NewsUCIPEM n. 713 – 5 agosto 2018

NewsUCIPEM n. 713 – 5 agosto 2018

Unione Consultori Italiani Prematrimoniali E Matrimoniali

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01 ADDEBITO La denuncia di falsi abusi sulla figlia lo comporta nella separazione

02 AMORIS LÆTITIA Divorziati risposati. Il Philippe Bordeyne aiuta a fare chiarezza.

03 Il criterio di discernimento non segna il passaggio a una situazione.

03 ANONIMATO DEL PARTO Neonato trovato morto. Più informazioni su parto in anonimato.

04 ASSEGNO MANTENIMENTO FIGLI Nuova convivenza: come cambia l’assegno di mantenimento?

05 CENTRO INTERN. STUDI FAMIGLIA Newsletter CISF – n. 25, 1 agosto 2018.

07 CENTRO ITALIANO SESSUOLOGIA Sessualità, infertilità ed endometriosi.

07 CHIESA CATTOLICA Lo scandalo dello sviluppo della dottrina

09 Pena di morte: congedo da Pio X

10 Evoluzione della dottrina su altri nodi da sciogliere

11 CONSULENTI COPPIA E FAMIGLIA AICCeF – Giornata di studioDiverso da chi?

12 CONSULTORI ISPIRAZ CRISTIANA Seminario formativo – La famiglia nel tempo dell’individualismo.

13 DALLA NAVATA 18° Domenica – Anno B –5 agosto 2018

13Commento di Enzo Bianchi-

15 ENTI TERZO SETTORE Approvato il decreto correttivo al codice del Terzo settore

15 FRANCESCO VESCOVO DI ROMA La religione non si può ridurre a una pratica di leggi

16 MEDIATORE FAMILIARE Nuova figura professionale al servizio delle famiglie.

17 OMOADOZIONE L’adozione della seconda mamma.

19 Ai confini del diritto: il superiore interesse del minore.

20 PASTORALE FAMILIARE La comunione al coniuge non cattolico, ecco perché è possibile.

24 PROCREAZIONE ASSISTITA 6 ovociti costano 3000 € e nemmeno 3 donne su 10 partoriscono.

25 SEPARAZIONE E DIVORZIO Mantenimento: come si calcola.

26 Sindrome Alienazione Parentale Esiste e distrugge il rapporto bi-genitoriale! TDM Brescia.

28Definizione giuridica del concetto di Alienazione Parentale

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ADDEBITO

La denuncia di falsi abusi sulla figlia comporta l’addebito della separazione.

Corte di Cassazione, sesta Sezione penale, ordinanza n. 34952, 24 luglio 2018

Ordinanzawww.laleggepertutti.it/227590_denuncia-al-marito-si-perde-il-mantenimento

In un giudizio di separazione il Tribunale di prime cure aveva rigettato le reciproche istanze di addebito. La Corte d’appello riformava la decisione addebitando alla moglie la separazione, ritenendo decisivo per la rottura dell’affectio il grave episodio della denuncia da parte della stessa di abusi sessuali commessi del marito nei confronti della figlia, nonostante la consapevolezza della insussistenza di tali fatti e delle conseguenze che il coniuge avrebbe subito.

Per la Cassazione la denuncia sporta dolosamente dalla moglie ha costituito un vulnus insanabile nella relazione matrimoniale rendendola inevitabile.

Osservatorio nazionale sul diritto di famiglia 2 agosto 2018

www.osservatoriofamiglia.it/contenuti/17507650/la-denuncia-di-falsi-abusi-sulla-figlia-comporta-l-addebito-della-separazione-ca.html

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AMORIS LÆTITIA

Divorziati risposati. Un volume del teologo francese Philippe Bordeyne aiuta a fare chiarezza

Entusiasmo, adesioni ma anche perplessità e incomprensioni. Così è stata accolta l’esortazione apostolica Amoris lætitia, ma a fare chiarezza arriva un agile volume del rettore dell’Institut Catholique di Parigi

Pur ponendosi in continuità con l’insegnamento teologico e spirituale della Chiesa, non da ultimo l’esortazione apostolica Familiaris consortio di San Giovanni Paolo II, l’Amoris lætitia di Papa Francesco ha aperto prospettive nuove nell’approccio alla realtà del matrimonio. Tuttavia, come ogni novità, ha suscitato entusiasmi, adesioni, ma anche perplessità, resistenze e incomprensioni. A fare chiarezza sui punti più controversi è Philippe Bordeyne, sacerdote e teologo moralista francese, rettore dell’Institut Catholique di Parigi e autore di “Portare la legge a compimento. Amoris lætitia sulle situazioni matrimoniali fragili”. Edito dalla Libreria Editrice Vaticana – Dicastero per la comunicazione, il volume contiene la traduzione in lingua italiana del testo francese “Divorcés remariés: ce qui change avec François”.

Due le parti del libro. La prima affronta il contenuto di Amoris lætitia; la seconda affronta più specificamente il tema del discernimento per l’integrazione delle coppie in situazioni complesse e mostra i punti di contatto con Evangelii gaudium, documento programmatico del magistero di Francesco.

Centrale il discernimento: Papa Francesco esorta ad accompagnare, discernere, integrare la fragilità insistendo “sulla dimensione personale del discernimento”, annota il teologo francese, cammino che si può iniziare di fronte a “una seconda unione consolidata nel tempo, con nuovi figli, con provata fedeltà, dedizione generosa, impegno cristiano, consapevolezza dell’irregolarità della propria situazione e grande difficoltà a tornare indietro”.

In alcuni casi, chiarisce invece il Papa, sarebbe irragionevole pensare a un cammino di discernimento, “sia perché le persone non vi sarebbero realmente disposte” e “sia perché una tale proposta rischierebbe di alimentare una confusione sulla gravità del divorzio e sulle sue conseguenze”. Dunque, spiega Bordeyne, contrariamente a certe attese, “il Papa non prevede di fare coincidere un cammino di discernimento con il periodo del nuovo matrimonio civile“, non prevede nessuna forma di celebrazione in chiesa in occasione di queste nozze.

Invitando i divorziati risposati a fare un esame di coscienza sul loro comportamento durante la crisi del precedente matrimonio, il Papa “focalizza l’attenzione su condizionamenti e circostanze “che attenuano la responsabilità morale’”. Tra queste ultime, “fattori psichici e sociali” per i quali “l’imputabilità e la responsabilità di un’azione possono essere diminuite o annullate”.

Questo, annota il teologo, “permette di non poter più dire che tutti coloro che si trovano in qualche situazione cosiddetta irregolare vivano in stato di peccato mortale, privi della grazia santificante”. Si tratta infatti di “conoscere l’ideale” ma anche “riconoscere ‘il bene possibile’” in quel determinato momento e cercare di raggiungerlo. Si può dunque rimanere in una nuova unione senza “per questo vivere in stato di peccato mortale.

Da questo punto di vista – osserva Bordeyne -, le chiarificazioni di Francesco sono decisive. Mettono insieme una serie di considerazioni ben note alla teologia morale cattolica, ma poco applicate nella pastorale” all’interno della quale la questione sacramentale è posta spesso in modo prematuro”. E in tale orizzonte bisogna capire “l’affermazione molto forte di AL 306: “In qualunque circostanza, davanti a quanti hanno difficoltà a vivere pienamente la legge divina, deve risuonare l’invito a percorrere la via caritatis’”, via che è “alla portata di tutti e procura il perdono dei peccati”.

“Per quanto riguarda il modo sacramentale dell’integrazione ecclesiale delle persone divorziate risposate – scrive ancora il teologo -, la parola del Papa è discreta e circoscritta, ma c’è” e “si trova esplicitamente nella nota 336 di AL in cui si affronta la questione della ‘disciplina dei sacramenti’ e nella nota 351 in cui parla di ‘aiuto dei sacramenti’, nominando specificamente ‘il confessionale’ e ‘l’Eucaristia’”.

Quanto all’affermazione dell’indissolubilità del matrimonio, nell’esortazione apostolica “ritorna ben undici volte”, sostiene Bordeyne precisando: “Francesco afferma, molto chiaramente, che ‘comprendere le situazioni eccezionali non implica mai nascondere la luce dell’ideale più pieno né proporre meno di quanto Gesù offre all’essere umano’ (AL 307)”. L’autore del volume ricorda inoltre che, “fedelmente al contenuto della Sacra Scrittura, la tradizione cristiana considera unanimemente l’adulterio come una colpa grave e che i motivi per i quali i divorziati risposati non possono fare la comunione” sono enunciati nel n. 84 di Familiaris consortio.

Alla luce di quanto detto finora, “bisogna affermare la validità della norma generale, e cioè che i fedeli coinvolti in una nuova unione non possono fare la comunione. Il processo di discernimento personale e pastorale non può esonerare da questa norma”. Questa resta la via più sicura e auspicabile per essere fedeli a Dio dopo la rottura di un matrimonio, la cui nullità non è stata riconosciuta alla conclusione di una procedura canonica. La via generale dell’integrazione spirituale al popolo di Dio rimane allora “la comunione di desiderio alimentata dalla grazia del battesimo”.

Tuttavia, nel caso in cui il discernimento conduca ad avvicinarsi alla mensa eucaristica, bisogna raccomandare la più grande discrezione, “per evitare lo scandalo o lo scoraggiamento di altri fedeli che lottano per rimanere fedeli a Dio in questo ambito”, afferma ancora Francesco.

“Nella misura in cui il discernimento personale e pastorale è in ultima analisi di ordine spirituale – chiosa Bordeyne-, è giusto che l’incontro con Dio che l’ha reso possibile rimanga avvolto nella discrezione”.

Giovanna Pasqualin Traversa Agenzia SIR 1 agosto 2018

agensir.it/chiesa/2018/08/01/divorziati-risposati-un-volume-del-teologo-francese-philippe-bordeyne-aiuta-a-fare-chiarezza

 

Il criterio di discernimento non segna il passaggio a una situazione di arbitrarietà e confusione”

“Le disposizioni dell’arcivescovo chiariscono che l’assunzione del criterio del discernimento non segna il passaggio a una situazione di arbitrarietà e confusione, affidando a ognuno la libertà di agire in modo diverso, o ai pastori di indicare ai fedeli percorsi differenti, a seconda della loro sensibilità”.

Lo segnala il settimanale della diocesi di Bologna nel commento che sarà pubblicato domani, domenica 5 agosto, su Bologna Sette, riguardo alle “indicazioni” di mons. Matteo Zuppi per la recezione del capitolo ottavo di “Amoris lætitia”, nel quale Papa Francesco ha tracciato le linee generali per il discernimento, da operare nel caso delle coppie di divorziati risposati o in altri casi di situazioni matrimoniali dette “irregolari”.

“L’opera di discernimento pone davanti a più forti esigenze di verità e di carità, che si comprendono appieno alla luce dei tre verbi che fanno da sfondo alle indicazioni: accompagnare, discernere e integrare – si legge nel testo di Bologna Sette -. Questi tre passaggi mostrano come il discernimento delle situazioni più difficili vada preceduto dall’accoglienza di ogni persona e abbia come fine l’integrazione all’interno della comunità”.

Nel testo viene segnalato come “il discernimento non consiste in un ragionamento fatto a tavolino, mirato semplicemente a chiarire se chi vive situazioni matrimoniali ‘irregolari’ possa accedere ai sacramenti o quali compiti possa svolgere nella comunità, ma è un cammino compiuto insieme, in una relazione personale e pastorale che segni l’attenzione alle persone e al loro vissuto”. Un cammino che “parte dall’accoglienza e da un ascolto che diventa conoscenza approfondita e ‘buona relazione pastorale’ e si avvale del coinvolgimento degli operatori più indicati”. Obiettivo di questo cammino è “una maggiore integrazione all’interno della comunità cristiana”, perché “nessun percorso di discernimento può mai determinare l’esclusione, ma tenta di cogliere a fondo quale sia la modalità più giusta di inclusione e partecipazione alla vita della comunità”.

Agenzia SIR 4 agosto 2018

agensir.it/quotidiano/2018/8/4/amoris-laetitia-bologna-sette-il-criterio-di-discernimento-non-segna-il-passaggio-a-una-situazione-di-arbitrarieta-e-confusione

 

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ANONIMATO DEL PARTO

Neonato trovato morto a Terni. Casini: più informazioni su parto in anonimato

Era vivo, al momento della nascita e poi dell’abbandono, il neonato trovato morto giovedì sera, dentro una busta della spesa, nel parcheggio di un supermercato di Terni. Lo ha stabilito l’autopsia eseguita questa mattina dal professor Mauro Bacci all’istituto di Medicina legale dell’ospedale Santa Maria. Secondo una prima ipotesi, il piccolo, potrebbe essere deceduto per asfissia e ipertermia.

L’esame autoptico conferma il racconto fatto ieri agli inquirenti dalla stessa madre, la quale dice di aver abbandonato il suo bambino giovedì attorno a mezzogiorno dentro una busta rigida, sembra parzialmente chiusa, in un’aiuola nei pressi di un parcheggio di un supermercato, in una delle giornate più calde dell’estate.

La 26enne ternana incensurata, con già un’altra figlia a carico è stata interrogata ieri in questura per circa due ore e mezza durante le quali avrebbe ammesso le sue responsabilità, raccontando di aver fatto tutto da sola. Al momento, è accusata di infanticidio in condizioni di abbandono morale e materiale. La donna ha spiegato di aver agito per questioni economiche in quanto, già mamma di una bimba di due anni, non sarebbe stata in grado di mantenere un secondo figlio insieme al suo compagno. Nei confronti dell’uomo – che sarebbe stato anche all’oscuro della gravidanza, così come la famiglia della giovane – non stati presi al momento provvedimenti, ma sono in corso ulteriori accertamenti da parte degli investigatori per capire il suo ruolo.

L’ospedale di Terni: partorire in anonimato è un diritto. La drammatica vicenda interroga le istituzioni in merito alla necessità di raggiungere tutte quelle donne che ancora ignorano sia la possibilità offerta dalla legge italiana di partorire in anonimato in ospedale, sia tutti gli strumenti di protezione sociale rivolti alle mamme in difficoltà. La capo ostetrica dell’ospedale di Terni, Maria Antonietta Bianco, ricorda in un comunicato che “la legge italiana garantisce il diritto della donna di partorire in anonimato, consentendo alla madre di non riconoscere il bambino e di lasciarlo nell’ospedale dove è venuto alla luce, affinché sia assicurata l’assistenza e la tutela giuridica sia della madre sia del bambino”.

I Centri di aiuto alla vita. Della necessità di informare tutte le donne riguardo ai diritti inerenti alla maternità e alla tutela della vita nascente ha parlato ai nostri microfoni anche la presidente del Movimento per la Vita, Marina Casini, la quale ha ricordato il servizio svolto dalla sua organizzazione tramite i Centri di Aiuto alla Vita (Cav), presenti in decine di città italiane, che rispondono in modo concreto alle necessità delle donne che vivono una gravidanza difficile o inattesa.

Marina Casini: importante diffondere cultura della vita. Di grande importanza simbolica anche le numerose “Culle per la vita” presenti sul territorio, una moderna riedizione delle Ruote degli esposti che stanno lì a dire – sottolinea Marina Casini – “che se una mamma, per qualsiasi motivo che non sta a noi giudicare, non può tenere il suo bambino, può metterlo in una culla termica e affidarlo così a chi se ne prenderà cura”.

La presidente Casini ha posto l’accento anche sull’importanza di diffondere una cultura della vita che difenda “ogni bambino che è in viaggio verso la vita”, per contrastare gli aborti volontari, ha concluso, “bisogna rafforzare tutti gli strumenti per la tutela della vita e della maternità durante la gravidanza”.

Comunità Giovanni XXIII: società emargina gestanti e bambini. “Chi c’è dietro questo abbandono? Un compagno che non ne voleva sapere? Dei genitori cui non si poteva dire? Un datore di lavoro che l’avrebbe lasciata a casa? Si tratta dell’ennesima prova di una società che emargina le gestanti e i bambini”, così Giovanni Paolo Ramonda, presidente della Comunità Papa Giovanni XXIII, commenta la notizia dell’abbandono del neonato. “Il corpo di questo bimbo – continua Ramonda – può aiutarci a prendere consapevolezza delle centinaia di bimbi che ogni giorno hanno la vita spezzata a causa di questa società abortista”. La Comunità Papa Giovanni XXIII dal 1997 opera al fianco delle donne che vivono una maternità difficile. Le gestanti sono accompagnate al fine di rimuovere le cause che le porterebbero ad abortire.

Marco Guerra – Vatican news 4 agosto 2018

www.vaticannews.va/it/mondo/news/2018-08/neonato-trovato-morto-terni-marina-casini.html

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ASSEGNO DI MANTENIMENTO DEI FIGLI

Nuova convivenza: come cambia l’assegno di mantenimento?

Si può ridurre il mantenimento se chi lo paga ha un altro figlio o se l’ex che lo riceve inizia una nuova convivenza? Per quanto tempo dura l’assegno di mantenimento? A chiederselo sono molte coppie divorziate. Da un lato c’è chi teme di perdere il sostegno economico; dall’altro chi ovviamente vorrebbe che fosse cancellato o quantomeno ridotto. Uno dei motivi più ricorrenti per cui il giudice rivede la precedente decisione sull’assegno divorzile è l’avvio di una nuova famiglia, anche se di fatto, sia da parte di chi lo paga che di chi lo incassa. In altre parole: si può ridurre o addirittura cancellare l’ammontare del mantenimento tanto nell’ipotesi in cui l’ex marito abbia deciso di farsi una nuova famiglia e magari abbia avuto un nuovo figlio, tanto nel caso in cui l’ex moglie abbia iniziato una convivenza stabile con un’altra persona. La giurisprudenza è piena di sentenze di questo tipo. Un recente decreto emesso dal tribunale di Ancona ci offre l’occasione per tornare sul punto e comprendere, in caso di nuova convivenza, come cambia l’assegno di mantenimento. [Tribunale di Ancona, sez. I Civile, decreto n. 6360, 21 maggio 2018]

Assegno di mantenimento: se l’ex moglie va a convivere con un altro. Immaginiamo un’ipotesi tipo in cui una donna divorziata percepisce il mantenimento dall’ex marito. In tal caso, se la beneficiaria dell’assegno dovesse decidere di instaurare una nuova famiglia, anche se di fatto (ossia basata solo su una stabile convivenza), verrebbe meno in suo favore ogni diritto a percepire l’assegno divorzile. Questo diritto non si sospende, ma cessa definitivamente. Con la conseguenza che se la convivenza con il nuovo compagno dovesse interrompersi per qualsiasi ragione, anche se dopo poco tempo, l’ex moglie non potrebbe più rivendicare l’assegno divorzile e il precedente marito potrà dirsi definitivamente libero da ogni obbligo.

Perché cessi il mantenimento a favore della donna è necessario che vi siano le prove di una stabile convivenza con un nuovo partner. La circostanza che quest’ultimo, poi, abbia un’abitazione propria, di cui può disporre, non è sufficiente ad escludere la natura stabile della convivenza con la signora e l’esistenza di un comune progetto di vita.

Di recente la Cassazione ha detto che, nel caso in cui l’ex coniuge, percettore del mantenimento, dovesse risposarsi senza dire nulla all’ex e anzi continuando a percepire da questi il mantenimento, sarebbe poi costretto a restituire gli importi ricevuti dal giorno delle seconde nozze con tutti gli interessi nel frattempo maturati.

Come dimostrare che l’ex moglie convive con un’altra persona? Sicuramente conta il dato anagrafico, ossia la residenza dichiarata in Comune, ma anche l’intestazione di bollette e fatture per la ristrutturazione della casa. La partecipazione alle spese comuni è un’altra valida dimostrazione del rapporto stabile di convivenza e di un progetto di vita comune. Si fa spesso ricorso all’investigatore privato la cui relazione è considerata come un semplice indizio, che può però essere confermato da altre circostanze che attestano la non occasionalità della frequentazione e la sua risalenza nel tempo. Se la relazione non dovesse essere contestata dalla controparte sarebbe come prova documentale.

La nuova relazione da parte di chi percepisce il mantenimento. Ad avviso della prevalente giurisprudenza di legittimità l’instaurazione da parte del coniuge divorziato di una nuova famiglia, ancorché di fatto, cancellando ogni connessione con il tenore ed il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale, fa venire definitivamente meno ogni presupposto per la riconoscibilità dell’assegno divorzile a carico dell’altro coniuge. Pertanto, il relativo diritto non entra in stato di quiescenza, ma resta definitivamente escluso.

Infatti, la formazione di una famiglia di fatto – costituzionalmente tutelata dall’articolo 2 della Costituzione come formazione sociale stabile e duratura in cui si svolge la personalità dell’individuo – è espressione di una scelta esistenziale, libera e consapevole, che si caratterizza per l’assunzione piena del rischio di una cessazione del rapporto e, quindi, esclude ogni residua solidarietà post-matrimoniale con l’altro coniuge, il quale non può che confidare nell’esonero definitivo da ogni obbligo.

Mantenimento dei figli. La creazione di una nuova famiglia da parte del genitore con cui i figli convivono non implica la cessazione, da parte dell’altro genitore, dell’obbligo di versare loro il mantenimento. Quest’obbligo non cessa automaticamente neanche con il raggiungimento della maggiore età ma perdura finché non si dimostri che il figlio ha raggiunto l’indipendenza economica, oppure è stato posto nelle concrete condizioni per potere essere economicamente autosufficiente, senza averne però tratto utile profitto per sua colpa o per sua scelta. L’aumento delle esigenze economiche di un figlio risulta legato, anche senza bisogno di specifica dimostrazione, alla sua crescita e allo sviluppo della sua personalità.

Assegno di mantenimento: se l’ex marito forma una nuova famiglia. Il diritto a formarsi una famiglia è garantito dalla Costituzione e non può essere pregiudicato dall’obbligo di mantenimento della precedente moglie. Questo significa che se il marito si rifà una vita può chiedere quantomeno una riduzione del mantenimento o, nel caso di nascita di un altro figlio, anche la cancellazione.

In materia di separazione personale dei coniugi – ha scritto il tribunale di Napoli [sentenza n. 8452/20172] – la formazione di una nuova famiglia e la nascita di figli dal nuovo partner, pur non determinando automaticamente una riduzione degli oneri di mantenimento dei figli nati dalla precedente unione, deve essere valutata dal giudice come circostanza sopravvenuta che può portare alla modifica delle condizioni originariamente stabilite, in quanto comporta il sorgere di nuovi obblighi di carattere economico. In tal caso, il giudice deve verificare se si determini un effettivo depauperamento per l’obbligato, a meno che la complessiva situazione patrimoniale dell’obbligato sia di consistenza tale da rendere irrilevanti i nuovi oneri. Nel caso di specie, i giudici hanno negato rilievo alla costituzione di un nuovo nucleo familiare da parte dell’obbligato poiché i suoi mezzi patrimoniali erano da considerarsi di notevole entità.

www.laleggepertutti.it/228677_nuova-convivenza-come-cambia-lassegno-di-mantenimento

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CENTRO INTERNAZIONALE STUDI FAMIGLIA

Newsletter CISF – N. 25, 1 agosto 2018

  • Un dossier di vita pastorale in vista dell’incontro mondiale delle famiglie di Dublino (21-26 agosto 2018). Il Cisf e la redazione di Vita Pastorale www.vitapastorale.it

hanno curato la realizzazione di un dossier sul prossimo Nono Incontro Mondiale delle famiglie, “Il Vangelo della Famiglia: Gioia per il Mondo“, previsto a Dublino (Irlanda), con la presenza di Papa Francesco. Sono pubblicati contributi di: Card. Kevin Farrell, don Paolo Gentili, Gabriella Gambino, Pietro Boffi, Francesco Belletti, e un’intervista ai coniugi Tommaso e Giulia Conciolini.

www.worldmeeting2018.ie/it

  • Education for unaccompanied migrant children in Europe. Ensuring continued access to education through national and school-level approaches (L’istruzione in Europa per i minori migranti non accompagnati. Garantire accesso continuo all’istruzione attraverso misure nazionali e a livello scolastico). Questo interessante documento della Divisione Occupazione, Affari Sociali e Inclusione dell’Unione Europea (Employment, Social Affairs and Inclusion) offre una sintetica rassegna delle misure nazionali e scolastiche dei Paesi europei per l’inclusione nei sistemi scolastici formali dei minori migranti non accompagnati.

http://newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/attachments/newscisf2518_allegato1.pdf

  • Contratto di governo e riforma fiscale family friendly. Se ne può e se ne deve parlare. Nell’articolo dell’Avv. Francesco Bianchini, membro del Consiglio Direttivo nazionale del Forum delle associazioni familiari, una sintetica ma stimolante riflessione sulle modalità con cui Flat tax, reddito di cittadinanza e minimo vitale (secondo quanto contenuto nel “Contratto di Governo”, quindi esplicitate in un documento che dovrebbe impegnare le scelte politiche concrete) possono diventare concetti “family friendly

http://newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/attachments/newscisf2518_allegato2.pdf

  • Dalle case editrici…

  • San Paolo, Né dinosauri né ingenui. Educare i figli nell’era digitale, Ballerini L.

  • Studium Edizioni, Amoris Lætitia. Fragilità e bellezza della relazione nel matrimonio e nella famiglia, Bonfrate G., Yáñez H.M.SJ (Edd.)

  • Laterza, “Il femminismo è superato” (Falso!), Columba Paola

  • Carocci, Educazione e famiglie. Ricerche e nuove pratiche per la genitorialità, Milani P.
    Castegnaro Alessandro,
    Giovani in cerca di senso, Edizioni Qiqajon, Magnano (BI), 2018, pp. 127, € 13,00. Uscire da un certo pessimismo sui giovani e cambiare lo sguardo su di loro: questa è forse oggi la priorità. Riuscire a guardare davvero ai giovani e con i giovani al loro mondo, oltre la superficie di apparente aridità e “mancanza di valori” alla quale spesso ci fermiamo. La lettura di questo agile volumetto, la cui consistenza è inversamente proporzionale alla (piccola) mole, ci aiuterà a scoprire che, in verità, ricca è la loro ricerca di spiritualità, autentico il loro desiderio di vita e sincero il loro interesse per la fede. Dopo una lucida analisi, frutto di una seria ricerca sociologica condotta soprattutto ma non solo nel Nord-Est del nostro Paese (l’autore, sociologo, è presidente dell’Osservatorio Socio-Religioso Triveneto), ci vengono suggeriti passi concreti per imparare a guardare ai giovani senza giudicarli, ma cercando con loro nuove parole di salvezza. Per questo, tra i brevi ma succosi dieci punti proposti in conclusione per cambiare lo sguardo nei confronti dei nostri giovani, troviamo suggestioni interessanti e provocatorie, come “accettare il fatto di non capire”, “dare fiducia, rallegrarci della loro presenza, avere occhi per i dinamismi dello spirito”, “guardare alle persone come storie” e “sostenere la ricerca della vita buona”.

http://newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/attachments/newscisf2518_allegatolibri.pdf

  • Save the date –

  • Nord Criminalità femminile: storia, rappresentazione e trattamento penale di una minoranza silenziosa, evento teatrale e tavola rotonda, in occasione del ventennale dell’Università di Milano-Bicocca, Milano, 25 ottobre 2018.

www.unimib.it/sites/default/files/Eventi/locandina_benedetta.pdf

Scegliere insieme. 13°convegno nazionale su qualità della vita e disabilità, promosso da Fondazione Sospiro, Milano, 10-11 settembre 2018.

www.fondazionesospiro.it/sites/default/files/convegno-2018.pdf

  • Centro XX congresso nazionale della sezione di psicologia clinica e dinamica dell’AIP (Associazione Italiana di Psicologia), Urbino, 7-9 Settembre 2018.

https://aipass.org/sites/default/files/Programma%20AIP2018%2027.07REVACGG.pdf

  • Sud Vissuti e risvolti nelle demenze tra umanesimo e biomedicina, Convegno regionale AIP (Associazione Italiana Psicogeriatria) -SINdem Calabria, con crediti formativi per professioni sanitarie, Catanzaro, 12 ottobre 2018.

www.psicogeriatria.it/usr_files/eventi/corsi-regionali/catanzaro-12-ottobre-2018.pdf

  • Estero Second International Seminar on the Active Ageing Index, incontro promosso da UNECE (European Commission’s DG EMPL), Università dei Paesi Baschi, Oxford Institute of Population Ageing, Bilbao (Spagna), 27-28 settembre 2018.

http://www.lse.ac.uk/social-policy/research/Research-clusters/british-society-for-population-studies/annual-conference

Per i linkhttp://newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/agosto2018/5087/index.html

Iscrizione alle newsletter http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/newsletter-cisf.aspx

Archivio http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/elenco-newsletter-cisf.aspx

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CENTRO ITALIANO SESSUOLOGIA

Sessualità, infertilità ed endometriosi

Vivere la sessualità in un momento di crisi

Seminario S.I.R.U. Società italiana della Riproduzione Umana

Bologna Villaggio del Fanciullo, Aula Magna, Via Scipione Dal Ferro, 4 – 6 ottobre 2018 ore 09.30 – 13

Introduce Maria Cristina Florini,

Psicologa dirigente AZ USL Modena, Psicoterapeuta, Sessuologa Clinica, Presidente CIS

Coordina Gabriella Rifelli,

Psicologa, Psicoterapeuta, Sessuologa Clinica, Direttore scuola di sessuologia, Segretario Generale CIS

Alla diagnosi d’infertilità, e successivo percorso di PMA, le coppie si trovano ad attraversare una fase complessa della relazione e non sempre raggiungono il fine desiderato. Spesso devono confrontarsi anche con patologie organiche che possono rendere dolorosi i rapporti sessuali. I vissuti di infertilità e le patologie organiche possono determinare l’assenza degli aspetti ludici e di desiderio propri della vita sessuale.

Esperti del settore si confrontano in una visione multidisciplinare sulle possibilità di sostengo e cura delle coppie coinvolte.

La partecipazione è gratuita, previa iscrizione via mail con i propri riferimenti a: cis@cisonline.net

  • I rischi e i cambiamenti della sessualità nell’infertilità

Stefano Bernardi, psicologo psicoterapeuta, specializzato in Sessuologia, socio SIRU, Socio CIS.

  • Sessualità ed Infertilità nelle pazienti affette da endometriosi

Giovanna B. La Sala, professore di ostetricia e ginecologia, Università di Modena e Reggio Emilia.

  • La prevenzione della fertilità e le tecniche di riproduzione assistita

Simone Palini, biologo, senior clinical embryologist, specializzato in genetica molecolare, Ospedale Jaia UOSD PMA e Fisiopatologia della Riproduzione ASL Bari.

www.cisonline.net/wp-content/uploads/2018/07/SBS2018-Depliant-vC.pdf

Il CIS segnala il

Congresso Nazionale Federazione Italiana Sessuologia Scientifica

Torino 11-13 ottobre 2018

Presidenti del Congresso: Giovanni Cociglio, Giorgio Del Noce, Roberta Rossi

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CHIESA CATTOLICA

Lo scandalo dello sviluppo della dottrina

In 2000 anni di storia la Chiesa ha sviluppato una dottrina che fonda le sue basi sulla Sacra Scrittura, la Tradizione e il suo magistero vivente, crescendo sempre di più nell’intelligenza della fede.

L’annuncio della modifica del Catechismo della Chiesa Cattolica sul tema della pena di morte ha generato un vivace dibattito in tutto il mondo. Ogni sviluppo della dottrina nella storia della Chiesa ha suscitato consensi o critiche costruttive ma anche resistenze e rifiuti. Oggi può far rumore una nota di Amoris lætitia o un nuovo insegnamento sulla pena capitale, ma guardando indietro, ripercorrendo velocemente 2000 anni di cristianesimo, si nota che tante cose sono cambiate e oramai le diamo per acquisite. Resta il fatto che ogni cambiamento può creare scandalo e sconcerto.

La pena di morte nella Bibbia. Basta leggere la Bibbia per comprendere quanto cammino si è fatto. Oggi si resta inorriditi di fronte a certi ordini impartiti da Dio a Mosè, come vengono riportati dalle Sacre Scritture. Nel Levitico (Capitolo 20) il Signore comanda di uccidere idolatri, adulteri, sodomiti, incestuosi e anche chi maltratta il padre o la madre deve essere messo a morte. Certo Mosè è vissuto più di 3.000 anni fa. Certo, questi ordini sono contenuti nell’Antico Testamento, però alla fine della lettura diciamo sempre: Parola di Dio.

Progressi dottrinali nella prima comunità cristiana. Pensiamo al trauma vissuto dai primi cristiani convertiti dall’ebraismo: quanto coraggio hanno dovuto avere nell’abbandonare leggi fondamentali del loro popolo, come la circoncisione. Quanta apertura di mente e di spirito per accettare nella Chiesa i pagani, considerato allora non lecito. Pietro – raccontano gli Atti degli Apostoli – aveva già ricevuto lo Spirito Santo, ma ancora non lo capiva. Solo davanti a un centurione romano, Cornelio, e alla sua famiglia, viene illuminato e dice: “In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone, ma chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga, è a lui accetto. Questa è la parola che egli ha inviato ai figli d’Israele, recando la buona novella della pace, per mezzo di Gesù Cristo, che è il Signore di tutti”. In questa frase “sto rendendomi conto” c’è tutto il graduale progredire della nostra conoscenza delle verità di Dio. Un cammino che non finisce finché dura la storia. Cresce l’intelligenza della fede.

Primi Concili ecumenici. Pensiamo al cammino della Chiesa nei primi Concili ecumenici nello stabilire le fondamenta delle verità cristiane, a partire dalla Trinità e dai dogmi cristologici. Tante le lotte contro le eresie in questo periodo all’insegna del motto “Extra ecclesiam nulla salus” (al di fuori della Chiesa non c’è salvezza). Niente Paradiso, dunque, per i non battezzati. Eppure, pian piano si è compreso in modo più profondo questo concetto, come dice la Dichiarazione Dominus Jesus firmata dal cardinale Ratzinger: “Circa il modo in cui la grazia salvifica di Dio, che è sempre donata per mezzo di Cristo nello Spirito ed ha un misterioso rapporto con la Chiesa, arriva ai singoli non cristiani, il Concilio Vaticano II si limitò ad affermare che Dio la dona «attraverso vie a lui note»”. Capiamo sempre meglio che Dio vuole salvare tutti.

Eresie e violenza. La lotta contro gli eretici, contro chi la pensa diversamente, si sa, ha portato conseguenze nefaste nella storia: guerre di religione, roghi, inquisizione. Anche se tante leggende nere promosse dalla propaganda anticattolica sono state smontate dagli storici, non nascondiamoci dietro un dito: la Chiesa, figlia del suo tempo, ne ha condiviso spesso la mentalità. Oggi tremiamo nel leggere la Bolla pontificia “Ad Extirpanda” promulgata nel 1252 da Papa Innocenzo IV e confermata da Papa Alessandro IV nel 1259 e da Papa Clemente IV nel 1265: il documento approvava la tortura dei sospetti eretici, anche se molto mitigata rispetto a quanto veniva fatto dai contemporanei: non doveva procurare mutilazioni né fuoriuscita di sangue né la morte. Tutto questo perché si considerava sopra ogni cosa la salvezza dell’anima. Quanti cambiamenti da allora.

Graduale comprensione della libertà di coscienza. E quanta strada è stata fatta rispetto alla dottrina dell’Enciclica Mirari vos di Papa Gregorio XVI, del 1832. E’ ovvio, siamo in un contesto storico difficilissimo per il Papato, sono passati quasi 200 anni, ma alcune frasi ci fanno comprendere meglio le ragioni dei progressi dottrinali. Gregorio XVI definisce la libertà di coscienza come un “delirio” un “errore velenosissimo” che apre la strada a “quella piena e smodata libertà di opinione che va sempre aumentando a danno della Chiesa e dello Stato”, in aggiunta a “quella pessima, né mai abbastanza esecrata ed aborrita «libertà della stampa» nel divulgare scritti di qualunque genere”. La Chiesa ha imparato meglio a comprendere cosa sia la libertà anche da quelli che non sono nella Chiesa.

Scandalizzati da una dottrina che cambia. Lo scandalo dello sviluppo della dottrina nasconde un problema centrale della fede: una Legge che non cambia dà sicurezza e potere all’uomo che in questo modo riesce a controllare i suoi comportamenti religiosi e anche a manipolare le esigenze delle norme divine. Una Legge che cambia, toglie questo potere e lo dà nelle mani di un Altro. Questo è stato lo scontro immane di Gesù con i farisei. Gesù si è posto come Legge vivente, mentre i farisei chiedevano una Legge scritta e muta che potevano gestire. Se la Legge è vivente, non smette di parlare e di dire cose nuove e soprattutto ci costringe a cambiare. Questo non ci piace perché in ognuno di noi c’è sempre un fariseo che rispunta con le sue ragioni immutabili e immobili. La Legge dell’amore, invece, ci muove, ci spinge a un continuo esodo dall’io al tu. E’ un continuo progredire nella conoscenza della verità assoluta che è Dio e Dio è amore. E l’amore ci costringe a cambiare per l’altro. Il bello è che anche Dio – che è lo stesso ieri, oggi e sempre – è cambiato per amore nostro: e si è fatto uomo.

Appartenere alla Verità. Tornando a Pietro davanti ai pagani, stava imparando che non era lui il padrone della verità ma che apparteneva alla Verità. Mentre parlava, lo Spirito Santo scendeva sopra tutti coloro che ascoltavano il suo discorso: “E i fedeli circoncisi, che erano venuti con Pietro, si meravigliavano che anche sopra i pagani si effondesse il dono dello Spirito Santo; li sentivano infatti parlare lingue e glorificare Dio. Allora Pietro disse: «Forse che si può proibire che siano battezzati con l’acqua questi che hanno ricevuto lo Spirito Santo al pari di noi?»”. E’ Dio che ci fa comprendere sempre meglio Se stesso. Ci fa comprendere che l’essenza del cristianesimo è l’amore.

Nessun Pietro sarà contro la Chiesa. Infine, per quanti contrappongono Benedetto XVI e Giovanni Paolo II a Francesco, si possono ricordare le parole consolanti pronunciate da Papa Ratzinger il 27 maggio 2006 a Cracovia, davanti a un milione di giovani. Ai ragazzi cresciuti nella fede da Papa Wojtyla, Papa Benedetto dice con forza: “Non abbiate paura a costruire la vostra vita nella Chiesa e con la Chiesa! Siate fieri dell’amore per Pietro e per la Chiesa a lui affidata. Non vi lasciate illudere da coloro che vogliono contrapporre Cristo alla Chiesa! (…) Voi giovani avete conosciuto bene il Pietro dei nostri tempi. Perciò non dimenticate che né quel Pietro che sta osservando il nostro incontro dalla finestra di Dio Padre, né questo Pietro che ora sta dinanzi a voi, né nessun Pietro successivo sarà mai contro di voi, né contro la costruzione di una casa durevole sulla roccia. Anzi, impegnerà il suo cuore ed entrambe le mani nell’aiutarvi a costruire la vita su Cristo e con Cristo”.

Sergio Centofanti – Vatican news 4 agosto 2018

www.vaticannews.va/it/chiesa/news/2018-08/dottrina-pena-morte-papa-francesco-catechismo.html

 

Pena di morte: congedo da Pio X

Il discrimine tra società chiusa (onore) e società aperta (dignità)

La modifica del testo del n. 2267 del Catechismo della Chiesa cattolica, sul tema della “pena di morte” rappresenta un passaggio assai prezioso nel cammino complesso e articolato con cui la Chiesa cattolica dismette gli abiti della società chiusa ed impara ad indossare quelli della società aperta. Non è un caso che le reazioni degli ambienti più intransigenti e tradizionalisti siano preoccupati per questo nuovo testo. Aver preso congedo dalla “pena di morte” sembra il segno di un “cedimento” alla modernità, addirittura al liberalismo.

In realtà si tratta della continuazione del cammino che, inaugurato dal Concilio Vaticano II fin dal suo esordio, fa della “traduzione della tradizione” la verità della “indole pastorale” non solo di quel Concilio, ma del rapporto che la Chiesa intesse con il proprio passato in vista del futuro. In questo lavoro di traduzione, la tradizione viene aggiornata, riformata, fatta oggetto di discernimento. Per non confondere il Vangelo con i pregiudizi della società chiusa occorre riformulare sapientemente molte cose, che altrimenti diventano ambigue, paradossali, quando non contraddittorie.

Per questo vorrei sottoporre ad un breve esame il nuovo testo, mettendolo a paragone con il vecchio. Una sinossi tra i testi è utilissima per notare il cambiamento di argomentazione, di riferimenti e di orizzonte.

a) Sinossi tra i due testi

Il vecchio testo di CCC 2267. “L’insegnamento tradizionale della Chiesa non esclude, supposto il pieno accertamento dell’identità e della responsabilità del colpevole, il ricorso alla pena di morte, quando questa fosse l’unica via praticabile per difendere efficacemente dall’aggressore ingiusto la vita di esseri umani.

Se, invece, i mezzi incruenti sono sufficienti per difendere dall’aggressore e per proteggere la sicurezza delle persone, l’autorità si limiterà a questi mezzi, poiché essi sono meglio rispondenti alle condizioni concrete del bene comune e sono più conformi alla dignità della persona umana.

Oggi, infatti, a seguito delle possibilità di cui lo Stato dispone per reprimere efficacemente il crimine rendendo inoffensivo colui che l’ha commesso, senza togliergli definitivamente la possibilità di redimersi, i casi di assoluta necessità di soppressione del reo «sono ormai molto rari, se non addirittura praticamente inesistenti»”

Il nuovo testo di CCC 2267. “Per molto tempo il ricorso alla pena di morte da parte della legittima autorità, dopo un processo regolare, fu ritenuta una risposta adeguata alla gravità di alcuni delitti e un mezzo accettabile, anche se estremo, per la tutela del bene comune. Oggi è sempre più viva la consapevolezza che la dignità della persona non viene perduta neanche dopo aver commesso crimini gravissimi. Inoltre, si è diffusa una nuova comprensione del senso delle sanzioni penali da parte dello Stato. Infine, sono stati messi a punto sistemi di detenzione più efficaci, che garantiscono la doverosa difesa dei cittadini, ma, allo stesso tempo, non tolgono al reo in modo definitivo la possibilità di redimersi. Pertanto la Chiesa insegna, alla luce del Vangelo, che «la pena di morte è inammissibile perché attenta all’inviolabilità e dignità della persona», e si impegna con determinazione per la sua abolizione in tutto il mondo.”

b) Un nuovo modo di argomentare

Già ad una prima considerazione appare chiaro come i due testi provengano non soltanto da due mani diverse, ma da due mondi diversi, che esprimono la medesima tradizione cattolica attraverso priorità, nozioni e categorie assai diverse. Il testo più antico ragiona all’interno di una “possibilità di principio” di ricorso alla pena di morte. In tale orizzonte non rinuncia a porre, anche con una certa forza, la esigenza del superamento, ma lo fa quasi “per transennam” e non “in recto”. Oltretutto sembra sposare una teoria della “legittima difesa” dello Stato nei confronti del reo di gravi crimini, senza tener conto della mancanza di proporzione tra Stato e singolo individuo. Il “bene comune” può azzerare fino alla morte il valore della vita del soggetto colpevole. Se il soggetto perde l’onore, perde ogni dignità. All’auspicio, che già il testo introduce esplicitamente, verso un graduale superamento della pena di morte, si sostituisce, nel nuovo testo, non soltanto un più chiaro e rotondo riferimento alla dignità della persona come ostacolo alla ammissibilità della pena di morte, ma un impegno esplicito della Chiesa al superamento di questa sanzione.

D’altra parte bisogna riconoscere che già il CCC del 1992 aveva operato un grande cambiamento di prospettiva rispetto al famoso catechismo di inizio secolo, steso da Pio X, che alla domanda sulla legittimità eventuale della uccisione del prossimo rispondeva:

“È lecito uccidere il prossimo quando si combatte in una guerra giusta, quando si eseguisce per ordine dell’autorità suprema la condanna di morte in pena di qualche delitto, e finalmente quando trattasi di necessaria e legittima difesa della vita contro un ingiusto aggressore”.

c) Il ripensamento della tradizione: dall’onore alla dignità

Credo di poter dire che si tratta di un passaggio la cui rilevanza va molto al di là del pur importante tema specifico della “pena di morte”. La novità attiene all’utilizzo argomentativo del concetto di “dignità” del soggetto, che nessun ordinamento, né umano né divino, può mai negare. Anche la Chiesa accetta di ragionare non anzitutto in termini di “onore”, ma in termini di “dignità”. Esplicitamente esce dalla argomentazione tipica dell’ancien régime, mediante la quale appariva scandaloso negare alla legittima autorità il “potere di vita o di morte”. In certo modo agli ordinamenti temporali era affidata una sorta di “anticipazione del giudizio finale”.

Ciò, evidentemente, aveva ottenuto lungo i secoli una serie di correttivi preziosi. Il mondo medievale sapeva bene che un “condannato a morte” poteva essere un “santo”. Ma questo era compatibile con quella che Paolo Prodi chiamava “pluralità dei fori” del mondo medievale, la cui forza inizierà a declinare forse proprio a partire dalla Riforma e dal Concilio di Trento. Ecco che la Chiesa, che con Trento ha inaugurato la modernità cattolica, dopo 500 anni ne ha tratto una conseguenza importante. Né la autorità civile né quella ecclesiale possono prevedere, tra le loro sanzioni ordinarie, la pena di morte. Così la differenza del giudizio di Dio dal giudizio degli uomini risulta sorprendentemente custodita. E’ questa una delle conseguenze della “meravigliosa complicatezza” del mondo scaturito dalle rivoluzioni di fine 700, che la Chiesa cattolica può oggi non solo giudicare in modo più equanime, ma anche valorizzare per tutto il bene che sa produrre, nonostante tutte le sue reali o apparenti contraddizioni. E molte altre cose dovranno essere tradotte, per passare da una Chiesa che ragiona in termini di “onore” a una Chiesa che ragiona in termini di “dignità”.

Andrea Grillo blog: Come se non 3 agosto 2018

www.cittadellaeditrice.com/munera/pena-di-morte-congedo-da-pio-x

 

Oltre la pena di morte: evoluzione della dottrina su altri nodi da sciogliere

La morte fisica e la morte sociale sono state due tra le pene più classiche con cui gli uomini hanno ritenuto di “ristabilire la giustizia”, umana o divina che fosse. Anche nella tradizione cristiana hanno avuto il loro spazio, assumendo il nome di “pena capitale” e di “scomunica”. Privare della vita il colpevole o escluderlo dalla comunità ecclesiale e civile erano le forme più efficaci di sanzione, di cui si avvalevano la forza pubblica e la Chiesa, e di cui hanno fatto le spese, rispettivamente, Giordano Bruno o Dante Alighieri.

La società tardo moderna, a partire dalla fine del 1700, ha iniziato a rielaborare il concetto di sanzione e ha superato, contemporaneamente, sia la pena capitale sia la scomunica. La sostituzione alla prima dell’”ergastolo” e alla seconda di un “tempo determinato” di detenzione costituiscono un grande mutamento, che la Chiesa non ha ancora del tutto elaborato.

Da un lato essa ha gradualmente rinunciato alla pena di morte, fino alla ultima formulazione del CCC, ma dall’altro appare ancora rozza nel pensare “sanzioni alternative alla scomunica”: resta legata ad un modo rozzo e poco elastico di pena, che si è manifestato in modo assai significativo nel dibattito successivo ad Amoris Lætitia che attesta la scarsa coscienza della necessità con cui la Chiesa deve uscire dalla alternativa digitale e disumana tra comunione/scomunica. Una carenza di riflessione giuridica sulla sanzione appare aver gravemente nuociuto alla qualità del dibattito sulla “res familiaris”.

Questa breve considerazione della storia degli ultimi secoli, dove cultura civile e cultura ecclesiale si sono profondamente differenziate, ci aiutano a comprendere che cosa sia in gioco nella “riformulazione” del n. 2267 del CCC: una esplicita evoluzione della dottrina sulla “sanzione capitale”, che segnala un complesso passaggio di “traduzione della tradizione”, in cui Vangelo e cultura ricalibrano i linguaggi, le forme di vita e le simboliche fondamentali.

Sarebbe ingenuo, tuttavia, pensare che ciò che vale per la “pena di morte” non debba valere anche per altri temi della tradizione dottrinale cristiana, chiamati a profonde riformulazione, a conversioni e a “cambi di paradigma” assai impegnativi. Va detto, inoltre, che il tema della “pena di morte” è relativamente facile da affrontare, perché ha conseguenze “esterne” alla vita strettamente ecclesiale. Viceversa, altri temi, su cui siamo chiamati ad altrettanta conversione, appaiono molto più complessi da affrontare, perché hanno immediate conseguenze nella vita ecclesiale quotidiana.

Vorrei soffermarmi rapidamente su tre temi, a proposito dei quali papa Francesco ha coraggiosamente riaperto il dibattito: lingua liturgica, autorità femminile e formazione dei ministri chiedono, nei prossimi anni, un coraggioso ascolto dei “segni dei tempi” e la forza di una “rivoluzione culturale”, paragonabile a quella che 500 anni fa il Concilio di Trento fu capace di determinare.

  1. La lingua liturgica e Magnum Principium. Quasi 40 anni fa, in un famoso testo di bilancio del Concilio Vaticano II pubblicato su “Aggiornamenti sociali” nel 1980, K. Rahner affermava due cose di grande rilevanza: il Vaticano II era il primo concilio veramente universale nella storia della Chiesa; la assunzione delle lingue nazionali nella celebrazione liturgica avrebbe mutato la identità stessa della Chiesa, recuperando la forza delle “chiesa locali”.

L’affermazione è, come dice Rahner, del Vaticano II. Nella storia recente della Chiesa cattolica si è cercato ogni pretesto per ristabilire una stretta dipendenza delle lingue nazionali dal latino. Finalmente, l’anno scorso, Francesco ha riavviato il processo che dovrà portare gradualmente al riconoscimento della creatività e della originarietà delle lingue nazionali. Questo è un punto qualificante di quella “evoluzione della dottrina” che dipende non da fattori “endogeni”, ma dallo sviluppo culturale e storico, che non è affatto predeterminato dal testo sacro o dalla tradizione e che dipende da una fine ermeneutica dei segni dei tempi;

2. La autorità femminile e la commissione sul Diaconato femminile. Un secondo fronte di sviluppo della dottrina è, senza dubbio, il progressivo e irreversibile riconoscimento della autorità femminile anche all’interno della Chiesa cattolica. Le resistenze sono, a questo proposito, ben più forti di quelle che si sono manifestate a proposito della “pena di morte”. Ciò appare del tutto comprensibile, ma la dinamica deve essere riconosciuta in tutta la sua analogia. Il mondo tardo-moderno, che elabora per la prima volta una comunità che si basa non sull’”onore”, ma sulla “dignità”, non solo conta sulla dignità di ogni cittadino/cristiano, ma anche sulla sua possibile autorità. Riconoscere la autorità non solo ai maschi, ma anche alle femmine è una conseguenza inaggirabile della società aperta, di cui anche il cattolicesimo potrà ancora arricchirsi. Tradurre le categorie classiche del ministero – formulate inevitabilmente in una “società dell’onore” e non in una “società della dignità” – diviene un compito, che può iniziare seriamente solo introducendo all’interno del ministero ordinato, almeno nel suo grado minore (diaconato) anche soggetti battezzati di sesso femminile.

3. La formazione e la identità dei ministri: oltre il seminario tridentino. Il Concilio di Trento ha inventato i seminari. Prima la formazione era impostata in altro modo, con molta maggiore inventiva e con differenze abissali tra regioni e chiese diverse. A distanza di quasi 500 anni, quelle grandi intuizioni mostrano oggi i loro limiti e le loro lacune. Le forme di vita delle istituzioni, delle famiglie e dei soggetti sono cambiate profondamente e richiedono altre risposte e proposte. Il Seminario, che fino a 100 anni fa offriva in generale una formazione di alto profilo, oggi spesso è ridotto a un sapere marginale, che non si confronta con le grandi correnti culturali contemporanee. Questo è il frutto di uno sviluppo culturale paralizzato dal confronto con la tarda modernità e su cui è calata la gelata dell’antimodernismo, che segna ancora profondamente il linguaggio e la cultura dei ministri e dei cristiani cattolici. Anche qui abbiamo bisogno di un cammino nuovo, di nuovi paradigmi e di linguaggi più adeguati.

Il Concilio Vaticano II ci ha introdotto in questo stile del confronto aperto, curioso e pieno di fiducia con il mondo nuovo: dal mondo tardo moderno dobbiamo non solo guardarci, ma abbiamo anche molte cose da imparare. La modifica del n. 2267 del CCC è il simbolo di un cammino di traduzione della tradizione, di cui dobbiamo affrontare tanti altri passaggi altrettanto delicati: con vigile pazienza e con fiduciosa audacia.

Andrea Grillo blog: Come se non 5 agosto 2018

www.cittadellaeditrice.com/munera/oltre-la-pena-di-morte-evoluzione-della-dottrina-su-altri-nodi-da-sciogliere

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CONSULENTI COPPIA E FAMIGLIA

AICCeF – Giornata di studioDiverso da chi?

Associazione Italiana Consulenti Coniugali e Familiari

«Per un mondo dove siamo socialmente uguali, umanamente differenti e totalmente liberi.» Rosa Luxemburg

Appuntamento a TRE differenti VI per Assemblea, elezioni e Giornata di Studio

Il programma delle due Giornate sarà particolarmente articolato e gli eventi si intrecceranno con l’Assemblea dei Soci, le elezioni dei componenti degli organi statutari dell’AICCeF per il triennio 2018 – 2021, e con le attività e gli eventi creativi.

  • sabato 27 ottobre ore 14,30 – 20,00

  • Saluto della Presidente e del Comitato Scientifico

  • Relazione della Presidente all’Assemblea dei Soci

  • Nomina della Commissione elettorale e costituzione del seggio

  • Relazioni dei Vice Presidenti

  • Relazioni dei Consiglieri

  • Intermezzo Video sulla diversità

  • Relazione Revisori dei Conti

  • Evento Sociale: DEDO: un’esperienza sensoriale per abbattere le differenze.

  • ore 21,30 evento sociale: incontro con il regista Francesco Falaschi e proiezione del film: Quanto basta, delicato film che tratta di cucina e neurodiversità.

  • Novità: dalle ore 16,00 alle 20,00 sarà attivo un laboratorio creativo per adolescenti: “L’emozionante diversità” condotto da Sabrina Marini, Mara Palai e i Consulenti Tirocinanti dell’Umbria. Questo laboratorio è rivolto ai figli dei partecipanti e aperto anche a giovani del luogo.

 

  • domenica 28 ottobre ore9,15 – 13

  • Presentazione della Giornata e del relatore

  • Ore 9,30 Relazione di Francesco Falaschi, regista, insegnante, scrittore

La neurodiversità come risorsa: lo sguardo del cinema

  • Lavori di gruppo con sei laboratori sulla diversità :

  1. Area Interprofessionale La difficoltà del Consulente Familiare e dell’Equipe nell’accogliere le differenze Lombardi – Margiotta – Puzzarini

  2. Area Interculturale. Coppie miste, famiglie miste nella società interculturale Belletti- Roberto

  3. Area Educativa. Generazioni a confronto: educare diversa-mente Rossi- Sinigaglia

  4. Area Differenza di Genere. Mi ascolto, ti accolgo: La consulenza con la persona omosessuale e la sua famiglia Bialetti – Feretti

  5. Area Legale. ‘Diritti’ e …rovesci in famiglia Berger – Qualiano

  6. Area Sessuale. È la differenza che fa la differenza

  • ore 12,45 ritrovo in sala plenaria per la proclamazione dei Consiglieri eletti

 

  • ore 14,00 riunione riservata del l Consiglio Direttivo.

  • ore 14,45 ripresa dei laboratori

  • ore 16,15 rientro in plenaria con presentazione nuovo Consiglio e Presidente

  • ore 16,30 condivisione dei laboratori

  • ore 17,30 conclusioni e saluti.

Le iscrizioni on line partono dal 1° agosto e terminano il 15 ottobre 2018.

www.aiccef.net/iscrizione/iscrizione2018.php

Laboratori. In questa edizione la partecipazione ai Laboratori andrà programmata con anticipo, pertanto in sede di iscrizione ogni partecipante indicherà il numero del Laboratorio a cui desidera partecipare ed un altro numero di Laboratorio come seconda scelta.

La Segreteria cercherà di accontentare ciascuno nelle proprie scelte, ma non potrà garantire in modo assoluto la preferenza di ognuno, né gli iscritti potranno reclamare in tal senso. Il criterio di attribuzione ai Laboratori sarà l’ordine di iscrizione.

Laboratorio adolescenti di sabato. Chi volesse prenotare la partecipazione di uno o più figli al Laboratorio creativo per adolescenti: “L’emozionante diversità” condotto da Sabrina Marini, Mara Palai e i Consulenti Tirocinanti dell’Umbria, dovrà scrivere, in fondo alla pagina di iscrizione, i nominativi nell’apposito campo della scheda.

L’evento si svolgerà presso l’Hotel della Torre di Trevi con prenotazione entro il 10 settembre.

www.hoteldellatorre.eu/aiccef-giornata-di-studio-2018/

www.aiccef.it/it/news/alle-fonti-del-clitumno.html

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CONSULTORI FAMILIARI D’ISPIRAZIONE CRISTIANA

Ciclo di Seminari formativi – La famiglia nel tempo dell’individualismo

La Rete informale dei consultori familiari della Toscana, il Consultorio familiare “Il Campuccio” della Misericordia di Firenze Onlus, in collaborazione con il Centro Italiano di Sessuologia hanno organizzato questo nuovo ciclo di seminari formativi focalizzando sull’ampio tema de La famiglia nel tempo dell’individualismo.

Nonostante infatti oggi si sia ‘sempre connessi’ non altrettanto si è ‘in relazione’. Diverse quindi le sfide lanciate ai sistemi coppia e famiglia cui sono richieste flessibilità e disponibilità al cambiamento. Questo ciclo di incontri si propone di trattare tali sfide con le disfunzioni e i malesseri che possono determinare.

Gli eventi sono rivolti agli operatori dei Consultori Familiari pubblici e privati, ai soci del Centro Italiano di Sessuologia, alle associazioni laiche e religiose interessate ai temi proposti, ad operatori socio-sanitari pubblici e privati, medici, psicologi, avvocati, associazioni del volontariato e del privato sociale impegnate nella promozione e sostegno dell’individuo e della famiglia.

L’A.I.C.C.eF rilascia ai consulenti familiari iscritti 15 Crediti Formativi Professionali (CFP).

Responsabile scientifico e Segreteria scientifica: Rosanna Intini

Comitato scientifico: R. Intini, M. Qualiano, L. Marri, L. Vannini e G. Fini

Segreteria organizzativa Liliana Marri

  • 14 aprile 2018 – Relazioni pericolose

  • 13 ottobre 2018 – Ruoli e copioni affettivi e sessuali

  • 2019 Interazioni e complicazioni: istruzioni per l’uso

  • 2019 La solitudine nella famiglia: dove ci siamo persi?

La partecipazione è gratuita, previa iscrizione via mail con i propri riferimenti a: ilcampuccio@gmail.com

Il seminario si svolge a Firenze presso la Residenza Il Bobolino Via Dante da Castiglione, 13

ore 9,30 17.00

  • Innamoramento, amore e narcisismo. Rosalba Raffagnino,

psicologa, psicoterapeuta, ricercatore Facoltà di Psicologia, Università di Firenze.

  • Etica, volontà e responsabilità nella relazione. Antonio Bartalucci,

docente di teologia morale presso I S R S.

  • Il cinema ci racconta

  • Riflessioni e risonanze

  • Lavori di gruppo e Laboratorio

  • Confronto e discussione plenaria

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DALLA NAVATA

18° Domenica – Anno B –5 agosto 2018

Esodo 16, 02 In quei giorni, nel deserto tutta la comunità degli Israeliti mormorò contro Mosè e contro Aronne.

Salmo 77, 03 Ciò che abbiamo udito e conosciuto e i nostri padri ci hanno raccontato non lo terremo nascosto ai nostri figli, raccontando alla generazione futura le azioni gloriose e potenti del Signore e le meraviglie che egli ha compiuto.

Efesini 04, 17 Fratelli, vi dico e vi scongiuro nel Signore: non comportatevi più come i pagani con i loro vani pensieri.

Giovanni 06, 35 Gesù rispose loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!

 

Gesù, il pane della vita.Commento di Enzo Bianchi, priore emerito a Bose.

Dopo il segno della moltiplicazione-condivisione dei pani, Gesù, rifiutando l’acclamazione mondana da parte della folla che voleva farlo re perché egli le aveva procurato del cibo, era fuggito in solitudine sul monte (cf. Gv 6,14-15), lasciando i discepoli che cercavano di tornare in barca sull’altra riva del mare, verso Cafarnao (cf. Gv 6,16-17). Ma era ormai notte e una violenta tempesta si era scatenata sul lago. In quella situazione di difficoltà i discepoli scorgono Gesù che cammina sulle acque del lago venendo verso di loro e sono colti da paura. Ma egli dice: “Egó eimi, Io sono, non abbiate paura!”, poi approda con loro sulla terra ferma ed entra in Cafarnao (cf. Gv 6,18-21).

Ed ecco, “il giorno dopo” (Gv 6,22) la folla, che aveva mangiato il pane, si mette sulle sue tracce, lo raggiunge attraversando a sua volta il lago su diverse barche, e gli chiede con rispetto: “Rabbi, maestro, quando sei venuto qua?”. Gesù però, conoscendo le motivazioni di quella ricerca, non risponde alla curiosità della folla ma svela con autorevolezza quanto essa sia insufficiente, ambigua e sviante: “Amen, amen io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni (semeîa), ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati”. Quella ricerca fa di Gesù colui che soddisfa i bisogni umani e colma la mancanza, ma misconosce la sua vera identità, quella di chi è venuto non per dare un cibo che toglie la fame materiale ma per donare ciò che nutre per la vita eterna. Quei galilei hanno visto il prodigio ma non vi hanno letto il segno, ossia ciò che quell’azione di Gesù significava. Hanno provato la sazietà ma non hanno compreso che quel pane era il dono della vita di Gesù.

Svelato dunque l’atteggiamento della folla, nella sinagoga di Cafarnao Gesù fa un lungo discorso, annunciandone il tema nelle sue prime parole: “Operate non per il cibo che perisce, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Questi, infatti, il Padre, Dio, ha segnato con il suo sigillo”. Gesù chiede ai suoi ascoltatori un impegno, rivela il dono che egli, quale Figlio dell’uomo, fa agli uomini e si manifesta come colui sul quale il Padre ha posto la sua benedizione. Occorre dunque darsi da fare, mettersi in azione per un cibo che nutre per la vita eterna. È vero che occorre darsi da fare per ricevere dal Padre il pane quotidiano (cf. Mt 6,11; Lc 11,3), nutrimento per il corpo destinato alla morte; nello stesso tempo, però, Gesù esorta a desiderare, cioè a lavorare con altrettanta intensità e convinzione in vista di quel cibo che solo lui può donare, il cibo che dà la vita per sempre, la vita che rimane oltre la morte.

Si faccia attenzione: Gesù non disprezza il cibo materiale ma, sapendo che “non di solo pane vive l’uomo” (Dt 8,3, Mt 4,4), esorta a lavorare con convinzione e intensità in vista di quel cibo che dà la vita per sempre, cibo che solo lui, il Figlio dell’uomo, può dare. Infatti, inviandolo nel mondo il Padre lo ha segnato con il suo sigillo, ha messo in lui la sua impronta (cf. Eb 1,3), essendo egli “l’immagine del Dio invisibile” (Col 1,15), il volto della sua gloria, parola e racconto che narra il vero e unico Dio (cf. Gv 1,18).

Ma anche di fronte a questa rivelazione della sua identità quei galilei non comprendono e dunque domandano a Gesù: “Che fare? Che cosa dobbiamo fare per realizzare la volontà di Dio? Quale comando assolvere?”. Gesù, in risposta, rivela l’opera, l’agire per eccellenza, che pure sembra una non azione, qualcosa che secondo il sentire umano manca di concretezza: l’azione delle azioni, l’azione per eccellenza che Dio vuole e chiede è credere, aderire a colui che egli ha mandato. L’unica opera è la fede, dice Gesù. È opera di Dio perché consente a Dio di operare nell’uomo, nella storia, nella vita di colui che crede. Sì, sta qui la differenza cristiana: al cuore della vita del credente non c’è la legge ma la fede. Non lo si ripeterà mai abbastanza, e non si dimentichi che il primo nome dato ai discepoli di Gesù nel Nuovo Testamento dopo la resurrezione è stato proprio “i credenti” (At 2,44; 4,32). La fede fa i cristiani, plasma i cristiani, salva i cristiani.

Questa verità centrale va però compresa bene: la fede non è un atto intellettuale, gnostico, ma è un’adesione vitale a Gesù Cristo, è un essere alla sua sequela, coinvolti con la sua stessa vita. In tal modo vengono spazzate via le contrapposizioni intellettuali tra fede e azioni-opere, tra contemplazione e azione. L’opera del cristiano è credere, è accogliere il dono della fede per farne la propria responsabilità, la propria opera, la propria lotta, la propria custodia. Solo così si riconosce il primato alla grazia, all’amore gratuito e sempre preveniente del Signore, che è un dono da accogliere con spirito di stupore e di ringraziamento, in quanto capace di generare nel profondo del cuore responsabilità e desiderio di rispondere al dono, o meglio al Donatore. Credere in Gesù Cristo, l’Inviato di Dio nel mondo, significa essere dove lui è (cf. Gv 12,26; 14,3; 17,24), condividendo con lui la stessa vita, “ovunque egli vada” (Ap 14,4), radicalmente e “fino alla fine” (eis télos: Gv 13,1).

Ma quella folla rivela la propria identità: per credere vuole un segno! Avevano visto il segno della moltiplicazione-condivisione dei pani, ma dal momento che questo non era sfociato in ciò che essi volevano, nella proclamazione di Gesù Re e Messia mondano, ora ne esigono un altro, come quello fatto da Mosè attraverso il dono della manna (cf. Sal 78,24). In tal modo mostrano di non essere neanche capaci di leggere la Torah, perché in essa – spiega loro Gesù – “non Mosè ha dato il pane dal cielo, ma il Padre dà il pane dal cielo, quello vero, ossia colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo”. E così Gesù rivela di sentirsi chiamato non a dare qualcosa, ma a donare tutto se stesso! Allora chiedono a Gesù di dare loro questo pane e di darlo per sempre. Ed egli risponde con la rivelazione inaudita: “Egó eimi, io sono il pane della vita”. Dunque il pane per la vita eterna non è un semplice dono da parte di Gesù, ma è Gesù stesso, che dona tutta la sua persona.

Cosa significa questo linguaggio che rischia di essere da noi compreso in modo astratto? Significa che Gesù è cibo, e in questa prima parte del suo lungo discorso egli si presenta come cibo in quanto Parola, Parola del Padre, Parola fatta carne (cf. Gv 1,14), Parola discesa dal cielo, Parola inviata da Dio agli umani. La Parola di Dio è sempre stata letta nell’Antico Testamento come cibo, pane che dà la vita all’umanità (cf. Is 55,1-3; Pr 9,3-6, ecc.); ma ora questa Parola, detta molte volte e in diversi modi nei tempi antichi agli esseri umani tramite Mosè e i profeti (cf. Eb 1,1), è un uomo: è Parola di Dio umanizzata in Gesù di Nazaret. In questo senso Gesù consegna agli umani quale “pane della vita”, pane che porta la vita.

Questo linguaggio è talmente vertiginoso che non è possibile commentare tali parole di Gesù: vanno solo accolte in adorazione. Gesù, sì, proprio Gesù, un uomo, un ebreo marginale di Galilea, il figlio di Maria e di Giuseppe, proveniente da Nazaret, è in verità la Parola di Dio e, in quanto tale, è cibo, pane per la nostra vita di credenti in lui. Chi può dire di essere in grado di capire e sostenere queste parole? In ogni caso, forse il Signore ci chiede solo che tentiamo di accogliere queste parole; e di farlo sapendo che il suo dono, la sua grazia ci permette di renderle parole accolte da ciascuno di noi in modo personalissimo, cioè come soltanto il Signore può farcele conoscere e comprendere. Così assimiliamo il cibo per la vita eterna, secondo la promessa di Gesù: “Chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete” (Gv 6,35). Una promessa parallela a quella fatta da Gesù alla donna di Samaria: “Chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete in eterno” (Gv 4,14).

www.monasterodibose.it/preghiera/vangelo/12489-pane-vita

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ENTI TERZO SETTORE

Approvato il decreto correttivo al codice del Terzo settore

Il Consiglio dei Ministri del governo Conte del 2 agosto 2018 ha approvato in via definitiva il decreto legislativo “Disposizione integrative e correttive del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117, recante Codice del Terzo Settore, a norma dell’articolo 1, comma 2, lettera b), della legge 6 giugno 2016, n. 106”, cioè il decreto correttivo al Codice del Terzo Settore.

Il comunicato stampa del Governo così sintetizza i contenuti del provvedimento

“Il decreto prevede, tra l’altro, la proroga da 18 a 24 mesi dei termini per adeguare gli statuti degli enti del Terzo settore al nuovo quadro normativo; apre all’interlocuzione organica, rafforzando la collaborazione tra Stato e Regioni (soprattutto in materia di utilizzazione del fondo di finanziamento di progetti e attività di interesse generale del Terzo settore); fa chiarezza sulla contemporanea iscrizione al registro delle persone giuridiche e al registro unico nazionale; indica il numero minimo di associati necessario per la permanenza di una associazione di promozione sociale o di una organizzazione di volontariato”.

UNEBA 2 agosto 2018

www.uneba.org/approvato-il-decreto-correttivo-al-codice-del-terzo-settore

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FRANCESCO VESCOVO DI ROMA

La religione non si può ridurre a una pratica di leggi

«Gesù è venuto ad aprire la nostra esistenza a un orizzonte più ampio rispetto alle preoccupazioni quotidiane del nutrirsi, del vestirsi, della carriera». Lo dice papa Francesco all’Angelus di oggi, 5 agosto 2018, in piazza San Pietro, commentando il Vangelo odierno. Il Pontefice sottolinea che «il nostro rapporto con Dio non è come tra servi e padrone»: la religione infatti non si può ridurre solo a una pratica delle leggi.

E ricorda con affetto e stima – anche con un applauso – il predecessore Paolo VI a 40 anni dalla morte: «Interceda per la Chiesa».

Jorge Mario Bergoglio, davanti a 20mila fedeli, spiega che «in queste ultime domeniche, la liturgia ci ha mostrato l’immagine carica di tenerezza di Gesù che va incontro alle folle e ai loro bisogni». Nell’odierno racconto evangelico la prospettiva «cambia: è la folla, sfamata da Gesù, che si mette nuovamente in cerca di Lui. Ma a Gesù non basta che la gente lo cerchi, vuole che la gente lo conosca; vuole che la ricerca di Lui e l’incontro con Lui vadano oltre la soddisfazione immediata delle necessità materiali». Il Figlio di Dio «è venuto a portarci qualcosa di più, ad aprire la nostra esistenza a un orizzonte più ampio rispetto alle preoccupazioni quotidiane del nutrirsi, del vestirsi, della carriera, e così via. Perciò, rivolto alla folla, esclama: “Voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati”». Così incoraggia la gente «a fare un passo avanti, a interrogarsi sul significato del miracolo, e non solo ad approfittarne. Infatti, la moltiplicazione dei pani e dei pesci è segno del grande dono che il Padre ha fatto all’umanità e che è Gesù stesso!».

Cristo, vero «”pane della vita”, vuole saziare non soltanto i corpi ma anche le anime, dando il cibo spirituale che può soddisfare la fame profonda. Per questo invita la folla a procurarsi non il cibo che non dura, ma quello che rimane per la vita eterna». È un cibo che Gesù «ci dona ogni giorno: la sua Parola, il suo Corpo, il suo Sangue. La folla ascolta l’invito del Signore, ma non ne comprende il senso – come capita tante volte anche a noi – e gli chiede: “Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?”. Gli ascoltatori di Gesù pensano che Egli chieda loro l’osservanza dei precetti per ottenere altri miracoli come quello della moltiplicazione dei pani»

Ecco, questa è «una tentazione comune»: ridurre «la religione alla pratica delle leggi, proiettando sul nostro rapporto con Dio l’immagine del rapporto tra i servi e il loro padrone: i servi devono eseguire i compiti che il padrone ha assegnato, per avere la sua benevolenza. Perciò la folla vuole sapere da Gesù quali azioni deve fare per accontentare Dio».

Ma Cristo dà una risposta «inattesa: “Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato”». Queste parole sono rivolte, «oggi, anche a noi: l’opera di Dio non consiste tanto nel “fare” delle cose, ma nel “credere” in Colui che Egli ha mandato»; ciò significa che la fede in Gesù «ci permette di compiere le opere di Dio. Se ci lasceremo coinvolgere in questo rapporto d’amore e di fiducia con Gesù, saremo capaci di compiere opere buone che profumano di Vangelo, per il bene e le necessità dei fratelli».

Dio esorta a «non dimenticare che, se è necessario preoccuparci per il pane materiale, ancora più importante è coltivare il rapporto con Lui, rafforzare la nostra fede in Lui che è il “pane della vita”, venuto per saziare la nostra fame di verità, di giustizia, di amore».

Poi invoca «la Vergine Maria, nel giorno in cui ricordiamo la dedicazione della Basilica di Santa Maria Maggiore in Roma, la Salus populi romani», affinché «ci sostenga nel nostro cammino di fede e ci aiuti ad abbandonarci con gioia al disegno di Dio sulla nostra vita».

Al termine della Preghiera mariana, papa Francesco ricorda che «quarant’anni fa il beato papa Paolo VI stava vivendo le sue ultime ore su questa terra. Morì infatti la sera del 6 agosto del 1978. Lo ricordiamo con tanta venerazione e gratitudine, in attesa della sua canonizzazione, il 14 ottobre prossimo». Invoca poi Bergoglio: «Dal cielo» Paolo VI «interceda per la Chiesa che tanto ha amato e per la pace nel mondo. Questo grande Papa della modernità lo salutiamo con un applauso, tutti».

Domenico Agasso jr La Stampa Vatican Insider 5 agosto 2018

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/angelus/2018/documents/papa-francesco_angelus_20180805.html

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201808/180806agasso2.pdf

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MEDIATORE FAMILIARE

Il Mediatore Familiare, nuova figura professionale al servizio delle famiglie

Chi di noi non ha coppie di amici, parenti, conoscenti che non siano in separazione/divorzio, oppure siamo noi stessi ad attraversare questa delicata fase della nostra vita. Una separazione può avere degli effetti altamente dolorosi non soltanto per la coppia, specialmente se è ancora alta la rabbia fra gli ex-coniugi, ma anche per i figli, che dovranno in un modo o nell’altro superare il trauma del distacco da uno dei due genitori. In questo panorama abbastanza usuale ai giorni nostri, il Mediatore Familiare diventa una figura fondamentale per fare in modo che la separazione avvenga nel modo meno traumatico possibile. Ma procediamo con ordine e vediamo cosa fa il mediatore familiare.

Chi è il Mediatore Familiare? E’ un professionista che deve innanzitutto essere una terza persona imparziale, qualificata e con una formazione specifica, per risolvere le dispute che si creano tra le coppie in separazione/divorzio, aiutandole a raggiungere un accordo volontario, rispondente ai bisogni e agli interessi di tutta la famiglia, quindi anche dei figli. Non sarà il Mediatore Familiare a trovare le soluzioni, ma aiuterà gli ex-coniugi a trovare loro stessi quelle più adatte per le loro esigenze. Dunque sia che si tratti di questioni economiche sia relative all’organizzazione della vita dei propri figli, turni di cura, spese ordinarie, straordinarie, ecc…

A chi si rivolge? Il Mediatore Familiare si rivolge in genere alle coppie in separazione/divorzio, con o senza figli, sposate e non, ma la sua competenza e i suoi strumenti possono essere utili anche in altri casi, basti pensare alle situazioni in possiamo trovarci in contrasto coi nostri fratelli nel prendere delle decisioni in merito al futuro e all’organizzazione di vita dei nostri anziani genitori. Ognuno di noi ha degli oggetti che hanno un valore affettivo superiore a quello economico, qualcosa da cui difficilmente ci separeremmo, e che in un divorzio possono diventare causa di liti interminabili con l’ex-coniuge. In questa e in tutte le altre questioni più o meno rilevanti economicamente, il Mediatore Familiare proverà a riattivare i canali comunicativi tra la coppia per potere raggiungere degli accordi condivisi.

A chi non si rivolge, e da quali altre figure professionali si distingue. Il Mediatore Familiare non è un consulente matrimoniale, dunque non si rivolge a tutte quelle coppie che non intendano separarsi, specie se uno dei due coniugi spera ancora in una riconciliazione. Non si rivolge alle coppie altamente litigiose che non vogliano dunque essere mediabili; non è uno psicoterapeuta, e quindi non si rivolge a soggetti con dipendenza di droghe, alcool, ecc.; non è un assistente sociale, non si occupa di fare delle valutazioni sul comportamento della coppia. E non è neanche un mediatore civile dove invece le parti assistite dai rispettivi avvocati si incontrano presso un Organismo di Mediazione accreditato dal Ministero della Giustizia per cercare un accordo.

Modalità del percorso di Mediazione Familiare. Rivolgersi a un Mediatore Familiare è semplice. Esistono delle associazioni nazionali di categoria regolarmente registrate ad un apposito elenco ministeriale, rintracciabili su tutto il territorio italiano. Dopo aver effettuato il primo contatto telefonico, si potrà fissare un appuntamento dove avverrà un colloquio informativo, e dopo di ché volontariamente gli ex-coniugi potranno decidere di intraprendere il percorso che consisterà in 10-12 incontri circa, al termine dei quali potranno raggiungersi gli accordi auspicati dalla ex-coppia, e portarli ai propri avvocati per una revisione formale, in modo che non ci sia nulla in contrasto con le leggi vigenti, e infine per essere formalizzati dal giudice.

Quali sono i costi e i benefici. I benefici di un percorso di Mediazione Familiare sono tanti: prima di tutto saranno gli ex-coniugi a trovare degli accordi condivisi, mentre sappiamo tutti che in un percorso giudiziario devono invece attenersi a ciò che viene stabilito dal giudice; il percorso di Mediazione Familiare può avere tempi molto più brevi di un percorso giuridico, dove spesso si va avanti a colpi di querele o denunce; ogni incontro prevede un costo che generalmente viene suddiviso fra gli ex-coniugi, e i costi (c’è un tariffario nazionale) sono sicuramente più bassi rispetto a quelli sostenuti giuridicamente; e infine, ma non meno importante, non ha prezzo l’aver riattivato la comunicazione fra gli ex-coniugi, che con la loro volontà riusciranno a gestire la fase post-separazione in modo sereno, ricordandosi sempre che non sono più coppia ma saranno sempre genitori.

La Legge per tutti 5 agosto 2018

www.laleggepertutti.it/224490_cosa-fa-il-mediatore-familiare

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OMOADOZIONE

L’adozione della seconda mamma

Corte d’Appello di Napoli n. 145, 15 giugno 2018

La sentenza della Corte territoriale accoglie il reclamo della adottante che si era vista negare il diritto a adottare il figlio nato dalla convivente con P.M.A.

Nulla di nuovo si potrebbe dire. Già il Tribunale Minori di Roma sentenza n, 299, 30 luglio 2014.

www.dirittoegiustizia.it/allegati/9/0000066342/Tribunale_dei_minorenni_di_Roma_sentenza_n_299_14_depositata_il_30_luglio.html

Aveva affermato che l’adozione in casi particolari, di cui alla L. 184/1983 art. 44, 1° co. lett. d) presuppone, non una situazione di abbandono dell’adottando, ”ma solo l’impossibilità di affidamento preadottivo, di fatto e di diritto e che non costituisce ostacolo di per sé la condizione omosessuale dell’adottante, può farsi luogo a siffatta forma di adozione nei riguardi di un minore, nella specie in tenera età, da parte della compagna stabilmente convivente della madre, che vi ha acconsentito, essendo inoltre stata accertata, in concreto, l’idoneità genitoriale dell’adottante e quindi la corrispondenza all’interesse del minore (nella specie convivente dalla nascita con le due donne, che ha sempre considerato come propri genitore.”

La situazione è però estremamente complicate e sembra che la sentenza in commento abbia colto l’occasione per affermare, una volta per tutte, come sia chiara l’applicabilità dell’istituto dell’adozione in casi particolari all’ipotesi di adozione di coppie omosessuali, esaminando e dirimendo alcune questioni giuridiche rilevanti.

Così la sentenza riconosce che la nomina del curatore speciale non è indispensabile e che la valutazione dell’interesse del minore può essere semplicemente demandata al giudice del merito senza un ulteriore intervento del curatore stesso.

Evidenzia anche come l’applicazione dell’istituto sia possibile per una “lettura evolutiva dell’istituto, la c.d. adozione mite, già elaborata da una parte (minoritaria) della giurisprudenza (in termini, però, non del tutto corrispondenti a quelli della sentenza romana)”.

La strada per l’adozione da parte di coppie omosessuali è ormai spianata dalla giurisprudenza nostrana (Cass. 11 gennaio 2013, n. 601) e da quella europea (CEDU 19 febbraio 2013, ric. X G.I. 2013, 1764 secondo cui “il principio di non discriminazione fondata sull’orientamento sessuale impone la sua estensione alle coppie formate da persone dello stesso sesso”).

Ricorda ancora la Corte come le sentenze, in contrasto con tale orientamento, del TM di Torino e di Milano siano state riformate in Appello dalle Corti territoriali.

Del resto, anche il giudice di legittimità ha confermato l’interpretazione della giurisprudenza romana (Cass. 22 giugno 2016, n. 12962) e in particolare ha affermato che “la relazione omoaffettiva sottostante l’adozione non può essere considerata contrastante, in re ipsa, con l’interesse del minore, in quanto una tale valutazione negativa, fondata esclusivamente sull’orientamento sessuale di due donne, si risolverebbe in un’inammissibile discriminazione”.

Come a dire, seguendo il ragionamento della Suprema Corte, che la presenza del curatore prevista dal legislatore nella norma, si basasse sull’orientamento eterosessuale dell’adottante che presupponeva una evidente incompatibilità con l’interesse del minore! Conscia di tale incongruenza la Corte si è subito risolta ad escludere la necessità del curatore anche per le coppie eterosessuali (Cass. 16 aprile 2018).

Si diceva che ormai la strada è spianata e, infatti, la giurisprudenza ha anche riconosciuto validità a provvedimenti stranieri di adozione piena a favore di coppie omosessuali (Cass. 31 maggio 2018, 14007) ed escludendo, altresì, contrarietà all’ordine pubblico a certificati di nascita che riportavano genitori dello stesso sesso.

Rileva ancora la Corte territoriale come la L. 76/2016 non richiama espressamente la L. 184/1983 ma afferma: “resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti”, confermando che l’ambiguità della norma consente l’interpretazione evolutiva dell’art. 44.

Come si diceva, la sentenza, unisce in un unico complesso e articolato ragionamento le norme e l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza più recente ricordando che i problemi sono strettamente interconnessi e collegati: l’adozione non può mai prescindere dall’esistenza di una procreazione medicalmente assistita e dalla valutazione dell’interesse del minore.

Nessuna rilevanza può essere riconosciuta alle osservazioni e motivazioni del Tribunale di Napoli e della precedente sentenza del Tribunale di Palermo che negava la possibilità di accedere alla adozione “mite” perché in assenza di rapporto di coniugo tra la coppia “la responsabilità genitoriale, ai sensi dell’art. 48 e 50 l. cit. competerebbe esclusivamente all’adottante, venendone privata la madre biologica, tanto con pregiudizio all’interesse del minore”.

In questo contesto si inserisce la modifica normativa recente in materia di genitorialità. Dalla motivazione di certa giurisprudenza di merito appare chiaro come il legislatore abbia messo mano alla materia, delicata e rilevante perché coinvolge i cittadini nella fase più delicata della vita, i minori appunto, senza palesare chiaramente gli scopi e la ratio della normativa.

Infatti, si legge in motivazione della recente decisione del Tribunale Minori di Bologna sentenza n, 1536, 31 agosto 2017. contrappone che: “tale situazione (coppia omosessuale) non presuppone una situazione di abbandono dell’adottando, ma solo l’impossibilità, anche in diritto, dell’affidamento preadottivo, sempre che la riguardo sussista in concreto l’interesse dell’adottando; è consentita anche in forza della c.d. clausola di salvaguardia di cui all’art. 1, 20° co, L. 76/2016, qualora adottante e genitore biologico siano civilmente uniti, non comporta che la responsabilità genitoriale sia esercita dal solo adottante, pur se questi non è coniugato con il genitore biologico, in quanto l’esercizio comune trova comunque fondamento, ancorché sugli artt. 48 e 50 L.184/1983, sulla generale e inderogabile previsione degli artt. 315 bis e segg. C.c.”.

E la Corte di Napoli intende adeguarsi a questo orientamento e prosegue nel suo ragionamento completandolo con la valutazione dell’importanza del superiore interesse del minore.

La decisione in commento afferma così che per superiore deve intendersi “superiore” anche alla legge (interpretandola in maniera evolutiva ed estensiva), all’ordine pubblico (e anche al principio internazionale del minore a vivere nella propria famiglia biologica) e infine anche superiore al diritto penale (alterazione di stato, incesto? Adottare tecniche PMA comporta la possibilità teorica ma anche effettiva di incesto – donatore parente della madre o matrimonio e procreazione in futuro tra fratelli anche se inconsapevoli. È vero che non ci sarebbe il requisito del pubblico scandalo previsto dalla norma penale ma con il proliferare di social network e notizie on line non è detto che si possa avverare).

Tali affermazioni sono confermate dall’ampia giurisprudenza in merito al riconoscimento del figlio nato fuori dal matrimonio (citando da ultimo Cass. 28 febbraio 2018, n. 4763), o per quanto riguarda (cit. Cass. 19599/2016) la possibilità di derogare alle norme penali e infine con la possibilità di accogliere decisioni e accertamenti di stato esteri in spregio alla legge (Cass. 14007/2018): “il principio del superiore interesse del minore opera necessariamente come un limite alla stessa valenza della clausola di ordine pubblico che va sempre valutata con cautela e alla luce del singolo caso concreto … il preminente interesse del minore, alla luce della normativa nazionale e internazionale in materia di adozione e quindi il diritto del minore a vivere in modo stabile in un ambiente domestico armonioso e ad essere educato e assistito nella crescita con equilibrio e rispetto dei suoi diritti fondamentali vale dunque ad integrare lo stesso concetto di ordine pubblico nella materia specifica.”

Quindi l’interesse del minore assurge a principio fondamentale, fonte di ordine pubblico e fino a qui non vi è motivo per non condividere l’innovazione interpretativa. A modesto avviso di chi scrive il problema consiste nel ritenere che l’interesse del minore non debba essere garantito da un curatore nel processo ritenendo in linea di massima che non vi sia incompatibilità tra il minore e il desiderio dell’adottante omosessuale. O ancora che l’interesse del minore debba prevalere anche su norme penali dettate da principi etici condivisi, introducendo una falla insanabile nel regime penalistico della certezza del diritto.

Non si può condividere che la giurisprudenza trovi immediatamente la possibilità di “forzare una norma” appena emanata in un clima di grande dibattito e contrapposizione.

Questo è l’elemento, forse più destabilizzante. Un legislatore debole incapace di emanare leggi organiche che si affida consapevolmente alla giurisprudenza per dare attuazione a principi che non è stato in grado di legiferare.

Necessita sempre più mettere mano all’intera materia. Nel superiore interesse dei minori.

Maria Rita Mottola – Persona&Danno 05 agosto 2018

www.personaedanno.it/articolo/l-adozione-della-seconda-mamma-app-napoli-n-145-del-15-giugno-2018

 

Ai confini del diritto: il superiore interesse del minore

www.personaedanno.it/articolo/ai-confini-del-diritto-il-superiore-interesse-del-minore

Nel commentare la sentenza n. 145/2018 della Corte d’Appello di Napoli relativa all’adozione da parte di una donna del figlio della sua compagna, mi rendevo conto dell’estrema preparazione giuridica dell’estensore e della volontà di costruire “un precedente “insormontabile: il paragrafo finale della motivazione riconosceva al superiore interesse del minore un valore simbolico-giuridico, addirittura superiore e prevalente sull’ordine pubblico. Per i non addetti ai lavori: si intende ordine pubblico l’insieme dei principi generali che informano l’intero ordinamento giuridico della Nazione, i fondamentali, per intenderci.

Mi accingevo a scrivere un commento alla sentenza della Corte d’Appello di Napoli con una certa diffidenza. Devo ammetterlo. La lettura delle 17 pagine è stata complessa e ha richiesto un tempo adeguato. La motivazione è infatti articolata, ma a dire il vero, completa con una disamina esaustiva di norme, precedenti italiani e delle corti straniere e internazionali, scritta con attenzione.

La giurisprudenza di merito aveva già esaminato casi simili, giungendo a conclusioni favorevoli all’appellante, conclusione auspicata dall’estensore stesso. Ma ciò non bastava: era necessario andare oltre. E quel “oltre” era così rilevante che si legge in motivazione: la Corte reputa però che il gravame vada accolto – conformemente agli ulteriori motivi di appello – anche in una diversa e più ampia prospettiva, tanto non come obiter [incidentalmente], ma al fine di assicurare una decisione, in diritto, più rigorosa e sistematica. Una sorta di blindatura della sentenza, se così si può dire.

I fatti di causa sono noti e così sintetizzabili: una coppia di donne, affermate dal punto di vista lavorativa (l’una imprenditrice, l’altra avvocato che aveva abbandonato la professione per lavorare in una delle aziende della compagna), benestanti (avevano appena acquistato la casa ove abitavano), coniugate in Spagna e aderenti a un patto di convivenza in Italia, decidevano di avere un figlio, o meglio, una delle due si sottoponeva a inseminazione artificiale (abbiamo ancora il vezzo di chiamare le cose con il loro nome) o se più vi aggrada a P.M.A., procreazione medicalmente assistita. Ne nacque un bambino e la madre-non-madre decise di adottarlo. Il Tribunale dei minori di Napoli oppose diniego mentre la Corte d’Appello, con il parere positivo del Procuratore Generale, accolse il reclamo.

La questione di diritto verte interamente sull’interpretazione dell’applicazione dell’istituto della adozione in casi particolari. Qui rileva solo sottolineare come l’applicabilità dell’art. 44 lettera d) L. 184/1983 sia una forzatura. Il legislatore ha voluto risolvere, ad limine, i casi residuali e non rientranti nella fattispecie dell’adozione e ciò ben prima che si potesse immaginare l’esistenza di P.M.A., certamente, quindi, la norma non può riguardare le ipotesi in questione.

La norma applicata prevede che i minori, per i quali sia constatata l’impossibilità di un affidamento preadottivo, anche da parte di chi non sia coniugato, possono essere adottati.

Il Tribunale di Roma, più volte e le Corti d’Appello territoriali hanno confermato l’interpretazione estensiva della norma, ritenendola applicabile anche alle coppie omosessuali, per evitar loro di essere discriminati, così aderendo all’invito delle Corti internazionali.

Tant’è, la giurisprudenza ha creato quello che il legislatore non aveva osato fare: consentire l’adozione delle coppie omosessuali.

Dicevamo, una parte della sentenza sembrava stridere con la serenità e obiettività con cui la motivazione dipanava la matassa del diritto e del caso concreto, certamente non si poteva ammirare alcunché di ideologico, d’altra parte la sentenza offriva una interpretazione dell’interesse del minore, pur essendo il cardine della disciplina del rapporto di filiazione, tale da considerarlo primario principio del diritto, idoneo a temperare o a disapplicare altre norme, e in virtù dello stesso principio, autorizzando a derogare le norme penali.

E’ pur vero che l’estensore richiama e conferma la sentenza della Cassazione (n. 14007/2018 e 19599/2016). E’ forse necessario sottolineare come lo stesso Estensore ebbe pubblicamente a dirsi preoccupato per il procedere del legislatore verso la riforma del diritto di famiglia che avrebbe portato alla regolamentazione delle famiglie di fatto e in particolare delle famiglie omosessuali (purtroppo, o chissà per fortuna, il diritto all’oblio non ha intaccato quella lettera inviata a un giornale e pubblicata, 20 maggio 2015).

https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/il-matrimonio-e-un-danno

Egli così scriveva: Temo per i figli: questi hanno diritto, in linea di principio, alla bigenitorialità nel senso di alterità di sesso tra i genitori” addossando grande responsabilità al silenzio colpevole del mondo cattolico. E chi mi segue su questa rivista sa quanto condivida questa opinione non da ferreo “laico” come egli si dichiara ma da “traballante cattolica” quale io sono.

È possibile che in così breve tempo il giudice abbia modificato la propria idea? Oppure ci offre l’opportunità per aprire un dibattito interessante, anzi vitale, per ricostruire i principi etici e fondanti la nostra civiltà? Forse quel dettaglio ci conferma che non tanto il Diavolo ma Dio ama nascondersi nel particolare per essere disvelato nella Sua meravigliosa bellezza. Perché se così non fosse, l’acuta disamina giuridica cozzerebbe con i fatti di causa o meglio, ancora una volta, con un dettaglio.

Abbiamo detto che il faro del giudice nell’ambito dell’adozione deve essere il superiore interesse del minore, e non quello dei genitori, biologici o aspiranti tali. E la sentenza sottolinea come l’interesse del minore sia mantenere rapporti ormai consolidati (è sufficiente che l’adottante chieda l’adozione quando il bambino ha qualche anno così da crearne i presupposti?) purché questi rapporti abbiamo un effetto positivo sulla sua crescita armoniosa.

Ecco i fatti, riportati in sentenza e accertati in giudizio, che conducono a confermare il benessere presente e in prospettiva del piccolo:

  • Solidità del rapporto affettivo tra le due donne

  • Accettazione da parte dei parenti di entrambe della loro situazione familiare e del piccolo

  • Acquisto della casa coniugale e intestazione del mutuo a entrambe

  • Contrazione di polizza vita che vede le due donne e il bambino beneficiari del contratto

  • Condivisione del progetto di filiazione da parte di entrambe le donne

  • Buon inserimento a scuola frequentata già da due gemelle figlie di due madri

  • Rapporto di buona condotta dei C.C.

  • Buone condizioni economiche

  • Buona relazione dei servizi socio assistenziali che sottolineano come le due donne: con garbo e a tempo debito, gli hanno spiegato amorevolmente che lui è frutto di un semino di un signore gentile e generoso che è stato unito all’uovo nella pancia di mamma. Ed evidentemente tali discorsi sono stati ben compresi e metabolizzati dal piccolo che, oggi, non sembra presentare alcun tipo di problema a dire che: “ho due mamme, non ho un papà ma tanti amici e zii” ai quali può rivolgersi o giocare.

Così è ricostruito il quadro di vita del piccolo. Tutto bene? Sembrerebbe di sì. La motivazione avrebbe potuto fermarsi a questo punto, dando conto che anche nei fatti l’interesse del minore era stato preservato.

Ma la motivazione prosegue e aggiunge:

  • Il bambino, in particolare (che ormai frequenta le scuole elementari) è apparso, all’assistente sociale “molto curato nell’aspetto, socievole, coinvolgente nei suoi giochi … si rivolge chiamando “mammina” e “mammona” le signore, le abbraccia ambedue sorridendo e baciandole indistintamente, a volte come riferito usa un tono di voce diverso per identificare l’una o l’altra mamma, e comunque sembrerebbe consapevole dei ruoli diversi che le due signore hanno nella gestione del ménage familiare.

La quadratura del cerchio: per sentenza che stravolge la volontà dichiarata dal legislatore e il principio secondo cui i minori hanno diritto a vivere nella famiglia di origine e con i loro genitori, otteniamo che si riconosca l’interesse di un minore a vivere con due donne e la realtà la si intravede nel suo atteggiamento: lui, povero piccolo, che “disperatamente” cerca di dire al mondo che vuole la diversità, la dichiara con le parole (mammina e mammona) e con tutto il suo essere (tono diverso della voce e percezione di ruoli differenti). Altro che due mamme. Ribaltamento del diritto, ideologia vs realtà.

Maria Rita Mottola Persona&Danno 5 agosto 2018

www.personaedanno.it/articolo/ai-confini-del-diritto-il-superiore-interesse-del-minore

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PASTORALE FAMILIARE

La comunione al coniuge non cattolico, ecco perché è possibile

Intervista al cardinale Francesco Coccopalmerio

L’intercomunione e il caso particolare della comunione concessa al coniuge non cattolico deve fare i conti con «un delicato problema, quello di equilibrare in modo sapiente i due principi: il principio della necessità di conferire la grazia con l’amministrazione dei sacramenti deve sempre tener presente il principio della necessità di non contraddire la comunione ecclesiale». Lo afferma in questa intervista con Vatican Insider il cardinale Francesco Coccopalmerio, presidente emerito del Pontificio Consiglio per i Testi legislativi.

Il 20 febbraio 2018 la Conferenza episcopale tedesca ha pubblicato un documento sull’intercomunione eucaristica, nel quale in modo particolare viene preso in considerazione il caso di una coppia di sposi, di cui uno cattolico e l’altro non cattolico, che prendono parte alla messa celebrata nella Chiesa cattolica. E si esamina la possibilità che il sacerdote cattolico amministri la comunione al coniuge non cattolico. Lei ha studiato ormai da qualche decennio (a partire dalla tesi dottorale nella Pontificia Università Gregoriana, pubblicata con il titolo “La partecipazione degli acattolici al culto della Chiesa cattolica”, 1968) il complesso problema dell’intercomunione. Che cosa pensa del documento della Conferenza episcopale tedesca?

«È un documento certamente importante e decisamente interessante, redatto con molta cura da competenti nel problema dell’intercomunione, specie di quella nei sacramenti. Non intendo, tuttavia, esprimere un mio giudizio sul merito di questo documento che è ancora all’esame delle competenti autorità ecclesiali. Credo, però, che questa intervista possa rappresentare una utile occasione per parlare del problema dell’intercomunione, specie di quella nei sacramenti, al fine di precisare qualche complesso aspetto di questo delicato argomento».

Possiamo allora incominciare ricordando che cosa prevede esattamente il Codice di Diritto canonico?

«Poiché mi si chiede una risposta esatta, mi sia consentita una risposta articolata. La do in quattro punti, facendo l’esegesi del can. 844, §§ 3-4

  1. Il testo prende in considerazione due categorie di fedeli, cioè di cristiani non cattolici, e precisamente: i “membri delle Chiese orientali” (§ 3) e gli “altri cristiani”, cioè i membri delle Confessioni cristiane occidentali nel senso di esistenti in Occidente a partire dal tempo della Riforma (§ 4).

  2. Per entrambe le categorie di cristiani il testo afferma che “i ministri cattolici amministrano lecitamente i sacramenti della penitenza, della Eucaristia e dell’unzione degli infermi” (§§ 3-4).

  3. Di entrambe le categorie di cristiani il medesimo canone afferma che “non hanno comunione piena con la Chiesa cattolica” (§§ 3-4). Il che significa – detto positivamente – che questi cristiani sono con la Chiesa cattolica in comunione vera anche se non piena (cf. soprattutto la costituzione conciliare Lumen gentium, n. 15; il decreto conciliare Unitatis redintegratio, nn. 3,1; 22,2).

  4. Per amministrare lecitamente ai cristiani non cattolici i tre sacramenti appena sopra indicati, la Chiesa cattolica stabilisce alcune condizioni:

  1. Per i membri delle Chiese orientali, le condizioni sono due: richiedano spontaneamente i sacramenti e siano ben disposti, cioè siano pentiti per richiedere il sacramento della penitenza e siano in grazia santificante per accedere a quello dell’eucaristia;

  2. Per i cristiani appartenenti alle confessioni occidentali le condizioni sono molteplici: richiedano spontaneamente i sacramenti; siano ben disposti; non possano accedere al ministro della propria confessione; dimostrino di avere, nei sacramenti richiesti, la stessa fede della Chiesa cattolica; si trovino in pericolo di morte o in altra necessità grave e urgente, da giudicare come tale da parte del vescovo diocesano oppure della Conferenza episcopale».

Lei ha ricordato che il canone 844, § 4 esige per l’amministrazione dei sacramenti da parte della Chiesa cattolica ai cristiani non cattolici appartenenti alle confessioni occidentali una necessità grave e urgente. D’altra parte, nell’enciclica Ut unum sint di Giovanni Paolo II, al numero 46 si parla di «casi particolari». E in un’altra enciclica di Papa Wojtyla,Ecclesia de Eucharistia, al numero 45, si parla di «circostanze speciali». Tenendo anche conto di queste significative varianti, che cosa significa esattamente «necessità grave e urgente»?

«Il Codice di Diritto canonico dipende in modo essenziale dal Concilio Vaticano II. Perciò la risposta alla domanda che cosa esattamente significhi necessità grave e urgente deve essere ricercata nei testi del Concilio e nei documenti del periodo postconciliare, documenti che più da vicino ripropongono il Concilio stesso e si impegnano a tradurlo in normativa canonica. Purtroppo, nell’ambito di una intervista dobbiamo limitarci ad accenni. E allora voglio considerare quello che a mio parere è il testo più importante nel nostro argomento, e cioè Unitatis redintegratio, n. 8,4, che così si esprime: “La intercomunione (nei sacramenti) dipende soprattutto da due principi: dalla manifestazione dell’unità della Chiesa e dalla partecipazione ai mezzi della grazia. La manifestazione dell’unità per lo più vieta la intercomunione. La partecipazione della grazia (gratia procuranda) talvolta la raccomanda”».

Un testo chiaro e allo stesso tempo complesso. Ci può illustrare i due principi e la loro importanza per capire meglio ciò di cui parliamo?

«Il primo principio è la necessità di esprimere con fedeltà e per tale motivo di non contraddire la comunione ecclesiale. Cerchiamo di capirci bene. Se la Chiesa cattolica amministra i sacramenti ai cristiani non cattolici, cioè a coloro che sono con la Chiesa cattolica in comunione vera però non piena, finisce per trattare nella pratica i cristiani non cattolici allo stesso modo dei cattolici, cioè di coloro che sono in comunione piena. Di qui due pericoli: quello dell’indifferentismo ecclesiologico e quello dello scandalo conseguente. L’indifferentismo ecclesiologico è la affermazione erronea che non esiste differenza tra essere o non essere in comunione piena con la Chiesa cattolica. Lo scandalo conseguente è la convinzione erronea che si forma nella comunità, o anche fuori di essa, a motivo della predetta affermazione».

È comprensibile che la necessità di non contraddire la comunione ecclesiale vieti per lo più l’intercomunione nei sacramenti. E il secondo principio?

«Il secondo principio è la necessità di conferire la grazia da parte della Chiesa cattolica non in un modo qualsiasi, bensì in modo specifico attraverso l’amministrazione dei sacramenti. E ciò vale non soltanto per i cristiani cattolici, bensì per tutti i battezzati, anche per i non cattolici. Questo il grande insegnamento affermato con chiarezza e convinzione dal grande testo del Vaticano II. Rendiamoci ben conto: i cristiani non cattolici hanno la necessità spirituale di ricevere il conferimento della grazia attraverso l’amministrazione dei sacramenti. Hanno quindi la necessità spirituale di ricevere i sacramenti. Possiamo anche dire che i cristiani non cattolici hanno il diritto di ricevere i sacramenti. E la Chiesa cattolica ha il dovere di amministrare i sacramenti a questi cristiani. Tutto ciò possiamo ritenere come semplice determinazione del principio della “gratia procuranda” (dove si noti il gerundio come segno di necessità)».

Quali conseguenze provengono, sul piano della normativa canonica, da questi due principi?

«Sul piano della normativa canonica si presenta un delicato problema, quello di equilibrare in modo sapiente i due principi: il principio della necessità di conferire la grazia con l’amministrazione dei sacramenti deve sempre tener presente il principio della necessità di non contraddire la comunione ecclesiale. Altri testi del Vaticano II e di vari documenti postconciliari si incaricano di offrire preziose indicazioni di normativa canonica. Anche qui dobbiamo limitarci a semplici accenni. Al fine di garantire il principio della necessità di non contraddire la comunione ecclesiale con affermazioni di indifferentismo e motivi di scandalo, la normativa canonica ha previsto la limitazione dell’amministrazione dei sacramenti a quei soli casi che presentino carattere di eccezionalità, stabilendo anche la distinzione tra cristiani non cattolici membri delle Chiese orientali e quelli appartenenti alle Confessioni occidentali (tutto ciò a partire da Orientalium Ecclesiarum, nn. 26-27; Unitatis redintegratio, n. 15,3; Direttorio ecumenico Ad totam Ecclesiam, n. 55 fino al can. 844, §§ 3-4). Al fine di garantire e, al contempo, di meglio comprendere il principio della necessità di conferire la grazia con l’amministrazione dei sacramenti, i documenti ecclesiali intendono sottolineare alcuni aspetti del delicato problema. Ne indico due. Il primo aspetto è che i battezzati non possono rimanere per un lungo periodo di tempo senza ricevere i sacramenti e in modo del tutto speciale senza ricevere l’eucaristia (vedi importanti affermazioni in un documento poco noto, però di grande valore e cioè nell’Istruzione dal titolo In quibus rerum circumstantiis del Segretariato per l’Unità dei cristiani, in data 1° giugno 1972). L’altro aspetto è che i ministri della Chiesa cattolica devono dare viva attenzione pastorale ai cristiani non cattolici che hanno in certi momenti grave bisogno o forte desiderio di ricevere i sacramenti e quindi li chiedono con particolare intensità (vedi, p.es., Ut unum sint, n. 46: “Amministrare i sacramenti ad altri cristiani che non sono in piena comunione con la Chiesa cattolica, ma che desiderano ardentemente riceverli”). Notiamo facilmente che amministrare i sacramenti come risposta alla necessità spirituale di conferire la grazia attraverso i sacramenti specie nei casi di grave bisogno o di forte desiderio, esclude immediatamente o di per sé il pericolo di indifferentismo e di scandalo. In questo caso, i due principi sono garantiti. In ogni modo, il delicato bilanciamento tra i due principi è affidato, molto opportunamente, dalla normativa canonica alla sapiente valutazione dei vescovi diocesani o delle Conferenze episcopali (così, a partire da Unitatis redintegratio, n. 8,4 fino al can. 844, § 4)».

Parliamo ora del caso specifico, legato al documento dei vescovi tedeschi: due coniugi, dei quali uno cattolico e l’altro non cattolico, che partecipano insieme alla messa celebrata in Chiesa cattolica e desiderano – come comprensibile – ricevere insieme l’eucaristia. Può il sacerdote cattolico amministrare lecitamente la comunione al coniuge non cattolico? E questo potrebbe avvenire tutte le volte che i due suddetti coniugi partecipano insieme alla messa?

«Per rispondere a questa domanda, davvero molto intrigante, è necessario porne un’altra e darle una risposta non facile: l’ipotesi dei due coniugi, come sopra specificata, presenta un carattere di eccezionalità, è risposta ad una necessità spirituale?»

Qual è la sua risposta in proposito?

«Possiamo onestamente rispondere che rappresenta un caso eccezionale. E la eccezionalità consiste nel fatto che questi poveri coniugi sono purtroppo costretti a fare una dolorosa scelta: o l’uno va a ricevere la santa comunione mentre l’altro se ne astiene (ma questo dividerebbe una coppia unita nel matrimonio e nell’affetto), oppure entrambi si astengono (ma questo sarebbe di per sé in contrasto con il naturale comportamento di un fedele che partecipa alla messa e che essendo in grazia santificante completa la sua partecipazione accostandosi alla mensa eucaristica)».

Dunque, secondo lei, l’eccezionalità di cui parliamo farebbe sì che l’ipotesi dei due coniugi configuri un caso nel quale non c’è pericolo di indifferentismo e di scandalo?

«Credo di sì. E, in effetti, qualora il ministro cattolico amministrasse la santa comunione al coniuge non cattolico, tutti potrebbero ragionevolmente ritenere che tale concessione è determinata dalla giusta necessità di non separare una coppia di coniugi, specie in un momento così speciale come la partecipazione al sacramento dell’Eucaristia. Tutto ciò può, comunque, essere sempre richiamato mediante una catechesi esplicativa data alla comunità dei fedeli anche in modo ricorrente».

Insisto: secondo lei la concessione dell’Eucaristia potrebbe avvenire ogni volta che i due coniugi partecipano insieme alla messa?

«Dovrei rispondere di sì, perché il carattere di eccezionalità che abbiamo sopra rilevato si verifica ogni volta che i due coniugi partecipano insieme alla santa messa. L’eccezionalità del caso, ogni volta, determina logicamente l’eccezionalità della concessione, ogni volta. Tuttavia, se volessimo, con intento squisitamente pastorale, rendere più evidente e quindi più convincente che si tratta di un caso eccezionale e perciò di una concessione eccezionale, potrebbe essere opportuno limitare la suddetta concessione solo ad alcune occasioni. E i due coniugi potranno offrire questo sacrificio per ottenere dal Signore la grazia di affrettare il raggiungimento della comunione piena fra tutte le Chiese».

Grazie per le spiegazioni. Rimangono tuttavia, in chi pensa diversamente, delle obiezioni di fondo o alcuni ostacoli di partenza, che sembrano vanificare quanto lei ha affermato. E che si spingono a criticare la stessa normativa canonica. La prima obiezione di fondo o il primo ostacolo di partenza: una delle condizioni richieste agli attuali cristiani non cattolici per poter ricevere i sacramenti è che essi abbiano, nei sacramenti da ricevere, la stessa fede della Chiesa cattolica. Questo, in modo speciale, è richiesto per l’Eucaristia. Sembra, però, almeno ad alcuni, che la fede cattolica nell’Eucaristia non si verifichi facilmente in certi cristiani non cattolici. Come risponde?

«È del tutto evidente che i cristiani non cattolici che richiedono di accedere alla Eucaristia devono avere in questo sacramento la stessa fede della Chiesa cattolica. Ma – ci chiediamo – che cosa è necessario e che cosa è sufficiente per avere la fede della Chiesa? E la risposta è semplice. È necessario e sufficiente credere che il pane e il vino consacrati nella santa messa sono quelle realtà che Gesù ha indicate nelle parole dell’ultima cena: “Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue”. È, quindi, necessario e sufficiente credere che il pane e il vino sono nel sacramento dell’Eucaristia il corpo e il sangue di Gesù. Aderire a spiegazioni teologiche, anche di altissimo valore come la dottrina della transustanziazione, non è condizione necessaria. Ora, dobbiamo riconoscere che avere fede nell’Eucaristia come appena indicato dovrebbe verificarsi con facilità in chi si accosta alla mensa del Signore: che senso avrebbe chiedere la comunione eucaristica qualora non si credesse che quel pane è il corpo di Gesù e quel vino è il sangue di Gesù? Qualora ci si aspettasse di ricevere un pane e un vino qualsiasi e non invece il corpo e il sangue di Gesù?».

La seconda obiezione o il secondo ostacolo si ritrova nella posizione di qualcuno che afferma all’incirca così: la Chiesa cattolica amministra i sacramenti ai non cattolici. Questi, però, continuano intenzionalmente a rigettare l’integrità delle verità cattoliche e della comunione gerarchica. Cosa pensa di tale visione?

«Con tutto il rispetto per chi professa tali convinzioni, devo però dichiarare che non sono d’accordo. Certo, nel caso in cui un cristiano non cattolico rifiutasse una verità di fede professata dalla Chiesa cattolica e fosse pienamente cosciente che si tratta di una verità di fede, non potrebbe ricevere i sacramenti. Però la Chiesa cattolica, specialmente a partire dal Vaticano II, ha la piena convinzione che gli attuali cristiani non cattolici, se non professano le stesse verità della Chiesa cattolica, lo fanno senza colpa, sono in buona fede e sono pertanto in grazia di Dio. Questa è – voglio ripeterlo – la ferma convinzione della Chiesa cattolica. E come potrebbe essere diversamente se solo pensiamo agli innumerevoli Santi membri delle Chiese non cattoliche? Ma, a questo punto – potrà sembrare strano – ho anch’io una difficoltà, che vorrei candidamente presentare».

Ci dica qual è.

«Cerco di essere sintetico e spero di risultare chiaro. Da una parte, il fedele che riceve l’Eucaristia deve essere con la Chiesa cattolica in comunione piena o normale. Dall’altra parte, gli attuali cristiani non cattolici sono con la Chiesa cattolica in comunione vera, però non piena. In tale situazione, la normativa della Chiesa, in modo particolare nel can. 844, §§ 3-4, stabilisce che tali cristiani possono essere ammessi dalla Chiesa cattolica a ricevere l’Eucaristia. I casi sono due: o la normativa della Chiesa cattolica contraddice l’ontologia della comunione ecclesiale e quella dei sacramenti (il che, ovviamente, è da escludersi) o dovremmo ipotizzare che i cristiani non cattolici sono in qualche modo in comunione piena con la Chiesa cattolica (ma ciò suonerebbe immediatamente incredibile, almeno per quanto generalmente si ritiene). Da qui la mia difficoltà o, forse meglio, una straordinaria sfida a condurre coraggiosamente una riflessione ulteriore. Chi volesse saperne di più potrebbe – credo utilmente – vedere un mio contributo su “Periodica” 107 (2018) 1-35».

Andrea Tornielli La Stampa Vatican Insider 1° agosto 2018

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201808/180802coccoplameriotornielli.pdf

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PROCREAZIONE ASSISTITA

Il flop dell’eterologa: sei ovociti costano 3000 € e nemmeno 3 donne su 10 partoriscono

Nel 2016, 77.522 le coppie trattate e 97.656 cicli iniziati, 6247 per l’eterologa. Su 14.582 bambini nati con la fecondazione assistita, 1.457 arrivano dall’eterologa. Ma a fronte di una percentuale di successo del 27% quanto costa ricorrere a banche estere di ovociti e gameti?

Quarant’anni fa nella cittadina inglese di Oldham, Manchester, nasceva Louise Brown, la prima bambina concepita in provetta. Otto anni dopo nasceva anche, Alessandra Abbisogno oggi 32 enne, la prima bambina nata con la fecondazione assistita.

Nel 2014, attraverso una sentenza della Corte Costituzionale, anche l’Italia dà il via libera all’eterologa.

Aumenta il ricorso all’eterologa. Dal 2015 al 2106 – si legge nella Relazione al Parlamento del Ministero della Salute sullo stato di attuazione delle Legge 40 in materia di procreazione medicalmente assistita (PMA) – sono aumentate le coppie italiane trattate (da 74.292 a 77.522) e i cicli effettuati (da 95.110 a 97.656) e, di conseguenza, i bambini nati vivi (da 12.836 a 13.582). Inoltre, dal 2015 – a un anno dalla sentenza 162 della Corte di Costituzionale che nell’aprile 2014, dichiarando illegittimo l’art.4 comma 3 della Legge 40 del 2004, ha dato il via libera alla fecondazione che permette alle coppie che lo desiderano di ricorrere a gameti provenienti da persone terze, anche dall’estero – si registra un significativo aumento del ricorso all’eterologa: le coppie sono passate da 2.462 a 5.450 (+121%), i cicli da 2.800 a 6.247 (+123%) e i bambini nati da 601 a 1.457 (+142%).

Nel 2016, 3 bambini su 100 sono nati tramite la fecondazione artificiale e precisamente 14.582, di cui 1.457 con la fecondazione eterologa – che, sebbene si confermi più efficace rispetto alle tecniche di fecondazione omologa – solo nel 27% dei casi si traduce in una gravidanza.

A quasi quattro anni dallo “sdoganamento” della fecondazione eterologa il bilancio non pare però essere promettente: importazione di gameti, costi alti e poche certezze.

Bisogna, infatti, fare i conti non solo con le percentuali di riuscita ma anche con lo scarso numero di donatrici e donatori in Italia, che obbliga a far ricorso a banche estere di ovociti e gameti. Dal 2015 al 2017 si contano appena 12 donatori donne [con intervento chirurgico] e 62 maschi. Di fatto il prelievo di ovociti è un’operazione complessa e fisicamente pesante.

Nel 90% dei casi in Italia l’eterologa è, dunque, possibile grazie a liquido seminale, ovociti ed embrioni stranieri, provenienti da Danimarca, Svizzera, Spagna, Repubblica Ceca e Austria.

Ma quanto costa alle regioni importare i gameti dall’estero? Se le regioni pagano 3.000 euro per sei ovociti – quelli necessari ad un ciclo – e 400 euro per lo sperma – come scrive Chiara Daina, su Il fatto quotidiano – considerato anche che più del 40% delle coppie necessita di accedere a almeno due cicli di trattamento, se non di più, prima di ottenere una gravidanza, che costo hanno avuto i 6.247 cicli di fecondazione eterologa realizzati nel 2016 per 5.450 coppie e una percentuale di gravidanza del 27%?

A ciò vanno aggiunti i costi sostenuti direttamente dalle coppie e che variano da regione a regione: dal pagamento di un ticket da 600 euro al ticket sulla base del reddito fino alla gratuità. Nel caso delle cliniche private si stima invece un costo di circa 2.500 – 3.000 euro a trattamento.

Fonti

  • Relazione al parlamento del ministero della salute sullo stato di attuazione delle legge 40

www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_2762_allegato.pdf

  • Il sole24ore

www.infodata.ilsole24ore.com/2018/07/27/anno-2016-1-bambino-300-nato-grazie-alleterologa/?refresh_ce=1

  • Il fatto quotidiano www.ilfattoquotidiano.it/premium/articoli/la-contraddizione-delleterologa

News Aibi 31 luglio 2018 www.aibi.it/ita/flop-eterologa-ovociti-3-donne-su-10-partoriscono

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SEPARAZIONE E DIVORZIO

Mantenimento: come si calcola

Come cambia la misura e il calcolo dell’assegno divorzile dopo la pronuncia delle Sezioni Unite della Cassazione. A quanto ammonta il mantenimento?

  • Corte di Cassazione, Sezioni Unite civili, sentenza n. 18827, 11 luglio 2018

  • Corte di Cassazione, prima Sezione civile, sentenza n. 11504, 10 maggio 2017

  • Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, ordinanza n. 28994, 5 dicembre 2017

  • Corte di Cassazione, sesta Sezione civile, ordinanza n. 7342, 23 marzo 2018

Dopo quasi un anno di separazione, tu e tua moglie (o tuo marito) state per divorziare. Non avete alcuna intenzione di farvi di nuovo causa e di pagare altri avvocati, tanto più che avete ormai trovato il vostro equilibrio. In realtà, su di voi pesa ancora la precedente pronuncia che aveva deciso un assegno di mantenimento giudicato troppo esoso dal marito e troppo esiguo dalla moglie. Vorreste che fosse definito in modo equo e più certo un importo definitivo, che metta a tacere ogni reciproca pretesa. Avete trovato qualche “calcolatore” su internet, ma non vi fidate. E fate bene. Difatti, se state cercando di sapere come si calcola il mantenimento sappiate che questi tools [strumenti] non hanno alcun valore legale: non esiste un algoritmo o una tabella che possa stabilire quanto spetta di mantenimento. La legge è generica e non ha voluto ancorare l’ammontare dell’assegno ad operazioni algebriche e matematiche. E questo perché ogni singolo caso ha una storia a sé. Ma se leggerai questo articolo ne uscirai certamente con le idee più chiare. O, se anche così non dovesse essere, saprai di certo cosa verosimilmente potrà decidere il giudice.

Esiste ancora l’assegno di mantenimento? C’è chi dice che l’assegno di mantenimento è stato cancellato dopo il 10 maggio 2017. www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/17253.pdf

Chi invece sostiene che il successivo intervento delle Sezioni Unite dell’11 luglio 2018 n. 18287 ha comportato un ritorno al passato.

www.cortedicassazione.it/cassazione-resources/resources/cms/documents/18287_07_2018_no-index.pdf

La realtà come sempre sta in mezzo. Di novità, in realtà, ce ne sono tante, ma è anche vero che tracciare una regola generale, uguale per tutte le coppie, è tutt’ora impossibile. In altri termini, la misura dell’assegno di mantenimento resta ancor oggi ad esclusivo appannaggio del giudice che deve valutare una serie di parametri come: le condizioni economiche dei due ex coniugi, la durata del matrimonio, l’eventuale addebito, l’autosufficienza del coniuge economicamente più debole e, in ogni caso, il contributo da questi dato al patrimonio familiare durante il matrimonio. Sulla base di tali parametri è possibile definire, seppur in modo generico, come si calcola il mantenimento dopo il divorzio. E sottolineo “dopo il divorzio”, perché per quanto invece riguarda la misura dell’assegno dopo la separazione, questa è rimasta pressoché inalterata nonostante i due recenti interventi della Suprema Corte. Ed è proprio da questi ultimi, ossia dalla coda, che partiremo nella seguente analisi; tracceremo la linea di confine tra il passato e il presente e proveremo a definire come si calcola il mantenimento. Difatti, in solo due anni, sono stati affermati principi che, salvo interventi legislativi, sono destinati a segnare sicuramente il prossimo decennio.

A che serve l’assegno di mantenimento? Potrà sembrarti strano ma per comprendere come si calcola il mantenimento devi partire da un’altra domanda: a cosa serve il mantenimento? Dopo la separazione, l’assegno di mantenimento serve a garantire, all’ex coniuge col reddito più basso che, sul più bello, si è trovato senza un sostegno economico, il mantenimento dello stesso tenore di vita che aveva durante il matrimonio. Questo significa che, per definirne l’ammontare, bisogna sommare i due redditi – detratte prima le spese che i coniugi rispettivamente andranno a sostenere dopo la divisione – e poi dividere il risultato per due. In questo modo, il reddito più alto va a compensare quello più basso creando una sorta di parità.

Questa funzione è tipica dell’assegno di mantenimento post separazione. Ma con il divorzio le cose cambiano. L’assegno fissato dal giudice con la sentenza di divorzio (cosiddetto «assegno divorzile») che va a sostituire quello fissato con la separazione (cosiddetto «assegno di mantenimento» in senso stretto) interviene in una situazione ove ormai i legami tra marito e moglie sono “sepolti”. All’assegno quindi non spetta più la funzione di garantire lo stesso tenore di vita, ma semplicemente l’autosufficienza economica del coniuge più povero, ossia il necessario per vivere. Tuttavia, questa funzione viene bilanciata tenendo conto di una serie di fattori come la capacità del coniuge di mantenersi da solo, l’età e le sue condizioni fisiche che gli consentono di procurarsi un lavoro, la durata del matrimonio, il contributo che questi ha dato al ménage domestico durante la convivenza, l’esistenza di un’altra famiglia da parte dell’ex, ecc.

Come si calcola il mantenimento?In passato, se c’era una disparità di reddito tra i due coniugi veniva subito riconosciuto l’assegno divorzile alla parte col reddito più basso. Questo sistema è andato in soffitta. Oggi, infatti, per stabilire quanto spetta di mantenimento – o meglio, a titolo di assegno divorzile – il giudice valuta altre circostanze.

  1. L’addebito. Per prima cosa il tribunale verifica se la separazione è avvenuta a causa della condotta illecita di uno dei due coniugi (una violenza, una infedeltà, l’abbandono della casa, l’omessa assistenza morale e materiale, ecc.). Se così dovesse essere, la sentenza di separazione si sarà chiusa con l’imputazione dell’addebito a carico del responsabile. Ebbene, se quest’ultimo è anche il coniuge più povero non può mai ottenere il mantenimento.

  2. La disparità di reddito. La seconda analisi che fa il giudice è se c’è una disparità di reddito tra i due coniugi. Valutare le condizioni economico-patrimoniali delle parti, si passa a identificare il soggetto che potenzialmente può avere diritto al mantenimento, di solito l’ex moglie.

  3. La disponibilità di un reddito. Nella misura dell’assegno di mantenimento al coniuge più debole pesa la possibilità di quest’ultimo di percepire un reddito: un lavoro dipendente, la partecipazione a una società, la proprietà di immobili produttivi di canoni di locazione.

  4. L’età e le condizioni fisiche. Per ottenere il mantenimento, il coniuge più debole deve anche dimostrare di averne bisogno. Questo bisogno deve essere “incolpevole”, non determinato cioè da propria inerzia. Quindi il coniuge ancora giovane e in condizione fisica ottimale può riciclarsi nel mondo del lavoro, specie se ha una formazione e dei precedenti lavorativi. Questi difficilmente può rivendicare il mantenimento. Risultato: per ottenere il mantenimento bisogna comunque dimostrare di essere nell’impossibilità oggettiva di reggersi con le proprie forze.

  5. Il contributo dato alla famiglia. Capita spesso che la donna si dedichi alla famiglia e ai figli, consentendo al marito di occuparsi della carriera e così incrementando il proprio reddito. Di tale reddito è, in un certo senso, compartecipe la moglie (una sorta di socia, con compiti differenti). Ecco perché il giudice deve anche accertare «se l’eventuale disparità della situazione economico-patrimoniale degli ex coniugi all’atto dello scioglimento del matrimonio sia dipesa dalle scelte di conduzione della vita familiare adottate e condivise in costanza di matrimonio, con il sacrificio delle aspettative professionali e reddituali di una delle parti». Detto in altre parole: la casalinga di “lunga data” ha diritto al mantenimento più della giovane ragazza che si è sposata e poi ci ha ripensato o non ha trovato un’intesa col marito. Il diritto all’assegno divorzile verrà d’ora innanzi escluso in tutti quei casi in cui, pur sussistendo astrattamente una (rilevante) sproporzione tra le posizioni economico-patrimoniali delle parti, l’ex coniuge richiedente abbia i mezzi per condurre una vita autonoma e non abbia contribuito in maniera significativa alla formazione del patrimonio familiare o dell’altro coniuge, poiché in tal caso la disparità non dipende dalle scelte di vita fatte dai coniugi durante il matrimonio. Ecco perché la donna ancora giovane e con un piede nel mondo del lavoro, ma disoccupata, difficilmente oggi potrà ottenere un assegno divorzile elevato. Il giudice potrebbe addirittura negarglielo completamente.

  6. Durata del matrimonio. Sull’entità del mantenimento pesano anche le aspettative. Così un matrimonio sciolto dopo due o tre anni non garantirà lo stesso ammontare dell’assegno di mantenimento di un matrimonio di lunga data.

  7. A quanto ammonta il mantenimento? Quanto detto sinora lascia intendere quale potere abbia ancora il giudice nel quantificare l’assegno di mantenimento, potere che non può essere messo in discussione in Cassazione essendo quest’ultima un giudice che controlla l’interpretazione del diritto e non le valutazioni di fatto.

Il noto quotidiano Il Sole 24 Ore ha stilato una indagine che, per famiglie medie, ha stabilito a quanto ammonta il mantenimento che viene più spesso liquidato dai tribunali nelle varie Regioni d’Italia. Ecco gli importi medio mensili in euro per separazioni e divorzi

(*). Segue Media Italia 526 euro. 1 Lombardia 678 euro21 Molise 358

(*) elaborazione del Sole 24 Ore del lunedì su dati Istat 2015 e dichiarazioni dei redditi 2017 per il 2016

La Legge per tutti 30 luglio 2018

www.laleggepertutti.it/227297_mantenimento-come-si-calcola

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SINDROME ALIENAZIONE PARENTALE

La Pas esiste e distrugge il rapporto bi-genitoriale! TDM Brescia

Tribunale per i Minorenni di Brescia, Decreto 26 luglio 2018

www.personaedanno.it/dA/71d2fa00f2/allegato/Decreto TDM Brescia.pdf

I giudici del Tribunale per i Minorenni di Brescia hanno finalmente definito, dopo quasi 3 anni, una grave situazione in cui diritti fondamentali (bigenitoriali e genitoriali) sono stati lesi, certificando l’esistenza di “una situazione di quelle che vengono ricondotte alla cosiddetta “sindrome da alienazione parentale” (pag. 12) atteso che la minore “viveva in una condizione di disagio significativo riconducibile alla perdita del legame affettivo con la madre e fosse impossibilitata ad esprimere in modo autentico i propri bisogni ed inclinazioni”. Nella specie il collegio bresciano ha deciso che la minore, – a fronte dell’alienazione della madre, avvenuta in modo subdolo amplificandosi a dismisura contrasti che normalmente avvengono nell’ambito di un rapporto genitore/figlio -, seguendo le indicazioni della Ctu, sarà allontanata “con urgenza (…) dal contesto paterno e ciò allo scopo di interrompere lo squilibrio relazionale e fornire ad (…) la possibilità di ripristinare sane relazioni con entrambi i genitori” (pag. 17) presso “idoneo contesto eterofamiliare (comunità per minori o casa famiglia)”, poi rivalutando la situazione tra qualche mese.

In questa vicenda il genitore alienante risulta essere il padre mentre la casistica insegna che nel 70-80% dei casi il genitore alienante è la madre, spesso anche agevolata dall’essere il genitore c.d. collocatario.

Il decreto è molto importante sia perché ha fotografato esattamente l’accaduto, sia perché ha avuto la capacità (il collegio) di giungere alla soluzione più idonea (distacco e sospensione del rapporto figlia/ genitore alienante, mentre spesso i giudici incorrono proprio nell’errore grave di mantenere in essere il rapporto diabolico).

L’appunto che possiamo fare è che ha impiegato sin troppo tempo, ancorché nel mezzo si è deciso di procedere gradualmente. Certo sempre meglio che decidere di non decidere come spesso fanno altri tribunali (tra i tanti il Trib. Min. Milano), così congelando il destino di molte vite.

Ora però la figlia dovrà essere seguita da chi è esperto in alienazione, non risultando sufficiente un mero “percorso psicoterapico” o semplicemente una “camera iperbarica” per riattivare il rapporto “sopito” con la madre.

Fatti concreti e non illazioni, supposizioni, farneticazioni come spesso sproloquiano i detrattori (sovente in mala fede) di chi rivendica da anni tutela nell’ambito del diritto di famiglia, dinanzi a condotte illecite gravi (alienazione genitoriale, che in quanto tale deve essere immediatamente repressa) che possono (significa che tale conseguenza è meramente eventuale) pure comportare l’insorgenza (come nella specie) di una vera e propria sindrome da alienazione parentale (Pas). Dunque da non sovrapporre come spesso avviene confusamente.

I diritti costituzionali bigenitoriale e genitoriale pretendono il rispetto “della dignità della persona”. Il principio della bigenitorialità viene affermato e applicato a partire dalla Convenzione sui diritti del fanciullo, promulgata a New York il 20 novembre 1989, ratificata ai sensi della legge 27 maggio 1991, n. 176.

L’interruzione di ogni rapporto tra il minore ed il genitore può difatti comportare gravi rischi evolutivi per il minore. L’interruzione dei rapporti genitoriali (definitivamente od anche solo il comprometterli in modo rilevante) per effetto delle condotte (commissive od omissive) dell’altro genitore (o anche di un parente) possono così determinare la fattispecie di alienazione genitoriale.

Il soggetto alienato, cementandosi in un conflitto di lealtà con l’alienante, proietta ed introietta dentro di sé il desiderio del soggetto alienante, ponendosi come l’oggetto di un ventriloquo, sino a divenire un vero e proprio pensatore indipendente. Il genitore alienato diviene così impotente dinanzi a tale evoluzione, in una sorte di tragica farsa nel quale consuma l’esistenza nel tentativo di riallacciare un rapporto filiare, destinato però (con la stessa cadenza innaturale e artificiosa) a non riprendere più il suo corso.

L’alienazione genitoriale (e l’eventuale Pas insorta) costituiscono atti gravissimi che pretendono una celere risposta e decisioni drastiche, per le quali sono necessarie una profonda conoscenza e una dote di responsabilità. Il fattore tempo è fondamentale poiché l’evoluzione del minore è limitata ad un arco temporale in cui ogni giorno/mese/anno divengono fondamentali.

https://it.wikipedia.org/wiki/Sindrome_da_alienazione_genitoriale

E’ noto come l’Alienazione Parentale costituisca un gravissimo abuso dell’infanzia, a prescindere che poi si manifesti o meno come sindrome. La discussione svolta in passato, anche in questo contesto, tra P.A. e P.A.S. è davvero un esercizio di stile. L’alienazione è la condotta (illecita) tesa a cancellare/rimuovere/destituire/demolire/incrinare/compromettere/sminuire/indebolire pervicacemente la figura di un genitore. E le conseguenze della condotta alienante nel tempo, a seconda che siano lievi, medie o gravi sono sempre significative verso le vittime: la prima certamente è verso il minore, e la seconda è verso il genitore alienato. I quali sono aggrediti nei diritti superfondamentali della bigenitorialità e della genitorialità.

Una delle conseguenze del deficit causato dal non intervento celere ed adeguato sono certamente il grave disturbo della personalità del minore, oltre alla demolizione della figura genitoriale delegittimata e accantonata.

I danni conseguenti alla deprivazione della figura genitoriale a causa dei comportamenti alienanti possono essere enormi e devastanti, poiché segnano una vita intera, incidendo sul rapporto più prezioso di un essere umano, quello tra genitore e figlio. Tutto ciò con grave pregiudizio per lo sviluppo del figlio (diritto bigenitoriale negato) e con la disintegrazione del diritto genitoriale paterno. Diritti super fondamentali violati.

L’auspicio dunque è che il decreto bresciano venga letto attentamente ed induca a riflessione, smuovendo la coscienza di chi si volta spesso dall’altra parte o si mostri sordo dinanzi a lancinanti lamenti. Lo pretendono migliaia di vittime (genitori, figli, parenti) che ogni anno solo in Italia passano inosservati.

In particolare la CEDU ha più volte sanzionato il nostro Paese in casi di questo genere, invitandolo a munirsi di misure tempestive ed efficaci per garantire il rispetto dei diritti relazionali che vengono violati: “Dall’art. 8 della Convenzione, derivano obblighi positivi dove si tratti di garantire il rispetto effettivo della vita privata o familiare. Questi obblighi possono giustificare l’adozione di misure per il rispetto della vita familiare nelle relazioni tra gli individui, e, in particolare, la creazione di un arsenale giuridico adeguato ed efficace per garantire i diritti legittimi delle persone interessate e il rispetto delle decisioni dei tribunali. Gli obblighi positivi di cui si discute non si limitano al controllo a che il bambino possa incontrare il suo genitore o avere contatti con lui ma includono l’insieme delle misure preparatorie che permettono di raggiungere questo risultato. Per essere adeguate, le misure deputate a riavvicinare il genitore con suo figlio devono essere attuate rapidamente, perché il trascorrere del tempo può avere delle conseguenze irrimediabili sulle relazioni tra il fanciullo e quello dei genitori che non vive con lui. Non deve, dunque, trattarsi di misure stereotipate ed automatiche” (sentenza Lombardo c. Italia, gennaio 2013).

Citazioni, bibliografia, commenti

Adriano Marcello Mazzola Persona e Danno 28 luglio 2018

www.personaedanno.it/articolo/la-pas-esiste-e-distrugge-il-rapporto-bi-genitoriale-tdm-brescia-26-7-2018

 

Definizione giuridica del concetto di Alienazione Parentale

L’alienazione parentale rappresenta la violazione, da parte di un genitore, del diritto del figlio di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con l’altro genitore e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale.

Prende spunto dall’art. 337-ter Codice Civile.

www.brocardi.it/codice-civile/libro-primo/titolo-ix/capo-ii/art337ter.html

Prende spunto dall’art. 3 della Legge 22 dicembre 2017, n. 219 “Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento”.

www.trovanorme.salute.gov.it/norme/dettaglioAtto?id=62663&articolo=3

L’alienazione parentale è possibile rilevarla solo nei contenziosi legali di separazione. Essa rappresenta l’impossibilità di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo tra genitore e figlio principalmente a causa dei comportamenti devianti dell’altro genitore incube. Tali comportamenti tendono a svalorizzare le capacità di comprensione e decisione del figlio fino a provocare un vero e proprio rifiuto di quest’ultimo nei confronti del genitore succube il quale rivestirà un ruolo sempre più passivo e marginale. Il processo psicologico dell’alienazione parentale determina nel figlio vittima, in relazione alla sua età e alla sua capacità di discernimento, una coartazione della sua volontà. L’alienazione parentale rappresenta la negazione del diritto del figlio alla salute, alla dignità e all’autodeterminazione.

A cura di Marco Pingitore 26 giugno 2018

www.psicologiagiuridica.eu/definizione-giuridica-e-psicologica-dellalienazione-parentale/2018/04/23

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