UCIPEM Unione Consultori Italiani Prematrimoniali e Matrimoniali
NewsUCIPEM n. 697 – 15 – aprile 2018
Unione Consultori Italiani Prematrimoniali E Matrimoniali
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02 ADOLESCENZA ADOTTIVA I figli si confrontano con i loro genitori adottivi.
02 ADOZIONE L’adozione aperta sarà il futuro dell’accoglienza adottiva?
03 ADOZIONI INTERNAZIONALI Bolivia.
03 AFFIDO CONDIVISO Divorzio congiunto: ascolto del minore escluso a priori.
04 AMORIS LÆTITIA Il magistero è un fiume, non una pietra.
06 ASSEGNO MANTENIMENTO FIGLI Carcere e multa fino a mille euro per chi non paga.
06 BENI Comunione o separazione dei beni: quale conviene di più?
08 CENTRO INTERN. STUDI FAMIGLIA Newsletter CISF – n. 13, 11 aprile 2018.
10 CHIESA CATTOLICA Partito laicista-clericale che non sopporta il papa.
11 Fine del “cattolicesimo romano”?
15 COMM. ADOZIONI INTERNAZIONALI Incontro con rappresentati dell’Autorità Centrale del Burkina Faso.
15 CONSULTORI FAMILIARI I 40 anni dei consultori CFC. Ma cosa fanno e cosa possono fare?
16 CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM Attualità della intuizione geniale di un prete siciliano a Milano.
18 Roma1 – via della Pigna. Seminario su La resilienza.
19 CONVIVENZA Come funziona quella di fatto.
22 COPPIA Come costruire un amore duraturo nella coppia?
23 DALLA NAVATA 3° domenica di Pasqua – Anno B –15 aprile 2018
23Credere nella parola.Commento di E. Bianchi
25 DIVORZIO Carcere se non si rispetta l’ordine di allontanamento da casa.
25 EUROPA Unione europea: un milione di “nuovi cittadini”.
25 FIGLI I diritti dei figli carnali e adottivi
28 Figlio non riconosciuto: cosa succede?
29 FRANCESCO VESCOVO DI ROMAEsortazione Apostolica “Gaudete et Exsultate”.
32 MATERNITÀ SURROGATA La legge in Italia e negli altri Stati.
33 NULLITÀ MATRIMONIALE Mazara del Vallo, emesse dal Vescovo le prime quattro sentenze.
33 SINODI Un Sinodo per le donne e sulle donne.
34 STALKING Aggravante della relazione affettiva anche senza della convivenza.
35 UCIPEM 25° Congresso a Castel San Pietro Terme BO.
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ADOLESCENZA ADOTTIVA
I figli si confrontano con i loro genitori adottivi
L’iniziativa, svolta all’interno del sistema di Progetti Territoriali Veneto Adozioni (PTVA), è stata l’occasione per affrontare le tematiche ‘calde’ che coinvolgono la vita di adolescenti adottivi e delle loro famiglie. Grande affluenza di pubblico e ottimo riscontro dalle istituzioni pubbliche Ulss: un momento ‘liberatorio’ per i ragazzi, che hanno apprezzato la possibilità di dire la loro sulle difficoltà, attese e speranze di figli.
Un incontro-testimonianza con la possibilità di affrontare e approfondire le tematiche più ‘calde’ e maggiormente sentite dai figli adottivi, alla presenza delle famiglie e degli amici: è stato un vero e proprio successo l’appuntamento che Ai.Bi. Veneto ha condotto alcune sere fa, insieme al CIFA, nella città di Belluno. Un evento serale dedicato all’adolescenza adottiva, per affrontare – con gli adulti coinvolti, ma pure alla presenza degli adolescenti adottivi – gli argomenti che più li coinvolgono nella quotidianità. L’iniziativa si è svolta all’interno del sistema di Progetti Territoriali Veneto Adozioni (PTVA).
Ad emergere, nel corso della serata, sono state le difficoltà, le attese, le speranze, i bisogni degli adolescenti adottivi presenti sul territorio, che da parte loro hanno gradito di poter essere finalmente loro a parlare direttamente, dicendo ciò che sentono e pensano rispetto alla loro vita, che cosa provano, che cosa trovano difficile in questo momento. Ecco anche perché hanno chiesto ai genitori (anche ai futuri genitori) di conoscerli, capirli, vivere insieme alcuni spezzoni della loro vita, per comprendere “quanto è difficile essere adolescenti” e sopravvivere in un mondo poco incline ad accoglierli totalmente per ciò che sono come persone, oltretutto con le differenze fisiognomiche che, molte volte, l’adozione internazionale porta con sé. Insomma, l’incontro è stato un momento libero, liberatorio e molto utile per tutti.
Grande soddisfazione è emersa, al termine, non soltanto dagli organizzatori diretti e dai protagonisti che hanno parlato, ma pure dai Servizi della Ulss della provincia di Belluno, che hanno apprezzato particolarmente la grande affluenza di pubblico. L’incontro, infatti, era aperto sia ai genitori adottivi che alle coppie in attesa ed era volto al confronto comune tra chi ha già esperienza e chi mostra interesse e intende saperne di più in vista dell’accoglienza dei propri futuri figli.
Il prossimo appuntamento in agenda con un nuovo incontro è a maggio, in Cadore.
News Ai. Bi. 11 aprile 2018
www.aibi.it/ita/belluno-aibi-veneto-adolescenza
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ADOZIONE
L’adozione aperta sarà il futuro dell’accoglienza adottiva?
Il dibattito sulle nuove possibili forme che la scelta adottiva potrebbe prendere, modificando certezze finora inossidabili, meritano di essere approfondite e conosciute, per comprendere che cosa potrebbe diventare (o è già diventata) l’adozione. Perché se appaiono auspicabili soluzioni di adozione aperta ‘dichiarata’, in cui le relazioni con la famiglia biologica stretta o allargata vengono stabilite fin dall’inizio in base al superiore interesse del minore, non altrettanto lo sarebbero circostanze indotte da una certa ‘giurisprudenza creativa’, che autorizza a stravolgere la vita di minori adottivi ignari dell’esistenza di un fratello o di una sorella
Il mondo dell’adozione internazionale e nazionalesi avvia a grandi passi verso unapossibile, se non probabile ‘rivoluzione’: con il tempo, infatti, il contesto adottivo è molto cambiato. Oggi sonodiversi i bambini che arrivanoin adozione (sempre più grandicelli, ma non solo), così come si sono in qualche modomodificate anche le caratteristiche e le motivazioni delle coppie di genitori che scelgono l’adozione.
In questa situazione, il tema della ricerca delle origini sembra però essere diventato una variabile sempre più ‘ingombrante’ e ricercata: lo dice la cronaca, lo dicono le sentenze della Corte di Cassazione pronunciate negli ultimi mesi: esiti che, nel caso del Supremo Giudice romano, possono fare anche ‘giurisprudenza’, ovvero valere da precedenti in vista di future cause analoghe.
Ma se il modello di ‘adozione aperta’ diffuso, peraltro, da tempo in contesti come gli Stati Uniti d’America può essere, sempre nel superiore interesse del minore, una variabile accettabile e, anzi, auspicabile come soluzione alternativa all’affidamento familiare sine die, esso – come d’altronde confermano le cronache – ‘funziona’ a dovere soltanto se questa adozione in cui il minore mantiene rapporti con la famiglia biologica, stretta o allargata, è scelta fin dall’inizio da tutti gli attori – genitori adottivi, biologici, fratelli e sorelle – che ne sono dunque ben coscienti fin dall’inizio.
Eventuali altre opzioni, come quelle messe in campo con sempre maggior frequenza negli ultimi tempi da una certa giurisprudenza ‘creativa’ rispetto alla ricerca delle origini a molti anni di distanza dall’adozione e senza la condivisione originaria del destino tra fratelli, sorelle e genitori, rischiano seriamente invece di mettere in questione la garanzia di una stabilità affettiva e di una crescita serena dei minori adottati. Un tema che impone di valutare con prudenza se siffatte ‘aperture’ possano stravolgere il concetto stesso di genitorialità come lo si è inteso da sempre, fino ad oggi.
Quindi: sì a soluzioni di adozione aperta ‘dichiarata’ – sono peraltro molti i tribunali italiani che la applicano, in casi particolari e quando risulta utile -, esperienze che nell’ambito nazionale sarebbero utili da studiare per applicarle anche alla formazione delle coppie nell’adozione internazionale: in molti Paesi esteri, soprattutto nell’est Europa, ci sono situazioni di minori che da anni vivono in istituto – di fatto abbandonati – i cui parenti sarebbero disposti a darli in adozione internazionale, ma con la ‘garanzia’ di poter mantenere in qualche modo il legame di relazioni con loro.
Ben altro, invece, è stravolgere un’adozione legittima autorizzando un’invasione di campo nella vita di un fratello o sorella ignari dell’esistenza di chi li va a cercare. Un fratello o sorella ormai pienamente inseriti in un contesto di vita e di famiglia autonomo: incontrato, amato, scoperto e faticosamente, ma piacevolmente costruito giorno dopo giorno, che non può essere turbato, sconvolto o distrutto per una curiosità spesso epidermica e comunque quasi sempre tardiva
News. Ai.Bi. 10 aprile 2018
www.aibi.it/ita/ladozione-aperta-sara-il-futuro-dellaccoglienza-adottiva-la-ricerca-delle-origini-impone-una-riflessione
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ADOZIONI INTERNAZIONALI
Bolivia
Dal sito del Governo Regionale di La Paz arriva la conferma della ripresa delle adozioni internazionali nel Paese sud americano dopo oltre 10 anni di blocco. “Il Servizio Dipartimentale di Gestione Sociale del Dipartimento di La Paz (SEDEGES), attraverso l’Unità di Certificazione Biopsicosociale coadiuva le procedure adottive sulla base degli elenchi di bambini, bambine e adolescenti dichiarati adottabili, in applicazione del protocollo di Adozione nazionale e delle linea guida del Sedeges La Paz. Pertanto, è stato deciso che la bambina Gimena (nome convenzionale), di 4 anni d’età, ospite del centro di accoglienza “Niño Jesús”, partirà alla volta di Barcellona (Spagna) insieme ai suoi nuovi genitori adottivi”
È quanto si legge sul sito del Governo Regionale di La Paz, in un articolo del 3 aprile scorso, a conferma della ripresa delle Adozioni Internazionali in Bolivia dopo anni di blocco.
Intervistata, Berta Sucasaca, amministratore del centro di accoglienza “Niño Jesús” ha precisato che l’iter adottivo di Gimena è in corso e come previsto dalla Legge 2026 – Codice dell’infanzia e dell’adolescenza, i genitori adottivi – in attesa sul Paese dal 2007, anno in cui si sono bloccate le adozioni internazionali – hanno già concluso il periodo dei 7 giorni di visita in istituto. Seguiranno ora circa 2 mesi di convivenza e solo al termine del periodo di affidamento preadottiva, a sentenza di adozione emessa, Gimena potrà finalmente partire con la sua famiglia alla volta della Spagna. La coppia è entusiasta “Una lunga attesa. Non è stato facile, ma alla fine ci siamo riusciti e ora aspettiamo trepidanti che Gimena dica le parole magiche “papá e mamá”. L’11 ottobre” – continuano i coniugi Montero – “abbiamo festeggiato i 15 anni di matrimonio e lei nella stessa data quest’anno ne compie 5; siamo felici perché lei significa tutto per noi, un sentimento molto grande per il quale vale la pena lottare. Nonostante l’attesa non ci siamo mai arresi e consigliamo ed incoraggiamo altre famiglie a non demordere. Non importano gli anni di attesa, ora dobbiamo guardare avanti e vivere giorno per giorno con nostra figlia, Gimena”.
Amici dei Bambini è uno dei 8 enti autorizzati (sette italiani e uno spagnolo) accreditati a operare nel Paese sudamericano fino a novembre 2020.
Il percorso di adozione internazionale in Bolivia, prevede che gli aspiranti genitori adottivi debbano avere più di 25 anni e, almeno uno dei due coniugi, non più di 55. Nel Paese è necessario effettuare un solo viaggio di circa 3 mesi.
News Ai. Bi. 13 aprile 2018
www.aibi.it/ita/ripresa-adozioni-internazionali-in-bolivia-porta-nome-gimena-4-anni
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AFFIDO CONDIVISO
Divorzio congiunto: ascolto del minore escluso a priori.
Il Tribunale di Pavia ha diffuso un facsimile di sentenza in caso di divorzio congiunto con figli, che ha fatto avere all’Ordine degli Avvocati di quel foro.
www.studiocataldi.it/allegati/news/allegato_29883_1.pdf
Premessi i consueti dati generali e lasciata in bianco la parte sui contenuti degli accordi, appare di particolare interesse il ragionamento che il tribunale propone per escludere l’ascolto dei figli minori: “Il Tribunale, valutata la rispondenza delle condizioni all’interesse della prole e ravvisato che le clausole relative ai figli non sono in contrasto con gli interessi degli stessi, stima sussistenti i presupposti di legge per l’accoglimento delle concordi istanze. L’ascolto della prole deve valutarsi manifestamente superfluo (art. 337-octies cod. civ.), alla luce degli esiti dell’udienza di comparizione delle parti e tenuto conto dei contenuti dell’accordo“.
Divorzio congiunto: ascolto del minore superfluo? Sviluppando ed esplicitando il ragionamento della Corte, in sostanza si afferma che il giudice deve verificare che gli accordi non siano lesivi dell’interesse del minore, ma che, una volta superato questo controllo si può senz’altro fare a meno di audire il minore. Solo che, proprio il ricordato art. 337-octies c.c. si esprime diversamente e chiede che si effettuino due verifiche, e non una sola: “Nei procedimenti in cui si omologa o si prende atto di un accordo dei genitori, relativo alle condizioni di affidamento dei figli, il giudice non procede all’ascolto se in contrasto con l’interesse del minore o manifestamente superfluo“. In altre parole, una volta superato l’esame della prima criticità resta la seconda, che deve essere superata con argomenti non coincidenti con i primi e da essi indipendenti, altrimenti il legislatore non avrebbe fatto riferimento a due distinti aspetti, ma a uno solo. Manca, quindi, nella formulazione suggerita una qualsiasi traccia che permetta di affermare una manifesta inutilità.
Va riconosciuto, in effetti, che un esempio plausibile di giustificazione della rinuncia all’ascolto perché evidentemente superfluo non c’è perché è virtualmente impossibile trovarlo. Basti pensare che si chiede al giudice di ritenere irrilevante ciò che il figlio potrebbe dirgli prima ancora di avere appreso di cosa si tratti; ossia di possedere doti divinatorie. Quindi sotto questo profilo il tribunale di Pavia va assolto. Anche perché è fuorviante la fattispecie stessa in cui il legislatore inquadra la decisione del giudice, ovvero l’accordo dei genitori. L’origine del problema, dunque, va più correttamente cercata a monte, ovvero nella formulazione dell’articolo. Ricerca destinata ad un facile successo. Si tratta, infatti, di una modifica del testo di legge introdotta dal D.lgs 154/2013, destinato a disciplinare l’equiparazione della filiazione naturale a quella legittima e con il quale invece, in totale assenza di delega, si è voluto pesantemente modificare, improvvisando, le regole dell’affidamento (v. R. Russo, “L’illegittimità formale, l’illegittimità sostanziale e l’inadeguatezza strutturale del decreto legislativo n. 154 del 2013“, in Giustiziacivile.com, 16 novembre 2016).
Per meglio comprendere se la filosofia di quell’intervento sia o meno condivisibile e a quale distanza si collochi dagli orientamenti di altri vicini paesi – anch’essi firmatari delle medesime convenzioni internazionali che riconoscono ai figli minori il diritto all’ascolto senza dare spazio a poteri discrezionali – si può rammentare il primo comma dell’art. 229-2 del codice civile francese: “Les époux ne peuvent consentir mutuellement à leur divorce par acte sous signature privée contresigné par avocats lorsque: 1° Le mineur, informé par ses parents de son droit à être entendu par le juge dans les conditions prévues à l’article 388-1, demande son audition par le juge».Ovvero, l’ascolto del minore (si noti bene, a prescindere dalla sua età, basta che sia capace di discernimento) ove da lui richiesto, è condizione di procedibilità per il divorzio dei suoi genitori. E ciò all’interno di una procedura consensuale del tipo della negoziazione assistita. Una ragione di più per avvertire l’urgenza di una correzione delle discutibili scelte del 2013.
Marino Maglietta Newsletter Studio Cataldi 9 aprile 2018
www.studiocataldi.it/articoli/29883-divorzio-congiunto-ascolto-del-minore-escluso-a-priori.asp
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AMORIS LÆTITIA
Il magistero è un fiume, non una pietra: dai fragili “dubia” alla triste “confessio romana”
Ancora una volta una reazione piuttosto ottusa di fronte al grande testo di Amoris Lætitia. Con la pretesa di rappresentare molti, addirittura di agire “in persona ecclesiae”, ma con l’unica sicurezza di parlare “in persona ipsius loquentis”, un gruppo di laici, vescovi e cardinali – sempre quelli, in servizio già da due anni – si sono espressi con una triste “formula di fede” intorno al matrimonio. Nel suo cuore le “6 proposizioni” suonano così:
Perciò noi testimoniamo e confessiamo in accordo con l’autentica tradizione della Chiesa che:
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Il matrimonio tra due battezzati, rato e consumato, può essere sciolto solo dalla morte.
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Perciò i cristiani che, uniti da un matrimonio valido, si uniscono a un’altra persona mentre il loro coniuge è ancora in vita, commettono il grave peccato di adulterio.
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Siamo convinti che esistono comandamenti morali assoluti, che obbligano sempre e senza eccezioni.
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Siamo anche convinti che nessun giudizio soggettivo di coscienza può rendere buona e lecita un’azione intrinsecamente cattiva.
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Siamo convinti che il giudizio sulla possibilità di amministrare l’assoluzione sacramentale non si fonda sull’imputabilità o meno del peccato commesso, ma sul proposito del penitente di abbandonare un modo di vita contrario ai comandamenti divini.
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Siamo convinti che i divorziati risposati civilmente e non disposti a vivere nella continenza, trovandosi in una situazione oggettivamente in contrasto con la legge di Dio, non possono accedere alla Comunione eucaristica.
Sostanzialmente ritroviamo qui i contenuti dei “5 dubia” tradotti dalla forma di “domande poste alla autorità” alla forma di una “dichiarazione/confessione” con pretese di autorevolezza, presunta e non poco presuntuosa.
Non mi soffermo se non sulle proposizioni 1 e 5, che presentano, in modo assai chiaro, una lettura della tradizione cattolica pesantemente condizionata da due fattori: da un lato dalla “lotta contro lo stato moderno”; dall’altro dalla perdita di coscienza della ampiezza e della complessità della tradizione penitenziale della Chiesa. Proprio coloro che pretendono di essere “fedeli alla tradizione” si lasciano schiacciare dalla prospettiva più recente e dimenticano le cose precedenti, con tutta la loro sapienza.
Infatti, nel momento in cui, a partire dalla seconda metà del XIX secolo, la Chiesa ha potuto illudersi di dover identificare “ordine matrimoniale” e “ordine pubblico”, ha gradualmente irrigidito il trattamento di questa materia, facendola diventare quasi il “banco di prova” della propria autorità. Per garantire i diritti di Dio, ha sempre più esasperato i propri diritti in campo pubblico, spesso entrando direttamente in conflitto con gli ordinamenti statali e perdendo la memoria delle sue prassi tradizionali.
Il n. 1 presenta un testo che ripete senza dubbio una sapienza antica, medievale e moderna, elaborata lungo i secoli, ma non riesce a cogliere il paradosso per cui la ripetizione, nel 2018, di quella frase, così come si è costruita di generazione in generazione, fino ad essere formulata, così come la leggiamo, soltanto nell’ultimo secolo, dice una grande verità, ma in modo drammaticamente astratto. Anzitutto parla della fedeltà solo in negativo, attribuendo un potere di scioglimento soltanto “alla morte”. Ma ha al suo interno la sapienza di generazioni, che hanno specificato il matrimonio con due aggettivi – rato e consumato – i quali introducono, accanto al potere della morte, anche quello della nascita. Ossia, se lo scioglimento è attribuito solo alla morte, la nascita è condizionata dalla coscienza e dal corpo dei soggetti. Cosicché al “potere della morte” si affianca il “potere del consenso/coscienza” e il “potere del corpo/sesso”. Tutto questo sta già dentro la tradizione classica, che nella proposizione della “Declaratio” non solo “patet”, ma anche “latet”. E’ come se i firmatari nascondessero anche a se stessi tutta questa ricchezza (e complessità), visto che non esplicitano tutto ciò che quella frase, di per sé, già dice. Ma non basta. In quella frase il senso di “rato” e di “consumato” non può essere semplicemente pensato secondo le caratteristiche di un “contratto”, ma va inteso come “storia di una alleanza”, quindi come “esperienza e percorso di soggetti”, come “coscienza di persone”, come “elaborazione di identità della e nella relazione sessuale”. Quella frase, pur nella sua classica autorevolezza, parla tuttavia di un mondo, da un mondo, e per un mondo, in cui si poteva presumere che la storia dei soggetti, la coscienza delle persone e la sessualità di uomini e donne fossero “grandezze residuali” o addirittura “accidenti irrilevanti”. Chi oggi sintetizza in questo linguaggio vecchio e semplicistico la grande dottrina matrimoniale della Chiesa pensa di svuotare l’oceano con un cucchiaino. E scambia per “autentica tradizione” la propria incompetenza non aggiornata. Quel poco che sa, di famiglia e di matrimonio, non basta più e rischia di fare solo danni.
Altrettanto si deve dire del dettato della proposizione n. 5. La quale si avventura su un terreno come quello del sacramento della penitenza, che pensa di poter strumentalizzare in funzione “antipapale”. Vediamo come. Il testo esprime la convinzione secondo cui “il giudizio sulla possibilità di amministrare l’assoluzione sacramentale non si fonda sull’imputabilità o meno del peccato commesso, ma sul proposito del penitente di abbandonare un modo di vita contrario ai comandamenti divini”. Si pretende, in altri termini, di tradurre la condizione di “divorziato risposato” in una sorta di “responsabilità oggettiva”. La lettura “oggettivistica” (e politica) della tradizione è a tal punto forzata, che risulterebbe del tutto irrilevante ogni indagine sulla “piena avvertenza” o sul “deliberato consenso” del soggetto. La sola “materia grave” impedirebbe ogni assoluzione fino a che il soggetto non si sia proposto di “abbandonare il peccato”, cioè di abbandonare o il secondo partner, o, almeno, l’esercizio della sessualità con esso. Il bene possibile concreto è negato in ragione del bene massimo astratto.
Anche qui, come è evidente, non si considera per nulla il profilo del soggetto, la sua storia, la sua coscienza, la sua relazione spirituale, corporea e sessuale, storicamente divenuta e spesso del tutto irreversibile. Si resta fermi ad una versione di Familiaris Consortio, ma depurandola accuratamente di ogni umanità e di ogni pastoralità. Si fa di FC un testo “politico”. E’, questa “confessio romana”, una sorta di Familiaris consortio per canonisti limitati e per laici di corte vedute. Tutto il pathos pastorale, che FC chiedeva già nel 1981, nella forma di un prezioso discernimento, qui viene spento e silenziato. Resta solo una sorta di “furia oggettivistica”, che può concepire una via di salvezza soltanto nella “continenza”, che sembra intesa più come una sanzione irrogata al soggetto, che come una espressione simbolica della fedeltà. Ma nessuno ha segnalato, ai solerti firmatari della Declaratio, che questa “invenzione della continenza per l’accesso all’eucaristia” introdotta da FC nel 1981, era stata pensata secondo la mens del codice allora vigente, quello del 1917, che definiva il matrimonio come “ius in corpus”. Ed era ovvio che, se allora il matrimonio consisteva ancora – almeno in diritto canonico – nel diritto che ogni coniuge acquisiva sul sesso dell’altro ai fini della procreazione, nel caso in cui si sospendessero gli atti sessuali, di fatto non c’era più alcun (nuovo) matrimonio, qualunque fosse lo “stato civile” dei soggetti! Ma già il codice del 1983 non stava più in quella logica, poiché non accettava più di definire il matrimonio senza riferirsi alla “comunità di vita e di amore” tra i coniugi che il Concilio Vaticano II aveva irreversibilmente introdotto nel linguaggio e nella esperienza ecclesiale. Questa meravigliosa complessità d’amore i nostri rigorosi testimoni si sono proprio dimenticati di confessarla! Forse qualcuno avrebbe dovuto suggerire, a questi bravi “araldi della fede”, un piccolo stratagemma: senza pretendere da loro la troppo ardua opera penitenziale di una attenta lettura di Amoris Lætitia, avrebbero potuto almeno ripassarsi con cura il Codice del 1983, anche a costo di esporsi al grave rischio di aver a che fare con le famiglie reali, e non solo con i propri tristi fantasmi, frutto di un cattolicesimo sfigurato, inaridito, ridotto a formulette dottrinali e a diktat disciplinari.
Andrea Grillo blog: Come se non 8 aprile 2018
www.cittadellaeditrice.com/munera/il-magistero-e-un-fiume-non-una-pietra-dai-fragili-dubia-alla-triste-confessio-romana/
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ASSEGNO DI MANTENIMENTO FIGLI
Carcere e multa fino a mille euro per chi non paga
L’entrata in vigore del nuovo art. 570-bis c.p., sulla violazione degli obblighi di assistenza familiare, comporta delle conseguenze maggiori di quelle che possono apparire a prima vista forse anche di quelle volute dal legislatore. Dal 6 aprile 2018 entra in vigore il nuovo articolo 570-bis del codice penale che prevede una specifica fattispecie di reato per il coniuge “che si sottrae all’obbligo di corresponsione di ogni tipologia di assegno dovuto in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio ovvero vìola gli obblighi di natura economica in materia di separazione dei coniugi e di affidamento condiviso dei figli“.
La sanzione prevista per il nuovo delitto è, peraltro, abbastanza severa e consiste nella multa da 103 sino a 1.032 euro e nella reclusione in carcere sino a un anno, ovverosia nelle pene già stabilite dall’articolo 570 c.p. per la violazione degli obblighi di assistenza familiare.
La nuova previsione è stata introdotta dal legislatore con lo scopo di riordinare la disciplina nazionale sul punto, riunendo in un’unica norma delle disposizioni sparse nel nostro ordinamento. L’articolo 570-bis c.p., infatti, sostituisce ed abroga due norme speciali che si occupavano della materia.
Innanzitutto l’articolo 12-sexies della legge sul divorzio (n. 898/1970), che stabiliva che “al coniuge che si sottrae all’obbligo di corresponsione dell’assegno dovuto a norma degli articoli 5 e 6 della presente legge si applicano le pene previste dall’art. 570 del codice penale“.
L’abrogazione si estende poi anche all’articolo 3 della legge numero 54/2006 che, in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli, stabiliva che “in caso di violazione degli obblighi di natura economica si applica l’articolo 12-sexies della legge 1º dicembre 1970, n. 898”
Le conseguenze dell’art. 570-bis c.p. In realtà, però, la portata innovativa dell’articolo 570-bis va ben oltre il semplice riordino della materia e si estende a elementi di grande rilievo che, probabilmente, superano anche gli intenti del legislatore.
Per come è formulata, infatti, la norma comporta innanzitutto la rilevanza penale dell’omesso versamento dell’assegno di separazione mentre, con riguardo ai figli maggiorenni, la pena può scattare solo se i genitori sono divorziati ma, inspiegabilmente, non se sono separati o non sono mai stati sposati.
Per salvarsi dalla condanna, inoltre, al coniuge potrebbe non bastare il pagamento puntuale e preciso dell’assegno mensile ordinario, se non è stato effettuato il rimborso delle spese straordinarie per i figli.
Si tratta, per certi aspetti, di conseguenze paradossali che potrebbero creare ancora più confusione di quella che regnava sino ad oggi e rispetto alle quali, ancora una volta, la giurisprudenza è chiamata ad assumere un ruolo fondamentale per fare chiarezza.
Avv. Valeria Zeppilli Newsletter studio Cataldi 9 aprile 2018
www.studiocataldi.it/articoli/29898-assegno-di-mantenimento-da-oggi-carcere-e-multa-fino-a-mille-euro-per-chi-non-paga.asp
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BENI
Comunione o separazione dei beni: quale conviene di più?
Cosa sapere in tema di comunione e separazione dei beni, quale regime patrimoniale scegliere, i vantaggi, gli svantaggi di ciascun regime e le relative conseguenze. La scelta del regime patrimoniale è una questione talvolta complicata. Tante volte, infatti, considerazioni normative e patrimoniali si mischiano ad altre a contenuto emotivo e non sempre si sceglie con la necessaria consapevolezza. Non è superfluo ricordare che la scelta del regime patrimoniale della comunione o della separazione dei beni (effettuata in occasione del matrimonio) implica delle conseguenze in tema di amministrazione dei beni della famiglia, di responsabilità e, soprattutto, determina conseguenze diverse in caso di fine del rapporto.
Agli sposi, in mancanza di indicazioni contrarie, viene automaticamente applicato il regime della comunione dei beni. La scelta della separazione dei beni, infatti, deve essere espressamente dichiarata in sede di matrimonio. In ogni caso, è possibile cambiare idea dopo il matrimonio e optare per un diverso regime.
Con questa breve guida, dunque, si vuole mettere in luce la distinzione tra la comunione e la separazione dei beni per determinare se e quale conviene di più e, soprattutto, si vuole fornire all’utente uno strumento per operare una scelta consapevole e conforme alle proprie aspettative.
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Comunione o separazione dei beni: i beni personali. L’aspetto che caratterizza la scelta di un regime piuttosto che un altro non può non tener conto di una considerazione preliminare molto spesso ignorata: tutto ciò che è già acquisito nel patrimonio personale di ciascun coniuge è considerato come bene personale ed è, pertanto, escluso da ogni discorso. Sia che si scelga la comunione, sia che si opti per la separazione dei beni, i beni acquistati prima del matrimonio rimangono nella proprietà esclusiva di chi li ha comprati. Secondo il codice civile, infatti, i beni acquistati prima del matrimonio, sono beni personali e sono, dunque, esclusi dalla comunione legale [Art. 179 Cod. Civ.]. Questa scelta trova il suo fondamento nella considerazione per cui sia la comunione dei beni che la separazione mirano a regolare i rapporti giuridici che sorgono dopo il matrimonio, in costanza di esso ed in ragione della nuova famiglia. Prima del matrimonio non c’è la coppia, non c’è la famiglia e, pertanto, ciò che è personale rimane tale.
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Comunione o separazione dei beni: quando effettuare la scelta? Detto questo, quando due persone decidono di sposarsi, durante la celebrazione del matrimonio i coniugi sono tenuti a manifestare la propria scelta in relazione al regime patrimoniale desiderato. Come anticipato, la mancanza di una dichiarazione espressa comporta l’applicazione del regime della comunione legale [Mentre prima del 1975 accadeva l’esatto contrario]. Infatti, secondo la legge [Legge n. 151 del 19.05.1975.], in caso di silenzio il regime patrimoniale tra i coniugi è quello della comunione. Si può modificare la scelta fatta?La scelta del regime patrimoniale non è irrevocabile. Come detto, infatti, sebbene il nostro ordinamento preveda di default la comunione legale dei beni in caso di silenzio all’atto del matrimonio, esso prevede anche la possibilità per entrambi i coniugi di modificare il regime patrimoniale. Questa modifica può essere effettuata in qualunque momento durante il matrimonio, ma per farlo occorre recarsi dal notaio: la modifica del regime patrimoniale può avvenire esclusivamente per atto pubblico notarile. La modifica può riguardare indistintamente il passaggio da un regime patrimoniale all’altro e può essere effettuata anche più volte nel corso della vita matrimoniale.
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Perché scegliere la comunione dei beni? Passando dal piano teorico a quello pratico, la distinzione tra i due regimi patrimoniali si riverbera in primo luogo sugli acquisti compiuti dai coniugi. Con la comunione dei beni, infatti, i coniugi stabiliscono che gli acquisti fatti nel corso del matrimonio entrano a far parte del patrimonio comune della coppia e ognuno dei due è proprietario al 50% di tali beni. Facciamo l’esempio dell’acquisto di una abitazione: anche se l’operazione commerciale è compiuta da uno solo dei coniugi, il bene acquistato deve intendersi per la metà di proprietà anche dell’altro coniuge.
Vi sono, tuttavia, dei beni che entrano immediatamente in comunione mentre altri che vi entrano solo successivamente. Ciò che entra immediatamente in comunione sono, a titolo di esempio, gli acquisti di beni immobili o mobili; le aziende costituite dopo il matrimonio; i frutti di beni propri se percepiti e non consumati allo scioglimento della comunione; nonché gli eventuali proventi derivanti da attività individuali se non consumati allo scioglimento della comunione.
Come anticipato, vi sono però alcuni beni che non entrano subito in comunione. Questi, giuridicamente definiti come beni in comunione de residuo, ossia in comunione parziale sono quei beni che appartengono a uno solo dei due coniugi, ma che diventano di entrambi se la comunione dei beni viene sciolta con una separazione o con la morte di uno dei due. Rientrano in questa categoria ad esempio: lo stipendio, il canone di affitto di un terreno di proprietà esclusiva, i beni e gli incrementi che durante il matrimonio vengono destinati all’esercizio di un’impresa costituita soltanto da uno dei coniugi che entrano definitivamente nel regime della comunione soltanto se residuano all’atto di scioglimento della comunione stessa.
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Comunione dei beni: come funziona? In concreto, ci si può domandare cosa cambia nell’amministrazione dei beni della famiglia nel caso in cui si opti per l’uno o per l’altro regime. Nel caso di comunione dei beni entrambi i coniugi possono amministrare i beni comuni in maniera autonoma, ma nel caso di atti che eccedono l’ordinaria amministrazione (ad esempio se uno dei due intende vendere un immobile) è necessario il consenso dell’altro.
La comunione dei beni risulta essere la gestione più comune sebbene sia il regime più complicato soprattutto in caso di separazione.
Dunque, ricapitolando, scegliendo la formula della comunione dei beni, tutti i beni acquistati dopo il matrimonio diventano di entrambi: case, automobili, terreni, utili e rendimenti bancari appartengono a entrambi i coniugi. Ma diventano di entrambi i coniugi anche i debiti, che saranno quindi condivisi dai coniugi. La comunione dei beni, pertanto, può essere consigliabile nel caso in cui non si prevedano particolari situazioni di conflitti di natura patrimoniale in sede di separazioni o divorzi e si disponga comunque di beni acquistati prima del matrimonio. A titolo puramente esemplificativo, l’opzione per questo regime è sconsigliabile nei casi di divario economico tra i coniugi: infatti le persone particolarmente facoltose potrebbero correre il rischio che il coniuge più debole approfitti della circostanza. In questa ipotesi si rivela più prudente optare per la separazione dei beni.
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Separazione dei beni: cos’è e come funziona. La separazione dei beni, al contrario della comunione, stabilisce che i patrimoni personali dei coniugi restano tali. Optando per la separazione, pertanto, gli sposi mantengono la titolarità esclusiva dei beni che sono stati acquistati sia prima che dopo il matrimonio e solo il coniuge proprietario ha il potere di amministrarli e il diritto al godimento degli stessi. Inoltre, i beni che i coniugi hanno creato insieme rimangono di proprietà di entrambi in parti uguali.
Anche se da un punto di vista affettivo optare per la separazione dei beni può sembrare un atto di poca fiducia reciproca e di poco amore nella costituenda famiglia, in realtà si tratta di una scelta molto vantaggiosa sia dal punto di vista fiscale che pratico. Lo svantaggio della separazione dei beni è solo quello di offrire minore tutela al coniuge più debole, anche se questo svantaggio può essere ovviato attraverso altri rimedi previsti dall’ordinamento quali donazioni, polizze vita e testamenti a favore di quest’ultimo da parte del coniuge economicamente più forte. La separazione dei beni prevede comunque che, in base alle necessità della famiglia, i componenti della coppia abbiano l’obbligo di contribuire alle spese in modo proporzionale alle proprie possibilità.
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Separazione dei beni: quando conviene? In genere, la separazione dei beni è consigliata quando uno dei due coniugi, per ragioni connesse all’attività commerciale o professionale svolta, è più esposto a rischi di natura patrimoniale. In questi casi può risultare più prudente che i beni di famiglia di maggior valore siano intestati al coniuge che non è esposto a tali rischi il quale, stante la separazione dei beni, ne risulta l’esclusivo proprietario anche dinanzi ad eventuali pretese creditorie. La scelta di un regime rispetto all’altro, inoltre, ha delle ricadute anche sotto il profilo successorio: infatti mentre in caso di comunione dei beni, alla morte di un coniuge cadrà in successione il 50% dei beni acquistati durante il matrimonio, nel caso di separazione dei beni nell’asse ereditario sarà compresa solo la quota a lui intestata.
Chiara Samperisi News La legge per tutti 10 aprile 2018
https://business.laleggepertutti.it/30635_comunione-o-separazione-dei-beni-quale-conviene-di-piu
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CENTRO INTERNAZIONALE DI STUDI SULLA FAMIGLIA
Newsletter CISF – n. 13, 11 aprile 2018
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Alghero: il Rapporto Cisf 2017 all’interno della Settimana culturale per lo Sviluppo & l’Ambiente. In occasione della 94.a Giornata per l’Università Cattolica il Centro di Studi e Politica G. Toniolo di Alghero organizza una settimana di eventi culturali ed incontri. Uno di essi (martedì 17 aprile, alle h. 19.00), sarà dedicato al tema “Le relazioni familiari nell’era delle reti digitali”; il Direttore del Cisf (F. Belletti) presenterà i principali contenuti del Rapporto Cisf 2017, e sul tema interverrà Silvia Righini (Specialista in Terapia familiare – Centro Co.Me.Te. di Alghero).
http://newsletter.sanpaolodigital.it/Cisf/attachments/newscisf1318_allegato0.pdf
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Svezia. I legami familiari restano forti, anche se i figli non tornano a casa da mamma e papà. Alcuni ricercatori svedesi hanno verificato che anche in Svezia, contrariamente ad alcune rappresentazioni culturali, i legami familiari rimangono comunque molto forti, anche se con modalità diverse da altri Paesi europei. In caso di difficoltà familiari o personali (ad esempio perdita dell’autonomia economica o divorzio) i giovani non rientrano a casa dei propri genitori; tuttavia “le reti familiari rimangono una risorsa forte per affrontare le difficoltà, anche se questo non implica il rientro nella propria famiglia/casa di origine”.
https://www.population-europe.eu/pop-digest/moving-back-mamma
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Puglia: la richiesta di un piano di politiche familiari a livello locale. [dal Comunicato Stampa del Forum pugliese delle associazioni familiari] Nel novembre scorso il Forum delle famiglie di Puglia, Cgil, Cisl ed Uil Puglia, la Commissione regionale di Pastorale familiare della Conferenza episcopale pugliese e oltre 40 associazioni del territorio hanno sottoscritto e proposto a Giunta e Consiglio regionale una Lettera aperta con cui chiedevano la costruzione di un Piano congiunto per le politiche familiari.
www.forumfamigliepuglia.org/presentata-la-lettera-aperta-a-presidente-e-giunta-regionale/
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Un’esigenza molto sentita, come confermato anche dalla terza Conferenza nazionale della famiglia del settembre 2017, la quale ha ribadito con forza che l’Italia deve ripartire dalla famiglia, altrimenti non avrà domani. Affinché la proposta si concretizzi, il Forum sta organizzando dei tavoli tematici itineranti nelle province, per affrontare, di volta in volta, alcuni nodi cruciali di Politica familiare. Essi saranno propedeutici alla Conferenza regionale della famiglia, in programma il prossimo autunno, nella quale confluiranno idee e progetti. Il primo incontro sarà dedicato alle Politiche fiscali e si terrà a Lecce il 12 aprile. Ricchissimo e di prestigio il parterre degli ospiti, fra i quali monsignor Michele Seccia, arcivescovo metropolita di Lecce, Ada Chirizzi della Cisl Lecce, Walter Marangio della Uil Lecce e Roberto Natali della Cgil Lecce, solo per citarne alcuni. Ci rivedremo poi a Taranto, per affrontare l’annosa questione del Lavoro, e a Bari il 3 maggio, alla presenza del professor Giancarlo Blangiardo, demografo dell’Università Bicocca di Milano, per parlare di Denatalità. E ancora un altro tavolo è in preparazione a giugno a Foggia, con tema la Disabilità.
www.forumfamigliepuglia.org/verso-la-conferenza-regionale-della-famiglia-a-lecce-il-primo-tavolo-monotematico-dedicato-al-fisco
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Ultimi arrivi dalle case editrici
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Il Mulino, Volontariato e innovazione sociale oggi in Italia, Ascoli U., Pavolini E. (a cura di)
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FrancoAngeli, Comprendere il bullismo femminile. Genere, dinamiche relazionali, rappresentazioni, Burgio G.
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Queriniana, Il messaggio di Amoris Lætitia. Una discussione fraterna, Kasper W.
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San Paolo, Docenti Smart. Metodo BAM – Basta Alzare Le Mani. Diventare eduformatori e prevenire il bullismo, Poletti S.
http://newsletter.sanpaolodigital.it/Cisf/attachments/newscisf1318_allegatolibri.pdf
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Ciceri Paola, Il lavoro con i minori e le famiglie. Costruire interventi partecipati, Carocci, Roma, 2017, pp. 119, € 13,00. È sempre più frequente sentire parlare di “partecipazione” in relazione al lavoro dell’assistente sociale con i minori e le famiglie. Da più parti arrivano sollecitazioni a coinvolgere le persone nella definizione dei progetti e degli interventi a loro destinati, anche – cosa fino a pochi anni fa affatto scontata – nei casi di tutela dei minori. La partecipazione e il coinvolgimento, infatti, favoriscono l’attivazione di interventi più adeguati alle situazioni specifiche, e quindi più efficaci. Ma cosa vuol dire per l’assistente sociale lavorare in quest’ottica “partecipativa”? Quali sono gli effetti nella sua relazione con le persone? E quali sono le implicazioni per il suo ruolo professionale? Per cercare di rispondere a queste domande, il volume propone degli spunti di riflessione e indica alcune possibili strategie operative, partendo dalla convinzione che il ruolo dell’assistente sociale, anche nelle situazioni più complesse, non è quello di sostituirsi alle persone ma di costruire percorsi di aiuto che siano condivisi e che rendono le famiglie soggetti di questo percorso. L’intento di questo contributo – nato dall’incontro dell’autrice con il metodo delle Family Group Conference – è perciò quello di creare una sorta di mappa relativa agli aspetti da presidiare per lavorare nell’ottica della partecipazione delle famiglie e dei minori, senza pretesa di esaustività dei contenuti presentati, bensì fornendo alcuni metodi e modelli di lavoro.
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Specializzarsi per la famiglia. Minori e culture: strumenti e interventi psicologici e psico-pedagogici interculturali [condizioni di iscrizione e temi sulla brochure – leggi]. L’Università Cattolica del Sacro Cuore della sede di Brescia propone il corso di perfezionamento sul tema, con il quale i partecipanti verranno preparati per operare in servizi di accoglienza e supporto ai minori migranti e alle famiglie immigrate con minori, in servizi di sostegno alle adozioni internazionali con funzioni di supporto psico-educativo, in istituti scolastici ed educativi per la progettazione e la realizzazione di interventi psico-pedagogici a favore dell’inclusione sociale di minori con background migratorio. Iscrizioni entro il 28 agosto 2018.
www.unicatt.it/cattolicaperlascuola/scuola-Minori_e_culture_diverse.pdf
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Save the date –
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Nord I disabili invecchiano… 65 anni e poi? La dimissione dalle strutture residenziali e semiresidenziali delle persone ultrasessantacinquenni, incontro promosso dalla Cooperativa Operatori Sociali (C.O.S.) in occasione del 35° anno di attività, Alba (CN), 13 aprile 2018.
www.alba.chiesacattolica.it/wp-content/uploads/2018/04/35Coop-COS_i-disabili-invecchiano…65-anni-e-poi-.pdf
Educare: un mestiere difficile(?), tre serate dedicate a genitori, insegnanti ed educatori per confrontarsi e riflettere insieme sull’educare oggi, promosse dal Comune di Rho, in collaborazione con la Coop. sociale Stripes e con Pedagogika.It, Rho (MI), 18 aprile, 9 maggio e 23 maggio 2018. www.comune.rho.mi.it/print/25032
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Centro: Giovani violenti: bullismo, baby gang e violenza di genere, giornata di studio (con crediti formativi per avvocati) promossa dall’Osservatorio nazionale Adolescenza, Frascati (RM), 14 aprile 2018. http://newsletter.sanpaolodigital.it/Cisf/attachments/newscisf1318_allegato2.pdf
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Sud: Festival siciliano della famiglia. Famiglie in Rete per lo Sviluppo del Paese, promosso dal Forum delle associazioni familiari della Sicilia, Conferenza stampa di presentazione, Palermo, 12 aprile 2018. Il Festival si svolgerà a Catania dal 28 giugno al 1 luglio 2018.
http://newsletter.sanpaolodigital.it/Cisf/attachments/newscisf1318_allegato3.pdf
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Estero: Mothers at the heart of change for a culture of peace. Showcasing examples at family, community, national and international levels (Le madri al cuore del cambiamento per una cultura di pace. Una rassegna di esempi a livello di famiglia, comunità, nazionale ed internazionale), promosso da MMM (Make Mothers Matter – rendere le madri importanti) e Care, Casablanca (Marocco), 3-4 maggio 2018. https://drive.google.com/file/d/12x-dKlanhaSTiETu1B279XgrHOeEO7y3/view
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CHIESA CATTOLICA
Partito laicista-clericale che non sopporta il papa.
Mangiapreti e talebani insieme. Quel che colpisce non sono le singole critiche. No, è l’odio. Che eccede ogni spiegazione. C’è tutto un partito, un partito laicista-clericale, un partito influente che non sopporta più papa Francesco. Non lo ha mai sopportato fin dall’inizio, in realtà. Ma adesso che sente di avere alle spalle pezzi importanti di potere ha abbandonato ogni remora.
È una strana compagine, mette insieme laicisti e clericali. Mangiapreti e talebani. Insulti grossolani e argomentazioni pseudo-teologiche.
Ne dicono tante.
Dicono che Francesco è un papa piacione, populista ma non dicono perché, se cerca solo il favore popolare, sia così ostinato – ad esempio – a predicare la carità verso gli immigrati, tema che oggi non fa certo guadagnare consensi.
Dicono che parla “molto dell’uomo e poco di Dio”, addirittura. E hanno ragione se per Dio intendono il Grande Architetto venerato nelle logge e non il nostro Dio che ha il volto misterioso ed umano di Gesù. Perché di Gesù parla, tutti i giorni, Francesco, non possono negarlo, questo, no.
Dicono che relativizza la legge morale – un papa permissivo! – e sanno che non è vero ma stanno tutto il giorno lì, a cercare appigli e pretesti, con la stessa disposizione d’animo di quei farisei che accusavano Gesù di violare la legge perché guariva i malati il sabato. Invece evitano di dire che Francesco non perde occasione nelle omelie e nelle catechesi per invitare i fedeli ad accostarsi al confessionale, e a dirli bene i propri peccati al prete, tutti, senza reticenze, perché anche “la vergogna è una grazia”, e “le lacrime un dono” che lava lo sguardo e intenerisce Dio… Questo non lo dicono, no, devono omettere, perché poi scombinerebbe le loro costruzioni.
Dicono anche che Francesco sbaglia le nomine dei collaboratori ed alcune le ha sbagliate, si, ma anche i papi più santi possono sbagliare: san Giovanni Paolo II nominò a Boston e a Vienna – diocesi cattoliche fra le più prestigiose al mondo – cardinali poi costretti alle dimissioni perché seriamente implicati nello scandalo pedofilia; e concesse ampia fiducia al fondatore dei Legionari di Cristo, prima di scoprire con grande dolore il suo passato criminale e la sua doppia e tripla vita. Alcuni storici ritengono che Benedetto XVI avrebbe sopportato meglio il peso del governo della chiesa se, oltre a maggiori energie fisiche, avesse avuto al suo fianco collaboratori più adeguati, ma non sarebbe giusto ora mettere a confronto o stilare graduatorie tra gli ultimi segretari di stato, da Bertone a Parolin.
Dicono anche che Francesco sia comunista; dissero cose simili di Leone XIII quando a fine Ottocento osò chiedere nella Rerum novarum la proibizione del lavoro minorile, almeno quello notturno, e i giornali liberali lo definirono per così poco ‘papa socialista’. Ma pure al mite, prudente Paolo VI certa stampa americana diede del sovversivo qualificando come “marxista” la sua enciclica sociale, la Populorum progressio.
Ne dicono tante. Ma quel che colpisce infine non sono le singole critiche. No, è l’odio. Freddo e scientifico, in alcuni casi; viscerale e volgare in altri. Cosa tutta diversa dalla critica anche più severa e appassionata, mossa con il rispetto che il catechismo cattolico chiede ai fedeli nei confronti del successore di Pietro. Quell’odio in più, quel risentimento, quasi personale, che senti eccedere ogni spiegazione e ogni possibile mancanza.
Lucio Brunelli Direttore di TV2000 dal 5 maggio 2014
www.terredamerica.com/2018/04/07/il-partito-laicista-clericale-che-non-sopporta-il-papa-mangiapreti-e-talebani-insieme-quel-che-colpisce-non-sono-le-singole-critiche-e-lodio-che-eccede-ogni-spiegazione
Fine del “cattolicesimo romano”?
Molto si è scritto, per tracciare un bilancio dei primi cinque anni del pontificato di Francesco e della sua vera o immaginaria “rivoluzione”. Ma raramente, se non mai, con l’acutezza e l’ampiezza di orizzonte dell’analisi pubblicata qui di seguito. L’autore, Roberto Pertici, 66 anni, è professore di storia contemporanea all’università di Bergamo e ha dedicato i suoi principali studi alla cultura italiana dell’Ottocento e del Novecento, con una particolare attenzione ai rapporti tra Stato e Chiesa. Questo suo saggio è inedito.
Blog Sandro Magister 13 aprile 2018 http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it
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A questo punto del pontificato di Francesco, credo che si possa ragionevolmente sostenere che esso segna il tramonto di quell’imponente realtà storica definibile come “cattolicesimo romano”. Questo non significa, beninteso, che la Chiesa cattolica sia alla fine, ma che sta tramontando il modo in cui si è storicamente strutturata e autorappresentata negli ultimi secoli.
Mi pare evidente, infatti, che sia questo il progetto consapevolmente perseguito dal “brain trust” che si stringe attorno a Francesco: un progetto inteso sia come risposta estrema alla crisi dei rapporti fra la Chiesa e il mondo moderno, sia come premessa per un rinnovato percorso ecumenico in comune con le altre confessioni cristiane, specie quelle protestanti.
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Per “cattolicesimo romano” intendo quella grande costruzione storica, teologica e giuridica che prende l’avvio dall’ellenizzazione (per l’aspetto filosofico) e dalla romanizzazione (per l’aspetto politico-giuridico) del cristianesimo primitivo e che si basa sul primato dei successori di Pietro, quale emerge dalla crisi del mondo tardo-antico e dalla sistemazione teorica dell’età gregoriana (“Dictatus Papæ“).
Nei secoli successivi, la Chiesa si è data inoltre un proprio diritto interno, il diritto canonico, guardando al diritto romano come modello. E questo elemento giuridico ha contribuito a plasmare gradualmente una complessa organizzazione gerarchica con precise norme interne, che regolano la vita sia della “burocrazia di celibi” (l’espressione è di Carl Schmitt) che la gestisce, sia dei laici che ne sono parte.
L’altro decisivo momento di formazione del “cattolicesimo romano” è infine l’ecclesiologia elaborata dal concilio di Trento, che ribadisce la centralità della mediazione ecclesiastica in vista della salvezza, in contrasto con le tesi luterane del “sacerdozio universale”, e quindi fissa il carattere gerarchico, unito e accentrato della Chiesa; il suo diritto di controllare e, se occorra, condannare le posizioni che contrastino con la formulazione ortodossa delle verità di fede; il suo ruolo nell’amministrazione dei sacramenti.
Tale ecclesiologia trova il suo suggello nel dogma dell’infallibilità pontificia proclamato dal concilio Vaticano I, messo alla prova ottant’anni dopo nell’affermazione dogmatica dell’Assunzione in cielo di Maria (1950), che assieme alla precedente proclamazione dogmatica della sua Immacolata Concezione (1854) ribadisce anche la centralità del culto mariano.
Sarebbe riduttivo, tuttavia, se ci limitassimo a quanto detto ora. Perché esiste, o meglio esisteva, anche un diffuso “sentire cattolico”, così fatto:
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Un atteggiamento culturale che si basa su un realismo, a proposito della natura umana, talora disincantato e disposto a “tutto comprendere” come premessa del “tutto perdonare”;
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Una spiritualità non ascetica, comprensiva di certi aspetti materiali della vita, né disposta a disprezzarli;
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Impegnato nella carità quotidiana verso umili e bisognosi, senza il bisogno di idealizzarli o di farne quasi novelli idoli;
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Disposto a rappresentarsi anche nella propria magnificenza, quindi non sordo alle ragioni della bellezza e delle arti, come testimonianza di una Bellezza suprema a cui il cristiano deve tendere;
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Sottile indagatore dei più riposti moti del cuore, della lotta interiore fra il bene e il male, della dialettica fra “tentazioni” e risposta della coscienza.
Si potrebbe quindi dire che in quello che chiamo “cattolicesimo romano” si intrecciano tre aspetti, oltre ovviamente a quello religioso: l’estetico, il giuridico, il politico. Si tratta di una visione razionale del mondo che si fa istituzione visibile e compatta e che entra fatalmente in conflitto con l’idea di rappresentanza emersa nella modernità, basata sull’individualismo e su una concezione del potere che, salendo dal basso, finisce per mettere in discussione il principio di autorità.
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Questo conflitto è stato considerato in modi diversi, spesso opposti, da coloro che l’hanno analizzato. Carl Schmitt guardava con ammirazione alla “resistenza” del “cattolicesimo romano”, considerato come l’ultima forza in grado di frenare le forze dissolvitrici della modernità. Altri lo hanno duramente criticato: in questa lotta, la Chiesa cattolica avrebbe rovinosamente enfatizzato i suoi tratti giuridico-gerarchici, autoritari, esteriori. Al di là di queste opposte valutazioni, è certo che negli ultimi secoli il “cattolicesimo romano” sia stato costretto alla difensiva. A mettere progressivamente in discussione la sua presenza sociale è stata soprattutto la nascita della società industriale e il conseguente processo di modernizzazione, che ha avviato una serie di mutamenti antropologici tuttora in atto. Quasi che il “cattolicesimo romano” fosse “organico” (per dirla con linguaggio vetero-marxista) a una società agraria, gerarchica, statica, basata sulla penuria e sulla paura e non trovasse invece una rilevanza in una società “affluente”, dinamica, caratterizzata dalla mobilità sociale.
Una prima risposta a questa situazione di crisi fu data dal concilio ecumenico Vaticano II (1962-1965), che nelle intenzioni di papa Giovanni XXIII che lo aveva convocato doveva operare un “aggiornamento pastorale”, guardare cioè con nuovo ottimismo al mondo moderno, insomma abbassare finalmente la guardia: non si trattava più di portare avanti un secolare duello, ma di aprire un dialogo e operare un incontro. Il mondo era percorso in quegli anni da cambiamenti straordinari e da un inedito sviluppo economico: probabilmente la più sensazionale, rapida e profonda rivoluzione nella condizione umana di cui ci sia traccia nella storia (Eric J. Hobsbawm). L’evento concilio contribuì a questo mutamento, ma ne fu a sua volta travolto: il ritmo degli “aggiornamenti” – favorito anche dalla vorticosa trasformazione ambientale e dalla convinzione generale, cantata da Bob Dylan, che “the times they are a-changin'” – sfuggì di mano alla gerarchia, o almeno a quella sua parte che voleva operare una riforma, non una rivoluzione.
Così fra il 1967 e il 1968 si assistette alla “svolta” di Paolo VI, che si espresse nell’analisi preoccupata delle turbolenze sessantottine e poi della “rivoluzione sessuale” contenuta nell’enciclica “Humanæ vitæ” del luglio 1968. Tanto era il pessimismo a cui giunse negli anni Settanta quel grande pontefice che, conversando col filosofo Jean Guitton, si domandava e gli domandava, riecheggiando un inquietante passo del vangelo di Luca: “Quando il Figlio dell’Uomo ritornerà, troverà ancora la fede sulla terra?”. E aggiungeva: “Ciò che mi colpisce, quando considero il mondo cattolico, è che all’interno del cattolicesimo sembra talvolta predominare un pensiero di tipo non cattolico, e può avvenire che questo pensiero non cattolico all’interno del cattolicesimo diventi domani il più forte”.
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È noto quale sia stata la risposta dei successori di Paolo VI a questa situazione: coniugare cambiamento e continuità; operare – su alcune questioni – le opportune correzioni (memorabile, da questo punto di vista, la condanna della “teologia della liberazione”); cercare un dialogo con la modernità che fosse al tempo stesso una sfida: sui temi della vita, della razionalità dell’uomo, della libertà religiosa.
Benedetto XVI, in quello che fu il vero testo programmatico del suo pontificato (il discorso alla curia pontificia del 22 dicembre 2005), ribadì poi un punto fermo: che le grandi scelte del Vaticano II andavano lette e interpretate alla luce della tradizione precedente della Chiesa, quindi anche dell’ecclesiologia emersa dal concilio di Trento e dal Vaticano I. Anche per la semplice ragione che non si può operare una smentita formale della fede creduta e vissuta da generazioni e generazioni, senza introdurre un “vulnus” irreparabile nell’autorappresentazione e nella percezione diffusa di un’istituzione come la Chiesa cattolica.
È noto anche come questa linea abbia causato un diffuso rigetto non solo “extra ecclesiam”, dove si manifestò in un’aggressione mediatica e intellettuale contro papa Benedetto assolutamente inedita, ma – nel modo nicodemitico e nella mormorazione congeniti nel mondo clericale – anche nel corpo ecclesiastico, che sostanzialmente lasciò solo quel papa nei momenti più critici del suo pontificato. Da qui, credo, la sua rinuncia del febbraio 2013, che – al di là di interpretazioni rassicuranti – appare come un evento epocale, del quale le ragioni e le implicazioni di lungo periodo restano ancora tutte da approfondire.
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Questa fu la situazione ereditata da papa Francesco. Mi limito solo ad accennare agli aspetti biografici e culturali che rendevano “ab initio” Jorge Mario Bergoglio in parte estraneo a quello che ho chiamato il “cattolicesimo romano”:
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Il carattere periferico della sua formazione, profondamente radicata nel mondo latino-americano, che gli rende difficile incarnare l’universalità della Chiesa, o almeno lo spinge a viverla in modo nuovo, accantonando la civiltà europea e quella nordamericana;
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L’appartenenza a un ordine, come la Compagnia di Gesù, che nell’ultimo mezzo secolo ha operato uno dei più clamorosi riposizionamenti politico-culturali di cui si abbia notizia nella storia recente, passando da una posizione “reazionaria” a una variamente “rivoluzionaria” e quindi dando prova di un pragmatismo per molti aspetti degno di riflessione;
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L’estraneità all’elemento estetico che è proprio del “cattolicesimo romano”, la sua ostentata rinuncia a ogni rappresentazione di dignità di carica (gli appartamenti pontifici, la mozzetta rossa e il consueto apparato pontificale, le automobili di rappresentanza, la residenza di Castel Gandolfo) e a quelle che chiama “abitudini da principe rinascimentale” (a cominciare dal ritardo e poi assenza a un concerto di musica classica in suo onore agli inizi del pontificato).
Cercherei piuttosto di sottolineare quello che può essere a mio parere l’elemento unificante dei molteplici mutamenti che papa Francesco sta introducendo nella tradizione cattolica. Lo faccio basandomi su un piccolo libro di un eminente uomo di Chiesa, che viene generalmente considerato il teologo di riferimento dell’attuale pontificato, citato eloquentemente da Francesco già nel suo primo Angelus, quello del 17 marzo 2013, quando disse: “In questi giorni ho potuto leggere un libro di un cardinale – il cardinale Kasper, un teologo in gamba, un buon teologo – sulla misericordia. E mi ha fatto tanto bene quel libro, ma non crediate che faccia pubblicità ai libri dei miei cardinali. Non è così. Ma mi ha fatto tanto bene, tanto bene”.
Il libro di Walter Kasper a cui qui mi riferisco ha per titolo: “Martin Lutero. Una prospettiva ecumenica”, ed è la versione rielaborata e ampliata di una conferenza tenuta dal cardinale il 18 gennaio 2016 a Berlino. Il capitolo sul quale voglio richiamare l’attenzione è il sesto: “Attualità ecumenica di Martin Lutero“.
Tutto il capitolo è costruito su un’argomentazione binaria, secondo cui Lutero fu indotto ad approfondire la rottura con Roma principalmente dal rifiuto del papa e dei vescovi di procedere a una riforma. Fu solo di fronte alla sordità di Roma – scrive Kasper – che il riformatore tedesco, “sulla base della sua comprensione del sacerdozio universale, dovette accontentarsi di un ordinamento d’emergenza. Egli ha però continuato a confidare nel fatto che la verità del Vangelo si sarebbe imposta da sé e ha così lasciato la porta fondamentalmente aperta per una possibile futura intesa”.
Ma anche da parte cattolica, all’inizio del Cinquecento, restavano molte porte aperte, c’era insomma una situazione fluida. Scrive Kasper: “Non c’era una ecclesiologia cattolica armonicamente strutturata, ma unicamente degli approcci, che erano più una dottrina sulla gerarchia che una ecclesiologia vera e propria. L’elaborazione sistematica dell’ecclesiologia si avrà solamente nella teologia controversistica, come antitesi alla polemica della Riforma contro il papato. Il papato divenne così, in un modo fino ad allora sconosciuto, il contrassegno di identità del cattolicesimo. Le rispettive tesi e antitesi confessionali si condizionarono e bloccarono a vicenda”.
Bisogna dunque procedere oggi – stando al senso complessivo dell’argomentazione di Kasper – a una “deconfessionalizzazione” sia delle confessioni riformate sia della Chiesa cattolica, nonostante questa non si sia mai avvertita come una “confessione”, ma come la Chiesa universale. Si deve tornare a qualcosa di simile alla situazione che precedeva il divampare dei conflitti religiosi del Cinquecento.
Mentre però in campo luterano questa “deconfessionalizzazione” si è oggi già ampiamente compiuta (con la secolarizzazione spinta di quelle società, per cui i problemi che erano alla base delle controversie confessionali sono diventati irrilevanti per la stragrande maggioranza dei cristiani “riformati”), in campo cattolico invece molto ancora si deve fare, appunto per la sopravvivenza di aspetti e strutture di quello che ho chiamato il “cattolicesimo romano”. È quindi soprattutto al mondo cattolico che è rivolto l’invito alla “deconfessionalizzazione”. Kasper la invoca come una “riscoperta della cattolicità originaria, non ristretta ad un punto di vista confessionale”.
A tal fine sarebbe quindi necessario portare fino in fondo il superamento dell’ecclesiologia tridentina e di quella del Vaticano I. Secondo Kasper il concilio Vaticano II ha aperto la strada, ma la sua ricezione è stata controversa e tutt’altro che lineare. Da qui il ruolo dell’attuale pontefice: “Papa Francesco ha inaugurato una nuova fase in tale processo di ricezione. Egli sottolinea l’ecclesiologia del popolo di Dio, il popolo di Dio in cammino, il senso della fede del popolo di Dio, la struttura sinodale della Chiesa, e per la comprensione dell’unità mette in gioco un interessante nuovo approccio. Descrive l’unità ecumenica non più con l’immagine dei cerchi concentrici attorno al centro, ma con l’immagine del poliedro, cioè di una realtà a molte facce, non un ‘puzzle’ messo insieme dall’esterno, ma un tutto e, come trattandosi di una pietra preziosa, un tutto che riflette la luce che lo colpisce in modo meravigliosamente molteplice. Ricollegandosi a Oscar Cullmann, papa Francesco riprende il concetto della diversità riconciliata”.
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Se riconsideriamo brevemente sotto questa luce i comportamenti di Francesco che hanno suscitato più scalpore, ne comprendiamo meglio la logica unitaria:
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La sua sottolineatura, fin dal giorno dell’elezione, della sua carica di vescovo di Roma, più che di pontefice della Chiesa universale;
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La sua destrutturazione della figura canonica del pontefice romano (il celeberrimo “chi sono io per giudicare?”), alla base della quale – dunque – non vi sono solo i moventi caratteriali prima accennati, ma una ragione più profonda, di carattere teologico;
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Il pratico depotenziamento di alcuni sacramenti fra i più caratteristici del “sentire cattolico” (la confessione auricolare, il matrimonio indissolubile, l’eucaristia), realizzato per ragioni pastorali di “misericordia” e “accoglienza”;
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L’esaltazione della “parresi” all’interno della Chiesa, della confusione presunta creatrice, a cui si lega una visione della Chiesa quasi come una federazione di Chiese locali, dotate di ampi poteri disciplinari, liturgici e anche dottrinali.
C’è chi prova scandalo per il fatto che in Polonia finirà per avere vigore un’interpretazione di “Amoris lætitia” diversa da quella che si realizzerà in Germania o in Argentina, riguardo alla comunione ai divorziati risposati. Ma Francesco potrebbe rispondere che si tratta di facce diverse di quel poliedro che è la Chiesa cattolica, al quale quindi si potranno aggiungere prima o poi – perché no? – anche le Chiese riformate post-luterane, in uno spirito appunto di “diversità riconciliata”.
Su questa strada, è facile prevedere che i prossimi passi saranno un ripensamento della catechesi e della liturgia in senso ecumenico, anche qui con il cammino che spetta alla parte cattolica molto più impegnativo di quello della parte “protestante”, considerati i diversi punti di partenza, come pure un depotenziamento dell’ordine sacro nel suo aspetto più “cattolico”, cioè nel celibato ecclesiastico, con il che la gerarchia cattolica cesserà anche di essere la schmittiana “burocrazia di celibi”.
Si comprende meglio, allora, la vera e propria esaltazione della figura e dell’opera di Lutero che si è prodotta ai vertici della Chiesa cattolica in occasione del cinquecentesimo anniversario del 1517, fino al discusso francobollo commemorativo dedicatogli dalle poste vaticane, con lui e Melantone ai piedi di Gesù in croce.
Personalmente non ho dubbi che Lutero sia uno dei giganti della “storia universale”, come si amava dire una volta, ma “est modus in rebus“: soprattutto le istituzioni devono avere una sorta di pudore nell’operare rovesciamenti di queste dimensioni, pena il ridicolo: lo stesso da cui eravamo assaliti nel Novecento, quando vedevamo i comunisti di allora riabilitare all’unisono e a comando gli “eretici” condannati e combattuti strenuamente fino al giorno prima: il “Contrordine, compagni!” delle vignette di Giovannino Guareschi.
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Se dunque ieri il “cattolicesimo romano” era avvertito come un corpo estraneo dalla modernità, estraneità che non gli era perdonata, è naturale che il suo tramonto venga oggi salutato con gioia dal “mondo moderno” nelle sue istituzioni politiche, mediatiche e culturali e che quindi l’attuale pontefice sia visto come colui che sana quella frattura fra i vertici ecclesiastici e il mondo dell’informazione, delle organizzazioni e dei “think tank” internazionali, che – apertasi nel 1968 con la “Humanæ vitæ ” – si era fatta più profonda nei pontificati successivi.
Ed è anche naturale che gruppi ed ambienti ecclesiastici che già negli anni Sessanta auspicavano il superamento della Chiesa tridentina e che in questa prospettiva hanno letto il Vaticano II, dopo aver vissuto sotto traccia nell’ultimo quarantennio, siano oggi usciti allo scoperto e con i loro eredi laici ed ecclesiastici figurino fra le componenti di quel “brain trust” cui si accennava all’inizio.
Restano aperti però alcuni interrogativi, che imporrebbero ulteriori e non facili riflessioni. L’operazione portata avanti da papa Francesco e dal suo “entourage” conoscerà un successo duraturo o finirà per incontrare resistenze, all’interno della gerarchia e di ciò che resta del popolo cattolico, maggiori di quelle in definitiva marginali finora emerse?
A quale tipo di nuova realtà “cattolica” nella società occidentale essa darà vita?
E più in generale: quali conseguenze essa potrà avere sulla complessiva tenuta culturale, politica, religiosa del mondo occidentale, il quale, pur essendo giunto a un livello esteso di secolarizzazione, ha avuto a lungo una delle sue strutture portanti proprio nel “cattolicesimo romano”?
Ma è preferibile che gli storici non facciano profezie e si accontentino di capire qualcosa, se vi riescono, dei processi in corso.
Roberto Pertici http://magister.blogautore.espresso.repubblica.it
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COMMISSIONE ADOZIONI INTERNAZIONAL
Incontro con rappresentati dell’Autorità Centrale del Burkina Faso.
La Commissione per le Adozioni Internazionali, rappresentata dalla Vice Presidente, dott.ssa Laura Laera, ha incontrato nella giornata del 10 aprile, presso la Sala Gialla del CNEL, Mr. Tene Kayaba Lucien Kere e Mr. Seydou Traorè, rappresentanti dell’Autorità Centrale del Burkina Faso, in visita in Italia.
L’incontro, che si è svolto in un clima di viva cordialità, ha consentito di chiarire alcuni aspetti delle procedure adottive e programmare gli interventi necessari per migliorare la già solida collaborazione instaurata tra i due Paesi.
Il soggiorno in Italia della delegazione burkinabè proseguirà a cura degli enti accreditati nel Paese con la visita alle loro sedi operative.
Comunicato 11 aprile 2018
www.commissioneadozioni.it/it/notizie/2018/comunicato-incontro-con-rappresentati-dell%E2%80%99autorita-centrale-del-burkina-faso.aspx
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CONSULTORI FAMILIARI
I 40 anni dei consultori CFC. Ma cosa fanno e cosa possono fare?
La Confederazione dei centri per la famiglia rilancia il proprio ruolo. «Abbiamo competenze e professionalità per coprire tante emergenze sociali» c
Tre sfide per i consultori di domani: non lasciare sole le famiglie nelle situazioni di difficoltà, riuscire ad esprimere con parole nuove il senso profondo delle relazioni matrimoniali, riconnettere le generazioni, tenendo insieme sapienza e profezia.
Sullo sfondo rimane la questione irrisolta dell’accreditamento pubblico. Solo in Lombardia i consultori familiari di ispirazione cristiana hanno un riconoscimento pubblico. Come potrebbe essere moltiplicate le proposte di bene in chiave familiare se si riuscisse a realizzare accordi simili in tutte le altre regioni? È la speranza a cui dà voce don Edoardo Algeri, presidente della Confederazione dei consultori di ispirazione cristiana alla vigilia di un appuntamento carico di significati. Al crocevia dei quarant’anni, la Confederazione dei consultori, oltre alla rievocazione di una storia di impegno solidale accanto alle fragilità delle famiglie, considera quanto mai propizia l’occasione per una riflessione prospettica sui temi della vita affettiva, su relazioni e legami, su quella trama preziosa in cui trova linfa e significato la vita familiare.
Tra un passato illustre e un futuro da tracciare con quella fantasia della carità più volte evocata da papa Francesco, l’interrogativo è tutt’altro che scontato. Cosa possono fare i consultori familiari – la rete più significativa di centri per l’aiuto alla famiglia di tutto il Paese, quasi trecento tra quelli targati Cfc (204 + 3 in arrivo nel 2018) e quelli riuniti sotto la sigla Ucipem (77) – per rendere ancora più efficace i propri interventi in un’epoca in cui i nuclei familiari sembrano affaticati e confusi? L’interrogativo è al centro del convegno che si apre stamattina a Roma, all’Università Cattolica, alla presenza dei responsabili nazionali, di esperti, studiosi, operatori dei consultori. Il titolo, “Il futuro nelle nostre radici. Quarantesimo anniversario, 1978-2018”, sintetizza l’urgenza di rilanciare forza ideativa e capacità progettuale, differenziando in modo innovativo i servizi alla famiglia, attingendo certamente da un’esperienza e una professionalità di prim’ordine, ma anche dalle indicazioni emerse in Amoris laetitia per le famiglie di oggi.
«Dobbiamo rassicurare le famiglie, stare accanto a loro, rappresentare un approdo sicuro per tutte le necessità, piccole e grandi. Mai come oggi i nuclei familiari – riprende don Algeri – avvertono il peso della solitudine. I consultori devono invece far sentire la presenza di un tessuto sociale ed ecclesiale». Un sostegno che deve manifestarsi anche nella vicinanza e nell’aiuto al “far famiglia”, quella progettualità che anche le coppie più giovani continuano a sognare ma che sempre più spesso è difficile da concretizzare. «Ricominciamo allora dalla grammatica delle relazioni, torniamo ad accompagnare i giovani, a far loro comprendere – prosegue il presidente della Confederazione dei consultori – che le comunicazioni nella coppia sono linfa preziosa per il futuro. Molte crisi nascono da una cattiva comunicazione, in cui prevalgono le “cose da fare” rispetto a quelle che “danno senso” alle relazioni».
E infine c’è il grande problema di rifondare la solidarietà tra le generazioni. «Offrire ai più giovani la possibilità di sviluppare un progetto familiare anche grazie all’esperienza dei più anziani – osserva ancora don Algeri, che è anche psicologo e responsabile dell’Ufficio di pastorale familiare della diocesi di Bergamo – vuol dire non trascurare neppure la cura di quegli aspetti concreti, casa, lavoro, sostegni materiali, che sono comunque irrinunciabili per avviare una famiglia. Certo, sono realtà che devono essere comunque innestate nella “qualità” del rapporto di coppia, nella bellezza della differenza di genere, nella capacità di mettere a fuoco il senso profondo della relazione Ecco la grande sfida dei consultori è proprio quella di tenere insieme sapienza e profezia». Un impegno che nelle decine e decine di centri per la famiglia, disseminati da Nord a Sud, si è concretizzata nella possibilità di offrire assistenza a quasi un milione di persone solo lo scorso anno – 256mila in Lombardia – con una gamma di interventi che coprono sia l’area socio-psico-pedagogica, sia quella ostetrico-ginecologica, sia infine quella che riguarda la prevenzione alla salute. Ora si tratta di estendere il modello lombardo in tutte le altre regioni.
Luciano Moia Avvenire 14 aprile 2018
www.avvenire.it/attualita/pagine/i-40-anni-dei-consultori-ma-cosa-fanno-e-cosa-possono-fare
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CONSULTORI FAMILIARI UCIPEM
Attualità della intuizione geniale di un prete siciliano a Milano
Il consultorio familiare rientra a buon diritto tra i lasciti più preziosi che il secolo ventesimo ha fatto al secolo ventunesimo. Il secolo passato è ricco di pronunciamenti in ambito civile, giuridico ed ecclesiale, di una ricchezza mai registrata prima. Accanto ai pronunciamenti c’è stata però la fioritura di una realtà pratica nata in tempi difficilissimi e altamente provati, quali furono gli anni della seconda guerra mondiale e del dopoguerra, che aveva messo sotto scacco la vita stessa della famiglia. Quella realtà pratica di servizio integrato alle famiglie sono i consultori familiari.
Oggi possiamo registrare l’attualità dell’intuizione di don Paolo Liggeri di assistere le famiglie nel pieno del 1943, intuizione dalla quale presero l’avvio tutti gli odierni consultori familiari.
I consultori, infatti, continuano ad essere la risposta operativa alle domande di sostegno ed aiuto provenienti dalla famiglia nelle manifestazioni, diversificazioni e ramificazioni dovute alla sua vitalità affettivo-relazionale. La nascita costante di nuovi consultori è la prova della loro necessità e della presenza di richieste sempre più pressanti e variegate nei contesti vivi, articolati ed al contempo problematici, sia civili che ecclesiali, dei nostri territori. I consultori familiari d’ispirazione cristiana sono spesso espressione del volontariato partecipativo presente nei tessuti aggregativi delle comunità territoriali. Tale volontariato, attento a leggere la famiglia, ne coglie le necessità e si attiva a dare una risposta professionale e qualificata d’intervento in tutte le declinazioni relazionali attuali e situazionali del familiare, senza muri, senza barriere, senza distinzione di stato di vita di cultura, religione, seppure con attenzione e rispetto verso queste. Impegno, pertanto, di attenzione e supporto per la famiglia umana, semplicemente tale, nelle sue componenti personali e generazionali, nel suo complesso vitale interno e nella sua complessità concreta e palpitante con la società con la quale variamente interagisce.
Perché tante sono le ricchezze e tante sono le fragilità di noi che viviamo in famiglia e che vogliamo solamente portare a compimento il sogno tutto umano di realizzare noi stessi mentre collaboriamo alla realizzazione di coloro che ci sono vicini affettivamente e con i quali ci impegniamo a costruire un progetto di vita. Vicini così tanto fino a diventare ed essere intimi, come coppia, come genitori, come figli, come famiglia nella possibilità tangibile, spirituale e corporea, di vivere la costellazione delle sue relazioni, nella luminosità, nei chiaroscuri, nelle potenzialità e nelle difficoltà che le possano caratterizzare. Il tutto nel prezioso momento che passa e nel tempo che permane, altrettanto prezioso, sempre. Tutto il tempo infatti è dono prezioso. Perché in questo tempo prende forma il compimento di quel sogno, che spesso viviamo spontaneamente, che diamo per scontato; ma nella cui realizzazione talvolta possiamo trovarci in difficoltà, perciò ci fa star male, ci fa soffrire e fa soffrire gli altri, in tante forme, soprattutto i nostri intimi, dai più piccini ai più anziani.
L’ispirazione cristiana di volontariato e di professionalità qualificata in un impegno profondamente umano fa dei consultori un luogo e uno strumento privilegiato di prossimità e immedesimazione nell’avventura storica riservata all’uomo e alla donna e, contestualmente, ne fa un’espressione concreta e pubblica della Chiesa che agisce, che sa rimboccarsi le maniche, partecipare delle gioie proprie delle relazioni affettive e dei dolori che ti mettono alla prova, dei problemi e difficoltà che le lacerano e che, rinascendo da sentimenti talvolta di morte o ricostruendo dalle macerie, sono fonte di più intime gioie e di gratitudine alla vita. Pertanto, tra le molte manifestazioni di prossimità della Chiesa alle donne ed agli uomini di oggi in Italia possiamo ben annoverare l’attività dei consultori familiari d’ispirazione cristiana. Essi sono una dimostrazione pratica dell’agire sollecito della Chiesa e dell’impegno dei cristiani nel sociale, più specificatamente nel familiare.
Il consultorio familiare, in quanto tale, è allora il luogo-comunità che sa accogliere, sa aprire le porte e le braccia, fa sentire che le pareti della casa interiore che ti porti dentro sono ancora intatte o puoi ricostruirle, se lesionate e persino diroccate, per accogliere il tuo cuore infranto o soltanto stanco. Per accogliere anche la tua mente, che quando si tratta di questioni di famiglia batte all’unisono col cuore. Consultorio comunità di persone esperte nel coniugare il verbo ascoltare. Le parole, il tono di voce, le inflessioni dettate dell’emozionarsi, fino a piangere o gridare a se stessi, all’altro, al mondo.
Esperte dell’ascoltare e del vedere, nei tanti modi di guardare degli occhi, di compiere gesti, di protendersi del corpo e di comunicare dell’anima. Comunicare dell’anima. Non soltanto della mente che cerca chiarezza, luce, verità, ma anche del cuore che respira affetti, emozioni, bontà, e dello spirito che insegue inquietudini, stupori, bellezze. Esperte nel guardare e far guardare la vita nel mistero della propria esistenza. Opera di discernimento si dice oggi. Per accompagnare. Accompagnare mentre si legge nella storia della persona e del suo mondo. Che non è soltanto sguardo all’indietro ma lettura del presente alla luce del futuro possibile. Che è presa di coscienza del frammento attuale, che forse è anche frangente drammatico della vita personale, ma che può essere simile al solco iniziale che apre il terreno da arare e seminare per nuovi germogli e nuovi raccolti, in una storia rinnovata o rivitalizzata.
Allora l’aiutare nell’accogliere fin dal primo relazionarsi, il dialogare nell’ascoltare, l’orientare nel guardare, strutturano e danno forma al collaborare con la persona, la coppia, la famiglia, restituendo loro l’essere protagonisti della verità, della bontà e della bellezza inscritta nel loro dire, amare e fare, verbi permanenti dell’essere da coniugare nell’esistere quotidiano, lieto, faticoso, doloroso, spesso mortificante, ma anche risorgivo.
Tutto allora, piano, con rispetto, con pazienza, attenzione, reciproca intesa, fiducia, affidamento, con apertura all’attesa ed alla speranza, prende le sembianze del cammino fatto insieme, del sinodo autentico, che è scambio partecipato ed intrecciato di esperienze di vita. Esperienze professionali dello specialista consultoriale. Esperienze di senso, di aneliti, di combattimenti, di lacerazioni che trapassano la vita della persona che bussa alla porta del consultorio. Consultorio, dunque, come luogo e comunità sinodale.
In questi tempi, tra il Sinodo straordinario e il Sinodo ordinario della famiglia, celebrati dalla Chiesa, e il Sinodo dei giovani di imminente celebrazione nell’autunno di quest’anno, la parola sinodo è divenuta quasi comune e di comprensione immediata, soprattutto in alcuni ambienti. Essa si addice molto bene all’agire del consultorio familiare, il cui saper fare dei vari specialisti confluisce nel confronto di discernimento dell’equipe che studia, valuta ed orienta verso il meglio per la persona che ha richiesto il suo aiuto e la sua collaborazione. Un meglio non statico, ma dinamico, poiché la conoscenza, l’intesa ed il rispetto tra i professionisti del consultorio sa inviare e accompagnare ad altro specialista di altra area una particolare problematica che si presenti nel percorso compiuto con la persona o con la coppia, oppure aprirsi e proporre ad una conduzione condivisa tra colleghi, nella consulenza individuale, di coppia o familiare.
Guardando ancora dentro l’equipe consultoriale, che potremmo definire operatore principe del consultorio, possiamo scorgere che tale metodologia è mutuata dalla famiglia. Sotto questo aspetto l’attributo familiare del consultorio non deriva ad esso soltanto dalla famiglia in quanto oggetto della sua attenzione, ma anche dallo stile di questa. La famiglia, infatti, ha come modo, aspirazione e scopo il camminare insieme, all’unisono, verso il progetto prefigurato da costruire, ancora una volta, insieme, per il bene dei singoli, della sua compagine e della società.
Agire sinodale del consultorio come equipe, agire sinodale del consulente e dell’utente insieme (singolo, coppia, famiglia), agire sinodale della famiglia nel suo interno, affinché ciascuno possa condurre a compimento la propria sinodalità personale verso il perfezionamento del sé nella dimensione soggetto-comunità. Lo specialista di consultorio familiare in tutto questo è l’umile collaboratore per eccellenza nella realizzazione di un progetto di vita seconda la dimensione familiare della persona.
Di questa sinodalità di scopo sono partecipi, sebbene in modi diversi o formalmente lontani, anche quegli enti, istituzioni, associazioni, che promuovono e sostengono i consultori familiari o affidano loro attività e servizi, convinti delle professionalità e delle specializzazioni che essi mettono in campo.
Altra idea-prassi dei consultori d’ispirazione cristiana mutuata dalla famiglia, dal suo dinamismo e dalla sua storia è la plasticità. Questa proprietà fa sì che il consultorio adegui i suoi servizi non soltanto alla persona, alla coppia ed al gruppo famiglia che via via accoglie ed accompagna nel frangente di cui si fa carico e si prende cura, ma lungo il suo operare adegua i servizi all’evoluzione delle situazioni che la famiglia ed i suoi componenti affrontano. Così, soltanto per esempio, dall’attenzione privilegiata iniziale alla coppia, oggi, pur continuando a coltivare questa, ci si adopera a favore dei figli dei separati con l’attività dei Gruppi di parola e, ancor più di recente, nella collaborazione nei casi di nullità matrimoniale. Questa plasticità è coadiuvata dalla stessa lettura della problematica familiare che il consultorio conduce al suoi interno, che lo conduce a prevedere bisogni e aspettative e, di rimando, mette in campo attività e metodi di risposte adeguate, secondo il principio della appropriatezza.
La ricerca dell’appropriatezza della risposta ad una domanda ci riporta all’idea iniziale, semplice e pratica, dalla quale sono scaturiti i consultori familiari: aiutare le famiglie in difficoltà, idea-prassi di Don Paolo Liggieri in una Milano piena di sfollati a causa di una guerra mondiale che aveva fatto del genocidio una delle armi ideologiche e pratiche strutturalmente più potenti ed umanamente più devastanti. Genocidio è sopprimere uomini, donne, bambini in forma brutalmente sistematica, sì da annientare la cultura, i valori e il principio stesso da cui nasce un popolo: la famiglia. Le leggi razziali, in ultima analisi, puntavano al cuore della famiglia, alla sua stessa ragion d’essere, al suo principio generativo, senza sconti. Chi lavorava per le famiglie andava contro il sistema di quelle leggi e don Liggieri ne pagò le conseguenze nei campi di concentramento.
Conobbe San Vittore, Fossoli, Mauthausen, Dachau. All’ideologia ed alle pratiche di morte si opponevano i valori e la pratica della vita. Alla devastazione delle generazioni si opponeva l’affermazione della grandezza degli affetti, ambiente ideale per nascere e crescere. La genuinità di quell’idea si diffuse ed è attiva fino ai giorni nostri, essendo i consultori figli di quell’idea che difendeva la genuinità primigenia della famiglia, che purtroppo ancora oggi, in molte parti e forme, vediamo oggetto di offesa, vilipendio, strumentalizzazione, profanazione, schiavizzazione, nei suoi componenti e di distruzione nel suo complesso. Vedi prostituzione, bambini e bambine soldato, pedofilia, vendite di organi, emigrazioni violente, guerre in atto. Violenze delle cui conseguenze non pochi dei nostri consultori si fanno anche carico in quello che possono.
Viviamo “Non un’epoca di cambiamento, ma un cambiamento d’epoca”: così Papa Francesco. Salvaguardare, promuovere, far risplendere la genuinità della famiglia, prendersi cura di essa, facendosi prossimo ad essa, curandone le ferite ed alleviandone le sofferenze per quanto possibile, significa concorrere positivamente a questo cambiamento di epoca, andando alla fonte dell’origine e della formazione dei soggetti della Storia, affidata fin dal principio all’uomo e alla donna ed alla loro comune responsabilità, nello stupore della creazione e della redenzione, nelle quali la vita ha sempre la meglio sulla morte, pur se le apparenze danno a questa la vittoria.
Nell’attualità del nostro mondo mediato da Web, Facebook, Instagram, Twitter e via cliccando, anche essi segni e fattori nel cambiamento di epoca, stabilire relazioni immediate con gli occhi che cercano, si soffermano e si adagiano su altri occhi, leggono e penetrano altri occhi, stabilire relazioni immediate con le parole che incrociano sfumature di parole nei toni e nel vocabolario, accompagnare la gestazione e la gestione degli affetti, cercare la possibile soluzione dei conflitti legati a quegli affetti, gioire con i sorrisi nati dal dolore e dal pianto, con chi si apre alla fiducia in se stesso ed alla speranza, condurre alla riscoperta della comprensione di sé, del perdono per sé e per gli altri, è contribuire a fare un mondo migliore.
E questo si compie anche nel consultorio familiare. Luogo-comunità dove spesso la famiglia arriva ferita dalle sue stesse relazioni mal gestite, dalla società sorda ai suoi bisogni, dagli eventi dolorosi della vita, dagli egoismi accentratori, dalla mancata presa di coscienza adeguata dei propri bisogni, dalla difficoltà di fruire di una visione congruente con la realtà propria e circostante. Consultorio luogo-comunità dove la persona trova l’opportunità di cercare non soltanto chi è nella situazione vissuta e perché si trova in essa, ma può anche trovare durante il cammino, forse soggetto a sconforto e delusione, la possibilità di ritrovare o di rinnovare il motivo ispiratore della propria vita e, soprattutto, per chi è, termine ultimo della sua dimensione e aspirazione familiare, affettiva, ideale, sociale.
Pantaleo Nestola CFC 13 aprile 2018
Roma1 – via della Pigna. Seminario su La resilienza
La resilienza è stata definita recentemente come la capacità di fronteggiare le difficoltà, di assumere un atteggiamento ottimistico di fronte alla vita e accogliere i momenti di crisi come delle opportunità di crescita. Tale atteggiamento, pur essendo innato, può essere bloccato o sviluppato. Il seminario si propone di lavorare su di sé per riappropriarsi della propria resilienza a livello cognitivo, con una corretta auto-osservazione e con l’analisi di come essa si è andata nascondendo o manifestando nel corso della propria vita. Questa riscoperta porterà ad una maggiore creatività e positività di fronte agli ostacoli e alle sofferenze che la vita inevitabilmente reca con sé.
Il Seminario si rivolge a tutte le persone che desiderano avvicinarsi a questo argomento e sono disposte a compiere un lavoro su sé stesse. Oltre alle spiegazioni necessarie per approfondire l’argomento proposto, ci saranno degli esercizi di autoconoscenza in relazione alla propria resilienza. L’esperienza è aperta a ogni tipo di persona, età e condizione.
Il Seminario prevede 5 incontri a cadenza quindicinale il giovedì, dalle 16.30 alle 19.30, nei seguenti giorni: 3 maggio, 10 maggio, 17 maggio, 31 maggio, 7 giugno
Iscrizioni entro il 30 aprile 2018 – minimo 15 iscritti.
Animerà il Corso/laboratorio la dott.ssa Marzia Pileri, guida di Meditazione Profonda e Autoconoscenza, psicoterapeuta di training Autogeno e psicoterapie brevi autogene, consulente familiare.
Per iscrizioni/informazioni
www.centrolafamiglia.org/wp-content/uploads/2018/04/2018-Seminario-resilienza-A5.pdf
www.centrolafamiglia.org/seminario-la-resilienza
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CONVIVENZA
Come funziona quella di fatto
La convivenza di fatto indica, forse, più di ogni altra espressione la precarietà dei giovani e l’inversione di tendenza di chi si accinge a costruire una famiglia. Niente più matrimoni sfarzosi preambolo di una vita idilliaca e neanche più unioni civili. Dagli anni 2000 si parla di nucleo familiare anche in assenza di un vincolo legale.
Sapresti dire che cosa è la convivenza di fatto e come funziona? Questo è il nocciolo dell’articolo: definire che cosa si intenda nel nostro ordinamento giuridico per convivenza di fatto e soprattutto spiegare al lettore, poco avvezzo al diritto, come essa funzioni in concreto, quali siano i comportamenti da tenere e come risolvere eventuali problemi insorti o che possono insorgere.
Intanto cerchiamo di rispondere alla domanda come funziona la convivenza di fatto. Viene definita «di fatto» la convivenza tra “due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile”. (Legge Cirinnà).
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Quali sono le radici della convivenza di fatto? Per semplificare la comprensione del testo e degli articoli che vengono prodotti sull’argomento della convivenza di fatto ricordiamo al lettore che questa viene frequentemente definita anche attraverso il ricorso all’espressione latina di “convivenza more uxorio” perifrasi analoga a quella che utilizziamo oggi, che richiama il mondo del diritto romano, dove questa tipologia di convivenza era già presente e conosciuta. Quindi possiamo sicuramente affermare che la convivenza di fatto ha radici molto antiche e nasce all’interno di una realtà, per certi versi, diversa da quella attuale. Oggi i casi di convivenza di fatto, potremmo dire, sono all’ordine del giorno, essendosi registrata una forte diminuzione dell’unione di persone nel vincolo del matrimonio. Proprio per questo si è avvertita l’esigenza di offrire una regolamentazione ad un rapporto che non trovava disciplina puntuale in nessuna norma italiana. Tuttavia la questione non è stata semplice da risolvere e sulla stessa si è sviluppato un acceso dibattito che ha dato vita ad un lungo iter legislativo, innovando il tema del diritto di famiglia.
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Qual è la legge che disciplina la convivenza di fatto?Nel 2016, finalmente, a seguito di ripetute richieste e lamentele da parte dell’opinione pubblica il Parlamento emana la c.d. “Legge Cirinnà” che si occupa proprio della necessità di regolamentare rapporti stabili tra persone non sposate. Il lettore che voglia comprendere a fondo la disciplina su questa sorta di vincolo molto diffuso nel nostro secolo, pertanto, dovrà spendersi nella lettura della succitata legge della quale cercheremo di tracciare delle linee precise e definite.
Legge 20 maggio 2016, n. 76. Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze. (16G00082) (GU Serie Generale n.118 del 21-05-2016) in vigore dal: 05/06/2016
www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2016/05/21/16G00082/sg
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Quando due persone possono essere definite conviventi di fatto? Requisito fondamentale è la maggiore età. Due persone che si frequentano stabilmente, ancorché fidanzate, possono essere considerate conviventi more uxorio? La risposta è sì se c’è coabitazione, no se ognuno vive nella propria casa. Tuttavia la legge richiede anche un qualcosa in più. Due persone che semplicemente coabitano non possono dirsi legate da una convivenza legalmente riconosciuta. Ad esempio due studenti universitari che vivano nella stessa casa non sono conviventi di fatto. La legge richiede che gli individui maggiorenni coabitino e siano uniti da uno stabile vincolo affettivo di coppia (senza distinzioni di sesso). Il vincolo deve essere poi caratterizzato da una reciproca assistenza morale e materiale. Non deve sussistere legame di parentela.
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Che cosa si intende per coabitazione? Letteralmente per coabitazione si intende il fatto che si viva nello stesso alloggio, pertanto i due soggetti devono avere dimora nello stesso Comune. Il dato non è espressamente indicato dalla norma ma si ricava implicitamente dalla lettura della disciplina sul tema dell’iscrizione all’anagrafe.
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Che cosa si intende per coppia? La coppia può essere formata indistintamente da persone di diverso sesso o dello stesso sesso (uomo-donna, donna-donna, uomo-uomo).
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Casi di coabitazione e legami di parentela che escludono la convivenza di fatto. Poniamo il caso di una coppia stabilmente convivente. Se ad esempio uno dei due individui od entrambi sono legati da pregressi rapporti di matrimonio od unione civile è escluso il riconoscimento dello status di conviventi di fatto. La coppia di conviventi deve trovarsi in quello che viene tradizionalmente definito stato libero.Per comprendere meglio facciamo un esempio: pensiamo a Tizio, che separato, inizia a convivere con la nuova compagna Mevia in questo caso non si potrà parlare di convivenza legalmente riconosciuta perché Tizio non si trova nello stato libero. Se Tizio ha divorziato dalla precedente moglie ed inizia una convivenza con Mevia questa può dirsi legalmente riconosciuta? La risposta è, in tal caso, affermativa perché il precedente vincolo è cessato. Altro aspetto da considerare è quello dei legami di parentela. Il nonno che conviva col nipote, la zia che conviva con il nipote, il fratello che coabiti con la sorella escludono la possibilità di parlare di convivenza di fatto. La coppia che può essere riconosciuta come legalmente convivente deve essere formata da persone che non siano legate da rapporti di parentela.
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Che cosa significa assistenza morale e materiale? In questo caso l’espressione indica un requisito già conosciuto dal codice civile italiano da prima della legge del 2016 previsto dall’articolo 143 ed in parte applicabile anche all’ipotesi in esame. L’assistenza morale si riferisce all’impegno spirituale di comprensione e rispetto reciproco. L’assistenza materiale indica la possibilità del coniuge di pretendere la ripartizione degli oneri familiari di cui si è fatto carico.
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Che cosa si intende per iscrizione all’anagrafe? La coppia che presenti tutti i suddetti requisiti e che voglia risultare stabilmente convivente presenta all’ufficio anagrafe del Comune di residenza una dichiarazione nella quale attesta di coabitare e dimorare nello stesso Comune. La dichiarazione può essere resa innanzi all’ufficiale dell’anagrafe oppure inviata telematicamente o per fax. Attraverso la dichiarazione la coppia viene riconosciuta legalmente e costituisce a tutti gli effetti una famiglia con la conseguente possibilità di ottenere il certificato dello stato di famiglia attestante la loro ufficiale convivenza.
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Accertamento della convivenza. La legge Cirinnà parla anche di accertamento della convivenza che secondo l’orientamento dominante avverrebbe proprio attraverso l’iscrizione all’anagrafe.
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Quali sono i diritti spettanti ai conviventi di fatto? La risposta a questa domanda ci permette di avere un quadro completo per capire cosa sia davvero la convivenza di fatto ma soprattutto quali siano in concreto i vantaggi di un simile riconoscimento e le differenze con l’istituto del matrimonio o dell’unione civile.
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Possibilità di visitare il partner in carcere;
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Possibilità di visita, assistenza, accesso alle informazioni personali del partner in caso di malattia o ricovero del partner;
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La possibilità per ciascun componente della coppia di designare l’altro come legittimo rappresentante con poteri pieni in caso di malattia o morte. Designazione da effettuarsi obbligatoriamente in forma scritta ed autografata o alla presenza di un testimone;
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Nel caso di morte del proprietario dell’abitazione comune il convivente superstite può continuare a viverci per un periodo di due anni,
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Pari alla convivenza se superiore a due anni (mai più di sei anni); il diritto di abitazione è aumentato a tre anni se c’è un figlio minore o disabile;
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Nei casi di morte del conduttore o di suo recesso dal contratto di locazione della casa di comune residenza, il suo/la sua convivente ha la
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Facoltà di succedergli nel contratto (comma 44);
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Il partner può essere nominato tutore, curatore o amministratore di sostegno
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Nel caso in cui il convivente venga interdetto, inabilitato o dichiarato beneficiario di amministrazione di sostegno;
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Lo stesso diritto al risarcimento del danno spettante al coniuge in caso di decesso spetta al convivente di fatto;
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Applicazione delle norme in tema di partecipazione alla gestione e agli utili dell’impresa famigliare;
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Possibilità per il giudice di stabilire il diritto del convivente a ricevere
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Gli alimenti dall’altro in caso di cessazione del rapporto quando si provi che lo stesso non sia in grado di provvedere al suo mantenimento o versi in stato di bisogno.
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I figli nati fuori dal matrimonio o da unione civile ma in una convivenza di fatto che tutele hanno? In questo caso è fondamentale che i figli nati da persone di sesso diverso vengano riconosciuti dai genitori che si dichiarano, appunto, padre o madre degli stessi. Il riconoscimento è presupposto sufficiente e necessario perché possa applicarsi in toto la disciplina della filiazione. Effettuato questo atto non ci saranno differenze tra figli nati dal matrimonio oppure all’interno di una convivenza di fatto ed i genitori, al pari di quelli sposati, diventano titolari nei loro confronti di diritti e doveri. In questo campo il diritto dal 2005 circa ad oggi ha fatto passi da gigante eliminando le differenze normative che vigevano in materia. Sono state ad esempio eliminate le discriminazioni in tema successorio o le diversità per quel che riguarda la disciplina processuale.
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Cosa accade in caso di separazione dei conviventi di fatto e quali sono le regole per il mantenimento dei figli? Se è vero che la legge Cirinnà nel caso di separazione di conviventi di fatto non prevede uno specifico obbligo al mantenimento del convivente debole ma un mero diritto agli alimenti, al contempo, è molto precisa per quanto riguarda il tema del mantenimento dei figli nati fuori dal matrimonio ma in una convivenza more uxorio. Ciascun genitore deve provvedere al mantenimento dei figli in misura proporzionale alle proprie capacità reddituali ed economiche. Nel determinare il mantenimento il giudice deve tenere conto del tenore di vita che il figlio aveva quando la coppia era convivente, comparate le condizioni di ciascuno dei coniugi deciderà quale tra i due è tenuto alla corresponsione dell’assegno di mantenimento.
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Se i conviventi di fatto si separano a chi vengono affidati i figli? La totale parificazione dei figli naturali ai figli legittimi comporta l’applicazione delle norme previste per la disciplina dell’affido condiviso con l’applicazione del principio di bigenitorialità. Per garantire al figlio un sano equilibrio psico-fisico la legge stabilisce, solitamente, la collocazione fisica dello stesso presso l’abitazione del genitore maggiormente in grado di fornire cure, assistenza e presenza. Anche se, va precisato, che non sono mancate decisioni in cui le Corti si sono pronunciate a favore del pernottamento presso il genitore non-collocatario, che di norma è secondo il diritto vigente, ancora il padre. Può un genitore rinunciare all’affido basato sul meccanismo della bigenitorialità? La risposta è da intendersi in senso negativo in quanto trattasi di un diritto del fanciullo e non dei genitori pertanto l’affido condiviso non è negoziabile.
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Quando una coppia di fatto decide di separarsi deve necessariamente rivolgersi al Tribunale? Sicuramente no, si tratta però di una strada percorribile quando si vuole essere sicuri di ottenere maggiori tutele. La scelta di ricorrere al Tribunale può risultare particolarmente indicata soprattutto nel caso in cui la coppia abbia dei figli; questo perché gli effetti di una scrittura privata non sono vincolanti alla stessa stregua di un provvedimento del giudice. Se i genitori riescono a raggiungere pacificamente un accordo circa l’affido e il mantenimento dei figli il problema è presto risolto, ma nella prassi le circostanze sono diverse e solitamente più burrascose. In tali circostanze è perciò consigliabile ricorrere all’esperienza e alla mediazione del giudice. Per fare ciò sarà sufficiente rivolgersi al legale di fiducia o farsene consigliare uno e depositare un ricorso al giudice nel quale esplicare le condizioni di affidamento e mantenimento.
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Casi e consigli pratici. Aldilà della delicata tematica dei figli nati fuori dal matrimonio, l’argomento in esame è estremamente vasto e pone spesso degli interrogativi di carattere pratico cui può sembrare complesso trovare una risposta. Quanti di voi conviventi di fatto si sono trovati nella situazione di capire come comportarsi dopo aver acquistato insieme un qualcosa?
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Se i conviventi durante la convivenza acquistano insieme un bene si ha contitolarità della cosa perché la stessa risulta dall’atto di acquisto, perciò il bene è di proprietà comune, e si applicheranno le norme previste sul tema dal codice civile. In caso di beni immobili è indispensabile un’intestazione formale ai due conviventi nel contratto di acquisto, nel caso di beni mobili invece la comproprietà può desumersi dall’esame delle circostanze in cui è maturato l’acquisto.
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-Quando invece durante la convivenza i conviventi acquistano normalmente beni destinati a un uso comune, (ad esempio un’automobile, una casa e i relativi arredi o anche altri beni mobili, da una bicicletta a uno strumento finanziario) la proprietà resta del convivente che ha concluso il contratto, anche se l’altro ha contribuito al suo acquisto, a meno che non sia fatta una apposita pattuizione. Non si applicano le norme in tema di comunione legale previste per il matrimonio.
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-Nel caso in cui venga acquistato un immobile durante la convivenza senza intestazione ad entrambi i conviventi la contitolarità può essere riconosciuta solo se si dimostra che vi è stata una donazione indiretta.
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Per quanto riguarda invece ad esempio il conto corrente bancario se i partner non prevedono la cointestazione ma solo la capacità di disporne (la sola firma sul conto) il titolare del conto può escludere l’altro.
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-Se invece, il conto è cointestato essi sono comproprietari in parti uguali delle somme depositate. Se le somme versate appartengono esclusivamente o principalmente ad uno dei contitolari l’altro può disporre delle somme in esso depositate? Sì, proprio perché a monte è stata stabilita una contitolarità.
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Come tutelarsi a seguito della separazione nel caso in cui si subisce estromissione dalla casa da parte dell’altro convivente?
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-Se l’ex convivente subisce l’estromissione violenta o clandestina della casa da parte dell’altro convivente può esercitare nei confronti di quest’ultimo le azioni possessorie (azione di spoglio) anche se non vanta un diritto di proprietà sull’immobile.
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In caso di morte del convivente il partner può ottenere dei permessi lavorativi? Il convivente ha in tali situazioni il diritto di ottenere un congedo lavorativo.
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Nel caso di lavori di ristrutturazione le norme di detrazione fiscale previste per i coniugi sono applicabili ai conviventi di fatto?
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Il diritto alla detrazione dall’imposta lorda prevista per le spese di ristrutturazione di un immobile è previsto parimenti per i coniugi e per i conviventi di fatto ma per ottenere la detrazione la convivenza dev’essere iniziata prima dell’inizio dei lavori; l’onere della prova spetta al contribuente.
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I conviventi di fatto possono adottare? Ai conviventi di fatto è preclusa l’adozione, tranne che in condizioni particolari. Ammessa l’adozione di maggiorenni.
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Nel caso di coppie dello stesso sesso è possibile il solo riconoscimento del figlio del convivente (stepchild adoption).
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E’ ammesso il ricorso alla procreazione assistita? Solo per coppie di individui di sesso diverso. In questo caso il riconoscimento del figlio consegue automaticamente alla pratica e non è più a discrezione dei genitori. E’ vietato il ricorso alla pratica della madre surrogato.
Redazione La legge per tutti 8 aprile 2018
www.laleggepertutti.it/200035_convivenza-di-fatto-come-funziona
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COPPIA
Come costruire un amore duraturo nella coppia?
L’amore duraturo inizia in ogni persona, visto che l’autostima è la base per stabilire relazioni solide e mature che possano durare nel tempo. Quasi tutti cerchiamo una persona che si “incastri” bene con noi per iniziare una storia d’amore duratura, ma come ben sappiamo la questione è più complicata di quello che sembra. Stabilire relazioni sentimentali che durino nel tempo non è facile. Entrano in gioco esperienze e aspetti emotivi, fisici e psicologici complessi che di rado riusciamo a controllare. Anche se pensiamo che si tratti di una questione di fortuna, destino o delle persone che incrociano la nostra strada, la realtà è che tutto inizia dentro di noi.
Ecco alcune chiavi per raggiungere un amore.
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Curare la nostra autostima. Se cerchiamo disperatamente qualcuno che sia sicuro e che ci ami, forse il problema è in noi. In questo caso, la cosa migliore è chiarire la situazione e chiedersi di cosa si ha davvero bisogno prima di prendere decisioni affrettate. Se ci troviamo in una situazione di scarsa autostima, non siamo pronti a un rapporto sano. Al contrario, le persone dotate di autostima non pensano tutto il tempo a trovare qualcuno. Non hanno bisogno di una persona che stia sempre al loro fianco. Lo scelgono, ma non dipendono da questo.
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Non idealizzare l’amore. Il modo in cui vediamo l’amore può essere un altro inconveniente al momento di trovarlo. Esistono molte idee preconcette, pregiudizi e condizionamenti culturali sbagliati su quello che dev’essere un rapporto di coppia.
“Trovare il principe azzurro”, “Sposarsi e vivere per sempre felici e contenti” e il classico “Se mi ami non guarderai nessun altro” sono solo alcune espressioni che evidenziano il problema. La cosa peggiore è quando basiamo la nostra vita emotiva su questi miti. In molti casi, purtroppo, le cose non funzionano in questo modo. Ogni persona ha una prospettiva affettiva unica e diversa. Oltre a questo, la dinamica dei rapporti interpersonali è ben più complessa di una favola.
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Il compagno non è un oggetto. La combinazione tra scarsa autostima e passione culmina quasi sempre nella gelosia. C’è chi tende a pensare che un rapporto serio implichi l’accettazione di tutti i capricci e questo è completamente falso. In realtà, la costruzione di una coppia non implica una situazione di possesso, perché nessun essere umano è una proprietà.
Anche se si vive una relazione, ogni soggetto è un essere libero, autonomo e con il diritto di prendere le proprie decisioni. La gelosia incontrollata ha posto fine a più rapporti di quanto si possa immaginare. L’amore duraturo ha a che vedere con la creazione di consensi e negoziati in cui ogni parte si sente libera, rispettata e amata.
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Assumere la crisi. L’amore duraturo ha varie tappe, e ciò vuol dire che non tutto sarà perfetto. L’attrazione, la passione e la materializzazione del compagno come elementi che definiscono le nostre azioni sono solo un riassunto di tutto ciò che accade tra gli esseri umani che si impegnano. Se chiediamo a chi è riuscito ad avere un rapporto lungo, quella persona confermerà che le crisi sono una parte importante di ogni relazione, perché la forgiano.
Rimanere uniti dopo le crisi rafforza il legame. Per questo, però, le soluzioni non possono basarsi su quello che vuole solo una delle parti. Prima di concentrarci su ciò che vogliamo dalla nostra metà dobbiamo chiederci: “Cosa posso fare io perché tutto migliori?”
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L’amore duraturo è quello che viene alimentato. È facile offrirsi e innamorarsi all’inizio di una relazione essendo influenzati da stati ormonali intensi e illusioni rinnovate che alimentano il nostro spirito. Ciò che è invece difficile è far sì che questa condizione duri col passare degli anni.
Le relazioni durature sono quelle in cui l’affetto viene alimentato nel tempo. Non possiamo porre mai fine alle carezze, ai complimenti, alla comprensione e alle altre dimostrazioni affettive. Dovrebbe essere un piacere, e anche una disciplina. Un altro modo per alimentare l’affetto è imparare a mettersi nei panni dell’altro ed evitare scontri superflui, sostituendo il conflitto con un negoziato attivo.
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Nessuno ha detto che sarebbe stato facile. Avere un rapporto matrimoniale o di fidanzamento duraturo con qualcuno non è semplice. Bisogna capirsi in una serie di questioni vitali: psicologiche, emotive, spirituali, morali, sessuali e sociali. Ciò non significa che sia impossibile, e ci sono buone possibilità quando compiamo i nostri sforzi migliori al fianco di un candidato con cui abbiamo affinità importanti.
Dopo di ciò, bisognerà comprendere le differenze e continuare a costruire.
Aleteia Melhor com Saúde 13 aprile 2018
Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti
https://it.aleteia.org/2018/04/13/come-costruire-amore-duraturo-nella-coppia/?utm_campaign=NL_it&utm_source=daily_newsletter&utm_medium=mail&utm_content=NL_it
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DALLA NAVATA
3° Domenica di Pasqua. – Anno B – 15 aprile 2018
Atti 03, 15 Avete ucciso l’autore della vita, ma Dio l’ha risuscitato dai morti: noi ne siamo stati testimoni.
Salmo 04, 09 In pace mi corico e subito mi addormento, perché tu solo, Signore, fiducioso mi fai riposare.
1Giovanni 02, 02 E’ lui la vittima d’espiazione per i nostri peccati; non soltanto per i nostri, ma anche per quelli di tutto il mondo.
Luca 24, 36 Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!».
Credere nella parola. Commento di Enzo Bianchi, priore emerito nel convento di Bose (BI)
Il vangelo di questa domenica racconta un altro evento, dopo la visita all’alba delle donne alla tomba vuota (cf. Lc 24,1-11), la corsa di Pietro al sepolcro (cf. Lc 24,12), la manifestazione del Risorto “come un forestiero” (Lc 24,18) ai due discepoli in cammino verso Emmaus (cf. Lc 24,13-35).
Sempre nel medesimo giorno, “il primo della settimana” (Lc 24,1), il giorno unico della resurrezione, ma alla sera, i due discepoli tornati a Gerusalemme sono nella camera alta (cf. Lc 22,12; Mc 14,15), a raccontare agli Undici e agli altri “come hanno riconosciuto Gesù nello spezzare il pane” (cf. Lc 24,25). Ed ecco che, improvvisamente, si accorgono che Gesù è in mezzo a loro e fa udire la sua parola: “Pace a voi!”. Non consegna loro parole di rimprovero per la loro fuga al momento del suo arresto, non redarguisce Pietro per il rinnegamento, non dice nulla sul fatto che essi non sono più Dodici, come li aveva chiamati e costituiti in comunità (cf. Lc 6,13; 9,1), ma solo Undici, perché il traditore se n’è andato. No, dice loro: “Shalom ‘aleikhem! Pace a voi!”, saluto abituale per i giudei, ma che quella sera risuona con una forza particolare. Questo saluto, rivolto ai discepoli profondamente scossi e turbati dagli eventi della passione e morte di Gesù, significa innanzitutto: “Non abbiate paura!”.
La resurrezione ha radicalmente trasformato Gesù, l’ha trasfigurato, reso “altro” nell’aspetto, perché egli ormai “è entrato nella sua gloria” (cf. Lc 24,26), e può solo essere riconosciuto dai discepoli attraverso un atto di fede. Quest’atto di fede è difficile, faticoso: gli Undici stentano a viverlo, a metterlo in pratica… Non a caso Luca annota che i discepoli “sconvolti e pieni di paura, credono di vedere uno spirito”, allo stesso modo con cui i discepoli sul cammino di Emmaus credevano di vedere un pellegrino. Allora Gesù li interroga: “Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; uno spirito non ha carne e ossa, come vedete che io ho”. Nel dire questo, mostra loro le mani e i piedi con i segni della crocifissione. Sì, il Risorto non è altro che colui che è stato crocifisso! Questa ostensione da parte di Gesù delle sue mani e dei suoi piedi trafitti per la crocifissione è un gesto che chiede ai suoi discepoli di incontrarlo innanzitutto nei segni della sofferenza, del patire e del morire. La carne piagata di Cristo è la carne piagata dell’umanità, è la carne del povero, dell’affamato, del malato, dell’oppresso, della vittima dell’ingiustizia della violenza! Senza questo incontro realissimo con la carne dei sofferenti, non si incontra Cristo, e la stessa resurrezione resta un mito.
Eppure, nonostante queste parole e questo gesto, i discepoli non arrivano a credere, malgrado un’emozione gioiosa non giungono alla fede. È vero, noi esseri umani approdiamo facilmente alla religione, ma difficilmente arriviamo alla fede; viviamo facilmente emozioni “sacre” o religiose, ma difficilmente aderiamo a Gesù Cristo e alla sua parola. Nella comunità degli Undici dobbiamo leggere la vicenda delle nostre comunità, nelle quali si vive la fede e la si confessa, ma si manifesta anche l’incredulità. Eppure il Risorto ha grande pazienza, per questo offre alla sua comunità una seconda parola e un secondo gesto. Chiede loro se hanno qualcosa da mangiare, ed essi gli offrono del pesce arrostito, il cibo che abitualmente mangiavano insieme, quando vivevano l’avventura della vita comune in Galilea. Ricevutolo, Gesù lo mangia davanti a loro! Noi siamo persino stupiti di fronte a questi gesti di Gesù, ma stiamo attenti: sono solo “segni” per dire che la resurrezione di Gesù non è immortalità dell’anima e perdita totale del corpo, non è “la continuazione della sua causa” anche se egli è morto, non è una memoria che si conserva senza che colui che è morto sia veramente vivente. Gesù dà ai discepoli questi segni, che in verità contengono verità indicibili, affinché credano che il Crocifisso ha vinto realmente la morte. Il suo corpo crocifisso è un corpo ora vivente, “un corpo spirituale” (1Cor 15,44), cioè vivente nello Spirito, dirà l’Apostolo Paolo.
Luca stesso scriverà all’inizio degli Atti degli apostoli che Gesù “si presentò viventi ai suoi discepoli con molte prove” (At 1,3), che non sembravano però sufficienti per condurli alla fede. Infatti i discepoli restano in silenzio, muti! Allora Gesù, per renderli finalmente credenti, riprende la sua predicazione, l’annuncio del Vangelo da lui fatto fino alla morte. Chiede di ricordare le parole dette mentre era con loro, perché quelle parole erano profezia e parola di Dio che si doveva avverare, così come doveva trovare compimento tutto ciò che era stato scritto su di lui, il Messia, nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi, cioè nelle sante Scritture dell’antica alleanza. Ed ecco che, mentre il Risorto ricorda e spiega la parola di Dio contenuta nelle sante Scritture, opera il vero miracolo: “aprì loro la mente (diénoixen autôn tòn noûn) per comprendere le Scritture”.
Il verbo qui utilizzato (dianoígo) nei vangeli ha sempre un senso terapeutico: designa l’apertura degli orecchi dei sordi e della bocca dei muti (cf. Mc 7,34), degli occhi ai ciechi (cf. Lc 24,31). Qui indica l’operazione compiuta nella potenza dello Spirito santo, l’apertura della mente alla comprensione delle Scritture. I discepoli, così “aperti”, possono ora credere e quindi essere costituiti testimoni della resurrezione di Gesù. Gesù si fa insieme a loro esegeta, interprete delle profezie che lo riguardavano, ricorda anche le sue parole consegnate durante la predicazione in Galilea, mostrando la necessitas del compimento, della realizzazione nella sua vita nella sua morte. Non aveva forse conversato con Mosè (la Legge) e con Elia (i profeti) proprio su quell’esodo pasquale che doveva compiere a Gerusalemme (cf. Lc 9,30-31)? La fede pasquale scaturisce dalla fede e dalla conoscenza delle sante Scritture, come ancora professiamo nel Credo: “Morì e fu sepolto. Il terzo giorno è risuscitato, secondo le Scritture (cf. 1Cor 15,3-4)” (resurrexit tertia die secundum Scripturas). I discepoli hanno capito che il disegno salvifico di Dio si è compiuto nella passione, morte e resurrezione del Signore, e che questo è il fondamento della fede cristiana, dal quale scaturisce l’annuncio del perdono dei peccati, della misericordia di Dio per tutte le genti della terra: non solo per il popolo di Israele, ma per tutti…
Con tanta fatica Gesù ha reso nuovamente credenti quei discepoli che erano venuti meno durante la sua passione, li ha resi testimoni della sua morte e resurrezione, li ha resi capaci di comprendere cosa sia il perdono dei peccati che essi devono annunciare, in virtù del loro essere stati i primi a ricevere il perdono dal Risorto. C’è un detto di un padre del deserto che mi sembra commentare mirabilmente questa pagina evangelica: “Credere alla parola del Signore è molto più difficile che credere ai miracoli. Ciò che si vede solo con gli occhi del corpo, abbaglia; ciò che si vede con gli occhi della mente che crede, illumina”.
http://www.monasterodibose.it/preghiera/vangelo/12230-credere-parola
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DIVORZIO
Fino a 3 anni di carcere per chi non rispetta l’ordine di allontanamento dalla casa familiare
Con la modifica dell’art. 388 c.p. sono state estese le ipotesi in cui può configurarsi il reato di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice. Il reato di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice, previsto e sanzionato dall’articolo 388 del codice penale, ha assunto di recente una nuova importante fisionomia.
Il decreto legislativo numero 21/2018 infatti, inserendo la modifica di tale norma tra i precetti in materia di tutela della persona, ha esteso le ipotesi in cui scatta la pena in essa prevista.
Nuove condotte sanzionate. Se prima, infatti, il reato si configurava esplicitamente, con riferimento alla famiglia, solo in caso di elusione dell’esecuzione di un provvedimento del giudice civile, concernente l’affidamento di minori o di altre persone incapaci, oggi il suo campo di applicazione è molto più vasto.
La nuova formulazione dell’articolo 388 c.p. prevede, infatti, l’espressa rilevanza penale del comportamento di chi elude “l’ordine di protezione previsto dall’articolo 342-ter del codice civile, ovvero un provvedimento di eguale contenuto assunto nel procedimento di separazione personale dei coniugi o nel procedimento di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio”.
Pena e punibilità. In tutti tali casi, il colpevole rischia quindi di essere condannato alla pena della reclusione fino a tre anni o a quella della multa da 103 a 1.032 euro.
La procedibilità è a querela della persona offesa.
Avv. Valeria Zeppilli Newsletter studio Cataldi 10 aprile 2018
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EUROPA
Unione europea: un milione di “nuovi cittadini”.
“Nel 2016 circa 995mila persone hanno acquisito la nazionalità di uno Stato membro dell’Ue, cifra in aumento rispetto al 2015 (841mila) e al 2014 (889mila)”. Lo rende noto Eurostat, con una studio pubblicato oggi a Bruxelles con gli ultimi dati statistici disponibili.
Il Paese di origine del maggior numero di persone che hanno ottenuto il riconoscimento della nazionalità è il Marocco (101mila cittadini), seguito da Albania (67mila), India (41mila), Pakistan, Turchia, Romania, Ucraina.
Il Paese che ha concesso il maggior numero di cittadinanze è l’Italia (201.591 persone), seguita a lunga distanza da Spagna (150mila), Regno Unito (149mila), Francia (119mila), Germania (112mila), Svezia (61mila).
I romeni (29.700) e i polacchi (19.800) costituiscono i due più grandi gruppi di cittadini Ue che hanno ottenuto la nazionalità di un altro Paese Ue.
Agenzia Servizio informazione religiosa 9 aprile 2018
https://www.agensir.it
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FIGLI
I diritti dei figli carnali e adottivi
A partire dal 2012 non esiste alcuna differenza fra figli carnali ed adottivi. Entrambi sono equiparati dalla legge e godono di una serie di diritti, anche quando il figlio carnale sia nato fuori dal matrimonio.
Il diritto di famiglia ha subito, nel corso degli anni, una lenta trasformazione che è andata di pari passo all’evoluzione degli usi e dei costumi di una società. Qualche anno addietro era facile etichettare categorie di persone, e lo era ancor di più quando si trattava di un figlio. Quest’ultimo, se nato fuori dal matrimonio, non solo era considerato illegittimo, ma godeva di una posizione inferiore rispetto a colui che fosse nato da una coppia sposata. Attualmente la legge [L. n. 219, 10.12.2012] ha eliminato completamente qualsiasi terminologia esistente fra figlio legittimo e figlio illegittimo, prevedendo solo un’unica categoria di prole: quella carnale. Figli carnali e figli adottivi sono uguali e godono degli stessi diritti nel momento in cui nascono o vengono adottati da una famiglia. Le norme a riguardo sono numerose ed impongono specifici obblighi in capo ai genitori, che dovranno provvedere all’educazione, al mantenimento ed all’assistenza dei figli, considerando le inclinazioni naturali, le capacità e le loro aspirazioni [Art. 147 cod. civ.].
Madre e padre devono provvedere ai propri figli in maniera proporzionale e secondo le proprie capacità di lavoro professionale e casalingo [Art. 316 bis cod. civ.], ed in caso di disaccordo è possibile chiedere l’intervento del giudice [Art. 145 cod. civ.]. Premesso ciò, quali sono i diritti dei figli carnali e adottivi? Cosa succede se un genitore non asseconda le aspirazioni e le volontà della prole?
Quali sono le differenze fra figli carnali e figli adottivi. La differenza fra figli carnali e figli adottivi è soltanto terminologica, ossia non esistono diritti riservati solo agli uni o solo agli altri. A maggior ragione oggi in cui nessun testo di legge pone ancora una separazione fra figli nati da una coppia sposata (legittimi), figli nati a seguito di un rapporto extraconiugale (illegittimi), figli nati da conviventi (naturali) e figli adottati. Per quanto riguarda il vincolo di parentela, esso viene riconosciuto sia in caso di figli naturali che adottivi, considerando come legame quello esistente fra uno stipite comune e una o più persone [Art. 74 cod. civ.]. Il figlio adottivo, una volta riconosciuto come tale a seguito della sentenza del giudice, acquista lo stato di figlio legittimo, ossia di figlio nato durante il matrimonio. Questa equiparazione al figlio legittimo è spiegata con il fatto che l’adozione può essere richiesta solo da persone sposate da almeno tre anni, e viene tutt’ora impedita ai conviventi ed alle persone che hanno contratto unione civile.
La differenza rimane quindi una questione puramente scientifica, poiché i figli carnali vengono riconosciuti dagli stessi genitori biologici mentre quelli adottivi, per questioni differenti, vivranno con una famiglia diversa da quella di origine. In entrambi i casi l’educazione, l’assistenza ed il mantenimento devono essere assicurati da parte della famiglia e da chi, per legge [Art. 433 cod. civ.], è obbligato agli alimenti in caso di necessità. Inoltre, i figli adottati perdono diritti e doveri nei confronti dei genitori biologici ed acquistano, a seguito dell’adozione, diritti e doveri nei confronti della nuova famiglia [Art. 27 co. 3 L. n. 184, 04.05.1983].
Nonostante c’è stato un notevole sforzo da parte del legislatore nell’eliminare qualsiasi differenza fra figli naturali, legittimi, illegittimi ed adottati, ancora permane qualche piccola disuguaglianza dovuta più che altro alle situazioni particolari in cui si ritrovano genitori e figli. Vediamo insieme quali sono prima di conoscere i diritti dei figli carnali e dei figli adottivi.
Figli carnali e figli incestuosi. L’unica differenza ancora presente può essere rinvenuta nel caso di figli incestuosi, ossia nati a seguito di un rapporto fra due persone legate da un vincolo di parentela. Questo, per considerarsi incestuoso, deve essere di in linea retta fino all’infinito, ed in linea collaterale di secondo grado [Art. 251 cod. civ.]. Secondo il computo dei gradi, il figlio incestuoso è quello che nasce fra persone legate da una relazione di ascendenza o di discendenza (nonno, padre, figlio, nipote, ecc), e da un legame di fratellanza (fratelli di uno stesso genitore), escludendo quindi i rapporti indiretti dal terzo grado in poi.
La riforma ha coinvolto anche il caso del figlio incestuoso, attribuendo a quest’ultimo il diritto ad essere riconosciuto mediante autorizzazione del giudice, che procederà per tutelare gli interessi del figlio ed al fine di evitare qualsiasi pregiudizio. Anni addietro, il riconoscimento da parte dei genitori nei confronti del figlio incestuoso era vietato dalla legge, a meno che al tempo del concepimento uno o entrambi i genitori fossero in buona fede e non fossero a conoscenza del rapporto di sangue esistente fra loro. L’incesto era riconosciuto anche in presenza di un vincolo di affinità in linea retta (nuora con suocero, genero con suocera), ma veniva meno qualora fosse stato dichiarato nullo il matrimonio da cui derivava il rapporto di affinità.
In assenza di autorizzazione da parte del giudice (che può essere negata per motivi seri, come ad esempio per tutelare la persona contro ogni pregiudizio), al figlio incestuoso viene riconosciuto il diritto di ottenere un assegno vitalizio in sostituzione delle quote di successione che spettano ai parenti. Attualmente la parola figlio incestuoso non compare nella legge, ma viene sostituita da una formula meno pesante, ovverosia ”figlio non riconoscibile” [Art. 594 cod. civ.] .
Quali sono i casi particolari di adozione. La legge [Art. 44 L. n. 184, 04.05.1983] prevede alcuni casi in cui l’adozione avviene in condizioni diverse da quelle tradizionali, come ad esempio quando un minore perde entrambi i genitori e viene adottato da un parente, oppure quando il figlio di una persona viene adottato dall’altro coniuge. In questo ultimo periodo, a seguito del riconoscimento delle unioni civili, i giudici della Cassazione si sono pronunciati a favore dell’adozione di un figlio da parte di un partner dello stesso sesso, nel momento in cui il minore sia figlio riconosciuto dal genitore biologico [Cass. Sent. n. 12962, 22.06.2016] [Cass. Sent. n. 14878, 15.06.2017]. In questo caso gli interessi del minore prevalgono rispetto alla questione se sia o meno opportuno concedere il diritto di essere genitori alle coppie omosessuali, poiché il minore instaura legami affettivi all’interno di quella che viene considerata famiglia a tutti gli effetti.
Ulteriore caso particolare è l’adozione delle persone di maggiore età [Artt. 291 e ss cod. civ.] che viene generalmente riconosciuta a tutti coloro che non hanno discendenti. L’adozione di una persona di maggiore età non comporta vincoli di parentela fra adottante ed adottato, ma consente di ottenere diritti di successione al momento della divisione dell’eredità.
Quali diritti spettano ai figli carnali ed agli adottivi. Se esistono dei diritti nei confronti dei figli, al contrario i genitori hanno il dovere di provvedervi in maniera tale da mantenerli, istruirli ed educarli. E per farlo, i genitori devono prendere in considerazione le aspirazioni, le capacità e le inclinazioni della prole. Un tempo non si dava molta importanza alle diverse esigenze di un minore, come quella di poter scegliere il tipo di scuola da frequentare, il corso pomeridiano da seguire per le attività sportive o quelle ludiche, mentre oggi questi interessi vengono riconosciuti dalla legge.
I principali diritti dei figli si riducono a quattro doveri dei genitori: mantenimento, istruzione, educazione ed assistenza. Per quanto riguarda il mantenimento, esso è obbligatorio sempre e comunque nei confronti dei figli minorenni. I figli maggiorenni hanno diritto al mantenimento economico quando:
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Non siano economicamente autosufficienti, e l’assenza di indipendenza economica non dipende da loro. Un esempio potrebbe essere il figlio che decide di seguire un corso universitario e si trova nell’impossibilità di lavorare per mancanza di tempo, oppure il figlio che ancora non è in grado di inserirsi nel mondo del lavoro;
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Siano affetti da un handicap grave tale da impedire qualsiasi possibilità di trovarsi un lavoro.
Il mantenimento è di tipo economico, e riguarda le spese ordinarie e straordinarie. Al mantenimento sono chiamati entrambi i genitori in relazione alle proprie capacità economiche, anche nel momento in cui siano separati o divorziati. Ad esempio se una madre ha un contratto di lavoro precario e un padre lavora a tempo indeterminato, è possibile che la prima sia obbligata al mantenimento per una quota pari al 20%, mentre al secondo spetterà di provvedere al mantenimento per il successivo 80%. E la ripartizione è riferita soprattutto alle spese.
Il diritto all’istruzione [Art. 30 Cost.] consiste in quella necessità di impartire al minore l’amore per la cultura, per l’arte e per la scienza, nonché di garantire l’accesso alle scuole di ogni ordine e grado. Quindi ciascun genitore deve provvedere affinché il figlio abbia i mezzi adeguati per frequentare anche corsi universitari, corsi extracurricolari e tutto ciò che riguarda l’ambito della cultura. Il questo caso, il diritto all’istruzione è strettamente connesso al diritto al mantenimento, a maggior ragione se il figlio ha raggiunto la maggiore età e decide di proseguire gli studi piuttosto che entrare nel mondo del lavoro.
Il diritto di ricevere un’educazione adeguata non contrasta con il dovere dei genitori di impartire regole fondamentali per il vivere civile. Educare significa formare il minore nel carattere e nella personalità, senza prevaricare le sue inclinazioni, ma seguendo una linea di insegnamento comune ad entrambi i genitori. L’educazione dovrebbe essere improntata al rispetto degli altri ed alla conoscenza delle regole alla base di una società, e dovrebbe evitare pregiudizi di qualsiasi genere.
Infine, il diritto all’assistenza morale va oltre ogni valutazione economica tipica del mantenimento. Si tratta dell’affetto e dell’empatia che entrambi i genitori devono riservare nei confronti di un figlio, non soltanto qualora esso fosse minorenne o portatore di handicap. L’assistenza morale si configura anche come un dovere di cura verso la prole, che ha bisogno di ricevere le giuste attenzioni a seconda delle esigenze che essi richiedono.
Altri tipi di diritti riconosciuti ai figli. Oltre a quelli appena definiti, la legge [Art. 315 bis cod. civ.] individua ulteriori diritti a favore dei figli, sia carnali che adottivi, come ad esempio:
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Il diritto di crescere in famiglia e di relazionare con i propri parenti (fra cui i nonni),
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Il diritto di essere ascoltato per tutte le questioni e le procedure che lo riguardano,
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Il diritto di scegliere liberamente la religione da seguire, anche qualora essa fosse in contrasto con la fede di uno o entrambi i genitori [Cass. Sent. n. 24683, 04.11.2013],
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Il diritto all’identità, mediante attribuzione di nome e cognome [Per l’attribuzione del cognome della madre: Corte Cost. Sent. n. 286, 08.11.2016],
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Il diritto ad agire per la dichiarazione giudiziale di paternità [Art. 270 cod. civ.],
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Il diritto ad agire per il disconoscimento della paternità [Art. 244 co. 3 cod. civ.],
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Il diritto di ereditare i beni di un genitore, per le quote stabilite in tema di successione legittima e di successione dei legittimari, con relativo diritto di procedere alle azioni di riduzioni qualora il testamento leda la quota indisponibile,
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Il diritto di ricevere gli alimenti da parte dei genitori e, in loro assenza dagli ascendenti prossimi, anche in riferimento agli adottanti.
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Un diritto ulteriore spetta solamente al figlio adottivo e non anche a quello carnale: è l’ipotesi in cui, raggiunto il venticinquesimo anno di età, è possibile accedere alle informazioni inerenti all’origine ed all’identità dei genitori biologici [Art. 28 co. 5 L. n. 184, 04.05.1983]. Si tratta di una serie di circostanze previste dalla legge in tutti quei casi in cui, ad esempio per motivi di salute o per consanguineità, diventi necessario conoscere il nome della famiglia di origine.
Anche i figli non riconoscibili (di cui sia impossibile ottenere l’autorizzazione al riconoscimento da parte del giudice) godono di un diritto in più rispetto agli altri: il mantenimento e l’educazione mediante azione giudiziale [Art. 279 cod. civ.]. Se per i figli riconoscibili il mantenimento, l’istruzione e l’educazione sono la conseguenza naturale del rapporto di filiazione (e strettamente legati ad un dovere in virtù del riconoscimento da parte dei genitori), questo non succede per i figli non riconoscibili. Costoro si troverebbero nell’ipotesi in cui sul genitore non grava alcun dovere, e rimangono quindi sprovvisti di tutela. I figli non riconoscibili possono agire in giudizio per ottenere il mantenimento, per vedersi riconosciuto il diritto all’educazione ed all’istruzione, ma soprattutto per avere gli alimenti se si trovassero nell’impossibilità di provvedere autonomamente.
Cosa succede se i genitori non provvedono ai figli. In caso di contrasti nell’educazione, nell’istruzione e nel mantenimento dei figli, ciascun genitore può chiedere aiuto al giudice [Art. n. 316 cod. civ.]: un esempio potrebbe essere quello di curare la malattia di un figlio o con le medicine tradizionali o con terapie omeopatiche [Trib. di Roma ordinanza 16.2.2017]. Anche nella scelta della religione il giudice può essere chiamato per fornire un supporto, ed ogni qualvolta dovrà decidere in merito, avrà l’onere di ascoltare il minore che abbia compiuto almeno dodici anni. Le decisioni vengono assunte considerando principalmente gli interessi del minore, che potrebbero essere anche in conflitto con quelli dei genitori.
Ben più grave è l’ipotesi in cui i figli minorenni (sia adottivi che carnali) siano oggetto di molestie, di soprusi e di abbandono. In questo caso entriamo nell’ambito del penale, e la legge prevede ipotesi di reato anche gravi, come ad esempio l’abbandono di minori o di incapaci e la violenza sessuale [Artt. 591 e 609 bis cod. pen.]. Nelle ipotesi più gravi è prevista addirittura la perdita della patria potestà.
Redazione La legge per tutti 10 aprile 2018
www.laleggepertutti.it/200029_i-diritti-dei-figli-carnali-e-adottivi
Figlio non riconosciuto: cosa succede?
Figlio non riconosciuto dal padre, quali sono le tutele per una giovane madre? La possibilità di un rimborso delle spese o l’accordo con il padre sarà possibile? Vediamo quali siano le tutele offerte dalla legge per casi simili, approfondendo i rapporti tra riconoscimento, maternità e paternità.
Figlio non riconosciuto: cosa succede? Questa purtroppo è una delle domande più diffuse tra quelle giovani madri che, private del sostegno del proprio partner per i motivi più disparati, si trovano a dover affrontare intere gravidanze e la crescita del proprio bambino da sole. Per quanto sia moralmente discutibile un padre che volontariamente decida di abbandonare la madre di quello che, di fatto, è suo figlio ed il figlio stesso, nessuno può impedirgli con la forza di non riconoscere il piccolo e di allontanarsi dallo stesso. Purtroppo per una coppia non sposata queste situazioni si verificano frequentemente ed apparentemente non ci sono modi per vincolare due persone verso responsabilità simili, se non con il vincolo matrimoniale. La legge tuttavia tutela, a seconda dei casi, tanto il bambino una volta nato, quanto entrambi i genitori. Se ti riconosci in situazioni simili di seguito verranno trattati alcuni dei punti più importanti del diritto a tal proposito.
Indice
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Riconoscimento da parte della madre e del padre
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Come fare se il padre non riconosce il figlio?
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Come verificare la paternità?
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Se il padre rifiuta gli esami?
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Si può ottenere un rimborso dal padre?
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Può un figlio chiedere il riconoscimento di un padre defunto?
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Un figlio non riconosciuto ha diritto all’eredità?
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Se i figli legittimi avessero commesso abusi?
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Una madre può non riconoscere il figlio?
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Che succede se rinuncio alla maternità?
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Se la madre non vuole riconoscere il padre
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Può il padre riconoscere il figlio senza il consenso della madre?
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Può la madre allontanare dal figlio il padre?
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Chi non è il vero padre può riconoscere il figlio?
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Se il padre vuole sapere se è suo figlio
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Il padre può ripudiare suo figlio?
Redazione La legge per tutti 8 aprile 2018
www.laleggepertutti.it/200021_figlio-non-riconosciuto-cosa-succede
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FRANCESCO VESCOVO DI ROMA
Esortazione Apostolica “Gaudete et Exsultate”
Sulla chiamata alla santità nel mondo contemporaneo. 9 aprile 2018
Introduzione
1. «Rallegratevi ed esultate» (Mt 5,12), dice Gesù a coloro che sono perseguitati o umiliati per causa sua. Il Signore chiede tutto, e quello che offre è la vera vita, la felicità per la quale siamo stati creati. Egli ci vuole santi e non si aspetta che ci accontentiamo di un’esistenza mediocre, annacquata, inconsistente. In realtà, fin dalle prime pagine della Bibbia è presente, in diversi modi, la chiamata alla santità. Così il Signore la proponeva ad Abramo: «Cammina davanti a me e sii integro» (Gen 17,1).
2. Non ci si deve aspettare qui un trattato sulla santità, con tante definizioni e distinzioni che potrebbero arricchire questo importante tema, o con analisi che si potrebbero fare circa i mezzi di santificazione. Il mio umile obiettivo è far risuonare ancora una volta la chiamata alla santità, cercando di incarnarla nel contesto attuale, con i suoi rischi, le sue sfide e le sue opportunità. Perché il Signore ha scelto ciascuno di noi «per essere santi e immacolati di fronte a Lui nella carità» (Ef 1,4).
Capitolo primo: La chiamata alla santità. §3-34
I santi che ci incoraggiano e ci accompagnano
I santi della porta accanto
Il signore chiama
Anche per te
La tua missione in cristo
L’attività che santifica
Più vivi, più umani
Capitolo secondo: Due sottili nemici della santità. §35-62
§ 35. In questo quadro, desidero richiamare l’attenzione su due falsificazioni della santità che potrebbero farci sbagliare strada: lo gnosticismo e il pelagianesimo. Sono due eresie sorte nei primi secoli cristiani, ma che continuano ad avere un’allarmante attualità. Anche oggi i cuori di molti cristiani, forse senza esserne consapevoli, si lasciano sedurre da queste proposte ingannevoli. In esse si esprime un immanentismo antropocentrico travestito da verità cattolica.[33] Vediamo queste due forme di sicurezza dottrinale o disciplinare che danno luogo «ad un elitarismo narcisista e autoritario dove, invece di evangelizzare, si analizzano e si classificano gli altri, e invece di facilitare l’accesso alla grazia si consumano le energie nel controllare. In entrambi i casi, né Gesù Cristo né gli altri interessano veramente».[34]
Lo gnosticismo attuale
§ 36. Lo gnosticismo suppone «una fede rinchiusa nel soggettivismo, dove interessa unicamente una determinata esperienza o una serie di ragionamenti e conoscenze che si ritiene possano confortare e illuminare, ma dove il soggetto in definitiva rimane chiuso nell’immanenza della sua propria ragione o dei suoi sentimenti».[35]
Il Pelagianesimo attuale.
§ 47. Lo gnosticismo ha dato luogo ad un’altra vecchia eresia, anch’essa oggi presente. Col passare del tempo, molti iniziarono a riconoscere che non è la conoscenza a renderci migliori o santi, ma la vita che conduciamo. Il problema è che questo degenerò sottilmente, in maniera tale che il medesimo errore degli gnostici semplicemente si trasformò, ma non venne superato.
§.48. Infatti, il potere che gli gnostici attribuivano all’intelligenza, alcuni cominciarono ad attribuirlo alla volontà umana, allo sforzo personale. Così sorsero i pelagiani e i semipelagiani. Non era più l’intelligenza ad occupare il posto del mistero e della grazia, ma la volontà. Si dimenticava che tutto «dipende [non] dalla volontà né dagli sforzi dell’uomo, ma da Dio che ha misericordia» (Rm 9,16) e che Egli «ci ha amati per primo» (1 Gv 4,19).
I nuovi pelagiani
§ 57. Ci sono ancora dei cristiani che si impegnano nel seguire un’altra strada: quella della giustificazione mediante le proprie forze, quella dell’adorazione della volontà umana e della propria capacità, che si traduce in un autocompiacimento egocentrico ed elitario privo del vero amore. Si manifesta in molti atteggiamenti apparentemente diversi tra loro: l’ossessione per la legge, il fascino di esibire conquiste sociali e politiche, l’ostentazione nella cura della liturgia, della dottrina e del prestigio della Chiesa, la vanagloria legata alla gestione di faccende pratiche, l’attrazione per le dinamiche di auto-aiuto e di realizzazione autoreferenziale. In questo alcuni cristiani spendono le loro energie e il loro tempo, invece di lasciarsi condurre dallo Spirito sulla via dell’amore, invece di appassionarsi per comunicare la bellezza e la gioia del Vangelo e di cercare i lontani nelle immense moltitudini assetate di Cristo. [63]
§ 58. Molte volte, contro l’impulso dello Spirito, la vita della Chiesa si trasforma in un pezzo da museo o in un possesso di pochi. Questo accade quando alcuni gruppi cristiani danno eccessiva importanza all’osservanza di determinate norme proprie, di costumi o stili. In questo modo, spesso si riduce e si reprime il Vangelo, togliendogli la sua affascinante semplicità e il suo sapore. E’ forse una forma sottile di pelagianesimo, perché sembra sottomettere la vita della grazia a certe strutture umane. Questo riguarda gruppi, movimenti e comunità, ed è ciò che spiega perché tante volte iniziano con un’intensa vita nello Spirito, ma poi finiscono fossilizzati… o corrotti.
§ 59. Senza renderci conto, per il fatto di pensare che tutto dipende dallo sforzo umano incanalato attraverso norme e strutture ecclesiali, complichiamo il Vangelo e diventiamo schiavi di uno schema che lascia pochi spiragli perché la grazia agisca. San Tommaso d’Aquino ci ricordava che i precetti aggiunti al Vangelo da parte della Chiesa devono esigersi con moderazione «per non rendere gravosa la vita ai fedeli», perché così si muterebbe la nostra religione in una schiavitù. [64]
Capitolo terzo: Alla luce del maestro. §63-109
§ 63. “Come si fa per arrivare ad essere un buon cristiano?”, la risposta è semplice: è necessario fare, ognuno a suo modo, quello che dice Gesù nel discorso delle Beatitudini.
§ 65 Controcorrente
§ 67 «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli».
§ 71 «Beati i miti, perché avranno in eredità la terra».
§ 75 «Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati».
§ 77 «Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati».
§ 80 «Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia».
§ 83 «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio».
§ 87 «Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio».
§ 90 «Beati i perseguitati per la giustizia, perché di essi è il regno dei cieli».
§ 95 La grande regola di comportamento
§ 100 Le ideologie che mutilano il cuore del Vangelo. Purtroppo a volte le ideologie ci portano a due errori nocivi. Da una parte, quello dei cristiani che separano queste esigenze del Vangelo dalla propria relazione personale con il Signore, dall’unione interiore con Lui, dalla grazia. Così si trasforma il cristianesimo in una sorta di ONG, privandolo di quella luminosa spiritualità che così bene hanno vissuto e manifestato san Francesco d’Assisi, san Vincenzo de Paoli, santa Teresa di Calcutta e molti altri. A questi grandi santi né la preghiera, né l’amore di Dio, né la lettura del Vangelo diminuirono la passione e l’efficacia della loro dedizione al prossimo, ma tutto il contrario.
§ 101. Nocivo e ideologico è anche l’errore di quanti vivono diffidando dell’impegno sociale degli altri, considerandolo qualcosa di superficiale, mondano, secolarizzato, immanentista, comunista, populista. O lo relativizzano come se ci fossero altre cose più importanti o come se interessasse solo una determinata etica o una ragione che essi difendono. La difesa dell’innocente che non è nato, per esempio, deve essere chiara, ferma e appassionata, perché lì è in gioco la dignità della vita umana, sempre sacra, e lo esige l’amore per ogni persona al di là del suo sviluppo. Ma ugualmente sacra è la vita dei poveri che sono già nati, che si dibattono nella miseria, nell’abbandono, nell’esclusione, nella tratta di persone, nell’eutanasia nascosta dei malati e degli anziani privati di cura, nelle nuove forme di schiavitù, e in ogni forma di scarto.[84] Non possiamo proporci un ideale di santità che ignori l’ingiustizia di questo mondo, dove alcuni festeggiano, spendono allegramente e riducono la propria vita alle novità del consumo, mentre altri guardano solo da fuori e intanto la loro vita passa e finisce miseramente.
§ 102. Spesso si sente dire che, di fronte al relativismo e ai limiti del mondo attuale, sarebbe un tema marginale, per esempio, la situazione dei migranti. Alcuni cattolici affermano che è un tema secondario rispetto ai temi “seri” della bioetica. Che dica cose simili un politico preoccupato per i suoi successi si può comprendere, ma non un cristiano, a cui si addice solo l’atteggiamento di mettersi nei panni di quel fratello che rischia la vita per dare un futuro ai suoi figli. Possiamo riconoscere che è precisamente quello che ci chiede Gesù quando ci dice che accogliamo Lui stesso in ogni forestiero (cfr Mt 25,35)? San Benedetto lo aveva accettato senza riserve e, anche se ciò avrebbe potuto “complicare” la vita dei monaci, stabilì che tutti gli ospiti che si presentassero al monastero li si accogliesse «come Cristo»,[85] esprimendolo perfino con gesti di adorazione,[86] e che i poveri pellegrini li si trattasse «con la massima cura e sollecitudine».[87]
Capitolo quarto: Alcune caratteristiche della santità nel mondo attuale. §110-157
§ 112. Sopportazione, pazienza e mitezza
§ 122. Gioia e senso dell’umorismo
§ 129. Audacia e fervore
§ 140. In comunità
§ 147. In preghiera costante
Capitolo quinto: Combattimento, vigilanza e discernimento. § 158-175
§ 158. La vita cristiana è un combattimento permanente.
§ 166 Il discernimento
Conclusioni. §176-177
Dato a Roma, presso San Pietro, il 19 marzo, Solennità di San Giuseppe, dell’anno 2018, sesto del mio Pontificato. Francesco
“Gaudete et Exsultate”: la santità della vita quotidiana.
Una santità che non è per pochi eroi o per persone eccezionali, ma il modo ordinario di vivere l’ordinaria esistenza cristiana. Non vi è vita cristiana possibile al di fuori di questo quadro esigente e appassionante: c’è un solo modo di essere cristiani, quello che si colloca nella prospettiva della santità.
È uscita in questi giorni la terza esortazione apostolica di Papa Francesco dal titolo “Gaudete et Exsultate”. Il filo rosso della gioia continua a rappresentare l’elemento che unifica il magistero del Papa che vuole cristiani gioiosi che mostrino di aver incontrato il Risorto e in lui il segreto di una vita pacificata, realizzata, piena.
Quasi facendo eco al dettato conciliare sull’universale chiamata alla santità, la “Gaudete et Exsultate” indica nella santità l’orizzonte della esistenza del cristiano comune.
La prima cosa che colpisce nel testo è la convinzione con cui si sostiene che la santità appartiene al “popolo di Dio paziente”, alle persone che hanno un’ordinaria vita quotidiana fatta delle cose semplici che sono la struttura dell’esistenza di tutti.
Ci si dovrà abituare a riconoscere i santi della porta accanto: nei “genitori che crescono con tanto amore i loro figli, negli uomini e nelle donne che lavorano per portare il pane a casa, nei malati, nelle religiose anziane che continuano a sorridere” (n. 7).
Dunque una santità che non è per pochi eroi o per persone eccezionali, ma il modo ordinario di vivere l’ordinaria esistenza cristiana. Non vi è vita cristiana possibile al di fuori di questo quadro esigente e appassionante: c’è un solo modo di essere cristiani, quello che si colloca nella prospettiva della santità.
La manifestazione della santità della vita quotidiana non va cercata nelle estasi o nei fenomeni straordinari che talvolta si associano ad essa, ma in coloro che fanno delle beatitudini la loro carta di identità e che vivono secondo quella “grande regola di comportamento” proposta nel capitolo 25 del Vangelo di Matteo: la concreta misericordia verso il povero. Queste persone, che vivono “con amore e offrendo ciascuno la propria testimonianza nelle occupazioni di ogni giorno” fanno vedere il volto del Signore (n. 63). Chi vive nel dono di sé perché vive secondo la parola di Gesù, è santo e sperimenta la vera beatitudine. Papa Francesco però mette in guardia dalla tentazione di considerare le beatitudini come belle parole poetiche: esse vanno controcorrente e delineano uno stile diverso da quello del mondo.
La “grande regola di comportamento“ traduce in modo concreto le beatitudini, soprattutto quella della misericordia. L’esempio che viene riportato al n. 98 è molto concreto e mostra il discrimine tra l’essere cristiani e non esserlo. “Quando incontro una persona che dorme alle intemperie, in una notte fredda” (n. 98) posso considerarlo un imprevisto fastidioso o riconoscere in lui un essere umano come me infinitamente amato dal Padre: dal mio atteggiamento passa il confine tra l’essere cristiani e non esserlo!, perché, afferma Papa Francesco, “non possiamo proporci un ideale di santità che ignori l’ingiustizia di questo mondo”. Perché se la santità è il dono di sé come lo ha vissuto il Signore Gesù, non si potrà passare distratti e indifferenti accanto al fratello che soffre.
Vivere la santità richiede di avere realizzato nella propria esistenza quell’unità per cui si passa dalla contemplazione del volto del Signore alla concretezza del gesto di carità, e dall’azione per l’altro al mistero del Risorto come a sua radice.
L’Esortazione non è un piccolo trattato, ma vuole essere uno strumento per cercare le forme della santità per l’oggi.
Le cinque caratteristiche che vengono proposte nel capitolo quarto indicano alcuni rischi e limiti della cultura di oggi: “L’ansietà nervosa e violenta che ci disperde e debilita; la negatività e la tristezza; l’accidia comoda, consumista ed egoista; l’individualismo, e tante forme di falsa spiritualità senza incontro con Dio che dominano nel mercato religioso attuale” (n. 111). Di fronte ad essi, occorrono fermezza e solidità interiore per resistere all’aggressività che è dentro di noi; la gioia e il senso dell’umorismo; la parresia, come coraggio apostolico e capacità di osare; la disponibilità a fare un cammino in comunità e infine la preghiera.
Così il cristiano potrà sperimentare quella gioia che il mondo non gli potrà togliere.
Paola Bignardi Agenzia SIR 9 aprile 2018
https://agensir.it/chiesa/2018/04/09/gaudete-ed-exsultate-la-santita-della-vita-quotidiana/
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MATERNITÀ SURROGATA
La legge in Italia e negli altri Stati
Si sente molto parlare di maternità surrogata, cioè di donne che si prestano a portare a termine una gravidanza rinunciando poi al figlio messo al mondo per donarlo alle coppie. L’argomento è di estrema delicatezza per quei i genitori, e in particolare le donne, che non riescono ad avere figli per i motivi più diversi. Molti lo vedono come l’alternativa all’adozione, altri come l’unico modo per avere un figlio che abbia davvero lo stesso sangue. La madre surrogata, infatti, accoglie un ovulo fecondato con le tecniche della moderna ingegneria genetica.
In Italia la legge vieta tassativamente che si possa mettere un atto qualcosa del genere, mentre in alcuni dei Paesi che formano gli Stati Uniti è possibile, anche se con regole diverse a riguardo. Si tratta di un fenomeno diffuso soprattutto tra le classi sociali medio-alte, per il quale sono nate diverse agenzie che mettono in contatto le donne con le coppie che vogliono avere un figlio, o anche più di uno, sia etero che gay.
Indice
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Le legge sulla maternità surrogata in Italia
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Maternità surrogata di coppie italiane all’estero
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La maternità surrogata negli Stati Uniti
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Chi sono le donne della maternità surrogata
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Il ruolo delle agenzie di maternità surrogata
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La maternità surrogata in Ucraina
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Maternità surrogata nel Regno Unito
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La maternità surrogata in India
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La maternità surrogata in Grecia
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Il contratto di maternità surrogata
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Il certificato di nascita da madre surrogata
Le legge sulla maternità surrogata in Italia. In Italia c’è una legge che regola la maternità surrogata, vietata dal nostro ordinamento [art. 12, comma sesto della l. 40/2004]. Violarla significa avere ripercussioni penali e amministrative per chiunque e in qualsiasi modo favorisca questa pratica. In particolare si tratta di medici, infermieri, avvocati, cliniche e anche agenzie che fanno da tramite tra le coppie che vogliono un figlio e le donne che si rendono disponibili a portare a termine una gravidanza per altri.
In base a questa legge non è escluso che siano perseguibili le stesse donne che si prestano a tale pratica e anche agli eventuali donatori di materiale genetico.
Chi ambisce alla maternità surrogata di solito sono le coppie che non possono avere un figlio anche per motivi di sterilità. In altre parole si tratta del cosiddetto “utero in affitto” in quanto reso disponibile dietro pagamento e in Italia non è strada assolutamente percorribile. Tale pratica andrebbe anche contro a un articolo del codice civile, che afferma appunto che madre naturale è colei che ha partorito il bambino.
In tal senso non sarebbe possibile attribuire la maternità se non c’è questa condizione, anche nel caso in cui il materiale genetico appartenesse alla donna che ha affittato l’utero.
In tal senso è bene precisare che lo stesso problema non si pone nel caso di una fecondazione eterologa. La fecondazione eterologa prevede che sia impiantato nell’utero un ovulo donato da un’altra donna, ma fecondato con lo sperma del marito o fidanzato. Questo è un caso in cui sussiste comunque la maternità di natura, in quanto il bambino viene partorito dalla madre, che diventa a tutti gli effetti quella naturale secondo la legge italiana. Vediamo allora, sulla maternità surrogata cosa prevede la legge in Italia e negli altri Stati.
Maternità surrogata di coppie italiane all’estero. I casi di maternità surrogata all’estero di coppie italiane che desiderano un figlio sono in continua continuo aumento e questo ha portato a intentare diverse cause. Queste ultime hanno dovuto affrontare il problema di dover registrare l’atto di nascita di un bambino nato all’estero che doveva essere trascritto all’anagrafe italiana.
Si tratta di un’operazione che tecnicamente a livello legislativo non è facile, anzi è impossibile. L’ostacolo è rappresentato dal fatto che di fatto vengono rese delle dichiarazioni non vere all’Ufficiale di Stato, in quanto la madre naturale non c’è, specie nel caso di donne single. In alcuni casi per questi bambini è stata disposta la disponibilità all’adozione o comunque sono state avviate delle battaglie legali perché le coppie non perdessero i figli.
Oltre alle questioni strettamente legislative, che sono contrarie a quanto disposto dal nostro ordinamento, si pongono anche quelle etiche.
In Italia il dibattito continua, specie per le coppie che si trovano a dover provare il fatto di essere genitori a seguito della scelta di una maternità surrogata.
Redazione La legge per tutti 8 aprile 2018
www.laleggepertutti.it/200092_maternita-surrogata-cosa-prevede-la-legge-in-italia-e-negli-altri-stati
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NULLITÀ MATRIMONIALE
Mazara del Vallo, emesse le prime quattro sentenze di nullità matrimoniale
Dopo l’entrata in vigore, l’8 dicembre 2015, del Motu proprio di Papa Francesco “Mitis iudex” sulle cause di nullità matrimoniale, nella diocesi di Mazara del Vallo sono state emesse, da parte del vescovo, mons. Domenico Mogavero, le prime quattro sentenze definitive di nullità su altrettanti casi che erano stati sottoposti all’esame.
Il Motu proprio ha restituito al vescovo diocesano la funzione di giudice nelle cause dei propri fedeli con una procedura più breve, mentre questa tipologia di cause prima era trattata dal Tribunale ecclesiastico regionale, che mantiene la competenza sul processo ordinario. “Il doppio binario su cui si muove la nuova prassi giudiziaria della Chiesa è costituito da ‘celerità dei processi’ e da ‘giusta semplicità’ – spiega don Orazio Placenti, vicario giudiziale della diocesi di Mazara del Vallo -, avendo come fine che ‘il cuore dei fedeli che attendono il chiarimento del proprio stato non sia lungamente oppresso dalle tenebre del dubbio’”.
A oggi in diocesi sono state introdotte 18 cause di nullità matrimoniale davanti al vescovo.
Agenzia SIR 10 aprile 2018
https://agensir.it/quotidiano/2018/4/10/diocesi-mazara-del-vallo-emesse-le-prime-quattro-sentenze-di-nullita-matrimoniale-dopo-il-motu-proprio-di-papa-francesco
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SINODI
Un Sinodo per le donne e sulle donne, per superare ogni discriminazione.
Liberare la Chiesa «dai pregiudizi, dagli stereotipi e dalle discriminazioni subiti dalla donna» e spingere le comunità cristiane verso «una “conversione pastorale” capace di chiedere perdono per tutte le situazioni nelle quali sono state e tuttora sono complici di attentati alla sua dignità». Non è una strada semplice, considerando schemi e strutture radicate a volte anche da secoli, ma è realizzabile. Magari attraverso un Sinodo in cui tutti i vescovi del mondo possano ripensare il ruolo femminile nella vita e nella missione della Chiesa.
Proprio questa è la proposta della Pontificia Commissione per l’America latina, messa nera su bianco nel documento conclusivo della plenaria dell’organismo che si è svolta dal 6 al 9 marzo 2018 scorsi sul tema “La donna, pilastro nell’edificazione della Chiesa e della società in America Latina”, che ha visto la partecipazione di numerose donne come ospiti e, per la prima volta, relatrici.
La Commissione, guidata dal cardinale Marc Ouellet, ponendo «seriamente la questione di un Sinodo della Chiesa universale sul tema della donna» sulla scia di quelli sulla famiglia e sui giovani, esorta le Chiese locali ad avere «la libertà e il coraggio evangelici per denunciare tutte le forme di discriminazione e di oppressione, di violenza e di sfruttamento subite dalle donne in varie situazioni e per introdurre il tema della loro dignità, partecipazione e contributo nella lotta per la giustizia e la fraternità».
Al contempo la Cal, nel suo documento suddiviso in quattordici punti, mette in guardia pastori e comunità cristiane a vigilare «di fronte alle forme di “colonizzazione culturale e ideologica” che, con il pretesto di nuovi “diritti individuali” e anche strumentalizzando rivendicazioni femministe, vengono diffuse da grandi poteri e “lobbies” ben organizzate, per attentare contro la verità del matrimonio e della famiglia, scalzando l’ethos culturale dei nostri popoli, favorendo la disgregazione del tessuto familiare e sociale delle nazioni». «Sono le donne, comprese le madri con figli, a pagare il costo più alto di tale operazione».
«Occorre superare i radicamenti e le resistenze maschiliste, la frequente assenza paterna e familiare, l’irresponsabilità del comportamento sessuale», scrive ancora l’organismo vaticano. «L’“epoca del femminismo” può essere un’ottima occasione “liberatrice” per l’uomo, il quale potrebbe condividere la volontà di generare esperienze che rivendichino il pieno rispetto della dignità della donna e, allo stesso tempo, una paternità responsabile, affettiva e impegnata nella crescita dei figli, accanto alla madre, nonché un reciproco appoggio in caso di lavoro extra-domestico per entrambi».
Su tale scia si afferma che è «essenziale» nella pastorale della Chiesa «ripensare percorsi adeguati per la educazione affettiva e sessuale di uomini e donne, così come per la più integrale preparazione al sacramento del matrimonio», che con la famiglia costituiscono «le esperienze fondamentali per vivere la comune dignità di uomo e donna».
Ricordando poi l’appello dei vescovi latinoamericani riuniti ad Aparecida ad ascoltare «il grido, tante volte soffocato» delle donne, specie quelle povere e indigene, la Commissione pontificia esorta a non far mancare «parole di stima e di incoraggiamento alle madri che in America latina sono impegnate nella gestazione generosa di figli, famiglie e popoli. E tante volte lo fanno come autentiche “martiri”, che danno la vita per i propri cari e per il prossimo».
In tal senso si chiede di avere maggior cura delle «“mutue relazioni” tra Pastori e donne di vita consacrata» che «danno un’importante testimonianza della presenza di Dio tra i popoli latinoamericani, specialmente tra i giovani, tra i poveri, i malati e gli scartati». E anche di «favorire la partecipazione di donne sposate o consacrate nei processi di formazione» dei futuri sacerdoti, «e anche nei gruppi di formatori, dando loro facoltà di insegnare e accompagnare i seminaristi, e l’opportunità per intervenire circa il discernimento vocazionale e l’equilibrato sviluppo dei candidati al sacerdozio ministeriale».
Non manca, poi, nel documento, un richiamo alla scarsa presenza di figure femminili nella Chiesa: «È possibile e urgente – dice la Cal – moltiplicare ed ampliare i luoghi e le opportunità di collaborazione femminile nelle strutture pastorali delle comunità parrocchiali, diocesane, a livello di Conferenze episcopali e nella Curia romana». Tale «apertura» non rappresenta «una concessione alla pressione culturale e mediatica», bensì «il risultato della presa di coscienza che l’assenza delle donne dalle istanze decisionali è un difetto, una lacuna ecclesiologica, l’effetto negativo di una concezione clericale e maschilista. Se non si rimedierà a breve termine, molte donne disponibili a servire si sentiranno trascurate e disprezzate nelle loro capacità, e potrebbero eventualmente allontanarsi dalla Chiesa».
Ovviamente ciò «presuppone un investimento nella formazione cristiana, teologica e professionale delle donne, laiche e religiose, affinché possano lavorare alla pari con i colleghi uomini, in clima di normalità ed equilibrio, e non soltanto perché sono donne e perché dobbiamo riflettere un’immagine aggiornata rispetto ai canoni culturali dell’epoca. I pastori incoraggino e sostengano gli studi biblici e teologici delle donne, per il potenziamento della costruzione delle comunità cristiane», afferma la Cal.
E conclude con un incoraggiamento a promuovere «in tutte le Chiese locali e attraverso le Conferenze episcopali un dialogo franco e aperto tra pastori e donne impegnate in diversi livelli di responsabilità (dalle dirigenti politiche imprenditoriali e sindacali, fino alle leader di movimenti popolari e comunità indigene)».
Salvatore Cernuzio La Stampa Vatican Insider 13 aprile 2018
www.lastampa.it/2018/04/13/vaticaninsider/ita/nel-mondo/un-sinodo-per-le-donne-e-sulle-donne-per-superare-ogni-discriminazione-k0cSZJ20FkSO8NxT48IZdJ/pagina.html
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STALKING
Sussiste l’aggravante della relazione affettiva anche in mancanza del rapporto di convivenza
Corte di Cassazione – prima Sezione penale, Sentenza n. 11604, 14 marzo 2018
La Corte di Cassazione ha stabilito che, in tema di atti persecutori, sussiste l’aggravante della relazione affettiva di cui al comma secondo dell’articolo 612-bis del Codice Penale anche qualora non vi sia mai stato un rapporto di convivenza tra vittima e autore del reato.
Avverso la sentenza di condanna per il reato di atti persecutori di cui all’articolo 612-bis del Codice Penale, aggravato dalla relazione affettiva con la persona offesa, l’imputato aveva proposto ricorso per Cassazione, lamentando l’applicazione dell’aggravante citata in mancanza di un rapporto di convivenza presente o passato con la vittima. In particolare, a parer del ricorrente, il giudice di merito aveva errato nell’applicare la disposizione incriminatrice, nella forma aggravata, dato che la stessa doveva intendersi integrata solo in presenza di una relazione di convivenza tra le parti, sulla base dell’argomentazione secondo cui nessun riferimento all’assenza della convivenza è contenuto nella disposizione richiamata, di talché deve ritenersi, in virtù di una interpretazione sistematica della norma e del canone ermeneutico ubi voluit dixit, ubi noluit tacuit, che l’aggravante doveva essere riconosciuta solo in presenza di un rapporto di convivenza presente o passato, avuto riguardo al fatto che, nelle ipotesi in cui il legislatore aveva voluto attribuire alla relazione affettiva una valenza come aggravante, indipendentemente dalla convivenza, lo aveva indicato espressamente: così per il reato di violenza sessuale di cui all’articolo 609-bis del Codice Penale, in cui l’analoga aggravante di cui all’articolo 609-ter, comma primo, n. 5)-quater, contiene le parole “anche senza convivenza”.
La Corte di Cassazione ha ritento non condivisibile tale prospettazione difensiva. Invero, secondo i giudici di legittimità, il legislatore avrebbe inserito l’espressione “anche senza convivenza” all’interno dell’articolo 609-ter del Codice Penale, con riferimento all’ipotesi aggravata dalla relazione affettiva della fattispecie di violenza sessuale, per una precisa esigenza di chiarezza.
La ratio di tale precisazione normativa consisterebbe “nella necessità di evitare che possa revocarsi in dubbio la configurabilità dell’aggravante in mancanza della convivenza. Se la norma non avesse previsto le parole evidenziate, si sarebbe potuto ritenere, proprio in considerazione dell’attinenza del reato di cui all’art. 609-bis cod. pen. alla sfera sessuale ed alle connesse particolarità, che solo in presenza di una relazione affettiva caratterizzata da convivenza fosse possibile ravvisare l’aggravante”.
La medesima esigenza di specificazione, a giudizio della Corte, non si ravviserebbe per la previsione di cui all’articolo 612-bis, comma secondo, del Codice Penale, per la quale “l’indifferenza della situazione di convivenza rispetto a quella di non convivenza emerge comunque dalla pertinenza del reato a sfera diversa da quella sessuale”.
Per queste ragioni, la Suprema Corte ha ritenuto il motivo di gravame infondato, annullando comunque la sentenza impugnata per altri motivi di doglianza e così rinviando gli atti al giudice competente per un nuovo esame.
Lorenzo Pispero Filodiritto 13 aprile 2018
www.filodiritto.com/news/2018/stalking-cassazione-penale-sussiste-laggravante-della-relazione-affettiva-anche-in-mancanza-del-rapporto-di-convivenza.html
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UNIONE CONSULTORI ITALIANI PREMATRIMONIALE E MATRIMONIALI
25° Congresso a Castel San Pietro Terme BO
Nel 50° della sua fondazione, è programmato il 25° Congresso Nazionale dell’Ucipem, che si svolgerà a Castel San Pietro Terme presso il Centro Congressi Artemide, da venerdì 4 a domenica 6 maggio 2018.
Il Congresso ha come tema: Una storia proiettata nel futuro. Il buon seminatore.
Il Consultorio familiare Ucipem dai bisogni attuali della famiglia agli scenari futuri.
Quali possono essere gli scenari futuri della famiglia e delle relazioni umane? Quali risposte i nostri consultori potranno e dovranno dare alle persone e alla società e quali cambiamenti dovranno affrontare per poter dare queste risposte? Saranno questi i temi del XXV Congresso Nazionale dell’UCIPEM. Le risposte verranno da studiosi e soprattutto dagli operatori dei nostri consultori, che vivendo quotidianamente in prima linee le sofferenze e i disagi delle famiglie sono in grado di coglierne le possibili evoluzioni future.
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Sede Del Congresso. Hotel Castello – Centro Congressi Artemide
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Viale delle Terme, 1010/b – 40024 Castel San Pietro Terme (BO) ITALY – tel.39 051 943509
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Come raggiungere l’Hotel Castello:
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5 minuti dalla fermata degli autobus di linea urbani ed extra urbani provenienti da Bologna
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3 Km dalla stazione ferroviaria di Castel San Pietro Terme (treni ogni 30-40 minuti)
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4 Km dal Casello Autostradale di Castel San Pietro Terme sulla A14 Bologna-Ancona
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34 Km dall’aeroporto G. Marconi di Bologna.
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Quota di iscrizione: Euro 50 per le iscrizioni effettuate entro il 10 aprile 2018. Euro 60 dal giorno 11 aprile in poi.
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Le iscrizioni devono essere effettuate dopo il pagamento della quota di iscrizione, sul sito UCIPEM NAZIONALE entro il 30 aprile 2018. Sarà ritenuta valida l’attestazione dell’avvenuto pagamento che dovrà essere effettuato tramite bonifico bancario intestato all’ U.C.I.P.E.M. codice IBAN: IT19D0335901600100000015560
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Sulla causale è necessario scrivere: XXV CONGRESSO NAZIONALE UCIPEM, nome e cognome, consultorio di provenienza, nominativi di eventuali accompagnatori non iscritti al congresso.
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La quota di iscrizione da diritto alla partecipazione alle sessioni, al kit congressuale, ai coffe break e ai crediti formativi se richiesti.
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La quota di iscrizione non comprende i costi delle camere in hotel, il pranzo di sabato e le cene di venerdì e sabato che vanno pagati a parte, direttamente all’hotel Castello.
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Prenotazione camere esclusivamente all’hotel Castello: tel. 051.943509, specificando di essere congressisti UCIPEM anche tramite info@hotelcastello.comwww.hotelcastello.com
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Costi del soggiorno: camera singola € 51,00 – camera doppia € 56,00iva inclusa. Le tariffe sono da considerarsi a camera, a notte, con prima colazione a buffet.
Qualora il numero degli iscritti dovesse superare la capacità dell’Hotel Castello, sarà disponibile l’Hotel Anusca posto nelle immediate vicinanze a prezzi superiori di soli 4 euro. Le prenotazioni saranno comunque gestite dall’Hotel Castello.
Alla tariffa su indicata bisogna aggiungere l’imposta di soggiorno di € 2,00 a persona a notte.
Pasti: Cena del venerdì: € 23,00 IVA inclusa. Pranzo del sabato: € 19,00 IVA inclusa. Cena del sabato: € 26,00 IVA inclusa. Nota bene: Eventuali allergie alimentari o intolleranze dei partecipanti dovranno essere comunicate per iscritto a alla accettazione dell’hotel prima dell’evento.
www.ucipem.com/it/index.php?option=com_content&view=article&id=621:xxv-congresso-nazionale-ucipem-bologna&catid=9&Itemid=136
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