NewsUCIPEM n. 717 – 2 settembre 2018

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02 ADOZIONE INTERNAZIONALE Il decalogo del ministro della Famiglia per tentarne il rilancio.

03 ASSEGNO DI MANTENIMENTO Separazione: si può modificare l’assegno se l’ex lavora in nero?

04 ASSEGNO MANTENIMENTOFIGLI Il mantenimento ai figli raddoppia grazie all’investigatore privato.

05 CENTRO INTERN. STUDI FAMIGLIA Newsletter CISF – n. 26, 29 agosto 2018

06 CHIESA CATTOLICA Il clericalismo patriarcale e la riscoperta del padre

08 Dieci tesi per lo sviluppo di ordine e matrimonio

09 CINQUE PER MILLE Il cinque‰ e lo sviluppo del non profit

10 CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM Trento. Progetto Carriera da Bullo.

10 CONTRACCEZIONE Pillola del giorno dopo: come funziona?

12 COPPIA DI FATTO Come è tutelata?

13 DALLA NAVATA 22° Domenica – Anno B – 2 settembre 2018.

13 Commento di Enzo Bianchi. Che cosa è impuro?

14 DIRITTO DI FAMIGLIA Se la moglie se ne va via ha diritto alla casa?

15 DIVORZIO Testo aggiornato della Legge 1 dicembre 1970, n. 898

15 ENTI TERZO SETTORE Gdpr: principi fondamentali.

16 FECONDAZIONE ETEROLOGA È adulterio? Quando diventa adulterio?

18 FORUM ASS. FAMILIARI Incontro mondiale a Roma nel 2021, sfida da cogliere

18 Lunigiana, sei comuni mettono al centro le politiche familiari.

19 FRANCESCO VESCOVO DI ROMA I sette “pilastri” del pensiero educativo del Pontefice

20 Che tempi!

20 La farsa e la fiducia. Ciò che resta dell’attacco al Papa.

21 Ratzinger non ha letto il memoriale di Viganò.

22 Nuove accuse dell’ex nunzio.

22 Benedetto non volle sanzioni pubbliche: McCarrick era in pensione

22 Cum Petro.

25 Scegliete oggi chi volete servire.

26 MINORI NON ACCOMPAGNATI Misna. Corridoi umanitari e affido internazionale

26 NULLITÀ DEL MATRIMONIO Diritto al mantenimento, la Rota Romana è una strada alternativa.

27 PARLAMENTO Affido: Legge Pillon, comunicatori e mediatori.

28 PEDOFILIA L’orrore della pedofilia interroga l’intera società.

29 UCIPEM Nuova segreteria dell’UCIPEM.

29 VIOLENZA Violenza sessuale su minorenne: reato culturalmente orientato?

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ADOZIONI INTERNAZIONALI

Il decalogo del ministro della Famiglia Fontana per tentarne il rilancio

I dieci punti emersi nel corso dell’Audizione del ministro alla Commissione Affari sociali della Camera, lo scorso 26 luglio 2018, costituiscono una lista di impegni e di azioni da compiere nel minor tempo possibile per scongiurare quello che lo stesso Fontana ha paventato: una crisi irreversibile del sistema-adozioni in Italia. http://webtv.camera.it/evento/12824

Dalla formazione qualificata per le coppie candidate all’intervento sui tempi degli iter, oggi ‘a geometria variabile’ a livello regionale, all’avvio di un tavolo tecnico permanente per potersi confrontare anche con i rappresentanti delle Regioni, fino al potenziamento del supporto post-adottivo, a una rinnovata capacità di ascolto della Commissione Adozioni Internazionali e alla riduzione del numero complessivo di enti autorizzati

Mettere mano in modo forte e convinto al sistema dell’adozione internazionale, attualmente in grave difficoltà nel nostro Paese, per poter rispondere nel più breve tempo possibile alle sfide e alle necessità di tutti gli attori sul terreno, in modo da rilanciare, finalmente ed efficacemente, l’universo dell’accoglienza dei bambini abbandonati nel nostro Paese: è la sfida che il ministro per la Famiglia e la Disabilità, Lorenzo Fontana, ha lanciato parlando

Dieci punti che rappresentano altrettante azioni da mettere in campo per ridare slancio e far ripartire i motori di una macchina meravigliosa, che tuttavia segna oggi il passo a causa di gestioni scellerate del recente passato e di colpevoli ritardi nell’adeguamento generale alle nuove circostanze della società.

  1. Prima di tutto, la formazione e informazione qualificata per le coppie che intendono adottare rispetto alla loro scelta e a ciò che essa comporterà per la loro vita;

  2. L’intervento sui tempi di istruttoria, che al momento variano da regione a regione in base all’organizzazione dei servizi sociali e psicologici e delle prassi operative adottate da ciascun Tribunale per i minorenni e andrebbero invece uniformati e abbreviati drasticamente;

  3. La costituzione di un tavolo tecnico permanente di confronto con i rappresentanti delle Regioni, in modo da razionalizzare, snellire e coordinare le attività di formazione e i processi di valutazione delle idoneità;

  4. In un’epoca in cui aumentano gli arrivi di bambini abbandonati sempre più grandi, accolti da genitori non più giovanissimi, è sempre più importante formalizzare forme di supporto post-adottivo ad hoc per questi nuclei familiari;

  5. Andrà rivisto il processo di inserimento nella scuola dei minori adottati, rafforzando le linee d’indirizzo sul loro diritto allo studio;

  6. Fulcro centrale sarà, inoltre, il consolidamento della disponibilità di ascolto presso la Commissione per le Adozioni Internazionali tanto dei nuclei familiari che scelgono l’adozione, che degli enti autorizzati;

  7. La riforma del settore dovrà prevedere anche un’agevolazione nella eventuale possibilità, per le famiglie adottive, di confrontarsi anche con soggetti terzi in caso di difficoltà, coinvolgendo la rete dei Garanti regionali per l’infanzia;

  8. Occorrerà mettere mano alla proliferazione spropositata di enti autorizzati, riducendone il numero (attualmente sono 62, ndr) attraverso fusioni, potatura di ‘rami secchi’ e una generale razionalizzazione;

  9. Più prima che poi, inoltre, occorrerà potenziare il sostegno economico per le coppie che hanno concluso un percorso adottivo, soprattutto di tipo internazionale o rivolto a minori con disabilità, al fine di aiutare concretamente quelle con i redditi più bassi e agevolando sulle deduzioni delle spese sostenute e mediante contributi finanziari adeguatamente calibrati, tenendo sempre sullo sfondo l’obiettivo finale della gratuità adottiva;

  10. Ultimo, ma non per ultimo, è necessario già adesso investire massicciamente in progetti di cooperazione nei Paesi d’origine, per aiutarli a sviluppare le competenze atte a garantire procedure più veloci e trasparenti: non può essere possibile che in alcuni Stati i bambini abbandonati rimangano in istituto anni soltanto per la mancanza di risorse necessarie per pagare gli assistenti sociali responsabili della valutazione di adottabilità.

Un decalogo, quello del ministro Fontana, che se messo in atto potrebbe davvero cambiare radicalmente le sorti dell’adozione internazionale nel nostro Paese.

L’auspicio di Ai.Bi. Associazione Amici dei Bambini è che il ‘libro dei sogni’ presentato a luglio in audizione alla Camera dei Deputati possa trasformarsi, al più tardi entro questa Legislatura, in fatti concreti.

News Ai. Bi. 28 agosto 2018

www.aibi.it/ita/adozione-internazionale-il-decalogo-del-ministro-della-famiglia-fontana

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ASSEGNO DI MANTENIMENTO

Separazione: si può modificare l’assegno se l’ex lavora in nero?

Tribunale di Roma, decreto 16 marzo 2018

Assegno di mantenimento o di divorzio: revisione e rettifica possibile solo per fatti sopravvenuti alla sentenza salvo che vi sia stata oggettiva impossibilità a rilevare l’evasione.

Ti sei separata alcuni anni fa da tuo marito. Il giudice ti ha riconosciuto un assegno di mantenimento minimo, tenendo conto del reddito esiguo dichiarato all’epoca dal tuo ex coniuge. Non sapevi ancora molto di lui e dei suoi guadagni, anche perché avevate iniziato a vivere separati da diversi mesi. Oggi però hai scoperto che questi stava lavorando in nero per una seconda azienda e che il suo stipendio era superiore rispetto a quello emerso in corso di causa. Così ti chiedi: dopo la separazione, si può modificare l’assegno se l’ex lavora in nero? Il tuo caso è molto simile – anche se inverso – a quello del marito che, dopo essere stato condannato a pagare il mantenimento all’ex moglie, viene a sapere che questa svolgeva un lavoro in nero e così decide di ricorrere in tribunale per ottenere una riduzione degli alimenti che il magistrato le aveva riconosciuto in precedenza. Anche lui si chiede se si può modificare l’assegno di mantenimento se l’ex lavora in nero.

Per risolvere la questione bisogna tenere conto di un fatto determinante: quando è iniziato il lavoro in nero. Se, infatti, questo già sussisteva prima o durante la causa di separazione, allora ci sono poche chance di ottenere una revisione dell’assegno (salvo alcune eccezioni che a breve vedremo). Se invece il lavoro nero è iniziato dopo la sentenza di separazione, allora le cose avranno un esito differente.

Se il lavoro nero esisteva già all’epoca della causa di separazione. Le cause civili si basano su una regola: quella secondo cui chi fa una richiesta al giudice deve dimostrare i fatti che la sorreggono; deve cioè dare prova del fondamento del proprio diritto. Non può il giudice sostituirsi alle parti (come invece succede nei procedimenti penali dove è in gioco un interesse superiore); sono invece quest’ultime a dover fornire al magistrato tutti gli elementi per decidere. È ciò che viene detto onere della prova. Dunque, se la moglie pretende un determinato assegno di mantenimento dal marito perché sostiene che questi ha un reddito superiore rispetto alle dichiarazioni dei redditi, deve dimostrarlo. Allo stesso modo il marito che ritiene che la moglie ha dei redditi nascosti deve darne prova.

Allo stesso modo, chi afferma che l’altro coniuge svolge un lavoro in nero è tenuto a dimostrarlo. In questo però la legge gli dà una mano visto che si tratta di attività che, spesso, neanche l’Agenzia delle Entrate stessa riesce a rilevare. Così, da un lato, il giudice ordina l’esibizione delle ultime dichiarazioni dei redditi. Ma quando ritiene che queste non siano attendibili, può ricostruire le condizioni reddituali dei coniugi sulla base di altri indizi. Facciamo un esempio. Immaginiamo un imprenditore che si separi dalla moglie. In causa, deposita una dichiarazione dei redditi per poche migliaia di euro. Tuttavia risulta che i due hanno sempre vissuto in una villa di proprietà di lui, il quale era anche intestatario di auto di grossa cilindrata, di moto e ha sempre fatto, con la moglie, viaggi in località di lusso. Facile per il giudice desumere che l’uomo gode di redditi non dichiarati; così lo condannerà a un mantenimento superiore rispetto a quello che altrimenti gli spetterebbe sulla base dei dati fiscali.

Quand’anche questi elementi presuntivi non siano sufficienti a ricostruire il reddito del coniuge, il giudice può ordinare – su richiesta della controparte – delle indagini tributarie. Le indagini vengono svolte dalle autorità (la polizia tributaria) e sono rivolte a rilevare evasioni fiscali. La parte può anche provvedere autonomamente con indagini investigative private.

Esaminati i documenti ed effettuate le eventuali indagini tributarie, il giudice determina l’assegno senza riferimento a criteri matematici, ma operando in percentuale sul reddito medio mensile dell’altro coniuge, avuto riguardo al caso concreto e, quindi, all’incidenza sul reddito medio di ogni fattore economicamente rilevante. Una volta però che esce la sentenza di separazione con la quantificazione dell’assegno di mantenimento, accertati o meno i redditi in nero, questa non può più essere rivista se non nel caso in cui intervengano fatti nuovi e sopravvenuti: ad esempio una assunzione, una promozione, una vincita, una eredità. In assenza di nuovi elementi, la sentenza può solo essere impugnata per vizi della decisione ma non per valutare nuove circostanze non prodotte prima.

Quindi, se dopo la pubblicazione della sentenza di separazione, ci si accorge che l’ex svolgeva lavori in nero, non si può chiedere una modifica dell’assegno. Spettava alla parte accorgersi di tale circostanza e segnalare al tribunale gli elementi da cui desumere la sussistenza di redditi nascosti.

C’è una sola eccezione a questa regola ed è stata chiarita dal tribunale di Roma qualche mese fa: quando l’evasione fiscale non era facilmente conoscibile – come nel caso di soggetto con aziende in paradisi fiscali – allora la sentenza può essere ugualmente oggetto di revisione benché i fatti non siano sopravvenuti ma già sussistenti. Non è possibile conoscere con l’ordinaria diligenza le esatte disponibilità reddituali e patrimoniali del marito, occultate all’estero, sconosciute anche alle autorità tributarie e rese note solo dopo la separazione attraverso la voluntary disclosure [collaborazione volontaria].

Se il lavoro nero è successivo alla sentenza di separazione. Diverso è il caso del coniuge che si mette a lavorare, seppur in nero, dopo la sentenza di separazione. In questo caso non ci sono ostacoli alla revisione dell’assegno che può essere chiesta in qualsiasi momento, trattandosi di circostanze sopravvenute.

Bisogna comunque ricordare che, anche in questa circostanza, non ci si può sottrarre dall’onere della prova, e pertanto bisognerà essere puntuali nel portare al giudice le evidenze dell’attività di lavoro segreta.

Angelo Greco La legge per tutti 28 agosto 2018

www.laleggepertutti.it/207454_separazione-si-puo-modificare-lassegno-se-lex-lavora-in-nero

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ASSEGNO DI MANTIMENTO AI FIGLI

Il mantenimento ai figli raddoppia grazie all’investigatore privato

Corte di Cassazione, prima Sezione civile, ordinanza n. 21178, 24 agosto 2018

www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_31660_1.pdf

Per la Cassazione, i poteri istruttori d’ufficio del giudice di merito per proteggere la prole non sono pregiudicati dall’attendibilità delle prove prospettate dalle parti. Con ordinanza gli Ermellini prendono una posizione chiara e netta contro i genitori “furbetti” che omettono informazioni reddituali importanti al fine di sottrarsi all’obbligo di mantenimento dei figli. La Corte ritiene infatti che il giudice di merito, al fine di tutelare gli interessi morali e patrimoniali dei figli, può disporre d’ufficio indagini per verificare le condizioni economiche dei genitori. Questo potere, che deroga al principio generale dell’onere della prova però, non impedisce al giudicante di ritenere attendibile, come avvenuto in questo caso, la relazione investigativa prodotta dalla madre sull’effettiva condizione economico-patrimoniale del padre obbligato.

Il Tribunale d’Ivrea pronuncia la separazione di due coniugi, affidando alla madre i due figli maschi e stabilendo il contributo al mantenimento da parte del padre in 350,00 euro mensili. Il marito appella la sentenza di primo grado, che si conclude con l’affidamento condiviso della prole a entrambi i genitori, il ricollocamento del figlio maggiorenne presso la madre e la modifica dell’importo del contributo al mantenimento in 350,00 euro ciascuno. Questo perché la Corte ha ritenuto “tra l’altro, potersi riconoscere valore indiziario ad una relazione investigativa prodotta dalla difesa della moglie, che stimava potesse concorrere a far ritenere che il reddito a disposizione del marito fosse maggiore del dichiarato, consistente in una pensione pari a Euro 960,00 mensili.”

Il marito ricorre in Cassazione ritenendo tardiva l’acquisizione della relazione investigativa nel secondo grado di giudizio (avvenuta in sede di precisazione delle conclusioni in violazione degli artt. 345 co 3 e 356 c.p.) in base alla quale la Corte d’Appello ha raddoppiato l’importo dell’assegno di mantenimento in favore dei figli. La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 21178/2018 considera infondato il motivo di ricorso del padre. Questo perché “in considerazione delle finalità pubblicistiche di tutela degli interessi morali e materiali della prole, che sono sottratte all’iniziativa e alla disponibilità delle parti, ed in virtù delle quali è fatto sempre salvo il potere del giudice di adottare d’ufficio, in ogni stato e grado del giudizio di merito, tutti i provvedimenti necessari per la migliore protezione dei figli, ivi compresi quelli di attribuzione e determinazione del quantum del contributo di mantenimento da porre a carico del genitore non affidatario”. Secondo la Corte, in relazione ai provvedimenti relativi all’affidamento e al mantenimento dei figli “opera una deroga alle regole generali sull’onere della prova, attribuendo al giudice poteri istruttori di ufficio per finalità di natura pubblicistica”, inoltre “i provvedimenti da emettere, da parte del giudice, devono essere ancorati ad una adeguata verifica delle condizioni patrimoniali dei genitori e delle esigenze di vita dei figli esperibile d’ufficio.”

La deroga alle regole generali sull’onere della prova tuttavia “importa che le istanze delle parti relative al riconoscimento e alla determinazione dell’assegno divorzile o del contributo di mantenimento non possono essere respinte sotto il profilo della mancata dimostrazione, da parte dell’istante, degli assunti sui quali le richieste sono basate tutte le volte che il giudice sia comunque in condizione di desumere aliunde l’attendibilità del dato (anche se) prospettato dalla parte”.

Annamaria Villafrate –Studio Cataldi 29 agosto 2018

www.studiocataldi.it/articoli/31660-il-mantenimento-ai-figli-raddoppia-grazie-all-investigatore-privato.asp

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CENTRO INTERNAZIONALE STUDI FAMIGLIA

Newsletter CISF – n. 26, 29 agosto 2018

  • Sotto il cielo d’Irlanda. Gli “appunti di viaggio” di Francesco Belletti, direttore del Cisf, a Dublino per il Nono Incontro Mondiale delle Famiglie (dal 21 al 26 agosto 2018). Una decina di post, in un miniblog sul sito di Famiglia Cristiana, per restituire, nella forma del “diario del viaggiatore”, un po’ del “profumo” e delle sensazioni personali sperimentate partecipando ad un evento così prezioso.

www.famigliacristiana.it/blog/famiglie-sotto-i-cieli-d-irlanda.aspx?utm_source=newsletter&utm_medium=newsletter_cisf&utm_campaign=newsletter_cisf_29_08_2018

www.santalessandro.org/2018/08/lincontro-mondiale-delle-famiglie-a-dublino-francesco-belletti-un-invito-a-confidare-nel-futuro

  • Something in english/qualcosa in inglese. Some English written information on the speech held in Dublin by Francesco Belletti (Cisf Director) on the importance of family associations (Pastoral Congress, Friday morning, 24th August 2018)

www.laityfamilylife.va/content/laityfamilylife/en/news/2018/le-associazioni-promuovono-il-vangelo-della-famiglia.html

  • Ultimi arrivi dalle case editrici

newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/attachments/newscisf2618_allegatolibri.pdf

“Tra questi libri anche la firma di un amico,Gilberto Gillini, tornato tra le braccia del Padre. Un caro amico, una bella persona, un compagno di lavoro intelligente, curioso e mai banale, sempre discreto ed umile. E la grande testimonianza della bellezza dell’amore degli sposi, con la magica intesa che lui e Maria Teresa testimoniavano sempre: non perché sempre d’accordo, ma perché sempre in comunione. Le nostre preghiere accompagneranno te, Maria Teresa, e tutta la vostra famiglia. Tu, Gilberto, da lassù, guarderai le nostre fatiche, che ben conosci, con il tuo solito sguardo, sereno e non giudicante, da “amico”. (F. Belletti)

www.famigliacristiana.it/articolo/addio-a-gilberto-gillini.aspx?utm_source=newsletter&utm_medium=newsletter_cisf&utm_campaign=newsletter_cisf_29_08_2018

  • De Palo Gigi, Gambini Anna Chiara, Ci vediamo a casa, Sperling & Kupfer, Milano, 2018, pp. 204, € 16,00. L’allegria di un’ammucchiata sul lettone la domenica mattina. L’emozione di ascoltare il respiro di un bimbo che dorme e di annusare il suo odore. Il cuore che batte all’impazzata in attesa del risultato di un altro test di gravidanza […] “Ci vediamo a casa” è sia una sorta di romanzo divertentissimo, sia un toccante diario intimo. È il ritratto a due voci della vera vita di una famiglia, senza filtri rosa e senza la pretesa di fornire ricette, perché ricette non ce ne sono, se non l’amore e la voglia di mettersi in gioco. Ogni giorno.

http://newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/attachments/newscisf2618_allegatolibri.pdf

www.convegnoaimmf.com/images//programma/programma.pdf

www.aracneeditrice.it/index.php/evento.html?event-id=EV5443

www.maestridistrada.it/public/progetti/documenti/call_IT_-_maestri_di_strada_congresso_trasformazione_educativa.pdf

www.coface-eu.org/wp-content/uploads/2018/05/COFACE_Graz_finalprogramme_27062018.pdf

 

http://newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/agosto2018/5088/index.html

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CHIESA CATTOLICA

Il clericalismo patriarcale e la riscoperta del padre

«Abbiamo trascurato e abbandonato i piccoli» è l’amara constatazione che fa papa Francesco nel documento che ha scritto il 20 agosto 2018 scorso e che ha titolato ‘Lettera del Santo Padre al Popolo di Dio’.

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/letters/2018/documents/papa-francesco_20180820_lettera-popolo-didio.html

Uno stile inusuale per un pontefice che, tradizionalmente, formula dottrine o elabora un pensiero teologico a guida e norma dei fedeli cattolici. Il genere letterario richiama una prassi davvero popolare della Chiesa: quella delle origini. Autori di Lettere furono gli Apostoli che usarono questo strumento tanto familiare per ‘edificare’ le chiese giovinette che loro stessi avevano dato alla luce.

Non a caso, dunque, Francesco ha scritto al popolo di Dio una lettera: voleva esprimere la sua intimità con tutti coloro che ne fanno parte, la sua fiducia e amicizia in un momento di grande bisogno.

«Abbiamo trascurato i nostri bambini»: una parola che suona della dolcezza e la desolazione che un padre o un nonno potrebbero avvisare dinanzi al dolore e alla sventura che, malvagia e inesorabile, si abbatta sui propri figli o nipoti.

Una tristezza che evoca scene di dopoguerra quando si aprivano gli occhi sulle atrocità subite dai bambini, rimaste come cicatrici di memoria sulle loro membra ancora e sempre troppo ignare, troppo morbide, troppo sacre. O scene di miseria e di fame, quando ci si trovava a dover alienare i propri figli a qualcun altro, a chi potesse dargli il necessario, perdendoli, talvolta, completamente di vista. Abbandonandoli, appunto.

Gli occhi della memoria degli italiani più grandi rivedono una solenne Sofia Loren nelle vesti di Filomena Marturano che costringe l’uomo che ama a riconoscere tutti i figli suoi, non solo quello che aveva avuto da lui. A restituire, insomma, il diritto – violato – di ogni figlio di avere un padre a prescindere dal Dna. Le immagini di tanto cinema neorealista italiano, quelle di Mamma Roma, ad esempio, un film di Pier Paolo Pasolini interpretato da una struggente Anna Magnani. Costretta a prostituirsi, abbandonata e sfruttata dal suo uomo, aveva lasciato nel paese d’origine suo figlio, perché non capisse il mestiere di sua madre e non vedesse quanti sacrifici faceva, quante umiliazioni dovesse subire per riuscire a procurargli una casa e un futuro decenti. E quando, all’età di sedici anni, finalmente lo porta a Roma con sé, piena di speranza e d’intenzione di dargli quella dignità che a sé stessa aveva dovuto negare, era ormai troppo tardi e a completare l’opera dell’abbandono ci pensa la Città, con la sua anima impura.

Quelle di Francesco sono parole che sorgono da un senso d’impotenza insopportabile, poiché riguardano i bambini, quanto di più caro ci sia al cuore del mondo. E di Dio.

Uscite dalla bocca del Papa mostrano il suo cuore di padre, non sempre scontato in un uomo e neppure in un Vescovo di Roma; l’identità petrina è stata, infatti, declinata più spesso come autorità e magistero che come paternità in senso stretto, a dispetto del nome: ‘Santo Padre’.

E giungono in un tempo in cui, nella civiltà occidentale, si è consumata la morte del padre: dalla ‘morte di Dio’ alla fine della figura paterna, fenomeno già denunciato agli inizi del secolo scorso. Una figura essenziale che Luigi Zoja – uno dei più illustri psicoanalisti e saggisti di questi ultimi anni – considera la più grande costruzione del mondo occidentale, realizzata dai Greci, e che ha permesso all’Occidente di darsi una struttura culturale solidissima con cui è riuscito a conquistare il mondo. Nel suo prezioso libro: Il gesto di Ettore, Zoja ne denuncia la scomparsa iniziata nel Novecento e portata a pieno compimento negli ultimi decenni. Una mancanza che ha lasciato un mondo unicamente di figli-fratelli senza il legame e l’autorevolezza di un padre a legittimare il diritto-dovere di ognuno di condividere la casa, la mensa, la fraternità; a indicare la giustizia, la solidarietà e la pace.

Orfani di padre, i figli del Novecento si fecero la guerra tra di loro per cinquant’anni; privati e incapaci di paternità, quei fratelli di ieri non reggono alla prova dei figli di oggi: alcuni giungono persino a ucciderli (insieme alle loro madri) prima di suicidarsi; molti altri rinunciano a essere per loro la stella polare, la direzione, la via dell’anima, e non soltanto corpo e denaro. È a questi ultimi che si rivolge Antonio Polito in un lucido libro il cui titolo è una parenesi [esortazione] Riprendiamoci i nostri figli.

Quei figli che non patiscono ormai più del complesso di Edipo, ma sono malati di ciò che Massimo Recalcati ha definito Il complesso di Telemaco. Una patologia rovesciata dove i Telemaco, che sono i nostri figli, piuttosto di ribellarsi – a un padre che non c’è! – si mettono alla ricerca disperata di lui, ché riporti attenzione, distinzione e relazione tra i fratelli; che doni un nome e una vocazione, un senso e un progetto di famiglia, di comunità e di politica.

Figli di un padre scomparso sono anche quei sacerdoti pedofili, nutriti solo di clericalismo: «Un modo anomalo di intendere l’autorità nella Chiesa – molto comune in numerose comunità nelle quali si sono verificati comportamenti di abuso sessuale, di potere e di coscienza – è il clericalismo, quell’atteggiamento che non solo annulla la personalità dei cristiani, ma tende anche a sminuire e a sottovalutare la grazia battesimale dello Spirito Santo».

Questa l’analisi di papa Francesco. Il ‘patriarcato’ del clericalismo si rivela il vero nemico della paternità nella Chiesa. E qui sono le donne, le sorelle e le madri a dover denunciare la latitanza e la violenza dei mancati padri. Il loro obbrobrio sulla pelle dei figli.

Oggi ritroviamo un Papa padre. Si rivela con evidenza in questa Lettera al ‘popolo di Dio’ che porta una supplica forte e accorata: quella di assumere tutti insieme la responsabilità della salus della famiglia-Chiesa: «È sempre bene ricordare che il Signore nella storia della salvezza ha salvato un popolo. Non esiste piena identità senza appartenenza a un popolo. Perciò nessuno si salva da solo come individuo isolato, ma Dio ci attrae tenendo conto della complessa trama di relazioni interpersonali che si stabiliscono nella Comunità umana».

Le sue parole sono quelle di un genitore abbattuto e addolorato, quasi sconfitto, che piange per le ferite dei suoi piccoli. Un padre di cui si avverte persino la vergogna di quella sofferenza, lo smacco di non aver potuto ‘passare’ da loro quel calice amaro e di non averlo bevuto egli stesso.

Un linguaggio autentico che rimette vita nella Chiesa, la quale ritrova il suo sapore di casa, di famiglia, di corresponsabilità, di reciprocità, di carità degli uni verso gli altri, di fedeltà dei padri verso i figli, di legami indissolubili e liberi, doverosi e gratuiti, allo stesso tempo. Di vera paternità.

Una Chiesa che mostra all’Occidente il ritorno del padre. Non più ‘padrone’, non più giudice di condanna e di morte, ma Servo e Salvatore, Diacono come Gesù e come Marta di Betania, fondamento su cui i figli potranno costruire, riconciliati, il futuro. Un padre che non si dimette quando pensa o capisce di aver sbagliato, ma chiede perdono.

Se la Chiesa è questa, la Chiesa è viva. E può rigenerarsi in ogni suo membro, in ogni sua parte. Preziosa è la coscienza di chi ricorda che: «Se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme» (1Cor 12,26).

Un’aria buona, un odore di pane, l’umiltà e l’amore che fa sentire tutti figli legittimi di questa famiglia universale. Che ascolta, che dialoga, che chiede scusa, che discute, che corregge e si corregge, che non scarta e non scomunica, che si sente in debito con tutti e ha bisogno del credito di ognuno.

Una Chiesa che non si nasconde dietro nessuna ‘immunità’, che versa lacrime sui propri delitti, che si riconosce umana e fragile, che digiuna e fa penitenza.

Per questa famiglia il Papa invita a pregare. Come un buon padre sa che la coralità darà futuro e salvezza. Là dove i migranti vengono trattati non da figli, ma da figliastri, ci vuole questa Chiesa materna e paterna. Ci fa sentire vivi e felici. Perché la madre è la ragione evidente della fraternità; mentre il padre ne stabilisce il diritto, dopo aver diretto la discussione tra i due fratelli litiganti.

Nessuno dovrà restare senza la sua stanza nel mondo. Qualcuno ha detto che la Chiesa non cerca di ‘fare notizia’, ma di portare una ‘buona notizia’.

E questa lo è davvero.

Rosanna Virgili Avvenire 31 agosto 2018

www.avvenire.it/opinioni/pagine/il-clericalismo-patriarcale-e-la-riscoperta-del-padre

 

Dieci tesi per lo sviluppo di ordine e matrimonio

Nel testo che ho già presentato e che ho curato insieme ad Elena Massimi, dal titolo Donne e uomini: il servizio nella liturgia (Roma, CLV-Ed. Liturgiche, 2018) ho scritto un articolo che si intitola: “I sacramenti come luogo di elaborazione di identità ecclesiale e di differenza sessuale. Lettura in prospettiva sistematica, con 10 tesi” (39-60). Pubblico qui di seguito le dieci tesi finali (57-60).

Se, in conclusione, proviamo ad concentrarci sullo sviluppo che negli ultimi secoli hanno avuto i due “sacramenti del servizio” – ordine e matrimonio – possiamo scoprire che il dibattito recente mette in luce una sola grande questione. Ossia la riscoperta della “logica di vocazione” dei due sacramenti. In particolare possiamo riscontrare un fenomeno parallelo – ed opposto – che riguarda i due sacramenti:

  1. Da un lato il matrimonio – istituzionalizzandosi progressivamente nel XIX e XX secolo – ha emarginato il tema “vocazione e discepolato”, presupponendo astrattamente una identificazione tra livello naturale, civile ed ecclesiale. La recente riscoperta del profilo vocazionale è ancora troppo formale e poco riflessa.

  2. D’altro canto, il lavoro ecclesiale sulla ordinazione – a partire dai decreti tridentini sui Seminari – ha profondamente elaborato “vocazione e discepolato” del soggetto ministeriale, ma non di rado ha spostato “solo su quel piano” la attenzione formativa, trascurando dinamiche naturali e culturali di prima grandezza.

Questa asimmetria determina oggi diversi scompensi. In particolare chiede contemporaneamente una duplice integrazione:

  • da un lato di recuperare la “logica di vocazione” del sacramento del matrimonio

  • dall’altro di riscoprire la “logica naturale e culturale” del sacramento dell’ordine.

Non è un caso che il Sinodo sulla Famiglia, quello sui Giovani, la Commissione pontificia su diaconato e donna attestino bene questo “travaglio vocazionale”, in cui poter configurare in modo più adeguato non soltanto la “formazione dei soggetti”, ma anche la corrispondenza della Parola di Dio alla esperienza e della esperienza alla Parola di Dio. Scoprire che il matrimonio non è solo “secondo natura”, ma illumina anche una “vocazione ecclesiale”, e che la vocazione ecclesiale al ministero comprende anche logiche naturali e culturali – di cui la tradizione ha saputo tener conto su cui e noi facciamo tanta fatica – appare oggi compito ecclesiale primario.

Su questo punto vorrei formulare infine “10 tesi”, per cercare di gettare qualche luce ciò che sta accadendo e che ancora accadrà:

  1. Sulla evoluzione della ordinazione, dovremmo dire che la presenza del “diacono uxorato” ha già portato la donna – ma solo in quanto moglie – in una certa quale “assunzione di responsabilità” per il ministero del marito. Questo semplice fatto, sia pure nella sua limitatezza e precarietà, ha comunque alterato le logiche rigorosamente celibatarie che hanno caratterizzato l’esperienza latina degli ultimi secoli.

  2. Ciò ha introdotto una variabile le cui implicazioni sono solo agli inizi e che deve essere integrata dalla acquisizione di una eminentia auctoritatis da riconoscersi alla donna, dopo che in campo politico, sociale e pubblico ci si è aperti a questa decisiva novità. Questa differenza è irriducibile: non si lascia comprendere sulla base di “modelli storici”. Ad una riduzione “privata” della autorità femminile del mondo premoderno, il mondo tardo-moderno – non senza sbandamenti e distorsioni – ha saputo scoprire e sviluppare un profilo pubblico, sociale e politico della autorità femminile. Ciò muta inevitabilmente la disciplina e la dottrina dei sacramenti dell’ordine e del matrimonio.

  3. La Chiesa non può semplicemente “subire” questo sviluppo. Deve assumerlo, orientarlo e dargli pienezza. Ma non può smentirlo in un movimento autoreferenziale e autoritario, magari citando – come autorità indiscutibili della tradizione – i pregiudizi medioevali sul maschile e sul femminile e, per di più, confondendo con essi il Vangelo e la Parola di Dio. Nulla di peggio può capitare alla Chiesa che piegare l’autorità di Dio a garanzia della resistenza dello status quo.

  4. Pertanto il “lavoro storico” e il “lavoro sistematico”, esercitato sul diaconato femminile o sulla vocazione matrimoniale, non possono mai esaurirsi uno nell’altro. Per usare le parole di Romano Guardini, il metodo storico ci dice che cosa è stato nel passato, ma il metodo sistematico – e solo questo – può dirci che cosa dovrà essere nel futuro. In altri termini, la storia non può essere l’alibi per non decidere e il riconoscimento di “cose nuove” non può mai essere escluso. E’ una possibilità interna alla Chiesa, garantita dalla iniziazione cristiana.

  5. Anche circa il matrimonio, quindi, una forte accentuazione “vocazionale” ha spesso costituito anche un “alibi” per non affrontare la questione femminile all’interno della Chiesa, chiudendola nella alternativa tra “moglie”, “madre”, “sorella” e “figlia”. Il necessario ripensamento del matrimonio dipende, non secondariamente, da una nuova soggettività femminile che abita la Chiesa da non più di un secolo. E che deve essere riconosciuto anche in vista della “vocazione al servizio ecclesiale”, per una rinnovata soggettività ecclesiale della famiglia e anche per un rinnovamento del soggetto ministeriale.

  6. Tale soggettività non sta soltanto in privato, e quindi non può essere giudicata soltanto “in foro interno”. La svolta che di recente, e con decisione, Amoris Lætitia ha assunto nel concepire la pastorale familiare, ha ancora il limite di proporre una soluzione “in foro interno”, la cui articolazione comunitaria appare ancora esile e di cui si fa ancora fatica a considerare e a riconoscere l’impatto “pubblico”, al quale si dovrà provvedere anche giuridicamente.

  7. Ciò, d’altra parte, è coerente con una lunga e sapiente tradizione, che ha il limite di una gestione delle questioni che trova nella differenza radicale tra “foro interno” e “foro esterno” una logica antica e nobile, ma che non corrisponde più alla nostra esperienza relazionale contemporanea. Il tema della “identità femminile” fa esplodere le categorie medievali/moderne che ne avevano sottostimato il ruolo, proprio in una rigida opposizione tra “rilevanza privata e irrilevanza pubblica”.

  8. La forte resistenza della Chiesa nel superare questa irrilevanza dovrà elaborare il suo travaglio attraverso un accurato inventario di forme linguistiche e istituzionali più adeguate. Non solo in ambito familiare, ma anche in ambito ministeriale. Per non lasciarsi condizionare piuttosto dalle logiche della società chiusa che non dalla parola del Vangelo: per coniugare il Vangelo in una società aperta, nella quale la identità vive sempre di differenze, che tuttavia non possono essere predeterminate né teoricamente né disciplinarmente.

  9. Questa apertura alle nuovo identità non è né perdizione dell’uomo né negazione di Dio, ma è nuova e più profonda relazione al mistero. E’ il mistero di Dio e dell’uomo, del Dio fatto uomo e dell’uomo riconciliato con Dio, ad esigere che al ministero ecclesiale, e al ministero ordinato, possano accedere – in forme articolate – non solo uomini, ma anche donne. Se accettiamo una famiglia in cui la “patria potestà” è ora esercitata al maschile e al femminile, non possiamo rifiutare che la autorità ecclesiale – proprio quella stessa autorità ufficiale e formale, non una diversa o minore – possa declinarsi non solo al maschile, ma anche al femminile.

  10. Resistere nella antica negazione – fondata non sul giudizio ponderato di una chiesa aperta dallo Spirito, ma sul pregiudizio viscerale di una società chiusa – significherebbe, ormai, resistere ostinatamente non alle futili innovazioni della moda del momento, ma alla potenza profetica di una novità che il Vangelo prima suscita e poi impone.

Anche al Concilio di Gerusalemme la possibilità di “battezzare i pagani” senza passare per la circoncisione, era “priva di precedenti storici”. Non si poteva argomentare sulla base di evidenze precedenti, ma ci si doveva aprire ad una novità non prevedibile, attestata dalla più grande libertà dello Spirito.

Andrea Grillo blog Come se non 2 settembre 2018

www.cittadellaeditrice.com/munera/dieci-tesi-per-lo-sviluppo-di-ordine-e-matrimonio

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CINQUE PER MILLE

Il cinque‰ e lo sviluppo del non profit

Solo il 25% dei contribuenti italiani – 12 milioni di persone – sceglie a chi assegnare il 5‰ con la propria dichiarazione dei redditi. Ma è una quota comunque in netto aumento tra 2006 e 2016.

Nello stesso periodo sono stati assegnati tramite il 5‰ 382 milioni di euro all’anno, a beneficio di circa 80.000 enti (tra i quali non pochi degli associati Uneba).

Sono due dei dati di “Il 5 per 1000 e lo sviluppo del non profit”, studio di Banca Etica che considera le scelte sul 5‰ dal 2006 al 2016.

https://www.bancaetica.it/sites/bancaetica.it/files/web/BLOG/Luglio_2018/Studio_Il_5per1000_e_lo_sviluppo_del_nonprofit_luglio2018.pdf

Altri dati rilevanti. Il 58% dell’importo di ‰ distribuito nel periodo è finito in Lombardia (38%) e Lazio (20%), dove hanno sede molte organizzazioni non profit, ed in particolare molte delle più grandi. Per fare un esempio: la Campania, che ha popolazione quasi uguale al Lazio, ha ricevuto solo il 2,5%.

Dal 2006 al 2016 gli enti beneficiari del 5‰ sono aumentati da 30mila a 57mila, quindi quasi raddoppiati. 11mila dei 57mila enti hanno sede in Lombardia.

L’importo medio ricevuto da ogni ente è sceso in 10 anni da 11.325 a 8.939 euro. Ma, come nota lo studio, “il valore medio degli importi erogati alle organizzazioni, cala in modo meno che proporzionale rispetto all’aumento della platea dei beneficiari”.

Il 5‰ del singolo donatore vale in media, nella dichiarazione dei redditi 2016, 35 euro. Si va dai 26 di Basilicata e Puglia ai 40 della Lombardia.

www.uneba.org/5-per-1000-il-58-dellimporto-finisce-in-lombardia-e-lazio

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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM

Trento. Progetto Carriera da Bullo

Costruire una scuola in grado di risolvere creativamente i conflitti. Il bullismo è un fenomeno sociale caratterizzato dall’isolamento della vittima e da un ambiente omertoso in cui i compagni di classe non si accorgono di nulla o preferiscono non vedere.

Basta un solo bullo in una scuola per creare problemi se tutti gli altri ragazzi sono spettatori passivi e silenziosi. Viceversa i bulli non hanno molto spazio di azione se altri ragazzi sono disposti ad intervenire in difesa della vittima.

L’idea è quella di sperimentare e sviluppare dentro contesti scolastici specifici strategie educative fondate sul protagonismo degli stessi allievi. Questi saranno attivamente e responsabilmente coinvolti nella risoluzione dei problemi legati al bullismo della loro scuola.

Il progetto Carriera da bullo può essere proposto nelle scuole elementari, medie e superiori e si articola lungo tre direzioni:

  1. Un percorso per i ragazzi (in genere una classe) con l’obiettivo di migliorare e potenziare le capacità dei ragazzi di affrontare o intervenire nelle situazioni da loro vissute come critiche;

  2. Una proposta per gli insegnanti che avranno il ruolo di osservatori di ciò che accadrà in classe tra i ragazzi ed il consulente ed il compito di valorizzazione/sedimentare quanto appreso durante l’intero anno scolastico;

  3. Una proposta per i genitori dei ragazzi perché per dare valore all’esperienza formativa dei figli è essenziale che i genitori siano coinvolti nel percorso in modo che possano essere di supporto ai ragazzi e ne condividano il medesimo linguaggio. Gli incontri dedicati ai genitori offrono inoltre un’opportunità di formazione alla genitorialità.

www.ucipem-tn.it/progetti/carriera-da-bullo

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CONTRACCEZIONE

Pillola del giorno dopo: come funziona?

La contraccezione ha rappresentato una conquista per le donne in termini autonomia, libertà e indipendenza per una procreazione come scelta consapevole.

La contraccezione consiste in una serie di metodiche che hanno lo scopo di pianificare una gravidanza. Il tipo di contraccezione da usare varia a seconda delle caratteristiche personali e cliniche della coppia e viene programmato precedentemente al rapporto sessuale.

Si utilizzano metodi contraccettivi ormonali (pillola estroprogestinica, anello vaginale, cerotto transdermico), dispositivi intrauterini (spirale), metodi di barriera (preservativo, diaframma), metodi chimici (spermicidi), metodi naturali (misurazione della temperatura basale, metodo Ogino-Knaus, coito interrotto), metodi chirurgici (sterilizzazione maschile e femminile).

Quando si è avuto un rapporto sessuale non protetto o quando il metodo contraccettivo usato potrebbe non essere efficace, per evitare una gravidanza non voluta si può ricorrere ad una contraccezione d’emergenza rappresentata dalla pillola del giorno dopo: come funziona?

Cos’è la pillola del giorno dopo. La pillola del giorno dopo è un presidio con le caratteristiche dell’urgenza e in quanto tale il suo utilizzo deve essere occasionale e non sostituire uno dei tanti metodi contraccettivi disponibili.

Lo scopo della pillola del giorno dopo è quello di ritardare o bloccare l’ovulazione e di ritardare il movimento degli spermatozoi, pertanto non influenza l’ingresso dello spermatozoo nell’ovocita e non impedisce l’annidamento dell’ovulo fecondato. La pillola del giorno dopo non provoca aborto.

Esistono due tipi di formulazioni della pillola del giorno dopo:

  1. Levonorgestrel (Norlevo, Levonelle): è un progestinico di sintesi. I progestinici sono presenti anche nei contraccettivi orali, ma nella pillola del giorno dopo il dosaggio è circa venti/trenta volte maggiore. Consiste in una pastiglia che deve essere presa possibilmente entro dodici ore dal rapporto a rischio e comunque non oltre le settantadue ore. L’efficacia del farmaco si riduce col passare delle ore. Si può assumere a stomaco vuoto o avendo ingerito cibo. Passa nel latte materno pertanto non va presa prima di allattare e bisogna aspettare otto ore prima di una nuova poppata.

  2. Ulipril acetato (EllaOne): è un antiprogestinico che modifica l’attività del progesterone naturale necessario per l’ovulazione. È costituito da una dose unica da assumere indifferentemente a stomaco pieno o vuoto. Si può prendere fino a cinque giorni dopo il rapporto a rischio, ma l’efficacia è massima entro le ventiquattro ore. Contiene lattosio.

[E’ anche usato per la gestione dei fibromi uterini. È improbabile {ma non certo} che ulipristal acetato possa essere efficacemente utilizzato come abortivo, poiché viene utilizzato in dosi molto più basse (30 mg) rispetto al mifepristone a dosaggio approssimativamente equipotente (600 mg)].

La pillola del giorno dopo non può essere usata dopo ogni rapporto e non protegge da malattie sessualmente trasmesse. Non ostacola un eventuale concepimento avvenuto a seguito di un rapporto non protetto nelle settantadue ore precedenti, pertanto è bene prestare attenzione ai sintomi che potrebbero far sospettare una gravidanza.

La pillola del giorno dopo non protegge da un’eventuale gravidanza a seguito di rapporti successivi, quindi è necessario utilizzare un metodo anticoncezionale.

Nel cinque% dei casi la pillola del giorno dopo non funziona e la gravidanza inizia lo stesso, ma non comporta alcun problema di salute per il feto.

Si può acquistare in farmacia senza prescrizione medica se si è maggiorenni. Per le minorenni è necessaria la ricetta medica effettuata dal medico di famiglia, dal ginecologo, dal consultorio, dalla guardia medica.

La pillola del giorno dopo è un metodo contraccettivo d’emergenza che va usato quando si teme che un rapporto sessuale possa dar luogo ad una gravidanza non desiderata. Le situazioni a rischio, rappresentate dall’utilizzo di un metodo contraccettivo non efficace o da un rapporto non protetto, si possono verificare per:

  • dimenticata assunzione della pillola per tre giorni;

  • rapporto sessuale senza alcuna protezione;

  • rottura del preservativo;

  • mancato reinserimento dell’anello contraccettivo oppure distacco del cerotto dermico contraccettivo;

  • coito interrotto mal riuscito;

  • calcolo sbagliato dei giorni fertili;

  • violenza sessuale.

Effetti collaterali e controindicazioni della pillola del giorno dopo. La pillola del giorno dopo può causare:

  • nausea, per ovviare a questa possibilità è sufficiente non prenderla a stomaco vuoto;

  • vomito entro tre ore dall’assunzione: è necessaria una nuova somministrazione;

  • mal di testa;

  • tensione al seno;

  • gonfiore alle gambe.

Le mestruazioni successive possono essere ritardate o più abbondanti. Le controindicazioni alla pillola del giorno dopo sono le stesse indicate per la contraccezione: insufficienza epatica grave, malattie cardiovascolari, tromboembolie venose.

Alcuni farmaci potrebbero ridurre l’effetto della pillola del giorno dopo:

  • Farmaci per l’epilessia: carbamazepina e fentoina;

  • Farmaci antitubercolari: rifampicina;

  • Farmaci per le infezioni fungine: griseufulvina;

  • Farmaci per il trattamento dell’HIV: ritonavir;

  • Prodotti contenenti Erba di San Giovanni (iperico).

Anna Ucchesu, medico La legge per tutti 30 agosto 2018

www.laleggepertutti.it/231705_pillola-del-giorno-dopo-come-funziona

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COPPIA DI FATTO

Come è tutelata?

Le coppie di fatto hanno ottenuto la possibilità di ufficializzare la loro unione con la legge numero 76/2016, cd. Legge Cirinnà, che, oltre ad aver istituito le unioni civili per le coppie omosessuali, ha anche provveduto a regolamentare le convivenze di fatto.

www.gazzettaufficiale.it/atto/vediMenuHTML?atto.dataPubblicazioneGazzetta=2016-05-21&atto.codiceRedazionale=16G00082&tipoSerie=serie_generale&tipoVigenza=originario

La coppia di fatto è una coppia costituita da due soggetti legati sentimentalmente, ma che non hanno formalizzato il loro rapporto con un matrimonio o un’unione civile. Con la legge Cirinnà è stata data loro la possibilità di rendere la propria relazione giuridicamente rilevante senza dover necessariamente convolare a nozze o stipulare un’unione civile.

Tale legge, in particolare, riconosce degli specifici diritti ai conviventi di fatto, intendendo per tali:

  • Due persone maggiorenni,

  • Unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale,

  • Non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile.

La circostanza che nessuno dei conviventi di fatto possa essere sposato comporta che non è possibile considerare convivenza di fatto quella in cui uno dei soggetti coinvolti sia solo separato e non divorziato dal precedente partner.

La coppia di fatto in sé e per sé non ha nessun riconoscimento giuridico, di conseguenza non bisogna compiere alcuna operazione per diventare una coppia di fatto. Ciò, tuttavia, con la consapevolezza che, non facendo alcunché, per il diritto i due partner non esistono come coppia. Per poter formalizzare il proprio legame divenendo conviventi di fatto, invece, occorre effettuare una specifica dichiarazione all’anagrafe del Comune di residenza, recandosi personalmente negli appositi uffici o inviandola tramite fax o in via telematica.

Coppia di fatto: diritti dei conviventi. Il riconoscimento di una coppia di fatto come convivenza di fatto comporta il sorgere in capo ai soggetti interessati di numerosi diritti.

Ad esempio, i conviventi di fatto godono dei medesimi diritti che spettano al coniuge nei casi previsti dall’ordinamento penitenziario. Inoltre, in caso di malattia o ricovero gli stessi hanno diritto reciproco di visita, di assistenza e di accesso alle informazioni personali, così come previsto per i coniugi e per i familiari. In caso di malattia o di morte, ciascun convivente può poi designare l’altro quale suo rappresentante, con poteri pieni o limitati, per le decisioni in materia di salute nel primo caso e per quanto riguarda la donazione di organi, le modalità di trattamento del corpo e le celebrazioni funerarie nel secondo.

Altri diritti riguardano la casa di comune convivenza, le graduatorie per l’assegnazione di alloggi di edilizia popolare, la prestazione di opera all’interno dell’impresa dell’altro convivente, la possibilità di essere nominato in alcuni casi tutore, curatore o amministratore di sostegno e il risarcimento del danno in caso di decesso del convivente di fatto derivante da fatto illecito di un terzo. Tutti tali diritti sono dettagliatamente regolati dalla legge Cirinnà.

I contratti di convivenza. I conviventi di fatto possono poi disciplinare altri aspetti relativi alla loro vita in comune stipulando un contratto di convivenza, che non può essere sottoposto a termine o condizione e che va necessariamente redatto in forma scritta, a pena di nullità, con atto pubblico o scrittura privata con sottoscrizione autenticata da un notaio o da un avvocato che ne attestano la conformità alle norme imperative e all’ordine pubblico.

Con tale documento, in particolare, si possono concordare il luogo di residenza, le modalità di contribuzione di ciascuno alla vita in comune, il regime patrimoniale che regola i loro rapporti. A tale ultimo proposito si precisa che la regola generale è quella della separazione di beni, che può essere derogata in favore della comunione di beni tramite il contratto di convivenza.

La risoluzione del contratto può avvenire per accordo delle parti, recesso unilaterale, matrimonio o unione civile tra i conviventi o tra un convivente e altra persona, morte di uno dei contraenti.

Coppia di fatto: eredità. L’instaurazione di una convivenza di fatto, tuttavia, non permette in nessun caso alla coppia di fatto di ottenere dei diritti di successione, che non possono neanche essere ineriti nel contratto di convivenza.

L’unico modo per nominare erede il proprio partner è quindi quello di fare testamento, avendo cura di non ledere la quota di legittima dei parenti più stretti.

Avv. Valeria Zeppilli Studio Cataldi 27 agosto 2018

www.studiocataldi.it/articoli/31603-la-coppia-di-fatto.asp

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DALLA NAVATA

XXII Domenica del Tempo ordinario- Anno B – 2 settembre 2018

Deuteronomio 04. 02 Mosè parlò al popolo dicendo: «Non aggiungerete nulla a ciò che io vi comando e non ne toglierete nulla; ma osserverete i comandi del Signore, vostro Dio, che io vi prescrivo».

Salmo 14. 02 Colui che cammina senza colpa, pratica la giustizia e dice la verità che ha nel cuore, non sparge calunnie con la sua lingua.

Giacomo 01. 21 Accogliete con docilità la Parola che è stata piantata in voi e può portarvi alla salvezza. Siate di quelli che mettono in pratica la Parola, e non ascoltatori soltanto, illudendo voi stessi.

Marco 07. 06 Ed egli rispose loro: «Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto: Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini.

 

Che cosa è impuro?Commento di Enzo Bianchi.

Dopo la lettura del capitolo sesto del vangelo secondo Giovanni, lungo cinque domeniche, lettura che è stata una vera catechesi su Gesù quale “parola e pane della vita”, ritorniamo alla proclamazione cursiva del vangelo secondo Marco. Lo avevamo lasciato con il racconto della prima moltiplicazione dei pani (cf. Mc 6,30-44), lo riprendiamo al capitolo settimo, dove Gesù entra in controversia con alcuni scribi e farisei.

Costoro sono “venuti da Gerusalemme” in Galilea, come già era avvenuto quando, durante una discussione con Gesù sul suo potere di scacciare i demoni, lo avevano giudicato posseduto dal principe dei demoni e ne avevano condannato l’operare (cf. Mc 3,22-30). Ora invece contestano la condotta concreta dei discepoli di Gesù e ne chiedono conto alla loro rabbi. Il problema riguarda l’halakah, la pratica di precetti e prescrizioni ricevuti dalla tradizione e, nello specifico, il fatto che i discepoli prendono il loro pasto (lett.: “mangiano dei pani”) senza essersi lavati le mani, dunque con mani impure (aggettivo koinós). In verità la Torah, la Legge, rivolgeva il comando dell’abluzione rituale delle mani solo ai sacerdoti che al tempio facevano l’offerta, il sacrificio (cf. Es 30,17-21). Ma al tempo di Gesù vi erano movimenti che radicalizzavano la Torah e moltiplicavano le prescrizioni della Legge, con una particolare ossessione per il tema della purità. Tra questi vi erano gli chaverim (compagni, amici) e i perushim (separati, farisei), i quali consideravano molto importante la prassi del lavarsi le mani e di altre abluzioni in vista della purità, che poteva essere infranta a causa di contatti con persone o realtà impure.

Gesù lasciava liberi i suoi discepoli da queste osservanze che non erano state richieste da Dio, ma imposte dagli interpreti delle sante Scritture, i quali le dichiaravano “la tradizione”, attribuendole la stessa autorità riservata alla parola di Dio. Gesù faceva un’attenta operazione di discernimento, distinguendo bene ciò che era espressione della volontà di Dio e ciò che invece era consuetudine umana, norma forgiata dagli uomini religiosi che, assolutizzata, diventa un ostacolo alla stessa parola di Dio e una perversione della sua immagine. La Legge deve ispirare il comportamento ma, con il passare del tempo, le consuetudini e le osservanze rischiano di contraddire il primato della Parola, la sua centralità nella vita del credente. E sovente quanti invocano le tradizioni, rendendole “la tradizione”, lo fanno perché sono proprio loro ad averle pensate e create. In questo caso, però, anziché essere a servizio dell’uomo e della sua relazione di comunione con Dio, queste norme finiscono per essere alienanti, soffocano la libertà dei credenti, erigono barriere e tracciano confini tra gli esseri umani.

Di fronte a queste contestazioni di scribi e farisei, Gesù risponde attaccandoli: “Ipocriti, Isaia ha detto bene di voi, come sta scritto: ‘Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono culto, insegnando dottrine che sono solo precetti umani’ (Is 29,13). Sì, voi trascurate il comandamento di Dio per aderire alla tradizione degli uomini”. Gesù conferma l’ammonizione rivolta dal profeta al popolo di Gerusalemme e denuncia l’ipocrisia della distanza tra labbra che aderiscono a Dio e cuore che invece ne resta lontano. In quegli scribi e farisei vi era certamente la frequenza al culto, l’assiduità alla liturgia, la confessione verbale del Dio vivente, ma mancava un’autentica adesione del cuore, quella che chiede di realizzare ciò che si dice con le parole. È questione di unità della persona, di un cuore unito, non diviso, non doppio (cf. Sal 12,3)!

La critica di Gesù si fa aspra e radicale: “Annullate la parola di Dio con la tradizione che avete tramandato voi” (Mc 7,13). La volontà di Dio è misconosciuta, messa da parte, contraddetta, mentre il primato viene riservato alla pretesa tradizione. Proprio per questo il discernimento si fa urgente anche da parte del cristiano, e tale operazione si compie innanzitutto passando ogni osservanza e ogni prescrizione al vaglio del Vangelo, della parola e dell’azione di Gesù, e, di conseguenza, non dimenticando mai che è la carità il criterio ultimo capace di determinare la bontà o la perversione di ciò che viene richiesto. Scriveva Isacco della Stella, il grande abate cistercense del XII secolo: “Il criterio ultimo di ciò che deve essere conservato o cambiato nella vita della chiesa è sempre l’agápe, la carità”.

Gesù non ha mai contraddetto la Legge e le sue esigenze sulla volontà di Dio, anzi è sempre risalito all’intenzione del Legislatore, di Dio stesso, come già i profeti, affinché la Legge fosse accolta con il cuore e osservata nella libertà, con convinzione e amore. Ma di fronte alla tradizione e al moltiplicarsi dei suoi precetti, Gesù chiede ciò che egli stesso ha operato: il discernimento. La moltiplicazione dei precetti, infatti, accresce la possibilità di non osservarli, aumentando le occasioni di ipocrisia. “La parola del Signore rimane in eterno” (1Pt 1,22; Is 40,8), mentre le tradizioni evolvono in base ai mutamenti culturali e alle generazioni; e, seppur venerabili a causa dell’antichità, restano umane, involucro e rivestimento della parola di Dio.

Dopo aver indicato alcuni casi di contraddizione alla legge di Dio compiuti in nome dell’osservanza di precetti umani (cf. Mc 7,10-13), Gesù torna a rivolgersi alla folla chiamata attorno a sé e dice: “Ascoltatemi tutti e comprendete in profondità!”. Apertura autorevole e solenne che, in parallelo all’avvertimento conclusivo (“Se qualcuno ha orecchi per ascoltare, ascolti!”: Mc 7,16), mette in rilievo le parole rivelative di Gesù: “Non c’è nulla di esterno all’uomo che, entrando in lui, possa renderlo impuro. Sono invece le cose che escono dall’uomo a renderlo impuro”. Parole brevi e apodittiche. Non c’è niente che possa rendere impuro il discepolo tra le realtà che sono fuori del suo corpo: né il cibo, né il contatto, né le relazioni. Ciò che invece rende impuro l’uomo viene dal suo interno e si manifesta nel suo comportamento. Si faccia attenzione e non si finisca per opporre, sulla base di queste parole di Gesù, interiorità ed esteriorità, che in ogni essere umano sono dimensioni inseparabili. Per Gesù come per tutte le Scritture, “il male, il peccato è accovacciato alla porta” (cf. Gen 4,7) del cuore di ogni uomo e dal cuore è generato fino a manifestarsi nei sentimenti, nelle parole e nelle azioni.

Questo insegnamento di Gesù appare però in contrasto con le preoccupazioni di molti scribi, che insistevano soprattutto sul comportamento esteriore. Le sue parole non sono facilmente comprensibili, dunque egli è costretto, una volta ritornato in casa, lontano dalla folla, a rimproverare i discepoli perplessi e a esplicitare i nomi delle pulsioni, dei pensieri e dei propositi che rendono impuri: una lista impressionante di peccati, una delle più dettagliate di tutto il Nuovo Testamento. Significativamente, però, essa riguarda i peccati consumati contro l’amore, contro il prossimo, perché il peccato si innesta sempre nei rapporti tra ciascuno di noi e gli altri (cf. Mt 25,31-46), nelle relazioni: è nei rapporti umani che la legge di Dio chiede carità, misericordia, sincerità e fedeltà. Il male, l’impurità non sta nelle realtà terrene ma sta in noi, là dove noi affermiamo solo noi stessi e non riconosciamo gli altri.

Infine, tenendo conto del fatto che l’intera controversia nasce da una questione relativa alla tavola, si può trarre dall’intero ragionamento di Gesù un importante monito: non possiamo escludere nessuno dalla tavola e, se lo faremo, saremo esclusi noi dalla tavola del Regno! Quanto poi alla tavola eucaristica, non ne è escluso chi è peccatore, si ritiene tale e porge umilmente la mano come un mendicante verso il corpo del Signore, mentre ne dovrebbe essere escluso chi non sa discernere il corpo di Cristo (cf. 1Cor 11,29) nel fratello e nella sorella, nel povero, nel peccatore, nell’ultimo, nel senza dignità.

www.monasterodibose.it/preghiera/vangelo/12535-impuro

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DIRITTO DI FAMIGLIA

Se la moglie se ne va via ha diritto alla casa?

Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, ordinanza n. 21272, 28 agosto 2018

Separazione: assegno di mantenimento e assegnazione della casa coniugale alla moglie anche se scappa via di casa e le viene imputato l’addebito.

È il sogno di tanti mariti insoddisfatti del matrimonio: la moglie alza i tacchi e se ne va via di casa. In questo modo le viene addebitata la separazione e non ha più diritto al mantenimento. Il paradosso però è che, se ci sono figli, lei ha diritto a tenere con sé i bambini e, dopo aver fatto causa all’ex coniuge, a prendersi anche la casa intestata all’uomo. Possibile? Sì, e non è tutto: oltre all’assegnazione del tetto coniugale le spetta anche il mantenimento per far crescere i ragazzi con lo stesso tenore di vita di cui hanno goduto in precedenza. La conferma viene da una recente sentenza della Cassazione. Secondo la Corte, se la moglie se ne va via ha diritto alla casa.

Il cosiddetto “abbandono del tetto coniugale” si verifica quando uno dei due coniugi lascia l’altro e se ne va via con l’intenzione di non tornare più a casa; non scatta quindi quando l’assenza è solo momentanea, per qualche giorno, magari per una breve pausa di riflessione o per un paio di sere a seguito di una litigata furibonda. Non scatta neanche quando è rivolto a tutelarsi in caso di violenze del partner (si pensi alla moglie che scappa perché il marito la picchia).

Comunemente si crede che andare via di casa sia un reato. Lo diventa solo se il coniuge rimasto solo è senza risorse economiche per mantenersi e sopravvivere. Fuori da questa ipotesi (invero abbastanza rara nella società odierna), l’abbandono del tetto coniugale è solo una condizione per ottenere l’addebito ossia la dichiarazione di responsabilità a carico del coniuge scappato. L’unica conseguenza pratica è che quest’ultimo, anche se ha un reddito più basso, non potrà mai chiedere l’assegno di mantenimento per sé.

Le cose però cambiano completamente quando la coppia ha figli. In questo caso il giudice, a prescindere dalla sussistenza di un eventuale addebito, riconosce quasi sempre alla madre il diritto di vivere insieme ai minorenni (fino a quando questi non diventano autosufficienti o non prendono la loro strada). Il che significa che i bambini devono andare a vivere con la mamma mentre il papà ha solo il diritto di vederli in giorni e orari prefissati dalla sentenza della causa di separazione o divorzio.

Ebbene, tutte le volte in cui ci sono dei minori da proteggere, il giudice riconosce al genitore con essi conviventi l’assegnazione della casa coniugale. Ad esempio, se l’immobile è intestato al marito e, un bel giorno, la moglie se ne va via di casa, in presenza di figli quest’ultima ha diritto a tornare nell’appartamento – sempre che nel frattempo non abbia trovato un’altra stabile dimora – e a usarlo come proprio. Insomma, l’eventuale addebito non toglie il diritto a ottenere l’assegnazione del tetto.

Non è tutto. Se ciò può lasciarti a bocca aperta aspetta a considerare il resto. Il marito dovrà lasciare alla donna – che lo ha abbandonato sul più bello – le chiavi della propria casa e, in più, dovrà versarle il mantenimento per provvedere ai figli. Da sottolineare che l’assegno è quello per i figli e non per l’ex coniuge che, avendo ricevuto l’addebito a causa dell’abbandono del tetto coniugale, non ha diritto a nulla per sé.

Ricordiamo che l’assegnazione della casa viene meno tutte le volte in cui l’ex moglie va a vivere altrove, ossia dimostra di non aver interesse all’immobile del marito per avere un’altra sistemazione. Il che può verificarsi sia prima che dopo l’aggiudicazione da parte del giudice.

Su tali punti si è pronunciata la Cassazione riconoscendo alla donna, nonostante l’addebito per la separazione, l’assegno di mantenimento per i figli che la stessa aveva peraltro portato via con sé, senza nello stesso tempo essere indagata per sottrazione di minore.

Respinte tutte le obiezioni proposte dal marito. Confermato il suo obbligo di versare alla moglie ben 2.500 euro al mese. Decisiva la valutazione delle differenti posizioni economiche: solida quella dell’uomo, precaria quella della donna.

Centrale è difatti, secondo i Giudici, la comparazione delle situazioni economiche dei due coniugi. Da un lato è emersa «la florida situazione» dell’uomo, che, sempre secondo i Giudici, ha «parzialmente occultato» le proprie disponibilità, non producendo «le ultime dichiarazioni dei redditi» e sottostimando «i redditi dell’azienda familiare», mentre, dall’altro lato, sono parse evidenti le difficoltà affrontate dalla donna. Ella, in particolare, ha raccontato di «avere perso l’unica fonte di reddito che derivava dall’attività svolta ‘in nero’ in favore del marito» e ha spiegato di «essere attualmente costretta a vivere nell’angusta abitazione della madre, insieme ai figli», che, invece, «hanno la legittima aspirazione di conservare, almeno tendenzialmente, il tenore di vita goduto» prima della separazione tra i genitori e «di disporre di una casa adeguata in cui risiedere insieme alla madre», casa che, osserva la donna, richiederebbe «il pagamento di un canone di locazione indicativamente quantificato in 1.500 euro mensili».

La Legge per tutti 29 agosto 2018

Ordinanza www.laleggepertutti.it/234094_se-la-moglie-se-ne-va-via-ha-diritto-alla-casa

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DIVORZIO

Testo aggiornato della Legge sul divorzio (L. 1 dicembre 1970, n. 898), con D.Lgs. 1° marzo 2018, n. 21

www.altalex.com/documents/leggi/2012/06/27/disciplina-dei-casi-di-scioglimento-del-matrimonio

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ENTI TERZO SETTORE

Gdpr: principi fondamentali

Il 25 maggio 2018 è entrato definitivamente in vigore il nuovo regolamento europeo in materia di protezione dei dati personali. In buona sostanza, si tratta della nuova normativa sulla privacy. Il Gdpr (acronimo che sta per General data protection regulation e che indica, appunto, il nuovo regolamento europeo sulla privacy) è destinato a cambiare le regole della riservatezza e del trattamento dei dati personali, superando anche il testo legislativo italiano che, fino ad ora, ha rappresentato il codice della privacy italiano. Ma si tratta davvero di una rivoluzione epocale? Per scoprirlo non possiamo fare altro che approfondire la nuova normativa sulla privacy e analizzarne gli aspetti più importanti: in particolare, ci soffermeremo sulle disposizioni principali della nuova regolamentazione, lasciando ai posteri l’ardua sentenza circa la loro effettiva incidenza.

  1. Gdpr: qual è l’ambito di applicazione? Cominciamo innanzitutto col dire che il nuovo regolamento europeo sulla privacy [Regolamento (UE) n. 2016/679 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 27.04.2016] introduce una disciplina unica della tutela della riservatezza degli individui su tutto il territorio europeo. Ed infatti, trattandosi di un regolamento, esso è direttamente applicabile in tutti i Paesi membri dell’Unione Europea senza necessità di un provvedimento di recepimento. Ciò garantirà un’applicazione uniforme delle medesime regole in tutta l’Unione, così da evitare ingiuste disparità.

Allo stesso tempo, il nuovo regolamento europeo sulla privacy si applicherà non soltanto ai cittadini e alle istituzioni europee, ma anche a quanti (privati, società, imprese, istituzioni estere) operino sul territorio europeo. Tutto il continente, praticamente, sarà coperto da questo grande ombrellone rappresentato dal Gdpr, con obbligo di adeguare le normative nazionali (da noi, il codice della privacy del 2003 [D. Lgs. n. 196/2003]).

  1. Gdpr: a chi si rivolge? Detto del raggio di azione del nuovo regolamento europeo Gdpr, vediamo qual è l’oggetto della sua tutela. Il Gdpr è diretto alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla tutela della libera circolazione di tali dati [Art. 1 Gdpr]. Cosa significa? Che il Gdpr protegge i dati personali solo delle persone fisiche, cioè degli individui, non delle imprese, delle società e di qualsiasi altra persona giuridica. È chiaro, quindi, l’intento del legislatore europeo di tutelare i più deboli, cioè i consumatori e tutti coloro che agiscono in veste non professionale.

  2. Gdpr: a chi non si applica? Detto del suo raggio di azione, vediamo ora, in negativo, cosa non copre il Gdpr, cioè a cosa e a chi non si applica. Il regolamento europeo sulla privacy non si applica ai trattamenti di dati personali:

  • Effettuati per attività che non rientrano nell’ambito di applicazione del diritto dell’Unione;

  • Effettuati dagli Stati membri nell’esercizio di attività che rientrano nell’ambito di applicazione della politica estera e la sicurezza comune;

  • Effettuati da una persona fisica per l’esercizio di attività a carattere esclusivamente personale o domestico;

  • Effettuati dalle autorità competenti a fini di prevenzione, indagine, accertamento o perseguimento di reati o esecuzione di sanzioni penali, incluse la salvaguardia contro minacce alla sicurezza pubblica e la prevenzione delle stesse [Art. 2 Gdpr]

  1. Regolamento europeo privacy: quali sono i principi?

  2. Nuovo regolamento europeo sulla privacy: cosa sono i dati personali?

  3. Gdpr: cos’è il trattamento dei dati personali?

  4. Chi sono il titolare e il responsabile del trattamento?

  5. Regolamento europeo privacy: cos’è il consenso al trattamento?

  6. Regolamento europeo privacy: quando il consenso è legittimo?

  7. Regolamento Gdpr: dati sensibili

  8. Gdpr: quali sono gli obblighi del titolare del trattamento?

  9. Regolamento Gdpr: qual è l’informativa da dare all’interessato?

    1. Dati personali raccolti presso l’interessato

    2. Dati personali non raccolti presso l’interessato

  10. Diritto d’accesso: cos’è?

  11. Diritto di rettifica e diritto di cancellazione: cosa sono?

  12. Diritto di cancellazione o diritto all’oblio: cos’è?

  13. Diritto di limitazione: cos’è?

  14. Diritto alla portabilità dei dati: cosa significa?

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Mariano Acquaviva La Legge per tutti 28 agosto 2018

www.laleggepertutti.it/231903_gdpr-principi-fondamentali

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FECONDAZIONE ETEROLOGA

Fecondazione eterologa: è adulterio? Quando diventa adulterio?

Legge n. 40, 19 febbraio 2004

www.studiocataldi.it/normativa/legge-procreazione-assistita.asp

La legge italiana consente di ricorrere alla fecondazione assistita alle coppie che non possano avere naturalmente figli essa consiste nel trattamento medico finalizzato alla soluzione di problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o dall’infertilità umana qualora non vi siano altri metodi efficaci per rimuovere la patologia.

La procreazione medicalmente assistita, quindi, non cura la patologia, cioè non guarisce dall’infertilità o dalla sterilità, ma interviene a sopperire all’incapacità di procreare attraverso particolari tecniche mediche. In Italia il ricorso a queste tecniche è sempre più diffuso: la sterilità affligge migliaia di persone e costringe quanti vogliono vivere la genitorialità a fare enormi sacrifici pur di avere un bambino. In Italia esiste un’apposita legge che disciplina la fecondazione assistita, strumento volto proprio a superare le problematiche della coppia che non può avere figli. Sulla procreazione medicalmente assistita, però, c’è molta confusione, in gran parte dovuta al fatto che, a seguito di una pronuncia della Corte Costituzionale, oggi è ammessa anche la fecondazione eterologa. Ma di cosa si tratta in particolare? Qual è la differenza tra fecondazione omologa ed eterologa? E, soprattutto, la fecondazione eterologa è adulterio?

Fecondazione assistita: cos’è? Per capire se la fecondazione eterologa è adulterio bisogna necessariamente essere consapevoli di cosa sia la fecondazione assistita (in gergo tecnico: procreazione medicalmente assistita). Come anticipato, la fecondazione assistita fa riferimento a tutte quelle tecniche (stimolazione ovarica; inseminazione intrauterina; fecondazione in vitro; ecc.) che consentono ad una coppia di superare la loro impossibilità a procreare. La procreazione medicalmente assistita non può essere chiesta da chiunque: secondo la legge [Legge n. 40 del 19.02.2004], infatti, alle tecniche di fecondazione assistita possono accedere soltanto le coppie:

  • Maggiorenni;

  • Di sesso diverso;

  • Coniugate o conviventi;

  • In età potenzialmente fertile;

  • Entrambi viventi.

La procreazione medicalmente assistita, quindi, non soltanto è preclusa alle coppie che non hanno problemi di fertilità, ma anche alle coppie omosessuali, a quelle in cui uno dei partner sia minorenne, quando la coppia non sia nemmeno convivente oppure quando sia troppo avanti con l’età (per la precisione, quando la donna abbia raggiunto la menopausa e l’uomo l’andropausa) o, addirittura, quando uno dei componenti di essa sia deceduto. In quest’ultimo caso si parla di divieto di fecondazione post mortem, cioè del divieto di utilizzare il gamete del compagno defunto.

Fecondazione eterologa e fecondazione omologa: qual è la differenza? A queste condizioni la legge ne aggiunge(va) un’altra: che il gamete, cioè la cellula sessuale utile per la fecondazione, sia prelevata all’interno della coppia. Cosa significa in parole povere? Vuol dire che la fecondazione assistita può avvenire soltanto utilizzando l’ovulo (gamete femminile) e il seme (gamete maschile) dei futuri genitori: si parla, a tal proposito di fecondazione omologa.

Al contrario, la fecondazione eterologa consentirebbe alla coppia di utilizzare il gamete di una persona esterna. Facciamo degli esempi. Tizio e Caia non riescono ad avere figli; si rivolgono pertanto ad un centro medico specialistico per accedere alla procreazione medicalmente assistita. La fecondazione omologa, l’unica prevista dalla legge (almeno fino alla sentenza della Corte Costituzionale del 2014; leggi il paragrafo successivo), consente di utilizzare solamente le cellule prelevate da Tizio e Caia per poter favorire la procreazione. Ciò significa che, se uno dei due è del tutto incapace di procreare (cosiddetta infertilità assoluta), la fecondazione assistita non potrà che fallire. Al contrario, la fecondazione eterologa consente di utilizzare l’ovulo o il seme di una persona diversa da Tizio o da Caio, superando così anche i casi in cui uno dei partner non sia capace di procreare.

Fecondazione eterologa: è legale? Abbiamo detto che la legge sulla procreazione medicalmente assistita ammette la sola fecondazione omologa: l’embrione, cioè, può derivare solamente dall’incontro del seme e dell’ovulo dei genitori naturali. Nel 2014, però, una sentenza della Corte Costituzionale [Sent. n. 162 del 10.06.2014] ha dichiarato l’illegittimità del divieto del ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, qualora sia stata diagnosticata una patologia che sia causa di sterilità o infertilità assolute ed irreversibili. Di conseguenza, oggi si può dire che anche in Italia la fecondazione eterologa sia consentita, con possibilità di quelle coppie affette da infertilità assoluta di ricorrere ad un gamete esterno per favorire la procreazione.

www.cortecostituzionale.it/actionSchedaPronuncia.do?anno=2014&numero=162

Fecondazione eterologa: è adulterio? Come appena ricordato, la fecondazione eterologa consente alle persone che non possono avere figli di cercare il gamete utile alla procreazione al di fuori della coppia, utilizzando quindi il gamete (ovulo o seme) di altra persona. Questa particolare tecnica di procreazione medicalmente assistita pone, però, un problema, che è quello del consenso del partner. Si faccia l’esempio di Tizia che, non potendo concepire con Caio, fa ricorso alla fecondazione eterologa senza nulla dire al compagno. Cosa accade in questa circostanza? Il futuro padre potrà disconoscere il figlio nato da procreazione avvenuta senza il suo consenso?

La risposta a queste domande proviene direttamente dalla Corte di Cassazione [Sent. n. 7965.28.03.2017].

www.altalex.com/documents/massimario/2017/06/07/filiazione-fecondazione-artificiale-disconoscimento-di-paternita-adulterio-applicabilita

Secondo i supremi giudici, la soluzione al caso sopra esemplificato va trovato in quella disposizione del codice civile secondo cui il marito può disconoscere il figlio nel termine di un anno che decorre dal giorno della nascita quando egli si trovava al tempo di questa nel luogo in cui è nato il figlio; se prova di aver ignorato la propria impotenza di generare ovvero l’adulterio della moglie al tempo del concepimento, il termine decorre dal giorno in cui ne ha avuto conoscenza [Art. 244 cod. civ.]. Fondamentale per proporre l’azione di disconoscimento, dunque, è il momento in cui l’uomo abbia avuto conoscenza del fatto che, a causa della sua sterilità o dell’infedeltà della moglie, il figlio non sia suo.

Secondo i giudici, nel caso in cui la donna ricorra alla fecondazione eterologa senza il consenso del partner, la procreazione così ottenuta deve essere equiparata in tutto e per tutto all’adulterio e, pertanto, è consentito al marito di disconoscere il figlio così generato. In altre parole, quindi, il ricorso alle tecniche di fecondazione da parte della donna coniugata all’insaputa del marito corrisponde all’adulterio, con conseguente diritto del marito di disconoscere il figlio entro un anno dalla scoperta della fecondazione eterologa.

Mariano Acquaviva La Legge per tutti 27 agosto 2018

www.laleggepertutti.it/231369_fecondazione-eterologa-e-adulterio

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FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI

Incontro mondiale a Roma nel 2021, sfida da cogliere

“Accogliamo con gioia e un pizzico di trepidazione le parole con cui da Dublino è stato annunciato che il prossimo Incontro mondiale delle Famiglie, nel 2021, si terrà a Roma”: è il commento del presidente nazionale del Forum delle Associazioni Familiari, Gigi De Palo, all’annuncio del cardinale Kevin Farrel, prefetto del dicastero pontificio per i Laici, la Famiglia e la Vita, al termine della messa presieduta da Papa Francesco nella capitale irlandese.

“Per tutte le famiglie italiane, ma anche e soprattutto per l’Italia – aggiunge De Palo – i prossimi tre anni saranno una vera e propria sfida da cogliere, una meravigliosa opportunità che non potrà non impegnare tutte le componenti del Paese, Governo, imprese, società civile, mass media a dare il meglio di sé per trasformare le difficoltà di oggi in un futuro migliore. Da parte sua, il Forum delle Associazioni Familiari farà come sempre la sua parte al servizio delle famiglie, sperando che tra tre anni l’Italia possa aver invertito la rotta sul fronte della natalità e aver avviato un processo che la metta in grado di essere all’avanguardia per quanto riguarda le politiche familiari”.

Comunicato stampa 26 agosto 2018

www.facebook.com/forumfamiglie/posts/2272336079505636

Lunigiana, sei comuni mettono al centro le politiche familiari. De Palo: “Modello da esportare”

È stato siglato stamane, presso il Castello del Piagnaro di Pontremoli (MS), alla presenza del presidente nazionale del Forum delle Associazioni Familiari, Gigi De Palo, il protocollo d’intesa che sancisce ufficialmente l’impegno dei Comuni di Pontremoli, Tresana, Villafranca, Casola, Licciana Nardi e Massa a mettere in campo politiche che abbiano come fulcro il valore portante dei nuclei familiari per il welfare cittadino. L’adesione di queste realtà della Lunigiana alla Rete dei Comuni Amici della Famiglia è stata resa possibile dalla spinta propulsiva del Comune di Pontremoli il quale, per precisa scelta del suo Sindaco, Lucia Baracchini, e del Delegato alle Politiche Familiari, Paolo Parodi, da anni ha posto in essere azioni concrete in favore di chi sceglie di ‘far famiglia’. Dalla costituzione della ‘Consulta della Famiglia’ alla sperimentazione di un ‘Quoziente Pontremoli’, con politiche tariffarie che tenessero conto della numerosità dei nuclei familiari. Fino all’introduzione, nel marzo scorso, del vero e proprio ‘Fattore Famiglia’, con l’allargamento dell’attenzione fiscale ai carichi e alle responsabilità familiari oltre che alla retta dell’asilo nido e ai trasporti per gli scolari, anche alle tariffe della mensa scolastica.

“Sono molto contento di essere qui oggi – sottolinea il presidente nazionale del Forum Famiglie, Gigi De Palo – soprattutto perché nel compiere la loro scelta di stare concretamente, con azioni reali, al fianco delle famiglie, questi Comuni hanno voluto fortemente che fossero proprio il Forum delle Famiglie regionale e quello nazionale a presenziare a questa giornata: il riconoscimento della garanzia offerta dal nostro lavoro e dall’impegno costante a tutela della bellezza della scelta familiare. Il mio auspicio è che altri comuni, in Toscana e non solo, seguano questo esempio virtuoso”.

“Una Rete come quella appena costituita – aggiunge Francesco Zini, neo-presidente del Forum Famiglie della Toscana – rappresenta una novità assoluta nel nostro tessuto regionale ed è tanto più significativa se si pensa che la Toscana vive oggi più di altre regioni italiane i segni drammatici dello spopolamento e dell’inverno demografico, con circa 18mila persone che spariscono ogni anno. Avvertiamo forte il bisogno di un cambio di mentalità da parte delle istituzioni locali, che dovrebbero mettere come prioritaria l’esigenza di adesione al Patto per la Natalità proposto dal Forum, anche perché le conseguenze di questa crisi demografica incidono capillarmente su tutti i settori: turismo, sanità, previdenza, servizi. Ecco perché la buona notizia di questo modello che oggi nasce in Lunigiana merita di essere imitata ed esportata anche nelle altre province della regione”.

A conferma dell’attenzione speciale posta nei riguardi delle famiglie e dei loro componenti, l’amministrazione comunale di Pontremoli ha annunciato anche l’introduzione di una misura dedicata ai nuovi nati: integrerà con 100 euro di ‘bonus natalità’ gli 800 euro del ‘bonus mamma domani’ erogati dallo Stato per ciascun bebè venuto al mondo nel 2018 e residente nella città e ha invitato a fare altrettanto la locale Società della Salute, così da raggiungere i mille euro di contributo complessivo per ogni neonato che si aggiungerà alla comunità cittadina. “La firma di oggi conferma che sono tante, nel nostro Paese, le realtà attente al presente e al futuro dei cittadini e del proprio tessuto socio-economico”, conclude De Palo.

Comunicato stampa 28 agosto 2018

www.forumfamiglie.org/2018/08/28/lunigiana-sei-comuni-mettono-al-centro-le-politiche-familiari-de-palo-modello-da-esportare

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FRANCESCO VESCOVO DI ROMA

I sette “pilastri” del pensiero educativo del Pontefice

Papa Francesco: p. Spadaro su La Civiltà Cattolica, “per lui educare è costruire una nazione, accogliere le diversità, integrare, valorizzare l’inquietudine”

“Educare è una delle arti più appassionanti dell’esistenza, e richiede incessantemente che si amplino gli orizzonti”. In questa affermazione del Papa si racchiudono il valore e la centralità della sfida educativa per Francesco e da qui, scrive p. Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà Cattolica, “possiamo rilanciare a questo punto la nostra azione”.

Nel quaderno 4037 della rivista, in uscita sabato 1° settembre, Spadaro delinea i sette “pilastri” del pensiero educativo del Pontefice formatosi nel corso del ministero episcopale a Buenos Aires.

  1. Anzitutto “educare è integrare”. L’arcivescovo Bergoglio “inquadra l’educazione sempre all’interno di una visione ampia della società”, spiega Spadaro; per lui educare “significa costruire una nazione”.

  2. “Un altro elemento centrale per la costruzione sociale è l’accoglienza delle diversità” da considerarsi come “‘sfide’ positive, risorse, non problemi, da valorizzare per il bene di tutti”.

  3. Per Francesco occorre inoltre “affrontare il cambiamento antropologico” nella consapevolezza che “le sfide educative oggi non sono più quelle di una volta”.

  4. Ulteriore pilastro, l’inquietudine come “motore dell’educazione” che non è “addomesticamento”, anzi. Secondo Bergoglio “l’unico modo per riguadagnare l’eredità dei padri è la libertà” e “non c’è libertà se non c’è l’inquietudine”.

  5. E ancora: “la domanda e la ricerca come metodo” perché, disse l’allora arcivescovo di Buenos Aires, “le nostre scuole non devono affatto aspirare a formare un esercito egemonico di cristiani che conosceranno tutte le risposte, ma devono essere il luogo dove vengono accolte tutte le domande”.

  6. Bergoglio invita inoltre alla consapevolezza e all’accoglienza dei limiti creando “a partire da ciò che esiste”, e a vivere una “fecondità generativa e familiare”.

  7. “L’educazione – chiosa Spadaro – non è una tecnica, ma una fecondità generativa: ‘Dialogare è avere capacità di lasciare eredità’”.

Agenzia SIR 30 agosto 2018

https://agensir.it/quotidiano/2018/8/30/papa-francesco-p-spadaro-su-la-civilta-cattolica-per-lui-educare-e-costruire-una-nazione-accogliere-le-diversita-integrare-valorizzare-linquietudine/

 

Che tempi!

Che cosa dovrebbe fare una Chiesa di tutti e soprattutto dei poveri dopo aver ricevuto una lettera come quella di mons. Viganò? Si potrebbe pensare che dovrebbe prendere il lutto e vestire di sacco, entrare in depressione, temendo per la propria sorte, perché chi mai si prenderebbe una Chiesa così? E perfino potrebbero i giovani trovarvi nuovi motivi per disinteressarsi della religione ed evitare le chiese, e gli osservanti distogliersi dal pregare, e magari le vergini smettere di essere vergini e le sposate farsi sterili.

Invece la Chiesa di tutti Chiesa dei poveri reagisce con immensa gioia a questa offesa. Certo, si accorge di avere avuto un pessimo Nunzio a Washington, ossequioso e zelante in carriera, e poi sfrenato delatore e forse calunniatore con tanto di nomi e cognomi, quando dismesso e lasciato a casa sua. Ma a parte questo, che meraviglia! Si capisce bene infatti la disperazione di quanti, fuori e dentro la Chiesa istituita, vorrebbero a tutti i costi fermare papa Francesco perché smetta di annunziare il Vangelo, e così restino solo le Curie, i catechismi, i libri penitenziali, i santi inquisitori, le scomuniche tra i cristiani, i crocefissi nelle scuole e i rosari agitati nelle piazze. Vuol dire che davvero il Vangelo è annunziato di nuovo, arriva direttamente da laggiù, dalla Galilea, e perciò questi sono tempi bellissimi, straordinari: perché se il Vangelo è annunziato i poteri del mondo sono perduti. Ieri, nel tempo della tetraggine, sembrava che tempi così nemmeno ci si potesse sognare di viverli.

E invece tutto è chiaro, perfino già scritto: beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia, rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli, così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi; un discepolo non è più grande del maestro, né un servo è più grande del suo signore; se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi.

Perciò la Chiesa di tutti Chiesa dei poveri è felice, ed ancora più sta alla sequela del Vangelo e di papa Francesco che con la forza e l’autorità del ministero petrino (osannato, finché innocuo, anche dagli antipapa) lo annuncia.

Certo, è venuta alla luce la condotta forse più devastante nella Chiesa, la pedofilia come massimo esempio di sfruttamento ed abuso dei forti sui deboli, e l’omosessualità come condizione umana irrisolta e pregiudicante i rapporti di vita nel corpo ecclesiale; ma ormai la Chiesa è uscita dall’omertà, si è decisa a combattere questa battaglia a viso aperto, e papa Francesco ne garantisce la sincerità e il rigore, fino a condannare i vescovi colpevoli, deporre i conniventi e togliere la porpora anche al cardinale più potente.

E c’è pure un provvidenziale risvolto positivo, pedagogico ed ecclesiologico, di questa angustia divampata nella Chiesa di oggi : è la scoperta della Chiesa terrena, nella sua debolezza e infermità, con i suoi preti arrancanti e i suoi ambasciatori infedeli; non una Chiesa iperbolica nella sua figura di Sposa incontaminata di Cristo, ma una Chiesa verosimile, nella sua realtà di carne umana di Cristo, che come lui è serva e ministra, mandata a lavare i piedi all’Europa e al mondo, vaso di misericordia, Chiesa incidentata e in uscita, ma proprio per questo da doversene prendere cura ed amare.

Raniero La Valle blog a sinistra da cristiani 30 agosto 2018

http://ranierolavalle.blogspot.com/2018/08/che-tempi.html

 

La farsa e la fiducia. Ciò che resta dell’attacco al Papa

È curioso ma assai significativo che papa Francesco sia stato l’unico a non qualificare come “dossier” il j’accuse di undici pagine dell’ex nunzio Carlo Maria Viganò fatto detonare, come è noto, sotto i cieli d’Irlanda in piena Festa mondiale delle famiglie. Rispondendo sul volo di ritorno da Dublino alla domanda sulla veridicità di quelle accuse, il Papa lo ha infatti definito semplicemente «comunicato». Per due volte: «Ho letto il comunicato» e «credo che il comunicato parli da se stesso».

E poi la sorprendente, espressa volontà, rilanciata dai media di tutto il mondo, di lasciare a noi cronisti il «giudizio», in un «atto di fiducia», contando sulla «maturità professionale di ciascuno», perché «voi avete la capacità giornalistica sufficiente per trarre le conclusioni».

Sembra invece sfuggita ai più come questa sequenza di termini fosse in relazione anche con quanto detto a conclusione della conferenza stampa ad alta quota, quando parlando della fede degli irlandesi il Papa ha affermato che questi «sanno ben distinguere le verità dalle mezze verità». Quella che dunque al momento era parsa una non-risposta si è rivelata traccia di una pertinente, lucida indicazione, anche pedagogica, stando proprio a quanto è emerso sul cartiglio Viganò a distanza di pochi giorni. Per le verità, infatti, sono bastate poche ore e non c’è stato neppure bisogno di indagini approfondite. Ma cominciamo dalle «mezze verità».

Del cartiglio sono state già ampiamente messe in luce le frequenti contraddizioni e i ripetuti omissis della narrazione. A un’attenta lettura il cartiglio-comunicato appare chiaramente un miscuglio di mezze verità. Si tratta di una viziata tecnica nota nella comunicazione, si chiama disinformazione, che è più grave rispetto anche alla calunnia e alla diffamazione, come ha ricordato più volte lo stesso Francesco, perché propone soltanto una parte della verità per perseguire un fine.

La disinformazione si costruisce, appunto, sulle mezze verità. Un classico meccanismo che punta a impedire la risposta. In una simile costruzione a spirale non c’era dunque soltanto da chiedersi se ciò che racconta Viganò sia vero (come ripetono a mo’ di mantra personaggi e media che chiedono le «dimissioni» di Francesco).

C’era da chiedersi, e anche questo è stato già ampiamente rilevato, se la sequenza descritta da Viganò, le sue considerazioni, le sue omissioni, le sue interpretazioni portano davvero ad attribuire una qualche responsabilità al Pontefice oggi regnante. A questo si aggiunge la non attendibilità del testimone, anche questa ampiamente rilevata, per avere un quadro preciso del j’accuse. E probabilmente per renderci immuni da veleni che hanno la presunzione di far tremare la terra sotto i piedi del Successore di Pietro e di indurre in soggezione e sgretolare il sensus fidei del popolo di Dio.

In questi giorni sono poi emersi dettagli che dimostrano come si è trattato di una operazione pensata e organizzata a tavolino da diversi soggetti, italiani e statunitensi, inserita in un piano preciso, tanto che la sua preparazione includeva anche l’assistenza giuridica di un avvocato, consultato preventivamente da Carlo Maria Viganò due settimane fa, legato all’agenzia statunitense Ewtn-Catholic National Register.

E alla fine è arrivata anche la ciliegina sulla torta di tutto l’affaire. In una lunga conversazione con l’agenzia Ap, un giornalista [Marco Tosatti] di un blog notoriamente anti-Bergoglio, preso da un’irrefrenabile euforia di protagonismo narcisistico, in pochi minuti ha offerto su un piatto d’argento i piedi d’argilla della maldestra operazione: ha confessato pubblicamente che è stato lui a scrivere il cartiglio della cosiddetta testimonianza-denuncia. Queste le testuali parole: «Ho fatto l’editing professionale; cioè abbiamo lavorato sulla bozza, il cui materiale era integralmente del nunzio, per verificare che fosse scorrevole e giornalisticamente utilizzabile». Insomma, un lavoro creativo per un programma «giornalisticamente utilizzabile» e che di veramente preciso ha avuto solo il meccanismo a orologeria.

Eccoci così al succo del marchingegno Viganò, e si capisce perché il Papa l’abbia definito «comunicato». A questo punto, scoperchiati gli altarini, scolato il brodo, di fronte a ‘cotanto senno‘, l’unica cosa che stringendo viene da chiedersi è quella che con rara efficacia si è chiesto un osservatore molto attento: «E papa Francesco dovrebbe rispondere a questo giornalista? Il grande Totò direbbe: Ma mi faccia il piacere!».

Viene da aggiungere: ma si può davvero pensare di mettere alle strette un pontificato con simili sgangherate confezioni giornalistiche che sono un insulto all’intelligenza? E anche qui la risposta è certamente da lasciare al grande Totò. Alla fine di questa grottesca farsa la conclusione potrebbe, dunque, essere quella del drammaturgo Bernard Show: «Come è comica la verità!». Grazie Santo Padre per l’«atto di fiducia»’ che ha concesso a chi fa questo nostro mestiere (e non altro).

Stefania Falasca Avvenire 30 agosto 2018

www.avvenire.it/opinioni/pagine/la-farsa-e-la-fiducia

 

«Ratzinger non ha letto il memoriale di Viganò» Un video inguaia il corvo

Volano gli stracci in Vaticano. Da una parte i supporter dell’ex nunzio, Carlo Maria Viganò – che ha chiesto le dimissioni papali mettendo il dito nella piaga degli abusi e delle coperture ai piani alti della Chiesa-, e dall’altra i supporter di Papa Francesco. Una guerra mediatica senza quartiere che al momento non offre la possibilità a nessuno di parare i colpi bassi. E’ persino dovuto intervenire il Papa Emerito, tramite il suo segretario personale, monsignor Georg Gaenswein, per smentire categoricamente un coinvolgimento (diretto e indiretto) di Ratzinger in questa brutta vicenda. «Egli non ha mai visto il memoriale pubblicato, non lo ha mai letto e nemmeno lo ha avallato. Sono tutte balle».

Evidentemente negli Stati Uniti dove si sta giocando la partita più grossa sugli abusi e dove l’inchiesta governativa iniziata dalla Pennsylvania si sta allargando in altri stati per verificare l’estensione del fenomeno degli insabbiamenti e delle relative coperture vaticane – qualcuno aveva persino provato a trascinare dentro con tutta la sua autorevolezza anche il pontefice emerito. Il tentativo è stato stoppato ed è stato eretto un muro a tutela del teologo bavarese. Da parte sua non c’è nessun coinvolgimento. Nel frattempo il segretario di Stato, Pietro Parolin esprimendo dolore di fronte a queste accuse, ha manifestato la «speranza che tutti da ora in poi lavoreranno nella ricerca della verità e dell’unità». E’ poi sembrano minimizzare aggiungendo che la situazione «non è per nulla preoccupante». Parolin interpellato da Vatican Insider ha precisato di non voler entrare nei dettagli del memoriale e dare risposte, esattamente come ha fatto anche Francesco. «Ripeto ciò che ha detto il Papa: leggetelo voi e fatevi un vostro giudizio. Il testo parla da sé». (…)

Eppure la lettera dell’arcivescovo Viganò, pubblicata tra il 25 e il 26 agosto in cui chiede la rinuncia papale si sta rivelando una bomba per i cattolici di tutto il mondo, lasciando integre sul terreno due domande difficilmente eludibili.

  1. La prima: come è stato possibile che l’ex cardinale Theodore McCarrick sia stato fatto prima arcivescovo di Washington e poi cardinale da Giovanni Paolo II, visto che era noto a tutti del brutto vizio di portarsi a letto i seminaristi nella sua casa al mare?

  2. Seconda domanda: perché McCarrick è sempre rimasto al suo posto se Papa Ratzinger lo aveva punito, relegandolo ad una vita privata?

  3. Infine c’è una terza domanda emersa nel frattempo e che ha a che fare con il livello di corruzione dentro al Vaticano, emerso durante l’inchiesta di Vatileaks ma poi lasciato cadere: come è possibile che un funzionario dei Musei Vaticani sia ancora al suo posto quando c’erano pronte due sentenze di condanna e doveva essere licenziato?

In questa guerra mediatica è stato riesumato un vecchio filmato di monsignor Viganò, risalente al 2012, quando era ancora negli Usa come nunzio. Ad una cerimonia di gala a Manhattan, lui stesso dava il benvenuto al cardinale McCarrick per consegnargli una medaglia con le Chiavi di San Pietro. Un particolare non indifferente visto che Viganò ha chiesto a Francesco di dimettersi proprio per non aver applicato subito le sanzioni canoniche che Benedetto XVI aveva emesso contro l’ex porporato statunitense, attualmente accusato di abusi sessuali e che sarebbe stato espulso dal collegio cardinalizio solo cinque anni dopo. Forse non saranno le testimonianze personali, come quella dell’ex nunzio Viganò, a offrire una risposta credibile per la Chiesa.

In questi giorni il presidente della Conferenza episcopale Usa, il cardinale Daniel Nicholas DiNardo, ha avanzato una idea: solo un’indagine indipendente, della quale faccia parte una commissione di laici, potrà chiarire la verità e restituire la credibilità ad un sistema che non sa rigenerarsi al suo interno. Chissà se in questo dibattito a qualcuno è venuto in mente la frase evangelica: «la verità vi farà liberi».

Franca Giansoldati Il Messaggero 31 agosto 2018

www.ilmattino.it/primopiano/vaticano/vaticano_ratzinger_mai_letto_dossier_vigano-3943294.html

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201808/180831giansoldati.pdf

 

Nuove accuse dell’ex nunzio «Voglio verità, non vendetta Chiesa corrotta ai vertici»

(…) Ma una tegola — se piccola o grande si vedrà nei prossimi giorni — gli è arrivata ieri dalla sua America: il Catholic News Service, il portale multimediale della Chiesa Cattolica statunitense, ha documentato con un filmato l’atteggiamento di plauso pubblico tenuto da lui stesso verso il cardinale McCarrick ora scardinalato da Francesco in quanto abusatore conclamato: accadde il 2 maggio 2012, quando il Papa era ancora Benedetto, e sei mesi dopo che a lui, Viganò, era stato trasmesso l’ordine del Papa che il cardinale McCarrick non dovesse apparire in pubblico. Quel giorno a una cena di gala Viganò tenne un discorso ad apertura del quale salutò con enfasi «sua eminenza il cardinale McCarrick a cui tutti noi vogliamo molto bene».

Nel memoriale Viganò aveva mosso a Francesco l’accusa di aver lasciato cadere le sanzioni «segrete» poste a MCarrick da papa Benedetto, permettendogli di tornare ad apparire in pubblico, mentre il video mostra che il cardinale appariva anche prima e aveva come banditore di gala proprio Viganò.

Luigi Accattoli Corriere della Sera 30 agosto 2018

https://roma.corriere.it/notizie/cronaca/18_agosto_30/papa-francesco-nuove-accuse-dell-ex-nunzio-voglio-verita-non-vendetta-chiesa-corrotta-vertici-bcc12da4-abd8-11e8-9764-e6a99f8035d4.shtml

 

Viganò: Benedetto non volle sanzioni pubbliche perché McCarrick era in pensione

Andrea Tornielli La Stampa Vatican Insider 31 agosto 2018

www.lastampa.it/2018/08/31/vaticaninsider/vigan-benedetto-xvi-non-volle-sanzioni-pubbliche-perch-a-mccarrick-era-in-pensione-m1puuDuA6rBRFXCD2iZeTN/pagina.html

 

Cum Petro

L’attacco di mons. Viganò al Pontefice rivela la volontà di dividere e di ferire la Chiesa Cattolica nella sua interezza. Addirittura colpisce i due predecessori di Francesco, forse più di quanto colpisca lo stesso regnante Pontefice, e questo con buona pace del tentativo maldestro, in atto da tempo, di dividere Francesco dai suoi predecessori. Di fronte alla “sporcizia” e all’ideologia gay che esiste purtroppo anche nella Chiesa, l’unica vera risposta è la santità. Come quella dei Papi del secolo XX.

 

Quando, nel dicembre 2005, pronunciò il celebre discorso sul Concilio Ecumenico Vaticano II (1962-1965) indicando quale dovesse essere l’ermeneutica corretta per interpretarlo, cioè «[…] l’“ermeneutica della riforma”, del rinnovamento nella continuità dell’unico soggetto-Chiesa, che il Signore ci ha donato», Papa Benedetto XVI diceva che chi opera per dividere e contrapporre la Chiesa e i suoi membri di fatto opera per cercare di distruggerla. Questo è quello che appare osservando i risultati del documento diffuso dell’ex nunzio negli Stati Uniti d’America, l’arcivescovo Carlo Maria Viganò, pochi giorni dopo la sua pubblicazione, il 26 agosto2018. Pensato e scritto con ogni evidenza per nuocere al regnante Pontefice, fino al punto di chiederne le dimissioni, il documento di fatto colpisce più pesantemente i due predecessori, Benedetto XVI e san Giovanni Paolo II (1920-2005).

www.aldomariavalli.it/wp-content/uploads/2018/08/CMV-TESTIMONIANZA-CORRETTO.pdf

Il testo dell’arcivescovo Viganò ricostruisce la carriera ecclesiastica di Theodore Edgar McCarrick, vescovo dal 1977, promosso arcivescovo di Washington alla fine del 2000, quindi creato cardinale l’anno successivo da san Giovanni Paolo II. Quest’ultimo sarebbe pertanto responsabile di avere elevato alla porpora un vescovo di cui era risaputo il vizio di portarsi dei seminaristi nel letto della propria casa al mare. Ma non è vero, come lascia intendere il documento, che nel 2000 il Papa polacco fosse incapace di governare la Chiesa, che infatti avrebbe guidato ancora per cinque anni. Tant’è che lo stesso mons. Viganò avanza l’ipotesi che san Giovanni Paolo II sia stato tenuto all’oscuro di tutto dal Segretario di Stato dell’epoca, il card. Angelo Sodano, cosa che comunque non ne diminuirebbe le responsabilità. Peggio ancora ne esce il Papa oggi emerito, Benedetto XVI, che, secondo il documento, avrebbe comminato sanzioni segrete al card. McCarrick, ma che non si sarebbe preoccupato di farle rispettare, addirittura ricevendolo pubblicamente in Vaticano.

Il documento propone poi un lungo elenco di prelati della Curia vaticana e della Chiesa statunitense che sarebbero compromessi con l’ideologia omosessualista e con le reti gay-friendly che infestano seminari e diocesi di tutto il mondo. Giova però ricordare che tutti questi uomini di Chiesa hanno fatto carriera ecclesiastica ben prima dell’elezione di Francesco al Soglio di Pietro, il quale guida la Chiesa da cinque anni, dal marzo 2013.

Se lo scopo del memoriale è, come è stato affermato dal suo autore, quello di provocare interventi più decisi contro i responsabili degli abusi sessuali, non si spiega il salto logico della richiesta di dimissioni del Pontefice: sarebbe stato sufficiente diffondere il testo, pur se cautela e amore per la Chiesa avrebbero preteso di evitarlo. La richiesta di dimissioni qualifica l’attacco, più che contro gli autori di quelli che Papa Francesco ha definito «crimini», come diretto in prima battuta contro lo stesso Santo Padre.

Il passaggio che manifesta il massimo del risentimento è il seguente: «Francesco sta abdicando al mandato che Cristo diede a Pietro di confermare i fratelli. Anzi con la sua azione li ha divisi, li induce in errore, incoraggia i lupi nel continuare a dilaniare le pecore del gregge di Cristo» perché «nel caso di McCarrick non solo non si è opposto al male ma si è associato nel compiere il male con chi sapeva essere profondamente corrotto, ha seguito i consigli di chi ben sapeva essere un perverso, moltiplicando così in modo esponenziale con la sua suprema autorità il male operato da McCarrick. E quanti altri cattivi pastori Francesco sta ancora continuando ad appoggiare nella loro azione di distruzione della Chiesa!».

Insomma, il documento è di fatto un risentimento rivolto non solo verso Papa Francesco, poiché, come detto, coinvolge anche almeno i suoi due predecessori. E questo è incoerente con chi si augura di dividere la Chiesa fra il Papa emerito e quello in carica, nonostante le ripetute dichiarazioni di fedeltà di Benedetto XVI nei confronti del successore. Il documento costituisce inoltre un assist per chi ha un progetto ideologico più ambizioso, quello di mettere in discussione l’operato della Chiesa dal Concilio Vaticano II in poi, confondendo i documenti conciliari, che invitano alla nuova evangelizzazione di un mondo non più cristiano, con gli abusi dell’epoca postconciliare. Infatti, per riprendere le parole di Papa Ratzinger citate in apertura, non esiste soltanto una “ermeneutica della discontinuità” che vuole cancellare 17 secoli di storia della Chiesa cosiddetta costantiniana, ma esiste anche una “ermeneutica della discontinuità” di chi vorrebbe sbarazzarsi degli ultimi cinquant’anni, dal Concilio stesso a oggi. Ma la Chiesa Cattolica è una e una è la sua storia, fatta di luci e di ombre, di santità e di peccato, di fedeltà e di tradimenti: se si rifiuta un pezzo si getta via tutto, in pratica si dà vita a uno scisma.

Che l’obiettivo sia Papa Francesco, prima ancora degli abusi sessuali e di chi se ne sia reso responsabile, non emerge solo dalle inequivocabili parole qui riportate. A esse vanno aggiunte le modalità di diffusione del memoriale, tese a conferire a esso il maggior rilievo possibile: il documento è stato infatti pubblicato domenica 26 agosto 2018 sul quotidiano italiano La Verità e contestualmente su altri media in Spagna e negli Stati Uniti; è stato redatto con la decisiva collaborazione di Marco Tosatti, già vaticanista de La Stampa e curatore del blog Stilum Curiae, che lo ha reso giornalisticamente fruibile; ed è uscito il giorno in cui il Papa interveniva in Irlanda, all’Incontro con le famiglie, per accentuare il presunto iato fra quanto il Santo Padre diceva durante la visita e la triste realtà della sua presunta copertura degli abusi sessuali.

La dinamica dell’attacco mutua modalità più volte sperimentate sulla scena politica, non solo italiana. Con tutte le differenze di epoca e di contesto, come non ricordare la diffusione mediatica dell’informazione di garanzia consegnata all’allora presidente del Consiglio italiano Silvio Berlusconi il 22 novembre 1994, mentre presiedeva una importante conferenza internazionale sul crimine organizzato a Napoli? La delegittimazione derivatane in quel caso dal tema e dal rilievo della conferenza, e dal contrasto fra l’esistenza di un procedimento penale a carico del premier e la circostanza che egli guidasse lavori che dovevano condurre a una più efficace repressione dei delitti, contribuì a determinare le condizioni perché l’on. Berlusconi si dimettesse dopo qualche settimana. Una dinamica analoga ha causato la caduta di altri governi negli anni seguenti: si pensi per tutti al secondo esecutivo guidato da Romano Prodi nel 2008 con la divulgazione di un procedimento penale a carico del ministro della Giustizia dell’epoca, on. Clemente Mastella.

Come sulla scena politica per anni – qualche residuo vi è tuttora – si è pensato di abbattere l’avversario non con le armi della competizione fra leader, partiti e programmi, bensì enfatizzando indagini, a prescindere dal loro esito giudiziario, così la “vicenda Viganò” svela la funzionalità della denuncia alla richiesta di dimissioni. E però, come il calcolo politico di percorrere la scorciatoia giudiziaria ha mostrato sempre un respiro breve – prima o poi viene il turno della delegittimazione di chi in precedenza ha cavalcato contro l’avversario passaggi processuali non significativi, così già in queste ore nei confronti di mons. Viganò si stanno attivando svariate contestazioni di avere lui per primo mantenuto ottime e pubbliche relazioni con parte dei prelati che ora accusa.

Nel merito, è certo che, a partire dalle parole pronunciate dall’allora card. Joseph Ratzinger nella Via Crucis per il Venerdì Santo del 2005 «Quanta sporcizia c’è nella Chiesa e proprio fra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a lui!» dove «lui» è evidentemente Cristo, vi siano state, da oltre un decennio, e siano state d’intensità crescente, le denunce dei Pontefici sugli abusi sessuali commessi da sacerdoti, soprattutto nei confronti di minori. Poco prima dei discorsi tenuti sul punto in Irlanda, e poi all’udienza generale di mercoledì 29 agosto, Papa Francesco ha dedicato alla questione la Lettera al Popolo di Dio del 20 agosto 2018.

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/letters/2018/documents/papa-francesco_20180820_lettera-popolo-didio.html

In essa il Pontefice parla di «un crimine che genera profonde ferite di dolore e di impotenza, anzitutto nelle vittime, ma anche nei loro familiari e nell’intera comunità, siano credenti o non credenti. Guardando al passato, non sarà mai abbastanza ciò che si fa per chiedere perdono e cercare di riparare il danno causato. Guardando al futuro, non sarà mai poco tutto ciò che si fa per dar vita a una cultura capace di evitare che tali situazioni non solo non si ripetano, ma non trovino spazio per essere coperte e perpetuarsi». Per concludere che «Il dolore delle vittime e delle loro famiglie è anche il nostro dolore, perciò urge ribadire ancora una volta il nostro impegno per garantire la protezione dei minori e degli adulti in situazione di vulnerabilità».

Né si può dire che le denunce non siano state seguite da provvedimenti concreti nei confronti di preti, vescovi e cardinali nei cui confronti siano emersi elementi di responsabilità per atti di questo tipo.

Che la parte più significativa di abusi sessuali risalga a oltre 10-15 anni fa (talora a più decenni fa) è la conferma che l’attenzione prestata dagli ultimi tre Pontefici abbia avuto effetti positivi nel circoscriverne la quantità. Va aggiunto che la ricostruzione di abusi consumati in epoca assai remota ha delle difficoltà obiettive. Esige equilibrio e cautela, e rischia di fare poco oppure di strafare. La distanza temporale rende le testimonianze non sempre affidabili; la distanza geografica fra i luoghi dei presunti “crimini” e Roma impone di fare affidamento, se pur non esclusivo, su soggetti che possono aver avuto in passato comportamenti omissivi, o di copertura, e che quindi non forniscono informazioni complete. Lo ha ricordato lo stesso Santo Padre, di rientro dall’Irlanda, nel colloquio con i giornalisti la sera del 26 agosto, menzionando il recente caso dei sacerdoti accusati di pedofilia a Granada, processati e condannati mediaticamente, e invece assolti dopo tre anni di indagini e di processi con la condanna del loro accusatore. Può accadere anche il contrario, come per le vicende del Cile: in occasione della visita nel Paese andino, in gennaio, Papa Francesco ha escluso responsabilità di prelati che invece, nelle settimane successive, hanno trovato riscontri. È però significativo che in quel caso il Santo Padre sia intervenuto immediatamente sollecitando le dimissioni dei vescovi cileni implicati.

Da ultimo, la vicenda del card. McCarrick non ha precedenti specifici in termini di gravità della sanzione. Papa Francesco lo ha rimosso dal Collegio dei Cardinali il 28 luglio 2018 dopo che hanno trovato riscontro nei suoi confronti le accuse di abusi sessuali, peraltro a seguito della pronuncia di un Tribunale ecclesiastico, mentre precedenti giudizi civili erano stati definiti con transazioni. Per mons. Viganò il Papa ha fatto questo soltanto per salvaguardare la propria immagine; in pratica non gli riconosce neppure la buona fede e arriva a giudicarne le intenzioni: «Anche nella triste vicenda di McCarrick, il comportamento di papa Francesco non è stato diverso. Sapeva perlomeno dal 23 giugno 2013 che McCarrick era un predatore seriale. Pur sapendo che era un corrotto, lo ha coperto ad oltranza, anzi ha fatto suoi i suoi consigli non certo ispirati da sane intenzioni e da amore per la Chiesa. Solo quando vi è stato costretto dalla denuncia di un abuso di un minore, sempre in funzione del plauso dei media, ha preso provvedimenti nei suoi confronti per salvare la sua immagine mediatica».

Al netto di questo attacco contro il Papa, meglio contro gli ultimi tre Papi (almeno), rimane il fatto che la Chiesa ha risposto con la santità all’aggressione portata cinquant’anni fa, a partire dal 1968, dall’ideologia gay e dalle reti di complicità clericale che questa lobby è riuscita a creare dentro il corpo di Cristo. Non dimentichiamolo. Non smettiamo di guardare anche al tanto bene che continua a esistere dentro la Sposa di Cristo, a cominciare dalla santità dei Papi del secolo XX, san Pio X (1903-1914), san Giovanni XXIII (1958-1963), il prossimo san Paolo VI (1963-1978), san Giovanni Paolo II (1978-2005). Questa è la via che può cercare di smantellare la “sporcizia” clericale presente dentro la Chiesa e denunciata anche da Papa Francesco nella Lettera al popolo di Dio come prima dal card. Ratzinger. Perché, come Francesco scrive appunto nella Lettera al popolo di Dio, «[…] è necessario che ciascun battezzato si senta coinvolto nella trasformazione ecclesiale e sociale di cui tanto abbiamo bisogno. Tale trasformazione esige la conversione personale e comunitaria e ci porta a guardare nella stessa direzione dove guarda il Signore. […] Per questo scopo saranno di aiuto la preghiera e la penitenza […] che risveglia la nostra coscienza, la nostra solidarietà e il nostro impegno per una cultura della protezione e del “mai più” verso ogni tipo e forma di abuso».

Marco Invernizzi, reggente nazionale di Alleanza Cattolica 31 agosto 2018

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/letters/2018/documents/papa-francesco_20180820_lettera-popolo-didio.html

 

Scegliete oggi chi volete servire (Giosuè 24,15)

Care amiche ed amici,

che cosa dovrebbe fare una Chiesa di tutti e soprattutto dei poveri dopo aver ricevuto una lettera come quella di mons. Viganò? Si potrebbe pensare che dovrebbe prendere il lutto e vestire di sacco, entrare in depressione, temendo per la propria sorte, perché chi mai si prenderebbe una Chiesa così? E perfino potrebbero i giovani trovarvi nuovi motivi per disinteressarsi della religione ed evitare le chiese, e gli osservanti distogliersi dal pregare, e magari le vergini smettere di essere vergini e le sposate farsi sterili.

Invece la Chiesa di tutti Chiesa dei poveri reagisce con immensa gioia a questa offesa. Certo, si accorge di avere avuto un pessimo Nunzio a Washington, ossequioso e zelante in carriera, e poi sfrenato delatore e forse calunniatore con tanto di nomi e cognomi, quando dismesso e lasciato a casa sua. Ma a parte questo, che meraviglia! Si capisce bene infatti la disperazione di quanti, fuori e dentro la Chiesa istituita, vorrebbero a tutti i costi fermare papa Francesco perché smetta di annunziare il Vangelo, e così restino solo le Curie, i catechismi, i libri penitenziali, i santi inquisitori, le scomuniche tra i cristiani, i crocefissi nelle scuole e i rosari agitati nelle piazze. Vuol dire che davvero il Vangelo è annunziato di nuovo, arriva direttamente da laggiù, dalla Galilea, e perciò questi sono tempi bellissimi, straordinari: perché se il Vangelo è annunziato i poteri del mondo sono perduti. Ieri, nel tempo della tetraggine, sembrava che tempi così nemmeno ci si potesse sognare di viverli.

E invece tutto è chiaro, perfino già scritto: beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia, rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli, così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi; un discepolo non è più grande del maestro, né un servo è più grande del suo signore; se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi.

Perciò la Chiesa di tutti Chiesa dei poveri è felice, ed ancora più sta alla sequela del Vangelo e di papa Francesco che con la forza e l’autorità del ministero petrino (osannato, finché innocuo, anche dagli antipapa) lo annuncia.

Certo, è venuta alla luce la condotta forse più devastante nella Chiesa, la pedofilia come massimo esempio di sfruttamento ed abuso dei forti sui deboli, e l’omosessualità come condizione umana irrisolta e pregiudicante i rapporti di vita nel corpo ecclesiale; ma ormai la Chiesa è uscita dall’omertà, si è decisa a combattere questa battaglia a viso aperto, e papa Francesco ne garantisce la sincerità e il rigore, fino a condannare i vescovi colpevoli, deporre i conniventi e togliere la porpora anche al cardinale più potente.

E c’è pure un provvidenziale risvolto positivo, pedagogico ed ecclesiologico, di questa angustia divampata nella Chiesa di oggi : è la scoperta della Chiesa terrena, nella sua debolezza e infermità, con i suoi preti arrancanti e i suoi ambasciatori infedeli; non una Chiesa iperbolica nella sua figura di Sposa incontaminata di Cristo, ma una Chiesa verosimile, nella sua realtà di carne umana di Cristo, che come lui è serva e ministra, mandata a lavare i piedi all’Europa e al mondo, vaso di misericordia, Chiesa incidentata e in uscita, ma proprio per questo da doversene prendere cura ed amare.

Newsletter n. 108 Chiesa di tutti chiesa dei poveri 30 agosto 2018

www.chiesadituttichiesadeipoveri.it

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MINORI NON ACCOMPAGNATI

Misna. Corridoi umanitari e affido internazionale

La risposta di Ai.Bi. all’emergenza dei minori stranieri non accompagnati

L’impegno della Chiesa per cercare di dare risposte ai migranti che giungono nel nostro Paese ha in Ai.Bi. Associazione Amici dei Bambini una realtà vicina, che ha già avviato contatti con realtà ecclesiali e con ONG che operano nei territori in cui si trovano campi profughi, al fine di avviare il sistema dei corridoi umanitari per minori stranieri non accompagnati.

Un progetto che si accompagna alle indicazioni e allo sprone che la Chiesa ha lanciato negli ultimi giorni per cercare di offrire una risposta coerente, degna e attenta alla dignità della persona umana all’emergenza umanitaria che riguarda i minori migranti in fuga dalla guerra: è quello che Ai.Bi. Associazione Amici dei Bambini lancia, con l’obiettivo di avviare nel nostro Paese un sistema dei corridoi umanitari riservato ai minori stranieri non accompagnati, affiancando in tal modo l’impegno delle realtà ecclesiali e di altre Organizzazioni Non Governative che operano nei territori in cui si trovano i campi profughi, con cui Ai.Bi. ha già avviato contatti.

Concretamente, Amici dei Bambini contatterà nei prossimi giorni le istituzioni italiane preposte per illustrare le caratteristiche di questo progetto, con il fine di ottenerne le relative autorizzazioni. Quattro le fasi essenziali:

  1. Individuazione di minori stranieri non accompagnati nei campi profughi africani aventi i requisiti per la loro accoglienza in Italia e la relativa formazione;

  2. Trasferimento accompagnato e protetto nel nostro Paese;

  3. Accoglienza dei Misna, sotto la forma dell’affido internazionale, presso famiglie italiane opportunamente individuate e formate;

  4. Accompagnamento individualizzato del minore e della famiglia affidataria nel post-accoglienza, attraverso l’esperienza di operatori specializzati.

News Ai. Bi. 29 agosto 2018

www.aibi.it/ita/msna-corridoi-umanitari-e-affido-internazionale

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NULLITÀ DEL MATRIMONIO

Diritto al mantenimento, ecco perché la Rota Romana è una strada alternativa

Papa Francesco ha riformato le modalità di dichiarazione di nullità dei matrimoni religiosi. La Rota Romana ora è dotata di procedure più brevi e snelle, dal momento che può occuparsene anche solo il Vescovo locale.

Quella che in passato era una strada tortuosa, storicamente utilizzata dai sovrani per contrarre di volta in volta unioni politicamente più proficue, sta godendo oggi di rinnovata linfa e sempre più persone scelgono di ricorrervi in luogo del tribunale ordinario.

È un’opzione meno cara di quella offerta dalla giustizia, ma soprattutto, a differenza del divorzio, permette di convolare nuovamente a nozze in chiesa: con abito bianco annessi e connessi.

Questo è il motivo per cui la cronaca rosa non lesina esempi di VIP che hanno preferito intraprendere questa strada, causando una valanga emulativa anche nella popolazione “ordinaria”. Ma forse non si tratta solo di mera imitazione, forse vi sono alcune motivazioni razionali di fondo che è bene non trascurare.

Intanto si ricordi che la separazione personale dei coniugi allenta il vincolo matrimoniale, non fa decadere il dovere di assistenza morale e materiale (dal quale discende il “famigerato” assegno di mantenimento), e determina la sospensione dei doveri di natura personale (fedeltà, convivenza e collaborazione). Il divorzio riconosce la validità del precedente mantenimento e, pur sciogliendo il vincolo, ne stabilisce la fine e gli obblighi di mantenimento conseguenti. La dichiarazione di nullità del matrimonio religioso, invece, trasforma il matrimonio in qualcosa di mai esistito.

Per lo meno a partire dal momento in cui viene riconosciuto nello Stato italiano attraverso il procedimento di delibazione.

Con la dichiarazione di nullità viene sancito che il mantenimento non c’è mai stato (nullo ab origine) e, di conseguenza, non sussistono obblighi a protezione del coniuge più debole. Ecco allora che si spiega il proliferare dei ricorsi alla Rota Romana da parte di quei tanti coniugi “forti” che sperano così di azzerare gli impegni in favore del coniuge “debole”.

Ma attenzione. La Corte di Cassazione ha, ancora di recente, chiarito che con la delibazione della pronuncia ecclesiastica di nullità viene meno l’assegno di mantenimento stabilito dal giudice della separazione, ma rimangono, invece, intangibili le statuizioni economiche perché contenute nella sentenza di divorzio (ordinanza n. 11553 dell’11 maggio 2018).

www.edotto.com/file-download/corte-di-cassazione-ordinanza-n-11553-dell11-maggio-2018

Quali le ragioni di questo diverso trattamento? L’assegno separativo trova il suo fondamento nella permanenza del vincolo che, se dichiarato nullo, non lo giustifica più.

Viceversa, l’assegno divorzile non postula lo status di coniuge ma si fonda, se riconosciuto, sull’esame combinato di tutti i criteri e presupposti indicati dall’articolo 5 della legge sul divorzio.

Quei coniugi ricchi che – spaventati dalla recentissima pronuncia delle Sezioni Unite della Cassazione e desiderosi di liberarsi dell’altro coniuge malgrado tutto – vogliono strategicamente perseguire la strada rotale devono allora affrettarsi. E tanto. Perché una volta intervenuta la sentenza di divorzio (con il divorzio breve il passo è veloce) non c’è più niente da fare!

Teresa Devercelli, Senior Studio Legale Bernardini de Pace27 agosto 2018

www.repubblica.it/economia/diritti-e-consumi/famiglia/2018/08/27/news/diritto_al_mantenimento_ecco_perche_la_rota_romana_e_una_strada_alternativa-205054146/?ref=RHPPBT-VE-I0-C6-P10-S4.2-T1

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PARLAMENTO

Affido: Legge Pillon, comunicatori e mediatori. Una soluzione peggiore del problema

. Vedi news UCIPEM 714, pag.17

S735. Norme in materia di affido condiviso, mantenimento diretto e garanzia di bigenitorialità

www.senato.it/japp/bgt/showdoc/18/DDLPRES/0/1071882/index.html

Il disegno di legge introduce nuove figure ma replica uno schema fallimentare che già si è consolidato nella prassi, con il ricorso sempre più frequente a consulenti tecnici. Serve invece un intervento legislativo che restituisca il primato degli operatore del settore, giudici e avvocati in primis

Ma c’è davvero bisogno della “legge Pillon? La domanda nasce dalla considerazione che nel nostro ordinamento vige, da oltre 12 anni, in tema di affidamento dei minori, la legge n. 54/06, meglio conosciuta come ” legge sull’ affido condiviso”: un’ottima legge, che, nella sua illuminata formulazione, realizza già’ pienamente quel “best interest of child” richiamato più volte (con inutile espressione anglosassone) dai legislatori (ruspanti) di nuovo conio.

E’ però la sua applicazione ad aver prodotto, negli anni, soluzioni sterili – e in certi casi pure dannose – al superamento della conflittualità genitoriale. Accade, infatti, che i giudici, forse troppo oberati dal moltiplicarsi del contenzioso familiare, deleghino la “decisione” delle cause ai consulenti tecnici (i cosiddetti CTU), psicologi o psichiatri che siano. Il consulente tecnico viene nominato dal giudice non solo per la descrizione clinica delle vicende, ma anche per trovare la soluzione sul regime di affidamento, sul collocamento e sui ritmi della vita del minore. Ovvero sullo stesso oggetto della decisione giudiziaria.

Si è così arrivati all’ assurdo di CTU che durano anni e che propongono soluzioni il più delle volte inapplicabili, non risolutive, se non addirittura fuorvianti, che il magistrato recepisce (spesso acriticamente) in sentenza. Si ha, in questo modo, una decisione che, nei fatti, viene emessa da un soggetto che non è il giudice e che, in sede giudiziaria, è inevitabilmente suscettibile di critica, con conseguente aumento del conflitto. Non possono infatti essere i soli test di personalità e le indagini cliniche a dire al giudice, salvo che si sia in presenza di una conclamata patologia, come decidere sulle esigenze quotidiane delle famiglie separate, rispetto alle quali è invece necessaria la definizione, da parte del giudice, di regole chiare per quel singolo nucleo.

Ed ecco allora fare ingresso, in questo stato di cose, il Ddl Pillon che, senza minimamente analizzare gli “errori applicativi” che hanno snaturato il senso e l’obbiettivo della legge sull’affido condiviso, ripropone il medesimo schema fallimentare: inserisce tra la famiglia e il suo giudice nuove figure professionali (i mediatori e i coordinatori) e li investe di funzioni e di ruoli potenzialmente assai confusivi, tali da rendere ancora più lungo, faticoso e costoso un iter che si vorrebbe giustamente abbreviare.

Dagli psicologi e dagli psichiatri qualificati, iscritti nell’albo dei CTU, si passa, dunque, a figure di area anche socio-pedagogica se non addirittura giuridica (il mediatore e il coordinatore), alle quali si attribuisce un ruolo assoluto, svincolandole persino da ogni verifica e spazio di contraddittorio. Esattamente come accade oggi con il servizio sociale incaricato dal Tribunale per i Minorenni. Dunque potenzialmente foriero di gravi storture. Basti pensare al diritto del mediatore di “cacciare” dalle sue sedute i difensori (art. 3.5), come se il diritto delle persone alla difesa fosse un inutile ornamento, e all’art. 6.7, che impone ai difensori e ai genitori di “collaborare lealmente” con il mediatore, secondo quella nozione di “collaboratività” pelosa propria dell’attività del servizio sociale. E’ anche terribilmente fastidiosa l’idea che sia “libera” la scelta dei genitori di avvalersi del coordinatore genitoriale: ma dov’è la libertà quando i genitori, grazie a Pillon, sono già giocoforza inseriti in questo sistema di “mediazione”, “collaborazione, “coordinazione”? Addirittura poi, il coordinatore (figura del tutto da definire), avrebbe precisi compiti terapeutici, quale la garanzia del rapporto tra figli e genitori.

Le CTU sono costose e non risolutive? La “soluzione Pillon” è ancora peggio. Perché non dovrebbero decidere direttamente gli stessi giudici (che hanno l’esperienza di centinaia di cause l’anno) e invece soluzioni strepitose, immediate ed equilibrate dovrebbero uscire dal cilindro di figure non specializzate quali mediatori, coordinatori e avvocati con più di dieci cause all’anno di diritto familiare? Ma hanno senso gli automatismi nella suddivisione dei giorni del bambino con l’uno e con l’altro genitore? Non è meglio che sia il giudice a fare un lavoro sartoriale su ogni famiglia che è diversa da ogni altra? O meglio ancora negli studi degli avvocati super specializzati che possono più dei mediatori, dei coordinatori e degli avvocati con 10 cause all’anno, trovare soluzioni nell’interesse dei minori e non dei genitori?

Le famiglie in difficoltà, in conclusione, non hanno bisogno di nuove e diverse figure socio – pedagogiche – assistenziali; necessitano, invece, della certezza del diritto e della immediatezza della decisione: ci vogliono vere e automatiche sanzioni, anche economiche, quando ci sono comportamenti scorretti, alienanti e inadempienti. La certezza del diritto, anche nell’isola comunque lambita dal diritto stesso (quale è la famiglia secondo Arturo Carlo Jemolo) è garanzia di legalità e disincentiva i comportamenti scorretti che, invece, proliferano in un sistema confusivo e segmentato.

Il mediatore ” Superman”, disegnato dal Ddl Pillon, che con il suo intervento sbaraglia conflitti insanabili, cancella storiche e radicate suddivisioni dei ruoli genitoriali e divide perfettamente a metà figli, case e mantenimento, sembra più il personaggio fantastico di un videogame creato da Disney che la ponderata riflessione di una classe politica responsabilmente legiferante. Che, more solito, fa dell’interesse del minore un mezzo e non il fine.

Forse, più che del “Ddl Pillon”, si avverte forte, nella società civile, l’esigenza di un serio e composto intervento legislativo che qualifichi meglio le figure professionali che si occupano dell’“isola famiglia”: solo la specializzazione degli operatori del settore – primi fra tutti giudici e avvocati – potrà concretamente realizzare quel “contenimento del conflitto genitoriale” in funzione del “superiore interesse dei minori” che pare ancora molto lontano dall’essere raggiunto. Soprattutto con il Ddl Pillon.

Maria Antonietta Izzo Senior Studio Legale Bernardini de Pace 31 agosto 2018

www.repubblica.it/economia/diritti-e-consumi/famiglia/2018/08/31/news/legge_pillon-205256833/?ref=RHPPBT-VE-I0-C6-P10-S3.2-T1

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PEDOFILIA

L’orrore della pedofilia interroga l’intera società

La lettera inviata da Papa Francesco al popolo di Dio il 20 agosto scorso e i suoi interventi in occasione dell’Incontro Mondiale delle Famiglie a Dublino, scanditi da ripetute richieste di perdono per le colpe di pedofilia commesse da alcuni membri del clero, mostrano la sua grandezza morale, il coraggio che ha nel cercare la verità e nell’obbedire a essa a qualunque prezzo e la fiducia che ripone nell’opera del Signore nella Sua Chiesa, nonostante i limiti e i peccati dei battezzati.

Aspetti che risultano tanto più luminosi e credibili se messi a confronto con le critiche avanzate da voci a lui avverse. Per rilevarlo basti citare alcuni passaggi di quanto il Papa ha scritto in riferimento alle vittime degli abusi sessuali, di potere e di coscienza, compiuti da sacerdoti o persone consacrate: «Il dolore di queste vittime è un lamento che sale al cielo, che tocca l’anima e che per molto tempo è stato ignorato, nascosto o messo a tacere. Ma il suo grido è stato più forte di tutte le misure che hanno cercato di farlo tacere o, anche, hanno preteso di risolverlo con decisioni che ne hanno accresciuto la gravità cadendo nella complicità… Con vergogna e pentimento, come comunità ecclesiale, ammettiamo che non abbiamo saputo stare dove dovevamo stare, che non abbiamo agito in tempo riconoscendo la dimensione e la gravità del danno che si stava causando in tante vite. Abbiamo trascurato e abbandonato i piccoli… È imprescindibile che come Chiesa riconosciamo e condanniamo con dolore e vergogna le atrocità commesse da persone consacrate, chierici, e anche da tutti coloro che avevano la missione di vigilare e proteggere i più vulnerabili. Chiediamo perdono per i peccati propri e altrui. La coscienza del peccato ci aiuta a riconoscere gli errori, i delitti e le ferite procurate nel passato e ci permette di aprirci e impegnarci maggiormente nel presente in un cammino di rinnovata conversione».

Queste parole denunziano senza mezzi termini la gravità delle colpe commesse e sottolineano quella non minore di aver coperto tali atrocità da parte di responsabili della vita ecclesiale: proseguendo in particolare l’opera di Benedetto XVI nel fare pulizia all’interno della comunità dei fedeli, Francesco calca la mano sull’abisso inaccettabile del male compiuto e sull’esigenza assoluta di riparazione e di purificazione. Tutto questo non può che suscitare condivisione, ammirazione e fiducia. Due osservazioni mi sembrano però necessarie perché l’azione del Papa sia di stimolo a tutti i livelli, tanto nel popolo di Dio, quanto nell’intera società:

  1. La prima è che purtroppo il clero non è la sola categoria in cui una percentuale sia pur bassa di persone ha commesso nefandezze. Stando a statistiche di pubblico dominio il numero degli abusi commessi su minori in differenti ambiti è tragicamente elevato e al primo posto come luogo dove essi avvengono ci sono le mura domestiche, avendo come protagonisti genitori e familiari. Solo dopo una dozzina di categorie di soggetti colpevoli vengono segnalati alcuni membri del clero. Quest’osservazione, che rattrista enormemente, lancia anche un doveroso allarme: chi nella società deve levare la voce e denunciare questo male lacerante, analogamente a come ha fatto il Papa nella Chiesa? Perché non si sentono denunce altrettanto forti e circoscritte? Chi copre l’orrore? Quali meccanismi inducono i media a insistere sulle colpe dei membri della Chiesa e a non evidenziare con altrettanta decisione quelle presenti nella società civile, perfino in ambiti insospettabili come quelli educativi e scolastici? Occorre promuovere un’alleanza in difesa dei più deboli, che coinvolga famiglie, educatori, operatori dei media, “influencer” e “opinion makers” (come oggi vengono chiamati coloro che possono influire sui comportamenti collettivi). Soprattutto, occorre che la nostra società risvegli in sé la vigilanza contro i fenomeni di deterioramento etico e l’impegno a favore del bene morale nei più diversi ambiti di vita. I mali denunciati e quelli che dovranno e potranno esserlo esigono una decisa reazione morale, da cui nessuno deve sentirsi estraneo o esonerato, specialmente se ha a che fare con ragazzi e giovani in ruoli formativi.

  2. Un’ulteriore considerazione va poi tenuta presente: la denuncia del male non deve dimenticare o oscurare il tanto bene che è stato fatto e che continua ad essere quotidianamente operato. Per parlare della Chiesa si pensi all’impegno di ogni giorno di innumerevoli sacerdoti e consacrati, di catechisti ed educatori, di genitori credenti e di intere famiglie, al servizio della formazione e in compiti caritativi e di giustizia sociale ispirati al Vangelo. Il bene, però, si trova anche da tante altre parti: come dice Papa Francesco nell’esortazione “Gaudete et exsultate” sulla chiamata alla santità nel mondo contemporaneo (19 marzo 2018), “anche fuori della Chiesa Cattolica e in ambiti molto differenti, lo Spirito suscita segni della sua presenza, che aiutano gli stessi discepoli di Cristo” (n. 9). In campo sociale si pensi ai tanti che operano con dedizione e sacrificio nella scuola e nell’università, negli ospedali, nei centri di assistenza per chi ha bisogno, nelle case di accoglienza per anziani e disabili, ed anche a coloro (e vorremmo fossero tanti e sempre di più…) che vivono l’azione politica come servizio generoso e disinteressato al bene comune. A tutti è richiesto l’impegno per far crescere nelle menti e nei cuori la decisione di agire al servizio di chi ha bisogno e per diffondere la convinzione che fare il bene non solo è bene ma fa bene, a sé stessi e all’intera società. La radice di ogni male possibile sta nel sottrarsi a un simile appello. L’inizio di un nuovo domani per tutti sta nel rispondervi senza lentezze o esitazioni.

Bruno Forte, arcivescovo di Chieti-Vasto Il Sole 24 Ore 2 settembre 2018

www.tuttonews.eu/2018/09/02/lorrore-della-pedofilia-interroga-lintera-societa/

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201809/180902forte.pdf

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UNIONE CONSULTORI ITALIANI PREMATRIMONIALE E MATRIMONIALI

Nuova segreteria dell’UCIPEM

Elisa Severi Consultorio Familiare Cittadino – corso Diaz, 49 – 47100 FORLÌ

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VIOLENZA

Violenza sessuale su minorenne: reato culturalmente orientato?

Corte di Cassazione, terza Sezione penale, sentenza n. 29613, 02 luglio 2018

La consapevolezza di agire nel rispetto delle tradizioni e della prassi del proprio Paese d’origine non sempre salva dalla sanzione penale. E’ quanto emerge dalla sentenza della Terza Sezione Penale della Cassazione. Il caso vedeva alcuni imputati essere tratti in giudizio poiché in violazione degli articoli 609 bis e 609 ter cod. pen., in più occasioni, abusando delle qualità di genitori, costringevano il figlio minore, con violenza, ad abbassarsi i pantaloni e a compiere e subire atti sessuali, quali palpeggiamenti nelle parti intime e rapporti orali.

I giudici di merito, per affermare l’innocenza degli imputati, svilupparono una interpretazione culturalmente orientata dei fatti, riconoscendo rilievo alla cultura di appartenenza degli stessi, nella quale le condotte sarebbero state prive di disvalore e dunque consentite o tollerate.

Sono detti “culturalmente orientati” quelle fattispecie incriminatrici poste in essere dallo straniero con la assoluta mancanza di consapevolezza di commettere un fatto previsto dall’ordinamento giuridico italiano come reato ma, per contro, nella consapevolezza di ottemperare ad una consuetudine, prassi o addirittura norma imposta dalla tradizione culturale del Paese di provenienza.

La giurisprudenza ha da tempo affermato come occorra sempre promuovere un approccio esegetico che abbia in considerazione il mutamento del costume e del sentire sociale in continuo divenire, di modo che le decisioni si mostrino come il prodotto di una interpretazione contestualizzata in relazione al momento storico, più che una tralatizia ripetizione di concetti ritenuti scontati ed immutevoli (Cass. pen., Sez. III, 26 settembre 2014, n. 39860).

Al tempo stesso, però, nessun sistema penale può mai abdicare, in ragione del rispetto delle tradizioni culturali, religiose o sociali del cittadino o dello straniero, alla punizione di fatti che colpiscano o mettano in pericolo beni di maggiore rilevanza che costituiscono uno sbarramento invalicabile contro l’introduzione di diritto o di fatto, nella società civile, di consuetudini, prassi, costumi che tali diritti inviolabili della persona, cittadino o straniero, pongano in pericolo o danneggino (Cass. pen., Sez. III, 26 giugno 2007, n. 34909).

E’ stato più volte sottolineata l’irrilevanza della ignoranza della legge penale, allorché fondata sulla mera diversità della legge italiana rispetto a quella del proprio Paese d’origine (Cass. pen., Sez. III, 15 marzo 1994, n. 3114); principio affermato anche nei casi di mere usanze culturali o religiose, attribuendosi rilevanza all’ignoranza limitatamente a tradizioni di sicura e comprovata esistenza e tenendo presenti le indicazioni fornite dalla Corte Costituzionale, sulla base di un raffronto tra dati oggettivi che possono aver determinato nell’agente l’ignorantia legis circa la illiceità del suo comportamento, e dati soggettivi attinenti alle conoscenze e alle capacità dell’agente, che avrebbero potuto consentire al medesimo di non incorrere nell’error iuris (Cass. pen., Sez. VI, 24 novembre 2011, n. 43646).

Nel caso di specie, la dichiarata ignoranza da parte degli imputati e della loro famiglia, circa l’offensività della condotta posta in essere ai danni del figlio minore, così come l’ignoranza sull’esistenza della norma penale incriminatrice di essa, non appare idonea ad integrare una causa di non colpevolezza degli imputati stessi che oltre a risultare ben integrati nel tessuto sociale ove vivevano e lavoravano da anni allegano a propria discolpa una ignoranza che non assumerebbe rilevanza anche nel Paese d’origine, ove i medesimi fatti risultano sanzionati penalmente.

Simone Marani Altalex 30 agosto 2018 sentenza

www.altalex.com/documents/news/2018/07/23/violenza-sessuale-su-minorenne-reato-culturalmente-orientato

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