NewsUCIPEM n. 703 – 27 maggio 2018

NewsUCIPEM n. 703 – 27 maggio 2018

Unione Consultori Italiani Prematrimoniali E Matrimoniali

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02 ABORTO VOLONTARIO L’anniversario. Quarant’anni di 194, l’ora di andare oltre.

04 Una società senza più aborti terapeutici? non è un’utopia.

06 Nel grembo materno il faro della scienza.

07 ADDEBITO Con la separazione spetta il risarcimento del danno?

08 ADOZIONI INTERNAZIONALI Il sistema va riorganizzato e semplificato.

10 Il mondo chiude. L’Italia ha ancora un cuore.

11 AFFIDAMENTO CONDIVISO Il contratto di governo interviene anche sul diritto di famiglia.

12 L’avanzata dell’affidamento paritetico dei figli.

13 Voglio andare a vivere da mio padre: il figlio può scegliere?

14 AFFIDO Applicazione del Kafalah algerino.

14 ALIENAZIONE PARENTALE Evento formativo a Roma.

15 AMORIS LÆTITIA Nel solco di Amoris lætitia

17 ASSEGNO DI MANTENIMENTODivorzio: cosa succede a chi non paga il mantenimento?

17Stabile legame affettivo del coniuge separato, senza convivenza.

18 ASSEGNO DIVORZILE Non basta revirement Cassazione per togliere l’assegno all’ex.

18 CENTRO INTERN. STUDI FAMIGLIA Newsletter CISF – n. 19, 23 maggio 2018.

20 CONSULENTI COPPIA E FAMIGLIA Moduli di Contratto di consulenza.

20 DALLA NAVATA Santissima Trinità – Anno B –27 maggio 2018.

20 La Triunità di Dio. Commento di E. Bianchi.

22 DEMOGRAFIA Ora le nascite aumentano solo dove c’è più ricchezza.

23 DIVORZIO Cassazione: ok al divorzio lampo straniero.

23 FIGLI Il padre diventa testimone di Geova e vuole che la figlia lo segua.

23 FORUM ASS. FAMILIARI La famiglia: il petrolio italiano.

24 FRANCESCO VESCOVO DI ROMA “Più di una Enciclica”.

25Papa: per fare del bene si usa il dialetto della famiglia-

26 Il Papa: la bellezza della coppia è la somiglianza a Dio.

27 GENITORIALITÀ RESPONSABILE Discernimento.

27 Coscienza.

28 NULLITÀ MATRIMONIALI Quali sono gli effetti sulla separazione personale?

30 VIRI PROBATI La ordinazione di “viri probati”: alcuni punti fermi della storia.

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ABORTO VOLONTARIO

L’anniversario. Quarant’anni di 194, l’ora di andare oltre

Realismo e tenacia per agire su mentalità, scelte ed errori determinati dalla legge.

Se potessimo scegliere tra due ipotesi astratte – una società con norme che legittimano l’aborto, ma in cui peraltro l’aborto non avviene mai, e una società con leggi che proibiscono sempre l’interruzione volontaria di gravidanza, ma dove nonostante la regola, l’aborto è di fatto frequente – quale dovremmo dichiarare preferibile?

È evidente che la preferenza dovrebbe andare alla prima. Questa è una delle ragioni per cui nel pensiero di alcuni il problema della legge ingiusta viene messo in disparte e si lavora soltanto per superare la legge iniqua con il solo metodo dell’aiuto alle gravidanze difficili o non desiderate. Ma le ipotesi sopra formulate sono astratte: non esistono nella realtà. È provato che le leggi permissive aumentano il numero degli aborti. Questo è tanto più vero oggi quando la prevenzione dell’aborto è divenuta largamente un effetto dello stato di coscienza individuale e sociale. La legge è percepita come un’indicazione di valori, una guida all’azione. Essa contribuisce potentemente a formare la mentalità del popolo e dei singoli. (…) La rimozione della legge ingiusta è un obiettivo ineliminabile.

Ma, realisticamente, le difficoltà sono enormi perché la legge 194 in Italia è divenuta la bandiera di importanti formazioni politiche attualmente maggioritarie. Sembra, dunque, che il criterio della gradualità quale espressione di tenacia operosa debba essere accettato. Gradualità non significa legittimare l’ingiustizia, nemmeno in piccola parte, ma guadagnare spazi di giustizia il più largamente possibile in vista di un risultato finale. Un’azione diretta al cambiamento della legge 194, in una logica di realismo e di gradualità, dovrebbe almeno rimuovere le equivocità e le insincerità che sono presenti nella legge stessa, la più grave delle quali maschera sotto l’apparenza di un aborto ammesso in casi particolari l’applicazione del principio di autodeterminazione.

 

 

 

Ma, forse, la tenacia operosa e il realismo esigono disegni più ampi, che, senza attaccare direttamente la legge 194 propongono in modo chiaro l’identità umana del concepito. (…) La prima ipotesi d’intervento legislativo capace di diminuire l’aspetto più conturbante e sovversivo dell’attuale normativa riguarda la funzione dei consultori familiari. Una riforma che rendesse evidente lo scopo esclusivo di evitare l’interruzione della gravidanza è coerente con il sentimento abbastanza generalizzato della «preferenza per la nascita». Nessuno può giudicare negativamente il lavoro svolto dai Centri aiuto alla vita (Cav). I consultori familiari pubblici dovrebbero svolgere la stessa funzione dei Cav in modo molto più ampio.

Quando la legge 194 fu discussa in Parlamento non pochi, che pur la sostenevano, attribuirono ai consultori familiari la funzione esclusiva di aiutare la donna a proseguire la gravidanza, come, del resto, si può ritenere in base ad una corretta interpretazione dell’articolo 2. Purtroppo, però, questo scopo dei consultori, è stato largamente stravolto nell’attuazione pratica. Essi vengono concepiti come strumenti di accompagnamento della donna verso l’aborto e quindi, sostanzialmente, come garanzie dell’autodeterminazione. La logica avrebbe dovuto essere opposta: lo Stato non punisce più l’aborto, ma fa tutto il possibile sul piano del consiglio e dell’aiuto affinché la gravidanza prosegua.

Purtroppo, l’abbandono della funzione descritta nell’articolo 2 sta giungendo ai limiti estremi, al punto che talune autorità amministrative escludono i medici obiettori dai consultori e, addirittura, pretendono di trasformare alcuni consultori in ambienti dove si possono praticare interventi abortivi. Non è possibile limitarsi a dire dei “no” a queste ulteriori forme di destrutturazione dei consultori. Bisogna passare all’attacco e chiedere una totale riforma dei consultori in modo che l’art. 2 sia applicato senza deviazioni.

Una riforma dei consultori in modo da renderli efficace strumento di tutela del diritto alla vita dei concepiti, indirettamente riconoscerebbe l’identità umana del concepito, che deve essere l’obiettivo finale del servizio alla vita a livello culturale e giuridico. Ma è necessario, allora, che la funzione consultoriale sia trasparente e inequivoca. Ciò esige una totale estraneità dei consultori rispetto all’iter abortivo. La loro deve essere una funzione alternativa all’aborto, ben percepibile, come avviene per i Cav.

I numeri.

84.916 aborti nel 2016 59.423 donne italiane che hanno abortito

25.503 donne straniere 57,8% donne nubili

42,2% donne sposate 43,9% donne senza figli

47,4% con un’occupazione stabile

7.796 confezioni di pillola del giorno dopo vendute in Italia nel 2012 189.589 vendute nel 2016

Carlo e Marina Casini Avvenire 22 maggio 2018

https://www.avvenire.it/attualita/pagine/quarantanni-di-194-lora-di-andare-oltre

 

{Egregio direttore, di ritorno da un viaggio all’estero, leggo su “Avvenire” del 24 marzo 2011, a pag. 20, un brano dell’eurodeputato on. Carlo Casini, tratto dalla sua relazione all’assemblea nazionale del Movimento per la vita, Firenze, 19 marzo 2011.

Il testo, a proposito della riforma dei consultori familiari, afferma perentoriamente «Una riforma incisiva deve perciò modificare gli articoli 4 e 5 della 194, per sottrarre totalmente i consultori all’iter abortivo».

In merito, non concordo. La legge 194 del 22 maggio 1978 prevede che gli operatori dei consultori familiari svolgano una dettagliata opera di prevenzione, “quando la richiesta di interruzione della gravidanza sia motivata dall’incidenza delle condizioni economiche, o sociali, o familiari sulla salute della gestante”. Infatti, la legge, all’art. 5, prevede che essi, «hanno il compito in ogni caso, e specialmente quando la richiesta di interruzione della gravidanza sia motivata dall’incidenza delle condizioni economiche, o sociali, o familiari sulla salute della gestante, di esaminare con la donna e con il padre del concepito (…) le possibili soluzioni dei problemi proposti, di aiutarla a rimuovere le cause che la porterebbero all’ivg, di metterla in grado di far valere i suoi diritti di lavoratrice e di madre, di promuovere ogni opportuno intervento atto a sostenere la donna, offrendole tutti gli aiuti necessari sia durante la gravidanza sia dopo il parto».

Questa opera non è prevista per il “medico di sua fiducia” (può essere un qualsiasi medico – l’odontoiatra, l’ortopedico, il dermatologo, il medico di medicina generale, ecc.), in quanto non ha, di per sé, competenze in merito e, nella sua struttura, non esiste un’équipe di professionisti, quali assistente sociale, legale, psicologo, consulente familiare, per svolgere i compiti indicati nell’art. 2 della Legge stessa «I consultori assistono la donna in stato di gravidanza:

a) informandola sui diritti a lei spettanti in base alla legislazione statale e regionale, e sui servizi sociali, sanitari e assistenziali concretamente offerti dalle strutture operanti nel territorio;

b) informandola sulle modalità idonee a ottenere il rispetto delle norme della legislazione sul lavoro a tutela della gestante;

c) attuando direttamente o proponendo all’ente locale competente o alle strutture sociali operanti nel territorio speciali interventi, quando la gravidanza o la maternità creino problemi per risolvere i quali risultino inadeguati i normali interventi di cui alla lettera a);

d) contribuendo a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’ivg.»

A mio avviso, e per la mia esperienza di operatore da ben 46 anni in un consultorio familiare, promosso dall’Azione Cattolica canavesana nel 1965, essendo vescovo mons. Albino Mensa ritengo che dovrebbe essere affidato solamente ai consultori familiari, ormai diffusi sul territorio nazionale, tutto l’intervento preventivo, che viene attestato con la semplice controfirma del “documento” e –sia pur episodicamente, del “certificato attestante l’urgenza” che consente unicamente di omettere i 7 giorni di riflessione. Già ora, almeno il 15% delle donne, aiutate, non abortisce.

Questo intervento non fa decadere dalla legittima obiezione di coscienza il medico, che opera in consultorio, come indicato dal Tar Puglia, (sentenza n. 3477, 14 settembre 2010) «posto che all’interno dei suddetti Consultori non si pratica materialmente l’ivg, per la quale unicamente opera l’obiezione ai sensi dell’art. 9, comma 3, bensì soltanto attività di assistenza psicologica e di informazione (…) che esulano dall’iter abortivo, per le quali non opera l’esonero ex art. 9, e quindi attività e funzioni che qualsiasi medico (obiettore e non) è in grado di svolgere ed è altresì tenuto ad espletare senza che possa invocare l’esonero di cui alla disposizione citata».

Quindi i medici cosiddetti pro life possono operare in consultorio, senza omettere tutte le attività preventive, a pena d’omissione d’atti d’ufficio, attestandole legittimamente e ricorrendo eventualmente, se del caso, al volontariato dei benemeriti centri aiuti alla vita, promossi dal Movimento per la vita. La loro opera sarebbe ancor più incisiva, stante la loro motivazione etica.

Essi, infatti, propongono ipotesi alternative all’ivg, mentre la collaborazione all’ivg avviene unicamente quando, trascorsi i sette giorni, la donna può presentarsi, per ottenere l’ivg, presso una delle sedi autorizzate e, solo allora, l’art. 12 della Legge prevede che «la richiesta di ivg è fatta personalmente dalla donna», mentre prima si è rivolta al consultorio familiare per essere aiutata quando «accusa circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito» (art. 4.)

Faccio notare che la legge è stata firmata da sei democristiani di tutto rispetto, Giovanni Leone, Giulio Andreotti, Tina Anselmi, Francesco Paolo Bonifacio, Tommaso Morlino, Filippo Maria Pandolfi, senza che alcuno obiettasse in merito.

Cordialmente Giancarlo Marcone, medico specializzato in psicologia, consulente familiare, obiettore di coscienza.}

 

Occorre modificare l’art. 4 della Legge che prevede il rivolgersi esclusivamente ad un consultorio pubblico.

 

Filippo M. Boscia: “Una legge iniqua. Occorre garantire alle donne anche il diritto di non abortire”

La legge 194 compie 40 anni. Per il presidente dei Medici cattolici, ginecologo e responsabile di un dipartimento per la salute della donna e la tutela del nascituro, si sottovaluta il numero degli aborti nascosti, accessibili anche a giovanissime con rischi per la loro salute. C’è un kit “fai da te” acquistabile online. E un farmaco antinfiammatorio può indurre falsi aborti spontanei.

Oggi, 22 maggio, compie 40 anni la legge 194/70 “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza” con la quale l’aborto ha cessato di essere considerato un reato penalmente perseguibile. Secondo i dati del 2016 – raccolti dal Sistema di sorveglianza epidemiologica delle Ivg coinvolgendo Istituto superiore di sanità (Iss), ministero della Salute, Istat, Regioni e Province autonome – in quell’anno le Ivg sono state 84.926, -3,1% rispetto alle 87.639 del 2015, ma per il ginecologo Filippo Maria Boscia, presidente dell’Amci (Associazione medici cattolici italiani) e direttore del Dipartimento per la salute della donna e la tutela del nascituro all’Ospedale Santa Maria di Bari, c’è poco da cantare vittoria: “Questa diminuzione è ampiamente compensata dall’enorme incremento degli aborti ‘nascosti’”. Anzi: il totale delle interruzioni volontarie di gravidanza è in continuo aumento, anche tra le giovanissime, solo che è più difficile averne dati precisi, mentre in questi 40 anni “si è progressivamente perduta la consapevolezza che l’aborto sia a tutti gli effetti un omicidio”.

Professore, l’intitolazione della legge e l’art.1 richiamano il valore sociale della maternità e la tutela della vita umana dal suo inizio. Le cose però sono andate diversamente.

In quarant’anni gli aborti in Italia sono stati 6 milioni. La legge richiama nella sua prima parte l’importanza della tutela sociale della maternità, ma nella sua applicazione su questa prima parte ha decisamente prevalso la seconda. Un provvedimento ingannevole che in sostanza ha gradualmente portato all’accettazione dell’aborto nella mentalità e nel costume.

Oggi l’aborto procurato non viene riconosciuto come omicidio, ma piuttosto come un bene sociale. Ritornando ai dati del Ministero, su quale base li ritiene incompleti?

Nel 2016 sono state acquistate 214.532 confezioni di pillola del giorno dopo (dal 2015 venduta liberamente) e 189.589 di pillola dei cinque giorni dopo per un totale di quasi 405.000 confezioni.

Quello che lei definisce “aborti nascosti”.

Si tratta del cosiddetto aborto chimico o farmacologico; contrariamente a quanto viene detto, non contraccezione d’emergenza ma intercettivo postcoitale che in caso di avvenuto concepimento blocca l’impianto dell’embrione impedendone l’annidamento.

Dunque un vero e proprio aborto nascosto.

Ho consultato su Google la voce “aborto fai da te” e ho scoperto che è in commercio un kit che si può ottenere per posta a casa. Mi preoccupa molto questo aborto che si consuma nella totale solitudine senza la possibilità di un soccorso, di un consiglio. Per me qui si configura una violazione della legge 194 perché viene completamente meno la tutela della vita fin dal suo inizio. Ma mi preoccupa anche la mancanza di misure per salvaguardare la salute della donna. Questi farmaci, utilizzati da giovanissime che non hanno ancora completato il proprio sviluppo, possono provocare loro seri danni. E poi c’è il capitolo del falso aborto spontaneo.

Che significa?

Un farmaco antinfiammatorio usato per trattare le ulcere gastriche e fortemente sconsigliato in gravidanza viene talvolta impiegato per indurre un travaglio abortivo vero e proprio. Il calo delle Ivg è legato alla diminuita fertilità in generale, al ricorso alla pillola del giorno dopo, agli aborti clandestini (che continuano), a quelli spacciati come spontanei, tutti dati che mancano nella statistica del Ministero.

È stato registrato un aumento degli aborti tardivi, come se lo spiega?

Le Ivg sono consentite dopo i primi 90 giorni solo nei casi in cui sia a rischio la vita della madre o in caso di gravi anomalie/malformazioni fetali che possano incidere gravemente sulla salute fisica e psichica della stessa. La legge fissa un termine a quo ma in sostanza “apre” all’escamotage del disturbo mentale. Quando si mette di mezzo la psiche è chiaro che tutto può essere autorizzato: la donna sarebbe in pericolo perché non potendo mettere fine una gravidanza non desiderata potrebbe impazzire fino al punto da suicidarsi. Per quanto riguarda le malformazioni, magari c’è stata una diagnosi per certi aspetti azzardata di una malformazione che magari non si ripresenterà. Su questo bisognerebbe vigilare.

Le consulenze devono essere scrupolose, fornite da medici attenti, capaci di assumersi puntuali responsabilità mentre sono spesso frettolose, effettuate magari da professionisti che temono di essere in futuro chiamati a rispondere per danni.

Qui si apre il capitolo della medicina difensiva.

Negli ultimi anni circa 255 persone sono venute a chiedermi un consiglio dopo una diagnosi ben precisa di malformazione. Le ho poste in un percorso di accompagnamento, di care, di vicinanza. Alcune malformazioni sono transitorie oppure si tratta di segni che non sempre corrispondono a malformazioni, o anche di polimorfismi non lesivi della vita e del benessere successivo del bambino. Talvolta manca l’esperienza da parte del medico, ma occorre anche mettere in conto l’esondazione della giustizia.

I medici vivono nella paura e ovviamente la medicina difensiva diventa aggressiva nei confronti della vita nascente per tutelare se stessi.

E in caso di feti terminali?

Alcune forme definite di terminalità del feto sono scientificamente infondate, create da pregiudizi sociali e manipolazioni culturali sfruttando l’ansia e l’ignoranza anche di alcuni medici e “obbligandoli” alla medicina difensiva. Così come alla domanda se un’infezione contratta o un farmaco assunto in gravidanza possano danneggiare il feto spesso non corrisponde una risposta esaustiva e non ci sono dati certi o sperimentali. Se il medico non ha la possibilità di documentare scientificamente la propria risposta il suo consiglio non sarà allora quello più giusto ma quello ispirato dalla necessità di cautelarsi nei confronti di eventuali rivalse risarcitorie.

È fortissimo il condizionamento cui è sottoposto il professionista. Messo letteralmente con le spalle al muro si sente quasi legittimato a dire alla donna di abortire e talvolta è lui stesso a facilitare questo percorso di morte.

Secondo lei, i consultori familiari hanno svolto la loro funzione?

Sono stati istituiti per essere luoghi di prevenzione dell’aborto aiutando la donna e rimuovendo le cause che potevano indurlo, invece sono diventati di luoghi di erogazione di certificati e di accompagnamento all’aborto stesso. Occorrerebbe monitorarli per verificare i livelli di consulenza e assistenza effettuata da medici, psicologi e assistenti sociali, ma è soprattutto necessario un loro ripensamento generale, una riforma che li riporti alla loro vocazione di strutture orientate al sostegno alla genitorialità in difficoltà.

Un suo giudizio conclusivo sulla 194?

Una legge iniqua e applicata anche tramite alcuni inganni. Le donne vanno sostenute e occorre garantire loro anche il diritto di non abortire.

Giovanna Pasqualin Traversa Agenzia SIR 22 maggio 2018

https://agensir.it/italia/2018/05/22/aborto-filippo-m-boscia-amci-una-legge-iniqua-occorre-garantire-alle-donne-anche-il-diritto-di-non-abortire

 

Giuseppe Noia. «Una società senza più aborti terapeutici? Ecco perché non è un’utopia»

Giuseppe Noia: nel 1978 la vita prenatale era quasi ignota. Oggi si può agire su problemi e cause, con effetti impensabili. La possibilità di arrivare un giorno non lontano a una società senza aborti non è utopia, né pretesa infondata. Sembra un proclama assurdo nel quarantesimo anniversario della ‘194’, una legge che nasce segnata da due grandi assenze, i diritti del bambino e la sofferenza della donna. Ma proprio chi da 40 anni lavora per la salute della donna e del bambino, come Giuseppe Noia, si dice convinto che i margini per ridurre – se non azzerare completamente – l’aborto terapeutico esistono e vanno perseguiti con coraggio e determinazione.

Nessuno obiettivo ideologico. Sarebbe fuori posto per una persona che è tra le massime autorità scientifiche sul fronte della vita prenatale, docente e ricercatore, oltre che direttore dell’hospice prenatale del «Gemelli» di Roma. Quindi solo rispetto della realtà. A cominciare dai dati. Oggi solo il 10% degli oltre 80mila aborti cosiddetti ‘terapeutici’ («ma che terapia è un intervento che uccide il figlio e danneggia gravemente la madre?») praticati in Italia è motivato da abbandono terapeutico, amplificazione del rischio o ignoranza della possibilità di intervenire con efficacia per ridurre il danno in fase prenatale. Poi c’è un 50% determinato da cause sociali (povertà, solitudine, dinamiche familiari sfavorevoli) e un altro 40% da cause ‘culturali’ (pretesa di autodeterminazione assoluta, volontà di rifiutare la presenza del figlio).

Come e dove è possibile incidere? «Dobbiamo e possiamo intervenire sulle cause sociali e culturali ma innanzi tutto – osserva il professor Noia – dobbiamo diffondere una più corretta conoscenza medica, a partire da tutto quello che sappiamo sulla relazione fortissima tra madre e figlio fin dal concepimento. Già nel novembre 2000, quindi 18 anni fa, il British medical journal, spiegava in un editoriale che dalla relazione biologica tra madre e bambino deriva il benessere futuro della persona. Come ignorare per esempio il fatto che il figlio manda alla madre cellule staminali terapeutiche? Tutte queste conoscenze scientifiche che si vorrebbero silenziare si traducono in una grande perdita di umanità».

Ma quando, al contrario, vengono divulgate si aprono anche tra i medici prospettive sorprendenti. Qualche mese fa Noia ha diretto un corso di formazione a cui erano presenti anche una cinquantina di medici abortisti. Ha spiegato loro le varie possibilità di intervento in fase prenatale sulla base delle sue ricerche – dalle analisi sull’igroma cistico alla somministrazione di antiossidanti per ridurre il deficit cognitivo nella sindrome di Down – e tanti di quei medici non solo hanno ammesso di ignorare queste evidenze, ma hanno avuto il coraggio di dichiarare la propria indisponibilità a proseguire nelle interruzioni di gravidanza.

Con qualche lacrima che professionisti di lunga carriera non si sono preoccupati di nascondere. «Quando ci si domanda perché sono aumentati così tanto i medici obiettori – prosegue l’esperto – la risposta più semplice e più vera è: maggiore consapevolezza. Quando anestesisti e ginecologi comprendono cos’è la simbiosi materno-fetale e quello che comporta, non possono che schierarsi a favore della vita».

Solo ragionando sull’evidenza scientifica possiamo arrivare a dire che l’embrione è un essere umano. Solo sulla base di un’informazione scientifica e medica controcorrente possiamo per esempio sperare di incidere sui numeri dell’aborto eugenetico. «L’umanità della sofferenza viene salvata da una scienza che guarda con un occhio rispettoso tutte le diversità prenatali. Con il criterio dell’efficienza e dell’eugenismo invece – conclude il professor Noia – questa ricchezza non la vedremo mai. Rispettare l’essere umano dal concepimento alla fine naturale è l’abc dell’esistenza. E da questa speranza dobbiamo ripartire».

Luciano Moia Avvenire 22 maggio 2018

www.avvenire.it/attualita/pagine/una-societ-senza-pi-aborti-ecco-perch-non-unutopia

 

Nel grembo materno il faro della scienza

Quarant’anni per la scienza sono un’infinità. All’epoca del varo della 194/1978 non si conosceva la potenzialità interattiva del figlio con la madre prima della nascita, non si sapeva come il Dna viene influenzato dalle esperienze prenatali, e pochissimo si sapeva della sensorialità fetale.

Oggi conosciamo molto. Nel numero di aprile 2018 la rivista scientifica tedesca Utraschall in der Medizin spiegava che «il feto elabora gli stimoli sensoriali a livello corticale, inclusi quelli dolorosi, dalle 25 settimane di gestazione. A 34 settimane il feto non solo percepisce suoni complessi ma discrimina tra suoni diversi. Comportamenti motori finalizzati sono presenti a 22 settimane e progrediscono nel tempo. Le capacità del feto di imparare sono prodigiose».

Già questo basterebbe per dare un’idea di quello che nel 1978 non si sapeva. Ma c’è di più se si pensa che si è osato pensare e fare quello che allora sembrava fantascienza: eseguire interventi chirurgici sul feto senza estrarlo dall’utero, cioè trattarlo come un paziente. Molti congressi intitolati «The fetus as a patient» (Il feto come paziente) si sono da allora tenuti in giro per il mondo per spiegare le potenzialità diagnostiche e terapeutiche prenatali; che vanno di pari passo con il riconoscimento della necessità di fornire anestesia al feto duranti questi interventi perché può sentire dolore.

Ma c’è di più: la rivista Infant Behavior and Developmentha misurato come reagisce un feto nel secondo e terzo trimestre alle sollecitazioni tattili attraverso l’addome materno, mostrando addirittura che se è la madre a toccare l’addome il feto si comporta differentemente. Ciò vale, come è stato riportato su PlosOne nel giugno 2017, anche per la voce materna, cui il feto risponde sempre più attivamente man mano che la gravidanza progredisce. In questi quarant’anni abbiamo appreso che l’utero non è una cassaforte ma un mezzo di scambio altamente protettivo, che fa filtrare stimoli di vario tipo: addirittura i gusti alimentari si formano prima della nascita per via delle sostanze che la mamma mangia e che, filtrate dalla placenta, arrivano al feto, come ha mostrato la texana Julie Mennella. Una delle più importanti riviste mediche pediatriche, Early Human Development ha per sottotitolo «Rivista che tratta della continuità dalla vita fetale a quella neonatale», e l’altra grande rivista Archives of Disease in Childhood ha una sezione intitolata «Fetal and Neonatal Edition».

Molto si è imparato su come prevenire le malattie nel feto: dalla somministrazione di acido folico per evitargli problemi neurologici a quella di cortisonici per fargli sviluppare i polmoni in caso di parto prematuro; e anche la prevenzione da inquinanti ha fatto grandi passi riconoscendo il feto come soggetto da tutelare rispetto alle sostanze che la mamma può ingerire o respirare. Al tempo stesso, abbiamo imparato che il cervello della mamma in gravidanza va incontro a trasformazioni positive che favoriscono la resistenza e l’attaccamento col bambino. Ma abbiamo anche imparato che la gravidanza è vissuta con difficoltà, un intralcio per via di un mondo lavorativo che non rispetta le donne. Per questo la lezione di questi quarant’anni è che non possono esistere difensori del feto contrapposti a difensori delle donne ma un’alleanza, perché laddove si rispetta la donna necessariamente si rispetta anche il bambino, e viceversa.

Carlo Bellieni Avvenire 22 maggio 2018

www.avvenire.it/attualita/pagine/nel-grembo-materno-il-faro-della-scienza

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ADDEBITO

Con la separazione spetta il risarcimento del danno?

Ti stai per separare da tuo marito (o da tua moglie). Ritieni che la colpa per la rottura del matrimonio sia tutta sua: si è comportamento/a male, è cambiato/a rispetto agli inizi in cui eravate fidanzati e non ha mai fatto un passo per venirti incontro. Anzi, dinanzi alla tua richiesta di separazione, ha preso atto della decisione senza combattere o proporti soluzioni. Insomma è chiaro che, tra i due, chi ha tenuto di più al matrimonio sei stata/o tu. Ora però ti chiedi se con la separazione ti spetta il risarcimento del danno. Vorresti infatti essere indennizzata/o per tutte le spese che hai sostenuto in favore della famiglia, famiglia in cui hai da sola/o creduto: dalle spese per la celebrazione delle nozze a quelle per la casa o l’affitto, dall’arredo alle ristrutturazioni, dal mutuo a quelle per le bollette. Se non c’è un risarcimento vorresti almeno il rimborso per tutti i soldi che gli hai regalato in questi ultimi mesi: dai sostegni economici alle donazioni. Esiste un modo per ottenere giustizia? Se questo è il tuo problema, sei capitato nella pagina giusta. In questo articolo ti spiegheremo quello che spetta al coniuge (marito o moglie che sia) dopo la separazione quando la causa dello scioglimento dell’unione è da attribuire all’ex.

Chi è responsabile per la separazione? Per spiegare se con la separazione spetta il risarcimento del danno, dobbiamo introdurre alcuni concetti fondamentale sulla responsabilità dei coniugi in caso di crisi. 

Come ben saprai, il matrimonio è fondato su quattro doveri fondamentali. Questi sono:

  1. La fedeltà;

  2. La convivenza sotto lo stesso tetto;

  3. L’assistenza morale;

  4. L’assistenza materiale.

Solo violando uno di questi quattro doveri si può essere ritenuti responsabili per la separazione e il divorzio. In caso contrario, è ugualmente possibile chiedere la separazione, con o senza l’accordo del coniuge, ma non vi sarà un responsabile e un “non responsabile”. Ad esempio:

  • È responsabile chi tradisce il marito o la moglie, ma non è responsabile chi gli dice semplicemente che non lo ama più. “Disinnamorarsi” è un diritto di chiunque e non comporta alcuna responsabilità;

  • È responsabile chi se ne va via di casa per sempre, ma non chi si prende quattro o cinque giorni per “riflettere” in caso di lite;

  • È responsabile chi non si prende cura del coniuge malato o non gli dà i soldi necessari per vivere se ne ha le disponibilità economiche;

  • È responsabile chi non si prende cura della famiglia, né con il proprio lavoro domestico né con il proprio reddito. 

Per separarsi bisogna che vi sia una responsabilità? Spesso si crede che la separazione possa scaturire solo dalle responsabilità di un coniuge. Non è detto. Si può chiedere la separazione semplicemente perché la «convivenza è divenuta intollerabile», il che succede anche solo per il fatto di non provare più alcun sentimento per il coniuge. Quindi, anche in assenza di responsabilità si può procedere alla separazione e poi al divorzio. Non è necessario che l’altro (o l’altra) sia d’accordo. Se c’è l’intesa, infatti, si procede a una separazione consensuale; se invece non c’è si va ugualmente dal giudice e, proponendo una causa contro l’ex, si ottiene ugualmente la separazione. Il fatto di “non voler dare la separazione” non può essere considerata una responsabilità. Tuttavia il giudice può condannare la parte soccombente alle spese processuali.

Quali sono le conseguenze per chi è responsabile della separazione? A questo punto, prima di arrivare a dire se, con la separazione, spetta il risarcimento del danno, dobbiamo introdurre il concetto del cosiddetto addebito. Te lo spiegheremo con parole molto semplice, in modo da fugare tutti i possibili dubbi e le incertezze che probabilmente ti sarai fatto leggendo qua e là sul web.

Se il giudice rileva che la separazione è stata chiesta a seguito di un comportamento illecito di uno dei due coniugi (ossia per violazione del dovere di fedeltà, coabitazione, assistenza morale e materiale), attribuisce a quest’ultimo il cosiddetto addebito: dichiara cioè in capo a lui la responsabilità per la fine del matrimonio.

Cosa comporta l’addebito?Al contrario di quanto puoi pensare l’addebito non implica alcun risarcimento del danno, né il diritto al mantenimento. L’addebito comporta, al contrario, la perdita di diritti in capo a colui cui viene attribuito. In particolare, chi subisce l’addebito non può:

  • Chiedere il mantenimento, anche se ha un reddito più basso;

  • Diventare erede dell’ex se questo muore prima del divorzio.

Il mantenimento non è una forma di risarcimento del danno ma solo un metodo per consentire a chi guadagna di meno di continuare a mantenere un tenore di vita simile a quello che aveva durante il matrimonio. Ecco perché, sia che abbia o che non abbia l’addebito, il coniuge più “ricco” deve ugualmente versare l’assegno mensile di mantenimento all’ex… a meno che riesca a dimostrare che la separazione è avvenuta per causa di quest’ultimo e quindi a imputargli l’addebito.

Con la separazione spetta il risarcimento? La violazione di uno dei quattro doveri del matrimonio comporta, come unica e naturale conseguenza, solo l’addebito. Non è quindi dovuto alcun risarcimento del danno. Quindi, se un coniuge tradisce l’altro, se va via di casa, se non contribuisce alle spese o al ménage domestico non deve risarcire l’ex per il suo comportamento colpevole e per la sofferenza causata dalla separazione.

L’unico caso – in realtà molto raro – in cui è riconosciuto un risarcimento del danno in caso di separazione è quando si sia violato un diritto fondamentale della persona dell’ex coniuge come il diritto alla reputazione o all’integrità fisica. Si pensi, ad esempio, al coniuge che tradisce l’ex e lo fa in pubblico, in modo che tutti lo sappiano, così ledendo la sua reputazione. O a chi picchia violentemente la moglie procurandole delle lesioni (in quest’ultimo caso ci saranno anche gli estremi del reato di lesioni.

Il coniuge può quindi agire contro l’altro, colpevole della violazione dei doveri matrimoniali, se tale violazione si traduce nell’aggressione a diritti fondamentali della persona per chiedere un risarcimento dei danni subiti. Ma attenzione, secondo la giurisprudenza, la richiesta di risarcimento del danno va fatta in una causa diversa da quella relativa alla separazione. Infatti si tratta di due oggetti e procedure differenti. È quanto chiarito più volte dalla Cassazione [sent. n. 18870/2014]. Nelle rare ipotesi in cui è ammesso il risarcimento, si può chiedere sia i danni patrimoniali che quelli non patrimoniali.

La richiesta di risarcimento in caso di separazione è affrontata in relazione a tre ipotesi principali:

  1. Violazioni dell’obbligo di fedeltà: per valutare l’ingiustizia del danno si valuta soprattutto l’offesa alla dignità e all’onore dell’altro coniuge. Non rileva cioè il fatto della relazione extraconiugale di per sé considerata; per configurare gli estremi del danno ingiusto rilevano invece gli aspetti esteriori dell’adulterio (magari particolarmente offensivi e oltraggiosi), come ad esempio il discredito determinato dall’adulterio sull’attività lavorativa del coniuge;

  2. violazione del diritto di assistenza tra coniugi: ad esempio la moglie fa mancare per lungo tempo ogni assistenza al marito, malato di mente; il marito, con comportamenti protratti per mesi, fa esplicite affermazioni di aperto disinteresse per le sorti ed i bisogni della moglie e del figlio nascituro, con modalità sprezzanti, dichiarando apertamente e platealmente di volere abbandonare la moglie in condizione di particolare fragilità e bisognosa di assistenza e sostegno morale e affettivo per via del suo stato di gravidanza. In tal caso la moglie ha visto pregiudicata la qualità complessiva del proprio stato di vita in un periodo particolarmente delicato sul piano emotivo, affettivo, relazionale e progettuale quale è quello della gestazione [Trib. Milano, sent. 7.03.2002];

  3. Mancata informazione sulle proprie condizioni psicofisiche e sessuali: ad esempio il coniuge che si sposa tacendo di essere impotente o di non poter avere figli.

Con la separazione spettano i rimborsi spesa? Con la separazione non spettano i rimborsi per i normali regali e sostegni fatti in costanza del matrimonio in quanto si tratta di obbligazioni naturali nell’ambito del normale rapporto di assistenza reciproca. Solo dimostrando di aver sostenuto delle spese ingenti, come la manutenzione della casa, si può ottenere il rimborso delle stesse.

Redazione La legge per tutti 27 maggio 2018

www.laleggepertutti.it/209792_con-la-separazione-spetta-il-risarcimento-del-danno

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ADOZIONI INTERNAZIONALI

Griffini (Ai.Bi.): “Il sistema dell’adozione internazionale va riorganizzato e semplificato”

E’ da una delle città più accoglienti d’Italia – Brescia – che arriva il primo appello dei protagonisti dell’adozione al nuovo Governo: non si chiuda l’Officina dei Miracoli. Urge tracciare il nuovo futuro delle adozioni insieme alle famiglie, alle istituzioni e agli operatori del settore.

Il Tour nazionale di Ai.Bi. “L’adozione è una cosa meravigliosa: vi presentiamo l’Officina dei Miracoli” ha fatto la sua ultima tappa a Brescia.

La neo presidente del Tribunale per i Minorenni di Brescia, Cristina Maggia – nel suo primo intervento pubblico dopo la nomina e l’insediamento, il primo marzo scorso – ha posto l’accento sulla necessità di nuovi interventi costruttivi da parte di operatori dei diritti dell’infanzia, conoscitori della materia, per rilanciare il sistema adozione italiano che in cinquant’anni ha dato frutti assai positivi. “La parola d’ordine dell’adozione è ‘complessità’: ogni percorso adottivo è un percorso complesso con una storia a se‘.” “Una ricerca fatta sul confronto tra il quinquennio (1993- 1998) precedente all’entrata in vigore della riforma del 2001 (legge n.149 che modifica legge n.184 dell”83) – che ha reso più garantiste ma anche più complesse le procedure di dichiarazione di adottabilità – e un quinquennio successivo (2010-2015) ha dimostrato – continua la presidente – che a fronte di un numero costante delle disponibilità delle adozioni nazionali c è stato un crollo delle disponibilità all’adozione internazionale. Un calo imputabile ad una cultura “narcisista” sempre più predominante che vede genitori alla ricerca di figli “perfetti” e a loro “immagine” e non contempla un figlio che non risponda alle proprie aspettative”

Tante le famiglie, i figli adottivi, le istituzioni e gli operatori del settore presenti all’evento di chiusura del Tour 2018 dell’associazione Amici dei Bambini ‘L’adozione è una cosa meravigliosa: vi presentiamo l’officina dei miracoli’ che nei giorni scorsi ha fatto tappa in ben 10 città, attraversando in lungo e in largo lo Stivale e coinvolgendo oltre 400 famiglie accoglienti interessate all’adozione.

A fare gli onori di casa presso la sala Conferenza Corrado Faissola di UBI Banca (in piazza Monsignor Almici 11) c’era il Referente UBI Comunità Macro-Area Territoriale Brescia e Nord Est, Pietro Tosana. “Abbiamo aderito all’iniziativa di Amici dei Bambini di narrare il miracolo dell’adozione ripercorrendo tutta l’Italia perché la mission di UBI Comunità è creare valore sociale sul territorio congiuntamente a quello economico. L’adozione è un doppio dono della vita: un dono per chi, adottato, nasce per la seconda volta e un dono per le coppie adottive che scelgono la strada dell’accoglienza privilegiando il dono della vita umana“.

Non è un caso se il tour della narrazione dell’officina dei miracoli resa possibile dall’adozione internazionale fa la sua ultima tappa proprio a Brescia; il secondo comune più popoloso della Lombardia è uno dei pochi, in Italia, ad aver registrato di recente un trend positivo per gli iter adottivi avviati: nel 2017 sono stati 74, 15% in più dell’anno prima. L’obiettivo per il futuro è avvicinarsi alle 166 richieste di 15 anni fa e di sostenere sempre più famiglie nel percorso adottivo e nell’incontro del figlio nato dall’altra parte del mondo.

Il vice presidente di Ai.Bi. e padre adottivo, Giuseppe Salomoni, dinanzi al crollo verticale subito dalle adozioni nell’ultimo decennio – come mostrano i dati pubblicati dalla CAI – ha sottolineato la necessità di rilanciare le adozioni internazionali in Italia a partire dalla gratuità e semplificazione dell’iter. “Dinanzi a tempi di attesa proibitivi e costi elevati per le procedure di adozioni internazionali le famiglie italiane – un tempo le più accoglienti – hanno la sensazione di dover affrontare da sole e senza alcun sostegno le difficoltà e le sfide dell’iter adottivo. Nei confronti di 140 milioni di bambini abbandonati nel mondo l’intera collettività compie un “genocidio affettivo”, perché i minori che crescono senza famiglia all’uscita dagli orfanotrofi – al compimento dei 18 anni – sono morti dentro.”

Accanto a lui, Mario Sberna dell’Ufficio Pastorale familiare Diocesi di Brescia, che ha affrontato il tema dell’adozione del concepito lanciato dalla proposta di legge che porta il suo nome. “Sono circa 200 mila i bambini abortiti nell’arco di due anni. E’ come se la popolazione di un’intera città come Brescia non fosse mai venuta alla luce. Che altro aspettiamo per consentire alla vita di sorgere? La nostra proposta di legge parte dal valore della vita; una proposta di “adozione del concepito” che ho maturato personalmente come padre adottivo e volontario (insieme a mia moglie) in un Centro di aiuto alla Vita che sostiene le donne alle prese con una gravidanza difficile o indesiderata e che prevede l’obbligatorietà di presentare un’alternativa alla donna che vuole abortire.”

Il vicepresidente del Forum delle Associazioni Familiari della Lombardia, Giovanni Gianbattista ha posto l’attenzione sulla famiglia quale risorsa insostituibile di coesione sociale, fiducia e sviluppo economico. “In un panorama di crescente denatalità, i temi famiglia, welfare, diritti e – non da ultimo – adozione internazionale, diventano cruciali. Perché senza figli non c’è nessun futuro. Oggi più che mai urgono riflessioni e cambiamenti strutturali del sistema welfare italiano che rimettano la famiglia al centro”.

Ampio spazio è stato dato alle testimonianze dirette: prima tra tutte, quella di Cecilia Liani, madre adottiva e medico che assiste gratuitamente Ai.Bi. nelle diagnosi per i bambini con bisogni sanitari speciali; a seguire due famiglie adottive bresciane hanno raccontato il loro miracolo dell’adozione e il loro impegno quotidiano nel GFL – Gruppo Famiglie Locali di Ai.Bi. Brescia e nel Centro Servizi alla Famiglia Pan Di Zucchero di Roè Volciano: c’erano, Alba e Alessandro, coniugi che hanno adottato una bambina nel continente africano “Ritrovarsi in casa una bambina mai vista prima e pensare che sia la persona più importante della tua vita è un miracolo“. Con loro, anche Cristina e Roberto che hanno adottato due bambini in Sud America: “Quando siamo andati a prendere la nostra bambina – ricorda oggi mamma Cristina – non ci siamo trovati in una piccola struttura, ma in un istituto con più di 130 bambini. È in quel momento che ci siamo resi conto di quanto fosse grande il bisogno di sostegno per i tanti minori che, a differenza dei nostri figli, non trovano una famiglia che li accolga in adozione.”

Particolarmente emozionante il racconto di Marco Carretta, adottato in Marocco a 22 mesi che ha fatto appello a tutti figli adottivi “Siamo noi figli adottivi a dover raccontare la nostra esperienza. Solo così si darà vita ad un cambio culturale. Si parla di miracoli dell’adozione ed io posso dire che i miei genitori sono stati il mio miracolo”.

Il presidente di Ai.Bi., Marco Griffini, ha ringraziato i presenti rivolgendo un appello alle famiglie e ai figli adottivi e al nuovo Governo “Siete voi – i protagonisti dell’officina dei miracoli – il motore di un necessario e non procrastinabile cambio culturale e politico per rilanciare le adozioni e rispondere al grido di 140 milioni di minori abbandonati nel mondo. Nel “contratto” fra Movimento 5 stelle e Lega c’è scritto che “Il sistema della adozione internazionale deve essere riorganizzato e semplificato “. Un impegno di cui ci faremo attenti osservatori affinché il nuovo Governo operi perché l’Italia possa ritrovare quello spirito accogliente che l’ha contraddistinta”.

News Ai. Bi. 19 maggio 2018

www.aibi.it/ita/brescia-aibi-sistema-adozione-semplificato-riorganizzato

 

Il mondo chiude. L’Italia ha ancora un cuore

Dal 2004 al 2016 le adozioni sono calate quasi dell’80% a livello mondiale. Dai 380mila bambini accolti in Nord America e nei Paesi dell’Europa occidentale 14 anni fa – picco mai raggiunto prima – si è scesi a meno di 290mila nel 2016, ultimo dato disponibile. Ma in questo inverno della solidarietà familiare c’è una tenue lucina. E, incredibile a dirsi, arriva dall’Italia. Nel nostro Paese il crollo è stato ‘solo’ del 55%. Nel 2010, il nostro anno più fecondo, sono arrivati 4.130 bambini.

Lo scorso anno 1.439 (dati della Commissione adozione internazionale). E non si tratta dell’unico rilievo positivo all’interno di un trend negativo. Le famiglie italiane continuano a mostrarsi accoglienti anche nei confronti di tutti quei bambini ‘problematici’ – con lievi patologie, disabilità psicofisiche, difficoltà di apprendimento – che non solo non vengono accolti all’interno dei Paesi d’origine, ma neppure negli altri Paesi occidentali. I dati sono emersi durante il convegno ‘Adozioni, dilemma internazionale’ che si è chiuso ieri a Milano, l’appuntamento annuale di Euroadopt che quest’anno è stato ospitato dall’Italia grazie al contributo del Ciai, presenti circa 300 addetti ai lavori provenienti da 25 Paesi.

Sembra azzardato rivendicare un primato italiano dell’accoglienza familiare? Forse no, considerando che rispetto agli altri grandi Paesi europei, soprattutto Germania e Francia, le nostre famiglie sono quelle che possono contare sulle politiche familiari più fragili e, inoltre, non godono più di alcun aiuto da parte delle istituzioni nel momento in cui decidono di rivolgersi all’adozione internazionale: come è noto i rimborsi per le spese sostenute all’estero in relazione alle pratiche adottive sono stati riconosciuti solo fino al 2011. Chi ha adottato dopo quella data dovrà attendere nuove decisioni da parte del governo, al momento impensabili. C’è poi un’altra situazione che ha penalizzato il nostro Paese nel triennio 2014-2016, la sostanziale paralisi vissuta dalla Commissione adozione internazionale, con accordi bilaterali sospesi o non rinnovati, enti mai convocati e comunque tenuti all’oscuro della situazione delle varie pratiche, scandali lasciati divampare senza provvedere a circoscriverne le reali dimensioni (esemplare il caso Congo). C’è da chiedersi se, senza questa lunga apnea, in cui troppo a lungo si è lasciato credere che gli enti italiani arrivassero a ‘rubare’ i bambini in Africa, il calo avrebbe potuto risultare ancora meno rilevante di quel 55% emerso dai dati ufficiali. Ora che la Cai, grazie alla ristrutturazione avviata dalla nuova vicepresidente Laura Laera, ha ripreso a veleggiare in modo sicuro, è possibile sperare in una rapida inversione di tendenze? Difficile dirlo.

L’Italia ‘virtuosa’ grazie al suo zoccolo duro di famiglie comunque accoglienti e da un anno a questa parte, anche a istituzioni che non deprimono ma promuovono, deve comunque confrontarsi con una situazione internazionale sempre più complessa. Uno dei massimi esperti mondiali del tema, il britannico Peter Selman, sociologo politico dell’Università di Newcastle, ha tracciato un quadro tutt’altro che incoraggiante. Negli ultimi 50 anni i bambini senza famiglia accolti in Occidente hanno superato quota 500mila.

Lo studioso ha preso in esame i 23 Paesi più generosi. Innanzi tutto gli Stati Uniti, poi l’Italia, la Spagna, la Francia, il Canada e via via tutti gli altri. Il boom delle ‘braccia aperte’ è stato toccato dal 1998 al 2004, quando gli arrivi hanno fatto registrare un +273% mentre nei dodici anni successivi – dal 2004 al 2016 – il crollo è stato del 77% a livello mondiale. Non ci sono più bambini adottabili? Purtroppo è vero il contrario: aumentano in modo progressivo, soprattutto nei Paesi asiatici e africani, dove la crisi demografica risulta quasi irrilevante rispetto ai nostri parametri.

L’ultimo dato Unicef parla di circa 120 milioni di minori senza famiglia in tutto il mondo. E allora? Cosa è capitato di tanto drammatico in quest’ultimo decennio da determinare questo assurdo cortocircuito? Non c’è evidentemente una sola causa – e infatti il titolo del convegno ha evocato la parola ‘dilemma’ – ma un combinato disposto di ragioni sociali, politiche e culturali. Difficile quantificare in che termini abbia pesato la crisi economica. Probabilmente non poco, almeno per quanto riguarda l’Italia. In altri Paesi, soprattutto negli Stati Uniti, mentre le adozioni crollavano, il ricorso all’utero in affitto, ben più oneroso, è risultato in costante aumento. Altrettanto complesso riflettere sulle decisioni che hanno indotto molti Paesi da cui in passato provenivano migliaia di bambini, a chiudere le porte.

Emblematico il caso Etiopia che, dopo aver permesso nell’ultimo ventennio l’adozione di oltre 10mila minori, ha deciso lo scorso anno di sospendere tutto. Desiderio di mostrare all’Occidente una nuova maturità economico-sociale tanto da poter far da sé anche per quanto riguarda i bambini senza famiglia? Probabile, anche se i volontari degli enti autorizzati all’adozione internazionale che hanno avuto la possibilità di vedere gli istituti dove sono ospitati gli orfani nel Paese del Corno d’Africa, parlano di condizioni tutt’altro che ideali. Stop alle adozioni, o drastiche riduzioni, anche per il Congo, l’Uganda, il Mali, mentre in Burkina Faso, pur con numeri irrisori, si registra una tendenza contraria.

E anche qui gli interrogativi sono molti. L’ipotesi dell’autarchia potrebbe essere più facilmente riferita alla Polonia, un altro Paese che ha sospeso le adozioni verso l’Occidente. Forse perché nel frattempo la bilancia economica autorizza i polacchi a sentirsi più ‘occidentali’ di altre nazioni collocate geograficamente a Ovest di Varsavia. Ma il crollo degli arrivi dai Paesi dell’Est è generalizzato. Forti riduzioni anche da Bielorussia, Romania, Ucraina. La Russia ormai concede minori con il contagocce. E, da alcuni anni, ha bloccato ogni rapporto con gli Stati Uniti. Nel 2004 furono oltre 5mila i piccoli inviati in America.

Nel 2016 nessuno. Il sovranismo ha finito per toccare anche il ‘mercato’ delle adozioni, così che si preferisce lasciare i minori negli istituti piuttosto che agevolare l’accoglienza da parte delle famiglie occidentali. In questo braccio di ferro geopolitico le vittime, come sempre, sono i più deboli: i bambini.

Altro dato di non facile lettura è l’aumento costante dell’età dei minori considerati adottabili. In parte la ragione potrebbe essere individuata nell’avvio di un sistema nazionale di adozioni anche in Paesi che fino a pochi anni fa ne erano privi, come India e Cina. Da quelle nazioni ormai arrivano in Occidente solo ragazzini dagli 8-10 anni in su, o affetti da problemi psicofisici. Ma la stessa tendenza si registra da parte dei Paesi latino-americani, dove le situazioni economiche sono ben più problematiche.

Anche in questo caso le ragioni sono diverse. Il risultato però finisce per penalizzare le scelte solidali delle famiglie occidentali, aumentando la complessità dell’inserimento. E purtroppo, in alcuni casi, anche il fallimento adottivo. Cosa attendersi per il futuro? Forse qualche bella sorpresa, ha sottolineato Selman. Più realisticamente, per quanto riguarda l’Italia, l’impegno di salvaguardare il nostro sistema delle adozioni che, come ha fatto notare Paola Crestani, presidente Ciai, rimane una risorsa preziosa, una risposta efficace per tutelare il superiore interesse dei minore senza famiglia.

Luciano Moia Avvenire 26 maggio 2018

www.avvenire.it/opinioni/pagine/il-mondo-non-adotta-pi-solo-litalia-a-braccia-aperte

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AFFIDAMENTO CONDIVISO

Il contratto di governo interviene anche sul diritto di famiglia

I contenuti delle intese in vista della formazione di un nuovo governo hanno, in generale, suscitato aspettative e timori. Non ne va esente l’affidamento condiviso

– L’attuale prevalente modo di applicare l’istituto dell’affidamento condiviso è stato vivacemente criticato non solo da ampia parte della dottrina, ma anche da una quantità di soggetti terzi: a livello scientifico (indagine G. De Blasio e D. Vuri – Banca d’Italia e Univ. Roma III, 2013), come ministeriale (MIUR, circolare n. 5336/2015), come tecnico-statistico (Report Istat 2016). Così come ha condotto ad una fioritura di iniziative popolari, fatte proprie dai consigli di oltre quaranta comuni (da Massa a Parma, da Bari a Verona, da Bologna a Bolzano, da Firenze a Livorno), che hanno istituito Registri della Bigenitorialità attraverso delibere che tutte esplicitano nelle premesse il profondo malessere dovuto alla sostanziale disapplicazione della riforma del 2006. Limitandosi alle più visibili ricadute concrete si può rammentare che l’Istat ha radicalmente modificato le proprie schede informative che devono compilare le coppie in separazione.

Illuminante, a tale proposito, la giustificazione delle novità che si legge nelle istruzioni che accompagnano i moduli: «….spesso, a dispetto della parità formale e sostanziale dei genitori in affidamento condiviso, ad uno di loro viene assegnato un ruolo prevalente – anche nei tempi della frequentazione – e questo viene definito anche come genitore “collocatario”». Ovvero, per il mantenimento: “Questa sezione è stata rivista e adeguata a quanto previsto dalla legge n.54/2006 sull’affidamento condiviso, anche se ancora parzialmente inapplicato. Dal 2006 la forma privilegiata di contribuzione è divenuta quella diretta, che prevede che entrambi i genitori forniscano ai figli quello che a loro serve, dividendosi gli oneri in proporzione delle rispettive risorse, in modo da assolvere al contempo ai compiti di accudimento e cura che per legge spettano a entrambi. … Pertanto, ai sensi dell’art. 337-ter comma quarto c.c., la corresponsione di un assegno dovrebbe essere solo eventuale e con valenza perequativa”.

Non ci si può, quindi, stupire se il programma del probabile futuro governo prevede l’impegno di porre rimedio alla situazione attuale esprimendosi qualitativamente nei medesimi termini.

Naturalmente, l’estrema sintesi alla quale è vincolato un testo del genere non permette di sviluppare il come procedere e perché, ma basta un minimo di immaginazione per pensare a quelle dettagliate strategie di intervento già esplicitate attraverso le proposte presentate nella scorsa legislatura da membri dei due gruppi e ribadite nella campagna elettorale. Ed è interessante osservare che anche la maggioranza del precedente governo si era espressa nell’identico modo sia con progetti di legge (Pdl 1495, Marroni et al.; Ddl 2049, Lumia et al.) che con interrogazioni al Ministro della Giustizia (Atto Camera 4-03235, Marroni e Gozi, 2014).

Il che rende quel semplice accenno perfettamente comprensibile a quanti seguono attentamente la materia, a prescindere dalle appartenenze. Ovvero, al posto di “tempi paritari” occorre immaginare pari opportunità per i figli di frequentare sia l’uno che l’altro genitore; così come ciò che è affermato in forma del tutto generale, quale principio, ovviamente dovrà essere adattato a ciò che nello specifico non fosse possibile. Resta il fatto che quelle poche righe ristabiliscono il giusto rapporto fra regole ed eccezioni: la pari dignità dei genitori e l’equilibrato rapporto dei figli con ciascuno di essi è la regola e l’asimmetria l’eccezione, riservata ai casi particolari; la forma diretta del mantenimento, per capitoli di spesa è la regola e l’assegno l’eccezione. Per legge: e non dovrebbe essere un dettaglio.

D’altra parte, qualche preoccupazione non manca. Non a caso ci sono voluti 12 anni per adeguare l’Italia agli impegni internazionali assunti e non a caso ne sono già passati altri 12 di inutili tentativi parlamentari di correzione della normativa. Esemplare a tale proposito il caso dell’ultima legislatura, quando la rilettura dell’affidamento condiviso, calendarizzata nel 2015, è rimasta per 3 anni all’ordine del giorno della Commissione Giustizia del Senato e in 3 anni è stata discussa 3 volte, alla media di una volta all’anno. Dunque, qualcuno che del diritto dei figli a una effettiva bigenitorialità non ne vuole assolutamente sapere ci deve pur essere.

C’è solo da augurarsi di non veder riproporre le solite stucchevoli mistificazioni: che una frequentazione paritetica costringe i figli a un quotidiano ping pong tra due case (quando il modello più utilizzato – a settimane alterne – comporta molti spostamenti in meno dei tradizionali week end alternati con “visite” infrasettimanali); che si vuole imporre una sola soluzione per tutte le situazioni (quando in ogni documento concreto di fonte ufficiale – come le linee guida di Brindisi – si sottolinea la flessibilità delle valutazioni); o che si vuole rendere obbligatorio il percorso di mediazione familiare, quando in ogni proposta di riforma si è sempre parlato di obbligatorietà dell’informazione sulla mediazione. E, naturalmente, che un rapporto realmente equilibrato con i genitori danneggia il bambino; a dispetto delle costanti antitetiche conclusioni scientifiche, dalle più antiche alle più recenti (Fransson et al., 2018; Warshak, 2018; Sanford Braver e Votruba, 2018; Bergstrom et al. 2018).

In definitiva, al momento non è dato sapere se queste parti del programma verranno attuate, ma certamente avere identificato il problema e indicato le corrette vie per risolverlo è già più che una idea: è, comunque, un sostegno ufficiale a chi da troppo tempo segnala un rilevante problema sociale e lo vede prevalentemente negare.

Marino Maglietta studio Cataldi newsletter giuridica 21 maggio 2018

www.studiocataldi.it/articoli/30508-il-contratto-di-governo-interviene-anche-sul-diritto-di-famiglia.asp

 

Separazione: l’irresistibile avanzata dell’affidamento paritetico dei figli

A Civitavecchia una frequentazione dei genitori realmente equilibrata è prima concordata dai genitori poi, quando le abitazioni diventano molto distanti, a dispetto di ciò suggerita dal CTU e realizzata dal Tribunale con formula ad hoc. Le premesse sono note. Dopo una decina di anni di schiacciante predominio del modello monogenitoriale realizzato attraverso l’invenzione del “genitore collocatario”, il sistema legale è stato investito da una forte pressione dal basso volta ad ottenere formule di affidamento realmente condiviso. Pressione esercitata non solo attraverso tesi sostenute in convegni ed articoli di dottrina per quanto numerosi, ma anche ottenendo nelle ultime due Legislature che il Parlamento considerasse proposte di legge mirate al pieno rispetto della riforma del 2006. A ciò è da aggiungere la fioritura di Registri della bigenitorialità, istituiti in oltre 40 comuni, che affermano sostanzialmente la pari dignità dei genitori e la loro totale intercambiabilità. Risultato di queste iniziative è stata la progressiva introduzione di linee guida e protocolli coerenti con l’iniziale carica innovativa della legge 54/2006. A Perugia (2014) hanno fatto seguito Brindisi e Salerno; infatti. E adesso arriva da Civitavecchia un provvedimento che contiene una quantità di elementi suggestivi di una nuova cultura, che pare in corso di progressiva affermazione (Decreto n. 5733/9 aprile 2018).

http://www.ilcaso.it/giurisprudenza/archivio/19602.pdf

Una coppia con una figlia adolescente si separa e si confeziona liberamente una frequentazione paritetica del tipo 5 + 2, ovvero lunedì e martedì con un genitore, mercoledì e giovedì con l’altro, venerdì sabato e domenica con il primo, lunedì e martedì con il secondo e così via, con alternanza dei fine settimana (lunghi). Successivamente, a seguito del cambiamento di residenza della madre, trasferitasi a sensibile distanza (2,5 ore di auto), i genitori si trovavano in disaccordo sulla nuova organizzazione, atteso che la figlia, per conservare lo stesso schema, avrebbe dovuto più volte alzarsi molto presto la mattina. Si rivolgevano quindi al giudice di Civitavecchia, il quale decideva per una CTU. Il consulente nella relazione conclusiva suggeriva uno schema ancora paritetico, ma a settimane intere alternate.

Il magistrato, ritenendo che l’alternanza settimanale avrebbe comunque costretto la figlia ad alzarsi presto alcune volte e le avrebbe creato difficoltà a praticare le consolidate attività sportive, optava per un modello, ancora diverso, da lui stesso ideato con l’intenzione di conservare gli equilibri nella frequentazione pur risolvendo in toto i problemi della bimba. In sostanza, nel periodo scolastico si fanno trascorrere presso il padre tutte le giornate di scuola e presso la madre tutti i fine settimana – dal venerdì pomeriggio alla domenica sera – compensando lo squilibrio nel periodo estivo, quando la ragazzina starà con il padre solo 25 giorni e tutto il resto del tempo con la madre. Non è uno schema rigorosamente paritetico, ma è il più vicino alla pariteticità, compatibilmente con la particolare situazione.

In definitiva, si segnala il decreto per il fatto che nessuno dei soggetti che ha partecipato alla vicenda ha messo in dubbio il principio delle pari opportunità – anche temporali – quale diritto indisponibile dei figli in regime di affidamento condiviso. Un atteggiamento che diventa sempre più frequente e che pone la scelta di Civitavecchia nella scia dei precedenti Fori sopra nominati.

Marino Maglietta studio Cataldi newsletter giuridica 21 maggio 2018

www.studiocataldi.it/articoli/30408-separazione-l-irresistibile-avanzata-dell-affidamento-paritetico-dei-figli.asp

Voglio andare a vivere da mio padre: il figlio può scegliere?

Corte di Cassazione, prima sezione civile, ordinanza n. 12957, 24 maggio 2018
In caso di separazione dei genitori, i fratelli e le sorelle devono essere collocati presso il medesimo genitore, salvo che emerga la contrarietà in concreto di tale collocamento al loro interesse.

Immaginiamo una coppia che si separi. Oltre alle questioni sull’assegno di mantenimento, c’è da trattare la collocazione del figlio minore: con chi andrà a vivere? Prevale il padre o la madre? Sul punto si dibattono spesso i genitori, ma la giurisprudenza mostra invece di essere uniformata allo stesso principio di preferenza materna almeno finché il minore è in età scolare. È la cosiddetta maternal preference, sancita più volte dalla Cassazione. Ma questo non significa che si tratti di una scelta vincolata. Se il minore con almeno 12 anni di età dice «Voglio andare a vivere da mio padre», il giudice deve tenere conto di ciò. Insomma, il figlio può scegliere con quale genitore vivere. Questi concetti sono stati ribaditi proprio ieri dalla Suprema Corte. Vediamo cosa è stato detto in questa occasione.

La madre viene preferita sempre. Prima di spiegare cosa succede se il figlio dice voglio andare a vivere da mio padre, dobbiamo spiegare cos’è la maternal preference, ossia la preferenza della madre. Questo principio non trova consacrazione in nessuna legge; si tratta solo di una interpretazione giurisprudenziale, sebbene assai condivisa e ormai stabile.

In tema di separazione giudiziale dei coniugi e di affidamento dei figli minori, il giudice deve tenere conto solo dell’interesse di questi ultimi. Non sempre però è facile intuire in anticipo qual è questo interesse specie per i bambini che ancora non vanno a scuola: e ciò perché tanto il giudice quanto i servizi sociali non vivono dentro la famiglia e non conoscono quelle che sono le dinamiche interne al nucleo. In questa incertezza, si deve stabilire un principio di massima, valido nella generalità dei casi, salvo poi valutare la sua compatibilità nelle specifiche e concrete ipotesi. La regola ritenuta più idonea dalla giurisprudenza è quella della preferenza materna, appunto la maternal preference. Ma nel momento in cui la donna dovesse dimostrarsi inidonea, allora il tribunale dovrà optare per il padre. E l’inidoneità viene valutata non solo sulla base delle dichiarazioni dei figli, ma anche dei fatti concreti. Ad esempio, in un caso dell’anno scorso, la Cassazione ha detto che [sent. n. 11448/10 maggio 2017], in tema di separazione e divorzio, in caso di affidamento congiunto, è giustificato il collocamento dei figli presso il padre se questi manifestano disagio per la tendenza della madre a coinvolgere eccessivamente il suo nuovo compagno nella loro vita. Nel caso di specie, a detta degli esperti, il comportamento della donna contrastava con l’esigenza della prole di «elaborare il cambiamento nei tempi dovuti». Dunque, l’interesse prioritario della prole ben può non coincidere necessariamente con la maternal preference.

Di contrario avviso sono il tribunale di Milano [sent. 19.10 2016] e la Corte di appello di Catania [sent. 3.07.2017] secondo cui, in caso di separazione o divorzio, non ha rilevanza giuridica, ai fini dell’individuazione del genitore collocatario in via preferenziale, il principio della maternal preference, da ritenersi superato in virtù del superiore principio della bigenitorialità e di quello di parità genitoriale, dalle normative incentrate sul criterio della neutralità del genitore affidatario (cosiddetto gender neutral child custody laws). Il principio della maternal preference, ancorché sostenuto da esperti e da letteratura scientifica, non può essere assunto come verità indiscutibile, da applicare sempre e comunque in maniera avulsa dal caso concreto e dalle specifiche esigenze del minore del cui affidamento si tratta. Il sistema normativo italiano, ispirandosi alle principali convenzioni internazionali vigenti in tema di protezione dei diritti del fanciullo, impone soltanto di adottare il provvedimento con esclusivo riferimento all’interesse materiale e morale della prole, da valutare nel caso concreto. L’unico criterio guida per effettuare la scelta del genitore collocatario, ove c’è conflitto tra i coniugi, è il supremo interesse del minore, sancito anche dalla costante prassi della Cedu in materia.

Il figlio può decidere con quale genitore vivere? Nell’ordinanza pubblicata ieri dalla Cassazione viene stabilito che, in caso di separazione dei genitori, il figlio che ha almeno 12 anni compiuti va ascoltato e, per quanto possibile, è dovere del giudice cercare di accogliere le sue richieste. Per cui se il bambino dice voglio andare a vivere da mio padre e non ci sono ragioni per non accogliere la sua richiesta, il figlio può decidere con quale genitore stare. Proprio alla stregua di tali dichiarazioni e, nell’esclusivo interesse del minore, il giudice di merito dovrà nominare un curatore speciale che dovrà effettivamente ascoltare le esigenze del minore e di qui il giudice di merito prenderà la decisione più proficua quanto al suo affidamento.

Fratelli e sorelle insieme. Nell’ordinanza in commento, la Cassazione sottolinea anche un ulteriore e importante principio: quello di tutela del diritto fondamentale di sorellanza e fratellanza. Detto diritto impone che, in caso di separazione dei genitori, fratelli e sorelle hanno diritto a vivere insieme, a non essere separati, e quindi ad essere collocati presso lo stesso genitore, a meno che risulti che ciò sia contrario al loro stesso interesse.

Redazione La Legge per tutti 25 maggio 2018 ordinanza

www.laleggepertutti.it/209096_voglio-andare-a-vivere-da-mio-padre-il-figlio-puo-scegliere

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AFFIDO

Applicazione del Kafalah algerino

Tribunale Mantova, Prima Sezione civile, Il Giudice Tutelare, 10 maggio 2018.

Poiché al provvedimento di kafalah -istituto contemplato dall’art. 20 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo nonché dagli artt. 3, lett. e), e 33 della Convenzione dell’Aja del 19 ottobre 1996 e consistente in un affido in virtù del quale un soggetto detto “kafil” s’impegna a curare, educare e mantenere il minore detto “makfoul”, come se fosse proprio figlio, sino al raggiungimento della maggiore età, senza tuttavia che il makfoul entri giuridicamente a far parte della famiglia del kafil- emesso da un tribunale dello stato di Algeria deve riconoscersi piena e diretta efficacia nel nostro ordinamento ai sensi degli artt. 65 e 66 L. n. 218/1995 e tenuto conto del fatto che l’art. 121 del Codice di Famiglia dell’Algeria (di cui alla legge n. 11 del 9 giugno 1984) prevede espressamente che “L’affidamento legale conferisce al beneficiario la tutela legale e gli dà diritto alle medesime prestazioni famigliari e scolastiche di un bambino legittimo”, non deve essere disposta l’apertura della tutela, avendo la minore in Italia, per effetto del provvedimento in questione, un legale rappresentante.

Redazione Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 19753 – 25 maggio 2018

http://divorzio.ilcaso.it/sentenze/ultime/19753/divorzio

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ALIENAZIONE PARENTALE

Alienazione parentale: evento formativo a Roma

Aires e Ami organizzano a Roma per il 15 giugno 2018 l’evento formativo multidisciplinare sul tema “Alienazione parentale. Quando il minore rifiuta il genitore”

Si discuterà di questo nell’evento formativo multidisciplinare nella cornice della sala della Protomoteca del Campidoglio.

L’evento, fortemente voluto dalla psicologa e psicoterapeuta Maddalena Cialdella (Aires) e dal presidente Ami Gian Ettore Gassani, sarà aperto a tutti gratuitamente e consisterà in una giornata di confronto a più voci.

Da sempre l’AMI è orientata a creare sinergie interdisciplinari al fine di confezionare eventi di alto livello.

Nonostante gli sforzi economici, l’evento sarà offerto del tutto gratuitamente. Sarà un’intera giornata di confronto a più voci (dalle ore 8.30 alle ore 18.00).

Ecco i relatori: Dott.ssa Laura Baldassarri, Dott.ssa Filomena Albano, On. Sandra Cioffi, Avv. Gian Ettore Gassani , Dott.ssa Maddalena Cialdella, Dott.ssa Francesca Zoffoli, Dott.ssa Rosa di Benedetto, Avv. Valentina de Giovanni, Dott. Alvaro Moretti, Dott.ssa Monica Velletti , Prof. Lina Pezzuti, Dott. Felipe Herrera , Avv. Katia Lanosa, Dott. Salvatore Improta, Prof. Paolo Capri, Dott.ssa Simona Abate, Avv. Cristiana Arditi di Castelvetere, Avv. Massimo Miccichè, Prof. Claudio Bencivenga, Dott. Fabio Fagiolari.

L’alienazione genitoriale, conseguenza dell’orrenda contesa dei figli nelle procedure di separazione e divorzio (ma anche nell’ambito dei contrasti nelle coppie di fatto), è una piaga sociale. Occorre porvi rimedio. Siamo già fuori tempo massimo. I danni patìti dai minorenni al centro di aspri contrasti dei loro genitori sono sotto gli occhi di tutti. Bisogna parlarne senza reticenze e senza ipocrisie. Bisogna qualificare e specializzare gli addetti ai lavori, varare norme di contrasto efficace nei confronti dei genitori alienanti, lavorare su una diversa cultura sociale. Il tempo delle ambiguità e dell’inadeguatezza del sistema deve finire.

I figli non sono proprietà dei genitori. Sono persone con i loro diritti, sono soggetti e non oggetti.

Le convenzioni internazionali, peraltro ratificate dall’Italia, ce lo ricordano tutti i giorni. Purtroppo nel nostro Paese i provvedimenti giurisdizionali trovano difficoltà nella loro esecuzione e raramente si registrano sanzioni significative nei confronti dei genitori che commettono reati (art. 388 c.p.) o illeciti civili (art. 709 ter c.p.p.).

L’Italia è stata più volte condannata dalla CEDU per violazione del principio della bigenitorialità. Siamo ancora nel Medioevo del diritto di famiglia. Si parla tanto dei diritti civili degli adulti ma dei diritti dei minorenni e dei tanti figli contesi si parla poco e male. Ecco perché non abbasseremo mai la guardia contro i genitori padroni.

Si è fatto un gran parlare, stucchevole e in mala fede, sull’esistenza o meno della PAS (sindrome da alienazione genitoriale). Se tale sindrome sia “codificabile” o meno dalla psichiatria mondiale è un falso problema. Certamente la psichiatria è chiamata ad esprimersi in maniera definitiva senza contaminazioni ideologiche.

Ma resta un dato che non ammette discussioni: la violenza dei genitori distrugge i figli. Pertanto, rimbocchiamoci le maniche e diamo un senso ai tanti bei principi di cui parliamo tutti i giorni. I figli non sono un’arma di ricatto o di vendetta. Sono gli uomini e le donne di domani. “Maneggiamoli con cura”.

Roma, il 7 maggio 2018 Avv. Gian Ettore Gassani Presidente Nazionale AMI

www.ami-avvocati.it/alienazione-parentale-quando-il-minore-rifiuta-il-genitore/

Redazione Studio Cataldi newsletter giuridica 21 maggio 2018

www.studiocataldi.it/articoli/30436-alienazione-parentale-evento-formativo-a-roma.asp

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AMORIS LÆTITIA

Nel solco di Amoris lætitia

Tra i frutti di Amoris lætitiac’è anche “La forza dell’amore: vino nuovo in otri nuovi”, corso di alta formazione in consulenza familiare con specializzazione pastorale promosso quest’estate dall’Ufficio nazionale per la pastorale della famiglia della Cei e dall’Istituto superiore di scienze religiose Ecclesia Mater della Pontificia Università Lateranense, in collaborazione con la Confederazione italiana consultori familiari di ispirazione cristiana. Mons. Giuseppe Lorizio, che ne è il coordinatore, ce ne illustra novità e obiettivi.

“La forza dell’amore: vino nuovo in otri nuovi” è il tema del nuovo corso di alta formazione in consulenza familiare con specializzazione pastorale promosso quest’estate dall’Ufficio nazionale per la pastorale della famiglia della Cei e dall’Istituto superiore di scienze religiose Ecclesia Mater della Pontificia Università Lateranense, in collaborazione con la Confederazione italiana consultori familiari di ispirazione cristiana. Il corso, multidisciplinare e di durata triennale, è coordinato da mons. Giuseppe Lorizio, docente di teologia fondamentale alla Lateranense, e si articola in due settimane intensive per tre estati consecutive, alle quali si aggiungono due week-end ogni anno dislocati sul territorio. La prima annualità (2018 – 2019) parte con le due settimane estive in programma dall’8 al 21 luglio a Madonna di Campiglio (Trento). All’appuntamento (iscrizioni fino al 31 maggio) “sono attesi famiglie, coppie di sposi, sacerdoti, seminaristi, religiosi e religiose”, spiega al Sir il direttore dell’Ufficio Cei, don Paolo Gentili. Parole d’ordine formazione, coscienza, discernimento, concretezza. Per il sacerdote, occorre “coniugare la concretezza di Amoris lætitiacon il volto familiare della parrocchia che emerge in Evangelii Gaudium” creando nuove alleanze tra parrocchie e consultori di ispirazione cristiana. E la concretezza richiede “professionalità” perché non si può più “andare nella vigna del Signore come operai generici”.

Mons. Lorizio, qual è l’obiettivo del corso che si presenta con una veste rinnovata?

Quest’anno, a differenza che nei precedenti, l’Ufficio famiglia Cei si appoggia all’Istituto Ecclesia Mater per formare alla luce di Amoris lætitiacoppie di sposi, sacerdoti, religiosi/e, seminaristi che possano accompagnare le coppie in difficoltà tenendo conto di quanto l’esortazione apostolica propone attraverso l’esercizio del discernimento, realtà non facile da gestire. Da un lato, infatti, ci può essere un atteggiamento superficiale, ad esempio in ordine al tema dell’Eucarestia e divorziati risposati, per dire che Amoris lætitiaapre le porte indiscriminatamente a tutti; dall’altro, un atteggiamento di rigida chiusura. Entrambi sono da evitare per trasmettere invece il messaggio dell’esortazione in maniera equilibrata.

Un’altra novità è il coinvolgimento della Confederazione italiana consultori familiari di ispirazione cristiana.

Sì, le persone che verranno a formarsi saranno consulenti familiari di tipo pastorale. In questo senso è importante coinvolgere anche queste realtà presenti sul territorio. Anche i consultori, oltre alle parrocchie, possono intercettare persone o coppie in difficoltà.

A lei è affidato il modulo di introduzione al cristianesimo che precede tutti gli altri. Si tratta di un’alfabetizzazione della fede?

Precede e segue perché riteniamo che anche da questo punto di vista possiamo essere istruiti a ripensare il messaggio evangelico per attuarlo nelle diverse situazioni. Pure preti e seminaristi che hanno già seguito un percorso teologico saranno chiamati ad andare di nuovo alle radici della fede per illuminare con la fede le diverse situazioni. Il tutto all’insegna della concretezza: oltre alle settimane estive è prevista anche molta attività laboratoriale sul territorio guidata da esperti con laboratori e casi concreti ad hoc.

Amoris lætitia afferma che siamo chiamati a formare le coscienze non a sostituirle. Si tratta di partire da zero o di risvegliarle?

Siamo arrivati a pensare questo percorso formativo dopo diversi momenti di confronto sul tema dell’amore tra coscienza e norma mettendo in atto una riflessione teologica sulla coscienza e una riflessione giuridica sulla norma. Non si tratta di osservanza di norme lontane ma piuttosto di calare queste norme nella coscienza di persone, coppie, famiglie. Coscienze illuminate non nascono come funghi ma vanno formate e accompagnate, e questo riguarda sia i destinatari del corso sia coloro che si avvicineranno ai consulenti. Non si tratta né di sostituirsi alle coscienze né di manipolarle perché la coscienza, ci ha ricordato lo scorso novembre il Papa nel messaggio al III Simposio internazionale organizzato dall’Ufficio famiglia della Cei, è il tabernacolo nel quale la persona incontra Dio e quindi va ascoltata, rispettata ed eventualmente illuminata.

In che modo in un tempo di autocoscienza e autodeterminazione ipersoggettiva? L’uomo è ancora capace di ascoltare in profondità questa voce?

La sana teologia non ritiene la coscienza un prodotto del soggetto ma un luogo nel quale Dio parla. Tutti noi, anche le persone che riteniamo più malvagie, possediamo il senso del bene e del male, del vero e del falso, ma l’ascolto della voce della coscienza richiede attenzione educativa e attenzione alla parola di Dio. E comunque non siamo noi che illuminiamo le coscienze; è la Parola di Dio che dimostra che dentro di noi c’è questa voce che spesso soffochiamo e mettiamo a tacere. Risvegliarla è il compito di chi fa pastorale, non solo familiare ma pastorale in generale.

In questo ambito ricorre spesso l’espressione “teologia in ginocchio”. Che significa?

È un’espressione di Papa Francesco. La teologia non si fa solo dietro la scrivania o nelle biblioteche, ma si fa soprattutto attraverso un atteggiamento di preghiera perché è un pensiero meditante che si pone in ascolto di Dio, della Sua Parola, dello Spirito, e attraverso questo ascolto esercita la riflessione e cerca di annunciare la Parola nella maniera il più possibile adeguata al linguaggio dell’uomo di oggi. Tutti i grandi maestri del pensiero teologico sono stati anzitutto grandi santi.

A volte è stata data un’interpretazione erronea di Amoris lætitia. Qual è la visione di amore e di matrimonio che emerge dall’esortazione?

Alla base di questo documento c’è la visione biblica secondo la quale l’amore assoluto, unico, perenne tra uomo e donna altro non è se non immagine dell’amore di Dio per l’umanità. In questo senso interpretare Amoris lætitiacome un documento al di fuori o contro la tradizione della riflessione della Chiesa su matrimonio famiglia e sulla realtà umana dell’amore è decisamente fuorviante. L’esortazione si colloca nel solco di questa tradizione e ci aiuta a interpretare il messaggio della Parola di Dio per le persone di oggi e nelle situazioni in cui si vivono ferite, difficoltà e fragilità.

Giovanna Pasqualin Traversa Agenzia SIR 23 maggio 2018

https://agensir.it/chiesa/2018/05/23/famiglia-mons-lorizio-teologo-discernimento-e-concretezza-per-formare-sposi-sacerdoti-religiosie-che-accompagnino-coppie-in-difficolta

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ASSEGNO DI MANTENIMENTO

Divorzio: cosa succede a chi non paga il mantenimento?

Se il coniuge non paga il mantenimento dopo la separazione o il divorzio, il nuovo art 570 bis c.p. prevede la multa da 103 a 1032 euro o la reclusione fino a un anno. Il nuovo art. 570 bis c.p. amplia le ipotesi di tutela previste in favore dei familiari, nei casi in cui, chi vi è obbligato, non provvede al pagamento dell’assegno di divorzio nei confronti del coniuge e dei figli o viola gli obblighi economici in caso di separazione e affidamento condiviso dei figli. Chi non adempie è infatti punito con le stesse pene previste dall’art 570 c.p. che si occupa del reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare: reclusione fino a un anno o multa da 103 a 1032 euro.

Cosa prevede il nuovo art. 570-bis c.p. L’art. 2, lettera c) del Dlgs. n. 21 del 1 marzo 2018, che ha dato attuazione alla riforma penale prevista dalla legge n. 103/2017, prevede l’inserimento della nuova fattispecie di cui all’art. 570 bis dopo l’art. 570 c.p. La norma disciplina la violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o di scioglimento del matrimonio. In particolare essa prevede che: “Le pene previste dall’articolo 570 si applicano al coniuge che si sottrae all’obbligo di corresponsione di ogni tipologia di assegno dovuto in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio ovvero viola gli obblighi di natura economica in materia di separazione dei coniugi e di affidamento condiviso dei figli“.

Art. 570 bis c.p.: attuazione della riserva. L’articolo, in vigore dal 6 aprile 2018, tramite il rinvio all’art. 570 c.p. prevede, per gli illeciti da esso contemplati, l’applicazione delle stesse pene ossia “la reclusione fino a un anno o (…) la multa da cento tre euro a mille trentadue euro.” Attuando il principio della riserva di codice penale, l’introduzione dell’art. 570 bis c.p. ha comportato la eliminazione:

  • dell’art. 12-sexies della legge n. 898/1970, che punisce il mancato pagamento dell’assegno divorzile;

  • dell’art. 3 della legge n. 54/2006, che contiene la disposizione penale che “in caso di violazione degli obblighi di natura economica” prevede l’applicazione dell’art. 12-sexies della legge n. 898/1970.

Artt. 570 e 570 bis c.p.: coordinamento. Il nuovo art. 570 bis c.p. funge da norma di completamento del sistema di tutele penali previste in favore della famiglia. Esso configura infatti un sistema di garanzie che mira a tutelare il coniuge più debole economicamente e i figli, in caso di separazione e divorzio, nel momento in cui il soggetto obbligato si sottrae agli obblighi economici conseguenti alle fasi patologiche del rapporto. Esso, attraverso il rinvio all’art 570 c.p., non prevede solo l’applicazione alle fattispecie da esso regolate le stesse pene, ma estende ai coniugi separati e divorziati anche le medesime ipotesi di reato:

  • “Chiunque, abbandonando il domicilio domestico, o comunque serbando una condotta contraria all’ordine o alla morale delle famiglie, si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla responsabilità genitoriale o alla qualità di coniuge”;

  • chi “malversa o dilapida i beni del figlio minore o del coniuge”;

  • chi “fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore, ovvero inabili al lavoro, agli ascendenti o al coniuge, il quale non sia legalmente separato per sua colpa.”

Mancato mantenimento: sanzioni e procedibilità. Giunti al termine di questa breve disamina dell’art 570 bis c.p. appare piuttosto evidente che le sanzioni previste dal nuovo art. 570 bis c.p sono:

  • multa da 103 sino a 1.032 euro

  • reclusione fino a un anno.

Dal punto di vista procedurale, come precisato nella relazione di accompagnamento al decreto n. 21/2018, nulla cambia per quanto riguarda il regime di procedibilità di ufficio: “la cui corrispondenza a Costituzione è stata comunque ripetutamente affermata dalla Corte costituzionale (da ultimo con sentenza n.220 del 2015)”. Nello specifico, come previsto dall’art 570 c.p. si procede d’ufficio nei confronti di chi malversa o dilapida i beni del figlio minore o del coniuge o fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di minore età o inabili al lavoro, agli ascendenti o al coniuge, mentre in tutti gli altri casi vale la regola della procedibilità a querela di parte.

Annamaria Villafrate Studio Cataldi newsletter Giuridica 21 maggio 2018

www.studiocataldi.it/articoli/30424-divorzio-cosa-succede-a-chi-non-paga-il-mantenimento.asp

 

Nuovo stabile legame affettivo da parte del coniuge separato, senza convivenza

Tribunale ordinario di Como, 12 aprile 2018

La costituzione di un nucleo familiare di fatto non è esclusa per il sol fatto che i due partner abbiano liberamente optato per soprassedere dall’instaurazione di una stabile convivenza. Ciò ben può avvenire per le coppie coniugate, quindi anche quelle non coniugate epperò legate affettivamente possono essere intese come nucleo familiare di fatto anche in difetto di stabile coabitazione, ove il loro legame integri una comunione di vita interpersonale.

Tale condizione personale da parte del coniuge separato osta al persistere del diritto al mantenimento da parte dell’altro coniuge, posto che la formazione di una famiglia di fatto costituisce espressione di una scelta di vita esistenziale e consapevole, rescindendo ogni collegamento con il tenore e il modello di vita legati al coniugio e quindi escludendo la solidarietà post-matrimoniale dell’altro coniuge.

Nella fattispecie, la moglie separata e assegnataria di assegno di mantenimento a carico del marito, pur negando di convivere col nuovo compagno aveva avuto un figlio da costui e lo frequentava regolarmente ricevendo anche contribuzione per il fabbisogno del bambino. La sua condizione di non autosufficienza economica derivava inoltre proprio dalla recente maternità, quindi da presupposti fattuali diversi da quelli posti a base degli accordi di separazione; motivo per cui il Tribunale ha ritenuto che le conseguenze economiche di tale nuova condizione non dovessero ricadere sull’ex coniuge, ad essa estraneo.

Il caso.it 23 maggio 2018 dispositivo

http://news.ilcaso.it/news_4709?https://news.ilcaso.it/?utm_source=newsletter&utm_campaign=solo%20news&utm_medium=email

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ASSEGNO DIVORZILE

Divorzio: non basta revirement Cassazione per togliere l’assegno all’ex

Tribunale di Mantova, prima sezione, sentenza 24 aprile 2018

Per il tribunale di Mantova non può essere considerato giustificato motivo sopravvenuto ai fini della revisione dell’assegno divorzile l’orientamento della Cassazione inaugurato con la sentenza Grilli

www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_30494_1.pdf

Non si può revocare l’assegno di divorzio all’ex solo per il mutato orientamento della Cassazione, inaugurato con la famosa sentenza Grilli (cfr. Cass. n. 11504/2017). È quanto ha affermato il tribunale di Mantova, rigettando la richiesta di un uomo di revoca o riduzione dell’assegno divorzile all’ex moglie.

L’ex marito chiedeva al tribunale la revoca o la riduzione dell’assegno di divorzio di 350 euro posto a suo carico, sostenendo che l’ex moglie è economicamente autosufficiente sicché sarebbero venuti meno i presupposti per l’attribuzione in suo favore dell’assegno in questione alla stregua dell’orientamento giurisprudenziale inaugurato dalla Cassazione n. 11504/2017.

Ma il tribunale non è d’accordo. Presupposto per la revisione dell’assegno divorzile, osserva preliminarmente il giudice mantovano, “è il sopraggiungere di un giustificato motivo laddove siffatto presupposto deve intendersi come fatto nuovo sopravvenuto modificativo della situazione economica in relazione alla quale erano stati adottati i provvedimenti concernenti il mantenimento del coniuge (cfr., ex multis, Cass. n. 787/2017), non essendo consentito, nel giudizio in questione, addurre fatti pregressi o ragioni giuridiche non prospettate nel procedimento di divorzio e ciò alla stregua del principio secondo cui il giudicato copre il dedotto e il deducibile”. Per di più il ricorrente non ha dimostrato un peggioramento delle proprie condizioni economiche (semmai anzi migliorate atteso che lo stesso non era più gravato dal mantenimento della figlia, dal nuovo matrimonio e dal diritto di usufrutto sulla casa di abitazione), né tantomeno erano migliorate le condizioni dell’ex moglie rispetto al momento del divorzio.

Per cui, considerato che “non può qualificarsi come giustificato motivo ai sensi dell’art. 9 della legge n. 898/1970 il mero mutamento di giurisprudenza in ordine ai criteri con cui deve attualmente essere commisurato l’assegno di divorzio – e cioè con esclusione della rilevanza del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio – atteso che, in caso contrario, si verrebbe ad estendere a rapporti esauriti, perché coperti dal giudicato, una diversa interpretazione della regola giuridica a suo tempo applicata ma con efficacia retroattiva ciò che non è consentito nemmeno alla legge e che produrrebbe un risultato valutato come irragionevole dalla giurisprudenza di legittimità”, nonché l’impossibilità di invocare “il principio del c.d. ‘prospective overruling’ atteso che il mutamento di giurisprudenza ha riguardato una norma di carattere sostanziale e non processuale”, il ricorso è rigettato.

Marina Crisafi Studio Cataldi newsletter Giuridica 21 maggio 2018

www.studiocataldi.it/articoli/30494-divorzio-non-basta-revirement-cassazione-per-togliere-l-assegno-all-ex.asp

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CENTRO INTERNAZIONALE DI STUDI SULLA FAMIGLIA

Newsletter CISF – n. 19, 23 maggio 2018

  • Il rapporto CISF 2017 a Malta. Un confronto stimolante. Martedì 15 maggio 2018, in occasione della Giornata Internazionale delle Famiglie 2018

www.un.org/development/desa/family/wp-content/uploads/sites/23/2018/04/IDF.2018.BACKGROUND-NOTE.pdf

http://pfws.org.mt

la Foundation for the Wellbeing of Society, prestigiosa istituzione in diretto riferimento con la Presidenza della Repubblica di Malta, ha organizzato un seminario di studio (con oltre 100 partecipanti) sul crescente peso delle ICT e del web all’interno delle relazioni familiari. Visto il tema. i lavori hanno preso il via a partire dai dati del Rapporto Cisf 2017, presentato dal suo direttore (F. Belletti), che sono stati confrontati con i dati di recenti indagini sul tema realizzate nel territorio maltese, che presenta una forte propensione all’uso dei social network (è al secondo posto in Europa sull’uso di Facebook). Dopo le relazioni sono stati numerosi gli interventi del pubblico, a conferma del vivo interesse sul tema. Nell’intervento del Cisf è stato ricordato anche l’interessante documento recentemente diffuso dalla COFACE, contenente tredici “Principi per vivere digitale”

www.coface-eu.org/wp-content/uploads/2018/04/DigitalisationPrinciples-COFACE-Families-Europe.pdf

 

  • La sottrazione internazionale di minori. Interessante Report da una ricerca europea (progetto Enhancing the Well-being of Children in Cases of International Child Abduction – eWELL) sul grave problema della sottrazione di minori da parte di un genitore dopo la separazione dal proprio partner, problema acuito dagli imponenti fenomeni migratori a cui abbiamo assistito in questi decenni, con la relativa crescita di coppie con partner di diversa nazionalità. I casi “pendenti” in Italia alla fine del 2017, tra “attivi” (dove è l’Italia a fare domanda si rientro) e “passivi” (dove è un altro Paese a chiedere un rientro dall’Italia) erano 352.

www.lepca.eu/uploads/Compiled_research_report_final.pdf

  • A casa da zia Jessyun condominio solidale a Torino. “A Casa di Zia Jessy è un condominio solidale in cui vivono anziani, donne sole con figli e giovani in uscita da percorsi di riabilitazione sociale. Si tratta di un’esperienza di housing sociale centrata sull’inter-generazionalità, ovvero sulla combinazione e lo scambio di servizi fra persone di diverse fasce d’età”. L’ampia intervista qui riportata fa una sorta di bilancio di dieci anni di attività, e anche per questo è di estremo interesse. perché consente di riflettere sugli esiti e sulle criticità di medio-lungo periodo, rilette dopo un periodo congruo di tempo, anziché proporre descrizioni di modelli teorici, in genere entusiasti (come capita quando si lanciano i progetti) o valutazioni di breve periodo, dopo uno o due anni al massimo, che rendono difficile capire se davvero il progetto è stato qualcosa di più di un bell’esperimento. Virtuosa, in questo senso, la disponibilità di tutti i partner (sponsor, finanziatori, gestori, abitanti del condominio) a sostenere per oltre un decennio questa interessante esperienza,

www.secondowelfare.it/terzo-settore/fondazioni/housing-sociale-e-solidarieta-intergenerazionale-lesperienza-di-casa-jessy.html

  • Dalle case editrici

  • San Paolo, Disturbi di apprendimento. Cosa sono? Come si interviene?, Danelli M.V.

  • FrancoAngeli, Primo rapporto dell’Osservatorio sui consumi delle famiglie, Una nuova normalità, Secondulfo D., Tronca L., Migliorati L.

  • San Paolo, L’alfabeto degli affetti. Dall’adolescenza alla maturità, Pirrone C.

  • Mondadori, L’ho fatto per le donne. Confessioni di un ginecologo non obiettore, Segato M., Pasqualetto A.

  • Istituto Giuseppe Toniolo, La condizione giovanile in Italia. Rapporto Giovani 2018, Il Mulino, Bologna, 2018, pp. 259, € 20,50

Quanto valgono i giovani italiani? Che valore ha la loro formazione? Quanto sono valorizzati nel mondo del lavoro? Quali sono i valori trasmessi dalle generazioni precedenti? Quanto e come sono interiorizzati e rielaborati dalle nuove generazioni? Quali nuove sensibilità, invece, sono capaci di esprimere? Il confronto multiculturale, l’impegno civile, la dimensione sessuale e riproduttiva, la sfera spirituale, come sono da loro vissuti e interpretati? […] Alla base delle analisi proposte nel volume vi sono i dati della principale indagine nazionale – il numero di giovani complessivamente coinvolti è elevatissimo, 9.358 – su desideri, atteggiamenti e comportamenti degli under 35. […] Uno strumento indispensabile per capire chi siano le nuove generazioni, di quali desideri siano portatrici, che cosa orienti le loro scelte, come costruiscano i propri progetti di vita.

http://newsletter.sanpaolodigital.it/Cisf/attachments/newscisf1918_allegatolibri.pdf

  • Save the date –

Nord Milano incontra la famiglia, incontro promosso dal Comune di Milano, Milano, 26 maggio 2018. http://newsletter.sanpaolodigital.it/Cisf/attachments/newscisf1918_allegato3.jpg

Nord La divisione imperfetta. La democrazia oltre le disuguaglianze. Social Cohesion Days 2018, Fondazione Easy Care, evento promosso da Fondazione per la Collaborazione tra i Popoli e Comune di Reggio Emilia, Reggio Emilia, 24-26 maggio 2018.

www.socialcohesiondays.com/wp-content/uploads/2018/05/SCD2018_programmaWEB-1.pdf

Centro La sottrazione internazionale dei minori, corso di formazione (con crediti formativi per avvocati) promosso da ICALI (International Child Abduction Lawyers Italy, associazione di avvocati nel settore delle controversie di famiglia trasfrontaliere e della sottrazione internazionale di minori), Roma, 30-31 maggio 2018 (evento in italiano e inglese).

http://icali.it/workshop/2018-05-30/icali-corso-di-formazione-2018-web.pdf

Sud Fine Vita: DAT e Cure Palliative, convegno promosso dalla Fondazione Opera Santi Medici di Bitonto Onlus (accreditato con 6 crediti ECM per le figure professionali di medici, infermieri e psicologi), Bari, 24 maggio 2018. www.santimedici.org/index.php?mod=news&m2id=7&navId=7&idp=737

Estero The Future of Social Housing: Engaging with the National Vision and Delivering Flexible Solutions to Meet Local Need (Il futuro dell’edilizia sociale: confrontarsi con la prospettiva nazionale ed offrire soluzioni flessibili per rispondere al bisogno locale), incontro promosso da Public Policy Enchange, LONDRA, 12 giugno 2018. www.publicpolicyexchange.co.uk/events/IA12-PPE

 

per i linkhttp://newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/maggio2018/5081/index.html

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CONSULENTI DELLA COPPIA E DELLA FAMIGLIA

Moduli di Contratto di consulenza

Sono stati pubblicati i nuovi moduli di Contratto di consulenza e consenso informato rivisti e modificati sulla base delle disposizioni del nuovo Regolamento Europeo sul trattamento dei dati personali (GDPR 2016/679).

Essendo moduli riservati esclusivamente ai Consulenti della Coppia e della Famiglia, Effettivi o Supervisori, li troverete in questo sito, nella Sezione riservata ai Soci, pagina modulistica.

Rammentiamo che per entrare nella sezione Soci è necessaria la password richiesta a suo tempo, con l’invio dell’indirizzo di posta elettronica.

Comunicato dell’Associazione Italiana Consulenti Coniugali e Familiari 24 maggio 2018

http://www.aiccef.it/it/news/i-nuovi-moduli.html

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DALLA NAVATA

Santissima Trinità – Anno B –27 maggio 2018

Deuteronomio 04, 39 Sappi dunque oggi e medita bene nel tuo cuore che il Signore è Dio lassù nei cieli e quaggiù sulla terra: non ve n’è altro.

Salmo 32, 05 Egli ama la giustizia e il diritto; dell’amore del Signore è piena la terra.

Romani 08, 16 Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio.

Matteo 28, 20 Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo.

 

La Triunità di Dio. Commento di Enzo Bianchi, priore emerito nel convento di Bose (BI)

Domenica scorsa con la Pentecoste, pienezza delle energie della resurrezione di Cristo, abbiamo terminato di vivere il tempo pasquale e siamo così entrati nel tempo per annum. Una consuetudine millenaria della liturgia latina ci chiede di celebrare in questa domenica la festa della Santissima Trinità: ci chiede dunque di contemplare con umiltà il mistero del nostro Dio, il Dio vivente e vero, mistero espresso attraverso un termine dottrinale e dogmatico, la Triunità di Dio. Questo titolo, infatti, vuole affermare che Dio è uno – come recita il comandamento dato a Israele: “Ascolta, Israele, il Signore nostro Dio è uno” (Dt 6,4) –, ma si è rivelato attraverso la venuta di suo Figlio nella nostra umanità, dunque è comunione del Padre e del Figlio e dello Spirito santo: un’unica vita divina, ma vissuta nella koinonía, nella sinfonia di soggetti di un unico amore, l’agápe (cf. 1Gv 4,8.16: “Dio è amore”).

Ma proprio perché le idee e le formule sono sempre inadeguate nel rivelare il Dio che nessuno ha mai visto (cf. Gv 1,18) né contemplato (cf. 1Gv 4,12), dovremmo soprattutto credere a una realtà: in Dio c’è ormai l’umanità del Figlio Gesù Cristo, morto come uomo ma risuscitato nella forza dello Spirito santo, sicché non si può più parlare di Dio senza pensare a lui, senza parlare dell’uomo e pensare l’uomo. Soprattutto, non si può più andare a Dio se non attraverso “la via” (Gv 14,6) che è suo Figlio Gesù Cristo, uomo nato da Maria, vissuto tra di noi, morto e risorto nella nostra storia. Ecco allora cosa annunciare in questa festa che succede al tempo pasquale: con l’incarnazione di suo Figlio, Dio si è unito all’umanità in modo indissolubile e l’umanità trasfigurata è in Dio attraverso il Figlio Gesù che, come era disceso, così è salito al cielo (cf. Ef 4,9-10), “costituito Figlio di Dio con potenza, secondo lo Spirito di santità, in virtù della resurrezione dei morti” (Rm 1,4).

Per celebrare la santa Triunità di Dio, la liturgia ci propone la conclusione del vangelo secondo Matteo, in cui Gesù consegna ai discepoli parole che di fatto sono la “professione di fede” di ogni cristiano quando diventa tale, discepolo di Gesù attraverso il battesimo. Vorrei sostare soprattutto su una frase molto semplice: “Gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato”. Secondo Matteo solo Maria di Magdala e l’altra Maria, dopo aver trovato la tomba vuota, avevano visto Gesù, il quale le aveva salutate con il dono messianico della pace: “Shalom!” (Mt 28,9). Poi aveva comandato loro di essere messaggere dell’annuncio pasquale presso gli apostoli: “Non temete; andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea: là mi vedranno” (Mt 28,10). I discepoli intimi di Gesù, ascoltato l’annuncio da parte delle donne discepole, eseguono puntualmente quel comando.

E così quel gruppo di dodici, ridotto a undici perché Giuda se n’è andato, ritorna sulle strade della Galilea. Devono lasciare Gerusalemme, la città santa, e tornare dov’era iniziata la predicazione di Gesù (cf. Mt 4,12-17): nella Galilea delle genti, terra periferica, terra spuria, abitata da ebrei e non ebrei, terra cosmopolita… Devono andare nel mondo, tra gli uomini e le donne, per affermare che tutti sono chiamati alla fede in Cristo, che ormai – come scrive Paolo – “non c’è più né giudeo né greco” (Gal 3,28), per dare vita a una nuova comunità, non più legata da carne e sangue, da lingua o cultura, da vicinanza o lontananza, ma una comunità che trovi in Gesù Cristo un legame, un fondamento al suo credere, sperare e amare. Potremmo dire che quel soggetto di undici persone è “il piccolo gregge” (Lc 12,32), la chiesa sulle strade del mondo, un piccolo gregge non chiuso in un recinto, non pauroso, non autoreferenziale, ma disposto a stare in mezzo ad altri, fossero anche dei lupi. Non è una gran cosa, né quegli undici sono uomini straordinari: di qualcuno si è tramandato qualche fatto della vita, di altri sappiamo appena il nome; povera gente, in mezzo alla quale vi sono anche alcuni che dubitano su Gesù e sulla sua missione…

Eppure, obbedendo all’indicazione delle donne vanno verso la montagna, il nuovo Nebo (cf. Dt 32,49; 34,1), il luogo della manifestazione della volontà di Dio. Sulla montagna Gesù aveva predicato il Vangelo delle beatitudini (cf. Mt 5,1-7,29), sulla montagna aveva moltiplicato il pane (cf. Mt 15,32-39), sulla montagna era stato trasfigurato dal Padre davanti ai discepoli (cf. Mt 17,1-8): ora sulla montagna gli Undici devono ascoltare le ultime parole del Risorto, le sue ultime volontà. Ed ecco che salgono sul monte indicato e, non appena vedono Gesù, si prostrano, si inginocchiano a terra e adorano. Gesù, che li aveva visti l’ultima volta all’inizio della passione, quando “tutti i discepoli lo abbandonarono e fuggirono” (Mt 26,56), ora li vede ai suoi piedi, in adorazione: gesto pieno di significato, perché quando un uomo si inchina di fronte a un altro, compie uno dei più grandi gesti umani. Come già accennato, essi adorano Gesù anche tra i dubbi, perché in loro i dubbi rimangono e rimarranno fino alla morte, vinti però e trascesi dall’amore: sì, perché l’amore vince i dubbi della fede, questa è la dinamica nel cuore del cristiano…

Gesù allora si avvicina a questi uomini, chiesa di peccatori fragili e dubbiosi, ma chiesa che sa amare e adorare il suo Signore. Questa è la chiesa quotidiana che noi conosciamo e siamo, non un’istituzione trionfante e che si impone, ma un gruppetto di povere persone che dicono per amore: “Signore, aumenta la nostra fede (cf. Lc 17,5)! Signore, noi veniamo meno, qualcuno se ne va, ma vogliamo restare con te! Signore, siamo fuggiti davanti alla sofferenza e alla morte ma, non appena ci hai richiamati, eccoci qui, inchinati davanti a te! Vieni Signore Gesù, vieni presto, Marana tha (1Cor 16,22; cf. Ap 22,20)!”.

Gesù, in risposta, si rivolge agli Undici con la sua parola di Kýrios, di Signore risorto e vivente, dicendo loro: “Una volta andati tra le genti dell’umanità intera, fino ai confini del mondo, fate discepoli, cioè cercate che gli uomini e le donne accolgano la buona notizia del Vangelo, mettendosi alla sua scuola. E immergeteli (questo significa letteralmente il verbo “battezzare”) nel Nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo”. È l’unica volta in cui nel Nuovo Testamento si parla di battesimo-immersione nel Nome della Triunità di Dio, mentre di solito si attesta il battesimo nel Nome di Gesù, l’essere immersi con lui nella sua morte e resurrezione, o nello Spirito che rimette i peccati e santifica. Qui Matteo opera un accrescimento teologico, perché nel suo vangelo Gesù rivela il Padre parlando sovente di lui e rivela lo Spirito promettendolo ai discepoli (cf. Mt 10,20). La comunità dei discepoli ha le sue radici nella vita triunitaria del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, è chiesa che nasce dalla vita della Triunità di Dio, nasce dalla carità di Dio, perché Dio è amore.

Infine, il Signore Gesù proclama se stesso come colui che ha ricevuto ogni potere in cielo e sulla terra. La sua signoria è ben più grande di quella di Ciro, imperatore del mondo (cf. 2Cr 36,23, ultimo versetto della Bibbia ebraica!), perché è quella del Figlio dell’uomo che riceve da Dio stesso il potere (cf. Dn 7,13-14). È una signoria che chiede ai suoi servi solo di vivere il comandamento nuovo dell’amore (cf. Gv 13,34; 15,12); è la signoria di colui che ci assicura: “Io sono con voi”, dunque è l’‘Immanu-El, il Dio-con-noi (cf. Is 7,14; Mt 1,23), sempre, senza mai abbandonarci. Dio resta il Dio tre volte Santo nell’alto dei cieli, “Santo, Santo, Santo” (Is 6,3), ma è ormai il Dio-uomo, il Dio-con-noi, che in Gesù risorto e vivente per sempre ci accompagna sulle vie del mondo; e la comunione di Dio, comunione plurale, è la nostra dimora.

https://www.monasterodibose.it/preghiera/vangelo/12304-triunita

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DEMOGRAFIA

Ora le nascite aumentano solo dove c’è più ricchezza

La regola che legava sviluppo e denatalità vacilla. Nelle regioni europee più avanzate i figli crescono con il reddito. Grazie a lavoro, parità dei ruoli, conciliazione. E ai poveri chi pensa?

Ora le nascite aumentano solo dove c’è più ricchezza. Per decenni gli esperti di demografia e di economia della famiglia hanno analizzato le dinamiche della popolazione alla luce di una regola solidissima: nei paesi più ricchi si fanno meno figli. La questione è stata studiata, approfondita, dibattuta, ma questa norma ha sempre resistito. Ora invece, stando a una ricerca appena pubblicata sull’European Journal of population, la teoria della transizione demografica secondo la quale l’avanzata dello sviluppo porta inevitabilmente un calo della fecondità, starebbe vacillando. Le prove sulla possibilità di invertire il declino delle nascite con l’aumentare del benessere dicono che anche le previsioni demografiche disastrose relative all’Europa potrebbero dover essere riscritte. Forse è presto per parlare di rivoluzione copernicana, ma la scoperta apre un ampio ventaglio di riflessioni sull’evoluzione della famiglia nelle economie avanzate.

«A sorpresa i risultati della nostra ricerca indicano che lo sviluppo non agisce più come un contraccettivo nelle regioni sviluppate, ma potenzialmente potrebbe promuovere una maggiore fecondità», ha spiegato Sebastian Kluesener, che firma lo studio insieme a Mikko Myrskyla, direttore dell’istituto Max Planck per la ricerca demografica, e a Jonathan Fox dell’Università Libera di Berlino. Ma a cosa si deve questa inversione di tendenza? Analizzando 250 regioni di 20 paesi europei i ricercatori hanno trovato che nei territori più sviluppati si è incominciato a registrare un chiaro aumento del numero di figli per donna al crescere del reddito. Nel 1992 il rapporto tra fecondità e retribuzioni non mostrava differenze sostanziali al variare della ricchezza. Vent’anni dopo, nel 2012, ecco invece un trend in decisa crescita: più benessere, più bambini. La tendenza riguarda in realtà i contesti più evoluti. Il reddito, cioè, diventa una forza trainante per la fecondità quando persone con buoni livelli di retribuzione hanno la fortuna di vivere in una regione in cui sono diffusi i servizi per la cura dei figli, dove le aziende consentono congedi parentali generosi e margini di flessibilità e gestione del tempo che favoriscono la conciliazione tra il lavoro e la vita familiare.

Alla conclusione che nei contesti più avanzati tassi di sviluppo ulteriori possono invertire il declino della fecondità era già arrivata qualche anno fa una ricerca condotta da Francesco Billari, docente di demografia alla Bocconi, insieme sempre a Mikko Myrskyla, e pubblicata su Nature. Se si pensa all’Italia è avvenuto proprio questo: a differenza del passato i tassi di fecondità sono ormai più alti nel Nord sviluppato che al Sud. Oggi la conferma a questa intuizione è ancora più solida e indica che la fecondità può crescere ulteriormente se lo sviluppo aumenta. In un Continente sempre più vecchio l’analisi ha anche un valore “storico”. Nell’antichità e nella società agricola il numero di figli e le risorse disponibili hanno di fatto sempre avuto una relazione positiva. Con l’avvento della rivoluzione industriale il discorso si è fatto più complicato: dal XIX secolo le transizioni demografiche hanno insegnato che lo sviluppo riduce sempre la taglia della famiglia. Un “paradosso” cui sono state date molte spiegazioni: economiche, sociali, culturali, religiose. Se ci si limita a uno sguardo economico sulla persona umana, la teoria insegna che lo sviluppo fa salire i costi opportunità dei figli e spinge le persone ad averne meno. L’ingresso delle donne nel mercato del lavoro ha accentuato questo processo. Ora non è più così. Ma cosa serve per sostenere la fecondità nei paesi ricchi, in particolare nelle regioni più depresse di questi?

Le misure in grado di incidere sulla natalità sono molte e note. Un primo gruppo di aiuti prevede incentivi monetari alle famiglie, sussidi o detrazioni fiscali elargiti in base ai figli. Quando sono ben calibrati funzionano, come insegna l’esempio francese, tuttavia si è visto che questo tipo di misure avvantaggia chi vive nelle aree meno “avanzate”. Dove invece il contesto è più competitivo, come le grandi città o le regioni più innovative, ecco che funzionano meglio altri interventi. Nelle famiglie in cui l’istruzione è alta ed entrambi i genitori lavorano, la fecondità è sostenuta da una precisa combinazione di fattori: divisione paritaria dei compiti tra padre e madre, disponibilità di servizi pubblici di assistenza all’infanzia, congedi parentali estesi, possibilità di rientrare al lavoro dopo la nascita dei figli senza penalizzazioni di carriera, accordi di lavoro flessibili che consentono di conciliare il lavoro e la cura della prole. Internet e le tecnologie digitali rappresentano un altro elemento positivo, perché riavvicinano il lavoro alla casa, un po’ come era nella società agricola, e favoriscono una migliore gestione del tempo da parte dei genitori. I territori più avanzati, inoltre, attirano migranti e giovani, circostanza che si accompagna a un aumento delle nascite e della popolazione. Francia, Belgio, Svezia, Norvegia, Austria sono i paesi in cui questi processi appaiono più evidenti.

La scoperta che i tassi di natalità possono riprendere vigore anche nel mondo più sviluppato è una buona notizia. Ed è significativo che a fare la differenza sia un aumento del “benessere” inteso come ricchezza di lavoro, di reddito, ma anche di tempo, servizi, qualità della vita e relazioni. Tuttavia ci sono alcuni elementi critici da considerare. Intanto il rialzo della fecondità registrato nelle aree più attive resta contenuto, quasi sempre sotto il tasso di sostituzione dei 2,1 figli per donna. Dunque stiamo parlando di una ripresina. Inoltre, se abbiamo trovato il modo per favorire le nascite nel mondo ricco, è anche vero che le condizioni ideali non sono facili da raggiungere, e questo può premiare le élites, generando nuove disuguaglianze e ulteriori tensioni tra i “centri” più progrediti e le “periferie” dello sviluppo. Il rischio, insomma, è che i figli diventino un privilegio.

«In un Paese che ha tassi di sviluppo al suo interno molto diversi – spiega Billari – servirebbe un mix di politiche con interventi come il reddito garantito per i minori, a beneficio soprattutto dei contesti più poveri, e più servizi e welfare quando è necessario favorire la conciliazione». Al di là di tutto, le ricerche dimostrano che dove la ricchezza e il benessere sembrano avere dato tutto alle persone, il desiderio di figli e di famiglia non si spegne, ma continua a essere forte e, appena trova lo spazio, riemerge con tutta la potenza del messaggio di gioia e speranza che porta con sé.

Massimo Calvi Avvenire 24 maggio 2018

www.avvenire.it/opinioni/pagine/piu-sviluppo-piu-figli

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DIVORZIO

Cassazione: ok al divorzio lampo straniero

Corte di Cassazione, prima sezione civile, ordinanza n. 12473, 21 maggio 2018.

Il c.d. divorzio lampo rumeno può essere oggetto di delibazione nel nostro paese. È quanto affermato dalla Cassazione.

Confermando la pronuncia di merito che dichiarava efficace nel territorio nazionale la sentenza del tribunale rumeno, la S.C. ha affermato che in materia di delibazione di una sentenza straniera di divorzio, i tempi, diversi e più brevi, della procedura contemplati dalla normativa applicata dalla stessa sentenza, non rappresentano un ostacolo al riconoscimento da parte del giudice italiano della pronuncia di divorzio, fondata peraltro sull’accordo delle parti, già sintomo sufficiente della definitiva cessazione della comunione di vita tra i coniugi.

Redazione News studio Cataldi 24 maggio 2018

www.studiocataldi.it/articoli/30542-cassazione-ok-al-divorzio-lampo-straniero.asp

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FIGLI

Il padre diventa testimone di Geova e vuole che la figlia lo segua nelle cerimonie religiose.

Corte di Cassazione, prima sezione civile, decisione n. 12954, 24 maggio 2018.

http://www.sugamele.it/allegati/25-05-2018-12954.pdf

Inammissibile il ricorso viene confermata l’inibizione al padre di portare la figlia nella sale delle adunanze per la manifestazione della fede dei Testimoni di Geova.

Confermata la decisone della Corte di appello di Firenze che aveva rilevato come la minore, ascoltata dal Tribunale di Livorno, avesse manifestato «il proprio disagio a partecipare agli incontri, che si tengono il sabato sera presso il Tempio dei Testimoni di Geova».

La Ctu psicologica aveva ritenuto che «l’equilibrata crescita emotiva della bambina fosse pregiudicata dalle modalità attraverso le quali il padre intendeva portarla a conoscenza del proprio credo e sollecitarla a seguirlo, nel contempo inibendole di partecipare alle manifestazioni della religione cattolica nella quale è stata educata e che condivide con le sue amiche».

Studio Sugamele 25 maggio 2018 www.divorzista.org/sentenza.php?id=15044

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FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI

La famiglia: il petrolio italiano.

Mai come questa volta, l’ISTAT mette in risalto non solo numeri, ma anche i sentimenti e le emozioni che traspaiono dalle fredde cifre. L’istituto mette nero su bianco che sono 3 milioni gli italiani che dichiarano di non poter contare su alcun sostegno umano, nessun amico, nessun vicino di casa, nessun parente. Addirittura, è il 50% degli anziani a confessare di non avere un amico. E allora, iniziamo a comprendere quello che ripetiamo ormai da anni: senza investimenti sulla famiglia questo Paese crolla.

Perché a forza di fungere da “ammortizzatore sociale”, oggi la famiglia – dobbiamo dircelo – non ce la fa più. Non solo la fatica di arrivare alla fine del mese per un fisco iniquo, ma anche la follia (tutta italiana) che mettere al mondo un figlio è una delle prime cause di povertà.

La famiglia è come il petrolio, per l’Italia. Non attuare politiche che favoriscano la coesione sociale, la natalità, il ricambio generazionale, non solo fa lievitare enormemente i costi del nostro Welfare, ma inoltre ci condanna ad una vita in solitudine. Una vita più brutta.

Potremmo avere servizi gratuiti per tutti, se solo lo volessimo. Invece sperperiamo il nostro patrimonio a mettere pezze, a riparare le falle del sistema, anziché prenderci la briga di rivoluzionare il nostro sistema-paese, mettendo la famiglia al centro. L’ISTAT ci dice che nel 2028, non tardissimo, lo squilibrio numerico sarà enorme: 217 anziani ogni 100 giovani. Non c’è più tempo, i numeri sono impietosi.

È indubbio che le politiche sinora attuate, o anche quelle solo al vaglio delle forze politiche (come eventuali redditi di cittadinanza o di inclusione, ecc.), si occupano solo dei sintomi della malattia del Paese e non delle sue cause, portando all’immobilità economica e sociale.

Basta aspirine, ci vuole un antibiotico forte ed un ricostituente. Noi – da sempre – proponiamo il Fattore Famiglia e siamo pronti a renderlo realtà. E non smetteremo di chiedere conto, come e più di sempre, perché i nostri figli costretti a lasciare l’Italia o senza l’orizzonte di un futuro davanti ci danno una forza ancora maggiore.

Gigi De Palo, Presidente Nazionale Forum Famiglie 17 maggio 2018

www.facebook.com/forumfamiglie/posts/2073393449399901

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FRANCESCO VESCOVO DI ROMA

“…Più di una Enciclica”

Due giorni, due interventi, venti minuti in tutto…più di una Enciclica, meno di un percorso programmato, ma indicazioni vere, autentiche, che portano alla testimonianza e spesso esigono scelte profetiche. Questo è Papa Francesco, questa è la “sua” Chiesa…a noi le risposte, senza giri di parole!

Papa Francesco ci ha abituati ad un “magistero” vissuto non con documenti ufficiali, ma scritto giorno per giorno, attraverso scelte, segni, testimonianze. In due giorni, domenica e lunedì ce ne ha dato una ulteriore testimonianza. In pratica ha scritto una “Esortazione Apostolica” a braccio!

Domenica 27 maggio ha annunciato i nuovi cardinali che riceveranno la “berretta” nel concistoro del prossimo 29 giugno. I giornali hanno come al solito, parlato di “sorprese” nei nomi, di scelte o dimenticanze politiche od opportune. Noi preferiamo leggere in quei nomi dei nuovi cardinali indicazioni precise di un magistero, di una scelta pastorale.

Papa Francesco già altre volte ha fatto capire che le “berrette” cardinalizie non sono un “premio alla carriera” o un “diritto di sede”, ma soprattutto una indicazione di testimonianze e di riflettori puntati su particolari situazioni. Ha voluto “premiare”, ad esempio, il Patriarca dei Caldei, per indirizzare l’attenzione verso la drammatica situazione delle popolazioni cristiane in Medio Oriente.

Ha “creato” Cardinale l’Arcivescovo dell’Aquila, chiaramente manifestando la sua vicinanza e condivisione per le popolazioni colpite dal terremoto, così conferendo la porpora al suo “Elemosiniere” è come se avesse detto ai clochards che circondano il Vaticano “sono con voi tutti i giorni”.

Il giorno dopo, lunedì 28, rivolgendosi ai Vescovi italiani riuniti per la loro assemblea annuale, ha puntato su tre temi che, se da una parte fanno risaltare immediatamente tre situazioni difficili della Chiesa italiana, dall’altra indicano percorsi e strategie che inevitabilmente dovranno occupare scelte e d attenzioni delle nostre realtà pastorali nei prossimi anni.

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2018/may/documents/papa-francesco_20180521_cei.html

Come è suo stile, Papa Francesco, non ha indicato un programma, fatto di preparazione, analisi, scelte conclusive, ma ha messo sul tappeto in modo immediato e altrettanto vero, situazioni e problematiche della Chiesa italiana, invitando a trovare soluzioni o almeno cammini che possano portare a superare le difficoltà attuali in breve tempo.

Crisi di vocazioni, ad esempio, non attendono indagini demoscopiche o strategie vocazionali, ma esigono scelte immediate, esse stesse vocazionali, come quella dei “fidei donum” nelle nostre comunità diocesane.

Così l’accorpamento delle diocesi, con l’auspicio di andare oltre a campanilismi o realtà oggi ormai superate e nello stesso tempo ancora troppo burocratizzate. La fondamentale scelta di testimonianza di povertà, poi, naturalmente è quella che sta più a cuore a Papa Francesco, soprattutto per i sacerdoti.

Due giorni, due interventi, venti minuti in tutto…più di una Enciclica, meno di un percorso programmato, ma indicazioni vere, autentiche, che portano alla testimonianza e spesso esigono scelte profetiche.

Questo è Papa Francesco, questa è la “sua” Chiesa…a noi le risposte, senza giri di parole!

Emilio Pastormerlo, direttore “L’Araldo Lomellino” (Vigevano) Agenzia SIR 24 maggio 2018

https://agensir.it/territori/2018/05/24/piu-di-una-enciclica

 

Papa: per fare del bene si usa il dialetto della famiglia

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2018/may/documents/papa-francesco_20180525_questura-roma.html

Ricevendo in Aula Paolo VI il personale della Questura di Roma e della Direzione centrale di Sanità, Francesco guarda ai profondi mutamenti del nostro tempo assicura che la Chiesa è vicina alle famiglie che attraversano crisi e dolori

Una nazione non può reggersi se le famiglie non adempiono al compito di educare ad essere cittadini “leali e onesti” e a trasmettere una fede sincera, fondata su una “preghiera umile, semplice e al tempo stesso aperta alla speranza” e alla gioia che proviene da “un’armonia profonda tra le persone”. Questa la riflessione del Papa ricevendo in Aula Paolo VI i dirigenti e il personale della Questura di Roma e della Direzione centrale di Sanità, con i familiari e i parenti delle vittime “del terrorismo e del dovere”, circa 6.000 persone: nel corso dell’incontro, introdotto dal Prefetto Franco Gabrielli, anche l’illustrazione delle molteplici attività della Polizia di Stato, tra cui il contrasto alla violenza di genere e ai reati sulla rete e la sensibilizzazione alla legalità nelle scuole.

Buona salute famiglia decisiva per mondo e Chiesa. Francesco, dopo aver ringraziato i presenti della partecipazione all’udienza con le famiglie, nota proprio come la famiglia sia la “prima comunità dove si insegna e si impara ad amare” e al contempo “l’ambito privilegiato in cui si insegna e si impara anche la fede, si impara a compiere il bene”.

Queste cose, la fede, l’amore, fare il bene, si imparano soltanto in dialetto, il dialetto della famiglia, in un’altra lingua non si capiscono. Si imparano in dialetto, il dialetto della famiglia. La buona salute della famiglia è decisiva per il futuro del mondo e della Chiesa, considerando le molteplici sfide e difficoltà che oggi si presentano nella vita di ogni giorno. Infatti, quando si incontra una realtà amara, quando si fa sentire il dolore, quando irrompe l’esperienza del male o della violenza, è nella famiglia, nella sua comunione di vita e di amore che tutto può essere compreso e superato.

Nazioni si reggono su valori trasmessi da famiglie. Quindi guarda all’epoca in cui viviamo, che è percorsa “da profondi mutamenti”. Lo sperimentate continuamente nel vostro lavoro, sia nelle indagini sia sulle strade, specialmente in una città come Roma. E l’esperienza familiare vi aiuta anche in questo, perché vi dà equilibrio umano, saggezza, valori di riferimento. Una buona famiglia trasmette anche i valori civili, educa a sentirsi parte del corpo sociale, a comportarsi da cittadini leali e onesti. Una nazione non può reggersi se le famiglie non adempiono questo compito. La prima educazione civica si riceve anche ‘in dialetto’, nella famiglia.

Con Gesù, luogo della tenerezza. La famiglia, come ogni realtà umana, è segnata dalla sofferenza, aggiunge Francesco, citando tante pagine della Bibbia e ricordando che “Gesù è sempre capace di misurarsi con le persone che lo implorano per la salute o che piangono inconsolabili”.

Sulla strada della vita Gesù non ci abbandona mai: Egli segue e accompagna con misericordia tutti gli esseri umani; in modo particolare le famiglie, che santifica nell’amore. La sua presenza si manifesta attraverso la tenerezza, le carezze, l’abbraccio di una mamma, di un padre, di un figlio. La famiglia è il luogo della tenerezza. Per favore, non perdere mai la tenerezza e quest’epoca manca di tenerezza, serve ritrovarla e la famiglia può aiutarci adesso. Per questo nelle Scritture Dio si mostra padre ma anche madre che accudisce e si china nel gesto di allattare e di dare da mangiare.

Chiesa accanto a famiglie che vivono crisi. Sull’esempio di Gesù, anche la Chiesa conosce “le ansie e le tensioni delle famiglie, i conflitti generazionali, le violenze domestiche, le difficoltà economiche, la precarietà del lavoro”. Sull’esempio del Vangelo, essa- spiega il Papa – è condotta “dallo Spirito Santo a stare vicina alle famiglie, come compagna di viaggio, soprattutto per quelle che attraversano qualche crisi o vivono qualche dolore, e anche per indicare la meta finale, dove la morte e il dolore scompariranno per sempre”.

La Chiesa, come madre premurosa, ci insegna a rimanere saldi in Dio, quel Dio che ci ama e ci sostiene. A partire da questa esperienza interiore fondamentale è possibile arrivare a sostenere tutte le contrarietà e le vicissitudini della vita, le aggressioni del mondo, le infedeltà e i difetti nostri e degli altri. È solo partendo da tale solida esperienza interiore che possiamo essere santi nella perseveranza del bene, che con la grazia di Dio vince ogni male.

Giada Aquilino – Città del Vaticano Vatican news 25 maggio 2018

www.vaticannews.va/it/papa/news/2018-05/papa-per-fare-del-bene-si-usa-dialetto-della-famiglia.html

 

Il Papa: la bellezza della coppia è la somiglianza a Dio

E’ vero ci sono difficoltà nella vita di coppia e nella famiglia ma guardiamo alla bellezza del matrimonio: è l’invito che Francesco rivolge oggi nell’omelia alla santa Messa mattutina. E sottolinea: la vita di fede non può ridursi a un “si può o non si può”

E’ la bellezza del matrimonio il tema dell’omelia del Papa alla Messa di questa mattina a Casa Santa Marta. Ad ascoltarlo, tra gli altri, sette coppie al 50.esimo e 25.esimo di nozze.

http://w2.vatican.va/content/francesco/it/cotidie/2018/documents/papa-francesco-cotidie_20180525_omelia-santa-marta.html

Si può o non si può. Il brano del Vangelo secondo Marco (10, 1-12), appena letto, riferisce dell’intenzione dei farisei di mettere alla prova Gesù ponendogli una domanda che il Papa definisce “casistica”, quelle domande della fede, spiega, che si possono riassumere in un “si può o non si può” e “dove la fede è ridotta a un sì o un no”. E precisa: Non il grande ‘sì’ o il grande ‘no’ dei quali abbiamo sentito parlare, che è Dio. No: si può o non si può. E la vita cristiana, la vita secondo Dio, secondo questa gente, è sempre nel ‘si può’ e ‘non si può’.

Guardiamo alla bellezza del matrimonio. La domanda riguarda il matrimonio, vogliono sapere se è lecito o no ad un marito ripudiare la propria moglie. Ma, dice Francesco, Gesù va oltre, va su e “arriva fino alla Creazione e parla del matrimonio che forse è la cosa più bella” che il Signore ha creato in quei sette giorni.

‘Dall’inizio della creazione [Dio] li fece maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola’. “E’ forte quello che dice il Signore”, commenta il Papa, parla di “una carne” che non si può dividere. Gesù “lascia il problema della separazione e va alla bellezza della coppia” che deve essere uno.

E il Papa raccomanda: “Noi non dobbiamo soffermarci, come questi dottori, su un ‘si può’, o ‘non si può’ dividere un matrimonio. Questo è… alle volte c’è la disgrazia che non funziona ed è meglio separarsi per evitare una guerra mondiale, ma questa è una disgrazia. Andiamo a vedere il positivo”.

Andare sempre avanti. Poi il Papa racconta di quando ha incontrato una coppia che festeggiava i 60 anni di matrimonio e alla sua domanda: “Siete felici?”, i due si sono guardati e i loro occhi si sono bagnati di lacrime per la commozione e gli hanno risposto: “Siamo innamorati!”.

E’ vero che ci sono delle difficoltà, ci sono dei problemi con i figli o nella stessa coppia, discussioni, litigi … ma l’importante è che la carne rimanga una e si superano, si superano, si superano. E questo è non solo un sacramento per loro, ma anche per la Chiesa, come fosse un sacramento che attira l’attenzione: “Ma, guardate che l’amore è possibile!”. E l’amore è capace di fare vivere innamorati tutta una vita: nella gioia e nel dolore, con il problema dei figli e il problema loro … ma andare sempre avanti. Nella salute e nella malattia, ma andare sempre avanti. Questa è la bellezza.

La coppia: immagine e somiglianza di Dio. L’uomo e la donna sono creati a immagine e somiglianza di Dio e lo stesso matrimonio diventa così Sua immagine, per questo, dice il Papa, è tanto bello: “Il matrimonio è una predica silenziosa a tutti gli altri, una predica di tutti i giorni”. E’ doloroso quando questo non è notizia: i giornali, i telegiornali non prendono come notizia, questo. Ma, questa coppia, tanti anni insieme … non è notizia. Sì, notizia è lo scandalo, il divorzio, o questi che si separano – a volte si devono separare, come ho detto, per evitare un male maggiore … Ma l’immagine di Dio non è notizia. E questa è la bellezza del matrimonio. Sono a immagine e somiglianza di Dio. E questa è la notizia nostra, la notizia cristiana.

La pazienza è la virtù più importante. Francesco ripete che non è facile la vita matrimoniale e di famiglia, e cita la Prima Lettura tratta dalla lettera di san Giacomo apostolo, che parla della pazienza. Dice che è “forse la virtù più importante nella coppia – sia dell’uomo sia della donna” e conclude con una preghiera al Signore “perché dia alla Chiesa e alla società una coscienza più profonda, più bella del matrimonio che tutti noi riusciamo a capire e a contemplare che nel matrimonio c’è l’immagine e la somiglianza di Dio”.

Adriana Masotti – Avvenire 25 maggio 2018

www.avvenire.it/papa/pagine/santa-marta-del-25-maggio-2018

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GENITORIALITÀ RESPONSABILE

Discernimento

Carissima Carla,

in questi giorni ho terminato la lettura di Amoris lætitia. Seguendo il consiglio di papa Francesco (cf. AL, n. 7) ho cercato di approfondire alcuni aspetti dell’amore coniugale e della sua fecondità, in particolare il cap. V.

Mi ha colpito il modo con cui viene affrontato il tema con un tono che, senza rinunciare alla riflessione teologica e all’analisi psicologica, cerca la prossimità con l’esperienza concreta, per far percepire la bellezza dei valori morali tra le pieghe dell’esistenza (cf. AL, n. 265).

È così che la fecondità viene declinata nelle sue specifiche sfumature di genere rivolgendosi alle madri e ai padri, ai loro dubbi e timori, alle gioie intime e alle attese cariche di speranza di fronte all’attesa della vita nascente. Il loro compito viene valorizzato in senso molto ampio, ben al di là della procreazione, per declinarsi nelle molteplici forme della generatività che accoglie e include le persone, soprattutto quelle più fragili, superando i confini del nucleo familiare per divenire segno e strumento dell’amore di Dio nella società e nella storia (cf. AL, n. 184). In tal modo l’accento sugli aspetti procreativi risulta ben integrato nel contesto dell’amore coniugale (cf. cap. IV) e da esso sgorga come da una sorgente, attrae e affascina, pur nell’indispensabile responsabilità che vi è connessa, senza imporsi come un peso o un dovere imposto dall’esterno (cf. AL, n. 35).

Sessualità e metodi naturali: la logica del “bene possibile” Proprio per questo mi ha colpito il fatto che nel cap. V non sia mai citata l’enciclica Humanæ vitæ e che in tutta l’esortazione non si faccia mai riferimento esplicito alla norma morale dell’inscindibile unità dei significati unitivo e procreativo di ogni atto coniugale (cf. HV, n. 12), in base alla quale solo i metodi naturali risultano eticamente adeguati alla regolazione delle nascite (cf. HV, n. 14). L’intera impostazione del documento sembra aprire spazi al discernimento di ogni singola coppia chiamata a prendere una decisione in coscienza sul proprio progetto generativo, tenuto conto delle circostanze concrete in cui si trova a vivere la propria famiglia. Sebbene i metodi naturali continuino a essere lodati e vadano fatti conoscere specie tra le giovani coppie (cf. AL, n. 222), sembra che in base alla logica del “bene possibile” anche altri mezzi possano essere utilizzati, purché non abortivi.

Infatti, si riconosce come «vero che la retta coscienza degli sposi, quando sono stati molto generosi nella trasmissione della vita, può orientarli alla decisione di limitare il numero dei figli per motivi sufficientemente seri» (AL, n. 42) e che «la sessualità dev’essere una questione da trattare tra coniugi… di comune accordo» (AL, n. 154). Alcune coppie «non sono in condizione di comprendere, di apprezzare o di praticare pienamente le esigenze della legge» (AL, n. 259) oppure si trovano «in condizioni concrete che non permettono di agire diversamente e di prendere altre decisioni senza nuova colpa» (AL, n. 301). Con umiltà e discrezione una coppia potrebbe giungere a «riconoscere non solo che una situazione non risponde obiettivamente alla proposta generale del Vangelo; può anche riconoscere con sincerità e onestà ciò che per il momento è la risposta generosa che si può offrire a Dio, e scoprire con una certa sicurezza morale che quella è la donazione che Dio stesso sta richiedendo in mezzo alla complessità concreta dei limiti, benché non sia ancora pienamente l’ideale oggettivo». (AL, n. 303). In tal caso il ricorso a metodi diversi da quelli naturali non andrebbe più considerato come un male in tutti i casi, almeno sul piano soggettivo.

Ti sembra che questa lettura sia pertinente? Oppure il teologo “a tavolino” si è lasciato sedurre da suggestioni che niente hanno a che vedere con la verità morale e l’umana esperienza? Attendo una tua reazione come teologa e come donna a cui sta a cuore la ricerca del vero e la gioia delle famiglie. A presto, Giovanni.

Giovanni Del Missier, teologo Roma Moralia blog 25 maggio 2018

http://www.ilregno.it/moralia/blog/genitorialita-responsabile-i-or-discernimento-giovanni-del-missier?www.ilregno.it?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=Doc1809

 

Coscienza

Carissimo Giovanni,

ti ringrazio per le riflessioni che hai condiviso e che mi hanno fatto ulteriormente riflettere.

È vero che ci sono sposi molto generosi nella trasmissione della vita e che, dunque, hanno motivi sufficientemente seri per limitare il numero di figli (cf. AL, n. 42) tuttavia ho l’impressione che il punto centrale sia un altro e cioè che la mentalità antinatalista sia estremamente rilevante per non dire maggioritaria.

Detto diversamente, la questione più urgente da affrontare mi sembra data dal fatto che le coppie si facciano pochi scrupoli a gestire in modo del tutto autonomo e autoreferenziale la propria vita sessuale tanto è vero che il calo demografico appare uno dei maggiori problemi dell’occidente almeno europeo.

Riscoprire il fascino dell’amore e della vita, rileggere l’Humanæ vitæ. Per questo motivo io riformulerei la questione della generazione responsabile nell’ottica della riappropriazione di un’esperienza d’amore così unica, infinita e vitale che possa rendere addirittura possibile una nuova persona. A mio parere questa è anche l’ottica in cui rileggere oggi Humanæ vitæ. Tralasciando il linguaggio, che veicola un approccio difficile da accogliere dalla sensibilità attuale, Humanæ vitæ mi sembra che descriva l’amore tra un uomo e una donna come ognuno lo pensa e lo sogna: sensibile e spirituale, totale, fedele (cf. HV, n. 9). Ognuno di noi desidera profondamente essere amato ed amare così.

Inoltre, si desidera che l’amore sia anche fecondo cioè capace di generare, in qualche modo, vita. Se non è patologico, infatti, perché l’amore umano, sul modello trinitario, non basta a se stesso. Il punto è ritrovare, oggi, in questo contesto sociale e culturale, ciò che Francesco presenta al capitolo V di Amoris lætitia e cioè il fascino e la passione per una nuova persona umana, il figlio, che si presenta e che chiede «di essere amato prima» (AL, n. 166). Nell’esperienza, così forte e intensa, di amore che si sperimenta nella comunione dei corpi entrambi i coniugi possono vivere un’altra esperienza unica che li proietta fuori di sé rendendo possibile il miracolo di una nuova persona umana.

Dai metodi alla coscienza: la gratuità dell’amore. Non si tratta, in questo caso, di obbedire ad una legge esterna che obbliga al mantenimento del significato unitivo e procreativo dell’atto sessuale (cf. HV, n. 12) o di una irresponsabile mancanza di consapevolezza circa il significato di avere e allevare figli (cf. AL, n. 167) quanto della forza dell’amore che, partendo dall’unione della coppia, si getta con passione al di là dei due partner nella bellezza attraente della generazione di un figlio (cf. AL, n. 165). Un amore pienamente tale perché gratuito. E ogni nuova vita ci permette davvero «di scoprire la dimensione più gratuita dell’amore che non finisce mai di stupirci» (AL, n. 166). Ma questa gratuità deve, per prima cosa, essere costitutiva dell’amore che la donna e l’uomo vivono tra loro perché solo così il figlio non è colto come possesso capriccioso (cf. AL, n. 172) o ospite indesiderato e la generazione diviene realmente “responsabile”. In questa prospettiva la crescita umana dei genitori come mamma e papà adulti, con una coscienza formata anche dalla Parola di Dio (cf. AL, n. 222) è condizione perché tutto questo si realizzi (cf. AL, n. 222).

Il punto si sposta così, nel concretizzare queste riflessioni, dai metodi alla coscienza. È il cambio di prospettiva che si realizza da Humanæ vitæ ad Amoris lætitia. Ma questo “passaggio” è possibile proprio perché tra le due si stabilisce un ponte. Detto diversamente, è proprio perché l’enciclica di Paolo VI è molto chiara nel distinguere nel concreto i diversi elementi dell’atto matrimoniale introducendo il concetto di paternità responsabile (cf. HV, n. 10) che, oggi, l’esortazione – frutto di due Sinodi sulla famiglia – può sottolineare maggiormente il ruolo della coscienza (cf. AL, n. 42) che trova nel discernimento verso il bene maggiore un criterio etico rilevante. La proposta, dunque, è di leggere insieme i due documenti poiché ogni esperienza generativa implica sempre un dialogo serio tra la parola di Dio che si deve rendere concreta in alcuni principi etici chiari e la libera responsabilità umana che può cogliere la grandezza della generazione come un’opportunità di compimento o, viceversa, un’occasione di perdita della libertà.

Carla Corbella, teologa Torino Moralia blog 25 maggio 2018

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NULLITÀ MATRIMONIALI

Quali sono gli effetti della nullità del matrimonio concordatario sulla separazione personale?

Nota a Corte di Cassazione, prima sezione civile, ordinanza n. 11553, 11 maggio 2018.

Vedi newsUCIPEM n. 702, pag. 22

Il fatto. Successivamente alla pronuncia della separazione personale dei coniugi Tizio e Caia, veniva riconosciuta a quest’ultima un assegno di mantenimento di Euro 250,000 mensili. Tizio chiedeva, ai sensi dell’art. 710 c.p.c., la revoca del proprio obbligo a corrispondere quell’assegno affermando che, dopo il passaggio in giudicato della sentenza di separazione, era intervenuta la delibazione, da parte della competente Corte di appello, della decisione ecclesiastica dichiarativa della nullità del loro matrimonio concordatario.

Il Tribunale di Benevento accoglieva la sua domanda, ma la Corte di appello di Napoli, decidendo sul corrispondente reclamo di Caia, riformava la decisione, respingendo la richiesta del marito.

Avverso il decreto del giudice del reclamo, Tizio proponeva ricorso per cassazione sulla base del fatto che il giudice di seconde cure aveva fatto riferimento ad una giurisprudenza di legittimità non conferente al caso di specie. La giurisprudenza richiamata dalla difesa di Caia riguardava, infatti, il giudicato formatosi su statuizioni economiche emesse nell’ambito di un giudizio di cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario e non, invece, con riferimento ad una fase transitoria, come quella della separazione.

Il Palazzaccio, con l’ordinanza in esame, ha accolto le istanze del ricorrente, affermando il seguente principio di diritto: “una volta dichiarata l’invalidità originaria del vincolo matrimonio per effetto di sentenza del Tribunale ecclesiastico ritualmente delibata e, quindi, efficace per l’ordinamento civile italiano, viene meno il presupposto per il riconoscimento dell’assegno di mantenimento disposto in sede di giudizio civile di separazione, ancorché la relativa statuizione sia contenuta (o confermata) nella sentenza di separazione passata in giudicato”.

Le questioni sottese alla vicenda in esame. In applicazione dell’Accordo tra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica del 18 febbraio 1984 – modificativo della precedente normativa in materia prevista dal Concordato Lateranense del 1929 – le sentenze emesse dal Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica in tema di nullità di matrimonio concordatario sono sottoposte al procedimento di delibazione innanzi alla Corte d’Appello, per poter acquisire efficacia giuridica nello Stato italiano. E’ necessaria la previa domanda congiunta di entrambi i coniugi o di uno di essi presso la Corte d’Appello competente per territorio, che va individuata in quella nel cui distretto si trova il Comune ove fu trascritto il matrimonio stesso. La domanda di delibazione, sottoscritta da un procuratore legale, presuppone che la Corte territoriale appuri l’esistenza di una decisione giudiziale dichiarativa della nullità matrimoniale da parte del tribunale ecclesiastico e la sussistenza del decreto di esecutività proveniente dal Supremo Tribunale della Segnatura apostolica. Riscontrata, poi, la presenza dei requisiti richiesti dall’ordinamento canonico e da quello italiano per il riconoscimento dell’efficacia delle sentenze straniere, ex art. 797 c.p.c., la Corte d’Appello statuisce la delibazione, la quale, una volta trascritta nei registri dello stato civile, fa venir meno ex tunc gli effetti civili del matrimonio dal giorno della sua celebrazione, lasciando impregiudicati eventuali rapporti di filiazione e i relativi obblighi giuridici collegati.

Nell’affermare la totale autonomia e la mancanza di un qualsiasi rapporto di pregiudizialità tra giudizio canonico di nullità del matrimonio e giudizio di separazione, la Cassazione, nella pronuncia de qua, ha ripreso una delle questioni più controverse, soprattutto per i rilevanti risvolti economici, relativa al rapporto tra nullità del matrimonio, dichiarata dal giudice ecclesiastico, e separazione o divorzio pronunciati dal giudice ordinario.

La Cassazione civile, I Sezione [Sent., 05-03-2012, n. 3378] ha già affermato che il riconoscimento degli effetti civili della sentenza di nullità del matrimonio concordatario pronunciata dai tribunali ecclesiastici, non è precluso dalla preventiva instaurazione di un giudizio di separazione personale tra gli stessi coniugi dinanzi al giudice dello Stato italiano, giacché il giudizio e la sentenza di separazione personale hanno “petitum“, “causa petendi” e conseguenze giuridiche del tutto diversi da quelli del giudizio e della sentenza che dichiara la nullità del matrimonio.

Il passaggio in giudicato, in pendenza del giudizio di separazione dei coniugi, della sentenza che rende esecutiva nello Stato la sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio concordatario contratto dalle parti, fa venire meno il vincolo coniugale e, quindi, fa cessare la materia del contendere in ordine alla domanda di separazione personale ed alle correlate statuizioni circa l’addebito e l’assegno di mantenimento, adottate nel processo e non ancora divenute intangibili, le quali presuppongono l’esistenza e la validità del matrimonio e del conseguente vincolo.

Afferma l’ordinanza in commento: “La separazione personale dei coniugi, invero, non elide, anzi presuppone, la permanenza del vincolo coniugale, sicché il dovere di assistenza materiale, nel quale si attualizza l’assegno di mantenimento, conserva la sua efficacia e la sua pienezza in quanto costituisce uno dei cardini fondamentali del matrimonio e non presenta alcun aspetto di incompatibilità con la situazione, in ipotesi anche solo temporanea, di separazione. In altri termini, il rapporto coniugale non viene meno, determinandosi soltanto una sospensione dei doveri di natura personale, quali la fedeltà, la convivenza, la collaborazione; al contrario, gli aspetti di natura patrimoniale permangono, sebbene assumendo forme confacenti alla nuova situazione.”

Cosa diversa in caso di divorzio. In questo caso, alle statuizioni economiche adottate in sede di divorzio, si applica la regola generale, secondo la quale, una volta accertata, in un giudizio fra le parti, la spettanza di un determinato diritto, con sentenza passata in giudicato, tale spettanza non può essere rimessa in discussione, essendo intangibile a norma dell’art. 2909 c.c. e rimanendo, in ogni caso, a norma degli accordi tra Italia e Santa Sede, rimessa allo Stato la disciplina dei rapporti patrimoniali tra i coniugi, derivanti dai conseguiti effetti civili dei matrimoni concordatari, ed, alla giurisdizione italiana, ogni statuizione riguardo al venir meno di tali effetti, sicché «nessun principio concordatario, a proposito della sopravvenienza – rispetto all’attribuzione con sentenza passata in giudicato di un assegno di divorzio – della delibazione di una sentenza ecclesiastica di nullità, sembra ostare alla piena operatività dell’art. 2909 c.c.».

Valeria Cianciolo Persona e danno 24 maggio 2018

www.personaedanno.it/articolo/quali-sono-gli-effetti-della-nullit-del-matrimonio-concordatario-sulla-separazione-personale-nota-a-cass-civ-sez-i-ord-11-05-2018-n-11553

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VIRI PROBATI

La ordinazione di “viri probati”: alcuni punti fermi della storia

I «viri probati» sono un eresia? Sicuramente no, in modo particolare presso la chiesa del sec. VI: basti pensare a papa Ormisda (sedit 514-523), legittimamente sposato prima di accedere agli ordini sacri, con un figlio, Silverio – autore dell’epitaffio che ripercorre gli eventi salienti del pontificato paterno – divenuto a sua volta papa nel 536. Per quanto nota questa vicenda c’è da sottolineare come dopo l’ammissione agli ordini sacri, a Ormisda, in quanto uomo sposato, sia stata imposta la continenza, almeno stando ad una legislazione ecclesiastica sviluppatasi sin dal 305.

Sembra infatti che in Occidente, per quanto riguarda la morale sessuale del clero, vi sia una lunga storia di proibizione a contrarre nozze per gli ordini sacri, accompagnata sempre da uno scrupoloso richiamo alla continenza per i «viri probati» e l’imposizione del celibato per chi già aveva ricevuto l’ordinazione, arrivando, come nel caso delle sinodali della chiesa carolingia, a considerare i figli nati da tali rapporti servi della gleba. Tale posizione venne rivista almeno in parte al concilio Lateranense II (1139) che esclude i figli dei preti dal ministero sacerdotale, a meno che non avessero abbracciato la vita religiosa, monastica o canonicale [can. 21], quasi in espiazione della colpa dei padri, come già asserito in diversi modi dalle sinodali della chiesa altomedievale. Il Lateranense II rappresenta un Concilio di svolta per quanto concerne l’imposizione del celibato a coloro che accedono agli ordini sacri, dichiarando il matrimonio dei preti e dei religiosi invalido e non più solo illecito, come invece nella precedente legislazione ecclesiastica [canoni 6, 7]. Ma dopotutto è un Concilio complesso, che tenta una risposta ad una sovrapposizione di tematiche socio-politiche (le investiture), socio-economiche (l’usura), la condanna di tutte quelle correnti ereticali che negavano l’eucaristia, il battesimo dei bambini, il sacerdozio e gli altri ordini ecclesiastici, e il vincolo delle lecite nozze [can. 23].

Ovviamente l’ordinazione dei «viri probati» come il matrimonio del clero erano praticati sino al sec. XII-XIV, nonostante una legislazione che ne scoraggiasse tale pratica. Infatti non tutta la chiesa ha comunque accettato acriticamente questa posizione, e oltre ai movimenti eterodossi come i Lollardi o i Gallicani radicali, già il sinodo di Parigi del 1074, in risposta a quello romano dello stesso anno, si oppone all’imposizione del celibato. Anche tra i giuristi vanno ricordati alcuni nomi come Graziano che nel Decretum [D. 27 c.1] dà una precedenza al sacramento del matrimonio sul voto di castità, o Guglielmo Durando il Giovane (+1330).

In questo contesto appare singolare il provvedimento di Giovanni XXII per i «viri probati», che nel 1322 dispose, affinché venisse ordinato al sacerdozio un uomo sposato, che vi fosse il consenso della moglie, senza il quale il marito, anche se già ordinato, sarebbe tornato alla vita coniugale cessando di esercitare l’ordine ricevuto. Un provvedimento che lascia intendere quanto a lungo possa essere sopravvissuta nella chiesa latina l’uso di ordinare uomini legittimamente sposati, ai quali si imponeva la continenza, in linea con quanto il Laterano II affermò, proibendo a quanti erano stati costituiti nell’ordine sacro di contrarre matrimonio: «stabiliamo anche che quanti, costituiti nell’ordine del suddiaconato o in quelli superiori, avessero contratto matrimonio o tenessero concubine, siano privati dell’ufficio e del beneficio ecclesiastico. Dovendo essere di fatto e di nome tempio di Dio, vasi del Signore, santuari dello Spirito santo, è indegno che diventino schiavi del letto nuziale o della dissolutezza» [can. 6].

Il problema non è la continenza dei «viri probati» o il celibato di coloro che erano già stati costituiti nell’ordine sacro, quanto una mancata visione del sacramento del matrimonio in un’ottica che potesse superare la sua interpretazione di rimedio alla concupiscenza, o all’incontinenza, incapace, secondo Pietro Abelardo, di conferire un dono come gli altri sacramenti, essendo solo rimedio ad un male, o come scrive Pietro Lombardo sul matrimonio, che rappresenta un bene minore tra i sacramenti, perché non merita la palma, ma è un rimedio. In quest’ottica si può capire anche il can. 6 del Lateranense II, che parla del matrimonio, e in generale dell’unione dell’uomo e una donna, come schiavi del letto nuziale [nozze legittime] o schiavi della dissolutezza. La dissolutezza a cui fa riferimento il can. 6 è il concubinaggio o qualsiasi rapporto fuori dalle nozze, a cui tendenzialmente il celibato dei chierici avrebbe dovuto porre rimedio. Ed è in questo senso che il matrimonio per i laici, la continenza dei «viri probati» e il celibato dei chierici possono essere interpretati allo stesso modo come rimedio ad un male, l’incontinenza, che il Laterano IV (1215) per quanto riguarda i chierici punisce con severità, e ancora di più per quei chierici che «secondo l’uso della loro ragione, non hanno rinunziato all’unione coniugale […], dato che hanno la possibilità di vivere in un legittimo matrimonio [c. 14].

Contro questa tendenza è interessante quanto scrive il giurista Graziano nel Dictum 27, dopo che in forma compilatoria aveva riportato tutta la legislazione in merito al celibato dei chierici, in merito alle nozze contratte da un diacono, cioè appartenente a quegli ordini sacri che impedivano l’accesso al matrimonio: “il diacono può «cessare il suo ministero» e «consumare lecitamente il matrimonio che ha contratto»… Poiché, se nella sua ordinazione ha fatto voto di castità, «c’è nel sacramento del matrimonio una tale forza che questo matrimonio non può essere sciolto per violazione del voto»” [J. Gaudemet]

Non è importante solo il fatto che possa accedere a nozze lecite e che queste in forza del voto di castità non vengano sciolte, ma è di grande rilievo quella forza che viene riconosciuta al sacramento del matrimonio, che qui non viene evocato solo come rimedio alla concupiscenza, anche se l’idea è sempre presente nell’intenzione del giurista, mentre qui viene attribuito al sacramento del matrimonio quel dono che Abelardo e il Lombardo avevano negato.

La continenza e il celibato, che nel caso dello sviluppo di questa particolare disciplina ecclesiastica non sono termini che possano essere sovrapposti né tanto meno confusi, allo stesso modo del matrimonio hanno bisogno di una rilettura teologica che li liberi dall’idea – oggi più o meno esplicita – di essere rimedio ad un male, affrontando con maggiore serenità il male di cui dovrebbero essere rimedio: la vita sessuale tra un uomo e una donna.

Claudio U. Cortoni, monaco camaldolese munera blog come se non 27 maggio 2018

www.cittadellaeditrice.com/munera/ordinare-viri-probati-non-e-una-rottura-della-tradizione-di-c-u-cortoni

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