NewsUCIPEM n. 700 – 6 maggio 2018

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02 ABORTO VOLONTARIO 40 anni della Legge 194, la parola alle volontarie dell’aiuto alla vita

03 ADOTTABILITÀ Adozione del minore: necessaria la Ctu?

04 ADOZIONE L’adozione è una cosa meravigliosa!

05 ADOZIONI INTERNAZIONALI Cinquant’anni del Ciai: «l’adozione è ancora da pionieri»

07 ADOZIONE MITE Tutela il minore quando non è possibile l’affidamento preadottivo.

07 AFFIDAMENTO DEI FIGLI La madre perde il figlio se va a vivere da un altro uomo?

08 AFFIDO CONDIVISO Trasferimento di residenza della madre.

08 AMORIS LÆTITIA Truffelli, l’Italia ha bisogno di cittadini responsabili.

09 ASSEGNO MANTENIMENTO FIGLI Quando il mantenimento lo pagano i nonni?

10 ASSEGNO DIVORZILE Divorzio e tenore di vita, due nodi per le Sezioni unite

11 CENTRO GIOVANI COPPIE MILANO Legàmi di libertà.

11 CENTRO INTERN. STUDI FAMIGLIA Newsletter CISF – n. 15, 26 aprile 2018.

12 CHIESA CATTOLICA Sinodalità, nel Dna della Chiesa

13 CONSULENTI COPPIA E FAMIGLIA L’AICCeF si è iscritta al C.I.P.R.A.

14 CONS. F. ISPIRAZIONE CRISTIANA La Riforma del terzo settore

15 CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM Milano 1. Istituto La Casa. Figli al centro tra Diritto e diritti.

16 Pescara. Fragilità relazionali.

17 I primi 40 anni del consultorio diocesano

18 DALLA NAVATA 6° Domenica di Pasqua. – Anno B – 6 maggio 2018-

18 Commento di E. Bianchi.

19 DIACONATO Diaconato delle donne fra storia e teologia.

20 FIGLI Figli a carico.

23 FORUM ASS. FAMILIARI Ci appelliamo a Mattarella affinché venga prima di tutto la natalità.

23 Tavolo denatalità Forum Puglia, proposte per riprendersi il futuro.

24 FRANCESCO VESCOVO DI ROMACon Francesco un processo di democratizzazione della Chiesa.

25Bergoglio e il discernimento, le radici dei documenti papali di oggi.

26 NULLITÀ MATRIMONIALI Istruzione per una maggiore formazione di chi s’occupa delle cause

27 OMOGENITORIALITÀ Genitorialità a tutti i costi ma qual è il reale interesse del minore?

29 POLITICHE PER LA FAMIGLIA Sono casalinga: mi spetta la maternità?

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ABORTO VOLONTARIO

Legge 194. 40 anni di aborto legale, la parola alle volontarie dell’aiuto alla vita

Le operatrici dei Centri aiuto alla vita: si è creduto di guadagnare una libertà, oggi se ne parla come di un diritto, ma è stato banalizzato quello che per la donna resta un trauma

«Se la legge permette di abortire vuol dire che è un diritto e quindi si deve avere la possibilità di usufruirne». Dopo quarant’anni, da quando cioè è stata promulgata la legge 194/22 maggio 1978 sulle norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza, se da un lato è cresciuta la determinazione delle donne che chiedono di abortire, d’altra parte si è persa la cognizione della gravità dell’atto, equiparato erroneamente a uno dei tanti diritti ormai acquisiti. Ecco perché per le volontarie ‘storiche’ del Movimento per la vita italiano, impegnate nei Centri di aiuto alla vita per dare supporto alle mamme in difficoltà, la vera sfida per contrastare l’aborto è innanzitutto culturale.

«Oggi parlare di aborto non serve più – è la provocatoria premessa Bruna Rigoni, dal 1979 volontaria del Cav di Bassano del Grappa, nel Vicentino –. All’inizio, quando è stata varata la legge 194, molti rimasero scioccati, ma da allora la sensibilità è cambiata molto. Nel corso degli anni ci si è assuefatti a questo tema, le persone sembrano aver smarrito la percezione di cosa sia davvero la vita e cosa la morte. Per questo serve un’informazione sul rispetto della vita».

Negli anni 70, «con il femminismo, la donna voleva essere libera di decidere, invece si è aperto il vuoto. E adesso c’è un vuoto nei confronti della vita. Bisogna creare una nuova sensibilità nelle persone, dobbiamo divulgare la cultura della bellezza della vita. Ma occorre coinvolgere le strutture. Quando vado nelle scuole – prosegue Rigoni – parlo sempre della bellezza della vita, della bellezza che si porta in grembo. Se ricordo invece che in 40 anni nel nostro Paese ci sono stati 6 milioni di aborti e che ogni due minuti viene ucciso un bambino i ragazzi sembrano quasi disinteressati».

Aperto un anno dopo l’approvazione della legge, il Cav di Bassano del Grappa finora ha salvato più di 2mila bambini. «Ogni anno aiutiamo un centinaio di donne, sosteniamo i bambini fino ai tre anni, diamo il latte fino ai 6 mesi a quelli che hanno bisogno, e poi insegno alle mamme come accudire i bambini, come fare le prime pappe. Le donne sono anche inesperte». Rosella Antonelli, del Cav di Cassano all’Ionio (Cosenza), volontaria dal 1985, nota la stessa leggerezza nella richiesta di un’Ivg. «Da quando c’è la legge si è banalizzato l’aborto, nel senso che ciò che è permesso per legge si pensa si possa fare sempre e comunque. Noi per questo cerchiamo di lavorare nelle scuole proprio per spiegare che la vita c’è e comincia dall’inizio».

Nell’atteggiamento delle donne di certo si constata maggiore consapevolezza, grazie soprattutto ai numerosi strumenti di comunicazione. «Forse un po’ più di informazione c’è – racconta Antonelli –, le donne cercano le immagini su Internet, però non cambia l’animo. L’insensibilità è sempre la stessa, prevale l’individualismo». I volontari calabresi cercano di promuovere la vita creando reti. «Lavoriamo con il passaparola, abbiamo una convenzione con l’ospedale a Castrovillari, facciamo volontariato anche lì. Al consultorio poi ci offriamo di ascoltare le donne che hanno chiesto il certificato per l’aborto volontario, per dialogare con loro. Emerge tanta povertà, molte donne si vedono costrette ad abortire spinte proprio dal bisogno». Da quando è stato aperto il Cav, 33 anni fa, si contano circa 343 bambini nati. «Per quanto riguarda le straniere – continua Antonelli – abbiamo osservato che le donne dell’Est europeo sono meno sensibili al tema, forse perché vengono da Paesi a lungo soggetti a regimi totalitari, le donne marocchine invece spesso vogliono solo un aiuto ma non chiedono di abortire».

Dopo la promulgazione della 194, tra i tanti che si batterono perché fosse abrogata c’era anche Maria Fanti, responsabile del Cav e della casa di accoglienza di Viterbo: «Ci attivammo già con la raccolta di firme per il referendum del 17 maggio del 1981 – ricorda –. Abbiamo contribuito a sensibilizzare l’opinione pubblica proprio su questa problematica cercando di far conoscere la realtà dell’aborto. La percentuale di Viterbo fu del 36%, la più alta. Per riuscirci battemmo a tappeto il territorio insieme alle associazioni che all’epoca ci diedero man forte. Aprimmo anche le nostre porte di casa, ospitando ragazze costrette a fuggire dall’ambiente familiare perché obbligate ad abortire. E così, nel 2001, è nata l’idea della casa di accoglienza dedicata a Madre Teresa di Calcutta». Dal 1998, da quando sono stati elaborati i dati dei Cav a livello nazionale, sono state aiutate oltre 1.300 donne. Ma sono molte di più, in realtà, se si sommano anche quelle degli anni precedenti. Nei 17 anni della casa di accoglienza, poi, sono state ospitate 137 mamme con 144 bimbi.

«Oggi è cambiata la realtà sociale – prosegue Fanti –. Sono disponibili molti strumenti che a suo tempo non c’erano, come i cellulari, o la possibilità di comunicare in chat. C’è maggiore consapevolezza di cosa si va a fare. D’altra parte l’informazione trovata via Web porta pure la gran parte delle donne a vivere nell’ignoranza. C’è una banalizzazione di cos’è l’aborto. E ne è una riprova purtroppo la diffusione, soprattutto fra le giovanissime, delle pillole del giorno dopo, vendute ormai come farmaco da banco senza neppure bisogno della ricetta medica».

Graziella Melina Avvenire 3 maggio 2018

www.avvenire.it/famiglia-e-vita/pagine/aborto-allitaliana-il-vuoto-oltre-la-legge

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ADOTTABILITÀ

Adozione del minore: necessaria la Ctu?

Corte di Cassazione, prima sezione civile, ordinanza n. 7559, 27 marzo 2018.

www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_30158_1.pdf

Sull’opportunità della consulenza tecnica d’ufficio nel giudizio avente ad oggetto la dichiarazione di adottabilità del minore si è espressa di recente la Corte di Cassazione.

Nella vicenda la ricorrente, richiamati alcuni principi affermati dalla stessa Corte di Cassazione e dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo in tema di adozione, sosteneva che la Corte territoriale avrebbe attribuito alla madre un vero e proprio disturbo comportamentale, desunto tuttavia non già da un accertamento tecnico medico-legale, bensì da valutazioni compiute dai servizi sociali, senza che risultasse la loro specifica competenza tecnica e senza che dette valutazioni fossero raccolte nel contraddittorio o sottoposte ad alcun vaglio critico. Inoltre, si lamentava che la sentenza impugnata neppure si fosse misurata con lo scrutinio della irreversibilità del disturbo diagnosticato alla madre e sulla possibilità di interventi conservativi che potessero porre rimedio alla situazione rilevata, tanto più che, anche ad ammettere una qualche criticità del rapporto genitoriale, ciò non poteva giustificare il definitivo sradicamento del minore della famiglia di origine.

La Suprema Corte ha accolto tale motivo di ricorso, ritenendolo fondato nel senso che segue. L’art. 1 della legge 4 maggio 1983, n. 184 (nel testo novellato dalla legge 28 marzo 2001, n. 149) attribuisce al diritto del minore di crescere nell’ambito della propria famiglia d’origine un carattere prioritario – considerandola l’ambiente più idoneo al suo armonico sviluppo psicofisico – e mira a garantire tale diritto attraverso la predisposizione di interventi diretti a rimuovere situazioni di difficoltà e di disagio familiare. Ne consegue che, per un verso, compito del servizio sociale non è solo quello di rilevare le insufficienze in atto del nucleo familiare, ma, soprattutto, di concorrere con interventi di sostegno a rimuoverle, ove possibile, e che, per altro verso, ricorre la “situazione di abbandono” sia in caso di rifiuto ostinato a collaborare con i servizi predetti sia qualora la vita offerta dai genitori al figlio sia inadeguata al suo normale sviluppo psicofisico, cosicché la rescissione del legame familiare risulti l’unico strumento che possa evitargli il più grave pregiudizio ed assicurargli assistenza e stabilità affettiva (Cass. n. 7115/2011).

Al proposito, è stato affermato che il giudice di merito deve, prioritariamente, verificare se possa essere utilmente fornito un intervento di sostegno diretto a rimuovere situazioni di difficoltà familiare e, solamente ove sia impossibile prevedere – quand’anche in base ad un criterio di grande probabilità – il recupero delle capacità genitoriali entro tempi compatibili con la necessità del minore di vivere in uno stabile contesto familiare, è legittimo e corretto l’accertamento dello stato di abbandono quale premessa dell’adozione (Cass. n. 6137/2015).

Muovendo dal rilievo che il diritto del minore di crescere nell’ambito della propria famiglia d’origine, quale ambiente più idoneo al suo armonico sviluppo psicofisico, è tutelato dall’art. 1 della legge 4 maggio 1983, n. 184, deve ritenersi che il ricorso alla dichiarazione di adottabilità sia praticabile solo come “soluzione estrema”, quando, cioè, ogni altro rimedio appaia inadeguato con l’esigenza dell’acquisto o del recupero di uno stabile ed adeguato contesto familiare in tempi compatibili con l’esigenza del minore stesso (Cass. n. 6552/2017).

Stato di adottabilità del minore: le linee guida. Alla luce di quanto sopra, con la sentenza in commento, il Supremo Consesso ha individuato le seguenti linee guida per il giudice di merito, nell’accertare lo stato di adottabilità di un minore:

  1. verificare l’effettiva ed attuale possibilità di recupero dei genitori, sia con riferimento alle condizioni economico-abitative, senza però che l’attività lavorativa svolta e il reddito percepito assumano valenza discriminatoria, sia con riguardo alle condizioni psichiche, queste ultime da valutare anche mediante un’indagine peritale, se del caso;

  2. estendere tale verifica anche al nucleo familiare, di cui occorre accertare la concreta possibilità di supportare i genitori e di sviluppare rapporti con il minore, anche se, allo stato mancanti.

È stato ulteriormente ribadito che il giudice di merito deve in primo luogo esprimere una prognosi sull’effettiva ed attuale possibilità di recupero, attraverso un percorso di crescita e sviluppo delle capacità e competenze genitoriali, con riferimento all’elaborazione da parte dei genitori di un progetto, anche futuro, di assunzione diretta della responsabilità genitoriale, caratterizzata da cura, accudimento, coabitazione con il minore, ancorché con l’aiuto di parenti o di terzi, ed avvalendosi altresì dell’intervento dei servizi territoriali (Cass. n. 14436/2017).

Nel caso in esame, è stato agevole osservare come alla ricorrente venissero attribuite condizioni di fragilità psichica, senza che si fosse proceduto ad un’indagine affidata a tecnici della materia. Ed inoltre, il giudizio riservato alla madre, peraltro esclusivamente fondato su risultanze provenienti dai servizi sociali, in mancanza, come si è detto, di un accertamento esperito a mezzo di consulenza tecnica d’ufficio, pure sollecitata, non si era in alcun modo esteso alla prognosi della recuperabilità della medesima al suo ruolo genitoriale, valutazione che non poteva ritenersi compiuta dalla Corte territoriale neppure per implicito.

Per tali ragioni, si è provveduto alla cassazione della sentenza impugnata con rinvio alla medesima Corte d’appello in diversa composizione perché, attenendosi ai principi di diritto poc’anzi richiamati, effettui i necessari accertamenti come sopra indicati.

Silvia Rossaro Newsletter Giuridica Cataldi 1 maggio 2018

www.studiocataldi.it/articoli/30158-adozione-del-minore-necessaria-la-ctu.asp

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ADOZIONE INTERNAZIONALE

L’adozione è una cosa meravigliosa!

Parte il 10 maggio da Milano il Tour nazionale 2018 del progetto di sensibilizzazione e promozione dell’adozione internazionale in Italia promosso da Amici dei Bambini: un’opportunità imperdibile per chi cerca informazioni, vuole ascoltare testimonianze, scoprire come funziona l’iter adottivo, capire quanto costa, se e in che modo può essere possibile accogliere un bambino abbandonato e da quali Paesi del mondo. Da Bolzano a Cagliari, saranno dieci le iniziative di ‘Open Day’ che Ai.Bi. propone in varie località italiane, da Bolzano a Cagliari, con rivoluzionare il sistema dell’adozione internazionale: incontri, testimonianze e dibattiti con al centro l’infanzia abbandonata

Un’opportunità imperdibile per incontrare e incontrarsi tra famiglie adottive, figli adottivi, coppie senza figli e genitori che cercano di capire meglio che cosa sia l’adozione internazionale e vorrebbero scoprirne i numeri, le novità, le storie, le difficoltà, le iniziative, le opportunità, i costi e le caratteristiche, avendo la possibilità di ascoltare testimonianze direttamente da chi, grazie proprio all’adozione, ha potuto realizzare il proprio desiderio di famiglia abbracciando un bambino abbandonato, oppure è riuscito a vedere tramutato in realtà il proprio sogno di essere chiamato figlio: ci sarà tutto questo e molto di più nel Tour nazionale 2018 L’adozione è una cosa meravigliosa: vi presentiamo l’officina dei miracoli!, che Ai.Bi. Associazione Amici dei Bambini promuove nei prossimi giorni.

Il primo appuntamento è in programma alle ore 17 di giovedì 10 maggio a Milano (presso sede UBI Banca, via Monte di Pietà, 5 – dalle ore 17) e prevede l’intervento del Presidente di Ai.Bi., Marco Griffini, sul tema ‘Dalla crisi alla rinascita: l’adozione un bene per tutti’ e di Nino Sutera, presidente del Forum delle associazioni familiari della Lombardia; ci sarà spazio per la testimonianza di una coppia adottiva e di Marco Carretta, figlio adottivo; quindi, verrà proiettato il cortometraggio Sulla poltrona del Papa, di Cristiana Capotondi.

Ma gli Open Day saranno in programma anche in altre 9 sedi sparse lungo lo Stivale, per dare modo a chiunque abbia la curiosità di entrare in contatto con questo meraviglioso mondo di saperne di più attraverso voci e volti di persone in carne e ossa che hanno scelto di accogliere ed essere accolti. Cambiando in meglio la propria vita. Incontri, video, testimonianze, dibattiti con famiglie adottive, coppie in attesa, ragazzi adottati ed esperti che racconteranno la meraviglia dell’officina dei miracoli generata proprio dalla scelta adottiva.

I dati: dalla crisi può partire il rilancio. Circa 140 milioni di minori orfani che crescono senza famiglia (dati Unicef 2016), con 5 milioni di nuovi bambini abbandonati nel mondo ogni anno, da una parte; 5 milioni e 430mila coppie sposate eterosessuali senza figli, con 3 milioni di coppie sterili in Italia, dall’altra: numeri che sembrerebbero destinati a favorire un incontro reciproco e a far scoccare una ‘scintilla’ di amore e bellezza in grado di arricchire l’esistenza di tutti con la nascita di una nuova famiglia. Eppure, i dati delle adozioni internazionali in Italia parlano di un calo significativo delle procedure completate annualmente: dalle 3.154 del 2011 si è passati alle 1.168 del 2017 (fonte: Commissione Adozioni Internazionali), una diminuzione del 60,4% in 6 anni, con circa 500 coppie in meno disponibili all’adozione ogni anno. Non solo: sono crollate anche le cifre medie del conferimento incarichi, che nel 2011 erano pari a 2.816 e nel 2017 si sono attestati a circa 1.000 (-64,5%). Nel contempo, i tempi medi necessari per concludere un’adozione internazionale sono passati in media dai 2,08 anni del 2011 ai circa 3 anni del 2017 (+44,2%). Oggi, i 62 enti autorizzati in Italia hanno in tutto in carico appena 3.327 coppie.

Perché tutto ciò? Una coppia che si vede madre e padre di un bambino non suo, attualmente non viene considerata dalle istituzioni come una risorsa per un bambino abbandonato: anzi, spesso si sente ‘selezionata’ e non accompagnata, anche a causa di una cultura negativa dell’adozione che, nel tempo, ha preso piede nel nostro Paese, attingendo in parte a campagne diffamatorie, descrizioni parziali o non realistiche o, ancora, al silenzio dei media riguardo alla scelta adottiva; inoltre, l’adozione oggi viene gestita piuttosto come una ‘pratica processuale’ che come un vero e proprio ‘atto di accoglienza’: la conseguenza è un iter adottivo ancora troppo lungo e complicato, con tempi di attesa lunghi; infine, l’adozione internazionale rimane l’unica forma di genitorialità totalmente a carico delle coppie: non esiste, infatti, un sostegno economico che le incoraggi a sceglierla, né interventi significativi dell’Autorità Centrale per incidere sui costi praticati dagli Enti autorizzati.

Proprio da qui Ai.Bi. intende ripartire e vuole farlo attraverso gli appuntamenti che ha organizzato per rilanciare l’adozione internazionale, facendone conoscere la bellezza e per proporre novità concrete e importanti: una riforma ‘culturale’ che trasformi la ‘selezione’ delle coppie in un reale e rassicurante accompagnamento; una riforma sostanziale dell’iter che va semplificato e reso più breve; la promozione di tutte le iniziative possibili affinché le procedure adottive siano sempre più trasparenti e perché il Governo che verrà possa finalmente garantirne la gratuità.

Sono queste le misure che Amici dei Bambini reputa urgenti e necessarie per ridare fiducia a chi desidera adottare nel nostro Paese. “Abbiamo un obiettivo grande e impegnativo – sottolinea Marco Griffini, presidente di Ai.Bi. – ma questo impegno ce lo chiedono i milioni di bambini che gridano il loro bisogno di una mamma e un papà mentre attendono di veder spuntare sulla porta di un istituto i volti e i sorrisi emozionati della famiglia che hanno sempre sognato. In questo senso, l’urgenza del cambiamento culturale che deve accompagnarsi alla riforma del sistema delle adozioni internazionali rappresenta un’opportunità da cogliere al meglio, tornando a far vedere al mondo delle famiglie italiane che adottare oggi è ancora possibile e meraviglioso e che chi ha fatto questa scelta ha realizzato il proprio sogno: diventare un genitore felice”.

Incontri e testimonianze di chi l’ha scelta. Grazie anche al coinvolgimento di associazioni, imprese e realtà nazionali e locali sensibili al tema dell’infanzia abbandonata e confidando nell’aiuto che il mondo dell’informazione potrà dare, l’obiettivo di questi appuntamenti sarà l’incontro con coppie, famiglie e con chiunque abbia nel cuore il desiderio di adottare un minore senza famiglia, promuovendo nel contempo una cultura positiva dell’accoglienza adottiva: perché adottare resta una scelta bellissima.

Un esempio? La testimonianza che Cecilia e il marito Giovanni hanno postato sul loro profilo Facebook, poco dopo il loro rientro dalla Cina, dove hanno potuto abbracciare il loro figlio: “Un pensiero, un piccolo resoconto dell’ultimo anno di vita, un rapido bilancio di ciò che ti è accaduto affidato a un ‘post’ su Facebook. Perché basta guardare tuo figlio appisolato in macchina per fare un salto indietro nel recentissimo passato, prendere consapevolezza di quanto ti è costato in pazienza e determinazione, raggiungere quel traguardo e sentire l’‘urgenza’ di condividere emozioni e gioie ai tuoi amici e non sui social. Perché ‘l’adozione è una cosa meravigliosa’ anche e soprattutto ‘se dietro ci sono fatiche, nervosismi, arrabbiature…tanta ansia e mille paure…ma la gioia di incontrare il proprio figlio, capitato chissà perché dall’altra parte del mondo…è indescrivibile”.

Sedi e date degli appuntamenti del Tour nazionale 2018:

  • Bolzano – 12 maggio, ore 10 presso sede Ai.Bi., via dell’Isarco, 6;

  • Cagliari – 12 maggio, ore 10 presso sede Ai.Bi., via monsignor Giuseppe Cogoni, 7;

  • Castellammare di Stabia (Napoli) – 12 maggio, ore 17 presso INP di A. Mormone, via Amato, 27;

  • Mestre – 12 maggio, ore 16.15 presso sede Ai.Bi., via Giovanni Querini, 19 – Venezia (VE);

  • Pordenone – 12 maggio, ore 16.15 presso sede Ai.Bi., viale Grigoletti, 3;

  • Roma – 12 maggio, ore 10 presso L’Oasi dei Bambini, piazza Pietro Merolli;

  • Salerno – 12 maggio, ore 17 presso sede Ai.Bi., via Bastioni, 4;

  • Barletta – 13 maggio, ore 16.30 presso sede Ai.Bi., viale del Santuario, 13;

  • Brescia – 18 maggio, ore 17 presso sede UBI Banca, piazza monsignor Almici, 11 (sala Faissola).

Per chi volesse avere ulteriori informazioni sull’adozione internazionale, su Ai.Bi. oppure per conoscere sedi, programmi e dettagli delle tappe cittadine del Tour Nazionale 2018 ‘L’adozione è una cosa meravigliosa’ è possibile consultare la pagina web www.aibi.it/lp/officina-miracoli/.

News Ai. Bi. 4 maggio 2018 https://www.aibi.it/ita/155252-2/

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ADOZIONI INTERNAZIONALI

Cinquant’anni del Ciai: «l’adozione è ancora da pionieri»

Il Centro Italiano Aiuti all’Infanzia celebra i suoi 50 anni. Sono stati i primi a fare adozioni internazionali in Italia, creando una prassi che venne poi riconosciuta dalla legge.

Ripercorriamo la sua storia con Liliana Gualandi, una delle fondatrici e Valeria Rossi Dragone, che ne è stata presidente per 24 anni.

Quattro giorni di festa, dal 28 aprile al 1° maggio, a Gabicce Mare, per celebrare il 50° anniversario di CIAI, Centro Italiano Aiuti all’Infanzia. Ci saranno le famiglie, i bambini (anche quelli ormai adulti), gli operatori e i rappresentanti di tanti Paesi del mondo con cui il Ciai ha lavorato: Colombia, Cambogia, Burkina Faso, Costa d’Avorio e India. Anche il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha scritto per CIAI una lettera, che verrà letta in apertura dei lavori.

CIAI-Centro Italiano Aiuti all’Infanzia nasce infatti nel 1968 per iniziativa di un gruppo di famiglie che decisero di accogliere come figli bambini abbandonati che vivevano in Paesi lontani: è stata cioè la prima associazione in Italia ad occuparsi di adozione internazionale. Tra i fondatori del Ciai, cinquant’anni fa, c’erano Liliana Gualandi e il marito, sensibili ai problemi e alle necessità dei bambini. Insegnante lei, giudice onorario del tribunale dei minori di Milano lui, genitori adottivi a loro volta, da tempo lavoravano con Anfaa nel campo delle adozioni nazionali. «Sulla spinta della carestia in India, cominciammo a pensare che i bambini soli sono bambini soli in tutto il mondo», racconta la signora Gualandi.

Per prima cosa fecero una indagine nazionale, «per capire se ci fosse un razzismo nei confronti del diverso, di immigrati a quei tempi non ce n’erano. Non risultò. A quel punto iniziammo a lavorare a livello giuridico e contattare le autorità estere per capire se la nostra idea era percorribile. L’India faceva già adozioni con i Paesi del nord Europa, noi eravamo ancora visti come un Paese povero. Costruimmo una prassi insieme alle autorità straniere e italiane, perché per noi fin dall’inizio era chiaro che il bambino adottato all’estero doveva avere gli stessi diritti del bambino adottato in Italia.

Si faceva domanda per l’adozione nazionale dando disponibilità anche per un bambino straniero e abbiamo sempre chiesto che il tribunale desse l’idoneità alla coppia esattamente come avviene nell’adozione nazionale, come tutela». All’epoca l’adozione era solo quella nazionale e anche quella era un contratto fra due adulti e un minore, che non prevedeva l’acquisizione di nonni, fratelli, eredità «lavorammo come Ciai e come Anfaa per avere l’adozione legittimante, che desse al figlio adottato tutti i diritti di un figlio legittimo». La procedura poi ratificata dalla legge 184, 4 maggio 1983 nasce cioè nella prassi del Ciai.

Liliana andò in India nel 1968 trovando una situazione «incredibile»: lei stessa vide morire 19 bambini in un solo giorno, per il morbillo. Tornò con 36 segnalazioni di bambini adottabili: «la più pronta e generosa nell’accoglienza fu la Sicilia», ricorda Liliana. Subito dopo venne la Corea. «Ci aspettavamo una reazione più guardinga, non c’è stata. Adottare un bambino con caratteristiche somatiche diverse significava avere in casa un figlio «che portava scritto in faccia “sono stato adottato”. Abbiamo fin dall’inizio creato forti legami con le coppie nel post adozione, le ho in mente ancora tutte. E andavamo spesso nei Paesi per verificare le situazioni». Cinquant’anni dopo, Liliana è orgogliosa che il Ciai abbia «mantenuto la rigidità nei principi: i bambini adottabili devono essere realmente in stato di abbandono e la coppia deve essere realmente in grado di far fronte ai suoi bisogni, su questo so che oggi come ieri non si transige e lo trovo molto bello».

Un’altra persona che ha fatto la storia del Ciai è Valeria Rossi Dragone, due volte mamma adottiva con il Ciai, che ne è stata per 24 anni presidente, dal 1987 al 2011. «Ho visto l’espansione del Ciai, quando sono diventata presidente questa era una piccola associazione in cui lavoravano tre persone. Un passaggio importante è stato certamente nel 1998, quando siamo diventati una Ong, cambiando anche nome».

Già, perché inizialmente Ciai stava per Centro Italiano Adozioni Internazionali e solo a un certo punto della sua storia è diventato Centro Italiano Aiuti all’Infanzia, come oggi lo conosciamo. «Abbiamo sempre avuto nei Paesi un’attenzione e un impegno nella prevenzione dell’abbandono, fin dall’origine. Non eravamo lì solo per le adozioni, ma per occuparci dei bambini e fare in modo che potessero rimanere nella loro famiglia, il più possibile. È stato un passaggio travagliato, inizialmente alcuni soci si lamentavano perché vedevano dare più importanza alla cooperazione che all’adozione, lo sforzo è stato sempre di far capire che le due cose sono complementari», spiega Valeria.

In India per esempio «già negli anni 70-80 abbiamo favorito la nascita di un’associazione di famiglie adottive indiane, sollecitando l’adozione nazionale. Lo stesso abbiamo fatto in Burkina. Non abbiamo mai fatto adozioni che non fossero più che corrette, abbiamo evitato adozioni pur di non farle in modo scorretto».

Cosa vuol dire essere pionieri nelle adozioni internazionali oggi, come lo siete stati cinquant’anni fa?

«Io penso che l’adozione sia ancora qualcosa da pionieri. Nel 1979 mia figlia era l’unica con la pelle scura in paese, c’era curiosità. Oggi questo è più sfumato ma sta crescendo una paura del diverso inaspettata. Inoltre nelle coppie c’è più consapevolezza delle storie serie, a volte pesanti, che i bambini portano. Questo aspetto rende la decisione più matura».

Sara De Carli Vita.it 3 maggio 2018

www.vita.it/it/article/2018/04/27/cinquantanni-del-ciai-ladozione-e-ancora-da-pionieri/146679

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ADOZIONE MITE

L’adozione mite tutela il minore quando non è possibile l’affidamento preadottivo.

Corte di Cassazione, prima sezione civile, sentenza n. 9373, 16 aprile 2018.

La c.d. adozione mite, ossia l’adozione del minore in casi particolari ai sensi dell’art. art. 44, lett. d), L. n. 184/1983, può essere disposta dal giudice qualora sia accertata l’impossibilità di affidamento preadottivo, da intendersi come «impossibilità di diritto» di procedere al suddetto affidamento.

L’adozione in casi particolari di cui all’art. 44, lett. d), L. n. 184/1983 integra una «clausola di chiusura del sistema» volta a salvaguardare la continuità affettiva ed educativa tra adottante e adottando, come elemento caratterizzante del concreto interesse del minore a vedere riconosciuti i legami sviluppatisi con altri soggetti che se ne prendono cura, con l’unica previsione della “condicio legis” della “constatata impossibilità di affidamento preadottivo”, che va intesa come impossibilità “di diritto” di procedere all’affidamento preadottivo e non di impossibilità “di fatto.

I tempi per una verifica della possibilità di rientro del bambino nella famiglia di origine sono apparsi, alla Corte territoriale, incompatibili con le esigenze di stabilità del bambino. Ne deriva che soddisfa le esigenze del minore l’adozione in casi particolari, che assicura al minore la possibilità di vivere nell’ambito di una famiglia che gli assicura cure adeguate, e nell’ambito della quale lui, ormai adolescente e capace di giudizio, vuole crescere.

www.neldiritto.it/appgiurisprudenza.asp?id=15705#.Wu3RWpe-l0g

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AFFIDAMENTO DEI FIGLI

La madre perde il figlio se va a vivere da un altro uomo?

La mia compagna ancora tutt’ora convive con il padre di suo figlio perché quest’ultimo l’ha minacciata di toglierle il figlio quattordicenne se lei va via da casa per venire a vivere da me. È possibile che il padre possa togliere il figlio alla madre solo perché ha scelto di venire a vivere con me?

A seguito dell’entrata in vigore della Legge 54/2006, cosiddetta “Legge sull’affido condiviso”, in caso di separazione, divorzio, o scioglimento della convivenza di fatto, in presenza di figli minori, il giudice in prima battuta, salvo prova contraria, affida il minore ad entrambi i genitori. Ciò significa che i genitori, pur separati come coppia, dovranno continuare ad assumere insieme tutte le decisioni più rilevanti per la vita del figlio (salute, educazione, eccetera). Un affido esclusivo potrà essere disposto solo in caso di pregiudizio per la vita del minore (genitore disinteressato sia moralmente sia economicamente alla vita dello stesso, tossicodipendente, alcooldipendente, eccetera).

Inoltre il giudice stabilisce anche la collocazione prevalente del minore presso l’uno o l’altro dei genitori.

In caso di disaccordo della coppia genitoriale in ordine alla collocazione del figlio, sarà il giudice a decidere. Per pervenire a detta decisione il magistrato potrà ad esempio decidere di disporre un ascolto del minore. Essere ascoltati nei procedimenti di separazione e divorzio per i bambini è un vero e proprio diritto sancito oltre che dalla Legge 54/2006 anche dalla Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (20/11/1989) al fine di far emergere il loro punto di vista del quale non si potrà non tenere conto. L’esperienza tuttavia insegna che l’ascolto di un minore può rivelarsi anche molto pericoloso in quanto spesso i figli hanno una posizione, in buona fede, molto diversa da quella che ci si aspetta.

Ciò premesso si precisa che la giurisprudenza che negli ultimi che ha avuto modo di occuparsi del tema non ha mai ritenuto l’orientamento sessuale di uno dei genitori pregiudizievole per l’affidamento dei figli. Ad esempio il Tribunale di Nicosia (Ord. 14/12/2010), ad un padre che, nel corso della separazione, richiedeva l’affido esclusivo del figlio a causa della presunta relazione omosessuale della moglie ha negato la domanda ritenendo che: «l’eventuale relazione omosessuale della madre separanda, laddove non comporti pregiudizio per la prole, non costituisce ostacolo all’affidamento condiviso dei minori ed alla individuazione della dimora degli stessi presso l’abitazione della madre».

Nello stesso filone si possono registrare anche che i provvedimenti pronunciati dai Tribunali di Bologna, Napoli e Catanzaro.

I giudici ritengono che l’orientamento omosessuale non possa giustificare un affidamento esclusivo all’altro, ma anzi che l’atteggiamento eventualmente discriminatorio dell’altro coniuge possa denotare un’inidoneità di questi all’affidamento condiviso.

Nel caso specifico, pertanto, a parere dello scrivente, salvo altri e diversi risvolti allo stato non noti, considerata anche l’età del minore in questione, non vi dovrebbero essere problemi per un affidamento condiviso e la collocazione del figlio presso la madre.

Il consiglio pratico che si offre è il seguente, a prescindere dall’orientamento sessuale dei genitori, quando ci si separa è buona regola, prima di mettere a contatto i figli con i nuovi partner, utilizzare una certa gradualità ed assicurarsi, sempre nell’interesse del minore, che la relazione goda di una certa stabilità.

Dalla consulenza resa dall’avv. Serafina Funaro Redazione La Legge per tutti 30 aprile 2018

www.laleggepertutti.it/201965_la-madre-perde-il-figlio-se-va-a-vivere-da-un-altro-uomo

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AFFIDO CONDIVISO

Trasferimento di residenza della madre

Tribunale Civitavecchia, Decreto n. 5733, 09 Aprile 2018.

http://divorzio.ilcaso.it/sentenze/giurisprudenza/archivio/19602.pdf

Nel caso in cui la madre si trasferisca in un comune diverso da quello in cui si trova la casa coniugale (ove la figlia ha sempre vissuto, frequenta la scuola, ha le sue amicizie e si dedica allo sport), l’affidamento a settimane alterne a ciascun genitore potrebbe non rivelarsi la soluzione più idonea a tutelare la minore, quando ciò dovesse comportare tempi di spostamento troppo lunghi per frequentare la scuola e rendere difficoltosa la pratica dello sport che, se gradita, deve essere incentivata, in quanto produce effetti positivi sulla stato di salute e dell’interazione sociale con i coetanei.

Nicola Di Benedetto Il Caso.it, Sez. Giurisprudenza, 19602, 04 maggio 2018

http://divorzio.ilcaso.it/sentenze/ultime/19602/divorzio

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AMORIS LÆTITIA

Truffelli, “l’Italia ha bisogno di cittadini responsabili, che pensano con la propria testa”

“La P maiuscola – Fare Politica stando sotto le parti” (editrice Ave) è il titolo del nuovo libro-intervista di Matteo Truffelli, presidente nazionale dell’Azione cattolica italiana, che viene presentato oggi. Sir ne anticipa alcune pagine. Il volume, curato dal giornalista Gioele Anni, prova a declinare nel contesto attuale e con riferimenti alla stretta attualità l’indicazione di Papa Francesco rivolta all’AC giusto un anno fa: “Mettetevi in politica, ma per favore nella grande politica, nella Politica con la maiuscola!”

Nell’Amoris lætitia Papa Francesco afferma che “siamo chiamati a formare le coscienze, non a pretendere di sostituirle”. L’esortazione apostolica è, come sappiamo, dedicata all’amore in famiglia, ma la stessa logica e lo stesso impegno possiamo applicarli alla politica. Come associazione laicale fortemente orientata alla formazione, non intendiamo affrontare i tanti temi del nostro tempo avendo come obiettivo principale quello di esprimere un’opinione in merito su tutti gli aspetti della vita sociale e politica, di dire “come la pensiamo” o, come si dice spesso, di “prendere posizione”. La nostra preoccupazione non deve essere tanto quella di dire ad altri cosa pensare, ma fare tutto il possibile per spingere e aiutare chiunque a pensare, e a farlo in maniera critica e consapevole, circostanziando e argomentando le proprie convinzioni.

Ciò richiama un’obiezione che talvolta viene avanzata all’Azione cattolica, sostenendo che così si perde visibilità, che i laici cattolici rischiano l’afasia, mostrandosi incapaci di “fare opinione”. Che è un modo per non assumere posizioni scomode. Invece io guardo le cose da un altro punto di vista. Non si tratta di un modo per sottrarci a una responsabilità. Penso invece che questo sia un metodo difficile, faticoso, poco gratificante ma responsabile e responsabilizzante di stare dentro il nostro tempo. Perché ciò di cui sembra aver bisogno oggi il nostro Paese, più di ogni altra cosa, è di essere abitato da cittadini consapevoli, capaci di giudicare e impegnarsi rifuggendo strumentalizzazioni ideologiche, manipolazioni di parte e semplificazioni demagogiche. Cittadini in grado di rifiutare una politica ridotta a slogan e ricette miracolose. Le persone hanno più che mai necessità di essere aiutate a informarsi e formarsi in maniera seria e pertinente, a confrontarsi e discutere liberamente e pacatamente.

L’Italia ha bisogno di cittadini che non si accontentino di dare ascolto a chi parla più forte, o in maniera più suadente. Cittadini che reclamino una politica capace di rompere gli schemi da talkshow. Che siano coscienti che non tutte le fonti d’informazione sono credibili e valgono allo stesso modo. E accettino il fatto che anche il loro è un punto di vista orientato, parziale. Tutti noi dobbiamo essere convinti che, una volta che ci formiamo un’opinione, dobbiamo metterla a confronto, seriamente, con le opinioni degli altri, restando aperti a rivedere le nostre idee o a trovare sintesi ulteriori rispetto alle posizioni di partenza. C’è bisogno di cittadini che siano avvertiti che quasi mai, nella realtà, le cose sono semplici e nette, bianche o nere.

Contribuire a far sì che tutto ciò si realizzi, rappresenta un modo importante per prendersi cura della democrazia, creando le condizioni per il suo funzionamento sul piano del confronto pubblico e della libera partecipazione dei cittadini. È un compito che avvertiamo come nostro.

Non ci nascondiamo, del resto, che questo è un percorso difficile e tutt’altro che scontato. Ma la risposta alla difficoltà che molti possono legittimamente incontrare rispetto al tentativo di formarsi un’opinione criticamente consapevole non può essere quella di offrire loro giudizi chiari preconfezionati, dei sì o dei no pronunciati da qualcun altro. Vorrebbe dire, in fondo, rimanere legati a un modo “clericale” di pensare l’Azione cattolica e il suo rapporto con la cultura, ma anche con i propri aderenti, rispetto ai quali l’associazione finirebbe per autoattribuirsi il compito di fornire un’opinione autorevole cui ispirarsi o, peggio, adeguarsi. Anche questo secondo me è clericalismo, a prescindere che sia praticato dai chierici o da noi laici: la convinzione di essere chiamati a pensare e decidere per altri, spiegando loro cosa pensare, illudendoci, così, di concorrere realmente a cambiare le cose.

Sono peraltro consapevole che a volte è necessario dire qualcosa “nel merito” su temi rilevanti per la vita del Paese esprimendo un’opinione senza accontentarsi di invitare le persone a formarsi un proprio giudizio consapevole. Certamente tra le responsabilità di una realtà come l’Azione cattolica c’è anche quella di offrire delle riflessioni e valutazioni, se questo può servire al confronto pubblico su ciò che riguarda il bene di tutti e ad aiutare le persone a formarsi un’opinione in merito. Limitarci a questo, però, vorrebbe dire rimanere fermi a un modo vecchio di concepire il ruolo dell’associazione in questo campo. Un ruolo che è stato forse importante esercitare in un’altra stagione politica, culturale e anche ecclesiale, ma che probabilmente non è più adatto per questo tempo, in cui ci viene chiesto di fare uno sforzo autentico per cambiare paradigma e imparare a mettere sul serio in pratica la convinzione che “il tempo è superiore allo spazio”, e che quello che importa è “occuparsi di iniziare processi” lavorando “a lunga scadenza, senza l’ossessione dei risultati immediati”.

“A volte – scrive a questo proposito Papa Francesco – mi domando chi sono quelli che nel mondo attuale si preoccupano realmente di dar vita a processi che costruiscano un popolo, più che ottenere risultati immediati che producano una rendita politica facile, rapida ed effimera, ma che non costruiscono la pienezza umana” (Evangelii gaudium, nn. 222-224). L’AC dovrebbe sempre più far parte dei primi, non dei secondi.

Ritengo, insomma, che oggi non sia più possibile identificare il contributo che l’associazione è chiamata a portare alla costruzione di una società migliore con il compito di “prendere posizione” sulle varie questioni presenti nel dibattito pubblico. All’associazione spetta il compito, non meno impegnativo e complesso, di favorire lo sviluppo di quei percorsi di discernimento, di dialogo e confronto di cui avvertiamo tanto la necessità, innescandoli quando occorre, accompagnandoli e sostenendoli sempre, alimentandoli con idee e criteri di giudizio, pur avendo la consapevolezza di non poterne predeterminare l’esito. Non per mancanza di coraggio, non per rimanere al riparo dalle polemiche e nemmeno per timore dei tanti haters [personaggi famosi che odiano] che popolano i social network. Ma perché ci fidiamo delle persone, della loro capacità di giudizio, e ci fidiamo dei tempi lunghi dei processi cui possiamo dar vita insieme.

Matteo Truffelli Agenzia SIR 2 maggio 2018

https://agensir.it/italia/2018/05/02/ac-e-politica-truffelli-litalia-ha-bisogno-di-cittadini-responsabili-che-pensano-con-la-propria-testa/

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ASSEGNO DI MANTENIMENTO FIGLI

Quando il mantenimento lo pagano i nonni?

Corte di Cassazione, sesta sezione civile, ordinanza n. 10419, 2 maggio 2018.

La nuora non può chiedere ai suoceri gli alimenti per i nipoti solo perché il marito non le versa l’assegno: i genitori dell’ex coniuge entrano in ballo solo se c’è uno stato di bisogno.

Sei separata e hai quasi terminato anche la causa di divorzio. Da diversi mesi, tuttavia, il tuo ex marito non ti versa più gli alimenti per i figli secondo quanto invece impostogli dal giudice. Hai provato in tutti i modi a recuperare il credito, gli hai fatto scrivere dall’avvocato, lo hai denunciato e, non in ultimo, hai tentato il pignoramento nei suoi confronti, ma non hai ottenuto risultati. Non avendo nulla da perdere in termini economici ed essendo privo di reddito (almeno formalmente), il padre si è completamente disinteressato dei propri figli. A questo punto ti chiedi se almeno i tuoi ex suoceri, ossia i genitori di lui, sono tenuti a pagare al posto del figlio. In altre parole quando il mantenimento lo pagano i nonni? La quesitone è stata decisa proprio questa mattina dalla Cassazione. Ecco cosa hanno detto i giudici.

Quando i nonni devono pensare ai nipoti. La legge prevede l’obbligo di versare gli alimenti nel caso in cui un parente stretto si trovi in situazione di grave disagio economico. Non una semplice difficoltà o le restrizioni a cui tutti, più o meno, siamo abituativi. Si deve trattare di un effettivo stato di indigenza totale. In tal caso, l’obbligo di versare gli alimenti spetta ai soggetti più vicini al bisognoso in termini di grado di parentela. Nel caso dei figli, se alle loro necessità non provvedono (o non possono provvedervi) i genitori, devono farlo i nonni (ossia gli ascendenti). Nel caso di una coppia sposata, quando il padre non paga il mantenimento dei figli, spetta ai nonni pensare ai nipoti. Ma quest’obbligo è subordinato a due condizioni:

  1. che i nipoti si trovino in uno stato di grave bisogno;

  2. che anche la madre non abbia le possibilità economiche per garantire ai figli lo stretto indispensabile per la sopravvivenza.

Dunque l’obbligazione dei nonni è residuale e limitata a un range di possibilità molto limitato.

Quanti soldi devono versare i nonni per il mantenimento dei nipoti? Non è tutto. Ai nonni non compete l’obbligo di versare il mantenimento ma gli alimenti. Una differenza non da poco perché le due misure si differenziano in modo netto sul piano quantitativo: gli alimenti riguardano solo l’indispensabile per la sopravvivenza (cibo, medicine, ecc.), mentre il mantenimento può riguardare anche bisogni più ampi (un computer, una connessione a internet, le spese per l’istruzione e i viaggi scolastici, ecc.).

Ciascuno dei quattro nonni, poi, sarà tenuto a pagare gli alimenti (quindi non solo quelli paterni ma anche quelli materni). La misura dell’importo non è uguale per tutti ma è in proporzione alle rispettive condizioni economiche.

Vien quindi spontaneo concludere che se anche i nonni non navigano in buone acque e quindi la pensione gli basta appena per la propria sopravvivenza, su di essi non pende alcun dovere.

La prova da dare al giudice per chiedere gli alimenti ai suoceri. La Cassazione ha ribadito questi principi ricordando che l’obbligo di provvedere al mantenimento della prole spetta integralmente ai genitori. Solo nel caso in cui questi non vi provvedano (per volontà, come nell’ipotesi del padre disinteressato; o per necessità, come nel caso della madre disoccupata e priva di reddito) scatta l’obbligazione degli ascendenti: obbligazione che resta comunque sussidiaria e legata allo stato di bisogno dei nipoti.

Scendendo nel dettaglio di un ipotetico processo tra la nuora e gli ex suoceri, la prima può chiedere ai nonni gli alimenti per i nipoti solo a condizione che dimostri:

  • l’incapacità di entrambi i genitori a provvedere alle esigenze primarie dei figli e quindi, la sottrazione del padre agli obblighi familiari e l’assenza di reddito in capo alla madre (se quest’ultima percepisce uno stipendio, anche minimo, non può agire);

  • che i figli vivono in uno stato precario, a rischio per la loro stessa salute (si pensi alla madre che non ha i soldi per pagare le spese mediche, la scuola o anche l’affitto di una casa ove poter far dormire i figli);

  • che i nonni hanno invece la possibilità di far fronte all’obbligazione.

Se mancano queste prove è inutile chiamare in causa i nonni, perché il rischio di perdere il processo è elevato. La Cassazione ha così concluso: l’obbligo di mantenimento dei figli minori spetta ai loro genitori; sicché, se uno dei due non può o non vuole adempiere al proprio dovere, l’altro, nel preminente interesse dei figli, deve far fronte per intero alle loro esigenze con tutte le sue sostanze patrimoniali e sfruttando tutta la propria capacità di lavoro, salva la possibilità di convenire in giudizio l’inadempiente per ottenere un contributo proporzionale alle condizioni economiche globali di costui.

Ne consegue, ha proseguito la Corte, che l’obbligo dei nonni di fornire ai genitori i mezzi necessari affinché possano adempiere i loro doveri nei confronti dei figli – che investe contemporaneamente tutti gli ascendenti di pari grado di entrambi i genitori – va inteso non solo nel senso che l’obbligazione dei nonni è subordinata e, quindi, sussidiaria rispetto a quella, primaria, dei genitori, ma anche che agli ascendenti non ci si può rivolgere per il solo fatto che uno dei due genitori non versa il proprio contributo al mantenimento dei figli, se l’altro genitore è invece in grado di mantenerli.

Redazione La Legge per tutti 2 maggio 2018

www.laleggepertutti.it/203193_quando-il-mantenimento-lo-pagano-i-nonni

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ASSEGNO DIVORZILE

Divorzio e tenore di vita, due nodi per le Sezioni unite

Non solo giudici, giuristi e avvocati esperti di diritto di famiglia attendono la sentenza della Corte di cassazione a Sezioni unite. Ma anche la gente comune non «addetta ai lavori», soprattutto coniugi ed ex coniugi, parla con disinvoltura della Corte di cassazione a Sezioni unite.

Sembra dunque necessario dire, per i non tecnici, che nel nostro ordinamento giuridico le Sezioni unite costituiscono l’organo più autorevole che è chiamato a pronunciarsi quando occorre dirimere contrasti tra le decisioni delle singole sezioni. Le Sezioni unite sono la massima espressione della giurisprudenza italiana.

Queste righe aprono fatalmente il discorso sul «tenore di vita» che secondo la ormai famosa sentenza della Cassazione del 10 maggio 2017 (caso Grilli-Lowenstein) non è più un criterio di riferimento per l’attribuzione dell’assegno divorzile. Questo è il tema che sarà affrontato dalle Sezioni unite. È naturale che sia divenuto argomento di conversazione delle parti opposte, dei mariti che si sentono vessati dai pesanti assegni divorzili e delle mogli che si sentono private del riconoscimento dovuto al lavoro prestato in casa per reggere il peso di famiglia e figli. Un impegno che molte volte ha imposto la perdita totale o parziale del lavoro svolto fuori casa.

Ma c’è un altro tema di discussione che appassiona le parti in causa. L’orientamento giurisprudenziale che determinerà il nuovo profilo dell’assegno divorzile si applicherà certamente ai giudizi di divorzio in corso e per i quali non è stata ancora proposta domanda giudiziale. Si applicherà anche a quelli già pronunciati con sentenza passata in giudicato?

Finora qualche sentenza ha preso una strada bifronte che alcuni hanno definito una «foglia di fico», affermando che per cambiare le regole di un divorzio già passato in giudicato occorre che sussistano «giustificati motivi sopravvenuti». Ma poi si è aggiunto che, se vengono indicati o profilati fatti nuovi rispetto alla situazione considerata nella sentenza, si applica il nuovo orientamento della Cassazione, quello che esclude la rilevanza del famigerato «tenore di vita». Basterebbe quindi una piccola modifica nella situazione di fatto per travolgere la vecchia sentenza sulla base del nuovo orientamento. Anche a questo proposito forse le Sezioni unite indicheranno la soluzione.

Cesare Rimini Corriere della sera 13 aprile 2018

www.cinquantamila.it/storyTellerArticolo.php?storyId=5ad05b1c2b30d

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CENTRO GIOVANI COPPIE SAN FEDELE MILANO

Legàmi di libertà.

All’interno del ciclo di conferenze 2017-18 “Legàmi di libertà”, il 10 maggio 2018, ore 21

 

 

avrà luogo la Conferenza

“Tra fedeltà e trasgressione. Custodire la libertà”

Relatrice: Elisabetta Orioli, Psicologa psicoterapeuta

P.zza San Fedele, 4 – Milano Sala Ricci Ingresso libero

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CENTRO INTERNAZIONALE DI STUDI SULLA FAMIGLIA

Newsletter CISF – n. 16, 2 maggio 2018

  • “Una famiglia per una famigliaè un progetto ideato e sviluppato dalla Fondazione Paideiaa partire dal 2003 nella città di Torino, poi promosso in altre città e province italiane. Una sperimentazione di un affido familiare in cui la famiglia affidataria non accoglie solo i bambini, ma anche i loro genitori, in collaborazione con servizi pubblici e altri soggetti di privato-sociale. In questo video [https://www.youtube.com/watch?v=mFu96c3Szz0] il racconto dell’esperienza concreta di accoglienza e incontro reciproco, a Parma (2014), attraverso i volti e i gesti di madri, padri e bambini. Un’esperienza semplice ed efficace.

www.fondazionepaideia.it/cosa-facciamo/prevenzione-tutela/una-famiglia-per-una-famiglia

  • Famiglie e società inclusive (families and inclusive societies

www.un.org/development/desa/family/wp-content/uploads/sites/23/2018/04/IDF.2018.BACKGROUND-NOTE.pdf

La Giornata Internazionale della Famiglia 2018 è stata dedicata dall’ONU al 16.o obiettivo dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, “Pace, Giustizia e Istituzioni Solide” www.unric.org/it/agenda-2030

Il 15 maggio 2018 si terrà a New York, presso le Nazioni Unite, un evento celebrativo

www.un.org/development/desa/family/wp-content/uploads/sites/23/2018/04/IDF.2018.PROGRAMME.FINAL_.pdf

Inoltre il giorno successivo si terrà l’incontro SDGs (Sustainable Development Goals) & Families. Results Of The Global Research Project, presentazione di una ricerca, organizzata dalla International Federation for Family Development (IFFD), in partnership con SOS Children’s Villages International e con la collaborazione di UNICEF e del DESA (Dipartimento degli Affari Economici e Sociali) delle Nazioni Unite,

www.familyperspective.org/rsfp/IDF2018FLYER.pdf

Sfebbramamma: un progetto di sostegno alle “piccole grandi” emergenze familiari. Corvetto, quartiere popolare di Milano: la creatività al servizio delle famiglie. Così è nato lo sfebbramamma, un servizio innovativo ed altamente flessibile lanciato dall’Associazione no profit One x All per quei genitori che si ritrovano il proprio piccolo improvvisamente ammalato, e non sanno come fare con il lavoro. I genitori presi dal panico possono chiamare l’associazione (qualcuno risponde al telefono a partire dalle 4.30 del mattino e i bambini vengono accolti dalle 6.30), e portare lì il pargolo con la febbre. I prezzi sono decisamente accessibili: 10 euro per mezza giornata e 20 per la giornata intera www.onexall.com/sfebbramamma

  • Dalle Case editrici

  • Fressoia Luisa, Sempre genitori, sempre figli. Da una raccolta di storie di madri e padri credenti con figli omosessuali, San Paolo, Cinisello B. (MI), 2018, pp. 323, € 24,00

  • Novara Daniele, Regoliosi Luigi, I bulli non sanno litigare. Insegnare ai ragazzi a vivere con gli altri e a rispettarli, Bur Rizzoli, Milano, 2018, pp. 239, € 13,00

  • Ricci Alessandro, Formella Zbigniew, Educare insieme nell’era digitale, Elledici, Torino, 2018, pp. 127, € 9,90

  • Novellino Michele, I pronipoti di Adamo. Le radici dell’amore ambivalente dell’uomo per la donna, FrancoAngeli, Milano, 2018, pp. 205, € 28,00

Affrontare Il tema del rapporto uomo-donna è diventato oltremodo attuale e perfino urgente, soprattutto sulla spinta dei sempre più frequenti episodi di cronaca violenta che vedono troppo spesso le donne vittime di delitti brutali. Questo saggio, scritto da uno psicologo da sempre interessato al tema dell’identità maschile, si propone di ricercarne le radici più profonde. Esse sono rinvenibili sin dall'”alba narrativa” dell’umanità occidentale, e cioè dal racconto biblico della Creazione di Adamo ed Eva, che fornisce all’autore – attraverso una sua rilettura in chiave laica e psicanalitica – il terreno ideale per sviluppare la sua tesi della profondità archetipica del complesso di inferiorità dell’uomo verso la donna. Il tentativo, sempre più debole e quindi violento, dell’uomo di aggrapparsi ad antichi codici di una superiorità totalmente costruita, deve sfociare in una consapevolezza finale da parte dei due sessi di quanto siano profondi questi codici. Il progetto comune, quindi, deve essere quello di pervenire a un’affettività reciproca che non risponda solo a pressioni sociali di natura comportamentale, ma che corrisponda ad un’adesione sentita e che si trasmetta naturalmente per via generazionale. Numerosi autori, da commentatori biblici laici, sia cristiani che di tradizione ebraica, a psicoanalisti e romanzieri, aiutano il lettore a seguire “dal vivo” lo sviluppo della tesi del libro e ne arricchiscono la fitta trama di rimandi alle radici culturali della società occidentale.

  • Save the date.

  • Nord Lavoro sociale e nuove povertà. L’accompagnamento del disagio adulto, incontro all’interno del ciclo “Conversazioni in compagnia. La persona in azione”, promosso da METEnoprofit, (in convenzione con il Consiglio Regionale della Lombardia dell’Ordine degli Assistenti Sociali, cui è stato chiesto l’accreditamento dell’iniziativa). Milano, 18 maggio 2018.

http://metenoprofit.org/wp-content/uploads/2014/02/Conversazioni-in-compagnia-18-maggio-2018.pdf

http://newsletter.sanpaolodigital.it/Cisf/attachments/newscisf1618_allegato3.pdf

www.cnoas.it/cgi-bin/cnoas/vfile.cgi?i=JJQJWJEXXSHJPJSWCSTEQW&t=brochure&e=.pdf

  • Estero Summer School “Migration and Society: Trends and dynamics”, promossa dalla Netherlands Interdisciplinary Demographic Institute (NIDI) e dal Population Research Center and Sustainable Society dell’Università di Groningen, L’Aja/Groningen (NL), 25-29 giugno 2018

  • Iscrizione alle newsletterhttp://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/newsletter-cisf.aspx

Archivio http://cisf.famigliacristiana.it/canale/cisf/elenco-newsletter-cisf.aspx

http://newsletter.sanpaolodigital.it/cisf/aprile2018/5076/index.html

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CHIESA CATTOLICA

Sinodalità, nel Dna della Chiesa

www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/cti_documents/rc_cti_20180302_sinodalita_it.html

«L’attuazione della sinodalità esige che alcuni paradigmi spesso ancora presenti nella cultura ecclesiastica siano superati, perché esprimono una comprensione della Chiesa non rinnovata dalla ecclesiologia di comunione». È quanto afferma l’ultimo documento dato alle stampe dalla Commissione teologica internazionale – «La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa» -approvato dal Papa e dalla Congregazione per la dottrina della fede. Un testo che considerando a tutto tondo la sinodalità come «dimensione costitutiva della Chiesa» intende offrire alcune linee utili all’approfondimento teologico insieme a qualche orientamento pastorale riguardo alle implicazioni che ne derivano per la missione della Chiesa.

«Sinodo – precisa il documento – è parola antica e veneranda nella Tradizione della Chiesa» e si dispiega sin dall’inizio della sua storia «quale garanzia e incarnazione della fedeltà creativa della Chiesa alla sua origine apostolica e alla sua vocazione cattolica». La sinodalità indica perciò lo specifico modus vivendi et operandi della Chiesa Popolo di Dio che manifesta e realizza in concreto il suo essere comunione nel camminare insieme, nel radunarsi in assemblea e nel partecipare attivamente di tutti i suoi membri alla sua missione evangelizzatrice.

E se in conformità all’insegnamento della Lumen gentium papa Francesco ha rimarcato in particolare che la sinodalità «ci offre la cornice interpretativa più adeguata per comprendere lo stesso ministero gerarchico» e che, in base alla dottrina del sensus fidei fidelium, tutti i membri della Chiesa sono soggetti attivi di evangelizzazione», ne consegue che la messa in atto di una Chiesa sinodale è presupposto indispensabile per un nuovo slancio missionario che coinvolga l’intero popolo di Dio. Ma a oltre cinquant’anni di distanza, molti – precisa il testo – restano i passi da compiere nella direzione tracciata dal Concilio. Oggi, anzi, «la spinta a realizzare una pertinente figura sinodale di Chiesa, benché sia ampiamente condivisa e abbia sperimentato positive forme di attuazione, appare bisognosa di principi teologici chiari e di orientamenti pastorali incisivi».

Per la Commissione teologica è necessario ancora «intensificare la mutua collaborazione di tutti nella testimonianza evangelizzatrice a partire dai doni e dai ruoli di ciascuno, senza clericalizzare i laici e senza secolarizzare i chierici, evitando in ogni caso la tentazione di ‘un eccessivo clericalismo che mantiene i fedeli laici al margine delle decisioni’». Se papa Francesco ha infatti portato la Chiesa sui cammini della sinodalità, scelta maturata nel solco della Tradizione, certamente decisiva è stata l’esperienza dei Sinodi – quello straordinario del 2014 e quello ordinario del 2015 – durante i quali si è andata precisando una prassi sinodale che ha permesso non solo di recuperare il senso di partecipazione ma anche di comprendere tale dimensione costitutiva della Chiesa.

«Una Chiesa sinodale è una Chiesa dell’ascolto – aveva affermato il Papa il 10 ottobre 2015 in occasione del cinquantesimo anniversario di istituzione del Sinodo dei vescovi – l’uno in ascolto degli altri e tutti dello Spirito Santo per conoscere ciò che egli dice alla Chiese». Il Papa aveva indicato le tappe di questo dinamismo: «Il cammino sinodale inizia ascoltando il popolo di Dio…prosegue ascoltando i pastori… culmina nell’ascolto del Vescovo di Roma». In apertura del suo discorso aveva sostenuto che «dobbiamo proseguire su questa strada» perché «proprio il cammino della sinodalità è il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio».

Si tratta di una scelta per certi versi storica, che va compresa nella sua portata e il documento della Commissione teologica internazionale ora pubblicato va in questa direzione. Ma forse più di altri la portata di questa fondamentale dimensione ecclesiale l’hanno avvertita quanti avversano il Papa ideologicamente, così come hanno fatto con il Concilio Vaticano II, scambiando le ‘tradizioni’ di una generazione fa con la grande Tradizione a cui non solo Yves Congar riservava la maiuscola e della quale il Concilio è frutto e sviluppo nella comprensione del Vangelo. Quanto sia difficile tale disposizione nonostante anche le affermazioni conciliari sulla ministerialità ecclesiale come servizio, lo dimostrano ad esempio quanti concepiscono ancora il corpo ecclesiale sulla base di una relazione asimmetrica tra gerarchia e fedeli, tra Ecclesia docens e Ecclesia discens. E quanto questa mentalità sia dura a morire lo dimostrano anche le vicende che hanno accompagnato prima la celebrazione dei due Sinodi sulla famiglia e poi la pubblicazione di Amoris lætitia. Lo dimostrano la virulenza della contestazione al Papa, la durezza delle recriminazioni, l’insofferenza a qualsiasi richiamo e soprattutto l’ostinata chiusura a ogni forma di ascolto. Se le strutture ecclesiali che potrebbero e dovrebbero garantire un effettivo esercizio della sinodalità – il Sinodo dei vescovi a livello della Chiesa universale, il Sinodo diocesi e i vari organismi di partecipazione a livello di Chiese – faticano a svilupparsi in questa direzione, tuttavia l’aria è cambiata e i teologi ne prendono atto: partire dall’ascolto obbliga a cambiare atteggiamento a tutti nella Chiesa.

Stefania Falasca Avvenire 6 maggio 2018

www.finesettimana.org/pmwiki/uploads/RaSt201805/180506falasca.pdf

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CONSULENTI DELLA COPPIA E DELLA FAMIGLIA

L’AICCeF si è iscritta al C.I.P.R.A.

Su proposta della Presidente Rita Roberto, il Consiglio Direttivo Aiccef [Associazione Italiana Consulenti Coniugali e Familiari] ha deliberato di iscrivere la nostra Associazione al CIPRA, Coordinamento Italiano dei professionisti della Relazione d’Aiuto, un nuovo organismo, di natura privata.

Il CIPRA si propone come Coordinamento nazionale per le associazioni e/o i singoli professionisti che operano nel campo della relazione d’aiuto e di sostenere a livello politico e culturale un dialogo tra le professioni d’aiuto in un’ottica liberale e democratica, perché, pur avendo queste professioni origini e impostazioni teoriche spesso differenti, sono accomunate da un unico scopo: la promozione del benessere dei singoli, dei gruppi e delle comunità.

Nello spirito degli articoli 32 e 33 della Costituzione Italiana, il CIPRA si propone la salvaguardia della libertà di insegnamento, di formazione personale e professionale, e la promozione della libertà di scelta consapevole da parte del cittadino del tipo di aiuto e di cure a cui far riferimento.

Il CIPRA si configura come uno spazio di confronto dialogico a livello etico, epistemologico e giuridico tra i professionisti e le rispettive teorie/culture di provenienza, nel rispetto delle comunanze e specificità e promuove eventi culturali e mediatici (conferenze, convegni, seminari, siti internet, newsletter, etc.) allo scopo di coinvolgere non solo i professionisti ma anche la società civile e le istituzioni.

Le motivazioni che hanno spinto il Direttivo Aiccef ad aderire al CIPRA si trovano nella volontà di partecipare alla discussione generale sulla relazione d’aiuto, nella esigenza di visibilità e tutela delle professioni che si occupano della coppia e della famiglia, nella conoscenza e nell’integrazione con gli altri professionisti appartenenti a questo settore, sanitari e non.

Per saperne di più su CIPRA vai su www.cipraweb.it

News AICCeF 2 maggio 2018 www.aiccef.it/it/news/l–aiccef-si-e-iscritta-al-cipra.html

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CONSULTORI FAMILIARI DI ISPIRAZIONE CRISTIANA

La Riforma del terzo settore

Giornata di studio nazionale

Giovedì 17 maggio 2018 dalle ore 9.30 alle ore 17.00

Museo Diocesano – Sala Arciconfraternita

Corso di Porta Ticinese, 95 – Milano

La riforma del terzo settore avviata nel 2016 e ora in fase di attuazione prevede l’uscita di scena del regime fiscale agevolato previsto da vent’anni per le organizzazioni non lucrative (Dlgs 460/1997) e il debutto di nuovi regimi fiscali.

Per il completamento della riforma si attende il via libera della Commissione europea sui nuovi regimi forfettari di tassazione per gli enti del terzo settore e la creazione del Registro unico nazionale del terzo settore, prevista per il 2019.

Questo è dunque un anno di transizione, nel quale le Onlus devono decidere a quale delle sette sezioni del Registro unico iscriversi, in base alla loro organizzazione e in base alla tipologia e consistenza delle loro entrate. Iscriversi non è obbligatorio ma le organizzazioni che non lo faranno rinunceranno ai nuovi regimi fiscali agevolati e all’attribuzione del cinque per mille dell’Irpef.

Il Registro unico del terzo settore (Runts) prevede sette sezioni fra le quali scegliere (organizzazione di volontariato, associazione di promozione sociale, ente filantropico, impresa sociale (incluse le cooperative sociali), rete associativa, società di mutuo soccorso, altro ente del terzo settore). A ciascuna tipologia, corrisponderà uno specifico trattamento fiscale. Sono comuni a quasi tutte le categorie gli incentivi potenziati per i donatori (detrazioni e deduzioni).

Il venir meno della disciplina delle Onlus impone agli enti che hanno questa qualifica di verificare i propri settori di attività per valutare come ricollocarsi all’interno del Terzo settore, individuando le eventuali modifiche statutarie e/o gestionali da adottare.

La Confederazione italiana dei consultori familiari di ispirazione cristiana in collaborazione con altri enti competenti in materia propone una presentazione articolata della Riforma del terzo settore in relazione agli ambiti specifici di attività dei consultori familiari di ispirazione cristiana.

Obiettivo principale della giornata di studio nazionale è di favorire la transizione consapevole e motivata verso la sezione del Runts più appropriata per l’attività tipica dei consultori familiari regolati dalla l. 405/75 e più espressiva dell’ispirazione cristiana che caratterizza i consultori familiari della CFC.

Programma

ore 09.30 Accoglienza

ore 10.00 Preghiera

ore 10.10 Saluto dell’Arcivescovo di Milano S. Ecc. Mons. Mario Delpini

ore 10.30 Condizioni per definirsi consultori familiari secondo la legge 405/1975 Don Edoardo Algeri

ore 10.45 Le normative regionali dei consultori familiari Prof. Andrea Bettetini

ore 11.15 Quali le finalità e gli obiettivi della Riforma del Terzo Settore? Don Lorenzo Simonelli

ore 11.45 Coffe Break

ore 12.00 Le attività, i soggetti e il registro unico del Terzo Settore Dott. Paolo Pesticcio

ore 12.45 Il Consultorio familiare come Ente di Terzo Settore Don Lorenzo Simonelli

ore 13.15 Pausa pranzo

ore 14.30 Gli adempimenti e i controlli nella gestione degli Enti di Terzo Settore Dott.ssa Costanza Bonelli

ore 15.00 La fiscalità degli Ente di Terzo Settore Rag. Patrizia Clementi

ore 15.45 Le agevolazioni fiscali per gli Enti di Terzo Settore Rag. Patrizia Clementi

ore 16.00 Domande dei partecipanti

ore 16.30 Indicazioni operative Ing. Antonio Adorno

ore 17.00 Conclusioni Don Edoardo Algeri

Relatori

Adorno Ing. Antonio, Ingegnere, Presidente della Commissione Organizzativa della CFC e Presidente del Consultorio ‘Oasi Cana’ di Palermo

Algeri Don Edoardo, Psicologo, Presidente della CFC e della FeLCeAF

Bettetini Prof. Andrea, Docente di Diritto Canonico dell’UCSC di Milano, Vicepresidente della CFC

Bonelli Dott.ssa Costanza, Esperta della contabilità e della fiscalità degli enti non profit e enti ecclesiastici

Clementi Rag. Patrizia, Esperta di questioni fiscali degli enti ecclesiastici e degli enti non profit

Delpini Mons. Mario, Arcivescovo della Diocesi di Milano e Presidente della CEL

Pesticcio Dott. Paolo, Esperto di questioni fiscali degli enti non profit

Simonelli Don Lorenzo, Avvocato Generale della Curia dell’Arcidiocesi di Milano e Responsabile dell’Osservatorio Giuridico Legislativo Regionale promosso dalla Regione Ecclesiastica Lombardia

 

  • Obiettivo principale della giornata di studio nazionale è di favore la transizione consapevole e motivata verso la sezione del Registro unico del Terzo Settore più appropriata per l’attività tipica dei consultori familiari regolati dalla l. 405/1975 e più espressiva dell’ispirazione cristiana che caratterizza i consultori familiari della CFC.

  • La Giornata di studio si rivolge in modo particolare ai direttori, ai coordinatori, ai consulenti e ai collaboratori dei consultori familiari; ai presidenti, ai consiglieri e ai revisori legali degli enti che gestiscono consultori familiari; agli operatori della pastorale familiare ed alle associazioni familiari.

  • Per partecipare al Convegno è necessario iscriversi compilando il modulo di iscrizione entro e non oltre il 14 maggio 2018. https://goo.gl/forms/HfrU79QHoWxDufuD2

Ulteriori informazioni posso essere richieste all’indirizzo e-mail: cfcroma@libero.itcfc-rm@unicatt.itfelceaf4777@gmail.com. www.cfc-italia.it/cfc

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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM

Milano 1. Istituto La Casa. Figli al centro tra Diritto e diritti

A colloquio con l’avvocato Luigi Filippo Colombo esperto di diritto di famiglia e presidente dell’Istituto La Casa

La figura del legale opera all’interno del Consultorio familiare dell’Istituto La Casa, in équipe con le altre figure professionali, in un’ottica di collaborazione e di presa in carico condivisa delle situazioni familiari complesse.

Le domande che giungono all’avvocato riguardano, per la maggior parte dei casi, situazioni che nascono dall’accendersi di un conflitto non più gestibile all’interno della coppia, sia in ordine ad un’ipotizzata o già decisa o già effettiva separazione personale, legale o di fatto, sia ad una revisione della stessa o trasformazione in divorzio, con tutti gli effetti e le problematiche conseguenti, laddove permanga l’imperio di quella conflittualità. Molto spesso, in tali contesti, c’è la presenza dei figli, minori e non solo, che dentro la famiglia vivono e che quindi sono spesso al centro di tensioni, rivendicazioni, battaglie dei genitori.

Come opera un legale all’interno del Consultorio familiare?

Il lavoro di équipe, dentro il nostro Consultorio familiare, è molto prezioso e aiuta la comprensione delle situazioni familiari. Ad esempio, conoscere le conseguenze psicologiche che un atto legale può comportare aiuta l’avvocato a calibrare le parole, i tempi e i modi della propria azione. Così pure per lo psicologo, essere informato sugli aspetti legali, su alcune procedure e sui relativi effetti consente una migliore presa in carico della domanda. È un lavoro delicato che ha l’obiettivo di migliorare la consapevolezza di tutti gli attori coinvolti, di valorizzare l’apporto di ognuno e di evitare che le persone si sentano a loro volta perdute nel bel mezzo di fuochi incrociati.

Quando la conflittualità tra i coniugi è grave, come è possibile intervenire?

Dal mio punto di vista, evitando il più possibile gli schematismi, l’atteggiamento intellettualistico del déjà vu, cercando di comprendere le situazioni nella loro complessità, aiutando le persone a guardare le proprie posizioni in un’ottica diversa e a farsi carico delle proprie fragilità, aprendosi alla possibilità di aiuto. Spesso le persone arrivano con una domanda specifica che però appalesa solo la superficie del problema che vivono, mentre sotto ci sono un disagio e una sofferenza molto più profondi. Non esistono ricette o soluzioni veloci e indolori. In questo senso il cosiddetto divorzio breve e tutta una serie di procedure “fai da te” non aiuta, anzi avalla l’idea che si possa in poco tempo e con poco dispendio mettere tutto in ordine. Ma, ahimè, una separazione, un divorzio, una relazione conflittuale con i figli portano conseguenze di sofferenza che occorre elaborare e comprendere. Le illusioni non aiutano e una soluzione solo formale non cura le ferite. Ripartire da se stessi, da quel briciolo soffocato di desiderio di verità e di felicità che ciascuno porta dentro, fare un passo indietro per rivedere i propri comportamenti, permette di allentare le tensioni induce anche l’altro a porsi in una posizione più dialettica e costruttiva, anziché solo difensiva.

Dal concetto di patria potestà si è passati oggi a quello di responsabilità genitoriale. Cosa significa?

L’evoluzione del Diritto di Famiglia negli ultimi quarant’anni ci ha condotti dapprima (1975) dalla “patria potestà” alla “potestà dei genitori” e poi, dal 2014, alla “responsabilità genitoriale”, dove il concetto di “potestà”, più sbrigativo in relazione ai “doveri del figlio”, ha ceduto il posto a quello più impegnativo di “responsabilità”, che ha come contraltare non più solo i “doveri”, ma i “diritti e doveri del figlio”. In quest’ultimo quinquennio, dunque, si sta facendo largo, nei risvolti pratici di separazione o divorzio in presenza di figli, il concetto di responsabilità genitoriale. Il richiamo che viene fatto è in sostanza sulla condivisione del ruolo e dei doveri che i genitori devono esprimere per la crescita e l’educazione dei figli. Si evidenzia un concetto di parità tra i coniugi o ex coniugi non più soltanto nell’esercizio di un potere educativo, ma di una responsabilità educativa verso la prole. Questa “parità” non equivale a dividere esattamente a metà ogni tipo di modalità spazio-temporale di dedizione verso i figli, ma impone di mettere da parte le proprie rivendicazioni personali per il bene dei figli e trovare una forma di collaborazione che garantisca una presenza significativa di entrambi i genitori. È questo il bene (da non confondersi con il benessere) dei figli, specialmente di quelli che hanno la disavventura di non poter frequentare mamma e papà insieme, ma ora l’uno ora l’altra. Diversamente, senza comprensione ed elasticità, non sussisterebbe alcuna responsabilità genitoriale.

La responsabilità genitoriale implica dunque un grado di collaborazione non sempre facile

Quello che si auspica è che i coniugi o gli ex coniugi possano ritrovare quel minimo di relazione che permetta la comunicazione. Recuperare questo stadio di relazione tra i due facilita la gestione della conflittualità, la smussa e consente di trovare una forma di collaborazione per il bene dei figli e per un loro sviluppo il più possibile sereno. Continuare a essere genitori insieme significa confrontarsi e affrontare in accordo, a seconda delle proprie disponibilità, capacità e possibilità, gli aspetti importanti della vita dei figli, dalla scelta dell’abitazione a quella della scuola, degli indirizzi di studio, del tempo libero, di quello ricreativo, ecc.; significa insomma condividere l’impegno di seguirli ed educarli al bene, che diventa bene comune, tanto carente in questi tempi.

A volte ai figli si delegano responsabilità che non sono adeguate alla loro età.

Mi è capitato e mi capita di vedere situazioni nelle quali sono i figli a “consigliare” i genitori, addirittura ad imporre comportamenti di questo o quell’altro tipo, anche a riguardo della loro separazione. Può succedere ad esempio con i figli più grandi, appena maggiorenni o adolescenti (ma l’età si va abbassando), che trovano buon gioco nella mancanza di autorevolezza genitoriale, sgretolata dalla banalità del conflitto, nella mancanza della figura dell’adulto, padre o madre. Alcune volte i genitori sono troppo “amici” del figlio e danno per scontato che il figlio non abbia bisogno di guida e di esempio, come se fosse autodidatta e già maturo, ponendosi nei suoi confronti come se fosse titolare di soli diritti e non anche di doveri.

Si tratta in questo caso di una questione certamente educativa ma che non è ignorata dalla legge, quando prevede l’obbligo del rispetto verso i genitori (e anche quello della contribuzione economica, in caso di necessità della famiglia, in presenza di reddito di lavoro del figlio convivente). Ritengo, anche dal punto di vista tecnico-legale, che il criterio d’approccio più efficace sia la comprensione complessiva della situazione, al fine di evitare interventi ‘miopi’ o parziali, che finiscono per perdere la visione d’insieme, la quale non può essere che quella della famiglia

Elena D’Eredità Istituto La Casa 26 aprile 2018

www.ucipem.com/it

Pescara. Fragilità relazionali

Sarà la tavola rotonda “Quale senso per il consultorio oggi?” ad aprire i festeggiamenti dell’Ucipem, il consultorio familiare della diocesi di Pescara-Penne che da 40 anni si occupa delle fragilità delle relazioni. “Interrogarsi sul senso della nostra presenza sul territorio – spiega don Cristiano Marcucci, presidente di Ucipem Pescara – è indispensabile per rispondere sempre in modo adeguato e competente ai bisogni e alle situazioni che la realtà, in continuo cambiamento, ci mette davanti”.

Venerdì 4 maggio 2018, sarà la sala consiliare del Comune di Pescara, ad ospitare dalle 17.30 il confronto al quale interverranno, moderati da don Marcucci, mons. Tommaso Valentinetti, arcivescovo di Pescara-Penne, Marco Alessandrini, sindaco di Pescara, Francesco Pagnanelli, presidente del Consiglio comunale di Pescara, Annamaria Cosatti, coordinatrice nazionale del progetto “Spazio Mamma” di Save the Children, Maria Carmela Minna, responsabile Asl Pescara per consultori, Gabriella Federico, presidente del Centro italiano femminile della Provincia di Pescara.

Un secondo incontro è in programma per la mattinata di sabato 5 maggio. Sarà la presidente dell’Osservatorio nazionale dell’adolescenza, Maura Manca, a condurre un evento formativo rivolto ai giovani che si terrà dalle 9.30 al teatro Circus di Pescara: la psicoterapeuta affronterà il tema del cyberbullismo, rispondendo alle domande dei ragazzi di scuole medie e superiori della città che hanno già affrontato la problematica nelle rispettive classi con un questionario specifico.

“Oggi – evidenzia don Marcucci – il consultorio di Pescara risponde sempre di più alle esigenze del territorio grazie alla collaborazione di oltre 70 operatori professionisti tra consulenti, psicoterapeuti, mediatori familiari e medici. Ogni anno vengono svolte più di 3.500 ore di volontariato gratuito per consulenze mediche, legali e educative e psicologiche e si effettuano oltre 10.000 ore di percorsi e attività di gruppo. Inoltre sono attivi sportelli di ascolto nelle scuole e progetti formativi con insegnanti e studenti”.

Agenzia SIR

https://agensir.it/quotidiano/2018/5/3/diocesi-pescara-penne-incontri-e-dibattiti-per-celebrare-i-40-anni-di-attivita-del-consultorio-familiare-ucipem

Pescara. I primi 40 anni del consultorio diocesano

C’è la coppia scoppiata che cerca di riattaccare i pezzi di un matrimonio spento o che decide di chiudere un rapporto definitivamente. Ci sono le donne violentate dai propri compagni che però non hanno il coraggio di parlarne subito e inizialmente si sfogano con gli operatori di rapporti difficili con i figli. Ci sono gli uomini, molti single, le donne e anche i giovani la cui vita è devastata e stravolta da alcool, droga, infedeltà, violenze fisiche e mentali. Ci sono figli che picchiano i genitori, ma, in generale, le donne chiedono aiuto più degli uomini.

Ogni anno oltre 300 persone in difficoltà, tra i 18 e i 70 anni, pescaresi ma anche provenienti dalla Val Pescara, dal teatino e da Sulmona, si rivolgono al consultorio familiare diocesano Ucipem- Amici del consultorio, di via Campobasso 11, da dieci anni presieduto da don Cristiano Marcucci (parroco della Visitazione a Zanni) e diretto, dal settembre 2016, da Loris Di Vittorio.

Quest’anno compie 40 anni la struttura, nata per volontà di monsignor Antonio Iannucci con riconoscimento ufficiale Ucipem nel 1978. Oggi conta 70 operatori tra consulenti, psicoterapeuti, mediatori familiari e medici. Ogni anno vengono svolte più di 3.500 ore di volontariato, 10mila ore di percorsi spirituali e attività di gruppo realizzate in collaborazione con l’associazione sociale Koilos fondata da don Marcucci (don Cricco per i bimbi). A questi eventi, che si svolgono anche fuori Italia, partecipano, numerose, le famiglie. I prossimi appuntamenti a Santiago de Compostela a giugno, a seguire Cracovia e, a ottobre, Auschwitz. (…)

«L’Ucipem riflette, sostiene e forma, sin dalla sua nascita, sotto l’arcivescovado di monsignor Antonio Iannucci», ricorda don Cristiano Marcucci, successore alla presidenza del consultorio di don Albino Dazzi e don Sergio Triozzi, «il suo primo intento era quello di fornire supporto alle persone con difficoltà personali e relazionali, in particolare in ambito coniugale, genitoriale e familiare. Di strada, dopo il riconoscimento da parte della Regione nell’aprile del 1978, ne è stata fatta e oggi, il consultorio di Pescara risponde sempre di più alle esigenze del territorio. E’ indispensabile, dunque, interrogarsi sul senso della nostra presenza per rispondere sempre di più ai bisogni che la società ci pone davanti».

Chi si rivolge al consultorio paga una quota una tantum di 10 euro, altri 10 euro per un consulto e 100 euro per un percorso di 11 incontri settimanali o bisettimanali.

Sono attivi sportelli di ascolto nelle scuole e progetti formativi con insegnanti e studenti e in collaborazione con enti locali e altre associazioni del territorio, come il centro antiviolenza Ananke al quale vengono dirottate le donne maltrattate. A breve il consultorio riaprirà uno sportello dedicato ai minori.

Capita spesso anche che, coloro i quali hanno ricevuto aiuto, tornino nella struttura da persone che hanno avuto una nuova ripartenza nella vita e sono pronte ad aiutare gli altri.

Cinzia Cordesco 4 maggio 2018

www.ucipempescara.org

www.ilcentro.it/pescara/i-primi-40-anni-del-consultorio-diocesano-1.1903917

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DALLA NAVATA

6° Domenica di Pasqua. – Anno B – 6 maggio 2018

Atti 10, 26 Ma Pietro lo rialzò dicendo: «Àlzati: anche io sono un uomo!»

Salmo 97, 26 Il Signore ha fatto conoscere la sua salvezza, agli occhi delle genti ha rivelato la sua giustizia.

1Giovanni 04, 10 In questo si è manifestato l’amore di Dio: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati.

Giovanni 15, 11 Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.

 

Il comandamento nuovo.Commento di Enzo Bianchi, priore emerito nel convento di Bose (BI)

Nei “discorsi di addio” (cf. Gv 13,31-16,33), attraverso i quali Giovanni ci svela le parole del Signore risorto alla sua comunità, per due volte viene annunciato il “comandamento nuovo”, cioè ultimo e definitivo: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri (Gv 13,34); “Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi” (Gv 15,12, all’interno del brano di questa domenica).

Sono parole certamente consegnate ai discepoli, ai discepoli di Gesù che in ogni tempo lo seguono, ma questo comandamento non è limitante, non è riduttivo delle parole sull’amore comandato da Gesù addirittura verso i nemici e i persecutori (cf. Mt 5,44; Lc 6,27-28.35). L’amore è sempre amore di chi dà la vita per i propri amici, è sempre amore che ha avuto la sua epifania sulla croce, dunque amore di Dio per il mondo, per tutta l’umanità (cf. Gv 3,16). Questo amore è innanzitutto ciò che Dio è, perché “Dio è amore” (1Gv 4,8.16); è ciò che è vita del Padre e del Figlio nella comunione dello Spirito santo; è amore che Gesù di Nazaret ha vissuto fino alla fine, fino all’estremo (eis télos: Gv 13,1). L’amore, dunque, ha origine in Dio e da Dio discende, creando una relazione dinamica nella quale ogni persona è chiamata ad accogliere il dono dell’amore, a lasciarsi amare per poter diventare soggetto di amore.

Per noi l’abisso di amore estatico che è Dio stesso è incommensurabile, e riusciamo solo a leggerlo guardando alla vita e alla morte di Gesù, che avendo spiegato Dio (exeghésato: Gv 1,18), ci ha narrato il suo amore. Con tutta l’autorevolezza di chi ha vissuto l’amore fino all’estremo, Gesù ha potuto dire: “Come il Padre ha amato me, così anche io ho amato voi”. Ancora una volta queste parole di Gesù ci dovrebbero scandalizzare, perché appaiono come una pretesa: Gesù pretende di aver amato i suoi discepoli come Dio sa amare e di questo amore di Dio dice di avere conoscenza, di averne fatto esperienza.

Come può un uomo dire questo? Eppure il Kýrios risorto lo afferma e lo dice a noi che lo ascoltiamo. In questi nove versetti per nove volte risuona la parola “amore/amare” e per tre volte la parola “amici”: questo amore discende da Dio Padre sul Figlio, dal Figlio sui discepoli suoi amici e dai discepoli sugli altri uomini e donne. È un amore che si incarna e si dilata per poter raggiungere tutti. È quasi impossibile seguire adeguatamente il discorso di Gesù; possiamo però almeno segnalare che in lui l’amore di Dio è diventato amore dei discepoli, i quali possono rispondere a questo amore discendente, donato a loro gratuitamente, dimorando in tale amore, ossia restando saldi nel realizzare la volontà di Gesù, ciò che egli ha comandato.

E questa volontà consiste, in estrema sintesi, nell’amare l’altro, ogni altro. Riusciamo a capire cosa Gesù ci chiede nel farci dono del suo amore? Non ci chiede innanzitutto che amiamo lui, che ricambiamo il suo amore, amandolo a nostra volta. No, la risposta al suo amore è l’amare gli altri come lui ci ha amati e li ha amati. La restituzione dell’amore, il contro-dono, che è la legge dell’amore umano, deve essere amore rivolto verso gli altri. Allora questo amore fraterno è compiere la volontà di Dio, dunque amarlo in modo vero, come Dio desidera essere amato. Gesù ha risposto all’amore del Padre amando noi, e noi rispondiamo all’amore di Gesù amando l’altro, gli altri. Per questo tutta la Legge, tutti i comandamenti sono ridotti a uno solo, l’ultimo e il definitivo, che relativizza tutti gli altri: l’amore del prossimo. Lo ha detto Gesù: “Dai comandamenti dell’amore di Dio e del prossimo”, cioè dell’amore dell’altro vissuto come Dio vuole e come Gesù ha testimoniato, “dipendono tutta la Legge e i Profeti” (cf. Mt 22,40). E Paolo lo ha ulteriormente ribadito: “Tutta la Legge nella sua pienezza è riassunta nell’unica parola: ‘Amerai!’” (cf. Gal 5,14; cf. anche Rm 13,8-10).

Gesù ci consegna dunque un criterio oggettivo per valutare il nostro rapporto di discepoli con lui e con il Padre: l’amore fattivo, concreto verso gli altri. Solo mettendoci a servizio degli altri, solo facendo il bene agli altri, solo spendendo la vita per gli altri, noi possiamo sapere di dimorare, di restare nell’amore di Gesù, come egli sa di restare nell’amore del Padre. Senza questo amore fattivo non c’è possibilità di una relazione con Gesù e neppure con il Padre, ma c’è solo l’illusione religiosa di una relazione immaginaria e falsa con un idolo da noi forgiato e quindi amato e venerato.

In questa pagina del quarto vangelo Gesù ha anche l’audacia di reinterpretare il rapporto tra Dio e il credente tracciato da tutte le Scritture prima di lui. Il credente è certamente un servo (termine che indica un rapporto di sottomissione e di obbedienza) del Signore, ma Gesù dice ai suoi che ormai non sono più servi, bensì sono da lui resi amici: “Non vi chiamo più servi … ma vi ho chiamati amici (phíloi), perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi”. Intimità più profonda di quell’amicizia di Abramo (cf. Gc 2,23) o di Mosè (cf. Es 33,11) con Dio; intimità che è comunione di vita, comunione di amore. 

Il discepolo di Gesù, che fa innanzitutto l’esperienza di essere amato dal Signore, può diventare a sua volta un amante del Signore: non è semplicemente qualcuno chiamato a essere servo per svolgere un’azione, ma è un amico che entra in relazione con il Signore. Egli riconosce che non vi è amore più grande che dare la vita per gli amici, e in tale amore concreto è reso partecipe della parola, dell’intimità, della rivelazione del Signore. Il discepolo di Gesù è stato da lui scelto, l’amore di Cristo lo ha preceduto e il frutto che Cristo attende è l’amore per gli altri. Questo sarà anche l’unico segno di riconoscimento del discepolo cristiano nel mondo (cf. Gv 13,35): null’altro, anzi il resto offusca l’identità del cristiano e non permette di vederla.

Che cosa dunque fare come discepoli di Gesù? Credere all’amore (cf. 1Gv 4,16), amare gli altri perché Dio ci ha amati per primo (cf. 1Gv 4,19) e non cedere mai alla tentazione di pensare che ci basti nutrire un amore di desiderio o di attesa per Dio: no, lo amiamo se realizziamo il comandamento nuovo dell’amore reciproco, a immagine di quello vissuto da Gesù. L’amore presente nel desiderio di Dio può essere una grande illusione, e Giovanni lo ribadisce con forza: “Se uno dice: ‘Io amo Dio’ e odia suo fratello, è un bugiardo. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede” (1Gv 4,20). 

Ecco, noi cristiani, comunità del Signore nel mondo e tra gli uomini, dobbiamo avere la consapevolezza di essere originati dalla carità, dall’amore di Dio. Ecclesia ex caritate: la chiesa nasce dalla carità di Dio e solo se dimora in tale carità può anche essere chiesa che opera la carità, sapendo che l’amore non può mai essere disgiunto dall’obbedienza al Signore. Infatti è il “comandamento “che sa indirizzare plasmare il nostro amore in conformità all’amore di Cristo, che ci spinge addirittura ad amare il non amabile, a operare la carità verso il nemico o verso chi ha commesso il male nei nostri confronti.

In questo dono da parte di Gesù del comandamento nuovo, del suo comandamento per eccellenza, c’è la costituzione della sua comunità, della chiesa. Questa deve essere una casa dell’amicizia, un’esperienza di amicizia; i cristiani restano certamente servi del Signore, nell’obbedienza, ma sono amici del Signore nella condivisione della sua vita più intima, nella conoscenza di ciò che il Padre comunica al Figlio e di ciò che il Figlio dice al Padre in quella comunione di vita e di amore che è lo Spirito santo. Sì, il comandamento nuovo non ci viene dato come una legge ma come un dono che ci fa partecipare alla vita di Dio stesso. C’è qui il grande mistero cristiano della grazia, dell’amore gratuito e preveniente, dell’amore che non si deve mai meritare ma che va solo accolto con stupore e riconoscenza. Si legge in un detto apocrifo attribuito a Gesù: “Hai visto il tuo fratello? Hai visto Dio!”. Parole che possono anche essere comprese come segue: “Hai amato il tuo fratello? Hai amato Dio!”.

http://www.monasterodibose.it/preghiera/vangelo/12265-comandamento-nuovo

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DIACONATO

Diaconato delle donne fra storia e teologia

La questione del diaconato delle donne è oggetto di studio già dal 1973, quando se ne discusse all’interno della Commissione teologica internazionale. Proponiamo alcune note sulle posizioni e il metodo assunti, in quella sede, da padre Yves Congar e da Cipriano Vagaggini, di cui si stanno studiando le carte conservate a Camaldoli.

 

La Commissione di Studio sul Diaconato delle donne istituita il 2 agosto 2016 da papa Francesco continua il suo cammino, scrivendo un nuovo tratto di un percorso iniziato già da tempo. La questione se sia possibile ammettere le donne al diaconato non è infatti nuova: già più di quattro decenni fa la Commissione teologica internazionale (CTI) era stata incaricata di affrontare l’argomento dei ministeri femminili e in particolare la possibilità di ammettere le donne al diaconato, e ne aveva dibattuto nella plenaria dell’ottobre del 1973.

La Commissione del 1973. In quella sede, Yves Congar era arrivato alla conclusione che niente dal punto di vista dogmatico si oppone all’ordinazione diaconale delle donne e che serie ragioni lo consigliano. Per l’aspetto dogmatico giudicava rilevante che nella tradizione greco-bizantina il diaconato, tanto femminile quanto maschile, fosse un ministero al quale si era consacrati attraverso un’ordinazione che oggi qualifichiamo come grado del sacramento dell’ordine. Tra le serie ragioni per ammettere le donne all’ordine diaconale annoverava l’importanza di dare il titolo e la grazia corrispondente a donne che esercitano già di fatto attività e funzioni diaconali.

Anche se la CTI non produsse alcun documento, alcune ricerche sono nel frattempo uscite sui lavori di quegli anni; il loro studio, unito all’esame della documentazione raccolta nel fondo “Vagaggini” del monastero di Camaldoli – che sto conducendo in vista di una pubblicazione compiuta – ne attestano la grande importanza rispetto alla fase di studio in cui ci troviamo ora.

L’istituzione dell’attuale Commissione di studio sul diaconato delle donne, infatti, segue immediatamente – poco più di un decennio – la pubblicazione nel 2003 del documento della CTI Il diaconato: evoluzione e prospettive, nel quale trovava spazio anche la questione specifica del diaconato delle donne. Gli elementi posti in evidenza dallo studio erano il fatto storico che le diaconesse della Chiesa primitiva non fossero puramente e semplicemente assimilabili ai diaconi e la forte sottolineatura nella tradizione ecclesiale della unità del sacramento dell’ordine nella chiara distinzione tra il diaconato e i ministeri sacerdotali dei presbiteri e del vescovo. Questi dati storico-teologici erano offerti al magistero, cui competeva una decisione in merito. Tuttavia lo spazio dato nel documento alla questione storica del diaconato delle donne è troppo sintetico e riduttivo per concludere che la questione vi sia stata esaurientemente dipanata. Viceversa gli studi fondamentali sul tema erano già sul tavolo del 1973 insieme a precise impostazioni di metodo che è opportuno discernere in quanto influenzano in ogni caso l’utilità dei dati raccolti.

Ordinazione o benedizione? Particolarmente illuminante per la riflessione attuale è l’impostazione metodologica di Cipriano Vagaggini (1909-1999), che all’interno di quella prima Commissione era stato incaricato di esaminare quale contributo la storia possa fornire alla questione se sia possibile ammettere le donne al diaconato. Acquisendo la progressiva consapevolezza che non si trattava di rifare tutta la storia delle diaconesse nelle loro molteplici forme, ma di discernere nella storia se ci sia stato un diaconato delle donne assimilato al diaconato degli uomini, Vagaggini individuava tale luogo nella tradizione greco-bizantina. L’ordine diaconale in questa tradizione comprendeva due gradi, uno maschile e uno femminile, di identica natura sacramentale e di differente estensione delle funzioni liturgiche.

Venendo alla situazione dei nostri tempi, in cui alle donne in alcuni casi può essere affidato un ministero molto più largo perfino di quello tradizionalmente concesso ad un diacono, per Vagaggini si aprono due possibilità: o si concede alle donne il sacramento del diaconato, per adeguare l’istituzione liturgica allo stato reale delle cose, oppure non lo si concede perché non si è certi sia teologicamente possibile o pastoralmente opportuno. In questo secondo caso, introdurre un diaconato femminile con i compiti odierni e solo come benedizione porrebbe più problemi teorici e pratici di quanti ne risolverebbe.

Donne e ministeri: da dove nascono i “no”. Resta in fondo da chiarire bene cosa nella tradizione greco-bizantina abbia permesso di riconoscere il ministero della donna diacono fin nel suo fondamento nella Scrittura e cosa nella storia della Chiesa abbia a lungo impedito il riconoscimento di qualsiasi ministero istituito aperto alle donne.

Per questo secondo aspetto è illuminante l’impostazione della riflessione di Le Guillou, supportata dal contributo che già in quella sede Aimé-Georges Martimort, interpellato come perito esterno della commissione, dava alla ricostruzione storica. Entrambi restavano in fondo ancorati all’idea secondo la quale tutta la teologia dei ministeri ordinati è determinata dalla persona e dall’esempio di Cristo nella sua accezione maschile, dalla quale deriva la loro riserva agli uomini. Per questo il diaconissato, come preferiva chiamarlo Le Guillou, è da lui relegato ad una parentesi congiunturale del passato, e nella ricostruzione storica di Martimort è definito sempre e comunque tutt’altra cosa rispetto al diaconato degli uomini. «Cos’è questa tutt’altra cosa?», tornerà a chiedersi Vagaggini.

La scelta di come impostare la questione condiziona la possibilità stessa di riconoscere lo statuto dei ministeri che già di fatto sono (stati) affidati a donne nella Chiesa, in una realtà in cui l’idea che abbiamo messo in campo per comprenderla si dimostra sempre più inadeguata.

Moira Scimmi, Il Regno delle donne 28 aprile 2018

www.ilregno.it/regno-delle-donne/blog/diaconato-delle-donne-fra-storia-e-teologia-moira-scimmi

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FIGLI

Figli a carico

Un tempo di parlava di «figli nati con la camicia». Altrove si diceva che «i bambini non nascono con il pane sotto il braccio». In entrambi i casi, il significato è lo stesso: i figli vanno mantenuti, almeno fino ad un certo punto della loro vita. E le spese dei figli a carico sono consistenti: da pappe, pannolini, pediatra e vestiti quando sono piccolini, a università, trasporto, spese per il cellulare, ancora vestiti, piscina, calcio o palestra quando sono più grandicelli. Se poi mangiano come dei tori, ecco che la spesa del supermercato aumenta ogni settimana, al punto che la cassiera, ormai, ci dà un commosso abbraccio dopo che abbiamo pagato il conto.

Lo Stato non ci regala né la camicia né il pane ma ci dà una mano per sostenere le spese dei figli a carico con lo strumento della detrazione fiscale. Un’agevolazione che dal 2019 sarà più sostanziosa.

Figli a carico: chi sono. Vengono considerati figli a carico da un punto di vista fiscale quelli naturali (compresi i bambini riconosciuti fuori dal matrimonio), quelli adottivi, affidati o affiliati, purché rispettino un limite di reddito che vedremo tra poco, ed a prescindere dall’età; dal fatto che convivano o meno con i genitori; dall’attività che svolgono (che siano studenti piuttosto che tirocinanti a titolo gratuito o poco più).

Pertanto, si ritiene fiscalmente a carico un figlio che, ad esempio: abbia 26 anni e sia ancora disoccupato; abiti in un’altra città o all’estero; stia facendo uno tirocinio gratuito o con un rimborso spese che gli garantisce un reddito molto basso.

Figli a carico: il loro limite di reddito. Per essere considerati figli a carico fiscalmente bisogna rispettare un certo limite di reddito. Nel senso che, se il ragazzo lavora e guadagna più di una certa cifra ad una determinata età, il genitore non può usufruire delle agevolazioni.

Qual è questo limite di reddito? Fino al 31 dicembre 2018, è fissato in 2.840,51 euro, al lordo degli oneri deducibili.

Dal 1° gennaio 2019, però, il limite di reddito è di 4.000 euro per i figli fino ai 24 anni in virtù della Legge di Bilancio 2018 [Legge n. 205/2017], mentre per i figli con 25 o più anni resta la soglia precedente.

La soglia di reddito riguarda tutto l’anno solare, indipendentemente dal periodo in cui viene prodotto. Significa che se un figlio lavora da agosto a dicembre e supera quella soglia, non sarà da considerare fiscalmente a carico per tutto l’anno, anche se da gennaio a luglio non ha avuto delle entrate.

Da precisare, inoltre, che questo limite include soltanto i redditi che concorrono alla formazione del reddito complessivo Irpef, soggetto a tassazione ordinaria. Pertanto, restano esclusi i redditi assoggettati: ad imposta sostitutiva (o esenti da questa imposta); a ritenuta a titolo d’imposta; a tassazione separata.

Ci sono, tuttavia, certe regole contenute nel Tuir (il Testo unico delle imposte sui redditi) che ritengono rilevanti anche i redditi soggetti ad un diverso regime impositivo oppure esenti.

Questi ultimi sono: le retribuzioni corrisposte da enti e organismi internazionali, rappresentanze diplomatiche e consolari e missioni, dalla Santa Sede, dagli enti gestiti direttamente dal Vaticano e dagli enti centrali della Chiesa cattolica; la quota esente prevista per i redditi di lavoro dipendente dei frontalieri, pari a 7.500 euro dal periodo d’imposta 2015.

Per quanto riguarda, invece, i redditi assoggettati ad imposta sostitutiva di lavoro autonomo professionale o artistico e d’impresa, sono rilevanti quelli dei contribuenti che si avvalgono: del regime dei minimi; del nuovo regime forfettario.

Vanno, inoltre, considerati: i redditi degli immobili assoggettati alla cedolare secca sulle locazioni; i redditi dell’unità immobiliare adibita ad abitazione principale e delle relative pertinenze se non soggetta a Imu;

il 50% del reddito dell’immobile non affittato, assoggettato ad Imu ma situato nello stesso Comune in cui si trova l’abitazione principale.

Figli a carico: cosa spetta? Il Tuir stabilisce determinate detrazioni Irpef per i figli a carico, collegate al reddito complessivo dei genitori. Nel dettaglio:

950 euro, per ciascun figlio di età pari o superiore a tre anni e non portatore di handicap;

1.220 euro, per ciascun figlio di età inferiore a tre anni e non portatore di handicap;

1.350 euro, per ciascun figlio di età pari o superiore a tre anni e portatore di handicap;

1.620 euro, per ciascun figlio di età inferiore a tre anni e portatore di handicap.

Chi ha almeno 4 figli a carico può, inoltre, usufruire: delle detrazioni sopra citate, aumentate di 200 euro per ciascun figlio a partire dal primo; un’ulteriore detrazione di 1.200 euro in qualità di bonus complessivo e unitario per la famiglia numerosa. Questo beneficio non aumenta se il numero dei figli a carico è superiore a quattro.

Figli a carico: come vengono attribuite le detrazioni ai genitori. Le detrazioni per i figli a carico spettano ad entrambi i genitori, purché non siano legalmente ed effettivamente separati, nella misura del 50% ciascuno. Ciò non vieta al padre e alla madre di decidere, di comune accordo, che uno dei due si prenda l’intera detrazione perché ha un reddito complessivo più elevato.

Se, invece, la coppia è separata o divorziata oppure il loro matrimonio è stato annullato con scioglimento e cessazione degli effetti civili, la detrazione spetta:

  • al 100% al genitore affidatario;

  • al 50% a ciascun genitore se entrambi hanno l’affidamento del figlio.

Sta a loro decidere, come nel caso precedente, se lasciare interamente la detrazione a chi dei due ha il reddito più elevato.

Se un coniuge è fiscalmente a carico dell’altro (vedi sotto), la detrazione per i figli compete esclusivamente a quest’ultimo sulla base del suo reddito complessivo.

È possibile anche applicare per il primo figlio (sempre che il gioco valga la candela) le detrazioni previste per il coniuge a carico, a patto che:

  • l’altro genitore manchi (cioè sia deceduto) o non abbia riconosciuto il figlio ed il contribuente non è sposato oppure si è legalmente ed effettivamente separato in un secondo momento;

  • se ci sono dei figli adottivi, affidati o affiliati del solo contribuente non sposato o successivamente separato.

Figli a carico: può subentrare fiscalmente il fratello? Non è detto che debbano sempre essere i genitori ad avere in carico il figlio. Se quest’ultimo è disoccupato, può essere ritenuto fiscalmente a carico di un fratello convivente sempre che:

  • uno dei genitori non lavori e l’altro lo faccia saltuariamente con un reddito basso, anche se superiore a 2.840,51 euro;

  • il fratello che si prende in carico la situazione lavori stabilmente, abbia un reddito molto superiore e provveda, di fatto, al mantenimento della famiglia.

Altri familiari a carico

In una famiglia non ci sono, ovviamente, solo i figli. Il contribuente può avere in carico altri parenti. È il caso del coniuge non legalmente e non effettivamente separato, anche se non convivente o residente all’estero. In questo caso, il contribuente ha diritto ad una detrazione Irpef lorda variabile da 0 a 800 euro a seconda del suo reddito complessivo.

La detrazione spetta anche in caso di unioni civili tra persone dello stesso sesso e alle stesse condizioni.

Inoltre, possono essere considerati fiscalmente a carico: il coniuge legalmente ed effettivamente separato; i discendenti dei figli; i genitori (compresi quelli adottivi); i generi e le nuore; il suocero e la suocera; i fratelli e le sorelle (anche unilaterali); i nonni e le nonne.

Per questi familiari, però, è necessario:

  • rispettare il limite di reddito;

  • essere conviventi oppure percepire assegni alimentari non risultanti da provvedimenti dell’autorità giudiziaria, purché siano attestati mediante autocertificazione oppure altri mezzi di prova come l’intestazione di utenze, il contratto di affitto dell’immobile, ecc.

Avendo questi familiari a carico (cioè tutti tranne i figli ed il coniuge non legalmente ed effettivamente separato) spetta una detrazione Irpef di 750 euro da distribuire tra chi ha diritto alla detrazione e da parametrare al relativo reddito complessivo.

Le detrazioni competono dal mese (e non dal giorno) in cui si verificano le condizioni per averne diritto e fino al mese (e non al giorno) in cui queste condizioni vengono meno.

L’applicazione delle agevolazioni fiscali per familiari a carico avviene secondo quest’ordine: coniuge; figli; altri familiari.

L’Agenzia delle Entrate, però, ha chiarito che è possibile stravolgere quest’ordine (ad esempio nel caso in cui sia un’altra persona ad avere effettivamente alle spalle il peso economico della famiglia) a condizione che:

  • abbia un reddito complessivo più elevato;

  • sostenga effettivamente il carico economico del familiare.

Figli a carico: le detrazioni per i contribuenti extracomunitari. I cittadini extracomunitari che richiedono le detrazioni per familiari a carico devono essere in possesso di una documentazione attestante lo status di familiare, che può essere alternativamente formata da:

  • documentazione originale prodotta dall’autorità consolare del Paese d’origine, con traduzione in lingua italiana e asseverazione da parte del Prefetto competente per territorio;

  • documentazione con apposizione dell’Apostille, per i soggetti che provengono dai Paesi che hanno sottoscritto la Convenzione dell’Aja del 05.10.61;

  • documentazione validamente formata dal Paese d’origine, ai sensi della normativa vigente in loco, tradotta in italiano e asseverata come conforme all’originale dal Consolato italiano del Paese d’origine.

Carlos Arija Garcia La legge per tutti 1 maggio 2018

www.laleggepertutti.it/201546_figli-a-carico

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FORUM ASSOCIAZIONI FAMILIARI

Ci appelliamo a Mattarella affinché venga prima di tutto la natalità.

“Non sono più dati Istat, ma un bollettino di guerra”: commenta così il presidente nazionale del Forum delle associazioni familiari, Gigi De Palo, i numeri del report Istat “Il futuro demografico del Paese”, secondo cui nel 2065 numero dei morti in Italia sarà il doppio di quello dei neonati. www.istat.it/it/archivio/199142

In queste ore così complesse per il nostro Paese, che stenta a trovare una soluzione governativa, il Forum delle Famiglie fa un appello al presidente della Repubblica Sergio Mattarella affinché affidando l’incarico di governo chieda a tutte le forze politiche di concentrarsi sul tema della natalità e della famiglia. “Ne va della sopravvivenza del nostro Paese – aggiunge De Palo –: urge un #pattoXnatalità che coinvolga non solo la politica, ma anche tutte le forze del sistema-Italia: associazioni, sindacati, banche, imprese, mondo mediatico. Siamo arrivati a un punto di non ritorno. Fare un figlio non può essere un lusso e una donna non può essere messa nella condizione di dover scegliere se diventare madre o continuare a lavorare”. “Facciamo un appello al capo dello Stato e a tutte le forze del Paese: il primo punto su cui fare squadra deve essere la natalità”, conclude De Palo.

Agenzia SIR 3 maggio 2018

https://agensir.it/quotidiano/2018/5/3/calo-demografico-de-palo-forum-famiglie-ci-appelliamo-a-mattarella-affinche-venga-prima-di-tutto-la-natalita

 

Tavolo denatalità del Forum Puglia, proposte per “riprendersi il futuro”.

Forum Puglia discute della denatalità. Le italiane vorrebbero due figli (di media 1,85), ma ne mettono al mondo 0,8 ciascuna, perché le condizioni generali non consentono più di tanto”. Parola del professor Gian Carlo Blangiardo, ordinario di Demografia all’Università Bicocca di Milano, intervenuto ieri al Tavolo sulla Denatalità organizzato dal Forum delle Famiglie di Puglia. “Nel 2015 la mortalità nel nostro Paese è aumentata di 50mila unità – ha proseguito il professore -, un picco ripresentatosi poi nel 2017, emblema di una nazione in cui le persone anziane più fragili non sono in grado di curarsi”. In questa situazione drammatica, “gli immigrati sono una boccata d’aria, ma non risolvono il problema, perché gli stranieri incontrano le stesse difficoltà – se non maggiori – degli italiani a mettere su famiglia”.

Qual è la soluzione? Riappropriarsi del proprio futuro e dell’ottimismo nei confronti di quel futuro che nel nostro Paese, seguìto in Europa solo dalla Grecia, è ai minimi storici. In questo un indirizzo concreto devono darlo la politica e le istituzioni regionali e nazionali, che a volte latitano. Disponibilità a collaborare è stata data dall’assessore regionale al Welfare Salvatore Ruggeri, che ha promesso “un impegno ancora maggiore nel ricordo dell’amico Totò Negro, affinché la sua opera possa proseguire”. Hanno dimostrato interesse al tema anche i consiglieri regionali Domenico Damascelli, Ignazio Zullo e Nicola Marmo, presenti all’evento, e Paolo Pellegrino, Saverio Congedo e Sabino Zinni che, impossibilitati a intervenire, hanno inviato il loro saluto.

“Condividiamo l’idea del Forum di una Legge regionale sul benessere della famiglia, intendendola come destinataria degli interventi nel suo complesso e non nei suoi singoli elementi”, ha ribadito il segretario regionale Cisl Enzo Lezzi, proponendo anche l’introduzione graduale del cosiddetto Fattore Famiglia, “perché la Puglia ha bisogno di giovani e di giovani famiglie, che non devono essere considerate un problema, ma una risorsa”.

Non sono mancate anche le proposte provenienti dalle associazioni aderenti al Forum, impegnate da sempre in prima linea, ma anche dal sindacato. “Bisogna riprendere il cammino sulla via dell’accoglienza”, ha detto Angela De Girolamo di ‘Famiglia per tutti’, richiamando l’impegno assunto dalla Regione Puglia con la sottoscrizione del Patto ‘Donare Futuro’ e auspicando al contempo la nascita di un Osservatorio regionale su adozione e affido, “per non continuare a lavorare sempre in emergenza”. Le ha fatto eco Antonio Gorgoglione, referente Ai.Bi. Puglia. “In Italia – ha detto – ci sono circa 5.400.000 coppie senza figli, eppure le adozioni sono in costante calo (-46% negli ultimi 10 anni). Costano troppo? Sì, ma non è solo questo. Ci vuole una vera e propria riforma culturale”. Facendo un mero calcolo economico, “un bambino in una casa famiglia ci costa 30mila euro l’anno; con l’affido la spesa si abbatte fino al 90%, con l’adozione diventa pari a zero per l’intera comunità”. Questo se non si vuole considerare che “un figlio adottato rinasce, perché di abbandono si muore, spesso nel silenzio e nella solitudine”.

Infine, Denise D’Amato di FederVita e Michela Di Gennaro di CFC (Confederazione italiana consultori familiari di ispirazione Cristiana) hanno relazionato rispettivamente sull’applicazione della Legge 194/1978 a 40 anni dalla sua emanazione, ricordando che essa è nata “a tutela della maternità”; e sul ruolo fondamentale dei consultori “nell’offrire alle donne tutti gli aiuti necessari durante e dopo la gravidanza, per consentire loro una vera libertà di scelta”.

Tra le idee condivise, la creazione di un Albo regionale delle associazioni che lavorano in quest’ambito, l’erogazione di un sussidio per le famiglie in difficoltà fin dai primi mesi di gestazione e la gratuità delle prestazioni sanitarie in gravidanza (così come è gratuita la sua interruzione), in modo da riconoscerne anche il valore sociale.

Un esempio virtuoso a livello locale l’ha dato il giovane sindaco di Rignano Garganico, il 28enne Luigi Di Fiore, che ha deciso di rimboccarsi le maniche in prima persona per ridare speranza ai 2.000 abitanti del suo piccolo paese, dove “nel 2016 sono nati solo 6 bambini, sette nel 2017. Quest’anno ne attendiamo tra i 14 e i 18, per noi un dato straordinario”.

Il prossimo appuntamento con i tavoli monotematici itineranti propedeutici alla Conferenza regionale della Famiglia sarà a Taranto, dove si parlerà di lavoro

News Ai. Bi. 3 maggio 2018 https://www.aibi.it/ita/155257-2

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FRANCESCO VESCOVO DI ROMA

Scannone: “Con Francesco un processo di democratizzazione della Chiesa”

Al gesuita Juan Carlos Scannone il traguardo degli 87 anni da poco raggiunti non ha scalfito di una virgola la lucidità e la saggezza con le quali ha svolto il suo sacerdozio dal 1965 quando studiava teologia a Innsbruck, in Austria. Padre Scannone ha trascorso molti anni in Europa, non solo in Austria; ha fatto la «terza probazione» richiesta ai gesuiti in Francia, ha concluso il dottorato in Filosofia e Teologia in Germania, dove ha dato alle stampe il primo dei suoi tantissimi libri. Al suo rientro in Argentina nel 1967 si è stabilito nella provincia di Buenos Aires, dove continua a vivere fino al giorno d’oggi nel Collegio Mayor San José, nella località di San Miguel, la storica casa dove la Compagnia di Gesù formava i propri aspiranti e dove Bergoglio ha trascorso gli anni da provinciale.

Scannone è professore emerito e direttore dell’Istituto di ricerche filosofiche della Facoltà di teologia e filosofia e, oltre ad essere collaboratore di Civiltà Cattolica, la rivista top dei gesuiti, partecipa a eventi teologici in tutto il mondo. Con i sacerdoti Lucio Gera, Rafael Tello, Justino O´Farrell, Fernando Boasso e Gerardo Farrell, tra gli altri, padre Scannone è uno dei promotori della cosiddetta Teologia Popolare Argentina o Teologia della Cultura che ha avuto grande influsso su padre Bergoglio, oggi Papa Francesco, ed è una delle radici teologiche più importanti che aiutano a capire il suo pensiero e il suo agire.

Essere una persona lungimirante non implica che non segua l’attualità del suo paese, anzi, Scannone non ha remore nell’esprimere il suo punto di vista sulla discussione parlamentare in corso nel Congresso argentino circa alcuni progetti di legalizzazione dell’aborto dall’esito incerto. «È ovvio che sono contrario alla sua legalizzazione», dichiara senza esitazioni. “Ancor più di fronte al fatto che adesso la scienza ha confermato quello che le religioni hanno sempre sostenuto, e cioè che il DNA del nascituro è diverso da quello dei genitori e pertanto non si può più dire che abortire sia un diritto esercitato sul proprio corpo giacché si uccide il corpo di un’altra persona diversa dalla madre che lo porta nel suo grembo».

Scannone ricorda di aver avuto Bergoglio come allievo «quando entrò nel seminario dell’Archidiocesi di Buenos Aires, che all’epoca era diretto dalla Compagnia di Gesù. Io ero andato lì ad insegare letteratura latina e facevo lezione nel Seminario Minore dove gli allievi erano distribuiti in tre sezioni, due di adolescenti più piccoli e più grandi e la terza dei “latinisti” maggiorenni». Fra questi ultimi c’era Jorge Mario Bergoglio, «che era un bravissimo allievo, non il migliore ma era nel gruppo dei migliori di quel corso, uno dei migliori che abbia mai avuto, dove c’erano dei veri talenti, anche se non tutti sono arrivati al sacerdozio».

Ricorda anche di aver partecipato alla prima messa di Bergoglio appena ordinato, nel 1969: «Lì trovai una mia cugina e sua sorella». Chiese loro cosa ci facessero: «Lei, mia cugina, mi disse che era stata maestra di Bergoglio in prima elementare. Da notare che Bergoglio, ormai cardinale, le fece visita finché morì a 96 anni e che, divenuto Papa, come ho potuto leggere su L’Osservatore Romano, durante una visita ad una scuola elementare pubblica, raccontò ai bambini che lui aveva imparato ad amare la sua scuola grazie alla sua maestra di prima elementare, che era appunto mia cugina».

Scannone considera che nei suoi primi cinque anni di esercizio del papato Bergoglio abbia portato avanti riforme positive per la Chiesa, necessarie e probabilmente irreversibili: «Con la sua gioia, la sua pace e la sua vicinanza alla gente ha cambiato moltissimo l’immagine della Chiesa che è tornata ad essere apprezzata in diverse parti del mondo dove la sua presenza si era un po’ oscurata.

Addirittura, i tedeschi, che di solito sono più freddi, lo apprezzano più che Benedetto XVI che è tedesco. Anche il fatto di aver deciso di vivere a Santa Marta e la testimonianza del suo stile di vita austero, ha portato molti vescovi in tutto il mondo a cambiare il loro stile di vita».

Quanto alle riforme strutturali intraprese nel quinquennio suggerisce di considerare i suoi documenti principali: le encicliche Lumen Fidei e Laudato Si’ e le esortazioni apostoliche Evangelii Gaudium, Amoris Lætitia e Gaudete et Exsultate così come la riforma della Curia che prosegue con risultati parziali apprezzabili e va verso una nuova Costituzione globale. Sottolinea anche la tendenza a incamminarsi verso una Chiesa più sinodale e ricorda che in greco «odeos» significa cammino e «sin» indica il «con», dunque Sinodo vuol dire «camminare con», cioè insieme.

In questo senso considera opportuni i cambiamenti introdotti da Papa Francesco nel funzionamento del Sinodo, «dove prima parlavano uno dopo l’altro ma non c’era dialogo e non c’erano risposte. Riformando il regolamento ha permesso che uno parli e un altro chieda la parola per rispondere, limitando il tempo dell’esposizione. O che il Papa sia presente tutto il tempo, tranne nelle udienze dei mercoledì, per cui ascolta direttamente quello che si dice nel Sinodo e non attraverso versioni indirette riportate da terzi».

Per questo considera che con Francesco stia avvenendo un processo di vera democratizzazione della Chiesa, dove l’assemblea dei vescovi, le Conferenze episcopali e il ruolo dei laici diventano più rilevanti. Cita il caso del professor Guzmán Carriquiry, di fatto vicepresidente della Commissione Pontificia per l’America Latina, un laico appunto, e della segretaria della Congregazione per i religiosi, una donna. «Si sta studiando la possibilità del diaconato per le donne», osserva, «e si dice che nella prossima riunione del Sinodo dell’Amazzonia si parlerà anche di quelli che in latino vengono chiamati viri probati, cioè laici sposati dalle virtù sperimentate e riconosciute che vengono autorizzati ad assumere il sacerdozio».

Riguardo alle accuse sulle presunte debolezze teologiche di Francesco, rimanda agli 11 volumetti su “La Teologia del Papa”, uno dei quali, quello sull’Etica Sociale, porta la sua firma. «Il Papa non è un teologo di professione ma qui era professore di Teologia Pastorale, dunque è un pastore con una solida formazione teologica, senza essere un esperto in teologia dogmatica come lo era Ratzinger, che era anche professore di Teologia Pastorale. Negli 11 libricini, teologi professionisti studiano la cristologia del Papa, la sua mariologia, gli argomenti biblici, la questione della creazione, ecc. e da essi emerge che Francesco ha una teologia solida. Penso però che coloro che lo criticano in realtà non siano d’accordo sulle linee lungo cui questo Papa spinge la riforma della Chiesa, che riportano ad una maggiore e più profonda vicinanza con il Vangelo».

Conoscitore e protagonista della realtà ecclesiale latinoamericana, Juan Carlos Scannone considera che uno dei temi prioritari «è la povertà e lo scandalo che in un continente a maggioranza cattolica ci sia una povertà ingiusta e strutturale dove il divario tra ricchi e poveri è tale da essere diventato il continente meno equitativo. Quando nell’Evangelii Gaudium il Papa parla di “inequità”, in inglese e in tedesco è stato tradotto con la parola “diseguaglianza”, ma non è la stessa cosa, non si riferisce al fatto che non siamo uguali, ma al fatto che sia una diseguaglianza ingiusta. Il divario è tremendo, nel nostro stesso paese, l’Argentina, che prima aveva una classe media del 40% che faceva da cuscinetto, adesso ci sono molti che continuano a essere di classe media a livello culturale, ma a livello economico sono diventati poveri. Ci sono dei paesi come il Cile che si è molto sviluppato negli ultimi anni ma il divario fra ricchi e poveri è diventato enorme».

Per ultimo risponde a quelli che accusano il Papa e i cosiddetti “curas villeros” suoi beniamini di «essere culturalmente comunista»: «Se l’opzione per i poveri implica essere comunisti, si dovrebbero considerare tali i profeti d’Israele, Gesù stesso e gli apostoli. Come ricorda il Papa, l’opzione per i poveri non si fa perché si è comunisti ma perché si è cristiani. Il comunismo propiziava la lotta di classe, cosa che non ha mai fatto la dottrina sociale della Chiesa, che parla di Popolo, e non di una classe sociale contro le altre classi. Anche se nel rapporto con tale popolo c’è una preferenza per i più bisognosi, come faceva Gesù coi poveri, gli ammalati, i peccatori che desideravano convertirsi, come la Maddalena, Zaccheo e tanti altri».

Victor Lapegna La Stampa Vatican Insider 29 aprile 2018 Traduzione Mariana Janun

www.lastampa.it/2018/04/29/vaticaninsider/scannone-con-francesco-in-atto-un-processo-di-vera-democratizzazione-della-chiesa-jeVIVdLQV15Tz442vJretI/pagina.html

 

Bergoglio e il discernimento, le radici dei documenti papali di oggi

Nei momenti di tribolazione non si discute, si discerne. Nelle situazioni più difficili e più complesse, il grande rischio è la confusione delle idee. «La confusione si annida nel cuore: è l’andirivieni dei diversi spiriti. La verità o la menzogna, in astratto, non sono oggetto di discernimento. Invece lo è la confusione». Lo scriveva l’allora padre gesuita Jorge Mario Bergoglio nel 1987, in una breve prefazione a otto lettere di due prepositi generali della Compagnia di Gesù (“Las cartas de la tribulación”, Buenos Aires, Diego de Torres, 1988).

Nel quaderno numero 4029, in distribuzione da domani, “La Civiltà Cattolica” ripropone quella prefazione ormai introvabile. Preziosa non solo come curiosità storica, ma per la sua rilevanza dal punto di vista delle radici culturali di papa Francesco. Quando ci chiediamo da dove nascano le sue convinzioni a proposito del discernimento, è anche in testi come questo che dobbiamo andare a cercare.

A fianco un’immagine dell’originale della prefazione di Jorge Mario Bergoglio firmata nel 1987 “Las cartas de la tribulaciòn” custodita nell’Archivio dei gesuiti a Roma (Arsi) e ora tradotta per la prima volta in italiano nel prossimo numero de “La Civiltà Cattolica”. A fianco un’immagine dell’originale della prefazione di Jorge Mario Bergoglio firmata nel 1987 “Las cartas de la tribulaciòn” custodita nell’Archivio dei gesuiti a Roma (Arsi) e ora tradotta per la prima volta in italiano nel prossimo numero de “La Civiltà Cattolica”

Siamo di fronte a una lunga e consolidata tradizione di pensiero che dagli Esercizi di Ignazio passa attraverso le riflessioni dei prepositi generali della Compagnia dei secoli scorsi e arriva fino al Papa argentino. E non a caso, la necessità di leggere i segni dei tempi – perifrasi accattivante del discernimento – è nel cuore di Humanæ salutis, la Costituzione apostolica con cui Giovanni XXIII indice il Concilio. E poi in alcuni documenti chiavi del Vaticano II in cui il discernimento non solo diventa elemento strutturante dell’identità della Chiesa, ma anche “dovere permanente”, come si legge al n.4 di Gaudium et spes. Insomma, i tanti critici che si sono scagliati contro il Papa per la sua insistenza sul primato del discernimento, per i suoi inviti a formare le coscienze e «non a pretenderle di sostituirle» (Al, 37), dovrebbero ricordare che queste convinzioni non sono il pensiero isolato e stravagante di un uomo, la solida e coerente trama della tradizione.

E Bergoglio da lì attinge. Quando parla di discernimento in Evangelii gaudium oppure in Amoris lætitia, papa Francesco ricorda idealmente anche le lettere di due padri generali della Compagnia di Gesù, il fiorentino Lorenzo Ricci (eletto generale nel 1758) e l’olandese Jan Roothaan (eletto nel 1829). «A entrambi – scrive Bergoglio nella prefazione del 1987 – è toccato di guidare la Compagnia in tempi difficili, di persecuzione». Ricci si trovò a dover gestire le conseguenze della soppressione dei gesuiti decisa da papa Clemente XIV (il francescano conventuale Lorenzo Ganganelli) nel 1773. Roothaan fu costretto a confrontarsi con i contraccolpi culturali derivanti dell’illuminismo e del liberalismo negli anni della Compagnia di Gesù risorta dopo la soppressione. Entrambi, annota Bergoglio, si trovarono a vivere sconvolgenti momenti di tribolazione e finiscono per proporre ai gesuiti proprio una “dottrina della tribolazione” che è quella capacità di fermarsi a riflettere quando la confusione delle idee può rischiare di suggerire strategie inopportune, o irrigidimenti poco produttivi, o ancora di adeguarsi al comune modo di pensare.

Ecco perché queste lettere – si legge ancora nella prefazione – «sono un trattato di discernimento in epoca di confusione e di tribolazione». Il parallelo tra quanto Bergoglio scriveva allora e le riflessioni sul tema di cui ha intessuto le Esortazioni apostoliche dei nostri anni, è davvero significativo. Al n. 50 di Evangelii gaudium parla per esempio del “discernimento evangelico”, che non è buon senso, o virtù della prudenza o semplice capacità di giudizio corretto, ma capacità di esercitare la propria libertà nel prendere decisioni per comprendere la volontà di Dio nella nostra vita, non in astratto, ma in quel momento specifico, in quel determinato stato di vita. E quando al n. 301 di Amoris lætitia spiega, a proposito del cammino penitenziale a cui sono chiamati i divorziati risposati, che «i presbiteri hanno il compito di “accompagnare le persone interessate sulla via del discernimento secondo gli insegnamenti della Chiesa e gli orientamenti del Vescovo», difficile non cogliere il collegamento con un altro passaggio della premessa del 1987, quando sottolinea che «è proprio del Superiore aiutare il discernimento».

Sul nuovo numero di “Civiltà Cattolica”, il direttore padre Antonio Spadaro, introducendo il testo ritrovato – approfonditi nello stesso fascicolo della rivista anche da padre Diego Fares in un’analisi intitolata “Contro lo spirito di accanimento” – ricorda che le lettere dei due antichi prepositi generali hanno già costituito «la spina dorsale dell’omelia» pronunciata da papa Francesco nella Chiesa del Gesù a Roma per la celebrazione per il 200° anniversario della ricostituzione della Compagnia di Gesù (1814-2014). Conversando poi con i confratelli gesuiti, in occasione del viaggio in Cile, il 16 gennaio scorso, il Papa ha di nuovo ricordato queste lettere come «meraviglia di criteri di discernimento». E, ancora, gli stessi scritti sono serviti per la «Lettera ai vescovi del Cile», consegnata proprio un mese fa dopo gli episodi di pedofilia. Un nuovo “testo di tribolazione” che mostra quanto quelle parole continuino ad illuminare la strada del Papa e della Chiesa.

Luciano Moia Avvenire 4 maggio 2018

www.avvenire.it/papa/pagine/bergoglio-e-discernimento-testo-del-1987

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NULLITÀ MATRIMONIALI

Istruzione per una maggiore formazione di chi si occupa di cause nullità matrimoniali

www.vatican.va/roman_curia/congregations/ccatheduc/documents/rc_con_ccatheduc_doc_20180428_istruzione-diritto-canonico_it.html

Gli studi di Diritto Canonico alla luce della riforma del processo matrimoniale” è il titolo della nuova Istruzione della Congregazione per l’Educazione Cattolica, resa nota oggi. Nell’intervista mons. Zani, segretario della stessa Congregazione, sottolinea che serve “una migliore preparazione” nelle Chiese particolari proprio per attuare la riforma voluta dal Papa

Alla luce delle novità introdotte dalla riforma dei processi canonici per le cause di dichiarazione di nullità del matrimoni, avviata da Papa Francesco con i due Motu Proprio Mitis Iudex Dominus Iesus e Mitis et misericors Iesus, serve promuovere nelle Chiese particolari un’offerta maggiore di formazione. Per realizzarlo, la Congregazione per l’Educazione Cattolica ha emanato un’Istruzione, resa nota oggi. Le Istituzioni accademiche dovranno adeguarsi alla nuova normativa fin dall’inizio dell’anno accademico 2019-2020, informa il comunicato stampa del Dicastero vaticano.

Amoris lætitia. “Il punto di partenza che ha motivato la Congregazione per l’Educazione Cattolica a pubblicare gli ‘orientamenti’ per la formazione degli operatori dei Tribunali ecclesiastici e per le varie persone coinvolte nella pastorale matrimoniale e familiare, è stato il documento di Papa Francesco, cioè l’Esortazione Apostolica post-sinodale Amoris lætitia, in cui si fa riferimento alla necessità di rendere più accessibili e agili le procedure per il riconoscimento dei casi di nullità”, afferma mons. Vincenzo Zani, segretario della Congregazione per l’Educazione Cattolica.

Maggiore responsabilità alle Diocesi in merito ai processi di nullità. Notando che spesso si registrano “lentezze”, mons. Zani evidenzia che “per applicare questa esigenza fortemente sottolineata dai Padri sinodali, il Papa ha pubblicato il Motu proprio Mitis iudex, dando indicazioni precise sulla necessità di coinvolgere più direttamente il vescovo nella sua Chiesa, essendo per il suo compito anche il giudice tra i fedeli a lui affidati, e quindi chiedendo alle Chiese particolari di assumersi maggiormente la responsabilità di avviare le pratiche per queste cause di richiesta di nullità matrimoniale”.

https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2015/09/08/0652/01418.html#ita

Questa indicazione ha quindi “ribaltato sulle Chiese particolari l’urgenza di avere il personale adeguato”, spiega il presule che mette in luce la necessità di formazione. “Ci sono tanti corsi: corsi di formazione, corsi anche abbastanza qualificati”, ma ad essere investita di questa responsabilità è “anche tutta la realtà delle Facoltà ecclesiastiche, delle Facoltà di Diritto Canonico, che abbiamo nel mondo e che non sono sufficienti per preparare questo personale”. Quindi si è pensato di trovare anche altre vie, spiega mons. Zani.

Potenziare le Facoltà di Diritto Canonico. (…)

Aprire Dipartimenti di Diritto Canonico (…)

Cattedre di Diritto Canonico (…)

Migliore preparazione del personale nelle Chiese particolari. Mons. Zani spiega, poi, che ci sono tre livelli di personale qualificato per accompagnare le persone che si trovano in difficoltà e che hanno questa necessità di capire se il loro matrimonio è nullo oppure se ci sono situazioni che si possono recuperare e così via.

  1. “Il primo livello è quello pastorale: i sacerdoti e i collaboratori più stretti devono essere più chiaramente formati, più aggiornati su queste problematiche”: serve “una preparazione di base più qualificata e più mirata su queste tematiche”, evidenzia.

  2. Il secondo livello riguarda, invece, “la preparazione di personale che nelle Diocesi supporti i centri di pastorale familiare più qualificati, con persone che siano più aggiornate su queste problematiche e quindi che facciano un accompagnamento più qualificato delle persone in difficoltà e un primo screening delle tematiche e delle problematiche”.

  3. Il terzo livello riguarda i Tribunali, “dove – sottolinea – non ci vuole soltanto il presidente del Tribunale ma c’è anche tutta una équipe di collaboratori, di segretari, che devono avere una preparazione più specifica su queste tematiche”.

Mons. Zani conclude spiegando che “fino ad oggi le questioni più intricate e più dubbiose venivano indirizzate a Roma o nei pochi centri che c’erano nei diversi Continenti”: “Lo spostamento che il Papa chiede di fare è di avvicinare sempre di più questo tipo di servizio alle Chiese particolari, e questo esige che ci sia una migliore preparazione”.

Debora Donnini Vatican news 3 maggio 2018

www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2018-05/formazione-nullita-matrimonio.html

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OMOGENITORIALITÀ

Mirabelli, “pretesa di genitorialità a tutti i costi ma qual è il reale interesse del minore?”

A Torino, Roma e Pesaro bimbi registrati alle Anagrafi comunali come figli di due madri o di due padri. Procedure che per il giurista Cesare Mirabelli sono in contrasto con l’ordine pubblico perché “il nucleo essenziale delle leggi italiane non prevede, anzi esclude, questo tipo di riconoscimento”.

Tre casi in pochi giorni. Bimbi riconosciuti come figli di due madri, come a Torino, oppure di due padri, come a Roma e a Gabicce (Pesaro). A rendere possibile ciò che non è previsto né dalla natura né dalla legge ci pensano le Anagrafi dei Comuni. Così a Torino un bimbo concepito con fecondazione eterologa in Danimarca e nato in Italia ha due mamme, a Roma una piccola nata in Canada tramite la maternità surrogata ha due padri, in provincia di Pesaro due gemellini nati negli Stati uniti, sempre grazie all’utero in affitto, sono oggi “figli” a tutti gli effetti di una coppia di due uomini uniti civilmente. Secondo il diritto internazionale l’Italia è obbligata a riconoscere ogni atto di stato civile validamente rilasciato da un altro Paese, a condizione che questo documento non sia contrario all’ordine pubblico. Lo scorso febbraio la Corte d’appello di Roma ha confermato che il riconoscimento canadese non lo è, mentre è atteso il pronunciamento della Corte di Cassazione su una analoga precedente sentenza della Corte d’appello di Trento. Non mancano insomma contrasti interpretativi e interrogativi sui rischi di queste procedure. Ne abbiamo parlato con Cesare Mirabelli, presidente emerito della Corte costituzionale e uno dei più autorevoli giuristi italiani.

“L’atto di nascita ‘confezionato’ dall’ufficiale dello stato civile italiano – premette il giurista – non prevede la possibilità che sia dichiarata una doppia paternità o una doppia maternità. L’impostazione del nostro sistema, orientata all’elemento naturale, prevede per l’atto di nascita un padre e una madre, non altre possibilità”. Di qui il tentativo di aggirare l’ostacolo con il ricorso alla trascrizione nei registri dello stato civile italiano di un atto di nascita redatto all’estero che però, avverte Mirabelli, “contrasta con il nostro ordine pubblico” perché “allo stato, il nucleo essenziale delle leggi italiane inderogabili per il nostro ordinamento non prevede, anzi esclude, questo tipo di riconoscimento”.

Il giurista ravvisa un “elemento di forzatura della legislazione dal punto di vista giurisprudenziale nel richiamo all’interesse del minore ad avere riconosciuta una situazione di fatto creatasi”. Tuttavia, chiarisce, “anche aderendo a questa impostazione non può essere un atto autonomo dell’amministrazione che è tenuta a rispettare le leggi, né può sollevare questioni di legittimità costituzionale. Può eseguire l’ordine del giudice ma non può compiere autonomamente scelte di questo tipo, né lo possono fare autonomamente i Comuni perché lo stato civile è un’attività di competenza statale delegata ai Comuni che esercitano funzioni statali”.

Mirabelli non ha dubbi: “Dal punto di vista formale, attualmente la trascrizione di questi atti urta contro un principio di ordine pubblico; dal punto di vista sostanziale è l’ultimo approdo di una pretesa di genitorialità da parte di coppie dello stesso sesso. Dal punto di vista biologico non esiste una possibilità di nascita da persone dello stesso sesso: si tratta pertanto di una sovrapposizione legal-fittizia alla situazione reale”.

Di qui l’interrogativo: “Come si potrebbe soddisfare l’esigenza di protezione del minore quando si è creata una situazione di fatto consolidata? Attribuendo anche all’altro soggetto i doveri di provvedere all’educazione, al mantenimento, alla rappresentanza del bambino attraverso le forme dell’adozione, ma anche questa – osserva – sarebbe una strada rischiosa”.

Per il giurista occorre tuttavia andare a monte perché “il vero interrogativo di fondo è: qual è il reale interesse del minore? Dare soddisfazione all’interesse di adulti di avere un bambino da chiamare figlio, oppure nascere da un papà e una mamma che hanno secondo l’esperienza comune diverse sensibilità e sono figure differenti e complementari nelle modalità educative, espressive, affettive?”.

“Al di là di una valutazione legislativa per vietare, approvare, regolare questa pratica occorre una profonda riflessione antropologica perché non si verifichi un atto di egoismo, una vittoria del dominio sugli altri”. Il giurista ricorda che la pratica dell’utero in affitto comporta “il rischio di una commercializzazione camuffata sotto la formula indennizzo o rimborso spese e manifesta una forma di dominio del più forte sul più debole”. “La domanda da porsi – insiste – è se tutto questo sia realmente nell’interesse del minore, se lo tuteli realmente oppure se non esprima l’egoismo degli adulti attraverso un presunto e preteso diritto ad avere un bambino a tutti i costi”.

“A suo tempo – ricorda – la Corte costituzionale si è pronunciata sulla Legge 40 e sulla fecondazione eterologa. Dal punto di vista penale la maternità surrogata non è ammessa dal nostro ordinamento, ma assistiamo a fenomeni di globalizzazione che diffondono pratiche ovunque e comunque. Uno tra tutte la donazione di organi che diventa commercio, o sottrazione; una vendita camuffata attraverso formule indennitarie, pur essendo una forma di violenza sull’adulto.

La maternità surrogata non potrebbe configurarsi anche come una forma di violenza sul nascituro?

“Molte – conclude – le domande aperte. Non escludo ci possa essere anche nelle convivenze tra persone dello stesso sesso una capacità di attenzione e responsabilità nei confronti di un minore, di educazione, mantenimento, rappresentanza dei suoi interessi, ma questa ‘imitazione’ della natura deve essere necessariamente qualificata come genitorialità naturale?”.

Giovanna Pasqualin Traversa agenzia SIR 30 aprile 2018

https://agensir.it/italia/2018/04/30/figli-di-due-padri-o-di-due-madri-mirabelli-pretesa-di-genitorialita-a-tutti-i-costi-ma-qual-e-il-reale-interesse-del-minore/

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POLITICHE PER LA FAMIGLIA

Sono casalinga: mi spetta la maternità?

L’assegno di maternità aiuta le famiglie a coprire le spese per i nuovi nati, anche se la neomamma non lavora o è casalinga. La maternità è sicuramente un momento importante nella vita di una donna, sia che la futura mamma sia una lavoratrice che nelle ipotesi in cui abbia scelto di restare a casa a dedicarsi alla cura della famiglia e della casa stessa. Il nostro ordinamento, nel tutelare la maternità e la famiglia, prevede anche delle tutele di tipo economico sotto forma di agevolazioni per le future mamme, incentivando in questo modo la maternità stessa. Numerose peraltro sono state le discussioni in relazione al calo delle nascite nel nostro paese e alle difficoltà oggettive, per le famiglie e per i genitori single (così come per i vedovi, separati e divorziati), di scegliere di creare – o allargare – una famiglia mettendo al mondo un figlio.

In una situazione socio-economica come quella attuale, infatti, crescere e allevare un bambino è un costo notevole, che molte persone non sono in grado di sostenere dal punto di vista economico, data la crisi del mondo del lavoro e le difficoltà finanziarie che ne derivano. Ecco perchè è importante sapere quanti e quali sostegni vengono forniti dal nostro sistema per contribuire, almeno parzialmente e per un certo periodo di tempo, al sostenimento delle spese necessarie per il mantenimento di un nuovo nato. Tra queste misure economiche rientra di sicuro anche l’assegno di maternità, che viene riconosciuto in presenza di determinati requisiti. Tra le domande più frequenti che riguardano questo argomento, tuttavia, una è sicuramente ricorrente, e riguarda le donne che – per scelta personale, professionale, perché obbligate dal mercato del lavoro o perché in quel momento in cerca di occupazione – rimangono a casa durante la maternità: se sono casalinga, mi spetta la maternità?

Assegno di maternità. L’assegno di maternità, inteso in senso generale, è un sussidio economico che viene corrisposto alle neo mamme, con la funzione di agevolare dal punto di vista finanziario le spese necessarie per il mantenimento di un bimbo o di una bimba, contribuendo un po’ a coprire i costi che ogni bimbo porta con sé. Bisogna però tenere presente che esistono più tipi di assegni di maternità, dato che può esser corrisposto dal comune o dall’Inps (istituto nazionale per la previdenza sociale). L’ente erogatore dell’assegno non è irrilevante nel capire se l’assegno di maternità spetta anche alle casalinghe, in quanto soltanto una delle due tipologie viene riconosciuta anche a loro. Ad ogni modo, dal punto di vista del risultato, possiamo già confermare che anche alle mamme casalinghe – così come alle neomamme disoccupate – spetta l’assegno di maternità. Vediamo però anzitutto quali sono i tipi di assegno di maternità 2018 e a chi spettano.

Assegno di maternità: a chi spetta. L’assegno di maternità 2018 spetta a tutte le donne che siano divenute mamme, anche adottive. Esistono però due tipi di assegni di maternità: l’assegno di maternità erogato dall’Inps e l’assegno di maternità erogato dal comune di residenza della neomamma.

L’assegno di maternità erogato dall’Inps riguarda le mamme lavoratrici (in possesso di determinati requisiti), e quindi non può essere richiesto dalle mamme casalinghe. Questo però, come abbiamo anticipato, non significa che queste ultime non abbiano diritto all’ assegno di maternità. Per le mamme casalinghe, infatti, è possibile fare richiesta dell’assegno di maternità nel proprio comune di residenza. Come funziona quindi in concreto l’assegno di maternità per le mamme casalinghe?

Assegno di maternità per le mamme casalinghe. L’assegno di maternità per le mamme casalinghe è una prestazione economica che viene erogata dal comune di residenza alle neomamme casalinghe o disoccupate, o che non possano far valere almeno tre mesi di contributi negli ultimi diciotto mesi. Col il termine mamme e neomamme si intendono non soltanto le donne che hanno partorito, ma anche quelle che hanno adottato o anche ricevuto in affidamento preadottivo un bimbo o una bimba. Per poter presentare la domanda, occorre però essere in possesso di determinati requisiti:

  • residenza nel comune presso il quale si effettua la domanda di assegno maternità 2018;

  • reddito ISEE complessivo che non superi le soglie fissate annualmente dallo stato in relazione alle variazioni Istat (per l’anno 2018, il limite è di 17.141,45 euro);

  • non avere copertura previdenziale, o in caso contrario che non superi comunque determinati importi, anch’essi fissati annualmente;

  • non essere beneficiarie di altro assegno di maternità Inps.

Assegno di maternità per le mamme casalinghe: domanda e importo. La richiesta per l’assegno di maternità può essere presentata, oltre che dalle cittadine italiane, anche dalle mamme straniere extracomunitarie, che abbiano la carta di soggiorno o godano dello status di rifugiato politico, e che siano in regola al momento della presentazione della richiesta dell’assegno o comunque entro sei mesi dalla data del parto. La domanda per poter accedere all’assegno di maternità va presentata al proprio comune di residenza.

L’importo dell’assegno di maternità casalinghe e disoccupate per l’anno 2018 è di euro 342,62 per massimo cinque mensilità, per un ammontare totale di euro 1.713,10.

Chiara Pezza La Legge per tutti 1 maggio 2018

www.laleggepertutti.it/200722_sono-casalinga-mi-spetta-la-maternita

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