavoro subordinato nel terzo settore
2) Trattamento e rimborsi per i volontari negli enti del Terzo settore
3) Coinvolgimento lavoratori, associati e azionisti delle imprese sociali
Il lavoro subordinato nel terzo settore. Il Terzo settore non ha un contratto collettivo nazionale specifico per i lavoratori dipendenti. Si deve fare quindi fare riferimento a quelli stipulati dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative per le mansioni o qualifiche similari. Il codice prevede che:
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Le differenze retributive tra lavoratori dello stesso ente non possono essere superiori al rapporto 1:8 calcolato rispetto alla retribuzione lorda annua
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La retribuzione e il trattamento previsti per questi lavoratori non possono essere inferiori né superiori di oltre il 40% rispetto a quelli previsti dai CCNL di riferimento.
Trattamento e rimborsi per i volontari negli enti del Terzo settore. L’art. 17 del CTS definisce il volontario come “una persona che, per sua libera scelta, svolge attività in favore della comunità e del bene comune senza fini di lucro, neanche indiretti, ed esclusivamente per fini di solidarietà, (..) anche per il tramite di un ente del Terzo settore”. Vengono espressamente esclusi da questa normativa gli operatori volontari del servizio civile universale, e il personale impiegato nelle attività di cooperazione internazionale.
Viene previsto che gli enti del Terzo settore possono avvalersi di volontari nello svolgimento delle proprie attività e sono tenuti a iscrivere in un apposito registro i volontari che svolgono la loro attività in modo non occasionale.
Una novità del D.lgs 105\2018 è che i volontari che siano dipendenti in aziende private possono godere della flessibilità di orario e turnazioni previste dai CCNL, sempre compatibilmente con le esigenze aziendali, per poter svolgere l’attività no profit.
In tema di rimborsi, il codice prevede che:
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Al volontario possono essere rimborsate dall’ente del Terzo settore solo le spese effettivamente sostenute e documentate per l’attività prestata, entro limiti massimi e alle condizioni preventivamente stabilite dall’ente medesimo,
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Anche a fronte di una autocertificazione, purché non superino l’importo di 10 euro giornalieri e 150 euro mensili e purché l’organo sociale deliberi sulle tipologie di spese e attività di volontariato per le quali è ammessa questa modalità.
Questa disposizione non si applica alle attività di volontariato aventi ad oggetto la donazione di sangue e di organi.
Sono in ogni caso vietati rimborsi spese di tipo forfettario. La qualità di volontario è incompatibile con qualsiasi forma di rapporto di lavoro subordinato o autonomo e con l’ente di cui il volontario è socio o associato o tramite il quale svolge la propria attività volontaria.
L’associato che occasionalmente coadiuvi gli organi sociali nello svolgimento delle loro funzioni non è considerato un volontario.
Riguardo all’impresa sociale sussiste un preciso limite di utilizzo, infatti il numero di volontari non può superare quello dei lavoratori assunti e tutte le prestazioni che svolgono devono essere complementari e non sostitutive del lavoro dipendente.
L’art. 18 riguarda invece l’Assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie connessi allo svolgimento dell’attività di volontariato, nonché per la responsabilità civile verso i terzi, dei volontari utilizzati dagli enti del Terzo settore. Tale copertura assicurativa deve essere specificamente prevista nelle convenzioni tra gli enti del Terzo settore e le amministrazioni pubbliche, ed in questi casi è a carico dell’amministrazione pubblica con la quale vengono stipulate.
Si prevedeva anche un decreto del Ministro dello sviluppo economico, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del Codice, per l’individuazione di procedure assicurative semplificati, e sui relativi controlli, che però risulta ancora mancante.
Coinvolgimento lavoratori, associati e azionisti delle imprese sociali. La riforma del terzo settore prescrive per le imprese sociali l’obbligo di definire con precisione le modalità di coinvolgimento di lavoratori e azionisti all’interno dello statuto e di eventuali regolamenti per garantire loro una influenza sulle decisioni in materia di rapporto di lavoro e qualità del servizio. Viene preannunciato in materia un documento contenente le Linee guida, da parte del Ministero del Lavoro.
Vengono inoltre precisati i meccanismi di partecipazione di lavoratori e utenti alle assemblee sociali e si chiarisce che per le imprese che superano il limite dimensionale art 2435 cc ridotto della metà spetta la rappresentanza all’interno del Consiglio di amministrazione e dell’organo di controllo.
Il D.lgs 95/2018, che corregge alcuni punti del D.lgs 112, invece, in tema di definizione dell’impresa sociale dovuta all’inclusione lavorativa di soggetti svantaggiati, ha precisato che i lavoratori molto svantaggiati eventualmente assunti mantengono la loro qualificazione solo nei primi 24 mesi dall’assunzione,
Susanna Finesso Fisco e Tasse 24 settembre 2018
www.fiscoetasse.com/approfondimenti/13203-terzo-settore-le-novit-per-il-lavoro-.html?utm_campaign=Rassegna+Giornaliera&utm_medium=email&utm_source=Rassegna+quotidiana+&utm_content=Rassegna+Giornaliera+2018-09-25
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FAMIGLIA
Diritto degli ascendenti anche non biologici di mantenere rapporti con i nipoti minori
Corte di Cassazione, prima Sezione civile, Ordinanza n. 19780, 25 luglio 2018
L’art.317 bis c.c. deve essere interpretato sistematicamente alla luce delle disposizioni costituzionali, europee ed internazionali. È la nozione stessa di nucleo familiare ad essere stata rivisitata ed ampliata dalla giurisprudenza della Corte EDU e della Corte di Giustizia della UE. Il concetto di famiglia di cui all’art.8 della Convenzione riguarda, infatti, le relazioni basate sul matrimonio ed anche altri legami familiari de facto, in cui le parti convivono al di fuori del matrimonio, o in cui altri fattori dimostrano che la relazione è sufficientemente stabile. Nella medesima prospettiva di allargamento del concetto di famiglia e di tutela preminente dell’interesse dei minori si è peraltro sostanzialmente posta anche la giurisprudenza della Corte di Cassazione.
Alla luce dei principi desumibili dall’art.8 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, dall’art.24, comma 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e dagli artt.2 e 30 Cost., il diritto degli ascendenti, azionabile anche in giudizio, di instaurare e mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni, previsto dall’art.317 bis c.c., cui corrisponde lo speculare diritto del minore di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi coni parenti, ai sensi dell’art.315 bis c.c., non va riconosciuto solo ai soggetti legati al minore da un rapporto di parentela in linea retta scendente, ma anche ad ogni altra persona che affianchi il nonno biologico del minore, sia esso il coniuge o il convivente di fatto, e che si sia dimostrato idoneo ad instaurare con il minore medesimo una relazione affettiva stabile, dalla quale quest’ultimo posa trarre un beneficio sul piano della sua formazione e del suo equilibrio psico-fisico.
Redazione Il Caso.it [doc. 5179] 27 settembre 2018 Ordinanza
http://news.ilcaso.it/news_5179?https://news.ilcaso.it/?utm_source=newsletter&utm_campaign=solo%20news&utm_medium=email
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FECONDAZIONE ASSISTITA
Embrioni congelati, la città dimenticata
Sono decine di migliaia, conservati in cliniche e centri specializzati di tutta Italia: vite sospese a -196°, spesso abbandonate da chi le aveva commissionate.
Solo una legge del Parlamento che modifichi radicalmente la legge 40 del 2004 sulla Procreazione medicalmente assistita (Pma) può consentire la distruzione di embrioni umani, anche a fini di ricerca: lo ha ribadito pure la Corte europea dei diritti umani quando il nostro Paese ha vinto il contenzioso Parrillo vs Italia, nel quale si chiedeva, appunto, di destinare alcuni embrioni umani alla ricerca scientifica. È bene ribadirlo, di fronte alle periodiche campagne stampa che chiedono di eliminare uno degli ultimi pilastri della legge 40, cioè il divieto di distruzione e di manipolazione di embrioni umani: nessun atto ministeriale, o iniziativa regionale, o parere di società scientifiche, può destinare embrioni alla distruzione.
Va poi chiarita la situazione attuale. La legge 40 e un decreto ministeriale collegato distinguono, fra gli embrioni crioconservati, quelli ‘abbandonati’, cioè non più richiesti dai genitori, stabilendo di trasferirli tutti in un’unica, apposita biobanca dedicata. Ma questa disposizione riguarda solamente gli embrioni formati prima dell’entrata in vigore della legge 40, e non comprende i successivi. La 40 infatti, nella sua forma originale, prevedeva che tutti gli embrioni formati dovessero essere trasferiti in utero in modo da limitare a numeri residuali quelli eventualmente ‘in eccesso’.
Nella relazione al Parlamento sulla legge 40 per il 2007 risultavano circa 10mila embrioni abbandonati (prodotti in laboratorio prima della legge), ma per molti l’abbandono era solo presunto perché non si era riusciti a contattare i genitori per chiederne le intenzioni. La Corte Costituzionale nel 2009 ha poi sostanzialmente sdoganato la formazione di embrioni in sovrannumero, anche se la legge tuttora non lo consentirebbe (si richiede ancora di formare embrioni in numero strettamente necessario alla procreazione). Il risultato è stato un aumento vertiginoso di embrioni crioconservati: se nel 2008 – prima della Consulta – ne erano stati congelati 763, nel 2016 si è saltati a 38.687. Non è possibile, a oggi, conoscere con precisione quanti siano presenti nei centri Pma: gli embrioni vengono continuamente formati, congelati e scongelati, e il numero in ciascun centro cambia pressoché quotidianamente. Al momento, conoscendo solamente il numero complessivo di quelli congelati e scongelati annualmente, possiamo solo stimarne grossolanamente l’ordine di grandezza in diverse decine di migliaia, inferiori ai 100mila. Gli abitanti di una città.
C’è poi da chiarire che gli embrioni crioconservati non hanno data di scadenza. Se la crioconservazione è stata effettuata in modo corretto, può essere protratta indefinitamente. Alla temperatura dell’azoto liquido infatti (196°C) ogni processo a carico delle cellule è bloccato (anche quelli di degradazione), e si può riavviare solamente riportando gli embrioni a temperature più elevate. L’unico modo per sapere se un embrione si è mantenuto vitale è scongelarlo, trasferirlo in utero e vedere se si sviluppa una gravidanza. Se un embrione è sufficientemente vitale da dar luogo a una gravidanza allora lo sarà anche per la ricerca scientifica, e viceversa. Se invece un embrione è danneggiato non potrà essere utilizzato per nessuno scopo. Non è possibile prevedere quali embrioni, fra i crioconservati, potranno sviluppare una gravidanza, una volta scongelati e trasferiti in utero. Quindi, delle decine di migliaia di embrioni presenti nei congelatori non siamo in grado di sapere, al momento, quanti sono ancora vitali, né quanti lo resteranno dopo lo scongelamento. Sappiamo di bambini nati da embrioni rimasti in azoto liquido per più di vent’anni: ricordiamo Emma, nata sana quasi un anno fa da un embrione crioconservato per 25 anni. L’allora presidente americano George W. Bush nel 2002 stanziò un milione di dollari per la campagna «Adotta un embrione», celebre la sua foto insieme a bambini nati proprio da embrioni congelati e adottati da coppie infertili. La polemica era tutta intorno alla parola ‘adozione’ – vedendo in quegli embrioni il bambino che ne potrebbe nascere – in luogo della ‘donazione’ – utilizzata per organi, cellule e tessuti, ma non certo esseri umani.
Ancora attualissimo è il parere del Comitato nazionale per la bioetica, che utilizzava la significativa espressione «adozione per la nascita» ma che non si è mai concretizzato in una legge. D’altra parte l’esistenza stessa di embrioni ‘soprannumerari’ stoccati nei centri Pma in tutto il mondo, anche nei Paesi dove è possibile destinarli alla ricerca scientifica, pone domande sull’effettivo interesse dei ricercatori nei loro confronti. Perché distruggerli, se sono tanto preziosi per i laboratori? Forse per la loro eterogeneità? Si tratta di embrioni di tante coppie differenti, affette da sterilità o infertilità dalle cause più diverse, congelati e conservati in tempi e modi altrettanto diversi. I ricercatori preferiscono ‘campioni’ più omogenei, e c’è chi parla della necessità di embrioni ‘freschi e sani’. D’altra parte la scoperta delle cellule Ips, le cosiddette ‘staminali etiche’ del premio Nobel Shinya Yamanaka, ha offerto un’alternativa valida a molti studiosi del settore, che hanno potuto compiere le loro ricerche senza ricorrere alla distruzione di embrioni umani. In questo contesto così complesso, i 500 embrioni sequestrati nel 2016 nel caso giudiziario attorno al ginecologo Severino Antinori, oggi rimessi dalla magistratura a disposizione di legittimi proprietari che tuttavia non sembrano interessati a rivendicarli, sono ‘solo’ l’ennesimo, ulteriore contributo a un problema enorme e mondiale, senza soluzioni.
Assuntina Morresi Avvenire 27 settembre 2018
www.avvenire.it/famiglia-e-vita/pagine/embrioni-congelati-la-citt-dimenticata
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FERTILITÀ
Salute riproduttiva, i primi risultati del progetto “Studio nazionale fertilità”
Il Ministero della Salute, nell’ambito delle azioni centrali previste nel programma di attività del CCM per l’anno 2015, ha promosso il progetto Studio nazionale fertilità con l’obiettivo generale di raccogliere informazioni sulla salute sessuale e riproduttiva per orientare e sostenere la programmazione di interventi a sostegno della fertilità in Italia.
Il coordinamento dello studio è stato affidato all’Istituto Superiore di Sanità e hanno partecipato come unità operative: “Sapienza” Università di Roma, Ospedale Evangelico Internazionale di Genova, Università degli studi di Bologna. Il progetto è iniziato ad aprile 2016 e termina il 30 settembre 2018.
Sono state realizzate indagini rivolte sia alla popolazione potenzialmente fertile (adolescenti, studenti universitari e adulti in età fertile), sia ai professionisti sanitari (pediatri di libera scelta, medici di medicina generale, ginecologi, andrologi, endocrinologi, urologi, ostetriche).
In occasione della 3° Giornata nazionale di informazione e formazione sulla salute riproduttiva, che si celebra il 22 settembre 2018, si anticipa una sintesi dei principali dati emersi dalle 5 indagini.
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Indagine adolescenti. Questa indagine è stata condotta, in ambito scolastico, con il supporto delle Regioni e dei professionisti del SSN, su un campione, statisticamente rappresentativo, di 16.063 studenti prevalentemente di 16-17 anni. Ha coinvolto 941 classi terze di 482 scuole secondarie di secondo grado, distribuite su tutto il territorio nazionale. E’ stata registrata un’elevata rispondenza da parte dei ragazzi (80%).
Dalle risposte emerge un’errata percezione (sovrastima) da parte dei ragazzi e delle ragazze relativamente all’adeguatezza delle informazioni in loro possesso sulle tematiche della salute sessuale e riproduttiva che nella maggior parte dei casi (89% i maschi e 84% le femmine) cercano su internet.
Si rilevano spazi di miglioramento nella conoscenza dei seguenti aspetti: fattori di rischio/protettivi per la riproduzione (età e stili di vita); alcune infezioni a trasmissione sessuale (IST) quali epatite virale, sifilide, gonorrea, papilloma virus e clamidia; metodi contraccettivi in grado di proteggere dalle IST.
Rimangono poco conosciuti i consultori (situazione invariata rispetto a quanto rilevato dall’indagine ISS 2010). Anche il contatto con i medici specialisti è limitato.
Circa 1 adolescente su 3 ha dichiarato di aver avuto rapporti sessuali completi (35% dei maschi e 28% delle femmine). I metodi contraccettivi più conosciuti sono il preservativo (99%) e la pillola (96%).
Per quanto riguarda l’utilizzo dei metodi contraccettivi, rispetto a un’indagine fatta dall’ISS nel 2010, rimane stabile la percentuale di chi non usa alcun metodo (10%), mentre aumenta l’utilizzo del preservativo (77%) ma anche quello del coito interrotto (26%) e del calcolo dei giorni fertili (11%)
La famiglia è un luogo in cui difficilmente si affrontano argomenti quali “sviluppo sessuale e fisiologia della riproduzione”, “infezioni/malattie sessualmente trasmissibili” e “metodi contraccettivi” (solo il 10% parla in famiglia di questi argomenti in maniera approfondita).
Il 94% dei ragazzi ritiene che debba essere la scuola a garantire l’informazione sui temi della sessualità e riproduzione (ben il 60% di loro ritiene che questo dovrebbe iniziare dalla scuola secondaria di primo grado o anche prima, dato che conferma quanto già emerso nell’indagine ISS del 2010); tuttavia solo il 22% degli adolescenti vorrebbe ricevere queste informazioni dai propri docenti, mentre il 62% vorrebbe personale esperto esterno alla scuola
Emerge un gradiente Nord-Sud su alcuni aspetti indagati, soprattutto in relazione alle conoscenze. D’altra parte, la partecipazione a corsi/incontri sul tema della sessualità/riproduzione al Sud è pari al 33%, decisamente inferiore a quella nel Nord del Paese pari al 78% (aumenta il divario Nord-Sud rispetto al 2010)
Solo il 7% degli adolescenti pensa di non avere figli nel suo futuro, mentre quasi l’80% di loro indica come età giusta per diventare genitore prima dei 30 anni.
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Indagine studenti universitari. Questa indagine è stata condotta su un campione di 13.973 studenti universitari dei 18 atenei coinvolti, attraverso adesione volontaria all’iniziativa pubblicata sul sito dell’ateneo, riscontrando una limitata adesione pari a un 5% di rispondenza. Il campione degli studenti che hanno partecipato registra un’età media di 22 anni ed è composto per il 70% di donne.
I dati emersi in merito al consumo di alcolici e di tabacco hanno mostrato un quadro in linea con quanto già rilevato da altri studi: 1 su 4 degli intervistati ha dichiarato di fumare, 2 su 3 consumano alcolici nel corso della settimana e più dell’80% è consapevole che questi comportamenti influenzano la fertilità, sia maschile che femminile.
Sebbene molti dei partecipanti abbiano riferito di sentirsi adeguatamente informati in merito a tematiche di salute sessuale e riproduttiva, l’analisi dei questionari ha portato a concludere che si tratti frequentemente di una sovrastima da parte degli interessati della loro conoscenza, o talvolta, l’informazione che hanno è addirittura non corretta (come per gli adolescenti). La discrepanza fra le reali conoscenze e quelle percepite è stata osservata in quasi tutti gli ambiti del questionario.
Più dell’80% dei rispondenti ha dichiarato di aver già avuto rapporti sessuali completi, con un’età media al primo rapporto tra i 17 e i 18 anni, sia per i maschi che per le femmine.
Per quanto riguarda i comportamenti nell’ambito della sessualità, un’elevata percentuale di rispondenti (95%) ha dichiarato di usare metodi contraccettivi nei rapporti abituali: il preservativo (71%), la pillola e altri metodi ormonali (46%), coito interrotto (24%); tuttavia il 22% dichiara di aver avuto rapporti occasionali non protetti.
L’età giusta per diventare genitori viene percepita tra i 26 e i 30 anni, ma sui tempi della fertilità maschile e femminile non c’è una corretta conoscenza, considerando tempi più lunghi rispetto a quelli biologici.
La scuola ed incontri educativo-informativi sono percepiti come il miglior canale di diffusione ed informazione per tali tematiche, anche se il 90% hanno riferito di essersi informati autonomamente.
Per quanto riguarda il contatto con i medici specialisti, mentre quasi il 75% delle studentesse ha fatto una visita ginecologica, solo 1 ragazzo su 4 è stato dall’andrologo; per quanto riguarda il consultorio familiare si sono rivolte a questo servizio il 34% delle studentesse intervistate, mentre è stato utilizzato solo dal 13% dei maschi.
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Indagine adulti. Questa indagine è stata condotta su un campione di 21.217 persone di età 18-49 anni, rappresentativo della popolazione residente in Italia, nell’ambito delle interviste telefoniche del sistema di sorveglianza PASSIcoordinato dall’ISS, con il supporto delle Regioni e dei professionisti del SSN della rete PASSI, riscontrando una rispondenza dell’86%.
Le risposte mostrano che non c’è piena consapevolezza del ruolo giocato dall’età nella fertilità biologica femminile e ancor più nella capacità riproduttiva maschile. Infatti solo il 5% del campione è consapevole che le possibilità biologiche per una donna di avere figli iniziano a ridursi già dopo i 30 anni; una buona parte, 27%, pensa che questo accada intorno ai 40-44 anni.
La consapevolezza che l’età giochi un ruolo importante anche per la fertilità biologica maschile sembra persino minore di quanto è emerso circa la fertilità femminile: nove persone su dieci (87%) forniscono una risposta assolutamente inadeguata (oltre i 45 anni) o non sanno dare alcuna indicazione.
Per quanto riguarda la propensione alla procreazione, più della metà dei rispondenti (55%) dichiara di non essere intenzionato ad avere figli; anche considerando solo coloro che non hanno figli (né propri, naturali o adottivi, né del partner) questa quota, seppur più contenuta, non è trascurabile: quasi 1/3 delle persone senza figli (31%) dichiara di non volerne neppure in futuro.
Le motivazioni per rinunciare o rinviare la nascita di un figlio, escludendo dalla stima le persone senza un partner o che riferiscono problemi di fertilità, sono legate principalmente a fattori economici e lavorativi e all’assenza di sostegno alle famiglie con figli (41%), seguiti da quelli collegati alla vita di coppia (26%) o alla sfera personale (19%); infine ci sono problemi di salute (17%) o legati alla gestione della famiglia (12%).
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Indagini professionisti: pediatri di libera scelta e medici di medicina generale. Queste indagini sono state condotte con invito via email ai soci della Federazione Italiana Medici Pediatri (FIMP) e della Federazione Italiana Medici di Famiglia (FMMG) e hanno riscontrato una limitata adesione: 706 pediatri (PLS), con tasso di rispondenza di 14,1%, e 759 Medici di Medicina Generale (MMG), pari a un 15,2% di rispondenza.
In generale si rileva un buon livello di conoscenza in ambito di salute riproduttiva tra i professionisti di base, tuttavia si evidenziano bisogni formativi su alcune aree e sulla relativa comunicazione agli assistiti. In particolare:
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Per i PLS: l’importanza di alcune vaccinazioni anche al fine di preservare la capacità procreativa; l’importanza dell’obesità e dell’eccessiva magrezza sulla fertilità; informazioni fornite agli adolescenti sui rischi delle infezioni/malattie sessualmente trasmissibili e sulla non efficacia dei contraccettivi orali per la protezione dalle infezioni sessualmente trasmissibili
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Per i MMG i bisogni formativi risultano principalmente su: prescrizione di acido folico a tutte le pazienti che manifestano desiderio di gravidanza; non raccolta, nell’anamnesi dell’età della menopausa della madre della paziente; informazioni ai giovani assistiti o ai loro genitori sulla vaccinazione per il virus HPV; percorsi per salvaguardare la fertilità di giovani assistite che devono sottoporsi a chemioterapia.
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Ulteriore criticità emersa nei due gruppi di professionisti è la percentuale di medici che ha partecipato ad eventi di aggiornamenti di salute riproduttiva: solo l’8% dei PLS ed il 20% dei MMG. La necessità di maggiori informazioni ed eventi formativi in materia di tutela della fertilità e di salute riproduttiva è stata chiaramente manifestata dai professionisti che hanno collaborato allo studio.
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Indagini professionisti della salute riproduttiva: ginecologi, endocrinologi, andrologi, urologi, e personale ostetrico. Queste indagini sono state condotte con invito via email ai soci delle principali Società scientifiche e Federazioni di categoria, in ambito di salute riproduttiva, e hanno riscontrato una limitata adesione da parte dei professionisti. Hanno risposto al questionario: 376 ginecologi (11%), 113 endocrinologi (10%), 238 andrologi/urologi (23%) e 1.171 personale ostetrico (11%).
Per quanto riguarda le conoscenze e la pratica clinica, in generale, i professionisti hanno buone conoscenze (3 professionisti su 4 hanno risposto correttamente alle domande nella maggioranza dei casi).
Dalle risposte fornite tuttavia appaiono evidenti alcune aree su cui sarà necessario concentrare l’attività formativa:
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Anche in questo caso non è chiaro per tutti che l’età, anche quella maschile, è una componente fondamentale della capacità riproduttiva e che bisogna insistere su questo tema con i/le pazienti/coppie, quando c’è il tempo per intervenire;
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È ancora non soddisfacente l’informazione erogata da parte degli operatori sui rischi delle patologie sessualmente trasmissibili, in particolare non se ne parla a sufficienza ai soggetti più esposti;
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Ancora non tutti hanno chiara la necessità di effettuare la profilassi preconcezionale con acido folico e la tempistica con cui eseguirla;
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Ancora si prescrivono ai maschi infertili terapie non del tutto appropriate in condizioni in cui le linee guida danno invece indicazioni chiare;
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Anche nel campo della fertilità femminile persistono ancora, seppure minoritarie, pratiche chirurgiche non più appropriate;
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È generalizzato un infondato ottimismo sulle possibilità delle tecniche di Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) di risolvere sempre i casi di infertilità. Persiste, inoltre, la tendenza a consigliare la PMA a pazienti in cui è evidentemente inutile, generando aspettative che procureranno frustrazione alle coppie.
Ministero della Salute Sezione epidemiologia settembre 2018
www.salute.gov.it/portale/news/p3_2_1_1_1.jsp?lingua=italiano&menu=notizie&p=dalministero&id=3480
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FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI
“Nell’applicare il reddito di cittadinanza si tenga conto dei carichi familiari”
“Nella stesura delle linee guida relative all’applicazione del reddito di cittadinanza contenuto all’interno della nota di aggiornamento al DEF, l’Esecutivo tenga conto del reale carico familiare. La soglia di povertà relativa di 780 euro, infatti, non può essere calcolata in modo univoco nel caso di una persona sola e quando si parla di una mamma e un papà disoccupati, che hanno magari due o più figli da sostentare e da far crescere quotidianamente. Abbiamo già perso troppi anni preziosi per la carenza di interventi realmente efficaci nel provare a invertire la rotta e ridare slancio alla natalità nel nostro Paese”: così il presidente nazionale del Forum delle associazioni familiari, Gigi De Palo, in merito ai criteri di applicazione della misura introdotta nella nota di aggiornamento al Documento di Economia e Finanza, approvato ieri dal Consiglio dei Ministri.
Comunicato 28 settembre 2018
www.forumfamiglie.org/2018/09/28/manovra-de-palo-forum-famiglie-nellapplicare-il-reddito-di-cittadinanza-si-tenga-conto-dei-carichi-familiari
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FRANCESCO VESCOVO DI ROMA
«Accompagnare le coppie nel cammino coniugale»
Concluso dal Papa il corso su “Matrimonio e famiglia” promosso da diocesi e Rota Romana. L’invito: «Accogliere anche quei giovani che scelgono di convivere e testimoniare loro la bellezza del matrimonio»
Da una parte la necessità di
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Un «catecumenato permanente» che sia in grado di accompagnare le giovani coppie dopo le nozze nel loro cammino coniugale, almeno nei primi anni di matrimonio;
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Dall’altra l’accoglienza di «quei giovani che scelgono di convivere senza sposarsi», ai quali «occorre testimoniare la bellezza del matrimonio».
Sono i due punti principali del discorso che Papa Francesco ha rivolto ieri sera, 27 settembre 2018, ai partecipanti al Corso di formazione promosso dalla diocesi di Roma e dal Tribunale della Rota Romana su “Matrimonio e famiglia”, che si è svolto nella basilica lateranense e al quale hanno partecipato parroci, diaconi permanenti, sposi e operatori della pastorale familiare. [il prossimo a marzo 2019]
Il Papa ha ricordato prima di tutto che l’ambito familiare è «un campo apostolico vasto, complesso e delicato, al quale è necessario dedicare energia ed entusiasmo, nell’intento di promuovere il Vangelo della famiglia e della vita» seguendo la traccia «ampia e lungimirante dei miei predecessori, in particolare di san Giovanni Paolo II». Il pontefice ha sottolineato come “Amoris Lætitia” si inserisca in questa scia e ha ribadito ancora una volta la necessità di un’adeguata preparazione al matrimonio cristiano che «non è soltanto un evento “sociale” ma un vero sacramento». Infatti, ha ribadito Francesco, «tante volte la radice ultima delle problematiche che vengono alla luce dopo la celebrazione del sacramento nuziale è da ricercare non solo in una immaturità nascosta e remota esplosa improvvisamente ma soprattutto nella debolezza della fede cristiana e nel mancato accompagnamento ecclesiale. Soltanto messi di fronte alla quotidianità della vita insieme, che chiama gli sposi a crescere in un cammino di donazione e di sacrificio – le parole del Papa -, alcuni si rendono conto di non aver compreso pienamente quello che andavano ad iniziare. E si scoprono inadeguati, specialmente se si confrontano con la portata e il valore del matrimonio cristiano, per quanto riguarda i risvolti concreti connessi all’indissolubilità del vincolo, all’apertura a trasmettere il dono della vita e alla fedeltà».
Per questo è necessario «un catecumenato permanente» che accompagni i giovani: «Più il cammino di preparazione sarà approfondito e disteso nel tempo, più le giovani coppie impareranno a corrispondere alla grazia e alla forza di Dio e svilupperanno anche gli “anticorpi” per affrontare gli inevitabili momenti di difficoltà e di fatica della vita coniugale e familiare». Il Papa ha anche sottolineato come nei corsi di preparazione sia «indispensabile riprendere la catechesi dell’iniziazione cristiana alla fede, i cui contenuti non vanno dati per scontati o come se fossero già acquisiti dai fidanzati. Il più delle volte, invece, il messaggio cristiano è tutto da riscoprire per chi è rimasto fermo a qualche nozione elementare del catechismo della prima comunione e, se va bene, della cresima».
Quanto ai coniugi «che sperimentano seri problemi nella loro relazione e si trovano in crisi, occorre aiutarli a ravvivare la fede e riscoprire la grazia del sacramento; e, in certi casi – da valutare con rettitudine e libertà interiore – offrire indicazioni appropriate per intraprendere un processo di nullità. Quanti si sono resi conto del fatto che la loro unione non è un vero matrimonio sacramentale e vogliono uscire da questa situazione, possano trovare nei vescovi, nei sacerdoti e negli operatori pastorali il necessario sostegno, che si esprime non solo nella comunicazione di norme giuridiche ma prima di tutto in un atteggiamento di ascolto e di comprensione.
A tale proposito – ha aggiunto Francesco -, la normativa sul nuovo processo matrimoniale costituisce un valido strumento», la cui «ragione ultima è la salus animarum!». Infine, il Papa ha sollecitato gli operatori pastorali ad ampliare l’orizzonte «incontrando e accogliendo anche quei giovani che scelgono di convivere senza sposarsi. Occorre – ha concluso – testimoniare loro la bellezza del matrimonio».
Vatican news 28 settembre 2018
http://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2018/september/documents/papa-francesco_20180927_corso-rotaromana.html
https://it.zenit.org/articles/il-matrimonio-non-e-soltanto-un-evento-sociale-ma-un-vero-sacramento
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NULLITÀ DEL MATRIMONIO
Nullità del matrimonio cattolico non impedisce il divorzio
Corte di Cassazione civile, prima Sezione civile, Sentenza n. 22218, 12 settembre 2018
La delibazione della sentenza del Tribunale ecclesiastico che ha dichiarato la nullità del matrimonio concordatario non impedisce la sentenza di divorzio. «La sentenza di divorzio ha causa petendi e petitum diversi da quelli della domanda di nullità del matrimonio concordatario, investendo il matrimonio-rapporto e non l’atto con il quale è stato costituito il vincolo tra i coniugi, per cui se, nel relativo giudizio, non sia espressamente statuito in ordine alla validità del matrimonio – con il conseguente insorgere delle questioni poste dalla statuizione contenuta nell’art. 8, comma 2, lett. c), dell’Accordo del 18 febbraio 1984 tra Stato italiano e Santa Sede – non è impedita la delibazione della sentenza del Tribunale ecclesiastico che abbia dichiarato la nullità del matrimonio concordatario, in coerenza con gli impegni assunti dallo Stato italiano e nei limiti di essi (si vedano in questo senso Cass. n. 12989/2012, Cass. n. 3186/2008, Cass. n. 4795/2005).
Questi principi trovano ulteriore conforto nella successiva giurisprudenza di legittimità secondo cui la relazione fra matrimonio-atto e matrimonio-rapporto si pone, nella Costituzione, nelle Carte Europee dei diritti e nella legislazione italiana, in termini di distinzione, nel senso che i due aspetti dell’istituto giuridico matrimonio hanno ragioni, disciplina e tutela differenti, di modo che il matrimonio-rapporto si distingue dall’atto da cui ha tratto origine avendo una propria autonomia ontologica, cronologica e giuridica (Cass., Sez. Un., n. 16379/2014); se così è rimane vieppiù confermato l’assunto secondo cui la statuizione resa in sede divorzile riguarda l’autonomo ambito del matrimonio rapporto e non involge, ove la questione non sia stata espressamente posta all’interno del thema decidendi, alcun profilo attinente la validità del matrimonio atto da cui il matrimonio rapporto ha avuto origine.
Dunque quella statuizione una volta passata in giudicato non può assumere valenza ostativa alla delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio.
D’altra parte, anche per il ripetuto richiamo della corte territoriale a quelle condivise regole che la ricorrente critica senza offrire elementi decisivi atti a giustificare ripensamenti, non è nemmeno ravvisabile la dedotta violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., dato che il vizio di omessa pronuncia va escluso ogni qual volta ricorrano gli estremi di una reiezione implicita, come nel caso di specie, o di un suo assorbimento in altre statuizioni (Cass. n. 264/2006)
Redazione Miolegale.it 19 settembre 2018
www.miolegale.it/giurisprudenza/sentenza-tribunale-ecclesiastico-nullita-matrominio-non-impedisce-divorzio
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OMOADOZIONE
Valida l’adozione di due donne. La «stepchild» per sentenza
La Corte d’appello di Bologna accoglie la sentenza che la coppia aveva ottenuto negli Usa. Anche se in Italia non esiste una legge che lo permetta. Valida l’adozione di due donne. La «stepchild» per sentenza
Un tribunale dell’Oregon aveva vidimato l’adozione di una bimba – ottenuta nel 2003 mediante fecondazione eterologa – da parte da parte di un’italoamericana, “sposata” sempre negli Usa, nel 2013, con la madre biologica della piccola. Trasferitesi nel 2013 in Italia, le due donne si erano viste negare dal Comune di Bologna il riconoscimento della sentenza d’adozione.
Ma ora la Corte d’appello ha sancito l’illegittimità di quel rifiuto, e al netto di un’impugnazione in Cassazione – da parte dell’ente pubblico – anche per l’Italia quella bimba sarà figlia di due donne. E nulla, per il diritto, avrà a che fare con il suo padre biologico, un uomo che ha venduto il proprio sperma sul mercato della provetta.
I giudici bolognesi, così si legge in sentenza, hanno considerato il “superiore interesse del minore”, ma anche i “principi di uguaglianza tra i sessi” e “di signoria privata e libero sviluppo del singolo nella famiglia”. Dinanzi a ciò, è il sunto della sentenza, cade ogni possibile contrarietà del riconoscimento al cosiddetto ordine pubblico, cioè ai principi fondanti di una nazione. La corte bolognese afferma pure il diritto della bimba a “mantenere l’ambiente affettivo di sempre”, cioè a non essere separata dalle due donne, anche se una pronuncia di segno contrario non avrebbe certo determinato l’allontanamento dell’altra donna.
Dal canto suo, il Comune si era costituito in giudizio motivando la sua scelta nell’”assenza di una normativa nazionale che consenta l’adozione del figlio del partner: la stepchild adoption, insomma, considerata nella discussione ma poi deliberatamente esclusa dalla legge “Cirinnà” che ha per la prima volta in Italia disciplinato le unioni civili.
Sulla vicenda, nel 2016 si era pronunciata anche la Consulta, attivata dal tribunale minorile del capoluogo emiliano. In questo caso, la questione riguardava la sospetta incostituzionalità della norma sulle adozioni, laddove – secondo i giudici bolognesi – non consente di riconoscere sentenze estere qualora fondate su presupposti diversi da quelli richiesti in Italia. La Consulta aveva però giudicato la questione inammissibile, contestando con argomentazioni procedurali quanto ricostruito dal tribunale minorile. Ma in ogni caso ricordando come la legge sospettata d’incostituzionalità fosse “volta ad impedire l’elusione, da parte dei soli cittadini italiani, della rigorosa disciplina nazionale in materia di adozione di minori in stato di abbandono, attraverso un fittizio trasferimento della residenza all’estero”.
Marcello Palmieri Avvenire 26 settembre 2018
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PARLAMENTO
Progetti di legge in materia di affido condiviso
Senato 2° Commissione Giustizia, in sede redigente
(045) Antonio De Poli e altri – Disposizioni in materia di tutela dei minori nell’ambito della famiglia e nei procedimenti di separazione personale dei coniugi (5 articoli)
www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/01067115.pdf
(118) Antonio De Poli – Norme in materia di mediazione familiare nonché modifica all’articolo 337-octies del codice civile, concernente l’ascolto dei minori nei casi di separazione dei coniugi (5 articoli)
www.senato.it/japp/bgt/showdoc/18/DDLPRES/0/1067274/index.html
(282) Vanna Iori – Introduzione dell’articolo 706-bis del codice di procedura civile e altre disposizioni in materia di mediazione familiare (6 articoli)
www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/01067661.pdf
(735) Simone Pillon ed altri. – Norme in materia di affido condiviso, mantenimento diretto e garanzia di bigenitorialità (23 articoli)
www.senato.it/service/PDF/PDFServer/BGT/01071882.pdf
(768) Maria Alessandra Gallone ed altri. – Modifiche al codice civile e al codice di procedura civile in materia di affidamento condiviso dei figli e di mediazione familiare (14 articoli)
www.senato.it/japp/bgt/showdoc/18/DDLPRES/0/1074423/index.html
26 settembre 2018. Seguito della discussione congiunta sospesa nella seduta del 10 settembre dei disegni di legge nn. 45, 735 e 768, congiunzione dei disegni di legge nn. 118 e 282 e rinvio
Il relatore Pillon (Lega), illustra il disegno di legge n. 118 (De Poli). Gli articoli da 1 a 4 disciplinano l’istituto della mediazione familiare. Più nel dettaglio l’articolo 1 del disegno di legge, pertanto, reca la definizione di mediazione familiare. Essa si sostanzia nell’attività, svolta da un mediatore familiare (un professionista qualificato e terzo rispetto alle parti) per ristabilire le comunicazioni fra i coniugi o i conviventi al fine di pervenire a un accordo tra le parti avente per contenuto un progetto condiviso, equilibrato, concretamente realizzabile e duraturo, di organizzazione delle relazioni personali, genitoriali, nel caso di presenza di figli, e materiali, dopo la chiusura del rapporto di coniugio o di convivenza. Nella realizzazione dell’accordo di mediazione, i mediatori familiari sono tenuti a prestare particolare attenzione e a dare priorità agli interessi e ai bisogni degli eventuali figli. I mediatori- precisa la disposizione- devono essere “professionisti particolarmente e specificatamente esperti nelle tecniche di mediazione, di negoziazione e di problem solving, in possesso di conoscenze approfondite in diritto, in psicologia e in sociologia con particolare riferimento ai rapporti familiari e genitoriali”. L’articolo 2, con riguardo al procedimento di mediazione familiare, prevede che esso debba avere carattere informale e riservato. Nessun atto o documento, prodotto da una parte durante le diverse fasi della mediazione, può essere acquisito dalle altre parti in un eventuale giudizio. Il mediatore familiare, le parti e gli eventuali soggetti che li hanno assistiti durante il procedimento, non possono essere chiamati a testimoniare in giudizio su circostanze relative al procedimento di mediazione svolto. L’articolo 3 stabilisce specifici requisiti per l’esercizio dell’attività di mediazione familiare. Per l’accesso all’esercizio della professione si prevede l’obbligatorietà della laurea specialistica in determinate discipline, con l’aggiunta di specifici corsi biennali post universitari della durata di almeno 350 ore. In via transitoria, fino alla data di entrata in vigore della legge potranno accedere alla professione anche i soggetti in possesso di una laurea specialistica e di un diploma rilasciato a seguito della partecipazione ad un corso annuale di almeno 500 ore riconosciuto dalle regioni di residenza. È previsto, altresì, che il possesso del titolo di mediatore familiare e la conseguente abilitazione all’esercizio della professione, siano accertati mediante l’obbligo, posto a carico delle regioni, di istituire elenchi pubblici degli organismi di mediazione familiare e dei mediatori professionisti. Con l’articolo 4, che introduce nel codice di procedura civile l’articolo 708-bis, viene regolamentata la procedura che rende obbligatorio, ai fini della prosecuzione del processo, l’invito alle parti interessate a ricorrere alla mediazione familiare. L’articolo 5, infine, modificando l’articolo 337-octies del codice civile, definisce in maniera più puntuale l’obbligo, per il giudice, di tenere conto dell’opinione dei figli minori. La disposizione prevede inoltre specifiche modalità operative e logistiche per la loro audizione.
Ricorda che in materia di mediazione familiare interviene, poi, anche il Disegno di legge n. 282 (Iori), che illustra. Nel merito il provvedimento si compone di sei articoli. L’articolo 1 precisa la finalità dell’intervento legislativo: la proposta di legge si propone di sostenere la genitorialità in caso di separazione o di cessa (zione di una convivenza, tramite lo strumento della mediazione familiare e conformemente alle convenzioni e alle raccomandazioni dell’Unione europea, affinché tutte le madri e i padri possano rimanere in condizione di cogenitorialità, anche in caso di separazione di coppia, al fine di garantire il superiore interesse affettivo, educativo e materiale dei figli. L’articolo 2 individua le caratteristiche della mediazione familiare, con previsioni analoghe a quelle dettate dal disegno di legge n. 118. La mediazione familiare si pone i seguenti obiettivi: aiutare la coppia genitoriale a elaborare un progetto condiviso e consensuale di cogenitorialità nella separazione attraverso una metodologia mirata alla gestione del conflitto avendo come obiettivo specifico l’interesse dei figli; garantire ai figli il mantenimento di rapporti significativi e regolari con entrambi i genitori, ricevendo cure, affetto, educazione e istruzione; aiutare la coppia genitoriale a cogliere i bisogni e le manifestazioni emotive dei figli evitandone la strumentalizzazione nel conflitto; prevenire negligenze e violenze psicologiche, anche inconsapevoli, che possono esporre i figli al rischio di danni emotivi, nonché di comportamenti sociali devianti. L’articolo 3, reca i requisiti di formazione dei mediatori familiari. I mediatori devono essere in possesso di laurea specialistica in discipline psicologiche, pedagogiche o giuridiche, nonché di una formazione specifica e certificata per l’esercizio della mediazione familiare di almeno 250 ore ripartite in modo tale da favorire l’assimilazione delle competenze acquisite. La formazione relativa alla mediazione familiare è demandata a docenti universitari specialisti nell’ambito delle discipline psicologiche, pedagogiche, giuridiche o economiche con comprovata esperienza nel campo delle problematiche della famiglia e dei minori; e a mediatori familiari professionisti in attività. Possono altresì esercitare l’attività di mediazione familiare coloro che, alla data di entrata in vigore della presente legge, sono in possesso di un titolo di mediatore familiare riconosciuto dalla regione di residenza. La disposizione precisa che le competenze necessarie nel percorso formativo del mediatore professionista devono, fra gli altri, comprendere: aspetti psicologici della coppia e dello sviluppo del minorenne; aspetti sociologici dell’evoluzione della famiglia; aspetti pedagogici delle relazioni genitoriali e infine aspetti legati all’impatto delle separazioni sulle dinamiche familiari e in particolar modo sui figli. L’articolo 4, introduce nel codice di rito l’articolo 706-bis materia di mediazione familiare. La disposizione prevede, in particolare, che qualora vi siano figli minorenni e vi sia disaccordo nella fase di elaborazione di un affidamento condiviso, la parte ricorrente o le parti congiuntamente hanno l’obbligo, prima di adire il giudice e fatti salvi i casi di assoluta urgenza o di grave e imminente pericolo per l’integrità psico-fisica dei figli minorenni o del ricorrente, di adire un organismo di mediazione familiare, nonché di partecipare ad almeno tre incontri volti a fornire sostegno alla genitorialità nella separazione e al raggiungimento di un accordo sulla nuova organizzazione familiare, nell’esclusivo interesse del figlio o dei figli. L’articolo 5 disciplina l’istituto della mediazione familiare nelle procedure di negoziazione assistita, prevedendo, anche in questo caso, l’obbligo per i coniugi di adire un organismo di mediazione familiare, nonché di partecipare ad almeno tre incontri volti a fornire sostegno alla genitorialità nella separazione e al raggiungimento di un accordo sulla nuova organizzazione familiare, nell’esclusivo interesse dei figli. L’articolo 6, infine, prevede l’istituzione presso ogni azienda sanitaria locale, di un servizio di mediazione familiare, ad accesso libero e gratuito, idoneo a svolgere gli obbligatori tentativi di mediazione familiare (sia giudiziale che in sede di negoziazione assistita).
La Commissione conviene, stante l’attinenza di materia, di discutere tali disegni di legge insieme con il seguito della discussione congiunta dei disegni di legge nn. 45 e connessi.
Il seguito della discussione congiunta è quindi rinviato.
www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=SommComm&leg=18&id=1076269
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PASTORALE
Francesco: la pastorale si apra anche alle coppie di conviventi
Il discorso a parroci, diaconi, sposi e operatori di pastorale: «Urgente avviare un serio cammino di preparazione». Ma di fronte a gravi problemi giusta l’indicazione per la nullità
Per il matrimonio serve un catecumenato permanente, cioè un accompagnamento senza interruzione, ben strutturato, che riguardi la preparazione, la celebrazione e i tempi successivi. Ad occuparsene dovranno essere i sacerdoti e, in misura diversa, l’intera comunità.
Ma non bisogna dimenticare che gli ambiti della pastorale familiare sono sempre più vasti e non possono non comprendere, incontrare ed accogliere, «assumendo lo stile proprio del Vangelo», anche quei giovani – e meno giovani – «che scelgono di convivere senza sposarsi».
L’ha spiegato oggi Francesco a San Giovanni in Laterano dove ha rivolto un discorso ai parroci, ai diaconi permanenti, agli sposi e agli operatori di pastorale familiare che hanno preso parte al corso di formazione promosso dalla diocesi di Roma e dalla Rota Romana su “matrimonio e famiglia”. Il Papa, dopo aver ricordato di aver sviluppato con ampiezza il tema nell’Amoris lætitia, ha auspicato un rinnovamento dei percorsi di preparazione al matrimonio, rallegrandosi con quelle comunità che, dopo la pubblicazione dell’Esortazione postsinodale, hanno rinnovato la loro proposta.
«È importante – ha detto – offrire ai fidanzati la possibilità di partecipare a seminari e ritiri di preghiera, che coinvolgano come animatori, oltre ai sacerdoti, anche coppie sposate di consolidata esperienza familiare ed esperti di discipline psicologiche». Importante perché oggi troppi giovani, di fronte alle prime difficoltà, evidenziano fragilità «da ricercare non solo in una immaturità nascosta e remota esplosa improvvisamente, ma soprattutto nella debolezza della fede cristiana e nel mancato accompagnamento ecclesiale».
Un vuoto pastorale che determina in alcuni giovani una tardiva presa di consapevolezza tanto che, «quando si rendono conto di non aver compreso pienamente quello che andavano ad iniziare», scoprono paure e inadeguatezze che determinano la crisi della relazione. Per questo Francesco ha ribadito con forza la necessità «di un catecumenato permanente per il sacramento del matrimonio che riguarda la sua preparazione, la celebrazione e i primi tempi successivi». Con un cammino condiviso tra «sacerdoti, operatori pastorali e sposi cristiani».
Un impegno pastorale considerevole che dovrà essere assunto come impegno stabile e strutturale da parte delle comunità. Il Papa ha anche spiegato quali dovranno essere i contenuti di questa preparazione continua (va ripresa la catechesi dell’iniziazione cristiana perché «il più delle volte il messaggio cristiano è tutto da scoprire») e quali dovranno essere le modalità dei percorsi (sincero atteggiamento di accoglienza, linguaggio adeguato, presentazione chiara dei contenuti).
Ma dopo i primi anni di matrimonio, di fronte a giovani che «sperimentano seri problemi nella loro relazione», occorre offrire «indicazioni adeguate per intraprendere il processo di nullità» grazie alla normativa del nuovo processo matrimoniale che richiede di «essere applicato concretamente e indistintamente» per la salvezza delle anime.
http://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2018/september/documents/papa-francesco_20180927_corso-rotaromana.html
Luciano Moia Avvenire 27 settembre 2018
www.avvenire.it/papa/pagine/papa-francesco-matrimonio-e-convivenze
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SINODO DEI VESCOVI SUI GIOVANI
Il Sinodo per ascoltare in presa diretta i giovani.
“I giovani non sono un problema ma una risorsa”. Papa Francesco lo scrive nella presentazione del libro: “Carissimo Vescovo – 100 giovani scrivono e i vescovi rispondono” di Marco Pappalardo, giornalista e docente siciliano. Una pubblicazione che mette insieme opinioni, pareri e domande dei giovani italiani e non, rivolti a vescovi di varie diocesi.
Accogliere le voci dei giovani. Francesco sottolinea la necessità di “ascoltare in presa diretta le loro voci: molte volte critiche e preoccupanti, altre semplicemente illuminanti”. Da qui la scelta di convocare, dal 3 al 28 ottobre 2018 in Vaticano, un Sinodo dedicato ai giovani sul tema: “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”. “La Chiesa e io per primo, insieme ai vescovi e agli educatori – scrive il Pontefice – abbiamo scelto di metterci nell’atteggiamento di massima accoglienza delle loro opinioni perché crediamo che debbano diventare sempre più soggetti attivi e protagonisti non solo della propria vita ma anche della Chiesa”.
In loro il sussurro della voce di Dio. Ricordando il percorso iniziato nel 2016 con la convocazione del Sinodo, l’analisi delle risposte al questionario rivolto ai giovani e infine la Riunione presinodale con oltre 300 giovani di tutto il mondo, collegati anche attraverso i social, Francesco rimarca l’invito a parlare “senza filtri”. Sul libro di Pappalardo afferma che le testimonianze raccolte “sono i pensieri, le critiche, i sogni che ho fatto miei e in cui ritrovo la loro vita ma anche l’eco e il sussurro della voce di Dio”.
Annullare la distanza di sicurezza. “Le lettere, le e-mail, i messaggi raccolti dall’autore – scrive il Papa – sono coraggiosi e diretti e superano la distanza di sicurezza tra i giovani e gli adulti. In essi emergono storie, volti, illusioni, progetti e speranze e non semplici astrazioni, dati statistici e percentuali”. Francesco fa suo l’appello dei ragazzi che chiedono agli adulti vicinanza e aiuto nei momenti importanti e considera convincenti anche le risposte dei vescovi, in grado di “capire meglio ciò che Dio e la storia” fanno comprendere attraverso i giovani.
Franchezza e faccia tosta. Mettersi a confronto – come accaduto nel libro – “con franchezza e in tutta libertà, persino con faccia tosta” è la lunghezza d’onda da cogliere “per uscire verso le periferie dei cuori, prendendo sul serio ogni battito di chi con fatica ogni giorno costruisce la propria storia”. “È il Vangelo! – scrive il Papa – E’ ciò che ha vissuto Gesù! È lo sguardo di ogni autentico pastore e dell’intera comunità cristiana che si sentono responsabili della cura delle nuove generazioni, mettendosi autenticamente in gioco, dedicando tempo e risorse, dando testimonianza credibile”.
Insieme per condividere un sogno. “Se un piccolo gruppo di vescovi – conclude Francesco – si è lasciato coinvolgere da 100 giovani che hanno avuto il coraggio di dire ciò che pensano, quanto più possiamo fare se collaboriamo tutti per costruire una comunità che dialoga, si confronta e agisce insieme con coraggio e trasparenza”. E’ la condivisione di un sogno comune per camminare insieme – sottolinea il Papa – affiancati da Gesù “come quel giorno i due discepoli sulla strada di Emmaus”.
Benedetta Capelli – Città del Vaticano Vatican news 28 settembre 2018
www.vaticannews.va/it/papa/news/2018-09/papa-francesco-giovani-sinodo-libro.html
Giovani: card. Baldisseri, l’attuazione di nuove strategie pastorali è via obbligata
“Cresce nella Chiesa la consapevolezza che per accompagnare i giovani servono, oltre alle persone, strutture di animazione capaci di attrazione”. Lo ha sottolineato il card. Lorenzo Baldisseri, segretario del Sinodo dei vescovi, per il quale nell’ambito della pastorale giovanile “l’attuazione di nuove strategie è una via obbligata”.
Intervenendo alla presentazione di “Inquieti sognatori”, curato da padre Vito Magno, il card. Baldisseri ha evidenziato che “la pastorale giovanile non può più essere rivolta solo ai ragazzi più disponibili, ma c’è un lavoro da fare per mettere i giovani credenti a contatto con il mondo esterno e con le frontiere della solidarietà”. “Non bisogna solo coltivare i ragazzi vicini, ma occorre andare nei luoghi dove essi sono”, ha ribadito il porporato esortando ad elaborare “una proposta formativa che ricalchi i tratti del documento pre-sinodale”.
Secondo il card. Baldisseri, il testo firmato da padre Magno che raccoglie le conversazioni con i giovani e sui giovani, curate per Radio Vaticana Italia, “è pensato per gli adulti, per coloro che hanno il compito di non tarpare le ali ai sogni dei giovani, che devono indicare l’orizzonte”. “Le analisi del libro – ha osservato – mettono in evidenza la rilevanza del Sinodo per chi è impegnato nel mondo giovanile”. È necessario “ricostruire l’alleanza tra la Chiesa e i giovani”, ha aggiunto il card. Baldisseri ricordando che “nel cuore del Papa i giovani non sono solo oggetto di attenzione, ma soggetti indispensabili nell’evangelizzazione”. “Il Papa vuole che la Chiesa si dedichi a loro, che siano protagonisti e attori nei processi di formazione e di assunzione di responsabilità”, ha affermato il cardinale che ha fatto riferimento alla riunione pre-sinodale “che ha visto la partecipazione di 300 giovani dei cinque continenti e 15mila attraverso o social”. “Abbiamo constatato – ha concluso – la gioia dei ragazzi per le risposte del Papa e per le sue parole di stimolo ai valori del sacrificio e della lotta per la libertà e la giustizia”.
Agenzia SIR 26 settembre 2017
agensir.it/quotidiano/2018/9/26/giovani-card-baldisseri-lattuazione-di-nuove-strategie-pastorali-e-via-obbligata
Sinodo: Accattoli (vaticanista), argomento importante a cui si dà poco rilievo
Il tema del Sinodo – giovani, fede e discernimento vocazionale – “è molto importante, forse più di quello sulla famiglia, ma c’è poca attenzione ed è molto meno sentito”. Lo ha rilevato Luigi Accattoli, storico vaticanista del Corriere della Sera, che è intervenuto alla presentazione del volume “Inquieti sognatori. I giovani nella Chiesa di Papa Francesco” curato da padre Vito Magno ed edito dalla Lev. Questo, ha osservato il giornalista, “è grave” perché “l’argomento è fondamentale” in quanto “la questione giovanile è più grande di quella della famiglia”. Secondo Accattoli, la scarsa rilevanza attribuita al Sinodo dai media e dall’opinione pubblica “dice la difficoltà della comunità cattolica a parlare dei giovani”. In quest’ottica, “è provvidenziale la scelta fatta da Papa Francesco che sprona a trattare un tema scomodo”.
“L’alleanza da ricostruire tra Chiesa e giovani passa per quei sentieri di morte che tanti giovani si trovano a percorrere. Penso all’impossibilità di trovare una casa, un lavoro, una speranza. Solo percorrendo insieme questo Calvario li aiuteremo a non smettere di sognare, a non rassegnarsi ad una vita da spettatori”, scrive il card. Gualtiero Bassetti nella prefazione del libro di padre Magno che raccoglie conversazioni con i giovani e sui giovani, curate per Radio Vaticana Italia, prendendo spunto da oltre sessanta pensieri di Papa Francesco espressi in varie circostanze.
https://agensir.it/quotidiano/2018/9/26/sinodo-accattoli-vaticanista-argomento-importante-a-cui-si-da-poco-rilievo/
Giovani, we care ! [vi abbiamo a cuore]
L’indizione per il prossimo mese di ottobre di un Sinodo su «I giovani, la fede e il discernimento vocazionale» ha consentito alla Chiesa italiana (e non solo) d’accendere i riflettori su una questione mai del tutto taciuta, ma bisognosa di una ripresa più onesta e approfondita: quella del rapporto tra i giovani e la fede cristiana. Come questa rassegna bibliografica cercherà di mostrare, le pubblicazioni in materia hanno preceduto l’annuncio legato al Sinodo; insieme, lo hanno propiziato e hanno suggerito alcune delle provocazioni del Documento preparatorio del gennaio 2017.
L’indizione per il prossimo mese di ottobre di un Sinodo su «I giovani, la fede e il discernimento vocazionale» ha consentito alla Chiesa italiana (e non solo) d’accendere i riflettori su una questione mai del tutto taciuta, ma bisognosa di una ripresa più onesta e approfondita: quella del rapporto tra i giovani e la fede cristiana. Come questa rassegna bibliografica cercherà di mostrare, le pubblicazioni in materia hanno preceduto l’annuncio legato al Sinodo; insieme, lo hanno propiziato e hanno suggerito alcune delle provocazioni del Documento preparatorio del gennaio 2017.
La presentazione che segue classifica i testi analizzati, appartenenti soprattutto alla produzione italiana, in quattro aree:
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La situazione culturale e gli stili di vita dei giovani;
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La condizione religiosa del mondo giovanile
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Le riflessioni sistematiche sulla pastorale giovanile;
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I profili della testimonianza ecclesiale (stili e pratiche).
Giovani, ruota di scorta. Il lavoro di Franco Garelli, Educazione (Il Mulino, Bologna 2017, pp. 157) interpella le principali agenzie educative, come la scuola e la Chiesa, oltre alla famiglia cui spetta un ruolo preminente, a un compito d’accostamento della realtà giovanile che non si rinchiuda troppo rapidamente nell’uso di alcune etichette.
Unendo la conoscenza derivante dalle molteplici indagini condotte sulla società italiana con l’esperienza personale d’incontro con il mondo dei giovani, l’autore suggerisce di cercare l’originalità di questi ultimi in alcuni dinamismi che, seppur spiazzanti, appaiono promettenti, quantomeno aperti: i giovani sono in ricerca, tendenzialmente attenti al confronto con persone – più che con idee astratte – che sappiano trasmettere loro delle ragioni di vita.
Pronti a vagliare l’autenticità dell’adulto che a essi si rapporta, manifestano delle appartenenze molteplici con una composizione «a mosaico» più che dal baricentro definito. Hanno un rapporto debole con le istituzioni soprattutto quando queste limitano la loro autonomia; l’appartenenza a esse, quando si dà, risulta intermittente.
La prosecuzione di un confronto che vada oltre gli stereotipi chiede di provare a entrare nello specifico degli stili di vita dei giovani. In questa direzione appare molto utile lo strumento del Rapporto giovani. Ereditando l’istanza onorata fino al 2004 dall’Istituto IARD, il Rapporto intende offrire uno sguardo ampio e disteso nel tempo della realtà dei millennials, ovvero dei giovani che hanno compiuto i 18 anni dal 2000 in poi.
Attraverso una metodologia che unisce attenzione qualitativa e affondo quantitativo, sono state elaborate due tranche di osservazioni: la prima ha riguardato il biennio 2013 e 2014; la seconda il triennio 2015-2017. La condizione giovanile in Italia. Rapporto giovani 2018 (Il Mulino, Bologna 2018, pp. 259; cf. Regno-att. 10,2018,266), curata dall’Istituto Giuseppe Toniolo, è l’ultima pubblicazione, relativa all’anno 2017.
In maniera analoga alle edizioni precedenti, il testo prende in esame alcune dimensioni fondamentali della galassia giovanile (i riferimenti valoriali, l’esperienza scolastica e il suo legame con il mondo del lavoro, le competenze trasversali che i giovani ricercano per la vita, il rapporto con la politica). Seguono alcuni approfondimenti più specifici: l’ostilità in rete, la posizione dei giovani rispetto a immigrazione e multiculturalismo, il loro pensiero a proposito della procreazione medicalmente assistita, il loro orientamento religioso (partecipazione e appartenenza).
In generale, emerge il quadro di una società italiana che, anche per differenza rispetto ad altri paesi europei, «viaggia usando le nuove generazioni come ruota di scorta anziché come motore» (135).
Come risulta scorrendo trasversalmente il Rapporto giovani degli ultimi anni, decisivo per la galassia giovanile è il tema del lavoro. A esso è dedicato lo studio di Gianfranco Zucca (a cura di), Il ri[s]catto del presente. Giovani e lavoro nell’Italia della crisi (Rubbettino, Soveria Mannelli [CZ] 2018, pp. 217). L’indagine, condotta dall’Istituto di ricerche educative e formative fondato nel 1968 dalle ACLI, ricostruisce alcune tendenze dello scenario occupazionale attuale per la fascia dei diciotto-ventinovenni: la riduzione della base occupazionale; lo scoraggiamento con conseguente auto-esclusione dal mercato del lavoro; la crescita di impieghi che non tutelano il giovane; l’aumento di forme occupazionali intermittenti e di breve durata.
Ne deriva una situazione di percepita precarietà; neppure i titoli acquisiti garantiscono un’occupazione. Risulta perciò difficile il raggiungimento di una stabilità di vita al punto che, anche per chi possiede un lavoro, non si registra la percezione di una «carriera». Da tenere sotto controllo anche il fenomeno dell’auto-sospensione dei diritti: tra i giovani è diffusa l’idea che «quando il lavoro manca o è a rischio si possa accettare qualsiasi cosa» (127).
Non rassegnati. Merita attenzione anche la posizione dei giovani rispetto alle questioni affettive e sessuali. In modo originale ne tratta Thérèse Hargot, Una gioventù sessualmente liberata (o quasi), Sonzogno, Venezia 2017, pp. 170 (cf. Regno-att. 16,2017, 485; 18,2017,518). La sessuologa belga, analizzando la realtà giovanile con un necessario sconfinamento in quella più propriamente adolescenziale, contesta l’idea che la liberazione sessuale degli anni Sessanta del secolo scorso abbia abolito i tabù che imprigionavano l’esperienza. A suo avviso, infatti, l’attuale ideologia sessuale ha introdotto una pluralità di imperativi tra cui: la pornografia come primo accesso all’esperienza sessuale, la facilità del rapporto sessuale stesso, il condizionamento della performance, il giogo della definizione dell’orientamento sessuale. L’esito di questi fattori è un senso di asfissia: «Li abbiamo angosciati, non sono mai stati tanto alienati nella caricatura di se stessi» (140).
In ordine a un confronto con gli stili di vita dei giovani, appare interessante anche il testo di Umberto Galimberti, La parola ai giovani. Dialogo con la generazione del nichilismo attivo (Feltrinelli, Milano 2018, pp. 329). Si tratta della (parziale) ritrattazione di un saggio precedente dello stesso autore sul nichilismo dei giovani (L’ospite inquietante. Il nichilismo e i giovani, Feltrinelli, Milano 2007).
A distanza di dieci anni, Galimberti rileva che culturalmente non è cambiato molto, ma che non pochi giovani sono passati «dal nichilismo passivo della rassegnazione al nichilismo attivo di chi non misconosce e non rimuove l’atmosfera pesante del nichilismo senza scopo e senza perché, ma non si rassegna e si promuove in tutte le direzioni nel tentativo molto determinato di non spegnere i propri sogni» (13).
Di tale processo sono attestazione le circa 70 lettere di giovani (e adolescenti) che, corredate dalle relative risposte, l’autore organizza secondo alcune tematiche maggiori: la gelosia dei giovani verso alcuni loro sogni e la passione di realizzarli; la presa di distanza da una generazione adulta di rassegnati; l’attaccamento ad alcuni valori; il legame non ingenuo con il mondo digitale; il rapporto conflittuale con un sistema scolastico che non motiva; la reazione contro l’assolutizzazione del lavoro, della produzione e del consumo; le fatiche dell’esperienza dell’amore e della ricerca di sé tra felicità e sofferenza; la questione confusa delle domande ultime e della morte.
Alla ricerca di senso. Con lo sguardo relativo alle condizioni di vita dei giovani interagisce l’analisi che assume come referente specifico l’orientamento religioso degli stessi. Al saggio di Armando Matteo,La prima generazione incredula. Il difficile rapporto tra i giovani e la fede (Rubbettino, Soveria Mannelli [2009], pp. 104) va riconosciuto il merito d’aver riaperto, ben prima dell’indizione del Sinodo, la riflessione sulla questione giovanile. Il testo si concentra attorno all’affermazione radicale secondo cui, anche in Italia, saremmo ormai di fronte alla prima generazione incredula (quella dei nati tra gli anni 1980 e 1990), caratterizzata da una incredulità e anaffettività («assenza di antenne») nei confronti di Dio e della Chiesa. La ragione viene rinvenuta nella frattura della catena di trasmissione tra le generazioni: i genitori di questi giovani, figli del Sessantotto, hanno elaborato uno stile di vita, ormai estraneo al cristianesimo, di cui il giovanilismo è eloquente espressione.
Anche la Chiesa manifesta un’evidente fatica ad assumere il cambio di paradigma pastorale e a fare della questione giovanile un capitolo d’interesse preminente. A fronte dello scalpore suscitato, nel 2017 Matteo ha elaborato una seconda edizione del testo che, al di là di alcune variazioni linguistiche, riproduce nella quasi totalità la prima versione. Merita tuttavia attenzione l’Appendice (89-106) in cui egli replica ad alcune obiezioni rivolte al suo primo saggio e precisa alcune espressioni. Ad esempio, egli osserva che l’immagine dell’«assenza di antenne» si riferisce alla constatazione secondo cui, là dove il giovane decide di sé, il riferimento al Vangelo è pressoché assente (in tal senso egli è un incredulo), nonostante la Chiesa continui a dare per scontata un’educazione religiosa di matrice familiare.
L’incompetenza educativa della generazione adulta, anche in ambito intra-ecclesiale, e la rincorsa del mito del giovanilismo – «il nostro è un tempo che ama la giovinezza più dei giovani» (23) – è analizzato sempre da Matteo in Tutti muoiono troppo giovani. Come la longevità sta cambiando la nostra vita e la nostra fede (Rubbettino, Soveria Mannelli [2016], pp.104).
Una presa di distanza da queste posizioni di Matteo è presentata in Alessandro Castegnaro,Giovani in cerca di senso. Vite spirituali delle nuove generazioni, (Qiqajon, Magnano [BI] 2018, pp.127). L’autore non contesta i dati acquisiti nelle numerose indagini (erosione della posizione della certezza nel credere, fine di una pratica religiosa assidua e di un’appartenenza ecclesiale convinta), ma li interpreta come l’emblema della contemporanea dissociazione tra l’appartenere a una istituzione religiosa e il vivere un’esperienza del divino.
La posizione ecclesiocentrica di Matteo – a suo avviso – impedisce di cogliere che i giovani si muovono oggi in una ricerca spirituale che appartiene a una «terra di mezzo» tra credulità ed incredulità. Essi si situano fuori dalla dipendenza istituzionale e dalla pretesa dell’istituzione di normare l’esperienza religiosa, ma non al di fuori di un’esperienza spirituale tout court. Alla Chiesa spetta il compito di ascoltare questa dissociazione e di cogliere la trasformazione della domanda di salvezza, oggi molto più interessata alla ricerca del sé e alla questione del senso più che all’aldilà e agli orientamenti morali. Nella seconda parte del testo, più propositiva, l’autore espone in 10 punti il cambio di sguardo a cui la Chiesa dovrebbe allenarsi. Con un’affermazione che andrebbe meglio tematizzata per le implicazioni teologiche che possiede, conclude: «Dovremmo provare a passare da una Chiesa preoccupata soprattutto di fare discepoli, verso una Chiesa che aiuta a venire alla vita» (122).
Fuori dal recinto. Le tesi esposte sinteticamente da Castegnaro in questo breve saggio trovano appoggio nelle più ampie analisi presentate in Alessandro Castegnaro, Giovanni Dal Piaz, Enzo Biemmi, Fuori dal recinto. Giovani, fede, chiesa: uno sguardo diverso (Ancora, Milano 2013, pp. 208). L’immagine dell’«uscita dal recinto», in analogia a quella della «terra di mezzo», si vuole smarcare sia dall’idea di un’assoluta lontananza dei giovani dalla questione di Dio sia da quella di una loro deriva etica.
Attraverso il riferimento ad alcuni valori significativi, come il «rispetto», emerge un’attenzione spirituale ma poco religiosa, e dunque la presa di distanza dalla forma definita dell’educazione cattolica ricevuta. Della Chiesa emerge un’immagine poco attraente: potere non trasparente, fastosità e sfarzo, rigidità, chiusura, arretratezza, vecchiaia, ipocrisia e ipertrofia normativa (121-160).
Viene invece apprezzata la sua capacità di custodire valori umani fondamentali. Si ricorda che questo testo nasce da un’indagine molto accurata svolta dall’Osservatorio socio-religioso Triveneto, ente di ricerca sostenuto dalle Chiese del Nord-est, e che si è avvalsa di questionari, focus groups e interviste qualitative svolte in casa di giovani dai 18 ai 29 anni.
Abbondanti stralci delle interviste condotte sono presentati nel testo di Alessandro Castegnaro (a cura di), «C’è campo?». Giovani, spiritualità, religione (Marcianum, Venezia 2010, pp. 626).
Sempre in ambito italiano, va recensito il testo curato all’interno dell’Università cattolica da Rita Bichi, Paola Bignardi (a cura di), Dio a modo mio. Giovani e fede in Italia, (Vita e Pensiero, Milano 2015, pp. 188; cf. anche Regno-att. 16,2017,499). Attraverso l’analisi dei racconti di vita raccolti con un’articolata indagine qualitativa, viene indagato il vissuto religioso dei giovani. La prima parte del volume è dedicata alla fede vissuta, ovvero all’analisi di alcuni percorsi inediti che la fede dei giovani oggi disegna. La seconda parte coglie, di questi stessi percorsi, le dinamiche in atto a proposito del rapporto con la Chiesa, i sacerdoti, la famiglia e la comunità cristiana. Nonostante la quasi totalità dei giovani intervistati manifesti della fede – ma non necessariamente anche della Chiesa – un’immagine positiva, emerge in maniera inequivocabile la forte discontinuità (rottura) che questa generazione introduce rispetto al passato e rispetto all’educazione ricevuta.
In questa direzione si segnala anche l’indagine sempre di Franco Garelli, Piccoli atei crescono. Davvero una generazione senza Dio? (Il Mulino, Bologna 2016, pp. 231). L’autore si sofferma, in particolare, sull’aumento del fenomeno della «non credenza» tra i giovani. Al 28% di giovani italiani tra i 18 e i 29 anni che attualmente dichiara di non credere in Dio va aggiunto l’ateismo pratico o d’indifferenza religiosa che coinvolge il 10-15% dei giovani che dichiarano un qualche legame col cattolicesimo; si sfiora quindi complessivamente il 40% di «non credenza». Più che una assenza di formazione religiosa, emerge da molti una deliberata rottura con essa.
Fuori dall’istituzione- La raccolta di studi di Giovanni Dalpiaz, «Volete andarvene anche voi?». La fede dei giovani e la vita religiosa (EDB, Bologna 2017, pp. 206) non nega la situazione di crisi, ma problematizza la posizione di Matteo precedentemente esposta, indicando la necessità di studiare più adeguatamente i percorsi dei giovani credenti d’oggi che manifestano una religiosità «fluida, mobile, curiosa ma anche incerta» (68).
A fronte di questa trasformazione si comprende anche l’attuale crisi delle vocazioni che l’autore riconduce alla convergenza di alcuni fattori: la diminuzione delle nascite, l’affievolirsi nelle famiglie dell’impegno per la formazione religiosa dei figli, il poco fascino esercitato dall’idea di vocazione in favore di un impegno «a tempo»; il basso interesse per il coinvolgimento nella dimensione istituzionale dell’esperienza di fede costitutiva della vita presbiterale o religiosa.
Chiude la raccolta una terza parte dedicata alla crisi, analizzata soprattutto in termini quantitativi, della vita religiosa e del monachesimo femminile.
In ambito francofono si segnala, per consonanza di prospettive, il libro di Jean-François Barbier-Bouvet, Les nouveaux aventuriers de la spiritualité. Enquête sur une soif d’aujourd’hui (Médiaspaul, Paris 2015, pp. 245). La ricerca propone i risultati qualitativi di un’indagine condotta attraverso un questionario sottoposto a 6.000 giovani che hanno frequentato di recente delle sessioni e delle attività di ricerca spirituale. Emerge con forza il dato di una ricomposizione spirituale che, lungi dal ridursi a un banale sincretismo, ha un’organicità il cui principio d’unità sta nell’itinerario di ricerca di senso della persona e non più nell’istituzione con il suo sistema dottrinale. Il testo apre inoltre la domanda relativa alle trasformazioni ulteriori che si produrranno con il passaggio da una generazione della dimenticanza (che ha abbandonato il riferimento a una specifica tradizione religiosa) a una generazione dell’ignoranza (che non conosce più un sistema religioso codificato).
In ambito anglofono, interessante lo studio di Christian Smith et al., Young Catholic America.Emerging Adults In, Out of, and Gone from the Church (Oxford University Press, New York 2014, pp. 326). Della fascia degli emerging adults, che di per sé designerebbe i diciotto-ventinovenni, il testo considera soprattutto il range 18-23 anni. Si registra l’influsso molto forte della generazione dei genitori, appartenenti proprio a quella generazione a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta del secolo XX con cui si è realizzato il passaggio a un nuovo paradigma di religiosità, di cui il calo drastico della partecipazione stabile alla messa è uno dei segnali più evidenti. I giovani di oggi ne risentono profondamente e ciò emerge, in particolare, con l’uscita dall’adolescenza. Con il cambio dell’età, infatti, la continuità dell’esperienza religiosa diventa tutt’altro che scontata; anche l’influsso esercitato dalla frequentazione di scuole cattoliche si affievolisce.
Possono ancora incidere, eventualmente, il legame positivo con figure adulte significative, alcuni processi precedenti d’interiorizzazione e il legame con alcune pratiche religiose capaci di alimentare la vita spirituale del singolo.
Giovani a Dio, Dio ai giovani. Merita una menzione particolare il tentativo di un percorso teorico-pratico di pastorale giovanile proposto nel testo di Rossano Sala (con Antonio Bozzolo, Roberto Carelli, Paolo Zini), Pastorale giovanile 1. Evangelizzazione ed educazione dei giovani. Un percorso teorico-pratico (LAS, Roma 2017, pp.448). L’autore intende offrire una riflessione che aiuti «a portare i giovani a Dio e Dio ai giovani, attraverso un percorso fedele alla pienezza della rivelazione e creativo rispetto al momento culturale che stiamo vivendo» (10). Essa si distende dunque tra due fuochi: la fedeltà alla Rivelazione e il confronto con la specificità della situazione culturale. Sala eredita l’impostazione del salesiano Riccardo Tonelli e il suo guadagno di una pastorale giovanile «della prossimità, della condivisione e della animazione» (8), ma allo stesso tempo cerca di superarne il limite: il rischio di sottodeterminare la Pasqua a vantaggio della «sola» incarnazione. Il nodo teorico attorno a cui la proposta si concentra è dunque quello della donazione di Gesù che, senza perdere il realismo dell’incarnazione, onora la drammaticità del plesso croce-risurrezione.
Da qui viene ripensata la questione della trasmissione della fede ai giovani. Il percorso si dispone secondo tre passaggi. Alla prima parte del testo spetta l’evidenziazione dei cardini teorici attraverso il contributo dei tre co-autori (Bozzolo, Carelli e Zini). Il guadagno consiste in un’adeguata articolazione del rapporto tra evangelizzazione ed educazione secondo una reciprocità originaria. L’evangelizzazione ha una dimensione educativa poiché dà forma alla libertà; l’educazione, per non ridursi a istruzione o sola socializzazione, mira alla coscienza e dunque chiama in causa la determinazione religiosa. Il mezzo è rappresentato dalla visione culturale che la fede elabora: essa non è deducibile dal Vangelo, poiché non si dà che nella complessità delle mediazioni in cui si plasma l’identità storica dei credenti.
La seconda parte del testo si occupa del nucleo generativo della pastorale giovanile. Un capitolo d’impianto teologico-fondamentale tenta di rileggere il plesso Rivelazione-fede-testimonianza a procedere dalla logica della donazione precedentemente indicata.
Il capitolo successivo individua, per derivazione, alcuni criteri teologico-pastorali di maggior rilievo che la pastorale giovanile dovrebbe assumere come linee guida: il realismo della prossimità, il discepolato come sequela concreta, la vocazione come scoperta della chiamata, il dono di sé come contenuto sostanziale, le beatitudini come orizzonte spirituale, la comunione come stile ecclesiale, la santità come punto di unificazione.
La terza parte del testo mette in evidenza i cardini pratici della pastorale giovanile. In particolare si evidenzia che il suo obiettivo esplicito è teologale, ovvero che un giovane possa diventare discepolo e apostolo del Signore; non dunque una generica «umanizzazione» né un impegno di «promozione sociale» soltanto.
Ciò deve accadere assumendo la specificità del tempo della giovinezza, riconosciuto come tempo dell’accordatura. La pastorale giovanile deve dunque onorare l’intreccio di una pluralità di impegni propri: promozione umana (aiutare i giovani ad affrancarsi dalle schiavitù), annuncio esplicito finalizzato al discepolato cristiano, formazione della coscienza morale, coinvolgimento corresponsabile nella missione ecclesiale, cura della vita spirituale (legame con Dio) e dimensione vocazionale.
Pastorale giovanile «adottiva». In ambito anglofono si segnala il testo di Dean Borgman,Foundations for Youth Ministry. Theological Engagement with Teen Life and culture (Baker Academic, Grand Rapids 20132, pp. 302). La decennale esperienza acquisita nel campo della riflessione teologica e della pratica pastorale porta l’autore a prospettare un ministero di pastorale giovanile che si situi alla convergenza di queste attenzioni: un’adeguata interpretazione del contesto culturale complessivo, lo studio delle relazioni essenziali che determinano l’identità dell’adolescente e del giovane (con la famiglia, con i pari, con gli altri adulti, con la comunità cristiana), lo studio dello specifico della «cultura popolare» giovanile con le sfide che le si presentano (il mondo digitale e la pressione della società del consumo).
Elaborata e stimolante è la collezione di contributi curati da Chap Clark (a cura di), Dean Borgman, Foundations for Youth Ministry. Theological Engagement with Teen Life and culture (Baker Academic, Grand Rapids 2016, pp. 379). 25 ricercatori e operatori nel campo della pastorale giovanile, associati alle istituzioni evangeliche del Denver Seminary e del Fuller Theological Seminary, propongono i loro contributi sotto la prospettiva sintetica di una pastorale giovanile «adottiva».
L’idea, che il curatore Clark esplicita, consiste nel pensare la pastorale giovanile come quel ministero che consenta al giovane di riconoscere progressivamente nella comunità credente una sua famiglia, come accade per un figlio che viene adottato. La prospettiva è dunque invertita rispetto a una pastorale giovanile che si preoccuperebbe d’includere il giovane nella comunità. La proposta si confronta con la fatica che, anche in ambito nord-americano, attraversa la pastorale giovanile: il calo numerico dei giovani; l’aumento dei nones ovvero di coloro che non si riconoscono in nessuna affiliazione religiosa; la lontananza della cultura rispetto al discorso religioso.
La proposta si articola su quattro parti.
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La prima è dedicata al contesto della pastorale giovanile, ovvero a quel mondo in profonda trasformazione da cui il ministero ecclesiale, per essere efficace, non può prescindere. Si indicano, in particolare, i cambiamenti in atto all’interno delle famiglie e l’impatto delle nuove tecnologie. Ne segue il compito di uno studio della «cultura popolare» dei giovani.
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La seconda parte del testo entra nello specifico della pastorale giovanile ricordando che essa è soltanto parte di una maratona in cui sono presenti non solo l’unicità della storia di ogni giovane, ma anche una pluralità di attori, in particolare la famiglia, i pari e altri adulti. L’obiettivo della pastorale giovanile consiste nel provocare l’adolescente e il giovane a interrogarsi sulle questioni di fondo della vita, in connessione con uno sguardo critico sulla cultura e in relazione all’insieme della comunità cristiana.
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La terza parte, relativa alla pratica effettiva, insiste su questi elementi: la creazione di un ambiente accogliente, il dar tempo alla formazione spirituale, il dar spazio alle domande anche scomode dei giovani, il sostegno che può venire dalla scuola, l’attenzione alla composizione sociale ed etnica del contesto.
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L’ultima parte del testo, relativa alle abilità che consentono di sviluppare una buona pastorale giovanile, indica l’importanza di costruire un team con un’adeguata leadership, così come il ripensare le strategie comunicative e le modalità di insegnamento (catechesi).
Pur non avendo la stessa pretesa di sistematicità, merita una menzione anche il lavoro di James EmeryWhite, Meet Generation Z. Understanding and Reaching the New Post-Christian World (Baker Books, Grand Rapids 2017, pp. 219). Il testo è diviso in due parti maggiori: la prima tenta di leggere la nuova realtà, con uno sguardo specifico alla generazione Z, successiva a quella Y dei millennials, ovvero la generazione dei nati dalla seconda metà degli anni Novanta fino al 2010. Da qui provengono i più giovani tra i giovani (diciotto-ventritreenni) e proverranno i giovani dei prossimi anni. Nella seconda parte vengono abbozzate alcune linee di ministero, per dei giovani che sono (e saranno sempre più) spiritualmente degli illetterati e che ormai appartengono a una cultura, nord-americana ma non solo, che è post-cristiana.
Nuovi ingredienti, nuove ricette. A un cambiamento di stile ecclesiale guarda la riflessione proposta nel saggio di carattere divulgativo di Bruno Forte,I giovani e la fede (Queriniana, Brescia 2017, pp.123). L’autore invoca un ministero che, a un atteggiamento d’accoglienza verso il mondo del giovane e la sua cultura, unisca il coraggio della verità come proposta di cui l’orizzonte liquido e apatico di oggi necessita.
Un cambiamento di sguardo da parte del ministero ecclesiale viene suggerito anche nell’agile testo di Marco D’Agostino,Senza ricette. Giovani, fede e vocazione (San Paolo, Cinisello Balsamo [MI] 2018, pp. 94). La metafora della cucina viene assunta per indicare che i giovani di oggi sono «ingredienti» diversi da quelli a cui la Chiesa è abituata. Se la realizzazione delle stesse ricette del passato non è più possibile, l’originalità dei nuovi ingredienti non impedisce di sperimentare.
Condizione essenziale è che si intercetti la richiesta spesso implicita che i giovani formulano a proposito dell’aiutarli a intravedere una possibilità di vita di cui innamorarsi. Suscitare interrogativi sani, proporre con ampi margini e costruire percorsi più che guardare ai risultati sono le vie principali che vengono indicate. Appare utile, nell’accompagnamento di un giovane, anche il confronto con alcune «ricette riuscite», ovvero giovani ordinari la cui esistenza ha avuto segni eloquenti di santità.
Sulla necessità di uno stile ecclesiale ospitale e fraterno come chiave della pastorale giovanile interviene anche Jean-Marie Petitclerc, Ils continuent d’être appelés. Les jeunes et la foi aujourd’hui (Médiaspaul, Paris 2018, pp. 133).
Il passaggio da un’indicazione più evocativa sullo stile a un’analisi più dettagliata delle trasformazioni di azioni, soggetti e organizzazioni a cui la pastorale giovanile dovrebbe disporsi è affrontato da Gilberto Borghi, Un Dio fuori mercato. La fede al tempo di Facebook (EDB, Bologna 2015, pp. 216). L’autore individua cinque ambiti privilegiati d’intervento al fine di provare a rendere nuovamente significativa la fede cristiana oggi:
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La capacità di provocare i giovani aprendoli al futuro;
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Una pastorale capace d’unificare testa, cuore, corpo e piacere;
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Uno stile evangelizzatore che coniuga insegnamento, testimonianza e passione evangelica;
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Una comunicazione più accattivante, non soltanto verbale;
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Una ricomprensione dei contenuti della fede in un orizzonte più ampio del solo metodo didattico e dottrinale.
Caro genero, ti scrivo. La questione del metodo della pastorale giovanile è ripresa da Andrea Grillo, Iniziazione. Una categoria vitale per i giovani e la fede (Il segno dei Gabrielli, S. Pietro in Cariano [VR] 2017, pp. 103). Alla luce del Vaticano II, viene assunta come centrale in ordine alla trasmissione della fede la categoria d’iniziazione. Intesa oltre la riduzione a dottrina o catechismo, essa è prassi che fa «entrare il soggetto in una comunità di pratiche, mediante parole, gesti, azioni, musiche, profumi, tempi, luoghi» (9). Si nota, a margine, che la centratura sulla fascia giovanile nel testo è però più occasionale che esplicita.
Quanto all’attenzione al linguaggio, può essere istruttivo il confronto con il tentativo che viene elaborato nel libretto di Antoine Nouis, Lettera a un giovane sulla fede (Qiqajon, Magnano 2012, pp. 96). L’autore, pastore della Chiesa riformata, assume i panni di un padre che scrive a un giovane non credente, futuro marito di sua figlia: superando le ristrettezze di un linguaggio dottrinalistico, egli tenta di presentargli la pertinenza dell’esperienza di fede oggi.
In ordine all’attenzione agli ambienti di vita, si segnala il lavoro di Luca Peyron, Per una pastorale universitaria. Chiesa – Università – Territorio (Elledici, Torino 2016, pp. 120). Il presbitero della diocesi di Torino, incaricato da anni della pastorale universitaria, tenta di mostrare la pertinenza di una pastorale giovanile che si gioca nell’ambito dell’università. Essa è possibilità per la Chiesa di allenarsi a stare in un ambiente che non governa; insieme, è occasione per una pastorale che sia capace di una proposta all’altezza del confronto con la cultura e con il sapere, e che sappia orientare il giovane a una fede matura.
L’esperienza della cappellania universitaria e delle residenze universitarie sono i luoghi in cui tentare di costruire una pastorale giovanile che non perde mai di vista la centralità della persona del giovane, universitario o ricercatore che sia. Attingendo alla produzione anglofona, segnalo in conclusione il testo di Kara Powell, Jache Mulder, Brad M. Griffin, Growing Young. Six essential strategies to help young people discover and love your Church (Baker Books, Grand Rapids 2016, pp.330). Gli autori indicano 6 strategie condivise da alcune Chiese innovative di ambito protestante che, contrariamente all’andamento generalizzato di decrescita, vivono una stagione di freschezza: una leadership efficace e che decentra; l’empatia coi giovani; la serietà con cui ci si confronta con il Vangelo di Gesù, senza indebiti annacquamenti; la costruzione di una comunità con relazioni calde e un clima familiare; il primato attribuito a giovani e famiglie in ogni azione pastorale; l’apertura al mondo circostante con l’obiettivo di formare dei giovani capaci di «buon vicinato».
Paolo Carrara Il Regno attualità n. 16/2018 pag. 473 26 settembre 2018
Testo pubblicato in collaborazione con la Facoltà teologica dell’Italia settentrionale.
www.ilregno.it/articles/Regno-attualita-16-2018-473-i1g063.pdf
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UTERO IN AFFITTO
Le femministe di tutto il mondo chiedono all’ONU il bando universale di questa vergognosa pratica
Sono 230 le organizzazioni di 18 diversi Paesi, sparse su quattro continenti, che hanno firmato un appello recapitato alle Nazioni Unite nel corso dell’Assemblea generale in corso in questi giorni. Le firmatarie chiedono ai capi di Stato e di governo presenti nella Grande Mela di “esprimersi pubblicamente a favore dei diritti delle donne e dei bambini, per la messa al bando dell’utero in affitto”
“Ci siamo accorte – spiega Alicia Miyares, portavoce di una Ong spagnola che è tra le proponenti dell’iniziativa – che l’Unfpa e l’Unhchr non avevano una posizione molto chiara sull’argomento e volevamo sottolineare che le donne non faranno mai passare un’apertura alla legalizzazione”
Un secco e definitivo no dell’universo femminista alle voci sibilline circa la possibilità di ‘normare’ in qualche modo l’orrenda (e attualmente illegale) pratica dell’utero in affitto: le donne appartenenti a 230 organizzazioni che hanno base in 18 differenti Paesi, sparse su 4 continenti, hanno appena firmato un appello per chiarire all’ONU che da parte loro per questa ipotesi non ci sarà mai campo libero.
E nel comunicato hanno ribadito “l’utero in affitto rappresenta una seria violazione dei diritti e della dignità di donne e bambini”.
Nell’articolo integrale del Corriere.itin cui vengono forniti tutti i dettagli della vicenda.
Le femministe di tutto il mondo uniscono le forze nella battaglia contro l’utero in affitto: 230 organizzazioni di 18 diversi Paesi, sparse su 4 continenti, hanno firmato un appello che è stato recapitato alle Nazioni Unite durante l’Assemblea generale che si sta svolgendo in questi giorni. Dalla Spagna, da dove è partita la campagna, alla Francia passando per Svezia, Italia, Regno Unito, Belgio, Germania, Olanda, Canada, Australia, Messico, Argentina, Repubblica Dominicana, India, Thailandia, Cambogia, Stati Uniti le firmatarie chiedono ai capi di Stato e di governo presenti a New York di “esprimersi pubblicamente a favore dei diritti delle donne e dei bambini, per la messa al bando dell’utero in affitto”.
I governi dovrebbero anche togliere i fondi a quelle agenzie dell’Onu che appoggiano la legalizzazione dell’utero in affitto, la cosiddetta surrogata altruistica, in particolare il Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (Unfpa) e l’ufficio dell’Alto Commissariato per i Diritti Umani (Unhchr)”.
Il comunicato ribadisce che “l’utero in affitto rappresenta una seria violazione dei diritti e della dignità di donne e bambini. E’ in tutto e per tutto una forma di sfruttamento della donna in cui il neonato viene trattato come una merce soggetta alla firma di un contratto”.
Le madri surrogate corrono “un rischio fisico e psicologico” mentre “i bambini vengono privati del diritto a conoscere le loro origini”.
Secondo le organizzazioni femministe firmatarie, tra cui per l’Italia Se non Ora quando libere e Arcilesbica, il business multimilionario dell’utero in affitto viola 5 convenzioni internazionali, quella per l’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (Cedaw) (art. 7-9 e 35), quella per sopprimere la schiavitù, quella per i diritti del bambino (art. 2 e 3) e il protocollo addizionale alla convenzione contro il crimine organizzato.
“Il desiderio di diventare madre o padre di bambini che abbiano un legame genetico non è un diritto né tantomeno un diritto umano. I desideri non sono automaticamente diritti umani”.
http://lepersoneeladignita.corriere.it/2018/09/26/le-femministe-allonu-divieto-globale-per-lutero-in-affitto/
News Ai. Bi. 27 settembre 2018
www.aibi.it/ita/utero-in-affitto-femministe-chiedono-onu-bando-universale
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