NewsUCIPEM n. 704 – 3 giugno 2018

NewsUCIPEM n. 704 – 3 giugno 2018

Unione Consultori Italiani Prematrimoniali E Matrimoniali

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01 ADOZIONE INTERNAZIONALE Come rimediare al crollo delle adozioni internazionali?

03 ADOZIONI INTERNAZIONALIPrimo quadrimestre 2018: continua la ‘discesa’ delle adozioni.

04 AFFIDO CONDIVISO Sì alla shared custody dei figli

05 Violazione del diritto di visita del papà

06 AMORIS LÆTITIA Complici a costruire il bene, alleati contro ciò che distrugge l’amore.

07 CENTRO INTERN. STUDI FAMIGLIA Newsletter CISF – n. 20, 30 maggio 2018.

10 CHIESA CATTOLICA Sulla relazione tra sesso e ministero ordinato.

12 CINQUE PER MILLE 5‰ 2018. Gli elenchi definitivi sul sito delle Entrate

12 COMM. ADOZIONI INTERNAZIONALI Rimborsi spese adottive per le adozioni 2012-2017. Istanze online

12 CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM Milano 2. Consultorio Genitori Oggi. Estratto della lettera

13 Pescara. Sostegno per figli di coppie separate

13 DALLA NAVATA Santissima Trinità – Anno B –27 maggio 2018

14 Commento di E. Bianchi.

15 ENTI TERZO SETTORE Riforma: 16 instant book gratuiti per “guidare” il cambiamento.

16 FRANCESCO VESCOVO DI ROMAAi medici cattolici: Su fine vita e aborto non riducetevi a esecutori.

17 HUMANÆ VITÆ Articolo del teologo Enrico Chiavacci.

23Asimmetria tra maternità e paternità. Riflessioni a partire da HV.

26 MATERNITÀ SURROGATA Come funziona l’utero in affitto?

27 MOBBING Mobbing familiare: cos’è e come difendersi

29 NONNI I nonni hanno diritto di vedere i nipoti?

31 NULLITÀ MATRIMONIALI Matrimonio nullo: è dovuto l’assegno di mantenimento?

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ADOZIONI INTERNAZIONALI

Come rimediare al crollo delle adozioni internazionali?

A livello mondiale dal 2004 al 2016 le adozioni internazionali sono calate quasi dell’80%. Pur non facendo eccezione, rispetto al resto del pianeta il nostro Bel Paese sembra tenere meglio ‘botta’ registrando un calo del 55% e dimostrando – dati alla mano – di essere ancora il Paese più accogliente. Nonostante ciò la crisi delle adozioni internazionali in Italia è un fatto reale e tutt’altro che superato. Cosa è realmente accaduto? Cosa farà il nuovo Governo?

Le famiglie italiane si distinguono così per essere – nonostante la crisi mondiale dell’adozione – le più accoglienti e custodi di un’attitudine familiare tutta italiana verso l’adozione internazionale nonostante l’assenza di politiche familiari di sostegno alla scelta adottiva.

Le famiglie italiane sono le più accoglienti.

Come non essere d’accordo con l’attenta disamina di Luciano Moia in un articolo pubblicato il 26 maggio 2018 su Avvenire. www.avvenire.it/opinioni/pagine/il-mondo-non-adotta-pi-solo-litalia-a-braccia-aperte

I dati lo dimostrano. Se per tutti gli altri Paesi quali USA, Francia e Spagna – per limitarci a quelli che da sempre fanno più adozioni internazionali – la crisi è iniziata nel 2006, l’Italia proprio in quell’anno saliva la china con dati dal 2006 in poi sempre in costante crescita fino al 2010, l’anno più fecondo con 4.130 bambini adottati (fonte: Commissione Adozioni Internazionali).

Le coppie italiane non solo sono le più accoglienti ma si vedono genitori di bambini grandi, fratrie allargate e minori con bisogni sanitari e patologie di varia natura, non di rado ‘scartati’ da altri Paesi europei che godono di politiche familiari di certo più strutturate.

Nonostante le coppie italiane siano – dati alla mano – le più accoglienti, la crisi delle adozioni internazionali in Italia è un fatto reale e tutt’altro che superato. Cerchiamo di comprenderne le cause.

Il 2012, l’inizio della crisi. Se le famiglie italiane sono le più accoglienti, perché dal 2012 ha avuto inizio una progressiva caduta libera delle adozioni internazionali con 3.106 minori adottati rispetto i 4.014 dell’anno prima? Non c’erano più famiglie italiane desiderose d’incontrare i loro figli adottivi? Tutt’altro!

La causa di questo inspiegabile “default” delle adozioni internazionali risiede nel fatto che la macchina politica della Commissione per le adozioni internazionali – vero motore del sistema adozione internazionale – ha smesso di funzionare.

C’era una volta una politica per le adozioni internazionali. Una macchina politica delle adozioni – la Commissione – in realtà esisteva e negli anni “belli”, prima con il Ministro Rosy Bindi, poi con il sottosegretario Carlo Giovanardi, entrambi alla presidenza della Commissione, funzionava a meraviglia. Governi, questi, che credevano nell’adozione internazionale, nell’importanza delle missioni all’estero guidate dagli stessi presidenti, nell’accoglienza delle delegazioni delle autorità centrali straniere, nei tavoli e incontri di coordinamento con gli enti adottivi e nell’apertura di sempre nuovi Paesi.

Il risultato di questo impegno “politico” è stato il fiorire di nuovi accordi bilaterali con i Paesi di adozione come – solo per citarne alcuni – la Federazione Russa, la Bolivia, il Perù, la Cambogia e il Vietnam. Non tutti sanno, infatti, che l’Italia è il Paese che in assoluto vanta il maggior numero di accordi bilaterali con i Paese di provenienza dei minori adottati.

Cosa è successo? Come si spiega il baratro delle adozioni internazionale di questi anni raggiungendo il suo apice nel 2017 con (soli) 1.439 bambini adottati.

L’avvento dei Governi Tecnici e l’immobilismo della CAI. Con l’avvento dei Governi tecnici, l’adozione internazionale è stata relegata in fondo all’agenda politica delle istituzioni preposte alla famiglia.

Disastrosa la gestione del Ministro Andrea Riccardi. Nei due anni di presidenza della Commissione per le Adozioni Internazionali si ricorda una sola riunione di commissione, nessuna missione all’ estero e nessun nuovo accordo. Poi l’avvento del Ministro Kashetu Kyenge, rimasto pochi mesi alla presidenza CAI e invischiato nella difficile gestione del blocco delle adozioni in Repubblica Democratica del Congo, senza il supporto di un Vicepresidente. Al termine del mandato della vicepresidente alla Commissione – la dott.ssa Daniela Bacchetta – nel novembre 2013, nessuno Governo si era, infatti, preoccupato di procedere con una nuova nomina.

Gli anni bui della CAI. Il danno è fatto. E poi – dulcis in fundo- i tre anni “disgraziati” della gestione Matteo Renzi, dove l’adozione internazionale, eretta a “sistema” ha registrato la crisi più spaventosa di una storia ormai quasi ventennale di accoglienza di minori stranieri. La grande responsabilità di Renzi è certamente quella di aver accentrato tutto il potere nelle mani dell’allora Vicepresidente – la dott.ssa Silvia Della Monica – alla quale il premier aveva delegato, con una inspiegabile e ingiustificata decisione, anche le competenze della presidenza della Commissione.

Sulla discutibile e irregolare gestione della ex vicepresidente Silvia Della Monica non vale la pena dilungarsi oltre, essendo oggetto di comunicati pubblicati dalla stessa autorità centrale a conclusione del suo mandato: accordi bilaterali sospesi o non rinnovati, commissione mai riunita ed enti mai convocati. “Quanto alla precedente gestione dell’ex Vicepresidente si è fornita ampia documentazione a tutti i commissari attestante numerose irregolarità” si legge nel comunicato seguito alla prima riunione della Commissione il 12 settembre 2017.

Ci auguriamo – ma ne avremo certezza solo nei prossimi anni – che questo non sia stato il colpo mortale inferto alle adozioni internazionali in Italia. In extremis, l’ex premier Renzi, accortosi degli incalcolabili danni seguiti alla sua decisone ha tentato di correre ai ripari revocando la presidenza della Commissione alla dott.ssa Silvia Della Monica per delegarla al Ministro Maria Elena Boschi. Mossa “intempestiva” del ex premier perché a danno già arrecato e all’indomani di un Referendum che indeboliva qualsiasi azione governativa.

5 anni di mala gestione e coppie sfiduciate … poi un barlume di speranza. Gli ultimi cinque anni di immobilismo della Commissione e di disinteresse politico dei Governi hanno prodotto, in Italia, una mancanza di fiducia nelle coppie italiane aperte all’adozione, all’estero, presso i Paese di origine dei minori adottati, un grande disinteresse nei confronti del nostro Paese e delle nostre capacità di rispondere al bisogno di famiglia dei minori in stato di abbandono.

Occorre attendere il governo di transizione di Paolo Gentiloni e la nomina della nuova Vicepresidente – la dott. Laura Laera – per ridare un minimo di fiducia alle adozioni internazionali nonostante non sia mai stato nominato un Direttore Generale e Gentiloni, purtroppo non abbia mai delegato la presidenza della Commissione, lasciando, ancora una volta la commissione sprovvista di una guida politica in grado di far fronte alla crisi e invertire il trend negativo delle adozioni.

L’adozione internazionale può essere salvata? Le sfide del nuovo Governo. A poche ore dalla formazione dalla formazione del nuovo Governo, ci chiediamo se è possibile salvare le adozioni internazionali.

Cosa dovrà fare il nuovo governo per non sprecare la tensione all’accoglienza delle famiglie italiane e dare una risposta ai milioni di bambini abbandonati?

Nell’immediato, tre le azioni urgenti. In primis, si nomini un Presidente politico della Commissione per le Adozioni Internazionali e un Direttore generale che diano un rinnovato impulso alla tensione verso il rilancio dell’adozione che, finalmente, si respira da un anno a questa parte.

E poi un segnale, immediato, urgente e di controtendenza per ridare fiducia alle coppie italiane, riconoscendo un bonus da 10mila euro per ogni famiglia adottiva a conclusione dell’adozione internazionale: è la misura di emergenza che 20 Enti Autorizzati avevano chiesto con forza alla politica lo scorso 4 marzo 2018 nel corso della Conferenza ‘Adozioni internazionali: un bene per tutti’, svoltasi presso la Sala ‘Caduti di Nassirya’ del Senato della Repubblica.

Le domande di disponibilità all’adozione internazionali sono passate da 7.882 nel 2005 alle 3.668 nel 2015, con un calo del 53% in 10 anni.

Nel medio termine, ci sia aspetta, una forte azione in Europa che porti l’adozione internazionale nell’agenda europea con particolare interesse al tema dell’adozione europea, uno dei tasselli alla base di un sistema di protezione dell’infanzia più omogeneo, mentre oggi «gli standard di protezione dei minori e tutto il funzionamento del sistema della protezione dell’infanzia, dall’affido famigliare alle strutture di accoglienza alle adozioni sono diverse e, spesso, in deroga alle convenzioni europee e internazionali di tutela dei diritti dei minori.

Se è vero che l’Europa ha una cultura unica, è doveroso cominciare a pensare all’Europa come un unico territorio e affrontare i problemi dell’infanzia come obiettivo comune. Un primo passo da compiere in questa direzione è sicuramente quello della creazione di una banca dati europea dei minori adottabili.

L’approfondita analisi di Luciano Moia mette in luce il rischio di uno “spreco di accoglienza” propria delle famiglie italiane al quale stiamo assistendo negli ultimi anni a fronte di un numero crescente di minori abbandonati nel mondo e, in particolare n Africa, con oltre 100 milioni di bambini fuori famiglia.

Un numero a nove cifre che impone un forte impegno dell’Europa tutta per offrire ai minori africani in stato di abbandono un futuro possibile. La strada e l’emigrazione non possono essere la soluzione. C’è, infatti, bisogno di un “Piano Africa per l’infanzia in difficoltà familiare” in cui l’adozione internazionale rappresenti un concreto strumento di tutela familiare per tutti quei minori abbandonati che non trovano protezione in patria.

Tutto questo è possibile, occorre solo una volontà politica che auspichiamo contraddistingua l’operato del Nuovo Governo e il Nuovo Ministro della Famiglia e della Disabilità, Lorenzo Fontana.

News Ai. Bi. 1 giugno 2018

www.aibi.it/ita/crollo-adozioni-internazioni-nuovo-governo-non-ripeta-errori

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ADOZIONI INTERNAZIONALI

Primo quadrimestre 2018: continua la ‘discesa’ delle adozioni.

I dati parlano di una media mensile generale, in Italia, pari a 77 adozioni concluse: nel 2017 erano state 97, 129 tre anni fa. Il calo è notevole guardando al dato del 2011, quando gli iter adottivi completati erano stati 263 in media al mese

I numeri sugli ingressi dei minori nel nostro Paese indicano che nei primi quattro mesi di quest’anno il record è dei minori provenienti dalla Federazione Russa, con 52 bambini; subito dietro l’India con 47 bimbi e quindi la Colombia con 40. La prima e unica realtà africana tra i primi 16 Paesi in ‘graduatoria’ è l’Etiopia, al quinto posto per numero di minori arrivati in Italia

L’Africa trascina giù il computo totale medio mensile del primo quadrimestre 2018. Tempo di rilancio, tempo di rimboccarsi le maniche per trasformare in realtà il grido di aiuto dell’infanzia abbandonata nel mondo: è il momento di invertire la rotta e tornare a dare fiducia all’adozione internazionale. A confermarlo, la notizia arrivata ieri, secondo cui finalmente lo Stato metterà a disposizione delle coppie che hanno concluso procedure adottive tra il 2012 e il 2017 un ‘tesoretto’ di 40 milioni di euro per il rimborso almeno parziale delle spese sostenute.

L’impatto positivo di questa notizia andrà vagliato con attenzione nei prossimi mesi, soprattutto per verificare se, effettivamente, anche un problema tra i più ‘sentiti’ dalle coppie interessate all’adozione quale il costo delle procedure, potrà essere finalmente superato. Al momento, i numeri dei primi quattro mesi di adozioni internazionali nel 2018 parlano di un lento, ma costante declino delle adozioni. Il dato più chiaro è quello relativo alla media mensile di pratiche concluse: nel 2017, anno non esaltante, erano state 97, il primo quadrimestre 2018 sono state 77. Cifra ampiamente più bassa rispetto alle 263 procedure adottive concluse nel 2011, come pure rispetto alle 205 del 2012 o, persino, alle 129 del 2016.

La persistenza della crisi, che ancora fa fatica a ridimensionarsi, sta soprattutto – a ben guardare – nell’analisi dei 371 ingressi totali di minori divisi per Paese, di cui 18 bebè con meno di un anno, 150 bambini di età compresa tra 1 e 4 anni, 183 tra i 5 e i 9 anni e 20 minori con più di 10 anni: in Italia il record spetta, nei primi quattro mesi del 2018, alla Federazione Russa con 52 ingressi; dietro ci sono l’India (47 bambini), la Colombia (40 bambini) e l’Ungheria (37). Solo 26 i minori senza famiglia provenienti dall’Etiopia, unico Paese africano tra i primi 16 in ‘graduatoria’. Proprio da qui, dalle nuove importanti possibilità di risposta al grido di dolore dell’infanzia abbandonata che proviene dal continente africano, si può e si deve ripartire. Perché nonostante tutti i problemi recenti, le novità dell’ultimo anno – più ancora dei numeri nudi e crudi – portano a non smettere di sperare in un futuro diverso.

Ecco, nel dettaglio, il numero degli ingressi dei minori in Italia tra gennaio e aprile 2018:

Fed. Russa 52 India 47 Colombia 40 Ungheria 37

Etiopia 26 Bulgaria 23 Cina 22 Vietnam 21

Haiti 17 Lituania 12 Polonia 9 Ucraina 9

Perù 9 Brasile 8 Cile 5 Filippine 5

Burkina 5 Nigeria 5 Armenia 3 Romania 3

Moldavia 3 Corea del Sud 2 Portogallo 1 Congo Rep. Pop. 1

Taiwan 1 Thailandia 1 Madagascar 1 Mongolia 1

Costa Rica 1 Messico 1

News Ai. Bi. 31 maggio 2018

www.aibi.it/ita/adozione-internazionale-primo-quadrimestre-2018-continua-la-discesa-delle-adozioni-russia-india-e-colombia-ai-primi-tre-posti.

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AFFIDAMENTO CONDIVISO

Sì alla shared custody dei figli

Tribunale di Parma, prima Sezione civile, decreto 22 maggio 2018

www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_30563_1.pdf

Il Tribunale di Parma precisa le regole che dovranno seguire i genitori nella “shared custody” [custodia condivisa] del figlio minore con tempi di frequentazione paritetici dei due genitori

Nonostante la conflittualità rilevata tra la coppia, nel primario interesse del minore va disposto il suo affidamento condiviso con tempi di frequentazione paritetici dei due genitori che dovranno attenersi a una serie di regole precise riguardanti il piccolo, la sua cura e la sua quotidianità.

Lo ha deciso il Tribunale di Parma, con decreto riguardante la regolamentazione della potestà genitoriale. Il giudice ha così accolto le risultanze peritali, idoneamente motivate e rese all’esito di lunghe e approfondite indagini, svolte dal consulente d’ufficio e confacenti alla tutela e agli interessi del minore.

Rilevata la concordanza delle parti circa l’affidamento condiviso del minore, i giudici puntualizzano anche una serie di regole riguardanti la sua collocazione e le modalità e i tempi di frequentazione.

Nonostante le censure mosse da parte ricorrente, che aveva sottolineato l’elevatissima conflittualità tra i genitori che, se non superata, sarebbe potuta essere in futuro fonte di estremo disagio per il minore sotto il profilo psicologico, il Tribunale ritiene di poter continuare con la c.d. “shared custody” del bambino.

Infatti, come ha evidenziato la CTU, la suddivisione paritetica dei tempi di frequentazione risulta rispondente sia alle indicazioni generali della letteratura specialistica maggioritaria in materia sia, nel caso di specie, all’interesse del minore che aveva trovato un sufficiente equilibrio adattativo nell’alternanza tra le abitazioni dei genitori e nella suddivisione delle responsabilità educative.

Il Collegio, pertanto, dispone una suddivisione dei turni di frequentazione del bambino secondo lo schema delle settimane alternate, elaborato dallo stesso CTU e ricomprendente anche la suddivisione delle vacanze estive, natalizie e pasquali.

Inoltre, si aderisce in toto anche alle indicazioni del consulente circa l’adozione e condivisione di regole secondo un piano genitoriale di base, che si sostanziano in un vero e proprio Vademecum in punti riportato all’interno del provvedimento stesso.

A entrambi i genitori si impone, ad esempio, di mantenere una comunicazione funzionale non solo con il figlio, ma anche con l’altro genitore, di essere collaborativi tra loro seguendo rigorosamente il piano genitoriale.

Non solo si stabilisce che i genitori debbano condividere con l’altro tutte le informazioni riguardanti il figlio (es. scuola, insegnanti, attività e compagni), ma anche contattare subito l’altro in caso di emergenze, essere “flessibili” e sostenere la relazione di questi con il figlio senza squalificare, controllare o interferire nella comunicazione genitore e figlio.

Il piano predisposto dal CTU e recepito dai giudici, prevede anche la condivisione delle decisioni nel miglior interesse del minore: ciascun genitore potrà prendere le decisioni relative alla cura quotidiana del figlio quando questi si trova presso di lui, nonché decisioni di emergenza quanto la salute o la sicurezza del bambino è compromessa, ma, in tal caso, dovrà tempestivamente informare l’altro genitore. Entrambi genitori, inoltre, dovranno figurare nei contatti di emergenza per il minore.

I genitori, inoltre, dovranno avere accesso a tutte le informazioni legate alla scuola, alla salute e alla sicurezza del figlio e dovranno firmare qualsiasi documentazione necessaria affinché entrambi possano avere accesso ai documenti stessi, anche attivandosi per la richiesta di copie dei documenti direttamente dalla scuola e dalle strutture mediche.

Stante la disposta frequentazione paritetica, infine, il Tribunale decide che del mantenimento del minore se ne occuperà ciascun genitore nei periodi di rispettiva permanenza, fatta eccezione per le spese straordinarie mediche e scolastiche e per le altre spese straordinarie documentate che dovranno gravare sui genitori in parti uguali.

Si ringrazia il dott. Marco Pingitore per il cortese invio del provvedimento

Lucia Izzo Newsletter Giuridica Studio Cataldi 28 maggio 2018

www.studiocataldi.it/articoli/30563-affido-condiviso-si-alla-shared-custody-dei-figli.asp

 

Violazione del diritto di visita del papà

Quando l’ex compagna o l’ex moglie impedisce al padre di vedere i figli: cosa poter fare per garantire al genitore gli incontri imposti dal giudice? La separazione e/o il divorzio possono dar luogo a questioni che rilevano anche sotto il punto di vista penale. Esiste, infatti, una sfera di problematiche inerente ai diritti, spesso negati, di quei padri separati/divorziati, coinvolti in tristi vicende familiari in cui i figli, da oggetto di tutela, diventano strumento di ripicche.

Accade, non di rado, che l’ex compagna o l’ex moglie accampi una serie di scuse per impedire al padre la frequentazione dei figli o, addirittura, gli neghi esplicitamente questo diritto. In tutti questi casi, ciò che la madre sta compiendo è un vero e proprio reato punito dal Codice Penale, all’articolo 388, comma 2 e che consiste nella violazione di un ordine del giudice in materia di affidamento di minori.

Nel provvedimento con cui il giudice pronuncia la separazione o il divorzio, vengono, infatti, solitamente disciplinate anche le modalità di visita dei figli da parte del genitore presso cui non sono stati collocati, che solitamente è il padre. Tuttavia, capita non di rado che quest’ultimo faccia fatica a vedere i bambini poiché l’altro genitore adotta un atteggiamento ostruzionistico, adducendo scuse e giustificazioni ogni qual volta debbano avvenire gli incontri. Si può trattare di scuse comuni (per es. il bambino dorme, non si sente bene ecc…) oppure capita che il padre sia messo nella condizione di dover incontrare i figli in circostanze che lo spoglino di qualunque ruolo genitoriale anche per la scelta dei modi e del tempo da passare con loro (per es. quando deve seguire i figli in attività parascolastiche fissate proprio nei suoi giorni di frequentazione).

Come può tutelarsi il papà quando l’ex non gli fa vedere i figli? Può presentare querela nei confronti dell’ex moglie o ex compagna. Può farlo di fronte ad un ufficiale di polizia giudiziaria o al pubblico ministero. La querela può essere presentata in forma scritta o orale e senza la necessaria presenza di un avvocato. Deve necessariamente essere presentata entro tre mesi dal momento in cui il papà ha avuto conoscenza del fatto.

Ci sono ripercussioni sull’affidamento congiunto? Può essere. Un’importante sentenza della Corte di cassazione civile [Sent. n. 6919, 8.04.2016], ha condannato la madre che impediva al padre separato di vedere i propri figli, al risarcimento del danno non patrimoniale da versare al coniuge, nella misura, addirittura, di 10.000 €. La Cassazione, inoltre, ha revocato l’affidamento congiunto poiché era stata riscontrata la presenza di P.a.s., cioè la sindrome di alienazione genitoriale, con conseguente squilibrio nella crescita serena dei figli.

E se è il figlio a non voler vedere il papà? Secondo la Corte di cassazione penale [Sent. n. 26810, 7.04.2011], in presenza di un presunto rapporto conflittuale tra padre e figlio o, addirittura, di un rifiuto del figlio di vedere il papa, il reato sussiste comunque tutte le volte in cui la madre non cerchi di collaborare alla riuscita degli incontri, cercando di ripristinare il rapporto padre-figlio, nell’interesse di quest’ultimo e della sua serenità.

Se il papà telefona ripetutamente all’ex per vedere i figli può essere denunciato per molestie o stalking? No. La giurisprudenza [Cass. Penale, Sent. n. 22152, 27.05.2015] ha escluso la sussistenza del reato di molestie e di stalking se il padre contatta insistentemente l’ex ma al solo scopo di avere notizie sul proprio figlio minore, poterlo vedere e, dunque, esercitare il proprio diritto di visita.

Se l’ex non gli fa vedere i figli, il papà può sospendere l’assegno di mantenimento? Assolutamente no. La violazione del diritto di visita non fa venir meno l’obbligo di corresponsione dell’assegno di mantenimento. Anzi, il mancato versamento del predetto assegno, esporrebbe il padre al rischio di essere querelato per il reato di violazione degli obblighi di assistenza famigliare, previsto dall’articolo 570, comma 2 del Codice Penale.

Sara Soresi La legge per tutti 28 maggio 2018

www.laleggepertutti.it/210128_violazione-del-diritto-di-visita-del-papa

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AMORIS LÆTITIA

Complici nel costruire il bene, alleati contro ciò che distrugge l’amore

Si svolgeranno dall’8 al 21 luglio 2018 a Madonna di Campiglio (Trento) le prime due settimane del nuovo corso di alta formazione in consulenza familiare con specializzazione pastorale “La forza dell’amore: vino nuovo in otri nuovi”. Fra i “docenti” una coppia di sposi che “insegneranno” a diventare complici nel costruire il bene e alleati contro tutto ciò che concorre a distruggere l’amore. Anche tramite quattro esercizi davvero originali

Pierluigi e Gabriella Proietti sono sposati dal 2000 e hanno entrambi alle spalle l’esperienza dolorosa di un fallimento matrimoniale e di una lunga e difficile causa per ottenerne il riconoscimento di nullità. Pierluigi ha un figlio, Gabriella una figlia. Hanno rispettivamente 61 e 63 anni, fanno parte del Centro di formazione Betania della diocesi di Roma e sono la coppia che collabora con don Paolo Gentili, direttore dell’Ufficio nazionale per la pastorale della famiglia della Cei. Saranno loro a guidare i laboratori di consulenza al nuovo corso di alta formazione in consulenza familiare con specializzazione pastorale “La forza dell’amore: vino nuovo in otri nuovi”, promosso a luglio dall’Ufficio Cei e dall’Istituto superiore di scienze religiose Ecclesia Mater della Pontificia Università Lateranense, in collaborazione con la Confederazione italiana consultori familiari di ispirazione cristiana.

“Con l’esperienza di due matrimoni precedenti e con un figlio e una figlia abbiamo conosciuto quello che c’è dietro una separazione o un divorzio, soprattutto per i figli, ed anche il difficile cammino di ripartenza. Un bagaglio di vita vissuta e di sofferenza che portiamo nel nostro impegno”, esordisce Pierluigi. “Per aiutare coppie e/o persone in difficoltà – spiega – è importante avere competenze specifiche. Per questo facciamo formazione nell’ambito dell’antropologia cristiana (teologica e biblica) e delle scienze umane (psicologia e comunicazione), a sposi che si vogliano spenderei nella pastorale familiare e nell’accompagnamento a coppie in difficoltà.

Pierluigi, quali sono le principali difficoltà che emergono dalle loro richieste di aiuto? “Al cuore di tutto c’è incapacità di dialogare, ascoltarsi e tirare fuori i problemi. Si parla del quotidiano e mai di come ci si sente, di come si sta, e questo crea distanze che si trasformano in sofferenza. E oggi, che predomina l’aspetto emotivo, l’impatto con le difficoltà porta subito al cortocircuito “siamo incompatibili, separiamoci”. Cause delle crisi sono talvolta la nascita dei figli, vera rivoluzione copernicana nella vita di coppia, oppure un rapporto non sano con la famiglia di origine verso la quale uno dei coniugi mantiene un rapporto di dipendenza. O ancora la mancanza di equilibrio nei ruoli: la donna non è capace di mettere in gioco la propria specificità femminile e analogamente accade all’uomo con il suo maschile. Da qui nasce una sorta di competizione continua, una gara al dominio all’interno della vita familiare anziché quell’alleanza che dovrebbe esserne la radice. Essere coppia significa essere alleati, complici, complementari delle diversità, reciproci nel donarsi e nel sostenersi.

Che tipo di aiuto offrite?

Anzitutto accoglienza, ascolto ed empatia. Le coppie le seguiamo in coppia; con le persone singole Gabriella segue le donne e io gli uomini, almeno all’inizio, perché c’è una sensibilità sul femminile che solo il femminile può cogliere e ugualmente per il maschile. Partiamo dall’ascolto non giudicante che crea un clima di fiducia, quindi cerchiamo di individuare i nodi dai quali muoversi per aiutare le coppie a imparare un nuovo modo di stare in relazione e mettere in pratica nuove abitudini. Diamo loro esercizi veri e propri che vanno dal gesto banale di salutarsi la mattina, al risveglio, al fare del rientro a casa un vero momento di incontro. Una palestra, impegnativa ma efficace, a condizione che da parte delle persone ci sia disponibilità a mettersi in discussione e grande umiltà. Abbiamo visto coppie che avevano già avviato l’iter di separazione riconciliarsi e ripartire da zero; altre con problemi minori ma rigide a arroccate sulle proprie posizioni arenarsi del tutto.

Gabriella, i quattro laboratori che guiderete prevedono tra l’altro quattro esercizi curiosi: sposogramma, geniogramma, viziogramma, dominiogramma. Di che si tratta?

Nascono da indicazioni della Scrittura e coniugano sapere teologico e antropologia per scoprire alla luce della Parola di Dio chi siamo davvero, qual è la destinazione della coppia, che cos’è l’amore nel piano divino. E’ un metodo per imparare a lavorare sulla propria relazione, non c’è un momento in cui una coppia possa dirsi “arrivata, e per far sì che lo sposo e la sposa diventino l’uno il direttore spirituale e il custode dell’altro.

In estrema sintesi, nel primo laboratorio dedicato alla comunicazione nella coppia, “sposogramma” ha come riferimento biblico l’inno di Adamo in Genesi quando vede Eva e la definisce “Issha” che in ebraico significa sposa ma anche amica, sorella, amante (stessi significati di “Ish” al maschile). Le quattro dimensioni della vita matrimoniale e l’esercizio intende analizzarne lo status nella coppia per migliorarle/integrarle. In Genesi 3 si dice “lascerà suo padre e sua madre”: con “geniogramma” proponiamo una sorta di albero genealogico nel quale annotare aggettivi positivi e negativi di nonni, genitori, se stessi e coniuge per individuare. Con l’aiuto del conduttore del gruppo condizionamenti e ferite psico-affettive ricevute e prendere consapevolezza che tutti siamo stati in qualche modo feriti ma siamo anche tutti feritori.

Gli ultimi due?

“Viziogramma” parte dall’esame dei vizi capitali nella vita di coppia e di famiglia. Ne abbiamo individuato 11, ognuno con la mappa dei comportamenti quotidiani che ne derivano, e invitiamo gli sposi a prendere coscienza dei propri e di quelli del coniuge. Il passo successivo è imparare a farsi da specchio l’uno con l’altro e acquisire strumenti per sostenere l’impegno al cambiamento. L’ultimo laboratorio è dedicato al problema del potere nella coppia all’interno della quale c’è spesso una lotta per il predominio, nemico della comunione. “Dominiogramma” aiuta a prenderne coscienza e ad imparare a confrontarsi in modo costruttivo con il coniuge come davanti a uno specchio.

Dunque autoconsapevolezza, dialogo, relazione.

“Il problema vero è la mancanza di dialogo. Aiutare gli sposi a prendere consapevolezza di sé, dei loro comportamenti e atteggiamenti, e a mettersi di fronte all’altro per parlarsi e ascoltarsi aiuta a recuperare molte situazioni. Il matrimonio è fondamentalmente un’alleanza: essere complici nel costruire il bene e alleati contro il nemico, ossia tutto ciò che concorre a distruggere l’amore.

Giovanna Pasqualin Traversa Agenzia SIR 31 maggio 2018

https://agensir.it/chiesa/2018/05/31/famiglia-pierluigi-e-gabriella-proietti-cei-complici-nel-costruire-il-bene-alleati-contro-cio-che-distrugge-lamore

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CENTRO INTERNAZIONALE DI STUDI SULLA FAMIGLIA

Newsletter CISF – n. 20, 30 maggio 2018

  • Strada facendo (C. Baglioni) – Una canzone e un video che prendono il cuore, e che, come spesso capita alla musica, sono stati compagnia e sostegno per tanti. Anche per Giulia Gabrieli, che a quattordici anni ha fatto i conti con la malattia e con la morte, e che ha voluto intitolare il suo diario “un gancio in mezzo al cielo”. www.youtube.com/watch?v=VFVood_pRak

E un libro.… – Giulia Gabrieli, Un gancio in mezzo al cielo, Edizioni Paoline, Milano. 2012.Questa è il la testimonianza di Giulia Gabrieli, quattordici anni, malata di tumore, morta la sera del 19 agosto 2011, che ha saputo trasformare i suoi due anni di malattia in un inno alla vita, in un crescendo spirituale. Giulia era una ragazza normale, bella, solare, amava viaggiare, vestirsi bene e adorava lo shopping. Un’esplosione di raffinata vitalità, che la malattia, misteriosamente, non ha stroncato, ma amplificato. Nelle pagine del diario narra la sua lotta per affrontare la malattia e la sua speranza di guarire ma anche l’abbandono alla volontà di Dio. I medici sono i suoi amici, i suoi “supereroi”; i genitori, gli amici, le amiche e gli insegnanti i suoi angeli custodi, coloro che la sostengono e la incoraggiano. Giulia amava la musica e, in modo speciale, un grande classico di Claudio Baglioni cantato da Laura Pausini: “Strada facendo vedrai che non sei più da sola … Strada facendo troverai anche tu un Gancio in mezzo al cielo”. “Sì, mi dà leggerezza, una grande speranza”.

www.sanpaolostore.it/gancio-in-mezzo-al-cielo-giulia-gabrieli-9788831540988.aspx?Referral=newsletter_cisf_20180530

  • Referendum sull’aborto in Irlanda, una sconfitta del pensiero laico. “Una grande occasione persa per la cultura dell’uomo contemporaneo, per ripensare il tema dei diritti della donna, del diritto alla salute, e del diritto all’inviolabilità della vita per ogni persona, anche la più fragile”. Alcune riflessioni del direttore Cisf (Francesco Belletti) sul sito di Famiglia Cristiana

www.famigliacristiana.it/articolo/irlanda-una-sconfitta-del-pensiero-laico.aspx?utm_source=newsletter&utm_medium=newsletter_cisf&utm_campaign=newsletter_cisf_30_05_2018

  • Specializzarsi per la famiglia

  • Open day per la scuola di psicoterapia integrata. Massa, 26 giugno 2018. Sono aperte le iscrizioni per l’anno accademico 2019 alla Scuola di Psicoterapia Integrata di Massa gestita dalla Onlus Sanicare e diretta dal Prof. Vittorio Cigoli. La Scuola integra il Modello Relazionale Simbolico con il Modello di Assessment Terapeutico di Stephen Finn. Nella Scuola si apprende a incontrare terapeuticamente singole persone, coppie, famiglie secondo procedure validate e tramite tecniche di apprendimento attivo videoregistrazioni comprese. Il 26 giugno vi sarà la presentazione ufficiale (Open day) con la presenza di Vittorio Cigoli e Stephen Finn. www.scuolapsicoterapiaintegrata.it

  • Due webinar del CTA formazione on line:

  • Adozione e separazione (12 giugno 2018)

www.centrocta.it/adozione-separazione-webinar-12-giugno-17-00-18-30

  • Lavorare con le vittime di violenza (19 giugno 2018).

www.centrocta.it/lavorare-le-vittime-violenza-webinar-19-giugno-10-00-11-30

  • Modern families, modern family justice. L’AFCC (Association of Family and Conciliation Courts) e Relate, associazione non profit che si occupa di relazioni familiari nel Regno Unito, hanno organizzato congiuntamente un interessante seminario a Windsor (UK), il 12-13 febbraio 2018. Trenta esperti di giustizia minorile da diversi Paesi europei si sono confrontati per due giorni analizzando programmi, progetti, politiche e modalità di intervento in ambito di giustizia minorile e negli interventi di sostegno.

http://files.constantcontact.com/6beb60a3701/b4acbf8e-1776-43be-a85e-dc5e7315c1ab.pdf

  • Il Ruanda riparte dalla famiglia. “In un contesto di grande vulnerabilità economica e per buona parte sociale, il Governo del Paese sta tentando di implementare alcune soluzioni ‘africane’, profondamente ancorate alla cultura e alle pratiche locali tradizionali, a problemi ‘globali’ contemporanei, con il supporto di Unicef, delle ONG internazionali e delle organizzazioni di società civile locali. Queste strategie vedono la famiglia al centro e il coinvolgimento della comunità, considerandole come risorse e elementi di supporto alla fragilità, anziché come meri portatori del bisogno […]. il governo del Rwanda, tra l’altro uno dei primi paesi a ratificare nel 1991 la Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (1989), ha intrapreso numerose iniziative per migliorare il quadro legislativo e istituzionale per la tutela dei diritti dei bambini[…] Dal 2015 il Centro di Ateneo Studi e Ricerche sulla Famiglia partecipa (attraverso l’impegno e la presenza in loco di Stefania Meda) ad un’attività di ricerca sul campo nella regione dei Grandi Laghi dell’Africa Orientale, nell’ambito della child protection (tutela minori), in collaborazione con organizzazioni non governative internazionali[…]”.

http://centridiateneo.unicatt.it/famiglia-ricerca-il-rwanda-riparte-dalla-famiglia

  • Non chiamateci anziani. Una ricerca racconta i “senior digitali”. “Dinamici, in buona salute, autonomi, tecnologici, sportivi, viaggiatori, ma soprattutto ottimisti e con uno sguardo al domani: questi sono gli over 65 del terzo millennio secondo quanto descritto dalla ricerca “Over 65: una vita a colori” commissionata da BNP Paribas Cardif ad AstraRicerche. Oggi, secondo l’Istat, gli Over 65 sono circa 13.672.000, pari al 22,6% della popolazione attuale, e sono destinati a crescere (34% entro il 2050), ma sono molto cambiati rispetto ai loro coetanei di soli vent’anni fa. Ma per favore, non chiamateli anziani […]”

www.helpconsumatori.it/diritti/non-chiamateci-anziani-bnp-paribas-cardif-racconta-la-generazione-senior-digitale/121853

  • Le sfide del futuro sostenibile. Un intervento sul bes di Enrico Giovannini. “Nell’articolo sulle Sfide del Futuro (“Le Fiamme d’Argento” di marzo-aprile 2018, la Rivista dell’Associazione Nazionale Carabinieri), è riportata un’intervista esclusiva di Orazio Parisotto al Prof. Enrico Giovannini, portavoce dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile (AsviS) , dove si affrontano i nodi delle emergenze ambientali del nostro pianeta, che riguardano in particolare le risorse non rinnovabili, l’inquinamento, l’erosione del suolo, l’insostenibilità dei costi, in costante ricerca di nuovi strumenti e strategie per favorire la diffusione di una cultura della sostenibilità a tutti i livelli, che possa orientare i processi di produzione e di consumo, promuovendo gli obiettivi indicati nell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite”.

http://newsletter.sanpaolodigital.it/Cisf/attachments/newscisf2018_allegato3.pdf

  • Ultimi arrivi dalle case editrici

  • Maurizio Vetri Editore, Figli ”educati” … a scuola. Alcune tematiche della scuola e relazioni familiari, Colianni R.

  • San Paolo, Riorganizzare la speranza. Tra adulti inquieti e bambini in cerca di ascolto, Ferrara A., Mittino F.

  • Cantagalli, Karol Wojtyla e Humanae vitae, Galuszka P. S.

  • Mondadori, Mammina un ca**o. Manuale scorretto per genitori imperfetti, Kirby K.

  • Bolzan Mario (a cura di), Domani in famiglia, FrancoAngeli, Milano, 2018, pp. 217, € 29,00

Nella nostra società sono in azione trasformazioni radicali, veloci e diffuse, che esercitano sull’uomo contemporaneo un profondo ed evidente effetto, e che stanno incidendo profondamente sugli stili di vita e sulle prospettive dell’attuale generazione. Questi mutamenti naturalmente incidono anche sulla famiglia, sulla sua identità e sulla sua evoluzione nella storia. Da queste sollecitazioni nascono interrogativi e timori che spesso vengono esorcizzati o guardati con diffidenza. Con questo studio, condotto attraverso l’applicazione del metodo Delphi (strumento d’indagine iterativo che si svolge attraverso più fasi di espressione e valutazione delle opinioni di un gruppo di esperti o attori sociali con l’obiettivo di far convergere l’opinione più completa e condivisa in un’unica “espressione”) ad un panel di 32 esperti, si intende affrontare tali questioni, offrendo un contributo di ipotesi e orientamenti condivisi che possono integrare quanto proposto dall’applicazione di modelli previsionali in altri ambiti di ricerca che vedono la famiglia quale soggetto di riferimento. Vengono quindi descritti alcuni scenari possibili su condizioni, tipologie e problemi della famiglia nei prossimi anni (un orizzonte di circa un decennio), nel tentativo di tracciare una direzione su come sarà e cosa dovrà affrontare la famiglia nel medio termine. La ricerca è stata effettuata nel Veneto, regione fra le più ricche e attive d’Europa; è detta “terza Italia” poiché in essa vi è molto dell’Italia e in tutta la penisola vi è molto del Veneto. Anche per queste ragioni, si ritiene che quanto è risultato dalla ricerca possa offrire stimoli e contributi che vanno ben oltre la dimensione spaziale, culturale e sociale della regione in cui si è svolta.

http://newsletter.sanpaolodigital.it/Cisf/attachments/newscisf2018_allegatolibri.pdf

  • Save the date

  • Nord Disposizioni anticipate di trattamento: questioni giuridiche ed etiche e conseguenze per i servizi alla persona, incontro promosso da AVCL (Associazione Vita Consacrata Lombardia), Milano, 13 giugno 2018.

Humanae Vitae: la verità che risplende, convegno promosso dall’Associazione “Amici di Paolo VI”, Brescia, 9 giugno 2018.

  • Centro Expo Meeting Innov-Aging, fiera-incontri-convegni sulla Silver Economy proposta dalla Fondazione Marche, Ancona, 21-23 giugno 2018.

Giovani per una “Chiesa in uscita”, 68.a Settimana nazionale di aggiornamento pastorale, promossa dal COP (Centro di Orientamento Pastorale), Assisi, 25-28 giugno 2018.

  • Sud Verso una scuola resiliente. Nuove tecnologie e strategie amministrative nell’edilizia scolastica, convegno promosso da Città Metropolitana di Napoli e Università Federico II, Napoli, 31 maggio-1 giugno 2018.

  • Estero Compassionate Family Court Systems: The Role of Trauma-Informed Jurisprudence (Sistemi compassionevoli dei Tribunali della famiglia: il ruolo di una giurisprudenza adeguatamente informata/preparata sul Trauma), 55.a Conferenza nazionale dell’AFCC (Association of Family and Counciliation Courts), Washington D.C. (USA), 6-9 giugno 2018.

Per i linkhttp://newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/maggio2018/5082/index.html

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CHIESA CATTOLICA

Realtà negata, silenzio imposto, comunione fittizia. Sulla relazione tra sesso e ministero ordinato

Alcune settimane fa il card. Mueller, ex Prefetto della CDF, sosteneva in una intervista che “l’omofobia non esiste…”; alcuni giorni dopo il suo successore come Prefetto, Mons. Ladaria, ha riproposto una comprensione del tutto antitetica del rapporto tra ministero ordinato e sesso femminile, dicendo, sostanzialmente, che tale rapporto “non esiste e non può esistere”. Credo che sia molto utile una riflessione sul “metodo” con cui queste dichiarazioni affrontano la realtà, non solo ecclesiale, ma anche mondana e secolare. Io credo che siano rivelatrici di un approccio distorto e troppo unilaterale o, come lo definisce Amoris Lætitia, “pusilli animi”, meschino (AL 304).

E’ evidente che la storia offre sempre realtà nuove, che pongono in questione la tradizione umana ed ecclesiale. La Chiesa non sta altrove: deve fare i conti, apertamente e schiettamente, con queste novità della storia. Tra le quali ci sono quelle che riguardano la “sfera della sessualità”, così come sono entrate potentemente nella cultura comune e come obbligano anche la Chiesa ad una comprensione rinnovata, accurata, attenta e non generica di se stessa.

Che la identità della donna sia una delle “novità” più significative del XX secolo non può essere discusso; esattamente come non può esserlo la trasformazione del “sesso” in “sessualità”, con tutta la incidenza che ciò determina sulla identità e sulla coscienza dei soggetti. Su entrambi questi livelli, se si pretende di ragionare “come se nulla fosse cambiato”, come se ogni novità fosse il frutto di una ideologia sospetta, di una perversione dei cuori, di una distrazione delle menti, allora davvero tutto è compromesso e la Chiesa perde l’occasione non solo di “comprendere il reale”, ma di dar voce efficacemente al Vangelo.

Lo stile autoreferenziale. Come dicevo, mi colpisce molto, in queste dichiarazioni di Prelati di prima fila, il modo di aver a che fare – o, meglio di non aver a che fare – con la realtà. Anzitutto si deve negare la realtà problematica: che si parli di omofobia, o di donna, la cosa più importante sembra quella di “squalificare” l’interlocutore. O negando che ci sia una realtà di cui occuparsi o riducendo quella realtà ad una caricatura. Si può dire così, del tutto senza controllo, che la omofobia è “una invenzione marxista”, oppure che la donna “pretende un potere e rivendica un diritto che non la riguarda”. Questo modo di pensare e di provvedere è una pesante eredità dell’antimodernismo. Dipende da opzioni culturali ed ecclesiali che ne restringono la prospettiva e la portata. Ovvero risente del sospetto verso tutto ciò che è moderno e che “altererebbe” le forme storiche di esercizio della autorità e del potere. Tutte le forme di “emancipazione” – dalla schiavitù o dalla malattia, dalla emarginazione o dalla irrilevanza – tendono ad essere lette, in questa prospettiva, semplicisticamente come “disobbedienze” o come “insubordinazioni”. La incomprensione del principio di libertà e il facile ricorso ad un “principio di autorità” totalizzante costituiscono il cuore di una reazione, tanto viscerale quanto poco meditata. Così, anziché difendere la tradizione cristiana, si finisce col difendere soltanto la sua traduzione in forme culturali una volta di certo efficaci, ma ora vecchie, unilaterali e inadeguate.

Nessun confronto, ma solo obbedienza. Se questo è l’orizzonte che circonda le recenti reazioni considerate – e che non si identifica affatto con lo stile della Chiesa post-conciliare – una sua ricaduta inevitabile è la soluzione proposta, che evita il confronto e che si rifugia nella “obbedienza all’autorità”. Il silenzio diventa l’unica alternativa. Tale pretesa, che già nel 1994 aveva segnato Ordinatio Sacerdotalis, e che ora viene ripetuta, per quanto su un livello di autorevolezza e di autorità sicuramente minore, costituisce il segnale di una grande difficoltà. La Chiesa cattolica sembra non sapersi confrontare in modo equilibrato con la tradizione del Vangelo e della esperienza degli uomini. A tal proposito occorre ricordare ciò che ha detto in modo indimenticabile Gaudium et Spes §46: “il Concilio, alla luce del Vangelo e dell’esperienza umana, attira ora l’attenzione di tutti su alcuni problemi contemporanei particolarmente urgenti, che toccano in modo specialissimo il genere umano”.

Ed è da sottolineare che la “luce”, in questo testo, viene dal Vangelo e dalla esperienza umana: quindi abbiamo bisogno non solo di leggere l’esperienza alla luce del Vangelo, ma anche il Vangelo alla luce dell’esperienza umana. E la grande trasformazione della esperienza femminile nell’ultimo secolo deve condurre ad un cammino ecclesiale, ad un processo di discernimento, che riguardi le forme possibili di “esercizio ufficiale della autorità” da parte dei membri della Chiesa di sesso femminile. Questo, ovviamente, deve riguardare anche il ministero ordinato, nel modo di concepirlo e di esercitarlo. Su questo papa Francesco ha aperto un dibattito utile e positivo, che rilancia questa domanda di fondo, sul modo con cui sappiamo accogliere e ripensare la autorità femminile nella ufficialità ecclesiale. Senza pretendere immediatamente tutto, occorre predisporre un “cambio di paradigma” e una “rivoluzione culturale”, che provveda quanto prima ad integrare le donne nell’ ambito dell”ordine sacro”, accettando una prudente logica della gradualità, ma mai irrigidendosi in una schema “apologetico”.

Una comunione “diffidente”. Se invece di un sereno dibattito e di un discernimento comunitario, si preferisce imporre il silenzio e non ascoltare la realtà, è inevitabile che si determini uno stato ecclesiale, dal quale si genererà una “comunione mancata”, in una condizione forzata e in una comunità diffidente. Ascoltare il popolo di Dio, nella sua componente femminile, e riconoscerne in modo nuovo e più radicale la “eminentia auctoritatis” è oggi un compito inaggirabile. Non sarà un cammino breve, ma esso deve iniziare senza veti e senza resistenze di principio. Solo così potremo costruire una vera comunione. Se pensiamo di negare la realtà e di imporre il silenzio, come potremo realizzare una autentica comunione ecclesiale? Perché mai, in un tale contesto, parlare della “autorità femminile” dovrebbe essere considerato come un “turbamento della comunione”? Questa strategia del sospetto, che è tipica di una società chiusa, non si addice alla Chiesa. Essa non deve avere paura di esporsi alla verità, anche quando questa la costringe a mettersi in cammino, a rivedere i propri progetti e a convertirsi. Così anche lo “scandalo” deve essere completamente riconsiderato: non è scandaloso voler approfondire il profilo autorevole della componente femminile della Chiesa, per attribuire ad essa il dovuto riconoscimento; scandaloso è, piuttosto, utilizzare ogni tipo di argomento – storico, cristologico, antropologico, mariologico – pur di impedire alla donna ogni rilevanza in fatto di autorità. Capovolgere la concezione di che cosa è scandalo – come suggerisce Francesco in AL – è l’inizio di un cammino promettente e di un processo di integrazione. Scandaloso non è parlarne. Scandaloso è tacere e ancor più chiedere agli altri di tacere.

Francesco ai teologi argentini e alle future “accademie cristiane”. La voce del Concilio Vaticano II, che da queste forme di mentalità ristretta e asfittica viene puntualmente offuscata, trova provvidenzialmente ben altra risonanza nel magistero di Francesco, che in diversi casi ci ha chiesto di “ascoltare” e di renderci attenti alla realtà, il cui primato sulla idea è un dato inaggirabile del suo magistero. Vorrei ricordare due punti particolarmente espliciti in questo campo di riflessione.

  1. Scrivendo alla Università Cattolica di Buenos Aires (2015), Francesco ha detto: Le nostre formulazioni di fede sono nate nel dialogo, nell’incontro, nel confronto, nel contatto con le diverse culture, comunità, nazioni, situazioni che richiedevano una maggiore riflessione di fronte a quanto non esplicitato prima. Perciò gli eventi pastorali hanno un valore considerevole. E le nostre formulazioni di fede sono espressione di una vita vissuta e ponderata ecclesialmente.

In un cristiano c’è qualcosa di sospetto quando smette di ammettere il bisogno di essere criticato da altri interlocutori. Le persone e le loro diverse conflittualità, le periferie, non sono opzionali, bensì necessarie per una maggiore comprensione della fede. Perciò è importante chiedersi: A chi stiamo pensando quando facciamo teologia? Quali persone abbiamo davanti? Senza questo incontro con la famiglia, con il Popolo di Dio, la teologia corre il grande rischio di diventare ideologia. Non ci dimentichiamo, lo Spirito Santo nel popolo orante è il soggetto della teologia. Una teologia che non nasce nel suo seno ha l’olezzo di una proposta che può essere bella, ma non reale. “

  1. Ma, in modo ancora più significativo, nello straordinario proemio della Costituzione Apostolica Veritatis Gaudium (2018) troviamo questa espressione grandiosa e profetica del magistero che oggi ci è richiesto: “L’esigenza prioritaria oggi all’ordine del giorno, infatti, è che tutto il Popolo di Dio si prepari ad intraprendere “con spirito” una nuova tappa dell’evangelizzazione. Ciò richiede «un deciso processo di discernimento, purificazione e riforma» …Questo ingente e non rinviabile compito chiede, sul livello culturale della formazione accademica e dell’indagine scientifica, l’impegno generoso e convergente verso un radicale cambio di paradigma, anzi – mi permetto di dire – verso «una coraggiosa rivoluzione culturale». In tale impegno la rete mondiale delle Università e Facoltà ecclesiastiche è chiamata a portare il decisivo contributo del lievito, del sale e della luce del Vangelo di Gesù Cristo e della Tradizione viva della Chiesa sempre aperta a nuovi scenari e a nuove proposte.”

In questa prospettiva occorre dialogare, ascoltare e sognare, non tacere. Una chiesa viva parla e discute, anche delle cose più fondamentali. Così essa potrà generare silenzio: il silenzio della comunione, non il silenzio della imposizione. La intelligenza della fede non può mai accontentarsi di tale silenzio imposto: deve produrre il silenzio della comunione attraverso il dialogo e il confronto. Altrimenti, per usare una bella espressione di S. Tommaso, rischieremo di scontrarci con questa lucida denuncia della riduzione della teologia ad atto di autorità “Se noi risolviamo i problemi della fede col metodo della sola autorità, possediamo certamente la verità, ma in una testa vuota”.

Andrea Grillo blog: Come se non 2 giugno 2018

www.cittadellaeditrice.com/munera/realta-negata-silenzio-imposto-comunione-fittizia-sulla-relazione-tra-sesso-e-ministero

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CINQUE PER MILLE

5‰ 2018. Gli elenchi definitivi sul sito delle Entrate

Diventano definitivi gli elenchi degli enti iscritti ai quali è possibile destinare una quota del 5 per mille della propria Irpef per l’anno 2018. Sul sito dell’Agenzia delle Entrate sono state infatti pubblicate le liste degli iscritti permanenti al 5, aggiornate rispetto a quelle pubblicate lo scorso 28 marzo: si tratta di quei candidati che non hanno l’obbligo di presentare ogni anno la domanda di iscrizione né la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà (una nuova dichiarazione sostitutiva deve essere presentata solo in caso di variazione del rappresentate legale).

Online sono anche disponibili gli elenchi definitivi dei nuovi iscritti alle categorie del volontariato e delle associazioni sportive dilettantistiche: si tratta, in questo caso, dell’aggiornamento e dell’integrazione delle liste provvisorie pubblicate lo scorso 11 maggio.

Grazie all’aggiornamento dei due elenchi, gli enti in corsa per il 52018 diventano circa 60mila, oltre 2mila in più rispetto allo scorso anno.

Le liste pubblicate oggi tengono conto delle variazioni effettuate in seguito alle segnalazioni di eventuali errori ricevute dalle Direzioni regionali dell’Agenzia territorialmente competenti.

www.agenziaentrate.gov.it/wps/content/nsilib/nsi/schede/agevolazioni/contributo+5+per+mille+2018/elenchi+5×1000+2018/elenchi+iscritti+definitivi+5×1000+24+05+2018

Nuovi iscritti, appuntamento al 2 luglio per le “dichiarazioni sostitutive” – Per i soggetti nuovi iscritti, la prossima scadenza in calendario è fissata il 2 luglio. Entro questa data i legali rappresentanti degli enti del volontariato inseriti negli elenchi definitivi, dovranno presentare alla Direzione regionale dell’Agenzia delle Entrate una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà che attesti i requisiti di ammissione al contributo. Alla dichiarazione, da predisporre su modello conforme a quello pubblicato sul sito, occorre allegare copia del documento di riconoscimento del legale rappresentante. Stessi tempi e stesse regole valgono anche per le associazioni sportive dilettantistiche, i cui rappresentanti legali però dovranno presentare la documentazione richiesta alla struttura del Coni competente per territorio.

Per i ritardatari, data ultima il 1° ottobre – Per gli enti che presentano la domanda d’iscrizione e/o la documentazione integrativa in ritardo è prevista anche quest’anno un’altra chance di partecipare alla ripartizione delle quote del 5, purché la domanda e/o la documentazione siano presentate entro il 1 ottobre. In questo caso, per partecipare al riparto delle quote del 5occorre versare con modello F24 un importo pari a 250 euro (codice tributo “8115”). Naturalmente, i requisiti per l’accesso al beneficio del 52018 devono comunque essere posseduti alla data di scadenza delle domande d’iscrizione.

Roma, Agenzia delle entrate 25 maggio 2018

www.agenziaentrate.gov.it/wps/content/nsilib/nsi/agenzia/agenzia+comunica/comunicati+stampa/tutti+i+comunicati+del+2018/cs+maggio+2018/cs+25052018+5+per+mille+elenchi+definitivi

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COMMISSIONE ADOZIONI INTERNAZIONALI

Rimborsi spese adottive per le adozioni degli anni 2012-2017. Attivo il portale per le istanze on line

E’ stato pubblicato il seguente Rapporto della Commissione: “Report: I bambini e le coppie nell’adozione internazionale”. 30 maggio 2018.

www.commissioneadozioni.it/media/158837/reportcai201804.pdf

Rimborsi spese adottive per le adozioni concluse negli anni 2012-2017 – Pubblicazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 3 maggio 2018 (30/05/2018)

www.commissioneadozioni.it/media/158460/dpcm20180503.pdf

E’ attivo dal 1° giugno 2018 la sezione “istanze di rimborso” del portale “Adozione Trasparente” per la presentazione on line delle istanze di rimborso delle spese adottive relative alle adozioni concluse negli anni dal 2012 al 2017 https://adozionetrasparente.commissioneadozioni.it

Le istanze andranno presentate solo ed esclusivamente dal 1° giugno al 16 luglio 2018.

www.commissioneadozioni.it/

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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM

Milano 2. Consultorio Genitori Oggi. Estratto della lettera

Cari amici, dalla scorsa comunicazione di gennaio 2018 sono nati 362 bambini di cui 177 maschi e 185 femmine e sono arrivate 283 nuove donne incerte sulla prosecuzione della loro gravidanza.

Altre future madri sono arrivate direttamente al nostro consultorio “Genitori Oggi” (199 incontrate al secondo trimestre e 77 al terzo) per trovare sostegno, contenimento e aiuti.

Attualmente, complessivamente, ci stiamo occupando di 2098 madri, per svolgere, dopo l’accettazione della gravidanza, il nostro percorso consultoriale di tipo psico-socio-pedagogico.

Proprio di questo argomento l’Università Cattolica del Sacro Cuore, nella figura della docente Alessandra Gargiulo, che ringraziamo, ci ha chiesto di tenere un seminario per illustrare agli studenti tutte le caratteristiche professionali e metodologiche del nostro lavoro. Il seminario ha riscosso grande successo e molti studenti si sono riproposti di saperne di più anche venendo a visitare la nostra struttura, dove potrebbero effettuare eventualmente il loro tirocinio. (…) Spesso il nostro CAV viene chiamato a raccontarsi; abbiamo così vissuto insieme agli amici di Chioggia una serata molto partecipata che portiamo nel cuore. Anche a Sovico, in occasione della tavola rotonda intitolata “Il genio delle donne”, organizzata da Giuliana in onore di Sant’Agata, abbiamo incontrato amici cari che ancora ringraziamo per il loro attento ascolto e che ricordiamo con grande simpatia.

Nella serie dei nostri incontri riveste un ruolo particolarmente significativo e originale la visita degli allievi della Scuola “Pastor Angelicus”, che sono venuti a sentir parlare di Vita, qui da noi in Mangiagalli. La mattinata vissuta insieme è stata condotta e organizzata, oltre che dal nostro Centro, anche da Irene Spreafico, capo ostetrica, e dal ginecologo Agostino Mangia. Si è proiettato il film “La vita umana: prima meraviglia”, che presenta lo sviluppo del bimbo nel grembo materno, e i ragazzi hanno posto domande a ciascuno di noi volendo conoscere anche le motivazioni che ci hanno portato all’impegno quotidiano per sostenere la vita nascente. Un’altra bella serata di incontri di vita vissuti al CAV è stata quella trascorsa con numerosi amici del Teatro San Giuseppe della Parrocchia Gesù Divin Lavoratore. Come sempre l’incontro è stato molto partecipato e ci sono state rivolte domande sul tema e proposte offerte di collaborazione.

Naturalmente tutte queste svariate attività elencate non hanno portato via tempo dedicato ai colloqui; le donne continuano ad arrivare senza invio dell’ospedale e trovano accoglienza, ascolto e risposte ai loro bisogni a volte impellenti che le portano all’interno della fascia di maggiore povertà.

Dal 1984 il CAV Mangiagalli ha aiutato a nascere oltre 20.000 bambini, accompagnando le loro mamme con progetti di aiuto personalizzati, concreti, immediati. Nel 2017 sono state accolte e sostenute 2.528 mamme. Foglio di informazione per Soci e Sostenitori – N. 104 – maggio 2018

www.genitorioggi.it

 

Pescara. Sostegno per figli di coppie separate

Un sostegno ai bambini che hanno genitori separati o divorziati. Lo offre il Centro Servizi Famiglia (CSF) con l’avvio dell’attività dei Gruppi di Parola (GdP), realizzati in collaborazione con il Consultorio Ucipem di Pescara e condotti dalla consulente psicopedagogica Simona Foschini. Il primo incontro si terrà il 1 giugno, dalle 15 alle 17, nella sede del CSF, in piazza Italia 13 e sarà aperto a bambini dai 6 ai 12 anni e ai loro genitori.

“Sarà un’attività gratuita che consentirà di esprimere la complessità della situazione che si verifica all’interno di una famiglia durante la riorganizzazione della vita quotidiana dopo una separazione o di un divorzio – spiega l’assessore alle Politiche sociali, Antonella Allegrino. I bambini e i ragazzi, che prenderanno parte ai GdP, avranno la possibilità di essere ascoltati e uscire da condizioni di isolamento, sofferenza, rabbia e paura che spesso accompagnano questo trauma. Sarà un percorso che consentirà di esprimere il disagio attraverso la parola, il disegno, i giochi di ruolo e la scrittura e che permetterà di costruire una nuova fiducia e una nuova continuità dei legami appoggiandosi a una rete di scambio e sostegno e l’aiuto di consulenti esperti nell’ascolto di bambini che vivono in famiglie separate. ” Il corso prevede altri quattro incontri che si terranno nella sede del CSF il 6, il 13, il 20 e il 27 giugno, sempre dalle 15 alle 17. Il numero di partecipanti va da un minimo di 4 a un massimo di 8.

Comunicato stampa del comune di Pescara 30 maggio 2018

www.ucipempescara.org/percorsi/gruppi-di-parola-per-figli-di-genitori-separati-1

www.pescaranews.net/notizie/attualita/21235/sostegno-per-figli-di-coppie-separate-un-aiuto-dal-centro-servizi-famiglie-di-pescara

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DALLA NAVATA

Santissimo Corpo e Sangue di Cristo – Anno B – 3 giugno 2018

Esodo ..24, 08 Mosè prese il sangue e ne asperse il popolo, dicendo: «Ecco il sangue dell’alleanza che il Signore ha concluso con voi sulla base di tutte queste parole!». Sappi dunque oggi e medita bene nel tuo cuore che il Signore è Dio lassù nei cieli e quaggiù sulla terra: non ve n’è altro.

Salmo 115, 17 A te offrirò un sacrificio di ringraziamento e invocherò il nome del Signore.

Ebrei 09, 15 Per questo egli è mediatore di un’alleanza nuova, perché, essendo intervenuta la sua morte in riscatto delle trasgressioni commesse sotto la prima alleanza, coloro che sono stati chiamati ricevano l’eredità eterna che era stata promessa.

Marco 14, 12 12 In quel tempo il primo giorno degli Azzimi, quando si immolava la Pasqua, i suoi discepoli dissero a Gesù: «Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?».

Il dono di tutta la vita di Gesù, Commento di Enzo Bianchi, priore emerito a Bose

Questa festa dell’Eucaristia, o del Corpo del Signore (Messale di Pio V), o solennità del Santissimo Corpo e Sangue di Cristo (Messale di Paolo VI), come la solennità della Triunità di Dio celebrata domenica scorsa è tardiva. Infatti, è stata istituita nel XIII secolo, e nel secolo seguente ha faticato a imporsi in occidente, restando invece sempre sconosciuta nella tradizione ortodossa. L’intenzione della chiesa è quella di proporre, fuori del santissimo triduo pasquale, la contemplazione, l’adorazione e la celebrazione del mistero eucaristico del quale viene fatto memoria il giovedì santo, in cœna Domini. Quanto al brano evangelico scelto, il messale italiano in questa annata B propone la lettura del racconto dell’ultima cena nel vangelo secondo Marco, che ora cerchiamo di accogliere come parola del Signore.

Prima del suo arresto e della sua morte in croce, Gesù ha voluto celebrare la Pasqua con i suoi discepoli, e proprio per questo durante il suo ultimo soggiorno a Gerusalemme, nel primo giorno della festa dei pani azzimi, invia due suoi discepoli affinché preparino l’occorrente per la cena pasquale. Gesù sa di essere braccato, di non potersi fidare neppure di tutti i suoi discepoli, perché uno l’ha ormai tradito (cf. Mc 14,10-11), dunque predispone ogni cosa perché quella cena pasquale possa avvenire, ma agisce con molta circospezione, come se non volesse che si sappia dove la celebrerà.

Per questo i due discepoli da lui inviati devono incontrare un uomo che porta una brocca d’acqua (cosa insolita, perché erano le donne a svolgere tale operazione, ma questo è il segno convenuto), devono seguirlo fino a una casa, dove costui indicherà loro la “camera alta”, la sala al piano superiore già arredata e pronta, in cui predisporre tutto per la cena pasquale. Occorre infatti preparare il pane, il vino, l’agnello, le erbe amare, per ricordare in un pasto – come prevedeva la Legge (cf. Es 12) – l’uscita di Israele dall’Egitto, la liberazione dalla schiavitù, la nascita del popolo appartenente al Signore. E così, in obbedienza all’ordine dato da Gesù con autorità e gravità ai due discepoli inviati, tutto è preparato per quella celebrazione pasquale, per quell’ora solenne, per quell’ora ultima di Gesù con i suoi discepoli, per quell’ora nella quale la Pasqua dell’agnello diventerà la Pasqua di Gesù.

E quando Gesù siede a tavola per la cena, compie dei gesti e dice alcune parole sul pane e sul vino, dando origine alla celebrazione della nuova alleanza con la sua comunità. Di questa scena abbiamo quattro racconti, tre nei vangeli sinottici (cf. Mc 14,22-25; Mt 26,26-29; Lc 22,18-20) e uno, il più antico, nella Prima lettera ai Corinzi (cf. 1Cor 11,23-25): racconti che riportano parole tra loro un po’ diverse, a testimonianza di come non si tratti di formule magiche da ripetersi tali e quali, ma di parole che manifestano l’intenzione di Gesù e spiegano i suoi gesti. Le prime comunità cristiane, dunque, volendo restare fedeli all’intenzione di Gesù, hanno ridetto le sue parole, hanno ripreso i suoi gesti, e da allora la cena del Signore è sempre e dovunque celebrata nelle chiese.

Innanzitutto Gesù compie un’azione rituale: prende il pane azzimo che è sulla tavola del seder pasquale, pronuncia la benedizione a Dio per quel dono, quindi lo spezza e lo porge ai discepoli. Prendere il pane, spezzarlo e darlo è un gesto quotidiano fatto da chi presiede la tavola, ma Gesù lo compie con un’intensità e con una forza che lo rendono carico di significato, ne fanno un gesto che si imprime nella mente e nel cuore dei commensali di quella cena pasquale. Gesù assume l’atteggiamento e la parola della Sapienza di Dio che parla e invita al banchetto (cf. Pr 9,1-6), fa sue le parole del profeta che chiama al pasto dell’alleanza eterna (cf. Is 55,1-3), e offre come cibo la sua vita, il suo corpo, se stesso! Vi è in questo gesto e in queste parole di Gesù il suo donarsi fino all’estremo, perché egli ha amato e ama fino al dono della sua vita (cf. Gv 13,1). Di fronte a questa azione i discepoli furono certamente scossi e solo dopo la morte e resurrezione di Gesù compresero ciò che non avevano potuto dimenticare.

Non si dimentichi inoltre che il gesto dello spezzare il pane già nei profeti indicava il condividere il pane con i poveri, i bisognosi e gli affamati (cf. Is 58,7), esprimendo in tal modo una condivisione di ciò che fa vivere, che manifesta la comunione tra tutti quelli che mangiano lo stesso pane. Ecco perché il primo nome dato all’Eucaristia dai discepoli e dai cristiani delle origini è “frazione del pane” (cf. Lc 24,35; At 2,42; 20,7; Didaché 9,3). Quanto alle parole che accompagnano il gesto – “Prendete, questo è il mio corpo” –, esse vogliono significare che Gesù consegna e dona la sua intera vita ai discepoli i quali, mangiando quel pane, si fanno partecipi della sua vita spesa e consegnata per amore, “fino alla morte e alla morte di croce” (Fil 2,8). In questo modo Gesù spiega in anticipo e in piena libertà, con gesti e parole, ciò che accadrà di lì a poco: la sua morte dovrà essere percepita come dono della sua vita agli uomini, vita offerta in sacrificio a Dio.

Poi Gesù prende anche il calice tra le sue mani, rende grazie a Dio per il frutto della vite e con solennità dichiara: “Questo è il mio sangue, il sangue dell’alleanza, che è sparso per le moltitudini”. Come ha dato il suo corpo porgendo il pane, così dà il suo sangue porgendo il calice del vino da bere ai discepoli; ovvero, Gesù dona la sua vita, significata nella cultura semitica dal sangue. L’evangelista sottolinea che a questo calice “bevvero tutti”, perché il dono di Gesù è per tutti, nessuno escluso. C’è un contrasto tra questo “tutti”, che indica tutti i discepoli, e le parole dette in precedenza: “Uno di voi mi tradirà” (Mc 14,18). Ma ciò mette ancor più in risalto il fatto che tutti sono associati al bere al calice offerto, anche Giuda il traditore. A tutti, nessuno escluso, Gesù offre la sua vita e il suo amore gratuito, che non deve mai essere meritato.

Ma qui si deve cogliere anche il compimento a cui Gesù vuole portare le parole che sigillavano l’alleanza tra Dio e Israele al monte Sinai, quando, con il sangue delle vittime del sacrificio Mosè asperse l’altare, trono di Dio, e il popolo riunito in assemblea, dicendo: “Questo è il sangue dell’alleanza” (cf. Es 24,6-8). Al Sinai, in quella celebrazione dell’alleanza, il sangue, la vita univa Dio e il suo popolo in un patto di appartenenza reciproca, in una comunione fedele nella quale Dio si mostrava come “il Signore misericordioso e compassionevole, lento all’ira, grande nell’amore e nella fedeltà” (Es 34,6). Ma l’alleanza che Gesù stipula con il dono della sua vita non è più ristretta al popolo di Israele, bensì è un’alleanza universale, aperta a tutte le genti, un’alleanza nel suo sangue sparso “per le moltitudini” (rabbim, polloí: cf. Is 53,11-12): non “per molti” dunque, ma “per tutti” (cf. Concilio Vaticano II, Ad gentes 3).

L’Apostolo Paolo, proprio per affermare questa destinazione universale del dono del sangue di Cristo, scrive nella Lettera ai Romani: “La prova che Dio ci ama tutti è che il Cristo è morto per noi, mentre noi eravamo peccatori” (cf. Rm 5,7-8). È morto per tutti, anche per Giuda, come per tutti noi che siamo nella malvagità e nell’inimicizia con Dio. Qui dovremmo cogliere come il dono dell’Eucaristia non è un premio, un privilegio per i giusti, ma un farmaco per i malati, un viatico per i peccatori. L’Eucaristia altro non è che narrazione in parole e gesti dell’amore di Dio, è la sintesi di tutta la vita del Figlio Gesù Cristo, la sintesi di tutta la storia di salvezza.

Ricordiamo infine che quell’anticipazione della morte di Gesù, nel rito del ringraziamento sul pane spezzato e nel rito del calice condiviso, è un’anticipazione anche del Regno che viene, dove la morte sarà vinta per sempre. Per questo Gesù dice: “Amen, io vi dico che non berrò più del frutto della vite, fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio”. Il pasto eucaristico prelude dunque al banchetto del Regno, dove Gesù, il Kýrios risorto, mangerà con noi e berrà con noi il calice della vita futura, al banchetto nuziale, dove il vino sarà nuovo, cioè altro, ultimo e definitivo, vino della stessa vita divina, la sua vita che è agápe, amore: e noi berremo quel vino nuovo vivendo in lui e con lui per sempre.

www.monasterodibose.it/preghiera/vangelo/12316-dono-gesu

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ENTI TERZO SETTORE

Riforma del Terzo settore: 16 instant book gratuiti per “guidare” il cambiamento

Pubblicati sul web i primi quattro testi della collana Bussole, curata dai Centri di Servizio per il Volontariato della Lombardia in collaborazione con CSVnet. Chi sono gli Ets, cosa avviene con il nuovo Codice, le Odv e le Aps prima e dopo.

La Riforma del Terzo Settore sta entrando nel vivo e con l’approvazione dei decreti attuativi iniziano ad essere introdotte alcune novità che riguardano le associazioni, le cooperative ma anche quel patrimonio di esperienze, di partecipazione civile, di cittadinanza attiva diffuso su tutto il territorio del nostro Paese. Cambiamenti che chiedono un adeguamento dal punto di vista giuridico e fiscale, ma soprattutto un ripensamento e una nuova collocazione di ogni organizzazione all’interno del panorama delineato dalla Riforma.

Per accompagnare i “nuovi” enti del Terzo settore (ovvero gli Ets che saranno iscritti nel “registro unico nazionale) ad affrontare questi passaggi, i sei Centri di Servizio per il Volontariato della Lombardia insieme a CSVnet hanno la realizzato per la collana Bussole sedici instant book gratuiti, ciascuno dedicato ad uno specifico aspetto riguardante la Riforma e le modifiche introdotte dal Codice del terzo settore (D.Lgs. 117/2017).

Questi i titoli dei primi quattro testi, scaricabili dalle sezioni dedicate dei siti di CSV Lombardia e di CSVnet: “Chi sono gli enti di Terzo settore”, “Per chi non è ente del Terzo settore: cosa succede?”, “Le ODV prima e dopo”, “Le APS prima e dopo”.

www.csvnet.it/component/content/article/157-pubblicazioni-csvnet/2949-16-instant-book-sulla-riforma-del-terzo-settore?Itemid=893

«La Riforma è un’occasione di cambiamento e di innovazione per l’intero sistema del Terzo settore, che potrà dare più concretezza alle molteplici istanze delle realtà sociali organizzate nel nostro Paese – spiega Attilio Rossato, presidente del Coordinamento dei Centri di Servizio per il Volontariato della Lombardia – Perché questo avvenga è necessario che gli enti del Terzo settore siano sostenuti e accompagnati, un compito che i CSV svolgono fin dalla loro nascita. Abbiamo scelto di farlo anche attraverso queste pubblicazioni, che raccolgono una serie di approfondimenti e linee guida che possano agevolare volontari, soci, dirigenti associativi e operatori nella lettura interpretativa delle norme introdotte o modificate dalla Riforma».

“La pubblicazione di questi strumenti, – dichiara il presidente di CSVnet Stefano Tabò, – risponde ad una precisa esigenza che stiamo intercettando in tutto il Paese. La conoscenza puntuale delle modifiche organizzative che la riforma comporterà a breve termine in ciascuno degli Ets è fondamentale anche in relazione alla promozione, in ciascuno di essi, della presenza e del ruolo dei volontari, così come auspicato dalla stessa riforma”.

Nelle prossime settimane saranno pubblicati gli altri volumi della collana Bussole, che saranno in diretta continuità con i precedenti e avranno sempre un taglio pratico e divulgativo per permettere a tutti di comprendere con facilità i cambiamenti introdotti.

Clara Capponi CSVnet 22 maggio 2018

www.csvnet.it/component/content/article/144-notizie/2950-riforma-del-terzo-settore-16-instant-book-gratuiti-per-guidare-il-cambiamento?Itemid=893

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FRANCESCO VESCOVO DI ROMA

Il Papa ai medici cattolici: «Su fine vita e aborto non riducetevi a esecutori»

Francesco riceve in udienza la Federazione Internazionale delle Associazioni dei Medici Cattolici e avverte: «Dovete difendere la coscienza, assicurare il diritto alla vita e contrastare la tendenza tecnocratica a svilire l’uomo malato a macchina da riparare»

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2018/may/documents/papa-francesco_20180528_fiamc-medicicattolici.html

Francesco ha declinato la professione di medico cattolico, ribadendo «la centralità del malato come persona e la sua dignità con i suoi inalienabili diritti, in primis il diritto alla vita»

Una testimonianza cristiana, un’opera che è una “forma peculiare di solidarietà umana”, un lavoro arricchito con lo spirito della fede. Papa Francesco declina così la professione di medico cattolico, ricevendo in Vaticano una delegazione della Fiamc, Federazione Internazionale delle Associazioni dei Medici Cattolici, in vista del 25° Congresso sul tema: “Sacralità della vita e professione medica dalla Humanæ Vitæ alla Laudato Si‘”, in programma a Zagabria dal 30 maggio al 2 giugno.

“La centralità del malato come persona e la sua dignità con i suoi inalienabili diritti, in primis il diritto alla vita” sono state ribadite da papa Francesco nel suo incontro con i dirigenti della Federazione Internazionale delle Associazioni dei Medici Cattolici. “Non è accettabile – ha spiegato – che il vostro ruolo venga ridotto a quello di semplice esecutore della volontà del malato o delle esigenze del sistema sanitario in cui lavorate”. In merito il Pontefice ha invitato a vigilare sulle legislazioni su temi etici sensibili come “l’interruzione di gravidanza, il fine-vita e la medicina genetica”, sempre nel pieno rispetto del malato come persona con la sua dignità. Un valore che deve essere bilanciato anche con un altro particolare aspetto: “la libertà di coscienza dei medici e degli operatori sanitari”.

“Va contrastata – ha detto inoltre il Papa – la tendenza a svilire l’uomo malato a macchina da riparare, senza rispetto per principi morali, e a sfruttare i più deboli scartando quanto non corrisponde all’ideologia dell’efficienza e del profitto. La difesa della dimensione personale del malato è essenziale per l’umanizzazione della medicina, nel senso anche della ecologia umana”. Inoltre, ha ribadito il Papa.

Secondo Francesco, “anche il campo della medicina e della sanità, non è stato risparmiato dall’avanzata del paradigma culturale tecnocratico, dall’adorazione del potere umano senza limiti e da un relativismo pratico, in cui tutto diventa irrilevante se non serve ai propri interessi”. “Di fronte a questa situazione, voi – ha detto ai medici cattolici – siete chiamati ad affermare Sia vostra cura impegnarvi nei rispettivi Paesi e a livello internazionale, intervenendo in ambienti specialistici ma anche nelle discussioni che riguardano le legislazioni su temi etici sensibili, come ad esempio l’interruzione di gravidanza, il fine-vita e la medicina genetica”. “Non manchi – ha raccomandato il Papa – la vostra sollecitudine anche a difesa della libertà di coscienza, dei medici e di tutti gli operatori sanitari. Non è accettabile che il vostro ruolo venga ridotto a quello di semplice esecutore della volontà del malato o delle esigenze del sistema sanitario in cui lavorate”.

Redazione Avvenire 30 maggio 2018

www.avvenire.it/papa/pagine/papa-francesco-ai-medici-cattolici-diritto-alla-vita

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HUMANÆ VITÆ

Articolo del teologo Enrico Chiavacci

Oggi, nel 40° dell’enciclica Humanæ Vitæ, il dibattito e la rigidità di talune posizioni magisteriali stanno riapparendo su innumerevoli riviste. Ma è ormai tempo per una più profonda e seria riflessione: una riflessione che prenda atto delle origini e delle ragioni della dottrina morale recepita, ponendole a confronto con le trasformazioni profonde dell’esperienza umana in materia, tutte avvenute tra il XIX e il XX secolo e tuttora in crisi di crescenza.

È ormai tempo che la teologia morale offra un cammino sistematico profondamente innovativo, alla luce del Vangelo e di questa relativamente recente esperienza umana.

Da dove veniamo. Le prime elaborazioni dell’epoca dei Padri si basano sulla base filosofica dell’interpretazione della natura derivante da Platone o da Aristotele. Si noti anche che, fino al XIX secolo, non esiste né l’idea né il termine astratto ‘sessualità’: esistono solo comportamenti singoli legati alla sfera sessuale ciascuno con la sua propria valutazione morale. Ne vedremo in seguito l’importanza. Per Agostino l’attività sessuale, letta come impulso corporeo, è sempre – in una visione più o meno platonica – cosa negativa. Solo l’obbedire all’ordine di moltiplicarsi può legittimarla.

Il rapporto sessuale fra coniugi non deve avvenire per piacere, ma esclusivamente per la procreazione, eventualmente con piacere: la ricerca della soddisfazione sessuale fuori dall’intenzione procreativa è peccaminosa. Così gli sposi che rifiutano la prole e si uniscono nei tempi allora considerati infecondi (le mestruazioni) trasformano il matrimonio in un lupanare. In una visione aristotelica (che poi resterà dominante) invece l’uomo è un animale razionale, e deve imparare dagli animali a compiere per convinzione razionale quello che gli animali compiono per istinto (id quod natura omnia animalia docuit): lo scopo di ogni attività sessuale deve essere legato alla possibilità procreativa, anche se non direttamente intesa.

Il peccato contro natura è descritto nelle sue varie modalità da San Pier Damiani nell’XI secolo, in un libello indirizzato al papa Leone IX – il Liber gomorrhianus – contro i costumi sessuali del clero, lodato e approvato dal papa. Il vizio contro natura è specificato in quattro punti: “Alii siquidem secus (masturbazione solitaria), alii in aliorum manibus, alii inter femora (vel crura) (si ha qui il rapporto omosessuale), alii denique consumato actu contra naturam delinquunt (rapporto ‘in vase indebito’, cioè penetrazione anale che è peccato anche fra coniugi).

Tale opinione, basata sulla legge naturale, passerà quasi invariata in S. Alfonso e rimarrà dominante nella morale cristiana fino ai nostri giorni, e nella cultura occidentale fino al XIX secolo. Il Codice di diritto canonico del 1917, in vigore fino al 1983, definisce il patto matrimoniale come jus ad actus per se aptos ad prolis generationem (can. 1081).

Parallela a questi schemi permane l’idea della ‘purità’ (purezza esteriore, non adeguatamente distinguibile dal nostro concetto generico di pulizia, come l’evitare qualcosa di ‘sudicio’: recenti autori tedeschi usano l’unico termine polivalente Reinheit) tipica di tutta la tradizione ebraica nel senso di purità cultuale esteriore: una tradizione che Gesù ha ripetutamente rifiutato, ma che è rimasta nella sfera sessuale cristiana e occidentale fin quasi ai nostri giorni.

Lo stato di perfezione verginale (o comunque di assoluta castità monastica) è stato sempre considerato via di perfezione superiore a quello coniugale fino ad alcune aperture di Pio XII (ma ancora vivo in gran parte della mentalità popolare). Maria è sempre stata esaltata come vergine purissima e non – come nel Vangelo – come vergine per esprimere la diretta divina paternità del Figlio suo: almeno non solo, e spesso neppure in primo luogo, per questo. Emissioni corporee comunque legate al sesso rendono in qualche modo ‘impuri’.

Così, prima che fosse diffuso il celibato dei preti, sembra fosse raccomandato ai preti uxorati di non celebrare la Messa senza prima essersi astenuti per qualche giorno dai pur legittimi rapporti con la moglie; è comunque ampiamente documentato, dal IV-V secolo, che l’uomo sposato ammesso al presbiterato doveva astenersi dal rapporto coniugale e mantenere la vita familiare considerando e amando la moglie come una sorella.

Così fin quasi ai giorni nostri la donna che aveva partorito non era conveniente che entrasse in chiesa senza una previa benedizione ‘mulieris post partum’ , prevista dal Rituale e detta in Italia popolarmente ‘rientrare in santo’: io stesso, parroco di una parrocchia contadina, ho celebrato il breve rito negli anni ’60, ed era costume che la donna entrasse in chiesa coperta dalla stola del celebrante; ho faticato per far capire che il parto era già di suo una benedizione che non richiedeva ulteriori purificazioni. Il che dimostra come essere molto anziano per un teologo moralista, in cura d’anime da 58 anni, può essere un vantaggio invece che il peso di una tradizione recepita e mantenuta passivamente. Vedremo in seguito come questa ‘purità’ tutta esteriore sia oggi ripresa in forma totalmente laica: uno strano ma insopprimibile riemergere.

Va anche considerata, entro lo schema tradizionale, la funzione della donna in materia di sesso (e quindi di conseguenza la condizione globale della sposa). La vita nuova è vista tutta nel seme maschile: la donna deve limitarsi ad accogliere il seme per farlo sviluppare fino al parto. La scoperta scientifica della funzione attiva dell’ovulo risale solo alla fine del XVIII secolo, ma compresa e sviluppata solo verso la fine del XIX con la combinazione dei cromosomi.

Il DNA e la complessità della combinazione genetica è studiato solo dopo il 1950, ed è tuttora ai suoi primi passi. Nel rapporto sessuale la funzione della donna è sostanzialmente passiva: l’eccitazione è necessaria solo nell’uomo, e la donna ha il dovere di subire l’aggressione maritale. Rousseaux, nell’ultima parte dell’‘Emilio’ (1762) – la quinta, dedicata alla futura ipotetica sposa Sophie – raccomanda a Sofia di non opporre resistenza, o almeno il minimo possibile, alle future aggressioni del marito.

L’eccitazione sessuale della moglie non è ben vista: io credo che fosse tollerata, non peccaminosa, solo per facilitare l’ingresso del marito. Io ho memoria dei cauti accenni di mia nonna e anche di mia madre sulla loro condizione; e nel 1949 nei corsi di morale matrimoniale mi veniva insegnato che il marito può sempre chiedere il debito coniugale, ma non è conveniente che sia la moglie a chiederlo; mi si insegnava anche che la posizione naturale – e perciò non peccaminosa – era quella dell’uomo sopra la donna: altre posizioni non eccedevano il peccato veniale, salvo casi di necessità.

Si apre qui la questione dell’amore. Impossibile per me, qui, studiare le valenze semantiche e umane del termine nell’area culturale occidentale, quali sviluppatesi nel corso di oltre un millennio. Possiamo distinguere fra amore come attenzione, cura, servizio all’altro: frutto di un atto di volontà come è l’amore del prossimo insegnato dal Vangelo, e amore come intesa e attrazione specifica fra due persone (di norma maschio e femmina) con una componente sessuale.

Quello che importa comprendere è che per la Chiesa e per la cultura occidentale (e molto più in altre aree culturali) l’amore come intesa e attrazione reciproca non è richiesto per il matrimonio. In genere il matrimonio è combinato dai genitori (o da altre simili autorità), spesso fin dall’infanzia. Nelle famiglie signorili per motivi di lignaggio o di classe sociale, in quelle contadine per lo più per motivi ‘poderali’. Ciò in genere fino al XIX secolo, ma anche oltre.

Una mia nonna mi raccontava (ridendo) come sua madre gli indicò dalla finestra quale sarebbe stato il suo sposo, Enrico, e il matrimonio per mia fortuna ebbe buon esito. Ma ancora negli anni ’60 del XX secolo io, allora giudice matrimoniale, ebbi una causa di appello: una ragazza figlia di contadini non voleva lo sposo designato dal padre per creare nuove unità poderali. Era ricorsa al parroco, che rispose: ‘fai quello che tuo padre ti dice’; poi all’ufficio matrimoni del Comune, ed ebbe come risposta: ‘se non ridi ora, riderai poi’; infine al medico condotto, che prese a cuore la cosa, ne parlò col padre che gli rispose: ‘Lei pensi ai fatti suoi. Altrimenti finisce male’.

Nel XX secolo, per motivi che subito vedremo, l’importanza dell’amore come scelta, intesa e attrazione reciproca diventò gradualmente normalità: ma non senza il consenso e la stretta sorveglianza dei genitori (il ‘fidanzato in casa’, autorizzato a incontrare lei nei giorni stabiliti e sotto la sorveglianza di un parente anziano, in genere una zia). Anche io quattordicenne ho dovuto fare lo chaperon alle passeggiate domenicali di una mia cugina col fidanzato (ogni teologo sotto i 75 anni può saperlo solo dai libri, mentre io ne sono diretto testimone). Una celebre coppia di attori cinematografici – Osvaldo Valenti e Luisa Ferida – non poté sposarsi per il divieto del padre di lui, di famiglia appartenente al mondo ‘bene’ dell’epoca, al matrimonio con la Ferida che proveniva da un’ambiente popolare (anni 30-40).

Nel 1954 Carlo Carretto, un dirigente dell’Azione Cattolica, pubblicò il libro ‘Famiglia, piccola chiesa’, che suscitò scalpore e duro rigetto nella Chiesa italiana, e lui fu prontamente rimosso dal suo incarico.

Nel XIX secolo l’amore ‘romantico’ divenne la normalità nella narrativa occidentale, ma molto spesso come fatale passione extraconiugale in gran parte dei casi (si pensi a Anna Karenina e alla freddezza del marito; a Lucia di Lammermoor e al matrimonio imposto dalla famiglia; a Violetta Valery, la Traviata, e l’amore socialmente insostenibile).

Solo col progredire del XX secolo divenne normalità per i futuri sposi, ammessa sia dalla Chiesa che dalla nostra cultura. In realtà un’attrazione corrisposta e ‘sessuata’, ma con profonda valenza non solo ‘sessuale’ fra due persone, vi è sempre stata. I grandi poemi e le grandi narrazioni di tutti i tempi ne rendono testimonianza: l’amor che a nullo amato amar perdona è un’esperienza presente in ogni epoca e cultura. Si pensi al Cantico dei cantici. Solo che non è stato preso in seria considerazione nella morale sessuale e matrimoniale cristiana.

Era in realtà un mistero, e in qualche modo lo è ancora e lo sarà sempre: nei secoli scorsi si è misticizzato l’amore, in specie per la donna (negli Autori tedeschi Mystifizierung qui non indica ‘mistificazione’ ma ‘misticizzazione’). La perfezione dell’amore ‘romantico’ (misticizzato) era già vista da secoli per la donna nella consacrazione verginale delle suore, che divenivano ‘spose di Cristo’.

È difficile escludere, almeno per alcuni rari casi, una inconscia componente sessuale: ma è un tema che qui non posso discutere. Ma anche per la sposa cristiana valeva il detto ‘non per il piacer mio, ma per dar figli a Dio’, ricamato sulla camicia da notte o sul lenzuolo nuziale.

Dove andare? Il punto veramente importante per l’oggi della riflessione morale (cristiana e non) è a mio vedere un altro. Nel corso del XIX secolo due concezioni nuove sono emerse, parallelamente e profondamente innovative rispetto all’impianto di base di tutta la riflessione morale cristiana precedente.

1) l’essere umano non può prendere coscienza e conoscenza di se stesso se non in relazione all’altro. Fin dal seno materno, e poi specialmente nell’infanzia, l’essere umano (come molte altre specie viventi) riceve passivamente memorie – suoni, gesti, linguaggi etc. – che restano spesso allo stato inconscio ma che influiscono sulle sue future scelte e in generale sulla comprensione di sé. Si pensi alla fenomenologia di Husserl e al tema decisivo della coscienza intenzionale, e al conseguente dramma di Sartre sul rapporto-dilemma fra io e non-io. Ma già Feuerbach diceva: ‘Io non posso comprendermi se non specchiandomi nei tuoi occhi’, frase citata da H. De Lubac nel ‘Dramma dell’umanesimo ateo’.

  1. la relazione con l’altro è sempre ‘sessuata’, e quindi il sesso – e in genere la vita e la morale sessuale – non è più pensabile solo come una serie di singoli comportamenti, ma primariamente come una capacità di relazione di una ‘persona’ con un’altra. L’attrazione amorosa, sempre misteriosa, di una persona verso un’altra (si pensi all’influsso inevitabilmente inconscio e impercepibile dei feromoni) chiama in gioco la persona nella sua interezza. È significativo, e dovrebbe far pensare di più i teologi moralisti, che il termine astratto ‘sexuality’ sia registrato nel grande dizionario Merriam-Webster come apparso verso il 1800 (e ‘homosexuality’ solo alla fine del secolo, 1892).

Ma del resto nel mondo cattolico solo nel XX secolo sorsero gruppi o centri di spiritualità coniugale che tenevano in qualche modo conto di questa variazione (in Italia, se ben ricordo, fu attiva l’Opera della Regalità) pur senza analizzarne le cause o la stessa novità teorica.

Inutile ricordare la grande importanza che in ciò ebbe Freud, e non solo nella concezione della sessualità, ma anche e soprattutto nella concezione dell’unicità della personalità umana nel suo rapportarsi all’altro/a.

Oggi molti importanti, e più recenti, studiosi di teologia morale al termine ‘sessualità’ preferiscono il termine ‘relazione’: oggi la morale sessuale non può concepirsi che all’interno di una ‘morale della relazione’.

Io credo che ormai una normativa astratta di singoli comportamenti dei singoli, valida per tutti e per sempre, sia inadeguata per comprendere il significato che un determinato comportamento può assumere all’interno della relazione da cui nasce.

Oggi si assiste indubbiamente a una tragica trasformazione sociale profonda del significato della sessualità: alla perdita di significato (di rilevanza) della sessualità per il mio pormi come persona di fronte ad altra persona. E di questo si usa dar la colpa genericamente alla rivoluzione culturale degli anni ’60-’70 (il temibile sessantotto), e alla sua radice negli autori della Scuola di Francoforte.

Questo vizio semplicistico di tanti autori e predicatori (e gerarchie) cristiani è legato a due autori fondamentali per quell’epoca di passaggio: W. Reich e H. Marcuse.

W. Reich, con ‘La rivoluzione sessuale’ nell’edizione americana del 1946, adotta il principio che la piena realizzazione della persona si ha nell’orgasmo (e arriverà poi a leggere il cosmo intero come un grande orgasmo), distanziandosi così radicalmente dalla sua matrice marxista e dalle prime edizioni (1929-32). In questo quadro il partner sessuale non entra se non come strumento per me: l’idea stessa di relazione fra persone sparisce salvo che come convenienza reciproca. E il libro ebbe in Italia dieci ristampe in dieci anni. Oggi, e solo da pochissimi anni, alla locuzione classica di ‘fare all’amore’ subentra la nuova locuzione ‘fare sessò. Basta pensare al sesso onnipresente nelle varie forme oggi possibili della comunicazione, visiva e uditiva, pubblica e privata: lo scopo è – per principio – la stimolazione sessuale; ma il vero scopo nell’offerente è il lucro derivante dall’indice di ascolto e dall’acquisto o dal ritorno di pubblicità; nelle persone coinvolte è spesso ancora lucro, ma un povero lucro non disgiunto da miseria o da voglia di visibilità, e sempre oggettivamente asservimento.

H. Marcuse invece, fedele all’originaria ispirazione marxista, vede nel ‘principio di produzione’, dominante nella civiltà e nel ‘super-ego’ occidentale, la causa della degenerazione dell’eros. L’altro (in genere l’altra) è visto come strumento di produzione: nella fattispecie, trattandosi di sessualità, è meglio parlare, traducendo dal tedesco (Listing), di ‘principio di prestazione’ e dell’altro come capace di prestazione.

Ma la critica marcusiana a tale fenomeno riprende l’originario impegno di Marx per la liberazione della donna. Eros e civiltà è davvero un libro molto serio, e per i suoi tempi (1955) quasi profetico, e dice esattamente il contrario di Reich. Vi è da domandarsi se tanti censori cristiani abbiano mai letto gli autori che criticano. Ricordo che un giorno, negli anni ’60, durante un pranzo un cardinale serio e colto mi domandava sommessamente: “ma chi è questo Marcuse?”

E qui occorre rilevare un singolare fenomeno su cui occorrerebbe riflettere. Oggi, collegato al sesso, vi è un ritorno massiccio dell’idea tradizionale di purezza-pulizia, parallelo e inverso rispetto ad essa: un ritorno accolto e promosso in forme ossessive dai vari media sempre a scopo di lucro. Si pensi ai vari prodotti di bellezza, al vero culto degli odori corporei da promuovere o da rimuovere, allo slogan ‘prenditi cura di tè promosso da una nota casa di prodotti femminili, alla corsa verso la chirurgia plastica, alla miriade di prodotti para-medicali contro irritazioni, gonfiori, rughe; e si pensi anche al ‘body-building’, alle palestre, alle massaggiatrici o che altro. Per l’uomo, accanto a prodotti simili, è dominante la prestanza fisica, legata all’idea di potenza sessuale: molte ragazze cercano o sospirano di aver rapporti con assi del calcio o del ciclismo o che altro.

Io credo si tratti di una vera liturgia-purità del sesso, o meglio dell’attrazione sessuale sia pure non sempre del tutto consapevole, ma che in ogni caso non ha niente a che vedere con la relazione interpersonale (e in questo senso, e solo in questo, è in continuità col passato).

Partire dal Concilio. Occorre dunque, se vogliamo studiare i gravi problemi morali del nostro tempo, procedere alla luce del Vangelo e dell’esperienza umana. Nel Vangelo abbiamo ben poco, ma quel poco è importante. In Matteo 19 vi è il tema del matrimonio, e viene citato Genesi 3 (e non Gn 1: crescete e moltiplicatevi): il commento di Gesù è “Così che non sono più due, ma una carne sola”, e la congiunzione è opera di Dio, come il formarsi di una convivenza nuova (“lascerà il padre e la madre”) con una evidente valenza sessuale.

In Matteo 5 vi è la condanna del guardare una donna con occhio impuro: ciò è direttamene riferito al desiderare la donna d’altri, ma introduce il tema dell’occhio impuro, cioè il guardare una donna per desiderarne il possesso. L’attrazione sessuale è moralmente buona se mirata a una vita di relazione nuova e totalmente dedicata: per questo il ripudio, anche se non motivato da altri nuovi amori, è la rottura di una relazione che deve essere dono reciproco e totale.

Ciò appare anche nel Cantico, dove l’attrazione sessuale è esplicita, ma sfocia in una dedizione reciproca inestinguibile: “forte come la morte è l’amore”. Si noti come in tutta la Scrittura la procreazione non è mai la causa, primaria o unica, giustificante il rapporto sessuale: lo è sempre invece la relazione di dono totale. Un’argomentazione contraria, da Gen 1 o da 1Tm, sarebbe piuttosto funambolica.

Col Concilio, e solo col Concilio, l’esperienza umana maturata fra il XIX e il XX secolo, e che abbiamo sopra descritto, viene recepita da un documento magisteriale. Nel 1930/40 due autori tedeschi avevano proposto, come valore in sé e non subordinato alla procreazione, la Zweinigkeit – l’esser due in uno. La proposta venne ufficialmente riprovata negli anni ’40 [Decreto S. Offizio 1 aprile 1944].

Ma ancora nel 1959, e cioè tre anni prima del Concilio, la Civiltà Cattolica pubblicava ben tre articoli roventi contro tale dottrina. Nel Codice di diritto canonico (CJC) del 1917, e in vigore fino al 1983, viene ribadita la distinzione fra fine primario del matrimonio (procreatio prolis) e fine secondario (mutuum adiutorium).

Nella Costituzione Gaudium et spes (GS) invece tutto l’impianto del rapporto matrimonio-amore-sessualità-procreazione viene radicalmente riesaminato, proprio ed esplicitamente alla luce del Vangelo e dell’esperienza umana, e superando di slancio oltre un millennio di una logica e di regolamentazioni varie, sia religiose che culturali.

Capitolo I. Dignità del matrimonio e della famiglia e sua valorizzazione §47-52

www.vatican.va/archive/hist_councils/ii_vatican_council/documents/vat-ii_const_19651207_gaudium-et-spes_it.html

Ciò spiega la difficoltà di comprensione e di ricezione della dottrina conciliare, che però almeno in parte è dovuta alla superficialità della lettura del documento (o della non-lettura), e anche al timore di infrangere una tradizione ecclesiastica di regole e precetti, tradizione però solo umana: l’infallibilità (e quindi la perennità) del Magistero ‘tantum patet quantum divina revelatio’.

Non si può dire che la Chiesa nel passato abbia ‘sbagliato’: ha detto quello che era da ritenersi giusto nel quadro delle conoscenze filosofiche e scientifiche e dell’esperienza umana di cui disponeva. Oggi, nella stessa prospettiva, occorre un profondo ‘cambiamento di paradigma’. E, come era prevedibile, è nata anche una vera fobia del cambiamento: ciò non deve meravigliare.

Si tratta di fenomeni epocali che richiedono tempi secolari di comprensione ed accettazione: si pensi al caso di Galileo, formalmente riabilitato solo in tempi recentissimi a quattro secoli di distanza; ma si pensi anche all’evoluzionismo, che dopo oltre un secolo da Darwin è ancora dibattuto in mille modi nell’ambito cristiano.

Gaudium et spes riconosce subito le profonde piaghe che oggi mettono a grave rischio amore e matrimonio: poligamia, divorzio, libero amore, e altre deformazioni; ma anche all’interno del matrimonio l’egoismo, l’edonismo, l’uso improprio antiprocreativo: ‘Quibus omnibus conscientiae anguntur’ (ivi).

Ma le profonde mutazioni sociali odierne, nonostante tutte le difficoltà che ne derivano, ‘saepe saepius veram eiusdem istituti indolem vario modo manifestant’ (ivi). E subito GS dà una definizione del matrimonio come ‘intima communio vitæ et amoris coniugalis’, e tale comunità deve nascere da una ‘intima unio, utpote mutua duarum personarum donatio’.

Qui appare chiaramente quello che ho chiamato ‘cambiamento di paradigma’: al centro di tutta la trattazione di GS appare sempre, e ripetutamente, la mutua personarum donatio , la relazione interpersonale specifica e paritetica che:

  1. abolisce ogni superiorità o potestà dell’uomo rispetto alla donna: Aequali etiam dignitate personali cum mulieris tum viri agnoscenda in mutua atque plena dilectione;

  2. dà un nuovo senso e dignità al rapporto sessuale: gli atti propri del coniugio honesti ac digni sunt et, modo vere humano exerciti, donationem mutuam significant et fovent: così la sessualità ha una sua propria e specifica finalità, indipendente per principio dalla finalità procreativa. Amor ille mutua fide ratus, et potissimum sacramento Christi sanctus, inter prospera et adversa corpore ac mente indissolubiliter fidelis est (ivi).

Da notare l’importante compito che incombe sui coniugi animati da questo autentico amore coniugale: essi debbono fare la loro parte per la formazione di una sana opinione pubblica, non solo con l’armonia e la fedeltà nell’amore e con l’educazione dei figli, ma anche – e questo è del tutto nuovo – “in necessaria renovatione culturali, psychologica et sociali in favorem matrimonii et familiae” (ivi, in fine. E proprio a tale necessario rinnovamento culturale, psicologico e sociale io sto qui cercando di offrire un possibile e coerente volto).

Alla coppia così costituita come relazione di dono totale e reciproco, come communitas vitae et amoris, Dio ha affidato il compito di procreare, ma non solo quello: “ipsa indoles foederis inter personas atque bonum prolis exigunt ut mutuus etiam coniugum amor recto ordine exhibeatur, proficiat et maturescat”.

Nel compito di procreare i coniugi devono sentirsi come cooperatori con l’opera del Creatore, “eiusque veluti interpretes”. La decisione di procreare dunque spetta alla libera e generosa volontà dei coniugi.

Possono infatti imporsi serie ragioni, singole e collettive, per cui la procreazione può non corrispondere all’amore di Dio Creatore: e GS enumera le ragioni fondamentali per cui può essere conveniente o doveroso non procreare.

Ma questo non deve risolversi nell’astensione dai rapporti sessuali: “Ubi autem intima vita coniugalis abrumpitur, bonum fidei non raro in discrimen vocari et bonum prolis (quella già nata) pessumdari possunt”.

E poco dopo ciò viene ribadito con una affermazione di estrema importanza: “Indoles vero sexualis hominis necnon humana generandi facultas mirabiliter exsuperant ea quae in inferioribus vitae gradibus habentur; proinde ipsi actus vitae coniugalis proprii, secundum germanam dignitatem humanam ordinati, magna observantia reverendi sunt”.

Si noti come con questa semplice frase – mirabiliter exsuperant – va in crisi l’intero impianto ultramillenario della morale sessuale cristiana. Tale impianto, che già ben conosciamo, era basato sull’unica specifica ragion d’essere del rapporto sessuale, tipica per tutto il regno animale a cui l’essere umano appartiene, che è quella della riproduzione.

Ogni singolo atto che tendesse ad evitare la riproduzione era considerato ‘contra naturam’. La rilevanza della relazione fra ‘persone’ era sconosciuta. (E il termine stesso di ‘persona’ indicava semplicemente un singolo essere umano più che – come da oltre un secolo – la complessità irripetibile della sua identità psicofisica: e proprio in questo senso oggi giustamente si parla di ‘dignità della persona’.).

Da qui nacque una morale sessuale fatta di prescrizioni o divieti di singoli atti o comportamenti. La GS segna qui una frattura veramente epocale: i rapporti sessuali (nel matrimonio) mirabiliter exsuperant quello che avviene nel regno animale, e la dignità della persona umana fa sì che essi magna observantia reverendi sunt.

L’enciclica Humanæ Vitæ bene esprime, e anche arricchisce, il tema della GS, ma nell’indicare le condizioni di liceità dei modi di impedire la procreazione ricade nella vecchia logica: l’atto viene giudicato nella sua pura fisicità.

L’uso dei tempi infecondi consiste nel non fare nulla che possa ostacolare la procreazione, e per questo viene detto ‘metodo naturale’. Ma si pensi, a titolo di esempio, al problema oggi gravissimo dell’AIDS (HIV): come evitare il contagio, o evitare di trasmetterlo nei figli, se non rinunciando del tutto a ogni rapporto, contro il dettato già ricordato di GS?

In questi e altri simili casi la naturalità puramente fisica (animale) si scontra con, e contraddice, la naturalità umana della relazione interpersonale. Del resto è noto che il papa Paolo VI, per sua stessa dichiarazione, di fronte a due testi contrapposti della Commissione sui metodi contraccettivi, scelse quello di minoranza non senza grande angoscia ed esitazione: e l’Enciclica venne presentata ufficialmente, se ben ricordo, sull’Osservatore Romano come non infallibile.

Restano aperti molti nuovi problemi: vi è molto da riflettere, da discutere e da proporre, una volta caduto il principio assoluto fisico-naturalistico e affermata l’idea di persona con la sua capacità espressiva inglobante la sessualità.

Si pensi alla valutazione dei rapporti prematrimoniali, ad alcune situazioni di vera omosessualità (la ‘persona omosessuale’), alla sessualità in persone gravemente minorate sul piano fisico così da essere incapaci di rapporti sessuali completi e di unione matrimoniale, alla sessualità di giovanissimi non ancora in grado di concepirsi come ‘persone’.

Io ritengo, dopo oltre quaranta anni di studio ma anche di continua esperienza parrocchiale e di colloqui con i giovani, che oggi si assista a un doppio e simmetrico irrigidimento cristiano e ‘pagano’: di segno opposto ma con unica base che direi individualistica.

Il problema ‘morale’, nel senso generico di scelte di vita, nell’area della sessualità viene letto da un lato e dall’altro come problema di comportamenti singoli personali, in cui l’attenzione alla persona dell’altro ha scarso o nullo rilievo.

Nell’area cristiana il tema è il lecito/illecito di un comportamento, sulla base di schemi astratti vecchi di oltre un millennio, nati e sviluppatisi fino ai nostri giorni senza alcuna (o scarsa) attenzione all’amore come dono reciproco, come relazione profonda interpersonale che trova la sua espressione nel rapporto sessuale.

Il sesso è problema del singolo, e si risolve in pratica in una serie di divieti; ciò avviene in genere anche all’interno dei corsi di preparazione al matrimonio, e ciò avviene talora anche in riprovazioni ufficiali nei confronti di Autori che cercano – nel quadro tracciato dalla GS – di studiare più a fondo il problema.

Nella mentalità invece oggi dominante nell’area occidentale si ha un processo simile e inverso. Il sesso è sempre un problema del singolo, maschio o femmina che sia. Il singolo mira sempre a celebrare o soddisfare se stesso anche in campo sessuale, come in campo economico o in quello di prevalenza sugli altri.

Si cerca perciò di fare sesso senza alcuna preoccupazione per una relazione profonda e vitale per il partner, consensuale o pagato che sia. Il senso ultimo del ‘party’, fra pochi o fra moltitudini, è quasi sempre questo.

È in sostanza la logica di Reich (ma non affatto di Marcuse). E si noti che oggi questo vale egualmente per gli uomini come per le donne. Detto brevemente, si cerca sesso e non amore. E tutto il mondo della comunicazione di massa (e di internet) si basa su questo come essenziale fonte di lucro, sia nei film che nelle promozioni (réclames), accentuando e promovendo tale mentalità.

L’annuncio morale cristiano deve coraggiosamente affrontare la morale sessuale con spirito nuovo. Forse noi – teologi, pastori, e anche Magistero – abbiamo troppo e spesso esclusivamente calcato la mano sui comportamenti sessuali invece che sull’idea centrale di vita di relazione, che dovrebbe essere, secondo il Vangelo, il cuore di ogni esortazione morale cristiana in ogni campo, e primariamente nella relazione esplicitamente sessuata.

Forse solo in questo quadro, oggi, singoli precetti in materia sessuale possono avere senso e accoglienza nei nostri giovani (e meno giovani), sopraffatti da un imperante individualismo-egoismo. Occorre riacquistare il senso profondo dell’importanza dell’altro per me, per le mie scelte di vita.

Molto studio e preghiera e molta attenzione pastorale attendono sia i poveri moralisti sia i pastori a ogni livello.

Firenze, 16 dicembre 2008.

Enrico Chiavacci (1926-2013), parroco a Firenze e docente di teologia morale presso la facoltà teologica dell’Italia centrale. È stato presidente della Associazione Italiana Teologi Moralisti, E’ stato anche consulente etico del consultorio familiare UCIPEM di Firenze Università e relatore al Congresso UCIPEM di Roma 1990.

www.blogvitaconsacrata.com/articolo-del-teologo-enrico-chiavacci

 

Asimmetria tra maternità e paternità. Riflessioni a partire dall’ Humanæ Vitæ

  1. Il contesto dell’Humanæ Vitæ: quel che resta del domani. Solitamente il 1968 è ricordato per le agitazioni e gli entusiasmi di una generazione che non si riconosce più nei simboli e nelle pratiche del proprio orizzonte e inizia a trovare estraneo ciò che i genitori vivono come familiare, ordinario, naturale, e dunque necessario (anche se non senza qualche disagio). È una generazione stanca di sistemi scolastici e universitari elitari e senza reale condivisione del sapere, insofferente verso tradizioni e abitudini che finiscono per mortificare la libertà anche sessuale, e spinta a forzare una realtà che non può più avere i confini della casa, ma nemmeno della propria città: le ferite del mondo – come, ad esempio, la guerra in Vietnam – diventano le proprie. La musica canta storie impegnate, i capelli dei ragazzi scendono sulle spalle e l’abbigliamento esprime con colori e forme nuove uno stile di vita alla ricerca di sé, nell’incertezza che sa di promesse, ma anche dei rischi legati a ogni eccesso.

Alle donne capita qualcosa di nuovo: scoprono insieme la forza di protestare contro un ordine simbolico e politico che le ha cancellate da sempre, e si fermano a riflettere sulla loro esperienza singolare e comune, su come creare le condizioni affinché diventi esprimibile in un codice pubblico tradizionalmente strutturato attorno al maschile. È il tempo dei femminismi, che si animano vivacemente e lasciano il segno nella storia: grazie ai gruppi di autocoscienza, alle lotte per la parità politica e sociale e a un lavoro di dissotterramento delle loro narrazioni, le donne prendono la parola e agiscono con un’autorità imprevista, mettendo efficacemente in circolo la loro esperienza finora tacitata, invisibile, irriconoscibile o insignificante. Si riprendono allora la sovranità sul proprio corpo, stanche di oggettivazioni e di norme pensate senza tener conto del loro vissuto. Anche nel diventare madri saranno loro le protagoniste degli eventi.

Le comunità ecclesiali affrontano questi passaggi rigenerate dalla visione ecclesiologica conciliare e incoraggiate da una nuova fiducia nel mondo. La chiesa del Vaticano II sembra essersi disfatta delle paure del passato e di quell’arroccamento con cui aveva scelto di abitare la storia. I credenti iniziano a pensare che sia davvero possibile una fede radicata nel proprio tempo.

Tuttavia, ben presto qualcosa fende quel cielo di sogni: nel 1968 esce l’enciclica Humanæ Vitæ, a firma di Paolo VI. Il testo ribadisce antropologie tradizionali e va in altra direzione rispetto al vento di libertà che era spirato fino a quel momento. In quel contesto di rinnovamento, per il popolo di Dio non è affatto facile accettarla. L’impatto sulla gente è, infatti, particolarmente negativo, soprattutto per la ribadita condanna dei metodi contraccettivi, che ricade severamente sull’esperienza sessuale sorta dal nuovo immaginario erotico e smentisce in modo particolare la soggettualità femminile nel dare la vita. In qualche modo si viene ricacciati nella tradizione. Si avverte un forte senso di solitudine e di infedeltà verso la storia e l’esperienza.

Paolo VI – che comunque già alla fine del concilio aveva avocato a sé la questione del celibato del clero, dell’ordinazione delle donne e della contraccezione – in seguito segnalò chiaramente la distanza tra piano pastorale e dottrinale. Ciò consentì di fatto una certa libertà personale, ma quel linguaggio parlava comunque di un mondo irriconoscibile. Alcuni reagirono, altri cercarono mediazioni, altri ancora si allontanarono del tutto. Molte donne si sentirono tradite: il loro corpo continuava a essere nelle mani altrui. Senza, però, che l’operazione fosse visibile.

Di questo documento è interessante osservare oggi non solo ciò che dice, ma anche ciò che tace: non c’è un effettivo rimando all’esperienza femminile.

La riflessione filosofica conosce bene il dispositivo che qui ha funzionato. Intenzionalmente o no – comunque poco importa –, la prospettiva va ricondotta all’orizzonte biopolitico androcentrico analizzato da Michel Foucault e Judith Butler: i corpi delle donne sono misconosciuti come luoghi di produzione e di elaborazione del senso, di narrazioni o di azioni, e diventa facile parlarne senza fare realmente i conti con l’esperienza femminile. Non è un caso, allora, che in questo documento si parli della genitorialità nei termini di una «paternità responsabile».

  1. Paternità responsabile? Nonostante ci si riferisca all’esperienza di entrambi i coniugi, Humanæ Vitæ usa l’espressione «paternità responsabile» (HV 7-8.10). Da nessuna parte si trova il termine «maternità responsabile». Potrebbe sembrare una sterile sottolineatura formale, un andare alla ricerca di pretesti per sollevare questioni che il testo non tiene. In realtà, il linguaggio è lo spazio di negoziazione del senso: ciò che accade al suo interno spesso è sintomo di ciò che si gioca fuori, nell’ombra del non detto e dell’indicibile. Quando si scelgono le parole da usare tra le molte altre possibili, si dà forma al mondo. Quelle scartate possono restare solo provvisoriamente in silenzio, oppure diventare veri e propri tabù, ma in ogni caso esse fanno comparire un campo semantico mai neutro, epifanico in un certo senso, perché rivela le nostre chiusure e le nostre indifferenze.

Nell’ Humanæ Vitæ il riferimento all’esperienza femminile non c’è, o forse rimane sottinteso, come ciò che della realtà resiste, nonostante tutto, all’indifferenza. L’assenza è indice di una scarsissima confidenza con le donne in carne e ossa, ma è anche sintomo di un antico androcentrismo, che legge il mondo a partire da un soggetto maschile spacciato per universale. Così il documento risulta impreparato a nominare il vissuto delle donne – madri o non madri –, ma anche a fare spazio alla dualità dei sessi e alle tante differenze in cui questa si disloca.

Indubbiamente se l’espressione sul materno fosse stata esplicitata e avesse funzionato realmente come punto di vista dell’altra, probabilmente il testo non avrebbe proseguito con un passaggio teologico in cui si mette in relazione l’esperienza umana della paternità e il volto divino. Sparirebbe o verrebbe, come minimo, sfumata l’analogia in cui l’amore coniugale viene riportato alla radice agapica di un Dio «che è “Amore”, che è il Padre “da cui ogni paternità, in cielo e in terra, trae il suo nome”» (HV 8). È una ripresa della lettera agli Efesini (3,15), ma in questo contesto rischia di risultare fuorviante, escludente, mutilante sia a livello antropologico sia a livello teologico, livelli che si rinsaldano a vicenda. Ancora una volta, non è tanto il modo di essere di Dio a fare da misura ai nostri immaginari, ma sono i nostri immaginari, distorti perché sviluppati in assenza del femminile, a rinchiudere Dio in recinti sessuati al maschile e a ridurre la storia e le sue narrazioni.

Quest’ingombro simbolico porta, quindi, a riferire agli sposi una «missione di paternità responsabile» (HV 10), descritta come esercizio di contenimento rispetto all’istinto e alle passioni, di giudizio sulle condizioni fisiche, economiche, psicologiche e sociali, di rapporto con un ordine morale oggettivo stabilito da Dio stesso, in cui uomini e donne sono chiamati a trasmettere la vita conformandosi alla volontà divina. Il passaggio dall’uno al due e la sua giustificazione teologica non vengono avvertiti come problematici.

Si potrebbe pensare che i tempi allora non erano maturi e che non vale la pena insistere adesso su una questione legata a un orizzonte lontano, che ancora non aveva messo completamente a fuoco la libertà femminile, il punto di vista delle donne e l’urgenza di rivedere i legami tra i sessi. In realtà, poiché molto di irrisolto oggi rimane, il discorso non può dirsi esaurito.

  1. Acqua passata? Sono passati ormai cinquant’anni, è vero. Nel frattempo c’è stato il femminismo, che ha contestato e combattuto il patriarcato, ha preteso una riconfigurazione dei rapporti tra i sessi e ha espresso con parole impreviste l’esperienza delle donne, che vogliono realizzarsi senza essere costrette a sparire nell’intimità di una casa, ma anche abitare lo spazio pubblico senza per questo dover assomigliare a un uomo. Si comincia ad avvertire che una donna guarda, patisce e trasforma il mondo a partire da un’esperienza che non può in alcun modo essere dedotta da quella di un uomo. Si potrebbe dire: e viceversa. Certamente: ma nella storia questa inversione, che si sappia, non è mai accaduta.

Il mondo indubbiamente ha fatto dei passi avanti significativi. Eppure lo squilibrio resta e il rapporto tra i sessi non è in pace. Le donne fanno ancora i conti con la violenza bruta e con quella simbolica, urtano sul piano del lavoro contro invisibili soffitti di cristallo, risentono dell’impossibilità di vivere un destino imprevisto senza essere colpevolizzate, patiscono la mancanza di parole e di pratiche in cui divenire se stesse.

Una crisi attraversa anche il mondo maschile, costretto a oscillare da un immaginario di potenza e di virilità, a uno di tenerezza e di sensibilità, in un mondo che non offre mediazioni simboliche e concrete per abitare la tensione, né spazi in cui riflettere sulla propria interiorità. Gli uomini si ritrovano allora fragili, vulnerabili e disorientati, senza gli strumenti necessari per patire e integrare la mancanza. L’aggressività con cui a volte si esprimono si spiega anche così. Il lavoro introspettivo e politico per gestire la situazione è solo agli inizi, ma gli uomini più attenti e maggiormente all’altezza del proprio tempo non si sono tirati indietro.

È un lavoro complesso, che oggi deve misurarsi con il potenziamento delle tecnologie. Nel silenzio etico di uno sviluppo che pare sempre buono, si profilano problemi inediti ed estremamente delicati. Le tecnologie si sono impadronite della storia senza mettersi in ascolto dei soggetti, delle loro urgenze, della complessità delle loro esistenze. Preoccupate di intercettare i bisogni e di suscitarne di nuovi, esse non si soffermano su quale visione dell’umano le ispiri. Hanno indubbiamente garantito benessere, ma in modo non sempre giusto, inclusivo, capace di custodire le differenze vitali. E in un tempo in cui il corpo è finalmente considerato la mediazione originaria di ogni esperienza – tutta la vita passa di lì – una deleteria prospettiva neutra e oggettivante domina, dimenticando che è nella carne che si desidera, si descrive, si giudica, si sente, si incontra o si respinge il mondo.

In questo scenario è facile disimparare che si nasce sempre da una madre. Il misconoscimento della portata non solo fisica, ma anche simbolica, culturale e sociale del femminile e, dunque, del legame madre-bambina/o, fa il resto.

  1. Nascere da una donna: asimmetria tra paternità e maternità. La storia della filosofia è disseminata di pensieri sulla morte. Il Novecento ha registrato la riduttività di questo sguardo: noi non siamo solo esseri destinati a morire e a far fronte alle tante morti che la vita ci fa sperimentare quando indurisce i suoi passaggi. Siamo anzitutto protagonisti di una nascita impensabile, venuti al mondo senza averlo scelto, nella passività originaria in cui sorge ogni esistenza.

Il nostro corpo è il punto zero in cui ogni esperienza soggettiva si avvia e matura, ma quel corpo è anzitutto dono del farsi prossimo di altri, spazio di dipendenza e di sensazioni non dominate: il neonato in braccio alla madre che lo allatta, per esempio, vive di un contatto subìto, che non può gestire. Questa passività originaria dovrebbe essere la radice di ogni gestualità e parola futura, sempre seconde di fronte a una realtà che precede.

Eppure si dimentica in fretta. La ragione si mette a pensare come se quella passività fosse insignificante e senza effetti: ci si concentra sull’arché, il principio da cui tutto si forma, o ci si impegna a suddividere il mondo in buoni e cattivi senza prenderla minimamente in considerazione. L’imbarazzo teoretico verso l’elemento materno è il frutto di quest’oblio, che porta un filosofo come Michel Henry, per esempio, ad affermare che nascere è affare del singolo e solo suo. Di questo taglio risente anche la teologia, che trascura la portata simbolica della storia dell’incarnazione, nella quale si racconta che il divino, in questo mondo, c’è finito grazie al desiderio di una donna che ha incontrato quello di Dio. L’esclusione simbolica e pratica del femminile nella storia si lega a questo peccato originale di voler fare tutto da soli, sempre senza di lei.

A volte si crede di riparare la colpa e il danno attraverso il registro della complementarità. Tuttavia, l’impressione è quella di un vicolo cieco. È di asimmetria, invece, che c’è bisogno. «Asimmetria» non è termine immorale. Non è detto che sia il terreno fertile per seminare ingiustizie. È una parola che può essere usata per proteggere le differenze da una sintesi perversa, che perde quelle non paragonabili tra loro e che, dunque, sfuggono a una misura comune, di uguaglianza o di differenza quantitative. È questo il caso della generazione di figli: madri e padri vivono un’esperienza molto diversa e senza misura di confronto. Il coinvolgimento corporeo e psicologico nella gravidanza è decisamente particolare e contingente: una donna diventa madre in un modo complesso e assolutamente singolare, che va decisamente oltre la dimensione puramente biologica, semmai questa si desse come tratto assoluto. C’è un immaginario di sé e del proprio destino che entra in gioco immediatamente e che alla notizia fa reagire ciascuna in modo personale, secondo la propria memoria e il proprio desiderio. Il mondo interviene, con le sue pressioni, le sue tradizioni, le sue aspettative e le sue risorse. Eppure tutto ciò non è originario, perché è parola che si spiega con altro. Originaria è l’esperienza della madre, che si trova abitata da un’alterità che è già dentro e che fa saltare tutti i confini tra il sé e il non sé. È un momento in cui sfuma la differenza tra l’uno e il due. Infinito è lo spettro del vissuto, che va dal senso di invasione, all’entusiasmo per il divenire ospitali.

Le parole qui dovrebbero farsi balbettanti e accompagnare gli eventi lasciandoli anzitutto esprimere. Invece troppo spesso i discorsi violentano questa drammatica esperienza materna di «una divisione della carne stessa» e, per conseguenza, «di una divisione nella lingua».

In quest’avventura meravigliosa si stende l’ombra della catastrofe identitaria, rada o densa, ma comunque reale. È la fatica del percorso personale che porta una donna a diventare madre, in una complessità mai deducibile a priori, perché riguarda un’esperienza profonda che mette alla prova il corpo, agita la mente e scompiglia le relazioni. Una madre è messa a contatto «con un altrove, dove lei stessa non sapeva di essere», scrive Marguerite Duras recuperando il suo sguardo di bambina. Il pittore austriaco Egon Schiele ne offre un’immagine davvero sconvolgente: nella sua opera La madre morta si vede una donna dall’espressione cupa e rabbuiata che ospita in sé un bambino luminosissimo, in evidente contrasto con l’oscurità che gli sta intorno.

In una madre, dunque, c’è sempre qualcosa che la rende irraggiungibile. La sua esperienza si gioca a un livello così profondo che i parallelismi e le analogie vengono meno. Ciò non significa che allora ci si debba rassegnare a una sorta di teologia negativa delle madri. Solo non si può parlare della loro storia e del loro vissuto senza ascoltarle. Troppi discorsi sulla vita, sull’aborto, sull’amore, sulle relazioni affettive si pongono in modo astratto, fermi a una riduttiva logica dei diritti e dei doveri che non raggiunge in profondità la trama del vissuto.

Questo recupero della dimensione asimmetrica potrebbe costituire una liberazione anche per l’immaginario della paternità, ricordando che, nel bene o nel male, un padre diventa tale sempre attraverso la mediazione di una madre. La reciproca è vera, ma non nello stesso senso.

In questa storia senza equilibrio si deve allora riscoprire la parzialità di ogni esistenza: quella delle madri, con tutta la complessità dell’esperienza di spartizione corporea che lascerà tracce per sempre, e quella dei padri che, in un ordine simbolico come questo, sono contraddittoriamente chiamati a reggere l’intero, da un lato, e invitati a nascondere fragilità, vulnerabilità e affettività, dall’altro.

Non c’è possibilità di comporre perfettamente una modalità maschile e una modalità femminile di vivere la genitorialità. Qualcosa di incommensurabile resta sempre. Per questo nessuna voce può parlare al posto dell’altra. L’alleanza tra uomo e donna inscritta nel progetto salvifico di Dio come partecipazione alla sua opera creatrice è fragile e bisognosa di cura, ma sarà un cumulo di bugie o di immagini di facciata senza il riconoscimento delle tensioni irrisolvibili che la turbano.

  1. Tradizione rivitalizzata. Riattraversata non solo per ciò che afferma, ma anche per ciò che tace, l’Humanæ Vitæ aiuta a ricordare che una tradizione è viva perché chi vi partecipa è capace non solo di ripeterne le espressioni, ma anche di intercettarne l’implicito che solo un tempo maturo può riconoscere come essenziale. Una tradizione vive di esperienza, sorge per dar vita a infinite esperienze, è esposta e prende corpo nelle esperienze. Quando si stacca dai vissuti e si sradica dalle storie, essa perde la propria linfa vitale e muore. Una tradizione che tradisce l’asimmetria tra donne e uomini nella vicenda della genitorialità è una tradizione che rischia di spegnersi.

In Amoris lætitia quella tradizione viene rivitalizzata, anche se il cammino per vivere l’asimmetria tra i sessi senza gerarchizzazione delle differenze è ancora lungo. Papa Francesco qui riconosce l’opera materna come una collaborazione con il Dio creatore (AL 168) che è attiva, in quanto coinvolge sempre il desiderio della donna: una donna partecipa al progetto di Dio «sognando suo figlio» (AL 169), ed è chiamata poi a incarnare il sogno nel limite della storia e della realtà, attraverso lo Spirito di un Dio che ha promesso di custodire sempre e comunque la gioia delle sue creature. È in questa cornice che Amoris lætitia parla dell’«amore di madre e di padre» (AL 172-177). Quest’apertura non solo dà voce alle esperienze, ma libera anche il volto di Dio dall’androcentrismo, perché è «paterno e materno» (AL 28).

Ciò che resta da fare, a partire da qui, riguarda l’unicità e irripetibilità di ogni storia personale, che in una cornice di asimmetria tra i sessi deve sempre trovare voce.

Lucia Vantini Credere Oggi n. 224 marzo/aprile 2018

https://alzogliocchiversoilcielo.blogspot.com/2018/05/lucia-vantini-asimmetria-tra-maternita.html

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MATERNITÀ SURROGATA

Come funziona l’utero in affitto?

Coronare un sogno d’amore, completare la coppia, continuare la stirpe, avere un erede, sono solo alcuni dei motivi che spingono ad avere un figlio. Donare la vita ad un altro essere umano è probabilmente una delle cose più belle ma se questo diventa impossibile per motivi di salute, o per il superamento nel naturale limite di età, il sogno si trasforma in incubo. Quando neanche i trattamenti ormonali o la fecondazione assistita portano al risultato tanto sperato, la maggior parte delle coppie tende ad arrendersi pensando di non essere destinata a diventare genitori. Molti non prendono in considerazione il percorso dell’adozione perché lo ritengono troppo complesso ma si orientano verso una pratica che in Italia non è legale ma in molte nazioni del mondo, come ad esempio gli Stati Uniti o la Russia, viene regolarmente riconosciuta, la maternità surrogata: come funziona l’utero in affitto?

L’utero in affitto. In alcuni Stati, come è possibile affittare un appartamento o un’automobile è possibile affittare anche un utero. Alcuni a questa affermazione potrebbero inorridire ma è quello che accade davvero in luoghi in cui la maternità surrogata è oramai una pratica consolidata e nessuno o pochi si scandalizzano. Da una parte vi sono delle donne, o degli uomini, che non possono avere figli per i motivi più diversi, dall’altra, invece, vi sono donne giovani e fertili che mettono a disposizione il proprio corpo per fare nascere dei bambini. In sostanza, grazie alla maternità surrogata si soddisfano vicendevolmente queste due diverse esigenze che comunque, indipendentemente da tutto, meritano la giusta attenzione.

Le parti coinvolte in questo particolare rapporto giuridico sono essenzialmente la madre surrogata, ossia la donna che materialmente offre il proprio utero, e i futuri genitori del bambino. Un apposito contratto, sottoscritto tra le parti, evidenzia i reciprochi obblighi e stabilisce il compenso per la madre surrogata che varia a seconda della nazione di riferimento. Questo, a grandi linee, è quello che accade ma sono in molti a domandarsi, quando si parla di maternità surrogata, come funziona esattamente l’utero in affitto?

Come funziona l’utero in affitto? Generalmente, si rivolge ad una madre surrogata il single, la coppia eterosessuale o omosessuale che non può avere figli o che, pur potendoli avere, preferisce che sia un’altra persona a portare avanti la gravidanza per i motivi più disparati.

Chi è interessato a questa pratica si rivolge ad apposite organizzazioni che seguono i futuri genitori in ogni fase. Dal momento che l’utero in affitto in Italia è assolutamente vietato e considerato reato, gli italiani che sono orientati verso questa forma alternativa di procreazione devono recarsi nelle nazioni in cui è legale.

Arrivati sul posto, l’organizzazione predispone un incontro conoscitivo in cui si espongono i vari passaggi della procedura e si consente alle parti di conoscersi e familiarizzare.

Con la maternità surrogata vengono impiantati spermatozoi e ovuli dei richiedenti oppure di donatori e donatrici attraverso concepimento in vitro.

1Le donne che pongono il proprio utero in affitto lo fanno, nella gran parte dei casi, a scopo di lucro, alcune però si prestano per scopi solidaristici, ad esempio come avviene tra sorelle o amiche di cui una è sterile e l’altra porta avanti la gravidanza al suo posto.

La trascrizione. Il bambino nasce nella nazione estera dove la maternità surrogata viene considerata legale e da quel momento in poi la madre cessa il suo compito e affida il piccolo ai suoi genitori. La nascita viene regolarmente registrata nello Stato in cui avviene e il bambino è munito dunque di certificato.

Con riferimento al ritorno in Italia, l’atto di nascita deve essere trascritto presso il Comune di appartenenza. Se per le coppie eterosessuali la procedura è relativamente più semplice in quanto si diventa automaticamente genitori del bambino nato all’estero, per le coppie omosessuali il genitore è solo uno, soltanto quello biologico, per l’altro la coppia si deve rivolgere al tribunale chiedendo l’adozione.

Casi di maternità surrogata. I casi di maternità surrogata sono molto frequenti anche tra i vip, italiani ed internazionali, in quanto, essendo una pratica abbastanza costosa, non tutti possono permetterselo. Ne hanno fatto ricorso ad esempio Ricky Martin e Jodie Foster come single, Sarah Jessica Parker e Matthew Broderick, Kim Kardashian e Kanye West, come coppie eterosessuali, Elton John e David Furnish, Niky Vendola ed Eddy Testa come coppie omosessuali. Questi ultimi, in particolare, sono genitori di un figlio nato da madre surrogata in Canada e, pur essendo uniti civilmente, a seguito della legge sulle unioni civili, a causa della mancata approvazione della stepchild adoption, ossia dell’adozione del figlio del partner, attualmente per la legge italiana viene riconosciuto padre del bambino solo Eddy Testa, quale padre biologico, e non anche Niky Vendola.

Sentenza. Non commette reato di falsa certificazione la donna che dichiara di essere la madre di bambini nati con la maternità surrogata, con fecondazione eterologa, se in quel Paese la pratica è lecita. La Cassazione ribadisce il principio in relazione ad una vicenda di utero in affitto avvenuto in Ucraina, paese dove tale pratica è consentita dalla legge nazionale, a condizione che uno dei due committenti sia anche il genitore biologico, circostanza ricorrente nella fattispecie. Per i giudici, non solo manca il dolo del reato di alterazione di stato nella richiesta di registrazione dell’atto di nascita, ma anche l’elemento oggettivo, posto che il concetto di stato di filiazione tende ad essere non più legato ad una relazione necessariamente biologica, ma sempre più ad essere considerato legame giuridico.

Corte di Cassazione, sesta Sezione penale, Sentenza n. 48696, 17 novembre 2016.

www.neldiritto.it/appgiurisprudenza.asp?id=13551#.WxKcAyC-nAc

Rossella Blaiotta La legge per tutti 2 giugno 2018

www.laleggepertutti.it/206490_maternita-surrogata-come-funziona-lutero-in-affitto

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MOBBING

Mobbing familiare: cos’è e come difendersi

Le condotte che possono configurare un mobbing coniugale o familiare: quando il comportamento integra un reato è possibile sporgere querela, altrimenti c’è solo l’addebito.

Quando si parla di mobbing si pensa sempre, in prima battuta, alle angherie del datore di lavoro nei confronti dei dipendenti. Invece il concetto di mobbing, che identifica una serie di condotte oppressive, volte a mortificare la vittima e a perseguitarla, si presta ad essere calato anche in altri ambienti. Così come esiste, ad esempio, il mobbing condominiale (quello realizzato dal vicino di casa che “prende di mira” un altro condomino), c’è anche il mobbing familiare o il mobbing coniugale. Di cosa si tratta? La parola lo lascia già chiaramente intuire: sono le oppressioni che avvengono all’interno del nucleo familiare, da un coniuge nei confronti dell’altro, o dai genitori nei confronti dei figli. Quando si ha a che fare con il mobbing familiare però la tutela penale è particolarmente forte: la vicinanza quotidiana tra vittima e carnefice fa sì che le condotte sconfinino facilmente nei reati di maltrattamento familiare, atti persecutori, violenza e aggressioni.

Cos’è il mobbing familiare? Se un coniuge pone in essere degli atti violenti nei confronti dell’altro commette delle violazioni talmente gravi dei doveri nascenti dal matrimonio da fondare, di per sé soli, non solo la pronuncia di separazione (trattandosi di una causa che certamente determina l’intollerabilità della convivenza), ma anche la dichiarazione di addebito. La violenza non deve necessariamente essere fisica, ma può anche essere psicologica; può consistere nell’emarginazione, nell’umiliazione reiterata, nel far mancare al proprio coniuge i mezzi di assistenza.

Il mobbing familiare o, più nello specifico, il mobbing coniugale, ha proprio origine da uno di questi comportamenti. La caratteristica principale del mobbing è che si tratta di una sommatoria di comportamenti, reiterati nel tempo, che singolarmente presi potrebbero anche non avere alcun rilievo di reato (ad esempio il marito che un giorno grida la moglie non commette un illecito penale, ma se lo fa in continuazione sì). L’importante è che lo scopo unitario che sorregge tutti questi comportamenti sia rivolto all’umiliazione della vittima.

In generale, la Cassazione ha più volte detto che, per potersi parlare di mobbing (in qualsiasi ambiente, sia esso familiare, lavorativo, condominiale, ecc.) sono necessari i seguenti elementi [Cass. Sezione Lavoro, sent. n. 10285/27.4.2018]:

  1. Una serie di comportamenti di carattere persecutorio – illeciti o anche non leciti se considerati singolarmente – che, con intento vessatorio, siano posti in essere contro la vittima in modo miratamente sistematico e prolungato nel tempo;

  2. Il danno alla salute, alla personalità o alla dignità della vittima che, nel nostro caso, è un componente del nucleo familiare. Se non c’è un danno, non si può neanche parlare di mobbing. Resta comunque la possibilità di agire per i reati eventualmente commessi e accertati (ad esempio, il maltrattamento o la minaccia scattano a prescindere dall’aver procurato un danno);

  3. L’intento persecutorio che deve muovere il colpevole e portarlo a realizzare tutti i comportamenti lesivi. Si parla, a riguardo, di un dolo specifico ossia della volontà che deve sorreggere ogni singola condotta mobbizzante, volontà rivolta a realizzare il danno nella vittima.

Quando scatta il mobbing familiare? Abbiamo visto quelle che sono le caratteristiche, in generale, del mobbing e che valgono anche nel caso di mobbing familiare o coniugale. Ma quali sono, nel concreto, i comportamenti che possono dar luogo a questa particolare forma di illecito? La giurisprudenza ne ha individuati alcuni.

Sicuramente siamo nell’ambito del mobbing familiare tutte le volte in cui vengono posti dei comportamenti violenti a carico di uno dei due coniugi o dei figli.

Ad esempio è il caso di reiterate violenze fisiche e morali, inflitte da un coniuge all’altro [Cassazione sent. n. 7321/2005]; le continue aggressioni e violazioni del diritto all’incolumità, all’integrità fisica e alla dignità del coniuge [Cassazione sent. n. 8928/2012, n. 26571/2007, n. 5379/2006]; le ingiurie, le aggressioni, le offese sul piano estetico e svalutazioni in pubblico della coniuge come moglie e come madre, accompagnati da insistenti pressioni affinché lasci la casa familiare [C. App. Torino sent. del 21.02.2000]; le condotte vessatorie e violente nei confronti dell’altro coniuge anche se scaturite da uno stato di disagio profondo e cagionate dalla peculiare cultura e storia personale del coniuge [Cassazione sent. n. 19450/2007]; i comportamenti dispotici del marito non giustificabili né dall’ambiente rurale legato al ruolo autoritario e gerarchico dell’uomo né dalla tolleranza della moglie, in stato di dipendenza psicologica [Cassazione sent. n. 8094/2015].

[ Abbiamo anticipato che il mobbing familiare si può verificare anche quando il singolo comportamento non è considerato illecito, ma lo diventa nel momento in cui viene ripetuto nel tempo. Rientrano ad esempio in questa casistica la mancanza di lealtà, il mancato riserbo sulle vicende coniugali e personali, i fatti che impediscono all’altro coniuge di avere rapporti con la famiglia di origine, l’atteggiamento autoritario e impositivo, il rifiuto ingiustificato di assistere il coniuge malato o in stato di bisogno. Un tipico esempio di mobbing familiare si ha in caso di atteggiamento autoritario, dispotico, ingiurioso e violento. Secondo la Cassazione rientra nelle violenze familiari – e quindi anche nel mobbing – il persistente atteggiamento di un coniuge, nei riguardi del coniuge e/o dei figli, eccessivamente rigido e a tratti connotato da atti di violenza, indifferente alle valutazioni e alle richieste della vittima (e perciò fonte di angoscia e di dolore) [Cass. Sent. n. 17710/2005].

Le violenze psicologiche e le prevaricazioni, il mancato rispetto della dignità del coniuge, fanno altresì scattare l’illecito in commento.

Mobbing familiare: come riconoscerlo? Il problema del mobbing familiare è spesso legato al fatto che scaturisce da condotte di per sé isolate e non continuative. Sicché proprio nell’individuare quella sistematicità necessaria all’illecito spesso si trovano le maggiori difficoltà. Di sicuro, non possiamo parlare di mobbing in presenza di uno o due episodi soltanto. La legge non individua un numero minimo e proprio qui sta il problema. Una interessante sentenza della Corte di Appello di Catania [sent. del 26.11.2015] ha detto che il concetto di mobbing familiare è preso in prestito dai rapporto di lavoro ed è proprio da questi che dobbiamo partire per capire cos’è il mobbing familiare: si tratta di un comportamento prevaricatore normalmente favorito dall’asimmetria dei ruoli. Invece, il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi. Pertanto per potersi parlare di mobbing familiare, deve darsi la prova che è stato significativamente alterato il principio di parità e lesa la dignità della persona.

Mobbing familiare: esiste davvero? La Cassazione penale ha fatto una importantissima precisazione sul mobbing familiare [sent. n. 13983/2014]: si tratta di un illecito che non esiste in via autonoma per il diritto, poiché le condotte che abbiamo descritto rientrano – quasi tutte – in autonomi reati, già puniti con le sanzioni del codice penale. In caso di crisi, anche grave e cronica, tra coniugi, non è pertinente e, quindi, non applicabile la normativa sul mobbing, presupponendo quest’ultimo che tra gli autori dell’illecito e la vittima sussista comunque uno stato di subordinazione, insussistente tra coniugi, i cui rapporti sono qualificati da un carattere di assoluta parità: in materia familiare la nozione ontologica ed effettuale di mobbing ha contenuto soltanto sociologico e descrittivo, e come tale, privo di rilevanza giuridica.

Mobbing familiare: come difendersi?

Seguendo il ragionamento della Cassazione da ultimo citato, non si può agire contro il mobbing familiare come autonomo illecito ma bisogna individuare le tutele che l’ordinamento prevede per le singole ipotesi. Detto in altre parole non c’è uno specifico rimedio contro il mobbing visto che le condotte sono già punite da altre norme di legge.

Sicuramente, poiché il mobbing coniugale, per come descritto, finisce per costituire una violazione dei doveri del matrimonio, la vittima può chiedere sempre la separazione con addebito a carico del coniuge colpevole. Spesso la vittima è la moglie ed è anche questa il soggetto con il reddito inferiore; questo significa che anche in assenza di addebito a carico del marito non viene meno il suo diritto a percepire il mantenimento (diritto che consegue per il semplice fatto di avere uno stipendio più basso).

Resta infine la possibilità di denunciare il soggetto mobbizzante qualora il suo comportamento integri uno specifico reato.

In sintesi:

  • Quando le condotte mobbizzanti costituiscono un illecito penale, c’è la possibilità di sporgere una querela o una denuncia contro lo specifico reato;

  • In tutti gli altri casi si può chiedere la separazione con addebito.

Redazione La legge per tutti 29 maggio 2018

www.laleggepertutti.it/210348_mobbing-familiare-cose-e-come-difendersi

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NONNI

I nonni hanno diritto di vedere i nipoti?

La fine di un rapporto di coppia comporta inevitabilmente degli strascichi dolorosi, i bambini sono coloro i quali ne subiscono maggiormente le conseguenze. I nonni hanno diritto di vedere i nipoti? Il rapporto nonni-nipoti spesso viene compromesso dai litigi tra i genitori che, egoisticamente, non pensano alle conseguenze dei loro gesti.

Il matrimonio, o una convivenza stabile, non comporta esclusivamente la nascita di un nuovo nucleo familiare composto da due persone ma implica anche un’estensione dei rapporti familiari che, con l’arrivo dei figli, diventa ancora più forte. I nonni rappresentano una risorsa insostituibile per il benessere dei bambini in quanto li accudiscono, permettendo ai genitori di lavorare con serenità sapendo di lasciarli in ottime mani, li amano immensamente e li aiutano nel difficile cammino della vita. In un Paese in cui si fa molto poco per aiutare le famiglie nella gestione quotidiana dei figli, con asili dai prezzi improponibili e sussidi praticamente inesistenti, i nonni costituiscono una vera e propria ancora di salvezza. Ma cosa succede quando la coppia si spezza e si separa, i nonni hanno diritto di vedere i nipoti?

La separazione. La separazione è un evento traumatico non solo per le parti in causa ma, in particolare per i più piccoli che vedono la distruzione della propria famiglia. In alcuni casi, nonostante la rabbia e il risentimento gli ex riescono a mantenere una parvenza di cordialità e di civiltà a beneficio dei figli evitando dunque liti e scenate per non farli preoccupare. Coloro che agiscono in questo modo dimostrano di essere persone intelligenti ed equilibrate che, pur non volendo proseguire il rapporto a due, per i motivi più disparati, non vogliono trascurare il loro ruolo di genitori che prevale su tutto. In altri, invece, si assiste ad episodi di guerriglia in cui odio e dolore vengono riversati vicendevolmente e colpiscono, di conseguenza, anche i bambini. Nei casi di separazioni non consensuali ogni frase, ogni gesto viene interpretato come un’arma utilizzata per attaccare l’altro e l’ostilità colpisce tutti, anche chi non ha nessuna responsabilità. Capita dunque che, quando i rapporti con l’ex sono tesi, i bambini vedano poco il proprio genitore e, per l’effetto, venga impedito loro di frequentare la famiglia d’origine. I nonni, da perno e aiuto indispensabile vengono esclusi totalmente dalla vita dei propri nipoti, non potendoli né vedere né sentire. Poiché tale stato di cose viene utilizzato quasi come una vendetta personale, viene spontaneo domandarsi: i nonni hanno diritto di vedere i nipoti?

Nonni e nipoti di genitori separati. Nonni e nipoti di genitori separati vivono palesemente una grave forma di disagio che li vede coinvolti, loro malgrado, in una vera e propria guerra che mette in netta contrapposizione due famiglie. Quando una coppia si separa spesso non pensa alle conseguenze che subiscono gli altri, in particolare i bambini e i nonni che vengono inevitabilmente allontanati. Il problema si acuisce quando, a seguito di separazione, uno dei due partner decide di lasciare la città dove era stata fissata la residenza della famiglia per trasferirsi altrove. In queste circostanze la sofferenza è doppia in quanto viene spezzato un legame fortissimo che non sempre si riesce ad allacciare, soprattutto in età adulta. Poiché i bambini non hanno la disponibilità di avere un telefono, i nonni, soprattutto quando c’è opposizione da parte dei genitori, non solo non riescono ad incontrarli fisicamente ma non possono neanche parlarci. Alcuni genitori non hanno la sensibilità di capire che, nonostante il fallimento come coppia, occorre preservare l’equilibrio dei figli che trovano nei nonni un sostegno costante che non deve essere mai negato. Coloro che si trovano in queste situazioni cercano una risposta univoca alla domanda che si ripete in continuazione nella loro testa, diventando quasi un’ossessione alla quale è difficile sfuggire: i nonni hanno diritto di vedere i nipoti?

La norma vigente. La legge italiana, fino a qualche tempo fa, non prevedeva una disposizione che potesse assicurare ai nonni il diritto di frequentare i propri nipoti e di assisterli nella crescita, probabilmente perché non se ne riscontrava l’esigenza. Poi, a causa del verificarsi di episodi spiacevoli che mettevano a serio repentaglio questo rapporto così importante, si è cercato di porre rimedio. In sostanza, l’ordinamento italiano ha compreso la necessità di assicurare una maggiore tutela ai diritti degli ascendenti, ossia dei nonni, ed ha quindi modificato [Modifica dell’art. 317bis del codice civile attuata mediante il Dlgs. n. 154 del 28.12.2013] un articolo del codice civile il quale, nella nuova versione prevede che quest’ultimi abbiano diritto a mantenere delle relazioni costanti con i propri nipoti. Lo stesso articolo stabilisce inoltre che, nel caso in cui questo diritto venga negato, i nonni possano rivolgersi al tribunale competente per ottenere un provvedimento giuridico nell’interesse del bambino. Pertanto, i nonni hanno diritto di vedere i nipoti e ad agire in via giudiziale per il rispetto di questo diritto.

Diritto non automatico. I nonni hanno diritto a vedere i nipoti ma, come affermato recentemente anche da una recente pronuncia [Tribunale per i Minorenni di Venezia – decreto 7 novembre 2016], non si tratta di diritto automatico nel senso che, il rapporto deve essere coltivato solo se porta un reale beneficio ai bambini: si deve volerli frequentare realmente con amore e non, come purtroppo talvolta accade, per fare un dispetto all’ex genero-nuora e alla sua famiglia di origine. In altre parole, occorre contemperare l’interesse dei nonni con quello dei minori con netta prevalenza di quest’ultimo. Con questa decisione si evidenzia ancora di più l’importanza di garantire ai bambini dei rapporti familiari sereni e non connotati da egoismi e ripicche personali. Le liti, la tensione, l’odio covato, non sono certamente sentimenti da inculcare al bambino che, proprio a causa di questi comportamenti scorretti, rischia di crescere con un’idea distorta della famiglia e di arrivare all’età adulta con un senso di vuoto che rischia di ripercuotersi sui suoi rapporti futuri.

Corte di Giustizia Europea. Anche la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo ha di recente stabilito, con sentenza, l’importanza che i nonni possano trascorrere del tempo con i propri nipoti, instaurando un rapporto fondamentale per il loro futuro. Allo stesso tempo però, ha sanzionato l’Italia in quanto, pur riconoscendo legislativamente questo diritto, non ha predisposto le misure tali da metterlo efficacemente in esecuzione.

Una coppia di nonni di Torino decideva di rivolgersi alla Corte Europea a causa della concreta impossibilità di incontrare la propria nipotina, in seguito alla separazione dei genitori. Il percorso giuridico, concomitante con il loro calvario personale, iniziava nel 2002, anno in cui i due anziani si rivolgono al Tribunale di Torino per rivendicare il loro diritto di frequentare la bambina, ma nonostante una pronuncia favorevole la situazione non cambia minimamente, per l’inerzia totale dei servizi sociali. La Corte di Strasburgo, interpellata con ricorso [n. 107/2010], ha emesso quindi una sentenza [20.01.2015], di portata storica, che conferma il diritto dei nonni di frequentare la nipote sanzionando, contemporaneamente, l’Italia in quanto ha impedito la concreta realizzazione di tale diritto. La sentenza determina una vittoria per tutti quei nonni che a causa di separazioni difficili si sono visti negare inspiegabilmente un rapporto costante con i propri nipoti. La Corte puntualizza infatti l’importanza del legame nonno-nipote per la crescita e lo sviluppo del bambino: un albero senza radici non può certo crescere.

Vacanze nonni nipoti. Nel caso di genitori separati e di bambini allontanati dai nonni a causa di beghe familiari, cercando di usare il buon senso e di seppellire l’ascia di guerra, gli ex possono sforzarsi di trovare soluzioni che possano favorire questo fondamentale rapporto. Un ottimo compromesso, suggerito anche da psicologi e psicoterapeuti infantili, è quello di consentire a nonni e nipoti di trascorrere qualche giorno di vacanza insieme. Le vacanze nonni nipoti rappresentano un’opportunità per trovarsi nuovamente vicini e cercare di recuperare, in qualche modo, il tempo perduto. Non bisogna necessariamente partire per il mare o recarsi in una località turistica rinomata, basta anche tornare per pochi giorni in un ambiente familiare, la casa dei nonni appunto, centro degli interessi dei bambini. Questa soluzione viene apprezzata moltissimo dai genitori che, una volta finita la scuola, a causa del lavoro e dei pochi giorni di ferie concessi, non sanno davvero dove e come collocare i figli. I nonni riprendono dunque un ruolo di appoggio morale e materiale della famiglia che non può essere sottovalutato.

Nonni e nipoti: psicologia. Il rapporto tra nonni e nipoti, stante la sua complessità, quando diventa difficile a causa di tensioni nella coppia merita di essere approfondito da una idonea terapia psicologica. Il nonno che viene privato della possibilità di frequentare e di vedere il nipote vive una frustrazione intima che lo spinge a colpevolizzarsi, nella maggior parte dei casi, immotivatamente. Inoltre i nonni, in quanto persone anziane, hanno la consapevolezza di non avere molto tempo a disposizione quindi vivono male la distanza con i nipoti proprio perché temono di colmare mai più questa lacuna. La terza età è una fase delicata della vita che richiede serenità, rapporti sinceri e stabili in una routine che diventa quasi un rifugio per vivere meglio. Per questo motivo in situazioni traumatiche di questo tipo il nonno che rischia di cadere in depressione e di chiudersi in se stesso con il timore di avere perso per sempre il rapporto di amore e complicità con il proprio nipote, deve lasciarsi guidare da persone competenti che possano insegnarli come rielaborare il dolore e come affrontare con slancio la problematica.

In pratica. I nonni italiani, che si trovano in situazioni difficili, devono essere informati della possibilità di agire, attraverso il tribunale del luogo in cui è residente il bambino, per vedere riconosciuto il proprio diritto di conservare un rapporto di frequentazione con i propri nipoti, che ne implichi un reale giovamento, in quanto stabilito non solamente dalla legge interna ma confermata anche a livello europeo.

Rossella Blaiotta La legge per tutti 31 maggio 2018

www.laleggepertutti.it/193357_i-nonni-hanno-diritto-di-vedere-i-nipoti

 

Corte di giustizia dell’Unione europea: nella nozione di diritto di visita i nonni sono inclusi.

Corte Ue – Prima Sezione, Sentenza causa C 335/17. 31 maggio 2018

La nozione di “diritto di visita” a un minore include anche i nonni. Di conseguenza, per individuare il giudice competente va applicato il regolamento 2201/2003 sulla competenza, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e sulla responsabilità genitoriale (Bruxelles II bis). Lo ha stabilito la Corte di giustizia dell’Unione europea con la sentenza (C-335/17) che apre la strada a un ampliamento nell’applicazione dei titoli di giurisdizione fissati nell’atto Ue anche per le rivendicazioni del diritto di visita di familiari diversi dai genitori. Nel segno dell’interesse superiore del minore.

Testo sentenza www.divorzista.org/sentenza.php?id=15060

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NULLITÀ MATRIMONIALI

Vedi newsUCIPEM n. 702, pag. 22, newsUCIPEM n. 703, pag. 28

Matrimonio nullo: è dovuto l’assegno di mantenimento?

Matrimonio nullo: l’assegno di mantenimento non deve più essere corrisposto all’ex coniuge. Ecco i dettagli e la nuova pronuncia della Cassazione. Siamo abituati a sentir parlare di assegno di mantenimento dell’ex coniuge in ambito di separazione o divorzio. Ma cosa succede nel caso in cui il matrimonio viene dichiarato nullo? In caso di intervenuto riconoscimento della nullità del matrimonio l’assegno di mantenimento deve essere corrisposto all’ex coniuge?

Matrimonio concordatario: cos’è? Con l’espressione “matrimonio concordatario” si fa riferimento al matrimonio celebrato dinanzi al Ministro di culto cattolico (matrimonio religioso), vale a dire dinanzi al parroco, al quale la legge [Concordato Lateranense del 1929 e Accordi di Villa Madama del 1984] riconosce, oltre agli effetti religiosi, anche quelli civili. Il matrimonio concordatario differisce, dunque, dal matrimonio civile che non ha alcun rilievo in ambito religioso ed è assoggettato alla sola normativa del codice civile e delle leggi speciali.

Quindi, mentre il matrimonio civile ha solo rilevanza giuridica; il matrimonio celebrato con il solo rito religioso acquisisce anche rilievo giuridico, a condizione che:

  • Il parroco legga, durante la celebrazione, gli articoli del codice civile inerenti i diritti e gli obblighi dei coniugi;

  • Vengano redatti due originali dell’atto di matrimonio;

  • L’atto di matrimonio venga trascritto nei registri dello stato civile.

Matrimonio: quando è nullo? In determinate ipotesi il matrimonio religioso può essere dichiarato nullo. In pratica, il matrimonio nullo è come se non fosse mai stato celebrato. I principali motivi di nullità del matrimonio possono esser così riassunti:

  • Errore sull’identità della persona;

  • Incapacità di assumere ed adempiere agli obblighi essenziali del matrimonio;

  • Ignoranza, errore su una qualità dell’altra persona;

  • Dolo, errore sull’unità o indissolubilità o dignità sacramentale del matrimonio;

  • Violenza o timore, impedimenti dirimenti;

  • Matrimonio rato e non consumato, impotenza.

In presenza delle condizioni predette, può essere instaurato un giudizio canonico, davanti al Tribunale competente che è quello del luogo di residenza o di domicilio dei coniugi, affinché il vincolo venga dichiarato nullo. Per produrre i suoi effetti nell’ordinamento civile, alla sentenza di nullità, deve seguire il decreto di esecutività del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica e la delibazione da parte della Corte d’Appello competente.

Matrimonio nullo: la sentenza ecclesiastica di nullità. La sentenza ecclesiastica di nullità matrimoniale, emessa dal Tribunale della Chiesa, per essere riconosciuta nello Stato Italiano necessita della cosiddetta delibazione da parte della Corte d’Appello [Art. 8 n. 2 Concordato Lateranense]. Con il termine “delibazione” è da intendersi quella procedura giudiziaria mediante la quale, in un determinato Stato, viene riconosciuta efficacia giuridica ad un provvedimento emesso da un’autorità giudiziaria di un altro Stato. Tra detti provvedimenti vi rientrano anche le sentenze ecclesiastiche di nullità matrimoniale emesse dall’ordinamento giudiziario canonico.

La domanda di delibazione può essere presentata da un solo coniuge nei confronti dell’altro, oppure congiuntamente e deve essere sottoscritta da un legale. Successivamente al deposito della domanda e di tutta la documentazione richiesta, la Corte d’Appello, eseguiti tutti gli accertamenti del caso, verifica la sussistenza delle condizioni per rendere esecutiva la sentenza ecclesiastica.

La delibazione, per produrre i suoi effetti, ovvero il riconoscimento dell’efficacia civile alla sentenza ecclesiastica dichiarativa della nullità del vincolo matrimoniale, deve essere poi trascritta nei registri dello stato civile. Con tale provvedimento, gli effetti civili del matrimonio vengono meno dal giorno della sua celebrazione e, nel caso in cui non sia ancora intervenuta, fa venir meno l’esigenza di esperire la domanda di divorzio.

Matrimonio nullo: spetta l’assegno di mantenimento? Sul punto, è bene sapere che nel corso del tempo si sono sviluppati diversi orientamenti giurisprudenziali.

Secondo una prima interpretazione [Cass. Civ., sent. n. 4292/2001; Cass. Civ., sent. n. 4795/2005; Cass. Civ., sent. n. 3186/2008; Cass. Civ., sent. n. 12989/2012; Cass. Civ., sent. n. 21331/2013], permane l’obbligo di corresponsione dell’assegno di mantenimento anche se il matrimonio viene dichiarato nullo.

Tale conclusione è nata dal fatto che quanto disposto dal giudice in sede di divorzio, con particolare riferimento alla sfera economica e patrimoniale, diventa, dopo il passaggio in giudicato della sentenza [Art. 2909 Cod. Civ.], intangibile. Ciò prescinde dalla sopravvenuta dichiarazione di invalidità originaria del matrimonio.

La Suprema Corte ha precisato che seppure le sentenze che hanno ad oggetto la cessazione degli effetti civili del matrimonio siano suscettibili di modifica [Art. 9 Legge 898/1970], in presenza di mutamenti delle condizioni originarie, la nullità del vincolo non consentirebbe di apportare alcun mutamento, come quello di esonerare l’ex coniuge dal corrispondere l’assegno di mantenimento, perché tale circostanza non rientrerebbe tra quelle previste per legge (nel dettaglio, quelle idonee ad alterare l’assetto economico fra le parti o di relazione con i figli). Pertanto, secondo questo orientamento, in presenza del riconoscimento della nullità del matrimonio religioso, a seguito del riconoscimento degli effetti civili della sentenza ecclesiastica, sopravvenuta ad una sentenza di divorzio, i provvedimenti di natura economica restano gli stessi. L’ex coniuge, pertanto, dovrebbe continuare a corrispondere il mantenimento.

Matrimonio nullo e assegno di mantenimento: la pronuncia della Suprema Corte. A disattendere e ribaltare completamente quanto finora enunciato è stata una recentissima ordinanza della Suprema Corte che si è resa artefice del seguente principio di diritto. L’obbligo dell’assegno di mantenimento all’ex, stabilito in sede di separazione dei coniugi, viene meno nel caso di delibazione della sentenza ecclesiastica dichiarativa della nullità del matrimonio concordatario, anche se la sentenza di separazione è passata in giudicato [Cass. Civ., ordinanza n. 11553, 11.05.2018].

Vedi newsUCIPEM n. 702, pag. 22; Vedi newsUCIPEM n. 703, pag. 28

In virtù di quanto disposto, un ex marito si è visto accogliere il ricorso con il quale aveva chiesto la revoca dell’assegno, a seguito dell’efficacia riconosciuta dalla corte d’Appello della sentenza ecclesiastica dichiarativa della nullità del vincolo matrimoniale. A sostegno di quanto affermato, vi è la considerazione che il contributo ha una natura differente, a seconda se corrisposto al coniuge separato o come oggetto dell’assegno divorzile. Invero, con la separazione il vincolo coniugale permane, così come il dovere di assistenza materiale. Nel divorzio, invece, il rapporto patrimoniale si estingue, e l’assegno di mantenimento ha natura assistenziale rispetto all’ex coniuge che si trova in difficoltà economica.

Ciò posto, è logico affermare che venuto meno il vincolo matrimoniale, vuoi con la sentenza di divorzio passata in giudicato o con la sentenza ecclesiastica riconosciuta efficace, viene meno anche il presupposto dell’assegno di mantenimento.

Diversamente, per la sentenza di separazione passata in giudicato, l’intervenuta nullità non deve essere vista come giustificato motivo o meno di modifica delle condizioni ivi stabilite, bensì come venir meno dell’elemento fondante il corrispettivo, quale il vincolo matrimoniale, dichiarato nullo, ovvero come se non fosse mai avvenuto.

Alla luce di tutto quanto detto, si può concludere come segue. Chi ha ottenuto un provvedimento dell’autorità ecclesiastica dichiarativo della nullità del matrimonio religioso, non dovrà più:

  • Esperire la procedura di divorzio;

  • Pagare l’assegno di mantenimento, se la pronuncia della nullità segue una sentenza di separazione/divorzio non ancora definitiva.

Gloria Mariani La legge per tutti 27 maggio 2018

https://business.laleggepertutti.it/31606_matrimonio-nullo-e-dovuto-lassegno-di-mantenimento

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